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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 23 luglio 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    nonostante le linee guida per l'educazione alimentare nella scuola italiana, pubblicate dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in data 22 settembre 2011, lo spreco di cibo nella società odierna è sempre più alto e non è più sostenibile;
    viviamo in una società paradossale e ambivalente che offre una scelta e un'abbondanza di cibo senza precedenti proponendo al contempo ideali di magrezza, spesso irrealistici, come sinonimi di successo personale e sociale. Questi fattori possono incidere molto sul rapporto che gli adolescenti instaurano col cibo e col proprio corpo che, nelle difficoltà e criticità tipiche di quest'età, possono essere vissuti in modo molto conflittuale;
    quello che in sostanza non va dimenticato e che rende ragione dell'intervento degli psicologi in molte iniziative di educazione alimentare nelle scuole, è che il rapporto col cibo è inestricabilmente connesso al rapporto con il proprio corpo, la propria identità e i propri affetti;
    è attraverso il cibo che s'instaurano i primi fondamentali scambi affettivi ed è attraverso di esso che continuiamo a rimarcare relazioni d'intimità, la nostra appartenenza a un gruppo, la nostra identità, il nostro bisogno di affetto e di essere amati, ma tuttavia è attraverso il cibo che possono nascere scontri e conflitti in adolescenza, perché spesso si è portati a uniformarsi alle mode e alle tendenze del gruppo dei pari con l'ostinato rifiuto di cibo per evitare o controllare emozioni e situazioni che non si è in grado di gestire;
    interventi formativi e informativi sui corretti stili di vita alimentare favoriscono l'apprendimento dei rischi connessi ai disturbi dell'alimentazione, quali anoressia e bulimia e una corretta educazione alimentare nelle scuole è tesa a indurre nei giovani l'adozione di stili di vita sani e la rivalutazione di prodotti tipici del territorio;
    per ottenere dei cambiamenti si deve appunto partire dall'educazione dei ragazzi, ma non si può insegnare agli studenti l'importanza del cibo in aula per poi metterli di fronte all'evidenza di operatori addetti alla mensa scolastica, costretti a buttare nella spazzatura gli alimenti non avanzati;
    con l'Expo 2015, partirà il progetto di educazione alimentare nelle scuole avviato dai Ministeri dell'istruzione, dell'università e della ricerca e delle politiche agricole alimentari e forestali;
    detto progetto ha il giusto obiettivo di inserire un progetto sperimentale di educazione alimentare;
    l'alimentazione sana e corretta, come l'educazione sull'importanza del cibo e contro lo spreco alimentare inizia, infatti, sui banchi della scuola. Ma una semplice fase sperimentale di un programma di educazione alimentare che coinvolgerà tutto il sistema scolastico italiano con visite didattiche e percorsi dedicati agli studenti all'interno dell'area che ospiterà l'Esposizione universale non sarà sufficiente a colmare il vuoto educativo di oggi;
    oltre 8 miliardi di euro si sprecano ogni anno in Italia per cibo buttato nella spazzatura, dati che emergono dal Rapporto 2014 Waste Watcher - Knowledge for Expo;
    la sensibilizzazione allo spreco deve passare attraverso un'azione culturale anziché attraverso norme e leggi,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per inserire l'educazione alimentare nei piani di offerta formativa nelle scuole di ogni ordine e grado unitamente ad un piano di semplificazione normativa ed economica delle regole per il recupero del cibo avanzato.
(1-00557) «Vezzali, Mazziotti Di Celso, Molea, Antimo Cesaro, Galgano, Matarrese, Sottanelli, Cimmino, Librandi, D'Agostino, Vecchio, Capua, Tinagli, Oliaro, Rabino».


   La Camera,
   premesso che:
    il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP, Transatlantic Trade and Investment Partnership) è un trattato di libero scambio e inves-timento, che l'Unione europea e gli Stati Uniti stanno attualmente negoziando in segreto. Il suo obiettivo dichiarato è di rimuovere le barriere commerciali in una vasta gamma di settori economici per facilitare l'acquisto e la vendita di beni e servizi tra Europa e Stati Uniti;
    c’è dunque il forte rischio che un trattato di questo tipo, mirando ad un'armonizzazione delle normative, quindi a un abbattimento delle regolamentazioni tra le due aree, porti ad un allentamento della normativa europea, solitamente più rigida, appiattendola ai livelli di quella statunitense;
    si sono avute numerose prognosi sugli effetti economici del Transatlantic Trade and Investment Partnership. La stima citata più frequentemente proviene da una relazione di valutazione d'impatto, commissionata dalla Commissione europea al Centre for Economic Policy Research di Londra. Secondo questa, l'ipotesi più  ottimista per l'effetto di un accordo tra Unione europea e Stati Uniti, afferma che il prodotto interno lordo dell'Unione europea aumenterebbe dello 0,5 per cento entro il 2027 (in media lo 0,036 per cento in un anno);
    gli Stati Uniti non hanno ratificato diverse convenzioni ILO e Onu in materia di diritti del lavoro, diritti umani e ambiente. La mancata ratifica di dette convenzioni rende, negli Stati Uniti, il costo del lavoro più basso e il comportamento delle imprese nazionali più disinvolto e competitivo, in termini puramente economici, anche se più irresponsabile. La ratifica e la piena attuazione delle norme fondamentali del lavoro dell'Organizzazioni internazionale del lavoro dovrebbe rappresentare una delle condizioni fondamentali dell'accordo, tuttavia i negoziati sembra vadano nella direzione opposta;
    per quanto alla perdita di posti di lavoro, effetto collaterale solitamente inevitabile di accordi di libero scambio, la Commissione europea ha confermato la possibilità che il Transatlantic Trade and Investment Partnership favorisca per i lavoratori europei un ricollocamento «dilazionato nel tempo ed effettivo», poiché le aziende verrebbero incoraggiate a procurarsi merci e servizi dagli Stati Uniti dove gli standard di lavoro sono più bassi e i diritti sindacali pressoché inesistenti («Impact Assessement Report on the future of EU-US trade relations», Strasburgo: Commissione europea, 12 marzo 2013, sezione 5.9.2.);
    in una fase in cui i tassi di disoccupazione in Europa hanno raggiunto livelli-record con una disoccupazione giovanile in alcuni Stati membri dell'Unione europea che supera il 50 per cento, la Commissione europea ammette «timori fondati» che i lavoratori rimasti disoccupati a seguito del trattato  Transatlantic Trade and Investment Partnership non saranno più in grado di trovare un'altra occupazione. Al fine di offrire assistenza all'elevato numero di nuovi disoccupati, la Commissione ha suggerito agli Stati membri dell'Unione europea di ricorrere a fondi di sostegno strutturali, come il fondo di adeguamento alla globalizzazione e il fondo sociale europeo, cui sono stati assegnati 70 miliardi di euro da distribuire nell'arco di sette anni, dal 2014 al 2020;
    molti contadini e consumatori sono preoccupati per un allentamento degli standard ambientali e sul trattamento degli animali che regolano, ad esempio, le condizioni di vita negli allevamenti in batteria e altre strutture per la produzione industriale di carne. Al momento, in Europa è possibile incoraggiare i contadini ad allevare gli animali in condizioni accettabili e a produrre per il mercato locale. Se il trattato di libero scambio andasse in porto, si sarebbe invece soggetti alle regole del mercato globale ed è risaputo, al mercato globale non importa più di tanto della protezione degli animali e dell'ambiente;
    la minaccia maggiore del Transatlantic Trade and Investment Partnership è costituita probabilmente dalla clausola in esso contenuta che cerca di garantire alle società transnazionali il diritto di citare in giudizio direttamente i singoli Paesi per perdite subite in conseguenza a provvedimenti pubblici. Considerando le implicazioni che comporta, tale disposizione per la «risoluzione delle controversie tra stato e investitori» (ISDS, Investor-State Dispute Settlement) non ha equivalenti nel diritto commerciale internazionale: il Transatlantic Trade and Investment Partnership concederebbe alle imprese americane ed europee il potere di impugnare le decisioni democratiche prese da Governi sovrani, e di chiedere risarcimenti nei casi in cui quelle decisioni avessero effetti negativi sui propri utili;
    nei  Paesi in cui la ISDS è già stata inclusa in trattati d'investimento bilaterali o altri accordi di libero scambio, i danni arrecati allo stato di diritto e alla democrazia sono ormai sotto gli occhi di tutti. Tra gli esempi più rilevanti si citano:
   la società energetica svedese Vattenfall sta facendo causa al Governo tedesco per 3.700 milioni di euro per via della decisione presa dal Paese di eliminare gradualmente l'energia nucleare a seguito del disastro nucleare di Fukushima;
   il gigante del tabacco americano Philip Morris sta facendo causa per migliaia miliardi di dollari al Governo australiano per via della sua politica di sanità pubblica che impone la vendita di sigarette solo in pacchetti senza scritte; la Philip Morris ha citato in giudizio anche l'Uruguay a causa delle misure imposte da questo stato nella lotta contro il fumo;
    l'accordo dovrebbe inoltre obbligare l'apertura o la liberalizzazione degli appalti pubblici a livello sub-nazionale, compreso il livello comunale. I governi locali rischiano di conseguenza di non poter far valere qualsiasi criterio sociale e ambientale nell'impiego di denaro pubblico a sostegno dello sviluppo economico locale sostenibile,

impegna il Governo:

   a richiedere alla Commissione europea il pieno accesso ai documenti negoziali per i Parlamenti nazionali, data l'incidenza del loro contenuto sulle normative nazionali in essere anche in ambito non strettamente commerciale;
   a istituire un meccanismo efficace di trasparenza e di consultazione in itinere del Parlamento, delle parti sociali e della società civile sui negoziati commerciali in corso a livello bilaterale, plurilaterale e multilaterale;
   a promuovere in sede europea un'azione contro la proliferazione di accordi commerciali di nuova generazione, che travalicano gli ambiti di stretta competenza   commerciale e minacciano di indebolire i principi più elementari della democrazia, tanto nell'Unione  europea che negli Stati Uniti.
(1-00558) «Kronbichler, Scotto, Fratoianni, Palazzotto, Pannarale, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Giancarlo Giordano, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaratti».


