Camera dei deputati

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 29 luglio 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    in Libia lo scontro tra milizie islamiche e filo-governative, in atto da settimane soprattutto nelle due principali città, Tripoli e Bengasi, sta facendo sprofondare il Paese nel caos assoluto;
    in particolare, a Bengasi lo scontro è tra le truppe fedeli dell'ex generale Khalifa Haftar e gli islamici guidati da Ansar Al Sharia, mentre a Tripoli lo scontro si è accesso quando la fazione dei miliziani islamici di Misurata ha cercato di conquistare l'aeroporto presidiato dai miliziani di Zintan, città che si trova a 90 miglia a sudovest di Tripoli;
    soltanto a Tripoli, dal 13 luglio 2014, giorno di inizio degli scontri, sono rimaste uccise più di 100 persone con almeno 400 feriti;
    fonti ospedaliere libiche indicano che soltanto nell'ultima settimana sono morte 150 persone, la maggioranza tra Bengasi e Tripoli;
    nel Paese, i principali aeroporti sono inagibili. Quello di Bengasi è fermo da almeno tre mesi, mentre quello di Tripoli è stato ridotto in macerie durante i feroci combattimenti delle ultime due settimane;
    attualmente le uniche vie di entrata e uscita dal Paese sono attraverso le frontiere con l'Egitto e la Tunisia;
    numerose ambasciate sono state temporaneamente evacuate dal Paese, tra cui quella degli Stati Uniti che ha spostato la propria rappresentanza in Tunisia, mentre la grandissima ma maggioranza dei Paesi arabi, nonché Giappone, Turchia e l'ONU hanno chiuso permanentemente le loro sedi diplomatiche;
    l'attuale fase di instabilità, che perdura ormai da molti mesi, ha visto la totale assenza di iniziativa da parte della comunità internazionale e del nostro Paese;
    dal 27 di luglio 2014, due depositi di greggio alla periferia di Tripoli sono in fiamme e il portavoce del Ministro del petrolio libico Mohammad al Harari ha affermato che «la situazione è oramai fuori controllo» chiedendo aiuto internazionale e facendo appello alla popolazione civile residente in un raggio di 5 chilometri attorno ai due depositi ad evacuare al più presto le proprie case;
    si calcola che stiano bruciando, ad oggi, quasi 6 milioni di litri di greggio, con un disastro ecologico ed ambientale di proporzioni enormi;
    in larghe parti del Paese, attualmente, mancano l'energia elettrica e l'acqua e si teme un «disastro umanitario» come annunciato dalle autorità libiche;
    il 25 giugno 2014 si sono tenute le elezioni al Parlamento libico che ha visto la vittoria delle forze laiche e liberali del Paese dopo la formale messa al bando dei partiti politici;
    nonostante la proclamazione dei risultati elettorali è, in realtà, ancora incerta quale sarà la futura composizione politica del nuovo Parlamento, data la presenza di soli candidati «indipendenti». Ad ogni modo sembra netta la sconfitta dei partiti di ispirazione islamica;
    il 4 di agosto è il giorno in cui dovrebbe insediarsi la nuova Camera dei rappresentati, ed esserci il passaggio di poteri con il Congresso generale nazionale libico (il Parlamento uscente);
    la situazione è così caotica che al momento non si conosce né il luogo della cerimonia né quello della prima seduta della nuova Camera dei rappresentanti e appare sempre più probabile, anche alla luce della sconfitta dei candidati espressione dei partiti islamici alla consultazione del 25 giugno 2014, che si arrivi ad una polarizzazione sempre più netta tra le varie fazioni locali di filo-islamici e anti-islamici e tra i rivoluzionari e anti-rivoluzionari che porti ad una seconda guerra civile nel Paese;
    l'Italia ha una presenza in Libia di circa 200 lavoratori e 700 residenti con passaporto italiano e diversi impianti di estrazione di petrolio e gas gestiti da Eni:
    il nostro Paese, attualmente è impegnato in Libia con tre diverse missioni internazionali delle forze armate, con un costo di più di 15 milioni di euro per il 2014 e un impiego di quasi 150 unità, principalmente in attività assistenza, supporto, formazione delle forze armate libiche;
    da un comunicato della Farnesina del 27 luglio 2014, si apprende che il Ministro degli affari esteri «ha disposto da giorni un piano di tutela dei connazionali nelle zone più a rischio e favorito il trasferimento» di coloro che avevano manifestato l'intenzione di lasciare il Paese e che quindi «sono stati evacuati sotto protezione 100 connazionali», terminando il comunicato con «La nostra ambasciata continua ad assicurare il massimo impegno a tutela della collettività e degli interessi italiani in Libia», non aggiungendo null'altro sulla grave situazione venutasi a determinare in Libia, sugli intendimenti del Governo in merito e delle eventuali strategie,

impegna il Governo:

   a proporre nelle sedi internazionali e nell'ambito dell'Unione europea iniziative per l'immediato cessate il fuoco tra tutte le parti in conflitto in Libia;
   ad agire tempestivamente, insieme alla comunità internazionale, per un aiuto internazionale in relazione alla grave crisi umanitaria e ambientale determinatasi, a seguito dell'incendio dei depositi di petrolio;
   ad agire, non solo, per la garanzia degli interessi italiani in Libia ma anche per garantire la transizione democratica della Libia e scongiurare una nuova guerra civile;
   a organizzare una conferenza internazionale di pace con tutte le parti in conflitto in Libia e la comunità internazionale.
(1-00562) «Scotto, Palazzotto, Fratoianni, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Kronbichler, Giancarlo Giordano, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaratti».


   La Camera,
   premesso che:
    è in atto un'intenso dibattito negli Stati Uniti sull'effettiva affidabilità del caccia-bombardiere multi-ruolo F-35, sviluppato dalla Lockheed-Martin come unico velivolo della categoria di quinta generazione, nell'ambito di un programma multinazionale in cui sono da anni coinvolti numerosi Paesi, tra i quali il nostro, che ha anche ottenuto l'installazione a Cameri dell'unica Faco esistente fuori dai confini statunitensi;
    in particolare, si rileva come il velivolo, di cui è iniziata la produzione anche nel nostro Paese, mentre ne continuano negli Stati Uniti l'aggiornamento e sviluppo tecnologico, abbia manifestato problemi motoristici che ne hanno sconsigliato l'esibizione al salone aeronautico di Famborough, in Gran Bretagna;
    tuttavia, non è affatto da escludere che Lockheed-Martin e le numerose aziende coinvolte nel programma F-35 riescano comunque a risolvere i problemi tecnici affiorati finora;
    con un atto d'indirizzo l'Assemblea della Camera dei deputati ha già impegnato il Governo a «non procedere a nessuna fase di ulteriore acquisizione senza che il Parlamento si sia espresso in merito», vale a dire, sostanzialmente, all'arresto temporaneo della partecipazione nazionale al programma, cosa che ha comportato la sospensione di tutti i pagamenti dovuti, stando a quanto il Ministro della difesa ha dichiarato alle Commissioni difesa dei due rami del Parlamento il 24 giugno 2014, anche se a Cameri sono in assemblaggio i velivoli destinati al nostro Paese ed appartenenti al lotto 6, in consegna tra il 2015 ed il 2016;
    con il documento, noto anche come «lodo Scanu», approvato a conclusione di un'indagine conoscitiva sui maggiori programmi di acquisizione di armamenti in corso, la Commissione difesa della Camera dei deputati ha raccomandato il 7 maggio 2014 il dimezzamento delle risorse conferite al programma;
    il Ministero della difesa sta elaborando un nuovo libro bianco, le cui linee guida sono già state condivise con il Capo dello Stato, nell'ambito della sede istituzionale del Consiglio supremo di difesa, ma che dovrà essere discusso dal Parlamento;
    dal confronto sul futuro libro bianco dovranno emergere i fondamenti di una politica nazionale di sicurezza e difesa effettivamente condivisa, dai quali discenderanno le scelte in materia di sistemi d'arma da acquisire;
    le Forze armate non possono essere ridotte ad un inutile «stipendificio» in tempi tanto difficili e pericolosi, ma devono invece essere ammodernate in tutte le loro componenti, facendo il miglior uso possibile delle ridotte risorse disponibili, tenendo conto anche delle alleanze di cui il nostro Paese fa parte;
    la complessità dei moderni sistemi d'arma esige archi di tempo lunghissimi per la loro progettazione, produzione, sviluppo ed aggiornamento;
    l'F-35 rappresenta anche, in questo momento, un pegno ed un elemento basilare del rapporto politico che lega nella sfera della sicurezza e difesa il nostro Paese agli Stati Uniti, relazione di importanza strategica in un contesto internazionale sempre più instabile, incerto ed insicuro;
    le difficoltà in cui si dibatte la finanza pubblica stanno comportando tagli in settori non meno delicati della difesa, come, ad esempio, quello della sicurezza interna e dell'ordine pubblico, al quale si stanno sottraendo 1,5 miliardi di euro,

impegna il Governo:

   a respingere la prospettiva del disarmo aereo nazionale avanzata nel documento approvato dalla Commissione difesa della Camera dei deputati, noto come «lodo Scanu», subordinando tuttavia la continuazione della partecipazione del nostro Paese al programma F-35 agli esiti delle verifiche tecniche sull'affidabilità del velivolo e chiedendo al Governo degli Stati Uniti di ammettere personale italiano ai test che vengono condotti sulla piattaforma;
   a garantire comunque la prosecuzione dell'ammodernamento delle forze aeree ed aeronavali del nostro Paese, in un quadro di immutata collaborazione con il Governo degli Stati Uniti, eventualmente negoziando, in caso di ulteriori difficoltà tecniche del programma F-35, l'acquisto o il leasing di una congrua partita di caccia F-22 Raptor e, per la Marina, l'acquisizione dei più recenti esemplari di AV-8 B che verranno dismessi dal Corpo dei marine;
   ad assumere iniziative per destinare al comparto sicurezza interna i risparmi temporaneamente conseguiti con la sospensione dei pagamenti dovuti per l'F-35, in modo tale da revocare almeno per l'anno 2014 i tagli disposti in sede di spending review a carico del Ministero dell'interno.
(1-00563) «Gianluca Pini, Marcolin, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Prataviera, Rondini, Simonetti».

Risoluzioni in Commissione:


   La I Commissione,
   premesso che:
    durante il Consiglio dei ministri del 18 aprile 2014 il Premier Matteo Renzi aveva annunciato: «direttori generali e Sottosegretari andranno a piedi o in autobus»;
    il decreto-legge Irpef (n. 66 del 2014) convertito con modificazioni dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, in vigore dal 24 giugno 2014, all'articolo 15 stabilisce che «con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, è indicato il numero massimo, non superiore a cinque, per le auto di servizio a uso esclusivo, nonché per quelle ad uso non esclusivo, di cui può disporre ciascuna amministrazione centrale dello Stato»;
    secondo le ultime stime dei rapporti Istat e della Corte dei conti, la crisi economica che ha investito il nostro Paese sta rallentando la nostra economia al punto di far prefigurare un imminente rischio deflattivo;
    nonostante lo stringente bisogno di ridurre le spese, ribadito dal commissario per la spending review Cottarelli e dallo stesso Premier Renzi, la legge per il taglio delle auto blu è rimasta inapplicata: «quel decreto di palazzo Chigi non è mai arrivato, le auto blu sono state ridotte soltanto al Ministero del tesoro dove lavora Cottarelli, da 24 a 12, con i vertici che devono prenotarsi per usare la vettura di servizio. Le altre 6.500 auto blu circa sono ancora tutte in servizio» come riportato in un articolo del Fatto quotidiano lo scorso 3 luglio 2014;
    in un momento così difficile per il Paese, lasciare disattesa una norma incisiva non solo su una spesa superflua ma su un tipico privilegio di casta, che nonostante le nuove e più stringenti norme e direttive per il contenimento dei costi, secondo il monitoraggio effettuato da Formez PA per il dipartimento della funzione pubblica, nel 2012 è costato 335,5 milioni di euro, significa trascurare una misura di equità sociale e rischiare ancora una volta di intaccare la fiducia dei cittadini nei confronti della politica;
    durante la conversione in legge del suddetto decreto, il comma 2 dell'articolo 15 è stato modificando introducendo la seguente disposizione: «Decorsi trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ove il predetto decreto non risulti adottato, opera in ogni caso il limite sopraindicato»;
    ad oggi i Ministeri destinatari della disposizione, in assenza del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previsto entro il 25 luglio 2014, non hanno adottato nessuna disposizione in materia, causando incertezza sull'applicazione della normativa,

impegna il Governo

ad adottare immediatamente tutti gli atti di propria competenza, regolamentare, amministrativa e altro, necessari a rendere operativa la misura illustrata in premessa di rilevante importanza economica e sociale.
(7-00443) «Cozzolino, Sorial».


   La II Commissione,
   premesso che:
    la legge n. 354 del 1975 recante «Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà», agli articoli 12 e 19, prevede esplicitamente la presenza di una biblioteca in ogni istituto penitenziario;
    con il decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000 è stato emanato il regolamento di esecuzione della predetta legge e gli articoli 41, 42, 43, 44 del regolamento normano rispettivamente i corsi di istruzione nella scuola dell'obbligo, i corsi di formazione professionale, i corsi di istruzione secondaria superiore, gli studi universitari. L'articolo 21 «servizio di biblioteca» dispone che la biblioteca debba essere costituita da libri e periodici scelti secondo criteri che garantiscano una equilibrata rappresentazione del pluralismo culturale esistente nella società, assicurando ai soggetti in esecuzione di pena un agevole accesso alle pubblicazioni presenti in biblioteca, oltre alla possibilità di consultare altre pubblicazioni mediante l'attuazione di specifiche intese con biblioteche e centri di lettura pubblici;
    il ruolo della biblioteca all'interno dell'istituto penitenziario trova — dunque – espressione negli ambiti culturali e formativi, settori all'interno dei quali la biblioteca può e deve assumere un ruolo propulsivo/propositivo per stimolare e supportare la crescita personale e culturale dei reclusi, sia per incentivare la permeabilità interno/esterno ma soprattutto per creare occasioni di incontro e di relazione per quei soggetti che si trovano momentaneamente a vivere una condizione di mancanza di libertà;
    la circolare del dipartimento di giustizia minorile – direzione generale per l'attuazione dei provvedimenti giudiziari – del 17 febbraio 2006 – protocollo n. 5391 riconosce che «L'introduzione del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000 ha rappresentato sicuramente un elemento di novità rilevante nell'ambito del Diritto Penitenziario. Tuttavia tale decreto non può supplire alla mancanza a tutt'oggi di un Ordinamento e di un Regolamento Penale per i minorenni in stato di detenzione. Pertanto si è ritenuto opportuno focalizzare ed approfondire alcuni elementi del modello di intervento alla luce della normativa emanata da Organismi Europei – “Regole minime per l'amministrazione della giustizia minorile” (ONU, New York, 29 novembre 1985: cosiddetta Regole di Pechino); Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva dall'Italia con legge 27 maggio 1991 sulla protezione dell'infanzia — e della recente giurisprudenza italiana in materia. La cornice in cui si collocano le regole che scandiscono la vita quotidiana dell'Istituto è quella configurata dalle norme e procedure sancite dalla decreto del Presidente Repubblica n. 230 del 2000 e successivamente recepite dai Regolamenti Interni degli IPM, approvati dal Dipartimento Giustizia Minorile». Tra i vari aspetti della vita istituzionale disciplinati dai regolamenti interni vi sono anche il possesso, acquisto e ricezione di generi ed oggetti la cui puntuale previsione viene però rimandata alle singole direttive carcerarie;
    sul sito del Ministero della giustizia vengono forniti i dati relativi alle schede predisposte per la raccolta dei dati sulla presenza e sulla funzionalità delle biblioteche penitenziarie per l'anno 2012 – restituite da 188 istituti penitenziari su 206. Tali dati evidenziano una situazione in evoluzione, all'interno della quale molto ancora è possibile realizzare affinché la biblioteca penitenziaria possa svolgere pienamente la propria funzione, mediante una fattiva e strutturata collaborazione con le istituzioni del territorio e con le componenti più sensibili della società civile;
    sotto questo profilo, il Ministero rende noto che – al momento – è attiva una collaborazione con l'Associazione italiana biblioteche (AIB) e con gli organismi di rappresentanza degli enti locali (regioni, province e comuni), il cui scopo sarà quello di siglare un protocollo d'intesa finalizzato al miglioramento ed alla promozione dei servizi di biblioteca in favore dei soggetti in esecuzione pena;
    nonostante quanto previsto dal Regolamento e dalla collaborazione attivata con l'AIB, la realtà contraddice nella prassi la norma. Un recente articolo di stampa denuncia che l'introduzione negli istituti detentivi di volumi con copertina rigida è vietata, mentre gli altri sono limitati, riaprendo un'annosa diatriba se la presenza di libri per i detenuti sia un diritto o una concessione;
    l'articolo riporta il caso recentemente accaduto in Inghilterra dove la breve detenzione di un ex-deputato laburista ed ex-ministro, Denis MacShane, ha fatto esplodere uno scandalo tuttora non sopito a causa delle dichiarazioni del Ministro della giustizia britannico che ha dichiarato che il divieto di portarsi libri o riceverli per pacco o dai parenti è una misura tesa a far sì che i detenuti siano meritevoli di riceverli: in sostanza, i libri devono essere un premio alla buona condotta. I responsabili dell'istituto di pena hanno invece ripiegato sulle ragioni di sicurezza: i pacchi vanno controllati, e il personale è poco. In realtà, al di là delle legittime esigenze di sicurezza e di controlli all'interno degli istituti penitenziari, poche cose sono facilmente controllabili come i libri;
    in altri Paesi – al contrario – la lettura dei libri in carcere viene addirittura premiata. In Brasile è stato varato un provvedimento battezzato «Reembolso atraves da leitura» (rimborso attraverso la lettura) che prevede una riduzione della pena per reati non particolarmente gravi a seconda del numero dei libri letti. La norma si basa sulla considerazione che la lettura sia un antidoto al disagio e favorisca la consapevolezza ed il riscatto sociale e personale;
    al di là delle diverse concezioni che reputano alternativamente la lettura un premio alla buona condotta e quella che considera buona condotta la lettura, ciò che non va sottovalutato è che la lettura è un'attività ormai connaturata all'uomo, e lo è certamente di più dove l'uomo è privato della libertà. I libri e i giornali sono il mondo surrogato che permette ai detenuti di vivere la propria condizione con maggiore dignità, specie in un sistema carcerario come quello italiano in cui il sovraffollamento è un dramma ormai non più eludibile;
    anche se la maggioranza degli istituti detentivi vede la presenza di una biblioteca all'interno, tuttavia queste risultano ancora poco fornite in generale e specialmente di libri e giornali adatti alla popolazione straniera. Spessissimo non si accolgono i detenuti in modo che possano guardare i libri, sfogliarli, sceglierli. Molto viene fatto da volontari o enti locali (che hanno per legge la responsabilità delle biblioteche carcerarie) scontrandosi con gli impedimenti e a volte i boicottaggi quotidiani della vita carceraria. Perfino regalare libri alle biblioteche penitenziarie è un'impresa, fra passaggi burocratici e questioni di catalogo e spazio;
    il problema si acutizza e diventa ancora più drammatico quando si parla di istituti penali minorili dove, al di là dei programmi ministeriali scolastici previsti per legge, poco viene fatto per incentivare e promuovere la lettura, quando addirittura non viene ostacolata da prassi consolidate,

