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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 17 settembre 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzione in Commissione:


   L'VIII e IX Commissione,
   premesso che:
    la rete viaria su strada e su ferrovia della Sardegna si caratterizza per le molteplici criticità determinate dai forti ritardi nell'ammodernamento infrastrutturale, dall'inadeguatezza dei collegamenti, dalla limitata estensione e dai bassi indici di accessibilità territoriale, tutti elementi che abbassano gli standard di sicurezza e la velocità di percorrenza e che a tutti gli effetti isolano ampie porzioni del territorio regionale;
    la principale arteria viaria dell'isola è la dorsale sarda strada statale 131 «Carlo Felice» che collega i capoluoghi delle province storiche Cagliari, Oristano, Sassari e, attraverso la DCN 131, Nuoro, per proseguire sino a Olbia;
    si tratta di una strada con diversi elementi di criticità, determinati dalla mancata manutenzione, da incroci a raso e dalla chiusura al traffico per lunghi tratti per la presenza di cantieri stradali. Definita impropriamente superstrada, la 131 ha un limite di velocità di 90 chilometri orari e solo in un tratto, peraltro breve, il limite è innalzato a 110 chilometri;
    la restante rete viaria di secondo livello, che si dirama lungo la statale 131 e che dovrebbe collegare l'interno dell'isola con i principali servizi, risulta fortemente carente, per qualità e capillarità, tanto da non garantire un'accettabile funzionalità dei servizi fondamentali, quali il 118;
    analogamente la rete ferroviaria (430 chilometri a scartamento ordinario e 608 chilometri a scartamento ridotto) risulta essere fortemente sottodimensionata rispetto alle esigenze di mobilità della popolazione residente nell'isola, tra l'altro, la rete a scartamento ridotto è oggetto da diversi anni di un processo di ridimensionamento con la chiusura di numerose tratte;
    la densità infrastrutturale nell'isola e inferiore del 20 per cento rispetto a quella nazionale con una percentuale elevata (il 73 per cento rispetto al 59 per cento del dato italiano) di rete che non supera i 9 metri di sezione trasversale;
    ancora oggi i tempi di percorrenza della linea ferroviaria Cagliari-Sassari sono di poco inferiori alle tre ore per circa 260 chilometri di percorso;
    da questa situazione ne deriva un progressivo processo di isolamento ed emarginazione delle zone interne dell'isola con punte di maggiore criticità come quelle registrate nella regione del Goceano (Centro-Nord), i cui centri distano più di un'ora di auto dai principali servizi essenziali;
    in questo contesto di isolamento si accentuano alcuni fenomeni fortemente negativi per la società sarda, come lo spopolamento delle zone interne, il mancato presidio dei territori, l'abbandono delle attività ad essi collegate e un generale impoverimento delle aree abbandonate;
    la Sardegna sconta le gravi limitazioni derivanti dalla condizione di insularità che, anche in presenza di eventuali azioni di mitigazione, rappresenta comunque un elemento di grave discrimine nei confronti dei residenti nella regione, discrimine che si concretizza nella fattuale diseguaglianza di condizioni di vita e opportunità economiche e sociali tra cittadini di uno stesso paese;
    l'insularità assume una rilevanza centrale come fattore di ritardo nella crescita e nello sviluppo economico e come ostacolo per la creazione delle condizioni minime affinché le imprese del territorio siano competitive in un mercato ormai globale, nel quale sono determinanti costo e velocità del trasporto delle merci e delle materie prime;
    la carenza del sistema dei trasporti interni all'isola, oltre ad annullare gli effetti prodotti dalla continuità territoriale aerea, fa di alcuni territori della Sardegna delle isole nell'isola;
    produrre in Sardegna costa di più per effetto degli alti costi energetici e per il sovrapprezzo rappresentato dai costi di trasporto: queste condizioni risultano tra le principali cause della crisi economica in Sardegna, che ha portato alla chiusura di numerose aziende anche di grandi dimensioni con la conseguente riduzione dei livelli produttivi e una grave perdita di numerosi posti di lavoro;
    da un rinnovamento della rete dei trasporti, con particolare riguardo a un potenziamento della rete ferroviaria, ne deriverebbe un'occasione di rilancio per l'economia dell'isola;
    la riqualificazione del sistema viario di secondo livello migliorerebbe la mobilità nell'isola, con particolare riguardo alle zone interne e più isolate, innalzando la qualità della vita dei residenti, contrastando efficacemente il fenomeno dello spopolamento e creando le condizioni per la salvaguardia dei livelli delle produzioni e della forza lavoro impegnata nell'isola,

impegna il Governo:

   ad attivarsi, nel contesto della Presidenza italiana del semestre europeo, per individuare adeguate risorse finanziare in grado di sostenere un processo di riqualificazione delle rete stradale e ferroviaria della Sardegna;
   a farsi promotore di un'azione incisiva volta ad attenuare le limitazioni derivanti alla Sardegna dalla sua condizione di insularità, e per garantire ai cittadini e agli imprenditori della Sardegna pari condizioni e pari opportunità con il resto del Paese.
(7-00462) «Nicola Bianchi, De Rosa, Vallascas».

 * * *

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   VALIANTE e FIORONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'area della cosiddetta «zona archeologica di Paestum» nel comune di Capaccio, in provincia di Salerno, è sottoposta a vincolo di tutela e inedificabilità, ai sensi della legge n. 220 del 5 marzo 1957 (Costituzione di zona di rispetto interino all'antica città di Paestum e divieto di costruzione entro la cinta muraria);
   si apprende, sia, dagli organi di stampa locale che dagli atti amministrativi pubblicati, che il comune di Capaccio intende realizzare alcune opere fisse e rimovibili entro l'area sottoposta a vincolo di notevole impatto archeologico e ambientale: un sottopasso ferroviario (a pochi metri dalla cinta muraria), un marciapiede lungo tutta cinta muraria sino alla località «Torre di Mare» e la sistemazione di due cupole di colore giallo nell'area adiacente il tempio di Hera, per manifestazioni che si protraggono per numerose settimane e forse mesi;
   tra le manifestazioni previste, risalta soprattutto la «Borsa mediterranea del turismo archeologico» giunta al suo XVII appuntamento, programmato dal prossimo 30 ottobre al 2 novembre, a cui partecipano operatori turistici provenienti da numerosi Paesi esteri;
   con al determina del responsabile dell'area VI n. 324 del 1 settembre 2014 del comune di Capaccio (SA) l'acquisto delle «strutture modulari smontabili e rimovibili» sono state impegnate somme per circa 628.300,00, con prestito della durata di 20 anni che grava sul bilancio dell'ente locale e quindi di tutti i cittadini;
   per il sottopasso ferroviario di Paestum e il marciapiede si prevedono, in particolare, consistenti lavori di scavo e opere fisse in calcestruzzo per sottofondi e strutture di sostegno che arrecherebbero un grave pregiudizio al contesto territoriale ed ambientale, che, unitamente al riconoscimento dell'UNESCO come patrimonio dell'umanità, costituisce sempre un sito di grande pregio riconosciuto da tutto il mondo;
   per la realizzazione del marciapiede l'amministrazione comunale intende utilizzare circa un milione di euro (finanziato per attività di studio e ricerca), al fine di individuare le migliori condizioni per una riqualificazione dell'intera area sottoposta a vincolo;
   parte delle somme messe a disposizione dell'amministrazione comunale sono già state spese per un concorso di idee dall'esito ad avviso dell'interrogante dubbio e discutibile;
   sembra che tutte le opere messe oggi in cantiere dall'amministrazione comunale abbiano ottenuto il parere favorevole delle locali soprintendenze;
   ciò, in contrasto con i pareri negativi espressi precedentemente dalle medesime soprintendenze, in relazione alle passate amministrazioni comunali che si sono susseguite, tanto da far sorgere il sospetto a molti cittadini che esista un particolare intendimento tra le soprintendenze e l'attuale amministrazione comunale;
   a tal proposito, si ricorda, ad esempio, che per il sottopasso ferroviario di Paestum, dalla Soprintendenza ai beni archeologici di Salerno è stato espresso parere negativo finanche per opere da realizzarsi a trecento metri e poi ancora a seicento metri dal perimetro delle mura dell'antica città, mentre solo oggi si apprende di un parere favorevole per opere da realizzarsi a circa soli dieci metri dalla cinta muraria;
   gli atti posti in essere sono di una gravità inaccettabile e comprometterebbero irrimediabilmente l'intera area archeologica –:
   se intendano assumere, per quanto di competenza, iniziative volte ad accertare i fatti rappresentati;
   se intendano intervenire per chiarire le modalità di intervento per la realizzazione del sottopasso ferroviario di Paestum, nonché quelle per la sistemazione delle «strutture modulari smontabili e rimovibili» da sistemare in altro sito più adeguato, come accaduto per tutte le passate edizioni della manifestazione fieristica, ad esclusione dell'ultima a salvaguardia del decoro dell'area archeologica di Paestum. (3-01031)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LATRONICO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nella località «Palombara» nel comune di Senise (Potenza) dovrebbe realizzarsi l'opificio per lo smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi ai sensi dell'articolo 208 del decreto legislativo n. 152 del 2006;
   l'impianto dovrebbe sorgere in una zona a forte vocazione agricola e a ridosso di una delle più importanti riserve di acqua dolce d'Europa, la diga di Montecotugno (Potenza);
   in data 29 maggio 2014 l'amministrazione comunale di Senise annunciava la realizzazione del progetto per lo smaltimento di 85 mila tonnellate di rifiuti indifferenziati all'anno;
   la discarica sorgerebbe nei pressi di uno dei bacini idrici più grandi d'Europa individuati dalla legge n. 183 del 1989 successivamente abrogata dal decreto legislativo n. 152 del 2006, nei pressi del parco nazionale del Pollino, con i suoi 530 milioni di metri cubi di capacità, rappresenta il punto nodale dello schema idrico Jonico-Sinni, le cui portate sono destinate a differenti usi (potabile, irriguo, industriale) dei territori di Puglia e Basilicata;
   con il decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, l'Italia ha recepito la direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti, stabilendo requisiti operativi e tecnici per la loro gestione nonché misure e procedure volte a ridurre il più possibile le ripercussioni negative sull'ambiente e i rischi per la salute umana;
   è proprio in località Fosso Palombara che il «piano provinciale dei rifiuti» ha previsto l'ubicazione di una discarica da 300.000 metri cubi di rifiuti speciali, una nuova discarica a ridosso dell'invaso di Montecotugno e in una zona rischio frana;
   nel 2009 nella stessa area era stata posta sotto sequestro l'ex discarica comunale per l'immissione di percolato che attraverso il corso del Fosso Palombara ha raggiunto l'invaso della diga di Monte Cotugno; il percolato proveniva dalla discarica comunale per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (RSU) dismessa dal 2004;
   un'area dalle caratteristiche naturali e ambientali uniche, situata ai piedi di uno dei parchi nazionali più grandi d'Europa, rischia di vedere contaminata l'acqua che migliaia di persone bevono e utilizzano per l'irrigazione dei campi;
   la salute dei cittadini, le colture tipiche del luogo («Il Peperone» di Senise IGP) le colture biologiche e tutte le aziende turistiche e agrituristiche su cui si è investito nell'ottica di uno sviluppo sostenibile vengono messe in pericolo;
   la Basilicata già dispone di impianti per il trattamento dei rifiuti che andrebbero attivati come l'impianto di Lauria (Potenza) realizzato e incomprensibilmente fermo che da solo potrebbe soddisfare le esigenze dell'area sud della Basilicata;
   l'impianto in questione non corrisponde a una strategia del ciclo dei rifiuti che dovrebbe puntare sulla raccolta differenziata per recuperare i rifiuti e ridurre la confluenza in discarica –:
   di quali elementi disponga in relazione al progetto di cui in premessa e se l'ubicazione dell'impianto sia compatibile con gli obiettivi di tutela dell'area del Parco nazionale del Pollino e con la vicinanza della diga di Montecotugno che costituisce uno degli invasi più importanti d'Europa. (4-06050)


