Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 16 settembre 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il pagamento del canone di abbonamento, istituito con regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246, convertito con modificazioni dalla legge 4 giugno 1938, n. 880, quando ancora non esisteva televisione, è dovuto per la semplice detenzione di uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle diffusioni televisive, indipendentemente dai programmi ricevuti, a seguito di sentenze della Corte costituzionale (11 maggio 1988, n. 535 e 17-26 giugno 2002, n. 284) che ha riconosciuto la sua natura sostanziale d'imposta per cui la legittimità dell'imposizione è fondata sul presupposto della capacità contributiva e non sulla possibilità dell'utente di usufruire del servizio pubblico radiotelevisivo al cui finanziamento il canone è destinato;
    il canone Rai, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, è ormai un'imposta antiquata e iniqua, che non ha alcun motivo di esistere anche in virtù del maggiore pluralismo indotto dall'ingresso sul mercato di nuovi editori e dall'apporto delle nuove tecnologie (DTT, DDT, DVbh, TV satellitare, ADSL, WI-FI, cavo e analogico). Inoltre, è una delle tasse più odiate e per questo più discusse dagli italiani che preferirebbero non guardare la Rai piuttosto che pagare il canone;
    è soprattutto un'imposta socialmente iniqua in quanto colpisce tutte le fasce di reddito, comprese le più deboli, nonostante il fatto che il comma 132 dell'articolo 1 della legge finanziaria per il 2008 come modificato dal decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, preveda, a decorrere dall'anno 2008, per i soggetti di età pari o superiore a 75 anni e con un reddito proprio e del coniuge non superiore complessivamente a euro 516,46 per tredici mensilità, senza conviventi, l'abolizione del pagamento del canone RAI esclusivamente per l'apparecchio televisivo ubicato nel luogo di residenza;
    la RAI collabora con l'amministrazione finanziaria, Agenzia delle entrate SAT (Sportello abbonati TV), alla riscossione e alla gestione del canale televisivo, come previsto dall'atto aggiuntivo alla convenzione, stipulato con il dipartimento delle entrate dell'allora Ministero dell'economia e delle finanze, dipartimento delle entrate. Tale collaborazione si estrinseca, tra l'altro, attraverso l'attività di recupero delle morosità, ossia dei canoni non spontaneamente corrisposti dagli abbonati alle scadenze previste da legge;
    la legge permette di poter disdire il canone tv a condizione che l'abbonato dismetta gli apparecchi televisivi in suo possesso e ne richieda quindi il suggellamento oppure ne denunci la cessione a terzi (regalo, vendita, rottamazione, furto e altro). In caso di suggellamento degli apparecchi l'interessato dovrà anche versare tramite vaglia, intestato all'Agenzia delle entrate di Torino, l'importo di 5,16 euro per ogni apparecchio da suggellare;
    la disdetta dell'abbonamento si perfeziona, però, dopo che lo sportello SAT dell'Agenzia delle entrate di Torino invierà a coloro che hanno correttamente disdetto il canone Rai un modulo con il quale, sotto diretta responsabilità dell'utente, verranno indicate tutte le informazioni richieste allegando il certificato di rottamazione oppure la denuncia di furto in caso di comprovata mancata detenzione della tv o una dichiarazione integrativa in caso di annullamento per cessazione della tv. Inoltre l'utente autorizza la Guardia di finanza e non meglio citati organi competenti ad accedere alle residenze e dimore per procedere alle operazioni di controllo e di suggellamento, non essendo specificato se si tratti di un controllo successivo per la verifica dell'integrità dei sigilli o di una vera e propria ispezione «autorizzata» di dubbia legittimità;
    gli uffici dell'Agenzia delle entrate SAT richiedono altresì, in caso di rottamazione dell'apparecchio o in caso di cessione a terzi del medesimo, la compilazione e la spedizione di un «atto sostitutivo di notorietà»;
    nonostante gli interessati abbiano seguito le procedure, indicate anche sul sito internet della Rai, per l'esonero dal pagamento del canone o la disdetta dello stesso, questi non solo non hanno ricevuto alcuna risposta né tantomeno il rimborso delle cifre già pagate indebitamente ma si sono visti addirittura intimare il pagamento con tanto di sollecito;
    sono ormai migliaia le segnalazioni di casi in cui la Rai ha recapitato diffide agli utenti morosi o per libera scelta inadempienti, minacciando il «recupero coattivo dei canoni dovuti anche attraverso il fermo amministrativo dei suoi autoveicoli ed il pignoramento dei suoi beni, tra cui la retribuzione»;
    si sottolinea come non sia in alcun modo possibile applicare la procedura del fermo amministrativo dell'automobile in ragione di un ritardo o di un mancato pagamento del canone di abbonamento televisivo, in quanto si tratta di un fermo generalizzato e sistematico che non tiene in alcun conto della concreta situazione in cui versa il debitore, cioè se questi si trovi in una situazione fortemente debitoria e se vi sia un reale pericolo di sottrazione; non è stabilito né in forza di consuetudini, né tanto meno in base a norme vigenti, che lo Stato arrechi un danno tanto considerevole al cittadino per importi irrisori;
    la diffida di tale tenore è secondo i sottoscrittori del presente atto di indirizzo fuor di ogni dubbio sproporzionata, vessatoria, antistorica, in contrasto con qualsivoglia principio di corretto rapporto tra concessionaria e utente del servizio pubblico,

impegna il Governo:

   ad intervenire tramite l'emanazione di una circolare esplicativa nonché risolutiva della situazione con riferimento ai soggetti aventi i requisiti di cui al comma 132 dell'articolo 1 della legge finanziaria per il 2008, che possono ottenere l'esenzione dal pagamento del canone RAI esclusivamente per l'apparecchio televisivo ubicato nel luogo di residenza, nonché a definire le domande di rimborso ancora in sospeso dal 2008 al 2013;
   in relazione alla «dichiarazione ad integrazione della disdetta», a fornire adeguata informazione agli utenti ed agli uffici competenti sulla corretta procedura da seguire per la disdetta del canone Rai, rimuovendo gli oneri impropri a carico dell'abbonato per il suggellamento;
   a procedere alla convalida, con effetto retroattivo, di tutte le disdette e richieste di esonero effettuate facendo decadere le pretese in essere a carico dell'utente di corrispondere quote di canone di abbonamento Rai che non costituiscano effettiva omissione, totale o parziale, relativa al pagamento di canoni antecedenti la disdetta con l'ulteriore effetto di procedere d'ufficio alla liquidazione di quanto indebitamente versato dagli abbonati;
   a prevedere la cancellazione dall'elenco degli obbligati al pagamento del canone del nominativo dell'utente che ha effettuato regolare disdetta e sia in possesso dei requisiti per l'esonero.
(1-00592) «Caparini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    il nostro Paese è in difficoltà economiche molto serie e, negli ultimi anni, sono state prese numerose misure volte a determinare risparmi di spesa, anche nel settore della difesa;
    l'attuale scenario internazionale ha, tuttavia, prepotentemente riportato al centro della discussione politica la necessità di assicurare un quadro di sicurezza per i cittadini e per il Paese;
    a tal proposito, a Newport nel Galles, in occasione del vertice Nato del 5 settembre 2014, è stato approvato il documento finale in cui i 28 leader si sono dichiarati d'accordo nell’«invertire la tendenza alla riduzione dei bilanci della difesa» e a portarli ad un minimo del 2 per cento del prodotto interno lordo;
    l'approvazione di tale documento dovrebbe portare ad un'inversione di tendenza per l'Occidente, che ha, in generale, ridotto le spese militari negli ultimi 25 anni: infatti, a parte Grecia (2,3 per cento) ed Estonia (2 per cento), i Paesi europei sono tutti sotto il requisito minimo del 2 per cento del prodotto interno lordo, con l'Italia che si attesta all'1,2 per cento;
    il Governo italiano si è impegnato in sede Nato a raggiungere l'obiettivo richiesto entro dieci anni e il Presidente del Consiglio dei ministri ha successivamente dichiarato che gli investimenti nella difesa saranno legati al cosiddetto piano dei mille giorni di cui «un pezzo è anche l'investimento in settori innovativi legati alla ricerca e la politica industriale collegata alla difesa»;
    l'Italia si trova ora al centro di una escalation di spese militari nella regione mediterranea e in quella mediorientale, circondata non più da Stati belligeranti al confine, ma da uno squilibrio di potere lungo i suoi confini;
    né il nostro Paese, né l'Europa, pur così attiva sul fronte dell'integrazione economica e giudiziaria, riesce più a darsi una politica estera e militare coerente, per non parlare di una politica comune;
    in merito alle disposizioni riguardanti il settore della difesa e i programmi da sviluppare, le disposizioni governative sono spesso contraddittorie; nel documento di economia e finanza 2014, da una parte, ci si chiede se siano effettivamente necessari investimenti militari e, dall'altra, non si riesce a dare una risposta sui benefici reali che tali tagli di spesa comporterebbero;
    è evidente la situazione economica in cui il Paese si trova ed è perciò opportuno avere ben chiare quali siano le risorse finanziarie disponibili, tenendo tuttavia presente che, trattandosi di progetti a lunga scadenza finalizzati alla sicurezza nazionale, proiettata, per di più, su uno scenario lontano nel tempo e imprevedibile, sarebbe bene avere al contempo una visione strategica;
    l'Italia partecipa fin dall'inizio al programma di sviluppo del velivolo F-35 e ha realizzato sul proprio territorio una struttura di final assembly end check-out (Faco), in grado di assemblare i velivoli e di svolgere anche attività di manutenzione e che costituisce, al momento, l'unica struttura di tale genere esistente al di fuori degli Stati Uniti d'America;
    il Ministero della difesa, in seguito all'approvazione di numerose mozioni da parte del Parlamento in data 28 marzo 2012, ha provveduto, nell'ambito del programma per la produzione e l'acquisto dei cacciabombardieri Joint Strike Fighter, a ridurre la commessa per la produzione e l'acquisto di tali cacciabombardieri da 131 a 90 velivoli;
    il Ministro della difesa, Roberta Pinotti, illustrando le linee politiche del suo dicastero, ha manifestato la propria intenzione di ripensare, rivedere e ridurre i grandi programmi d'arma, subordinando comunque le scelte fondamentali su questo tema alla predisposizione di un nuovo Libro bianco della difesa finalizzato a delineare le linee di sviluppo e di intervento della difesa italiana nei prossimi decenni;
    l'approvazione del documento conclusivo dell'indagine conoscitiva svolta dalla Commissione difesa della Camera dei deputati ha, comunque, ribadito la necessità di rinnovare la flotta aerea militare,

impegna il Governo

a contemperare le esigenze della difesa in materia di pianificazione dei programmi di ammodernamento e rinnovamento dei sistemi d'arma, delle opere, dei mezzi e dei beni direttamente destinati alla difesa nazionale, anche in riferimento al programma Joint Strike Fighter (F-35), con le più generali esigenze di contenimento della spesa pubblica, nel rispetto degli impegni assunti in sede internazionale e delle prerogative del Parlamento in materia di programmazione e pianificazione dei sistemi d'arma, tenendo conto della necessità di sviluppare e mantenere una solida base tecnologica e industriale come fattore di garanzia per la tutela degli interessi nazionali.
(1-00593) «Brunetta, Vito, Gelmini, Ciracì».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   secondo l'Ocse, l'Italia quest'anno registrerà una contrazione del prodotto interno lordo (Pil) dello 0,4 per cento dimostrando di essere in recessione e di ottenere il peggior risultato tra i Paesi del G7;
   anche per il 2016 la stima dell'Ocse del prodotto interno lordo italiano è negativa, nonostante sia prevista nel 2015 una possibile timida ripresa dello 0,1 per cento (+1,1 per cento la precedente stima);
   già i primi di agosto l'Istat aveva certificato il calo del prodotto interno lordo dello 0,2 per cento) dato peggiore da 14 anni a questa parte;
   l'agenzia di rating Standard & Poor (S&P) ha confermato di recente la criticità della situazione economica del nostro Paese, tagliando le stime del prodotto interno lordo, portandole a zero dal precedente +0,5 per cento previsto a giugno 2014 e spiegando che i ritardi nella realizzazione delle riforme strutturali annunciate fino ad oggi dal Governo «hanno impedito una risalita della fiducia di imprese e investimenti»;
   nel suo rapporto Standard & Poor parla dell’«incapacità» dell'Italia di uscire dalla recessione nel corso di quest'anno e spiega di aver sovrastimato alcuni fattori nelle sue precedenti stime come, in particolare, le misure di stimolo annunciate in marzo dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi, come gli 80 euro, che «non hanno avuto alcun effetto sui modelli di spesa»; infatti da tali provvedimenti Standard & Poor stimava inizialmente un impatto positivo sulla crescita italiana pari allo 0,3 per cento del prodotto interno lordo mentre ora dichiara che appare «più plausibile» soltanto uno 0,1 per cento;
   per quanto riguarda l'Eurozona, il prodotto interno lordo è stato rivisto al ribasso, sceso dall'1,2 allo 0,8 per cento dagli analisti dell'agenzia Standard & Poor che hanno individuato questi tre fattori alla base dei segnali di debolezza della zona dell'euro: «la crescita degli scambi mondiali abbastanza modesta; gli investimenti delle aziende che hanno mostrato solo piccoli segnali di ripresa; le sofferenze dell'Italia diventate più pronunciate»;
   a causa di una politica di grandi annunci e pochi fatti, il nostro Paese sembra ormai versare dunque in una stagnazione economica che di fatto non solo rende l'Italia fanalino di coda del G7, ma anche una minaccia per l'eurozona stessa, come sottolineato da Standard & Poor –:
   se il Presidente del Consiglio sia consapevole della situazione in cui versa il nostro Paese, anche alla luce dei deludenti risultati delle politiche messe finora in atto, risultati che si potevano già toccare con mano nell'impoverimento crescente degli italiani, e che sono stati tristemente confermati dagli analisti internazionali, e in che modo intenda giustificare le stime fatte precedentemente sulla crescita del prodotto interno lordo e sulla base delle quali è stata costruita la politica economica di questo Governo;
   con quali misure il Governo intenda intervenire in merito alla drammatica situazione in cui versa il nostro Paese, sia in sede nazionale attuando le tanto annunciate riforme strutturali, che in sede europea, anche in considerazione del ruolo centrale che il semestre italiano di presidenza dell'Unione europea conferisce al nostro Paese e che non sembra aver dato finora i risultati sperati.
(2-00676) «Sorial, Castelli, Caso, Brugnerotto, Cariello, Colonnese, Currò, D'Incà, Pesco, Ruocco, Cancelleri, Barbanti, Alberti, Pisano, Villarosa, Luigi Gallo, Brescia, Marzana, D'Uva, Di Benedetto, Vacca, Simone Valente, Battelli, Da Villa, Crippa, Prodani, Della Valle, Fantinati, Mucci, Vallascas, Luigi Di Maio».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   in data 25 marzo 2014, nel corso di un incontro con i sindacati della polizia di Stato, il Ministro dell'interno ha assunto l'impegno di sollecitare, in tempi brevi, il Ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione per l'avvio del tavolo del rinnovo contrattuale bloccato, ormai, dal 2009 nonché di procedere all'approvazione di una legge delega per il riordino delle carriere, reperendo nuove risorse;
   solo qualche giorno fa, il 3 settembre 2014, a margine dei lavori in Senato sulla legge delega di riforma della pubblica amministrazione, a proposito dei rinnovi contrattuali per i dipendenti pubblici il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione ha affermato che: «in questo momento di crisi le risorse per sbloccare i contratti a tutti non ci sono» e che, pertanto, gli stipendi degli statali resteranno bloccati anche nel 2015;
   nelle ultime ore il Ministro dell'interno ha riferito che: «ci sono le condizioni per lo sblocco degli stipendi delle forze di polizia», ma da ricostruzioni giornalistiche emerge come i costi dell'operazione – che ammonterebbero a 800 milioni di euro per lo sblocco dal 2015 – sono impossibili da stanziare entro il 31 dicembre 2014. Segnali positivi in questa direzione sono stati espressi anche dal Ministro della difesa e dallo stesso Presidente del Consiglio, ma il nodo da sciogliere resta quello delle coperture;
   sul sito di Equitalia Giustizia tra i dati patrimoniali del Fondo unico giustizia (FUG) al 30 giugno 2014 risultano euro 1.429.074.952 di risorse liquide – di cui euro 415.280.000 di risorse sequestrate «anticipate» allo Stato da Equitalia Giustizia ai sensi dell'articolo 2, comma 7, del decreto-legge n. 143 del 2008 – ed euro 2.057.923.085 di risorse non liquide, costituite da deposito titoli, «gestioni patrimoniali, gestione collettiva del risparmio, contratti assicurativi e mandati fiduciari. I decreti del Presidente del Consiglio dei ministri finora emanati per la riassegnazione delle risorse liquide hanno sempre previsto la destinazione del 48 per cento al Ministero dell'interno, del 48 per cento al Ministero della giustizia e del 2 per cento all'entrata del bilancio dello Stato e, ad oggi, le somme versate complessivamente da Equitalia Giustizia ammontano ad euro 809.625.837, cifra notevolmente inferiore alla reale disponibilità patrimoniale del Fondo unico giustizia. Sul punto già in data 13 febbraio 2014, nel corso della seduta n. 173, il Viceministro dell'economia e delle finanze in risposta all'interpellanza urgente n. 2-00361 ha spiegato che «gli ostacoli che impediscono l'integrale sfruttamento delle risorse del Fondo, ... sono stati ampiamente verificati in seno ad un tavolo tecnico coordinato lo scorso anno dal Ministero dell'economia e delle finanze, all'esito del quale si è convenuto sull'impossibilità di una utilizzazione proficua delle risorse finanziarie del Fondo unico giustizia mediante l'alienazione della relativa componente titoli. Il tema della vendibilità dei titoli sequestrati impatta, da un lato, con la necessità di tutelare le posizioni giuridiche soggettive degli imputati non condannati con sentenza definitiva – quindi rientriamo nel campo delle somme sequestrate e non confiscate – e, dall'altro, con quella di verificare le modalità di restituzione delle somme ricavate dalla vendita dei titoli già sequestrati, nel caso di dissequestro. Estremamente complessa appare, a monte, la stessa selezione dei titoli vendibili e la determinazione del prezzo di vendita, di talché è stata ipotizzata la vendita dei soli titoli quotati, considerato che, per quelli non quotati, la congruità del prezzo di vendita sarebbe contestabile per definizione, con conseguenti elevati rischi di contenzioso, in caso di successivo dissequestro. Da ultimo, deve precisarsi che la normativa vigente (articolo 6, comma 21-quinquies, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito dalla legge n. 122 del 2010, e articolo 10, comma 21, del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito dalla legge n. 11 del 2011) ha subordinato la possibilità di vendita degli strumenti finanziari sequestrati all'adozione di un successivo decreto del Presidente del Consiglio, che ne avrebbe dovuto determinare termini e modalità. Tale decreto, per tutte le difficoltà operative, che sono state sopra menzionate e che riguardano le norme contenute nella legge, non è ancora stato attuato»;
   appare evidente agli interpellanti che la vendita di titoli e prodotti finanziari già oggetto di confisca, oggi confluiti nel Fondo unico giustizia sotto la voce generica di «risorse non liquide», potrebbe contribuire in modo significativo al reperimento delle risorse necessarie allo sblocco dei contratti del comparto sicurezza –:
   a che punto siano i lavori per l'adozione del citato decreto del Presidente del Consiglio previsto dagli articoli 6, comma 21-quinquies, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, e 10, comma 21, del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito dalla legge n. 11 del 2011;
   quali determinazioni si intendano assumere per assegnare nel più breve tempo possibile le citate risorse del Fondo unico giustizia al Ministero dell'interno – come previsto dall'articolo 2, comma 7, del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181 – e consentire a quest'ultimo lo sblocco degli stipendi delle forze di polizia.
(2-00680) «Dambruoso, Mazziotti Di Celso, Bombassei, Capua, Catania, Causin, Cimmino, Matarrese, Molea, Monchiero, Oliaro, Rabino, Sottanelli, Vargiu, Vitelli».

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso che la cronaca abruzzese de Il Tempo dal 13 ottobre 2014 sarà chiusa per scelta della proprietà del quotidiano romano e tutti i giornalisti saranno posti in cassa integrazione;
   l'edizione de Il Tempo Abruzzo ha una tradizione storica nell'informazione abruzzese e ha accompagnato la comunità abruzzese per decenni fornendo notizie e contribuendo alla maturazione di una identità culturale regionale;
   quando un giornale chiude è l'intera democrazia che ne soffre ed è forte il danno per i cittadini che avranno più difficoltà a farsi un'opinione sulle cose che accadono nella vita istituzionale, politica, sociale e culturale dell'Abruzzo –:
   se il Governo non ritenga necessario, per quanto di competenza, convocare un tavolo di confronto con la proprietà de Il Tempo, il sindacato e la regione Abruzzo per riflettere su questa scelta così negativa ed individuare un percorso virtuoso che consenta ad una esperienza straordinariamente importante per la comunità abruzzese di rinnovarsi e continuare a vivere risolvendo i problemi che attraversa. (4-06033)


   CAPARINI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dando attuazione alle deliberazioni del Consiglio europeo, il COREPER dell'Unione europea ha deciso di dare attuazione ad una nuova ondata di sanzioni contro la Federazione russa, che la sottopone ad un embargo anche per le forniture di materiali d'armamento;
   le restrizioni varate non parrebbero comprendere le armi venatorie, ma sarebbe stata lasciata ai singoli Stati dell'Unione europea la libertà di decretare misure più rigorose;
   che l'embargo si riferisca ai soli materiali d'armamento e non alle armi venatorie pare essere riconosciuto anche dal Ministero dell'interno, ancorché, sondato più volte dalle associazioni dei produttori di armi da caccia, questi abbia più volte sostenuto di attendere un parere al riguardo da altri enti governativi;
   il Ministero degli affari esteri sembrerebbe non avere obiezioni alle esportazioni di armi a canna liscia verso la Russia e secondo indiscrezioni delle licenze sarebbero sul punto di essere concesse;
   la Spagna non ha sospeso le proprie esportazioni di armi a canna lisca verso la Federazione russa;
   tra il 6 e il 9 ottobre 2014 avrà luogo a Mosca una fiera delle armi sportivo-venatorie alla quale diverse aziende italiane hanno programmato di partecipare, prenotando voli, alberghi e spazi espositivi nonché preparando un certo numero di armi, che tuttavia necessitano di tempo per quanto attiene al loro sdoganamento;
   il mercato russo delle armi sportivo-venatorie vale non meno di 30 milioni di euro per i produttori del nostro Paese, ai quali ne vanno sommati altri 30 per le munizioni, al punto che non sono poche le aziende per le quali la Federazione russa vale un terzo del fatturato e che oggi si trovano in grande difficoltà, con il rischio di dover mettere il personale in cassa integrazione, pur avendo ordini da evadere –:
   quale interpretazione il Governo ritenga di dover dare ai contenuti dell'embargo recentemente decretato in materia di esportazione d'armamenti verso la Federazione russa e cosa si attenda a far sapere alle aziende del nostro Paese produttrici di armi sportivo-venatorie a canna liscia che i loro prodotti non rientrano nel campo d'applicazione delle nuove sanzioni appena varate. (4-06038)


   NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nell'attuale, grave mancanza del commissario per il rientro dal debito sanitario della regione Calabria, da notizie stampa si è appreso che la giunta regionale calabrese procederà in prorogatio alla nomina di commissari di aziende ospedaliere e/o sanitarie, sulla scorta di un parere pro veritate commissionato al costituzionalista professor Michele Ainis, pagato di fatto dai contribuenti;
   nella giunta e nel consiglio regionale della Calabria in prorogatio vi sono obiettive posizioni di conflitto d'interessi, per esempio del consigliere regionale Ennio Morrone, di Forza Italia, e della presidente della regione Antonella Stasi;
   il succitato Morrone possiede – come da lui ammesso in una nota pubblicata sul sito della testata giornalistica Il Corriere della Calabria – quote minoritarie di una clinica privata;
   la presidente Stasi è la moglie dell'imprenditore Massimo Marrelli, che a Crotone intende aprire un ospedale oncologico, su cui l'interrogante ha presentato il 28 luglio 2014 l'interrogazione a risposta scritta n. 4-05709;
   nell'atto di sindacato ispettivo testé ricordato è riportata la temporanea abolizione – operata dal decreto-legge 90 del 2014 – della verifica regionale circa il fabbisogno di specifiche strutture sanitarie sul territorio, che poteva consentire a Marrelli – e in tutta Italia ad altri imprenditori nella sua stessa situazione burocratica – di avviare la riferita attività senza la verifica de qua;
   l'imprenditore Marrelli potrebbe avviare la precisata attività sanitaria, pur al di fuori del fabbisogno sul territorio, in virtù del vigente D.P.G.R. C.A. (per la regione Calabria) n. 151 del 19 dicembre 2013, il quale dispone che «la sospensione dei procedimenti per il rilascio dell'autorizzazione sanitaria all'esercizio e dell'autorizzazione sanitaria alla realizzazione, come già previsto per l'accreditamento dal testo originario del D.P.G.R. n. 4/2010, come modificato e integrato dal D.P.G.R. n. 9/2010, resta efficace “fino all'avvenuta adozione del piano di riassetto della rete ospedaliera, della rete laboratoristica e della rete di assistenza specialistica ambulatoriale, tranne quelle necessarie all'attuazione del Piano di rientro” che dovrà intervenire entro 60 giorni dalla pubblicazione del presente provvedimento sul Bollettino Regionale»;
   peraltro, il suddetto termine di «60 giorni», originariamente di 120, risulta nel D.P.G.R. C.A. n. 151 del 2013 modificato a penna, e scavalca la previsione della necessità di completamento della rete assistenziale di cui allo stesso atto, ponendosi con la medesima previsione in rapporto di contraddittorietà insanabile e prestando il fianco, allora, a ipotesi su possibili situazioni di favore politico a privati;
   molto di recente, poi, sul sito di Il Corriere della Calabria è stata data la notizia che il consiglio regionale della Calabria ha approvato una serie di nomine, cioè «dei membri del: consiglio di amministrazione di Sogas; Fincalabra; Azienda Calabria verde; Fondazione Arbereshe di Calabria; Fondazione calabro-greca; Fondazione Occitana di Calabria; Comitato per le servitù militari; Comitato dell'Accademia arte drammatica; Fondazione Fortunato Seminara; collegi sindacali delle cinque Aziende sanitarie; delle quattro Aziende ospedaliere; Comitato regionale Inps; Consorzio del bergamotto; Comitato di coordinamento dell'associazione teatro Calabria; Commissione per la misura del rumore nell'aeroporto Sant'Anna di Isola Capo Rizzuto; Coordinamento regionale Progetto donna; Comitato di esperti per l'attività teatrale; Consorzio per la tutela del cedro; Casa dei vini in Calabria; Casa degli oli extravergini; Collegio dei sindaci dell'azienda per lo sviluppo dell'agricoltura»;
   la testata giornalistica succitata ha precisato che «l'Aula ha delegato il presidente del Consiglio Talarico che – secondo le indicazioni arrivate dalla maggioranza – dovrà procedere con le nomine caratterizzate da “indifferibilità e urgenza”»;
   tutte le nomine sono perseguite malgrado oggettive limitazioni di potere in capo alla giunta e al consiglio regionale della Calabria, in prorogatio;
   il dirigente generale del dipartimento «organizzazione e personale» della regione Calabria, avvocato Umberto Nucara, nell'ambito delle proprie competenze d'ufficio ha bloccato le nomine dei dirigenti apicali da parte della giunta, come si è appreso da notizie stampa;
   lo stesso dirigente generale ha rappresentato al presidente facente funzioni della regione Calabria – e all'esecutivo tutto – l'impossibilità della giunta di procedere, nell'attuale regime di prorogatio, alle nomine di dirigenti di vertice dell'Ente;
   in virtù della suddetta nota d'ufficio – nella quale, a proposito della restrizione dei poteri in prorogatio, è citata la sentenza della Corte costituzionale n. 68 del 2010 e l'analoga del Consiglio di Stato n. 180 del 14 dicembre 2010 – i direttori generali dei dipartimenti regionali «Cultura», «Tutela della Salute» e «Lavori Pubblici» sono stati nominati soltanto quali meri reggenti e con la ratio della necessaria continuità amministrativo-gestionale in considerazione della situazione della regione Calabria conseguente alla decadenza ed alle dimissioni del governatore regionale, condannato in primo grado e interdetto perpetuamente dai pubblici uffici ai sensi del decreto legislativo 31 dicembre 2012 n. 235, rubricato come testo unico in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell'articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190;
   a rafforzare la riduzione di poteri prodotta dalla predetta decadenza, si rammenta che l'articolo 33 dello statuto della regione Calabria prevede, al comma 6, «nuove elezioni del Consiglio e del Presidente della Giunta in caso di rimozione, impedimento permanente, morte, incompatibilità sopravvenuta e dimissioni volontarie del Presidente», mentre al comma 7 prescrive che «il Presidente della Giunta e la Giunta rimangono in carica fino alla proclamazione del nuovo Presidente»;
   il 29 agosto 2014 l'Avvocatura generale dello Stato ha recapitato alla struttura commissariale per il rientro dal debito nella sanità calabrese un parere in cui ha escluso tassativamente, nell'attuale regime di prorogatio della giunta e del consiglio regionale della Calabria, che l'esecutivo regionale possa legittimamente procedere a nomina di dirigenti apicali nella sanità, il principio valendo per tutte le nomine dirigenziali di competenza di giunta e consiglio regionale;
   in un successivo comunicato stampa congiunto, sempre con riferimento alle nomine in argomento, i Ministeri della salute e dell'economia e delle finanze hanno puntualizzato che «l'Avvocatura dello Stato, alla quale si sono rivolti i sub-commissari per l'attuazione del Piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario della regione Calabria, ha recisamente escluso che una giunta regionale in regime di prorogatio possa procedere a tali nomine, escludendo altresì che in luogo di direttori generali possano essere nominati commissari straordinari»;
   nel predetto comunicato dei due Ministeri viene esplicitato che «tale posizione è pienamente condivisa dal ministero della Salute che, assieme al ministero dell'economia e delle finanze e per il tramite dell'organo commissariale, vigilerà per garantirne il rispetto»;
   il 14 settembre 2014, il Ministero della salute ha pubblicato sul proprio sito istituzionale un nuovo comunicato stampa in cui ha esplicitamente ammonito – con dichiarata propensione, nel caso, a investire la magistratura – la giunta regionale della Calabria rispetto alla ventilate, suddette nomine nella sanità, difendendo il buon operato dei sub-commissari, di uno dei quali – il generale della Guardia di Finanza Luciano Pezzi – l'esecutivo della Calabria ha con meri pretesti richiesto al Governo la revoca dell'incarico;
   a parere dell'interrogante, poi, la questione sulla possibilità di procedere alle nomine da parte della giunta regionale in prorogatio assume importanza subordinata;
   a tale ultimo riguardo, infatti, si rammenta la delibera del Consiglio dei ministri del 30 luglio 2010 con la quale si dispone, fra l'altro, la nomina del Presidente pro tempore della Giunta della Regione Calabria quale Commissario ad acta per l'attuazione del vigente piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario;
   l'interrogante ritiene che ai sensi e per gli effetti dell'articolo 120 della Costituzione, con decorrenza dalla suddetta deliberazione del Consiglio dei ministri, le funzioni nella materia sono attratte al Governo centrale che le esercita tramite il predetto commissario;
   l'assunto in argomento non appartiene alla interrogante bensì costituisce un principio attestato da un importante organo istituzionale, la giunta della regione Calabria;
   in proposito, con DGR n. 730 del 16 novembre 2010 proposta dalla (allora) vicepresidente Antonella Stasi, la stessa giunta, relativamente a un'ordinanza di reintegro emessa dal tribunale di Reggio Calabria di un direttore generale rimosso dall'esecutivo guidato da Giuseppe Scopelliti, dichiara nelle premesse alla delibera che la funzione è attratta dal governo centrale che la esercita attraverso il commissario ad acta –:
   in che modo, cioè con quali provvedimenti urgenti, intendano garantire – come dichiarato alla stampa – il rispetto della riferita posizione dell'Avvocatura dello Stato, «pienamente condivisa dal ministero della Salute» «assieme al ministero dell'economia e delle finanze»;
   se non ritengano indispensabile consentire al sub-commissario Pezzi di continuare il lavoro per ultimare il piano di rientro dal debito sanitario della regione Calabria;
   se non ritengano di nominare immediatamente il commissario per il suddetto piano, la cui mancanza ha già causato confusione e problemi di organizzazione, forse anche con danni erariali. (4-06040)