impegna il Governo:

   ad avviare un censimento, entro sei mesi, all'interno delle biblioteche carcerarie per valutare l'entità dell'offerta di libri e di giornali a disposizione dei detenuti, con particolare riguardo ai testi in lingua rispetto alla popolazione straniera presente negli istituti;
   a facilitare il possesso di testi provenienti dall'esterno e la fruizione di libri e giornali all'interno degli istituti detentivi, rimuovendo – laddove presente – qualunque restrizione relativa al numero di libri e giornali a disposizione contemporaneamente;
   a promuovere ed incentivare la donazione da parte di enti pubblici e privati e singoli cittadini di dotazioni librarie a favore delle biblioteche carcerarie;
   a promuovere la sottoscrizione di accordi tra gli istituti penitenziari e le case editrici al fine di favorire la donazione di opere rimaste nelle disponibilità delle stesse;
   ad assumere iniziative per prevedere una norma specifica da inserire nei regolamenti carcerari che disciplini puntualmente la fruizione di libri e giornali negli istituti detentivi, con particolare riguardo ed attenzione agli istituti di pena minorili.
(7-00442) «Verini, Zampa, Ferranti, Amoddio, Giuliani, Iori, Magorno, Marzano, Mattiello, Morani, Rostan, Tartaglione».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   svariate sono state le segnalazioni rivolte all'assessorato all'igiene e sanità della regione Sardegna, al Ministro della salute e alla competente direzione generale problematiche veterinarie e internazionali – salute degli animali dell'Unione europea circa una scorretta gestione dei SOA – sottoprodotti di origine animale in Sardegna, con particolare riferimento al rischio che i SOA i di derivazione suina, nonostante gli espliciti, rigorosissimi divieti, possano essere trasferiti fuori dal territorio regionale, aggirando illegittimamente la normativa vigente;
   dà purtroppo conforto a tale preoccupazione il rilievo di cronaca da cui risulta che, in data 3 ottobre 2013, la Guardia Forestale, nella sua attività di prevenzione e di repressione di eventuali comportamenti contra legem, abbia sequestrato nel porto di Cagliari ben trenta tonnellate di sottoprodotti di origine animale, fra cui ovini morti a seguito dell'epidemia di «blu e tongue», scarti di bovino con tracce di Bse e scarti di suino contenenti tracce di peste suina africana; 
   partendo da tale sequestro, sembrerebbe che la procura distrettuale antimafia di Cagliari abbia avviato un'inchiesta giudiziaria a carico di una impresa sarda per la quale si ipotizzerebbe il traffico illegale di sottoprodotti di origine animale (suina in particolare) che, invece di essere smaltiti in Sardegna, sarebbero stati trasformati in farine animali e successivamente rimmessi nel circuito alimentare, con conseguenti gravissimi rischi di propagazione della PSA sul territorio nazionale e su quello europeo;
   nonostante l'inchiesta in corso, è altissimo il rischio che sul territorio regionale sardo possano ancora operare illegalmente attività di impresa che trasferiscano la maggior parte dei propri ritiri di SOA fuori dal territorio regionale. Da alcune stime fatte, si potrebbe addirittura arrivare a circa ottanta – novanta mila chilogrammi settimanali di soli scarti suini;
   in Sardegna, i centri autorizzati allo smaltimento di materiali di categoria 1 e 3 sarebbero soltanto tre, ma a nessuno di questi durante l'ultimo anno, risulterebbe essere stata conferita alcuna quantità di sottoprodotti di origine animale. È, pertanto, presumibile che ci siano ancora soggetti imprenditoriali che stiano operando un trasferimento non conforme alle norme giuridiche di sottoprodotti di origine animale senza che ci sia una effettiva tracciabilità fra la quantità/qualità da smaltire e quella effettivamente smaltita;
   tale sospetto risulta essere ulteriormente confermato anche dai prezzi che alcuni soggetti imprenditoriali offrirebbero per lo smaltimento, che sarebbero di gran lunga inferiori a quelli praticati nei centri regionali effettivamente abilitati ad effettuare lo smaltimento stesso, secondo le vigenti norme di legge;
   tale azione di impresa di acquisizione per lo smaltimento, apparentemente sottocosto, parrebbe spiegabile soltanto con l'ipotesi che i sottoprodotti di origine animale raccolti possano subire una impropria riclassificazione, dalla categoria 1 alla categoria 3, durante le attività di convogliamento alle strutture di smaltimento;
   tale ipotesi parrebbe avvallata anche dalle notizie diffuse in merito all'ispezione e al sequestro operato dalla Guardia forestale il 3 ottobre 2013 che avrebbe consentito di accertare una situazione di trasferimento di sottoprodotti di origine animale di categoria 1, senza che venissero rispettate le prescrizioni di legge;
   i centri di smaltimento sardi sono ampiamente in grado di trattare e smaltire i sottoprodotti di origine animale prodotti in Sardegna, senza che in alcun modo si debba far ricorso a trasferimenti al di fuori dal territorio regionale e pertanto nel pieno rispetto delle raccomandazioni dell'Unione europea –:
   quali misure urgenti, per quanto di propria competenza, intenda porre in essere per evitare ogni rischio di diffusione della peste suina africana oltre i confini della Sardegna attraverso il trasferimento oltre il Tirreno dei sottoprodotti di origine animale di origini suina, garantendo che siano concretamente ed efficacemente applicati i controlli e le sanzioni previsti dalla vigente normativa e indicati nella nota del marzo 2013 della Direzione generale della sanità – servizio prevenzione riguardo alla vigilanza su tutti gli operatori produttori di sottoprodotti di origine animale di origine suina (macelli, sezionamenti, stabilimenti, eccetera) e sugli operatori registrati in Regolamento (CE) 1069/2009 che raccolgono sottoprodotti di origine suina. (4-05714)


   COSTANTINO, PELLEGRINO e ZARATTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel corso dei primi anni del 2000, la società SEI (Saline Energie Ioniche) s.p.a. progetta una centrale a carbone della potenza di 1320 MWe in località Saline Joniche, comune di Montebello Ionico (circa 25 chilometri a sud della città di Reggio Calabria);
   azionisti della SEI sono: Repower A.G. (57,5 per cento), Gruppo Hera (20 per cento), Foster Wheeler Italiana S.r.l. (15 per cento), Apri Sviluppo S.p.a. (7,5 per cento);
   la SEI ha richiesto una concessione di durata cinquantennale di una parte consistente del demanio marittimo controllato dal porto di Saline (nell'area ex Liquichimica contigua), con lo scopo di costruire un terminale marino ad utilizzo della centrale;
   la Repower A.G. è uscita dal progetto non solo perché, dal settembre 2013 le aziende svizzere del Cantone dei Grigioni a partecipazione pubblica non possono più investire in centrali a carbone neppure fuori dai confini nazionali, ma anche perché l'azienda ha complessivamente svalutato il progetto per la scarsa sicurezza di riuscita;
   il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo si è espresso negativamente perché il progetto della centrale si ripercuoterebbe in maniera sfavorevole su una zona che conta 18 aree vincolate di cui 5 sono di interesse comunitario nel ristretto raggio di 5 chilometri. Il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha avvalorato il suo parere negativo anche in funzione di una non conformità al vincolo archeologico che risiede in parte nella zona indicata e per il vincolo di protezione e tutela paesaggistica che riguarda, per legge, la fascia costiera;
   la regione Calabria, sin dal 2008, con la delibera di giunta n. 686 del 6 ottobre 2008 ha sancito la sua contrarietà al progetto e alla concessione dell'area demaniale, posizione che ha ribadito anche all'ultima conferenza di servizi, tenutasi nel dicembre 2013, confermando che «la regione non fornirà alcuna ulteriore intesa in sede di conferenza di servizi indette dal Ministero delle Attività Produttive e dal Ministero dell'Ambiente, per la realizzazione di centrali termoelettriche sul territorio regionale, ritenendosi sufficiente il numero delle cinque autorizzazioni già rilasciate da parte del Ministero delle Attività Produttive»;
   la regione Calabria attualmente produce un surplus di energia rispetto ai consumi;
   numerosissime associazioni, tra cui Legambiente (che ha fornito numerosi dossier di studi sull'area e l'ipotesi di inutilità del progetto, nonché di pericolo per l'ambiente circostante in un contesto protetto da vincolo paesaggistico e archeologico), Legambiente, Wwf, Greenpeace, Lipu, i cittadini e le amministrazioni comunali dell'area interessata (in primis il comune di Montebello Jonico, dove risiede l'area del progetto), riunitesi nella sigla «Coordinamento Associazioni Area Grecanica – No al carbone», sin dall'inizio si sono mobilitate per scongiurare la realizzazione della centrale a carbone e la concessione demaniale delle aree portuali richieste dalla SEI, confortate dal parere negativo della regione Calabria e del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   il decreto del Presidente del Consiglio del 15 giugno 2012 che ha cercato di risolvere, con evidente forzatura, il conflitto con la regione Calabria e con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo è stato impugnato davanti al Tar dalla stessa regione Calabria e da 15 associazioni dei produttori agricoli (con particolare interesse i produttori di bergamotto), e hanno presentato ricorso Legambiente con WWF e Greenpeace;
   la promessa di creazione di posti di lavoro, in un luogo come la Calabria, che presenta rischi di forti infiltrazioni mafiose, si basa su un progetto a enorme rischio di fallimento, e che può diventare l'ennesima «cattedrale nel deserto», e comunque non giustifica la compromissione del diritto dei cittadini a vivere in un posto sano e non inquinato, senza considerare i danni che subirebbero, proprio sul fronte occupazionale e lavorativo, gli agricoltori della zona dediti alla coltivazione del bergamotto, che può essere prodotto, grazie a determinate condizioni climatiche e tipiche del terreno, nella ristretta fascia che corrisponde proprio all'area interessata dal progetto SEI –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se alla luce dell'eccedenza di produzione energetica che riguarda la regione Calabria, e del parere negativo del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo in conseguenza della valenza paesaggistica e archeologica dell'area interessata dalla suddetta centrale, non si intenda rivalutare la posiziona del Governo e revocare il decreto del Presidente del Consiglio del 15 giugno 2012. (4-05716)