   La Camera,
   premesso che:
    il Trattato di Lisbona, all'articolo 13, definisce gli animali quali «esseri senzienti» il cui benessere, all'interno dell'Unione europea deve essere tutelato attraverso una legislazione adeguata ed efficace;
    il benessere è una condizione propria dell'animale: il soggetto che riesce ad adattarsi all'ambiente si trova in uno stato di benessere, viceversa il soggetto che non ci riesce, perché non ne è in grado per caratteristiche psicofisiche proprie, o perché ne è impedito da fattori esterni, si trova in una condizione di stress;
    è evidente, quindi, che il «benessere» è un concetto che investe molteplici aspetti della vita dell'animale e necessita di essere declinato a seconda delle caratteristiche delle sue caratteristiche, poiché ogni specie si è adattata ad un particolare habitat, con caratteristiche fisiche, fisiologiche e comportamentali adatte ad affrontare le varie difficoltà, ogni definizione del benessere deve tener conto dell'ambiente, della fisiologia e del comportamento specifico dell'animale;
    il benessere degli animali può essere misurato attraverso l'analisi di diversi aspetti: dalle tipologie di allevamenti degli animali destinati al consumo umano, alle modalità di macellazione messe in atto nei Paesi dell'Unione europea, dalla sperimentazione che avviene in diverse fasi della ricerca medico-scientifica, alle fasi di trasporto degli animali per le più svariate esigenze, dalle normative a salvaguardia delle specie selvatiche e a tutela delle specie domestiche e degli animali da compagnia, agli allevamenti per animali da pelliccia o alla detenzione degli animali nei circhi;
    è evidente che soltanto una normativa «madre», emanata a livello comunitario, che tenga conto di tutti questi aspetti potrà effettivamente garantire la tutela degli animali in ogni fase e sotto ogni aspetto;
    nell'Unione europea diversi passi avanti sono stati fatti, come il divieto di commercializzazione di pellicce ricavate da cani e gatti (Regolamento 1523/2007), oppure una regolamentazione più stringente per gli allevamenti di galline ovaiole (direttiva 1999/74/CE), o ancora una normativa per la detenzione degli animali nei giardini zoologici (Direttiva 1999/22/CE), o la direttiva per la conservazione degli uccelli selvatici (Direttiva Uccelli 2009/147/CE) o ancora un regolamento per il trasporto degli animali (Regolamento 1/2005); tuttavia, molta appare la strada da fare, specie per rendere omogenea in tutta l'Unione europea una normativa sul benessere animale;
    relativamente alla gestione degli allevamenti di animali, sono ancora troppe le disparità tra gli Stati membri e, servirebbero legislazioni specifiche poiché è importante che le specie siano tutelate singolarmente, per evitare norme troppo vaghe e non applicabili;
    gli animali da allevamento hanno un insieme di bisogni simili a quelli dei loro antenati selvatici. Sebbene alcune necessità si siano modificate nel corso della domesticazione, alcune esigenze fondamentali, come quelle di cibo, acqua e rifugio non sono cambiate nel passaggio dall'animale selvatico a quello domestico, ma anche l'istintività che gli animali selvatici esprimono nei comportamenti associati alla riproduzione, alla ricerca del cibo, dell'acqua e del riparo, sono ancora presenti negli animali domestici;
    nel 1964 Ruth Harrison pubblicò il libro «Animali Macchine» che sollevò la questione del benessere degli animali allevati intensivamente e, in seguito allo scalpore causato da questa pubblicazione, il governo inglese commissionò un rapporto ad un gruppo di ricercatori da cui scaturì il Brambell Report;
    tale rapporto, oltre ad essere uno dei primi documenti ufficiali relativi al benessere animale, enunciò il principio delle cinque libertà per la tutela del benessere animale:
     a) libertà dalla fame, dalla sete e dalla cattiva nutrizione;
     b) libertà dai disagi ambientali;
     c) libertà dalle malattie e dalle ferite;
     d) libertà di poter manifestare le caratteristiche comportamentali specie-specifiche;
     e) libertà dalla paura e dallo stress;
    alcune tra queste «libertà» sono universalmente riconosciute e applicate naturalmente dagli allevatori, altre rientrano nelle competenze del medico veterinario, mentre la libertà di poter manifestare le caratteristiche comportamentali e la libertà dalla paura e dallo stress rappresentano qualcosa di non sempre immediata comprensione, applicazione e soluzione. Queste due libertà, le più difficili da valutare oggettivamente, rappresentano i punti salienti della normativa europea relativa al benessere degli animali da allevamento;
    la valutazione del benessere coinvolge una serie di risposte che l'animale mette in atto per adattarsi all'ambiente in cui si trova, l'organismo risponde alle varie situazioni ambientali non solo con cambiamenti comportamentali, ma anche con meccanismi fisiologici ed immunitari, che possono avere ripercussioni sullo stato di salute e sull'accrescimento;
    la questione del benessere animale, in definitiva, è e dovrà sempre di più essere considerata quale componente essenziale di un «sistema integrato di qualità di produzione degli alimenti di origine animale», che garantisca al consumatore prodotti provenienti da allevamenti non inquinanti per l'ambiente e dove gli animali vengono allevati secondo criteri che ne rispettino le esigenze fondamentali;
    un altro aspetto legato al benessere animale, che si ripercuote anche sullo stile di vita dei cittadini, è quello dell'etichettatura degli alimenti, la strategia dell'Unione europea per la protezione e il benessere degli animali 2012-2015 sottolinea l'intenzione di consentire ai consumatori di fare scelte informate, in modo che sia il mercato a guidare ulteriori miglioramenti del benessere degli animali. L'etichettatura obbligatoria secondo il metodo produzione è il modo migliore per informare i consumatori e permettere loro di contribuire a guidare i futuri miglioramenti nel benessere degli animali;
    nel 2004 l'Unione europea ha introdotto l'etichettatura obbligatoria secondo il metodo di produzione per le uova in guscio, un sistema di etichettatura innovativo che si è dimostrato utile ai consumatori e ha contribuito a migliorare in maniera significativa il benessere delle galline. I dati della Commissione mostrano che la percentuale di galline ovaiole non allevate in gabbia in Europa è passata dal 19,7 per cento del 2003 al 42,2 per cento nel 2012 (CIRCABC, 2013);
    nel nostro Paese, come in altri Stati dell'Unione europea è tuttora consentita la macellazione rituale che consente l'abbattimento dell'animale senza alcun preventivo stordimento finalizzato ad evitare all'animale eccitazioni, dolori e sofferenze. Una tale pratica è stata duramente condannata dal Farm Animal Welfare Committee (FAWC) e dalla Federazione dei veterinari europei (FVE), ed è importante sottolineare che la macellazione rituale è vietata sia in Paesi come l'Austria, l'Olanda, la Svizzera e la Svezia, sia in Malesia, Paese a maggioranza islamica;
    recentemente, il Comitato nazionale per la bioetica ha affermato che la libertà religiosa, quando si traduce in comportamenti esterni, deve rispettare alcuni limiti che scaturiscono dalla comparazione con altri valori tutelati dal nostro ordinamento giuridico; nel caso delle macellazioni rituali la comparazione va operata con il principio della protezione degli animali e della tutela del loro benessere;
    sempre relativamente alla macellazione animale, è importante ricordare che ogni anno tre milioni di animali europei vengono esportati vivi per essere ingrassati ma soprattutto macellati al di fuori dell'Unione europea. Un gran numero di questi è destinato al Medio Oriente, dove recenti indagini (ad esempio di CIWF, Animals Australia) hanno svelato crudeltà inimmaginabili. Quando questi animali raggiungono i Paesi terzi, ogni pur minima protezione ricevuta nel loro luogo di nascita viene perduta. In Italia la petizione per chiudere uno di questi macelli mediorientali che ricevono animali europei ha raggiunto oltre 80.000 firme;
    un altro aspetto che non può essere trascurato è quello della clonazione animale. La Commissione europea propone di vietare la clonazione degli animali «da reddito» e la commercializzazione di carne e latte da loro derivati, ma non quella della progenie degli animali clonati e soprattutto non ha proposto di etichettare i prodotti di animali clonati;
    dal 1o luglio l'Italia ha iniziato il suo semestre di Presidenza del Consiglio dell'Unione europea e sarebbe auspicabile un'azione concreta e caratterizzante volta alla tutela del benessere animale in tutta l'Unione,

impegna il Governo:

   a promuovere l'applicazione puntuale della legislazione vigente in materia di animali da allevamento, con particolare riguardo a quella per la protezione dei suini (Direttiva 2008/120/CE) e del trasporto (Regolamento (CE) N. 1/2005), norme rispetto alle quali sono documentate ricorrenti violazioni in numerosi Stati membri;
   ad assumere iniziative affinché sia potenziato l'ufficio veterinario della Commissione europea (Food and Veterinary Office – FVO) in modo da assicurare maggiori controlli dell'applicazione delle normative comunitarie sulla sicurezza alimentare, salute e benessere animale;
   a sostenere l'introduzione di norme minime per la protezione delle specie ancora prive di tutela individuale come vacche da latte, conigli, tacchini, pesci al fine di garantire un'adeguata tutela specifica degli animali nelle diverse specie di allevamenti;
   a prendere una posizione chiara e concreta contro la clonazione degli animali per la produzione di cibo e la commercializzazione della loro progenie;
   a promuovere a livello comunitario l'approfondimento delle condizioni scientifiche ed economiche al fine della revisione del Regolamento (CE) 1/2005 sulla protezione degli animali durante il trasporto;
   ad attivarsi affinché l'Europa, come già fatto dall'Australia, richieda che i propri animali esportati verso Paesi terzi siano macellati in conformità con gli standard dell'OIE e, allo stesso tempo, si attivi per aiutare i Paesi importatori a migliorare i propri standard di benessere animale;
   a promuovere una disciplina comunitaria che introduca il divieto di macellazione rituale, affinché la libertà religiosa dei singoli Stati membri, non entri in conflitto con la tutela degli animali in quanto esseri senzienti;
   a sostenere l'introduzione dell'etichettatura obbligatoria secondo il metodo di produzione estensivo o intensivo – attualmente in vigore solo per le uova – anche per i prodotti a base di carne, o lattiero caseari, nonché alle carni di pollame;
   a sollecitare per quanto di competenza la «Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo» affinché interrompa i finanziamenti per gli allevamenti intensivi;
   a promuovere programmi di educazione all'alimentazione sostenibile che inducano i cittadini ad un consumo attento e maggiormente etico dei prodotti animali o da essi derivati, spingendo verso la predilezione per alimenti provenienti da allevamenti non intensivi e rispettosi della normativa comunitaria;
   a sostenere l'introduzione di una disciplina comunitaria finalizzata al divieto di allevamento, di cattura e uccisione di animali per la loro pelliccia, al fine di mettere fine ad una pratica anacronistica quanto crudele;
   a garantire, in particolare, la tutela delle specie europee di avifauna di interesse conservazionistico, classificate come SPEC1, SPEC2 e SPEC3 da Birdlife International, attraverso rigorose misure di protezione che comprendano anche l'esclusione di tali specie tra quelle cacciabili;
   a promuovere in tutti i paesi dell'Unione europea pratiche per il contenimento delle specie alloctone invasive che non prevedano metodi di eradicazione cruenti ma puntino all'utilizzo di metodi ecologici;
   a farsi promotore di una disciplina europea finalizzata al divieto dell'utilizzazione di animali nei circhi, negli spettacoli e nelle mostre itineranti;
   a promuovere un'azione di tutela degli animali da affezione e di prevenzione al randagismo, anche attraverso programmi veterinari e di adozione dei cuccioli, così da evitare in qualunque Stato membro la possibilità di uccidere cani o gatti randagi, e a promuovere l'adozione di un sistema di identificazione e registrazione obbligatoria a livello europeo così da scongiurare il traffico illegale di animali.
(1-00559) «Gagnarli, Gallinella, Parentela, Petraroli, L'Abbate, Lupo, Massimiliano Bernini, Benedetti, Baldassarre, Segoni».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo stime probabilmente prudenziali, l'estensione del fenomeno dell'evasione è oggi valutata in oltre 8 punti di prodotto interno lordo, di molto superiori alla media europea;
    la strategia di contrasto da parte dell'amministrazione finanziaria è stata, fino ad oggi, prevalentemente orientata verso il controllo ex post dei dati dichiarati e questa impostazione ha mostrato limiti legati all'impossibilità di aumentare in misura significativa il numero dei controlli;
    il deficit di credibilità dell'amministrazione che in questo modo si è prodotto costituisce forse il vero fattore che spiega l'estensione del fenomeno;
    il recupero di questo deficit non può avvenire attraverso la minaccia, poco
credibile, di un inasprimento dell'azione di controllo, ma deve essere affidato, anche sulla scorta delle esperienze maturate in altri paesi europei, ad un ri-orientamento dell'azione amministrativa in chiave persuasiva, focalizzata cioè sul momento dell'adempimento, piuttosto che reattiva, demandata alla fase di controllo dei dati dichiarati;
    in una strategia di moral suasion avrà certamente un peso la maggiore presenza dell'amministrazione fiscale nella fase degli adempimenti, attraverso iniziative quali la cosiddetta dichiarazione pre-compilata, che, se correttamente realizzata, oltre a costituire un elemento di grande semplificazione, contribuirà a ristabilire un rapporto di reciproca trasparenza e fiducia tra Stato e contribuente;
    tuttavia, sul piano più direttamente connesso alla lotta all'evasione, si rendono
necessarie anche misure di tipo normativo, organizzativo e tecnico che contrastino i meccanismi attraverso i quali essa si attua, facendone venir meno i presupposti prima ancora di perseguirne gli effetti;
    tutte le stime disponibili concordano nell'attribuire circa 3 dei suddetti 8 punti del prodotto interno lordo all'evasione dell'imposta sul valore aggiunto e l'evasione dell'IVA si trasmette a cascata su tutto il sistema fiscale, in quanto sull'IVA è basata l'intera contabilità delle aziende e dei professionisti;
    da interventi atti a contenere l'evasione di questa imposta, sarà possibile, attraverso l'emersione di base imponibile, ottenere un rilevante recupero di gettito anche in termini di imposte sui redditi e IRAP;
    pertanto diventa prioritario focalizzare l'attenzione su interventi atti a contenere l'evasione di questa imposta;
    l'IVA è un'imposta disciplinata a livello di Unione europea;
    il recupero dell'evasione fiscale rappresenta l'unica possibilità per riequilibrare il carico tributario a favore dei contribuenti che pagano l'imposta per i quali l'incidenza effettiva supera il 50 per cento,

impegna il Governo:

   ad assumere, ove necessario di concerto con gli organismi comunitari preposti, tutte le iniziative di seguito descritte tenendo conto delle problematiche tecnico-organizzative e dei tempi necessari, connessi alla predisposizione delle relative norme secondo quanto di seguito indicato:
    a) interventi che possono avere effetto a partire dal 2015:
     1) accredito diretto in uno specifico capitolo di bilancio dell'IVA a carico della pubblica amministrazione in modo da recuperare l'omessa dichiarazione e gli omessi versamenti dei fornitori;
     2) applicazione del regime di reverse charge (autofatturazione) per tutti gli acquisti effettuati dagli operatori del settore del commercio e delle costruzioni;
     3) applicazione, per un anno, dell'aliquota ordinaria a tutte le transazioni tra operatori IVA al fine di determinare una riduzione dell'evasione derivante dalla omessa dichiarazione dei consumi finali;
     4) previsione della compensazione o del rimborso immediato degli eventuali crediti di imposta che dovessero verificarsi a seguito dell'applicazione delle misure sopra indicate;
    b) interventi che possono avere effetto a partire dal 2016:
     1) trasmissione automatica in via telematica, nella fase stessa della fatturazione, all'Agenzia delle entrate di tutte le informazioni contenute nelle fatture emesse (comprese quelle in regime di reverse charge) al fine di ridurre drasticamente l'evasione intermedia;
     2) introduzione della carta elettronica di servizio con il contribuente tenuto al rilascio della ricevuta fiscale possa effettuare direttamente il versamento di quanto incassato e fornire contestualmente al cliente la ricevuta del pagamento;
     3) applicazione del metodo base da base per le cessioni al consumo degli operatori del commercio in modo da ridurre l'evasione al consumo finale e i falsi rimborsi;
    c) interventi che possono avere effetto a partire dal 2017:
     1) introduzione dello scontrino telematico per le cessioni al consumo finale in modo da trasferire in via telematica all'Agenzia delle entrate i dati sulle vendite registrate e rendere impossibile la mancata dichiarazione di vendite formalmente registrate;
     2) applicazione generalizzata del regime di reverse charge per tutti gli operatori IVA, in modo da eliminare la quota di evasione dovuta alla mancata fatturazione delle cessioni intermedie, eliminare le «frodi carosello», e rendere meno conveniente l'emissione di fatture false;
   ad utilizzare il maggior gettito recuperato per una generale riduzione dell'imposizione.
(1-00560) «D'Attorre, De Micheli, Fassina, Marchi, Mauri, Sani, Luciano Agostini, Damiano, Epifani, Leva, Giorgis, Zoggia, Amendola, Campana, Fragomeli».