   VACCA, SIMONE VALENTE, GIACHETTI, DEL GROSSO e DI BATTISTA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   la Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC) è una associazione riconosciuta con personalità giuridica di diritto privato federata al Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) avente lo scopo di promuovere e disciplinare l'attività del gioco del calcio e gli aspetti ad essa connessi;
   il CONI, assegna ed eroga contributi, in relazione alle proprie finalità istituzionali e al proprio ruolo nel «sistema sport» italiano e internazionale, alle Federazioni sportive nazionali: la FIGC solo quest'anno ha visto assegnare un contributo a proprio favore pari a euro 68.596.956, circa il 30 per cento del totale dei contributi CONI alle federazioni sportive;
   l'11 agosto 2014 Carlo Tavecchio è stato eletto presidente della FIGC nonostante le numerose polemiche legate alle sue frasi razziste e alle condanne penali a proprio carico;
   da notizie di stampa sembrerebbe che Claudio Lotito abbia avuto un ruolo di primo piano nella elezione di Carlo Tavecchio a Presidente della FIGC;
   Claudio Lotito è membro del Comitato di Presidenza della FIGC e del Consiglio Federale;
   negli scorsi giorni si è appreso dagli organi di stampa della forte presenza di Lotito durante le attività di preparazione e ritiro della nazionale di calcio italiana sia a Bari che a Oslo, tanto da generare polemiche sugli organi di stampa;
   a seguito di queste polemiche Claudio Lotito si è difeso dichiarando che la sua presenza nei ritiri azzurri e al fianco di Tavecchio è giustificata dal ruolo ricoperto come consigliere federale della FIGC –:
   se non sia opportuno che le federazioni sportive, ed in questo caso la FIGC, limitino le spese connesse alla loro attività, considerati i contributi pubblici che ricevono, con particolare riferimento a quelle, ad avviso degli interroganti, superflue – come ad esempio la presenza dei membri del comitato di presidenza della FIGC al fianco del Presidente – considerando che appare più che sufficiente la presenza del Presidente come rappresentante della Federazione medesima in ogni contesto ufficiale. (4-06043)

AFFARI ESTERI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro degli affari esteri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   in data 7 agosto 2014 il Governo della federazione russa ha approvato una risoluzione per implementare il Presidential Executive Order n. 560 del 6 agosto 2014 sull'adozione di speciali misure economiche per la quale viene bandita, per un anno, l'importazione di una serie di prodotti agricoli, materie prime e prodotti alimentari da quei Paesi che hanno imposto sanzioni economiche contro la popolazione e le compagnie russe a seguito della nota crisi ucraina. Tra questi compaiono, assieme a Canada, Australia, Stati Uniti d'America e Norvegia, anche i membri dell'Unione europea, inclusa chiaramente l'Italia;
   tra le merci bandite figurano: frutta, vegetali, carni, pesce, latte ed altri prodotti caseari;
   secondo il documento «Federazione Russa, analisi delle esportazioni italiane» dell’Italian Trade Agency, pubblicato nel febbraio 2014, il settore dei beni di consumo made in Italy, nello specifico il segmento agroalimentare e delle bevande rappresenta, da solo, il 10 per cento del nostro mercato e, in particolare, le vendite di pasta nel 2013 avrebbero visto un incremento pari al 28,8 per cento, il caffè del 21,7 per cento, latte e derivati del 45 per cento e olio d'oliva del 25,1 per cento rispetto al 2012;
   secondo una indagine pubblicata da La Stampa il giorno 8 agosto 2014, anche alcune tra le nostre aziende di eccellenza verrebbero danneggiate dalle ritorsioni commerciali russe: tra tutti, Il Consorzio del parmigiano reggiano vedrebbe crollare i propri introiti, stando almeno ai dati relativi alle esportazioni nel 2013, in cui si sarebbe raggiunto un fatturato pari a 5,8 milioni di euro; lo stesso dicasi per l'Associazione industriali delle carni e dei salumi che stima, sempre secondo l'articolo sopra citato, danni fino a 55 milioni di euro;
   da una analisi di Coldiretti effettuata su dati Istat, le vendite all'estero di pecorino e fiore sardo risulterebbero in aumento del 20 per cento nel primo quadrimestre del 2014, facendone i prodotti più esportati tra gli alimentari made in Italy. Secondo quanto riporta il quotidiano Unione Sarda, nel solo 2013, i quintali di formaggio inviati a Mosca sarebbero stati 1.700, per un valore di 1,5 milioni di euro. Il pecorino romano invece, passato dal 2011 al 2013, da 4,8 a 8,2 euro al chilogrammo superando per la prima volta la quotazione di 8 euro del parmigiano reggiano a 12 mesi di stagionatura (anch'esso, come noto, tra le più apprezzate eccellenze della gastronomia nostrana) potrebbe subire un calo negli acquisti futuri in Russia se, durante il periodo che interesserà il blocco, il consumo del suddetto prodotto dovesse sostituirsi, nelle abitudini locali, con altri provenienti da Paesi differenti;
   secondo l'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane, la decisione del Governo russo potrebbe addirittura determinare un calo del 25 per cento del nostro export in Russia e, sulla base dei ricavi relativi ai dati del 2013, i settori interessati potrebbero registrare un danno di circa 100 milioni di euro;
   secondo quanto riportato da un editoriale de Il Sole 24 ore del 31 agosto 2014 la risposta del Cremlino alle nuove sanzioni concordate dall'Unione europea, non tarderà a produrre i suoi effetti. Certo le contromisure russe non andrebbero ad assumere i connotati di sanzioni ufficiali, ma potrebbero essere, almeno formalmente, semplici iniziative di carattere economico tese a colpire le partnership commerciali con la Unione europea e l'Italia risulterà, dato l'enorme bagaglio di eccellenze che fino ad oggi le ha consentito di primeggiare sul difficile e fruttuoso mercato russo, tra i paesi maggiormente danneggiati. A partire dal primo settembre 2014, infatti, in accordo con le dichiarazioni del luglio 2014 di Medvedev, il Paese ha cessato di esportare pelli per il mercato europeo con conseguenti ripercussioni nell'industria conciaria italiana che si avvale di materie prime importate dall'estero;
   l'Unione europea ha varato delle contromisure – e ne sta valutando di ulteriori – atte a sostenere il mercato europeo agroalimentare e le stesse dovrebbero contribuire ad arginare le sicure perdite, quantomeno fino al mese di ottobre 2014;
   il tema proposto dal Governo per l'EXPO 2015 riguarderà la nutrizione del pianeta, nella sottintesa volontà di contribuire a promuovere le eccellenze italiane nel mondo esaltando la qualità dei prodotti alimentari italiani;
   tra le molte eccellenze, il mercato italiano può vantare una insuperabile offerta alimentare e, tra le principali attività artigiane spicca, in Europa e nel mondo, l'industria conciaria e, più in generale, il made in Italy è simbolo di qualità ed unicità nonché di tradizione e storia e tale marchio rappresenta e deve continuare ad imporsi come una garanzia nel mondo tanto dal punto di vista alimentare che manifatturiero –:
   se e quali misure il Governo intenda adottare per tutelare e sostenere l'economia italiana alla luce delle pesanti contromisure che il Governo russo si appresta ad applicare in risposta alle sanzioni europee che, con ogni evidenza e più di ogni altro Paese dell'Unione – causa il crollo delle esportazioni – andranno a penalizzare l'Italia, colpendo gravemente settori strategici della economia nazionale quali l'abbigliamento, l'artigianato di lusso e svariate produzioni alimentari, specialmente in una fase economica – quella attuale – particolarmente deflattiva e a ridosso di un evento di portata internazionale quale il sopra citato Expo 2015.
(2-00675) «Grande, Manlio Di Stefano, Di Battista, Sibilia, Del Grosso, Spadoni, Scagliusi, Villarosa».

Interrogazione a risposta scritta:


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, SEGONI, TERZONI, ZOLEZZI e MICILLO. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i rifiuti radioattivi attualmente presenti in Italia derivano, prevalentemente, dal pregresso programma nucleare, e si trovano nelle installazioni gestite dalla Sogin spa — Centrali nucleari di Trino, del Garigliano, di Latina e di Caorso, definitivamente spente negli anni ottanta, degli impianti EUREX di Saluggia ed ITREC della Trisaia (MT) dell'ex ENEA, degli impianti Plutonio ed OPEC presso il Centro della Casaccia (Roma), nel Deposito Avogadro di Saluggia (VC), della Deposito Avogadro S.p.A. — e nelle installazioni del Centro Comune di Ricerche di Ispra (VA) della Commissione Europea;
   a questi rifiuti si aggiungono i rifiuti prodotti dalle installazioni militari, quelli di origine medica, industriale e di ricerca, per i quali si registra una produzione di alcune centinaia di metri cubi l'anno. Tali rifiuti trovano collocazione presso le installazioni di alcuni operatori nazionali, le più rilevanti delle quali sono le installazioni della Nucleco, presso il Centro ENEA della Casaccia;
   in Italia, i rifiuti radioattivi sono classificati in tre categorie, secondo il grado di pericolosità radiologica:
    a) I categoria: rifiuti radioattivi la cui radioattività decade fino al livello del fondo naturale in tempi dell'ordine di mesi o al massimo di qualche anno. A questa categoria appartengono una parte dei rifiuti da impieghi medici o di ricerca scientifica;
    b) II categoria: rifiuti radioattivi a bassa/media attività o a vita breve, che perdono quasi completamente la loro radioattività in un tempo dell'ordine di qualche secolo;
    c) III categoria: rifiuti radioattivi ad alta attività o a vita lunga, per il decadimento dei quali sono necessari periodi molto più lunghi, da migliaia a centinaia di migliaia di anni;
   i rifiuti radioattivi, classificati in relazione alla tipologia dei radionuclidi presenti secondo i criteri di classificazione definiti nella guida tecnica n. 26 dell'ISPRA, ammontano, al dicembre 2012, secondo la banca dati dell'ISPRA predisposta sulla base dei dati forniti annualmente dagli esercenti, a circa 27.000 metri cubi per la prima e seconda categoria e 1.700 metri cubi per la terza;
   a tali rifiuti andranno ad aggiungersi circa 30.000 metri cubi, prevalentemente di seconda categoria, derivanti dalle operazioni di disattivazione delle installazioni;
   come è noto, non esiste in Italia un deposito centralizzato per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi di seconda categoria e per lo stoccaggio a lungo termine di quelli di terza. I rifiuti radioattivi già prodotti e quelli che continuano ad essere prodotti nelle attività di mantenimento in sicurezza degli impianti, o propedeutiche allo smantellamento, dovranno pertanto continuare ad essere stoccati presso gli stessi siti;
   il combustibile estratto (scaricato) dai reattori contiene ancora una grandissima quantità di elementi fertili (torio, uranio 238) e fissili (uranio 233, 235, plutonio) potenzialmente utilizzabili. In particolare le scorie degli attuali reattori seconda e terza generazione funzionanti ad uranio) contengono una grandissima quantità di U238 (94 per cento), una piccola quantità di U235 e di plutonio (2 per cento) una ancor minore quantità di altri nuclei pesanti (attinoidi) mentre un 3-4 per cento è dato dagli atomi «spezzati» cioè dai prodotti di fissione;
   benché il plutonio sia radiotossico, il suo recupero insieme all'uranio 233 e 235 è talvolta, attuato; il problema è che tali atomi sono frammisti ai prodotti di fissione (anch'essi altamente radiotossici) e vanno dunque separati. Tale processo è detto ritrattamento o riprocessamento delle scorie e produce da un lato nuovi elementi fertili e fissili, dall'altra delle scorie inutilizzabili ed estremamente pericolose che devono essere collocate in luoghi sicuri. Per quanto riguarda i costi, dovendo operare sul «combustibile irraggiato» cioè «spento» ovvero altamente radioattivo, il ritrattamento è una operazione estremamente onerosa e non è detto che sia sempre economicamente conveniente effettuarla;
   va considerato inoltre sottolineato che gli impianti di ritrattamento (così come quelli di arricchimento) sono ovviamente a rischio di incidente nucleare; lo stesso trasporto dei materiali da e per questi impianti è soggetto a rischi. Alcuni degli incidenti più gravi oggi noti sono infatti avvenuti in queste installazioni. Per tali motivi non è detto che il ritrattamento venga attuato (alcuni paesi come gli USA hanno deciso di non ritrattare il combustibile esausto): pertanto con «scorie» si può intendere sia il combustibile scaricato dai reattori, sia lo scarto inutilizzabile dei processi di ritrattamento. Nei due casi i volumi da smaltire (così come i rischi e le problematiche citate) sono molto differenti;
   per quanto riguarda il combustibile nucleare italiano irraggiato derivante dall'esercizio delle centrali nucleari, esso è in gran parte (circa 1630 tonnellate) stato trasferito negli anni passati nel Regno Unito. Nel 2006 è stato stipulato un accordo intergovernativo con la Francia per il riprocessamento delle 235 tonnellate restanti (190 nella centrale di Caorso e 45 nel deposito Avogadro e nella centrale di Trino). Tale accordo prevede il completamento delle operazioni di trasferimento entro il 2015 ed il rientro dei residui in Italia tra il 2020 ed il 2025. Va detto che a seguito del complesso delle operazioni di riprocessamento all'estero dovranno rientrare in Italia alcune decine di metri cubi di rifiuti condizionati ad alta attività;
   nell'audizione dell'ISPRA avvenuta presso le Commissioni VIII e X della Camera dei deputati il 30 ottobre 2013 si è appreso che nell'ambito del suddetto accordo con la Francia è stato completato nel 2010 il trasferimento delle 190 tonnellate di Caorso. Risultavano ancora da trasferire circa 30(t). Va detto che negli anni recenti il trasferimento del combustibile dai siti piemontesi, ripreso nello scorso anno, è proceduto con notevoli difficoltà anche per le note vicende della Val di Susa. Il programma sarebbe attualmente sospeso per il diniego espresso dalle autorità francesi al trasferimento dei rimanenti quantitativi in relazione, da un lato, all'assenza di una specifica autorizzazione per l'impianto di ricezione di La Hague a trattare il combustibile ad ossidi misti presente nel deposito Avogadro, e dall'altro, ed è quello più importante, sul piano più politico, alla necessità, sempre da parte francese, di avere evidenza di concreti progressi in merito alla realizzazione del deposito nazionale, destinato a ricevere i residui derivanti dalle operazioni di ritrattamento;
   la notizia della sospensione del trasferimento dei combustibili italiani in Francia è stata ripresa dalla stampa in questi giorni a seguito di una mozione presentata in consiglio regionale del Piemonte;
   la Stampa di Vercelli in data 11 settembre 2014 riportava un'intervista rilasciata dal neo Presidente di regione Sergio Chiamparino il quale afferma che i vertici SOGIN, da lui interpellati, lo avrebbero assicurato che «i viaggi riprenderanno», intendendo i vincoli oggetto dell'accordo italo francese sul riprocessamento;
   in vista della realizzazione del deposito unico nazionale, anche a seguito dell'emanazione del decreto legislativo n. 45 del 2014 di attuazione della direttiva 2011/70/EURATOM afferente alla «gestione responsabile e sicurezza del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi», pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 71 del 26 marzo 2014 che ha sancito la nascita dell'ISIN: ispettorato per la sicurezza nucleare e la radioprotezione, permangono dubbi e incertezze sull’iter previsto, anche in considerazione della mancata nomina dei vertici dell'ISIN stessa, tema sulla quale il primo firmatario del presente atto ha presentato già un'interrogazione (4-05411) –:
   se i Ministri interrogato non ritengano opportuno comunicare con massima trasparenza la situazione inerente l'accordo tra Francia e Italia sul trattamento di 235 tonnellate di combustibili nucleari usati italiani firmato il 24 novembre 2006 e attualmente in vigore;
   in vista della realizzazione del deposito unico nazionale ed in attesa delle nomine dell'ISIN, così come previsto dal decreto legislativo n. 45 del 2014, se il Governo non ritenga opportuno stilare e rendere pubblico un cronoprogramma certo riguardo le decisioni da adottare per configurare una policy nazionale che individui gli attori istituzionali necessari affidando loro compiti complementari e congruenti in conformità agli standard Ue ed internazionali. (4-06031)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   i cosiddetti «richiami vivi» sono uccelli che vengono catturati in maniera non selettiva in «roccoli» e «prodine» mediante reti da uccellagione a maglie molto sottili, quasi invisibili;
   tali tecniche non solo sono vietate dalla direttiva dell'Unione europea n. 2009/147/CE (cosiddetta direttiva uccelli) ma sono pratiche, ad avviso dell'interrogante, incivili, con le quali migliaia di piccoli uccelli migratori, dopo aver affrontano un lunghissimo viaggio dal Nord Europa, giunti in Italia, vengono catturati e tenuti in condizioni igieniche, etologiche e fisiologiche barbare e crudeli, sottoposti a massicce cure ormonali allo scopo di aumentare le loro capacità canore per essere utilizzati come «richiami vivi» per l'uccisione di altri animali selvatici;
   la direttiva vieta di uccidere deliberatamente alcune specie di uccelli espressamente contemplate, mentre autorizza la caccia di talune specie a condizione che i metodi di caccia utilizzati rispettino alcuni basilari principi quali il divieto di caccia durante il periodo della migrazione o della riproduzione, divieto di metodi di cattura in massa o non selettiva;
   l'articolo 9 della direttiva prevede che gli Stati membri possano derogare ai divieti a condizione che non vi siano soluzioni alternative soddisfacenti e che tali deroghe siano giustificate:
    a) nell'interesse della salute e della sicurezza pubblica, nell'interesse della sicurezza aerea, per prevenire gravi danni alle colture, al bestiame, ai boschi, alla pesca e alle acque, per la protezione della flora e della fauna;
    b) ai fini della ricerca e dell'insegnamento, del ripopolamento e della reintroduzione nonché per l'allevamento connesso a tali operazioni;
    c) per consentire in condizioni rigidamente controllate e in modo selettivo la cattura, la detenzione o altri impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantità;
   ai sensi della legge nazionale n. 157 del 1992 l'esercizio delle deroghe previste dalla direttiva sono esercitate, sentito l'ISPRA, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, dalle regioni nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 9 su richiamato, ma le deroghe che troppo facilmente sono state concesse da alcune regioni, oltre che palesemente illegittime e non conformi alla normativa, sono anche contrarie ai continui pareri negativi dell'ISPRA che, ancora il 24 maggio 2013, si era detto sfavorevole alla riapertura dei «roccoli» per la stagione 2013/2014, sottolineando invece la necessità di attuare metodi alternativi quali l'allevamento degli uccelli in cattività e rilevando la totale assenza di dati certi sul fabbisogno di richiami vivi per i cacciatori;
   la Commissione europea, con lettera del febbraio 2014, ha formalmente aperto una procedura di infrazione e ha messo in mora la Repubblica italiana (procedura n. 2014 2006) contestando il mancato rispetto degli articoli 8 e 9 della direttiva, richiamando l'esigenza di controllare l'operato delle regioni nell'applicazione delle normativa;
   le misure nel frattempo messe in atto sia in sede di approvazione della «Legge Europea» 2014 sia in sede di conversione in legge del decreto-legge n. 91 del 2014 non sono sufficienti;
   se infatti l'articolo 16 del suddetto decreto-legge n. 91 del 2014, nel testo presentato dal Governo, sembrava andare nella giusta direzione con il divieto esplicito di catturare gli uccelli selvatici ai fini di richiamo pur mantenendo aperta la possibilità di derogare a tale divieto ai sensi dell'articolo 19-bis della legge n. 157 del 1992, il testo approvato dal Senato e convertito in legge è molto meno vincolante, con il solo riferimento generico alla possibilità di deroga e il rimando a un decreto del Presidente del Consiglio, da applicarsi entro un anno, che regolerà la materia;
   il documento della Commissione europea fa innanzitutto notare che le deroghe concesse da varie regioni non sono state oggetto di un controllo costante e tempestivo dello Stato e che non è stato tenuto conto di quanto prevede la direttiva circa la valutazione, tra le altre cose, di soluzioni alternative alla concessione della deroga. La Commissione sottolinea che vi sono alternative valide ai richiami vivi, come richiami a bocca o tutt'al più richiami di allevamento, alternative ampiamente utilizzate da molte regioni italiane e da tutti gli altri Stati membri ad eccezione dell'Italia –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro per affrontare risolutamente il problema dei «richiami vivi» che sono in totale antitesi con la biologia, l'etologia, l'ecologia e la fisiologia degli uccelli, per rispondere alla procedura di messa in mora 2014 2006 della Commissione europea ed evitare le pesanti sanzioni che ne deriverebbero a carico di tutti i contribuenti e per conformare la nostra legislazione in materia al senso etico della maggior parte dei cittadini italiani e per rendere vincolante oltre che obbligatorio il parere dell'ISPRA.
(2-00678) «Tacconi, Pisicchio».

Interrogazioni a risposta immediata:


   PANNARALE, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, DURANTI, DANIELE FARINA, FERRARA, FRATOIANNI, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, MARCON, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, SCOTTO e ZARATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il progetto Trans Adriatic pipeline (TAP) – in base all'accordo siglato ad Atene in data 13 febbraio 2013 dalla Repubblica di Albania, la Repubblica greca e la Repubblica italiana – prevede la costruzione di un gasdotto lungo 871 chilometri finalizzato al trasporto di gas naturale dalla regione caspica alla costa meridionale della Puglia, con attraversamento dei territori greco (510 chilometri), albanese (151 chilometri) e il passaggio nel Mar adriatico;
   il percorso del gas, trasportato mediante una condotta in acciaio, prevede una competenza italiana di circa 50 chilometri, di cui 45 offshore e 8 onshore. Quest'ultimo tratto di condotta dovrebbe concludersi presso il terminale di ricezione del gas da ubicare, come da progetto, nella località turistica di San Foca, in prossimità del comune di Melendugno (Lecce);
   la capacità iniziale di gas viene quantificata in 10 miliardi di metri cubi per anno, potenzialmente espandibili, senza precisazioni su tempi e modalità, a 20 miliardi;
   il Gruppo parlamentare di Sinistra, ecologia e libertà ha ripetutamente espresso la propria contrarietà al progetto in sede di ratifica dell'accordo tra la Repubblica greca e la Repubblica italiana sul progetto Trans Adriatic pipeline;
   la regione Puglia e, più in generale, le istituzioni locali hanno comunicato in diverse occasioni la propria contrarietà al progetto;
   la regione Puglia, già attraverso la deliberazione della giunta regionale n. 1805 del 18 settembre 2012, aveva espresso un giudizio negativo di compatibilità ambientale in merito al primo progetto Trans Adriatic pipeline presentato nel marzo del 2012, per il quale anche il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio aveva richiesto corpose integrazioni; i termini assegnati erano stati oggetto di numerose proroghe e la variante al progetto è stata presentata solamente nel settembre 2013;
   la regione Puglia ha avviato un percorso partecipato di valutazione del progetto Trans Adriatic pipeline, conclusosi a Lecce nel dicembre 2013. Tale percorso ha reso evidente la forte contrarietà degli enti locali, di numerose associazioni ambientaliste e stakeholder (pesca e turismo) alla realizzazione del gasdotto, in particolare in relazione al previsto approdo nella località di San Foca;
   il comitato regionale di valutazione di impatto ambientale ha espresso, nella seduta del 14 gennaio 2014, parere negativo alla realizzazione del progetto proposto dalla Trans Adriatic pipeline, basandosi sui numerosi pareri, osservazioni e contributi pervenuti. Il comitato ha segnalato la totale assenza, nello studio di impatto ambientale presentato dalla società, di riferimenti all'infrastruttura necessaria per il trasporto del gas nella rete nazionale, in riferimento al collegamento Vernole-Mesagne (Lecce-Brindisi), da realizzarsi a cura di Snam rete gas (si tratta di oltre 20 chilometri di rete); inoltre, veniva rilevata la mancanza di una puntuale disamina della totalità dei soggetti che avrebbero potuto subire impatti negativi dalla realizzazione dell'opera, nonché una scarsa considerazione degli impatti sull'economia locale, di natura fortemente turistica, in particolare per ciò che concerne la qualità delle acque di balneazione in fase di cantiere e di esercizio; ulteriori contrasti venivano riscontrati con le normative di tutela del paesaggio relative all'attraversamento delle dune a ridosso della linea di costa. Il comitato ha, inoltre, stigmatizzato l'esclusione delle alternative progettuali riferite a diversi approdi, sulla scorta di valutazioni poco oggettive e scarsamente condivisibili, in particolare in relazione alla città di Brindisi, considerata non adatta per una generica mancata previsione negli strumenti urbanistici;
   ancora oggi pende un contenzioso tra la regione Puglia e la Trans Adriatic pipeline, in relazione al ricorso straordinario presentato dalla suddetta società al Presidente della Repubblica per l'annullamento della nota del 30 aprile 2014, prot. 0001790. Tale atto prevede, infatti, l'assoggettamento del terminale di ricezione del gasdotto al decreto legislativo n. 334 del 1999 di attuazione della direttiva 96/82/CE, relativa al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose, nota anche come «direttiva Seveso II». In tal senso il Servizio rischio industriale della regione Puglia sostiene che, pur non rientrando la condotta sottomarina nel campo di applicazione della normativa, lo stesso non possa dirsi per il terminale di ricezione, che detiene un quantitativo di gas superiore alle soglie previste;
   il 29 agosto 2014 la Commissione nazionale di valutazione di impatto ambientale ha espresso parere favorevole al progetto della Trans Adriatic pipeline; tuttavia, le informazioni relative all'atto non risultano ancora disponibili e quelle reperibili non sono esaurienti;
   in concomitanza con la trasmissione del parere favorevole della Commissione nazionale di valutazione di impatto ambientale, il Presidente del Consiglio dei ministri ha annunciato il via libera al gasdotto, non tenendo conto delle numerose prescrizioni che la Commissione stessa ha posto come condizione allo sviluppo del progetto; in tal modo, il Presidente del Consiglio dei ministri ha, di fatto, trasformato una valutazione tecnica in un provvedimento politico. Ad avvalorare tale considerazione contribuisce la dichiarazione del medesimo relativa alla sua visita ufficiale, in data 20 settembre, a Baku (Azerbaijan);
   contrariamente al giudizio favorevole della Commissione nazionale di valutazione di impatto ambientale, la direzione generale dei beni per il paesaggio, le belle arti, l'architettura e l'arte contemporanea del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, ha espresso parere tecnico istruttorio negativo alla richiesta di compatibilità ambientale presentata da Trans Adriatic pipeline, in relazione all'alto valore paesaggistico dell'area, dichiarata di notevole interesse pubblico. Il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo sottolinea, infatti, l'estrema importanza del paesaggio agrario del Salento, territorio particolarmente pregevole e altamente significativo per stato di integrità, valore testimoniale e profondità storica, la cui configurazione si fonda sulla «trama agraria» disegnata dalle «chiusure» realizzate in pietra a secco e dal mosaico continuo dei diversificati sesti di impianto degli uliveti, con presenza di numerosi esemplari aventi caratteristiche monumentali. In un tale contesto, un'opera come quella presentata nel progetto della Trans Adriatic pipeline creerebbe un complesso di natura industriale sproporzionato e incongruo con la natura agraria del sito –:
   quali siano gli intendimenti del Governo a fronte delle criticità emerse in sede istruttoria, ed in particolare alla luce dei rilievi del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, degli enti locali e della regione Puglia, con specifico riferimento all'inadeguatezza dell'approccio metodologico adottato in sede di ponderazione delle ricadute ambientali e paesaggistiche delle varie soluzioni localizzative, anche in ordine all'evidenziata inadeguatezza dell'approdo di San Foca scelto dalla società, nonché all'applicazione delle tutele previste dalla normativa «Seveso» in relazione alla valutazione dei rischi incidentali. (3-01026)


   DI GIOIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'annosa vicenda della piena operatività dell'aeroporto «Gino Lisa» di Foggia ha assunto, al di là delle formali dichiarazioni di buona volontà, quelli che all'interrogante appaiono i toni della farsa;
   da anni le istituzioni locali, i cittadini, gli operatori economici richiedono che si dia il via al potenziamento infrastrutturale del territorio a partire proprio dall'aeroporto «Gino Lisa»;
   da mesi la commissione tecnica per la valutazione di impatto ambientale-valutazione ambientale strategica del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è impegnata nella stesura dell'istruttoria tecnica relativa alla procedura di valutazione di impatto ambientale;
   da quanto si apprende la stessa commissione avrebbe richiesto ulteriore documentazione all'Enav e questo prolungamento dei tempi, dopo anni di ritardi e rinvii, sta suscitando una forte preoccupazione tra le popolazioni locali, che, per l'ennesima volta, si vedrebbero sottratta un'opera strategica per la ripresa economica dell'intera provincia;
   in questo modo l'arretratezza delle infrastrutture di mobilità, che, da sempre, rappresenta un pesante handicap con il quale questo territorio deve fare i conti, continuerà a impedire agli operatori economici di poter competere, ad armi pari, con altre realtà produttive del Paese;
   nei fatti si impedisce alla provincia di Foggia e alla Capitanata di sviluppare il potenziale turistico e turistico-religioso che potrebbe fungere da volano per la ripresa e lo sviluppo, così come è stato denunciato, più volte, anche dalla stessa camera di commercio e dall'Associazione industriali della città di Foggia;
   d'altra parte, la dinamica dei ritardi che si sono accumulati negli anni sembrerebbe dimostrare una volontà politica tesa ad impedire il rilancio del territorio e ciò sarebbe in netto contrasto con quella necessità di «puntare» sul Mezzogiorno come asse strategico della ripresa economica del Paese –:
   quali siano le motivazioni dell'assurdo ritardo da parte della commissione tecnica per la valutazione di impatto ambientale-valutazione ambientale strategica del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e come si intenda operare affinché si accelerino tali procedure al fine di non lasciare inevase le giuste aspettative delle popolazioni e delle forze produttive del territorio, che puntano su quest'opera per rilanciare un'economia strutturalmente depressa, soprattutto a causa della cronica mancanza di opere infrastrutturali. (3-01027)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MUCCI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2014, n. 106, recante «Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo» stabilisce che l'Enit, rinominata Agenzia nazionale del turismo, promuova il turismo anche attraverso «il potenziamento del portale Italia.it»;
   da fonti stampa si apprende che la redazione del sito non sia regolarmente retribuita da febbraio scorso: Promuovi Italia Spa, ora in liquidazione, avrebbe dovuto versare gli importi pattuiti a Unicity, l'azienda vincitrice dell'appalto bandito nel 2012 per rivoluzionare la vetrina ufficiale del Paese sul web;
   sembra che il direttore editoriale di Italia.it abbia preannunciato le dimissioni e il portale, finanziato negli ultimi dieci anni con milioni di euro, sia destinato a chiudere proprio a pochi mesi dall'avvio di Expo2015 che l'anno prossimo dovrebbe attirare milioni di visitatori in Italia –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra riportato;
   se il Ministro interrogato intenda chiarire quali misure urgenti ritenga necessario adottare affinché il portale Italia.it diventi il principale canale di promozione e commercializzazione del turismo italiano. (5-03546)