   DE GIROLAMO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la strada statale 372 Telesina (SS 372) ha inizio presso il casello di Caianello della A1 Milano-Napoli e termina a Benevento, sul raccordo autostradale 9 di Benevento, all'intersezione con la strada statale 7 Appia;
   questa arteria riveste notevole importanza per la comunità locale contribuendo alla fondamentale via di collegamento del capoluogo sannita con la sua provincia occidentale (Telese Terme); maggiore importanza, poi, assume sotto il profilo regionale e nazionale perché permette di raggiungere agevolmente l'A1 (quindi Roma) dall'intero beneventano e, inoltre, costituisce un percorso alternativo tra la stessa A1 ed il casello di Benevento della A16 Napoli-Canosa;
   sino alla recente riorganizzazione della viabilità gestita dall'ANAS intorno a Benevento, il tracciato terminava sulla strada statale 88 dei Due Principati in località Masseria De Cicco. A seguito del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 novembre 2004, la statale ha assimilato il tratto di strada statale 88 che la separava dal raccordo autostradale 9 di Benevento (RA9) e la tangenziale Nord Est di Benevento fino all'innesto con il citato RA 9 (impropriamente considerata parte integrante di quest'ultimo), raggiungendo la sua estensione attuale;
   la sede stradale è composta da una sola carreggiata sull'intero tratto che termina alle porte di Benevento: diviene a doppia carreggiata solo nei tratti da poco assimilati e prima inclusi rispettivamente nella strada statale 88 e nel raccordo autostradale 9;
   per tutta l'estensione in provincia di Benevento vigono su questa strada limiti di velocità molto restrittivi: 80 km/h quello massimo (persino in doppia carreggiata con corsia di emergenza), 60 km/h in prossimità degli svincoli;
   questa arteria ha registrato, negli ultimi dieci anni, un notevolissimo aumento del traffico; tuttavia il tracciato è rimasto uguale alla posa della prima pietra (negli anni 60/70). Proprio per questo l'ANAS ha inserito nel programma «Grandi Opere» del Governo Berlusconi (Delibera CIPE n. 121/2001 relativa al 1o Programma delle infrastrutture strategiche, emanata in attuazione della legge n. 443 del 2001 – legge obiettivo – e confermato dal documento «infrastrutture Prioritarie» redatto dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il raddoppio di tutto il tracciato della 372;
   la delibera CIPE del 2011 aveva individuato gli interventi strategici prioritari per l'attuazione del Piano nazionale per il sud e aveva assegnato alla Telesina 90 milioni di euro a copertura della quota pubblica, a cui va aggiunta l'assegnazione programmatica (delibera CIPE del 2006) di 110 milioni, per un totale quindi di 200 milioni di euro;
   all'esito dell’iter parlamentare di conversione del decreto-legge n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 98 del 2013, cosiddetto «decreto del fare», le risorse destinate alla Telesina divennero pari a 400 milioni di euro;
   il citato decreto-legge all'articolo 25, comma 11-ter, recita: «Le proposte dei soggetti promotori per l'approvazione dei progetti preliminari, anche suddivisi per lotti funzionali in coerenza con le risorse finanziarie disponibili, degli interventi di adeguamento della S.S. 372 “Telesina” tra lo svincolo di Caianello della S.S. 372 e lo svincolo di Benevento sulla S.S. 88 nonché del collegamento autostradale Termoli-San Vittore devono essere sottoposte al CIPE per l'approvazione entro novanta giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.
  Le risorse già assegnate con delibera Cipe n. 100 del 2006 (...) e quelle a valere sul Fondo per le aree sottoutilizzate assegnate con delibera CIPE n. 62 del 2011 (...) relativa al Piano sud sono destinate esclusivamente alla realizzazione della predetta opera di adeguamento della S.S. 372 “Telesina”.
  La mancata approvazione delle proposte determina l'annullamento della procedura avviata e la revoca dei soggetti promotori»;
   insomma le risorse erano sottratte alla Termoli-San Vittore e assegnate alla Caianello e il promotore, Net Engeneering, sarebbe decaduto se non fosse stato approvato il progetto preliminare al Cipe entro 90 giorni dall'entrata in vigore della legge (9 agosto);
   tale approvazione del progetto preliminare non è avvenuta, con la conseguenza che il promotore, Net Engeneering, è decaduto il 10 novembre 2013;
   nel corso della riunione del CIPE di venerdì 4 luglio 2014, i Fondi destinati alla Benevento-Telese-Caianello sono stati quindi azzerati, impedendo di procedere al raddoppio di una strada essenziale per l'area del Sannio, già per troppo tempo teatro di incidenti mortali;
   crea sconcerto che sia stata liquidata secondo l'interpellante con tanta leggerezza e superficialità la realizzazione dell'infrastruttura nonostante la presenza, all'interno della compagine governativa di chi, profondo conoscitore della questione, avrebbe potuto illustrare e sostenere l'importanza fondamentale dell'opera per una zona che ne ha immenso bisogno e che ne attende la definizione da anni;
   si è appreso che i fondi inizialmente previsti per l'esecuzione dei lavori della «Telesina», sono stati dirottati dal Governo ad altre finalità che non comportano benefici per il beneventano –:
   se il Governo non ritenga di fornire adeguate risposte sul motivo per cui non si è dato seguito al cosiddetto decreto-legge del «Fare», che prevedeva che il progetto preliminare dell'opera di ampliamento della «Telesina» dovesse essere approvato entro il 10 novembre 2013;
   se il Governo non ritenga opportuno spiegare i motivi per cui non si è proceduto a bandire la gara per la realizzazione dell'opera infrastrutturale ed alla revoca del promotore, così come previsto dal decreto-legge cosiddetto del «Fare», pubblicato il 9 agosto 2013;
   se il Governo non ritenga di fornire adeguate spiegazioni sui motivi che hanno determinato la destinazione ad altre finalità di fondi già stanziati per i lavori di raddoppio e di messa in sicurezza della strada Benevento-Telese-Caianello;
   se il Governo, sulla base delle considerazioni espresse in relazione all'importanza strategica dell'infrastruttura «Telesina», non ritenga di reperire i fondi necessari per avviare un'opera essenziale per assicurare lo sviluppo e la sicurezza di un'importante zona del sud del Paese, intervento tanto più necessario se si pensa alle esigenze di crescita, di sicurezza e di espansione di un territorio che sta compiendo sforzi enormi per risollevarsi economicamente e socialmente in uno dei momenti più complessi e difficili della sua storia recente. (4-05724)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   l'articolo 208 del decreto legislativo del 3 aprile 2006, n. 152, regolamenta il rilascio della autorizzazione unica per i nuovi  pianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti; la citata disposizione disciplina in modo chiaro e tassativo l'intero iter procedurale per l'ottenimento della suddetta autorizzazione, e individua le condizioni e le prescrizioni necessarie per garantire l'attuazione dei principi di cui all'articolo 178 del medesimo testo unico delle norme in materia ambientale;
   a norma dell'articolo 208, l'autorizzazione contiene almeno i seguenti elementi: tipi e quantitativi di rifiuti da smaltire o da recuperare; i requisiti tecnici con particolare riferimento alla compatibilità del sito, alle attrezzature utilizzate, ai tipi ed ai quantitativi massimi di rifiuti ed alla conformità dell'impianto al progetto approvato; le misure precauzionali e di sicurezza da adottare; la localizzazione dell'impianto da autorizzare; il metodo di trattamento e di recupero; le disposizioni relative alla chiusura e agli interventi ad essa successivi che si rivelino necessarie; le garanzie finanziarie richieste per l'avvio e per la gestione dell'impianto; la data di scadenza dell'autorizzazione; i limiti di emissione in atmosfera per i processi di trattamento termico dei rifiuti, anche accompagnati da recupero energetico;
   l'articolo 178 stabilisce che la gestione dei rifiuti è effettuata conformemente ai principi di precauzione, di prevenzione, di sostenibilità, di proporzionalità, di responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell'utilizzo e nel consumo di beni da cui originano i rifiuti, nonché del principio chi inquina paga. A tale fine la gestione dei rifiuti è effettuata secondo criteri di efficacia, efficienza, economicità, trasparenza, fattibilità tecnica ed economica, nonché nel rispetto delle norme vigenti in materia di partecipazione e di accesso alle informazioni ambientali;
   nella gestione dei rifiuti è necessario assicurare un'elevata protezione dell'ambiente e controlli efficaci, tenendo conto della specificità dei rifiuti pericolosi; i rifiuti devono essere recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all'ambiente e, in particolare: senza determinare rischi per l'acqua, l'aria, il suolo, nonché per la fauna e la flora; senza causare inconvenienti da rumori o odori; senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse, tutelati in base alla normativa vigente;
   la direttiva europea 2008/98/CE del Parlamento europeo del 19 novembre 2008 stabilisce un quadro giuridico per il trattamento dei rifiuti all'interno dell'Unione. Essa mira a proteggere l'ambiente e la salute umana attraverso la prevenzione degli effetti nefasti della produzione e della gestione dei rifiuti;
   si fa riferimento a quanto disposto dalle determinazioni rilasciate alla società Adrastea srl con sede  legale in Roma alla Piazza Benedetto Cairoli 2, e con sede operativa e discarica in Roma località Porta Medaglia alla Via Giovanni Canestrini: B 4993 del 23 dicembre 2008; B 0528 del 23 febbraio 2009; B 3697 del 13 agosto 2009; B 6133 del 27 novembre 2009; B 6278 del 4 dicembre 2009; B 09240 del 3 dicembre 2012; B 03571 del 14 giugno 2012 (di rigetto); B 05175 del 20 giugno 2013;
   risale all'8 luglio 2013 il progetto di aggiornamento dell'autorizzazione integrata ambientale relativa al complesso impiantistico per il trattamento dei rifiuti e recupero volumetrico dell'annessa discarica;
   anche in base ad un esposto redatto da alcuni cittadini residenti nella suddetta località, che hanno esposto formale denuncia presso i competenti uffici amministrativi, allegando una dettagliata documentazione in merito, sembrerebbe che la sopracitata società abbia avviato le lavorazioni per la realizzazione di una nuova vasca di collegamento tra le vasche già autorizzate;
   sempre da quanto riportato dai cittadini, sembrerebbe che durante la conferenza dei servizi tenutasi in data 15 luglio 2014 presso gli uffici regionali competenti e relativa al progetto di aggiornamento dell'AIA n. B 6278 del 14 dicembre 2009 relativo al complesso impiantistico per il trattamento dei rifiuti in località Porta Medaglia, siano emerse numerose incongruenze  tra quanto richiesto dai cittadini presenti e quanto risposto dai rappresentanti della società Adrastea srl, nonché tra quanto affermato dai rappresentanti della società Adrastea srl e quello che risulta al comitato di cittadini partecipante alla conferenza di servizi;
   i rappresentanti della società Adrastea srl sosterrebbero di aver progettato la realizzazione di una copertura stagna di tutte le celle dell'impianto per evitare la diffusione delle polveri, omettendo il fatto non di poco rilievo che l'impianto è autorizzato a ricevere solamente il materiale di risulta dagli scavi per la realizzazione della Metro C, e quindi materiale fangoso e privo di polvere;
   i predetti rappresentanti avrebbero ammesso dei movimenti di terra specificando come questi siano avvenuti all'interno del perimetro senza tuttavia rispondere in maniera inequivoca ai rilievi mossi dal comitato, sulla base di riscontri fattuali, anche con riferimento all'esistenza delle necessarie autorizzazioni;
   i rappresentanti della società Adrastea srl avrebbero sostenuto che la volumetria residua da una ex cava, quando si smentisce la presenza di una cava sul luogo;
   i rappresentanti della società Adrastea srl avrebbero sostenuto la legittimità della gestione del percolato senza però produrre a quanto consta all'interpellante l'unico documento che possa attestare la correttezza della gestione dello stesso, ovvero il formulario indicante numero di percolato smaltito rispetto al quantitativo delle precipitazioni;
   i rappresentanti della società Adrastea srl sosterrebbero che il perimetro della discarica sarebbe distante almeno 10 metri dal limitrofo fosso Schizzanello ma anche a questo riguardo risulterebbero rilievi in senso contrario –:
   se i Ministri interpellati abbiano elementi tali da garantire, con assoluta certezza, che nella discarica in esame siano state rispettate tutte le autorizzazioni previste dalla normativa vigente;
   se i Ministri siano a conoscenza delle osservazioni critiche e preoccupanti riportate in premessa, e quali siano le iniziative che intendano porre in essere per verificare e chiarire la situazione, accertando per quanto di competenza e anche per il tramite del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente il rispetto e l'osservanza delle autorizzazioni rilasciate sia in termini di volumetria che di tipologia e trattamento degli stessi rifiuti;
   quali opportune iniziative i Ministri intendano adottare al fine di garantire alla città di Roma, che in nessun caso sarà consentito un trattamento dei rifiuti anche inerti non perfettamente rispondente alle normative europee e nazionali;
   se intendano acquisire e pubblicare le immagini attuali e storiche, da satellite e da aerofotorilevazioni, del sito in questione.
(2-00645) «Brunetta».

Interrogazione a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la Petroceltic Italia, società controllata dall'irlandese Petroceltic International, ha presentato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare l'aggiornamento dello studio di impatto ambientale richiesto per il riavvio della procedura di Via per il pozzo esplorativo a mare Elsa 2, situato a circa 7 chilometri al lago della costa tra Francavilla (Chieti) e Ortona (Chieti), in un tratto di mare profondo 37 metri. Il progetto prevede la perforazione di un pozzo esplorativo a una profondità di 4.700 metri, con lo scopo di verificare le potenzialità del giacimento scoperto nel 1992 dal pozzo Elsa-1, e la qualità dell'olio;
    a seguito della perforazione verrà effettuato un «test di produzione», in cui saranno estratte limitate quantità di olio da analizzare. Sulla base dei risultati del test Petroceltic valuterà la fattibilità di un eventuale progetto per la «coltivazione» del giacimento, cioè per l'estrazione dell'olio presente da immettere poi sul mercato. In tal caso (come previsto dalla normativa), gli irlandesi presenteranno una nuova domanda di autorizzazione al Ministero, da sottoporre a nuova valutazione d'impatto ambientale;
   in precedenza lo stesso progetto aveva già avuto una valutazione negativa dal Comitato valutazione di impatto ambientale nazionale e con un successivo decreto negativo del Ministro sulla compatibilità ambientale –:
   se non intenda intervenire per scongiurare la realizzazione di un progetto di trivellazione particolarmente devastante oltre che antieconomico per l'ambiente e per l'Abruzzo. (4-05711)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SORIAL, ALBERTI e PESCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   non c’è ancora traccia di una ripresa del credito per le famiglie e – soprattutto – per le imprese;
   secondo i dati di Bankitalia i prestiti al settore privato, corretti per tener conto delle cartolarizzazioni e degli altri crediti ceduti e cancellati dai bilanci bancari, hanno registrato una contrazione su base annua del 3,2 per cento (-3,1 per cento ad aprile);
   i prestiti alle famiglie sono scesi dell'1 per cento sui dodici mesi, come ad aprile 2014; quelli alle società non finanziarie sono diminuiti, sempre su base annua, del 4,7 per cento (-4,4 per cento ad aprile);
   agli italiani costa caro farsi prestare denaro: i tassi d'interesse, comprensivi delle spese accessorie, sui finanziamenti erogati nel mese alle famiglie per l'acquisto di abitazioni sono stati pari al 3,65 per cento (3,63 nel mese precedente); i tassi d'interesse sui nuovi prestiti alle società non finanziarie di importo fino a 1 milione di euro sono risultati pari al 4,18 per cento (4,27 per cento ad aprile); i tassi passivi sul complesso dei depositi in essere sono stati pari allo 0,87 per cento (0,89 per cento ad aprile);
   anche la qualità del credito fatica a migliorare, tanto che il tasso di crescita sui dodici mesi delle sofferenze è risultato pari al 21,7 per cento, in leggero calo rispetto al 22,3 per cento di aprile;
   quello che assomiglia sempre più ad un vero e proprio credit crunch rischia di causare nel nostro Paese una drammatica caduta del potere di acquisto delle famiglie e la scomparsa del tessuto delle piccole e medie imprese che è stata da sempre la colonna portante della economia italiana;
   l'Istat segnala che l'industria italiana torna in rosso: a maggio la produzione è andata giù dell'1,8 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, registrando un freddo -1,2 per cento rispetto al mese precedente, il risultato peggiore dal novembre 2012;
   sono in arrivo nuove risorse dalla Bce: le nuove operazioni di prestito (Targeted Longer-Term Refinancing Operations) avranno una scadenza di quattro anni; su di esse le banche pagheranno un tasso molto basso, quello che normalmente versano sulle operazioni con scadenza a una settimana, maggiorato di dieci punti base: attualmente lo 0,25 per cento;
   la motivazione ufficiale alla base di questa operazione è che i fondi saranno usati dalle banche per prestarli alle imprese, ma nel documento della Bce, che spiega le technicality delle operazioni, si scopre che potranno essere utilizzate proprio come le precedenti Ltro, che furono in larga parte impiegate per comprare titoli di Stato e lucrare così la differenza tra il loro rendimento e il tasso di favore pagato alla Bce, come sottolineato dagli economisti de lavoce.info;
   infatti, nella sua prima parte, il provvedimento non crea nessun incentivo ad aumentare i prestiti alle imprese e non c’è nessun vincolo nella destinazione dei prestiti ricevuti dalla Bce: possono essere usati a discrezione della banca che li riceve;
   qualche incentivo in più viene dal meccanismo con il quale saranno determinate le sei tranche successive, che verranno erogate ogni trimestre, dal marzo 2015 al giugno 2016, per un ammontare complessivo stimato in circa 600 miliardi di euro: la somma che ciascuna banca potrà prendere a prestito sarà proporzionale al flusso netto di nuovi prestiti erogati;
   il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, ha dichiarato all'assemblea annuale dell'Abi che nell'area dell'euro «la crescita è ancora molto debole» e in Italia «la ripresa stenta ad affermarsi» ma le nuove operazioni di rifinanziamento a lungo termine (Tltro) della Bce, finalizzate a fornire credito all'economia reale, metteranno a disposizione delle banche italiane «un ammontare potenzialmente cospicuo» che «può superare i 200 miliardi». E alle piccole e medie imprese possono arrivare risorse «stimabili in circa 120 miliardi di euro»;
   Visco ha sottolineato anche che il sistema finanziario «deve riguadagnare la fiducia del pubblico» e per farlo «non deve fare mancare il finanziamento a chi lo merita, sostenendo l'economia reale», con «limpidezza dei comportamenti e salvaguardia della legalità», anche perché la crisi «ha fatto emergere comportamenti inadeguati, imprudenti, talora scorretti da parte degli amministratori» degli istituti bancari –:
   se il Ministro sia al corrente dei dati esposti in premessa e se non intenda assumere iniziative per quanto di competenza, affinché le banche siano maggiormente responsabilizzate e sensibilizzate in merito per fare in modo che i nuovi fondi previsti dalla Bce possano dare respiro alle imprese e alle famiglie in difficoltà e sbloccare questa situazione di stallo dell'economia italiana al più presto;
   se il Ministro interrogato non intenda altresì, assumere iniziative al fine di tassare la plusvalenza realizzata dalle banche lucrando sui titoli di Stato con fondi di provenienza BCE, in maniera da contrastare tale forma di investimento che non risolve la crisi economica del nostro Paese, ma anzi sottrae risorse preziose. (5-03354)