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Piano regionale dei trasporti della Sicilia e, in particolare, la parte relativa al trasporto aereo-aeroporti deve essere, a giudizio dell'interrogante, ulteriormente adeguato rispetto allo sviluppo aereo ed aeroportuale degli ultimi anni anche in relazione ai cambiamenti intervenuti dopo l'11 settembre del 2001 e alla recessione economica mondiale e italiana degli ultimi anni;
   l'uso del mezzo aereo da parte della popolazione mondiale è in ripresa;
   con il PON Sicilia Trasporti APQ 2000/2006 e con i fondi comunitari destinati allo sviluppo delle aree depresse pari a circa 350 milioni di euro, si sono realizzati opere rilevanti per gli scali di Catania (nuova aerostazione, nuove vie di rullaggio per gli aerei, ammodernamento tecnologico ed infrastrutturale, la nuova torre di controllo), di Palermo (opere land-side ed air-side), di Trapani, Lampedusa e Pantelleria e opere consistenti per la trasformazione in scalo civile dell'aeroporto di Comiso con uno stralcio del PON 2000/2006 pari a circa 50 milioni di euro;
   con l'integrazione di altri fondi del PON 2007/2013, l'aeroporto di Comiso, dopo anni di attesa e pur essendo pronto ad operare già dal 2008, è funzionante dal 2013 anche se il traffico ipotizzato nel 2001 è molto lontano dalle aspettative che prevedevano la presenza di circa 500.000 passeggeri all'anno;
   per la gestione di questo aeroporto si spendono circa 3 milioni di euro all'anno e non c’è ancora un programma di sviluppo adeguato e se non si realizzeranno alcune condizioni si rischia il fallimento dello scalo e, forse, la sua chiusura;
   l'aeroporto di Catania, che sviluppa oltre 6 milioni di passeggeri, non ha realizzato la nuova pista già progettata con fondi del PON Sicilia e tutti gli altri progetti per una nuova pista che sono stati presentati negli anni a partire dal 1990 non si sono realizzati;
   da ultimo era stata progettata da Ferrovie dello Stato, Circumetnea, ENAC e Società di gestione dell'aeroporto di Catania anche una nuova pista, da realizzarsi con fondi della «Legge Obiettivo», con lo spostamento del nodo ferroviario della Bicocca;
   non si comprende se la mancata realizzazione di questo progetto è dovuta a mancanza di fondi o ad inerzia dei settori tecnici dei gestori o comunque dei soggetti deputati al settore;
   con una pista utilizzabile solo per circa 2.300 metri, si rischia che velivoli di categoria medium (A-320 e similari), con temperature elevate possano essere penalizzati per il carico e decollare con meno bagagli o meno passeggeri, non tralasciando di dire che sarebbe un sogno fare operare velivoli heavy, di alto tonnellaggio del tipo A-380, B-747, B-777 e A-340;
   da notizie di stampa si è appreso che si sta progettando di ristrutturare la vecchia aerostazione di Catania, ma se non si realizza una nuova pista e se non si adegua il sistema viario in entrata e in uscita dall'aeroporto, anche con l'abbattimento dello stadio all'ingresso dello scalo, con l'eventuale creazione di nuovi parcheggi, si possono costruire tante aerostazioni ma non si centreranno gli obiettivi prioritari;
   anche sugli spazi dedicati ai parcheggi degli aeromobili l'aeroporto di Catania potrebbe divenire carente in conseguenza della crescita del traffico aereo e dei movimenti di aeromobili commerciali. V’è la possibilità di reperire un'area dove attualmente insiste un parcheggio macchine in esercizio, un'area esterna ma adiacente al sedime aeroportuale, e trasformarlo in parcheggio aeromobili;
   si è a conoscenza del fatto che ci sono in corso delle procedure di esproprio già da anni ma ancora non si è risolto nulla. Altri parcheggi per gli aeromobili medium si potrebbero realizzare all'interno dell'aeroporto a margine del sedime militare, dove insiste una struttura di aviazione generale che si può spostare in altre aree dello scalo stesso o in aree adiacenti all'aeroporto;
   sarebbe opportuno, inoltre, che fosse istituito un collegamento ferroviario, da Ferrovie dello Stato o dalla Circumetnea, fra la città di Catania ed il suo aeroporto. Già nel 1996 si ipotizzò un tale collegamento, ma dopo 18 anni non si è ancora realizzato alcunché;
   se queste opere non verranno realizzate in tempi brevi si rischia, con la crescita del traffico aereo, di ritornare agli anni ‘90 quando non venivano assegnati gli slot alle compagnie aeree nello scalo etneo per mancanza di parcheggi per le soste notturne;
   l'aeroporto di Palermo attende la nuova Torre di controllo con annesso blocco tecnico ed altre opere di ampliamento nella zona land-side;
   da quanto apprende l'interrogante risulterebbe disponibile una somma circa 80 milioni di euro per la sua costruzione e il progetto prevede che venga realizzata vicina all'attuale mentre la sua posizione più idonea sarebbe a sud del sedime aeroportuale. L'attuale Torre di controllo, costruita negli anni 70 ed ancora funzionale, ha fatto il suo tempo;
   l'aeroporto di Palermo è uno scalo reso sicuro con tecnologie avanzate a partire dagli anni 90 e potrebbe avere aspirazioni maggiori pur avendo la zona una ricettività alberghiera bassa, non più di 30 mila posti letto rispetto a quelli di Catania e Messina che hanno circa 90 mila posti letto;
   l'aeroporto di Trapani scalo civile, rivitalizzato grazie all'arrivo della compagnia aerea Ryanair, dovrebbe avere una particolare attenzione;
   poco si può fare per gli aeroporti cosiddetti «sociali» di Lampedusa e Pantelleria, scali certamente indispensabili, che hanno costi di mantenimento e manutenzione elevati ma che potrebbero, con le attrezzature disponibili, permettere il movimento di circa un milione di passeggeri l'anno;
   negli anni passati, alcuni enti locali siciliani hanno realizzato dei progetti aeroportuali che non sono andati a buon fine, per non parlare del progetto di fattibilità dell'aeroporto di Gerbini presentato dalla provincia regionale di Catania negli anni ‘90, ma che per essere troppo grande ed attrezzato non ebbe molta fortuna perché appunto mancava un piano regionale vero e proprio;
   negli aeroporti siciliani si muovono circa 11/12 milioni di passeggeri e non siamo a ricevere i 15/20 milioni di passeggeri previsti nei prossimi 10 anni e considerati i tempi di realizzazione delle opere esposte in premessa, a giudizio dell'interrogante, bisognerebbe partire subito –:
   quali provvedimenti intendano adottare il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro interrogato per risolvere i problemi esposti in premessa anche in sintonia con il piano nazionale degli aeroporti, considerando i fattori di sviluppo dell'isola, lo sviluppo del traffico aereo, le esigenze di mobilità dei siciliani e del turismo europeo e, non da ultimo, lo sviluppo del nostro Mediterraneo in relazione ai paesi rivieraschi dell'Africa. (4-06054)

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BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MASSA, GINEFRA, LOSACCO, CAPONE, MICHELE BORDO, MARIANO, MONGIELLO, PELILLO, CASSANO e VENTRICELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   sono in corso di esecuzione, nel territorio del comune di Bari, i lavori per la realizzazione della nuova sede del provveditorato interregionale per le opere pubbliche di Puglia e Basilicata;
   i lavori consistono nella ristrutturazione e nell'ampliamento di un immobile localizzato nell'ambito del porto di Bari, a ridosso della Darsena Vecchia;
   l'immobile, nella struttura esistente, è destinato ad Ufficio opere marittime;
   il competente provveditorato ha convocato la conferenza di servizi, che si è esaurita nell'unica seduta del 30 giugno 2010, finalizzata all'accertamento di compatibilità urbanistica di cui all'articolo 81 del decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977 e all'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 393 del 1994;
   in esito alla conferenza di servizi, con decreto prot. n. 0000617 - 21 settembre 2010, il provveditore ha determinato che «Ai sensi dell'articolo 81 del decreto del Presidente della Repubblica 616/77 e dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 18/04/1994, n. 383, si procede al perfezionamento dell'intesa Stato-Regione, sulla base del progetto relativo alla realizzazione della Nuova Sede del Provveditorato Interregionale per le OO. PP. di Puglia e Basilicata – sede di Bari – Corso De Tullio – Bari»;
   per quanto convenuto in sede di conferenza di servizi, detto decreto è stato emanato a valle dell'acquisizione del parere favorevole reso, in data 23 luglio 2010, dal Ministero per i beni e le attività culturali – direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Puglia, in conformità al parere della soprintendenza per i beni archeologici della Puglia di Bari ed al parere favorevole reso dalla stessa amministrazione in data 19 giugno 2010, in conformità al parere della Soprintendenza per i beni archeologici della Puglia;
   a seguito di sollecitazioni pervenute da numerosi cittadini ed associazioni, è stato successivamente accertato, sia dal comune che dalla stessa soprintendenza, che il procedimento si era perfezionato, e quindi i pareri innanzi indicati erano stati resi, senza considerare la circostanza – viceversa ed all'evidenza di decisivo rilievo – che almeno parte dell'intervento in ampliamento ricadeva in area sottoposta a vincolo ex articolo 3 della legge n. 688 del 2012 (vincolo oggi rilevante ex articolo 45 del decreto legislativo n. 42 del 2004);
   nonostante la nutrita corrispondenza intercorsa fra l'amministrazione comunale di Bari, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, la soprintendenza e la regione Puglia, e nonostante le esplicite e motivate deduzioni, formulate sia dal sindaco di Bari che dall'assessore all'urbanistica della regione Puglia, deduzioni che facevano esplicito riferimento alla volontà delle rispettive amministrazioni di recuperare e valorizzare l'area ad una destinazione pubblica coerente con l'interesse pubblico tutelato dal vincolo, la soprintendente per i beni architettonici e paesaggistici della Puglia-Bari, con nota in data 18 agosto 2014, ha reso «ora per allora», parere favorevole ai sensi dell'articolo 2 del decreto di vincolo del 15 maggio 1930 –:
   se sia condivisa una impostazione per la quale si è ritenuto possibile, da parte della soprintendenza, formulare un parere, o meglio, nella sostanza, dare l'autorizzazione di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004 «ora per allora» e dunque in sanatoria, così in ogni caso sottraendo all'esame della conferenza di servizi, della quale il sindaco di Bari aveva formalmente chiesto la riapertura, l'esame collegiale del progetto anche alla luce del provvedimento di vincolo;
   se non sia comunque da verificare il comportamento delle strutture regionali della amministrazione statale che, a fronte di reiterate sollecitazioni del sindaco di Bari alla riapertura della conferenza di servizi ovvero comunque alla istituzione di un tavolo istituzionale di confronto per la eventuale individuazione di una soluzione condivisa, si sono a tanto sottratte, così di fatto venendo meno al dovere istituzionale della leale collaborazione fra le pubbliche amministrazioni, tanto più che, nella specifica materia, l'articolo 5, comma 1, del decreto legislativo n. 42 del 2004 prescrive che: «Le Regioni, nonché i comuni, le città metropolitane e le province... cooperano con il Ministero nell'esercizio delle funzioni di tutela in conformità a quanto disposto dal titolo primo della parte seconda del presente codice» e l'articolo 6 disciplina la «Valorizzazione del patrimonio culturale», tema specificatamente posto sia dal comune di Bari che dalla regione Puglia nella (tentata) interlocuzione sul progetto. (5-03571)


   VALLASCAS, PINNA e PRODANI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la legge quadro 2 gennaio 1989, n. 6, disciplina la professione della guida alpina, individua i principi fondamentali per la legislazione regionale, come gli ambiti di competenza, i requisiti di accesso, l’iter formativo, e istituisce il Collegio nazionale delle guide alpine, la cui vigilanza è esercitata dal Ministro del turismo;
   la normativa si ispira a una concezione ormai superata di fruibilità a fini turistici e sportivi del patrimonio naturalistico e ambientale del nostro Paese, richiedendo abilità e requisiti professionali che sono propri e che si possono acquisire unicamente in regioni alpine o in territori ad esse assimilabili per caratteristiche climatiche e orografiche;
   secondo la legge quadro, infatti, la guida alpina deve avere acquisito abilitazioni su un'ampia gamma di tecniche alpinistiche, sci-alpinistiche e sciistiche che gli consentano di esercitare l'attività su roccia, su ghiaccio e su neve, tutte condizioni che caratterizzano i percorsi alpini;
   in questo modo la previsione di legge circoscrive lo sviluppo del turismo e degli sport legati alla montagna e al territorio, nonché la formazione stessa delle figure professionali, unicamente a poche regioni d'Italia, escludendone altre dove peraltro sono presenti siti di grande interesse e attrazione per sportivi ed escursionisti;
   la Sardegna sta puntando sullo sviluppo di un modello di turismo integrato, in grado di valorizzare, oltre alle coste, il grande patrimonio culturale, le tradizioni enogastronomiche e la grande ricchezza paesaggistica e naturalistica dell'isola;
   l'obiettivo è destagionalizzare il settore e realizzare un sistema virtuoso che arricchisca l'offerta, a beneficio del benessere del turista, e nel contempo rappresenti un'opportunità di sviluppo economico per le zone interne;
   la particolarità del territorio della Sardegna, dove sono presenti numerosi luoghi di grande pregio naturalistico, richiamano nell'isola un crescente numero di appassionati e cultori dell'ambiente e degli sport legati alla montagna, incrementando in questo modo la ricettività e la domanda di servizi a supporto dell'attività escursionistica;
   di fatto il quadro normativo di riferimento non consente la formazione e, soprattutto, l'abilitazione in Sardegna di professionalità che possano svolgere l'attività di guida montana;
   i diversi interventi normativi regionali si sono dovuti scontrare con i principi fondamentali della legge quadro che prefigura un percorso formativo delle guide particolarmente selettivo e in uno scenario estraneo non solo alla Sardegna, ma alla totalità delle regioni mediterranee;
   l'isola è caratterizzata infatti dalla presenza di paesaggi rocciosi e luoghi impervi, di pareti e canyon, tutti elementi di grande complessità e criticità che richiedono una conoscenza specialistica del territorio e l'acquisizione di specifiche tecniche di arrampicata ben diverse da quelle previste dalla legge quadro;
   un passo in tal senso sembrerebbe essere stato compiuto dalla deliberazione della Giunta regionale n. 30/29 dell'11 luglio 2012 che, nell'integrare le Direttive e le linee guida per l'esercizio della professione di guida ambientale escursionistica e di guida turistico sportiva ai sensi della legge regionale n. 20 del 2006, istituisce la figura professionale di Guida montana – Maestro di Arrampicata, quale specializzazione nell'ambito delle Guide turistico-sportive;
   tra le altre cose, il provvedimento stabilisce che requisiti tecnici, prove attitudinali, nonché durata e contenuti del corso di formazione necessari per l'accesso al registro regionale delle Guide turistico – sportive – Specializzazione «Guida Montana – Maestro d'Arrampicata» saranno stilati in stretta collaborazione e dietro stipula di apposita convenzione con il collegio regionale o, in sua assenza, ed è il caso della Sardegna, con il Collegio nazionale delle guide alpine;
   sembrerebbe che dopo una prima fase, si sia interrotta la collaborazione tra regione Sardegna e Collegio nazionale delle guide alpine;
   questa situazione di incertezza comporta ulteriori ritardi nel riconoscimento di una figura professionale di fondamentale rilievo in un modello di turismo volto alla valorizzazione del territorio e dell'ambiente, con ripercussioni negative sulla sicurezza dei percorsi naturalistici, sul piano occupazionale e, nel complesso, sullo sviluppo di un comparto strategico per l'economia della Sardegna –:
   quali iniziative intenda adottare per garantire alla Sardegna lo sviluppo di un modello integrato di turismo in grado di valorizzare, contestualmente al turismo costiero e al patrimonio delle tradizioni e della cultura, il ricco patrimonio ambientale e naturale, anche dando indicazioni chiare sulla formazione di operatori specializzati come le Guide montane e i maestri d'arrampicata;
   se non ritenga opportuno verificare, nell'ambito delle competenze di vigilanza sul Collegio nazionale delle guide alpine, di cui all'articolo 15 della legge n. 6 del 1989, se vi siano state delle interlocuzioni tra Collegio nazionale e regione Sardegna volte a definire congiuntamente i requisiti tecnici, le prove attitudinali, nonché la durata e contenuti dei corsi di formazione necessari per l'accesso al registro regionale delle guide turistico-sportive;
   se non ritenga opportuno attivarsi affinché il Collegio nazionale delle guide alpine, in ottemperanza all'articolo 16 della legge 6 del 1989, lettera h), collabori con la regione Sardegna nella definizione dei requisiti tecnici, delle prove attitudinali, nonché della durata e contenuti dei corsi di formazione necessari al conseguimento delle abilitazioni necessarie all'esercizio della professione di Guida montana e maestro d'arrampicata. (5-03575)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   NACCARATO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'Associazione nazionale ex internati (in seguito ANEI) è un ente morale dei reduci dai lager nazisti istituito con decreto del Presidente della Repubblica n. 403 del 12 aprile 1948, con sede centrale in Roma ed è articolata sul territorio nazionale in Federazioni provinciali e sezioni comunali;
   ha per scopo l'assistenza morale e materiale degli ex internati in Germania o altrove dopo l'8 settembre 1943 e cura la memoria dei caduti nei lager con cerimonie commemorative in tutto il territorio nazionale;
   l'associazione promuove ricerche e studi per approfondire la conoscenza dei lager, dei luoghi di lavoro, dei personaggi e della vita dei campi di concentramento e, per divulgarne l'informazione, interviene nelle scuole e nei convegni per l'illustrazione dell'internamento;
   inoltre colleziona ed espone reperti appartenuti agli ex internati nelle diverse sedi provinciali al fine di diffondere la conoscenza delle tragiche vicende che segnarono la storia della nostra Repubblica dopo l'8 settembre 1943 e cura pubblicazioni sull'internamento e la deportazione e il bollettino trimestrale «Noi dei Lager»;
   l'ANEI dagli anni ’50 cura e detiene il Museo storico dell'internamento a Padova che si trova accanto al Tempio dell'Internato Ignoto, che raccoglie una vasta serie di reperti utili a ricostruire e diffondere la storia dell'internamento, che è stato equiparato, per importanza, ai sacrari militari;
   l'associazione vive grazie al lavoro volontario dei suoi iscritti che sopperiscono con grande generosità al la sistematica riduzione dei fondi degli ultimi anni nonostante l'importante funzione culturale svolta dall'associazione;
   lo scorso 25 giugno 2014, l'ANEI è stata convocata a Roma per un incontro, tenutosi a Palazzo Salviati, insieme alle associazioni combattentistiche e d'arma alla presenza del Sottosegretario alla difesa, Domenico Rossi;
   il Sottosegretario, appresa la natura e la mole dell'attività dell'associazione si è detto interessato a conoscere meglio questa realtà e ha chiesto copia della documentazione prodotta dalla stessa;
   nel 2008, al fine di ricostruire una comune cultura della memoria sulle vicende della seconda guerra mondiale, è nata una Commissione italo-tedesca costituita da dieci storici con il compito di occuparsi del passato di guerra e in particolare del destino degli internati;
   la Commissione ha presentato un articolato rapporto sullo stato della costruzione di tale memoria esprimendo alcune raccomandazioni tra cui l'istituzione di luoghi della memoria in Germania e in Italia che ricordino il tragico destino degli internati;
   nel corso degli ultimi due anni, in previsione della commemorazione del 70o anniversario della Resistenza e della Guerra di Liberazione, l'ANEI ha fatto richiesta affinché il museo storico dell'internamento di Padova potesse divenire il luogo deputato ad assolvere il compito individuato dalla Commissione stessa;
   parallelamente l'associazione ha inoltrato domanda per l'assegnazione di fondi per organizzare le celebrazioni del detto anniversario;
   in nessuno dei due casi l'ANEI ha ottenuto risposta affermativa essendo stato individuato l'immobile sede dell'associazione Associazione nazionale reduci dalla prigionia (ANRP) sito in via Labicana a Roma, come il luogo deputato a divenire il Museo, peraltro virtuale, della memoria ed essendo stata applicata nell'assegnazione dei fondi una palese disparità –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   quali siano le ragioni di una simile disparità di trattamento tra le associazioni indicate;
   quali atti di competenza intenda porre in essere per correggere eventuali errori di valutazione e valorizzare a pieno lo storico museo dell'internamento di Padova e l'attiguo tempio dell'internato ignoto. (4-06055)