   PRODANI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 83 del 2014 noto come «decreto Cultura», convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106 del 2014 e relativo a disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo, all'articolo 16 ha disposto la trasformazione dell'ENIT – Agenzia nazionale del turismo in ente pubblico economico;
   secondo l'articolo 1 del provvedimento l'ente, sottoposto alla vigilanza del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, ha come finalità principale quello di promuovere l'immagine unitaria «dell'offerta turistica nazionale e favorirne la commercializzazione, anche in occasione della Presidenza italiana del semestre europeo e di EXPO 2015»;
   l'ENIT, nel perseguimento della propria missione, dovrà tra l'altro individuare, organizzare, promuovere e commercializzare servizi turistici e culturali, «con particolare riferimento agli investimenti nei mezzi digitali, nella piattaforma tecnologica e nella rete internet attraverso il potenziamento del portale “Italia.it”»;
   la creazione del sito internet che avrebbe dovuto essere la vetrina internazionale del turismo nel nostro Paese risale al 2004, quando il Comitato dei ministri della società dell'informazione approvò il progetto «Scegli Italia» con la finalità di incrementare i flussi turistici nazionali ed internazionali ricorrendo alle tecnologie digitali;
   dal 2004 ad oggi sono stati spesi più di 50 milioni di euro per questo travagliato progetto che in un primo momento venne giudicato inadeguato – sia dal punto di vista contenutistico che tecnico – dallo stesso Governo che ne dispose la chiusura a partire dal primo gennaio 2008, recuperandolo poi nel gennaio dell'anno successivo;
   l'8 settembre 2014 il settimanale L'Espresso ha pubblicato online la notizia secondo la quale la redazione del portale Italia.it non riceverebbe lo stipendio dal mese di febbraio scorso;
   il pagamento degli stipendi dovrebbe essere effettuato dalla società messa in liquidazione dallo stesso decreto Cultura – Promuovi Italia Spa, di cui ENIT è integralmente proprietaria –, a favore di Unicity, l'azienda vincitrice dell'appalto bandito nel 2012 per rinfrescare contenuti e reputazione del portale dalla storia controversa;
   secondo l'articolo del giornale Il Fatto Quotidiano «Italia.it di nuovo in stallo. E spunta un progetto dei consulenti di Franceschini» pubblicato il 12 settembre c. a., Promuovitalia avrebbe rescisso unilateralmente il contratto con Unicity per «sopravvenuti motivi di pubblico interesse» non meglio specificati;
   considerando i tempi medi necessari per espletare gare nella pubblica amministrazione, enti di diritto pubblico compresi, c’è il rischio fondato che il portale Italia.it rimanga completamente fermo almeno per un anno, circostanza intollerabile con l'EXPO 2015 ormai alle porte;
   agli occhi dell'interrogante sembra paradossale che il provvedimento tanto atteso per il rilancio del turismo e di uno dei suoi strumenti di punta per la promocommercializzazione – il portale Italia.it – preveda al suo interno disposizioni che indirettamente ne minano la portata e l'efficacia –:
   quali misure urgenti saranno adottate per risolvere la questione summenzionata, garantendo il regolare funzionamento e l'aggiornamento del portale Italia.it, vista la vicinanza temporale dell'evento Expo 2015 che rischierebbe di essere privo del necessario supporto promozionale. (5-03550)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   BUSIN e GUIDESI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   complesso fenomeno delle agenzie di scommesse sfugge sempre di più alle possibilità di gestione e controllo dei Governi;
   per quel che riguarda il nostro Paese, la fotografia del fenomeno è data anche da cinquemila punti scommessa fuori dal controllo statale, 530 milioni (per ora) di mancati incassi per l'erario e un contenzioso nazionale e comunitario lungo 15 anni;
   si tratta agenzie di scommesse collegate a bookmaker privi di concessione, aperte in ogni città senza vincoli di distanza da luoghi sensibili, senza oneri concessori e senza versare imposte al Ministero dell'economia e delle finanze come è invece richiesto ai concessionari statali;
   grazie a cinque decisioni della Corte di giustizia europea (nel 1998, 2003, 2007, 2012 e 2013 su azioni di StanleyBet e Goldbet) e a una serie di ordinanze e sentenze sia dei tribunali penali sia di quelli amministrativi, si sono sviluppate di fatto due categorie di punti vendita: una rete autorizzata dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli, composta da circa 7.400 punti vendita e cresciuta negli ultimi anni del 20 per cento a seguito di bandi di gara per assegnare nuove concessioni, e un network di agenzie e internet point, passato da circa 3.800 a quasi 5 mila punti negli ultimi due anni (+21 per cento, secondo il censimento realizzato da Sistema gioco Italia), collegati a bookmaker e casinò offshore senza concessione italiana piazzati all'estero, generalmente in giurisdizioni Unione europea come Austria, Malta, Inghilterra ma spesso in paradisi fiscali;
   da ultimo, è stata avviata un'indagine della Procura di Roma a carico della StanleyBet, società con sede all'estero ma di proprietà dell'italiano Giovanni Garrisi, che è indagato con altri undici manager della società per associazione per delinquere: l'accusa è di «esercitare (in Italia) l'attività illegale di giochi e scommesse, in assenza di qualsiasi titolo concessorio e in totale evasione di imposta», avvalendosi di una «stabile organizzazione occulta di persone e mezzi», articolata sul territorio attraverso Ctd, i Centri di trasmissione dati che raccolgono le puntate e le piazzano online;
   a fine giugno 2014 la Guardia di finanza ha sequestrato materiale in alcune sedi della StanleyBet, tra cui Milano, Montecatini, Potenza, Giugliano, Roma. «I Centri di trasmissione dati – scrivono nel decreto di sequestro i pm – sono formalmente dipendenti da un'altra società, la StanleyBet Malta Limited», con sede a Malta. In Italia opera il legale rappresentante, che al tempo stesso, è uomo «riconducibile con un rapporto di dipendenza funzionale al gruppo di Garrisi» il meccanismo messo in piedi da StanleyBet per evadere le tasse italiane sul gioco – sostiene la Procura – si baserebbe dunque su questa doppia «paternità» dei Centri di trasmissione dati;
   l'aspetto più grave e insolito della vicenda è che la strategia difensiva di StanleyBet oltre che con il contrasto ai Monopoli e attraverso querele ai giornali si è manifestata anche con querele ai finanzieri che, eseguendo gli ordini delle procure, hanno operato il sequestro di materiali o provveduto alla chiusura dei punti vendita;
   si paventa anche il rischio che singoli dipendenti dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli e militari della Guardia di finanza ricevano dalla «StanleyBet Malta Limited» una citazione diretta in sede civile per risarcimento danni;
   tale situazione appare all'interrogante gravissima ed inaccettabile, contraria a qualunque precedente o prassi in materia, ancor di più in mancanza di una chiara presa di posizione dello Stato a sostegno e tutela dei funzionari che a suo nome applicano la legge –:
   se sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e come intenda intervenire a tutela dei funzionari delle Agenzie e degli agenti della Guardia finanza coinvolti nella vicenda. (5-03560)


   BARBANTI, VILLAROSA, PESCO, RUOCCO, ALBERTI, CANCELLERI e PISANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da fonti di stampa si apprende che la Banca d'Italia avrebbe conferito all'ex Ministro dell'economia e delle finanze Fabrizio Saccomanni, già direttore generale della stessa Banca, la nomina a «Direttore generale onorario», carica mai in precedenza attribuita e che non è in alcun modo contemplata dalle statuto della Banca d'Italia;
   detta nomina, di cui non appaiono chiare le motivazioni, non risulta essere stata mai resa pubblica dalla Banca d'Italia: non sono state fatte conferenze stampa per darne notizia, né è stato emesso alcun comunicato stampa ufficiale; insomma, come evidenziato dai principali organi di stampa nazionali, la nomina, risalente al mese di maggio 2014, è stata conferita in gran segreto e resa nota soltanto nel mese di agosto;
   la nomina ha inoltre scatenato la vibrata protesta delle associazioni di tutela dei consumatori, tra cui in particolare l'Adusbef e Federconsumatori, le quali, in una lettera inviata al Governo e ai gruppi parlamentari, hanno aspramente criticato l'istituzione di tale carica onoraria all'interno della Banca d'Italia, evidenziandone l'incompatibilità con le misure di austerità intimate proprio dal Governatore in carica e dalla Banca centrale europea;
   il conferimento di titoli onorari sembrerebbe una «consuetudine» rimessa alla valutazione del Consiglio superiore della Banca d'Italia e riservata ai membri del direttorio (governatore e direttori generali), al momento della cessazione del mandato. Il conferimento di titoli onorari da parte del consiglio superiore, dunque, non trova alcuna esplicita previsione nello statuto della Banca d'Italia, da ultimo approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 27 dicembre 2013 n. 72641, pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 31 dicembre 2013, n. 305;
   quel che appare più grave è che, oltre a procedere alla nomina di una figura, quella di «direttore generale onorario», non prevista dall'ordinamento interno della Banca d'Italia, non sia stato comunque rispettato il dettato dell'articolo 18, comma 5, dello statuto della Banca, il quale prevede che «Le nomine, i rinnovi dei mandati e le revoche del Direttore Generale e dei Vice Direttori generali debbono essere approvati con decreto del Presidente della Repubblica promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri di concerto col Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Consiglio dei ministri»;
   pertanto, la scelta di procedere a tale nomina suscita, sia nel merito, sia nel metodo, forti perplessità circa la sua opportunità e correttezza, perplessità che occorre approfondire anche in sede parlamentare, al fine di comprendere quale sia la funzione e l'utilità di tale figura all'interno dell'organigramma della Banca d'Italia, anche in relazione ai costi ad essa connessi –:
   se il Ministro sia al corrente del conferimento dell'incarico di «direttore generale onorario» della Banca d'Italia all'ex Ministro Fabrizio Saccomanni, quali informazioni possa fornire al Parlamento in merito, e se sia stato coinvolto istituzionalmente nella relativa procedura di nomina, ai sensi dell'articolo 18, comma 5, dello Statuto della stessa Banca. (5-03561)


   CAUSI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il calo degli investimenti delle imprese osservato dal 2008 nell'area dell'euro è molto più marcato che nei cicli economici precedenti; dal livello massimo a quello minimo sono diminuiti di circa il 20 per cento, contro il 15 per cento registrato durante la recessione del 1992, come ricordato dal Presidente della Banca centrale europea in occasione dell'EUROFI l'11 settembre 2014;
   un deciso incremento degli investimenti sarebbe invece essenziale per contrastare la deflazione, per stimolare l'economia e per ridurre la disoccupazione;
   per aumentare il livello degli investimenti è necessario – accanto alla ripresa della domanda interna di consumo, in particolare nei Paesi dell'area euro in persistente avanzo di bilancia dei pagamenti, e a un maggiore coordinamento delle politiche fiscali e di bilancio – sviluppare il sistema di erogazione del credito alle imprese, finora troppo incentrato sul settore bancario, promuovendo fonti di finanziamento alternative affidabili e creando regole comuni per un'unione dei mercati dei capitali;
   è necessario sviluppare un mercato ben funzionante delle attività cartolarizzate (asset-backed securities, ABS) semplici, trasparenti e reali: le banche potrebbero così continuare a generare prestiti, soprattutto a favore delle piccole e medie imprese (PMI), preservando nel contempo la propria capacità di bilancio;
   il consiglio direttivo della Banca centrale europea il 4 settembre 2014 ha deciso di procedere all'acquisto di titoli cartolarizzati basati sui crediti alle imprese e alle famiglie, nonché sui mutui immobiliari, i cui dettagli saranno annunciati il prossimo ottobre che abbiano per oggetto titoli «semplici e trasparenti» e che assicurino il contenimento dei rischi anche tramite l'intervento di garanzie pubbliche;
   tali nuove emissioni di liquidità verrebbero a sostituirsi, in modo «mirato», a quelle di tre anni fa e non dovrebbero essere impiegate per l'acquisto di titoli sovrani;
   anche il Ministro dell'economia e delle finanze ha manifestato in recenti occasioni pubbliche la necessità di rafforzare e diversificare gli strumenti di finanziamento delle imprese, soprattutto quelle piccole e medie, e favorire così il rilancio degli investimenti, anche attraverso l'implementazione di regole comuni sull'emissione di mini-bond –:
   quale sia il giudizio sugli strumenti che la Banca centrale europea intende mettere in atto nei prossimi mesi al fine di contrastare la difficoltà di accesso al credito attraverso la circolazione di strumenti finanziari che permettono di smobilizzare crediti e liberare risorse per nuovi investimenti, quali siano al riguardo le eventuali necessità di intervento sulla legislazione comunitaria e nazionale, quale il possibile impatto indesiderato sulla domanda di titoli dei debiti sovrani e come eventualmente si intenda contrastarlo. (5-03562)


   SOTTANELLI e MATARRESE. —Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il rafforzamento della patrimonializzazione dei Confidi, favorendo la raccolta di risorse pubbliche, private e del terzo settore, di capitale e di provvista, rappresenta il primo obiettivo della delega conferita al Governo per la riforma della normativa in materia dei Confidi;
   in particolare, risulta obiettivo prioritario disciplinare le modalità di contribuzione dei fondi da parte degli enti pubblici finalizzate alla patrimonializzazione dei confidi, anche nel rispetto della disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato e anche individuando strumenti e modalità che li rendano esigibili secondo i principi dell'accordo di Basilea; tutto ciò al fine di sviluppare, nell'ambito delle finalità tipiche, forme di garanzia e servizi, finanziari e non finanziari, che rispondano alle mutate esigenze delle piccole e medie imprese e di favorire un migliore accesso al credito da parte delle medesime, anche attraverso la semplificazione degli adempimenti e il contenimento dei costi per gli intermediari finanziari;
   alcune regioni, ed in particolare la regione Puglia, hanno utilizzato nella programmazione dei fondi comunitari nell'ambito del programma operativo 2007-2013 una serie di azioni tese ad agevolare l'aumento dell'operatività dei maggiori Consorzi fidi operanti nell'ambito regionale, al fine di far loro assumere una dimensione congrua per rappresentare un valido partner nel confronto con il sistema bancario;
   la crescita di operatività sperata si è effettivamente riscontrata riuscendo a fornire un indispensabile e valido supporto a favore della lotta al credit crunch subita dalle piccole e medie imprese negli ultimi anni;
   in tal senso, i predetti Confidi hanno superato il volume di attività finanziarie, in termini di garanzie rilasciate a favore delle piccole e medie imprese della regione Puglia, previste dalle normative a presidio dell'attività degli intermediari vigilati (75 milioni di euro);
   secondo quanto rappresentato dal dottor Pilati della Banca d'Italia nella audizione del 16 luglio 2014, tale operatività si basa, allo stato, su risorse finanziarie soggette a «vincoli di destinazione che rendono tali risorse non idonee a formare il patrimonio utile a fini di vigilanza, poiché non sono rispettati i requisiti di stabilità e capacità di assorbire le perdite, per qualsiasi causa e in qualsiasi tempo esse di determinino»;
   tale impostazione – che sembra pure aver ispirato l'intervento di riforma della Banca d'Italia di cui allo schema delle nuove disposizioni di vigilanza per gli intermediari finanziari e, segnatamente, per i Confidi, di cui al documento posto in consultazione dall'Autorità di vigilanza nel mese di luglio 2014 – si basa, invero, sul presupposto di voler estendere ai Confidi i principi dettati, a livello comunitario (regolamento n. 575/2013 e direttiva n. 2013/36/UE), nei confronti delle banche e degli enti finanziari, al fine di presidiare i rischi del cosiddetto shadow banking;
   occorre considerare, tuttavia, che il prospettato nuovo impianto regolamentare potrebbe creare una situazione paradossale secondo la quale, da un lato, con i fondi comunitari si è favorita la crescita dimensionale di questo indispensabile «terzo attore» (il Consorzio fidi) della filiera del credito alle piccole e medie imprese e, d'altro lato, se ne determina la stessa fine per incoerenza con i suddetti principi comunitari che hanno come destinatari le banche e altri enti finanziari, ma non anche i Confidi nazionali;
   la stessa Banca d'Italia, inoltre, ha precisato come gli interventi relativi al patrimonio di vigilanza degli intermediari finanziari e dei Confidi, seppure ispirati ai richiamati principi comunitari, debbano comunque tenere conto dei necessari adattamenti, alla luce del principio di proporzionalità (avuto riguardo, tra l'altro, alla natura specifica dell'attività svolta) di cui all'articolo 108 del decreto legislativo n. 385 del 1993 –:
   se, in linea con gli obiettivi primari della legge delega, non ritenga opportuno assumere iniziative per prevedere, linee di indirizzo che consentiranno poi alla Banca d'Italia – nell'ambito dei suoi interventi regolamentari – di individuare le modalità tecniche per computare i fondi pubblici concessi ai Confidi (e dagli stessi utilizzati per sostenere le piccole e medie imprese nell'accesso al credito bancario) tra gli elementi dei fondi propri del patrimonio di vigilanza e, coordinarsi con la Banca d'Italia affinché la stessa individui, con regolamento, le modalità per consentire, nel frattempo, una tale inclusione, tenuto conto del richiamato principio di proporzionalità. (5-03563)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RICCIATTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Saipem spa, Società anonima italiana perforazioni e montaggi, è una società per azioni facente parte del gruppo Eni, costituita nel 1956 ed operante nel settore della prestazione di servizi per il settore petrolifero. La società è specializzata nella realizzazione di infrastrutture riguardanti la ricerca di giacimenti di idrocarburi, la perforazione e la messa in produzione di pozzi petroliferi, nonché la costruzione di oleodotti;
   nell'esercizio della propria attività si avvale della collaborazione di alcune società controllate, quali la Sonsub, l'Intermare Sarda e la Moss Maritime, ma anche di aziende e consulenze esterne che costituiscono, in alcune aree, un indotto significativo;
   nel 2006 Saipem ha acquisito la Snamprogetti (incorporandola definitivamente nel 2008), leader dei progetti onshore del settore, estendendo così la competenza anche ai progetti su terra;
   oggi la società è uno dei più importanti contractor a livello mondiale del settore della costruzione e manutenzione delle infrastrutture al servizio dell'industria petrolifera, con una operatività in tutti e cinque i continenti;
   la terza sede del gruppo per importanza, dopo quella centrale a Milano San Donato e la succursale parigina in Francia, si trova a Fano (PU), dove lavorano oltre mille tecnici di altissimo livello professionale, specializzati nel progettare e costruire pipe-line, oleodotti e gasdotti, in giro per il mondo;
   negli ultimi mesi, ed in particolare a partire da luglio 2014, si sono succedute diverse indiscrezioni su una possibile cessione del gruppo Saipem da parte della maggior azionista Eni che ne detiene il 43 per cento circa della azioni;
   tali indiscrezioni sono state rilanciate dapprima da autorevoli testate giornalistiche e successivamente confermate, il primo agosto 2014, da Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni, il quale ha tracciato la nuova strategia del colosso petrolifero italiano;
   già il 22 luglio 2014, il quotidiano La Repubblica, tra gli altri, segnalava come diversi rumors riferissero di un mandato in questa direzione affidato alla banca d'affari statunitense Goldman Sachs, con conseguente sondaggio tra potenziali compratori, come i russi di Rosneft ma soprattutto i gruppi norvegesi Subsea 7 e Seadrill; 
   la direzione di Eni verso il probabile disimpegno da Saipem sembrerebbe avere la finalità di spostare sempre più il focus della società sulle operazioni cosiddette upstream, ovvero a più elevato ritorno economico;
   il Wall Street Journal del 21 luglio 2014 indicava, anche, una possibile revisione delle attività di raffinazione (sempre secondo quanto riferisce la stampa specializzata, infatti, il business Refining & Marketing di Eni avrebbe perso una media di 106 milioni di euro al trimestre dal 2009, come hanno rilevato gli analisti di Sanford C. Bernstepz, tanto che lo scorso anno la divisione R&M ha avuto un cash flow negativo che ha pesato per il 5 per cento sugli investimenti complessivi);
   la cessione di Saipem si presenterebbe, quindi, come una operazione volta a indirizzare le attività del gruppo Eni verso iniziative più remunerative per la società a discapito della finalità primaria dell’ approvvigionamento energetico – ad avviso dell'interrogante – che il gruppo dovrebbe perseguire, anche in virtù del fatto che l'azionista di maggioranza dell'Eni è il popolo italiano, seppure per il tramite del Ministero dell'economia e delle finanze, che a sua vota controlla la Cassa depositi e prestiti;
   come ha avuto modo di ribadire anche Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia – società indipendente di ricerca in campo energetico e ambientale –, al quotidiano torinese La Stampa il primo agosto 2014, «Saipem è davvero un gioiello, è leader mondiale nella posa dei tubi, soprattutto sottomarini, e nelle piattaforme offshore». Sebbene in genere i colossi petroliferi acquistino tali servizi sul mercato, il fatto che Eni possieda la quota di maggioranza di Saipem consente di mantenere in mani italiane l'altissimo – e strategico – know how della società di progettazione; un eventuale disimpegno di Eni da Saipem potrebbe avere degli effetti particolarmente preoccupanti per la sopravvivenza della stessa società; 
   secondo gli analisti finanziari della banca d'investimento Equita, infatti, ci sono diverse incognite rispetto all'operazione di cessione, dovute innanzitutto al fatto che Saipem ha ancora progetti problematici per 5,8 miliardi di euro e poi l'ammontare significativo di debito infragruppo (il 90 per cento dei complessivi 4,5 miliardi) che in caso di cessione andrebbe rifinanziato; 
   evidentemente, come gli analisti finanziari rilevano, per Saipem trovare delle alternative alle sue fonti di finanziamento attuali potrebbe essere difficile e le stesse potrebbero essere più care;
   assolutamente non trascurabili sono poi i riflessi occupazionali per i territori interessati;
   in particolare, quello di Fano, dove a causa della crisi economica prolungata la città ha già perso, nel corso degli ultimi anni – e continua a perdere –, pezzi importanti delle sue professionalità e dell'economia;
   tra le indicazioni strategiche del gruppo Eni vi è anche la riduzione della sua presenza in Europa;
   almeno di fronte alla pubblica opinione, il Governo ribadisce costantemente la necessità e l'obiettivo di aumentare i livelli occupazionali e rilanciare l'economia mediante la leva dello sviluppo di attività ad alto tasso di innovazione e know how;
   la cessione di Saipem da parte di Eni – controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze – va in direzione opposta a tali dichiarazioni di intenti, privando l'Italia di una realtà ad elevatissimo know how, colpendo duramente i livelli occupazionali di un territorio già provato duramente dalla crisi economica e desertificando un indotto qualificato, che a traino di Saipem ha costruito a sua volta professionalità di livello altissimo –:
   se il Ministro interrogato non ritenga l'iniziativa di Eni, di cedere Saipem, contraria agli interessi generali del Paese, individuati nella necessità di mantenere i livelli occupazionali e salvaguardare i know how strategici;
   quali iniziative intenda intraprendere per salvaguardare tali interessi;
   se non ritenga opportuno intervenire, attraverso gli strumenti riconosciuti dall'ordinamento, facendo valere nel gruppo Eni i legittimi interessi dell'azionista di maggioranza – il Paese tutto – esercitati per il tramite del Ministero dell'economia e delle finanze. (5-03553)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   uno dei nodi centrali della politica economica italiana è il rapporto del debito pubblico rispetto al PIL che ha raggiunto nel 2013 il 132 per cento, andamento confermato anche con riferimento al primo semestre del 2014 dall'ultimo Bollettino statistico della Banca d'Italia su «Finanza Pubblica, fabbisogno e debito» e dal quale emerge che lo stesso è aumentato di 200 milioni, raggiungendo quota 2.168,6 miliardi di euro, con una crescita, dal solo inizio dell'anno, di 96 miliardi di euro e pari al 4,7 per cento;
   tali dati, nonostante una parte dello stesso debito pubblico rappresenti anche la quota di competenza italiana del sostegno finanziario ai paesi dell'area euro, hanno indotto la Commissione europea e la Banca centrale europea (Bce) a rinnovare l'appello al Governo italiano affinché riporti la dinamica del debito pubblico su un percorso discendente anche attraverso l'adozione di politiche più restrittive e, se necessario, una manovra shock per abbatterlo;
   autorevoli economisti suggeriscono che una soluzione tangibile potrebbe essere rappresentata dalla ristrutturazione dello stesso debito sovrano, argomentando che se un'economia non cresce, o se quando cresce lo fa in misura del tutto risibile, si assiste alla fuga degli investitori stessi con l'inevitabile conseguenza che anche la sostenibilità del suo debito viene progressivamente meno –:
   quale sia la composizione e la distribuzione a livello nazionale ed internazionale del debito pubblico italiano secondo dati aggregati per area (Italia, Unione europea e paesi extra-Unione europea), per categoria di investitori (persone fisiche, società commerciali, fondi di investimento, investitori istituzionali, banche, e altri) e classe d'importo (es. da 1 a 100.000 euro; da 100.001 a 1.000.000; da 1.000.001 a 10.000.000, eccetera). (5-03558)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta immediata:


   DORINA BIANCHI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 30 giugno 2014 è divenuto obbligatorio il processo civile telematico per tutti i procedimenti per decreto ingiuntivo e per tutte le memorie endo-procedimentali nelle cause civili di nuova iscrizione, in seguito ad un confronto con i rappresentanti delle diverse componenti del settore della giustizia civile, coinvolte nei lavori di un «tavolo permanente»;
   indubbiamente si tratta di uno strumento dalla grande portata innovativa: in primo luogo perché consente di perseguire lo scopo di una significativa riduzione dei tempi di trattazione delle cause ed inoltre perché si inserisce nell'obiettivo complessivo di una sempre maggiore informatizzazione del sistema giudiziario –:
   quante risorse il Governo intenda destinare all'implementazione del processo civile telematico ed al suo ulteriore dispiegamento, nella ragionevole aspettativa che il Governo prosegua nel metodo adottato con il «tavolo permanente» anche nella gestione e nella verifica del funzionamento del processo civile telematico su cui ci si aspettano precise rassicurazioni. (3-01024)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

II Commissione:


   DANIELE FARINA, SCOTTO, SANNICANDRO e KRONBICHLER. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   fino ad oggi ancora non si è provveduto alle nomine del capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, del capo del dipartimento politiche antidroga, nonché del garante nazionale dei diritti delle persone detenute o comunque private della libertà personale, nomine evidentemente fondamentali per la tutela dei diritti dei soggetti più deboli della società;
   il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria è senza vertice da fine maggio 2014, una data peraltro significativa e che, in particolare, ha coinciso con la decisione che il Consiglio d'Europa avrebbe dovuto prendere circa la situazione carceraria italiana;
   il dipartimento politiche antidroga manca del proprio responsabile sin da inizio aprile 2014 e, dunque, da più di cinque mesi, per quanto si tratti di un organo al quale sono attribuite competenze estremamente delicate come quelle di promuovere, indirizzare e coordinare le azioni di Governo atte a contrastare il diffondersi dell'uso di sostanze stupefacenti, delle tossicodipendenze e delle alcoldipendenze correlate, realizzando anche attività in collaborazione con le pubbliche amministrazioni competenti nello specifico settore (come il Ministero della giustizia), le associazioni, le comunità terapeutiche, i centri di accoglienza operanti nel campo della prevenzione, della cura, della riabilitazione e del reinserimento delle persone che hanno scontato una pena;
   il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o comunque private della libertà personale, istituito con la legge n. 10 del 21 febbraio 2014 di conversione del decreto-legge n. 146 del 2013, è in attesa di nomina da ancor più tempo, nonostante la gravissima situazione delle carceri così come evidenziata dalle plurime condanne subite dall'Italia da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo;
   il ritardo delle predette nomine, nell'aggravare ulteriormente la questione carceraria, determina una situazione di stasi che finisce per ripercuotersi direttamente sulle condizioni di trattamento dei detenuti;
   appare oramai improcrastinabile procedere alle predette nomine, per cui sarebbe necessario un forte impegno da parte del Ministro della giustizia, per quanto di competenza, affinché si proceda in tal senso –:
   quali siano i motivi di tanto ritardo, nonché le intenzioni del Governo rispetto ai tempi ed ai criteri con i quali si procederà alle suddette nomine, che finiscono per incidere sostanzialmente anche sul concreto trattamento dei detenuti. (5-03554)