   NUTI, CRIPPA, DI BENEDETTO, DI VITA, LUPO e MANNINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da un articolo pubblicato in data 17 luglio 2013 dal sito di informazione online «www.ilfattoquotidiano.it» è emerso un preoccupante sovrapporsi di interessi fra quelli di Italgas s.p.a. (100 per cento Snam s.p.a., a sua volta controllata da Cassa depositi e prestiti con una quota del 30 per cento) e quelli dell'organizzazione criminale di stampo mafioso conosciuta come «Cosa Nostra»;
   al momento Italgas conta 1.500 concessioni, una rete di distribuzione di 53mila chilometri e 6 milioni di utenze a cui fornisce gas per quasi 7,5 miliardi di metri cubi;
   secondo l'inchiesta a capo del procuratore aggiunto di Palermo Dino Petralia e del sostituto Dario Scaletta, tale infiltrazione avrebbe origini ben più lontane della situazione odierna;
   l'inchiesta infatti sarebbe riconducibile ad un'indagine di inizio anni 2000 che vide protagonista la società Gas s.p.a. formalmente guidata dall'imprenditore Ezio Brancato ma in realtà riconducibile all'ex sindaco di Palermo e affiliato a Cosa Nostra Vito Ciancimino;
   il controllo di tale società nei primi anni duemila passò, tramite gli avvocati Gianni Lapis e Giorgio Ghiron, al figlio di «don Vito», Massimo Ciancimino, il quale successivamente la cedette per quasi sessanta milioni di euro agli spagnoli di Endesa (oggi di proprietà del gruppo Enel);
   successivamente all'apertura delle indagini dedicate a Massimo Ciancimino, gli stessi inquirenti iniziarono a spostare la propria attenzione sulla distribuzione del gas nel Sud Italia;
   secondo l'articolo sopracitato infatti, gli inquirenti scoprirono che «[...] che tra gli anni ‘80 e gli anni ‘90 la Gas spa avrebbe ottenuto 72 concessioni tra la Sicilia e l'Abruzzo grazie alla protezione di Cosa Nostra. È per questo che a maggio in amministrazione giudiziaria finiscono tre società del gruppo, la Gas Natural Vendita Italia, la Gas Natural Italia e la Gas Natural Distribuzione Italia: la Guardia di Finanza di Palermo mette sotto sequestro anche beni per cinquanta milioni di euro.»;
   altro tassello che andrebbe ad aggiungersi a quelli già presentati sarebbe quello che vede protagonista la società Euroimpianti riconducibile a Gaetano e Vincenzo Cavallotti;
   i fratelli Cavallotti, assolti dall'accusa di concorso esterno a Cosa Nostra, sono stati però destinatari di misure di prevenzione patrimoniali che hanno portato al sequestro di beni per quasi otto milioni di euro, oltre a essere stati sottoposti alla misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per due anni;
   due società guidate dai Cavallotti, la Imet e la Comest, erano state addirittura citate in alcuni pizzini redatti direttamente dal boss di Cosa Nostra Bernardo Provenzano;
   con riferimento alla sopracitata Euroimpianti, il già citato articolo de Il FattoQuotidiano.it sostiene che «La Euroimpianti ha ottenuto dall'Italgas l'affidamento di alcuni appalti tra la Sicilia e la Liguria, mentre in altri casi ha curato la manutenzione di altre reti di distribuzione sempre controllate dall'azienda del Cane a sei zampe. Ecco perché oggi la Snam rende noto che l'amministrazione giudiziaria è scattata a causa di «rapporti contrattuali con alcuni fornitori». Ma, secondo la procura, «la struttura dirigenziale di Italgas era sicuramente a conoscenza dei citati provvedimenti ablativi e di prevenzione personale e aveva sicuramente cognizione del fatto che la Euroimpianti pur se formalmente intestata ai giovanissimi figli di Cavallotti Vincenzo e Cavallotti Gaetano, era di fatto gestita dai predetti imprenditori». A Torino, in pratica, sapevano di fare affari con imprenditori già indicati come vicini a Cosa Nostra. Ma facevano finta di niente. E Cosa Nostra prendeva piede nella grande industria italiana: un potere inodore come lo stesso gas che gestiva;
   a seguito di quanto emerso quindi, la procura di Palermo nei giorni scorsi ha ottenuto sei mesi di amministrazione giudiziaria per la Italgas s.p.a. –:
   se esistano e quali siano le procedure di controllo al momento previste sulle partecipate e sui concessionari di servizi per la distribuzione del gas da parte dei dicasteri vigilanti e in che modo possa essere garantita l'estraneità dei soggetti summenzionati a dinamiche illecite riconducibili ad attività criminali;
   se, nel caso in cui esistessero dette procedure, considerata l'eventuale inadeguatezza delle stesse in base all'articolo sopracitato, siano previste rimodulazioni in modo da rendere le sopracitate procedure funzionali all'obiettivo oppure, in caso contrario, come s'intenda procedere per adottare criteri e procedure di controllo nel più breve tempo possibile.
(5-03356)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LAFFRANCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le prestazioni di trasporto di persone e dei rispettivi bagagli sono assoggettate ad aliquota IVA al 10 per cento, come disposto dalla tabella A, parte III, allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, che prevede infatti, l'applicazione di questa aliquota alle «prestazioni di trasporto di persone e dei rispettivi bagagli al seguito»;
   il suindicato decreto stabilisce altresì alcune esenzioni (articolo 10, primo comma, n. 14), rivolte alle prestazioni di trasporto di persone, effettuate mediante veicoli da piazza (taxi) e altri mezzi di trasporto abilitati a eseguire servizi di trasporto locale marittimo, lacuale e fluviale;
   la medesima norma specifica inoltre che «si considerano urbani i trasporti effettuati nei territori di un comune o tra comuni non distanti tra loro oltre cinquanta chilometri»;
   l'imposta pertanto non si applica al trasporto di persone e bagagli tramite taxi e a tutte le prestazioni di trasporto urbano marittimo, lacuale, fluviale e lagunare, come confermato peraltro anche dalla circolare del Ministero dell'economia e delle finanze n. 7/E del 14 gennaio 1998;
   a giudizio dell'interrogante, in considerazione dei rilievi in precedenza riportati, risulta evidente una considerevole incoerenza legislativa delle disposizioni in vigore ed in precedenza richiamate: l'esenzione dall'IVA è prevista, quanto al trasporto terrestre, per i soli veicoli cosiddetti «da piazza» e non per il trasporto di linea, mentre per i trasporti per vie d'acqua l'imposta non è dovuta anche per il trasporto di linea;
   lo stesso Ministro interrogato ha riconosciuto la necessità di uniformare l'imposizione IVA sul trasporto urbano di linea con il decreto legge 328 del 1997, che però ha confermato il regime di esenzione previsto per i trasporti urbani per vie acquatiche nonché per i taxi (tabella A parte III);
   in ambito comunitario, l'interrogante segnala a tal fine che la direttiva 2006/112/Ce prevede l'assoggettamento dell'IVA senza distinzioni del trasporto di persone e dei rispettivi bagagli;
   il mancato assoggettamento all'imposta non permette pertanto alle imprese che operano nel trasporto di linea per vie acquatiche di detrarre l'imposta loro addebitata sugli acquisti — carburante, rifornimenti, servizi — secondo un principio di neutralità;
   tale disparità di trattamento, per il quale il trasporto di linea è tutto assoggettato all'IVA al 10 per cento salvo quello per vie acquatiche, a giudizio dell'interrogante, non ha alcuna giustificazione giuridica ma al contrario viola i principi di ragionevolezza e uguaglianza nonché il principio di neutralità dell'IVA, in considerazione del fatto che il rischio che si configura è di porre definitivamente a carico dell'operatore di trasporto di linea per vie d'acqua l'onere del tributo, come se fosse un consumatore finale e non un imprenditore;
   a giudizio dell'interrogante, in considerazione delle valutazioni critiche in precedenza esposte, che determinano evidenti effetti distorsivi anche in termini economici, oltre che incongruenze connesse all'applicazione del medesimo tributo per l'identica prestazione di servizio, occorrono misure correttive in grado di conformare il sistema comune d'imposta sul valore aggiunto, sia nei riguardi delle prestazioni di trasporto extraurbano di persone e di quelle rese con mezzi diversi dai taxi, che nei confronti delle prestazioni di trasporto pubblico urbano di persone eseguite attraverso servizi di trasporto marittimo, lacuale, fluviale o lagunare –:
   quali iniziative normative intenda assumere per uniformare il regime dell'IVA dei trasporti urbani di linea assoggettando all'aliquota del 10 percento anche le prestazioni di trasporto urbano di linea effettuate per vie acquatiche;
   se non ritenga opportuno, in considerazione delle criticità esposte in premessa, introdurre in tempi rapidi misure correttive al decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 contribuendo, a tal fine, ad armonizzare il diritto interno con gli obblighi comunitari, in considerazione del fatto che la già menzionata direttiva del 2006 prevede l'assoggettamento a IVA, senza distinzioni, del «trasporto di persone e dei rispettivi bagagli», che non avrebbe alcun impatto sulle prestazioni di trasporto non di linea effettuate dai veicoli da piazza, ovvero dai taxi, sia per vie terrestri sia per vie acquatiche. (4-05712)


   RICCARDO GALLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'indice sintetico del checkup elaborato da Confindustria e 59 studi e ricerche per il Mezzogiorno (centro studi collegato al gruppo Intesa Sanpaolo), reso noto la scorsa settimana, evidenzia uno scenario estremamente preoccupante e grave per l'economia del Mezzogiorno, in quanto se esso nel 2013 ha conosciuto il punto più basso, per i primi mesi del presente anno, conferma una tendenza negativa in termini di attività delle imprese;
   il saldo tra quelle iscritte e cessate risulta infatti negativo per oltre 14 mila unità e dall'inizio dell'anno, prosegue il documento, hanno cessato la propria attività 573 imprese meridionali al giorno, con i fallimenti in crescita del 5,7 per cento rispetto allo stesso periodo del 2013;
   gli effetti depressivi dell'indice sono soprattutto manifestati dal dato degli investimenti pubblici e privati, diminuiti di quasi 28 miliardi tra il 2007 e il 2013: un calo di oltre il 34 per cento, con punte di quasi il 47 per cento nell'industria in senso stretto e del 34 per cento nell'agricoltura e nella pesca, che peraltro sono settori in cui è forte la specificità del Mezzogiorno;
   in particolare, prosegue il rapporto, frenano gli investimenti pubblici: tra il 2009 e il 2013, infatti, la spesa in conto capitale nel Mezzogiorno si è ridotta di oltre 5 miliardi di euro, tornando ai valori del 1996, contribuendo alla riduzione del numero e del valore degli appalti pubblici;
   in calo di numero, ma soprattutto di valore (da 8,6 miliardi di euro a poco più di 5) sono anche le gare di partenariato pubblico-private bandite nel Mezzogiorno, che determinano pertanto una riduzione degli investimenti pubblici, sia che lo Stato li finanzi direttamente sia che li promuova indirettamente;
   quanto suesposto risulta tra l'altro paradossale se si considerano le difficoltà economiche che suggerirebbero l'opportunità di un'azione pubblica decisamente anticiclica;
   gli impieghi nel Mezzogiorno fra l'altro sono continuati a scendere (8,4 miliardi di euro in meno rispetto al 2012), mentre i crediti in sofferenza hanno ormai raggiunto i 35 miliardi di euro, nonostante nei sondaggi più recenti le imprese abbiano segnalato una lieve attenuazione della restrizione nelle condizioni di accesso al credito;
   nonostante non si sia ancora verificata un'inversione di tendenza nella dinamica dei prestiti, la riduzione, prosegue il rapporto dell'Associazione degli industriali, sembra comunque non accennare a frenare;
   il documento sebbene rilevi alcuni timidi segnali di vitalità dell'economia meridionale (che trovano riscontro in un clima di fiducia che torna lentamente a crescere) conferma tuttavia come non siano ancora sufficienti a compensare l'onda lunga degli effetti della crisi;
   l'interrogante evidenzia come il suesposto scenario economico nei confronti del Mezzogiorno evidenzi una situazione attuale di estrema gravità, a causa della manifesta assenza di adeguate politiche economiche e di sviluppo da parte del Governo Renzi, dimostrate sin dall’ inizio dell'insediamento;
   risulta necessaria ed urgente a parere dell'interrogante una serie di robusti interventi, anche attraverso l'attuazione di riforme e istituzionali e strutturali, di cui il Mezzogiorno, ha estrema necessità non solo per i benefici effetti sulla competitività, ma anche perché la loro effettiva definizione rappresenta la strada obbligata per dimostrare l'affidabilità del nostro Paese a livello europeo;
   a fronte di tali riforme, occorre accompagnare una politica economica chiaramente orientata allo sviluppo e alla crescita anche attraverso l'istituzione delle zone franche urbane nei riguardi di alcune aree del Mezzogiorno particolarmente svantaggiate, come la Sicilia;
   di fronte a una caduta degli investimenti, la partita decisiva per il Sud, a giudizio dell'interrogante, gravità intorno a un pieno ed efficace impiego delle risorse della politica di coesione a cui occorre abbinare una seria azione di riduzione della pressione fiscale e degli oneri contributivi che gravano in maniera eccessiva sulle imprese del Mezzogiorno, penalizzate rispetto a quelle delle altre aree del Paese, anche a causa del deficit infrastrutturale che impedisce una sana concorrenza e maggiore competitività –:
   quali iniziative urgenti e necessarie intendano intraprendere, nell'ambito delle rispettive competenze, nei riguardi delle aree del Mezzogiorno, in cui gli effetti della crisi economica, così come esposto in premessa dal rapporto di Confindustria, ribadiscono una situazione di estrema gravità;
   se non ritengano opportuno prevedere nelle prossime iniziative normative d'iniziativa del Governo disposizioni ad hoc volte a favorire la ripresa delle attività imprenditoriali specificatamente per il Mezzogiorno, la cui «fotografia» delineata dal documento elaborato da Confindustria descrive una situazione socioeconomica senza precedenti, a partire dal dopoguerra. (4-05717)


