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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 4 settembre 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 26 del decreto-legge n. 91 del 24 giugno 2014 convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 116 del 2014, dispone la rimodulazione forzata delle tariffe incentivanti di produzione di energia elettrica da parte di impianti fotovoltaici, a partire dal 1o gennaio 2015;
    si tratta di un intervento che andrà a colpire imprese che hanno già realizzato l'impianto di produzione di energia elettrica e, pertanto, hanno ottenuto l'attribuzione della tariffa incentivante;
    dunque, si è in presenza di un provvedimento, di natura retroattiva sicché lo stesso va a modificare le condizioni iniziali previste all'epoca in cui le imprese interessate hanno deciso di investire nel settore del fotovoltaico;
    a riguardo, vero è che la retroattività di un provvedimento non è di per sé illegittima sotto il profilo della legalità costituzionale, poiché, pur con particolari cautele, è da sempre possibile per il legislatore, l'emanazione di leggi aventi effetto retroattivo. Tuttavia, è anche vero che non sempre la previsione dell'efficacia retroattiva di una legge è conforme al dettato costituzionale;
    nel caso in questione, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo è di dubbia legittimità la disposizione contenuta nel citato articolo 26 del decreto-legge n. 91 del 2014, sotto il profilo costituzionale, considerando gli effetti retroattivi di cui è portatrice. Difatti, si ritiene che la rimodulazione della tariffa – che dovrebbe oscillare fra il 17 ed il 25 per cento – incida in modo ingiustamente peggiorativo, sui piani economici finanziari delle imprese investitrici;
    sul punto, si evidenzia che il piano economico finanziario è quel documento economico-aziendale che ha, tra l'altro, la funzione di dimostrare che a fronte di determinati investimenti e spese, vi sono dei ricavi che permettono di garantire l'utile di impresa. La congruità del piano economico finanziario all'attività economica che sarà esercitata dall'imprenditore, è condizione essenziale per l'esistenza e la crescita dell'impresa e, affinché sussista tale congruità, è necessario che esso sia redatto a fronte di dati certi e verificabili o quanto meno prevedibili;
    con l'emanazione della norma in questione, che rimodula la tariffa con effetto retroattivo, si ha un mutamento delle condizioni economiche di gestione dell'impresa, che, per l'appunto, non deriva dall'andamento del mercato, bensì dalla volontà del legislatore;
    il cambiamento delle condizioni economiche, voluto dal legislatore, degli investimenti effettuati nel settore del fotovoltaico pone in seria discussione la sopravvivenza di una moltitudine di imprese. Ciò significa che la norma prevista si pone in contrasto con l'articolo 41 della Costituzione, nella parte in cui tutela la libera iniziativa economica;
    ad ogni modo, se anche volessimo ipotizzare che la norma in questione non violi l'articolo 41 della Costituzione, sarebbe ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo comunque di dubbia costituzionalità poiché le leggi, i decreti legge e i decreti legislativi per rispettare il dettato costituzionale, devono essere rispettose dei principi costituzionali di ragionevolezza e proporzionalità;
    ne consegue che la misura della rimodulazione della tariffa così come prevista – dal 17 al 25 per cento – è eccessivamente onerosa, perché è di gran lunga superiore all'utile di impresa. Va da sé che tale disposizione risulta essere irragionevole e sproporzionata;
    si evidenzia inoltre che la normativa comunitaria e nazionale promuove lo sviluppo dell'energia da fonti rinnovabili prefiggendosi l'obiettivo di potenziare e razionalizzare il sistema, per incrementare l'efficienza dell'energia alternativa anche diminuendo gli oneri relativi alla realizzazione degli impianti da essa alimentati;
    tuttavia, nell'ambito del settore delle energie rinnovabili, vengono adottati di frequente dei provvedimenti che non incentivano tali investimenti, come prevede la normativa, poiché, come nel caso della norma in questione, determinano un danno attraverso ingiusti addebiti di costi/oneri retroattivi per coloro che hanno già provveduto ad investire in queste tecnologie;
    peraltro, la disposizione in questione determina, pure, una disparità di trattamento fra operatori del settore delle energie rinnovabili, in tanto in quanto va a colpire solo alcuni di essi (ovvero quelli che si occupano di fotovoltaico), determinando così un ingiusto vantaggio a favore degli altri;
    in conseguenza di ciò, lo stesso mercato delle energie rinnovabili risulta essere turbato, poiché le relazioni fra imprese non sono definite dalla capacità delle stesse di operare (ossia dal loro saper stare, appunto, sul mercato), ma da factum principis, ovvero da un intervento del legislatore che ne penalizza alcune con inevitabile vantaggio per le altre,

impegna il Governo

ad assumere iniziative volte a modificare l'articolo 26 del decreto-legge n. 91, del 24 giugno 2014, e dunque non procedere alla rimodulazione, così come prevista dallo stesso, delle tariffe incentivanti di produzione di energia elettrica da parte di impianti fotovoltaici, posto che tale disposizione ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo è di dubbia costituzionalità e si pone in contrasto con la normativa in materia, infliggendo un inaccettabile danno alle imprese che hanno investito nel settore.
(1-00575) «Rizzetto, Prodani, Mucci, Turco, Currò, Baldassarre, Tripiedi, Barbanti, Pisano, Pinna».


   La Camera,
   premesso che:
    il prossimo quinquennio istituzionale europeo sarà cruciale per il rilancio della crescita, in considerazione del fatto che, come evidenziato di recente dal Governatore Draghi, la crisi occupazionale dell'Unione europea monetaria da socio-economica potrebbe diventare istituzionale;
    in tale ambito, il massimo responsabile della Banca centrale europea ha rivolto una particolare attenzione nei riguardi degli Stati membri dell'Unione europea, che presentano evidenti debolezze strutturali ed elevato debito pubblico come l'Italia, affinché, all'interno della governance dell'eurozona, si applichino le regole di bilancio vigenti in modo flessibile, attraverso il contemporaneo avvio di un processo di riforme autentiche e strutturali in grado di rilanciare una crescita sostenibile e duratura;
    all'interno del suesposto scenario, che attesta il perdurare della crisi economica e finanziaria e delle ripercussioni che quest'ultima ha generato sul conseguimento degli obiettivi macroeconomici prefissati, che coinvolgono non soltanto l'Italia, (come confermato dai recenti dati al ribasso sul prodotto interno lordo trimestrale dell'eurozona inclusa la Germania), le politiche di bilancio e gli strumenti finanziari dell'Unione europea, come ad esempio Strategia Europa 2020, (nonostante il documento contenga una serie di obiettivi condivisibili, volti all'individuazione d'interventi nel quadro dei rispettivi programmi nazionali di riforma che ogni anno sono esaminati nell'ambito della procedura del semestre europeo), necessitano un complessivo ripensamento in chiave di alleggerimento;
    le regole di bilancio dell'Unione europea, soprattutto nella parte preventiva, dimostratesi austere e irrigidite dalle prescrizioni di un Trattato internazionale (il Fiscal compact), che non è parte dell'ordinamento comunitario europeo, alla luce dei profondi cambiamenti che la crisi economica ha determinato negli Stati membri, unitamente all'estensione della sorveglianza multilaterale agli squilibri macroeconomici, proposta dalla Commissione europea nel 2011, si sono rivelate, nella realtà, estremamente rigide e spesso di dubbia interpretazione, giudicabili nel complesso in maniera negativa per l'economia reale, avendo determinato un impatto depressivo e di scarsa propensione alla crescita per le imprese e le famiglie;
    l'attuale quadro economico italiano di deflazione, che non si verificava dal 1959 (con uno scenario favorevole completamente diverso da quello attuale ed un tasso di sviluppo all'epoca pari al 7 per cento), rileva come l'incertezza ed i problemi strutturali dell'economia dell'Unione europea permangono tuttora gravi e richiedono la necessità di un'azione politica serrata, da condurre contro l'applicazione acritica di una politica europea errata, attraverso la richiesta di una revisione degli accordi fin qui accettati ed un allentamento delle regole di bilancio;
    in tale ambito, ai sensi dell'articolo 312 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, il quadro finanziario pluriennale, (entrato in vigore il 1o gennaio 2014), che fissa in relazione a ciascuna delle grandi aree di spesa dell'Unione europea il massimale degli stanziamenti per il periodo 2014-2020, si è rilevato come l'Italia (con riferimento al prodotto interno lordo) rappresenti il terzo Paese, dopo Germania e Francia, che contribuirà in misura rilevante per i prossimi sette anni al bilancio comunitario, rispetto agli altri Stati membri;
    dal suindicato quadro finanziario pluriennale 2014-2020 è emerso, infatti, come all'interno degli articolati stanziamenti previsti pari a circa 960 miliardi di euro, pari all'1 per cento del reddito nazionale lordo complessivo dei 28 Paesi membri, le corrispondenti risorse finanziarie saranno determinate per il 12,9 per cento dai diritti doganali e dai dazi, per l'11,4 per cento attraverso la quota derivante dal gettito IVA (competenza per lo 0,30 per cento dell'Unione europea) e per il 68 per cento invece da quanto versato dai medesimi Stati membri in base al rispettivo reddito nazionale lordo;
    all'interno di tale ripartizione il medesimo quadro finanziario pluriennale prevede il mantenimento fino al 2020 del sistema delle cosiddette «scontistiche», costituito da un obsoleto strumento agevolativo finanziario riservato a determinati Paesi, come la Gran Bretagna, sulla base di una serie di discutibili argomentazioni e parametri contabili riferiti alla politica agricola;
    il Consiglio europeo di Fontainebleau nel giugno del 1984 introdusse, infatti, un meccanismo di correzione dello squilibrio di bilancio britannico, prevedendo che i due terzi della differenza tra la parte del Regno Unito nel gettito IVA e la sua parte nelle spese comunitarie potessero ritornare al medesimo Paese, sotto forma di riduzione della base imponibile IVA britannica; tale sgravio peraltro risulta attualmente posto a carico di tutti gli altri Stati membri secondo la loro parte rispettiva nei versamenti IVA (ad eccezione della Germania che versa solo i due terzi della sua parte normale, mentre il saldo è suddiviso secondo i medesimi criteri tra gli altri Stati membri e per quasi il 50 per cento a carico dell'Italia e della Francia);
    il suesposto ed iniquo beneficio a favore della Gran Bretagna, in considerazione che il contributo britannico al bilancio europeo si è dimostrato sproporzionato rispetto alla sua prosperità relativa, peraltro con riferimento alla scarsa vocazione agricola, è risultato nel corso degli anni particolarmente favorevole al Paese britannico, se si valuta come, dall'anno 2001, in cui si è raggiunto l'importo massimo di 7,3 miliardi di euro, e nei successivi anni sono stati attribuiti «sconti» a favore del Regno Unito per diversi miliardi di euro;
    nonostante siano state inoltrate da parte del nostro Paese e dalla Francia richieste in sede comunitaria per la revisione del cosiddetto «sconto inglese», finalizzate a correggere un rapporto contabile con l'Unione europea evidentemente arbitrario, l'Italia (insieme ad altri Paesi), sebbene non si sia dimostrato un attento fruitore nel corso degli anni dei fondi comunitari strutturali e scarsamente incisivo nelle fasi negoziali, continua ad accollarsi una quota (nel 2011 è stata di 700 milioni di euro) dei rimborsi dell'ormai superato rebate, divenuto non più sostenibile, sia con riferimento alle precarie condizioni della tenuta dei conti pubblici e delle difficoltà degli equilibri di bilancio, che al pesante squilibrio strutturale apertosi con l'Europa, che, di fatto, ha relegato il nostro Paese fra gli ultimi nella scala della ricchezza dell'Unione europea;
    nell'ambito delle considerazioni in precedenza esposte e delle articolate criticità economiche e contabili che riguardano il nostro Paese, l'avvio del semestre di Presidenza italiana all'interno del Consiglio europeo, rappresenta, a tal fine, un importante occasione all'interno della cornice istituzionale comunitaria, per la definizione di un anacronistico meccanismo, ovvero dello «sconto inglese», in quanto se trent'anni fa esso poteva riscontrare una motivazione logica a fronte dell'ingente spesa comune a titolo di politica agricola, attualmente, con una dotazione della politica agricola comune assolutamente ridotta rispetto agli altri stanziamenti (ed un sistema finanziario dell'Unione europea profondamente rivisitato dal 1984), appare del tutto superato, nonostante nelle prospettive finanziarie 2014-2020 indicate dal quadro finanziario pluriennale continui ad essere attribuito;
    risultano pertanto indifferibili iniziative in sede comunitaria, volte ad interrompere tali accordi estremamente onerosi e non più accettabili nei confronti di una cosiddetta «correzione britannica», che, oltre a non prevedere una data di scadenza, consente al Regno Unito il rimborso di un importo pari al 66 per cento della differenza tra il suo contributo al bilancio dell'Unione europea e l'importo ottenuto dallo stesso bilancio, comportando di riflesso un ulteriore onere finanziario a carico degli altri Stati membri tra cui l'Italia, con manifeste conseguenze negative e penalizzanti per gli equilibri dei conti pubblici e dell'economia reale del nostro Paese, che permane in una fase di estrema criticità;
    appaiono altresì inderogabili interventi volti a compensare l'oneroso accordo internazionale dello «sconto inglese» attraverso l'esclusione dal Patto di stabilità interno delle regioni che effettuano investimenti in favore del settore agricolo e agroindustriale nazionale, in considerazione tra l'altro che l'entità della spesa agricola è diminuita nel corso degli anni e che la nuova programmazione della politica agricola comune per il periodo 2014-2020 prevede una significativa decurtazione dei fondi disponibili per il nostro Paese,

impegna il Governo:

   a prevedere in sede comunitaria iniziative urgenti e necessarie al fine di avviare una rivisitazione complessiva delle politiche di bilancio dell'Unione europea, nonché dei criteri di applicazione della disciplina di bilancio dell'Unione europea contenuti nel Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, al Titolo II, articoli 310 e seguenti, attraverso una maggiore semplificazione delle procedure volte ad una migliore composizione tra tassazione (da ridurre) e spesa pubblica (da ristrutturare) ed un allentamento delle regole in modo più flessibile;
   ad intervenire, nelle medesime sedi europee, nel caso fosse accertato da parte del Regno Unito un minore apporto al bilancio comunitario, attraverso una rinegoziazione automatica del cosiddetto rebate, in considerazione delle numerose criticità esposte in premessa, che evidenziano l'oramai insostenibile onere per gli Stati membri, ed in particolare per il nostro Paese, di rimborsare annualmente quanto previsto dal Consiglio europeo di Fontainebleau nel 1984, il cui sistema delle cosiddette «scontistiche» risulta ancora previsto all'interno del quadro finanziario pluriennale per il periodo 2014-2020;
   ad adottare infine iniziative volte a prevedere l'esclusione dal Patto di stabilità interno in favore delle regioni che effettuino investimenti per il settore agricolo e agroindustriale nazionale, il cui comparto anticiclico, già gravato da un'eccessiva tassazione e da una crisi economica causata anche da fattori climatici sfavorevoli, riveste un ruolo determinante per il prodotto interno lordo del nostro Paese.
(1-00576) «Palese, Faenzi, Russo, Sandra Savino, Abrignani, Alberto Giorgetti, Riccardo Gallo, Ciracì».


   La Camera,
   premesso che:
    il progetto Joint Strike Fighter, avviato in prima istanza nel 1998 e definito nel 2002, con lo stanziamento di circa 13 miliardi di euro, non appare adeguato ai nuovi contesti di crisi internazionale che necessitano invece di maggiori iniziative diplomatiche e di sistemi d'arma in grado di tutelare le popolazioni civili;
    il concetto di tale cacciabombardiere era basato su condizioni geopolitiche che non esistono più; gli eventi degli ultimi mesi mettono in risalto l'inefficacia di strumenti come l'F-35: i bombardamenti in corso in Iraq contro l'Is hanno secondo i firmatari del presente atto di indirizzo più il ruolo di lavare la coscienza dei Paesi che hanno creato quella crisi, con le scelte fatte negli ultimi 15 anni nell'area Mediorientale, che risolvere il problema;
    ad oggi, il programma F-35 prevede un onere complessivo, per l'acquisizione degli aerei e il supporto logistico, stimato in circa 10 miliardi di euro, con completamento previsto nel 2027 (in media poco più di 111 milioni di euro ad aereo per 90 aerei);
    a questi fondi bisogna aggiungere oltre 3 miliardi di euro, di cui circa 2,7 miliardi di euro già spesi. Nel dettaglio si tratta di:
     a) 1 miliardo di dollari per la fase di sviluppo iniziale, ufficialmente completata (già pagati);
     b) 900 milioni di dollari per la fase di production, sustainment, and follow-on development, completamento previsto nel 2047 (già pagati);
     c) 795,6 milioni di euro per la realizzazione della linea di assemblaggio e supporto di Cameri (Faco), le cui attività dovrebbero completarsi nel 2014 (già pagati);
     d) 465 milioni di euro per le attività di predisposizioni e di adeguamento infrastrutturale delle basi e dei siti di Aeronautica e Marina che ospiteranno il velivolo;
    di questi risultavano già stati spesi, a fine 2012:
     a) oltre 19 milioni di euro per la base di Amendola, che ospiterà 2 gruppi di volo di F-35A, su un totale previsto di oltre 100 milioni di euro;
     b) 4 milioni di euro per la base di Grottaglie, su circa 140 milioni di euro previsti;
     c) 10 milioni di euro per la portaerei Cavour, di cui 4,8 milioni di euro per l'adeguamento del sistema Alis (Automatic logistic information system), su un totale previsto di 87,5 milioni di euro; 3,6 milioni di euro per Cameri relativi all'adeguamento dei sistemi di ausilio alla navigazione;
    accanto a questi interventi sono previste misure analoghe per la base di Decimomannu, per le quali si prevede di spendere oltre 48 milioni di euro, e per la base di Ghedi (dedicata allo strike nucleare), che ospiterà 2 gruppi di F-35A, con avvio dei primi lavori a partire dal 2016 e previsione di spesa complessiva di 87,5 milioni di euro;
    la Faco risulta, ad oggi, l'unico luogo in Europa, già costruito ed operativo, per la manutenzione e l'aggiornamento dei futuri aerei F-35;
    da tutte le audizioni della recente indagine conoscitiva della Commissione parlamentare Difesa della Camera dei deputati sui sistemi d'arma, anche dalle più favorevoli al progetto, si evince che l'F-35 è un «proiettile d'argento», ovvero uno strumento dedicato ad alcune particolari funzioni (come il first-strike nucleare), ma, pur essendo definito come «aereo multiruolo», non è particolarmente efficiente in situazioni come il combattimento aria-aria ravvicinato (close air combat) o il supporto tattico alle forze terrestri (close air support) che richiede voli a bassa quota;
    l'implicazione industriale e tecnologica (in termini di know-how) è limitata rispetto ad altri progetti già in essere. L'impatto in termini di posti di lavoro è limitato se si considera l'enormità della spesa pubblica sostenuta (la Faco offrirà al massimo 1.815 posti di lavoro); ciò non toglie che il know-how che le imprese (anche piccole e medie) implicate nel progetto (soprattutto nella gestione delle parti in titanio) potrebbero sviluppare aprirebbe a loro nuovi mercati nel settore aeronautico;
    all'Italia non è consentito nessun tipo di accesso alle tecnologie caratterizzanti l'F-35. In particolare, ciò riguarda la tecnologia stealth (la palazzina delle radiomisure della Faco è interdetta all'accesso agli italiani quando i sistemi sono in funzione e sarà possibile solo tarare gli aerei italiani) e il codice sorgente del software dell'aereo. Quest'ultimo elemento impedisce qualsiasi futura integrazione italiana di nuovi o diversi sistemi sull'aereo (armi, sistemi di difesa elettronica, sensori ed altro);
    inoltre, le informazioni allarmanti circa la possibilità segnalata dalla Rete italiana per il disarmo di ritardi nello sviluppo e nella risoluzione degli evidenziati, numerosi problemi di costruzione, potrebbero comportare problemi di «concurrency», anche oltre la fase di produzione iniziale a basso rateo che dovrebbe concludersi nel 2019, ovvero portare ad avere un prodotto in fase di piena produzione con problemi da risolvere ancora (e non risolti nella fase di produzione iniziale a basso rateo) e che dovrà essere richiamato per la correzione dei problemi, con un aumento di costi incalcolabile;
    gli F-35 sono ispirati ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo ad una modalità di difesa che non rientra nell'alveo dei dettami dell'articolo 11, comma 1, della Costituzione. L'acuirsi delle tensioni e delle guerre di queste settimane – Ucraina, Gaza, Iraq, Siria e Libia – impongono al contrario un cambio di strategia politica e militare a livello internazionale. Appare anacronistico proseguire con l'acquisizione di sistemi d'arma costosissimi ma inadatti ad intervenire nelle moderne aree di crisi;
    la decisione del governo Usa di ammodernare le bombe nucleari di stanza nelle basi di Ghedi ed Aviano per renderle compatibili con gli F-35 presuppone che l'Italia diventi la linea più avanzata della deterrenza nucleare della Nato, contraddicendo spirito e lettera dell'adesione dell'Italia al Trattato di non proliferazione nucleare,

impegna il Governo:

   a cancellare la partecipazione dell'Italia al programma Joint Strike Fighter e a sospendere immediatamente qualsiasi attività contrattuale;
   in subordine all'impegno precedente:
    a) a sospendere immediatamente l'attività contrattuale dei velivoli F-35B dei prossimi lotti previsti, al fine di conseguire risparmi stimati, di spese in conto corrente, di circa 560 milioni di euro;
    b) a sospendere l'attività contrattuale fino alla fase di piena produzione, posto che, in base alle proiezioni presentate dal General accounting office degli Stati Uniti relativamente all'auspicata riduzione del prezzo unitario degli F-35 costruiti nella fase di piena produzione che sarà avviata nel 2019, rispetto a quelli prodotti nella fase di produzione iniziale a basso rateo attualmente in corso, il solo rinvio dell'acquisto dei 24 aerei che l'Italia prevede di acquistare entro il 2019 comporterebbe un risparmio di almeno un miliardo di dollari (i 24 aerei costerebbero in tutto circa 2,27 miliardi di dollari, anziché 3,35 miliardi di dollari), senza contare che detti velivoli non richiederebbero i successivi interventi di ammodernamento causati dal fenomeno della «concurrency»;
    c) ad avviare comunque la rinegoziazione con il Joint program office delle funzioni della Faco e delle capacità industriali connesse, giacché la Faco (final assembly and check out) è di proprietà dello Stato e potrà per questo essere utilizzata come centro di manutenzione, anche se Lockheed Martin decidesse di annullare la produzione a Cameri e, conseguentemente, ad avviare una valutazione degli investimenti che impattano sulle aziende italiane collegate al Joint Strike Fighter, al fine di mantenere la loro capacità di sviluppo industriale e know-how acquisibile;
   a ridurre il fondo appositamente creato nel 2002 di spese in conto capitale che prevede il finanziamento del progetto Joint Strike Fighter, liberando così immediatamente risorse impegnate per i prossimi anni;
   ad avviare da subito una prima fase di sospensione del progetto, al netto dei lotti già contrattualizzati definitivamente (LRIP 6 e LRIP 7 per 6 aerei) e della valutazione dello stato di acquisizione dei lotti successivi (LRIP 8, LRIP 9, LRIP 10 e LRIP 11).
(1-00577) «Basilio, Rizzo, Artini, Paolo Bernini, Corda, Frusone, Tofalo, Manlio Di Stefano, Di Battista, Sibilia, Del Grosso, Grande, Spadoni, Scagliusi, Carinelli».