   DI LELLO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in Italia i lunghi tempi nella definizione dei processi sommati ad altre evidenti criticità della giustizia hanno raggiunto livelli a giudizio unanime inaccettabili anche per la cronica carenza negli uffici giudiziari di funzionari e di addetti alla cancelleria stimabile in circa 10.000 unità;
   tale carenza di organico in molti uffici giudiziari è stata parzialmente attenuata nell'ultimo quinquennio con 2.924 lavoratori assunti con contratti di tirocinio professionalizzante al termine di percorsi formativi del Ministero della giustizia;
   il tirocinio formativo, finalizzato alla creazione di figure altamente professionali all'interno degli uffici giudiziari e di supporto al personale amministrativo, trova la sua ratio nella non dispersione delle professionalità acquisite nel mondo del lavoro, in linea con l'autorevole orientamento più volte manifestato anche dalle istituzioni dell'Unione europea;
   la legge di stabilità n. 147 del 27 dicembre 2013, all'articolo 1 comma 344, ha introdotto una modifica all'articolo 37, comma 11 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, statuendo che : «Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e della giustizia, è stabilita la ripartizione in quote delle risorse confluite nel capitolo di cui al comma 10, primo periodo, per essere destinate, in via prioritaria, all'assunzione di personale di magistratura ordinaria, nonché, per il solo anno 2014, nella prospettiva di migliorare l'efficienza degli uffici giudiziari e per consentire a coloro che hanno completato il tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari a norma dell'articolo 1, comma 25, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, lo svolgimento di un periodo di perfezionamento da completare entro il 31 dicembre 2014, nel limite di spesa di 15 milioni di euro. La titolarità del relativo progetto formativo è assegnata al Ministero della giustizia. A decorrere dall'anno 2015, una quota pari a 7,5 milioni di euro del predetto importo è destinata all'incentivazione del personale amministrativo appartenente agli uffici giudiziari che abbiano raggiunto gli obiettivi di cui al comma 12, anche in deroga alle disposizioni di cui all'articolo 9, comma 2-bis, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e alle spese di funzionamento degli uffici giudiziari. La riassegnazione prevista dal comma 10, primo periodo, è effettuata al netto delle risorse utilizzate per le assunzioni del personale di magistratura ordinaria»;
   la suddetta norma prevede una copertura nel limite di 15 milioni di euro e, ad oggi, risultano investiti solo 7,5 milioni di euro che hanno consentito alle predette 2924 unità lavorative di svolgere presso le cancellerie e le segreterie degli uffici giudiziari nazionali 230 ore di supporto al personale. Inoltre la circolare del Ministero della giustizia del 31 marzo 2014 prot. 101/DG/31 ha fissato al 30 settembre 2014 entro il quale gli uffici avrebbero dovuto impiegare le suddette unità per la prima tranche di 230 ore;

con note inviate al Ministero della giustizia, il primo presidente della Suprema Corte e il procuratore generale di Cassazione e numerosi presidenti di tribunali e corti di appello e procuratori hanno sollecitato lo sblocco delle ulteriori risorse e provvedimenti urgenti al fine di garantire la regolarizzazione contrattuale di tali lavoratori, divenuti col tempo indispensabili per l'efficienza degli uffici stessi;
   con la conversione in legge (legge n. 114 del 2014) del decreto-legge n. 90 del 24 giugno 2014 (riforma PA) è stata introdotta una norma all'articolo 50, comma 1-bis, che sancisce che: «con decreto del Ministro della Giustizia, da adottare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono determinati, nei limiti delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente, il numero nonché i criteri per l'individuazione dei soggetti che hanno completato il tirocinio formativo di cui all'articolo 37 comma 11 del decreto-legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e successive modificazioni, che possono far parte dell'ufficio per il processo, tenuto conto delle valutazioni di merito e delle esigenze organizzative degli uffici giudiziari»;
   l'investimento di fondi pubblici per la formazione dei 2.924 tirocinanti/lavoratori che, per la specificità delle mansioni svolte, non potrebbero essere impiegati in altri settori, soprattutto privati, in caso di dispersione delle professionalità acquisite, risulterebbe vanificato e comporterebbe un vero e proprio spreco di risorse proprio nel momento in cui lo Stato, in tutte le sue componenti, è chiamato a operare risparmi;
   il tirocinio, pertanto, svincolato da qualsivoglia assunzione, rischia di trasformarsi in un'inaccettabile forma di «precariato», quella più bieca ed avvilente, priva di ogni forma di garanzia e diritto (si pensi, ad esempio, alla mancanza di qualsiasi forma di copertura previdenziale);
   il Ministro della giustizia, in data 15 settembre 2014, in un convegno a Milano organizzato dalla Fiom, ha affermato che «accanto ai tagli bisogna anche realizzare gli investimenti (...) per questo tutti i nostri sforzi vanno nella direzione di prevedere nel prossimo anno almeno mille assunzioni del personale amministrativo e di cancelleria, perché in questo momento quella è l'emergenza più grande e senza un reclutamento in questo settore si rischia il collasso della giurisdizione» –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare per favorire lo sblocco delle ulteriori risorse tese a garantire la copertura delle ore per la seconda parte dell'anno 2014, stante la scadenza della prima tranche di 230 ore fissata per il 30 settembre 2014. (5-03555)


   DAMBRUOSO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 16 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132 recante «Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile» – pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 12 settembre 2014 – prevede «Modifiche alla legge 7 ottobre 1969, n. 742 e riduzione delle ferie dei magistrati e degli avvocati e procuratori dello Stato». In particolare la norma riduce da 45 a 30 giorni il periodo di ferie dei magistrati, dimezzando così anche i termini di sospensione feriale durante i quali tribunali e procure lavorano a regime ridotto, assicurando le urgenze e sospendendo l'attività ordinaria;
   come osservato dall'Associazione nazionale magistrati, negli attuali 45 giorni di ferie dei magistrati è compreso il periodo necessario a smaltire provvedimenti per cui non è prevista la sospensione dei termini di deposito; pertanto, se un giudice pronuncia una sentenza alla vigilia delle ferie, deve comunque motivarla e consegnarla alla scadenza prevista. Ne consegue che dei 45 giorni di ferie riconosciuti dalla legge, il magistrato riesce spesso a utilizzarne molti meno senza ricevere alcun riconoscimento né economico né di merito;
   da fonti giornalistiche sembra che il Ministero della giustizia stia valutando la possibilità di rivedere la norma citata introducendo nella nuova disciplina un meccanismo che consenta di bloccare i termini per il deposito delle sentenze e conteggiare i periodi effettivi di ferie per ciascun magistrato –:
   se il Ministero della giustizia abbia elaborato delle statistiche sulla produttività dei magistrati prima dell'introduzione nel decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132 l'articolo 16 sulla riduzione delle ferie. (5-03556)


   BUSINAROLO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   presso il noto ristorante Assunta Madre situato in via Giulia in centro a Roma, nei pressi tra l'altro della procura nazionale antimafia, sono state effettuate recentemente alcune intercettazioni ambientali, autorizzate dal giudice per le indagini preliminari il 15 aprile 2013, al fine di fare luce sulla vicenda di riciclaggio che vedeva come indagato Gianni «Johnny» Micalusi, titolare del locale;
   per circa otto mesi sono state intercettate anche le conversazioni dei clienti del locale. Poiché il ristorante Assunta Madre è molto a la page e frequentato da faccendieri, imprenditori, politici, magistrati ed in generale avventori famosi, è emerso che le conversazioni captate sono state molto più numerose rispetto ai fatti oggetto dell'indagine iniziale, con grande sorpresa degli ascoltatori;
   per tale motivo, oltre alle microspie, è stato autorizzato il posizionamento di telecamere, al fine di identificare voci e volti protagonisti dei colloqui in corso durante le cene. Dalle intercettazioni è così emerso, ad esempio, che un notissimo imprenditore romano, a tavola con più commensali, raccontava di aver fatto pressioni su alcuni magistrati di Roma per scongiurare una serie di arresti. L'imprenditore, in una conversazione dello scorso novembre, si è attribuito il ruolo di interdizione nell'ambito di un'inchiesta, ruolo che sarebbe stato condiviso con un alto funzionario del Ministero dell'interno, due magistrati di Roma e un professionista che è familiare di una carica istituzionale;
   malgrado tutto ciò, ad oggi non risulta all'interrogante che la procura di Roma abbia inviato a quella di Perugia, competente per fatti penali che coinvolgano magistrati della Capitale, alcuna intercettazione derivante dall'inchiesta su Gianni «Johnny» Micalusi;
   nel locale sono state intercettate, altresì, alcune conversazioni tra il fratello dell'ex-senatore Marcello dell'Utri e l'imprenditore Vincenzo Mancuso, riguardanti un presunto piano di fuga all'estero del cofondatore di Forza Italia. Il colloquio intercettato nel ristorante, avvenuto l'8 novembre 2013, è stato sbobinato e trasmesso per competenza alla procura di Palermo il 20 febbraio scorso. L'ex senatore è poi effettivamente volato in Libano con 50 chili di bagaglio e 30 mila euro. È stato poi fermato il 12 aprile 2014 in Libano, dove poi è risultato ricoverato nel reparto detenuti di un ospedale di Beirut. Il tribunale del riesame di Palermo il 28 aprile 2014 ha rigettato il ricorso contro l'arresto presentato dai difensori dell'ex senatore: per i giudici, da parte di Dell'Utri c'era «la deliberata volontà di fuga e appare irrilevante l'utilizzo del proprio cellulare e della propria carta di credito»;
   il 20 novembre 2013 con una direttiva, il procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, e il sostituto procuratore Francesco Minisci, considerato che «il ristorante in questione potrebbe essere un punto di incontro e di riunione tra gli indagati» e più in generale «tra gli indagati ed esponenti vari della criminalità operante a Roma», avevano precisato che «questa squadra mobile non procederà alla registrazione dei colloqui che si collocano in un ambito diverso da quello delineato dal giudice per le indagini preliminari, avendo cura di sospendere le attività tecniche relative a quei colloqui che, a fronte di un iniziale interesse per le indagini, nel corso delle conversazioni risultino estranee alle stesse;
   ad oggi, stando alle informazioni giornalistiche, la squadra mobile dovrebbe ancora inviare la propria relazione conclusiva al procuratore capo di Roma. Dall'articolo di stampa, Panorama del 30 aprile 2014, n. 18, pagina 76, è emerso infine che un componente del Csm avrebbe saputo già da qualche mese dell'esistenza delle cimici nel ristorante, dal cui pesce era necessario restare lontani, e avrebbe effettuato una sorta di passaparola a Palazzo dei Marescialli –:
   se il Ministro interrogato, alla luce dei fatti descritti in premessa, non ritenga opportuno assumere iniziative di carattere normativo al fine di estendere l'utilizzabilità dello strumento delle intercettazioni al fine di favorire un rafforzamento della lotta alla criminalità organizzata. (5-03557)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BRUNO BOSSIO e BARGERO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 9 agosto 2014 l'interrogante si è recata in visita ispettiva (ex articolo 67, comma 1, lettera b), dell'Ordinamento Penitenziario, legge n. 354 del 26 luglio 1975) presso la casa di reclusione di Rossano, in provincia di Cosenza, accompagnata da un collaboratore e dall'esponente radicale calabrese Emilio Quintieri;
   secondo i dati più recenti diramati dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia, a fronte di una capienza regolamentare di 215 posti, la CR di Rossano ospita 258 detenuti (43 in esubero), molti dei quali appartenenti al circuito differenziato dell'Alta Sicurezza (As3 e As2) e condannati ad espiare pene medio-lunghe;
   dell'ispezione, effettuata a seguito delle gravi condizioni di detenzione portate a conoscenza dell'interrogante da alcuni detenuti ristretti nel citato stabilimento penitenziario, non era stato dato alcun preavviso alla direzione dell'istituto penitenziario;
   in particolare, erano state segnalate all'interrogante le condizioni in cui erano costretti a vivere alcuni detenuti nel reparto di isolamento posto al piano terra della struttura;
   non appena giunta all'istituto gli agenti di polizia penitenziaria hanno tentato in tutti i modi di impedire l'accesso all'interrogante adducendo che, in quel momento, non vi era in servizio né il direttore dell'istituto, dottor G. Carrà né il comandante di reparto dottoressa E. Ciambriello;
   solo a seguito di numerose insistenze, gli agenti, consentivano l'accesso alla sola interrogante, ciò in palese violazione a quanto disposto dall'articolo 67, comma 2, dell'Ordinamento penitenziario e limitando, in tale modo, la funzione ispettiva riconosciuta ai membri del Parlamento;
   una volta condotta presso il citato reparto di isolamento, l'interrogante ha potuto personalmente constatare i trattamenti inumani e degradanti a cui erano sottoposti i detenuti allocati in tale reparto;
   pur non essendo potuta entrare nelle celle (note nel gergo carcerario come «celle lisce»), poiché gli agenti riferivano di non aver le chiavi per aprirle, l'interrogante ha avuto modo di constatare che le stesse erano completamente vuote e cioè prive di tutto l'arredo ministeriale (branda, materasso, sgabello, televisione, etc.), in condizioni igienico-sanitarie vergognose (i pavimenti erano ricoperti di vomito ed escrementi) e i detenuti vi erano tenuti nudi con addosso soltanto gli slip;
   chieste spiegazioni in merito agli agenti, questi riferivano che, tali detenuti, erano tenuti in quelle condizioni in quanto, alcuni, avevano tentato il suicidio e avevano problemi psichiatrici (L.G.), e altri, perché ritenuti responsabili di una tentata evasione;
   questi ultimi (F.P. e A.D.), sentiti dall'interrogante, hanno dichiarato di essere stati percossi da alcuni agenti di polizia penitenziaria e, poi, di non essere stati nemmeno curati dal personale sanitario in servizio nell'Istituto;
   durante la visita gli agenti di polizia penitenziaria chiedevano all'interrogante di recarsi presso una postazione telefonica poiché era desiderata dal comandante di reparto, la quale, nel colloquio telefonico, contestava all'interrogante la possibilità di poter effettuare ispezioni nell'istituto senza preavviso;
   in data 11 agosto 2014, su disposizione del Ministro della giustizia, la C.R. di Rossano è stata interessata da una ispezione da parte del dottor Francesco Cascini, vice capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e responsabile dell'ufficio ispettivo e del controllo;
   il 22 agosto 2014 l'interrogante, unitamente all'onorevole Carlo Guccione, consigliere regionale della Calabria ed ai propri collaboratori Gaspare Galli e Gabriele Petrone, si è recata nuovamente in visita ispettiva presso la casa di reclusione di Rossano dandone preavviso alla direzione;
   in tale circostanza, la delegazione, è stata accompagnata dal direttore dell'istituto, dal comandante di reparto e da altri agenti di polizia penitenziaria;
   nel corso della visita è stato accertato un leggero miglioramento delle condizioni di detenzione poiché le celle, prima completamente sporche e vuote, erano state adeguatamente ripulite e dotate degli arredi previsti (brande, tavoli, sgabelli, televisioni, e altro);
   nel corso dell'ispezione è stato visitato anche uno dei reparti dell'alta sicurezza ove la situazione, sulla base delle dichiarazioni rese dalla popolazione detenuta, presenta numerose criticità;
   in particolare i detenuti hanno riferito all'interrogante sulle difficoltà di ricevere la corrispondenza, di poter intrattenere colloqui telefonici con i propri familiari detenuti in altri istituti, di poter ottenere un trasferimento in istituti vicini alla residenza della propria famiglia;
   i detenuti, inoltre, hanno messo in evidenza all'interrogante la non possibilità di poter svolgere attività lavorativa in carcere, condizione che rende la detenzione particolarmente insopportabile;
   in particolare non si sono potute accogliere le richieste di poter lavorare in cucina di alcuni detenuti perché, secondo le dichiarazioni del direttore Carrà, sarebbe necessario attivare all'interno dell'istituto un corso di formazione che rilasci un attestato;
   appare certamente insufficiente l'assistenza educativa e psicologica e manca un'attività continuativa di assistenza sociale e culturale per la carenza di educatori in forza all'istituto tale da precludere a molti detenuti la possibilità di ottenere ciò che gli spetta di diritto ossia un tempestivo accesso ai benefici premiali ed alle altre misure alternative alla detenzione previste dall'ordinamento penitenziario;
   la magistratura di sorveglianza competente, spesso in assenza di relazione sulla osservazione scientifica della personalità da parte degli educatori, ha rigettato le legittime istanze avanzate dai reclusi;
   in merito all'assistenza sanitaria in carcere, l'interrogante ha verificato come un detenuto non autosufficiente sia affidato alla sola assistenza dei suoi compagni di cella;
   diversi detenuti, inoltre, hanno lamentato che non è possibile vedere la televisione, sia perché manca materialmente l'apparecchio, sia per la non funzionalità del digitale terrestre, e che non viene loro consentito di poter acquistare, ricevere e detenere in cella lettori CD per ascoltare musica, o personal computer per scrivere o giocare, a differenza di quanto avviene in altri istituti penitenziari della Calabria in evidente violazione dell'articolo 3 dell'Ordinamento penitenziario il quale stabilisce che «negli Istituti Penitenziari è assicurata ai detenuti ed agli internati parità di condizioni di vita»;
   i detenuti hanno poi rappresentato all'interrogante l'assenza della doccia nelle loro celle che, ancora oggi, avviene in locali comuni ubicati all'interno del reparto in violazione di quanto disposto dall'articolo 134 del Regolamento di esecuzione penitenziaria;
   i detenuti hanno infine messo in evidenza la scarsa presenza e vigilanza del magistrato di sorveglianza nell'istituto, per cui molte delle istanze prodotte da loro e dai loro legali rimangono per lungo tempo senza una risposta;
   fatto ancora più grave e meritevole di essere evidenziato è quello che riguarda il detenuto R.V., ergastolano, il quale in data 2 agosto 2014, improvvisamente, su disposizione della competente direzione generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del 31 luglio 2014, è stato trasferito dalla casa circondariale di Catanzaro, nella quale si trovava ristretto da qualche anno, alla casa di reclusione di Rossano e posto in isolamento;
   la raccomandazione a «ridurre al minimo l'isolamento dei detenuti» è contenuta anche nel Rapporto annuale del Comitato europeo per la prevenzione della tortura (CPT), pubblicato il 10 novembre 2011, limitandolo solo a circostanze eccezionali e, sempre per il minor tempo possibile, rispettando i presupposti di legge e per un massimo di 14 giorni;
   negli anni scorsi, a tal proposito, è più volte intervenuto il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria con delle circolari rivolte ai direttori degli istituti penitenziari per invitarli a riportare l'utilizzazione del reparto e dell'istituto dell'isolamento ai soli casi prefissati dal legislatore, disapprovando, peraltro, la prassi di far transitare dal reparto d'isolamento: i condannati al rientro dal permesso (per uno o più giorni), i cosiddetti «nuovi giunti» (sino all'assegnazione) e i detenuti che, per ragioni personali o processuali, hanno un divieto d'incontro con la popolazione detenuta;
   negli stessi documenti, peraltro, si sottolinea come l'isolamento continuo determina situazioni di grave disagio fisico e psichico, con esposizione del detenuto a rischio suicida serio ed attuale;
   nei casi poi che la richiesta del detenuto di essere «isolato» sia giustificata da ragioni oggettive, che consigliano di adottare cautele per la protezione della sua incolumità personale, la direzione dell'istituto, dovrà disporre l'assegnazione ad una cosiddetta «sezione protetta»;
   a quanto risulta R.V. non è affetto da malattia contagiosa, non è stato oggetto di sanzione disciplinare di esclusione dalle attività in comune, non è stato raggiunto da provvedimento dell'autorità giudiziaria che ne disponeva l'allocazione in isolamento per ragioni di cautela processuale per cui non si comprende per quale motivo lo stesso non sia stato allocato in vita comune con gli altri detenuti all'interno del reparto AS3;
   inoltre, la pregressa situazione personale di R.V., emergente inconfutabilmente dalla sua cartella personale, avrebbe dovuto escludere categoricamente la sua allocazione in isolamento, per il concreto ed attuale rischio di gesti autolesionistici o suicidari, dal momento che presso la casa circondariale di Catanzaro era stato sottoposto al più rigoroso regime custodiale della «sorveglianza a vista»;
   R.V., sulla base delle informazioni in possesso dell'interrogante, alla data odierna, continua a permanere in isolamento e, pare, che lo stesso abbia denunciato tale situazione all'autorità giudiziaria competente chiedendo, altresì, di essere sentito dal procuratore della Repubblica di Castrovillari per denunciare le misure di rigore non consentite dalla legge a cui sarebbe sottoposto unitamente agli altri detenuti da parte del personale dell'amministrazione penitenziaria;
   il 4 settembre 2014 sul quotidiano Il Garantista a pagina 5, veniva pubblicato un articolo dal titolo «Una parola di troppo e quelli ti pestavano» in cui parla decreto ministeriale, 38 anni, già detenuto presso la casa di reclusione di Rossano ed in atto sottoposto alla misura alternativa della detenzione domiciliare;
   nell'articolo citato decreto ministeriale denunciava fatti e circostanze gravissime avvenute in detto istituto penitenziario negli anni scorsi ad opera di alcuni agenti della polizia penitenziaria, come ispezioni corporali, perquisizioni con denudamento ed esecuzione di flessioni, di percosse, di mancate cure sanitarie ed altro ancora;
   nello stesso articolo decreto ministeriale riferisce che «i pestaggi avvengono in isolamento», «dalla cella 24 si sentiva tutto», «bastava niente, uno sguardo, una parola di troppo» riferendo di non aver denunciato prima questa barbarie perché «avevo paura di ritorsioni»;
   precedentemente, sempre sugli organi di informazione, erano stati pubblicati ulteriori articoli riguardanti gravi abusi accaduti all'interno della suddetta casa di reclusione commessi dagli agenti di polizia penitenziaria in danno di detenuti stranieri di matrice islamica appartenenti al circuito differenziato dell'AS2 (luglio 2010);
   altri racconti di maltrattamenti con abusi da parte del personale dell'amministrazione penitenziaria sono stati raccontati da ex detenuti del circuito media sicurezza negli anni successivi (febbraio 2013);
   nell'istituto penitenziario di Rossano, come in tanti altri della Calabria, si registra, da tempo, una cronica carenza di personale di polizia penitenziaria e alcuni agenti riferiscono che spesso una sola unità sarebbe impiegata a sorvegliare circa 100 detenuti;
   non v’è dubbio che tale deficit di organico incide sull'organizzazione del lavoro e si ripercuote negativamente sia sulla vita dei detenuti che degli agenti di polizia penitenziaria costretti ad operare in condizioni di estremo disagio –:
   se e di quali informazioni dispongano i Ministri interrogati, ognuno per la parte di propria competenza, in merito ai fatti rappresentati, anche con riferimento ai casi specifici ivi segnalati;
   quali siano gli esiti dell'ispezione mirata disposta dal Ministro della giustizia ed effettuata dal dottor Francesco Cascini, vice capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e responsabile dell'ufficio ispettivo presso la citata casa di reclusione subito dopo la prima visita effettuata dall'interrogante;
   se il comandante di reparto della polizia penitenziaria di Rossano sia stato trasferito e, in caso affermativo, quali siano i motivi che abbiano determinato l'adozione di tale provvedimento;
   se e quali provvedimenti siano stati eventualmente intrapresi nei confronti del direttore dell'istituto o di altri dipendenti dell'amministrazione penitenziaria in servizio presso la casa di reclusione di Rossano;
   se siano stati avviati procedimenti legali presso la competente procura della Repubblica di Castrovillari che riguardino condizioni di detenzione illegali, maltrattamenti ed abusi avvenuti presso la casa di reclusione di Rossano, a seguito di denunce da parte dei detenuti, dei difensori di questi ultimi o di terzi, e se sia noto per quali ipotesi di reato;
   se la casa di reclusione di Rossano sia stata ispezionata dalla competente azienda sanitaria ed in caso affermativo a quando risalgano le visite e quali le loro risultanti in merito allo stato igienicosanitario dei suoi locali, all'adeguatezza delle misure di profilassi contro le malattie infettive disposte dal servizio sanitario penitenziario ed alle condizioni igieniche e sanitarie nonché di assistenza socio-sanitaria dei detenuti ai sensi dell'articolo 11, comma 12 e 13, dell'Ordinamento penitenziario;
   quale sia il carico di lavoro dell'ufficio di sorveglianza di Cosenza, se e con quale frequenza il magistrato di sorveglianza competente abbia visitato, negli ultimi anni, i locali dove si trovano ristretti i detenuti, se svolga periodici colloqui con i medesimi e se abbia mai prospettato al Ministro della giustizia eventuali problemi, disservizi o violazioni dei diritti dei detenuti nell'ambito della sua attività di vigilanza, con particolare riguardo all'attuazione del trattamento rieducativo, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 69, comma 1, del citato Ordinamento penitenziario e degli articoli 5 e 75, comma 1, del Regolamento di esecuzione penitenziaria;
   quanti siano i condannati ristretti presso la casa di reclusione di Rossano con una pena residua di 18 mesi che potrebbero ottenere, sin da subito, la concessione della esecuzione della pena presso il domicilio;
   quante siano, allo stato, le istanze per la concessione della detenzione domiciliare depositate presso l'ufficio di sorveglianza di Cosenza, quante di queste siano state evase e quante siano ancora quelle pendenti e, in quest'ultimo caso, entro quali tempi tali istanze saranno definite;
   quanti siano gli agenti di polizia penitenziaria previsti dalla pianta organica, quelli realmente assegnati e quelli effettivamente in servizio presso la casa di reclusione di Rossano specificando se tra questi vi siano unità distaccate presso altri uffici (provveditorato regionale, ufficio esecuzione penale esterna, e altro) o altri enti pubblici (comuni, province, regioni, e altro);
   se ed in quali tempi il Governo intenda adoperarsi per incrementare l'organico della polizia penitenziaria e degli educatori in modo da migliorare le condizioni lavorative del personale e rendere lo stesso adeguato alle esigenze della popolazione detenuta;
   se, non si ritenga altresì opportuno, per quanto di competenza, al fine di aumentare l'organico degli esperti psicologi ex articolo 80, comma 4, dell'Ordinamento penitenziario o, comunque, assicurare l'incremento delle ore di lavoro di quelli attualmente assegnati per migliorare l'efficacia degli interventi trattamentali nei confronti dei detenuti;
   cosa si intenda fare per implementare l'attività trattamentale dei detenuti, sia essa di studio e/o di formazione e lavoro, anche per quelli appartenenti al circuito differenziato dell'alta sicurezza, atta a preparare il futuro reinserimento sociale previsto dall'articolo 27 della Costituzione e, in particolare, se non si ritenga opportuno di avviare immediatamente un corso di formazione per rilasciare quella certificazione per il lavoro in cucina qualora, come sottolineato dal direttore stesso, tale certificazione si rendesse necessaria;
   se, in particolare, non si ritenga opportuno intervenire con urgenza per riavviare il laboratorio di falegnameria denominato «Dedalo» di cui è dotato l'istituto in modo da ampliare i posti di lavoro intramurario dal momento che proprio il lavoro è uno degli elementi fondamentali del trattamento carcerario così come previsto dagli articoli 15 e 20 dell'ordinamento penitenziario;
   cosa intenda fare il Governo per applicare finalmente quanto previsto dall'articolo 42 dell'ordinamento penitenziario per consentire ai detenuti di essere assegnati in istituti penitenziari posti in prossimità del luogo di residenza delle famiglie anche per agevolare i rapporti e favorire i colloqui con i familiari come prevedono gli articoli 15 e 18 del citato ordinamento;
   se non ritenga doveroso disporre con sollecitudine un intervento straordinario di ristrutturazione delle camere dei detenuti e, nello specifico, per adeguare le stesse al disposto di cui all'articolo 134 del Regolamento di esecuzione penitenziaria il quale prescrive che le docce debbano essere collocate in un vano annesso alla camera detentiva e non in locali esterni posti nel reparto;
   quali siano le motivazioni che hanno condotto all'improvviso trasferimento del detenuto R.V. dalla casa circondariale di Catanzaro alla casa di reclusione di Rossano e se tali motivazioni risultino fondate;
   se e quali provvedimenti il Governo intenda assumere per assicurare che l'isolamento nei confronti dei detenuti venga disposto solo ed esclusivamente in «circostanze eccezionali» e, comunque, nei soli casi tassativi previsti dal legislatore, proibendo all'amministrazione penitenziaria di utilizzare sezioni o reparti di isolamento per altri motivi in applicazione di quanto sancito dall'articolo 73 del Regolamento di esecuzione penitenziaria;
   se il Governo intenda emanare delle direttive soprattutto per quanto attiene l'esecuzione dell'isolamento poiché, ancora oggi, in spregio a quanto prevede la normativa vigente e nonostante le condanne già emesse dall'autorità giudiziaria competente, in diversi istituti della Repubblica, come quello di Rossano, i detenuti vengono collocati nelle cosiddette «celle lisce» prive di ogni suppellettile mentre, invece, dovrebbero essere posti in «camere ordinarie» che presentino le caratteristiche indicate dall'articolo 6 dell'ordinamento penitenziario. (5-03559)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   la «variante di valico» è il nodo centrale del potenziamento del cosiddetto corridoio appenninico ed è rappresentata dalla tratta La Quercia-Aglio dell'Autostrada A1; essa fa parte del progetto a livello nazionale di potenziamento della tratta autostradale da Firenze a Bologna (125 chilometri) in particolare dell'attraversamento appenninico, previsto dal piano decennale della viabilità di grande comunicazione (approvato dal C.I.P.E. ai sensi dell'articolo 2 della legge n. 531 del 12 agosto 1982);
   la variante di valico, la più grande infrastruttura stradale attualmente in costruzione in Europa, è un raddoppio autostradale pensato per rendere più fluido il collegamento su gomma tra Nord e Sud della penisola, riducendo i gravi inconvenienti del tracciato attuale, caratterizzato da forti pendenze e spesso di difficile agibilità nei mesi invernali, a causa di neve o condizioni atmosferiche avverse;
   come denunciato dagli, organi di stampa (e, fra i tanti, da Il Fatto Quotidiano, in propri articoli e inchieste del 25 ottobre 2011, 3 novembre 2011, 17 novembre 2011, 20 novembre 2011, 3 dicembre 2011, 1o gennaio 2012, 28 gennaio 2012, 22 febbraio 2012, 28 marzo 2012, 24 maggio 2012, 24 marzo 2013, 23 marzo 2014, 15 aprile 2014, 15 maggio 2014), sono emerse a più riprese, nel corso dei lavori, gravi criticità, relative anche all'assetto idrogeologico delle aree coinvolte, tali da determinare un possibile ulteriore allungamento dei tempi e incremento dei costi per la realizzazione delle opere;
   in particolare, nel 2011, in concomitanza degli scavi del tunnel Val di Sambro, una frana «sopita» ha ricominciato a muoversi, minacciando la vicina località di Ripoli-Santa Maria Maddalena;
   risulta agli interpellanti che i tecnici del Cnr e dell'Ispra, giunti sul luogo su invito del prefetto di Bologna, Angelo Tranfaglia, avrebbero imputato il risveglio della frana (di volume pari a due milioni di metri cubi di terra) ai lavori di cui sopra;
   la procura di Bologna ha aperto un fascicolo, contro ignoti, per disastro colposo, disposto numerose perizie tecniche e, infine, richiesto l'archiviazione (si veda Il Fatto Quotidiano del 22 luglio 2013), per la difficoltà a risalire a specifiche responsabilità individuali in ragione del complesso, ventennale iter di progettazione dei lavori; ciononostante, la consulenza tecnica ha sancito che «nelle diverse fasi progettuali non si è mai valutata la possibile interferenza tra lo scavo delle gallerie ed i movimenti del versante, sia quelli direttamente indotti dalla realizzazione dell'opera (subsidenza), sia quelli da attribuire alla riattivazione dei movimenti franosi già presenti all'inizio dei lavori anche se in fase di quiescenza, sia infine quelli eventualmente di nuova formazione» e che «la zona di Santa Maria Maddalena, al pari della zona precedente, presentava nel ventennio precedente i lavori velocità costanti di circa 2,7 mm/anno, valore stimato sulla base dell'analisi di immagini satellitari. I lavori di costruzione della galleria hanno impresso una generale accelerazione che ha fatto aumentare la velocità di spostamento di più di un ordine di grandezza»;
   nel frattempo, numerose famiglie di Ripoli hanno dovuto sgomberare, volontariamente o sulla base di ordinanze sindacali, le loro case, a causa dell'apertura di crepe e di scivolamenti dovuti allo smottamento del terreno;
   la frana minaccia anche il tracciato esistente dell'A1: in particolare viadotto Rio Piazza dell'autostrada del sole che collega Bologna a Firenze, nel tratto che passa sull'Appennino bolognese, ha iniziato a muoversi, tanto che nella primavera del 2012 la Società Autostrade ha aperto un nuovo cantiere sotto il viadotto per mettere in sicurezza i piloni (si veda Il Fatto Quotidiano del 24 maggio 2012);
   è invece degli ultimi mesi (si veda Il Fatto Quotidiano del 15 aprile 2014) la notizia che anche la galleria Sparvo, realizzata con modalità e macchinari che avrebbero dovuto evitare le complicazioni idrogeologiche che interessano la galleria Val di Sambro, ha subito danni a causa, ancora una volta, di una «frana lenta»: i rivestimenti in calcestruzzo della volta della canna nord sono saltati, per una lunghezza di 350 metri circa, e sono già stati individuati segnali premonitori di un analogo danneggiamento del rivestimento della corrispondente tratta della canna sud;
   risulta agli interpellanti, per quanto trapelato agli organi di stampa (si veda Il Fatto Quotidiano del 23 marzo 2014) che le ditte costruttrici abbiano inviato al Ministro interpellato, e a Mauro Coletta, commissario per la variante di valico e direttore della struttura di vigilanza sulle autostrade, una preoccupata missiva, nella quale ricordano di aver fatto presente fin dall'inizio ad Autostrade le proprie perplessità rispetto al progetto delle gallerie, proprio in virtù del rischio geologico; la società Autostrade, però, non avrebbe accolto tali osservazioni;
   risulta agli interpellanti che i costruttori, ritenendosi danneggiati e sostenendo di aver speso molto più del previsto, avrebbero chiesto ad Autostrade ulteriori 564 milioni di euro a titolo di «indennizzi e maggiori compensi»;
   la procura di Bologna ha recentemente aperto, in relazione alla galleria Sparvo, un fascicolo conoscitivo –:
   se quanto in premessa trovi conferma;
   quali siano, a oggi, i costi di realizzazione stimati per l'opera, e di quanto siano incrementati nel tempo;
   entro quale data la variante di valico sarà operativa;
   quali iniziative siano state intraprese, e a quale punto siano, per proteggere la popolazione delle zone interessate dalle frane;
   quale sia l'orientamento del Governo rispetto ai fatti di cui in premessa, e in particolare rispetto alla controversia contrattuale tra committente ed esecutore dei lavori;
   quali iniziative intenda il Governo assumere per individuare, nel limite dei propri poteri e nel rispetto delle competenze dell'autorità giudiziaria, le eventuali responsabilità tecniche, politiche e amministrative che hanno portato alla presente situazione.
(2-00679) «Catalano, Pisicchio».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la linea Porrettana, primo collegamento ferroviario tra il nord e il sud Italia attraverso l'Appennino, inaugurata nel 1864, è tuttora un'infrastruttura insostituibile per il servizio di trasporto pubblico nell'area dell'Appennino tosco-emiliano che va da Pistoia a Porretta Terme ed è indispensabile per le persone che si spostano per studio, per lavoro, per cura e per accedere ai servizi di cui il territorio montano è privo;
   essa rappresenta un patrimonio storico e culturale che se salvaguardato e valorizzato, potrebbe generare un flusso di visitatori che potrebbe fare da traino per un futuro sviluppo turistico della zona;
   da alcuni anni, invece, la Ferrovia Porrettana è stata oggetto di una politica di lenta e graduale dismissione; si è, infatti, innescato un circolo vizioso tra il peggioramento del servizio e il calo dell'utenza, che viene preso a pretesto per giustificare un ulteriore taglio;
   con le sei sole corse di treni in esercizio giornaliero e i numerosi problemi di disagi e mancate coincidenze, il servizio si rivela inefficace e costringe chi ne ha la possibilità a ricorrere all'uso del mezzo privato causando così un ulteriore abbassamento del dato dell'utenza e mettendo a rischio il futuro stesso della ferrovia;
   dal 5 gennaio 2014, a seguito di un evento franoso che ha interessato la Ferrovia, la situazione è ulteriormente peggiorata; il servizio che viene svolto con autobus sostitutivi nel tratto Pistoia-Porretta presenta notevoli problematiche e taglia fuori il paese di Castagno, ma soprattutto non esiste ancora una stima ufficiale dei tempi previsti per il ripristino e la riapertura della circolazione;
   in tale contesto cala la decisione di RFI spa che, per esigenze di risparmio sulla manutenzione della ferrovia, ha manifestato la volontà di rimuovere gli scambi di Molino del Pallone, Corbezzi e Piteccio lasciando ai convogli la possibilità di incrociarsi solo a Pracchia;
   se è vero che nelle attuali condizioni di servizio gli scambi non risultano indispensabili, in quanto, al momento, il servizio viene effettuato a spola (ovvero con un unico treno che parte da Pistoia e arriva a Porretta, per poi tornare indietro) è altrettanto vero che senza gli scambi ogni guasto e ogni ritardo sulla linea causerà ancora maggiori disagi per i viaggiatori a causa dell'impossibilità dei treni di scambiarsi per un tratto molto più lungo (da Pracchia 25 chilometri in direzione Pistoia e 14,8 chilometri in direzione Porretta);
   la rimozione degli scambi chiuderebbe definitivamente la strada ai propositi di rilancio e sviluppo della storica ferrovia Porrettana, sui quali si sono impegnate le amministrazioni e le comunità locali; in particolare, il comune di Pistoia e le pro loco della zona montana stanno lavorando ad un progetto di sviluppo territoriale secondo il quale Pracchia diventerebbe lo snodo ferro/gomma della nuova mobilità montana;
   questa situazione rischia di rappresentare il vero e proprio colpo di grazia per una Ferrovia già fortemente penalizzata, prima dallo scarso numero di corse a seguito della rimodulazione del 2011 e poi dai continui ritardi e soppressioni di treni da allora sempre più frequenti, mettendo a rischio il futuro di tutta una zona dell'Appennino pistoiese e tosco-emiliano, che sta già vivendo una situazione drammatica per l'ulteriore sfilacciamento del tessuto economico e la mancanza di opportunità per i residenti, in particolare per i giovani;
   la montagna pistoiese è un territorio ricco di risorse, storiche, culturali e architettoniche e naturalmente ambientali con meravigliosi paesaggi e grande varietà di flora e fauna, ha una grande ricchezza di risorse umane, persone attive e intraprendenti, fortemente radicate in questi luoghi, che con dedizione e con passione attraverso le associazioni cercano di mantenerli vivi e di preservarne le tradizioni;
   il mantenimento di un'adeguata qualità della vita per queste persone comporta il sostanziale potenziamento della tratta Pistoia-Porretta, funzionalmente relazionato anche alla tratta Porretta-Bologna, e con la dorsale Pistoia-Firenze oltre che all'articolato sistema stradale pianura-montagna;
   il sindaco del comune di Pistoia in accordo con il presidente della provincia e con i comuni montani ha presentato alla regione toscana, in preparazione della gara unica per il trasporto pubblico locale su gomma, la proposta di realizzare per gli autobus dei pendolari provenienti dalla montagna e viceversa, lo scambio a Pracchia con il treno; ci sono, inoltre, ottime prospettive per il trasporto merci su ferrovia (azienda Acqua Silva e operatori vari della montagna), in alternativa al trasporto su gomma –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro intenda assumere:
    a) per garantire il mantenimento di un servizio appropriato alle esigenze della collina e della montagna pistoiese e del confinante territorio emiliano, e che comunque assicuri la sopravvivenza della linea Porrettana;
    b) per ricercare, insieme alla regione Toscana, possibili soluzioni per il mantenimento della perfetta funzionalità infrastrutturale della linea, in particolare della funzionalità degli incroci ferroviari, anche attivandosi presso RFI per il perseguimento di tale obiettivo;
    c) per impostare tutte le possibili azioni di sviluppo del traffico merci su rotaia che possono originarsi sulla stazione di Pracchia da e per il sistema produttivo della montagna pistoiese, valutando di conseguenza le possibilità e modalità di riattivazione del suo scalo merci. (5-03552)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CRIPPA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 15 settembre 2014 il treno RV (regionale veloce) della tratta Novara-Milano delle ore 9,05 ha regolarmente sostato presso la stazione della città di Novara;
   al momento dell'arrivo del treno si poteva notare come le prime 3 carrozze fossero vuote e con le porte bloccate;
   a quel punto il capo treno ha provveduto ad informare i passeggeri in procinto di salire a bordo del treno di tornare indietro nelle carrozze precedenti alle 3 di testa dicendo che avrebbero potuto esserci posti a sedere;
   salendo sulle carrozze indicate, si poteva spiacevolmente notare come tutti i posti fossero occupati e come già diversi passeggeri fossero costretti a viaggiare in piedi;
   la situazione, come facilmente immaginabile, è andata peggiorando esponenzialmente con l'incremento di passeggeri dovuto alle soste presso le stazioni ferroviarie di Magenta e Rho;
   credendo che il trasporto pubblico ferroviario possa essere una delle soluzioni più sostenibili, si ritiene che l'utente debba essere incentivato all'utilizzo del mezzo pubblico, senza essere costretto ad optare a soluzioni di trasporto alternative sicuramente più impattanti su traffico e ambiente al fine di evitare disagi e stress a causa dei numerosi disservizi –:
   se sia noto al Ministro interrogato quali siano le motivazioni che possono spingere Trenitalia a chiudere con frequenza allarmante diverse carrozze passeggeri su una tratta particolarmente utilizzata quotidianamente da pendolari abbonati e non al servizio;
   se tale limitazione delle carrozze utilizzabili sia imputabile ad un limite imposto ad ogni capo treno da Trenitalia sul numero di carrozze gestibili dagli stessi, indipendentemente dal numero effettivo di passeggeri che fruiscono del servizio. (4-06032)


   GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la tratta ferroviaria Napoli-Bari, è interessata dal Programma infrastratture strategiche previsto dalla legge del 21 dicembre 2001, n. 443;
   il 12 settembre 2014 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto-legge n. 133 avente ad oggetto «Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive», il cosiddetto «Sblocca Italia»;
   con tale provvedimento, tra l'altro, l'amministratore delegato di Ferrovie dello Stato spa è stato nominato, per la durata di due anni, Commissario per la realizzazione delle opere relative alla tratta ferroviaria Napoli-Bari;
   il comma uno del novellato recita: «il Commissario provvede all'approvazione dei relativi progetti. Al fine di ridurre i costi e i tempi di realizzazione dell'opera, con particolare riferimento alla tratta appenninica «Apice-Orsara», il Commissario rielabora i progetti anche già approvati ma non ancora appaltati» attribuendo a quest'ultimo il potere di poter modificare quanto progettato e i relativi costi nonché i tempi di realizzazione dell'opera, correndo il concreto rischio di rinunciare alla progettazione originaria dov’è compresa la realizzazione della Piattaforma logistica con l'istituzione della scalo «Ufita», nel comune di Grottaminarda, dell'Alta capacità –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere per evitare che il conferimento dei nuovi poteri commissariali possano prevedere la rimodulazione progettuale del percorso originario della tratta ferroviaria «Alta capacità Napoli-Bari» in particolare nell'attraversamento del tratto irpino con la realizzazione della fermata «Ufita» in località Grottaminarda, innovativa e strategica infrastruttura fondamentale per lo sviluppo delle aree interne;
   quali iniziative intenda intraprendere affinché venga approvato quanto prima il progetto preliminare al CIPE e il suo conseguente finanziamento anche in considerazione della notevole e ingiustificata perdita di tempo accumulatasi. (4-06037)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   tra pochi giorni migliaia di consiglieri e di sindaci dei comuni interessati dalla costituzione delle città metropolitane parteciperanno alla elezione dei consigli metropolitani che avranno il compito di redigere lo statuto delle città metropolitane, come previsto dalla legge n. 56 del 2014;
   le democrazie costituzionali prevedono elezioni libere e plurali garantendo la effettiva possibilità di scegliere tra diverse proposte nell'ambito del procedimento elettorale, ancorché costituente;
   è necessario conoscere le diverse indicazioni di indirizzo statutario proposte dalle liste e dai candidati;
   definire la composizione del consiglio metropolitano che ha il compito di redigere lo statuto attraverso elezioni di secondo grado costituisce un limite per la partecipazione democratica dei cittadini, già oggi distanti dalle istituzioni attraverso una marcata astensione elettorale;
   ridurre la partecipazione al processo costituente della città metropolitana, da parte dei consiglieri e dei sindaci dei comuni coinvolti, alla sola manifestazione di voto, limita e preclude l'esercizio della potestà affidata al corpo elettorale a cui appartiene di determinare la formazione della volontà nella definizione dello statuto della città metropolitana;
   l'esercizio del diritto di voto non può essere assoggettato a limiti e modalità di espressione da parte della legge ordinaria oltre quelli previsti dalla Costituzione (ai sensi dell'articolo 1, comma 2 della Costituzione);
   la circolare del Ministero dell'interno n. 32/2014 sulla legge 7 aprile 2014, n. 56, recante «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni. Elezioni di secondo grado dei consigli metropolitani, dei presidenti delle province e dei consigli provinciali nelle regioni a statuto ordinario. Linee guida per lo svolgimento del procedimento elettorale», all'articolo 9 informa che «La legge n. 56/2014 non detta delle norme in materia di propaganda elettorale; per la particolarità e limitatezza del corpo elettorale, non può ritenersi applicabile la disciplina della propaganda elettorale tramite pubbliche affissioni di cui la legge 212/56 e successive modificazioni, tesa a rendere note le liste e i candidati di tutto il corpo elettorale che partecipa alle elezioni dirette. Si ritiene, pertanto, di non dover dettare particolari prescrizioni sulle forme di propaganda elettorale, tanto più che i candidati sono nella quasi totalità (fatti salvo «consiglieri provinciali uscenti») sindaci o consiglieri in carica, nei confronti dei quali opera il divieto di svolgere attività di comunicazione ad eccezione di quelle in forma impersonale, di cui l'articolo 9 della legge 22 febbraio 2000, n. 28. Detti candidati, da cittadini, possono compiere attività di propaganda al di fuori delle proprie funzioni istituzionali, sempre che, a tal fine, non vengano utilizzati mezzi, risorse personale e strutture assegnati alle pubbliche amministrazioni per lo svolgimento delle proprie competenze»;
   questo tipo di disposizione, con l'accezione assolutamente ambigua secondo la quale sarebbe ammessa soltanto una comunicazione «in forma impersonale» contrasta con il diritto di informazione, di trasparenza e di partecipazione democratica dei cittadini, dei candidati e degli elettori;
   questo tipo di dispositivo assunto attraverso circolare sta generando discriminazioni tra liste e candidati, tant’è che persino il sito web del comune capoluogo della città metropolitana di Milano alla luce della circolare suddetta ha tratto la seguente indicazione operativa: «Pertanto visto che questo sito è promosso dal comune di Milano qualunque commento o post pubblicati dai candidati al consiglio metropolitano verrà prontamente cancellato»;
   questo non giustifica una interpretazione della legge n. 56 del 2014 preclusiva del diritto ad una partecipazione informata al processo elettorale, peraltro in netto contrasto con le regole sulla par condicio stabilite dalla legge n. 28 del 2000 –:
   cosa intenda fare il Governo per quanto di competenza:
    a) per garantire e tutelare il diritto fondamentale di informazione e libertà di espressione e per evitare possibili strumentalizzazioni del flusso di informazioni da parte di terzi;
    b) per garantire il rispetto e l'applicazione della legge n. 28 del 2000 sulla par condicio;
    c) per favorire un processo deliberativo frutto dell'interazione positiva tra i candidati e il corpo elettorale.
(2-00681) «Dambruoso, Mazziotti Di Celso».

Interrogazione a risposta scritta:


   SORIAL. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la Tenuta Presidenziale di Castelporziano, sita a circa 25 chilometri dal centro di Roma, si estende su una superficie di 5892 ettari, e comprende tre chilometri di spiaggia nonché la porzione di mare sulla stessa insistente, dalla riva fino a 300 metri dalla costa, il tutto considerato pertinenza della residenza estiva del Presidente della Repubblica e, pertanto, ad egli riservato;
   con decreto del Presidente della Repubblica n. 136/N in data 5 maggio 1999, la Tenuta di Castelporziano, facente parte della dotazione del Presidente della Repubblica, in ragione del riconosciuto valore naturalistico e ambientale, è stata assoggettata a specifico regime di tutela e gestione secondo criteri che si richiamano alle disposizioni contenute nella legge 6 dicembre 1991, n. 394, riguardanti le aree naturali protette, al fine di garantire e di promuovere, in forma coordinata, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del paese;
   con decreto 12 maggio 1999, la Tenuta di Castelporziano è stata inserita tra le aree naturali protette;
   l'ingresso alla spiaggia, il transito a piedi sul bagnasciuga e il transito a nuoto in mare a meno di 300 metri dalla costa sono interdetti a chiunque e a presidiare i confini della tenuta vi sono forze dell'ordine appartenenti ai corpi dei Carabinieri e della Guardia di Finanza;
   è di mercoledì 13 agosto 2014 la notizia, circolata sul web e documentata da un video, che detto tratto di spiaggia sarebbe utilizzato abitualmente e da decenni dai dipendenti del Quirinale e dai loro amici, parenti e affini. Ciò accade non di certo senza regole: gli habitué dell'esclusiva spiaggia, infatti, parrebbe abbiano dovuto sottoscrivere una «Tessera Socio» del costo di euro 60,00 e una «Tessera Mare» del costo di euro 30,00: certamente prezzi competitivi, tenuto conto dell'esclusività della tenuta –:
   se, analogamente a quanto avvenuto con la tenuta di San Rossore, non ritenga, di assumere un'iniziativa normativa diretta a far sì che la tenuta di Castelporziano sia ceduta dalla Presidenza della Repubblica in modo da assoggettarla all'ordinario regime di tutela e da consentirne la fruizione da parte della generalità dei cittadini. (4-06039)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   alla ripresa di ogni anno scolastico puntualmente si ripropone il problema della graduatorie per le cattedre e degli insegnanti precari alla continua ricerca di una stabile collocazione;
   fino al 2007 ci si poteva spostare a piacimento chiedendo l'inserimento in una graduatoria per l'insegnamento di una materia in una determinata provincia a propria scelta, sulla base del rispettivo punteggio derivante da vari fattori: anzianità di permanenza in graduatoria, titoli, corsi di aggiornamento e altro;
   la «finanziaria Prodi», sulla base di un «disegno di legge Fioroni», trasformò le graduatorie da permanenti ad esaurimento, per cui la provincia scelta nell'aggiornamento del 2007, diventava l'ultima;
   dopo i tagli alla scuola effettuati con il decreto-legge n. 112 del 2008 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008 (Manovra del 2008), in occasione dell'aggiornamento biennale della graduatoria fatto nel 2009, il Governo – poiché esistevano territori con un forte esubero di posti e ad altri invece con scarse se non assenti disponibilità-consentiva, ferma restando la provincia di precedente inclusione, di entrare, in coda, nella graduatoria di altre tre province a scelta;
   in seguito a ciò si ebbero oltre 8 mila ricorsi di docenti che, ritenendo l'inclusione «in coda» alla graduatoria invece che «a pettine» (cioè in base al proprio punteggio) illegittima, si rivolsero alla Corte Costituzionale la quale riconobbe sì l'incostituzionalità del provvedimento di inclusione in coda, ma riconobbe anche l'incostituzionalità dell'inclusione contemporanea nella graduatoria di più di una provincia;
   oggi, si è di fronte ad un nuovo aggiornamento biennale e viste le molteplici decisioni giurisprudenziali, si prospetta l'inclusione in una sola provincia a scelta del docente, ma con la metodologia cosiddetta «a pettine»;
   è fatto notorio che al Sud ci sia maggiore elasticità nelle valutazioni alla fine dei corsi di aggiornamento professionale che fanno punteggio nelle graduatorie ad esaurimento ed è per questo che molti insegnanti del Sud riescono a scalzare, verso il basso, i loro colleghi del Nord, vanificando ogni speranza di ottenere una cattedra nella proprio provincia;
   con la riapertura delle graduatorie, visto che ogni docente ha potuto nuovamente scegliere di spostare la propria sede di insegnamento da una provincia all'altra, si sta verificando lo spostamento in massa degli insegnanti dal Sud al Nord, dal momento che nelle province del Nord la disponibilità di posti per l'insegnamento di alcune materie – soprattutto per lettere e scienze matematiche alle scuole medie – è maggiore che in quelle del Sud. Dunque chi arriva da altre province sta di fatto scalzando chi da anni ha avuto un incarico annuale con una certa continuità, anche se precario, che ha determinato ovviamente un'aspettativa di vita; in tanti, infatti, si sono creati una famiglia e hanno comprato una casa, magari accendendo un mutuo;
   da un'analisi dei flussi migratori più intensi, effettuata da un noto sito internet del settore, le province più ambite sono le grandi città come Roma, Milano, Firenze, Torino sempre in testa, ma sono ben rappresentate anche le province piccole e medie come Prato, Pistoia, Novara, Verona, Gorizia. La tendenza è a trasferirsi in centri grandi come Roma o Milano o più piccoli, purché satelliti di città grandi, come Mantova per il maggior numero di scuole e per la presenza di nodi ferroviari, autostradali o aerei che agevolano il collegamento con le aree di provenienza;
   in un recente articolo pubblicato da La Stampa di Torino si fotografa la paradossale situazione del capoluogo piemontese dove temono che molti insegnanti ricorreranno all'aspettativa non retribuita per un anno, una volta ottenuto il posto, alla fruizione dei congedi parentali non ancora utilizzati, alle agevolazioni della legge n. 104 (familiari malati e disabili), alla certificazione di gravidanze a rischio, per poi «fuggire» una volta superati i 180 giorni del periodo di prova. Con la conseguenza che una significativa percentuale di posti, costati un gran lavoro agli uffici dell'amministrazione scolastica per essere assegnati entro il 1o settembre e consentire ai docenti la «decorrenza giuridica ed economica» dell'assunzione, non si traduca in efficienza per la scuola torinese che si vedrà costretta a ricorrere alle supplenze, a tutto svantaggio della continuità didattica e quindi degli alunni;
   a Milano, c’è lo stesso problema; soprattutto nella scuola primaria, stanno «fioccando» le richieste di malattia o per l'assistenza di un parente disabile; i 174 posti disponibili sono stati coperti da docenti provenienti da fuori provincia, tanto che l'ufficio scolastico provinciale ha avviato i controlli per verificare i punteggi degli immessi in ruolo. Sono enormi le difficoltà e la corsa contro il tempo prima dell'apertura dei cancelli delle scuole, per predisporre le supplenze e colmare le carenze di organico generate da questo meccanismo perverso di reclutamento degli insegnanti –:
   se il Ministro intenda assumere iniziative nell'immediato per prevedere l'obbligo per le istituzioni scolastiche di reclutare i supplenti per il corrente anno scolastico utilizzando le graduatorie in essere, escludendo però chi ha inserito la propria posizione nelle medesime successivamente al mese di giugno del 2013;
   visto che è ormai tramontata la possibilità di rinviare di un anno l'aggiornamento delle graduatorie congelando quelle esistenti, se intenda assumere iniziative per stabilire un nuovo metodo di reclutamento – a tal proposito esiste da tempo un validissima soluzione proposta già la scorsa legislatura dalla Lega Nord – volto a sostituire l'attuale sistema di graduatorie con degli elenchi regionali, stilati regione per regione, tramite concorso e senza possibilità, pena la perdita del punteggio accumulato, di spostarsi da una regione all'altra prevedendo che gli aspiranti docenti possano iscriversi ad un solo elenco regionale;
   visto che le leggi di tutela vanno rispettate, ma non deve esserci abuso, se non intenda, attraverso gli appositi uffici, verificare quanti docenti «migranti» saranno effettivamente in servizio;
   se non intenda al più presto effettuare una verifica sui punteggi, soprattutto quei punteggi alti che hanno sconvolto i destini di molte persone;
   se non ritenga necessario reintrodurre il vincolo di permanenza in servizio sul territorio scelto per almeno 5 anni, tradotto in legge nel 2011 dal Governo Berlusconi e poi cancellato nel 2013 dal Governo Letta con il «decreto scuola» che ha ripristinato il vincolo di permanenza a tre anni precedentemente previsto dalla normativa, ferma restando l'esclusione di vincoli di permanenza nel caso in cui il docente possa avvalersi della legge n. 104 del 1992 per l'assistenza a familiari disabili, cosa che non è animata dall'intento di schierare gli insegnanti del Nord contro quelli del Sud, o di fare la guerra tra poveri, ma semplicemente di rispettare chi ha scelto di lavorare in forma stabile e continuativa in una determinata comunità, anche al fine di garantire agli studenti una corretta continuità didattica, che diversamente sarebbe negata, e di tenere conto che sono in ballo migliaia di posti di lavoro nonché la dignità di tanti bravi insegnanti che, anno dopo anno, attendono di vedere stabilizzato il proprio posto di lavoro.
(2-00677) «Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini, Simonetti».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GHIZZONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione VII della Camera dei deputati, al termine di un approfondito dibattito, ha approvato il 18 giugno 2014, con il parere favorevole del Governo, la risoluzione n. 8/00064 «Sui lavori delle commissioni per l'abilitazione scientifica nazionale dei professori universitari»;
   la premessa n. 13 della risoluzione osservava che «i risultati della prima tornata dell'ASN sono gravati da centinaia di ricorsi ai tribunali amministrativi, in buona parte motivati dall'intrico e dal sovrapporsi di norme e indicazioni non sempre chiare e univoche, nonché dalla loro applicazione da parte delle commissioni giudicatrici»;
   la considerazione n. 7 della risoluzione osservava ancora che «non va peraltro sottaciuto il problema di comportamenti delle commissioni giudicatrici tesi a far prevalere considerazioni di tipo accademico-corporativo su considerazioni prettamente scientifico-culturali, ottenendo risultati di abilitazione che sono apparsi talora contrari ai principi della qualità scientifica e del merito personale tanto da sollevare forti polemiche, con riflessi addirittura internazionali»;
   l'impegno n. 9, accolto dal Governo, prevedeva infine l'impegno a «valutare l'opportunità di alleggerire il contenzioso in atto sui risultati della prima tornata di abilitazione consentendo il riesame da parte delle commissioni dei curricula dei candidati non abilitati i cui indicatori personali siano risultati inesatti per errori o lacune presenti nelle banche dati internazionali utilizzate, nonché la loro ammissione alle nuove procedure di abilitazione a sportello»;
   i tribunali amministrativi stanno via via pronunciando ordinanze sui ricorsi presentati in tema di lavori delle commissioni giudicatrici dell'abilitazione scientifica nazionale;
   in alcune di tali ordinanze, ad esempio l'ordinanza N. 05427/2014 REG.RIC, del TAR Lazio in data 10 settembre 2014, si esprimono le seguenti considerazioni: (1) che non appaiono prima facie infondate alcune delle censure proposte nell'articolato ricorso di parte ricorrente, con particolare riferimento all'asserita illegittima formazione della Commissione nazionale (omissis) ed alle carenze nella motivazione del giudizio negativo espresso; (2) che tali elementi sono da approfondire e le esigenze cautelari di parte ricorrente sono adeguatamente tutelabili (omissis) attraverso la sollecita definizione del giudizio di merito;
   sulla base di tali considerazioni molte delle ordinanze considerate concludono fissando direttamente l'udienza per la trattazione del merito del ricorso, ma in data non anteriore a oltre un anno dopo l'ordinanza;
   sono già in corso in molte università i concorsi per la chiamata di professori ordinari e associati per la cui partecipazione è condizione necessaria il possesso della relativa abilitazione scientifica nazionale;
   a tali concorsi non possono quindi partecipare i candidati non abilitati che hanno presentato i ricorsi ai quali si riferiscono le ordinanze sopra citate –:
   quali provvedimenti il Ministro intenda assumere in autotutela, relativamente alle ordinanze citate in premessa, in particolare nell'ipotesi che un'eventuale sentenza del TAR riconoscesse l'illegittimità della formazione della commissione giudicatrice e quindi presumibilmente la nullità dell'intera procedura di conseguimento dell'abilitazione per tutti i candidati, sia quelli abilitati e possibilmente vincitori di concorso e titolari di un posto presso le università, sia quelli non abilitati e quindi impossibilitati a partecipare ai medesimi concorsi;
   quali provvedimenti il Ministro intenda assumere in autotutela nell'ipotesi che un'eventuale sentenza del TAR riconoscesse la carenza nella motivazione del giudizio espresso dalla commissione su singoli candidati, col risultato che sarebbe stato loro ingiustamente impedito di partecipare ai concorsi banditi dalle università;
   se il Ministro non ritenga opportuno valutare la possibilità, come previsto nella risoluzione citata in premessa e tenendo conto delle ordinanze pronunciate, di attivare motivatamente in specifici casi la procedura di riesame da parte delle commissioni giudicatrici dei curricula dei candidati non abilitati. (5-03549)


   VACCA, COLLETTI, DEL GROSSO, LUIGI GALLO, MARZANA, CHIMIENTI, SIMONE VALENTE, BATTELLI e D'UVA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in base alla normativa vigente sono definite «scuole paritarie» le istituzioni scolastiche non statali che, a partire dalla scuola dell'infanzia, sono coerenti con gli ordinamenti generali dell'istruzione e posseggono i requisiti fissati dalla legge 10 marzo 2000, n. 62;
   tra i requisiti necessari da rispettare per ottenere il riconoscimento della parità scolastica da parte dello Stato vi è il rispetto dei contratti individuali di lavoro per personale dirigente e insegnante in base a quanto previsto dai contratti collettivi nazionali di settore;
   la parità è riconosciuta con provvedimento adottato dal dirigente preposto all'ufficio scolastico regionale competente per territorio, previo accertamento della sussistenza dei requisiti normativi vigenti;
   la scuola paritaria può avvalersi in misura non superiore ad un quarto delle prestazioni complessive, di prestazioni volontarie di personale docente;
   nonostante tale agevolazione rispetto alla scuola statale, sono numerosissime le segnalazioni agli uffici scolastici regionali che denunciano situazioni contrattuali formalmente corrette, ma che nascondono lo sfruttamento del lavoratore a tal punto che molti docenti, al fine di vedersi attribuito il punteggio in graduatoria per il servizio prestato, accettano stipendi al di sotto del minimo tabellare o addirittura pari a zero;
   il meccanismo con cui si attua questo abuso sul lavoratore è semplice: il docente riceve il versamento dei contributi previdenziali previsti per legge, ma accetta di non percepire alcuna retribuzione da parte della scuola paritaria. In questo modo l'istituto in questione risparmia ingenti somme;
   è evidente che i controlli effettuati sulla regolarità dei contributi previdenziali ed assistenziali non sono sufficienti, in quanto non garantiscono il reale rispetto dei contratti di docenza. È, quindi, necessario una verifica sui bilanci delle scuole riguardo alla coerenza dell'ammontare delle risorse uscite per le retribuzioni dei docenti rispetto ai contratti di docenza effettivamente in essere;
   questo fenomeno è anche conosciuto con il nome di «diplomifici», veri e proprie aziende senza scrupoli che fanno profitti sfruttando giovani neolaureati per coprire il ruolo di docenza e vendendo, di fatto, titoli di studio;
   come si apprende dai quotidiani nazionali ogni anno, questo fenomeno è sempre più diffuso: si parla di pagamenti che si aggirano attorno ai sei-otto mila euro per ottenere un diploma e avere l'attestazione di frequenza a scuola;
   tale situazione potrebbe essere facilmente tamponata con una seria e puntuale attività ispettiva da parte degli uffici scolastici regionali soprattutto nei casi in cui esistono segnalazioni;
   già con l'interrogazione a risposta immediata in assemblea 3/00858 a prima firma della deputata Chimienti e co-firmata dal sottoscritto si denunciava, attraverso un dossier redatto dal professor Paolo Latella, una serie di testimonianze anonime di docenti di scuole paritarie dislocate in diversi territori della penisola che, al fine di vedersi attribuito il punteggio in graduatoria per il servizio prestato, accettavano stipendi troppo bassi o addirittura non ricevevano alcun compenso; nell'esercizio dell'attività parlamentare il primo firmatario del presente atto riceve numerose segnalazioni riguardo a tali problematiche. In particolare è stata più volte indicata una scuola secondaria paritaria di Pescara, con filiali a Lanciano e Avezzano, che propone contratti di lavoro in cui si prospetta la concreta possibilità di ricevere modesti rimborsi per la prestazione lavorativa di docente comunque «garantendo» il versamento dei contributi previdenziali; altre segnalazioni simili sono pervenute riguardanti una scuola secondaria paritaria di Francavilla al mare;
   nonostante il Ministro interrogato sia a conoscenza della problematica, non risulta, ad oggi, alcun provvedimento che miri ad attenuare tale abuso sui lavoratori attraverso l'ausilio di ispezioni mirate –:
   quali urgenti iniziative, di natura ispettiva, intenda intraprendere per far emergere e mitigare gli eventuali abusi perpetrati ai danni dei docenti nella realtà scolastica abruzzese;
   se il Ministro intenda attivarsi per revocare la parità a quegli istituti che operano gli abusi descritti in premessa. (5-03567)