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ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RIGONI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo la normativa in vigore i contribuenti che presentano la dichiarazione dei redditi Unico e modello 730 devono versare le imposte risultanti dalla dichiarazione entro determinati termini, che variano a seconda della tipologia di contribuente (persona fisica, società di persone, società di capitali ed enti equiparati);
   il saldo relativo all'anno oggetto della dichiarazione e l'eventuale prima rata di acconto per l'anno successivo possono essere versati anche a rate, a seconda dell'importo, pagando una maggiorazione dello 0,40 per cento a titolo di interesse corrispettivo;
   dato il perdurare della congiuntura economica negativa, la modalità di pagamento rateizzata delle imposte continua ad essere largamente utilizzata dai contribuenti che si trovano in una situazione di crisi di liquidità;
   il saldo e la prima rata di acconto possono essere versati anche in rate mensili ma in ogni caso, il versamento rateale deve essere completato entro il 30 novembre per le persone fisiche e entro l'ultimo giorno dell'undicesimo mese successivo a quello di chiusura del periodo d'imposta cui si riferisce la dichiarazione per le società di capitali ed enti equiparati pertanto i contribuenti che pagano l'acconto in due rate si troveranno obbligati a versare il 40 per cento dell'imposta entro il 16 giugno (insieme al saldo) per le persone fisiche e entro il giorno 16 del sesto mese successivo a quello di chiusura del periodo d'imposta cui si riferisce la dichiarazione per le società di capitali ed enti equiparati, e il restante 60 per cento dell'imposta a fine novembre — ovvero l'ultimo giorno dell'undicesimo mese successivo a quello di chiusura del periodo d'imposta cui si riferisce la dichiarazione per le società di capitali;
   in conseguenza della difficile situazione economica molti contribuenti, per mancanza di liquidità, sono costretti a utilizzare l'istituto del ravvedimento operoso di cui all'articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, al fine di rateizzare anche l'importo della seconda rata di acconto di novembre con la conseguente applicazione degli interessi calcolati giorno per giorno sul tributo non pagato al tasso legale e delle sanzioni –:
   in considerazione della difficile situazione economica e finanziaria, se non ritenga auspicabile e urgente assumere le necessarie iniziative anche normative per prevedere, a partire dall'anno in corso, la possibilità di una rateizzazione anche della seconda rata di acconto delle imposte dovute risultanti dalle dichiarazioni dei redditi con l'applicazione delle medesime modalità in vigore per il primo acconto e del solo interesse dello 0,40 per cento a titolo di interesse corrispettivo. (5-03569)


   CARRA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'azione di riorganizzazione complessiva degli uffici periferici delle amministrazioni statali sta determinando una progressiva spoliazione dei territori di strutture importanti anche per la prossimità rispetto a cittadini e imprese;
   particolarmente penalizzato risulta il comprensorio mantovano che fa riferimento al comune di Castiglione delle Stiviere;
   con il decreto legislativo n. 151 del 2012 si è già verificata la chiusura della sede distaccata del tribunale;
   gli uffici del tribunale erano ubicati presso un importante palazzo storico denominato «Palazzo del Principe» in pieno centro storico della città;
   l'amministrazione comunale, onde favorire la permanenza di altri uffici pubblici, a partire dalla sede dell'Agenzia delle entrate, nell'ottobre 2013 ha preso contatti con la direzione locale e regionale dell'Agenzia al fine di valutare in maniera dettagliata la possibilità di concedere l'uso dell'immobile prima in uso per gli uffici del tribunale;
   in data 11 novembre 2013 una delegazione della direzione regionale alla presenza del dirigente Fazio e del tecnico architetto Spina ha effettuato un sopralluogo da cui scaturiva l'interesse per la proposta con la possibilità di usare solo una parte dell'immobile considerate le dimensioni dello stesso e con la necessità di effettuare alcuni interventi di adeguamento riservandosi una decisione definitiva solo a seguito di una relazione maggiormente dettagliata;
   l'amministrazione comunale ribadiva l'intenzione di ospitare gratuitamente l'Agenzia e in relazione alle dimensioni dello stabile ha proposto anche alla sede dell'Inps, presente in città, di usare in coabitazione con l'Agenzia cercando di ottimizzare servizi e costi;
   il 12 maggio 2014 la direzione della Agenzia delle entrate con l'arrivo della dottoressa Colla subentrata al dottor Fazio ha inviato una risposta al comune di Castiglione delle Siviere con cui venivano illustrati una serie di interventi necessari per l'adeguamento dei locali paventando possibili difficoltà legate ai vincoli della Soprintendenza ai beni architettonici che di fatto, rendevano ad avviso dell'Agenzia, inadeguati i locali a meno di importanti lavori da effettuare a spese del comune di Castiglione;
   al contrario, l'Inps ha confermato il proprio interesse per la struttura manifestando anche la disponibilità a contribuire ai lavori di adeguamento;
   la proposta di utilizzo del «Palazzo del Principe» farebbe risparmiare allo Stato circa 70 mila euro all'anno poiché a tale cifra ammonta l'affitto che attualmente l'Agenzia delle entrate paga al proprietario degli uffici ove attualmente sono ubicati;
   la preoccupazione è che attraverso questa indisponibilità di fatto ci si avvii alla soppressione della sede dell'Agenzia presso il comune di Castiglione delle Stiviere evento che sarebbe molto grave per la città più grande della provincia dopo Mantova penalizzando l'intero comprensorio dell'Alto Mantovano;
   la proposta del comune sembrerebbe ragionevole e consentirebbe un risparmio evitando una ulteriore spoliazione a discapito del territorio –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se non intenda intervenire affinché venga presa in seria considerazione la proposta formulata da parte del comune di Castiglione delle Stiviere, in merito alla concessione del «Palazzo del Principe», scongiurando il rischio di una possibile soppressione della sede dell'Agenzia delle entrate. (5-03581)

Interrogazione a risposta scritta:


   MOSCATT. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   per il tramite della circolare n. 19/D del 24 giugno 2011, l'Agenzia delle dogane ha fornito il proprio indirizzo operativo in ordine al dettato del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 – pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 94 del 23 aprile 2010 – supplemento ordinario n. 75 – che ha proceduto a dare attuazione alla direttiva 2006/23/CE relativa ai servizi nel mercato interno;
   il quesito che viene sottoposto riguarda in particolare la modifica apportata all'articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, che ha abilitato lo spedizioniere doganale alla presentazione di dichiarazioni doganali sull'intero territorio nazionale; è stato quindi superato il precetto normativo secondo il quale, una volta abilitato e previa iscrizione all'albo, lo spedizioniere doganale potesse operare esclusivamente presso le dogane di una determinata circoscrizione doganale prescelta dall'interessato;
   tale possibilità consente al medesimo spedizioniere doganale di avere presso ciascun ufficio delle dogane personale ausiliario dipendente, debitamente registrato nelle forme previste;
   ne discende che per lo svolgimento delle formalità professionali, in particolare per la presentazione delle dichiarazioni doganali, è consentito prescindere dalla presenza fisica del dichiarante o rappresentante. A seguito delle norme e della circolare citata non appare di chiara e univoca interpretazione se tale presenza debba ritenersi necessaria nel caso il circuito doganale di controllo selezioni l'operazione per il «controllo documentale» o per la «verifica fisica della merce», in quanto si ritiene che il personale ausiliario possa svolgere soltanto mansioni di carattere esecutivo e conseguentemente non possa essere abilitato a sostenere il contraddittorio con il funzionario doganale –:
   quale sia reale indirizzo circa la necessaria presenza fisica o meno del proprietario della merce o dello spedizioniere doganale, nel caso il circuito doganale di controllo indichi che l'operazione debba essere oggetto di «controllo documentale» o «verifica fisica della merce». (4-06045)

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INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   DE ROSA, DAGA, BUSTO, MANNINO, MICILLO, SEGONI, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   durante gli scavi nel cantiere per il nuovo tracciato della Rho-Monza sono stati rinvenuti dei reperti romani che proverebbero l'esistenza di un insediamento di epoca romana o preromana;
   sono stati trovati, in particolare, dei lacerti di una strada romana già, in parte intaccati da precedenti scavi, canali agrari e fossi di scarico nei quali la Soprintendenza ai beni archeologici ha rinvenuto frammenti di ceramiche ed altri reperti;
   secondo la Soprintendenza tali reperti potrebbero rappresentare un importante testimonianza di un «castrum», cioè un insediamento militare lungo un percorso consolidato durante gli spostamenti delle legioni romane;
   a Bollate, inoltre, secondo quanto riportato dalla stampa locale, agli inizi del ’900, fu rinvenuta anche una villa augustea;
   i resti trovati fra Via Piave e Via Don Uboldi potrebbero quindi persino far parte di una necropoli;
   alla luce di tale scoperta, tutta la zona di Baranzate, Bollate e Novate potrebbe assumere quindi una importanza rilevante ai fini storici che non si vorrebbe venisse sottovalutata; questi ritrovamenti e la loro giusta valorizzazione potrebbero rappresentare, infatti, un volano per lo sviluppo dell'area non solamente legato ad Expo 2015 ma soprattutto legato alla sua storia;
   è stato espresso, da parte dei cittadini, il dubbio che, per la fretta del completamento dei lavori dell'autostrada, collegata ad Expo 2015, la valorizzazione di tali ritrovamenti venga sottovalutata e non adeguatamente tutelata –:
   se il Ministro interrogato di concerto con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, ritenga opportuno verificare che l'urgenza del completamento dei lavori per l'asse autostradale Rho-Monza, in considerazione di Expo 2015, non abbia influito sulla corretta messa in atto delle misure necessarie alla tutela ed alla valorizzazione dei resti romani rinvenuti, contestualmente, se del caso, disponendo l'eventuale fermo dei lavori per poter approfondire le ricerche. (5-03573)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LOREFICE, SILVIA GIORDANO, GRILLO, DI VITA, MANTERO, BARONI, CECCONI, DALL'OSSO, LIUZZI e TERZONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel 1998 è stato elaborato per il territorio della provincia di Ragusa un progetto per l'ampliamento del collegamento stradale tra Ragusa e Catania;
   tale opera, inserita sia nel programma delle infrastrutture strategiche che nel documento «infrastrutture prioritarie» del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ha ricevuto un finanziamento di euro 1.268.600.000 con copertura iniziale di euro 149.200.000, di cui un terzo circa a carico dell'Anas e due terzi a carico della regione siciliana;
   sono state selezionate quali promotrici per la progettazione, realizzazione e gestione del collegamento stradale quattro società: la Ati Silec, la Egis Projects, la Maltauro Consorzio Stabile e la Tecnis;
   il 22 gennaio 2010 il CIPE ha approvato il progetto preliminare e la proposta del promotore, per un costo complessivo di circa 815 milioni di euro, di cui circa 448 milioni a carico dei privati. Il 22 luglio 2014 ha approvato lo schema di convenzione, con prescrizione, confermando i finanziamenti della regione e dello Stato;
   nonostante siano trascorsi otto anni dal primo stanziamento per la costruzione di quest'importante arteria extraurbana che dovrà collegare Catania e Ragusa, la convenzione con il concessionario non è stata ancora firmata;
   il Ministro Lupi in più occasioni aveva annunciato la stipula per il 7 febbraio 2014;
   con decisione del 17 dicembre 2013, il CIPE ha approvato la proroga del finanziamento al 30 giugno 2014;
   il 26 giugno 2014 il sottosegretario Del Basso De Caro, rispondendo all'interrogazione n. 5-02365 in VIII Commissione, ha prospettato la possibilità di procedere alla stipula di detta convenzione a far data dal 27 giugno;
   a seguito di un incontro con un funzionario del Ministero nel mese di luglio 2014 è emerso che non è stata ancora firmata la convenzione a causa di problemi emersi durante l’iter burocratico. Da quanto riferito la compagine societaria che si è aggiudicata la gara d'appalto è cambiata dopo l'aggiudicazione: una delle imprese che ne facevano parte, a seguito di problemi economici, è stata costretta ad uscire dalla stessa;
   sarebbe emerso altresì che non è stato possibile stipulare la convenzione a causa della mancata costituzione di società di progetto da parte del promotore/concessionario entro il 28 giugno 2014;
   da un successivo incontro tenutosi il 9 settembre 2014 tra il comitato ristretto per la ss514, che segue da anni l’iter dell'infrastruttura e di cui fa parte il sindaco di Ragusa, ed il funzionario del Ministero risulterebbe che la società di progetto concessionaria non ha ancora prodotto il durc e le polizze fideiussorie richieste dal Ministero –:
   se la convenzione con il concessionario per l'ampliamento del collegamento stradale tra Ragusa e Catania di cui sopra sia stata stipulata e, in caso positivo, se non intenda rendere noto, anche fornendo la relativa documentazione, il contenuto della stessa;
   se, qualora la convenzione non fosse stata firmata, siano stati esibiti dalla società concessionaria il durc e le polizze fideiussorie richiesti per la conclusione dell’iter burocratico avviato per la realizzazione della rete stradale Ragusa-Catania. (5-03574)