Risoluzioni in Commissione:


   La III Commissione,
   premesso che:
    secondo la definizione adottata dalle Nazioni Unite, «gli atti commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso» sono da ritenersi genocidio, come anche la sottomissione intenzionale di un gruppo a condizioni di esistenza che ne comportino la scomparsa sia fisica sia culturale, totale o parziale;
    nel corso degli anni si è sempre affrontato la questione mediorientale da un punto di vista esclusivamente politico, minacciando e ammonendo ogni volta lo Stato di Israele se non avesse rispettato le 80 risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, soprattutto rispetto alle espropriazioni indebite di terre ai palestinesi, e non da punto di vista giuridico come invece si dovrebbe fare;
    l'attuale offensiva israeliana è cominciata l'8 luglio 2014 ed è stata più volte giustificata con l'assassinio di tre coloni israeliani da parte di Hamas, tuttavia le prove che il governo di Israele dice di avere riguardo alla responsabilità del governo di Gaza non sono ancora state mostrate;
    in ogni caso, si assiste da giorni a una tragica contrapposizione tra gli israeliani, i quali affermano che gli attacchi a Gaza sono sempre una risposta al lancio di razzi verso Israele, e i Palestinesi i quali affermano che sono i lanci di razzi a essere una risposta alle aggressioni israeliane; intanto, in mezzo a questa disputa ci sono già oltre 640 morti palestinesi (secondo le stime delle organizzazioni umanitarie oltre un terzo delle vittime sono donne e bambini) e 30 militari israeliani, anche se si tratta di numeri destinati purtroppo a cambiare giorno per giorno; proprio qualche giorno addietro aveva colpito il mondo intero il video che mostrava la morte di bambini, quattro della stessa famiglia, uccisi mentre su una spiaggia stavano giocando a pallone;
    è bene ricordare che tra il 2000 e il 2010 le vittime totali di questo conflitto sono state più di 6.400 palestinesi e oltre 1.080 israeliani, militari e civili. Negli ultimi anni va però annotata una sempre più evidente sproporzione del conflitto, dettata dalla netta superiorità militare dello Stato israeliano, che può vantare i più moderni armamenti (tra l'altro, con un utilizzo sempre più frequente di droni);
    tra l'altro, a Gaza, le forniture di cibo da parte delle agenzie e organizzazioni umanitarie sono drasticamente diminuite e la popolazione è sempre più povera e vulnerabile; inoltre, ingenti danni si contano anche nel settore agricolo indispensabile per la sopravvivenza delle persone e già pesantemente penalizzato dal blocco imposto dal governo israeliano;
    lo strettissimo legame tra Israele e l'Unione europea è stato rafforzato con gli Accordi Euromediterranei di Associazione del 1998 e gli stessi definiscono la libera circolazione delle merci tra l'Unione europea e i Paesi del Mediterraneo attraverso la progressiva eliminazione dei dazi doganali e il divieto delle restrizioni quantitative all'esportazione e all'importazione tra le parti contraenti che, tuttavia, non distinguono tra colonie o Israele;
    nel 2013 per la prima volta, l'Unione europea ha pubblicato delle linee guida che sanciscono che «tutti gli accordi tra lo Stato di Israele e l'Unione Europea devono inequivocabilmente e esplicitamente segnalare la loro inapplicabilità ai territori occupati da Israele nel 1967, e cioè Alture del Golan, Cisgiordania inclusa Gerusalemme est e striscia di Gaza»;
    tali linee guida, volte a evitare il finanziamento di progetti israeliani nelle colonie, illegali per il diritto internazionale, e a impedire alle compagnie o istituzioni israeliane che operano all'interno degli insediamenti illegali l'accesso a strumenti finanziari quali il prestito di denaro, erano state salutate con entusiasmo dai palestinesi e da molte organizzazioni della società civile europea;
    tuttavia, a seguito delle pressioni israeliane affinché venissero ritirate le nuove linee guida e si continuasse a finanziare e supportare i progetti e le organizzazioni israeliani nei Territori Occupati palestinesi, l'Unione europea ha mostrato la propria mancanza di volontà politica di fare pressione sul governo di Israele affinché si conformasse al diritto internazionale, congelando di fatto le citate linee;
    a parere dei presentatori, l'Unione europea avrebbe dovuto invece portare avanti con determinazione la richiesta del rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale da parte del governo israeliano;
    il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è l'organo che delibera su atti di aggressione o di minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale ma non si può certo affermare sia un organo indipendente atteso che ancora 5 membri permanenti (GB, USA, Francia, Cina e Russia) hanno il diritto di veto sulle decisioni prese a maggioranza in sede al Consiglio stesso, mentre l'Italia dovrebbe farsi capofila nella battaglia politica per cambiare questa prassi che consente a pochi governi di opporsi a decisioni assunte nei confronti di Paesi ritenuti loro partner;
   il nostro Paese è il primo partner commerciale europeo per quanto riguarda la compravendita di armi con Israele: 470 milioni di euro le commesse militari che l'Italia ha siglato nel 2013 con il Governo di Israele, in deroga a quanto prevede la legge n. 185 del 1990 che ci proibisce di fare accordi militari con un Paese che o è implicato in conflitto o viola i diritti umani;
    il 2 dicembre 2013, dodici accordi in materia di energia, istruzione e ricerca, sicurezza, sanità e cultura sono stati firmati a Villa Madama tra Italia e Israele nel corso dell'incontro tra Enrico Letta e il premier israeliano Benjamin Netanyahu,

impegna il Governo:

   a prevedere l'immediato ritiro dell'ambasciatore italiano presente in Israele;
   ad adoperarsi affinché la diplomazia italiana disponga e avvii al più presto colloqui con il Governo israeliano e con i vertici di Hamas in quanto, oggettivamente, rappresentanti di una parte politica non trascurabile ai fini del raggiungimento di un'intesa di pace in quella regione;
   a sostenere con determinazione lo sforzo dell'Unione europea a continuare a svolgere un ruolo più attivo, per una prospettiva credibile e soprattutto unitaria a favore del rilancio del processo di pace, anche promuovendo l'emanazione di nuove linee guida sull'etichettatura dei prodotti israeliani per garantire ai cittadini europei di poter scegliere consapevolmente un prodotto proveniente da una colonia illegale;
   ad assumere iniziative per bloccare immediatamente tutte le commesse stipulate ai sensi della legge n. 185 del 1990, per sospendere gli accordi, ancorché condivisibili, sottoscritti il 2 dicembre 2013 con il Governo israeliano e gli accordi commerciali con le aziende israeliane operanti nelle colonie;
   a promuovere una revisione, in sede europea, degli accordi euromediterranei del 1998 che prevedono anche l'eliminazione dei dazi con i Paesi del Mediterraneo, valutando la possibilità di utilizzare il dazio come possibile strumento di sanzione per quei Paesi che non rispettano i diritti umani e il diritto internazionale;
   ad adoperarsi in sede internazionale affinché venga avviata una riflessione sul diritto di veto ancora previsto nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite che ha di fatto permesso allo Stato di Israele di ignorare, senza sanzioni, le oltre 80 risoluzioni emanate contro il suo operato in termini di rispetto di diritti umani nei territori occupati;
   a prevedere una forma di risarcimento ai donatori di aiuti umanitari distrutti da entrambi i protagonisti del conflitto israelo-palestinese con un'attenzione particolare soprattutto all'area C, quella sotto il totale controllo israeliano.
(7-00430) «Di Battista, Manlio Di Stefano, Sibilia, Spadoni, Scagliusi, Del Grosso, Grande».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    da tempo è oggetto di ampia discussione e di numerose proposte il tema di una riforma organica della legislazione in materia portuale dettata dalla legge n. 84 del 1994, che adegui la disciplina a una visione moderna di porto come sistema d'accesso di traffici economici ed elemento centrale di un complesso sistema logistico e che permetta di risolvere i principali profili di criticità, di tipo organizzativo, funzionale e finanziario, che ostacolano l'attività delle autorità portuali;
    appare infatti ormai indifferibile incrementare l'efficienza e il potenziale concorrenziale degli scali portuali nazionali, non più competitivi in particolare rispetto ai porti dell'Europa settentrionale;
    l'esame della riforma della legislazione in materia portuale, protrattosi per tutta la scorsa legislatura senza pervenire all'approvazione definitiva di una legge, è stato ripreso fin dall'inizio della legislatura in corso dall'8a Commissione del Senato;
    il Governo, come più volte dichiarato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, anche in occasione di audizioni in Parlamento, ha espresso l'intenzione di intervenire su alcuni dei punti più qualificanti della materia, sia nell'ambito dei lavori parlamentari sulla riforma della legge n. 84 del 1994 sia attraverso misure eventualmente inserite in provvedimenti d'urgenza, anche al fine di accelerare la definizione e attuazione di un assetto più moderno ed efficace delle autorità portuali;
    in particolare il Governo ha più volte manifestato, da ultimo anche con riferimento alla predisposizione dei provvedimenti di riforma della pubblica amministrazione, la volontà di razionalizzare il sistema delle autorità portuali, riducendone il numero, attraverso l'individuazione di distretti portuali e logistici nell'ambito dei corridoi europei TEN-T e l'individuazione di una autorità portuale di interesse nazionale per ciascun distretto;
    interventi di razionalizzazione del sistema delle autorità portuali devono tuttavia tener conto non solo dell'inserimento nei corridoi europei TEN-T, ma anche dell'oggettiva rilevanza, sotto il profilo logistico ed economico, delle autorità esistenti rispetto al territorio in cui sono situate;
    in particolare, l'autorità portuale di Civitavecchia, Fiumicino e Gaeta è elemento essenziale del sistema logistico che collega la capitale, la regione Lazio e il centro Italia con il resto dell'Europa e del Mediterraneo, rappresentando il perno della rete di trasporto marittimo regionale e un punto di riferimento importante sia per i territori limitrofi, sia per l'accesso ad importanti zone turistiche e rotte crocieristiche del Mediterraneo;
    i tre porti di competenza dell'autorità portuale registrano rilevanti volumi di traffico, avendo movimentato, nell'anno 2013, 15,7 milioni di tonnellate di merci, 1,4 milioni di passeggeri e oltre 670 mila automezzi; a questi dati bisogna aggiungere i 2,5 milioni di imbarchi, sbarchi e transiti di passeggeri di crociere, che fanno del porto di Civitavecchia il principale porto crociere italiano in termini di volumi;
    il porto di Civitavecchia risulta tra i primi scali in Italia per traffico passeggeri, dal momento che collega il continente con la Sardegna e con la Sicilia, oltre ad essere un hub fondamentale di collegamento verso tutto il Mediterraneo occidentale, da Barcellona a Tunisi a Malta; per quanto concerne il traffico merci, pur avendo risentito della crisi economica, che ha avuto un impatto particolarmente pesante sui trasporti marittimi di merci, rimane, in ambito nazionale, un porto di indubbia rilevanza; la stessa contrazione del traffico merci che si è registrata nel porto di Civitavecchia ha riguardato principalmente i prodotti petroliferi, mentre è stata assai più limitata per quanto concerne le merci solide;
    la Commissione europea ha posto lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti (TEN-T) come elemento chiave del potenziamento infrastrutturale e condizione essenziale per assicurare all'Europa una efficiente mobilità di persone e merci;
    a seguito delle ultime revisioni operate con il regolamento (UE) n. 1315/2013, del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2013, la rete transeuropea è stata articolata in due livelli, una rete centrale (core network) da completare entro il 2030, che è costituita dai collegamenti più importanti tra i Paesi dell'Unione e con i Paesi confinanti, comprendendo al suo interno 83 porti europei principali che saranno collegati attraverso strada o ferrovia, e una rete globale (comprehensive network), da completare entro il 2050, che svolge prevalentemente funzioni di collegamento all'interno dei territori degli Stati membri ed è destinata ad alimentare quella centrale; il porto di Civitavecchia è stato incluso tra i porti della rete globale, a differenza di precedenti valutazioni con le quali era stato inserito nel core network portuale;
    rispetto a tali indicazioni, occorre tuttavia tener conto del rilievo essenziale che, sulla base dei dati sopra riportati, il porto di Civitavecchia assume rispetto ai collegamenti marittimi e al sistema logistico di Roma, della regione Lazio e dell'Italia centrale,