   La Camera,
   premesso che:
    sono ormai cicliche le polemiche e le contraddizioni legate al programma sugli F-35, o Joint Strike Fighter-F35, i cacciabombardieri multiruolo di quinta generazione monoposto, in merito soprattutto ai difetti e ai ritardi registrati nel corso dello sviluppo delle tecnologie e del programma riferiti al velivolo;
    costituisce un esempio in tal senso la ripresa parziale dei voli, il 16 luglio 2014, della flotta degli F-35, dopo il fermo posto dalle direttive emanate dagli uffici del programma F-35, dall'Air Force e dalla Marina, in cui si ordinava la sospensione di tutti i voli degli F-35 a seguito di un incendio scoppiato il 23 giugno 2014 su un caccia F-35A dell'Air Force in una base della Florida, mentre il pilota si preparava al decollo. Attualmente sembrerebbe non ci sia alcun pericolo;
    sul programma F-35 le disposizioni governative e militari sono spesso contraddittorie. Le previsioni di spesa contenute nel Documento di economia e finanza per il 2014 hanno focalizzato l'attenzione, da una parte, sulla problematica inerente la reale necessità di investimenti militari e, dall'altra, sugli effettivi benefici indotti da una riduzione di spesa in tal senso;
    il programma di acquisto in 20 anni degli F-35 (che saranno solo parzialmente assemblati in Italia in una nuova fabbrica a Cameri) prevedeva l'acquisizione di 135 bombardieri per l'Italia, poi ridotti a 90 (di cui 30 a decollo verticale);
    l'Italia è l'unico Paese al mondo ad avere un sito produttivo al di fuori degli Usa; altri Paesi, in Asia e in Europa, stanno però investendo risorse per acquisire una certa capacità produttiva;

    per capire meglio l'urgenza delle decisioni da prendere è sufficiente evidenziare quanto rilevato dal generale Christopher Bogdan, a capo dei programmi statunitense F-35, che ha dichiarato che ogni slittamento o cancellazione delle commesse degli alleati provoca un incremento di costo del 2/3 per cento per gli F-35 acquistati dal Pentagono;
    il programma F-35 garantirà, a regime, in Italia un'occupazione pari a circa 1.500 addetti diretti. Includendo l'indotto, l'ammontare della forza lavoro nazionale raggiungerà, nello stesso arco di tempo, un totale di 6.500 unità. Finmeccanica-Alenia Aermacchi prevede di costruire circa 800 complessi alari;
    i dati più ottimistici in proposito li fornisce un rapporto redatto recentemente da Price Waterhouse Coopers sull'impatto economico del programma F-35 in Italia, che stima ben 15,7 miliardi di dollari il beneficio economico per l'Italia nel periodo dal 2007 al 2035 e un'occupazione potenziale di 5.450 posti di lavoro dal 2017 al 2026;
    dalla relazione della Corte dei conti sul rendiconto generale dello Stato per l'esercizio finanziario 2013 e per ciò che concerne il programma relativo allo sviluppo e al sostegno del velivolo Joint Strike Fighter emerge che le poste finanziarie previsionali allocate sul programma negli esercizi finanziari 2015 e 2016 sono rispettivamente pari a 644,3 milioni di euro e 735,7 milioni di euro. A seguito delle attività di contenimento della spesa pubblica avviate dal Governo italiano a partire dal 2011, il Ministro della difesa ha determinato la riduzione dei velivoli italiani da acquisire da 131 a 90, suddivisi in 60 Ctol per l'Aeronautica militare e 30 Stovl equamente distribuiti tra Marina e Aeronautica militare. Ad oggi, rileva la Corte dei conti, sono stati posti in essere contratti per l'acquisizione di 3 velivoli Ctol nel lotto di produzione low rate initial production 6 (LRIP 6 - consegne 2015-2016) e 3 velivoli Ctol nel lotto di produzione LRIP 7 (consegne 2016). Inoltre, sono stati posti in essere contratti per l'acquisizione dei soli componenti a lunga lavorazione (long lead items) per i lotti LRIP 8 e LRIP 9 (consegne, per entrambi, nel 2017);
    per quello che riguarda i ritorni industriali, la relazione riporta quanto riferito a questo riguardo dall'amministrazione della difesa secondo la quale il ritorno occupazionale correlato al programma F-35 era inizialmente stimato intorno ai 10.000 posti di lavoro (studio di Finmeccanica 2008), comprensivi sia di produzione industriale sia di supporto tecnico/logistico. In seguito alla riduzione da 131 a 90 velivoli, da un'indagine svolta con le industrie di settore, il ritorno occupazionale diretto (attività delle filiere produttive di beni e servizi che soddisfano le commesse) è stimato tra i 3.700 ed i 6.900 posti di lavoro comprensivi, sia di produzione industriale sia di supporto tecnico/logistico del sistema d'arma;
    il Ministro della difesa, Roberta Pinotti, ha evidenziato la necessità di un razionale equilibrio nella valutazione delle scelte, tra le esigenze della difesa, da una parte, e la serietà verso le imprese che hanno investito su questo programma, dall'altra;
    in merito all'acquisto degli F-35 il Ministro della difesa, intervenendo in audizione nelle Commissioni parlamentari difesa della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, il 24 giugno 2014, ha affermato che: il «programma complessivo» relativo all'acquisto da parte dell'Italia dei caccia F-35 resta sospeso e «sarà definito nuovamente» dopo la stesura del Libro bianco per la difesa, previsto per il mese di settembre 2014, che definirà ciò che serve «per soddisfare le nostre necessità di difesa», aggiungendo che, allo stato, i contratti già sottoscritti e operanti riguardano solo i lotti 6 e 7, per sei velivoli complessivi;
    nel corso della stessa audizione il Ministro della difesa ha rilevato quanto fosse doverosa la sospensione del programma degli F-35, che, tuttavia «implica oneri non trascurabili e, soprattutto, prospetta il rischio di causare effetti particolarmente negativi in termini di sostenibilità industriale»;
    dopo l'atto di indirizzo approvato in Parlamento, ha ricordato Pinotti, «il Governo ha deciso di sospendere temporaneamente ogni ulteriore attività contrattuale, successiva a quelle già sottoscritte e operanti». Quindi, «fatta salva l'attività relativa agli oneri non ricorrenti di produzione, supporto e aggiornamento, i quali sono condivisi con tutti gli altri partner internazionali, nonché le attività relative alla produzione ed equipaggiamento dei due lotti numero 6 e numero 7, i cui contratti erano già sottoscritti e operanti, nessuna altra attività contrattuale di acquisizione è stata affidata all'Ufficio di programma»;
    nel corso dell'audizione del Ministro della difesa, le Commissioni congiunte difesa della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, in merito al programma di acquisto dei velivoli F35, hanno rilevato che:
     a) ad oggi, sono oltre cento i velivoli realizzati, «i quali operano regolarmente e con una crescente intensità, permettendo sia di procedere con la fase sviluppo, sia di addestrare i futuri piloti destinati ai reparti operativi»;
     b) le forze armate statunitensi hanno già assegnato il velivolo ai primi reparti e prevedono di raggiungere la capacità di svolgere missioni operative dal 2016;
     c) l'Italia utilizzerà i primi lotti di velivoli solo per le attività di familiarizzazione con le nuove tecnologie e l'addestramento;
     d) i lavori di allestimento del sito di Cameri sono quasi completati e sono già state avviate le operazioni di assemblaggio dei primi velivoli italiani;
    nel mese di aprile 2014 è giunto a Cameri, per il montaggio, il primo motore. Si tratta di velivoli appartenenti al lotto numero 6, che include tre esemplari con consegne previste fra il 2015 e il 2016. Seguirà come previsto, il lotto numero 7, composto di tre velivoli, con consegne nel 2016;
    qualora nel sito produttivo di Cameri le attività produttive relative ai lotti successivi rispetto al numero 6 e 7 non dovessero essere avviate, si determinerebbe un'interruzione della «curva di apprendimento» e, quindi, un peggioramento sostanziale della competitività dell'intero sito produttivo, causando un dirottamento delle commesse internazionali provenienti dagli altri Paesi che hanno deciso di acquisire l'F-35 verso lo stabilimento statunitense;
    nel «Documento Programmatico Pluriennale per la Difesa per il triennio 2014-2016», esaminato il 16 luglio 2014 dalla Commissione difesa della Camera dei deputati, sono evidenziate le principali voci di spesa che compongono la funzione difesa (esercizio, investimento e personale) che, negli ultimi sei anni, sono diminuite di 1.732,7 milioni di euro, pari a -27,51 per cento delle disponibilità del 2008. In particolare, i consumi intermedi avrebbero registrato una riduzione in termini finanziari di 1.440,3 milioni di euro (-63,59 per cento), passando dai 2.265 milioni del 2008 agli attuali 824,7. Riguardo invece alla funzione sicurezza del territorio che attiene alle esigenze finanziarie dell'Arma dei carabinieri, lo stanziamento previsionale per il 2014 ammonta a circa 5.687,4 milioni di euro, circa meno 72,2 milioni (-1,3 per cento) rispetto al precedente bilancio approvato dal Parlamento;
    purtroppo, le recenti implicazioni politiche, economiche, sociali e culturali, hanno un risvolto che dovrebbe destare serie preoccupazioni riguardo alla pace e alla stessa sicurezza all'interno di parecchie nazioni e di intere aree geografiche. Il precipitare del conflitto israelo-palestinese, di quello in Siria e dei rapporti tra Russia e Ucraina di questi giorni sono la realtà manifesta di quanto continua ad accadere. Tutto ciò rende ancora più evidente la necessità di potersi presentare dinnanzi a simili conflitti con mezzi adeguati;
    se a ciò si aggiunge che, in questi ultimi anni, le spese militari nel mondo occidentale sono diminuite a fronte di un sensibile incremento riscontrato in altri Paesi, in particolare quelli che compongono il cosiddetto Bricst (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica e Turchia), oltre a quelli coinvolti in situazioni di conflitto, si comprendono meglio i timori alla base di eventuali ulteriori riduzioni di spesa per la difesa. Si tratta di problemi lontani solo in apparenza, dal momento che si potrebbero verificare delle ripercussioni che rischiano di estendersi al di fuori delle aree strettamente interessate;
    se si considerano le principali operazioni nelle quali l'Italia ha impiegato le proprie capacità aeree negli ultimi ventiquattro anni (Iraq 1990-1991, Bosnia-Erzegovina 1993-1998, Kosovo 1999, Afghanistan 2001-2014 e Libia 2011), sono stati schierati oltre 100 velivoli tra cui Tornado, AMX, F-104, AV-8B, F-16 ed Eurofighter, e realizzate più di 13.000 sortite, per un totale di circa 36.000 ore di volo. A testimonianza dell'elevato grado di integrazione del Paese nell'Onu e nell'Alleanza atlantica, inoltre l'utilizzo dei velivoli ha avuto luogo nel 90 per cento dei casi in operazioni organizzate con l'avallo del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e nell'80 per cento delle circostanze nell'ambito di una catena di comando e controllo Nato;
    se ci si riferisce alle sole missioni di pace, all'8 aprile 2014 erano 9.153 i militari italiani impegnati in 25 missioni all'estero. Si tratta di grandi e piccoli contingenti: dai 3.820 impegnati nella Kfor in Kosovo, ai 3 della Monuc in Congo, al solo militare che, proprio in Iraq, fa parte della missione Unikom;
    dunque, a margine di una situazione internazionale, quanto meno preoccupante, e soprattutto considerando le operazioni in cui l'esercito italiano è stato impegnato, si comprende meglio la necessità di poter affrontare sia le situazioni di conflitto, sia le missioni di pace con i mezzi adeguati,

impegna il Governo:

   a rispettare gli impegni precedentemente assunti e relativi all'acquisto degli F-35, in linea con le nuove capacità di spesa connesse ai tagli finalizzati al contenimento del debito pubblico che stanno interessando anche il settore della difesa;
   a garantire, eventualmente riaggiornandolo, alla luce delle nuove e accresciute esigenze di bilancio, il programma di acquisizione degli F-35, ponendo particolare attenzione al ruolo attivo dell'Italia rispetto agli altri Paesi e assicurando la capacità nazionale di manutenzione dei velivoli in dotazione;
   ad assicurare un monitoraggio continuo, riferendo ai competenti organi parlamentari, delle diverse fasi di evoluzione del progetto, ribadendo il ruolo centrale delle diverse regioni italiane e garantendo l'acquisizione delle competenze tecnologiche necessarie legate ai velivoli.
(1-00578) «Causin, Mazziotti Di Celso, Vargiu, Vitelli, Molea, Matarrese, Rabino».


   La Camera,
   premesso che:
    all'inizio del processo di integrazione europea, nel 1957, il bilancio dell'allora Comunità economica europea (CEE) era molto modesto e finalizzato a coprire esclusivamente le spese amministrative;
    nel 1965 i pagamenti destinati alla Politica agricola comune (Pac) assorbivano circa il 35,7 per cento del bilancio per arrivare fino al 70,8 per cento nel 1985. Nel 2013 la percentuale della spesa tradizionale della Politica agricola comune (escluso lo sviluppo rurale) è stata pari al 32 per cento;
    contestualmente, nel 1965, la spesa per la politica di coesione era pari al 6 per cento del bilancio, registrando un leggero aumento negli anni a seguire, attestandosi al 10,8 per cento nel 1985. Nel 2013, soprattutto a seguito dell'Atto unico europeo e alle disposizioni ivi contenute che ponevano l'accento sulla coesione economica e sociale, la spesa per la politica di coesione ha rappresentato il 35,7 per cento del bilancio;
    inizialmente i fondi per le altre politiche comunitarie (principalmente i settori della competitività, azioni esterne e sviluppo rurali) erano assai limitati e riguardavano nel 1965 soltanto il 7,3 per cento del bilancio. Nel 2013, la percentuale di spesa per queste politiche è stata pari al 26 per cento delle risorse presenti a bilancio;
    il Consiglio europeo riunito a Fontainebleau (Francia) il 25 e 26 giugno 1984 ha adottato l'accordo così denominato - di Fontainebleau - secondo cui il Regno Unito ottenne il cosiddetto «sconto inglese»; lo sconto venne concesso, dopo che il primo ministro Margaret Thatcher minacciò di fermare i pagamenti al bilancio dell'Unione europea, giungendo ad affermare che: «non stiamo chiedendo soldi alla Comunità o a chiunque altro. Stiamo semplicemente chiedendo di avere i nostri soldi indietro»;
    il vertice di Fontainebleau ha convenuto il diritto di ogni Stato membro, che si assuma un «eccessivo» peso di bilancio rispetto al suo livello di crescita, a beneficiare di un bilancio di «correzione»;
    tecnicamente, lo «sconto inglese» in un dato anno è pari al 66 per cento del contributo netto versato dal Regno Unito nell'anno precedente. La base della correzione è determinata dal divario tra la quota parte dei pagamenti IVA e la quota parte nelle spese effettuate per conto dell'Unione europea;
    il Regno Unito per caratteristiche territoriali e geografiche ha una minore superficie di suolo agricolo utilizzabile e, di conseguenza, ha sempre avuto una minor presenza di aziende agricole;
    all'epoca dell'accordo, il Regno Unito era il terzo membro più povero della Comunità europea, ma allo stesso tempo stava per diventare il più grande contribuente netto al bilancio dell'Unione europea, di cui più del 70 per cento era composto dalla Politica agricola comune;
    tuttavia, ad oggi, il Regno Unito è uno dei Paesi più ricchi dell'Unione europea: più ricco rispetto alla maggior parte dei vecchi Stati membri dell'Unione europea e molto più benestante rispetto ai nuovi membri dell'Unione europea;
    tutti i membri dell'Unione europea pagano lo sconto in proporzione alla dimensione delle loro economie, tuttavia, quattro tra i principali contribuenti netti al bilancio dell'Unione europea - Germania, Paesi Bassi, Svezia e Austria - pagano solo un quarto di ciò che sarebbe altrimenti la loro parte nella «correzione». Il risultato è che Francia e Italia, tra loro, pagano circa la metà del totale dello «sconto inglese»;
    a seguito del Consiglio europeo del dicembre 2005, sul sistema di finanziamento futuro dell'Unione europea, vi è stata una revisione dell'accordo del 1984 a seguito del quale il Regno Unito e la Francia hanno registrato contributi netti all'incirca comparabili nel periodo 2007-2013;
    nello specifico, guardando i dati più recenti, la Germania per il 2011 ha versato 23,7 miliardi di euro e ne ha ricevuti 11,8; la Francia ha versato 19,5 miliardi di euro e ne ha ricevuti 13 e la Gran Bretagna ha versato 14,6 miliardi di euro e ne ha ricevuti 6,75;
    attualmente, i Paesi che beneficiano maggiormente del contributo europeo sono: la Polonia che nel 2011 ha versato 3,5 miliardi di euro e ne ha ricevuti 14,4; l'Ungheria che ha versato 937 milioni di euro e ha ricevuto 5,3 miliardi; la Grecia che ha versato 1,9 miliardi di euro e ne ha ricevuti 6,5 e la Spagna che ha versato 11 miliardi e ne ha ricevuti 13,5;
    l'Italia, per il 2011, ha contribuito al bilancio europeo con poco più di 16 miliardi di euro ed ha ricevuto dall'Unione Europea poco più di 9,5 miliardi di euro. Per l'intero bilancio europeo 2007-2013, quindi, l'Italia ha speso circa 112 miliardi di euro e ne ha avuti indietro circa 66,5;
    il Consiglio dell'Unione europea ha approvato definitivamente, il 2 dicembre 2013, il regolamento relativo al quadro finanziario pluriennale 2014-2020 e l'accordo interistituzionale sulla disciplina di bilancio, la cooperazione in materia di bilancio e la sana gestione finanziaria, che erano stati già approvati dal Parlamento europeo il 19 novembre 2013;
    allegate al regolamento sul quadro finanziario, il Parlamento europeo ha approvato una serie di dichiarazioni su: risorse proprie; miglioramento dell'efficacia della spesa pubblica in ambiti oggetto di intervento dell'Unione europea; integrazione delle questioni di genere; disoccupazione giovanile e potenziamento della ricerca; dichiarazioni nazionali di gestione; riesame/revisione del quadro finanziario pluriennale;
    l'accordo tra Consiglio, Commissione e Parlamento europeo sul quadro finanziario pluriennale 2014-2020 è stato definitivamente raggiunto, a margine del Consiglio europeo del 27 e 28 giugno 2013, riprendendo sostanzialmente i termini del compromesso che era stato definito - limitatamente alla discussione in seno al Consiglio - dal Consiglio europeo del 7 e 8 febbraio 2013, con alcuni modifiche relative essenzialmente alle modalità per la spesa degli stanziamenti per l'occupazione giovanile, ricerca e piccole e medie imprese ed accogliendo alcune condizioni poste dal Parlamento europeo;
    l'accordo prevede un massimale di spesa per l'Unione europea a 28 per il periodo 2014-2020 pari a 959,988 miliardi di euro in stanziamenti per impegni, corrispondente all'1 per cento del reddito nazionale lordo dell'Unione europea e a 908,400 miliardi di euro in stanziamenti per pagamenti, corrispondenti allo 0,95 per cento del reddito nazionale lordo dell'Unione europea;
    le spese saranno suddivise in sei rubriche, di cui due sottorubriche, intese a rispecchiare le priorità politiche dell'Unione: crescita intelligente ed inclusiva (sottorubrica 1a) competitività, 1b) coesione), crescita sostenibile: risorse naturali (di cui: spese di mercato e pagamenti diretti), sicurezza e cittadinanza, ruolo mondiale dell'Europa, amministrazione e compensazioni;
    il Consiglio europeo del dicembre 2013 ha accolto in parte le proposte della Commissione europea volte ad una riforma profonda del sistema di finanziamento, ma ha deciso di mantenere i sistemi di correzione a favore di alcuni Stati membri;
    gli attuali meccanismi di correzione per il Regno Unito continueranno ad applicarsi così come segue: limitatamente al periodo 2014-2020, l'aliquota di prelievo della risorsa propria basata sull'IVA per la Germania, i Paesi Bassi e la Svezia è fissata allo 0,15 per cento; la Danimarca, i Paesi Bassi e la Svezia beneficeranno di riduzioni lorde del proprio contributo del reddito nazionale lordo annuo pari rispettivamente a 130 milioni, 695 milioni e 185 milioni di euro. L'Austria beneficerà di una riduzione lorda del proprio contributo del reddito nazionale lordo annuo pari a 30 milioni di euro nel 2014, a 20 milioni di euro nel 2015 e a 10 milioni di euro nel 2016;
    l'Italia, secondo quanto indicato il 14 febbraio 2013 dal Ministro per gli affari europei pro tempore, Enzo Moavero Milanesi, nel corso dell'audizione presso il Senato della Repubblica sugli esiti del Consiglio europeo del 7 e 8 febbraio 2013, migliorerebbe la sua posizione nell'ambito del cosiddetto «saldo netto» (la differenza tra i contributi dell'Italia al bilancio dell'Unione europea ed i fondi ricevuti) che, pur restando negativo, passerà dagli attuali 4500 milioni di euro l'anno per il periodo 2007-2013, corrispondenti allo 0,28 per cento del reddito nazionale lordo, a 3 850 milioni di euro l'anno per il periodo 2014-2020, corrispondenti allo 0,23 per cento del reddito nazionale lordo, con una riduzione media annuale di 650 milioni di euro per l'intero periodo 2014-2020. L'Italia diverrebbe il terzo minor contribuente netto, dopo Belgio e Spagna. Il miglioramento della situazione del saldo netto dell'Italia è stato ottenuto in gran parte grazie ad un aumento netto delle risorse destinate all'Italia nell'ambito della politica di coesione, in controtendenza rispetto ad una generalizzata riduzione dei finanziamenti (tra l'8 per cento e il 10 per cento a seconda degli Stati membri) per la politica di coesione per gli altri Stati membri;
    è prevista, ulteriormente, una maggiore flessibilità per trasferire, a partire dal 2015, i fondi non utilizzati (stanziamenti di pagamento) da un anno all'altro, con limiti per gli ultimi anni di programmazione (2018: 7 miliardi di euro; 2019: 9 miliardi di euro; 2020: 10 miliardi di euro);
    sono, inoltre, introdotte forme di flessibilità ad hoc per la disoccupazione giovanile, il programma Erasmus e il programma Horizon 2020 per la ricerca;
    è stata prevista la «clausola di revisione» del quadro finanziario pluriennale da esercitare al più tardi entro il 2016, con l'obiettivo di dare al nuovo Parlamento europeo e alla nuova Commissione europea la possibilità di valutare l'adeguatezza delle priorità rispetto alla parte rimanente del periodo di programmazione. Per il successivo ciclo di programmazione (post 2020), la Commissione europea dovrà presentare proposte prima del 1o gennaio 2018, che dovranno prevedere l'allineamento della durata del quadro finanziario pluriennale – attualmente di sette anni – on quella del ciclo politico delle istituzioni europee (5 anni);
    sono stati previsti fuori dal quadro finanziario pluriennale stanziamenti fuori bilancio quali: il fondo di solidarietà, destinato a gravi catastrofi, con uno stanziamento annuale di 500 milioni di euro; lo strumento di flessibilità, destinato a spese impreviste, con uno stanziamento annuale di 471 milioni di euro; la riserva per gli aiuti di emergenza a favore di Paesi terzi (interventi umanitari, gestione civili delle crisi e pressioni migratori), con uno stanziamento di 280 milioni di euro; il fondo europeo di adattamento alla globalizzazione, con uno stanziamento annuale di 150 milioni di euro; il margine per imprevisti, come strumento di ultima istanza per rispondere a circostanze impreviste, con uno stanziamento pari allo 0,03 del reddito nazionale lordo dell'Unione europea; il fondo europeo di sviluppo, a favore dei cosiddetti Paesi ACP (Africa, Caraibi e Pacifico), con uno stanziamento di 26,984 milioni di euro (a cui l'Italia contribuirà per il 12,53 per cento),

impegna il Governo:

   nel semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea, a valutare in sede di Consiglio europeo la riallocazione dei «saldi netti» dei singoli Stati membri, in funzione della clausola di revisione del quadro finanziario pluriennale, per quelle priorità politiche dell'Unione europea, suddivise in rubriche e sottorubriche, le cui dotazioni finanziarie potrebbero rivelarsi insufficienti;
   a valutare, con gli altri Paesi europei, il rifinanziamento in quota parte degli stanziamenti fuori bilancio;
   a rivedere gli attuali meccanismi di correzione, previsti per alcuni Paesi, alla luce delle mutate condizioni macroeconomiche all'interno dell'Unione europea, affinché si determini un'effettiva perequazione delle risorse finanziarie.
(1-00579) «Kronbichler, Scotto, Palazzotto, Marcon, Franco Bordo, Melilla».