   RICCARDO GALLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo un recente studio pubblicato dalla Svimez, denominato: «le entrate tributarie dei Comuni italiani dal 2007 al 2012: crisi economica, federalismo e Mezzogiorno» anche sul fronte della pressione tributaria, emerge un quadro socioeconomico nazionale, che divide il Nord e il Sud della penisola, in cui i territori più ricchi riducono i tributi, mentre le aree più svantaggiate aumentano le tasse;
   nel 2012, rileva l'Associazione per lo sviluppo dell'industria del Mezzogiorno, a fronte di un reddito di 29.477 euro pro capite, in media, ogni cittadino del Veneto ha versato al proprio comune di residenza 532 euro, contro gli oltre 550 di un campano, che tuttavia ha evidenziato un reddito di oltre 13 mila euro inferiore;
   dal 2007 al 2012, prosegue ancora la Svimez, l'Ici/Imu al Nord è crollata del 39 per cento, mentre al Sud si è ridotta soltanto dell'1,1 per cento e al crescere del Pil, per ogni 1.000 euro pro capite in più, il prelievo nei comuni del Nord si è ridotto di 28 euro e 30 centesimi, mentre al Sud è aumentato di 15 euro e 50 centesimi;
   la presenza di un Nord tributariamente regressivo e di un Sud progressivo, in considerazione dei rilievi in precedenza esposti, a giudizio della suindicata associazione, accresce le diseguaglianze del Paese e, in assenza di trasferimenti perequativi, non aiuta a spezzare il circolo vizioso che, da sempre, frena lo sviluppo delle aree più povere;
   lo studio evidenzia inoltre come, fra le diverse cause che gravano sul fenomeno, emerge l'eccessivo carico del fisco locale sui cittadini, peraltro in continua crescita come dimostrato anche dai dati di gettito complessivo del ministero interrogato: dal 2007 al 2013 infatti, sono stati corrisposti 3,3 miliardi di euro in più di addizionale regionale, 1,6 miliardi in più di addizionale comunale e 10,4 miliardi in più di Ici/Imu per un totale di 15,3 miliardi di euro aggiuntivi sborsati;
   l'interrogante evidenzia, in considerazione delle criticità in precedenza esposte, come, in base all'articolo 53 della Costituzione, il sistema tributario nazionale anche se articolato territorialmente sia da considerarsi unitario e si basa sui criteri di capacità contributiva e della progressività;
   a giudizio dell'interrogante, quanto emerge dallo studio in precedenza riportato, configura nella realtà la presenza di una spaccatura del Paese, come in precedenza rilevato tra un Nord regressivo e un Sud progressivo, in cui a parità di ricchezza, i cittadini meridionali pagano maggiori imposte usufruendo al contempo di servizi ben peggiori e non in linea con i tributi versati;
   il fenomeno negativo che contribuisce ad accrescere le diseguaglianze del Paese e non aiuta a spezzare il circolo vizioso che da sempre frena lo sviluppo delle aree più povere, potrebbe essere risolto, attraverso trasferimenti perequativi;
   il peso del fisco locale che incide pesantemente sul potere d'acquisto di lavoratori e pensionati, contribuendo ad inasprire gli effetti della crisi, dimostra, una volta di più, che il federalismo così come è stato realizzato, in forma non definitiva ha determinato solo un incremento di tassazione senza ridurre, anzi amplificando, le differenze tra territori e senza migliorare la qualità dei servizi;
   nell'esercizio della delega di cui alla legge 11 marzo 2014, n. 23 di delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita, sarà necessario, a parere dell'interrogante, valutare l'opportunità di prestare particolare attenzione per rafforzare i trasferimenti perequativi, che rappresentano una delle leve da impiegare per riequilibrare la distanza tra territori a cui accelerare l'introduzione dei costi standard e del nuovo schema di bilancio –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa e se non ritenga opportuno valutare l'opportunità di prevedere iniziative volte a rinforzare, i trasferimenti perequativi, nonché misure in grado di riequilibrare i livelli di pressione fiscale, fra le diverse aree del Paese, che secondo il rapporto Svimez esposto in premessa, evidenziano gravissime disparità fra il Nord e il Mezzogiorno del Paese, con evidenti ricadute negative che inaspriscono gli effetti della crisi economica. (4-05720)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BUSINAROLO, LIUZZI, DE LORENZIS, PARENTELA, RIZZO, SPADONI, COZZOLINO e SIBILIA. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo del 4 marzo 2014, n. 39, entrato in vigore dal 6 aprile 2014 ed attuativo della direttiva 2011/93/UE relativa alla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, prevede anche l'introduzione dell'articolo 25-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 313 del 2002 («Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti»);
   la norma stabilisce che il datore di lavoro che intenda assumere una persona per lo svolgimento di attività professionali o attività volontarie organizzate che comportino contatti diretti e regolari con minori, deve richiedere il certificato penale del casellario giudiziale del medesimo, prima della stipula del contratto, al fine di verificare l'esistenza di condanne per taluno dei reati di cui agli articoli 600-bis («prostituzione minorile»), 600-ter («pornografia minorile»), 600-quater («detenzione di materiale pedo-pornografico»), 600-quinquies («iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile») e al 609-undecies del codice penale, ovvero l'irrogazione di sanzioni interdittive all'esercizio di attività che comportino contatti diretti e regolari con minori;
   l'eventuale violazione di tale obbligo comporterà, per il datore di lavoro, l'irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria avente un importo variabile da 10.000 a 15.000 euro;
   sono emerse parecchie perplessità da parte di presidi e dirigenti scolastici in merito ai tempi e al costo della certificazione ed avevano anche messo in allarme i responsabili di molte organizzazioni del terzo settore che temevano di andare incontro a spese eccessive o alle sanzioni previste dal decreto legislativo n. 39;
   in una nota interpretativa al decreto legislativo del 4 marzo 2014, n. 39, il Ministero della giustizia ha chiarito che l'obbligo del datore di lavoro di richiedere il certificato penale del casellario giudiziale per tali persone sorge nel momento in cui inizia il rapporto di lavoro ed è proprio in riferimento all'atto di assunzione che trova applicazione, in caso di inadempimento, la sanzione pecuniaria dovuta, avrà un importo variabile da 10.000 a 15.000 euro. Inoltre, nella nota si chiarisce che l'articolo 2 del decreto legislativo 39 del 2014 non contiene alcuna previsione di retroattività, né può applicarsi retroattivamente la relativa sanzione amministrativa, nel rispetto del principio indicato dall'articolo 1 della legge 24 novembre 1981 n. 689. Per questo motivo, la disposizione «non si riferisce ai rapporti di lavoro conclusi in epoca anteriore alla entrata in vigore della norma»;
   l'obbligo non sorge ove invece l'associazione si avvalga di forme di collaborazione che non si strutturino all'interno di un definito rapporto di lavoro. I tanti volontari che operano a titolo gratuito presso parrocchie, onlus, associazioni culturali, società e associazioni sportive, e dunque non sono titolari di un vero e proprio contratto di lavoro, non sono soggetti all'accertamento;
   la norma non si applica quindi ad associazioni di volontariato relativamente ai volontari, associazioni sportive dilettantistiche relativamente agli istruttori sportivi in collaborazione (la maggior parte degli istruttori di bambini), associazioni culturali relativamente a collaboratori anche stabili ma non assunti (la maggior parte di coloro che danno lezioni di musica, d'arte o di teatro ai bambini), insegnanti supplenti, esperti esterni ammessi nelle scuole, collaboratori di cooperative. A titolo esemplificativo, in ambito sportivo, nulla dovrà essere richiesto ai soggetti che svolgono attività di mero volontariato né a coloro i quali percepiscono i compensi di cui all'articolo 67, comma 1, lettera m), del TUIR (cosiddetti collaboratori sportivi ex «legge Pescante»);
   con una seconda nota interpretativa, l'ufficio legislativo del Ministero della giustizia ha chiarito che, nei casi in cui la certificazione sia obbligatoria, nelle more del rilascio del certificato regolarmente richiesto da parte del casellario, si potrà procedere all'utilizzo dei lavoratori addetti ai minori previa acquisizione di atto di notorietà avente il medesimo contenuto della dichiarazione sostitutiva di certificazione;
   il certificato penale contiene tutte le sentenze penali passate in giudicato, esclusi però tutti quei procedimenti ancora in corso, denominati «carichi pendenti», che sono indicati invece nel «certificato dei, carichi pendenti» emesso dalla Procura della Repubblica;
   in base all'articolo 24 del decreto del Presidente della Repubblica 13 del 2002 sono escluse nel certificato alcuna tipologie di iscrizioni esistenti nel casellario giudiziale; elencate nel comma 1 del citato articolo, tra cui le condanne emesse dal giudice di pace o condanne emesse da un altro giudice ma di competenza del giudice di pace, le condanne relative ai reati estinti e quelle per contravvenzioni punibile tramite la sola ammenda, e nemmeno tutte le iscrizioni di materia penale attribuite e presenti nel casellario giudiziale, indicate invece nel certificato penale totale, disponibile però solo su richiesta del diretto interessato e delle autorità giudiziarie –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa;
   se prevedere l'obbligo di acquisire il certificato penale solo in caso di rapporto di lavoro, con conseguente esclusione di tanti volontari che operano a titolo gratuito nelle diverse associazioni, sia sufficiente per raggiungere lo scopo di tutela dei minori che si prefigge la disposizione contenuta nel decreto legislativo 39 del 2014;
   se le informazioni contenute nel «certificato penale», che escludono una serie di iscrizioni esistenti nel casellario giudiziale indicate da comma 1 dell'articolo 24 del decreto del Presidente della Repubblica 313 del 2002, siano sufficienti per tutelare i minori;
   se il Ministro ritenga che, dato il costo del certificato, sia opportuno prevedere l'esenzione dal pagamento del bollo nei casi in cui il certificato sia richiesto per motivi di lavoro o di volontariato.
(5-03351)

Interrogazione a risposta scritta:


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   dall'ottobre 2013 presso il tribunale di Firenze è in corso un processo a carico di Rodolfo Fiesoli e ventidue suoi collaboratori per le vicende di maltrattamenti e abusi sessuali a danno dei minori ospiti della comunità «Il Forteto» di Vicchio di Mugello, in provincia di Firenze;
   la comunità al centro del processo, nata negli anni settanta per il recupero e il reinserimento sociale di minori provenienti da contesti disagiati, ha continuato ad ospitare bambini ivi inviati dal tribunale dei minori di Firenze, nonostante i suoi fondatori e «animatori» fossero stati condannati in via definitiva per abusi sugli stessi minori già nel 1985;
   nel processo si sono costituite parte civile il comune di Vicchio, la provincia di Firenze e la regione Toscana, che ha sempre finanziato la comunità;
   la corte d'appello di Firenze, in seguito alle richieste avanzate dai legali del principale imputato, ha ricusato il presidente del collegio giudicante Marco Bouchard per una presunta anticipazione di giudizio da egli asseritamente manifestata nell'ambito di due interrogatori;
   del collegio della corte d'appello di Firenze che ha deliberato la ricusazione ha fatto parte anche il Giudice Maria Daniela Cannizzaro, ex presidente del tribunale dei minori di Firenze che nell'aprile del 2010 aveva disposto l'affidamento al Forteto di due bambini minori di tre anni;
   la presenza della giudice Cannizzaro all'interno del collegio della corte d'appello suscita non pochi dubbi in merito alla compatibilità di quel ruolo con quello che l'ha vista coinvolta nei procedimenti di affidamento di minori alla comunità oggetto del processo –:
   se intenda valutare i presupposti per disporre accertamenti preliminari presso gli uffici giudiziari di cui in premessa. (4-05723)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza:


   La sottoscritta chiede di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   la strada statale 1 «Aurelia», ancora unica in Italia, attraversa il centro abitato della città di Massa con le conseguenze immaginabili in termini di traffico, viabilità, inquinamento e incidenti mortali;
   il progetto della variante S.S. 1 Aurelia dovrebbe consentire una viabilità alternativa e decongestionare il traffico lungo la strada statale 1 «Aurelia»;
   nell'atto aggiuntivo all'intesa generale quadro tra Governo e regione Toscana datato 22 gennaio 2010, all'articolo 2, «Interventi Prioritari – Interventi stradali della programmazione ANAS» è indicato l'intervento di realizzazione della «Variante S.S. 1 Aurelia in Comune di Massa» nel tratto di attraversamento urbano da Canalmagro a stazione – via Carducci – raccordo Aurelia – zona industriale per un costo complessivo di 46 milioni di euro;
   nell'atto aggiuntivo sopra indicato si prevede la rapida realizzazione del primo lotto di lavori da Canalmagro alla stazione (nel nuovo progetto la denominazione è diventata terzo lotto accesso est strada nuova da via del Papino a innesto S.S. 1) per un importo di circa 7,6 milioni di euro;
   in data 24 marzo 2011 è stata stipulata tra ANAS, regione Toscana, provincia di Massa Carrara e comune di Massa apposita convenzione in base alla quale l'intervento veniva inserito nella programmazione ANAS e la regione Toscana si impegnava a cofinanziare le spese sostenute dal comune di Massa per la progettazione;
   la regione Toscana con decreto 5381 del 3 novembre 2011 ha provveduto a cofinanziare le spese progettuali e il comune di Massa, a seguito di gara d'appalto, ha affidato i lavori di progettazione con D.D. 4352 del 4 novembre 2011;
   la soluzione progettuale adeguata con gli ultimi adempimenti normativi, sulla base dei capitolati ANAS e la stima degli espropri aggiornata, comporta una spesa complessiva di 33.666.318,43 euro suddivisa in tre lotti funzionali:
    1o lotto accesso ovest da innesto SS 1 con via Catagnina a ponte Frigido euro 5.270.081,64;
    2o lotto intermedio dal ponte Frigido a via del Papino euro 6.994.162,80;
    3o lotto accesso est strada nuova da via del Papino a innesto SS 1 presso località Jare euro 21.402.073,99; terzo lotto indicato nell'atto aggiuntivo come l'intervento prioritario;
   con atto di giunta comunale (comune di Massa) n. 53 del 22 gennaio 2014 è stato approvato il progetto preliminare dell'opera denominata «variante S.S. 1 Aurelia»;
   con numero protocollo – comune di Massa 0013134 dell'11 marzo 2014 è stata inviata ad ANAS spa copia della progettazione preliminare approvata al fine di proporre al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti l'inserimento dell'opera nella programmazione aziendale al fine di dare avvio all'esecuzione dell'opera e procedere ai successivi livelli progettuali;
   il Presidente del Consiglio Renzi ha invitato, in occasione della Festa della Repubblica poco tempo fa, gli amministratori locali e i rappresentanti dei territori ad indicare cantieri ed opere pubbliche che necessitino un intervento urgente del Governo per partire o ripartire, considerando che sono anni ormai 30 anni che si parla di variante Aurelia;
   lo stesso sindaco di Massa ha scritto al Presidente del Consiglio sollecitando l'intervento del Governo e ribadendo l'importanza del progetto;
   regione Toscana e comune di Massa hanno sostenuto delle spese per la realizzazione del progetto preliminare;
   da 30 anni la provincia di Massa Carrara attende la realizzazione della strada statale variante Aurelia –:
   se il Ministro interpellato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e, in tal caso, quali iniziative di competenza intenda adottare a favore del progetto;
   se l'intervento sia stato finanziato e, se non lo fosse, quali ne siano le ragioni;
   se e quali iniziative, anche normative, intenda adottare il Governo per favorire l'avvio e la realizzazione dei lavori necessari.
(2-00644) «Nardi».

Interrogazione a risposta orale:


   GIULIETTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 8 maggio 2014 è stato sottoscritto l'accordo al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti alla presenza del Ministro Lupi, dei rappresentati delle regioni Umbria, Toscana e Marche e del presidente di ANAS per la costituzione della società pubblica di progetto per la realizzazione della E 78 Fano – Grosseto;
   il presidente dell'Anas Pietro Ciucci in un recente convegno sulle infrastrutture a Firenze ha annunciato che nei prossimi giorni verrà costituita formalmente la società «Centralia» e che si sta già lavorando per l'aggiornamento dello studio di fattibilità;
   durante questo convegno il presidente Ciucci ha altresì dichiarato che l'inizio dei lavori della superstrada dei Due Mari avverrà entro il 2016;
   la Grosseto – Fano rappresenta una delle trasversali tirreno adriatiche più importanti –:
   quali siano le risorse necessarie per la realizzazione di questa infrastruttura che da troppo tempo aspetta di giungere a compimento e se siano disponibili;
   se trovi conferma quanto dichiarato dal presidente dell'Anas (che tra l'altro detiene la maggioranza della costituenda società pubblica di progetto) sull'avvio dei cantieri della E78 nel corso del 2016. (3-00972)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ARLOTTI e PETITTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'aeroporto di Rimini-San Marino «Federico Fellini» rientra fra i 26 scali di interesse nazionale inseriti nel Piano nazionale degli aeroporti presentato all'inizio di quest'anno;
   in data 26 novembre 2013 è stata depositata la sentenza di fallimento dichiarato dal tribunale di Rimini della società di gestione dell'aeroporto di Rimini-San Marino «Aeradria s.p.a.»;
   con la sentenza si è nominato il curatore fallimentare e si è disposto altresì l'esercizio provvisorio dell'impresa della fallita sino al 30 giugno 2014, autorizzando espressamente tutti i poteri necessari alla continuazione dell'attività caratteristica, di gestione dello scalo aeroportuale «Federico Fellini», nonché di tutte le altre attività connesse;
   il 12 marzo di quest'anno il giudice delegato, preso atto dei positivi risultati economici conseguiti, ha disposto la proroga dell'esercizio provvisorio dell'impresa aeroportuale sino al 31 ottobre 2014;
   il giudice delegato ha altresì disposto la vendita del compendio nella titolarità della procedura fallimentare, per la base d'asta di euro 10.000.000,00, con apposita gara competitiva condizionata dalla circostanza che il partecipante alla gara risulti altresì vittorioso nella procedura ad evidenza pubblica emanata da Enac per l'attribuzione di concessione totale dell'aeroporto di Rimini;
   il 16 aprile di quest'anno sono stati pubblicati da Enac gli atti relativi alla procedura di gara a evidenza pubblica per l'affidamento della concessione di gestione totale dell'aeroporto di Rimini, per una durata di 30 anni a decorrere dalla data di efficacia del decreto di affidamento della concessione adottato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze;
   il 14 luglio sono scaduti i termini di presentazione delle offerte per l'assegnazione della concessione totale e l'individuazione di un nuovo soggetto a cui affidare la gestione dell'aeroporto di Rimini;
   entro il termine previsto nel bando non sono pervenute offerte relative al compendio aziendale nella titolarità del fallimento e l'esercizio provvisorio dell'impresa aeroportuale dunque proseguirà sino al termine a suo tempo fissato del 31 ottobre 2014, salvo che, come la legge impone, gli organi della procedura non ravvisino l'opportunità di anticiparne la cessazione (articolo 104, commi quarto e sesto, l.f.);
   Enac ha invece ricevuto quattro proposte per la concessione della pista dell'aeroporto di Rimini e il 18 luglio si è tenuta la prima seduta della commissione di gara aperta al pubblico per l'apertura delle buste;
   nonostante l'assenza di comunicazioni ufficiali sui concorrenti, da notizie di stampa si apprende che all'interno di almeno uno dei quattro raggruppamenti di impresa che hanno partecipato al bando Enac per l'assegnazione della concessione per la gestione dell'aeroporto di Rimini-San Marino sarebbero presenti personaggi dai dubbi precedenti;
   è evidente alla luce di quanto esposto la delicatezza relativa alla scelta di un soggetto gestore che deve trovare un equilibrio, nella massima trasparenza reciproca, anche con le funzioni e lo spazio conferite dallo Stato italiano alla Repubblica di San Marino all'interno del medesimo sedime aeroportuale;
   questo richiede il massimo di garanzie e chiarezza sia di ordine morale, sia relative alla origine dei capitali necessari per potersi aggiudicare la concessione, o si metterebbe a rischio la legalità economica di un'area attrattiva e complessa come quella riminese, per la cui economia e per il cui comparto turistico l'aeroporto (che nel 2011 ha rasentato il milione di passeggeri) resta un'infrastruttura strategica –:
   quali iniziative i Ministri intendano mettere in campo, nel dovuto rispetto per le prerogative di autonomia proprie di Enac, a garanzia della massima attenzione affinché vengano poste in essere le migliori condizioni a tutela delle garanzie di legalità necessarie alla corretta gestione dell'aeroporto di Rimini-San Marino.
(5-03355)