Interrogazione a risposta scritta:


   CIPRINI, CHIMIENTI e GALLINELLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in seguito al recente aggiornamento triennale delle graduatorie ad esaurimento della scuola dell'infanzia e della primaria si è verificato il fenomeno del trasferimento e dell'inserimento nelle graduatorie provinciali di alcune regioni – in particolare delle regioni del centro nord e nello specifico della provincia di Perugia – di numerosi docenti provenienti da graduatorie di altre regioni con l'effetto devastante per i docenti già presenti da numerosi anni nelle graduatorie verso le quali sono confluiti i nuovi inserimenti, di subire uno forte «scivolamento» verso il basso della graduatoria;
   addirittura secondo i dati dei sindacati della scuola – Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda di Perugia – nella graduatoria dell'infanzia della provincia di Perugia ci sono stati ben 116 nuovi insegnanti inseriti nella suddetta graduatoria pari al 24 per cento della consistenza e di questi 43 nuovi docenti occupano la posizione dalla 1a alla 43a; anche nella graduatoria della scuola primaria della provincia di Perugia ci sono stati 74 nuovi inserimenti provenienti da altre province di cui 15 occupano le posizioni dal 1a alla 15a;
   lo scivolamento dei docenti presenti già da tempo nelle graduatorie produce l'effetto di escludere i suddetti docenti dall'assunzione in ruolo e anche dall'assegnazione della supplenza annuale;
   la regione dell'Umbria ha assunto alcuni provvedimenti come il controllo capillare e non a campione sui titoli, i punteggi e le idoneità dei riservisti presentate dai neo assunti e dagli incaricati annuali;
   occorre tuttavia un intervento del Governo che possa tutelare il personale precario della scuola presente da più tempo nelle graduatorie provinciali (in particolare nelle graduatorie della provincia di Perugia ove il fenomeno si è manifestato in maniera forte) e che si vedono lesi nella propria aspettativa di assunzione al ruolo e all'attribuzione dell'incarico annuale –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto esposto;
   quali provvedimenti intenda assumere il Ministro per tutelare quei decenti – anche ai fini di una stabilizzazione facendo riferimento alle graduatorie ad esaurimento precedenti ai nuovi inserimenti – che da più tempo si trovano e permangono nella graduatoria ad esaurimento della stessa provincia;
   se il Governo intenda assumere iniziative normative volte a salvaguardare gli insegnanti da più tempo inseriti nelle graduatorie ad esaurimento della stessa provincia anche consentendo a quegli insegnanti che non hanno avuto assegnazione di incarichi di cattedre a seguito dello «scivolamento», di integrare il punteggio individuale ovvero con l'acquisizione di un «bonus» (punteggio aggiuntivo) per chi ha garantito nel tempo la continuità didattica permanendo nelle graduatorie ad esaurimento della stessa provincia per almeno due trienni. (4-06034)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta immediata:


   TINAGLI e GALGANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 13 del regio decreto-legge 14 aprile 1939, n. 636, così come modificato dall'articolo 2 della legge 4 aprile 1952, n. 218, recante misure inerenti al riordinamento delle pensioni dell'assicurazione obbligatoria per la invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, dispone che: «Nel caso di morte del pensionato o dell'assicurato, sempreché per quest'ultimo sussistano, al momento della morte, le condizioni di assicurazione e di contribuzione di cui all'articolo 9, n. 2, lettere a) e b), spetta una pensione al coniuge e ai figli superstiti che, al momento della morte del pensionato o dell'assicurato, non abbiano superato l'età di 18 anni e ai figli di qualunque età riconosciuti inabili al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso di questi»;
   per i figli superstiti che risultino a carico del genitore al momento del decesso e non prestino lavoro retribuito, il limite di età è elevato a 21 anni qualora frequentino una scuola media professionale e per tutta la durata del corso legale, ma non oltre il 26o anno di età, qualora frequentino l'università;
   ai fini del diritto alla pensione ai superstiti, i figli in età superiore ai 18 anni e inabili al lavoro, i figli studenti, i genitori, nonché i fratelli celibi e le sorelle nubili permanentemente inabili al lavoro, si considerano a carico dell'assicurato o del pensionato se questi, prima del decesso, provvedeva al loro sostentamento in maniera continuativa;
   la ratio della norma è quella di consentire ad un figlio superstite di non vedere ridimensionate le proprie capacità, ma soprattutto di non vedere pregiudicate le possibilità di completare gli studi, fino al conseguimento della laurea nonostante la morte del genitore;
   la norma si riferiva ad un periodo storico in cui il massimo titolo conseguibile era, appunto, la laurea, non essendo all'epoca ancora intervenute le riforme che hanno introdotto molteplici tipologie di titoli universitari (laurea triennale, specialistica, master e altro). La norma, quindi, non prevedeva periodi di interruzione degli studi universitari inevitabili nel passaggio da un corso universitario all'altro;
   l'evoluzione dei percorsi di studio sopra indicati, accompagnata da un'interpretazione restrittiva della norma, può generare situazioni di disagio ed ingiustizia sociale, che penalizzano giovani studenti che perdono il padre nel periodo di transizione da un corso/titolo di studi al successivo; è questo il caso di J.C., che nel marzo 2013, qualche settimana dopo la laurea triennale e prima dell'iscrizione alla laurea specialistica, perde il padre. L'Inps di Gubbio assicura la famiglia che il ragazzo, all'epoca ventitreenne, avrebbe avuto diritto alla pensione di reversibilità;
   nella primavera/estate 2013 il ragazzo ha proceduto con i necessari adempimenti e accertamenti, per iscriversi alla laurea al corso specialistico in inglese e spagnolo presso l'Università di Alicante, dove si è immatricolato il 5 agosto 2013, e al suo ritorno, in data 27 agosto 2013, ha inoltrato la richiesta di pensione, presentando il documento di laurea di Perugia e quello di immatricolazione ad Alicante, dove lo studente si è trasferito nel mese di settembre 2013 per poter iniziare a frequentare i corsi;
   a distanza di diversi mesi e dopo diverse sollecitazioni all'Inps, successive alla richiesta della pensione di reversibilità da parte del ragazzo e della madre, vista la sussistenza dei requisiti necessari (figlio naturale che alla data del decesso del padre era fiscalmente a carico dello stesso), dal momento che la pensione di reversibilità non veniva attribuita, la madre del ragazzo con raccomandata ha inviato all'attenzione dell'Inps ulteriore sollecito della richiesta di pensione di reversibilità a favore del figlio, non ancora ventiseienne, studente presso l'Università di Alicante (Spagna);
   dopo diverse richieste, la madre ha ottenuto dai funzionari Inps la risposta che non sussisterebbe il diritto alla pensione, in quanto alla data del decesso del padre J.C. non era iscritto a nessuna scuola o università, dunque non era studente;
   lo studente J.C. ha seguito un percorso universitario obbligato: ha conseguito nei tempi più brevi e con profitto la laurea triennale e ha espletato le formalità necessarie nei mesi successivi per potersi iscrivere alla laurea specialistica;
   al momento della morte del padre si trovava tra un ciclo e l'altro del suo percorso universitario, dunque in quel momento non avrebbe potuto in nessun caso essere iscritto. Il ragazzo sta proseguendo con sacrifici i suoi studi ad Alicante, che sarà tuttavia costretto ad interrompere in caso di mancata corresponsione della pensione di reversibilità –:
   quali urgenti iniziative intenda porre in essere per ovviare ad un'interpretazione della norma descritta in premessa ormai superata e non rispondente ai percorsi di studi previsti oggi dall'ordinamento italiano, che non premia il merito dei giovani e penalizza quelli già colpiti da gravi situazioni familiari. (3-01028)


   GNECCHI, ALBANELLA, BARUFFI, BOCCUZZI, CASELLATO, DELL'ARINGA, FARAONE, CINZIA MARIA FONTANA, GIACOBBE, GREGORI, GRIBAUDO, INCERTI, MAESTRI, MARTELLI, MICCOLI, PARIS, GIORGIO PICCOLO, ROTTA, SIMONI, ZAPPULLA, MARTELLA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   come noto, il comma 10 dell'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 («decreto salva-Italia»), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha disposto nuovi requisiti per l'accesso alla pensione anticipata, prevedendo, tra l'altro, l'introduzione di un sistema di penalizzazioni che si attiva qualora gli aventi diritto – gli uomini con un'anzianità contributiva di almeno 42 anni e 1 mese e le donne di almeno 41 anni e 1 mese – anticipino l'accesso al pensionamento rispetto all'età di 62 anni, pari a una riduzione di 1 punto percentuale del trattamento pensionistico per ogni anno di anticipo nell'accesso al pensionamento rispetto alla predetta soglia anagrafica e di 2 punti per ogni anno ulteriore di anticipo rispetto a due anni;
   l'articolo 6, comma 2-quater, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14, ha successivamente stabilito la non applicabilità delle predette penalizzazioni ai soggetti che maturano il requisito di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017, qualora questa derivi esclusivamente da prestazione effettiva di lavoro, prevedendo solo alcune deroghe quali quelle per i periodi di astensione obbligatoria per maternità, per L'assolvimento degli obblighi di leva, per infortunio, per malattia e di cassa integrazione guadagni ordinaria;
   tale quadro normativo finisce per determinare la paradossale conseguenza di penalizzare diverse categorie di soggetti che maggiormente rischiano di subire gli effetti più pesanti di tale meccanismo di decurtazione dell'assegno pensionistico, quali i cosiddetti «precoci» o alcune categorie di lavoratori che in virtù delle particolari condizioni di esecuzione della loro attività lavorativa sono stati riconosciuti meritevoli di apposite disposizioni di tutela, quali i lavoratori che svolgono lavori usuranti o i lavoratori che sono stati esposti per periodi prolungati all'amianto;
   sembrerebbe paradossale che proprio i lavoratori che si trovano a vivere condizioni di maggior fatica e pericolo per la loro salute debbano essere maggiormente penalizzati economicamente per l'effetto dell'applicazione di divergenti disposizioni di legge, ovvero quelle che, da una parte, prevedono delle specifiche anticipazioni dei requisiti anagrafici e, dall'altra, quelle dell'articolo 24, comma 10, del richiamato decreto-legge n. 201 del 2011, che prevedono una decurtazione dell'assegno pensionistico qualora si vada in pensione prima del compimento dei 62 anni;
   per porre rimedio a tale evidente incongruenza delle richiamate disposizioni, in occasione dell'esame del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, si era provveduto a riformulare il disposto del citato articolo 6, comma 2-quater, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, escludendo, in via generale e senza illogiche distinzioni, l'applicazione delle penali a tutti i soggetti che avrebbero maturato il previsto requisito di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017;
   tale intervento correttivo è stato ipotizzato, tenendo conto dei calcoli elaborati dall'Inps relativi ai potenziali beneficiari e ai relativi oneri finanziari. Tuttavia, su tali dati si è registrata una diversa valutazione da parte della Ragioneria generale dello Stato che ha determinato il Governo a espungere tale disposizione, insieme ad altre, nel corso dell'esame da parte dell'altro ramo del Parlamento;
   a prescindere dal ripetersi di situazioni in cui si sono registrate diverse valutazioni tra i diversi enti e organi dello Stato circa gli effetti delle misure in materia previdenziale, si deve rimarcare la mancata soluzione di un problema che, pur essendo stato segnalato sin dalle prime fasi di esame del decreto-legge «salva-Italia», determina una palese ingiustizia a fronte di risparmi piuttosto esigui e aleatori, soprattutto se valutati alla luce della portata finanziaria della manovra operata sul sistema previdenziale del nostro Paese –:
   se non ritenga opportuno, nel quadro di un intervento più organico che ponga rimedio ai problemi più evidenti scaturiti a seguito dell'entrata in vigore del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, già in occasione del prossimo disegno di legge di stabilità, trovare una specifica soluzione al tema delle penalizzazioni previste dal comma 10 dell'articolo 24 del medesimo decreto, sulla falsa riga di quanto proposto alla Camera dei deputati, in occasione dell'esame del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114.
(3-01029)


   TAGLIALATELA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'Europa ha individuato nella disoccupazione giovanile una priorità e con la raccomandazione europea 2013/C120/01 del 22 aprile 2013 ha previsto l'istituzione del programma «Garanzia giovani», in base al quale politici e tecnici sono chiamati a rispondere alle difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro dei ragazzi con tempi e modi uniformi e omogenei, sia nei territori nazionali sia in ambito europeo;
   il programma «Garanzia giovani» (Youth guarantee) prevede l'erogazione di finanziamenti in favore dei Paesi membri dell'Unione europea con tassi di disoccupazione superiori al 25 per cento che saranno investiti in politiche attive di orientamento, istruzione e formazione e inserimento al lavoro, a sostegno dei giovani che non sono impegnati in un'attività lavorativa, né inseriti in un percorso scolastico o formativo (neet - not in education, employment or training);
   in sinergia con la raccomandazione europea del 2013, l'Italia dovrà garantire ai giovani al di sotto dei trenta anni un'offerta qualitativamente valida di lavoro, proseguimento degli studi, apprendistato o tirocinio, entro 4 mesi dall'inizio della disoccupazione o dall'uscita dal sistema d'istruzione formale;
   il programma «Garanzia giovani» richiede una strategia unitaria e condivisa tra Stato e regioni ai fini di un'efficace attuazione a livello territoriale e, quindi, accanto al piano nazionale che individua le azioni comuni su tutto il territorio nazionale, ciascuna regione ha l'impegno di adottare un proprio piano attuativo per definire quali sono le misure del programma che vengono attivate sul territorio, in coerenza con la strategia nazionale;
   per contribuire a realizzare gli obiettivi previsti dal programma, l'articolo 5 del decreto-legge n. 76 del 2013 ha istituito un'apposita struttura di missione che coinvolge, oltre al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e alle sue agenzie tecniche (Isfol e Italia lavoro), l'Inps, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministero dello sviluppo economico, il dipartimento della gioventù della Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero dell'economia e delle finanze, le regioni e le province autonome, le province e Unioncamere;
   la struttura di missione ha sviluppato il piano di attuazione italiano della Garanzia per i giovani, nel quale sono declinati gli obiettivi e i risultati attesi, oltre che gli strumenti operativi, del programma in Italia;
   l'esclusione dalla «Garanzia giovani» degli studenti, da ultimo ribadita con la nota del direttore generale della direzione generale per le politiche attive e passive del lavoro del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 4 luglio 2014, comporta un ulteriore disallineamento tra le aspettative dei giovani e i reali fabbisogni delle economie locali, posto che la garanzia prevede misure e dispositivi utili a colmare i divari formativi con attività esperienziali (formazione, tirocinio) non previste dal sistema scolastico e universitario e che, al contrario, risultano estremamente utili alle imprese;
   alcune regioni, pur avendo già dato avvio alle iscrizioni per partecipare al programma «Garanzia giovani» non hanno ancora posto in essere le convenzioni con le aziende per dare concreta attuazione agli obiettivi dello stesso –:
   se non ritenga di assumere iniziative per estendere il programma di cui in premessa anche ai giovani di età compresa tra i 15 ed i 29 anni, che siano inseriti in percorsi scolastici, formativi o universitari, e quali iniziative intenda assumere al fine di garantire il regolare ed efficace svolgimento del programma. (3-01030)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda Margaritelli s.p.a. è una delle più grandi e conosciute realtà imprenditoriali dell'Umbria ed opera nel settore della produzione di parquet di alta qualità con il celebre marchio Listone Giordano;
   l'azienda occupa oltre 300 lavoratori alle proprie dipendenze e conta tre stabilimenti produttivi situati a Miralduolo (nel comune di Torgiano), Palazzo di Assisi (nel comune di Assisi) e Mantignana (nel comune di Corciano);
   l'azienda dal maggio 2009 ha fatto ricorso dapprima alla cassa integrazione guadagni ordinaria, poi ha beneficiato della cassa integrazione straordinaria ed oggi gode nuovamente di un residuo della cassa integrazione ordinaria con scadenza il 31 ottobre 2014;
   in data 8 settembre 2014 in un incontro presso l'Associazione industriali di Perugia l'azienda Margaritelli, unilateralmente e senza alcun confronto con i lavoratori, ha comunicato l'apertura della procedura di mobilità con la previsione di 31 licenziamenti su 44 dei lavoratori occupati presso lo stabilimento di Mantignana e l'applicazione dei contratti solidarietà per i dipendenti degli altri due stabilimenti di Miralduolo e Palazzo di Assisi;
   come si apprende dagli organi di informazione e dalla stampa on line (www.umbria24 e www.umbriadomani del 9 e 11 settembre 2014), la rappresentanza sindacale unitaria dei lavoratori e la Filca CISL dello stabilimento di Mantignana hanno duramente stigmatizzato tale decisione ed in particolare le modalità e i criteri con cui l'azienda ha gestito la vertenza rilevando il «carattere discriminatorio» della procedura di mobilità adottata che ha colpito la stragrande maggioranza dei dipendenti occupati presso il solo stabilimento di Mantignana (tutti ex FILLEA CGIL e passati in blocco alla Filca CISL) laddove negli stabilimenti di Miralduolo e Palazzo di Assisi del medesimo gruppo Margaritelli sono stati applicati i contratti di solidarietà;
   i lavoratori e la rappresentanza sindacale unitaria dello stabilimento di Mantignana, a causa del paventato licenziamento di 31 unità lavorative che assumono essere discriminatorio ed ingiustificato, si trovano in assemblea permanente, hanno già ottenuto la solidarietà del sindaco del comune di Corciano e della Filca CISL e hanno fatto sapere che l'assemblea andrà avanti fino a quando non ci sarà un chiarimento da parte dell'amministratore delegato della Margaritelli;
   ad oggi tuttavia le trattative e la situazione appaiono «in stallo» e forte è la preoccupazione tra i 31 dipendenti – e non solo – in merito alla sorte lavorativa e grande è l'incertezza tra i dipendenti dello stabilimento di Mantignana in merito alle prospettive occupazionali –:
   quali concrete iniziative intenda assumere il Ministro al fine di favorire la ripresa del dialogo e di un confronto trasparente tra l'azienda Margaritelli spa, i lavoratori e i sindacati nonché una corretta gestione delle relazioni industriali e sindacali individuando – anche con il coinvolgimento delle istituzioni locali e regionali – la soluzione più adeguata che abbia come interesse preminente il mantenimento dei livelli occupazionali dell'intero gruppo Margaritelli ed eviti i prospettati licenziamenti nello stabilimento di Mantignana, anche con l'adozione dello strumento dei contratti di solidarietà previsti dalla normativa vigente. (5-03548)

Interrogazione a risposta scritta:


   ARLOTTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   sono circa 80.000 le lavoratrici e i lavoratori italiani che ogni giorno attraversano i confini nazionali per prestare la loro attività lavorativa all'estero con il permesso di frontaliere;
   il frontalierato è a tutti gli effetti un fenomeno strutturale del mercato del lavoro ed un aspetto rilevante nei rapporti dell'Italia con i Paesi di confine, che ha rappresentato nel corso del tempo e rappresenta tuttora un importante contributo allo sviluppo ed un'elevata risorsa per l'economia delle province italiane di confine;
   le particolari condizioni di vita e di lavoro dei frontalieri li espongono ad una serie complessa di problematiche di natura fiscale, previdenziale, di sicurezza sociale e regolazione del lavoro, derivanti dal fatto di essere a tutti gli effetti cittadini italiani ma prestatori di lavoro in uno Stato estero;
   nonostante la rilevanza del fenomeno, il nostro Paese non dispone ad oggi di una specifica disciplina legislativa in grado di riconoscere pienamente il valore e l'importanza del lavoro frontaliero per il contesto economico e sociale delle aree territoriali ove è presente: al contrario diversi provvedimenti governativi adottati negli ultimi anni hanno ignorato la specificità dello status di lavoratore frontaliere, generando talvolta una sottovalutazione se non un aggravamento dei tanti problemi aperti;
   sono sorte ad esempio controversie per il riconoscimento dell'indennità di disoccupazione e non è risolta in via definitiva la questione dell'esenzione per i redditi di lavoro dipendente prodotti all'estero in zone di frontiera, problema su si è provveduto con misure temporanee, da ultimo con una disposizione apposita nella legge di stabilità 2014, pur permanendo problematiche relative alla previdenza;
   la Convenzione tra la Repubblica italiana e la Repubblica di San Marino per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le frodi fiscali, con Protocollo aggiuntivo, ratificata con legge 19 luglio 2013, n. 88, prevede che «La Repubblica Italiana assoggetterà a tassazione il reddito lordo dei lavoratori frontalieri residenti in Italia conseguito nella Repubblica di San Marino con le modalità che saranno stabilite con legge ordinaria. La legge ordinaria potrà determinare una quota del reddito lordo dei lavoratori frontalieri esente da imposta in Italia»;
   il 22 ottobre 2013 a seguito dell'approvazione presso la Camera dei deputati della mozione Braga, Pizzolante, Antimo Cesaro, Kronbichler, Plangger ed altri n. 1-00013, il Governo ha assunto l'impegno di aprire di un tavolo di confronto con le rappresentanze delle associazioni sindacali e dei lavoratori dei territori di confine con l'obiettivo di predisporre l'impianto di uno statuto dei lavoratori frontalieri utile alla ripresa dei negoziati internazionali in grado di produrre accordi bilaterali con i Paesi di confine che prevedano una specifica ed appropriata disciplina del lavoro frontaliero –:
   come i Ministri interrogati intendano attivarsi per dare seguito a quanto previsto dal protocollo fra Repubblica Italiana e Repubblica di San Marino ratificato con la legge 19 luglio 2013, n. 88, presentando al Parlamento le proprie proposte in materia di trattamento fiscale e previdenziale dei lavoratori frontalieri;
   se non si ritenga opportuno arrivare al più presto all'approvazione di uno statuto dei lavoratori frontalieri, che definisca un quadro di diritti e doveri chiari legati a questa peculiare condizione di lavoro e dia soluzione ai problemi in essere, generati principalmente dalla mancanza di una regolamentazione specifica. (4-06036)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta immediata:


   RUSSO, FAENZI e PALESE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   i prodotti agricoli italiani scontano una crisi economica senza precedenti, cui si aggiunge la contingenza talvolta delle condizioni atmosferiche avverse e talaltra dell'embargo russo;
   le eccellenze agroalimentari del nostro Paese sopravvivono alle difficoltà perché testimonial di valori esclusivi come la qualità, la tradizione ed il forte potere evocativo dei singoli luoghi di produzione;
   numerosissime sono le aziende che hanno investito risorse nei marchi dop, igp, stg, doc e docg che sono riconosciuti dall'Europa e che rappresentano una garanzia di genuinità, tracciabilità e provenienza specifica;
   sugli agricoltori italiani incombe come un macigno la suggestiva idea che il Governo avrebbe avuto, quella cioè di promuovere con oltre 220 milioni di euro un ennesimo marchio, che si aggiungerebbe a quelli esistenti;
   sembra, quindi, che per sconfiggere il fenomeno noto come italian sounding si è pensato ad un ulteriore marchio, il cui titolo provvisorio sarebbe l'inglesissimo italian original;
   il risultato sarà la solita giostra di risorse dispensate a mediatori vari ed improvvisati e, soprattutto, concorrenza tra gli stessi operatori italiani e tanta confusione, in particolare nei confronti di quelle migliaia di aziende che viceversa hanno creduto nelle dop e nelle igp, garantendo qualità, tracciabilità e territorio;

   nella migliore delle ipotesi, senza considerare i dubbi in merito alla compatibilità con la legislazione europea, si tratterà di un altro regalo parassitario ad un pezzo di un'industria aspecifica di trasformazione di prodotti che giungono dall'estero e deprimono l'agricoltura e le tradizioni italiane;
   se negli Stati Uniti si promuove con i fondi italiani la mozzarella di bufala a marchio italian original, ma viene prodotta con cagliata ucraina oppure se si sponsorizza il vino, sempre italian original, pur essendo a basso costo, ci si chiede che fine faranno la mozzarella di bufala campana dop o i tanti vini a marchio, o il parmigiano reggiano dop. Il rischio è quello di esporre prestigiosi prodotti di eccellenza e più specificatamente quelli a marchio (dop, igp, stg, doc e docg), quali, per esempio, la mozzarella di bufala campana, il parmigiano reggiano ed il prosciutto di Parma, la cui qualità è universalmente riconosciuta e ammirata, al riconoscimento abbinato tra la tipicità e la genericità, con ricadute economiche negative e penalizzanti proprio per quelle filiere che tante difficoltà incontrano nei mercati stranieri per mantenere affidabilità e quote di mercato; tanti rischi e nessun aiuto alle imprese che assumono ogni iniziativa all'estero per sbarcare il lunario e consolidare la loro presenza sui mercati, nessun aiuto sul piano del commercio illegale e sul fronte della concorrenza sleale, nessun aiuto tecnico giuridico nel contrastare l’italian sounding –:
   se sia vero che è stato ideato il marchio italian original e se si sia valutato l'impatto che questo avrebbe, se adeguatamente promosso con 220 milioni di euro, a danno dei prodotti a marchio, che da soli valgono oltre 7 miliardi di euro di fatturato ed una storia di qualità e tracciabilità. (3-01025)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SIMONE VALENTE, BATTELLI, PARENTELA, BENEDETTI, GALLINELLA, LUPO, GAGNARLI, L'ABBATE e MANTERO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da notizie stampa delle ultime settimane è emerso che le coltivazioni di basilico (Ocimum basilicum, L.) sono state attaccate da un pericoloso fungo di origine africana (Peronospora Belbahrii) che sta mettendo in pericolo le coltivazioni e conseguentemente la produzione del noto pesto ligure. La diffusione di questo fungo sarebbe dovuta ad una produzione di spore su sporofori dicotomici ramificati presenti sulle foglie quando le piante infette sono incubate per almeno 7 ore e mezzo al buio in atmosfera satura di umidità a 10-27 gradi. Altre cause che hanno contribuito alla propagazione del fungo sono state le condizioni meteo e l'elevato grado di umidità presente nell'atmosfera;
   attualmente in Liguria, ammontano a cento i coltivatori di basilico che producono un valore commerciale di sei milioni di euro che salgono a quindici milioni di euro l'anno con l'indotto; si stimano, inoltre, cinquecento lavoratori occupati nel ramo e circa cinquanta aziende addette alla trasformazione. La produzione annua in Liguria è di circa 1.072.000 mazzi per una produzione complessiva di ventottomila quintali; nel 2000 gli ettari coltivati a basilico in tutta Italia erano 83, nel 2013 erano 800 di cui 100 in Liguria, tanto è vero che nel 1996 la Commissione europea ha concesso la denominazione di origine protetta al basilico genovese;
   il primo violento attacco della peronospora belbahrii sulle colture italiane di basilico risale all'autunno del 2003 quando l'80 per cento degli oltre 100 ettari coltivati in Liguria furono interessati dalla malattia, causando gravi danni e determinando quindi un crollo delle coltivazioni;
   una prima risposta all'emergenza è stata data dalla stessa regione che si è dichiarata pronta a sostenere la richiesta presentata dai coltivatori liguri di ricorrere all'utilizzo dei fitofarmaci per arginare il problema del fungo killer;
   Agroinnova (il Centro di Competenza per l'innovazione in campo agro-ambientale dell'università di Torino), da sempre al centro di numerose ricerche ed iniziative rivolte a trovare soluzioni alternative e non invasive per l'ambiente, sta da tempo conducendo importanti ricerche volte ad individuare i rimedi efficaci per fermare la propagazione della peronospora belbahrii; il Centro ha più volte ribadito la necessità di ricorrere all'uso di trattamenti specifici ai semi, incentivando la virtuosa collaborazione tra centri di ricerca ed aziende sementiere;
   secondo Agroinnova, la soluzione infatti non risiede nell'impiego di agrofarmaci durante la coltivazione, sostanze chimiche che pur combattendo il patogeno su una coltura come il basilico possono lasciare residui non graditi al consumatore, quanto piuttosto su trattamenti di concia dei semi, con mezzi fisici, naturali, biologici ed, eventualmente, solo in un secondo momento con mezzi chimici;
   quella del basilico è una coltura molto delicata a ciclo breve e con raccolte a ritmi molto frequenti. Proprio in virtù di quanto appena asserito, il ricorso all'uso di fitofarmaci per salvare le coltivazioni di basilico non sarebbe la giusta soluzione;
   appare infatti del tutto evidente come i fitofarmaci abbiano un ruolo determinate in agricoltura essendo usati per difendere le colture da parassiti (soprattutto insetti ed acari) e patogeni come funghi, virus e batteri; tuttavia, essendo generalmente costituiti da sostanze tossiche (in alcuni casi cancerogene) il loro uso improprio genera rischi e pericoli per la salute umana e animale. Alcuni residui potrebbero inquinare le acque superficiali e sotterranee con effetti rischiosi per la salute umana e l'ambiente. In diverse occasioni a nulla è valso l'utilizzo massiccio di fitofarmaci che hanno peggiorato la situazione dando il via ad altri tipi di infestazioni oltre che alla scomparsa di gran parte dell'avifauna e degli altri organismi necessari al mantenimento degli equilibri ambientali;
   nel corso degli ultimi anni una serie di direttive comunitarie sono state emanate al fine di ridurre il più possibile i rischi derivanti dall'uso dei fitofarmaci, definendo una serie di limiti alle loro concentrazioni nella frutta e nei vegetali, nei cereali e nei prodotti di origine animale; in particolare, la Direttiva CE 152/99 ha imposto dei limiti molto restrittivi relativamente alla loro presenza nelle acque destinate a fini potabili ed un uso moderato in agricoltura favorendo politiche rivolte a forme più evolute di agricoltura sostenibile –:
   quale sia lo stato delle cose relativo all'uso dei prodotti fitosanitari e diserbanti nel territorio ligure, sull'attività di promozione della lotta biologica e la relativa disincentivazione all'uso non regolato dei prodotti chimici;
   se siano stati adempiuti i relativi controlli riguardanti l'uso dei fitofarmaci nonché la loro regolarità nell'ambito dei registri sia tecnici che fiscali;
   se siano state predisposte adeguate misure volte a far conoscere alla cittadinanza i rischi per l'ambiente e per la salute pubblica in merito ai trattamenti a base di fitofarmaci;
   quali misure i Ministri interrogati intendano adottare tempestivamente per debellare il fungo ed evitare il rischio di compromettere il raccolto e mettere a repentaglio la sopravvivenza di numerose aziende e di posti di lavoro;
   se non ritengano opportuno sviluppare accanto a soluzioni immediate atte a fronteggiare l'emergenza risposte tecnologiche sostenibili per l'ambiente a lungo termine nonché strategie preventive. (5-03551)