Interrogazione a risposta scritta:


   PIAZZONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   sulla Gazzetta Ufficiale del 3 gennaio 2014 è stata pubblicata la delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) del 2 agosto 2013, concernente il completamento del corridoio tirrenico meridionale A12-Pontina-Appia e della bretella autostradale Cisterna-Valmontone, tratto della A12 tra Roma-Civitavecchia e Roma Tor de’ Cenci. L'intervento, per un importo complessivo di 2,728 miliardi di euro, prevede la costruzione, mediante affidamento in concessione, degli assi autostradali Roma-Latina e Cisterna-Valmontone, per un'estensione complessiva di circa 99,8 chilometri); nonché la realizzazione di opere connesse al sistema autostradale per complessivi 46,2 chilometri (tali opere connesse saranno realizzate dal concessionario e saranno, poi, gestite dalle amministrazioni locali). È prevista, infine, la costruzione di due complanari, ciascuna monodirezionale e monocorsia, all'autostrada Roma-Latina nel tratto Aprilia Sud-Latina per circa 18,2 chilometri e l'adeguamento funzionale di un tratto di circa 22 chilometri) dell'attuale Pontina Nuova, per circa 40,2 chilometri;
   le vicende inerenti l’iter autorizzatorio risalgono al 2001. A distanza di diversi anni molti sono stati gli annunci del via definitivo alla procedura e dell'avvio dei lavori. Da ultimo, nel mese di giugno 2014, Vincenzo Pozzi, commissario governativo straordinario per il progetto del Corridoio tirrenico meridionale ha annunciato l'apertura dei cantieri dell'autostrada Roma-Latina per l'aprile 2015 e l'apertura al traffico per il marzo 2021;
   nonostante questa ultima definizione del cronoprogramma dei lavori, permangono diverse criticità sul rispetto di quest'ultimo, criticità che rafforzano inoltre la tesi della non percorribilità dell'iter prescelto per la realizzazione della Roma-Latina. Molte sono infatti le incertezze su costi e tempi di realizzazione, a fronte delle difficoltà sui tracciati e della complessità nel raggiungimento di un equilibrio finanziario della prevista operazione di project financing. In altri termini non è ancora chiaro se l'opera è giustificata sia dal punto di vista funzionale che economico, tant’è che le imprese aggiudicatrici, tre consorzi di cui uno austriaco e due italiani, hanno chiesto la possibilità di conteggiare nel pedaggio anche le complanari e le opere viarie connesse, per un totale di 80 chilometri in più rispetto a quanto previsto inizialmente, ricevendo risposta negativa dalla società Autostrade del Lazio;
   a seguito della richiesta delle imprese aggiudicatrici di approfondire le previsioni sui futuri flussi di traffico — anche alla luce delle recenti vicende che hanno riguardato il tratto autostradale Brescia-Milano (A 35), dove il flusso di traffico, previsto dalla società di progetto Brebemi S.p.a. in un volume di quarantamila veicoli all'ora, si è invece attestato, nei primi mesi, solo attorno alle ventimila unità — Autostrade per il Lazio ha stabilito di posticipare la consegna delle offerte al 27 novembre, facendo slittare conseguentemente il cronoprogramma dei lavori stabilito;
   occorre inoltre considerare come il progetto relativo alla realizzazione del tratto autostradale vada a interferire con ben tre siti tutelati dalla direttiva 92/43/CEE Habitat (si tratta, nello specifico, della ZPS o zona di protezione speciale IT 603030084, Castel Porziano – Tenuta Presidenziale, del SIC o Sito di Importanza Comunitaria IT 6030053, Sughereta di Castel di Decima e del SIC IT 6030028, Castel Porziano). La delibera del 2012 del CIPE, che ha approvato il progetto definitivo dell'opera, si è basata su una valutazione di impatto ambientale risalente a oltre nove anni prima. L'unica procedura di VIA statale che risulta aver interessato la tratta completa è risalente infatti al 2004, redatta sul progetto preliminare, mentre nel 2012 la commissione ha effettuato la VIA unicamente sulla variante in nuova sede, ovvero sul tratto del percorso tra il chilometro 0,0 e il chilometro 5,400. Più volte, inoltre, la Soprintendenza per i beni archeologici di Roma e la direzione generale per le antichità hanno espressamente richiesto modifiche progettuali al fine di rendere compatibile l'opera con il patrimonio archeologico tutelato;
   in diverse occasioni, l'ultima durante un incontro specifico sul tema, tenutosi a Latina il giorno 11 settembre, Ance Lazio (Associazione nazionale costruttori edili) ha manifestato la necessità di una radicale revisione del progetto, che porti a utilizzare i 468 milioni oggi messi a disposizione per l'autostrada Roma-Latina — cui vanno ad aggiungersi i 240 milioni stanziati per il tratto Cisterna Valmontone — per un nuovo progetto di messa in sicurezza e miglioramento dell'attuale tracciato. Ciò consentirebbe un rapido avvio dei lavori, assicurando inoltre sicurezza e miglioramenti nel giro di 3 anni, ovvero entro il 2017. Una soluzione di minore impatto ambientale, che limiterebbe fortemente i disagi rispetto al progetto autostradale, consentendo altresì di poter contare su una concreta e certa corrispondenza tra costi e risultato finale –:
   se alla luce di quanto esposto in premessa non si intenda rivedere l'intero iter, del progetto, al fine di utilizzare i finanziamenti stanziati per i tratti autostradali Roma-Latina e Cisterna-Valmontone per la messa in sicurezza e l'adeguamento dell'attuale viabilità di collegamento tra Roma e Latina rappresentata dalla strada statale Pontina, garantendo così la certa sostenibilità finanziaria dell'opera nonché una maggiore tutela delle aree protette interessate. (4-06048)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   in data 14 luglio 2013, a Napoli, presso palazzo San Giacomo, alla presenza del sindaco Luigi de Magistris, è stato trascritto nel registro dell'anagrafe cittadina, un matrimonio contratto all'estero fra persone dello stesso sesso: tale atto è stato possibile grazie ad una direttiva del sindaco che consente all'anagrafe cittadina l'operazione di trascrizione;
   il sindaco, secondo autorevoli fonti di stampa, avrebbe dichiarato: «Siamo convinti che il sindaco abbia il diritto e il dovere di far trascrivere presso gli uffici dell'anagrafe e dello stato civile i matrimoni che, purtroppo, per ora possono essere celebrati soltanto all'estero», asserendo inoltre che: «Questa trascrizione ha un valore anche giuridico: mette a pari livello un matrimonio etero e uno omosessuale, per esempio per partecipare alle politiche sociali della città oppure all'assegnazione delle case»;
   il 17 luglio anche il sindaco di Roma, Ignazio Marino, ha deciso di riconoscere i matrimoni gay celebrati all'estero, dichiarando: «Quando si tratta di diritti civili non arretriamo davanti a nessuno. Io non ho paura della parola matrimonio e noi riconosceremo, o almeno io chiederò che possano essere riconosciuti, i matrimoni, qualunque sia il sesso degli sposi, che sono celebrati all'estero»;
   il 21 luglio 2014 anche il sindaco di Bologna Virginio Merola ha emanato una direttiva che permetterà, a partire dal 15 settembre 2014, di trascrivere nei registri di stato civile del comune le unioni gay celebrate all'estero;
   il primo caso di riconoscimento del matrimonio tra persone dello stesso sesso avvenuto all'estero si è avuto nel 2012 a Grosseto: una coppia omosessuale, dopo aver contratto matrimonio a New York nel 2012, ha chiesto all'ufficiale dello stato civile la trascrizione di tale matrimonio;
   l'ufficiale di stato civile coinvolto nella vicenda ha rifiutato la trascrizione, richiamando, a sostegno delle proprie argomentazioni, la normativa italiana che non consente il matrimonio di persone dello stesso sesso, nonché la sentenza della Corte di cassazione n. 4184 del 15 marzo 2012 in cui viene sottolineato il ruolo e l'importanza delle funzioni dell'ufficiale dello stato civile, a cui «sono attribuite penetranti poteri di controllo sulla trascrivibilità degli atti di matrimonio celebrati all'estero»;
   la stessa sentenza è stata poi richiamata dal tribunale nelle sue motivazioni, per arrivare però a conclusioni opposte e quindi autorizzare la trascrizione: nella sentenza n. 2184/2012 Corte di cassazione viene citata la giurisprudenza della Corte europea per i diritti dell'uomo al fine di evidenziare come il diritto al matrimonio di cui all'articolo 9 CEDU non sia limitato al matrimonio tradizionale;
   rimane in ogni caso chiara evidenza giuridica che sia compito del legislatore nazionale intervenire, disciplinando le diverse ipotesi negli ordinamenti nazionali;
   va ricordato peraltro che la famosa sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo n. 510 del 24 giugno 2010, richiamata nella sentenza già citata n. 2184 del 2012 della Corte di cassazione ha rigettato il ricorso Schalk et Kopf contro Austria, in quanto lo stato austriaco, pur non riconoscendo in alcun modo il matrimonio omosessuale, non ha affatto violato la Carta europea dei diritti dell'uomo, avendo riconosciuto il diritto alla convivenza omosessuale;
   la sentenza del tribunale di Grosseto è stata impugnata dalla procura della Repubblica;
   nel maggio 2014, a Fano, una coppia omosessuale che aveva contratto matrimonio in Olanda ha presentato formale istanza al sindaco per la trascrizione del proprio matrimonio, allegando copia dell'atto; i dipendenti dell'ufficio dello stato civile non hanno ritenuto legittima la trascrizione, ma successivamente è stato lo stesso sindaco, svolgendo direttamente la propria funzione di ufficiale di governo e di ufficiale dello stato civile, ai sensi dell'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del 2000, a procedere alla trascrizione del matrimonio, sottoscrivendo personalmente l'atto;
   con sentenza n. 170, 11 giugno 2014, la Corte costituzionale, su giudizio incidentale sollecitato dalla Corte di cassazione, si è pronunciata su un matrimonio di una coppia eterosessuale regolarmente sposata nella quale però l'uomo decide di cambiare sesso: la coppia decide di rimanere unita risultando così composta da persone dello stesso sesso;
   in tale caso, l'ufficiale dello stato civile, dopo avere ricevuto sentenza di rettificazione di sesso di uno dei coniugi, dietro indicazioni della prefettura e del Ministero dell'interno, aveva disposto il cosiddetto «divorzio automatico»; i coniugi hanno presentato ricorso al tribunale di Modena che aveva accolto il ricorso; il Ministero dell'interno aveva esposto reclamo in corte di appello di Bologna che lo aveva accolto; la coppia presenta ricorso in Cassazione; la Corte di cassazione con ordinanza n. 14329 del 6 giugno 2013 ha disposto remissione degli atti alla Corte costituzionale, avendo riscontrato dubbi di legittimità costituzionale degli articoli 2 e 4 della legge 14 aprile 1982, n. 164 (Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso);
   la Consulta, pur nel dichiarare l'illegittimità costituzionale degli articoli 2 e 4 della legge 14 aprile 1982, n. 164 (Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso), con sentenza manipolativa additiva volta a prevedere che «la sentenza di rettificazione dell'attribuzione di sesso di uno dei coniugi, che provoca lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio, consenta, comunque, ove entrambi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che tuteli adeguatamente i diritti ed obblighi della coppia medesima, con le modalità da statuirsi dal legislatore», pur considerando al punto 5.5 che «nella nozione di formazione sociale – nel quadro della quale l'articolo 2 della Costituzione dispone che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo – è da annoverare anche l'unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia», ha però molto chiaramente sottolineato al punto 5.1 dei considerata che «la situazione (...) di due coniugi che, nonostante la rettificazione dell'attribuzione di sesso ottenuta da uno di essi, intendano non interrompere la loro vita di coppia, si pone, evidentemente, fuori dal modello del matrimonio – che, con il venir meno del requisito, per il nostro ordinamento essenziale, della eterosessualità, non può proseguire come tale»;
   in sintesi, la Suprema Corte si è tenuta ben lungi dal considerare legittimo il matrimonio omosessuale nel nostro ordinamento costituzionale;
   di conseguenza sembra molto arduo considerare legittimo riconoscimento giuridico da parte delle istituzioni nazionali e locali del matrimonio omosessuale, pur se celebrato all'estero –:
   quali siano gli orientamenti dei ministri interpellati in merito al riconoscimento da parte di istituzioni italiane dei matrimoni omosessuali avvenuti all'estero e se in particolare intendano rilevare l'illegittimità di tale riconoscimento;
   quali urgenti iniziative, anche di natura normativa, intendano porre in essere al fine di colmare un evidente vuoto normativo in merito, seguendo il dettato dell'articolo 29 della Costituzione che impone alla Repubblica il riconoscimento dei «diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio», tenendo conto del principio da ultimo espresso con la sentenza Corte costituzionale n. 170 del 2014, ove si dichiara con estrema chiarezza che requisito essenziale del matrimonio è la «eterosessualità» della coppia.
(2-00682) «Gigli, Sberna, Dellai».