Interrogazione a risposta scritta:


   CAPELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Commissario straordinario dell'autorità portuale di Olbia e Golfo degli Aranci tramite avviso pubblico ha reso noto, il 25 luglio 2014, la riattivazione dell’iter procedurale inerente alla richiesta di rilascio di una concessione trentennale demaniale marittima per attrezzare e gestire il Molo Benedetto Brin allo scopo di destinarlo alla nautica da diporto. La società richiedente è Quay Royal Olbia S.r.l;
   con una nota inviata il 20 giugno 2014 la sopra citata autorità portuale ha manifestato al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti l'intenzione di procedere a riattivare l’iter amministrativo finalizzato al rilascio della concessione demaniale marittima in questione;
   con nota della DIV2 (ex DG porti) M–INF - PORTI/7056 del 4 luglio 2014 il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti disponeva di procedere alla riattivazione dell’iter procedurale;
   la vicenda risale al settembre 2007 quando per la prima volta fu presentato il progetto di privatizzazione del Molo Brin, per adibirlo a scalo per Maxi Yachts;
   quella procedura fu bloccata dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti pro tempore, a seguito anche di un'interrogazione (n. 5-01495), in quanto di dubbia legittimità, dal momento che i pareri rilasciati dalla regione Sardegna e dalla provincia di Olbia-Tempio risultavano essere negativi;
   l'illegittimità, sostanzialmente riconosciuta dal Ministro, dalla regione Sardegna e dalla provincia di Olbia-Tempio, stava da un lato nella non approvazione del piano regolatore portuale, fondamentale per valutare ed inquadrare i singoli interventi in un porto con notevoli problemi legati ai flussi di traffico ed alla posizione geografica; dall'altro nella mancanza della valutazione ambientale strategica, da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, mai interpellato in tal senso;
   ad oggi la citata situazione di illegittimità continua a sussistere dal momento che la procedura valutazione ambientale strategica, è solo in fase istruttoria e solo al termine di questa si potrà procedere all'approvazione del piano regolatore portuale –:
   quali iniziative urgenti, nell'ambito dei suoi poteri di vigilanza, il Ministro intenda adottare nei confronti del commissario straordinario dell'autorità portuale di Olbia al fine di sospendere l’iter di riattivazione della procedura sopra descritta, stante il perdurare della mancanza delle autorizzazioni in materia. (4-05719)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LIUZZI, DELL'ORCO, DE LORENZIS, SPESSOTTO e NICOLA BIANCHI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenda digitale è una grande visione di digitalizzazione e modernizzazione del Paese volta allo sviluppo di competenze e infrastrutture digitali, per migliorare l'efficienza dei processi, la qualità della vita dei cittadini alimentando opportunità di conoscenza, culturali, sociali ed economiche;
   l'Agenda digitale italiana, in sintonia con quanto previsto a livello europeo, si propone una serie di obietti oltre che sul fronte delle infrastrutture e della diffusione della banda larga, anche sul versante dell'educazione al digitale e, quindi, dell'utilizzo consapevole e informato delle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione;
   la Commissione europea il 28 maggio 2014 ha reso noti i dati relativi all'attuazione dell'Agenda digitale europea dedicando specifici focus tematici sui singoli Paesi membri;
   a livello europeo la Commissione rileva come siano stati raggiunti 95 dei 101 obiettivi previsti per il 2015, mentre volgendo l'attenzione alla situazione italiana il quadro appare desolante e sconvolgente, oltre che sul versante della diffusione della banda larga, anche sul fronte dell'utilizzo di internet e dell'educazione al digitale;
   i dati riportati nello scoreboard dell'agenda digitale dedicati al nostro Paese fotografano la seguente situazione: il 34 per cento della popolazione italiana non ha mai avuto accesso ad internet (a fronte di una media europea del 20 per cento); solo il 56 per cento della popolazione accede ad internet almeno una volta a settimana (a fronte di una media europea del 72 per cento) mentre solo il 51 per cento della popolazione accede ad internet quotidianamente (a fronte di una media europea del 62 per cento);
   dati simili si rinvengono sul fronte dell'educazione al digitale rispetto alla quale la Commissione europea rileva, seppur riferendosi a dati del 2012 come ultimi disponibili, come ben il 60 per cento della popolazione italiana non ha o ha competenze digitali estremamente ridotte (a fronte di una media europea del 47 per cento);
   la scarsa educazione al digitale della popolazione italiana rappresenta un dato senza dubbio preoccupante, da un lato, in considerazione del ruolo rivestito dalla rete internet nello sviluppo dei processi democratici e degli obblighi degli Stati nell'assicurare un accesso libero e informato alla rete (come da ultimo ricordato dalla risoluzione n. 1987/2014 approvata dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa il 9 aprile 2014) e, dall'altro, con riferimento al ruolo rivestito dalla rete internet per il progresso economico dei Paesi, non è un caso che gli stessi dati forniti dalla Commissione europea ci dicano che solo il 20 per cento degli italiani nel 2013 hanno fatto acquisiti online (a fronte di una media europea del 47 per cento) –:
   se e quali iniziative e risorse il Ministro – nell'ambito delle proprie competenze – intenda adottare per porre rimedio alla situazione di analfabetismo digitale nella quale versa la popolazione italiana come richiesto dalle autorità e dai programmi europei. (5-03357)

Interrogazione a risposta scritta:


   PALESE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il trasferimento all'estero di un numero sempre crescente di medici specialisti italiani (in particolare Gran Bretagna, Germania, Francia, Svezia, Danimarca e Australia) è un fenomeno in continua crescita. Secondo l'Osservatorio giovani della Federazione nazionale degli ordini dei medici sono circa 1.000 i giovani dottori che ogni anno varcano il confine italiano;
   l'investimento di risorse pubbliche per la formazione di medici attraverso borse di studio ministeriali ha un costo superiore ai 100.000 euro per ogni specializzato nell'arco dei 5 anni di durata media del corso di specializzazione;
   i giovani medici a causa della mancanza di un'adeguata collocazione sia in termini di stabilità lavorativa che di retribuzione vengono facilmente reclutati (dopo una accurata e selettiva valutazione di merito, con contratti stabili e con compensi adeguati ad un impegno formativo della durata di ben 11 anni) da altri Paesi europei che a costo zero e senza nessun investimento nella formazione si avvalgono dei migliori medici italiani;
   il persistente problema della carenza di personale nel sistema sanitario nazionale (SSN) italiano causato da politiche di riduzione della spesa, tra cui si distingue il blocco del turn over, costringe i medici e i dirigenti sanitari a ritmi e turni di lavoro il più delle volte insostenibili, con grave pregiudizio della qualità e sicurezza delle cure;
   il nostro Paese, per soddisfare il fabbisogno sanitario nazionale, rischia di doversi rivolgere sempre più a professionisti formati all'estero per poter assicurare il rispetto dei livelli essenziali di assistenza –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intenda porre in essere al fine di ridurre la cosiddetta «fuga di cervelli» in campo sanitario, favorendo con opportuni provvedimenti una progressiva immissione in servizio dei medici specialisti. (4-05715)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MICCOLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   dal 1o gennaio 2012 l'Inps ha assorbito funzioni, obbligazioni, risorse patrimoni, strumentali e umane dell'Inpdap e dell'Enpals, soppressi a seguito delle previsioni di cui all'articolo 21 del decreto-legge n. 201 del 6 dicembre 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 22 dicembre 2011, per meglio rispondere alle esigenze di razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica;
   a seguito di tali previsioni normative risulta che si è proceduto ad un graduale inserimento nei ruoli dell'INPS del personale degli enti soppressi e che sono stati attribuiti incarichi ai dirigenti provenienti dall'INPDAP e dall'ENPALS, al fine di facilitare e gestire la transizione di cui all'articolo 21 del decreto-legge 201 del 2011, sopra richiamato, anche prima dell'emanazione dei previsti decreti attuativi;
   il ritardo con cui si è proceduto alla redazione del piano industriale triennale degli interventi di integrazione 2014-2013 – approvato con la determinazione commissariale n. 38 del 1o aprile 2014 e che, peraltro, presenta elementi di criticità – ha determinato il mancato sviluppo di una vera politica di integrazione, che ponesse le basi per la definizione del nuovo ruolo che l'Istituto così ridisegnato, quale perno del welfare pubblico, dovesse concretamente svolgere;
   l'emanazione dei documenti organizzativi avvenuta nel corso delle ultime settimane (determinazione commissariale 117 del luglio 2014; determinazione commissariale 118 del 17 luglio 2014 e determinazione commissariale 120 del 22 luglio 2014; i messaggi Hermes 06162 del 18 luglio 2014 19.02.11 e 006273 del 24 luglio 2014 20.18.05) ha reso chiare le problematiche evidenziate in ordine alla effettiva coerenza tra il ruolo sociale dell'Istituto e le scelte organizzative poste in essere;
   dall'interpello (messaggio Hermes 06162 del 18 luglio 2014 19.02.11) per le funzioni di dirigenza generale pubblicato in data 18 luglio 2014, si evince che delle 48 attuali posizioni in organico di dirigenti generali (rif. determinazione commissariale n. 58 del 12 maggio 2014) ben 13 risultano essere strutture di progetto temporaneo (rif. determinazione commissariale 120 del 22 luglio 2014) che trovano difficile motivazione organizzativa e funzionale, rappresentando piuttosto una sorta di spacchettamento e parcellizzazione di competenze proprie delle direzioni centrali preesistenti e da considerarsi «storiche» per funzioni, progettualità e rilevanza interna ed esterna all'Istituto;
   tale disegno organizzativo rischia di conservare tutti i posti funzione di livello dirigenziale generale attualmente presenti, ivi compresi quelli rivestiti da risorse esterne. All'interno dell'Inps, infatti, oltre a 9 dirigenti di seconda fascia con incarico di prima, attualmente sono presenti 4 dirigenti generali ex articolo 19 commi 5 e 6, ciò apparentemente in contrasto con il dettato normativo di cui al decreto legislativo 165 del 2001, che prevede il ricorso a professionalità esterne solo in assenza di quelle interne;
   stante questa situazione – che si colloca in un periodo di indefettibile necessità a rispettare i vincoli di contenimento della spesa pubblica che vede coinvolta tutta la pubblica amministrazione – la spesa a carico dell'Istituto per l'organico dirigenziale è gravata da una rilevante quota, stimabile in circa 2 milioni di euro annui (riferite alle sole retribuzioni dei dirigenti generali incaricati ex articolo 19 e di coloro che rivestono il ruolo di seconda fascia con incarico di prima), pur in assenza di un chiaro disegno organizzativo che presenti quegli elementi strategico/funzionali necessari allo sviluppo del già richiamato ruolo che l'INPS svolge nel Paese, soprattutto in un così grave momento di crisi economica e sociale –:
   quali iniziative intendano adottare affinché l'INPS proceda all'adozione di provvedimenti utili a garantire un effettivo risparmio di  spesa, che si coniughi con i principi di efficienza, buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa (articolo 97 Costituzionale della Repubblica italiana), nonché con il principio generale di trasparenza, intesa come accessibilità totale alle informazioni concernenti l'organizzazione e l'attività delle pubbliche amministrazioni ai sensi del decreto legislativo n. 33 del 14 marzo 2013, ove trovino effettivo impiego le risorse dirigenziali che risultino necessarie e organiche al piano di sviluppo dell'Istituto, in una logica di adeguato ricorso alle professionalità presenti e di unitarietà di indirizzo strategico e funzionale. (5-03352)


   CIPRINI, GALLINELLA, BALDASSARRE, BECHIS, CHIMIENTI, COMINARDI, RIZZETTO, ROSTELLATO e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda Thyssen-Krupp – che recentemente ha riacquistato la proprietà della Acciaieria Speciale Temi nel polo siderurgico tornano – il 17 luglio 2014 ha presentato a Palazzo Chigi il nuovo piano industriale che ha confermato le preoccupazioni delle ultime settimane relative ad un ridimensionamento del sito umbro che dà lavoro a circa 2.800 dipendenti e produce oltre un milione di acciaio inox all'anno;
   il personale, secondo le previsioni del management tedesco – nelle persone del nuovo amministratore delegato Lucia Morselli e di Joachim Limberg in qualità di ceo della business area materials services di Thyssen-Krupp – dovrà essere ridotto di circa 550 unità. Sono previsti interventi sui costi in tutte le aree, per un risparmio stimato di 100 milioni di euro in 5 anni (39 milioni nei primi 2 anni più altri 61 da spalmare nel quinquennio);
   i licenziamenti sarebbero così distribuiti: 220 nei primi due anni e 330 alla fine dei due anni. A questi si devono aggiungere altri 400 dipendenti delle ditte esterne e dell'indotto che potrebbe coinvolgere fino a circa 900-950 dipendenti dell'intero sito ternano;
   per il viceministro allo sviluppo economico, Claudio De Vincenti, il piano presentato «non va bene, e non è chiaro sulle prospettive». Le istituzioni locali lo giudicano «irricevibile» e per i sindacati è semplicemente «inaccettabile» (Il Sole24ore del 18 luglio 2014) e all'incontro del 25 luglio 2014 presso la Camera del lavoro di Terni – a cui era presente anche l'interrogante – gli stessi hanno definito il piano industriale della Thyssen come un piano finanziario che punta al ridimensionamento e che sancisce la de-industrializzazione di Terni e dell'Umbria;
   recentemente i vertici dell'azienda hanno annunciato lo scioglimento delle società controllate dalla AST (Società delle Fucine: 208 addetti, Titania: 50 dipendenti, Aspasiel: 64 dipendenti) e le rappresentanze sindacali unitarie hanno contestato «l'ultima azione unilaterale da parte della direzione aziendale relativamente al non riconoscimento dell'accordo tra le parti per le modalità di gestione della cassa integrazione ordinaria» (Il Giornale dell'Umbria del 26 luglio 2014), facendo riferimento alla decisione dell'azienda del prolungamento ad un mese della fermata estiva;
   forti sono la preoccupazione e la tensione tra i lavoratori per le proprie sorti lavorative, per il mantenimento della lavorazione e della produzione dell'acciaio nel sito siderurgico ternano e per le pesanti conseguenze sociali ed economiche dei prospettati esuberi –:
   quali concrete e immediate iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato al fine di impedire che venga dato corso agli esuberi annunciati dall'azienda e al fine di salvaguardare gli attuali livelli occupazionali, scongiurando il ridimensionamento dello stabilimento AST che avrebbe un gravissimo impatto sociale ed economico sull'intero comparto industriale siderurgico temano e anche nazionale. (5-03358)