SALUTE

Interrogazioni a risposta immediata:


   MANTERO, GRILLO, SILVIA GIORDANO, BARONI, CECCONI, DALL'OSSO, DI VITA e LOREFICE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi mesi numerosi articoli di stampa hanno evidenziato nel settore farmaceutico accordi di cartello, prezzi elevati dei farmaci e distribuzione di farmaci non sicuri da parte delle aziende farmaceutiche;
   in particolare, i farmaci antitumorali rappresentano una vera e propria ricchezza e risorsa per le aziende farmaceutiche, tanto che il dottor Domenico De Felice, medico opinionista di sanità sociale, in un suo post dichiara che per questi la materia prima aumenta fino ad un milione di volte quando diviene farmaco per il paziente, con un incasso nella filiera della produzione/distribuzione enorme che mal si concilia con la necessità obbligata per pazienti con problematiche cliniche al limite della vita;
   l'Italia è periodicamente interessata da periodi di mancanza o di difficile reperibilità di farmaci, quali, ad esempio: antidepressivi, farmaci per il disturbo dell'ansia generalizzata, per il dolore neuropatico, per l'ipertensione, antiepilettici, antiasmatici, farmaci per la cura del Parkinson, farmaci antitumorali ed altri;
   Federfarma ha più volte dichiarato che le case farmaceutiche producono farmaci in quantità sufficiente;
   una delle principali cause della carenza di farmaci è la cosiddetta esportazione parallela, ovvero acquistare farmaci in Italia dove i prezzi sono più contenuti e rivenderli all'estero con possibilità di guadagnare dal 20 per cento al 60 per cento rispetto al prezzo originale; i medicinali sui quali maggiormente si cerca il profitto sono i medicinali più innovativi, ad elevato valore terapeutico e quelli che non hanno un equivalente alternativo;
   un meccanismo, quello dell'esportazione parallela dovuto alla normativa dell'Unione europea, che ha disciplinato le esportazioni parallele, ed alla normativa vigente dal 2006, che ha dato la possibilità alle farmacie di essere anche grossisti;
   l'ennesima recente dimostrazione riguarda un antitumorale scomparso dal mercato italiano per molto tempo, il Leukeran dell’Aspen, il farmaco «nascosto» all'Italia, ad uso umano adoperato nel trattamento di linfomi non-Hodgkin e di adenocarcinomi ovarici, la cui distribuzione in Italia costava 7,13 euro la confezione da 25 compresse rivestite da 2 milligrammi, ma che veniva esportato all'estero, dove l'incasso, e quindi il costo per il cittadino, era maggiore, oppure veniva venduto on line a costi ancora più elevati ma privi di sicurezza e controlli;
   dal 1o aprile 2014 è stata ammessa la rinegoziazione del medicinale per uso umano Leukeran (clorambucile), ai sensi dell'articolo 8, comma 10, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, al prezzo al pubblico (iva inclusa) di euro 94,95, soggetto a prescrizione medica da rinnovare volta per volta (ricetta non ripetibile), dunque il costo della stessa confezione è aumentato da 7,13 euro a 94,95 euro, anche se, essendo in classe A, è a totale carico dello Stato con eventuale ticket;
   agli interroganti appare spropositato, nel caso del Leukeran un aumento così elevato del costo, che costituirà un ulteriore onere per il servizio sanitario nazionale, se la molecola è rimasta la stessa e l'azienda non ha dovuto fare nessun esborso aggiuntivo in relazione a studi clinici o per l'autorizzazione alla immissione in commercio che risale al 2000 –:
   per quale ragione l'Agenzia italiana del farmaco abbia approvato l'aumento e la rinegoziazione del costo del farmaco Leukeran in data 17 marzo 2014, quali siano i motivi alla base dell'aumento del costo del farmaco medesimo e, più in generale, quali siano le iniziative intraprese per evitare la periodica carenza di farmaci e quale sia l'efficacia delle stesse. (3-01021)


   GIGLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Parkinson è una patologia neurodegenerativa, ad evoluzione lenta ma progressiva, che coinvolge principalmente alcune funzioni, quali il controllo dei movimenti e dell'equilibrio, ed è considerata la più frequente tra le malattie rientranti nel gruppo dei «disordini del movimento». Quando, a seguito della perdita di neuroni, i livelli di dopamina si riducono di oltre il 60-80 per cento compaiono i sintomi della malattia, sintomi motori e sintomi non motori. I sintomi non motori possono diventare rilevanti nelle fasi più avanzate, assumendo un ruolo determinante sulla disabilità e sulla qualità della vita del paziente e della famiglia;
   si stima che attualmente in Italia 230.000 persone siano affette da parkinsonismo, di cui due terzi presentano la malattia di Parkinson, mentre gli altri sono affetti dai cosiddetti parkinsonismi, quali atrofia multisistemica, paralisi sopranucleare progressiva e degenerazione corticobasale. Le patologie neurodegenerative aumentano con l'età, per cui si prevede che, con il progressivo invecchiamento della popolazione, entro il 2030 il numero di persone affette da parkinsonismo raddoppi, raggiungendo quasi mezzo milione;
   l'esordio della malattia avviene mediamente in età lavorativa, intorno ai 55-60 anni, ma la malattia di Parkinson può comparire a qualsiasi età. In circa il 5 per cento dei casi, soprattutto quando vi è una componente ereditaria, compare in età giovanile, anche tra i 20 e 40 anni. Un esordio prima dei 20 anni è molto raro;
   la malattia di Parkinson si colloca in terza posizione, fra 35 patologie oggetto di analisi dei dati di health search 2010-2011, per numero di contatti/paziente/anno con un valore di 7,86 subito dopo le malattie ischemiche del cuore (8,47) e il diabete mellito di tipo II (8,06), precedendo tutte le altre patologie, molte delle quali hanno notoriamente una prevalenza superiore nella popolazione generale (fibrillazione atriale 7,64; scompenso cardiaco congestizio 6,82; ipertensione non complicata 6,70 e così via);
   la diagnosi è essenzialmente clinica, viene effettuata in base all'anamnesi (storia clinica), ai sintomi ed al loro andamento nel tempo. Nei primi anni di malattia la diagnosi non è facile. In caso di sintomi non ben definiti il paziente, soprattutto nelle prime fasi di malattia, viene erroneamente inviato ad altri specialisti (ortopedico, fisiatra e altri) prima dell'invio ad un neurologo esperto. Infatti, i tempi necessari per ottenere una diagnosi di malattia di Parkinson sono in media di 16,8 mesi;
   ad oggi non esiste un trattamento risolutivo, la terapia farmacologica è essenzialmente una terapia sintomatica che ha lo scopo di ovviare alla carenza di dopamina. La terapia deve essere il più possibile personalizzata ed impostata in base alle caratteristiche del paziente. Non esistono, infatti, linee guida univoche sul trattamento della fase iniziale, a sottolineare come non esista una terapia standardizzata, idonea per tutti i pazienti;
   la velocità della progressione della malattia varia considerevolmente da paziente a paziente. Con le terapie moderne i pazienti parkinsoniani, soprattutto quelli con esordio giovanile, possono vivere a lungo e convivere con la malattia per 30 anni e oltre;
   la gestione del paziente si modifica in funzione della storia naturale della malattia, in fase precoce, intermedia o avanzata, e in relazione all'associazione di sintomi non motori che appaiono determinanti, soprattutto nelle fasi più avanzate, per la disabilita e la qualità della vita del paziente;
   la malattia di Parkinson, in quanto fortemente invalidante, ha elevati costi diretti sanitari ed indiretti, sia a carico del paziente sia a carico dei familiari che se ne prendono cura (ad esempio, esami diagnostici, trasferimento del malato, visite e terapie di supporto ed altro). I costi del trattamento aumentano con la progressione della patologia, la presenza di discinesie, di fluttuazioni motorie, di sintomi non motori e l'aumento del tempo in «off»;
   un paziente affetto da Parkinson in stadio avanzato (caratterizzato da discinesie ed elevata percentuale del tempo in «off») costa al servizio sanitario nazionale circa 73.303,84 euro all'anno comprensivi di costi diretti sanitari, costi indiretti e assistenza specializzata;
   la «Carta dei diritti del parkinsoniano» presentata dall'Associazione italiana Parkinson presso la Camera dei deputati l'8 maggio 2014; individua tre categorie di problemi cui vanno incontro i malati di Parkinson e le relative famiglie: la difficoltà a ottenere in tempi ragionevoli e senza spostamenti troppo gravosi diagnosi accurata e impostazione e gestione nel tempo della terapia presso centri o reti specializzate; la difficoltà a ottenere servizi di sostegno sociale e socio-sanitario adeguati a compensare per quanto possibile la perdita di autonomia e di qualità della vita; la carenza di risorse per la ricerca scientifica finalizzata a combattere la malattia e i suoi esiti invalidanti;
   la stessa «Carta dei diritti del parkinsoniano» chiede ai decisori politici di: avere una visione a 360 gradi della malattia di Parkinson; riqualificare e potenziare l'offerta territoriale di servizi sanitari e socio-sanitari per ridurre le diseguaglianze nell'accesso alla diagnosi, al trattamento e alla gestione della malattia di Parkinson; identificare delle strutture ospedaliere di riferimento che consentano un più rapido accesso alle cure per i pazienti con malattia di Parkinson e, in particolare, nei pazienti in stadi più avanzati della malattia; migliorare e riqualificare il finanziamento per la ricerca scientifica nell'ambito delle malattie neurodegenerative; favorire la formazione e la sensibilizzazione agli specifici problemi della malattia di Parkinson del personale sanitario e dei servizi sociali, oltre che degli amministratori di enti locali e dei componenti di tutti gli organi di decentramento; coinvolgere e recepire le indicazioni dei malati e delle loro famiglie;
   sebbene una delle priorità del servizio sanitario nazionale sia quella di offrire al paziente un modello di assistenza che garantisca appropriatezza terapeutica e continuità assistenziale, è assente un documento nazionale programmatorio specifico per la malattia di Parkinson, né la stessa è oggetto di specifica attenzione nei documenti di programmazione più recentemente approvati, quali il piano sanitario nazionale 2006-2008 e il piano nazionale di prevenzione 2010-2012 –:
   quali siano le iniziative di competenza che intende intraprendere per ridurre le diseguaglianze sul territorio nell'accesso alla diagnosi, nel trattamento e nella gestione della malattia di Parkinson durante tutta la sua evoluzione, ad esempio mediante la definizione di percorsi diagnostici terapeutici assistenziali, anche identificando delle strutture ospedaliere di riferimento che consentano un più rapido accesso alle cure per i pazienti con malattia di Parkinson e, in particolare, nei pazienti in stadi più avanzati della malattia. (3-01022)


   GUIDESI, MARCO RONDINI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUSIN, CAON, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e SIMONETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo indiscrezioni di stampa la manovra di finanza pubblica per il 2014 dovrebbe prevedere un taglio delle risorse per ciascun ministero dell'ordine del 3 per cento. Nel caso del Ministero della salute non è ancora chiaro se si tratti di un taglio ai costi di funzionamento del Ministero stesso o se la percentuale annunciata sia da riferirsi anche all'intero fondo sanitario nazionale;
   questa seconda ipotesi ha creato il prevedibile allarme, soprattutto perché nulla di concreto è stato fatto dal Governo per chiarire quale sarà il metodo di revisione della spesa applicato per raggiungere l'obbiettivo di taglio, salvo generici e ormai abusati e vaghi riferimenti al taglio degli sprechi;
   sul riparto del fondo sanitario nazionale il percorso di applicazione dei costi standard avrebbe dovuto essere completato a partire dal 2014; di fatto, circa il 10 per cento del fondo dovrebbe essere ripartito sulla base di meccanismi premiali e di virtuosità tra gli enti regionali;
   da quest'anno per tutta la ripartizione della restante parte del fondo saranno prese in considerazione le tre regioni che la conferenza Stato-regioni ha deciso di assumere a modello: Umbria, Emilia-Romagna e Veneto. In particolare, è stato calcolato il costo medio pro capite sanitario delle tre regioni di riferimento; questo numero è stato poi moltiplicato per la popolazione pesata delle singole regioni, suddividendo poi i risultati per singoli livelli essenziali di assistenza;
   quello che viene, dunque, proposto come applicazione dei costi standard è in realtà un concetto utilizzato ingannevolmente: nulla a che vedere con il costo del prodotto o del servizio sanitario. Nella sostanza l'espressione costi standard utilizzata dal Governo si riferisce a quanto le regioni pagano, di fatto, oggi per erogare servizi sanitari ai loro cittadini. L'assunzione delle regioni benchmark, benché quelle con i bilanci più sani, sono un punto di riferimento di spesa attuale e non standard, fatta all'unico scopo di decidere come suddividere il fondo sanitario nazionale (stabilito come ammontare disponibile e non come cifra necessaria) tra le varie regioni, senza alcuna garanzia che la spesa venga usata in modo efficiente, né alcuna garanzia di omogeneità nella spesa, a parità di servizio;
   senza una definizione reale del costo standard per beni, servizi e funzioni della sanità il taglio lineare paventato rischia di mettere in discussione il sistema di assistenza sanitaria dell'intero Paese, indistintamente per regioni virtuose o meno, per realtà efficienti e meno efficienti –:
   se il taglio di risorse previsto per il Ministero della salute riguarderà anche il fondo sanitario nazionale e come si intenda agire per ottenere un riparto del taglio basato su costi standard calcolati in termini di efficienza, in modo da superare definitivamente il criterio della spesa storica. (3-01023)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BARONI, MANTERO, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, DALL'OSSO, DI VITA, GRILLO, CECCONI, BRESCIA, BENEDETTI, PAOLO NICOLÒ ROMANO e SPESSOTTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i dati delle associazioni di pazienti e delle segnalazioni dei cittadini mostrano che accedere ai farmaci è ancora oggi un percorso ad ostacoli: costi privati, burocrazia, tempi di accesso troppo lunghi in particolare per le terapie innovative, difformità tra territori e scarso coinvolgimento delle associazioni nelle scelte che li riguardano sono le questioni più rilevanti;
   Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato – cittadinanzattiva, dichiara nel luglio 2014 che «Stanno arrivando alle nostre sedi del Tribunale per i diritti del malato segnalazioni di persone che denunciano che, per accedere a farmaci innovativi, a causa di ritardi nelle procedure autorizzative, sono costrette a ricorrere a prestiti, o a dover intraprendere azioni legali, come ad esempio nel caso dei farmaci innovativi per l'Epatite C, quelli oncologici e per le patologie rare. Ma anche il prestito non è certo, poiché spesso viene richiesto il certificato di buona salute, e il gratuito patrocinio per l'accesso alla Giustizia è per pochissimi. Inoltre, l'informazione sull'esistenza di farmaci innovativi è per i pochi che hanno più mezzi per procurarsela»;
   altri elementi importanti, emersi dai dati presentati nel Convegno organizzato dall'associazione CittadinanzAttiva dell'8 luglio 2014, dal titolo «l'innovazione farmaceutica dal punto di vista dei pazienti: ostacoli e opportunità», sono quelli relativi alla contrazione della spesa farmaceutica pro capite nel periodo compreso tra il 2009 e il 2011: -4,1 per cento Italia, -0,9 per cento OCSE, passando dal 16,4 per cento del 2008 al 14,85 per cento del Fondo sanitario nazionale nel 2013;
   ulteriori dati testimoniano che il tetto di spesa per la farmaceutica ospedaliera è insufficiente: sono solo due le realtà che nel periodo gennaio-marzo 2014 sono riuscite a rimanere al di sotto del tetto di spesa ospedaliera programmato (3,5 per cento): Valle D'Aosta (2,9 per cento) e Provincia Autonoma di Trento (3,0 per cento), mentre la Puglia è la regione con il peggior risulto (6,6 per cento). Seguono, sopra il 5 per cento, Toscana (5,6 per cento), Umbria (5,5 per cento), Sardegna (5,4 per cento) e Marche (5 per cento);
   in particolare, la classe CNN (classe C non negoziata) sta creando cittadini di serie A e B, cioè tra chi riesce ad avere informazioni e disponibilità economiche per sopperire ai ritardi e chi no; «le numerose misure sulla spesa rischiano di andare a discapito dell'innovazione che serve ai cittadini» ha aggiunto Aceti, «e le modalità sono piuttosto note: 1) allungamento dei tempi a livello nazionale, 2) tempi lunghi per la definizione dei PDT regionali (Percorsi Diagnostici Terapeutici); 3) incertezza per ciò che riguarda il tempo che intercorre tra l'approvazione della determina da parte di AIFA e l'invio al Poligrafico per la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale; 4) indeterminatezza sull'effettivo inserimento nei PTOR delle regioni (prontuari farmaceutici); 5) inopinata presenza di restrizioni ulteriori alla prescrizione da parte delle Regioni dopo che le stesse erano già state coinvolte nella prima valutazione insieme ad AIFA» –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non intenda adottare tutte le iniziative di competenza adatte all'indagine, compreso il monitoraggio attraverso gli organi competenti, per valutare e migliorare la situazione di accesso ai farmaci attraverso indicatori relativi all'accesso effettivo alle terapie farmacologiche innovative approvate a livello nazionale dall'AIFA;
   se il Ministro interrogato intenda accertarsi dello stato dei fatti e assumere le necessarie iniziative di competenza, in tempi certi, per restituire le risorse economiche alle aziende sanitarie, onde evitare un ulteriore esborso da parte della collettività con possibili ripercussioni a livello di aumento delle tasse nei confronti dei cittadini;
   se intenda assumere iniziative, anche in sede di Conferenza Stato-regioni, per avviare le azioni concrete a garantire in tutte le regioni italiane un'equità e uniformità di accesso alla prevenzione e alla cura, attraverso l'introduzione nel monitoraggio dei LEA regionali di indicatori relativi all'accesso effettivo alle terapie farmacologiche innovative già approvate dall'AIFA. (4-06041)


   BARONI, SILVIA GIORDANO, CECCONI, DALL'OSSO, LOREFICE, MANTERO, DI VITA, GRILLO, DELLA VALLE, DIENI, ARTINI, FRUSONE, RIZZO, BASILIO, CORDA, PAOLO BERNINI, ALBERTI, VILLAROSA, PESCO, CANCELLERI, PISANO, LUIGI GALLO, BATTELLI, MARZANA, DI BATTISTA, MANLIO DI STEFANO, FICO, CASTELLI, SORIAL, TRIPIEDI, COMINARDI, D'INCÀ, BRESCIA, BENEDETTI, PAOLO NICOLÒ ROMANO e SPESSOTTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Ritalin è composto dal principio attivo, detto metilfenidato, sostanza classificata tra le amfetamine. Nella farmacopea ufficiale si trova nella tabella delle sostanze stupefacenti, nello stesso gruppo che comprende eroina e cocaina. Viene anche chiamata «pillola dell'obbedienza» perché è attiva nel combattere l'ADHD, Attention Deficit Hyperactivity Disorder (sindrome da deficit dell'attenzione e iperattività);
   il metilfenidato è una variante dell'amfetamina, che stimola il sistema nervoso centrale e figura, nel registro delle sostanze stupefacenti e psicotrope (disponibile sul sito dell'Aifa) sia nella tabella 1 tra le sostanze stupefacenti ad alto potenziale di abuso, sia nelle tabella II, tra le sostanze che hanno il potere di indurre resistenza;
   il metilfenidato è stato brevettato nel 1954 dalla Ciba Pharmaceutical Company (successivamente diventata Novartis) e inizialmente era utilizzato per il trattamento della depressione, sindrome da affaticamento cronico e narcolessia;
   il metilfenidato viene prodotto negli Stati Uniti, sintetizzato anche in Messico e Argentina, grazie a particolari accordi commerciali tra le case farmaceutiche locali e la Novartis. La vendita di metilfenidato è approvata in alcuni stati europei, come il Regno Unito e la Germania;
   in Italia il principio attivo è stato brevettato nel 1954, e poi ritirato nel 1989 su decisione autonoma della casa produttrice, perché sembrava non rendere abbastanza. Dal 2007 è stato reintrodotto su richiesta alla Novartis del Comitato unitario del farmaco, quindi dal Ministero della sanità. La richiesta del CUF sembra indotta dall'insistenza di pediatri e neuropsichiatri infantili. Negli Stati Uniti si usa da sempre e si stima che il 10 per cento dei bambini in età scolare, dai 6 ai 13 anni, assuma regolarmente il Ritalin;
   Andrew Waters, avvocato americano famoso per aver vinto cause miliardarie contro l'industria del tabacco, sta lavorando a una causa collettiva contro la Novartis per «accanimento della diagnosi»: la tesi è che il farmaco, pericoloso, venga somministrato con troppa leggerezza. Dal 1989 al 1996 infatti in America l'uso di Ritalin è aumentato del 600 per cento. L'ADHD non è facilmente diagnosticabile, non è una patologia ma una sindrome, il rischio è di considerare malati i bambini, solo «troppo vivaci»;
   in Italia nel 2001 la Commissione unica del farmaco ne ha deliberato la sua reintroduzione, a condizione che avvenga in centri specializzati in collaborazione con le regioni e nell'ambito di un piano terapeutico più vasto. Mentre a partire dagli anni passati il farmaco della Multinazionale Novartis si poteva reperire solo su importazione dall'estero;
   introdotto definitivamente sul mercato italiano nel marzo 2003 con decreto ministeriale. Prima apparteneva alla tabella I degli stupefacenti con cocaina, eroina e le altre droghe pesanti. Il Ministero della salute ha previsto di attivare almeno 20 Centri regionali per la somministrazione di psicofarmaci ai bambini. Il Veneto ne ha già attivati 12. Per l'ex Ministro della salute, Francesco Storace: «La somministrazione del Ritalin è sicura perché il farmaco non può essere prescritto dai medici di famiglia, ma solo dai centri di riferimento regionali». Secondo lo screening «Prisma 2004» in Italia soffrirebbe di disagi o turbe mentali il 9 per cento dei minori tra 0 e 14 anni. 730.000 bambini, di cui 170 mila soffrirebbero della cosiddetta «Sindrome da iperattività e deficit di attenzione» (ADHD). Oggi 30 mila bambini italiani assumono antidepressivi la cui somministrazione è stata interdetta dall'Agenzia europea del farmaco;
   quanto alla situazione del Ritalin nel mondo si registrano i seguenti dati: A) 73.043.500, il numero di bambini ed adolescenti (0-18 anni) negli Stati Uniti (fonte: US. Census Bureau). B) 11.000.000, i minori che ogni anno utilizzano psicofarmaci (per tutte le patologie) nei soli Stati Uniti (fonte: NIMH, Nexus, Los Angeles Times). C) 20.000.000, il numero di ricette compilate in USA ogni anno per la somministrazione dei soli psicofarmaci di tipo stimolante ai bambini (fonte: British Medical Journal Nexus). D) 10 per cento, la percentuale della popolazione infantile USA che soffrirebbe dell'ADHD, Sindrome da iperattività e deficit di attenzione (fonte: International Narcotics Control Board, OMS). E) 27 per cento-6 per cento, la differente incidenza percentuale dei disturbi del comportamento in USA rispettivamente nei minori delle classi sociali a basso reddito e nei minori delle classi sociali agiate (fonte: NIMH, USA). F) 2 miliardi (di dollari), il giro d'affari per la vendita di un'unica molecola (metilfenidato, nome commerciale Ritalin) nei soli Stati Uniti (fonte: DEA USA), non sono resi noti dati consolidati su scala planetaria per tutti i Paesi e per tutte le molecole. G) 3, il numero di mesi dopo i quali sono state rilevate alterazioni genetiche (triplicate le anormalità cromosomiche) nei bambini sottoposti a terapia a base di farmaci stimolanti per l'ADHD (fonte Università del Texas). H) 12 per cento, la percentuale di bambini che ricevevano già psicofarmaci all'inizio delle scuole elementari nella vicina Francia (fonte: Ministere de la Santè, ricerca pubblicata su Canadian Journal of Psichiatric vol. 43);
   quanto alla situazione del Ritalin in Italia si registrano i seguenti dati: A) 8.103.000, i minori in età pediatrica in Italia, tra 0 e 14 anni (fonte: ISTAT). B) 9 per cento (pari a 730.000 unità), la percentuale di minori italiani che soffrirebbero di disagi o turbe mentali (tutte le patologie) secondo i risultati del progetto di screening PRISMA 2004 (fonte: Ministero della salute). C) 2 per cento (pari a 160.000 unità), la percentuale di minori italiani che soffrirebbero della sindrome da iperattività e deficit di attenzione secondo i risultati del progetto di screening PRISMA 2004 (fonte: Ministero della salute). E) 4 per cento (pari a 320.000 unità), la percentuale di minori italiani che soffrirebbero della sindrome da iperattività e deficit di attenzione secondo le associazioni scientifiche di impostazione organicista (fonte: Società italiana di neuropsichiatria infantile, Kataweb), F) 11, le molecole antidepressive in uso in età pediatrica la cui somministrazione è stata recentemente interdetta in quanto ispiravano idee suicidarie (induzione al suicidio) nei bambini (fonte: EMEA, Agenzia europea per il farmaco). G) 30.000, i bambini italiani che ogni giorno assumono antidepressivi che inducono potenzialmente al suicidio, la cui somministrazione è stata interdetta dall'Agenzia europea del farmaco (fonte: Istituto Mario Negri di Milano). H) 1 anno, il ritardo del Ministero della salute italiano nel dare riscontro ai primi «warning» sulla somministrazione di molecole antidepressive ai minori (fonte: Campagna giù le mani dai bambini). I) 25 per cento il numero di giovani pazienti che hanno dimostrato dipendenza (difficoltà ad interrompere l'assunzione) di molecole antidepressive (fonte: ufficio studi Glaxo). L) 173, il numero di autorevoli ricerche scientifiche universitarie già tradotte in italiano a cura di Giù le Mani dai Bambini, che mettono in allarme circa i rischi della somministrazione di psicofarmaci ai minori e che sono ignorate dalle autorità nazionali di controllo (fonte: portale www.giulemanidaibambini.org, sezione ricerca scientifica). M) 20, minimo uno per ogni regione, il numero dei Centri regionali per la somministrazione di psicofarmaci ai minori che il Ministero della salute ha in progetto di attivare sul territorio italiano (fonte: Istituto superiore di sanita, Ministero della salute). N) 12, il numero di Centri regionali per la somministrazione di psicofarmaci ai minori attivati nella sola regione Veneto (fonte: delibera della Giunta regione Veneto). O) 1, il registro nazionale dove verranno «schedati» i bimbi in terapia a base di psicofarmaci (fonte: Istituto superiore di sanità, Ministero della salute). P) 300, in quotidiano aumento, il numero di specialisti che hanno già sottoscritto l'appello alla prudenza lanciato a febbraio 2005 dalla Campagna;
   in Italia il Ritalin, dopo la sua introduzione commerciale, diventa legale l'8 marzo 2007, sotto prescrizione medica, prodotto dalla società farmaceutica Novartis Farma nella forma commerciale di compresse da 10 milligrammi;
   la somministrazione di psicofarmaci per l'iperattività in Italia, come il Ritalin è regolata da protocolli dell'Agenzia del farmaco pubblicati in Gazzetta ufficiale e vincolanti per tutte le strutture pubbliche e private accreditate, dove le regioni individuano i propri Centri di riferimento e gli standard per i centri regionali di riferimento per il registro nazionale che devono avere i seguenti criteri 1) strutture (servizi, centri, dipartimenti, rete territoriale) di neuro psichiatria infantile di ASL, Aziende ospedaliere, istituti universitari, IRCCS, 2) presenza nella struttura di neuro psichiatra dell'infanzia e dello psicologo clinico, 3) presenza dell'istituzione di appartenenza (A.O., università, IRCCS, ASL) di: pediatra, farmacologo clinico o farmacista, assistente sociale o comunque di personale in grado di supportare la famiglia ed interagire con la scuola; 4) capacità di garantire, ove necessario, ulteriori approfondimenti diagnostici oltre a quelli effettuati nei servizi territoriali di NPI invianti, e l'eventuale presa in carico complessiva non farmacologia per gruppi selezionati di soggetti; 5) capacità di predisporre il pieno terapeutico farmacologico e garantire la prima somministrazione di metilfenidato in ambiente clinico (DH); 6) capacità della struttura di neuropsichiatria infantile di assorbire i potenziali casi necessitanti di terapia con metilfenidato; 7) capacità di garantire il follow up per tutta la durata del trattamento farmacologico; 8) garanzia di coordinarsi, per la presa in carico del paziente, con il pediatria di libera scelta ed il servizio di neuro psichiatria infantile del territorio titolare del caso; 9) garanzia della gestione del registro (input dati, qualità dei dati, riservatezza dei dati sensibili, e altro), lo psicofarmaco ha un mero effetto sintomatico che non porta alla remissione del problema, ma in molti casi può essere utile per normalizzare il comportamento aggressivo ed incontrollabile del bimbo permettendo così l'avvio di terapie non farmacologiche, tali protocolli prevedono com’è noto la somministrazione dello psicofarmaco solo appunto per un numero limitato di casi (cosiddetta ADHD grave), e comunque in abbinamento a terapie meno invasive e in grado di modificare strutturalmente l'atteggiamento del minore nei confronti dell'ambiente;
   le linee guida ministeriali prevedono che i genitori devono entrambi essere posti a conoscenza di tutti i potenziali effetti collaterali del farmaco, e delle eventuali alternative terapeutiche; in ogni caso non dovrebbe essere somministrato lo psicofarmaco per i casi di iperattività lieve, sui quali si può intervenire agevolmente con terapie scientificamente validate ma non farmacologiche; il rispetto di tali prudenti linee guida è essenziale allo scopo di evitare nel nostro Paese la prescrizione disinvolta di questi prodotti potenzialmente pericolosi, prescrizione in crescita invece in molti paesi del mondo come indicato nei punti sopracitati;
   da rilievi giornalistici pubblicati già anni fa dal comitato indipendente di farmacovigilanza pediatrica «Giù le Mani dai Bambini», al quale pure aderiscono università, ospedali e ASL del nostro Paese, parrebbe che non sempre il consenso informato al trattamento farmacologico venga correttamente raccolto dalle strutture accreditate;
   nel bollettino scientifico «adverse drug reaction bulletin» il trattamento multimodale è ritenuto l'approccio migliore per gestire l'ADHD, la comunità scientifica ha raggiunto un ampio accordo in materia. Anche gli stessi farmaci prescritti in Italia, dallo stesso principio attivo e attraverso un trattamento multimodale hanno mostrato diversi problemi relativi al profilo di rischio-beneficio;
   un fattore preoccupante in cui sono ricaduti diversi principi attivi e farmaci in essi contenuti per la terapia dell'ADHD, Attention deficit hyperactivity disorder (sindrome da deficit dell'attenzione e iperattività) riguarda la strategia/divulgazione pubblicitaria (marketing) e vendita di diversi prodotti farmaceutici, fra cui il Ritalin, attraverso la mercificazione della malattia o disease-mongering, ossia, un'operazione di marketing, finalizzata all'introduzione di un protocollo terapeutico o di un farmaco già pronto per l'immissione nel mercato, attraverso una campagna pubblicitaria finalizzata all'introduzione di quadri clinici al di fuori della seduta medica, per indurre il consumatore alla ricerca di un rimedio per presunte malattie, allo scopo di generare nuovi mercati di potenziali pazienti;
   4 anni fa a Genova venne organizzato il convegno dei medici contro gli «inventori di malattie», erano passate poche settimane dalla storica sentenza di patteggiamento siglata dalla multinazionale farmaceutica Pfitzer, che fu condannata a 2,3 miliardi di dollari di sanzioni per comportamenti commerciali spregiudicati da parte dei suoi informatori scientifici e per corruzione di medici al fine di aumentare le prescrizioni. Così l'eccessiva aggressività del marketing del compatto pharma fu oggetto di un convegno nazionale a Palazzo Tursi;
   i relatori esaminarono la pratica del «disease mongering», la raffinata tecnica di marketing che prevede l'invenzione a tavolino di malattie al fine di vendere quelli che all'interrogante appaiono «blockbuster» farmaceutici come il Ritalin, il Prozac, il Tamiflu ed altre molecole sempre più presenti negli armadietti dei medicinali di ogni famiglia della penisola, che è – per numeri assoluti – il 5o mercato farmaceutico al mondo;
   il Ritalin, con l'ausilio del «disease mongering», ha aumentato le sue vendite dell'800 per cento negli ultimi 15 anni, curando anche chi non ne aveva bisogno. Un altro dato preoccupante, inerente alla mercificazione della malattia lo si trova in Germania dove dai 34 chilogrammi del 1993 si è passati a venderne 1.800 chilogrammi nel 2010;
   per questi motivi ci deve essere un monitoraggio sistematico e obbligatorio per valutare i rischi provenienti dall'assimilazione del principio attivo suddetto e soprattutto un monitoraggio sistematico ed informativo sul trattamento trasmesso ai cittadini, in particolar modo tutelando i bambini –:
   se il Ministro non intenda adottare tutte le iniziative di propria competenza adatte all'indagine, compreso il monitoraggio attraverso gli organi competenti, per valutare, tutti i rischi potenziali nel principio attivo presente nello psicofarmaco sopracitato;
   se il Ministro non intenda adottare tutte le iniziative adeguate per adoperarsi, con soggetti terzi e imparziali (senza alcun interesse commerciale), a lanciare una campagna atta all'informazione, proponendo anche una sferzata culturale a questo annoso problema di carattere sociosanitario;
   se intenda intervenire al fine di regolamentare in maniera rigida e ferrea la somministrazione di psicofarmaci per l'iperattività in Italia, come il Ritalin, che diventi vincolante per tutte le strutture pubbliche e private accreditate;
   se intenda intervenire affinché si controlli, ed eventualmente si vieti la somministrazione del principio attivo dato ai bambini affetti da ADHD (Attention Deficit Hyperactivity Disorder);
   se intenda intervenire per combattere con forza l'annoso problema della mercificazione della malattia o disease-mongering soprattutto nella fase precedente all'immissione in commercio. (4-06042)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