   La Camera,
   premesso che:
    il Trattato di Lisbona all'articolo 13 definisce gli animali come esseri senzienti, riconoscendo la necessità di assicurare il benessere animale consentendo una serie di iniziative dirette alla protezione degli stessi che non si limitino esclusivamente a tutelare gli animali di affezione ma che riguardano complessivamente il regno animale che deve essere considerato, a questo punto, come integralmente destinatario della tutela europea;
    in questo quadro assume particolare rilevanza sia in Italia che in Europa, negli ultimi anni, la necessità di protezione degli animali che possono essere macellati secondo rito religioso; tale numero è aumentato fortemente, in considerazione di una maggior richiesta di carni derivanti da questo tipo di macellazione e destinate ai canali commerciali ufficiali;
    la macellazione rituale rappresenta da sempre una questione controversa sulla quale si dibattono problemi relativi alle diverse tradizioni culturali, ai diritti umani legati alla tolleranza religiosa e al benessere animale. Nella società occidentale il benessere e la protezione degli animali sono valori indiscussi e condivisi, anche durante il momento della macellazione; tuttavia, nella maggior parte delle nazioni europee è possibile derogare all'obbligo dello stordimento prima della iugulazione per motivi religiosi. Questa deroga crea comunque alcune difficoltà nel garantire la tutela del benessere animale e vi è una forte sollecitazione a trovare soluzioni che siano soddisfacenti per tutte le parti in causa, promuovendo nuovi protocolli che consentano di tutelare maggiormente il benessere animale, nel rispetto del rito religioso;
    sia la legge islamica che i precetti ebraici prescrivono una serie di regole da seguire per rendere la carne commestibile ai fedeli di queste religioni. Le caratteristiche del procedimento di uccisione dell'animale sono riassunte nel termine halal (lecito), per i musulmani, e kosher per gli ebrei, e non accettano lo stordimento preventivo;
    l'animale oggetto della macellazione deve essere cosciente al momento dell'uccisione, girato su sé stesso con un mezzo obbligatorio di contenimento meccanico e viene operata la recisione di trachea ed esofago, ma senza spezzare la colonna vertebrale, perché durante la procedura la testa dell'animale non si deve staccare;
    la pratica della macellazione rituale, estremamente cruenta, è consentita in Italia solo se praticata in uno degli oltre 200 macelli autorizzati, ma non sono rari i casi di macellazione «familiare», eseguita per festeggiare delle ricorrenze religiose, pratica illegale e perseguibile per legge (regolamento (CE) n. 1099/2009, decreto legislativo n. 131 del 2013, articolo 6 del decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 193, articolo 544-bis del codice penale);
    la normativa europea circa la macellazione prevede obbligatoriamente lo stordimento preventivo degli animali ma una precisa deroga legislativa autorizza le comunità islamiche ed ebraiche a non osservare tale obbligo;
    il regolamento (CE) n. 1099/2009 rispetta, di conseguenza, la libertà di religione e il diritto di manifestare la propria religione o la propria convinzione mediante il culto, l'insegnamento, le pratiche e l'osservanza dei riti come stabilito dall'articolo 10 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea;
    di contro, il diritto garantito al citato articolo 10 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea corrisponde a quello garantito dall'articolo 9 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e, ai sensi dell'articolo 52, comma 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, ha significato e portata identici a detto articolo. Le limitazioni devono pertanto rispettare l'articolo 9, comma 2, che recita: «La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che, stabilite dalla legge, costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla pubblica sicurezza, alla protezione dell'ordine, della salute o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti e della libertà altrui»;
    in forza di tale Convenzione gli Stati di seguito elencati: Svizzera, Norvegia, Islanda, Lettonia, Svezia e Polonia, vietano la macellazione rituale;
    nessun credo religioso può prevalere sulle norme di tutela degli animali e nessuna legge deve essere modificata su imposizione di una esigua minoranza religiosa e contro il volere dell'intera popolazione: in uno Stato libero e democratico ciò è inaccettabile;
    nel mese di febbraio 2014, il Commissario europeo Borg, nel corso della Conferenza sui risultati della strategia dell'Unione europea per il benessere animale 2012-2014, ha annunciato che a metà del 2014 la Commissione europea organizzerà uno studio approfondito sul tema della macellazione religiosa, per valutare eventuali norme che garantiscano la salute e l'informazione dei consumatori e soprattutto che evitino una morte dolorosa all'animale,

impegna il Governo

ad adoperarsi durante la Presidenza del Consiglio dell'Unione europea affinché venga abrogato il comma 4, dell'articolo 4, Capo II, del Regolamento (CE) n. 1099/2009 del Consiglio, anche alla luce delle perplessità che gli organismi comunitari hanno manifestato sulle inutili sofferenze che gli animali sono costretti a sopportare senza pregiudicare le libertà religiose.
(1-00580) «Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    la Commissione europea ha comunicato al Parlamento europeo la strategia dell'Unione europea per la protezione e il benessere degli animali 2012-2015 dove viene definito che: «l'articolo 13 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea riconosce gli animali in quanto esseri senzienti e stabilisce che, nella formulazione e nell'attuazione di alcune politiche dell'Unione europea, si tenga pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali»;
    nel 2006 il Programma d'azione comunitario per la protezione ed il benessere degli animali 2006-2010, adottato dalla Commissione europea, ha per la prima volta riunito i vari aspetti della politica dell'Unione europea in materia di benessere degli animali che si applicano ad animali detenuti a fini economici nell'Unione europea e alla popolazione di cani e gatti appartenenti principalmente a privati;
    il benessere degli animali è un tema rilevante per la società e interessa un vasto pubblico. Il trattamento degli animali è collegabile all'etica e rientra nei valori dell'Unione europea. Occorre, quindi, comunicare con i bambini, i giovani o il grande pubblico per sensibilizzarli sulle corrette esigenze e il rispetto degli animali per promuovere il concetto di proprietà responsabile degli animali;
    in questi ultimi anni la circolazione di cani e gatti tra nazioni europee in forma sia di commercio, sia di traffico, sia in forma di adozioni ha raggiunto una dimensione notevole. Inoltre, la legislazione italiana è intervenuta con la legge n. 281 del 1991 sul tema degli animali d'affezione e sul fenomeno del randagismo. La prevenzione del randagismo presenta ancora forti lacune nel numero dei cani identificati in anagrafe e con microchip, inoltre le difficoltà economiche dei comuni impediscono di affrontare in modo radicale questo argomento;
    la valutazione della politica dell'Unione europea in materia di benessere degli animali ha concluso che le norme sul benessere hanno imposto costi aggiuntivi ai settori dell'allevamento e della sperimentazione, stimati a circa il 2 per cento del loro valore complessivo. Benché manchino prove del fatto che finora questo abbia messo a rischio la sostenibilità economica di tali settori, occorre sfruttare ogni occasione di esprimere in termini economici il valore aggiunto della politica in materia di corretta gestione degli animali allo scopo di rafforzare la competitività dell'agricoltura dell'Unione europea, anche per quanto riguarda i piccoli agricoltori. Le norme sulle «buone pratiche» da attuare per ottenere il benessere animale, uguali per tutte le nazioni europee, si scontrano con la diversità dei sistemi di allevamento, delle condizioni climatiche, della natura del suolo nei vari Stati membri. Ciò ha creato notevoli difficoltà all'atto di stabilire norme unitarie e difficoltà ancora maggiori per garantirne la corretta applicazione. Ne consegue che le condizioni inerenti al benessere degli animali nell'Unione europea non creano le condizioni di parità necessarie per sostenere l'enorme attività economica che determina il trattamento degli animali nell'Unione europea;
    la disponibilità di metodi alternativi all'uso di animali per la sperimentazione scientifica dipende fortemente dal progresso della ricerca per lo sviluppo di alternative. I programmi quadro comunitari per la ricerca e lo sviluppo tecnologico hanno previsto stanziamenti crescenti per progetti volti a sostituire, ridurre e perfezionare l'uso di animali nelle procedure,

impegna il Governo:

   a predisporre tutte le misure volte a far sì che l'Unione europea si doti di un quadro normativo riveduto in materia di buone pratiche e benessere degli animali e miri a fornire uno strumento trasparente nei confronti dei consumatori;
   ad assumere iniziative per istituire una rete di centri di riferimento sul benessere animale nei Paesi europei che forniscano informazioni, supporto e sostegno con dati tecnici coerenti, scientificamente supportati e uniformi sulle modalità di attuazione della legislazione dell'Unione europea, soprattutto nel contesto degli indicatori di benessere degli animali basati sui risultati, verificando la piena attuabilità in ogni singolo Stato membro in ordine alle caratteristiche dei sistemi di allevamento, del clima e del suolo;
   a predisporre tutte le misure volte a far sì che le forme di commercio di animali di affezione tra Stati europei siano garantite dalla vigilanza dei servizi veterinari degli Stati membri prima del trasporto e siano a garanzia per tutti gli Stati membri, onde evitare continui blocchi alle frontiere degli animali, assumendo iniziative affinché siano impedite le adozioni internazionali di cani e gatti sia con evidenti segni clinici di malattie sia in buono stato di salute, onde evitare ogni possibile commercio e traffico illegale di animali e la diffusione di zoonosi;
   ad assumere iniziative per introdurre misure volte a far sì che i proprietari di cani che non accompagnino con opportuna sistemazione le cucciolate del proprio animale, contribuendo così ad aumentare il fenomeno del randagismo, debbano contribuire economicamente al sostegno degli enti locali per la lotta al randagismo stesso attraverso il versamento di contributi locali;
   a predisporre un'adeguata strategia di educazione dei ragazzi, dei giovani e dei consumatori che possa costituire uno strumento efficace per creare una cultura di rispetto delle norme sul trattamento degli animali fra gli operatori economici, i singoli proprietari di animali di affezione e fra gli stessi cittadini europei;
   a predisporre tutte le misure volte ad aumentare la competitività nella ricerca e nell'industria dell'Unione europea, nonché a sostituire, ridurre e perfezionare l'uso di animali nelle procedure scientifiche;
   ad intervenire affinché la Commissione europea e gli Stati membri dell'Unione europea contribuiscano con la ricerca e altri mezzi all'elaborazione e alla convalida di approcci alternativi come previsto dalla Direttiva UE 2010/63 del 22 settembre 2010.
(1-00581) «Cova, Sbrollini, Lenzi, Oliverio, Casati, Piccione, Capone, Beni, Zanin, Tentori, Carra».


   La Camera,
   premesso che:
    il polo siderurgico di Terni rappresenta il più grande sito industriale dell'Italia centrale. Vi sono impiegati direttamente circa 2.900 addetti e altrettanti costituiscono l'indotto di riferimento. Dai comuni indicatori statistici si calcola che circa 20.000 persone ne beneficiano in termini di reddito;
    in questo contesto, AST – Acciai Speciali Temi è tra i primi produttori mondiali di laminati piani inossidabili, costituendo da sola una quota sul mercato italiano superiore al 40 per cento;
    il report annuale 2013 di Federacciai conferma che quello in cui opera AST è un settore strategico per l'economia nazionale: in controtendenza rispetto agli altri acciai speciali, la produzione di laminati piani a caldo e a freddo è aumentata del 4,3 per cento rispetto all'anno precedente, passando da 598.300 tonnellate nel 2011 a 624.000 nel 2012;
    nel 2011, la ThyssenKrupp, società proprietaria del sito, ha deciso di uscire dal settore dell'acciaio inossidabile attraverso lo scorporo, avvenuto nell'agosto 2011, dell'area «stainless», e la creazione della nuova società denominata Inoxum che con i suoi 11.000 dipendenti comprendeva tra l'altro: ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni spa le altre imprese del sito integrato, ThyssenKrupp Nirosta, con 5 stabilimenti in Germania per la produzione di una vasta gamma di laminati inox tra cui quelli di Krefeld e Bochum; ThyssenKrupp Merinox, unico produttore messicano di laminati inox; ThyssenKrupp Stainless USA, che produce laminati piani a Calvert in Alabama; ThyssenKrupp VDM, che in Germania produce leghe a base di nichel;
    nel corso del mese di gennaio 2012 il gruppo siderurgico finlandese Outokumpu ha formalizzato l'offerta per l'acquisizione del 70 per cento di Inoxum per un controvalore di circa 2,7 miliardi di euro. Outokumpu ha circa 8.250 dipendenti, in più di 30 Paesi, nei quali è presente in termini sia di impianti produttivi che di centri servizi. Il fatturato nel 2011 è stato pari a 5 miliardi di euro. I centri di ricerca e sviluppo e di assistenza tecnica si trovano ad Avesta, in Svezia e a Tornio in Finlandia;
    l'integrazione di Outokumpu con Inoxum avrebbe portato alla nascita di uno dei leader globali nella produzione di acciaio inossidabile, con un fatturato stimabile nell'ordine di 11,8 miliardi di euro ed oltre 19.000 dipendenti nel mondo, con una copertura del mercato europeo pari al 52 per cento e del 14 per cento di quello mondiale;
    l'integrazione tra le due realtà produttive prevedeva, tra l'altro, la chiusura del sito di tedesco Bochum alla fine del 2015, e la cessazione nel 2013 dell'attività fusoria dello stabilimento di Krefeld che avrebbe continuato la laminazione a freddo dell'acciaio;
    gli stabilimenti di Tornio in Finlandia e Terni, secondo il piano presentato nel mese di aprile 2014 da Outokumpu alle istituzioni ed alle forze sociali, sarebbero stati i punti di riferimento per la produzione del gruppo in Europa;
    a maggio 2012 la Commissione europea ha aperto un'approfondita indagine sull'acquisizione di Inoxum da parte di Outokumpu al fine di verificare se questa operazione avrebbe potuto dare vita al principale produttore europeo di acciaio inox e la riduzione dai previsti 4 a 3 produttori de facto di prodotti piani in acciaio. Outokumpu ha quindi inoltrato alla Commissione europea, il 20 settembre 2012, una proposta alternativa, contenente la vendita degli impianti svedesi di Avesta e di 2 linee di produzione di acciaio inox dell'Ast di Terni, in maniera tale da adeguarsi al processo di verifica antitrust;
    in seguito ai market test effettuati, in data 1o ottobre 2012, la Commissione europea ha comunicato l'esito negativo, ritenendo che tali misure non fossero sufficienti a consentire l'acquisizione di Inoxum. La richiesta dell'organismo di controllo del mercato ha ribadito la necessità che all'interno del perimetro comunitario vi siano almeno 4 produttori di acciaio inox. La commissione ha ritenuto che l'operazione proposta, al contrario, avrebbe invece condotto alla costituzione di 3 poli dell'inossidabile: Aperam, Acerinox e Outokumpu ulteriormente rafforzata. Con l'acquisizione dell'insieme di Inoxum, infatti, Outokumpu avrebbe raggiunto una quota del 52 per cento sul mercato per quanto riguarda la produzione di acciai laminati piani a freddo;
    di fronte alle nuove indicazioni, il 9 ottobre 2012 Outokumpu ha pertanto diramato un comunicato con cui anticipava i contenuti della proposta definitiva alla Commissione europea: cessione degli stabilimenti di Terni ad eccezione del tubificio ed il trasferimento della linea più moderna per la produzione di acciaio lucido, con un potenziale da 130.000 tonnellate, in altro stabilimento del gruppo;
    in seguito all'esito negativo di alcuni tentativi di acquisizione, mai formalizzati, del sito di Terni per mani europee (Aperam) ed italiane, ThyssenKrupp, nel novembre 2013, ha riacquisto, tra le altre, le attività di parte di Inoxum, di AST e delle sue società controllate (SDF, tubificio e Aspasiel). L'operazione si è perfezionata con l'approvazione dell'Unione europea intervenuta in data 13 gennaio 2014;
    in ragione di tale perfezionamento, ThyssenKrupp ha fornito alla Commissione europea un piano di attività sugli investimenti in AST e sugli interventi per migliorarne la redditività, sulla base del quale la Commissione ha ritenuto che l'acquisizione di AST da parte di ThyssenKrupp avrebbe preservato una concorrenza effettiva, mantenendo una quarta forza competitiva nel mercato dello spazio economico europeo dell'inox;
    nei mesi successivi alla riacquisizione, la regione Umbria e le istituzioni locali, insieme alle organizzazioni dei lavoratori, hanno più volte ribadito la necessità di ottenere maggiori e più dettagliate informazioni in merito alla portata e ai fini del passaggio proprietario che ha ricondotto lo stabilimento temano nelle mani di ThyssenKrupp. È stata più volte richiesta alla proprietà, anche per il tramite del Ministero dello sviluppo economico, la formalizzazione del piano industriale per AST, considerando punti irrinunciabili il mantenimento e la valorizzazione dell'attuale perimetro industriale, il mantenimento dei volumi produttivi e dei livelli occupazionali e l'attuazione di un programma di investimenti in coerenza con il piano europeo della siderurgia varato della Commissione europea e ai dettati della stessa emanati al momento dell'esito negativo del passaggio ad Outokumpu;
    il 17 luglio 2014, una delegazione di ThyssenKrupp «Business area material service» e AST si è recata presso la Presidenza del Consiglio dei ministri per incontrare il Sottosegretario Graziano Delrio e le istituzioni locali. In questa sede, e successivamente presso il Ministero alla presenza del Ministro e delle sigle sindacali, ThyssenKrupp ha presentato le linee generali del nuovo piano industriale: articolato in una prospettiva biennale, individuerebbe 5 obiettivi fondamentali da perseguire: incremento di redditività, ottimizzazione della struttura produttiva, ottimizzazione dei costi, razionalizzazione della struttura del gruppo, aggiornamento delle procedure di information technology;
    ThyssenKrupp prevede che tali obiettivi siano raggiunti attraverso: un aumento della produzione del «freddo», che dovrebbe passare dalle 411.000 tonnellate del 2013, a 540.000 tonnellate all'anno; una diminuzione della produzione del caldo fino a portarla a 350.000 tonnellate all'anno; il mantenimento della produzione di forgiati alle attuali 25.000 tonnellate all'anno, l'incremento della produzione di tubi da 65.000 a 80.000 tonnellate all'anno, un diverso e nuovo approccio commerciale, direttamente attraverso la struttura di ThyssenKrupp;
    il piano presentato ipotizza, entro l'anno fiscale 2015-2016, la chiusura di uno degli attuali 2 forni elettrici al fine di incrementare la capacità produttiva del rimanente anche attraverso un investimento sul trasformatore. Altri elementi del piano sono: riduzione dei livelli occupazionali del personale diretto di circa 550 unità; rinegoziazione degli appalti e delle modalità e costi di approvvigionamento delle materie prime; rinegoziazione dei contratti del personale, con una complessiva diminuzione del 10 per cento del costo rispetto ai livelli contrattuali attuali; interventi sui costi dell'energia, migliorando o in ogni caso mantenendo, quindi prorogando oltre il 2016, le attuali condizioni di favore in termini di costo dell'energia; riportare nell'unico soggetto giuridico le società del gruppo (Aspasiel, tubificio e società delle fucine) e conseguente riduzione del costo del lavoro riguardante la contrattazione di secondo livello;
    il piano presentato da ThyssenKrupp per AST, se applicato così come formulato, implicherebbe costi sociali ed industriali elevatissimi, in termini di impatto sia sull'occupazione diretta delle imprese del gruppo sia sulla riduzione dei volumi di produzione, sulle attività e sulle imprese dell'indotto;
    lo stesso piano non assicura il rafforzamento della posizione competitiva di AST e delle aziende del gruppo tenuto conto che dei complessivi 20 milioni di euro di ipotetici investimenti, quelli di cui si può avere ragionevole certezza, allo stato attuale ammonterebbero tra i 2 e 5 milioni di euro;
    nelle scelte del piano, l'auspicato recupero di redditività di AST, a fronte delle consistenti perdite maturate negli ultimi 5 anni, dovrebbe essere conseguito agendo essenzialmente sul costo del lavoro tramite la riduzione della occupazione e dei contratti per l'azienda e ciò nonostante il costo del lavoro rappresenti una componente che incide per circa il 5-6 per cento sul fatturato di AST che supera annualmente i 2 miliardi di euro;
    già nell'ottobre 2013, è stato raggiunto tra sindacati ed AST un accordo sia per il ricorso alla mobilità volontaria per 130 lavoratori rientranti nei requisiti pensionistici previsti prima della piena entrata in vigore della riforma Fornero di cui al decreto-legge n. 201 del 2001, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, e tale accordo ha determinato, con la piena disponibilità delle organizzazioni sindacali, una riduzione di costi delle attività di AST pari a 27 milioni di euro;
    il piano non prevede investimenti tecnologici adeguati al mantenimento di livelli di competitività necessari a preservare il potenziale produttivo dello stabilimento dai fisiologici fenomeni di obsolescenza tecnica, e parimenti non si riscontrano investimenti in ricerca e sviluppo in grado di differenziare le produzioni aziendali, puntare su nuove combinazioni di prodotto, acquisire nuovi mercati in considerazione dei forti livelli di sovra capacità produttiva esistenti a livello globale ed in particolare nei Paesi dell'Unione europea;
    il piano, nel suo insieme, si configura come un processo di esclusiva ristrutturazione organizzativa e ricerca dell'equilibrio economico, non prospettando alcuna strategia di sviluppo industriale coerente con il ruolo riconosciuto anche dalla Commissione europea ad AST ed alle imprese del polo siderurgico ternano;
    lo stesso profilo temporale del piano evidenzia una strategia di interventi finalizzati ad una dismissione del sito nel breve medio periodo e a una permanente riduzione della capacità e del potenziale produttivo di AST;
    l'inaccettabile condotta della proprietà in questa fase cruciale per il futuro dell'industria siderurgica ternana, confermata, dopo la presentazione del business plan, dal disconoscimento degli accordi con le organizzazioni sindacali sulla gestione della cassa integrazione guadagni ordinaria e da un vistoso incremento del piano di fermo estivo degli impianti, manifesta in modo evidente secondo i firmatari del presente atto di indirizzo elementi di incompatibilità con i principi di responsabilità sociale dell'impresa e con gli stessi interessi generali e collettivi;
    i contenuti e gli obiettivi del piano, inoltre, si pongono in palese contraddizione con le decisioni e gli indirizzi della Commissione europea in ordine alla garanzia di un mercato europeo concorrenziale grazie alla presenza di un quarto operatore oltre ai già presenti Outokumpu, Aperam e Acerinox;
    il vicepresidente della Commissione europea e commissario responsabile per la concorrenza, Joaquin Almunia, ha dichiarato in esito all'approvazione del riacquisto di alcuni degli asset di Outokumpu da parte di ThyssenKrupp: «La nostra priorità era garantire che, nonostante le difficili condizioni di mercato, le acciaierie di Terni trovassero il più rapidamente possibile un acquirente idoneo, proteggendo nel contempo la loro redditività. ThyssenKrupp ha assicurato che svilupperà AST come concorrente forte e credibile di Outokumpu e di altri operatori del mercato». Tuttavia, la posizione del commissario Almunia relativa al frazionamento del mercato comunitario e alla sua suddivisione tra 4 operatori appare problematica anche alla luce del potenziale di sviluppo dell'industria europea;
    la prospettiva del depotenziamento di AST, a seguito dei richiamati passaggi di proprietà, rischia di concretizzarsi in una transazione con mere finalità liquidatorie;
    il piano, così come formulato, rispetto ad una visione di equilibrio sul piano continentale, rischia di spostare l'asse produttivo di un settore strategico come quello degli acciai speciali e dei prodotti laminati verso Paesi del nord della Unione europea, in palese contraddizione con le prospettive delineate, a suo tempo, dal piano di Outokumpu. Di fatto, si rischia di indebolire il sistema produttivo e il potenziale di sviluppo del settore dell'acciaio in un Paese chiave nell'Unione europea in un'area come quella del Mediterraneo alla prese con gravissimi problemi economici;
    la Commissione europea dovrebbe poter riassumere in sé non solo il ruolo di garante della concorrenza in termini formali, ma anche l'esercizio attivo di un potere di controllo ed indirizzo economico tale da contemperare il complesso degli interessi in gioco secondo un approccio integrato con le questioni legate allo sviluppo ed alla competitività dei territori;
    l'esito delle valutazioni sul piano industriale è comune e condivisa, sia da parte delle istituzioni locali e regionale sia dal Governo, che ha invitato ThyssenKrupp a considerare l'opportunità di rivederne i contenuti. Identiche valutazioni e giudizi sono stati espressi anche dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori nazionali, della Acciai speciali Terni e delle aziende costituenti il polo siderurgico;
    il piano viene meno agli impegni che la Commissione europea ha formalizzato e richiesto a ThyssenKrupp al momento della sua riacquisizione della proprietà di AST e non può, quindi, rappresentare una seria e credibile base di discussione;
    della situazione AST il Governo nazionale tornerà ad occuparsi con l'incontro convocato presso il Ministero dello sviluppo economico per il 4 settembre;
    l'area ternana nel suo insieme è un distretto produttivo con caratteristiche peculiari e strategiche, vista l'integrazione del polo siderurgico e quello chimico e meccanico, costituito da grandissimi complessi industriali colpiti dal declino del mercato tradizionale di appartenenza, che necessita di strumenti specifici, in coerenza con la legislazione vigente, di sostegno alla sua reindustralizzazione;
    in tale contesto, AST rappresenta una componente imprescindibile della matrice produttiva dell'Umbria e dell'intero Paese oltre a tratto costituente ed essenziale del capitale sociale e territoriale di Temi e dell'intera regione e perciò è necessario che AST possa contare su prospettive di recupero credibili in termini di redditività e di generazione di valore, in una fase di dura crisi economica: è quindi fondamentale costituire strumenti di politica industriale ad hoc a partire da quelli volti al sostegno delle produzioni di base, ed in particolare quelle della siderurgia e degli acciai inossidabili;
    la strategia di politica industriale nazionale nei comparti manifatturieri primari deve essere iscritta nell'alveo del piano d'azione per una siderurgia europea competitiva e sostenibile oggetto di comunicazione dell'11 giugno 2013 della Commissione europea al Parlamento europeo, al Consiglio, al comitato economico e sociale europeo ed al comitato delle regioni;
    il turno di presidenza italiana del semestre europeo può rappresentare un'importante opportunità per ridare slancio alla crescita, sostegno agli investimenti produttivi ed a questo fine confermare la centralità delle politiche per lo sviluppo dell'industria e della manifattura europea,