Interrogazione a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i lavoratori dell'Italfinish di Sulmona (L'Aquila) aspettano da sette mesi gli assegni di cassa integrazione. Circa 50 dipendenti dell'azienda bergamasca di finiture in alluminio sono in difficoltà dal dicembre scorso;
   dopo l'istanza di fallimento avviata dalla proprietà a novembre del 2011 e le rassicurazioni sul pagamento degli arretrati, gli operai dell'azienda bergamasca di finiture in alluminio non hanno ricevuto la cassa integrazione guadagni nonostante la firma a gennaio dell'accordo di cassa integrazione straordinaria fino a agosto;
   la proprietà della fabbrica ha dichiarato fallimento a novembre 2011, per mancanza di commesse;
   un triste epilogo per un'azienda che avrebbe dovuto riassorbire negli anni i 63 dipendenti iniziali;
   le avvisaglie della fine c'erano state dalla primavera precedente con gli stipendi in ritardo e la produzione a singhiozzo. L'azienda di Bergamo aveva rilevato nel 2007 l'ex Lastra, controllata dalla multinazionale Agfa, aprendo due stabilimenti, uno a Sulmona (L'Aquila) e l'altro a Capestrano –:
   se non intenda intervenire con urgenza per sbloccare i fondi della Cassa integrazione guadagni così scongiurando eventuali rivalse delle banche sui lavoratori. (4-05710)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PALESE. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero della salute promuove e tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse delle collettività, in attuazione dell'articolo 32 della Costituzione;
   l'applicazione di tali principi ed il diritto dei cittadini a ricevere i livelli essenziali di assistenza, sembrano essere sempre più a rischio nella regione Puglia, stando anche a quanto riportato negli ultimi giorni dalla stampa locale;
   in particolare dalla Gazzetta del Mezzogiorno del 25 luglio 2014 si apprende dell'esistenza di una relazione ispettiva del Ministero dell'economia e delle finanze dalla quale emergerebbe che nella asl Bari alcuni medici avrebbero goduto di compensi extra per un totale di 24 milioni di euro negli ultimi 5 anni e, stando sempre a quanto riporta dalla stampa, sembrerebbe che in alcuni casi tali compensi non fossero dovuti o venissero sovrastimati rispetto alle tariffe regolari;
   dalle notizie di stampa appare evidente l'assoluta assenza di controllo nei meccanismi gestionali della più grande asl della Puglia, ma non appare chiaro se il management della asl fosse a conoscenza di tale meccanismo o se sia stato esso stesso a denunciarlo, si evince invece che il manager della Asl Bari sarebbe attualmente sottoposto a procedimento disciplinare da parte della Regione;
   com’è noto la regione Puglia è stata sottoposta a piano di rientro dal deficit sanitario e, per ripianare tale deficit, la giunta Vendola ha imposto ai cittadini pugliesi tasse regionali aggiuntive «finalizzate» a tale scopo, per circa due miliardi di euro negli ultimi sette anni; anche nel 2014 i pugliesi continuano a pagare tasse regionali aggiuntive per circa 260 milioni di euro –:
   se il Ministro dell'economia e delle finanze confermi l'avvenuta ispezione nella asl di Bari e, in caso affermativo, se risponda al vero che dalla relazione finale degli ispettori emerge quanto riportato dalla stampa in merito ai rimborsi indebitamente percepiti da alcuni medici per un totale di 24 milioni di euro negli ultimi 5 anni;
   se vi siano altre ispezioni in atto presso le altre asl della regione Puglia e, in caso contrario, se il Ministro non ritenga indispensabile ed urgente alla luce di quanto emerso per la asl Bari, avviare analoghe ispezioni nelle altre asl della Puglia;
   se il Ministro della salute non ritenga di dover assumere iniziative per verificare se siano o meno garantiti ai cittadini pugliesi l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza e la tutela della salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse delle collettività, in attuazione dell'articolo 32 della Costituzione, anche alla luce del fatto che i pugliesi, pur in presenza di conti sanitari ormai in pareggio come sostenuto dalla giunta regionale, continuano a pagare tasse regionali aggiuntive per 260 milioni di euro. (5-03359)

Interrogazione a risposta scritta:


   GALPERTI, COMINELLI, BERLINGHIERI, BAZOLI e LACQUANITI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda ospedaliera Spedali Civili di Brescia nell'anno 2011 aveva avviato, su un limitato numero di pazienti, la somministrazione di un trattamento con il cosiddetto metodo «Stamina», ai sensi della così detta «Turco-Fazio», decreto ministeriale 5 dicembre 2006;
   l'azienda sospendeva ogni attività agli esiti delle verifiche operate dall'AIFA nei giorni 8 e 9 maggio 2012;
   in data 15 maggio 2012 il direttore generale dell'AIFA notificava l'ordinanza n. 1/2012, che fa divieto di ogni relativa attività;
   l'azienda il 25 maggio 2012 risolveva definitivamente l'accordo con Stamina;
   ancora prima del «decreto Balduzzi», alcuni pazienti si rivolgevano ai tribunali del lavoro, affinché venisse ordinata a loro favore la somministrazione della terapia «Stamina», che in detti limiti veniva ripresa dall'azienda;
   intervenuto il decreto Balduzzi, decreto-legge 24 marzo 2013, n. 24, poi convertito dalla legge n. 57 del 2013, l'azienda procedeva alla somministrazione del così detto metodo «Stamina» nei limiti là riconosciuti, nonché per effetto delle pronunce dei giudici (diverse centinaia i ricorsi succedutisi dopo l'emanazione del decreto-legge) a ciò favorevoli anche oltre i limiti del dettato normativo;
   sulla vicenda Stamina il Senato della Repubblica ed il consiglio della regione Lombardia hanno disposto 2 distinte, indagini conoscitive regolarmente e celermente effettuate dalle competenti Commissioni istituzionali;
   da tempo è in corso presso la procura della Repubblica di Torino un'indagine, che vede peraltro coinvolti oltre ai vertici di Stamina anche operatori sanitari dello stesso ospedale Bresciano, e che necessariamente, in correlazione alle fattispecie penali, dovrà comportare un giudizio sulla legittimità della terapia «Stamina» e sulla somministrazione della stessa;
   viceversa, si susseguono provvedimenti giudiziari che impongono il proseguimento degli interventi terapeutici all'azienda ospedaliera di Brescia;
   lo stesso Ministero ha incaricato nel giugno del 2013 un primo Comitato scientifico per verificare i presupposti per avviare la sperimentazione prevista dal decreto Balduzzi e finalizzata a valutare la sicurezza e l'efficacia del trattamento con medicinali per terapie avanzate a base di cellule staminali mesenchimali;
   nei confronti del parere reso da tale Comitato, che aveva ritenuto non sussistenti detti presupposti, il TAR pronunciava ordinanza di sospensione;
   successivamente il Ministro nominava un nuovo Comitato scientifico di esperti che risulterebbe aver già iniziato i propri lavori;
   il Ministro interrogato ha più volte ribadito, ad avviso degli interroganti anche ragionevolmente, che una decisione in merito all'eventuale sospensione della cura potrà essere presa solo ed esclusivamente dopo gli accertamenti del Comitato stesso;
   alle risultanze dei lavori del Comitato scientifico gli stessi operatori sanitari dell'azienda ospedaliera Spedali Civili di Brescia, dapprima impegnati nella somministrazione del così detto metodo Stamina, hanno subordinato ogni loro definitiva decisione circa la ripresa o meno delle proprie correlate attività rispetto alle quali, nel frattempo, hanno deciso di non voler concorrere –:
   quante volte si sia riunito il Comitato scientifico ad oggi;
   se sia stato fissato un termine entro il quale deve essere rassegnato il parere indicato in premessa;
   in caso affermativo, quale sia tale termine e diversamente se non si ritenga di indicarlo;
   se non si ritenga comunque stia passando un tempo insopportabilmente lungo per rendere all'intera comunità una decisione chiara e definitiva, impregiudicati i diritti di tutti a partire da quelli dei malati;
   nel caso, se non si ritenga che tale indeterminatezza sotto il profilo temporale della procedura non confligga in modo evidente con quella forte richiesta di tempestività e di credibilità cui è tenuta la pubblica amministrazione. (4-05718)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CRIPPA, DELLA VALLE, FANTINATI, MUCCI, PETRAROLI e PRODANI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con i commi 56 e 57 della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2014) si è andato ad istituire un fondo con una dotazione di 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014-2015 destinato al «sostegno delle imprese che si uniscono in associazione temporanea di imprese (ATI) o in raggruppamento temporaneo di imprese (RTI) al fine di operare su manifattura sostenibile e artigianato digitale, alla promozione, ricerca e sviluppo di software e hardware e all'ideazione di modelli di attività di vendita non convenzionali e forme di collaborazione tra tali realtà produttive»;
   secondo il comma 58, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della sopracitata legge n. 147, il Ministro dello sviluppo economico avrebbe dovuto inviare alle Camere una relazione a proposito degli effetti di tale misura;
   di tale relazione non si hanno notizie, in quanto in realtà la misura prevista dai commi 56 e 57 non è mai entrata realmente in vigore, considerando che non è mai stato emanato il corrispondente decreto ministeriale attuativo, ai sensi del comma 59, con il quale sarebbero stati definiti criteri e modalità di applicazione dei già citati comma 56 e 57;
   tale ritardo pare incomprensibile considerando che tale cifra risulta già stanziata;
   tale misura si rivelerebbe ancora più urgente considerando che nella relazione alla Presidenza del Consiglio dei ministri del Garante per le micro, piccole e medie imprese del 6 febbraio 2014, lo stesso garante sottolinea «L'incontro di tradizione ed innovazione che, attraverso l'uso del digitale (3d printing, rapid prototyping), vivifica il «saper fare» artigiano di alta qualità.», lasciando trapelare l'importanza dell'impatto delle nuove tecnologie digitali sul manifatturiero e sul suo influsso positivo nella creazione di nuove rivoluzionarie StartUp –:
   in quali tempi il Ministro interrogato preveda, che il citato decreto ministeriale attuativo possa vedere luce in modo da rendere tale misura effettivamente operativa. (5-03353)