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATALANO, TACCONI, ZACCAGNINI e FURNARI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 33, comma 2, del regolamento (CE) n. 810/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 luglio 2009, che istituisce un codice comunitario dei visti, prevede che «il periodo di validità e/o la durata del soggiorno in relazione a un visto rilasciato possono essere prorogati qualora il titolare del visto dimostri l'esistenza di ragioni personali serie che giustifichino la proroga del periodo di validità o della durata del soggiorno»;
   risulta all'interrogante che alcune questure, pur a fronte di istanze contenenti una capillare esposizione di eccezionali ragioni di tipo affettivo e relazionale – se non proprio familiare – giustificanti la concessione della proroga de qua consistenti, si siano rifiutate di concedere predetta proroga, senza offrire alcuna motivazione del diniego;
   la decisione di concedere o meno una proroga del visto, per ragioni di tipo familiare o affettivo, non può essere presa tenendo conto dei soli beni giuridici di carattere pubblicistico tutelati dalle norme in tema di visti, ma richiede un previo bilanciamento tra tali beni giuridici e il principio del rispetto della vita privata e familiare di cui all'articolo 8 CEDU;
   è quindi ancor più doverosa la motivazione del provvedimento di diniego, che deve dare conto dell'esito del bilanciamento e delle particolari ragioni di fatto e di diritto che hanno determinato tale esito;
   ciò a tutela non solo dei diritti delle persone coinvolte, ma anche della trasparenza dell'azione amministrativa e – conseguentemente – del buon andamento e dell'imparzialità della stessa –:
   di quali notizie sia a conoscenza il Governo;
   se esistano già – o se il Governo non intenda adottare – linee guida dettagliate in tema di concessione di proroghe ai visti di cui all'articolo 33 del citato regolamento;
   se il Governo non ritenga opportuno diramare idonee circolari agli uffici responsabili, al fine di informare gli stessi sui diversi diritti e interessi che possono richiedere un bilanciamento nel corso della procedura de qua e sensibilizzarli al rispetto dell'obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi. (4-06044)


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   pare che da tempo varie decine di extracomunitari, forse di cittadinanza afghana, siano accampati e vivano ormai sulle rive del fiume Isonzo, dove è stata costruita una vera e propria tendopoli, con evidenti conseguenze di degrado sia sotto il profilo sanitario che di sicurezza;
   secondo recenti notizie di stampa, il prefetto di Gorizia, Vittorio Zappalorto, anche su invito del presidente della provincia Enrico Gherghetta, ha convocato per lunedì mattina tutti i sindaci della provincia oltre ai rappresentanti delle forze dell'ordine, al fine di affrontare e risolvere la situazione sopra esposta;
   sempre secondo quanto riportato dalla stampa, benché la regione Friuli Venezia Giulia abbia chiesto l'avvio di una procedura accelerata per risolvere la situazione, in quanto «Si tratta di richiedenti asilo in attesa del completamento dell’iter di accoglienza, attualmente esposti al maltempo e senza adeguata assistenza», invece, il prefetto di Gorizia avrebbe dichiarato: «Stiamo cercando di capire chi sono e chi ce li ha mandati. Stiamo verificando da dove vengono e se, realmente, hanno fatto richiesta di asilo»;
   la situazione di degrado dovuto agli accampamenti abusivi di clandestini sulle rive del fiume Isonzo è già da tempo nota, non solo per le segnalazioni dei cittadini, ma altresì, come si evince dal resoconto della seduta del 22 luglio 2014 del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, in audizione del sindaco di Gradisca d'Isonzo, Linda Tomasinsig: «Peraltro, vi devo dire che le persone ospitate nel CARA escono e vivono il territorio e non mancano episodi negativi: piccoli furti, danneggiamenti e, ultimamente, la presenza molto forte di persone sulle rive del nostro fiume, dove bivaccano e si accampano. Abbiamo un abbandono di rifiuti e, quindi, un degrado ambientale che dobbiamo cercare di contrastare, anche con delle azioni nei loro confronti.»;
   quale autorità provinciale di pubblica sicurezza, il prefetto ha la responsabilità generale dell'ordine e della sicurezza pubblica nella provincia, anche con l'ausilio della forza pubblica e delle altre forze eventualmente poste a sua disposizione –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti, in particolare della circostanza che il prefetto di Gorizia non fosse a conoscenza della presenza di accampamenti abusivi di clandestini sulle rive del fiume Isonzo e quali provvedimenti intenda adottare e se nei mesi scorsi vi siano state segnalazioni da parte dei cittadini o esponenti delle forze dell'ordine in merito a tali accampamenti, quali azioni intenda intraprendere affinché non ricadano sui comuni del territorio i costi per l'accoglienza degli immigrati. (4-06049)


   D'ARIENZO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 12 aprile 2014 Enrico Sganzerla aveva tentato di uccidere la sua ex fidanzata in una discoteca di Vicenza, accoltellandola più volte;
   dopo un periodo di detenzione nel carcere San Pio X di Vicenza e un ulteriore periodo agli arresti domiciliari (da giugno 2014) nell'ospedale Villa Santa Giuliana, dove ha seguito un percorso di riabilitazione psicosociale, dal 16 settembre è stato trasferito agli arresti domiciliari presso l'abitazione dei propri genitori a Cerea (VR), ovvero a poca distanza dalla residenza della vittima, Laura Roveri; 
   si ritiene attuare ogni azione possibile a tutela della signora Roveri e dei propri familiari;
   pur rispettando la decisione del giudice competente, non può sfuggire l'impatto sociale della scelta, ivi compreso quello sul contrasto all'odioso reato di femminicidio;
   Laura Roveri deve poter continuare serenamente il suo impegno pubblico nella società per richiamare l'attenzione della società sul tema e sensibilizzare i cittadini;
   per queste ragioni, l'interrogante reputa oltremodo imprescindibile l'impegno del Ministro e delle forze dell'ordine veronesi per determinare una cortina protettiva a tutela della vittima –:
   quali iniziative intenda attivare per tutelare Laura Roveri ed i propri familiari nonché consentire il proseguimento delle attività pubbliche che la Sig.ra Roveri sta svolgendo. (4-06051)


   LATRONICO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   all'interrogante risulta da documentazione pervenutagli che l'amministrazione comunale della, città di Lauria in provincia di Potenza non ha rispettato la norma (comma 137 dell'articolo 1 della legge n. 56 del 2014) sulla parità di genere nella composizione della giunta comunale;
   il Sindaco giustifica il mancato rispetto, della disposizione suddetta dalla quasi contestualità dell'entrata in vigore della legge n. 56 del 2014 con la nomina del nuovo Esecutivo, congiunta alla complessità del quadro politico derivante dall'allargamento della maggioranza consiliare per garantire la governabilità dell'Ente;
   la prefettura di Potenza rilevava che la scelta del sindaco nel designare i componenti della giunta, seppur discrezionale, non può prescindere dalla specifica disposizione normativa in questione anche per quegli enti che hanno adeguato lo statuto alle disposizioni di cui al comma 3, articolo 6 del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267 al fine di garantire la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali non elettivi;
   sempre la prefettura di Potenza rilevava che la giurisprudenza ha previsto delle eccezioni a tale obbligo nel caso in cui il sindaco riesca a dimostrare di non aver potuto, in concreto, individuare altre figure di genere femminile (Tar Lombardia Brescia sez: II, sent: 5 gennaio 2012 n. 1);
   quindi secondo l'ufficio Territoriale del Governo tale circostanza sembrerebbe non ricorrere nel caso del comune di Lauria; che nello statuto sono previste norme che consentono di attingere assessori di sesso femminile al di fuori della compagine elettiva –:
   di quali elementi disponga il Governo, anche per il tramite del prefetto, sulla vicenda di cui in premessa e quali iniziative intenda adottare, al fine di assicurare una piena ed efficace applicazione della vigente normativa e di favorire il riequilibrio delle rappresentanze di genere all'interno della giunta comunale di Lauria. (4-06053)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   KRONBICHLER. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi della normativa specifica relativa ai percorsi abilitanti speciali, in particolare il decreto ministeriale n. 81 del 25 marzo 2013 e il decreto dipartimentale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 45 del 22 novembre 2013 hanno indicato come termine perentorio per la chiusura dei percorsi abilitanti speciali il mese di luglio 2014;
   in data 16 maggio 2014 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha pubblicato i bandi per il secondo ciclo del tirocinio formativo attivo e i corsi, di durata annuale, saranno avviati a partire dal prossimo mese di novembre 2014;
   la normativa vigente vieta l'iscrizione a due o più percorsi abilitanti contemporaneamente;
   presso la libera università di Bolzano, dato il prolungarsi del calendario didattico programmato dall'autorità accademica, non sarà possibile l'acquisizione del titolo abilitante percorso abilitante speciale in tempi utili per la partecipazione ai corsi di tirocinio formativo attivo del secondo ciclo e sostegno –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover appurare i fatti sopraelencati e se non ritenga opportuno uno specifico intervento per evitare che vi sia una disparità di trattamento per i partecipanti ai percorsi abilitanti speciali indetti a Bolzano rispetto a quelli delle altre università statali. (4-06052)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'ex clinica Santa Maria, con sede a Seregno, venne acquistata circa vent'anni fa dall'Inps con l'intento di farne una sede per l'alta Brianza, ma l'ente previdenziale non l'ha mai usata perché optò in seguito per gli uffici decentrati ed oggi la struttura è in completo stato di abbandono, cadente e pericolante;
   la struttura era in origine una clinica privata all'avanguardia, nata negli anni ’50 con un primo blocco di tre piani su via Settembrini e in seguito ampliata a quattro piani sulla circonvallazione; complessivamente la struttura occupa una superficie di 16 mila metri cubi pari a 3 mila metri quadrati dei quali 1.500 a giardino con una cappelletta religiosa arricchita di pregevoli opere d'arte e complementi di valore;
   concepita come un servizio per élite, la clinica rimase il fiore all'occhiello della Brianza fino al 1969, poi chiusa per ragioni ancora oggi sconosciute – forse una rottura tra i soci proprietari – fino al 1976, quando si avviarono delle trattative con l'amministrazione comunale per un cambio di destinazione d'uso. La situazione si sbloccò nel 1991 con l'entrata in scena dell'Inps che ottenne il complesso ad un prezzo vantaggioso nell'intento di creare una sede unica per tutti i comuni dell'alta Brianza;
   l'ente previdenziale non utilizzò mai l'edificio e da allora la clinica è diventata l'emblema dello sperpero e della dilapidazione delle risorse pubbliche; in questi anni, infatti, l'ex clinica è stata al centro di diversi crolli, l'arredamento ivi rimasto rubato, la cappelletta spogliata di ogni sua parte e più volte si sono verificati incendi all'interno, provocati da estranei che si introducevano di notte per ripararsi dal freddo accendendo fuochi;
   al momento l'Inps paga milioni di euro per una struttura a dir poco fatiscente, tra Ici che versa al comune di Seregno e ponteggio che sostiene la facciata, per il cui costo l'ente previdenziale paga sia la ditta proprietaria che il comune di Seregno per occupazione di suolo pubblico –:
   se non ritenga doveroso intervenire urgentemente su questa vicenda simbolo di spreco e far rientrare l'ex clinica Santa Maria nel piano di razionalizzazione della gestione degli immobili previsto dalle misure di spending review. (4-06046)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LUCIANO AGOSTINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Cooperlat società cooperativa Agricola, costituita nel 1982 nelle Marche quale «polo del latte» per la raccolta, la lavorazione e la conservazione del latte alimentare e dei suoi derivati, la commercializzazione all'ingrosso e al minuto dei prodotti alimentari in genere, del latte, del burro, della panna, del formaggio, nonché altri prodotti e sottoprodotti lattiero caseari di sua produzione è composta da 13 cooperative di base, associa circa 1.000 produttori agricoli che conferiscono la materia prima latte ed è tra le prime aziende del settore lattiero-caseario in Italia e tra le più importanti all'estero; opera in concreto con linee principali prodotti caratterizzati da marchi Tre Valli e Hoplà leader nel settore delle creme vegetali;
   è una cooperativa a mutualità prevalente con un tasso di apporto dei soci pari al 52,90 per cento registrato nel 2011, che ha vissuto per circa trent'anni in armonia con una crescita graduale e costante fino a raggiungere nel 2010 un valore del fatturato di oltre 203 milioni di euro, fintanto che in occasione del rinnovo delle cariche sociali del 26 aprile 2012 si è determinata una profonda frattura nella compagine sociale che ha visto collocare fuori dalla «governance» con una procedura di voto discutibile e ardita, la parte più qualificata delle cooperative di base, ossia la Coalac Società cooperativa Agricola, la Frentana Società cooperativa agricola ar.l. e la Petrano Società cooperativa agricola ar.l., che sono le uniche aziende produttrici marchigiane e abruzzesi di latte fresco di alta qualità con conferimento totale alla Cooperlat, mentre sono rappresentate aziende cooperative minori con conferimento parziale del latte;
   nel mese di febbraio 2014 si è svolto un incontro con i rappresentanti delle istituzioni locali, degli allevatori marchigiani, con il sottosegretario Castiglione, il presidente della Commissione agricoltura della Camera Luca Sani e l'interrogante, al fine di comprendere meglio la vicenda e scongiurare la chiusura dello stabilimento Coalac di Ascoli Piceno, polo di lavorazione del latte fresco;
   lo stabilimento Coalac è stato chiuso nel mese di giugno 2014 con grave ricaduta occupazionale e sul sistema allevatoriale marchigiano;
   da notizie di stampa pare si sia formato un tavolo di trattativa presso la regione Marche, dal quale sembrerebbe scaturire il reale intendimento di vendere lo stabilimento ad imprese concorrenti le quali confermerebbero la chiusura acquisendo solo le eventuali quote di mercato;
   tutto ciò produrrebbe, come sta già avvenendo, il ricorso all'approvvigionamento di latte da fuori regione ed anche dall'estero –:
   se, anche in considerazione della riconfermata procedura di infrazione da parte dell'Unione europea al nostro Paese in materia di «quote latte», possa istituirsi presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali un tavolo di concertazione tra l'azienda, i rappresentanti dei lavoratori e le istituzioni locali, al fine di fare maggiore chiarezza sull'intera vicenda e superare le attuali difficoltà che sembrerebbero derivate più da conflitti nella governance della cooperativa che da reali difficoltà produttive e di mercato, in modo che tutto ciò possa aiutare a riaprire il sito Coalac di Ascoli Piceno nel più breve tempo possibile. (5-03583)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FUCCI e LATRONICO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende di un clamoroso caso di malasanità avvenuto, nel maggio 2013, all'ospedale «San Carlo» di Potenza e reso noto grazie al contenuto di una registrazione tra due medici recapitata alla redazione del quotidiano on line Basilicata24;
   da tale registrazione emergerebbe una vera e propria confessione di un medico relativa al tragico epilogo di un intervento di cardiochirurgia alla signora Elisa 71 anni per la sostituzione di una valvola cardiaca eseguito il 28 maggio 2013;
   dalla registrazione emerge una serie di errori commessi nel corso dell'operazione che hanno provocato a quanto pare il decesso della paziente;
   è interesse della comunità regionale ed extraregionale acquisire elementi di chiarezza sugli standard di sicurezza e di appropriatezza dell'ospedale regionale;
   occorre chiarire con immediatezza e profondità anche per preservare il capitale di competenze e la reputazione di cui gode l'ospedale San Carlo;
   nei giorni scorsi il Ministro della salute ha inviato gli ispettori per verificare se siano state rispettate tutte le procedure previste per assicurare i livelli di qualità e sicurezza –:
   di quali elementi disponga in relazione alla situazione di cui in premessa;
   quali ulteriori iniziative di competenza intenda assumere per far luce sulla realtà della sanità potentina;
   quali iniziative intenda adottare, anche di carattere normativo, per garantire livelli di prestazioni sanitarie di qualità e di sicurezza per i cittadini lucani. (5-03570)