impegna il Governo:

   a costituire una «cabina di regia» presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, con la partecipazione delle parti interessate e delle istituzioni coinvolte, per affrontare in maniera condivisa le questioni di strategia legate in particolare:
    alla riconsiderazione del piano ed alla sua contestualizzazione rispetto alla prospettiva industriale del polo siderurgico di Terni rispetto ad un orizzonte che vada oltre lo scenario del piano di ristrutturazione presentato;
    alla relazione con la Commissione europea sui temi dell'equilibrio concorrenziale sul mercato europeo e sulle politiche per l'acciaio e la siderurgia;
    al sistema di relazioni con il complesso degli stakeholder;
    agli spazi che possono essere individuati per un percorso di supporto nazionale allo sviluppo e alla continuità operativa di un'infrastruttura industriale essenziale come quella rappresentata dagli impianti siderurgici di Terni;
   a promuovere presso l'Unione europea ogni utile iniziativa al fine di richiamare in modo puntuale e cogente il valore strategico che AST ricopre per l'economia nazionale, sollecitando un impegno a valutare positivamente l'integrità del polo siderurgico ternano in coerenza e nel rispetto delle pronunce e delle decisioni formali della Commissione europea;
   a richiamare ThyssenKrupp al rispetto degli impegni su investimenti, competitività e concorrenza, che la Commissione europea ha formalmente richiesto al momento del perfezionamento dell'operazione di riacquisizione di AST;
   ad adottare ed attivare ogni utile iniziativa finalizzata a promuovere la redazione di un nuovo industriale che preveda:
    a) condizioni di competitività e sostenibilità delle produzioni del polo siderurgico di Terni in una prospettiva di valorizzazione del patrimonio di competenze produttive proprie dell'area ternana e di sviluppo dei fattori di integrazione del sito AST;
    b) la predisposizione di investimento idonei a preservare i livelli tecnologici degli impianti e delle produzioni del sito;
    c) il mantenimento dei livelli occupazionali e di sicurezza dei lavoratori, sia nelle imprese del perimetro del polo siderurgico che in quelle dell'indotto;
    d) il raggiungimento di un più elevato livello di compatibilità ambientale, nel rispetto del piano della siderurgia europea;
   ad attivare specifici interventi, coerenti con la legislazione vigente, di sostegno alla reindustrializzazione dell'area ternana, che nel suo insieme rappresenta un'area produttiva con caratteristiche peculiari e strategiche, considerata la concomitante presenza del polo siderurgico e di quello chimico e meccanico;
   a prevedere il coinvolgimento della Cassa depositi e prestiti e l'utilizzo del Fondo strategico italiano, per favorire il rilancio e lo sviluppo del sito integrato di Terni ed il mantenimento degli attuali livelli occupazionali.
(1-00582) «Sereni, Speranza, Epifani, Damiano, Benamati, Nicchi, Ascani, Giulietti, Verini, Beni, Boccadutri, Borghi, Braga, Casati, Causi, Cimbro, Civati, D'Incecco, Fassina, Ghizzoni, Giuliani, Manfredi, Manzi, Marchi, Mauri, Mazzoli, Minnucci, Mura, Palma, Pastorelli, Ribaudo, Senaldi, Sgambato, Terrosi, Venittelli».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, noto anche con l'acronimo UNAR, è stato istituito con il decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215 e opera presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, nell'ambito del dipartimento per le pari opportunità;
   secondo quanto si apprende dal sito del dipartimento da cui dipende nella sezione «Compiti e servizi» dell'UNAR, tale ufficio avrebbe la funzione di «garantire, in piena autonomia di giudizio e in condizioni di imparzialità» l'effettività del principio di parità di trattamento fra le persone, di vigilare sull'operatività degli strumenti di tutela vigenti contro le discriminazioni e di contribuire a rimuovere le discriminazioni fondate sulla razza e l'origine etnica analizzando il diverso impatto che le stesse hanno sul genere e il loro rapporto con le altre forme di razzismo di carattere culturale e religioso ai sensi dell'articolo 7, comma 2, del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215 e del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 dicembre 2003»;
   sempre da tale sito ufficiale si apprende che «secondo quanto previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 dicembre 2003, inerente la costituzione e l'organizzazione interna dell'UNAR, l'Ufficio per l'attuazione dei propri compiti si avvale di un contingente composto da personale appartenente ai ruoli della Presidenza del Consiglio e di altre amministrazioni pubbliche, nonché di esperti anche estranei alla pubblica amministrazione, dotati di elevata professionalità nelle materie giuridiche, nonché nei settori della lotta alle discriminazioni, dell'assistenza materiale e psicologica ai soggetti in condizioni disagiate, del recupero sociale, dei servizi di pubblica utilità, della comunicazione sociale e dell'analisi delle politiche pubbliche»;
   dal sito di cui sopra non è dato sapere precisamente e complessivamente chi lavora o collabora nell'ambito dell'Unar, stante per alcune figure professionali previste dall'organigramma indicata solo la dicitura «in attesa di nomina» e a quanto consta agli interpellanti, per i numerosi contratti co.co.co. con cui sono stati conferiti in carichi professionali a vario titolo;
   solo a titolo esemplificativo, tra i bandi pubblicati sul sito dell'UNAR vi è «Unar, indagine di mercato per la realizzazione di un servizio di acquisizione di dati informativi e statistici aggiornati sullo stato dell'immigrazione» in Italia, che non è chiaro come possa rientrare nelle finalità dell'ufficio di cui sopra essendo più competenza del Ministero dell'interno;
   non si tratta della prima volta che l'Unar si occupa e finanzia con soldi pubblici iniziative che vanno oltre e al di là delle sue competenze: è ben nota infatti la recente vicenda della diffusione nelle scuole, anche elementari, degli opuscoli «Educare alla diversità a scuola», realizzati dall'Istituto A. T. Beck su mandato dell'Unar, che aveva provocato la forte reazione delle associazioni dei genitori ma anche, successivamente, del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che ne ha bloccato la diffusione perché mai informato dell'iniziativa –:
   quale sia il «personale appartenente ai ruoli della Presidenza del Consiglio e di altre amministrazioni pubbliche, nonché (...) esperti anche estranei alla pubblica amministrazione» che lavora e collabora a qualunque titolo con UNAR, con indicazione del nome, qualifica, tipologia del contratto, compenso e professionalità per ciascuno;
   quali siano stati i costi complessivi, negli anni dal 2011 ad oggi, per le iniziative, le pubblicazioni, i bandi, il personale e i consulenti dell'Unar;
   se il Governo ritenga appropriato l'utilizzo da parte di UNAR dei fondi assegnati per le sue specifiche finalità per la pubblicazione degli opuscoli citati in premessa;
   se non ritenga opportuno, ai fini di una politica di contenimento dei costi e di razionalizzazione delle risorse, anziché operare tagli al compatto sicurezza disporre la chiusura dell'Unar.
(2-00661) «Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini, Simonetti».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   il 28 marzo 2014 entrava in vigore il decreto legislativo 4 marzo 2014 n. 24 di recepimento della direttiva 2011/36/UE relativa alla prevenzione e alla repressione della tratta di esseri umani e alla protezione delle vittime;
   la direttiva europea andava così a sostituire la precedente decisione quadro del Consiglio europeo 2002/629/GAI, andando a stabilire norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni nell'ambito della tratta di esseri umani, e a introdurre disposizioni comuni per i vari Stati membri dell'Unione europea con il chiaro obiettivo di rafforzare la prevenzione e la repressione di tale reato nonché la tutela delle vittime;
   il tema della tratta degli esseri umani è andato acquisendo, nel corso dei decenni, un sempre più ampio e complessivo significato non più limitato esclusivamente al mero traffico di esseri umani ma ora più ampliamente comprensivo di concetti quali la schiavitù, quindi lo sfruttamento e l'uso di mezzi coercitivi, in un sistema internazionale e transnazionale di vero e proprio sodalizio criminale. In quest'ottica va quindi letto e interpretato lo sforzo dell'Unione europea e l'impegno al quale ciascuno stato membro è chiamato;
   nel percorso di esame e discussione in Parlamento per l'espressione del parere sullo schema di decreto legislativo 4 marzo 2014 n. 24, si sono registrate numerose critiche – per lo più costruttive e propositive – da parte di diverse realtà associative e di organizzazioni del settore che hanno rivolto al Governo importanti rilievi e proposte di miglioramento in particolare da parte dell'ASGI (Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione), soprattutto in coerenza con il dettato europeo, del provvedimento. Nonostante ciò il testo licenziato continua a presentare lacune e debolezze che la medesima Associazione ha invitato a colmare attraverso precisi riferimenti nel previsto «Piano nazionale d'azione contro la tratta e il grave sfruttamento degli esseri umani» e nel «programma unico di emersione, assistenza e integrazione sociale»;
   come previsto dall'articolo 9 del decreto legislativo n. 24 del 2014 il Piano nazionale antitratta viene adottato con «delibera del Consiglio dei ministri e del Ministro dell'interno [...] sentiti gli altri Ministri interessati. [...] Il Piano è adottato entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione» ovvero a partire dal 28 marzo 2014 entro il 28 giugno 2014;
   al pari, sulla scorta delle linee individuate nel predetto Piano, il provvedimento prevede all'articolo 8 l'applicazione di «un programma unico di emersione, assistenza e integrazione sociale che garantisce, in via transitoria, adeguate condizioni di alloggio, di vitto e di assistenza sanitaria, [...] e, successivamente, la prosecuzione dell'assistenza e dell'integrazione sociale [...]. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell'interno, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro della salute, da adottarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione [...]» ovvero entro il prossimo 28 settembre 2014 –:
   se il Piano nazionale antitratta, di cui al citato articolo 9, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2014 n. 24, sia stato adottato e con quali previsioni, anche alla luce delle particolari condizioni emergenziali e drammatiche, delle quali si è testimoni da mesi nel bacino mediterraneo e nelle rotte dalle coste africane a quelle nostrane;
   se, in vista dell'imminente scadenza dei termini per l'adozione del programma unico, di cui al citato articolo 8, comma 1 del medesimo decreto legislativo, il Governo stia provvedendo alla stesura e alla programmazione del documento anche in considerazione della necessità di far fronte alle crescenti esigenze, determinate anche dalle crisi internazionali in atto nei Paesi del bacino mediterraneo.
(2-00662) «Dadone, Di Vita, Cozzolino, Silvia Giordano, Toninelli, Baroni, Dieni, Cecconi, Fraccaro, Dall'Osso, Lombardi, Grillo, Nuti, Lorefice, D'Ambrosio, Mantero, Manlio Di Stefano, Di Battista, Sibilia, Del Grosso, Grande, Spadoni, Scagliusi, Rizzo, Artini, Paolo Bernini, Basilio, Corda, Frusone, Tofalo, Colonnese».


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, per sapere – premesso che:
   l'articolo 2, comma 11, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, recante «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni» ha integralmente sostituito, a decorrere dal 1o gennaio 2014, l'articolo 60, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che, nella precedente formulazione, prevedeva che gli enti pubblici economici e le aziende che producono servizi di pubblica utilità, nonché gli enti e le aziende di cui all'articolo 70, comma 4, sono tenuti a comunicare alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica – e al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, il costo annuo del personale comunque utilizzato, in conformità alle procedure definite dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   il decreto-legge n. 101 del 2013 amplia, in primo luogo, l'ambito soggettivo di riferimento del suddetto articolo 60, estendendo la platea dei soggetti tenuti al rispetto dell'obbligo di comunicazione an- che alle società non quotate, partecipate direttamente o indirettamente, a qualunque titolo, dalle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, diverse da quelle emittenti strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati e dalle società dalle stesse controllate, e dalla società concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo;
   detto intervento opera, inoltre, sul contenuto informativo dell'obbligo stesso, in particolare per la Rai, società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, andando a specificare che il costo annuo del personale comunque utilizzato ed oggetto della comunicazione deve ritenersi riferito ai singoli rapporti di lavoro dipendente o autonomo; in virtù di tale disposizione, pertanto, anche la Rai è tenuta a comunicare alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica – e al Ministero dell'economia e delle finanze il costo annuo del personale comunque utilizzato, con riferimento ai singoli rapporti di lavoro dipendente o autonomo, in conformità a specifiche procedure definite d'intesa con i predetti dicasteri;
   il sottoscritto interpellante ha già depositato, in relazione all'applicazione delle disposizioni sopra richiamate, quattro interpellanze urgenti, ricevendo risposte, da parte del Governo, assolutamente insoddisfacenti: si tratta dell'interpellanza urgente 2-00353 discussa il 10 gennaio, dell'interpellanza urgente 2-00400 discussa il 13 febbraio scorso, dell'interpellanza urgente 2-00434 discussa il 7 marzo scorso e infine, dell'interpellanza urgente 2-00486 discussa il 4 aprile scorso;
   il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri pro tempore Giovanni Legnini, nel rispondere alla prima interpellanza sul tema della trasparenza ha dichiarato: «la disciplina normativa che è stata puntualmente richiamata sarà attuata, come è doveroso fare, entro i tempi tecnici strettamente necessari e con le procedure che sono state richiamate»;
   nel rispondere all'interpellanza urgente 2-00400 il 13 febbraio scorso, il sottosegretario all'economia pro tempore Luigi Casero ha sostenuto che «il Ministero dell'economia e delle finanze, congiuntamente al Dipartimento della funzione pubblica, in attuazione delle disposizioni citate, ha provveduto a richiedere alla RAI la trasmissione dei dati previsti nei tempi più brevi consentiti, e comunque non oltre il 31 marzo 2014»; in tal modo il Governo ha definito un termine del tutto arbitrario, non previsto per legge;
   in risposta all'ultima interpellanza presentata sul tema, nel corso della seduta dell'assemblea della Camera dei deputati del 4 aprile scorso, il sottosegretario di Stato per la difesa Gioacchino Alfano, ha dichiarato che «con nota del 27 marzo 2014 indirizzata al Ministero dell'economia e delle finanze e alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica, la RAI SpA ha trasmesso le informazioni richieste secondo le procedure già definite, delle quali si è riferito in occasione dello svolgimento dei precedenti atti di sindacato ispettivo. Pertanto, si ritiene che la RAI SpA, abbia ottemperato agli obblighi di legge prescritti dal comma 3, dell'articolo 60 del decreto legislativo n. 165 del 2001 come sostituito dall'articolo 2, comma 11, del decreto-legge n. 101 del 2013, convertito, con modificazioni, nella legge 30 ottobre 2013, n. 125, inerente il monitoraggio del costo del lavoro»;
   a parere del sottoscritto interpellante, a fronte dell'invio dei dati da parte della Rai, il Governo risulta ancora oggi inadempiente, poiché non ha provveduto a chiarire l'utilizzo dei dati comunicati dalla Rai né le eventuali modalità di pubblicazione degli stessi, non avendo, in tal modo dato piena ed integrale attuazione alle disposizioni di legge contenute nel citato decreto razionalizzazione pubblica amministrazione;
   il 7 maggio scorso la Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei sistemi radiotelevisivi ha approvato il parere di propria competenza previsto per il Contratto di servizio 2013-2015 tra la Rai e il Ministero dello sviluppo economico. Tra le disposizioni contenute, all'articolo 18, comma 7, del Contratto di servizio si prevede che «la Rai pubblica nel rispetto (...) della legge n. 125 del 2013 (per la razionalizzazione della pubblica amministrazione) le informazioni sui curricula e i compensi lordi percepiti dai dirigenti, dal collaboratori e dai consulenti, così come definite dal Ministero dell'economia e delle finanze d'intesa con il Dipartimento della funzione pubblica, nonché informazioni, anche tramite il mezzo televisivo e radiofonico, sui costi della programmazione di servizio pubblico»;
   il parere approvato dalla Commissione di vigilanza Rai in tema di total disclosure è molto puntuale e prevede non solo un riferimento al cosiddetto decreto razionalizzazione pubblica amministrazione sopra richiamato, ma anche l'obbligo per la Rai di pubblicare i curriculum vitae dei dipendenti e i loro stipendi lordi;
   il 2 luglio 2014, in sede di audizione in Commissione di vigilanza Rai, il Sottosegretario di Stato con delega alle telecomunicazioni, Antonello Giacomelli, in risposta ad una domanda dell'onorevole Roberto Fico, circa l’iter di attuazione delle norme in materia di trasparenza dei compensi Rai ha affermato: «credo che su questo il Governo non abbia difficoltà, nel caso, a intervenire con una sollecitazione a Rai per ottemperare agli obblighi di legge»; la dichiarazione del Sottosegretario Giacomelli risulta in evidente contrasto con quanto affermato dal Sottosegretario Gioacchino Alfano il 4 aprile 2014, secondo il quale la Rai, avrebbe già ottemperato agli obblighi previsti da legge 30 ottobre 2013 n. 125, in tema di trasparenza dei compensi;
   nell'ultimo anno gli stipendi erogati dalla RAI non sono stati solo oggetto di nuove norme in materia di trasparenza; un'ulteriore recente normativa, introdotta con il decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 del 2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 89 del 2014, ha posto infatti un nuovo limite massimo per il trattamento economico annuo onnicomprensivo per i pubblici dipendenti e per il personale della società partecipate, quantificato in 240.000 euro (al lordo dei contributi previdenziali ed assistenziali e degli oneri fiscali a carico del dipendente), a decorrere dal 1o maggio 2014;
   siffatta previsione subentra a quanto già previsto dagli articoli 23-bis e 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214;
   l'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011 prescriveva infatti un parametro massimo retributivo, individuato nel trattamento economico del Primo presidente della Corte di cassazione. Esso diveniva, secondo la disposizione del 2011, indice di riferimento per la definizione del trattamento economico di chiunque ricevesse, a carico delle finanze pubbliche, emolumenti o retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali, compreso il cosiddetto personale non contrattualizzato. Successivamente, la legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità 2014) aveva esteso l'applicazione dell'articolo 23-ter a tutte le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 (inclusi i componenti degli organi di amministrazione, direzione e controllo);
   si tratta quindi di una «riduzione» a 240.000 euro, perché il tetto commisurato al trattamento del Primo presidente della Corte di cassazione (che non è, di per sé, un indice fisso, perché la retribuzione del singolo magistrato che rivesta la carica è determinata da fattori individuali di anzianità di carriera, e vi è insito l'automatico adeguamento alla retribuzione percepita nel corso degli anni; talché la determinazione puntuale spetta a decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, secondo la norma del 2011) era stato quantificato in 293.658,95 euro dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 marzo 2013, mentre, secondo comunicazione della Funzione pubblica del 3 febbraio 2014, la retribuzione-soglia per il 2014 ammonterebbe a 311.658,53 euro;
   l'articolo 13 del decreto-legge n. 66 del 2014 prevede inoltre che il nuovo «tetto» di 240.000 si applichi altresì ai compensi per gli amministratori e per i dipendenti delle società controllate dalle pubbliche amministrazioni, e, quindi, alla concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   per tali soggetti, l'articolo 23-bis del citato decreto-legge n. 201 del 2011 prevedeva invero un «tetto» differenziato per fasce (sulla base di indicatori dimensionali quantitativi e qualitativi) delle società (non quotate). Il successivo decreto ministeriale 23 dicembre 2013, n. 166 («Regolamento relativo ai compensi per gli amministratori con deleghe delle società controllate dal Ministero dell'economia e delle finanze») aveva individuato tre fasce (sulla scorta di un triplice criterio: valore della produzione; investimenti; numero dei dipendenti), modulando il «tetto» come pari al 100 per cento del trattamento economico del Primo Presidente della Corte di cassazione vigente, per le società non quotate di prima fascia; all'80 per cento, per le società di seconda fascia; al 50 per cento, per le società di terza fascia;
   le previsioni di cui all'articolo 13 del decreto-legge n. 66 del 2014 non incidono invece direttamente sulle retribuzioni percepite dai dipendenti degli organi costituzionali, per i quali si applica il regime di autodichia. La giurisdizione sui dipendenti viene quindi esercitata da tali organi in via esclusiva e sulla base di un regolamento interno;
   il medesimo decreto-legge n. 66 del 2014, all'articolo 17, ha comunque disposto un taglio per il 2014 di 50 milioni di euro complessivi per Quirinale, Senato, Camera e Corte costituzionale, di 5,3 milioni per Corte dei conti, Consiglio di Stato, Tar e Csm (ripartite tra i vari soggetti in misura proporzionale al rispettivo onere a carico della finanza pubblica per l'anno 2013) e di ulteriori 18,24 milioni al Cnel;
   lo stesso Presidente del Consiglio, in diverse dichiarazioni, ha più volte auspicato che «gli organi costituzionali accettino il taglio al tetto degli stipendi con la comparazione al salario del Presidente della Repubblica» –:
   quali misure di propria competenza intendano assumere i ministri in indirizzo al fine di rendere integralmente esecutive le disposizioni di cui all'articolo 2, comma 11, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, recante «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni», al fine di chiarire l'utilizzo dei dati che sarebbero stati trasmessi dalla Rai e sarebbero in possesso del Governo, anche in considerazione delle disposizioni contenute, in tema di trasparenza dei curricula e dei compensi, nel contratto di servizio 2013-2015, il cui parere è stato approvato dalla Commissione di vigilanza Rai;
   quale sia lo stato di attuazione, nelle amministrazioni pubbliche e nelle società partecipate, delle disposizioni di cui all'articolo 13 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 89 del 2014, che ha posto un nuovo limite massimo per il trattamento economico annuo onnicomprensivo per i pubblici dipendenti e per il personale della società partecipate;
   in particolare, se la società RAI abbia provveduto all'adeguamento delle retribuzioni sulla base del nuovo limite dei 240.000 euro annui, e se risulti come gli organi costituzionali, pur nel rispetto della propria autonomia, abbiano rivisto le loro retribuzioni, come del resto lo stesso Presidente del Consiglio aveva più volte auspicato.
(2-00663) «Brunetta».