impegna il Governo

ad assicurare che, nell'ambito di qualunque iniziative di razionalizzazione del sistema delle autorità portuali, mediante misure di revisione del loro numero e della loro classificazione, l'autorità portuale di Civitavecchia, Fiumicino e Gaeta sia considerata come le autorità portuali che, rispetto alla struttura della rete transeuropea dei trasporti, sono incluse nella rete centrale e sia pertanto riconosciuta autorità di interesse nazionale.
(7-00429) «Meta, Argentin, Bonaccorsi, Campana, Carella, Coscia, Ferro, Gregori, Marroni, Pierdomenico Martino, Melilli, Miccoli, Minnucci, Morassut, Terrosi, Tidei».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   COZZOLINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 febbraio 2011, è stato dichiarato, fino al 31 dicembre 2011, lo stato di emergenza umanitaria nel territorio nazionale in relazione all'eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai Paesi del Nord Africa e successivamente prorogato fino al 31 dicembre 2012 con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 6 ottobre 2011;
   con l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3924 del 18 febbraio 2011, recante: «Disposizioni urgenti di protezione civile per fronteggiare lo stato di emergenza umanitaria nel territorio nazionale in relazione all'eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai Paesi del Nord Africa, nonché per il contrasto e la gestione dell'afflusso di cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea», tra l'altro, il prefetto di Palermo è stato nominato Commissario delegato;
   con successiva ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3933 del 13 aprile 2011 il prefetto di Palermo è stato sostituito nel ruolo di commissario delegato dal capo del dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri, ma ai sensi del comma 9 dell'articolo 1 della predetta ordinanza n. 3933/2011, con nota dipartimentale del 18 aprile 2013, il prefetto di Palermo, ex commissario delegato, è stato autorizzato, fino al 31 dicembre 2013, a provvedere al completamento degli interventi avviati direttamente a valere sulla contabilità speciale n. 5470;
   da ultimo l'ordinanza del capo dipartimento della protezione civile n. 177 del 10 luglio 2014 ha autorizzato il prefetto di Palermo a mantenere aperta la predetta contabilità fino al 30 giugno 2015, utilizzando le risorse pari a euro 2.388.423,05 al fine di consentire l'espletamento delle attività solutorie;
   tale autorizzazione, come risulta dalla lettura dei considerati che precedono l'articolato della suddetta ordinanza del capo dipartimento della protezione civile, è stata giustificata, tra l'altro, alla luce della nota del 15 maggio 2014, con cui il prefetto di Palermo ha rappresentato, al fine di definire i procedimenti amministrativi in corso connessi all'emergenza di cui alle già citate ordinanze, la necessità di utilizzare le risorse finanziarie presenti sulla contabilità speciale n. 5470 –:
   quali siano le motivazioni addotte dal prefetto di Palermo nella sua nota del 15 maggio 2014 al fine di prorogare l'utilizzo delle risorse finanziarie presenti sulla contabilità speciale n. 5470 e quali siano le attività solutorie, a valere sulla predetta contabilità speciale, ancora da espletare relative agli interventi finalizzati al superamento dell'emergenza dichiarata con il decreto Presidente del Consiglio dei ministri del 12 febbraio 2011 e successivamente prorogata. (4-05634)


   COPPOLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sono in atto, con maggior frequenza a partire dal mese di aprile 2014, i trasferimenti da Lampedusa verso la regione Friuli Venezia Giulia di cittadine e cittadini stranieri richiedenti asilo politico, in particolar modo provenienti dal Nord Africa e dal Medio Oriente;
   nella regione, da oltre un anno, è presente, inoltre, un consistente numero di cittadini afghani e pakistani, richiedenti asilo politico entrati dal vicino confine, via terra, in alcuni casi «diniegati» addirittura espulsi da altri Paesi europei;
   tali presenze sono state affrontate con convenzioni tra le prefetture-UTG e i capoluoghi di provincia regionali, al fine di essere pronti ad accogliere nel miglior modo possibile i flussi in entrata;
   con particolare riguardo ai trasferimenti provenienti dal sud Italia, gestiti direttamente dal Ministero dell'interno, l'interrogante sottolinea un'evidente assenza di programmazione e di linee d'indirizzo per le prefetture-UTG, ed un limitato spazio di preavviso per permettere agli enti ospitanti un'organizzazione logistica adeguata; nello specifico:
    a) le comunicazioni che giungono agli enti riportano il numero dei cittadini trasferiti e nessun'altra informazione (uomini, bambini, famiglie);
    b) viene richiesta l'attivazione delle accoglienze per il giorno successivo (meno di 24 ore). A partire dal mese di maggio 2014 stato un lieve miglioramento della programmazione, ma non ancora accettabile, per cui sono stati predisposti i numeri di persone che ogni provincia avrebbe ricevuto. Anche in questo caso, però, il preavviso è stato al massimo di 36 ore;
    c) l'unico documento nelle mani delle persone che arrivano è un biglietto riportante la zona dello sbarco e la data di arrivo (ad esempio Lampedusa 7 luglio 2014);
    d) si sono registrati casi di minori non accompagnati o non identificati alla partenza;
   una volta arrivati a destinazione, vengono ripetuti tutti i controlli sanitari per i richiedenti asilo poiché il controllo alla partenza consente solo di non far partire persone che hanno, in atto, patologie evidenti. Tali controlli sanitari aggiuntivi sarebbero fatti sulla base della buona volontà della prefettura, del comune, dell'azienda sanitaria e dei volontari poiché, a quanto risulta all'interrogante, il Ministero riterrebbe assolutamente sufficienti i controlli fatti all'arrivo;
   inoltre, fatto ben più grave, come sopra riportato, le persone che giungono nei territori di destinazione non sono stati identificati alla partenza, il che comporta, una volta arrivati vicini alle zone di confine, come nella regione Friuli Venezia Giulia, che diversi cittadini richiedenti asilo lascino i luoghi di accoglienza per raggiungere altri Paesi europei –:
   se esista la volontà politica e la capacità amministrativa di garantire le procedure di identificazione al primo arrivo in Italia, e l'attivazione delle procedure di richiesta di asilo politico, secondo quanto previsto dalla normativa vigente.
(4-05640)


   LOCATELLI e MARIASTELLA BIANCHI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   in occasione della visita delle interroganti a Kigali, Rwanda, (2 – 4 luglio 2014) per partecipare allo Women in Parliament-WIP Summer Summit 2014, ospitato dal Parlamento rwandese, l'ambasciatore Stefano A. Dejak ha organizzato un incontro con la comunità italiana al quale hanno partecipato una quarantina di connazionali;
   durante l'incontro, che ha dato luogo ad un interessante scambio di opinioni e informazioni sull'attualità politica del nostro Paese e sulle attività della comunità italiana in Rwanda, è stata avanzata da alcuni volontari/e del servizio civile nazionale all'estero una richiesta di interessamento presso il Ministero degli affari esteri con riferimento alle difficoltà che essi hanno incontrato nella concessione del visto da parte delle autorità ruandesi, nel caso specifico l’Immigration Office di Gisenyi;
   i/le volontari/ie richiedenti partecipano al progetto «Promozione della giustizia sociale e della pace in Rwanda-Frosinone 2012» che è promosso da Caritas di Frosinone-Veroli-Ferentino e Caritas Italiana; partner locale è la diocesi di Nyundo nel distretto di Rubavu, provincia dell'Ovest; la diocesi di Nyundo, è legata da un decennale accordo di partenariato con quella di Frosinone-Veroli-Ferentino; nell'ambito di questo accordo, negli anni sono stati inviati diversi gruppi di «caschi bianchi» impiegati in progetti di servizio civile all'estero;
   i/le volontari/ie giunti in Rwanda il 3 marzo 2014 con una entry facility della durata di 30 giorni» con causale «official mission», hanno successivamente presentato all’Immigration Office di Cisenyi una application per un visto di un anno e dopo quasi cinque mesi il visto non è ancora stato rilasciato –:
   quali siano le ragioni che inducono il dipartimento della gioventù e del servizio civile nazionale e il Governo italiano ad approvare progetti di Servizio Civile in Rwanda nonostante le difficoltà per ottenimento di visti, difficoltà che, secondo i/le richiedenti il visto, sono già state segnalate dall'Ambasciata italiana al Ministero degli affari esteri;
   quali opportune iniziative il Governo intenda porre in essere nei confronti del Governo rwandese al fine di rimuovere le richiamate difficoltà burocratiche che impediscono la legittima presenza dei/lle volontari/e nel Paese e il pieno svolgimento dell'impegno solidale cui stanno dedicando passione ed energie. (4-05646)


   CIRIELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il litorale della provincia di Caserta, compreso nei territori comunali di Mondragone e Castel Volturno, fino al confine con il comune di Pozzuoli e la provincia di Napoli, ormai da decenni, è soggetto a flussi migratori di varie etnie e natura, quasi sempre incontrollati e irregolari;
   il fragile equilibrio tra italiani e immigrati in questo territorio, un tempo luogo di villeggiatura, si sta spezzando, diventando una pericolosa bomba sociale pronta ad esplodere da un momento all'altro;
   come nel settembre 2008, quando il clan dei Casalesi guidato da Giuseppe Setola fece strage di sei immigrati per il controllo dello spaccio di droga, infatti, una nuova preoccupante rivolta ha inondato le strade di Castel Volturno;
   in particolare, il 14 luglio a Pescopagano, territorio di Mondragone a confine con il comune di Castel Volturno, zona dove convivono non senza difficoltà la comunità italiana e una folta comunità africana, decine di immigrati sono scesi in strada dopo il ferimento a colpi d'arma da fuoco di due ragazzi della Costa d'Avorio, scatenando una vera e propria azione di guerriglia urbana, con auto date alle fiamme e un appartamento incendiato;
   gli episodi di violenza e razzismo contro gli italiani, posti in atto dai residenti stranieri, hanno visto contrapporsi la reazione della popolazione locale e della cittadinanza la quale ha risposto con prevedibili atti di insofferenza e manifestazioni per chiedere la fine di questa ingombrante presenza abusiva;
   i cittadini italiani chiedono sicurezza per le loro famiglie e per il territorio;
   la dinamica dei fatti è stata ricostruita, ma si è trattato solo di una scintilla in un contesto sociale e criminale che a Castel Volturno è, a dir poco, esplosivo: tale inaudito episodio di violenza è, infatti, solo l'ultima goccia della lunga serie di conflitti, aggressioni, come la protesta attuale dimostra, ma anche furti e sistematiche opere di saccheggio avvenute ai danni della comunità dei residenti italiani, ma a volte anche di stranieri regolari;
   sul territorio ci sono 25 mila cittadini censiti e 15 mila neri, la maggior parte irregolari: il problema non è soltanto la proporzione numerica quanto la mancanza di lavoro per tutti, il degrado sociale, lo spaccio di droga, la prostituzione;
   come riportato dai maggiori quotidiani nazionali, lo storico clan dei Casalesi, che ha sempre controllato il territorio usando gli stranieri come manovalanza, ora, decimato da arresti e sequestri, sarebbe stato soppiantato nei traffici e nel controllo del territorio dalla mafia africana;
   in tutto questo, il grande assente è lo Stato che ha consentito che il territorio di Castel Volturno divenisse vittima di sciacallaggio sociale senza intervenire a porre un freno all'immigrazione selvaggia e illegale, fino a mettere gli uni contro gli altri gli abitanti di Castel Volturno e Mondragone;
   negli anni passati si è già assistito a episodi di intolleranza cruda e crudele fra diverse etnie presenti sul territorio e fra immigrati e popolazione residente;
   al di là dei fatti noti alla collettività nazionale perché veicolati dai media, come ad esempio la citata «strage di San Gennaro», con la morte dei sei extracomunitari trucidati dalla delinquenza locale per regolamento dei conti, tanti e diversi episodi, non conosciuti ai più, si sono ripetuti negli anni;
   è noto alla popolazione lo scontro fra immigrati di diverse etnie e iraniani del 2009, che provocò la distruzione di esercizi commerciali lungo la domitiana o la marcia dei cittadini di Castel Volturno che manifestarono nel 2010 il proprio disagio sociale verso una situazione di illegalità diffusa e di insicurezza sociale che minacciava il loro comune;
   il fenomeno dell'immigrazione clandestina, dunque, è una piaga ormai endemica per questo territorio che va ad alimentare quel cancro sociale che, insieme alla delinquenza, al malaffare, all'assenza di trasparenza nell'amministrazione pubblica, contribuisce a esasperare lo stato e la sicurezza sociale;
   come se ciò non bastasse, la presenza a Castel Volturno di una forte realtà assistenziale, il Centro Fernandez, centro di prima accoglienza, ha generato forme di aggregazione non controllate o controllabili fino a provocare un flusso di immigrazione «spontanea» in aggiunta a quello veicolato sul territorio dall'attività assistenziale della Caritas e del Ministero dell'interno;
   dal 30 giugno 2014, poi, Castel Volturno è stata individuata quale base di trasferimento di un significativo gruppo di stranieri, di diverse e sconosciute etnie, che sono stati inoculati sul territorio comunale senza alcun preavviso e senza alcuna programmazione apparente;
   le unità sono state allocate presso alcune residenze site in località Ischitella, del comune di Castel Volturno, in un complesso immobiliare definita «La Quiete», complesso nella disponibilità di tale Associazione «Un'ala di Riserva», con sede legale nella diversa provincia di Napoli, in Pozzuoli;
   il flusso di immigrati è aumentato esponenzialmente a totale insaputa del comune di Castel Volturno;
   sarebbero, tra l'altro, emerse notizie circa le non perfette condizioni igienico-sanitarie di alcuni alloggi;
   in un territorio così vasto come Castel Volturno le forze dell'ordine non hanno alcun potere di controllo, perché sono in numero troppo esiguo rispetto alle istanze di sicurezza e «normalità» disattese da decenni;
   anche il neosindaco di Castel Volturno, Russo, ha spiegato ai cronisti che governa senza mezzi (zero vigili urbani, zero servizi sociali) una comunità di 25 mila cittadini censiti e di 15 mila neri quasi tutti irregolari, ammettendo «Siamo tutti perdenti. Le forze dell'ordine sono pochissime sul territorio e assorbite o da Castel Volturno o da Mondragone e in questa striscia non ci vengono mai. Qui non c’è alcuna percezione dello Stato semplicemente perché lo Stato non c’è»;
   una spirale del degrado che ha una sola origine: l'abbandono del controllo del territorio, e la più totale mancanza di azioni che lo tutelino come un pezzo di Stato italiano –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative intenda adottare per arginare la forte illegalità oggi in essere sul territorio di Castel Volturno e Mondragone anche impiegando un commissario straordinario coadiuvato dai mezzi e dalle forze dell'ordine; se non ritenga opportuno attuare un censimento della popolazione straniera presente, compresa quella gestita dalle organizzazioni territoriali di assistenza;
   se e quali responsabilità ci siano nell'immissione di popolazione straniera presso la località Ischitella di Castel Volturno, Residence la Quiete nei giorni dal 30 giugno a tutt'oggi;
   se siano stati accertati i requisiti di rispondenza alle norme igienico sanitarie per tutti gli immobili destinati all'accoglienza degli immigrati e per l'uso cui sono stati destinati. (4-05651)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VIII Commissione:


   ZAN e PASTORELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   un violento nubifragio – il ciclone GEA – si è abbattuto tra il 7 e l'8 luglio 2014 nel Nord Italia, con particolare intensità a Padova e in gran parte del Veneto. La pioggia, accompagnata da forti raffiche di vento, ha causato la caduta di molti alberi – alcuni dei quali su molte auto in sosta o in movimento – e diversi allagamenti, danni a tetti di abitazioni ed edifici pubblici, cadute di grondaie e pannelli solari;
   anche l'agricoltura ha subito gli effetti dell'ondata straordinaria di maltempo, che secondo Coldiretti ha registrato ingenti danni sia alle strutture che alle culture (soprattutto frutteti e vigneti) delle aziende della cintura urbana padovana e veneziana e delle Terme Euganee con parte dell'area collinare sono state. Sono state interessate le realtà agricole padovane dell'immediata periferia: Noventa Padovana, Vigonza, Cadoneghe, Vigodarzere, Selvazzano, Ponte San Nicolò, Rubano, ma anche Abano e Montegrotto Terme e in parte Teolo, Arquà Petrarca, Galzignano Terme e Torreglia;
   in particolare, le raffiche di oltre 100 chilometri all'ora che hanno sferzato il territorio hanno abbattuto diversi vigneti e piante da frutto con danni alla produzione nel pieno della stagione. Nella fascia urbana e nell'Alta Padovana invece sono stati sferzati al vento ettari i coltivazioni di tabacco, ortaggi e altri seminativi;
   si tratta di un'emergenza che non conosce più stagioni, come dimostrano le alluvioni che negli ultimi mesi hanno flagellato il Veneto e gran parte del centro-nord. Il cambiamento del clima ha cambiato anche il regime delle precipitazioni, oggi a carattere «esplosivo»: in poche ore piove quanto poteva cadere in mesi. Dai 100 eventi meteo con danni ingenti l'anno registrati fino al 2006 si è passati al picco di 351 del 2013 e a 110 nei soli primi 20 giorni del 2014;
   da ottobre del 2013 all'inizio di aprile del 2014 sono stati richiesti dalle regioni 20 stati di emergenza con fabbisogni totali per 3,7 miliardi di euro. La Commissione europea ha già stabilito sanzioni nei confronti del nostro Paese per diverse centinaia di milioni l'anno per la mancata depurazione di scarichi urbani che vedono l'Italia tra i primi inquinatori in area Unione europea. Tali sanzioni potrebbero essere ridotte o cancellate solo se le opere previste saranno realizzate entro dicembre 2015;
   esiste un complesso di oltre 3000 interventi elencati dal 2009 ad oggi per la prevenzione del dissesto idrogeologico e la tutela dell'assetto del territorio e ne sono stati conclusi solo il 3,3 per cento: quasi l'80 per cento è a tutt'oggi da cantierare –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato abbia intenzione di assumere anche al fine di adottare un piano unico di manutenzione e prevenzione, ispirandosi ad interventi di sostenibilità ambientale, per la tutela dell'assetto idrogeologico dell'intero territorio nazionale, con priorità per le zone già pesantemente colpite dal maltempo, liberando tutte le risorse già stanziate che Stato ed enti locali non sono riusciti a spendere a causa dei vincoli del patto di stabilità. (5-03313)


   GRIMOLDI e BORGHESI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ex INFS) ha come compito, tra gli altri, quello di determinare annualmente la piccola quantità per le specie da poter prelevare in deroga ai sensi della direttiva 2009/147/CE, come previsto dall'articolo 19-bis, comma 3, della legge 157 del 1992 («la designazione della piccola quantità per deroghe adottate ai sensi dell'articolo 9, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2009/147/CE è determinata, annualmente, a livello nazionale, dall'ISPRA»);
   l'Ispra (ex INFS) dal 2005 dichiara costantemente di non essere in grado di fornire i dati richiesti nonostante la Commissione europea, il 19 dicembre 2005, in una nota firmata dal responsabile unità Nicholas Hanley dichiara: «è responsabilità dello Stato Membro determinare le piccole quantità sulla base delle migliori informazioni possibili. Metodi alternativi, anche supportati da solide argomentazioni scientifiche, potrebbero dunque essere accettati»; è del tutto evidente, ad avviso degli interroganti, quanto l'istituto ISPRA (ente pubblico) sia del tutto inefficiente considerato che diversi istituti regionali ed europei predispongono annualmente dati certificati sulle stesse tematiche;
   l'articolo 4, comma 3, della legge 11 febbraio 1992, n. 157, dispone che l'attività di cattura per l'inanellamento e la cessione a fini di richiamo può essere svolta esclusivamente da impianti della cui autorizzazione siano titolari le province e che siano gestiti da personale qualificato e valutato idoneo dall'ISPRA;
   l'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ex INFS) ha il compito di organizzare gli esami per l'abilitazione degli operatori agli impianti di cattura, ma dal 2001 non provvede in tal senso nonostante istituti provinciali da anni ne facciano legittimamente richiesta per esigenze di ricambio generazionale e soprattutto per garantire il prosieguo di un'arte ultra centenaria che fa parte di una tradizione culturale identitaria storica da tutelare e tramandare;
   rientra nelle competenze istituzionali dell'istituto «esprimere i pareri tecnico-scientifici richiesti dalle regioni» (confronta articolo 7, comma 3, della legge n. 157 del 1992);
   la mancata ottemperanza alle istanze dal 2005 per le sopracitate inaccettabili ed ingiustificabili motivazioni è ormai diventato intollerabile quando si tratta di adempiere un preciso obbligo di legge;
   qualora l'ISPRA avesse in dotazione i dati non adornati o non fosse in grado di stabilire la piccola quantità per evadere le richieste regionali sul prelievo in deroga, l'istituto dovrebbe avvalersi di dati adornati (ad esempio, BIrds in Europe, II, Bird Life INternational) come specificato dalla Commissione europea in data 19 dicembre 2005;
   rientra nelle competenze istituzionali di ISPRA svolgere ed organizzare gli esami di idoneità agli aspiranti candidati alla gestione degli impianti di cattura ed i compiti di controllo e di certificazione dell'attività svolta dagli impianti come previsto dalla legge n. 157 del 1992, articolo 4, comma 3;
   la mancata doverosa organizzazione di detti esami nei confronti di cittadini legittimati che ne facciano richiesta non può trovare nessuna giustificazione;
   l'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale costa ai cittadini italiani ben oltre i cento milioni di euro e dispone di oltre mille dipendenti;
   il Ministro dovrebbe già essere a conoscenza delle circostanze sopra descritte e dovendo già aver constatato la gravità della situazione; gli interroganti si auspicano che intenderà adottare soluzioni per sanare le omissioni di Ispra al fine di consentire l'applicazione delle norme previste dalla legge n. 157 del 1992;
   gli interroganti sperano, inoltre, che nell'interesse dei cittadini il Ministro adotti tutte le misure necessarie per sbloccare al più presto la situazione di stallo in cui versano le regioni e gli aspiranti candidati alla gestione degli impianti di cattura;
   gli interroganti, altresì, confidano che si trovino soluzioni al fine di supplire alle mancanze da parte di Ispra nel non riuscire a svolgere i compiti e le funzioni che le competono, in particolare nel rilascio dei dati che certifichino la piccola quantità per dare modo di autorizzare legittimamente il regime di deroga ai sensi dell'articolo 9, paragrafo 1, lettera c) della direttiva 2009/147/CE, oltre alla organizzazione degli esami di abilitazione agli aspiranti candidati alle gestione degli impianti di cattura –:
   se non sia opportuno, in ordine alla condivisibile richiesta dei cittadini di ridurre la spesa pubblica e gli enti poco virtuosi ed inefficaci, valutare di assumere iniziative per la soppressione dell'ISPRA, considerando la possibilità di delegare agli osservatori regionali o alle università riconosciute di provata professionalità e competenza le funzioni ed i compiti in capo oggi all'istituto ed, inoltre, se intenda valutare eventuali responsabilità e pregiudizi che negli anni siano derivati dalle scelte dell'Istituto. (5-03314)


   BORGHI e MARIANO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel sito di interesse nazionale di Brindisi l'apparato industriale è caratterizzato da un imponente polo chimico e dal più grande polo energetico nazionale, nei quali operano numerose aziende, alcune delle quali dichiarate a rischio di incidente rilevante;
   si tratta di aziende dei settori chimico, farmaceutico, elettrico, aeronautico, oltre a un deposito di stoccaggio di gpl di 20.000 tonnellate, lo zuccherificio della Sfir alimentato da una centrale elettrica a biomasse, una discarica di rifiuti pericolosi e nocivi, un inceneritore di rifiuti industriali e ospedalieri e una discarica di rifiuti industriali pericolosi e di sostanze altamente nocive di 50 ettari, il cui volume supera i 4 milioni rispetto ai limiti di legge e la cui profondità di sedimentazione è di ben 5 metri;
   Brindisi ospita, inoltre, la centrale elettrica più climalterante d'Italia (Federico II Enel spa), che ha prodotto circa 12 milioni e mezzo di tonnellate di anidride carbonica nel 2012 ed una quantità di carbone movimentata e bruciata pari a circa 5/6 milioni di tonnellate, stoccato in un carbonile all'aperto e trasportato da un nastro lungo 12 chilometri;
   il piano regionale della qualità dell'aria predisposto dall'Arpa Puglia inserisce Brindisi in fascia C, la più critica, che necessita di azioni di riduzione dell'inquinamento;
   destano serissima preoccupazione i dati rivenienti da numerosi studi condotti da singoli o gruppi di ricercatori che, insieme con gli elementi conoscitivi apportati dall'Arpa Puglia e dalla ASL di Brindisi, permettono di concludere che l'industrializzazione di Brindisi, avviata negli anni Sessanta, ha prodotto un gravissimo inquinamento di suolo, falde, mare e aria;
   il Governo, in sede di discussione del decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136, ha accolto l'ordine del giorno 9/1885-A/29 che impegnava il Governo medesimo a valutare la possibilità di completare con assoluta urgenza, anche per il SIN di Brindisi, lo studio epidemiologico come previsto dal progetto Sentieri e a mettere in campo tutte le misure e le azioni necessarie a rafforzare le attività di prevenzione a tutela della salute e dell'ambiente;
   nonostante le pesanti problematiche sanitarie ed ambientali, Edipower ha presentato un piano industriale che prevede la co-combustione di carbone e di combustibile solido secondario (CSS) nella centrale di Brindisi Nord, mai convertita a ciclo combinato nonostante gli impegni presi, e già oggi funzionante ai minimi livelli di produzione;
   la centrale di Brindisi nord, secondo varie norme ed accordi, doveva essere «ambientalizzata», parzialmente alimentata a metano, fino alla definitiva chiusura dell'intero impianto prevista alla fine del 2004, ben 10 anni or sono; non si comprende quindi la necessità di mantenere in esercizio una centrale a carbone destinata a terminare il proprio «ciclo di vita» da oltre un decennio;
   la centrale opera ancora grafie a provvedimenti governativi che hanno consentito la proroga dell'esercizio del 3° e 4° gruppo fino all'emissione dell'autorizzazione integrata ambientale e dell'atto endoprocedimentale di VIA, rilasciato nel settembre del 2012 ed oggi in essere;
   i gruppi 1 e 2 sono fermi dal 2001 ed il decreto AIA del 13 settembre 2012 prescrive lo smantellamento di questi entro 36 mesi; a distanza di 17 mesi dal decreto autorizzativo AIA i lavori di demolizione non sono ancora stati avviati o, per meglio dire, non è stata avviata alcuna richiesta di autorizzazione da parte di Edipower che annuncia l'intenzione di formulare tale richiesta nell'ambito del nuovo progetto, testimoniando la volontà di collegare la richiesta di autorizzazione alla demolizione all'esito della procedura di VIA in corso;
   esiste un forte contrasto fra quanto proposto nel nuovo progetto di Edipower e quanto, invece, disciplinato dalla regione Puglia che individua per il combustibile solido secondario (CSS) solo ed esclusivamente il recupero ed il riciclo delle varie componenti che lo caratterizzano (plastiche, carte, cartoni, fibre tessili e legnose e altro);
   come ha sottolineato acutamente Legambiente, nelle osservazioni depositate nell'ambito del procedimento di valutazione dell'impatto ambientale, il cosiddetto «Nuovo Progetto» di Edipower si discosta fortemente dalla normativa vigente (DMA 22/2013) in quanto, il decreto nelle proprie disposizioni generali fa esplicitamente riferimento al fatto che i CSS-combustibili per poter essere utilizzati in co-combustione devono essere di «alta qualità», mentre quelli proposti da Edipower sono i peggiori possibili;
   quanto alla normativa vigente sugli incentivi da fonti rinnovabili elettriche, il Nuovo Progetto è inserito fra gli «impianti ibridi» e, come tale deve definire in termini precisi la provenienza dei rifiuti che concorrono alla realizzazione del CSS-combustibile;
   l'instabilità composizionale dei combustibili ed in particolare del CSS-combustibile, dei cicli combustivi e dei quadri emissivi rende aleatorie e molto ottimistiche le tabelle fornite da Edipower e del tutto insufficienti gli indicatori di riferimento;
   infine, il progetto Edipower a giudizio degli interroganti, sottovaluta del tutto i dati concernenti la situazione sanitaria di Brindisi, i dati del registro tumori ionico-salentino, quelli della Commissione comunale sull'area a rischio di elevata crisi ambientale di Brindisi ed i più recenti dati ufficializzati dal CNR e dell'ASL brindisina ( Congenital anomalies among live births in a high enviromental risk area – A case – control study In Brindisi (Southern Italy)) che attestano la presenza di un 17 per cento in più rispetto alla media del registro europeo, per quel che attiene malformazioni congenite neonatali e, addirittura, del 49 per cento o per l'eccesso delle anomalie cardiovascolari, rispetto alla media europea –:
   quali siano gli intendimenti del Governo circa il futuro della centrale a carbone di Edipower – A2A Brindisi nord e se non sia opportuno procedere ad una valutazione complessiva della pressione ambientale cui è sottoposta l'area a elevato rischio di crisi ambientale di Brindisi prima di autorizzare il «nuovo progetto» Edipower A2A. (5-03315)