   TINO IANNUZZI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con nota del 29 luglio 2014, il Ministro della salute ha trasmesso alla Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le province di Trento e Bolzano la bozza definitiva del decreto ministeriale con cui è approvato il regolamento, recante «Definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera, in attuazione dell'articolo 1, comma 169 della legge 30 dicembre 2004 n. 311 e dell'articolo 15, comma 13, lettera c) del decreto legge 6 luglio 2012 n. 95 convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012 n. 135»;
   su tale decreto del Ministro della salute, d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, è stata acquisita l'intesa con la predetta Conferenza permanente, nella seduta del 5 agosto 2014; – il decreto ministeriale in discorso è allo stato in via di imminente pubblicazione;
   nel decreto del Ministro della salute è prevista, nel paragrafo 9.2.2, una specifica disciplina per i «presidi ospedalieri in zone particolarmente disagiate», sulla quale, peraltro, la Conferenza permanente fra Stato, regioni e province autonome non ha espresso alcuna proposta emendativa, condividendo, invece, integralmente il testo del Governo;
   in questo paragrafo del decreto ministeriale si stabilisce che in zone particolarmente disagiate, che distano più di 60 minuti dal più vicino presidio di pronto soccorso – superando così i tempi previsti per poter usufruire di un servizio di emergenza efficace – possono essere istituiti dalle legioni specifici presidi ospedalieri;
   in tali presidi ospedalieri, fra l'altro, occorre garantire la presenza e le attività di un pronto soccorso presidiato da un organico medico dedicato all'emergenza-urgenza, con i necessari «servizi di supporto attività di medicina interna e chirurgia generale ridotta»;
   le zone particolarmente disagiate sono individuate in aree considerate geograficamente e idrogeologicamente disagiate, con collegamenti di rete viaria complessi e con inevitabile dilatazione dei tempi per i collegamenti stradali;
   in provincia di Salerno, in Costiera Amalfitana, l'Ospedale «Costa di Amalfi» ubicato a Ravello, località Castiglione – facente parte dell'azienda ospedaliera universitaria «San Giovanni di Dio Ruggi e d'Aragona» di Salerno – ricade in zona particolarmente disagiata;
   infatti i diversi comuni, serviti dall'ospedale di Ravello, con tanti territori collinari, montani o premontani, sono collegati da una rete stradale assolutamente tortuosa, disagiata e complessa, con il notevole aggravio dei tempi di percorrenza dovuto anche all'attraversamento di numerosi centri abitati; inoltre, la circolazione lungo la rete stradale di questa zona è ancor di più rallentata nei periodi di grande afflusso turistico, che in Costiera amalfitana sono molto rilevanti e consistenti, interessando diversi mesi nel corso dell'anno e non solamente i mesi estivi; per di più si tratta di una area ad elevato rischio idrogeologico, con continui e ripetuti eventi franosi ed allagamenti e smottamenti di terreno che complicano e ritardano soventemente la circolazione stradale;
   pertanto entro il tempo minimo inderogabile di 60 minuti, ex lege prefissato, è molto spesso impossibile poter raggiungere il presidio di pronto soccorso più vicino, diverso ovviamente da quello di Ravello-Castiglione, per assicurare l'indispensabile ed irrinunciabile servizio di emergenza efficace;
   ne derivano, conseguentemente, gravissimi e pesanti rischi per la salute e per la integrità delle persone e delle comunità della Costiera amalfitana, che con flussi turistici così elevati e continuativi raggiunge una popolazione complessiva di residenti e visitatori molto rilevante;
   proprio la tutela del diritto alla salute, oggetto di pregnante riconoscimento costituzionale, impone che sia autorizzata e prevista la costituzione nell'ospedale di Ravello-Castiglione di un presidio ospedaliero con pronto soccorso in zona particolarmente disagiata;
   questa situazione è stata puntualmente evidenziata da tutti i sindaci della Costiera amalfitana in una articolata e motivata nota del 26 agosto 2014, indirizzata al Ministro della salute e al presidente della giunta regionale della Campania –:
   quali iniziative, nell'esercizio e nell'ambito delle sue competenze istituzionali e anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, il Ministro interrogato possa assumere per la tutela del diritto alla salute delle popolazioni e delle comunità della Costiera amalfitana, attraverso, in primis, la costituzione nell'ospedale di Ravello-Castiglione di presidio ospedaliero in zona particolarmente disagiata – alla stregua del decreto ministeriale indicato in premessa dall'interrogante – in quanto tale dotato di un pronto soccorso presidiato da un organico medico dedicato all'emergenza urgenza, con tutti i servizi e le attività medico-ospedaliere collegate. (5-03572)


   CAPONE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel comparto della sanità pugliese risulta ancora aperta una questione che più volte è stata affrontata attraverso numerosi atti parlamentari e che riguarda i cosiddetti medici «ex stabilizzati». Professionisti la cui stabilizzazione è venuta meno per l'effetto combinato della pronuncia di incostituzionalità da parte della Corte costituzionale sulla legge regionale n. 4 del 2010;
   ad essere interessati da questo provvedimento sono diverse figure, tra le quali i medici operanti nei presidi di pronto soccorso;
   la legge n. 4 del 2010 della regione Puglia prevedeva l'assunzione «a tempo indeterminato» alle dipendenze dirette della sanità pugliese del personale di società e cooperative che avessero prestato servizi alle Ausl e la stabilizzazione di personale della precedente impresa o società affidataria dell'appalto, senza alcuna forma selettiva stabilendo altresì che «il personale appartenente alla dirigenza medica del servizio sanitario regionale che (...) risultasse in servizio da almeno cinque anni in un posto di disciplina diversa da quella per la quale è stato assunto è inquadrato, a domanda, nella disciplina nella quale ha esercitato le funzioni», purché avesse i requisiti previsti dal regolamento di disciplina concorsuale;
   i medici del pronto soccorso continuano ad essere, di fatto, in servizio continuativo attraverso proroghe da circa 10 anni, sopperendo alla carenza di personale nelle strutture ospedaliere;
   a tal riguardo il 21 ottobre 2013 in I Commissione Affari Costituzionali della Camera, in occasione dell'esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, fu presentato ed approvato l'emendamento n. 4.148 a prima firma Bellanova ed altri il cui testo recava «Al comma 10, terzo periodo, aggiungere infine le seguenti parole: nonché per il personale medico in servizio presso il pronto soccorso delle aziende sanitarie locali, con almeno 5 anni di prestazione continuativa, ancorché non in possesso della specializzazione in medicina e chirurgia d'accettazione e d'urgenza»;
   nell'ultima versione dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri – previsto dall'articolo 4, comma 10, del citato decreto-legge 101, così come modificato dalla legge di conversione, e volto a definire le procedure di stabilizzazione dei precari della sanità – all'articolo 6, comma 4, si affronta in particolare la condizione del personale medico in servizio da almeno 5 anni presso i servizi di emergenza sanitaria, prevedendo che possa essere ammesso a partecipare ai concorsi, ancorché non in possesso del diploma di specializzazione –:
   se il Ministro non ritenga di assumere iniziative di competenza per dar seguito a quanto sopra riportato, consentendo ai medici operanti nei presidi di pronto soccorso pugliesi di poter essere ammessi a selezione concorsuale dopo anni di esperienza maturata anche alla luce del fatto che continuano ad oggi a svolgere con proroghe un lavoro continuativo nei nosocomi pugliesi. (5-03576)


   MORETTO. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la stampa locale riporta il caso di un'anziana residente a Portogruaro (VE) che ha atteso per ben otto anni una risposta alla richiesta di contributi per l'eliminazione delle barriere architettoniche così come previsto dalla legge n. 13 del 1989 e che, solo quando è deceduta, i servizi sociali del comune di residenza hanno comunicato ai familiari che la domanda non poteva essere accolta in quanto il decesso dell'interessata era avvenuto prima dell'emissione del relativo provvedimento di concessione del contributo;
   l'ultimo finanziamento del fondo legge n. 13 del 1989, pari a 20 milioni di euro, è stato inserito nella legge finanziaria n. 350 del 2003 attraverso un vincolo sulle risorse del fondo per le politiche sociali;
   tale comma n. 116 della legge finanziaria del 2004 è stato tuttavia dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 423/2004) perché non sono consentiti finanziamenti a destinazione vincolata in materie e funzioni la cui disciplina spetti alla legge regionale, siano esse rientranti nella competenza esclusiva delle regioni ovvero in quella concorrente, pur nel rispetto, per quest'ultima, dei principi fondamentali fissati con legge statale (sentenze nn. 16 del 2004 e 370 del 2003);
   da anni, quindi, questa legge non è più destinataria di fondi statali e non è possibile vincolare una parte del fondo delle politiche sociali;
   le regioni possono, in linea con quanto prescrive la legge n. 104 del 1992 (articoli 8 e 24), deliberare autonomamente, al fine di erogare fondi ai privati attraverso i comuni con le risorse indistinte ripartite dallo Stato del fondo politiche sociali o del fondo per le non autosufficienze;
   la regione Veneto ha approvato la legge regionale n. 16 del 2007 «Disposizioni generali in materia di eliminazione delle barriere architettoniche» che all'articolo 13, in riferimento agli edifici privati, dispone che «Per la realizzazione di opere direttamente finalizzate alla fruibilità degli edifici privati, ivi compresi gli edifici adibiti a luogo di lavoro e gli edifici di edilizia residenziale agevolata, con fondi regionali possono essere concessi contributi in misura non inferiore al dieci per cento e non superiore al cinquanta per cento della spesa effettivamente sostenuta e comunque per un importo che non superi euro 12.000,00 per ogni singolo intervento» e nel medesimo articolo specifica che tali fondi «sono cumulabili, sino a completa concorrenza della spesa effettivamente sostenuta, con quelli concessi a qualsiasi titolo ai medesimi soggetti, compresi quelli di cui alla legge 9 gennaio 1989, n. 13 “Disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati” e successive modificazioni»;
   tale disposizione regionale non vede finanziamento dal 2010, anno in cui con delibera della giunta regionale n. 2904 del 30 novembre comunque a fronte di un fabbisogno individuato dai comuni pari a euro 6.542.853,56 ha stanziato euro 2.000.000,00;
   nel sito web della regione Veneto alla pagina http://www.regione.veneto.it/web/sociale/eliminazione-barriere-architettoniche continua ad essere promossa la possibilità di ottenere contributi statali in base alla legge n. 13 del 1989 specificando che «le domande presentate ai sensi della legge 13/89 conservano procedure differenti e pertanto il cittadino interessato dovrà presentare al comune due domande distinte avendo cura di allegare alle domande per la legge 13/89 la documentazione prescritta dalla Circolare Ministeriale (22 giugno 1989 n. 1669/UL supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 145 del 23 giugno 1989, n. 47)»;
   di fatto i cittadini vengono illusi della possibilità di ricevere un sostegno economico che mai otterranno e gli uffici comunali lavorano nell'elaborazione e presentazione di domande di contributo che mai potranno aver esito positivo –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Governo per fare chiarezza in materia e se ritenga opportuno attivare subito un tavolo con le regioni, aperto anche ai portatori d'interesse (associazioni delle persone con disabilità e associazioni delle categorie economiche) per concordare insieme, nel rispetto delle competenze legislative, un rifinanziamento dei fondo destinato al superamento delle barriere architettoniche, evitando in questo modo di creare false aspettative ai cittadini che presentano le domande di contributo.
(5-03582)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   le recenti dichiarazioni del Presidente del Consiglio e del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione rendono esplicite le intenzioni del Governo di prorogare ancora per un anno il blocco della contrattazione di contenuto economico, prolungando quanto previsto, in origine dall'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010 e successivamente dal decreto del Presidente della Repubblica n. 122 del 2013, in attuazione della previsione di cui all'articolo 16 del decreto-legge n. 98 del 2011;
   per la prima volta nella storia della Repubblica il contratto nazionale dei dipendenti pubblici e la loro retribuzione resta fissata a quella prevista dal contratto 2006-2009, sei anni senza rinnovo contrattuale e di adeguamento alle retribuzioni;
   nel comparto privato, nonostante la crisi e con la responsabilità di tutte le parti, si stanno rinnovando i contratti con innovazioni importanti e per niente scontate in tema di retribuzione, di produttività, di funzioni della contrattazione aziendale;
   è condivisibile la preoccupazione riguardo ai bilanci dello stato e alla dinamica della spesa pubblica. La spesa consolidata delle pubbliche amministrazioni ha infatti superato la soglia degli 800 miliardi di euro con una previsione per il 2014 di quasi 810 miliardi. Il contenimento della spesa è una priorità del Paese. La revisione dei bilanci e la ristrutturazione delle uscite comporta un impegno che non si può eludere. Tuttavia, la linea di rigore e la «politica della lesina», deve seguire un'analisi approfondita delle voci di spesa, secondo i criteri di una ben intesa spending review, e un'attenzione forte all'equità e alle esigenze della crescita economica;
    mentre l'aggregato della spesa pubblica aumenta progressivamente, la componente di spesa legata alle retribuzioni dei dipendenti pubblici è in costante flessione. Dal 2010, anno in cui è stato introdotto il blocco della contrattazione, al 2013 la spesa è scesa di 8 miliardi, consegnando al risanamento oltre mezzo punto in termini di rapporto spesa/Pil. Nel solo 2013, rispetto al 2012, la spesa per redditi da lavoro dipendente si è ridotta dello 0,7 per cento;
   le misure di forte limitazione al turn-over nei settori pubblici, dal 2006 al 2012 hanno fatto scendere i lavoratori pubblici di 310 mila unità. Una riduzione che ha alleggerito i costi del personale, senza tuttavia essere seguita da una necessaria razionalizzazione delle risorse umane e da una reale riorganizzazione dei servizi in base ai mutati bisogni di persone, imprese e comunità;
   rispetto all'Europa i numeri del pubblico impiego nel nostro Paese sono virtuosi, la quota di spesa pubblica sul PIL al netto degli interessi nel 2013 è stata pari al 45,55 per cento del PIL, circa un punto e mezzo sotto il livello medio dell'area euro;
   i dati di comparazione delle retribuzioni secondo l'Ocse evidenziano in Italia una spesa di quasi tre volte la media europea per i livelli più elevati della dirigenza e di contro registrano una penalizzazione per i funzionari italiani, personale per lo più laureato e comunque con professionalità medio-alta, con retribuzioni comparativamente più basse a livello internazionale;
   il problema della spesa pubblica, dunque, non è legato al costo del pubblico impiego ma a fattori di altra natura. A partire dal decentramento fallito risoltosi in un policentrismo anarchico che ha condotto all'irrigidimento della spesa corrente destinata ai costi di funzionamento della macchina pubblica, drenando risorse destinate ai servizi e alla innovazione, e ad un progressivo aumento del prelievo fiscale. Tra il 1997 e il 2014, i tributi centrali, pari al 78 per cento del gettito totale, sono aumentati del 42,4 per cento (in termini assoluti pari a 112 miliardi). I tributi locali, invece, hanno registrato un incremento del 190,9 per cento (pari, in termini assoluti, a + 69,5 miliardi di euro), con un gettito che nel 2014 sfiorerà i 106 miliardi di euro. La pletora di «apparati ombra» e la duplicazione di centri decisionali, oltre ad una conseguente frammentazione dell'azione amministrativa, spiegano altresì l'anomalia della spesa per acquisti di beni e servizi, un capitolo che pesa 132 miliardi l'anno, e quella delle oltre 10.000 società partecipate pubbliche che hanno generato perdite dirette per 1,2 miliardi;
   così procedendo il Governo sceglierebbe, ancora una volta, di colpire una categoria già fortemente penalizzata dalle misure di rigore adottate nell'ultimo quinquennio: i dipendenti pubblici, cittadini soggetti al pari di altri ad una insostenibile pressione fiscale (44 per cento), hanno perso in questi anni, per mancati rinnovi, una quota di reddito che va – a seconda dei comparti – dai 2.800 ai 5.600 euro. Cifre consistenti se riportate ai livelli retributivi medi che sono compresi fra i 26 e i 42 mila euro lordi e che, in questi anni, hanno subito una forte perdita del potere d'acquisto (-8,4 per cento fino al 2013). Effetti negativi, questi ultimi, non compensati dal bonus fiscale che non ha inciso in modo determinante, sia perché non ha sanato le perdite legate al mancato rinnovo, sia perché ha riguardato solo una parte dei dipendenti pubblici oltre ad essere stato assorbito dall'inasprimento fiscale;
   il Governo perseguendo nella medesima direzione, quella di un blocco contrattuale che continua a rinviare ulteriormente il riassetto complessivo del sistema della contrattazione pubblica, ovvero la revisione e l'aggiornamento di istituti contrattuali che vanno a sostegno di processi di innovazione tecnologica, organizzativa e di sviluppo, ha rinunciato ad uno strumento importante di modernizzazione della pubblica amministrazione. I reiterati tagli lineari agli organici hanno obbligato le amministrazioni ad una continua attività di revisione degli assetti organizzativi ma hanno di fatto impedito il consolidamento di procedure, competenze e professionalità, con inevitabili, negativi riflessi sulla quantità e qualità dei servizi erogati;
   le esigenze connesse agli obiettivi di bilancio devono in ogni caso essere perseguite con criteri di proporzionalità e ragionevolezza e nel rispetto del principio di eguaglianza sancito dall'articolo 3 della Costituzione e conformemente agli altri valori tutelati dalla Costituzione, a partire da quelli definiti dagli articoli 36 e 97. L'articolo 36 della Costituzione attribuisce infatti al lavoratore «il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro» e che è legittimo che i lavoratori abbiano adeguamenti contrattuali correlati all'andamento dell'inflazione. Inoltre, l'articolo 39 anche tenuto conto di quanto evidenziato dalla Corte Costituzionale (sentenze n. 142 del 1980 e n. 34 del 1985), esprime i due principi della libertà sindacale e dell'autonomia collettiva, garantendo ai cittadini la libertà di organizzarsi in sindacati e ai sindacati la libertà di agire nell'interesse dei lavoratori;
   il prolungamento della situazione di blocco della contrattazione a contenuto retributivo porta alla corresponsione di retribuzioni diverse a dipendenti che svolgono la medesima attività – ma che hanno maturato una progressione di carriera in momenti temporali diversi – e andrebbe valutata alla luce del principio di buon andamento della pubblica amministrazione, di cui all'articolo 97 della Costituzione oltre che del principio di eguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione; e pertanto, accorre tenere conto del fatto che l'allungamento temporale della misura del blocco dell'adeguamento retributivo rischia di trasformare l'intervento eccezionale in una vera e propria deroga al meccanismo medesimo, da valutare attentamente rispetto alle previsioni costituzionali;
   appare, inoltre, necessario ricordare ancora che il regime delle proroghe dei blocchi contrattuali, imposto ormai da quattro anni escludendo l'intervento del Governo previsto per tutto il 2015, contrasta, secondo quanto stabilito dalla Corte costituzionale, con il carattere di eccezionalità e di temporaneità proprio di interventi urgenti. Una ulteriore proroga del blocco dei contratti, inoltre, si presenta significativamente punitiva per una sola categoria sociale – quella dei dipendenti pubblici – già fortemente colpita da un progressivo processo di oggettivo impoverimento –:
   quali azioni concrete il Governo intenda intraprendere per evitare la reiterazione di una norma che si presenterebbe con tutta evidenza iniqua e contraddittoria;
   perché si intenda rinunciare, per un altro anno, al rinnovo del contratto, principale leva di innovazione del welfare e del sistema pubblico;
   come si intendano affrontare le conseguenze recessive a livello macroeconomico di una compressione ulteriore dei redditi medio bassi di una così ampia categoria sociale.
(2-00683) «Fioroni, Marroni, Marco Di Stefano, Valiante, Fiorio, Paris, Bargero, Gribaudo, Mariani, D'Ottavio, Giulietti, Fassina, D'Attorre, Giorgis, Leva, Gianni Farina, Carlo Galli, Chaouki, Moscatt, Gullo, Migliore, Civati, Albini, Stumpo, Giuseppe Guerini, Carra, Benamati, Incerti, Gasparini, Lattuca, Zoggia, Grassi».