Interrogazione a risposta scritta:


   SPADONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 1o agosto 2014 è entrata in vigore la Convenzione del Consiglio d'Europa (Coe) sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e contro la violenza domestica, approvata nel 2011 a Istanbul, firmata da 32 Paesi e ratificata da 13;
   tale accordo costituisce un importante strumento internazionale giuridicamente vincolante per gli Stati per affrontare il fenomeno della violenza di genere nelle sue molteplici forme, con chiare strategie riassunte nelle 3 P: prevenzione, protezione, punizione;
   la recente legge 15 ottobre 2013, n. 119, arricchisce il codice di nuove aggravanti e amplia le misure a tutela delle vittime di maltrattamenti e violenza domestica;
   nella stessa legge ai sensi dell'articolo 5, si prevede l'elaborazione di un Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere con vari obiettivi, tra cui quello di: prevenire il fenomeno della violenza contro le donne attraverso l'informazione e la sensibilizzazione della collettività; sensibilizzare gli operatori dei settori dei media per la realizzazione di una comunicazione e informazione, anche commerciale, rispettosa della rappresentazione di genere e, in particolare, della figura femminile; promuovere un'adeguata formazione del personale della scuola alla relazione e contro la violenza e la discriminazione di genere; potenziare le forme di assistenza e di sostegno alle donne vittime di violenza e ai loro figli; garantire la formazione di tutte le professionalità che entrano in contatto con fatti di violenza di genere o di stalking; accrescere la protezione delle vittime; promuovere lo sviluppo e l'attivazione di azioni basate su metodologie consolidate di recupero e di accompagnamento dei soggetti responsabili di atti di violenza nelle relazioni affettive;
   sono stati stanziati per gli anni 2013/2014 un totale di 16.449.385,00 euro di cui: 5.428.297,05 euro accantonati e destinati alle regioni per futuri progetti; 1.102.108,80 euro per centri antiviolenza; 1.102.108,80 euro per case rifugio; 8.816.870,35 euro per il Fondo Nazionale per le politiche sociali (FNPS);
   il Fondo nazionale per le politiche sociali (FNPS) è lo strumento con cui, a livello statale, vengono finanziati annualmente, attraverso la tabella C della legge di stabilità, gran parte degli interventi dedicati alla sfera del sociale;
   il Fondo, istituito nel 1998 dall'articolo 59, comma 44, della legge n. 449 del 1997, è stato maggiormente definito e rafforzato dalla legge n. 328 del 2000 che ha ripartito annualmente le risorse tra le regioni, le province autonome, i comuni e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   le risorse contenute nel FNPS finanziano due aree d'intervento: da una parte trasferimenti economici alle persone e famiglie che vengono gestiti attraverso l'INPS; dall'altra contribuiscono a finanziare la rete integrata di servizi sociali territoriali. Questa parte viene ripartita tra le regioni che, a loro volta ed in base alle proprie normative e programmazioni sociali, attribuiscono le risorse ai comuni. Sono questi ultimi gli enti responsabili dell'erogazione dei servizi ai cittadini organizzati e programmati all'interno dei Piani sociali di zona, dentro i quali più comuni possono associarsi per una gestione integrata dei propri servizi;
   la sua natura è quella di fondo indistinto, ossia le risorse del Fondo non possono essere vincolate ad una specifica destinazione e quindi non possono esser volte al finanziamento di determinati interventi o settori particolari individuati al livello nazionale nell'ambito delle politiche sociali. In altri termini, all'amministrazione centrale non spetta il compito di indirizzare ex ante l'uso delle risorse, ma solo di monitorarne ex post il corretto utilizzo;
   dai monitoraggi effettuati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali si rileva che le risorse sono destinate prevalentemente a finanziare interventi e servizi rientranti nelle aree «Famiglia e minori», «Disabili» (26,6 per cento), «Anziani» (22,1 per cento), contrasto alla povertà, immigrati e ad utenti con problemi di dipendenza –:
   quale sia il motivo per il quale è stata destinata al Fondo nazionale per le politiche sociali (FNPS) parte rilevante (8.816.870,35 euro) delle risorse assegnate al Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità per gli anni 2013 e 2014, in seguito alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano del 17 luglio 2014;
   in che modo il Governo potrà verificare che le regioni effettivamente utilizzeranno tali risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità, con particolare riferimento al settore della violenza di genere. (4-05913)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROSTELLATO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia oggi è rappresentata nel mondo attraverso una rete diplomatica (peraltro ancora modellata sull'impianto di mezzo secolo fa) di 319 uffici tra ambasciate, rappresentanze permanenti presso le organizzazioni internazionali, delegazioni diplomatiche speciali, uffici consolari e istituti italiani di cultura, che svolgono un ruolo importante per la cooperazione politica, la promozione delle relazioni economiche, la cooperazione allo sviluppo, la cooperazione culturale e scientifica e i servizi ai cittadini italiani in mobilità e ai cittadini residenti all'estero;
   l'intero sistema diplomatico-consolare e degli istituti di cultura rappresenta una risorsa preziosa per la protezione e la proiezione globale dei nostri interessi politici, economici, culturali e linguistici, che deve essere rafforzata e potenziata nelle aree geografiche strategicamente più rilevanti;
   le nostre rappresentanze diplomatico-consolari hanno il compito di assicurare la tutela degli interessi italiani fuori dai confini nazionali ed offrono diversi servizi. I servizi offerti devono essere forniti secondo principi di eguaglianza, imparzialità, efficienza e trasparenza, avendo come obiettivo la tutela dei cittadini italiani rispetto ai diritti fondamentali ed alla libertà personale;
   la tutela riguarda, ad esempio, i casi di decesso, incidente, malattia grave, arresto o detenzione, atti di violenza, assistenza in caso di crisi gravi (catastrofi naturali, disordini civili, conflitti armati, eccetera), rilascio di documenti di viaggio d'emergenza causa perdita o furto del passaporto;
   il decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante «Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo», convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, all'articolo 1, ha individuato per la prima volta l'elaborazione di un programma per la riorganizzazione della rete consolare e diplomatica come passo necessario per il raggiungimento dell'obiettivo di razionalizzazione della spesa pubblica e di superamento del criterio della spesa storica;
   la situazione economica attuale ha determinato, in seguito, necessarie riduzioni della spesa, come richiesto dalla Commissione incaricata della spending review e come previsto, in linea con i precedenti provvedimenti, dal decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, che, all'articolo 2 comma 5, ha imposto al Ministero degli affari esteri obblighi più stringenti al fine di realizzare l'ammodernamento della rete diplomatico-consolare, in particolare richiedendo una riduzione del 20 per cento del personale diplomatico e dirigenziale e il 10 per cento del restante personale di ruolo, appartenente alle aree funzionali;
   i tagli operati negli anni sul bilancio complessivo del Ministero hanno prodotto un impoverimento del ruolo e dei servizi offerti dalle strutture estere, quando non addirittura lo smantellamento e la chiusura delle sedi consolari, che rappresentano strumenti essenziali ai fini della proiezione internazionale del nostro Paese e della tutela dei concittadini all'estero;
   uno fra questi è il servizio consolare nella città di Manchester, chiuso ufficialmente il 31 luglio 2014;
   si tratta di uno sportello consolare, dipendente dal consolato generale di Londra che serve una area vasta come il Nord-Italia e una popolazione di riferimento, secondo solo i dati ufficiali dell'AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all'Estero), di oltre 40 mila persone. Nel Regno Unito, ad oggi, su una popolazione italiana registrata all'Aire di 230 mila persone (stesso numero anche per i non registrati e quindi fuori statistiche), i soli Consolati operativi sono quello di Londra ed Edinburgo (distanza 600 chilometri). Ricordiamo, che il Regno Unito, in questo momento storico, registra il più alto flusso di arrivi di cittadini italiani nonché di registrazione all'Aire in Europa;
   si fa presente che, data l'ampiezza territoriale della popolazione italiana nel Nord dell'Inghilterra, la chiusura dello sportello consolare sta comportando gravissimi disagi in quanto costringe la nostra gente a spostamenti infrasettimanali per i quali sarà necessario assentarsi dal lavoro per almeno mezza giornata o anche più;
   i disagi sono ancora più forti per i pensionati che hanno difficoltà a spostarsi autonomamente a causa della loro età, persone che non sono in grado di utilizzare il computer per dialogare con un consolato virtuale e che, in assenza di familiari che possano accompagnarli saranno costrette a farsi carico del costo del biglietto ferroviario per venire anche più volte presso gli sportelli; un costo che peserà sul bilancio familiare spesso piuttosto modesto;
   oltretutto la chiusura dello sportello consolare di Manchester riverserà ulteriore lavoro sul già oberato e saturo Consolato generale di Londra, il cui personale diplomatico ed amministrativo lavora allo stremo delle forze e delle capacità, senza possibilità di incrementare l'organico;
   a nulla, purtroppo, sono serviti studi, analisi sulla presenza attuale e futura degli italiani nell'area di Manchester, così come a nulla è servita la mobilitazione dei nostri connazionali sui social e attraverso i media, al fine di scongiurarne la chiusura o trovare una soluzione alternativa;
   si fa presente che, nonostante le riduzioni avvenute e previste, continuano a persistere situazioni di compresenza di più strutture diplomatiche nella stessa sede, come ad esempio in Svizzera –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione disagevole che i nostri connazionali si trovano a dover affrontare;
   se il Ministro interrogato non intenda riconsiderare tutte le decisioni fin qui prese per il riordino della rete consolare, così come progettato dal Ministero degli affari esteri;
   cosa intenda fare al fine di salvaguardare e assicurare la tutela degli interessi italiani fuori dai confini nazionali, che si trovano, alla luce dei fatti esposti in premessa, privati di tali diritti. (5-03493)

Interrogazioni a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   secondo molteplici allarmi sindacali e da un recentissimo articolo apparso su «Malindi news», il portale italiano dei nostri connazionali a Malindi, nota località turistica del Kenya, si apprende che: «sebbene [ndr] il 15 dicembre cadranno cinquantanni dall'inizio del progetto spaziale San Marco, ideato proprio nel 1964 dal Governo italiano per volontà dello scienziato Luigi Broglio, a cui è intitolata la base aerospaziale al largo di Ngomeni, sulle coste del Kenya, la data potrebbe rimanere virtuale e non essere festeggiata, se il Kenya e l'Italia confermeranno la rottura dei rapporti bilaterali di cooperazione scientifica che hanno permesso negli anni di rinnovare l'accordo che prevede gli studi italiani a nord di Malindi e l'insediamento di una “colonia” di tecnici inviati da Roma. Quest'anno sembra che non ci siano i presupposti per rinnovare di un altro anno il contratto e il rischio che la San Marco debba chiudere sembra concreto. Con la base se ne andrebbero circa quaranta tecnici specializzati e anche personale che ormai ha messo radici a Malindi e dintorni. Basti pensare che in cinquant'anni molte famiglie si sono stabilite qui grazie alla San Marco e dopo l'età pensionabile sono rimaste a vivere in Kenya. Ma non è solo questo, la base San Marco ha dato lavoro e condizioni di vita migliori a centinaia di cittadini kenioti che vivono a Ngomeni, a ridosso della base. Ha costruito una scuola, un pronto soccorso medico che funziona ventiquattro ore su ventiquattro, ha dato lavoro e formato moltissimi tecnici, ha fatto crescere un'intera comunità che oggi deve molto agli italiani della base. Sarebbe davvero un autogol per il Kenya liberarsi del progetto San Marco, e un peccato per tutto quello che rappresenta per questa zona»;
   è utile poi ricordare che nel recente passato il Governo italiano si impegnò, sin dal 2010, per la riscrittura di un nuovo accordo bilaterale italo-kenyota per l'ampliamento delle attività di ricerca e la ripresa delle attività di lancio in orbita a carattere scientifico;
   le attività della Base spaziale a Malindi iniziarono già negli anni Sessanta grazie all'impulso decisivo del professor Luigi Broglio, e vengono poi rinnovate dal 1995 con un accordo in vigore fino ad oggi. L'ASI gestisce, con la collaborazione della Telespazio S.p.a., la base dal 2003 subentrando all'Università «La Sapienza» di Roma. Tra le attività attuali sono da ricordare in particolare il telerilevamento, l'acquisizione orbitale, la ricerca spaziale e la formazione, da ultimo gli studi sull'ambiente e il cambiamento climatico;
   nonostante la Base ASI di Malindi costituisca un vanto per la ricerca nazionale e sia espressione dei buoni rapporti tra il Kenya e l'Italia pare che quest'ultima sia destinata miseramente alla chiusura, anche a fronte di rumors non ufficiali rispetto all'aumento dell'imposizione fiscale da parte del governo africano e il favore di quest'ultimo con il quale saluterebbe un passaggio delle attività di ricerca da quella italiana a quella cinese, il cui Governo è ultimamente molto attivo in Africa nell'acquisizione di terreno fertile, prospezioni petrolifere, attività finanziarie –:
   se il Presidente del Consiglio e Ministri interrogati siano a conoscenza della vicenda e se questa corrisponda al vero; quali iniziative urgenti vogliano intraprendere per confermare e rilanciare l'attività di ricerca spaziale a Malindi, polo di alta specializzazione scientifica italiana all'estero, anche in forza di precedenti accordi bilaterale tra Italia e Kenya.
(4-05900)


   MIGLIORE, PIAZZONI e ZAN. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   per la prima volta dalla sua inaugurazione si sta svolgendo in Italia la sesta edizione del concorso internazionale «Mr Gay World», manifestazione annuale di bellezza ed educazione civica che rappresenta, inoltre, una grande opportunità per rilanciare l'attenzione sulle tematiche dei diritti civili;
   sullo svolgimento della manifestazione hanno pesato tuttavia le spiacevoli vicende che hanno investito 4 dei 32 delegati a partecipare. Come denunciato dal direttore europeo della competizione Tore Aasheim agli organi di stampa nazionali, ai concorrenti provenienti dal Camerun, dalla Namibia dalla Siria e dal Pakistan le rispettive ambasciate italiane non avrebbero rilasciato il visto in tempo utile a partecipare, nonostante il rispetto dell’iter burocratico;
   come raccontato dallo stesso Aasheim – che ha avuto il ruolo di garante nei Paesi in cui era necessaria una lettera di invito per ottenere l'autorizzazione ad entrare in Italia – le ambasciate italiane dei Paesi sopra citati avrebbero avuto un atteggiamento ostile nei confronti dei partecipanti, una volta saputo che il visto richiesto serviva per la partecipazione a «Mr Gay World». Nello specifico sarebbero state inoltrate richieste di presentazione di documentazione ulteriore, non necessaria ai fini del corretto svolgimento dell’iter burocratico, tra cui il passaporto dello stesso organizzatore. Sempre secondo Aasheim tali successive e numerose richieste di nuovi documenti sono parse assolutamente pretestuose e volte a ritardare, se non addirittura a bloccare, le procedure per l'ottenimento dei visti di ingresso in Italia, circostanze poi puntualmente verificatesi;
   se tale ricostruzione dei fatti fosse confermata sarebbe quantomeno discutibile il comportamento tenuto dalle ambasciate italiane, considerando inoltre come sia stata negata la possibilità di partecipare ad una manifestazione internazionale a cittadini provenienti da nazioni in cui le persone omosessuali non possono esprimere liberamente il loro orientamento sessuale –:
   quali notizie siano in possesso del Ministro interrogato sui fatti descritti in premessa e se non ritenga opportuno verificare, nel caso specifico, il corretto svolgimento dell'iter per l'ottenimento dei visti di ingresso nel nostro Paese da parte delle ambasciate italiane sopra citate. (4-05903)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   FERRARA, PELLEGRINO, FRANCO BORDO e NICCHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   da articoli di stampa si apprende che in alcuni comuni ricadenti nell'area del nolano vi è da circa un mese la pervasiva comparsa, su balconi, terrazze, ringhiere e nelle abitazioni, di una strana sostanza, collosa ed appiccicaticcia, difficile da rimuovere;
   la sostanza in questione sta allarmando la popolazione residente considerato il fatto che l'area si inquadra in quello che è stato definito dalla stampa «Terra dei fuochi»;
   questa misteriosa sostanza si è depositata anche sui raccolti che si stanno immettendo nella catena alimentare: si tratta di ortaggi, patate, limoni, arance, mandarini, pomodori, e altro;
   a parere degli interroganti vi è il timore che quanto narrato in premessa non sortisca l'effetto di immediata reazione da parte delle autorità preposte alla tutela ambientale, della salute delle persone e della catena alimentare;
   a questo strano fenomeno si aggiungono le risultanze documentali e le allarmanti raccomandazioni conseguenti ad una recente indagine ambientale sulle falde acquifere condotta dall'Agenzia regionale per la protezione ambientale della Campania e trasmessa, per competenza, all'Asl Napoli 3 Sud. Le risultanze evidenziano che è indispensabile un maggiore controllo del territorio da parte delle istituzioni preposte al fine di evitare che le popolazioni residenti in detta area continuino a subire danni alla propria salute;
   il dipartimento di prevenzione dell'ARPAC ha invitato alcuni comuni della zona della «Terra dei fuochi» ad assumere urgenti provvedimenti sul proprio territorio comunale, quali il divieto assoluto di irrigazione con l'acqua dei pozzi e di commercializzazione dei prodotti agricoli prodotti in quelle aree –:
   quali interventi urgenti i Ministri interrogati nei limiti di competenza, intendano porre in essere per tutelare il territorio interessato, dal rischio, qualora fosse accertata la tossicità della sostanza collosa, di un'ulteriore peggioramento nelle matrici ambientali di un'area già gravemente segnata;
   quali azioni di competenza il Governo intenda assumere per il territorio interessato a seguito delle recenti risultanze documentali dell'ARPAC. (3-01006)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRAMBILLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   come risulta da notizie di stampa, ampiamente riprese anche dai media nazionali, il 15 agosto scorso, nei boschi sopra Pinzolo (Trento), un cercatore di funghi, il signor Daniele Maturi, si è trovato nei pressi di un'orsa con due cuccioli, che, per una naturale reazione di difesa, l'ha aggredito. L'uomo, medicato in ospedale, è stato giudicato «in condizioni non gravi»;
   già il giorno successivo, un'ordinanza contingibile ed urgente firmata dal vicepresidente della provincia autonoma di Trento, Alessandro Olivi – fondamentalmente sulla base della testimonianza dell'aggredito – disponeva la cattura dell'orsa, chiamata Daniza, portata in Trentino dalla Slovenia nell'ambito del progetto di ripopolamento Life Ursus e – secondo un comunicato della PAT – «già da tempo monitorata per aver manifestato anomali atteggiamenti aggressivi nei confronti delle persone». Si tratta di una decisione, spiega il medesimo comunicato, «che prende atto del profilo di pericolosità che si è determinato, sulla base degli accertamenti compiuti dagli organi provinciali competenti, e che impone un intervento urgente per garantire il massimo livello di tutela della pubblica incolumità». L'ordinanza non esclude l'abbattimento «come ipotesi estrema qualora l'animale, durante l'operazione di cattura, dovesse provocare un imminente, grave e non altrimenti evitabile pericolo per gli operatori e per terzi»;
   nel parere sollecitato dall'amministrazione provinciale per perfezionare l’iter dell'ordinanza, anche l'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), ammette che l'episodio «non va ascritto ad un comportamento anomalo», in quanto «la reazione di difesa dei piccoli nei primi mesi di vita rientra tra i comportamenti parentali naturali della specie», per poi affermare, pilatescamente, che «la cattura per la captivazione permanente rientra tra le azioni previste dal Piano d'azione per la conservazione dell'orso bruno (PACOBACE) in risposta al comportamento registrato»: conclusione alla quale si poteva arrivare, senza neanche entrare nel merito dell'accaduto, semplicemente leggendo il Piano stesso;
   che il comportamento dell'orsa Daniza sia stato «perfettamente normale» e non suscettibile di farla classificare come un esemplare «problematico» è confermato dalla relazione dell'etologo Roberto Marchesini, consegnata al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il 25 agosto 2014. Secondo l'esperto, «per considerare “deviante” un comportamento animale deve esserci un'aggressione non motivata che avviene al di fuori dell’habitat naturale, mentre nel caso dell'orsa queste condizioni non si sono verificate. Cercare funghi è ovviamente un'attività che porta l'essere umano a frequentare luoghi silvestri dove è possibile entrare in rapporto con gli animali che vi dimorano sulla base di precise esigenze ecologiche – scrive ancora Marchesini – come peraltro compreso dai piani di reintroduzione. Sia chiaro: se si mette in discussione questo punto è lo stesso progetto di reintroduzione che decade»;
   non può sfuggire, inoltre, che la provincia autonoma di Trento si arroga il diritto di decidere su una popolazione di orsi – diffusa sul territorio di almeno quattro regioni: oltre al Trentino-Alto Adige, la Lombardia, il Veneto e il Friuli-Venezia Giulia – che è patrimonio indisponibile dello Stato e tutelata nell'interesse della comunità nazionale. Né che gli orsi convivono pacificamente con l'uomo in altre regioni d'Italia e sul territorio di molti Paesi civili (come nel Nord America), dai quali dovremmo mutuare le migliori pratiche. Al contrario, la provincia autonoma di Trento ha modificato unilateralmente l'Accordo interregionale per la protezione dell'orso, inserendovi la definizione di «animale nocivo», cancellata dalla legislazione nazionale nel lontano 1977 –:
   se il Ministro non ritenga opportuno impedire l'uccisione e la cattura dell'orsa Daniza sulla base di un provvedimento che appare sostanzialmente in contrasto con le leggi dello Stato e con gli interessi della comunità nazionale, riaffermare l'impegno del nostro Paese nel piano di ripopolamento dell'orso bruno e predisporre adeguate campagne formative e informative per i residenti e i turisti nelle aree interessate dal progetto;
   se non intenda intervenire in merito all'unilaterale modifica dell'Accordo PACOBACE per quanto riguarda la definizione di animale nocivo e per la previsione della captivazione permanente e dell'uccisione;
   se non ritenga di disporre urgentemente un proprio studio sulle condizioni degli orsi già detenuti in captivazione permanente al fine di poterli reimmettere in natura e, in caso contrario, se i luoghi di detenzione siano muniti delle autorizzazioni prescritte dal decreto legislativo n. 73 del 2005 sui giardini zoologici, dato che custodiscono specie di grande importanza faunistica. (4-05912)


   MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il lago di Bolsena è il più grande lago vulcanico d'Europa oltre che Sito d'interesse Comunitario (SIC) classificato inoltre come area sensibile e vulnerabile (Direttiva 2000/60/CE, decreto legislativo del 3 aprile 2006, n. 152) a causa del lento ricambio delle acque;
   l'ecosistema lacuale integro in passato ha garantito la presenza di vari e numerosi popolamenti animali e vegetali, tra cui molte specie di alghe e piante subacquee quasi completamente scomparse in altri bacini;
   la qualità delle acque risulta compromessa per la coesistenza di vari fattori inquinanti come lo sversamento di scarichi di vario tipo, la presenza di barche a motore;
   la società denominata COBALB, gestrice del collettore circumlacuale che tratta le acque di scarico di diversi comuni del lago prima di riversarli nel fiume Marta, soffre attualmente una forte crisi finanziaria;
   l'attuale situazione strutturale del collettore per la raccolta dei reflui e della loro depurazione, affidata alla società COBALB, è compromessa e necessità di urgenti interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria;
   negli ultimi anni si sono verificati frequenti sversamenti occorsi nel lago, causando un incremento del contenuto di nutrienti nelle acque e mettendo a rischio eutrofizzazione il lago;
   il mal funzionamento dell'intero circuito di sollevamento dell'elettro pompe delle stazioni del collettore lungo il semi-perimetro del lago causa gravi conseguenze anche sulle acque del fiume Marta, immissario del lago di Bolsena;
   i gravi fattori di inquinamento a cui è sottoposto il lago di Bolsena mettono a rischio la salute pubblica considerato l'elevata presenza turistica nelle aree prospicienti il lago specialmente durante la stagione estiva;
   il territorio della Tuscia, a causa di vari fattori tra i quali la conformazione geologica nonché l'uso di prodotti chimici in agricoltura nelle vicinanze del bacino idrico del lago di Vico, è soggetto ad una forte presenza di metalli pesanti nelle proprie falde acquifere, specie per quel che riguarda l'arsenico; in particolare, a causa della presenza di quest'ultimo all'interno della rete idrica dei comuni della Tuscia, riscontrato ben oltre i parametri impostati dalla direttiva 98/83/CE, l'Unione europea ha aperto una procedura di infrazione contro l'Italia, a causa della «contaminazione dell'acqua da arsenico e fluoro»;
   da un'intervista rilasciata ad un programma radiofonico molto seguito nella Tuscia, intitolato «La Fune», il sindaco di Montefiascone (Viterbo) ha reso noto che grazie al basso contenuto d'arsenico, quella del lago di Bolsena rappresenta una potenziale risorsa d'acqua utile per diluire quella della rete idrica potabile, attualmente fuori norma riguardo i parametri di presenza di arsenico al suo interno, fino a «risolverebbe il problema arsenico per tantissimi comuni della Tuscia, compreso il capoluogo»;
   dalla stessa intervista risulta che il sindaco del comune di Viterbo, capo luogo dell'omonima provincia, è informato e «d'accordo con questa soluzione» –:
   se sia a conoscenza della problematica arca la presenza di arsenico all'interno della rete idrica dei vari comuni della Tuscia e della procedura di infrazione europea operante nei confronti dell'Italia;
   se vi siano in atto e quali iniziative sono state intraprese nell'immediato per la salvaguardia di questo importante patrimonio naturalistico. (4-05914)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   come sta accadendo recentemente per molti settori produttivi, anche per l'industria del cinema è arrivato il momento di accettare la sfida di una nuova consapevolezza nell'ambito della sostenibilità ambientale e nella riduzione delle emissione di CO2;
   un approccio che è in atto anche in altre e tra le più importanti industrie cinematografiche del mondo e che possiede un impatto rilevante, vista l'importanza del film come prodotto di un'industria culturale, in termini di comunicazione e di educazione culturale ai nuovi stili di vita rispettosi dell'ambiente, riducendo consumi ed emissioni;
   attraverso l'analisi di tutti i reparti tecnici che contribuiscono alla realizzazione di un film, sono stati individuati ambiti su cui è possibile intervenire per ridurre al minimo l'impatto ambientale di cose e persone. Utilizzando, ad esempio, tecnologie più moderne ed efficienti: generatori euro5, kit fotovoltaici, illuminazione a LED; parallelamente grazie ad una razionalizzazione dell'intero processo produttivo possono essere di gran lunga incrementate le performance ambientali dei consumi energetici, del trasporto delle merci e delle maestranze, del consumo di materiali, della gestione dei rifiuti e infine del catering su materiali bio compatibili;
   per comprendere la misura degli interventi possibili, secondo dati Edison — Tempesta Film, può essere considerata come base di analisi la produzione media italiana di circa due mesi di riprese. Analizzando i consumi elettrici si è stimato che ottimizzando il numero di gruppi elettrogeni utilizzati si ottiene un risparmio all'incirca del 19 per cento, passando da 19,43 tonnellate di CO2 equivalenti a 15,78 tonnellate di CO2 equivalenti. Ipotizzando poi di utilizzare corpi illuminanti più efficienti si può ottenere un ulteriore riduzione dell'ordine del 10/15 per cento. E i generatori elettrici sono soltanto uno dei 38 indicatori di sostenibilità ambientale del protocollo. Se quindi tutte le produzioni seguissero le indicazioni del protocollo (In Italia si stimano 5.880 giorni di riprese ogni anno per 5600 ton/Co2 emesse ogni anno) si realizzerebbe una riduzione delle emissioni pari a 1.120 tonnellate di CO2, equivalenti a quelle relative all'illuminazione pubblica annuale di un comune di oltre 10.000 abitanti;
   le case di produzione cinematografiche inoltre attraverso una maggiore consapevolezza ambientale e un maggiore risparmio in termini di costi energetici possono essere agevolate anche nella ricerca di nuovi finanziatori dei film stessi;
   il cinema può fare molto per l'ambiente, in termini di divulgazione di stili di vita sostenibili, di promozione del patrimonio artistico, culturale e ambientale e, sotto il profilo tecnologico, per ridurre gli impatti ambientali della stessa industria dello spettacolo. Secondo il rapporto «Io sono Cultura» elaborato da Fondazione Symbola e Unioncamere gli occupati «verdi» nel settore del cinema sono 1.400 e sono destinati ad aumentare –:
   se i Ministri interrogati intendano valutare forme di incentivazione fiscale per la produzione di film «sostenibili», il cui processo produttivo sia efficiente dal punto di vista energetico, stanti anche le importanti ricadute nello sviluppo tecnologico, nella riduzione dei consumi e di CO2 e i benefici indiretti in termini di educazione ambientale dello spettatore;
   se vogliano altresì considerare la costituzione di un tavolo tecnico congiunto tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territori e del mare e il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per l'elaborazione di «Linee Guida per la produzione di Film Sostenibili» e per l'individuazione dei criteri necessari per la qualifica di film sostenibile. (4-05910)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RICCIATTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 19 agosto 2014 due Tornado dell'aeronautica militare appartenenti al sesto stormo si sono scontrati nei cieli sovrastanti la città di Ascoli Piceno ed alcuni comuni limitrofi (località Mozzano e Venarotta);
   i due velivoli si erano levati in volo dalla base dell'aeronautica di Ghedi (BS) per una missione di addestramento, in vista di una imminente esercitazione in ambito Nato;
   l'equipaggio dei due velivoli era composto da un pilota ed un tecnico per apparecchio – il capitano pilota Alessandro Dotto ed il capitano navigatore Giuseppe Palminteri sul primo, il capitano pilota Mariangela Valentini e il capitano navigatore Paolo Pietro Franzese sul secondo – i quali, parrebbe dai segnali radio indirizzati alla base, avrebbero attivato il sistema di espulsione dei seggiolini anche se la circostanza non è del tutto chiarita, pur tuttavia non riuscendo a porsi in salvo;
   diverse fonti giornalistiche riportano numerose testimonianze che asseriscono come i due Tornado volassero a quote insolitamente basse;
   la stessa Aeronautica militare ha ammesso in una dichiarazione riportata dagli organi di informazione, che i due velivoli «non dovevano essere contemporaneamente alla stessa quota ed allo stesso orario»;
   i due Tornado – sempre secondo quanto riportato dalla stampa – sono partiti in due orari diversi, seppur prossimi. Il primo alle ore 15.22 del 19 agosto, il secondo alle 15.27. I Tornado operavano nell'ambito di due missioni addestrative distinte, in task diversi, dirigendosi in un punto in cui avrebbero dovuto svolgere separatamente i loro compiti, che non comprendevano tattiche di combattimento simulato;
   entrambe le scatole nere sono state rinvenute nei giorni successivi all'incidente aereo;
   autorevoli esponenti delle forze armate – tra i quali l'ex capo dello Stato Maggiore dell'Aeronautica militare, generale Leonardo Tricarico – sostengono che le esercitazioni si svolgono in prossimità di centri abitati in quanto vi è la necessità di addestrarsi in contesti geografici simili a quelli che verosimilmente potrebbero incontrarsi durante le missioni operative, tuttavia mentre in passato tali missioni di addestramento avvenivano all'estero, generalmente in aree scarsamente popolate;
   a causa dei tagli al bilancio delle spese militari, le forze armate sono costrette ad effettuare le esercitazioni e le missioni di addestramento sul territorio nazionale, caratterizzato da una densa popolosità;
   sempre ai tagli alla spesa militare sarebbe imputabile un numero di ore di addestramento per pilota non ottimale;
   l'evento riportato in premessa evidenzia come diverse attività di addestramento possono avere ripercussioni rischiose non solo per il personale militare interessato, ma anche per le popolazioni civili che fanno da «scenario» di addestramento aereo –:
   quali siano le aree geografiche del Paese interessate da missioni di addestramento aereo;
   quanti siano gli aerei militari interessati da missioni addestrative;
   quale sia la quota di volo minima consentita dai protocolli di addestramento aereo;
   quali siano le misure di sicurezza ed i protocolli adottati per evitare, o ridurre al minimo, i rischi per la popolazione civile derivanti da possibili incidenti.
(5-03491)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BERGAMINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la difficile situazione del porto della città di Viareggio è oggetto di un'inchiesta della magistratura alla quale stanno collaborando tutte le autorità locali al fine di garantire il ripristino della legalità e un corretto sviluppo delle attività della Darsena;
   il comandante della capitaneria di porto di Viareggio, Marco Alberto Iacono, da appena un anno in carica, è stato trasferito senza riuscire a portare a termine il proprio mandato della durata di due anni, nonostante stesse lavorando alacremente allo scopo di ricostituire l'ordine e la trasparenza delle attività del porto di Viareggio, impegnandosi contro l'abusivismo e per il controllo della qualità delle acque, anche in collaborazione con la procura di Lucca;
   una delle priorità delle Istituzioni deve essere quella di tutelare la professionalità di quanti svolgono il proprio dovere in favore della collettività, contrastando ogni forma di illegalità, mentre in questo caso non sono chiare le modalità con cui è stata assunta la decisione della sostituzione e le motivazioni che sono alla base del provvedimento di trasferimento;
   nel mese di luglio il comandante Iacono è stato oggetto di polemiche in seguito ad un episodio che ha visto alcuni agenti della capitaneria di porto, armati di sfollagente, allontanare i venditori abusivi dalla spiaggia libera di Marina di Pietrasanta senza tuttavia utilizzare detti sfollagente contro i venditori stessi né alcuna altra persona presente;
   la vicenda è stata secondo l'interrogante senza dubbio strumentalizzata allo scopo di provocare un avvicendamento all'interno della capitaneria di porto dal momento che gli agenti della capitaneria, essendo pubblici ufficiali, sono autorizzati a circolare con gli sfollagente, di cui sono dotati a norma di legge, e dei quali non hanno comunque fatto uso contro alcuno;
   i sindaci della Versilia in un comunicato comune si sono detti «disorientati» dal trasferimento del comandante Iacono, vista la solerzia e l'impegno profuso dallo stesso nella lotta all'illegalità nel porto di Viareggio –:
   se i Ministri interrogati intendano fare luce su quanto avvenuto nella città di Viareggio, chiarendo le modalità e le motivazioni del trasferimento del comandante Iacono, e rassicurando i cittadini sul fatto che l'impegno delle istituzioni, anche nazionali, per il ripristino della legalità nel Porto di Viareggio e in generale in Versilia non verrà meno. (5-03492)

Interrogazione a risposta scritta:


   DE MARIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'intersezione sulla S.P.3 in corrispondenza del casello A13 di Bologna interporto è uno dei nodi essenziali e al contempo più pericolosi della viabilità in provincia di Bologna;
   si tratta del più importante punto di accesso alla rete autostradale del territorio bolognese e, in particolare, di due grandi piattaforme della logistica e del commercio, quali l'Interporto e il Centergross di Bologna che hanno un ruolo strategico nello sviluppo della regione e dell'intero paese;
   nel nodo di confluenza al casello autostradale interporto di Bologna si verificano frequenti congestioni e ingorghi anche perché in quel tratto affluiscono i traffici del quadrante nord bolognese, il più dinamico e sviluppato della regione per attività produttive e densità abitativa;
   l'accesso alla rete autostradale e alla viabilità pubblica è, di fatto, ostacolato da insostenibili rallentamenti, con gravi costi di transazione e inevitabile perdita di competitività del sistema territoriale;
   nell'incrocio tra la viabilità comunale e la SP3, in prossimità del casello autostradale, hanno perso la vita negli ultimi venti anni più di 10 persone e molte altre sono rimaste ferite in modo grave;
   da tempo la regione Emilia Romagna, la provincia di Bologna e le amministrazioni comunali interessate, sollecitano un intervento per la creazione di un punto di confluenza dei flussi di traffico in entrata e in uscita dal casello Interporto sulla A13 Bologna-Padova; la soluzione progettuale individuata da Autostrade per l'Italia e condivisa dalle amministrazioni prevede l'adeguamento dell'innesto dei rami di svincolo del casello di Bologna interporto sulla SP3 «Trasversale di Pianura» e la realizzazione di una rotatoria all'uscita del casello di Bologna Interporto sulla A13 in sostituzione dell'attuale innesto a «T»;
   la soluzione progettuale consentirebbe inoltre di raccordare alla rotatoria la viabilità comunale eliminando definitivamente l'intersezione con la SP3 che rappresenta un punto estremamente critico in termini di pericolosità, come dimostrato dall'elevato numero di incidenti mortali che l'hanno interessato;
   il 18 giugno 2012 l'ispettorato di vigilanza sulle concessioni autostradali ha inviato alle amministrazioni una nota di conferma della propria disponibilità ad autorizzare Autostrade per la spesa necessaria a realizzare l'intervento, previa integrazione dell'allegato alla Convenzione unica (F2), nell'ambito della revisione quinquennale della medesima Convenzione, anche in considerazione dell'esigenza di provvedere ad alcuni limitati espropri;
   rispetto agli incroci, la rotatoria – roundabout nella terminologia anglosassone – presenta indubbi vantaggi in termini di efficace smaltimento del traffico e snellimento della circolazione, per la netta riduzione dei tempi di inserimento – anche in misura superiore al 70 per cento – con l'eliminazione totale dei cosiddetti «tempi morti», per il minor inquinamento, per la riduzione della congestione e dei consumi, per la ridotta e più costante velocità, per l'eliminazione delle lunghe attese agli accessi; consente inoltre l'agevole inversione del senso di marcia; minori costi gestionali e di sorveglianza; in particolare la rotatoria aumenta in misura significativa la sicurezza dell'intersezione, per minori punti di conflitto rispetto ad un incrocio, e la documentata riduzione dell'incidentalità in misura superiore al 50 per cento, con -40 per cento collisioni fra veicoli; -80 per cento danni alle persone; -90 per cento danni gravi e mortali; la velocità contenuta nel punto di confluenza in entrata ed in circolo, determina una netta riduzione della probabilità di incidenti e della gravità delle conseguenze;
   successivamente al giugno 2012 dall'Ispettorato di vigilanza sulle concessioni autostradali non risultano pervenute risposte alle comunicazioni della regione Emilia Romagna e del comune di Bentivoglio, sul cui territorio insiste l'accesso il casello autostradale Bologna interporto, in merito all'avanzamento dell'istruttoria per la revisione della convenzione unica –:
   quale sia lo stato di avanzamento e i tempi previsti per la conclusione dell'istruttoria relativa alla revisione della convenzione unica e, in particolare, per il corretto inquadramento dell'intervento in questione nell'ambito della convenzione;
   quali urgenti iniziative intenda assumere:
    a) per sollecitare l'Ispettorato di vigilanza sulle concessioni autostradali a inserire tale infrastruttura nella revisione quinquennale della convenzione unica con Autostrade per l'Italia;
    b) per provvedere a semplificare ed accelerare tutti gli adempimenti di competenza necessari all'immediata realizzazione di interventi per la sicurezza e la fluidità della circolazione come l'infrastruttura in oggetto, ivi compreso l’iter progettuale, autorizzativo ed amministrativo, la procedura di evidenza pubblica per l'affidamento dei lavori e l'apertura del cantiere. (4-05907)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   BINETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la situazione delle minoranze cristiane in molte parti del mondo si sta facendo giorno per giorno più drammatica. La tragedia dei cristiani iracheni, oggetto di un vero e proprio genocidio da parte dei terroristi islamici dell'ISIS, non è che un esempio di questo scenario: in molti paesi dell'Africa, dell'Asia e del Medio Oriente, nell'indifferenza generale, i cristiani sono oggetto di persecuzioni, violenze e discriminazioni, sono talvolta costretti a lasciare le proprie case e obbligati con la forza ad abbandonare il proprio culto e la propria fede;
   il Governo italiano, durante il semestre di presidenza dell'Unione europea, si è formalmente impegnato a difendere e tutelare la libertà di culto fuori dai confini europei. Testualmente, dal programma del semestre di presidenza:
    «Nel mantenere alta l'attenzione sulla violenza settaria e sulle discriminazioni, la Presidenza sosterrà le iniziative comunitarie in materia di libertà di religione o credo e la protezione delle minoranze religiose, anche in relazione all'impegno dell'Italia a favore della prevenzione dei genocidi e dei meccanismi di allarme rapido»;
   l'impegno del Governo italiano nella messa in salvo di Meriam Yehya Ibrahim ha rappresentato un grande gesto umanitario in favore di una donna perseguitata e messa a morte per la propria fede cristiana. Il 24 luglio 2014, Meriam è arrivata a Roma grazie all'intervento del Governo italiano ed è finalmente salva dalla pena di morte. Se Meriam Yehya Ibrahim è salva, non lo sono purtroppo innumerevoli uomini, donne, neonati, bambini e anziani cristiani in Paesi come Iraq, Siria, Nigeria, Camerun, Sudan, Pakistan, Somalia ed Egitto, giusto per elencarne alcuni. I cristiani sono obbligati a lasciare le proprie case. Vengono incarcerati per blasfemia, mentre le chiese vengono bruciate e i fedeli massacrati. Le ragazze rapite ed obbligate a sposarsi contro la loro volontà;
   durante il semestre italiano, il Governo ha la possibilità di impegnarsi nuovamente nella difesa della vita non solo di una persona, ma di migliaia di cristiani perseguitati. Promuovendo politiche concrete in direzione di un maggior rispetto della libertà religiosa dimostrerebbe realmente di proseguire lungo lo stesso percorso, con un'operazione sostanziale di aiuto non solo ad una, ma a milioni di cristiani perseguitati;
   in base alle Risoluzioni 1928 (2013) e 1957 (2011) dell'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa e in base a diversi documenti dell'Unione europea (Incontro del Consiglio 3309 del 14-15 aprile 2014, Conclusione del Consiglio dell'Unione europea del 12 aprile 2012, incontro 3069 del Consiglio per gli affari esteri del 21 febbraio 2011, conclusioni degli incontri del Consiglio degli affari esteri del 31 gennaio e del 10 aprile 2011), gli Stati membri dell'Unione europea si sono impegnati a rispettare la libertà religiosa e di fede, ad elaborare politiche di sviluppo di asilo e a gestire le relazioni europee con altri Paesi in base al loro rispetto della libertà religiosa –:
   quali siano le politiche di asilo che si stanno mettendo in atto per venire incontro alla nuova, drammatica, situazione critica delle minoranze religiose e dei cristiani perseguitati che fuggono dall'Iraq, dalla Siria e da altri Paesi in cui è in atto una vera e propria persecuzione religiosa. (4-05901)