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, SEGONI, TERZONI, VIGNAROLI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel campo della gestione dei rifiuti, l'Italia, al pari degli altri Stati membri, è tenuta a dare attuazione alle disposizioni contenute nelle seguenti direttive dell'Unione europea che regolano alcune parti della materia: la n. 75/442/CEE, la n. 91/689/CE relativa alla gestione controllata dei rifiuti pericolosi, e la n. 1999/31/CE concernente la gestione delle discariche;
   la direttiva 75/442/CEE, all'articolo 4, prevede che: «Gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all'ambiente (...) Gli Stati membri adottano inoltre le misure necessarie per vietare l'abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti»;
   la stessa direttiva 75/442/CEE, all'articolo 8, impone agli Stati membri di adottare le disposizioni necessarie affinché ogni detentore di rifiuti li consegni ad un raccoglitore privato o pubblico, o ad un'impresa che effettua le operazioni previste nell'allegato II A o II B di tale direttiva, oppure provveda egli stesso al recupero o allo smaltimento, conformandosi alle disposizioni di detta direttiva;
   secondo l'articolo 9, della direttiva sopracitata – ai fini dell'applicazione, in particolare, del richiamato articolo 4, tutti gli stabilimenti o le imprese che effettuano le operazioni di smaltimento di rifiuti debbono ottenere da parte dell'autorità competente incaricata di attuare le disposizioni di tale direttiva l'autorizzazione, che può essere concessa e rinnovata per un periodo determinato subordinatamente al rispetto di condizioni e obblighi specifici, ovvero essere rifiutata segnatamente quando il metodo di smaltimento previsto non è accettabile dal punto di vista della protezione dell'ambiente;
   la direttiva 91/689/CEE, all'articolo 2, dispone «Gli Stati membri prendono le misure necessarie per esigere che in ogni luogo in cui siano depositati (messi in discarica) rifiuti pericolosi, questi ultimi siano catalogati e identificati. (...)»;
   per quel che concerne la gestione delle discariche autorizzate o già in funzione alla data di entrata in vigore della direttiva 1999/31/CE, la stessa direttiva, all'articolo 14, ne subordina il mantenimento in esercizio alle seguenti condizioni:
    a) entro un anno dalla data prevista nell'articolo 18, paragrafo 1 (vale a dire entro il 16 luglio 2002), il gestore della discarica elabora e presenta all'approvazione dell'autorità competente un piano di riassetto della discarica comprendente le informazioni menzionate nell'articolo 8 e le misure correttive che ritenga eventualmente necessarie al fine di soddisfare i requisiti previsti dalla presente direttiva, fatti salvi i requisiti di cui all'allegato I, punto 1;
    b) in seguito alla presentazione del piano di riassetto, le autorità competenti adottano una decisione definitiva sull'eventuale proseguimento delle operazioni in base a detto piano e alla presente direttiva. Gli Stati membri adottano le misure necessarie per far chiudere al più presto, a norma dell'articolo 7, lettera g), e dell'articolo 13, le discariche che, in forza dell'articolo 8, non ottengono l'autorizzazione a continuare a funzionare;
    c) sulla base del piano approvato, le autorità competenti autorizzano i necessari lavori e stabiliscono un periodo di transizione per l'attuazione del piano;
    d) tutte le discariche preesistenti devono conformarsi ai requisiti previsti dalla direttiva, fatti salvi i requisiti di cui all'allegato I, punto 1, entro otto anni dalla data prevista nell'articolo 18, paragrafo 1 (ossia entro il 16 luglio 2009);
   la direttiva 1999/31/CE, all'articolo 18 comma 1, impone agli Stati membri di adottare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla stessa entro due anni a decorrere dalla sua entrata in vigore (vale a dire, entro il 16 luglio 2001) e ne informano immediatamente la Commissione;
   il Corpo forestale dello Stato, negli anni, ha condotto tre censimenti delle discariche abusive. Il primo è stato effettuato nel 1986, ed ha riguardato 6.890 comuni italiani, evidenziando l'esistenza di 5.978 discariche abusive. Il secondo è stato redatto nel 1996, ha riguardato 6.802 comuni ed ha evidenziato l'esistenza di 5.422 discariche abusive. Il terzo, pubblicato il 22 ottobre del 2002 – a seguito della riforma della regolamentazione in materia di gestione dei rifiuti (decreto legislativo n. 22 del 1997) – ha identificato 4866 discariche abusive, per una superficie totale di 19.017.157 metri quadrati, ed ha inoltre evidenziato l'esistenza di 1.765 discariche che non risultavano nei censimenti precedenti. L'ultimo rapporto del Corpo forestale dello Stato, inoltre, ha chiarito come 1.654 discariche abusive erano ancora in attività, e 3.212 sembravano essere invece non essere più utilizzate. Pur tuttavia, come sottolinea il suindicato studio, l'impatto ambientale delle discariche abusive non più utilizzate è ugualmente significativo, spesso perfino più impattante, di quello delle discariche in attività. Occorre sottolineare come i dati contenuti nel terzo censimento siano stati raccolti unicamente in relazione alle 15 regioni a statuto ordinario, la situazione nelle regioni a statuto speciale non sembrava diversa. Inoltre, secondo tale rapporto, i risultati erano sicuramente sottostimati in quanto le competenze del Corpo forestale dello Stato coprono essenzialmente il territorio extra urbano, il che esclude le numerose discariche abusive localizzate in aree urbane; v’è da segnalare, infine, come 705 discariche riguardino rifiuti pericolosi;
   la Commissione europea è venuta a conoscenza – in particolare attraverso il 3o censimento delle discariche abusive, tramite reclami, interrogazioni di parlamentari europei ed articoli di stampa – del funzionamento di un vasto numero di discariche abusive ed incontrollate in Italia. Motivi per cui la stessa Commissione, in data in data 11 luglio 2003, ha inviato all'Italia una costituzione di messa in mora, aprendo così una procedura di infrazione (2003/2077) contro il nostro Paese per la cattiva applicazione degli articoli 4, 8 e 9 della direttiva 75/442/CEE, modificata dalla direttiva 91/156/CEE, dell'articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 91/689/CEE e dell'articolo 14, lettere a)-c), della direttiva 1999/31/CE;
   la Commissione europea, in data 19 dicembre 2003, ha trasmesso all'Italia il parere motivato C(2003) 5104 in forza dell'articolo 226 del trattato che istituisce la Comunità europea, per la non corretta applicazione degli articoli citati nel precedente punto riguardanti le direttive 75/442/CEE, 91/689/CEE, 1999/31/CE;
   la Commissione europea, nel parere motivato C(2003) 5104, sulla base delle informazioni in suo possesso, evidenzia quanto segue:
    a) in Italia, nonostante l'esistenza di un apposito quadro normativo, esiste ancora un grande numero di discariche abusive, senza alcuna autorizzazione, né controllo;
    b) l'esistenza e il funzionamento di queste discariche abusive o incontrollate dimostrano che le autorità italiane ne tollerano la presenza e che non hanno preso tutte le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza recare pregiudizio all'ambiente;
    c) le autorità italiane non hanno preso tutte le misure necessarie per vietare l'abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti, e per assicurare che gli stabilimenti o imprese che effettuano lo smaltimento dei rifiuti siano soggetti ad autorizzazione;
    d) la persistenza della situazione denunciata – che è all'origine di un degrado significativo dell'ambiente per un periodo di tempo prolungato – senza l'adozione di interventi da parte delle autorità competenti, rileva che l'Italia ha oltrepassato il potere discrezionale che l'articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 75/442/CEE conferisce agli Stati membri;
    e) non risulta che le autorità italiane abbiano preso tutte le misure necessarie affinché i rifiuti contenuti nelle discariche abusive o incontrollate siano consegnati ad un raccoglitore privato o pubblico, o ad un'impresa autorizzata ad effettuare le operazioni di smaltimento o recupero, oppure affinché il detentore provveda egli stesso al recupero o allo smaltimento in conformità della direttiva, come previsto dall'articolo 8 della direttiva 75/442/CEE come interpretato dalla Corte;
    f) per quanto riguarda le discariche abusive di rifiuti pericolosi, si deve dedurre che tali rifiuti non sono stati catalogati e identificati
    g) relativamente agli stabilimenti o imprese, che effettuano lo smaltimento dei rifiuti in assenza di qualsiasi autorizzazione, non risulta che, prima del 16 luglio 2002, i piani di riassetto di ciascuna discarica abusiva o incontrollata, comprendenti le informazioni relative alle condizioni autorizzative e le misure correttive eventualmente necessarie, siano stati elaborati e presentati all'approvazione dell'autorità competente, come previsto all'articolo 14 della direttiva 1999/31/CE;
   il 23 marzo 2005, la Commissione europea ha proposto dinanzi alla Corte di giustizia delle Comunità europee un ricorso contro la Repubblica italiana perché venisse constatata l'inadempienza della Repubblica italiana agli obblighi di cui agli articoli 4, 8 e 9 della direttiva 75/442/CEE del Consiglio relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva 91/156/CEE, agli articoli 2, paragrafo 1, della direttiva 1/689/CEE del Consiglio relativa ai rifiuti pericolosi e all'articolo 14, lettere a), b) e c), della direttiva 1999/31/CE del Consiglio relativa alle discariche di rifiuti;
   il 26 aprile 2007, la Corte di giustizia delle Comunità europee (causa C-135/05) ha condannato la Repubblica italiana per non aver adottato tutti i provvedimenti necessari ad adempiere agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli articoli 4, 8 e 9 della direttiva 75/442, come modificata dalla direttiva 91/156/CEE, dell'articolo 2, n. 1, della direttiva del Consiglio 12 dicembre 1991, 91/689/CEE, relativa ai rifiuti pericolosi, e dell'articolo 14, lettere a)-c), della direttiva del Consiglio 26 aprile 1999, 1999/31/CE, relativa alle discariche di rifiuti, imponendo all'Italia il pagamento delle spese processuali;
   la situazione delle discariche, oggetto della citata procedura di infrazione 2003/2077 – in relazione alla quale l'Italia è stata condannata dalla Corte di giustizia con la citata sentenza del 2007 – nel dicembre del 2012 era tale per cui si registrava, ancora, la presenza di 252 invasi irregolari così suddivisi per regioni di ubicazione: Abruzzo 37, Basilicata 5, Calabria 43, Campania 49, Emilia-Romagna 3, Friuli Venezia Giulia 2, Lazio 32, Liguria 6, Lombardia 4, Marche 2, Molise 2, Piemonte 1, Puglia 15, Sardegna 10, Sicilia 24, Toscana 6, Umbria 1, Veneto 10;
   in relazione a ciò, il 16 aprile 2013, la Commissione europea ha presentato un nuovo ricorso contro l'Italia (causa C-196/13) per non aver adottato tutte le misure necessarie per conformarsi alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 26 aprile 2007, nella causa C-135/05. In particolare, la violazione degli articoli 4, 8 e 9 della direttiva 75/442/CEE, come modificata dalla direttiva 91/156/CEE, e dell'articolo 2, n. 1, della direttiva 91/689/CEE, relativa ai rifiuti pericolosi, è comprovata dal fatto che, in base alle informazioni trasmesse dalle autorità italiane, esisterebbero nel territorio italiano ancora almeno 218 discariche illegali di rifiuti, dislocate in tutte le regioni italiane. La violazione dell'articolo 14 della direttiva 1999/31/CE, relativa alle discariche di rifiuti è dimostrata dall'esistenza di 5 discariche che, nonostante i relativi piani di riassetto non siano stati presentati o approvati, non sono state chiuse dall'autorità competente;
   al termine del contenzioso, la Commissione ha chiesto alla Corte di ordinare alla Repubblica italiana di: a) versare alla Commissione una penalità giornaliera pari a euro 256.819,2 per il ritardo nell'esecuzione della sentenza nella causa C-135/05 dal giorno in cui sarà pronunciata la sentenza nella presente causa fino al giorno in cui sarà stata eseguita la sentenza nella causa C-135/05; b) versare alla Commissione una somma forfettaria il cui importo risulta dalla moltiplicazione di un importo giornaliero pari a euro 28.089,6 per il numero di giorni di persistenza dell'infrazione dal giorno della pronunzia della sentenza nella causa C-135/05 alla data alla quale sarà pronunziata la sentenza nella presente causa;
   il 3 giugno del 2014, si è svolta la prima udienza della Corte di giustizia dell'Unione europea in merito alla causa C-196/13 per la pronuncia sulle discariche abusive. L'avvocato generale della Corte presenterà le sue conclusioni sulla causa che contrappone la Commissione dell'Unione europea all'Italia per l'inadempienza sulla gestione dei rifiuti il 4 settembre 2014;
   con riferimento alla programmazione dei cosiddetti fondi strutturali relativi al periodo 2014-2020, il regolamento (UE) n. 1303/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio ha individuato tra le priorità di investimento relative al Fondo FESR e al Fondo di coesione l'investimento «nel settore dei rifiuti per rispondere agli obblighi imposti dall'aquis dell'Unione in materia ambientale e soddisfare le esigenze, individuate dagli Stati membri, di investimenti che vadano oltre tali obblighi» e, nello stesso tempo, tra le condizionalità previste ha inserito la «6.1 Settore dei rifiuti: promuovere investimenti economicamente ed ecologicamente sostenibili nel settore dei rifiuti, in particolare, attraverso la definizione di piani di gestione dei rifiuti conformi alla direttiva 2008/98/CE ai rifiuti e alla gerarchia dei rifiuti»;
   la condanna richiesta dalla Commissione europea, con la conseguente applicazione di sanzione pecuniarie, appare, dunque, agli interroganti l'inevitabile conseguenza di una perdurante incapacità dello Stato italiano, e delle amministrazioni a diverso livello e titolo coinvolte, di dare piena attuazione alle disposizioni comunitarie in materia di gestione dei rifiuti –:
   quali iniziative straordinarie e urgenti intenda adottare per giungere, il più rapidamente possibile, alla rimozione di tutte le situazioni giuridiche e/o di fatto che sono causa della condanna inflitta al nostro Paese nell'aprile del 2007, in considerazione del fatto che il permanere delle stesse situazioni è all'origine di una probabile seconda condanna, da parte della Corte europea, con la conseguente applicazione di sanzioni pecuniarie il cui importo – stando alla richiesta avanzata dalla Commissione – potrebbe essere calcolato in funzione del numero dei giorni che trascorreranno tra il 26 aprile 2007, data della prima condanna, e il giorno nel quale il nostro Paese darà prova del pieno rispetto di tutti gli obblighi comunitari violati. (5-03316)