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

IX Commissione:


   SCOTTO, RICCIATTI e FERRARA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 209 del 9 settembre 2014 la delibera del comitato interministeriale per la programmazione economica relativa all'approvazione della proposta di accordo di partenariato nell'ambito della programmazione dei fondi strutturali e di investimento europei 2014-2020;
   approvata con delibera del 18 aprile 2014 del Comitato interministeriale per la programmazione economica, la proposta di accordo di partenariato che stabilisce la strategia di impiego di fondi strutturali e di investimento europei (fondi SIE) per il periodo 2014-2020. Undici gli obiettivi tematici (OT) previsti dal richiamato regolamento (UE): OT1: rafforzare la ricerca, lo sviluppo tecnologico e l'innovazione; OT2: migliorare l'accesso alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, nonché l'impiego e la qualità delle medesime; OT3: promuovere la competitività delle piccole e medie imprese, il settore agricolo e il settore della pesca e dell'acquacoltura; OT4: sostenere la transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio in tutti i settori; OT5: promuovere l'adattamento al cambiamento climatico, la prevenzione e la gestione dei rischi; OT6: tutelare l'ambiente e promuovere l'uso efficiente delle risorse; OT7: promuovere sistemi di trasporto sostenibili ed eliminare le strozzature nelle principali infrastrutture di rete; OT8: promuovere l'occupazione sostenibile e di qualità e sostenere la mobilità dei lavoratori; OT9: promuovere l'inclusione sociale, combattere la povertà e ogni forma di discriminazione; OT10: investire nell'istruzione, formazione e formazione professionale, per le competenze e l'apprendimento permanente; OT11: rafforzare la capacità delle amministrazioni pubbliche e degli stakeholders e promuovere un'amministrazione pubblica efficiente;
   l'importo complessivo da ripartire tra gli obiettivi tematici è di 41.548,4 milioni di euro per il periodo di programmazione 2014-2020. Nella delibera sono allegate alcune tavole con cui viene dettagliata la ripartizione già disponibile del FESR e del FSE, pari a complessivi 31.118,7 milioni di euro, articolata per obiettivo tematico rispettivamente a favore delle regioni più sviluppate, delle regioni in transizione e delle regioni meno sviluppate. Nelle successive fasi di negoziazione formale con la Commissione europea e di attuazione dell'accordo di partenariato ci si impegna a tener conto delle esigenze che già sono sorte in fase istruttoria al fine di ottimizzare e garantire la efficace realizzazione dei programmi, nel rispetto del principio della proficua gestione delle risorse;
   in data 1o settembre 2014 è apparso sul Corriere della sera un articolo intitolato «Fondi UE. Meno soldi alla Banda larga e all'Agenda Digitale»;
   nell'ambito di tale articolo si legge che la quota di fondi dell'Unione europea 2014-2020 assegnati a banda larga e Agenda digitale risulterebbe inferiore di quasi 440 milioni di euro rispetto a quella prevista inizialmente e ciò emergerebbe dall'ultima versione degli impegni di spesa allegati all'accordo di partenariato italiano;
   infatti, per quanto risulta agli interroganti, stando alla tabella finanziaria che le autorità hanno girato a Bruxelles non più tardi di poche settimane fa, l'ammontare complessivo di fondi strutturali destinato al digitale scenderebbe a 1,351 miliardi di euro dagli 1.789 previsti nelle precedenti bozze dell'accordo ed esposta nella delibera del comitato interministeriale per la programmazione economica recentemente pubblicata relativa all'approvazione della proposta di accordo di partenariato nell'ambito della programmazione dei fondi strutturali e di investimento europei 2014-2020;
   una cifra, la seconda, (ovvero i 1.789 milioni di euro citati) su cui diversi addetti ai lavori, anche tra le fila della Commissione, avevano già nei mesi scorsi emesso profonde perplessità, ritenendola in ogni caso troppo sottodimensionata per colmare i consistenti ritardi accumulati dal Paese rispetto ai traguardi dell'agenda digitale europea;
   secondo fonti comunitarie, la riduzione delle risorse dell'Unione europea per banda larga e agenda digitale stabilita dal Governo avrebbe una motivazione di mera coerenza cantabile. Vale a dire risponderebbe all'esigenza far collimare le previsioni di spesa dell'accordo con quelle inscritte nei piani operativi regionali (sulle regioni ricade, da ultimo, l'onere di impiegare una fetta maggioritaria delle risorse);
   i 450 milioni di euro sottratti al digitale verrebbero reindirizzati verso altri capitoli di spesa;
   per quanto risulta agli interroganti al fine di raggiungere gli obiettivi di copertura a 30 Mbps fissati dall'Unione europea entro il 2020 sono necessari fondi per 5 miliardi di euro da prevedere nell'ambito del fondo di sviluppo e coesione e nella lettera di osservazioni inviata nel mese di luglio 2014, la Commissione europea è tornata a sottolineare l'assenza «di una strategia globale per affrontare le carenze in termini di infrastrutture, contenuti e servizi digitali»;
   si evidenzia inoltre che, come emerge da una recente inchiesta condotta dal Corriere delle Comunicazioni, tutte le regioni hanno deliberato in tema di digitalizzazione e sono molte quelle che si sono dotate di agende digitali, Reti Ngn, cloud e razionalizzazione dell'esistente i pilastri sui cui poggia buona parte dei piani;
   lo scenario che ne è emerge è sorprendente: le regioni sono molto più avanti di quanto si creda in materia di digitalizzazione, hanno tutte all'attivo assessori «delegati», ossia che si occupano specificamente di innovazione e di Ict (e se non ci sono assessori ad hoc sono i presidenti ad avere in capo la governance Ict) e «masticano» con una certa naturalezza acronimi e sigle del mondo dell'informatica, delle telecomunicazioni, dell’hi-tech. E non mancano i progetti (di cui moltissimi già portati a termine) votati a rafforzare l'erogazione di servizi innovativi a cittadini e imprese che fanno leva su tecnologie di ultima generazione, in pole position il cloud, considerato dai più uno strumento per razionalizzare l’hardware, aumentare la capacità di storage e abbattere i costi in nome dell'efficienza e nella spending review. Fra le priorità anche la dematerializzazione e anche in questo caso a guidare i progetti c’è il duplice obiettivo di efficientare la macchina pubblica ottenendo un sensibile risparmio sulle spese vive, che non guasta in tempi di crisi;
   da evidenziare il rafforzamento degli investimenti in connettività e in particolare in banda larga per consentire l'erogazione di servizi evoluti e spingere l'attuazione di progetti digitali legati in particolare a sanità e scuola, ma anche a sostenere i distretti produttivi e a favorirne crescita e sviluppo in chiave di globalizzazione;
   da Nord a Sud, le agende regionali si somigliano molto; le differenze si misurano perlopiù in tegami di risorse disponibili e quindi di capacità attuativa delle iniziative sulla carta. Il patto di stabilità da un lato e l'incapacità di sfruttare appieno i fondi europei dall'altro rappresentano i grandi ostacoli sul cammino;
   le agende digitali regionali ci sono dunque, «fa ancora non si comprende come potranno integrarsi nel grande progetto nazionale. Attuare un'agenda digitale nazionale, quando ci sono già 21 agende locali potrebbe determinare il rischio di una frammentazione che può inficiare l'attuazione stessa dei progetti a causa di annose questioni quali la mancanza di standard e di interoperabilità e la duplicazione delle iniziative, per non parlare del pericolo di ritrovarsi un'Italia digitale eternamente a macchia di leopardo –:
   quali elementi intenda fornire il Governo, alla luce di quanto descritto in premessa con riferimento all'ammontare complessiva delle risorse destinate alla banda larga e all'attuazione dell'agenda digitale e soprattutto sulla strategia complessiva da adottare al fine, da un lato, di non sottovalutare il ruolo che le regioni possono avere in termini di competenze e di conoscenza delle specifiche realtà territoriali e, dall'altro, di evitare inutili «doppioni» e ridondanze che rischierebbero di rallentare i progetti e di non assicurare un efficace impiego delle risorse disponibili. (5-03577)