   PILI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   da mesi in Sardegna, e in particolare nel Sulcis, si parla di un progetto per la realizzazione di additivi per la produzione di biofuel;
   tale progetto prevederebbe, secondo i suoi estensori, di realizzare una filiera produttiva con la fornitura diretta di materia prima per lo stabilimento di produzione dell'additivo;
   il progetto prevederebbe la realizzazione a Portovesme di un impianto per la produzione di bioetanolo della capacità di ottantamila tonn/anno;
   lo stesso progetto prevederebbe l'impianto di ben 5.000 ettari di Arundo Donax per soddisfare le esigenze produttive dello stabilimento;
   il piano risulta totalmente sconosciuto nei dettagli e nelle procedure che si starebbe seguendo;
   esponenti di Governo hanno pubblicamente e nelle Aule parlamentari paventato questo progetto affermando che «sono andati avanti i contatti e l'approfondimento con gli investitori, che hanno prospettato nuove iniziative imprenditoriali e industriali in grado di assorbire una significativa parte dei lavoratori in esubero. In particolare, stanno procedendo anche con Invitano e con la Regione gli incontri con la società che ha prospettato la realizzazione di un impianto per la produzione dei carburanti di seconda generazione attraverso l'utilizzo di materiali vegetali interamente rinnovabili, secondo una linea sostenuta dalla Commissione europea di sviluppo dei biocarburanti cosiddetti di seconda generazione. È un progetto che, a regime, potrà dare lavoro a oltre 250 persone»;
   tale progetto non risulta formalmente presentato in alcuna istituzione locale e regionale;
   risulta all'interrogante che esponenti di primo piano di una nota società che opera nel campo dei biocarburanti si siano recati ripetutamente nel Sulcis iglesiente accompagnati da esponenti di partito e istituzionali;
   risulta altresì all'interrogante che un business development manager di tale nota società abbia incontrato diversi operatori agricoli e istituzioni locali, con i quali avrebbe svolto sopralluoghi al fine di individuare le aree e le risorse idriche per la realizzazione della devastante filiera produttiva della arundo donax;
   si tratta di un'operazione di una gravità inaudita sia nelle forme che nella sostanza del progetto;
   è evidente all'interrogante che la parte pubblica, dal Governo alle sue diramazioni, non solo non svolge una corretta relazione tra privati e istituzioni, ma appare sempre meno definito il confine delle procedure tese a garantire la massima trasparenze degli interventi economici;
   questo Governo, così come quelli precedenti, non solo non è stato in grado di risolvere la grave crisi industriale del polo di Portovesme ma ha tergiversato su questioni dirimenti come quella energetica, prioritaria su tutto;
   è evidente che si tratti di un atteggiamento a doppia velocità, lenta e in molti casi con la retromarcia per la ripresa produttiva di Alcoa e veloce per il progetto privato denominato biofuel;
   tale rapporto del Governo con tale società proponente si evince da un comunicato del Ministero dello sviluppo economico che recita: «Roma, 23 maggio 2014 – Fa passi avanti un progetto di green economy per il Sud. Nel gennaio del 2013 il Governo italiano ha siglato un'intesa con Biochemtex del Gruppo Mossi&Ghisolfi, per lo sviluppo della economia verde, che prevede la realizzazione di tre nuovi impianti per la produzione di bioetanolo da materie prime no food (biocarburante di seconda generazione), in tre siti: Sulcis, Termine Imerese, Puglia. Nelle ultime settimane è stata promossa presso il Ministero dello sviluppo economico una serie di incontri per la valutazione del progetto, coinvolgendo alcuni tra i principali attori del sistema bancario, oltre a Biochemtex. Ieri sera si è svolto un ulteriore incontro, da cui è emersa in primo luogo la comune volontà di tutti i soggetti coinvolti di impegnarsi attivamente per la realizzazione del progetto. La Biochemtex si è a questo punto impegnata a presentare, alla luce delle verificate disponibilità, una formale proposta a Invitalia di Contratto di Sviluppo, riferita a tutti e tre i siti interessati. Nei prossimi quindici giorni, le parti private coinvolte svilupperanno un'azione comune volta ad ulteriormente approfondire la sensibilità del progetto alla evoluzione nel tempo dei diversi fattori»;
   appare quindi chiaro che il Governo sta perseguendo per questo tipo di progetti un percorso di «contratto di sviluppo» le cui caratteristiche appaino quelle di una discrezionalità evidente nella selezione e nel sostegno a tali progetti;
   è evidente il tentativo di ubicare in, Sardegna un progetto ad altissimo impatto ambientale «sfruttando» la gravità occupazionale e in particolare facendo leva sulla chiusura dello stabilimento Alcoa;
   in particolar modo si sta tentando di sostituire l'Alcoa con un piano a limitato impatto occupazionale e a grande redditività per i soggetti proponenti che usufruirebbero di cospicui finanziamenti pubblici e incentivi pluriennali;
   un'operazione che appare, nelle modalità e nei risultati economici, tesa a favorire in tutto e per tutto gli interessi della società proponente considerati anche i rapporti tra l'attuale Governo e lo stesso Presidente del Consiglio;
   si richiama a mero titolo informativo che il signor Guido Ghisolfi e la sua signora sono i principali sostenitori finanziari con un contribuito dichiarato di 100 mila euro della campagna elettorale per le elezioni primarie dell'attuale Presidente del Consiglio;
   tale contributo risulta essere stato versato alla fondazione Big Bang che ha appunto gestito direttamente la campagna elettorale delle elezioni primarie;
   è evidente che tale fatto avrebbe dovuto indurre a maggiore cautela nei rapporti tra la pubblica amministrazione e i soggetti privati;
   non è la sede in cui discutere la ratio e le modalità di finanziamento della politica ma di certo non può non affacciarsi il tema delle lobby economiche che sostengono non certo in modo disinteressato la politica;
   quel che è più grave è il tentativo sotterraneo di attuare un progetto senza che si sia in alcun modo messo mano ai temi nevralgici dello sviluppo del Sulcis iglesiente e della Sardegna tutta;
   un'ipotesi progettuale che prevederebbe, secondo le dichiarazioni rese da alcuni soggetti promotori del progetto, la coltivazione di ben 5.000 ettari di arundo donax, specie invasiva e devastante, nelle aree agricole del Sulcis con l'utilizzo di terreni che, per la loro suscettività, erano stati destinati alle colture intensive e per questo dotati di adeguate infrastrutture irrigue;
   le dimensioni della coltivazione, stiamo parlando di 5.000 campi di calcio, lascia comprendere che si è dinanzi ad un impatto che nelle sue dimensioni non può in alcun modo essere accettato, proprio per le ripercussioni ambientali e agronomiche, oltre che sul piano dello stesso progetto di sviluppo;
   appare del tutto contraddittorio rispetto alle stesse linee guida del piano Sulcis che tra le filiere prioritarie aveva indicato proprio l'agroalimentare e la sua funzione strategica verso l'agroindustria;
   per comprendere l'impatto dell'intervento basti ricordare che il consorzio del Basso Sulcis occupa una superficie irrigua di 6.398 ettari;
   i principali ordinamenti colturali irrigui sono costituiti dalle colture orticole da pieno campo (carciofo), da seminativi e foraggere, vigneti di qualità (Carignano) e appezzamenti protetti (serre, tunnel, ombrari);
   le orticole di pieno campo sono rappresentate prevalentemente dal carciofo, la cui stagione irrigua si estende nella norma, dal periodo estivo, generalmente luglio-agosto, fino all'autunno. Negli ultimi anni si è ampliata la stagione irrigua del carciofo a causa della raccolta e commercializzazione delle code di produzione e dei carciofini per l'industria (aprile-maggio);
   attualmente non si conosce soluzione di continuità tra la fine della stagione irrigua dell'anno precedente e l'apertura anticipata della stagione successiva, a causa della richiesta d'acqua per l'irrigazione delle carciofaie;
   il Basso Sulcis rappresenta l'area a maggiore variabilità climatica, soprattutto in relazione agli apporti idrometeorici, e di conseguenza nelle scorte, che comporta notevoli difficoltà nella distribuzione durante i periodi più siccitosi;
   il progetto di impiantare 5.000 ettari di arundo donax è ipotesi destituita di ogni analisi agronomica, geopedologica e climatico-ambientale;
   la suscettività dei terreni del basso Sulcis per la loro intrinseca qualità chimico fisica aveva indotto importanti investimenti sul piano irriguo con le realizzazioni di importati interventi sul piano idrografico, la realizzazione di almeno tre dighe, Monte Pranu, Medau Zirimillis e Genna is Abis;
   la diga Medau Zirimilis nel comune di Siliqua dispone di una capacità di 6,7 milioni di metri cubi, la diga di Monte Pranu di Tratalias di 50 milioni di metri cubi, nata per usi irrigui, e la diga del Cixerri (Genna Is Abis) 24 milioni di metri cubi;
   si dà conto di investimenti infrastrutturali di grandissimo rilievo così come la futura connessione del Sulcis Iglesiente con il sistema Tirso Flumendosa per il cui collegamento si è in attesa del ripristino degli stanziamenti maldestramente sottratti dall'attuale e precedente giunta regionale della Sardegna;
   una potenzialità irrigua legata all'obiettivo di fare dell'agricoltura intensiva e di qualità un vero e proprio volano di sviluppo in grado di modificare l'assetto economico del Sulcis Iglesiente;
   la proposta di impiantare 5.000 ettari di arundo donax è dunque destituita di ogni compatibilità economica, ambientale, naturalistica, paesaggistica e strategica;
   risulta un piano di vera e propria colonizzazione senza precedenti che viene perseguito lucrando sulla grave crisi industriale generata dalla stessa classe dirigente incapace di affrontare le questioni fondamentali, come quelle energetiche, ma che nel contempo avanza progetti speculativi e devastanti come quello suddetto;
   l’arundo donax è stata inserita nell'elenco delle 100 tra le specie esotiche invasive più dannose al mondo (Mack, R.N. 2008. Evaluating the credits and debits of a proposed biofuel species giant reed (arundo donax);
   in America si sta diffondendo rapidamente provocando la scomparsa di piante autoctone e danneggiando così gli ecosistemi ripariali. Il fusto e le foglie di a. donax contengono numerose sostanze chimiche che possono risultare dannose; tra queste troviamo la silice e vari alcaloidi, il cui compito è quello di proteggere la pianta dalla maggior parte degli insetti erbivori e scoraggiare altri animali dal nutrirsene;
   le coltivazioni di canna comune sono particolarmente esposte al rischio di incendio. La pianta infatti è altamente infiammabile durante tutto l'arco dell'anno e nei mesi più secchi la sua presenza può far aumentare la probabilità, l'intensità e la diffusione degli incendi, producendo quindi una conversione delle comunità biologiche dalla tipologia regolata dalle inondazioni a quella regolata dagli incendi;
   secondo le agenzie americane per il controllo ambientale l’arundo donax aggredisce le piante autoctone e specie selvatiche associate a seguito delle sue prestazioni vegeto genetiche;
   il meccanismo della competizione con specie autoctone non è stabilito, secondo le agenzie americane, diventa chiaramente una componente dominante della flora;
   secondo le agenzie americane che hanno approfondito in questi anni gli studi su questa specie l’Arundo è anche sospettata di modificare i regimi idrologici e riducendo la disponibilità delle acque sotterranee operando da traspirante per grandi quantità di acqua da falde acquifere semi-aride (Iverson, 1994) –:
   se non ritenga di dover vietare qualsiasi tipo di colonizzazione ambientale nell'area del Sulcis Iglesiente a seguito di progetti che l'interrogante giudica destituiti di ogni qualsivoglia attinenza con le caratteristiche territoriali, morfologiche, identitarie dell'area indicata;
   se non ritengano di dover affrontare in termini immediati azioni non più rinviabili come la definizione di accordi e contratti bilaterali che consentano l'individuazione di seri operatori in grado di riattivare lo stabilimento di alluminio primario di Portovesme;
   se non ritenga di dover impedire che esponenti del Governo o loro delegati manifestino con atti o sopralluoghi sui luoghi il diretto interesse al sostegno di tale progetto;
   se in fase di autorizzazione di tale progetto non intenda tenere conto degli studi esistenti sulla suscettività dei terreni e sulle caratteristiche ambientali dell'area stessa al fine di respingere definitivamente il progetto;
   se non ritenga di dover evitare che risorse finanziarie pubbliche siano destinate a finanziare progetti del tutto in contrasto con la stessa pianificazione del piano Sulcis, come la produzione di arundo donax in totale contrasto per esempio con la filiera strategica dell’ agroalimentare di qualità. (5-03360)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CAPARINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 4 luglio 2014 è stata consegnata alle segreterie nazionali di CGIL e CISL e a quelle del settore elettrico l'ennesima proposta da parte di Enel distribuzione rete di riorganizzazione della direzione, la quale prevede l'accorpamento della sede di Breno con quella di Brescia;
   con lo spostamento della direzione di Enel da Breno a Brescia verrebbe a mancare il rapporto diretto tra l'ente ed il territorio, a danno dei cittadini;
   tutte le attività specialistiche verrebbero inevitabilmente spostate e sul territorio rimarrebbero soltanto le attività meramente operative, causando un declassamento a ruolo marginale del presidio della Valle Camonica, in quanto territorio montano;
   la Valle Camonica abbraccia un territorio vasto e complesso e l'operazione di accorpamento, qualora avvenisse, avrebbe delle ripercussioni assolutamente negative sulla gestione delle attività nel territorio, comportando inefficienze negli interventi relativi a manutenzioni e a riparazioni di guasti alle linee;
   con l'eliminazione della zona di Breno si andrebbe a colpire anche la realtà della squadra di Edolo; strutture, entrambe, assolutamente efficienti che hanno acquisito negli anni grande esperienza e professionalità;
   a Breno, secondo i piani prospettati da Enel, rimarrebbe solo un'attività operativa composta da circa 30 lavoratori, i quali dovrebbero soddisfare le richieste di tutta la Valle Camonica; nel territorio sono presenti oltre 110 mila utenze, poco meno di 3000 km di linee MT-BT e più di 1100 cabine di trasformazione. L'eventuale adozione di politiche di razionalizzazione delle risorse potrebbe mettere seriamente a rischio la gestione in sicurezza dei suddetti impianti;
   l'adozione di politiche di privatizzazione prima, e quelle di esasperata razionalizzazione delle risorse dopo, rischiano di estromettere la Valle Camonica dal giusto riconoscimento del proprio ruolo, con chiare ripercussioni sull'occupazione, sugli investimenti nella sicurezza degli impianti, sulla gestione del territorio e, non da ultimo, sulla qualità del servizio offerto;
   è necessario che vengano adottate tutte le misure opportune per gestire in sicurezza un complesso sistema, composto da una varietà di impianti di generazione idroelettrica, da numerose opere idrocivili e soprattutto da una rete di linee elettriche che presentano difficoltà di gestione, sia dal punto di vista tecnico sia orografico del territorio tipico delle vallate alpine;
   il sistema elettrico della Valle Camonica si ritiene fondamentale per l'assetto energetico del Paese, ed in particolare, del territorio; esso necessita quindi della presenza continua e costante di personale qualificato per garantire ai cittadini un buon presidio territoriale che ricomprenda anche la direzione di Enel distribuzione rete di Breno –:
   se il Ministro intenda intervenire per quanto di competenza affinché Enel distribuzione rete riveda le proprie scelte strategiche mantenendo attivo il presidio della zona di Breno e tutte le attività ad esso connesse, compresi gli attuali livelli occupazionali, a garanzia della sicurezza del sistema elettrico di tutto il territorio della Valle Camonica e dell'offerta di un servizio qualificato ed efficiente ai cittadini. (4-05713)


   LATRONICO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da organi di stampa si apprende la notizia del sequestro da parte della magistratura dell'impianto produttivo Sider di Potenza, lo storico stabilimento del capoluogo lucano acquistato nel 2002 dal Ferriere Nord spa; 
   da giorni sono al lavoro all'interno dello stabilimento della Sider Potenza i militari del Noe dei carabinieri e gli esperti incaricati dalla procura della Repubblica di Potenza, per gli accertamenti e verificare la presenza di diossina e furani nelle emissioni diffuse nell'ambiente interno ed esterno dalle attività e dai processi di lavorazione della fabbrica;
   lo stabilimento siderurgico del gruppo Pittini Osoppo di Udine, opera a Potenza da circa trent'anni, occupa 300 lavoratori ed è l'unico a produrre Mezzogiorno tondini per l'edilizia e si rileva, che a causa della crisi economica, gli operai lavorano con orario ridotto e con contratti di solidarietà;
   inoltre, nei magazzini sono presenti alcune decine di migliaia di tonnellate di prodotto finito (soprattutto tondini per l'edilizia) che potrebbero essere venduti e il ricavato potrebbe sostenere gli interventi che l'azienda deve fare per abbattere i fumi nocivi che hanno portato al sequestro;
   i lavoratori e le associazioni chiedono che si agisca per alleviarne le conseguenze e accelerare l'attuazione delle prescrizioni, nel rispetto del lavoro e dell'ambiente –:
   ministri interrogati siano informati dei fatti sopra esposti;
   se intendano ed in che modo adoperarsi per l'adozione di misure immediate ed efficaci che consentano la realizzazione di una strategia industriale a favore del settore siderurgico finalizzata al consolidamento della capacità produttiva degli impianti, alla salvaguardia della tutela ambientale e della salute dei cittadini al sostegno della qualità dei prodotti e dell'occupazione del settore e dell'indotto e all'incentivazione dei investimenti in nuove tecnologie e in nuovi processi più efficienti. (4-05721)


   LATRONICO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in una recente visita in Basilicata, il commissario dell'Enea ingegner Giovanni Lelli ha confermato la strategia dell'ente di valorizzare progetti di ricerca e di innovazione industriale per il rilancio del centro di Trisaia di Rotondella (MT);
   uno dei progetti coinvolgerebbe l'Eni sulla chimica verde, di cui in verità si parla da anni, utilizzando prodotti vegetali coltivabili in terreni inquinati o marginali che produrrebbero una gomma naturale;
   altre iniziative riguarderebbero il settore dei rischi ambientali e della difesa del suolo, coinvolgendo, a quanto pare il distretto di Basilicata, con il suo centro di Matera, in materia di osservazione terrestre;
   un altro importante progetto attiene allo sviluppo di tecnologie nel campo della produzione di energie da fusione nucleare, progetto che dovrà fare i conti con la concorrenza di altri Paesi dal Giappone alla Corea;
   non c’è dubbio che sono importanti le conferme del commissario Giovanni Lelli ma le dichiarazioni di intenti non bastano, servono azioni concrete ed occorre che il Governo nazionale e quello regionale definiscano una strategia sul centro di Trisaia che negli ultimi tempi ha risentito in realtà di misure di contenimento sia sui progetti che sugli organici per effetto di politiche pubbliche di contenimento della spesa;
   considerando la politica di rigore sui conti pubblici è necessario definire un apposito progetto industriale per la valorizzazione del centro di Trisaia di Rotondella (MT) che sappia mobilitare concretamente sia le risorse comunitarie che quelle rivenienti dal risorse petrolifere come stabilito nel memorandum sottoscritto dal governo centrale e da quello regionale negli anni scorsi –:
   quali siano i piani del Ministero dello sviluppo economico sul tema descritto in premessa che potrebbe positivamente condizionare lo sviluppo della Basilicata e del Mezzogiorno d'Italia;
   se intenda fornire ogni utile elemento in merito. (4-05722)

Apposizione di firme ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Ottobre ed altri n. 1-00291, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 dicembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati Amoddio, Alli, Marazziti e Fitzgerald Nissoli e, contestualmente con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Ottobre, Giachetti, Fabrizio Di Stefano, Leone, Kronbichler, Marcolin, Dellai, Corsaro, Pisicchio, Di Lello, Bruno, Nicoletti, Alfreider, Binetti, Capelli, Carella, Catalano, De Menech, Di Gioia, Fauttilli, Furnari, Galgano, Riccardo Gallo, Gebhard, Ginoble, Labriola, La Marca, Lacquaniti, Latronico, Locatelli, Marguerettaz, Migliore, Paglia, Palmizio, Pastorelli, Piepoli, Plangger, Realacci, Paolo Rossi, Rostan, Giovanna Sanna, Sberna, Scanu, Schullian, Stumpo, Tabacci, Tacconi, Vargiu, Zaccagnini, Palese, Amoddio, Alli, Marazziti, Fitzgerald Nissoli».

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato dell'interrogazione a risposta scritta Tripiedi n. 4-05700, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 272 del 25 luglio 2014.

   TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, BALDASSARRE, RIZZETTO, CHIMIENTI e BECHIS. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il Corpo delle Capitanerie di porto guardia costiera, è uno dei corpi tecnici della Marina militare e svolge, nei fatti, anche attività di polizia marittima. Tale attività, come è noto, va dal coordinamento della ricerca e soccorso come stabilito dalla convenzione di Amburgo, al contrasto all'immigrazione clandestina, alla sicurezza della navigazione, all'antiterrorismo nei porti mercantili, al controllo di tutta la filiera della pesca, all'ambiente, al concorso di traffico illegale di stupefacenti, al contrasto alle eco-mafie, abusivismi demaniali ed altro;
   il Corpo delle capitanerie di porto è, guardia costiera dipende e ne risponde dal punto di vista giudiziario al dicastero delle infrastrutture e dei trasporti, ed è alle dipendenze funzionali dei Ministeri dell'interno, delle infrastrutture e dei trasporti, dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dei beni e delle attività culturali e del turismo, della giustizia, delle politiche agricole alimentari e forestali e della difesa per il solo mantenimento delle liste della leva per una eventuale mobilitazione;
   fra le attività più gravose che il personale compie, vi è quella chiesta dalle prefetture nel concorrere al regolare svolgimento delle operazioni di sbarco dei migranti nei porti mercantili;
   dal 3 dicembre 2008, con decreto dirigenziale veniva autorizzato il personale del Corpo delle capitanerie di porto-guardia costiera all'uso di pettorine reflex con dicitura «guardia costiera», al fine di identificare chiaramente il personale nei servizi esterni e nella fattispecie delle operazioni di sbarco dei clandestini;
   le pettorine hanno funzione di riconoscimento indispensabili sia per la popolazione civile che per le collaboranti forze di polizia che si vedrebbero disorientate nel non riconoscere in modo immediato il personale del Corpo delle capitanerie di porto-guardia costiera;
   in data 11 giugno 2014, allo sbarco di migranti dalla nave Bergamini nel porto mercantile di Taranto, in concomitanza dello sbarco del Capo di Stato Maggiore della Marina, la presenza di personale del Corpo delle capitanerie di porto-guardia costiera di Taranto non è stata più identificabile con le pettorine che lo contraddistingue per un ordine di togliersele impartito, parrebbe, dal comandante del porto e «autorità marittima»;
   tale tesi è stata confermata in una delibera del consiglio intermedio di rappresentanza del comando generale del corpo delle capitanerie di porto, in data 16 giugno 2014, dove venivano riportati i fatti suddetti;
   da parte del personale interessato, tale allontanamento è stato percepito come voluto dalla Forza armata con l'intento di negare visibilità al personale del corpo delle capitanerie di porto-guardia costiera di Taranto, impedendone l'operato nonostante nei giorni precedenti si fosse distinto per professionalità e competenza;
   tale increscioso evento ha creato forte malumore tra il personale, sulla sua condizione morale e sulla sua professionalità, rischiando ad avviso degli interroganti di rappresentare un grave precedente di ingerenza delle funzioni del dicastero della difesa sulle funzioni del dicastero delle infrastrutture e dei trasporti dal quale il personale del Corpo delle capitanerie di porto-guardia costiera dipende e ne risponde dal punto di vista giudiziario –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   se i Ministri interrogati non ritengano che l'episodio accaduto sia da ritenersi grave e lesivo nei confronti del personale del corpo delle capitanerie di porto-guardia costiera di Taranto;
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di chi abbia impartito l'ordine di privare il personale del Corpo delle capitanerie di porto-guardia costiera di Taranto delle pettorine di riconoscimento e in base a quali motivazioni lo abbia fatto. (4-05700)

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interpellanza urgente De Girolamo n. 2-00620 dell'8 luglio 2014.