   PELLEGRINO, ZARATTI e FRANCO BORDO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 30 maggio 2013, i presentatori del presente atto di sindacato ispettivo, hanno presentato l'interrogazione a risposta scritta n. 4-00665 al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore in merito ai procedimenti autorizzativi e di realizzazione, nonché degli effetti conseguenti, di un intervento di dragaggio sul canale Coron all'interno della laguna di Grado e Marano, nella regione Friuli Venezia Giulia;
   a tutt'oggi la suddetta interrogazione non ha ricevuto risposta. Si ricorda che nella medesima i proponenti intendevano conoscere riguardo al procedimento: «a) se sia a conoscenza della riperimetrazione del sito inquinato di interesse nazionale (ridotto oggi alla sola area degli stabilimenti Caffaro ed alla foce dell'Ausa) che ha escluso tutta l'area lagunare, senza peraltro restituire l'area stessa agli usi legittimi; b) se sia a conoscenza del progetto in questione e del suo iter procedurale e, in particolare se disponesse di elementi in merito agli effetti che tale decisione di esclusione dalle procedure di VIA produce sull'area individuata; c) se ritenga che l'intenzione di depositare i sedimenti inquinati provenienti dal dragaggio in laguna sia compatibile con la situazione dell'inquinamento chimico nella stessa, considerati i pareri espressi in merito dall'Istituto superiore di sanità e dall'ISPRA nel corso del 2012; d) quali siano le sue competenze in merito alla situazione della laguna di Grado e Marano e se, in particolare, ritenga ancora operante per la stessa il protocollo del 1993»;
   si ricorda che all'interno della procedura di screening di VIA, avevano presentato osservazioni a vario titolo critiche il comune di Marano Lagunare, l'Osservatorio geofisico nazionale (OGN), associazioni ambientaliste e soggetti privati;
   nell'ambito delle controdeduzioni formulate dalla commissione regionale per la VIA per motivare mancato ricorso a tale procedura, non erano state raccolte quelle dell'Osservatorio geofisico nazionale, secondo cui l'intervento progettato avrebbe prodotto modificazioni significative all’habitat della fauna ittica con effetti negativi, e quindi di danno ambientale, in particolare nel caso del ripetersi di eventi climatici estremi, come per le recenti stagioni estate ed inverno 2012;
   i valori di concentrazione del mercurio presente nei sedimenti oggetto di dragaggio, provenienti da attività minerarie ed industriali precisamente individuate, risultavano essere tra 1,5 e 3 volte superiori al valore di riferimento normativo comunitario e nazionale;
   la riperimetrazione del sito inquinato nazionale «Laguna di Grado e di Marano» aveva escluso l'area lagunare senza peraltro restituire la stessa agli usi legittimi;
   da oltre un anno sono autorizzati interventi di dragaggio di corsi d'acqua lagunari, anche in parte realizzati, che risultano essere stati oggetto di procedimenti autorizzativi non omologhi e dall'esito controverso (prescrizioni ministeriali, procedimento di screening di VIA e assenza di tale procedimento, procedimento di VINCA), con riferimento al dragaggio dei canali Coron, di Barbana e di Marano;
   in un caso recente essi hanno riguardato anche il dragaggio di darsene-terramare, in località Aprilia Marittima, in concessione a società di privati con conferimento dei sedimenti tal quali in un'area lagunare demaniale, di piana di marea, e soggetta agli usi civici;
   pare dubbio che tale intervento possa ritenersi di ripristino di officiosità idraulica, come di pubblica utilità; esso pare piuttosto di esclusivo interesse privato, considerato l'uso diportistico di tali servizi;
   l'area lagunare deperimetrata doveva essere oggetto delle attività di verifica ed eventuale bonifica, prima della sua restituzione agli usi legittimi e del formale decreto regionale;
   non è noto se siano stati compiuti tutti gli atti progettuali necessari alla corretta progettazione dell'intervento di dragaggio delle darsene, con particolare riguardo al piano di campionamento del sito di asporto dei sedimenti, alla sua realizzazione e ai risultati analitici ottenuti, alla compatibilità con lo strumento urbanistico comunale vigente in materia di darsene e corsi d'acqua, alla compatibilità dei sedimenti conferiti in Laguna per le caratteristiche chimiche e granulometriche e alla compatibilità paesaggistica nel caso l'intervento riguardi il conferimento su superfici di marea, con successiva rimovimentazione idraulica e modificazioni del paesaggio di superficie come sott'acqua;
   tali interventi, così realizzati senza risanamento ambientale dei sedimenti ove inquinati, non sono conciliabili con le attività di molluschicoltura e itticoltura presenti nella laguna di Grado e Marano e all'elevatissimo valore naturale della stessa;
   peraltro, considerate la presenza di sedimenti lagunari in ambito urbanistico diverso, antropizzato per le darsene e naturale per l'area lagunare, e la volontà di disfarsi dei sedimenti da parte dei titolari delle darsene in concessione, tale intervento, e gli altri che ne potranno seguire, appaiono agli interroganti in contrasto con la normativa vigente in materia di rifiuti –:
   se, alla luce di quanto esposto in premessa e considerata la presenza di sedimenti lagunari in ambito urbanistico diverso – antropizzato per le darsene e naturale per l'area lagunare – gli interventi suindicati, e gli altri che ne potranno seguire, avvengano, nel pieno rispetto della normativa nazionale e comunitaria in materia di rifiuti e di bonifica dei siti inquinati, considerata anche l'assenza di un piano di gestione della laguna di Grado e Marano. (5-03317)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GAGNARLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la Giunta della provincia autonoma di Trento con delibera n. 1241 del 18 luglio scorso ha approvato la «Modifica del Piano d'Azione interregionale per la Conservazione dell'Orso Bruno nelle Alpi Centro-Orientali» (PACOBACE) con l'individuazione della categoria «orso dannoso»;
   la citata provincia autonoma ha deciso così «di pervenire in tempi brevi alla definizione di modalità gestionali più snelle ed efficaci nel senso del riconoscimento alla provincia di una adeguata indipendenza gestionale nei riguardi della frazione della popolazione ursina maggiormente problematica, consentendo nel rispetto di criteri condivisi e codificati, decisioni autonome e necessariamente tempestive circa la rimozione dei soggetti problematici» e «di considerare la modifica del Piano d'Azione solo come una prima azione, parziale, rispetto alle attuali necessità di adeguamento degli strumenti di gestione della popolazione ursina in provincia di Trento»;
   nella stessa delibera, la giunta provinciale dichiara che «il Ministero ha recepito favorevolmente la proposta di revisione, istituendo al riguardo un apposito Tavolo di lavoro, con propria nota n. 40319/PNM data 8 luglio 2013 che ha portato tuttavia solo alla revisione del documento in questione per la parte relativa ai soggetti eccessivamente dannosi. Tale modifica ha permesso quindi di codificare la categoria di “orso dannoso” con parere favorevole espresso dall'ISPRA con nota n.0022104 del 27.5.2014; con nota di data 14 aprile 2014 n.prot.0007464/PNM il MATTM trasmetteva la versione modificata come sopra descritto dal documento per la ratifica da parte delle amministrazioni e degli enti coinvolti, a cui farà seguito l'adozione formale del Piano d'Azione da parte dello stesso Ministero»;
   nel prospettato Piano d'Azione PACOBACE è quindi previsto anche «l'abbattimento», nonché la cattura per una non specificata «captivazione permanente»;
   ai sensi della direttiva «Habitat» 92/43/CEE, gli Stati dell'Unione europea che ospitano popolazioni dell'orso bruno, sono tenuti a sorvegliarne lo stato di conservazione ed a tutelarlo in quanto specie di interesse comunitario. In tale contesto l'Italia ha istituito un regime di tutela specifico che definisce l'orso quale «specie particolarmente protetta anche sotto il profilo sanzionatorio», ai sensi dell'articolo 2 della L.157/92;
   l'uccisione «non necessitata» di un animale è sanzionata dall'articolo 544-bis del Codice penale così come la «captivazione permanente» può configurare il reato di maltrattamento di animali secondo l'articolo 544-ter del codice penale. Peraltro la stessa direttiva sulla protezione penale dell'ambiente n. 99/2008/CE vincola gli Stati membri a garantire protezione penale agli animali, quali l'orso, oggetto di specifiche tutele internazionali e comunitarie;
   la reintroduzione dell'orso in Trentino, allo scopo di salvare il piccolo nucleo di orsi oramai destinati all'estinzione, ha avuto inizio nel 1999, grazie al progetto Life Ursus ed ai correlati finanziamenti dell'Unione europea. Il buon successo dell'iniziativa è testimoniato dalla ripresa della popolazione di orso e, indirettamente, dal fatto che l'Unione europea ha deciso di contribuire economicamente al progetto, finanziando il Parco dell'Adamello-Brenta per ben tre volte mediante l'accesso agli strumenti finanziari Life;
   dal 1o settembre 2010 la gestione e la tutela dell'orso in provincia di Trento, sono entrate a far parte del progetto Life Arctos, che vede tra gli obiettivi principali proprio la gestione del fenomeno degli orsi confidenti/problematici presenti in provincia di Trento e lungo il confine tra la regione Friuli Venezia-Giulia e la Slovenia, oltre che in tutto l'areale dell'Orso marsicano. Tale progetto, che si concluderà il prossimo 31 dicembre 2014, è stato finanziato dall'Unione europea e dagli altri partner, per un importo superiore a 3,9 milioni di euro;
   il «Piano d'Azione interregionale per la conservazione dell'Orso bruno delle Alpi Centro-orientali» (PACOBACE) rappresenta lo strumento fondamentale dal quale dipende la conservazione dell'Orso Bruno e quindi la scongiura della sua estinzione. È stato sottoscritto, nel 2010, dalle province autonome di Trento e Bolzano, dalle regioni Friuli Venezia-Giulia, Veneto e Lombardia, dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (Dipartimento per l'assetto dei valori ambientali del territorio – Direzione Generale per la Protezione della Natura) e dall'ISPRA; la modifica introdotta dalla delibera sopracitata dovrebbe essere sottoposta ora al vaglio del Ministero interrogato per l'approvazione definitiva;
   come considerate le normative internazionali comunitarie e nazionali citate il Ministro interrogato intenda intervenire al fine di impedire danni irreparabili alla popolazione degli orsi;
   sulla base di quali presupposti l'Ispra abbia avallato l'introduzione prevista dalla modifica al Piano d'Azione sopracitato, della categoria «orso dannoso» non prevista da alcuna normativa;
   se il Ministro sia a conoscenza di cosa si intenda per «captivazione permanente» degli orsi considerati problematici posto che tale atto appare in contraddizione con le azioni di reintroduzione dell'orso bruno nel territorio per la quale sono stati ricevuti ingenti fondi anche europei. (5-03303)