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il fenomeno dei minori stranieri affidati ai servizi sociali ha assunto, negli ultimi anni, proporzioni vastissime e incontrollabili, a causa delle massicce ondate migratorie che hanno investito il nostro Paese;
   nel mondo industrializzato i problemi dell'infanzia sono spesso connessi all'ondata dei flussi migratori. I minori, sradicati dal proprio ambiente naturale, in condizioni di povertà, diventano facilmente preda di situazioni di violazione dei diritti fondamentali, dallo sfruttamento del lavoro minorile all'accattonaggio, dallo sfruttamento sessuale all'utilizzo a fini di microcriminalità;
   per la sua posizione geopolitica, l'Italia è stata da sempre esposta al fenomeno migratorio. In primo luogo, poiché geograficamente protesa verso il mare e, di conseguenza, completamente predisposta ai flussi commerciali o migratori, sempre difficilmente controllabili nella loro interezza. In secondo luogo, poiché, trovandosi al centro del Mar Mediterraneo, costituisce il confine meridionale del continente europeo, facilmente raggiungibile non solo dalla vicinissima Africa, ma anche dal più lontano Medio Oriente. Al di là delle sterili cifre il fenomeno migratorio è progressivamente divenuto più drammatico. L'immigrazione negli ultimi anni ha fatto registrare un aumento esponenziale anche a seguito della cosiddetta «primavera araba», ma soprattutto a causa della rivoluzione economico-sociale che ha sconvolto il mondo negli ultimi venti anni;
   prima, quindi, di affrontare il problema dei minori non accompagnati presenti nel nostro Paese con il solito approccio buonista, si dovrebbe essere capaci di assumere le proprie responsabilità storiche, ma soprattutto si dovrebbe essere in grado di capire che è necessario un intervento in controtendenza, fondato, da un lato, su un'azione forte di contrasto all'immigrazione di massa e, dall'altro lato, finalizzato a sviluppare interventi mirati di aiuto sul posto per le popolazioni sofferenti;
   se nel 2013 gli sbarchi sono stati 42.925, solo dall'inizio del 2014 gli arrivi hanno già superato quota 20.000 e il Ministero dell'interno ha fatto sapere che il dato è di oltre 10 volte maggiore a quello registrato nello stesso periodo del 2013, un vero e proprio record;
   secondo i dati del Ministero dell'interno dal gennaio 2014 i minori arrivati in Italia sono stati 6722, di cui 4.598 non accompagnati per la maggior parte di nazionalità eritrea, somala ed egiziana;
   il quinto rapporto Anci 2011-2012 sui minori non accompagnati rileva che il problema sta assumendo dimensioni emergenziali;
   la tutela dei minori e del loro equilibrato sviluppo è prioritaria, in quanto i bambini rappresentano il futuro della nostra società; è necessario affermare il diritto delle nuove generazioni a vivere pienamente il loro presente e a sviluppare le proprie potenzialità nel loro contesto familiare, affinché possano affrontare positivamente la loro vita;
   il principio VI della Dichiarazione dei diritti del fanciullo del 1989 afferma: «Il fanciullo, per lo sviluppo armonioso della sua personalità, ha bisogno di amore e di comprensione; egli deve, per quanto è possibile, crescere sotto le cure e la responsabilità dei genitori e, in ogni caso, in atmosfera d'affetto e di sicurezza materiale e morale. Salvo circostanze eccezionali, il bambino in tenera età non deve essere separato dalla madre»;
   non è più accettabile l'atteggiamento ad avviso dei firmatari del presente atto ipocrita del Governo, il quale continua a non volere attuare una corretta gestione dei flussi migratori verso il nostro Paese e si limita a scaricare le proprie responsabilità sugli enti locali, che, già fortemente penalizzati dai tagli di risorse provocate dalla perdurante crisi e dalla mancata attuazione del federalismo fiscale, devono, in aggiunta, accollarsi spese enormi per l'erogazione di tali servizi socio-assistenziali, a scapito dei cittadini residenti;
   in questa situazione emergenziale tante sono le situazioni particolari che sono chiamati a gestire gli enti locali. Il comune di Forni Avoltri sito nella regione Friuli Venezia Giulia è, ad esempio tra quelli individuati con ordinanza prefettizia per l'accoglienza dei profughi che sbarcano sulle coste del nostro Paese. L'amministrazione comunale ha quindi in accordo con la Confalbergatori gestito al meglio l'accoglienza sul proprio territorio dei migranti affidati secondo le disposizioni prefettizie. In un secondo momento però è emerso che tra i migranti trasferiti coattivamente nel comune di Forni Avoltri fossero presenti minori non accompagnati;
   stando alle informazioni pervenute direttamente da comunicazione dell'amministrazione comunale, i minori così rinvenuti sono stati affidati dalla cooperativa che gestisce il servizio di accoglienza (CIVIFORM) alle forze di pubblica sicurezza ed in seguito dal tribunale dei minorenni di Trieste affidati al comune di Forni Avoltri, secondo le normali procedure, (una vera e propria anomalia considerato il caso specifico), che vengono adottate in caso di ritrovamento sul territorio comunale di minori non accompagnati;
   i costi per la gestione dei minori non accompagnati non possono in questo caso, vista la fattispecie particolare, in nessun modo ricadere sulle competenze dell'amministrazione comunale, considerato che il progetto di accoglienza è stato gestito dal Ministero dell'interno con ordinanza prefettizia;
   la Cooperativa CIVIFORM ha peraltro già inoltrato all'amministrazione comunale una richiesta di pagamento per i costi relativi alla gestione dei minori non accompagnati per il periodo già trascorso;
   è ovvio che in questo caso non vi siano dubbi in merito al fatto che i costi relativi alla gestione dei minori non accompagnati non possano in alcun modo essere a carico dell'amministrazione comunale –:
   quali provvedimenti il ministro interrogato intenda adottare per chiarire in modo esplicito come i costi relativi alla presa in carico dei minori non accompagnati nel caso specifico e in casi simili a quello illustrato in premessa non possano in alcun modo ricadere sulle casse comunali;
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per prevedere la continuità del finanziamento di un fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati che non gravi sui bilanci dei comuni. (4-05904)


   BENI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nella notte del 2 agosto 2014, al largo della Libia, è avvenuto il naufragio di un'imbarcazione partita da Tripoli che trasportava oltre 500 persone, tra cui una trentina di bambini;
   durante la traversata l'imbarcazione ha incontrato una petroliera che ha subito segnalato alla Marina Militare la presenza di profughi e ne ha richiesto l'immediato intervento – a seguito di ciò, secondo le testimonianze dei superstiti, le persone che si trovavano nella parte inferiore dell'imbarcazione si sarebbero immediatamente riversate nella parte superiore provocando il rovesciamento dell'imbarcazione;
   durante le concitate operazioni di salvataggio, alcune persone raccontano di aver perso di vista i propri figli, anch'essi in mare e con il giubbotto salvagente, mentre erano in balia delle onde, e di aver subito segnalato la loro scomparsa ai soccorritori durante le procedure di identificazione;
   i profughi, tratti in salvo da due navi di Mare Nostrum, sono stati portati nei centri di accoglienza di Taranto e Salerno, ma dalle registrazioni effettuate non risulterebbero presenti minori non accompagnati;
   successivamente alcuni di loro sono stati trasferiti a Milano, dove hanno chiesto aiuto agli operatori dell'Arci per il ritrovamento dei bambini dispersi e per far luce su quanto successo nella notte del naufragio, durante il quale, secondo quanto raccontato dai superstiti, alcuni adulti avrebbero tolto il giubbotto salvagente ai bambini per mettere in salvo loro stessi;
   a seguito della segnalazione, gli operatori hanno subito attivato tutti i possibili canali e avvisato le competenti istituzioni per avere informazioni e chiarimenti sulla scomparsa dei bambini, le cui famiglie hanno chiesto di rendere pubbliche le loro foto per agevolarne il ritrovamento;
   ad oggi, però, non avendo ancora ricevuto riscontri ufficiali su quanto avvenuto nella notte del 2 agosto 2014, risulta indispensabile sollecitare tutti gli attori coinvolti per poter dare risposte certe alle famiglie che, con angoscia, attendono il ritrovamento dei loro figli –:
   quali urgenti iniziative siano state attivate per il ritrovamento dei bambini dispersi a seguito del naufragio del 2 agosto 2014, e quali siano i risultati delle ricerche sinora effettuate. (4-05905)


   PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il giornalista Paolo Borrometi conduce un'intensa attività giornalistica in Sicilia legata in particolar modo alle infiltrazioni criminose nelle istituzioni pubbliche e nella gestione di appalti;
   nell'ottobre 2013 conduce un'inchiesta sulla irregolarità nella gestione del cimitero, della nettezza urbana e delle case popolari a Modica, in provincia di Ragusa;
   successivamente si occupa di questioni legate a illegalità nella depurazione delle acque di Vittoria ed è il primo a denunciare l'inquinamento causato alla vicina località marittima di Scoglitti;
   inoltre, particolare delicatezza ha rivestito poi la sua inchiesta sulle famiglie mafiose operanti a Scicli;
   come conseguenza di questa intensa attività giornalistica e dell'aumento della sua visibilità anche grazie alla partecipazione a trasmissioni televisive nazionali, Paolo Borrometi ha subito una vera e propria escalation di episodi di intimidazione, tutti denunciati alla pubblica autorità. Alle minacce scritte è seguita una vera e propria aggressione fisica e, in ultimo, in data 25 agosto 2014 è stato dato alle fiamme il portone della sua abitazione –:
   quali provvedimenti il Ministro intenda assumere, in concerto con i suoi delegati sul territorio, per assicurare al giornalista Paolo Borrometi non solo la sua sicurezza personale ma anche la possibilità di proseguire il proprio importante lavoro d'inchiesta in piena libertà.
(4-05908)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   migliaia di operatori delle forze dell'ordine sono quotidianamente impegnati in servizi di accoglienza o gestione a vario titolo dei migranti. Inevitabilmente e loro malgrado, tali migranti provengono da zone del mondo dove esistono e resistono determinate malattie che qui in Italia erano state completamente debellate, come è il caso della tubercolosi; in effetti, secondo le statistiche dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), l'incidenza della tubercolosi in Italia è in aumento, tant’è che pare si sia arrivati in media ad un morto al giorno a causa di tale patologia; secondo dati forniti dal sindacato di polizia CONSAP, ad oggi circa 40 poliziotti sono risultati positivi al test di Mantoux, ovvero il più comune test di verifica della presenza in un individuo di una infezione, anche latente, del micobatterio della tubercolosi;
   sempre secondo la denuncia della predetta organizzazione sindacale, i primi controlli medici sui migranti in arrivo sulle coste italiane sarebbero eccessivamente superficiali e non garantirebbero una adeguata profilassi a tutela degli operatori del settore e della pubblica incolumità onde evitare che dilaghino tra la popolazione, italiana epidemie presenti in zone del mondo da cui i migranti provengono, come nel caso dell'Ebola;
   occorre peraltro segnalare che, anche alla luce delle vicende delle ultime settimane, non è solo la tubercolosi l'agente di rischio a cui sono esposti gli operatori impegnati nell'accoglienza, ma anche altre patologie più o meno gravi e comunque non sempre curabili come il meningococco, l'Ebola o la scabbia; inoltre, un poliziotto infettato, oltre a patire danni personali, entra in contatto con la propria famiglia e i propri conoscenti, diventando a sua volta un involontario vettore di infezione;
   nelle ultime settimane il sindacato di polizia Consap ha lanciato una class action contro il Ministero dell'interno, dal momento che, secondo quanto sostenuto dalla medesima organizzazione, le forze di polizia impegnate nelle operazioni di accoglienza non erano coperte dalla protezione adeguata e prevista dalla normativa istitutiva dell'operazione cosiddetta Mare Nostrum;
   solo dopo le proteste del CONSAP, sembrerebbe che siano state migliorate le dotazioni in capo alle forze di polizia al fine di garantire una effettiva protezione degli operatori;
   l'azione collettiva posta in essere sta raccogliendo un crescente numero di adesioni –:
   quali provvedimenti intendano assumere i Ministri interrogati al fine di tutelare l'incolumità delle forze di polizia che entrano in contatto con soggetti potenzialmente a rischio, nonché al fine di tutelare la salute pubblica esposta a possibili rischi di epidemia, anche alla luce delle allarmanti notizie provenienti nelle ultime settimane dal continente africano.
(4-05909)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BINETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 8 aprile 2014 si sono svolti gli esami di ammissione alla facoltà di medicina da cui è scaturita la relativa graduatoria di merito, come previsto dal relativo decreto ministeriale;
   molti candidati hanno superato il test di accesso sia nelle università non statali che in quelle statali, ma sembrerebbe che non sia ancora terminato lo scorrimento delle graduatorie in base alle quali gli studenti possono sapere in modo definitivo in quale sede potranno frequentare i corsi di studio;
   si sta creando una situazione paradossale: studenti che inizialmente si sono iscritti nelle università non statali, una volta ammessi anche nelle università statali, hanno optato per queste ultime, liberando dei posti nelle università non statali, che a questo punto hanno attivato uno scorrimento delle loro graduatorie, sollecitando ad iscriversi studenti che avevano già fatto una opzione per l'università statale, ritenendo di non essere stati ammessi alla università non statale; in questo modo si crea un ulteriore scorrimento nelle università statali, dove si liberano posti per nuovi inserimenti;
   potrebbero quindi esserci candidati che appartengono sia alla prima categoria (candidati che hanno appreso di essere entrati sia nelle università statali che in quelle non statali e finora non hanno ancora formalizzato la loro iscrizione) che alla seconda (candidati che hanno, dopo l'immatricolazione in una università statale, maturato la decisione di immatricolarsi in una università non statale e sono entrati in queste ultime tramite scorrimenti), senza considerare coloro i quali potrebbero, per altre motivazioni, rinunciare al posto;
   come da decreto, decreto ministeriale 5 Febbraio 2014 n. 85, punto 14 dell'allegato 2, l'immatricolazione va perfezionata entro il 6 ottobre 2014, data entro la quale ed oltre la quale è possibile che altri candidati decidano di rinunciare al loro posto nella facoltà di medicina per svariati motivi, compreso quello di iscriversi in un'altra facoltà, quindi proprio per gli scorrimenti in atto fino all'ultimo potrebbe accadere paradossalmente che alcuni dei posti previsti restino vuoti; per la precisione il punto in esame afferma che: «Tali procedure, al pari delle rinunce successive all'immatricolazione, comportano lo “scorrimento” della graduatoria ad esclusivo beneficio degli studenti che non risultano immatricolati ma che sono in posizione utile, solo se comunicate fin quando sono ancora presenti posti disponibili sul corso del singolo ateneo. Eventuali ulteriori richieste di passaggio o di rinuncia successive alla copertura di tutti i posti del corso non determinano nuovi scorrimenti di graduatoria»;
   quali iniziative intenda adottare al fine di garantire l'effettiva copertura di tutti i posti approvati con il decreto ministeriale in questione, e messi a concorso nelle rispettive facoltà di medicina, utilizzando in modo corretto tutti gli scorrimenti possibili ed evitando che, data la complessità del meccanismo previsto dalla graduatoria nazionale, si possa creare una perdita di posti, quando quasi 65.000 studenti hanno concorso per 10.551 posti disponibili. (5-03490)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:


   DI LELLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Isotta Fraschini-Ims Spoleto fa capo al gruppo imprenditoriale Casti Group, fondato negli anni cinquanta e operante nel settore della lavorazione dei metalli e della fabbrica di minuteria;
   l'azienda si trova in uno stato di gravissima crisi che ha portato 240 dipendenti a non ricevere da più di tre mesi gli emolumenti;
   lo stato di crisi è stato generato dalla gestione, ad avviso dell'interrogante dissennata, del management e della proprietà, finiti al centro di una vicenda giudiziaria dai contorni ancora tutti da definire, a seguito della quale il Governo ha nominato tre commissari straordinari per la gestione corrente dell'azienda;
   la produzione risulta essere ferma da oltre un mese per il distacco delle forniture di energia elettrica e metano, presumibilmente a causa del mancato pagamento delle stesse;
   l'attuale crisi determina ripercussioni pesanti non solo sull'occupazione dell'azienda e del suo indotto, ma anche su tutta l'economia della città di Spoleto, già gravemente penalizzata da altre situazioni che hanno pesantemente inciso sull'occupazione della piccola e media industria. Va ricordato che l'Isotta Fraschini-Ims Spoleto, ex Pozzi, agli inizi degli anni ottanta contava al suo interno oltre 600 dipendenti;
   risulta, infine, che un gruppo di imprenditori del settore è intenzionato a rilevare i siti aziendali di Spoleto e Dongo, tanto da aver già predisposto un piano industriale di rilancio e prosecuzione delle attività facenti capo ai due siti suddetti –:
   quali misure il Governo intende adottare, oltre al commissariamento:
    a) finalizzate alla tutela dell'occupazione e del monitoraggio della situazione della Casti Group e delle sue controllate di Dongo e Spoleto;
    b) per sollecitare i commissari a verificare in tempi brevi le offerte di acquisto della Casti Group che possano consentire l'immediato rilancio dell'azienda;
    c) per la immediata adozione di ammortizzatori sociali in favore dei dipendenti privi di emolumenti ormai da più mesi. (4-05911)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sono nati il 3 agosto i gemelli di una non voluta fecondazione eterologa, ma la battaglia tra i genitori biologici e i genitori che oggi li custodiscono nella loro casa non è finita. Sono i gemelli più discussi d'Italia. Per un erroneo scambio di provette all'ospedale Pertini di Roma i due embrioni furono impiantate nell'utero della mamma sbagliata. I test genetici hanno dimostrato che la madre che li ha poi partoriti non è la madre biologica. Ne è scaturita una battaglia legale durissima tra le due coppie aspiranti genitori, i «genitori biologici» e i «genitori di parto»;
   accertato che sono stati registrati all'anagrafe senza clamore, evitando possibili azioni a sorpresa da parte di padre e madre biologici che chiedono di riavere i loro figli biologici. L'annuncio è stato fatto dai genitori, a questo punto «legali» sul quotidiano La Stampa. Il parto è avvenuto in una località segreta lontana dalla capitale. «Ora nessuno può più toglierceli» hanno detto al quotidiano;
   venerdì 8 agosto nella udienza del Tribunale a Roma per stabilire a chi spettasse lo status di genitori dei gemelli, il magistrato non ha neppure preso in considerazione la richiesta, sollecitata dai genitori biologici, che rivendicavano lo status di «veri genitori» dei gemelli e avevano presentato un ricorso urgente chiedendo, in primo luogo, di bloccare tutte le pratiche di registrazione all'ufficio comunale delle nascite;
   la nascita dei gemelli, prevista intorno al 12 agosto, è avvenuta in anticipo, tramite parto cesareo e l'intervento è stato fatto in un ospedale che si trova in una regione diversa da quella dove vivono i genitori biologici, per evitare conflitti e tensioni almeno in questa prima fase della vita del bambino;
   il Comitato nazionale di Bioetica aveva suggerito una linea di intervento più soft anche se non scevra da possibili tensioni –:
   come si intenda procedere per garantire ai bambini neonati nel loro percorso di sviluppo le migliori condizioni possibili per garantire la loro salute psico-fisica nel corso degli anni. (5-03488)


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'epidemia di Ebola in corso in Africa occidentale ha ucciso quasi mille persone e rappresenta una «emergenza di salute pubblica di livello internazionale», come ha stabilito il comitato di emergenza istituito dall'Oms, che ne ha dato l'annuncio durante una conferenza stampa a Ginevra. Lo status prevede misure aggiuntive di contenimento. Il segretario generale dell'Oms Margaret Chan ha spiegato che l'epidemia di Ebola in corso in Africa Occidentale è «la peggiore che si sia avuta in almeno 40 anni e serve uno sforzo coordinato a livello internazionale per fermare la diffusione del virus»;
   la «Malattia si può fermare» perché Ebola «non è una malattia misteriosa, come ha affermato anche Keiji Fukuda, vicesegretario dell'Oms, aggiungendo che «Abbiamo preparato raccomandazioni sia per gli stati affetti che per quelli che ancora non lo sono. La prima raccomandazione è che tutti i paesi in cui c’è trasmissione del virus dichiarino lo stato di emergenza nazionale»;
   non sono necessarie per ora restrizioni internazionali ai viaggi per evitare i contagi da Ebola, ma i paesi dove l'epidemia è presente devono fare test a tutti i passeggeri di porti e aeroporti in uscita e l'Oms invita le compagnie aeree a non sospendere i voli nelle aree di crisi perché le misure di sicurezza in vigore sono sufficienti a garantire la sicurezza di passeggeri ed equipaggi;
   tra le cinque raccomandazioni dell'OMS c’è quella di «avvertire tutti i viaggiatori diretti nei paesi a rischio dei pericoli e delle misure da prendere»; un altro punto afferma che «gli Stati devono essere pronti a identificare e trattare casi di Ebola nei propri paesi», e questo comprende «l'organizzazione del trattamento di passeggeri provenienti dalle aree a rischio che arrivino in aeroporti o altri punti di accesso con sintomi febbrili sospetti»;
   è fondamentale che «la popolazione sia avvertita con informazioni accurate e rilevanti sui rischi da Ebola», mentre «gli Stati devono elaborare dei piani di evacuazione e rimpatrio di connazionali, compresi gli operatori sanitari, esposti al rischio», perché secondo quanto affermato da Medici senza Frontiere il virus è ormai «fuori controllo» in oltre 60 focolai;
   nonostante giungano dall'Europa rassicurazioni sul virus Ebola: «Voglio rassicurare i cittadini europei, il rischio che l'Ebola arrivi su territorio europeo è estremamente basso» ha fatto sapere il commissario alla salute Tonio Borg in una nota ed è noto che la Ue ha uno standard sanitario, anche sulla prevenzione, molto elevato;
   ricordando alcuni casi precedenti, in cui lo status era stato utilizzato per la pandemia di influenza H1N1, per la cosiddetta «suina», e poche settimane fa per la poliomielite –:
   cosa si sia fatto all'inizio dell'estate e cosa si stia facendo per allertare la popolazione italiana davanti alla epidemia di Ebola, che costituisce un rischio d salute pubblica proprio per la grande mobilità internazionale, tipicamente estiva e quali misure siano state predisposte per contrastare le possibili conseguenze di un'ulteriore espansione dell'infezione, sottolineando come si tratti di una emergenza internazionale di salute pubblica.
(5-03489)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Sardegna ha una configurazione orografica e demografica assolutamente particolare. Con i suoi 24 mila chilometri quadrati di territorio è infatti una delle più estese regioni italiane, ma con i suoi un milione e seicentomila abitanti ha anche la più bassa densità demografica per chilometro quadrato di tutta l'Italia;
   le criticità discendenti da tali peculiarità sono ulteriormente amplificate dalla carenza delle rete viaria e delle comunicazioni, con una elevata quantità di piccoli comuni, insufficientemente collegati con i centri più importanti;
   per effetto di tali difficoltà, risulta assai difficile in Sardegna dare omogeneità ai livelli qualitativi dei servizi al cittadino e, più ancora, risulta spesso impossibile garantire servizi di qualità con costi che siano paragonabili a quelli di altre regioni italiane, che hanno differente distribuzione delle concentrazioni di popolazione;
   tale sofferenza si riscontra anche nella organizzazione dei servizi sanitari: in Sardegna è accentuata più che altrove la tendenza ad accentrare la risposta sanitaria all'interno delle strutture ospedaliere, spesso oltremodo diffuse nel territorio nel tentativo, talora inappropriato, di costituire punti di riferimento per l'erogazione dell'assistenza sanitaria;
   tale situazione ha portato la regione Autonoma della Sardegna a disporre – attraverso le Aziende Sanitarie Locali – un'attività di riconversione delle strutture ospedaliere di minori dimensioni, nel tentativo di fornire una risposta sanitaria più appropriata rispetto ai reali bisogni di salute delle popolazioni;
   esistono peraltro in Sardegna delle particolarità territoriali assolute, rappresentate dalle «isole nell'isola», che necessitano una filosofia d'approccio differente rispetto a quella di qualsivoglia situazione apparentemente simile;
   da questo punto di vista, l'isola di La Maddalena rappresenta senz'altro una condizione straordinaria: si tratta infatti di un insediamento di dodicimila abitanti che, nel periodo estivo, per la sua notevole vocazione turistica, quadruplica o quintuplica la propria popolazione, raggiungendo punte di cinquanta-sessanta mila residenti;
   per effetto di tale carico antropico, decisamente più elevato nel periodo estivo, l'isola de La Maddalena ha potuto storicamente contare su un presidio ospedaliero, il «Paolo Merlo», che ha soddisfatto lungamente le esigenze sanitarie della comunità maddalenina e dei turisti ospitati, consentendo di coprire le principali necessità sanitarie e di sopperire alle difficoltà nei trasporti anche a finalità assistenziali, per via mare e per via aerea, legate agli agenti atmosferici;
   le attuali linee strategiche di programmazione sanitaria regionale tendono alla graduale eliminazione dell'attività di elezione complessa presso il P.O. Merlo, che deve però restare in grado di gestire le necessità più immediate dei residenti e degli ospiti estivi, garantendo in particolare le attività di primo soccorso e di stabilizzazione dei pazienti acuti in condizioni di emergenza-urgenza;
   una delle due camere iperbariche operative in Sardegna è sempre stata localizzata presso il P.O. Merlo;
   tale localizzazione appare ancora oggi razionale in quanto larga parte dell'attività subacquea diportistica e professionale è concentrata in Gallura;
   in particolare, circa la metà degli ottantacinque centri diving sardi è ubicato nel territorio costiero della Gallura, per un computo totale stimato di oltre cinquantamila immersioni/anno;
   la razionalità di tale scelta trova dunque riscontro nella decisione della Amministrazione di provvedere alla sostituzione della vecchia camera iperbarica, con una nuova struttura tecnologica, dotata di 10 + 2 posti all'avanguardia sotto il profilo sanitario, finanziata dalla UE, per un importo di quasi settecento mila euro;
   all'atto della chiusura dell'attività della vecchia camera iperbarica (che aveva diciassette anni di vita !), secondo le notizie di stampa, la ASL 2 di Olbia avrebbe correttamente preso l'impegno di garantire la piena operatività della nuova camera iperbarica maddalenina entro la prima settimana dell'agosto 2014, al fine di fronteggiare le possibili emergenze nel periodo di maggior carico potenziale della struttura;
   la logistica per accogliere la nuova camera iperbarica risulterebbe completata e, addirittura, l'apparecchiatura risulterebbe già consegnata all'Ospedale Merlo. Ciononostante, essa non è ancora operativa, privando l'intero nord Sardegna di una risposta sanitaria fondamentale che, solo durante il primo scorcio dell'estate, ha costretto il trasferimento d'urgenza nell'unica camera iperbarica sarda, operativa nel P.O. Marino di Cagliari, di ben cinque casi di pazienti colpiti da embolia;
   la situazione di precarietà dell'assistenza sanitaria a La Maddalena desta comprensibili preoccupazioni nella popolazione ed è un freno per lo stesso sviluppo turistico dell'isola, già peraltro gravemente compromesso dagli errori di programmazione delle strategie di riconversione economica conseguenti alla scelta dell'utilizzo delle attività militari abbandonate;
   è necessario assicurare l'immediata entrata in funzione della camera iperbarica dell'Ospedale di La Maddalena, accelerando tutte le procedure di collaudo e di messa in esercizio, affinché sia superata quanto prima l'attuale inqualificabile situazione di inutilizzo di attrezzature tecnologiche indispensabili per l'intero nord Sardegna, così come verificare i motivi per cui la sostituzione della vecchia camera iperbarica del P.O. Merlo (per quanto ampiamente programmata, stante la vetustà della vecchia apparecchiatura) sia stata realizzata nel pieno della stagione turistica estiva, quando maggiore è il rischio di emergenze per malattia da decompressione nelle coste del nord Sardegna –:
   di quali elementi disponga in relazione alla situazione di cui in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di assicurare il pieno rispetto dei livelli essenziali di assistenza, in particolare relativamente alla capacità di fronteggiare interventi di stabilizzazione dei pazienti nell'emergenza-urgenza, integrati nella rete regionale del 118, che tengano conto delle peculiarità di isolamento geografico legati all'insularità e del notevole incremento di popolazione residente che si verifica nell'isola di La Maddalena durante i mesi estivi. (4-05899)