I Commissione:


   TONINELLI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 21, comma 2, del decreto-legge 22 giugno 2012. n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012. n. 134, nel prevedere le modalità di nomina del direttore generale dell'Agenzia per l'Italia digitale istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, stabilisce che «il Presidente del Consiglio dei ministri, o il Ministro delegato, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, con il Ministro dello sviluppo economico, con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e con il Ministro dell'economia e finanze nomina, previo avviso pubblico, il Direttore generale tra persone di particolare e comprovata qualificazione professionale in materia di innovazione tecnologica e in possesso di una documentata esperienza di elevato livello nella gestione di processi di innovazione»;
   in applicazione di tale disposizione, il 30 ottobre 2012 il dottor Agostino Ragosa e stato nominato direttore con decreto del Presidente del Consiglio, firmato oltre che dall'allora capo del Governo Mario Monti, anche dai Ministri pro tempore Passera, Profumo, Patroni Griffi e Grilli (decreto n. 83 del 2012);
   questo nome sarebbe emerso da una short list di cinque candidati (fra i 239 curricula a disposizione) ma fatta senza conoscere i criteri di nomina, ciò che ha originato diverse interrogazioni parlamentari – tra le quali quelle del Movimento Cinque Stelle – rimaste tuttavia senza risposta;
   nel marzo del 2013 il Governo Monti ritirava lo statuto dell'Agenda Digitale appena approntato su pressione della Corte dei conti che aveva rilevato una pericolosa commistione fra i ruoli esecutivi e quelli di indirizzo e di vigilanza attribuiti al direttore stesso nonché costi eccessivi per il funzionamento dell'ente. Nel successivo giugno la governance dell'Agenda digitale è stata già ridefinita, con l'introduzione di un nuovo «commissario» di derivazione puramente politica, Francesco Caio, inviato a presiederne la «cabina di regia». Anche in questo caso il Governo, sollecitato sul commissariamento di un ente non ancora avviato e il cui direttore era fresco di una nomina sulla quale non è stata fatta chiarezza, ha ritenuto di non rispondere al Parlamento;
   nei mesi seguenti il comportamento dei vertici dell'Agid viene stigmatizzato dai revisori dei conti dell'ente, che denunciano la mancata adozione del bilancio e dei piani relativi a trasparenza e normativa anticorruzione, oltre che l'affidamento diretto di servizi, appalti e incarichi di lavoro perché «contra legem»;
   risulta inoltre che alla data del 5 marzo scorso, quando il Governo Renzi era già in carica e nella pienezza dei suoi poteri da diverse settimane, dei 55 adempimenti previsti, solo 17 erano stati adottati e altri 21 risultavano scaduti: tra i settori strategici non disciplinati ci sono il riordino del sistema statistico nazionale, la bigliettazione elettronica, la sanità digitale, la sicurezza informatica e la trasparenza dell'attività parlamentare;
   un mese e mezzo dopo, la ragioneria dello Stato, in seguito alle segnalazioni dei Revisori dei conti dell'Agenzia, ha chiesto con una missiva alla Presidenza del Consiglio di intervenire sull'Agid per irregolarità amministrative, ma solo il 3 giugno il direttore Ragosa si è dimesso, dopo una gestione a giudizio dell'interrogante fallimentare che ha paralizzato quello che dovrebbe essere l'ente deputato allo sviluppo di quella che è una assoluta priorità per il Paese, ciò che è stato denunciato con forza in Parlamento dal Movimento Cinque Stelle;
   il successivo 6 giugno è stato pubblicato il nuovo avviso pubblico per la nomina del nuovo direttore dell'Agid: un avviso-lampo della durata di nemmeno dieci giorni, di una pagina e mezzo, contenente il generico richiamo ai compiti del direttore dell'Agid di cui allo Statuto e privo di qualsiasi riferimento alle qualità dei candidati, che avrebbero dovuto inviare il curriculum entro la mezzanotte del 15 giugno 2014, usato per selezionare una figura di importanza vitale per l'economia e la ripartenza dalla crisi;
   tale avviso pubblico stupisce per la genericità, data la figura che mirava a ricercare: nessun livello di ingresso, nessuna richiesta di professionalità o esperienza minima né altri requisiti minimi sono stati richiesti;
   tale avviso avrebbe invece dovuto richiedere requisiti minimi, quali ad esempio aver partecipato alla definizione di specifiche e normative in materia digitale in commissioni di rilevanza internazionale e/o nell'ambito dell'Unione europea; aver diretto aziende informatiche innovative; possedere i livelli di clereance adeguati per poter partecipare a riunioni in cui si trattano tecniche, procedure ed informazioni riservate (Nulla osta di sicurezza - NOS security clearance);
   nulla di tutto questo era invece richiesto dall'avviso pubblico, che, esattamente come il precedente, appare essere soltanto un avviso di facciata, una formalità imposta dalla legge che appare essere stata aggirata, come lo era stato in precedenza, per effettuare una selezione tutt'altro che trasparente. A tutt'oggi, dopo l'avvenuta nomina del nuovo direttore Agid, nulla di ufficiale è dato sapere circa le sue competenze e soprattutto il procedimento di selezione: nella sezione «amministrazione trasparente» del sito dell'Agid, anch'essa obbligatoria per legge, alla voce «Incarichi amministrativi di vertice» si legge che «i documenti non sono ancora pubblicati perché in fase di definizione»;
   nondimeno, la modalità di attribuzione dell'incarico mediante avviso pubblico e, quindi, la selezione pubblica competitiva, era prescritta dalla legge, e ai sensi dello stesso avviso, «il presente avviso è finalizzato a garantire la piena applicazione del principio di trasparenza e, in conformità all'articolo 97 della Costituzione ad assicurare l'elevata e qualificata professionalità del soggetto cui verrà conferito l'incarico individuato nell'ambito delle candidature presentate»;
   con la pubblicazione dell'avviso in questi termini il titolare del potere di nomina, ferma la sua discrezionalità, si è autovincolato a precise modalità del procedimento di nomina, delle quali in questa sede si chiede conto –:
   se intenda garantire la piena applicazione del principio di trasparenza, attraverso la pubblicazione del curriculum del direttore incaricato e dei suoi titoli in forma di documento ufficiale e di tutte le candidature e dei curricula pervenuti, nonché fornire giustificazioni circa il rispetto delle regole di una selezione pubblica realmente aperta e competitiva rendendo noti i criteri in base ai quali è stata svolta la comparazione. (5-03564)


   GELMINI e CIRACÌ. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la riforma della pubblica amministrazione da ultimo approvata è un enorme cesto dentro il quale sono state riversate alla rinfusa molte ambizioni sorrette da alcune norme, giuste e da molto tempo attese, ma nel fondo prive di quella visione incisiva, organica e coerente che di solito accompagna una riforma di sistema;
   come per la riforma del lavoro, anche per la pubblica amministrazione il presidente Renzi ha scelto un doppio binario: un decreto legge, con interventi minimi, e un disegno di legge delega, più robusto e ambizioso nelle sue finalità ma anche di più remota realizzazione;
   tra le disposizioni che il Governo pubblicizza come innovative se non addirittura rivoluzionarie, si annoverano quelle sul ricambio generazionale per consentire l'ingresso di giovani nella pubblica amministrazione da realizzare attraverso la fine dei trattenimenti in servizio oltre l'età pensionabile ed una semplificazione del turn over che, secondo i calcoli inguaribilmente ottimistici dell'esecutivo, permetterebbe di creare ben 15mila nuovi posti di lavoro;
   i trattenimenti in servizio sono circa 1.200 l'anno e che di questi la metà sono relativi ai magistrati, per i quali i trattenimenti in servizio potranno continuare fino a tutto il 2015, si capisce come l'effetto previsto dal governo sarà sfortunatamente minimo;
   pur non mancando interventi positivi nell'ultima riforma della pubblica amministrazione approvata quali l'incompatibilità per i magistrati degli incarichi extra giudiziari; il dimezzamento dei distacchi sindacali e il ruolo unico dei dirigenti, tuttavia non emerge una visione leaderistica della pubblica amministrazione, capace di incidere sulla valutazione di qualità come pure spicca l'assenza di chiari obiettivi da raggiungere;
   ci troviamo secondo l'interrogante quindi di fronte ad una riforma priva di mordente e incapace di scuotere il mondo della pubblica amministrazione per proiettarlo verso un orizzonte meritocratico, in cui le qualità professionali, il rendimento sul lavoro siano davvero i parametri decisivi per valutare e premiare le persone e sarebbe indispensabile una responsabilità specifica in capo agli amministratori, ai dirigenti ed ai funzionari, non lasciando alla buona volontà dei singoli l'attuazione delle riforme;
   nella riforma approvata non c’è alcun riferimento alla responsabilità dei dipendenti pubblici, alla possibilità di licenziamento, ad una vera mobilità obbligatoria, all'individuazione di precisi criteri per la determinazione degli esuberi, mentre troppo generiche sono le previsioni di valutazione per la progressione di carriera né si è ancora sufficientemente affermata una «cultura della valutazione», la sola in grado di restituire efficienza alla pubblica amministrazione e ricostruire un rapporto fiduciario con i cittadini;
   nella riforma si è perso anche uno dei tasselli più innovativi della precedente riforma Brunetta: la valutazione da parte dei cittadini, elemento indispensabile capace, se praticata, di incidere fortemente sulla accountability della pubblica amministrazione con l'effetto di non rafforzare in maniera adeguata la mobilità obbligatoria ma facilitando la mobilità volontaria del lavoratore, cioè quella che serve meno alle amministrazioni –:
   come e in che tempi il Governo abbia intenzione di rendere la pubblica amministrazione meno costosa per i cittadini e per il bilancio dello Stato riducendo drasticamente l'apparato pubblico, lasciando ampio spazio all'iniziativa privata nello svolgimento di attività e servizi oggi appannaggio di enti pubblici e società partecipate, fonti di sprechi ed inefficienza e apportando quegli elementi di «rottura» tipici di una riforma che abbia l'ambizione di imprimere una svolta. (5-03565)


   LAURICELLA e FIANO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il comma 3-bis dell'articolo 3 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, autorizza lo scorrimento delle graduatorie dei concorsi delle Forze polizia indetti per il 2013, in deroga a quanto previsto dall'articolo 2199 del Codice dell'ordinamento militare (decreto legislativo 66 del 2010) per l'immissione in ruolo, al fine di incrementare i servizi di prevenzione e di controllo del territorio connessi a EXPO Milano 2015. Per quanto riguarda la Polizia di Stato, le assunzioni sono disposte in parte nell'ambito delle 1000 autorizzazioni all'assunzione disposte dalla legge di stabilità (articolo 1, comma 464, legge 147 del 2013) e in parte con l'assunzione dei vincitori del concorso per allievo agente indetto nel 2014 e in parte utilizzando le quote residue consentite dal decreto-legge 112 del 2008 (articolo 66, comma 9-bis);
   per il Corpo di polizia penitenziaria il comma 3-sexies ha previsto che le assunzioni di cui al comma 3-bis sono disposte, entro l'anno 2014, con i fondi delle autorizzazioni alle assunzioni delle forze di polizia previsti dalla legge di stabilità 2014 (si fa riferimento a un apposito fondo ivi previsto per la parte relativa alla polizia penitenziaria). Le assunzioni di personale nel Corpo di polizia penitenziaria, già previste per l'anno 2015, sono effettuate a decorrere dal 1o gennaio 2015 utilizzando la graduatoria dei concorsi indicati al comma 3-bis, indetti «per l'anno 2013, approvate entro il 31 ottobre 2014»;
   risulta all'interrogante che il dipartimento per l'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia non ritiene di applicare la norma, di cui in premessa, del decreto-legge n. 90 del 2014 ai 170 idonei in graduatoria dell'ultimo concorso per la polizia Penitenziaria, ritenendoli non rientranti nella sfera di attuazione della norma –:
   se non si intendano assumere iniziative, anche normative, volte a precisare che rientrano nell'ambito di applicazione della normativa citata anche casi come quello di cui in premessa. (5-03566)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CASATI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel maggio 2014 il Fondo Strategico Italiano e Shangai Electric hanno siglato un accordo strategico a lungo periodo per l'acquisizione da parte di Shangai Electric di una quota del 40 per cento di Ansaldo Energia e la costituzione di due joint venture –:
   se Shangai Electric abbia una call per l'acquisto delle azioni ancora possedute del Fondo Strategico Italiano e, in caso affermativo, a che data e con quali meccanismi di determinazione del prezzo;
   se il Fondo Strategico Italiano abbia un'opzione put sulle medesime e a quali condizioni;
   in caso negativo, se esista un obbligo alla quotazione borsistica della società Ansaldo Energia e, nell'ipotesi, quali siano le percentuali di cessione in borsa da parte degli attuali azionisti. (5-03547)

Interrogazione a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta da un articolo pubblicato dal quotidiano Il Corriere della sera il 14 settembre 2014, da un'analisi predisposta da Adusbef e Federconsumatori, che mette a confronto i costi in Italia, Spagna, Francia, Germania e Gran Bretagna, il prezzo alla pompa del costo del carburante di benzina o il gasolio per autotrazione, risulta essere il più elevato a livello europeo a causa dell'elevata tassazione, particolarmente onerosa, che grava sugli utenti finali;
   gli aumenti del carico fiscale, specie negli ultimi anni, che hanno rappresentato una comoda leva dei recenti Governi, per finanziare altri interventi pubblici, se messi a confronto con i costi degli altri Paesi, evidenziano che il corso del carburante attualmente risulta essere 1,74 euro, contro 1,6 euro in Gran Bretagna, 1,55 euro in Germania, 1,49 in Francia e 1,40 euro in Spagna;
   rispetto al 2009, prosegue il documento, i prezzi sono aumentati del 56,5 per cento a causa della forte tassazione che grava come in precedenza evidenziato sul prezzo alla pompa, ossia 1,04 euro, contro 0,99 in Gran Bretagna e 0,9 in Germania, 0,86 in Francia e 0,7 in Spagna;
   nel mese di agosto 2014, prosegue l'articolo de Il Corriere della sera, il prezzo alla pompa della benzina applicato in Italia è stato infatti più alto rispetto a quello praticato negli altri Paesi e, come rilevano le associazioni dei consumatori, nel caso in cui non si supereranno tali disuguaglianze, in termini di differenza di prezzo, unitamente alle disparità esistenti anche per quanto riguarda i costi esorbitanti dei servizi bancari in Italia, sarà difficile superare una crisi economica che persiste sulle imprese e sulle famiglie italiane da oramai sette anni;
   l'interrogante evidenzia, come dai rilievi in precedenza esposti, che occorrono interventi in grado di ridurre o per lo meno calmierare il continuo aumento del prezzo finale del carburante, le cui accise gravano in maniera insostenibile e determinano un grave gap concorrenziale rispetto agli altri Paesi europei –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere al fine di contenere i continui aumenti delle accise sui carburanti che penalizzano fortemente il sistema economico e produttivo delle imprese italiane. (4-06035)

Apposizione di firme ad una mozione.

  La mozione Scanu e altri n. 1-00586, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 settembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Iacono, Amoddio.

Apposizione di firme a risoluzioni.

  La risoluzione in commissione Causi e altri n. 7-00433, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Paglia, Ricciatti, Ferrara.

  La risoluzione in commissione Zanin e altri n. 7-00450, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 agosto 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Romanini.

  La risoluzione in commissione Mongiello  e altri n. 7-00461, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 15 settembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Capone.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Currò n. 4-06015, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 settembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato De Lorenzis.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della risoluzione in commissione Zaccagnini n. 7-00210, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 141 del 19 dicembre 2013.

   La XIII Commissione,
   premesso che:
    nella parte sud-occidentale della provincia di Lecce e principalmente nelle campagne della costa ionica (comuni interessati Parabita, Tavignano, Racale, Urgento, Melissano, Gallipoli, ma anche Casarano, Galatina, Nardò) è stato rilevato il fenomeno chiamato «Complesso del disseccamento rapido dell'olivo» (CDRO) che presenta la bruciatura delle foglie su alcuni rami delle piante di ulivo;
    le analisi sulla sintomatologia del disseccamento di alcuni rami degli ulivi in una zona limitata del Salento, sud-ovest, particolarmente osservata a macchia di leopardo nel corso della scorsa estate 2013, a detta di alcuni tecnici avrebbe permesso, in seguito ad analisi svolte, anche il rilevamento della presenza di un batterio appartenente ad un ceppo della specie Xylella, di cui si è data comunicazione nei convegni in cui sono state elencate le differenti varie presenze di patogeni riscontrati sugli ulivi più colpiti, tra questi funghi muffe e l'insetto rodilegno giallo;
    nonostante il complesso del disseccamento rapido dell'olivo sia stato imputato a tale batterio vi sono numerosi studi nazionali ed internazionali che esprimono dubbi in relazione a questa eziologia;
    nella specie può essere citato, per quanto riguarda la patogenicità della Xylella, R. Krugner dell'Università della California che, nel 2010 ha pubblicato uno studio in cui si afferma come l'inoculazione della Xylella fastidiosa in piante di olivo sane non ha portato a riscontrare gli stessi sintomi del disseccamento; in senso dubitativo rispetto alla patogenicità della Xylella fastidiosa si è espresso anche il professor Alexander Sandy Purcell dell'Università California e il professor Giovanni Martelli dell'università di Bari è arrivato ad affermare «non vi sono al momento elementi per ritenere la Xylella l'agente primario del disseccamento dell'ulivo»;
    sebbene ancora non sia certa la natura e l'entità del fenomeno ed il livello di diffusione, sono state avanzate le più disparate ipotesi e risoluzioni radicali senza che gli studi scientifici necessari siano stati del tutto terminati;
    sulla diffusione del fenomeno diversi soggetti istituzionali stanno svolgendo ed hanno svolto delle indagini che però non hanno ancora dato esiti certi considerato che il «saggio di patogenicità» determinante per capire la reale incidenza della Xylella sul CDRO o disseccamento rapido, è un percorso di analisi che richiede almeno 2-3 anni;
    gli stessi esperti dell'EFSA, interpellati ad hoc dal Commissario alla salute UE, hanno evidenziato che la Xylella nell'Unione europea ha una vasta gamma di piante ospiti note, sia di produzione agricola, che selvatiche autoctone, ad ulteriore sostegno della potenziale endemicità del microrganismo;
    ad avviso del firmatario della presente risoluzione non andrebbe escluso che il complesso del disseccamento rapido dell'olivo possa avere un'origine più complessa in cui sono coinvolte le pratiche agronomiche e l'uso eccessivo di pesticidi, i quali hanno annientato la microbiologia dei suoli salentini; pareri di consulenti ed esperti di agricoltura sostenibile e agroecologia, già da diverso tempo specificano come gli olivi (anche monumentali) della Puglia, circa 6 milioni, sono arrivati ai nostri giorni grazie a secoli di continua cura e adeguata concimazione da parte dei loro «custodi»;
    dopo la pubblicazione delle linee guida, in data 17 luglio 2014, per il contenimento della diffusione della Xylella fastidiosa (o forse sarebbe più corretto citare solo «Complesso del disseccamento rapido dell'olivo») da parte della regione Puglia giunge da parte della Comunità europea una «Decisione di esecuzione» redatta il 23 luglio 2014 e pubblicata il 25 luglio 2014, relativa alle misure per impedire l'introduzione e la diffusione nell'Unione europea della Xylella fastidiosa (Well e Raju) (notificata con il numero C (2014) 5082) (2014/497/UE). Grazie alle linee guida della regione Puglia e al contributo istituzionale comunitario dettato dalla «Decisione di esecuzione» pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale delle comunità europee il 25 luglio 2014, si potrà cercare di risolvere l'affare della Xylella fastidiosa che sta arrecando seri danni a tutto il comparto olivicolo salentino;
    nell'opinione pubblica è cresciuto il dubbio del possibile coinvolgimento di interessi delle multinazionali dei pesticidi, da quando si è tentato di affermare l'inevitabilità di interventi massicci di chimicizzazione a tappeto, non escludendo addirittura l'uso degli aerei per irrorare i pesticidi;
    interventi presentati come fito-sanitari, e coinvolgenti l'irrorazione di quintali e quintali di diserbanti-disseccanti e di pesticidi che provocherebbero la distruzione, anche con l'uso del fuoco (con lancia fiamme), praticamente di ogni forma di vita vegetale (domestica e selvatica) e del microcosmo animale nei 10.000 ettari e più di territorio salentino;
    in data 27 agosto 2014 il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali comunica che è stata svolta al Palazzo dell'Agricoltura la riunione convocata dal Ministro per affrontare l'emergenza dell'organismo nocivo Xylella fastidiosa che ha colpito la provincia di Lecce. Le indagini genetiche, condotte in collaborazione con i maggiori esperti mondiali di Xylella, hanno confermato che il ceppo identificato a Lecce è da ritenersi una variante atipica della sub-specie pauca, il cui areale di origine è stato individuato in Centro America. Per quanto concerne la gamma delle piante a rischio, sono state riscontrate infezioni, oltre che su olivo, a carico di oleandro, mandorlo, vinca, e più recentemente, ciliegio, mentre non sono risultate suscettibili vite e agrumi. La riunione ha preso in esame gli adempimenti conseguenti alla Decisione della Commissione europea del 23 luglio 2014, che chiedeva di identificare le «zone infette» e le zone circostanti denominate «zone cuscinetto»;
    nelle zone così identificate, si devono adottare adeguate misure fitosanitarie. A tale riguardo, sulla base degli ulteriori rilevamenti, la regione Puglia ha indicato la gran parte della provincia di Lecce «zona infetta»; in tale zona proseguiranno le azioni di monitoraggio e di contenimento della diffusione del batterio ad esclusione dell'eradicazione delle piante di olivo;
    inoltre, la regione ha proposto un cordone sanitario (barriera lunga dallo Ionio all'Adriatico) per impedire la diffusione a Nord del Salento, costituita da una zona «cuscinetto» nella quale procedere ad incisive azioni di lotta al batterio ed ai vettori;
    i lavori del Comitato scientifico saranno sottoposti all'approvazione del Comitato fitosanitario nazionale, già convocato per il 15 settembre 2014 e rappresenteranno la struttura di un nuovo decreto nazionale di lotta obbligatoria al CDRO, nel cui contesto saranno indicati eventuali strumenti straordinari, anche di natura legislativa, che si dovessero rendere necessari, ivi compresa l'individuazione di un commissario incaricato di coordinarne l'attuazione. Le misure di emergenza individuate, formeranno oggetto di ulteriori controlli da parte del Corpo forestale dello Stato e dell'ispettorato centrale per la tutela della qualità e la repressione delle frodi, soprattutto per quanto concerne la movimentazione del materiale «a rischio»;
    stante la diffusione dell'infezione allargata a gran parte della provincia di Lecce, si è infine deciso di aprire subito una nuova fase di confronto con la Commissione europea per adattare, modificare o integrare le misure oggetto della richiamata decisione del 23 luglio 2014 nell'ambito delle «zone infette», e quindi aggiornare ed attivare concretamente il Piano d'azione nazionale già presentato alla Commissione dell'Unione europea;
    occorre segnalare che il prorettore dell'università di Padova Giuseppe Stellin, l'inventore Lucio Montecchio e gli esponenti della Vitzani di Perarolo di Cadore hanno presentano un sistema innovativo per curare gli alberi senza praticare fori. In Cadore è nata infatti l'intuizione che risolve il problema della difficile cicatrizzazione delle piante legnose, fino a prima, perforate per operare le iniezioni necessarie. Il nuovo sistema è stato chiamato Bite, che sta per blade for infusion in trees (lama per infusione negli alberi), è uno strumento totalmente manuale che permette infusione ed iniezione di fitofarmaci e fertilizzane i nel sistema vascolare di piante legnose. Diversamente da tutti gli altri metodi endoterapici, senza la produzione di fori, agisce nel rispetto dell'anatomia e fisiologia della pianta penetrando tra le fibre senza danneggiarle e contemporaneamente induce nei vasi linfatici un effetto che velocizza considerevolmente l'assorbimento del liquido. L'impiego è indicato per tutte le malattie e i danni fisiologici associati direttamente o indirettamente al flusso linfatico,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative dirette a impedire la eradicazione di tutti gli ulivi e a rendere il territorio interessato dal fenomeno del disseccamento rapido un laboratorio a cielo aperto di sperimentazione agro ecologica;
   ad incrementare e coordinare le attività di ricerca e sperimentazione circa il piano d'intervento, per completare la conoscenza dei meccanismi di diffusione del contagio e per individuare modalità di coltivazione resilienti e locali;
   a non consentire deroghe a quanto definito dal decreto legislativo n. 150 del 2012 avente l'obiettivo di ridurre significativamente l'uso di agenti chimici in agricoltura, incrementando proporzionalmente l'adozione di sistemi alternativi di difesa delle colture;
   a collaborare all'approfondimento delle indagini di laboratorio e delle proposte operative di rigenerazione delle piante rendendo pubblici protocolli e risultati della ricerca, al fine di un rigoroso confronto e riscontro scientifico di una pluralità di enti e istituzioni anche internazionali;
   ad istituire stabilmente presso il Ministero una commissione di studio interministeriale permanente per l'emergenza da CDRO che si impegni all'analisi del fenomeno seguendo un approccio multidisciplinare e allo sviluppo di progetti di ricerca (con l'eventuale partecipazione ai progetti di ricerca finanziati da Horizon 2020) e innovazione ispirati ai concetti di sostenibilità ambientale coordinata per la parte scientifica dal Consiglio ricerche agricoltura (CRA) e composta da Istituto nazionale economia agraria (INEA) per le valutazioni sulla fattibilità cesti benefici delle azioni da intraprendere, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) per la valutazione della compatibilità ambientale e Istituto superiore di sanità (ISS) per la valutazione dell'impatto sanitario a supporto del Servizio fitosanitario centrale per la verifica e aggiornamento del piano di azione da stabilire in conformità nelle norme FAO: International Standards for Rhytosanitary Measures;
   ad assumere iniziative per valutare, anche in base alle indicazioni date dalla comunità europea, l'opportunità dell'individuazione di una zona cuscinetto costituita da coltivazioni annuali, cereali principalmente, e non coltivazioni di varietà perenni, al fine di sventare il rischio di eradicazione degli alberi di olivo.
(7-00210) «Zaccagnini».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interpellanza Catalano n. 2-00580 del 16 giugno 2014;
   interrogazione a risposta in Commissione Gigli n. 5-03320 del 24 luglio 2014;
   interrogazione a risposta orale Tinagli n. 3-00989 del 6 agosto 2014;
   interrogazione a risposta scritta Tacconi n. 4-05852 del 7 agosto 2014;
   interrogazione a risposta scritta Grande n. 4-05918 del 5 settembre 2014;
   interrogazione a risposta scritta Guidesi n. 4-05977 del 10 settembre 2014;
   interrogazione a risposta scritta Fedriga n. 4-05989 dell'11 settembre 2014;