   CATALANO e BRUNO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con numerose interrogazioni (fra le quali si indicano, non esaustivamente, le seguenti: nn. 4-05332, 4-01963, 4-02295, 4-02495, 4-02854, 4-03405, 4-03655/ 4-04159, 4-04483, 4-04662) è stata richiamata l'attenzione del Governo su diverse criticità relative all'attività di Poste Italiane s.p.a. nell'ambito territoriale della regione Sicilia e si è richiesto un intervento del Ministro, eventualmente anche al fine di promuovere un mutamento delle strutture di tutela aziendale (v. n. 5-02742);
   è dell'11 settembre 2014 la notizia che la procura si appresterebbe a chiudere le indagini relative all'operazione Lost Pay della Guardia di finanza;
   l'operazione ha interessato alcuni operatori postali privati (Servizi Postali di Monreale e Posta più di Catania) e alcuni uffici postali ove, in un arco temporale ristretto, sarebbero stati versati sul conto corrente di uno degli indagati almeno 30 milioni di euro in assenza di ogni adempimento di legge previsto dalla normativa antiriciclaggio, omettendo alcuni direttori di uffici postali le obbligatorie S.O.S. (segnalazioni di operazioni sospette);
   l'inchiesta della procura tende, fra l'altro, ad accertare connivenze proprio all'interno di Poste Italiane che abbiano, di fatto, consentito l'illecito accertato;
   a seguito della sua determinante collaborazione con le forze dell'ordine nell'ambito della predetta operazione Lost Pay, un ispettore è stato destituito, in data 22 marzo 2013, dalle sue funzioni ispettive presso il fraud management di Palermo, privato di mansioni e destinato all'isolamento e alla totale inoperosità;
   sono stati denunciati all'interrogante ulteriori, ripetuti comportamenti vessatori da parte dell'azienda nei confronti dello stesso (vedi interrogazione n. 4-03655) e l'inerzia dell'amministrazione nell'inquadrarlo al livello superiore maturato fin dal 1o luglio 2006;
   inoltre, alcune raccomandate, spedite da suoi familiari sono state inviate al macero (vedi interrogazione n. 4-04662);
   da ultimo, in data 9 settembre 2014, dopo oltre un anno di inattività e a pochi giorni dall'ennesima denuncia di illeciti, l'ispettore sarebbe stato destinato, a decorrere dal 15 settembre, alle attività del cosiddetto «progetto filatelia» – attività radicalmente avulse dalla pregressa esperienza e dalle specifiche competenze del dipendente –:
   di quali elementi disponga in ordine a quanto sopra esposto e quali eventuali iniziative di competenza intenda assumere con riferimento alla vicenda illustrata oltre che in relazione ai gravi problemi che affliggono l'azienda nel Mezzogiorno. (5-03578)


   BRUNO BOSSIO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste Italiane spa è un'azienda di totale proprietà dello Stato tenuta a garantire il servizio universale fino al 2026 attraverso la sua rete di uffici distribuiti su tutto il territorio nazionale;
   nel contratto di programma che Poste Italiane spa ha stipulato con lo Stato il servizio universale è definito con alcuni criteri minimi che vanno dalla garanzia di recapito della corrispondenza in un massimo di 5 giorni, all'apertura di almeno 18 ore settimanali degli uffici postali, a standard minimi di servizio durante i mesi estivi, alla presenza di almeno un ufficio postale in ogni comune;
   con decreto ministeriale del 7 ottobre 2008 il Ministero dello sviluppo economico approvava le condizioni generali per l'espletamento del servizio postale universale i cui criteri di distribuzione degli uffici postali legavano la presenza dei punti di accesso alla rete alla percentuale dei residenti e quindi in evidente contrasto con la direttiva dell'Unione europea 6/2008, recepita nel diritto interno con il decreto legislativo n. 58 del 2011;
   nella direttiva europea 6/2008 si riconosce, infatti, che le reti postali anche se in zone rurali e scarsamente popolate soddisfano interessi pubblici rilevanti, consentono l'integrazione degli operatori economici con l'economia globale ed anzi, per il loro contributo alla coesione sociale, sono più necessari proprio in quelle aree;
   nel luglio del 2012 Poste Italiane spa annunciava la chiusura di 1156 uffici postali in tutta Italia, di cui 100 nella sola regione Calabria, un taglio in proporzione al numero degli abitanti assai più consistente rispetto ad altre regioni d'Italia se si considera che si prevedeva la chiusura di 174 sportelli in Toscana, 134 in Emilia e 96 in Campania;
   le motivazioni della chiusura venivano individuate nella scarsa redditività di questi uffici, per lo più situati in zone montane, rurali o scarsamente popolate al fine di operare una «razionalizzazione» della rete;
   successivamente, il piano di razionalizzazione di Poste Italiane spa riduceva il numero degli uffici da sopprimere a 1096 in tutta Italia e ad 89 nella sola Calabria;
   il 21 marzo 2013 l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni emanava una delibera (236/13/CONS) che avviava «un procedimento istruttorio volto a valutare la congruità dei criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete postale pubblica previsti dalla normativa attualmente in vigore»;
   con sentenza n. 1117 del 29 gennaio 2014, il TAR del Lazio interveniva su ricorso del comune di San Pietro in Guarano (CS) avverso alla chiusura dell'ufficio postale della frazione di Redipiano;
   la sentenza di accoglimento del ricorso recita che «la direttiva comunitaria ed il decreto legislativo (in particolare articolo 3, comma 5, lettera c) del decreto legislativo n. 261 del 1999 come modificato dal decreto legislativo n. 58 del 2011), hanno posto un particolare accento anche sulle esigenze degli utenti, in particolare delle zone rurali e di quelle scarsamente popolate; esigenze che non sarebbero rispettate col solo criterio di ragionevolezza basato sull'equilibrio economico come presupposto per la permanenza di uffici postali in territori particolarmente disagiati» e che «è quasi superfluo rilevare come nell'ambito di un servizio pubblico l'equilibrio economico non possa assumere la stessa determinante rilevanza che assume nella gestione di una impresa privata»;
   il TAR del Lazio, pertanto, richiamava Poste Italiane spa ad operare scelte organizzative che seguano innanzitutto il principio della garanzia del «pubblico servizio» sottolineando che anche in periodi di spending review gli interessi sociali non possono essere sottomessi all'esasperata ricerca dell'utile;
   un altro ricorso al TAR per un caso analogo pare sia stato presentato dal comune di Aprigliano (CS) ed è in attesa di definizione;
   per citare un altro esempio nel mese di giugno del 2013 veniva chiuso l'ufficio postale di Rocca Imperiale (CS) situato nel centro del comune;
   alla data attuale a Rocca Imperiale è attivo un solo ufficio postale situato nella frazione Marina a 4 chilometri dal centro;
   la chiusura è intervenuta nonostante l'ufficio di Rocca Imperiale centro fosse dotato di locali idonei, a norma e di recente costruzione e servisse una popolazione residente composta principalmente da anziani che, allo stato attuale, subiscono notevoli disagi nel recarsi all'ufficio della Marina molto distante dalle loro residenze, anche perché non esistono servizi di trasporto pubblico adeguati a garantire collegamenti con la frazione della Marina –:
   se il Ministro interrogato non ritenga che, in seguito alle recenti numerose chiusure di uffici postali in tutta Italia, non si siano, nei fatti, limitati i diritti dei cittadini di alcune aree ad avere un servizio efficace ed efficiente, in evidente contrasto con il contratto di programma sottoscritto da Poste Italiane spa con lo Stato e quali azioni intenda intraprendere per richiamare Poste Italiane spa, società interamente finanziata dallo Stato, alla sua mission fondamentale di erogatrice di un servizio di pubblica utilità, anche alla luce del pronunciamento del TAR del Lazio citato in premessa. (5-03579)


   LIUZZI, DELL'ORCO, DE LORENZIS, SPESSOTTO, CRISTIAN IANNUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO e NICOLA BIANCHI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il fenomeno delle vendite di biglietti «Gratta e Vinci» all'interno degli uffici postali è una sperimentazione iniziata il 7 febbraio 2011 mediante un accordo tra Lottomatica Group spa e Poste italiane. Questo avvenimento ha generato un problema di regolamentazione e le autorità competenti non sono ancora intervenute per la sua risoluzione;
   secondo parte della giurisprudenza di diritto del lavoro il problema è anche di discriminare le attività strettamente connesse al servizio universale postale (o perlomeno attinenti il recapito della corrispondenza) rispetto a quelle di natura commerciale-finanziaria-ludica (gratta e vinci) peculiari dell'ufficio postale standard ma non destinatarie della norma speciale sui contratti a termine a-causali;
   la vendita dei gratta e vinci è stata segnalata da associazioni di consumatori, impiegati delle stesse Poste e diversi sindacati. Le segnalazioni sono state comunicate all'Autorità garante della concorrenza e del mercato con l'invito ad avviare un'istruttoria che, ad oggi, non ha avuto nessun riscontro;
   oltre gli aspetti economici della vendita di gratta e vinci agli sportelli di Poste italiane, il risvolto più grave è quello connesso al gioco d'azzardo patologico. Il gioco d'azzardo patologico è una patologia riconosciuta dall'Organizzazione mondiale della sanità e solo in Italia i giocatori patologici sono stimati tra i 700.000 ed 1 milione. Gli studi hanno evidenziato che tra i soggetti più a rischio ci sono gli anziani che sono anche tra i maggiori utenti degli uffici postali;
   a detta dell'interrogante è inaccettabile che un servizio pubblico possa allo stesso tempo incentivare una piaga sociale, dato che è stato provato che la riduzione dell'offerta di gioco è l'arma più importante per combattere il gioco d'azzardo patologico. La presenza di distributori all'interno di alcuni uffici, oltre che la vendita effettuata anche in maniera esplicita dallo stesso operatore di sportello nel momento conclusivo delle operazioni postali, rappresenta una vera e propria tentazione per coloro che si trovano in attesa del proprio turno e che per ingannare il tempo vengono invitati a tentare la fortuna;
   la battaglia legale sollevata per prima in Italia dall'associazione «Io Ci Sono» di Andria ed a cui hanno aderito la maggior parte dei movimenti dei consumatori ha prodotto la rimozione dei distributori automatici dagli uffici di Poste italiane della città;
   la vendita di gratta e vinci all'interno degli uffici postali appare in controtendenza alla mission di Poste Italiane spa che dovrebbe essere volta a «favorire le comunicazioni, i pagamenti e gli scambi logistici, generando significativi vantaggi economici e di servizio» e porre come perno la «valorizzazione delle persone e la specializzazione delle competenze» –:
   se il Ministro interrogato, alla luce di quanto sopra esposto, nell'ambito delle proprie competenze, non ravvisi l'opportunità di intervenire affinché, all'interno degli uffici di Poste Italiane, venga esclusa la vendita di gratta e vinci da parte di operatori, o per tramite di distributori. (5-03580)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FABBRI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in seguito al passaggio dalla televisione di tipo analogico al metodo digitale terrestre, i cittadini residenti in località Montepastore, provincia di Bologna, lamentano numerosi problemi riferiti alla ricezione del segnale Rai, che risulta intermittente: spesso il segnale cessa senza apparente motivazione e questo accade per tutti i canali RAI;
   la Rai, più volte contattata da alcuni residenti, non ha fornito alcuna giustificazione o spiegazione e tanto meno ha risolto il problema;
   la Rai, in qualità di concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, così come previsto dall'articolo 45 del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, dovrebbe svolgere un servizio pubblico sul territorio italiano, sulla base di un contratto nazionale stipulato con il Ministero delle comunicazioni, assicurando a tutti i cittadini la possibilità di usufruirne;
   i cittadini della località Montepastore non solo hanno un limitato accesso al servizio pubblico radiotelevisivo, ma in più pagano regolarmente il canone di 113,50 euro per un servizio che non viene erogato –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti e quali iniziative di competenza intenda adottare per risolvere i problemi di ricezione dei canali Rai. (5-03568)

Interrogazione a risposta scritta:


   MOLTENI e GRIMOLDI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in risposta all'atteggiamento dell'Unione europea sulla questione ucraina, il Governo di Mosca ha deliberato lo stop prima delle importazioni dei prodotti agroalimentari e poi del tessile, da quei Paesi che hanno voluto o appoggiato le sanzioni alla Russia;
   in un momento nel quale il mercato interno è fermo, Paesi come la Russia sono diventati strategici per le imprese italiane. L'embargo è un colpo durissimo per il nostro made in Italy, che per il nostro Paese è un valore aggiunto fondamentale;
   secondo i dati diffusi dalla Commissione europea l’export nel 2013 dei 28 paesi dell'Unione verso la Russia è stato di oltre 117 miliardi di euro dei quali 10,4 miliardi di export italiano nel solo 2013, facendo del nostro Paese il secondo partner commerciale della Russia dopo la Germania;
   si paventa il rischio che la lista dei prodotti embargati sia destinata ad allargarsi andando a colpire molti settori del comparto industriale italiano che sull’export verso la Russia basano gran parte del loro mercato;
   la conseguenza del timore che altri settori strategici per le nostre produzioni possano essere colpiti dall'embargo da parte della Russia crea delle ripercussioni su altri settori non ancora direttamente colpiti dalle risoluzioni del Governo russo. Uno di questi, ad esempio, è il settore del legno-arredo;
   ai danni diretti per il Made in Italy si devono aggiungere quindi anche quelli «indiretti» che potrebbero essere anche più devastanti di quelli diretti. I danni potrebbero essere aggravati dal rischio di non riuscire a riprendere, finito l'embargo, il mercato russo una volta che i nostri prodotti sono stati sostituiti da quelli provenienti da altri Paesi — sembra che il governo russo sia intenzionato a stringere nuovi accordi commerciali di scambio con i Paesi estranei al confronto Russia-Occidente — con relativi contraccolpi per il futuro delle nostre imprese e per tutto l'indotto;
   si stima che i danni subiti dall'embargo ammonterebbero a circa 100 milioni per il settore agroalimentare — cifra che somma le ricadute su produttori, trasformatori e esportatori — mentre il danno potenziale totale aggiungendo i settori della moda e dell'arredamento potrebbe arrivare a oltre 9 miliardi;
   il 6,9 per cento delle esportazioni del settore del legno-arredo è diretto in Russia per un valore totale di 291 milioni di euro nei soli primi mesi del 2014;
   il settore del mobile della Brianza comasca e monzese, in particolare, comincia a subire ricadute preoccupanti per l'evolversi del conflitto economico-politico con la Russia, come ritardo nei pagamenti di fatture di prodotti già consegnati, rallentamento nei trasferimenti bancari oltre alle difficoltà burocratiche per richiedere i documenti e certificazioni dalle banche, ordini che vengono sospesi e sono a rischio anche le presenze alle fiere;
   il clima di incertezza dei rapporti con la Russia porta all'effetto di scoraggiare gli operatori e i potenziali clienti che si vedono indecisi nel fare investimenti, campionature, ordini oppure di programmare fiere con il pericolo che poi i prodotti italiani potrebbero essere embargati –:
   se sia a conoscenza di quali potrebbero essere i prossimi comparti che rischiano di essere interessati dall'embargo da parte della Russia e come intenda intervenire per prevenire eventuali ulteriori danni;
   se non ritenga opportuno intervenire presso le competenti autorità europee affinché sia messa in atto una incisiva attività diplomatica mirante a trovare i giusti compromessi per superare l'attuale e i futuri embarghi che rischiano di compromettere in maniera irreversibile i rapporti con uno dei maggiori partner commerciali per le nostre imprese. (4-06047)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Tinagli e altri n. 1-00272, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 dicembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Dorina Bianchi.

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza urgente Grande e altri n. 2-00675, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 settembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Benedetti.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Tullo e Basso n. 5-01932, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 gennaio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Taranto.

  L'interrogazione a risposta immediata in Assemblea Dorina Bianchi n. 3-01024, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 settembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Pagano.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Gigli n. 4-05673 del 24 luglio 2014.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Luciano Agostini n. 4-05625 del 22 luglio 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-03583.