   LIUZZI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   venerdì 29 agosto 2014 sul sito della testata giornalistica Basilicata24 (http://basilicata.basilicata24.it/inchieste/%E2%80%9Comicidio%E2%80%9D-all% E2%80%99ospedale-san-carlo-medico-confessa-l%E2%80%99-uccisa-14916.php) viene pubblicato un articolo dal titolo «“Omicidio” all'ospedale San Carlo di Potenza. Medico confessa: “l'abbiamo uccisa”» che descrive la storia della signora Elisa, 71 anni, operata all'Ospedale San Carlo di Potenza il 28 maggio 2013 per la sostituzione di una valvola cardiaca;
   la signora Elisa si affida alle cure dell'Unità Operativa di Cardiochirurgia dell'ospedale. A seguire l'intervento è il dottor Michele Cavone insieme al primario del reparto, il dottor Nicola Marraudino. In più, secondo le fonti di Basilicata24, all'operazione parteciperebbero anche altri due cardiochirurghi, pur non risultando al verbale: Matteo Gaiatti (che non poteva essere lì perché aveva fatto il turno di notte) e Fabrizio Tancredi;
   secondo la testata giornalistica, durante l'intervento, si rompe la vena cava superiore della paziente. Il primario, il dottor Nicola Marraudino, accorre in sala operatoria e decide di fare un clampaggio (azione di blocco dell'emorragia a mezzo di un morsetto chirurgico), che non risolve ma bensì aggrava la condizione della paziente. La signora Elisa viene spostata in terapia intensiva post-operatoria. Il decesso, secondo i documenti ufficiali, avviene 15 minuti dopo. Le fonti di Basilicata24 affermano che in realtà la donna era già morta prima di entrare in terapia intensiva;
   in seguito la procura della Repubblica apre un'indagine dove viene anche predisposta la riesumazione del cadavere della signora Elisa per la conseguente autopsia nel marzo 2014;
   nell'articolo citato, Basilicata24 pubblica una presunta registrazione audio di una conversazione tra il dottor Cavone, presente durante tutta l'operazione, ed un suo collega, avvenuta nell'inverno 2013. Il medico dite: «Ho lasciato ammazzare deliberatamente una persona... sono responsabile della morte di quella persona... dovrei andare ad autodenunciarmi, però verrei licenziato... il primario ha amicizie, coperture politiche, io no». Dalla registrazione audio, sembrerebbe che lo spostamento in terapia intensiva della paziente sia servito ad imputare la causa del decesso ad una delle tante complicanze post operatorie dell'intervento e non alla rottura della vena cava superiore della signora Elisa;
   sull'edizione online de «Il Fatto Quotidiano» del 2 settembre 2014, viene riportata una dichiarazione di Giampiero Maruggi, direttore generale dell'azienda sanitaria lucana, il quale ammette che da anni nella cardiochirurgia potentina si respira un clima di continua «litigiosità». «Ci sono conflitti, non posso negarlo. C'erano prima che giungessi io, e sono continuati dopo». Il direttore generale continua dichiarando che «ho promosso un audit interno, tre cardiochirurghi di fama sono chiamati a valutare l'operosità, il clima, a indicare una strada, una soluzione. E non posso escludere che altri provvedimenti in queste ore possano essere presi in capo ai protagonisti di quella vicenda» –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto sopra esposto;
   di quali elementi disponga il Ministro in merito a ciò che è successo nella struttura ospedaliera del San Carlo di Potenza il 28 maggio 2013 e le registrazioni audio pubblicate da Basilicata24 e quali eventuali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere. (4-05902)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta scritta:


   GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da diverso tempo e in modo sempre più diffuso si registra nella provincia di Avellino e più in generale nell'intera regione Campania, un crescente disservizio nella consegna da parte di Poste Italiane spa della corrispondenza sia ordinaria che commerciale;
   il suddetto cattivo funzionamento interessa le famiglie, che si vedono recapitare in forte ritardo importanti documenti come bollette di utenza, notifiche di pagamenti, comunicazioni legali, avvisi concorsuali, informative mediche che comportano gravi conseguenze di ordine giuridico e amministrativo nonché finanziario; le aziende, enti e liberi professionisti, penalizzati a loro volta nello svolgimento dell'attività imprenditoriale arrecando un considerevole danno economico e gestionale con l'impossibilità di rivalsa da parte dell'utenza in quanto «Poste spa» da tempo non appone più i timbri della «datazione certa» sia di spedizione che di ricezione ordinaria;
   il disservizio sovente interessa anche quella corrispondenza, come le spedizioni di plichi, pacchi e raccomandate che pur collocate nella categoria dei prodotti «sicuri» non risponde più ai suddetti canoni di garanzia e celerità;
   per molti comuni della provincia l'ufficio di zona per il ritiro delle spedizioni inesitate «a firma» è situato a notevole distanza provocando in tal modo un considerevole disagio soprattutto alla popolazione più anziana essendo queste zone sprovviste di un'adeguata rete di collegamento di trasporto pubblico; in particolare nella città capoluogo queste difficoltà sono state percepite in modo più evidente soprattutto in conseguenza del trasferimento del suddetto Centro di ritiro dalle poste centrali, collocate nel centro cittadino, alla zona periferica di Pianodardine, distante diversi chilometri, anch'essa priva di un adeguato servizio di trasporto pubblico;
   diversi uffici delle Poste spa in particolare quelle centrali della città di Avellino, risultano privi di un adeguamento funzionale relativo all'abbattimento delle barriere architettoniche penalizzando fortemente gli utenti diversamente abili che, attraverso le stesse associazioni di volontariato hanno ripetutamente rappresentato, anche di recente, questa sfavorevole condizione;
   il fenomeno si amplifica in particolare nei periodi interessati dall'utilizzo da parte degli operatori postali di ferie e congedi senza che si ponga rimedio attraverso l'impiego di un adeguato numero di personale sostitutivo;
   questo disagio è stato più volte ripreso dagli organi di informazione, dai sindacati, dalle organizzazioni di categoria, da singoli operatori economici e semplici cittadini, nonché dalle associazioni dei consumatori da sempre impegnati su questo versante dei diritti di cittadinanza;
   «Poste Italiane spa» è un'azienda che si occupa della gestione del servizio postale in Italia ma è anche una delle più rilevanti società italiane di servizi logistici e finanziari, il cui capitale è detenuto al 100 per cento dallo Stato italiano tramite il Ministero dell'economia e delle finanze, che ne ha anche la responsabilità del controllo e della sorveglianza, per cui è tenuta a erogare il cosiddetto «servizio universale», assicurandone compiutamente quelli come la consegna della corrispondenza, riconosciuti come «essenziali» dallo Stato italiano e dall'Unione europea –:
   quali iniziative celeri e concrete si intendono porre in essere per risolvere tale incresciosa situazione che si registra oramai da tempo nell'intera regione della Campania e in particolare in Irpinia, per ciò che concerne le dirette responsabilità di «Poste italiane spa». (4-05906)

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Peluffo n. 5-03377, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 31 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Casati.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Gagnarli n. 1-00559, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 270 del 23 luglio 2014.

   La Camera,
   premesso che:
    il Trattato di Lisbona, all'articolo 13, definisce gli animali quali «esseri senzienti», il cui benessere, all'interno dell'Unione europea, deve essere tutelato attraverso una legislazione adeguata ed efficace;
    il benessere è una condizione propria denominale: il soggetto che riesce ad adattarsi all'ambiente si trova in uno stato di benessere, viceversa il soggetto che non ci riesce, perché non ne è in grado per caratteristiche psicofisiche proprie o perché ne è impedito da fattori esterni, si trova in una condizione di stress;
    è evidente, quindi, che il «benessere» è un concetto che investe molteplici aspetti della vita dell'animale e necessita di essere declinato a seconda delle caratteristiche delle sue caratteristiche, poiché ogni specie si è adattata ad un particolare habitat, con caratteristiche fisiche, fisiologiche e comportamentali adatte ad affrontare le varie difficoltà; ogni definizione del benessere deve tener conto dell'ambiente, della fisiologia e del comportamento specifico dell'animale;
    il benessere degli animali può essere misurato attraverso l'analisi di diversi aspetti: dalle tipologie di allevamenti degli animali destinati al consumo umano alle modalità di macellazione messe in atto nei Paesi dell'Unione europea, dalla sperimentazione che avviene in diverse fasi della ricerca medico-scientifica alle fasi di trasporto degli animali per le più svariate esigenze, dalle normative a salvaguardia delle specie selvatiche e a tutela delle specie domestiche e degli animali da compagnia agli allevamenti per animali da pelliccia o alla detenzione degli animali nei circhi;
    è evidente che soltanto una normativa «madre», emanata a livello comunitario, che tenga conto di tutti questi aspetti potrà effettivamente garantire la tutela degli animali in ogni fase e sotto ogni aspetto;
    nell'Unione europea diversi passi avanti sono stati fatti, come il divieto di commercializzazione di pellicce ricavate da cani e gatti (regolamento (CE) n. 1523/2007), oppure una regolamentazione più stringente per gli allevamenti di galline ovaiole (direttiva 1999/74/CE), o ancora una normativa per la detenzione degli animali nei giardini zoologici (direttiva 1999/22/CE), o la direttiva per la conservazione degli uccelli selvatici («direttiva uccelli» 2009/147/CE) o ancora un regolamento per il trasporto degli animali (regolamento (CE) n. 1/2005); tuttavia, molta appare la strada da fare, specie per rendere omogenea in tutta l'Unione europea una normativa sul benessere animale;
    relativamente alla gestione degli allevamenti di animali, sono ancora troppe le disparità tra gli Stati membri e servirebbero legislazioni specifiche poiché è importante che le specie siano tutelate singolarmente, per evitare norme troppo vaghe e non applicabili;
    gli animali da allevamento hanno un insieme di bisogni simili a quelli dei loro antenati selvatici. Sebbene alcune necessità si siano modificate nel corso della domesticazione, alcune esigenze fondamentali, come quelle di cibo, acqua e rifugio, non sono cambiate nel passaggio dall'animale selvatico a quello domestico, ma anche l'istintività che gli animali selvatici esprimono nei comportamenti associati alla riproduzione, alla ricerca del cibo, dell'acqua e del riparo sono ancora presenti negli animali domestici;
    nel 1964 Ruth Harrison pubblicò il libro «Animali macchine» che sollevò la questione del benessere degli animali allevati intensivamente e, in seguito allo scalpore causato da questa pubblicazione, il Governo inglese commissionò un rapporto ad un gruppo di ricercatori da cui scaturì il Brambell report;
    tale rapporto, oltre ad essere uno dei primi documenti ufficiali relativi al benessere animale, enunciò il principio delle cinque libertà per la tutela del benessere animale:
   a) libertà dalla fame, dalla sete e dalla cattiva nutrizione;
   b) libertà dai disagi ambientali;
   c) libertà dalle malattie e dalle ferite;
   d) libertà di poter manifestare le caratteristiche comportamentali specie-specifiche;
   e) libertà dalla paura e dallo stress;
    alcune tra queste «libertà» sono universalmente riconosciute e applicate naturalmente dagli allevatori, altre rientrano nelle competenze dei medico veterinario, mentre la libertà di poter manifestare le caratteristiche comportamentali e la libertà dalla paura e dallo stress rappresentano qualcosa di non sempre immediata comprensione, applicazione e soluzione. Queste due libertà, le più difficili da valutare oggettivamente, rappresentano i punti salienti della normativa europea relativa al benessere degli animali da allevamento;
    la valutazione del benessere coinvolge una serie di risposte che l'animale mette in atto per adattarsi all'ambiente in cui si trova; l'organismo risponde alle varie situazioni ambientali non solo con cambiamenti comportamentali, ma anche con meccanismi fisiologici ed immunitari, che possono avere ripercussioni sullo stato di salute e sull'accrescimento;
    la questione del benessere animale, in definitiva, è e dovrà sempre di più essere considerata quale componente essenziale di un «sistema integrato di qualità di produzione degli alimenti di origine animale», che garantisca al consumatore prodotti provenienti da allevamenti non inquinanti per l'ambiente e dove gli animali vengono allevati secondo criteri che ne rispettino le esigenze fondamentali;
    un altro aspetto legato al benessere animale, che si ripercuote anche sullo stile di vita dei cittadini, è quello dell'etichettatura degli alimenti; la strategia dell'Unione europea per la protezione e il benessere degli animali 2012-2015 sottolinea l'intenzione di consentire ai consumatori di fare scelte informate, in modo che sia il mercato a guidare ulteriori miglioramenti del benessere degli animali. L'etichettatura obbligatoria secondo il metodo produzione è il modo migliore per informare i consumatori e permettere loro di contribuire a guidare i futuri miglioramenti nel benessere degli animali;
    nel 2004 l'Unione europea ha introdotto l'etichettatura obbligatoria secondo il metodo di produzione per le uova in guscio, un sistema di etichettatura innovativo che si è dimostrato utile ai consumatori e ha contribuito a migliorare in maniera significativa il benessere delle galline. I dati della Commissione europea mostrano che la percentuale di galline ovaiole non allevate in gabbia in Europa è passata dal 19,7 per cento del 2003 al 42,2 per cento nel 2012 (CIRCABC, 2013);
    nel nostro Paese, come in altri Stati dell'Unione europea, è tuttora consentita la macellazione rituale che consente l'abbattimento dell'animale senza alcun preventivo stordimento finalizzato ad evitare all'animale eccitazioni, dolori e sofferenze. Una tale pratica è stata duramente condannata dal Farm animal welfare committee (Fawc) e dalla Federazione dei veterinari europei (Fve) ed è importante sottolineare che la macellazione rituale è vietata sia in Paesi come l'Austria, l'Olanda, la Svizzera e la Svezia, sia in Malesia, Paese a maggioranza islamica;
    recentemente, il Comitato nazionale per la bioetica ha affermato che la libertà religiosa, quando si traduce in comportamenti esterni, deve rispettare alcuni limiti che scaturiscono dalla comparazione con altri valori tutelati dal nostro ordinamento giuridico; nel caso delle macellazioni rituali la comparazione va operata con il principio della protezione degli animali e della tutela del loro benessere;
    sempre relativamente alla macellazione animale, è importante ricordare che ogni anno tre milioni di animali europei vengono esportati vivi per essere ingrassati, ma soprattutto macellati al di fuori dell'Unione europea. Un gran numero di questi è destinato al Medio Oriente, dove recenti indagini (ad esempio di Ciwf, Animals Australia) hanno svelato crudeltà inimmaginabili. Quando questi animali raggiungono i Paesi terzi, ogni pur minima protezione ricevuta nel loro luogo di nascita viene perduta. In Italia la petizione per chiudere uno di questi macelli mediorientali che ricevono animali europei ha raggiunto oltre 80.000 firme;
    un altro aspetto che non può essere trascurato è quello della clonazione animale. La Commissione europea propone di vietare la clonazione degli animali «da reddito» e la commercializzazione di carne e latte da loro derivati, ma non quella della progenie degli animali clonati e, soprattutto, non ha proposto di etichettare i prodotti di animali clonati;
    dal 1o luglio 2014 l'Italia ha iniziato il suo semestre di Presidenza del Consiglio dell'Unione europea e sarebbe auspicabile un'azione concreta e caratterizzante volta alla tutela del benessere animale in tutta l'Unione europea,

impegna il Governo:

   a promuovere l'applicazione puntuale della legislazione vigente in materia di animali da allevamento, con particolare riguardo a quella per la protezione dei suini (direttiva 2008/120/CE) e del trasporto (regolamento (CE) n. 1/2005), norme rispetto alle quali sono documentate ricorrenti violazioni in numerosi Stati membri;
    ad assumere iniziative affinché sia potenziato l'ufficio veterinario della Commissione europea (Food and veterinary office – Fvo) in modo da assicurare maggiori controlli dell'applicazione delle normative comunitarie sulla sicurezza alimentare, salute e benessere animale;
    a sostenere l'introduzione di norme minime per la protezione delle specie ancora prive di tutela individuale, come vacche da latte, conigli, tacchini, pesci, al fine di garantire un'adeguata tutela specifica degli animali nelle diverse specie di allevamenti;
    a prendere una posizione chiara e concreta contro la clonazione degli animali per la produzione di cibo e la commercializzazione della loro progenie;
    a promuovere a livello comunitario l'approfondimento delle condizioni scientifiche ed economiche al fine della revisione del regolamento (CE) n. 1/2005 sulla protezione degli animali durante il trasporto;
    ad adoperarsi affinché l'Europa, come già fatto dall'Australia, richieda che i propri animali esportati verso Paesi terzi siano macellati in conformità con gli standard dell'Organizzazione mondiale della sanità animale (Oie) e, allo stesso tempo, si attivi per aiutare i Paesi importatori a migliorare i propri standard di benessere animale;
    a promuovere una disciplina comunitaria che introduca il divieto di macellazione rituale, affinché la libertà religiosa dei singoli Stati membri non entri in conflitto con la tutela degli animali in quanto esseri senzienti;
    a sostenere l'introduzione dell'etichettatura obbligatoria secondo il metodo di produzione estensivo o intensivo – attualmente in vigore solo per le uova – anche per i prodotti a base di carne o lattiero-caseari, nonché per le carni di pollame;
    a sollecitare, per quanto di competenza, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo affinché interrompa i finanziamenti per gli allevamenti intensivi;
    a promuovere programmi di educazione all'alimentazione sostenibile che inducano i cittadini ad un consumo attento e maggiormente etico dei prodotti animali o da essi derivati, spingendo verso la predilezione per alimenti provenienti da allevamenti non intensivi e rispettosi della normativa comunitaria;
    a sostenere l'introduzione di una disciplina comunitaria finalizzata al divieto di allevamento, di cattura e uccisione di animali per la loro pelliccia, per mettere fine ad una pratica anacronistica quanto crudele;
    a garantire, in particolare, la tutela delle specie europee di avifauna di interesse conservazionistico, classificate come Spec1, Spec2 e Spec3 da Birdlife international, attraverso rigorose misure di protezione che comprendano anche l'esclusione di tali specie tra quelle cacciabili;
    a promuovere in tutti i Paesi dell'Unione europea pratiche per il contenimento delle specie alloctone invasive che non prevedano metodi di eradicazione cruenti, ma puntino all'utilizzo di metodi ecologici;
    a farsi promotore di una disciplina europea finalizzata al divieto dell'utilizzazione di animali nei circhi, negli spettacoli e nelle mostre itineranti;
    a promuovere un'azione di tutela degli animali da affezione e di prevenzione al randagismo, anche attraverso programmi veterinari e di adozione dei cuccioli, così da evitare in qualunque Stato membro la possibilità di uccidere cani o gatti randagi, e a promuovere l'adozione di un sistema di identificazione e registrazione obbligatoria a livello europeo, così da scongiurare il traffico illegale di animali;
    a promuovere progetti, anche di carattere normativo, volti a tutelare il benessere e la salute degli equidi, partendo dall'istituzione di un'anagrafe equina efficace che garantisca una reale tracciabilità dell'animale soprattutto a fine carriera sportiva, nonché ad incentivare la competenza dei proprietari, dei detentori e dei veterinari in materia di benessere e salute dell'equide, promuovendo la lotta al doping e alle corse clandestine;
    a regolamentare le attività degli equidi nei diversi territori (utilizzati per il trasporto di turisti, nei parchi e siti naturali o per fini di prevenzione e vigilanza nel territorio), nonché il loro utilizzo per finalità sociali a promozione di uno stile di vita più naturale ecocompatibile e nel rispetto del loro benessere;
    a sostenere i progetti comunitari Life per la tutela della fauna selvatica, rivalutando con una commissione indipendente di livello europeo la captivazione permanente degli orsi catturati negli scorsi anni in Trentino Alto Adige, assumendo le iniziative di competenza per bloccare la cattura dell'orso Daniza e dei suoi cuccioli, e per evitare modifiche unilaterali locali al Piano d'azione interregionale per la conservazione dell'orso bruno nelle Alpi centro-orientali;
    ad effettuare, per quanto di competenza, un monitoraggio dei centri di recupero di animali selvatici al fine di assumere iniziative, anche normative, per promuovere e sostenere una rete di tali centri per dare piena applicazione alle direttive e ai regolamenti europei sulla protezione degli animali selvatici custoditi nei giardini zoologici, impiegati in attività circensi, utilizzati nel commercio illegale.
(1-00559)
(Nuova formulazione) «Gagnarli, Gallinella, Parentela, Petraroli, L'Abbate, Lupo, Massimiliano Bernini, Benedetti, Baldassarre, Segoni».