   BORGHI, REALACCI, TINO IANNUZZI, GINOBLE, ARLOTTI, MARIASTELLA BIANCHI, BRAGA, BRATTI, CARRESCIA, COMINELLI, COVELLO, DALLAI, DE MENECH, GADDA, MANFREDI, MARIANI, MARRONI, MAZZOLI, MORASSUT, GIOVANNA SANNA e ZARDINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   da diversi anni, soprattutto a livello di Unione europea, si discute sull'idea di elaborare una «Strategia Macroregionale per le Alpi» che consenta alle regioni alpine di essere considerate una «macroregione», ovvero un motore di sviluppo, anche culturale e ideale oltre che sociale ed economico, nel cuore dell'Europa;
   in tale quadro si inserisce la «Convenzione delle Alpi» che vanta un percorso istituzionale lungo oramai oltre vent'anni. La Convenzione delle Alpi, firmata nel 1991 e in vigore dal 1995, è un trattato internazionale tra gli otto Paesi alpini (Austria, Germania, Francia, Italia, Liechtenstein, Principato di Monaco, Svizzera e Slovenia) e l'Unione europea, che mira a promuovere la protezione delle Alpi e il loro sviluppo sostenibile ed è il primo trattato internazionale giuridicamente vincolante a livello mondiale per la tutela di una catena montuosa. Per la prima volta una zona di montagna è stata definita come una unità funzionale, come ambiente culturale ed economico territoriale, di fronte a sfide comuni;
   la Convenzione delle Alpi ha come principale obiettivo quello di garantire una politica comune per l'arco alpino, un territorio sensibile e complesso in cui i confini sono determinati da fattori naturali, economici e culturali che raramente coincidono con le frontiere degli Stati nazionali o delle regioni che li inglobano; risulta dunque evidente l'importanza di un vero ed efficace coordinamento internazionale degli interventi in area realmente considerata alpina;
   la scala geografica può costituire un punto chiave del dibattito nella definizione della regione alpina;
   esistono allo stato due concezioni territoriali: quella della Convenzione delle Alpi, che include nella regione soltanto le aree più spiccatamente montane e quella del programma spazio alpino, che intende includere nella regione alpina anche le aree urbanizzate circostanti;
   allargando la macroregione a tutti i territori contermini, anche a quelli non alpini, si passerebbe da una popolazione presente nei territori delle Alpi, di montagna, di circa 12 milioni di abitanti, a una macroregione alpina di 70 milioni di abitanti, comprendendo aree che con il sistema montano non hanno niente a che vedere e aprendo le porte ad interessi che lascerebbero, ancora una volta, le Alpi e le popolazioni alpine a fare da cornice;
   sulla seconda opzione, recentemente, si è spesa regione Lombardia che è tra le più attive nel sostenere la proposta di una strategia per la definizione di una «Macroregione alpina verso l'Europa». Infatti, il 29 giugno 2012 a Bad Ragaz si è tenuta la «Conferenza delle Regioni Alpine» che ha adottato una risoluzione con la quale si impegnavano i rispettivi Governi nazionali a promuovere tale strategia. In tale documento, che di fatto lanciava la visione di una «regione alpina» costituita dall'insieme delle regioni politiche che inglobano le Alpi, mentre da una parte si ignorava la Convenzione delle Alpi, dall'altra si invitavano i rappresentanti della stessa ad elaborare un proprio specifico contributo in vista di tale strategia;
   il 23 maggio 2013, il Parlamento europeo approvava una risoluzione circa la strategia macroregionale per le Alpi con la quale «... sottolinea l'importanza di allineare il contenuto della strategia per le Alpi alla Convenzione Alpina ad ai rispettivi protocolli successivi ...»;
   il 18 ottobre 2013 a Grenoble, i presidenti delle regioni e delle province autonome alpine italiane hanno sottoscritto una risoluzione politica per l'attuazione della strategia della Unione europea per la regione alpina quale strumento di coordinamento delle politiche e dei fondi transnazionali;
   il 20 dicembre 2013, il Consiglio europeo dei Capi di Stato e di Governo ha dato formalmente mandato alla Commissione europea di «elaborare una Strategia dell'Unione Europea per la Regione Alpina entro il giugno 2015». Secondo la regione Lombardia, sarebbe stata riconosciuta dall'Unione europea la proposta che estende ai limiti amministrativi di tutte le regioni alpine (quindi, per l'Italia – dal Piemonte al Friuli Venezia Giulia – l'intero territorio compreso entro i confini amministrativi regionali) i confini di tale macroregione;
   se così fosse, la macroregione si rivelerebbe una vera beffa per i 12 milioni di abitanti della vera regione alpina che si vedrebbero inglobati dentro aree metropolitane di forte peso politico (70 milioni di abitanti) tali da schiacciarle. Verrebbe in tale modo persa l'occasione di un vero rilancio delle aree alpine all'interno dell'economia europea;
   in realtà, il Consiglio europeo dei Capi di Stato e di Governo ha dato semplicemente mandato alla Commissione europea di elaborare una strategia dell'Unione europea per la regione alpina con l'impegno alla Commissione per la preparazione del piano d'azione in vista dell'approvazione definitiva entro giugno 2015. A favore di tale calendario operativo si è recentemente espressa anche la Commissione europea;
   appare fondamentale, in questo contesto, assumere una decisione di fondo su cosa si intenda per «macroregione alpina» che, a seguito della consultazione dei vari documenti sin qui descritti e da una serie di contatti avuti, parrebbe in questi ultimi mesi seguire il percorso tracciato da regione Lombardia, ovvero di una «Macroregione – alpina» di 70 milioni di abitanti dove peraltro e coerentemente con i territori urbanizzati, concezione nella quale i temi fondanti della Convenzione alpina (ripresi più volte dal Parlamento europeo ma sottaciuti o lasciati ai margini dagli altri interlocutori politici) quali la fragilità dell'ecosistema alpino, lo sviluppo sostenibile dei territori, la coesione territoriale nei territori alpini e le culture transfrontaliere farebbero da cornice (nel migliore dei casi) alle iniziative delle regioni che finirebbero con il disperdere sull'intero territorio regionale risorse e politiche assegnate alle aree alpine;
   deve essere il perimetro alpino già oggetto di accordo internazionale nell'ambito della Convenzione delle Alpi il territorio di eleggibilità della strategia macroregionale alpina –:
   quali intendimenti intenda assumere il Governo in merito, in particolare quale concezione territoriale intenda assumere tra l'area e la concezione della Convenzione delle Alpi e l'area e la concezione di spazio alpino in ordine all'attuazione della Strategia macroregionale alpina. (5-03311)


   TURCO, BECHIS, COMINARDI, BALDASSARRE, CHIMIENTI, TRIPIEDI, RIZZETTO, ROSTELLATO, FANTINATI, DA VILLA, BENEDETTI e CIPRINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i laboratori ARPA sono l'unica fonte di vigilanza ambientale (acqua, aria, terreni, rifiuti, bonifiche) liberamente a disposizione del singolo cittadino; le emergenze ambientali in Arpa sono all'ordine del giorno e i laboratori servono a questo;
   dopo l'emanazione della legge n. 61 del 1994, è stato fatto poco per riconoscere al sistema delle ARPA il giusto ruolo centrale sul controllo ambientale;
   le agenzie operano insieme ad altri organi necessari per un controllo capillare del territorio e la cui integrazione nel contesto dei controlli ambientali è certamente insostituibile sia in fase preventiva sia in fase repressiva in ausilio ed in sinergia con i tecnici delle Arpa;
   sussiste una scarsa presenza sul territorio delle Arpa in parte attribuibile ad organici «adeguati delle medesime ed all'espletamento di attività secondarie rispetto al loro preminente compito di tutela dell'ambiente di cui certamente il monitoraggio ed il controllo costituiscono una parte fondamentale. L'ultimo importantissimo atto dei, passati Governi il cosiddetto testo unico ambientale (decreto legislativo n. 152 del 2006) cita il sistema agenziale e le Arpa non più di cinque sei volte e non per ribadire la loro specificità nel campo della tutela ambientale;
   a riprova del processo in corso alcuni quotidiani locali hanno riportato la notizia della prossima chiusura del laboratorio di analisi di Padova dell'Agenzia regionale per la protezione ambientale del Veneto (ARPAV);
   la struttura padovana verrà smantellata e ridotta ad uno sportello accettazioni per il ricevimento dei campioni ambientali;
   in Veneto sono state già chiuse le strutture di analisi di Rovigo, Belluno e Vicenza, e l'attività dei sette laboratori provinciali verrà ridotta e concentrata a Venezia e Verona;
   il potere politico, a fronte delle sempre più numerose emergenze ambientali che si verificano in una regione tra le più industrializzate d'Europa, risponde con un progressivo e pericoloso allontanamento dei servizi di controllo pubblico dal territorio;
   a parere degli interroganti la diminuzione indiscriminata dei controlli effettuati sul la dispersione di professionalità altamente specializzate, l'inefficiente spostamento della spesa pubblica per le analisi ambientali verso soggetti privati rappresentano un rischio da evitare –:
   se, siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se, ciascuno per quanto di competenza, pur nel rispetto delle autonomie regionali, non ritengano opportuno intervenire, anche con appositi atti normativi, al fine di garantire l'efficiente mantenimento del livello di qualità e frequenza dei servizi di controllo e monitoraggio ambientale resi sul territorio italiano nel rispetto dei principi costituzionalmente garantiti della tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini ex articoli 2, 3 e 32 Costituzione. (5-03318)

Interrogazioni a risposta scritta:


   AMODDIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nelle date 9 10 e 11 maggio 2014 le frazioni di Città Giardino (Melilli) e Belvedere (Siracusa) – in concomitanza con alcuni blocchi e sfiaccolamenti riscontrati nella zona industriale adiacente – all'interno del SIN (sito di interesse nazionale) venivano investite da una strana pioggia marrone che lasciava sulle superfici delle autovetture, di pannelli solari, verande, arredi esterni e ringhiere, macchie indelebili, ruvide al tatto di colore marrone scuro/nero che si fondevano con le superfici. Il personale dell'Arpa, chiamato dall'amministrazione comunale ed intervenuto per i rilievi, ha trovato enormi difficoltà nel prelevare campioni della sostanza e ha preferito eseguire i rilievi trasportando alcune autovetture nella sede dell'agenzia regionale di Siracusa. Risulta che il comune di Melilli, dopo aver raccolto le testimonianze della popolazione, ha notificato alla procura di Siracusa la notizia di reato mentre la popolazione, già sottoposta a continue molestie ambientali, miasmi, polveri sottili e fenomeni di elettrosmog, ha il diritto di sapere cosa è accaduto. Da parte sua l'Arpa ha comunicato i primi dati sui rilievi effettuati, ma, per carenza di strumentazione tecnica adeguata, non è riuscita a definire di quale sostanza si tratti definendola genericamente «sostanza inorganica per il momento indefinita»;
   i rilievi sono stati trasferiti al laboratorio dell'Arpa Catania, dotato di tecnologia più avanzata, per una ulteriore analisi. A due mesi dall'episodio non è ancora possibile conoscere la natura di questa sostanza e metterne al corrente l'opinione pubblica –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra esposto;
   se il Ministro non ritenga di intervenire con urgenza per verificare la situazione e, offrire i chiarimenti del caso. (4-05636)


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   com’è noto, secondo il rapporto di fine anno pubblicato dall'Agenzia europea per l'ambiente (AEA, La qualità dell'aria in Europa – rapporto 2013), il 90 per cento delle persone che vivono nei centri urbani dei paesi membri è costantemente esposto ad una concentrazione di inquinanti superiore ai limiti che l'Organizzazione mondiale della sanità riporta nelle sue linee guida;
   un recente rapporto stilato da Legambiente ha evidenziato come, nei primi mesi del 2014, in alcune città italiane si siano registrati oltre 20 giorni di superamento (sui primi 36 giorni dell'anno) dei livelli consentiti di PM10 e PM2,5 consentiti dalla normativa vigente;
   parallelamente il biossido di azoto (NO2), un inquinante secondario le cui fonti principali sono il trasporto su strada, il riscaldamento e i processi di combustione industriali, rappresenta ancora uno dei maggiori problemi irrisolti per quanto riguarda la sua concentrazione negli ambienti urbani;
   con riguardo al territorio nazionale, ed eccettuate le grandi città, l'area della pianura padana risulta la macro-area maggiormente interessata da tali fenomeni di inquinamento dell'aria;
   in particolare, e a titolo d'esempio, la relazione stilata nel 2012 dall'Agenzia regionale per la protezione ambientale della regione Piemonte sulla qualità dell'aria nel comune di Alessandria — le cui risultanze sono state sostanzialmente confermate anche per il 2013 e parte del 2014 — ha rilevato una mediocre qualità dell'aria nel suddetto territorio, con superamenti ripetuti dei limiti annuali/giornalieri di PM10, dei limiti annuali per gli ossidi di azoto e dei livelli di ozono estivo;
   i dati indicano che nei primi 45 giorni dell'anno, a metà febbraio, si raggiungono già i 35 giorni di superamenti consentiti per legge, ad indicare che nei primi due mesi dell'anno si registra quasi un superamento al giorno;
   sempre secondo tale relazione «Questi episodi, non infrequenti nel corso degli inverni di pianura, determinano delle situazioni di accumulo pericolose per la salute, a cui si associa anche un aumento di ricoveri e decessi per malattie alle via respiratorie»;
   per quanto riguarda l'inquinamento da ozono, Alessandria presenta un livello significativo di inquinamento in periodo estivo, comparabile con i livelli registrati nelle altre stazioni urbane della regione Piemonte, confermando un trend negativo relativo a tutto il Nord Italia;
   secondo la citata relazione, dunque, permangono «per Alessandria condizioni di criticità sia per quanto riguarda le polveri fini PM10 e PM2,5 sia per il biossido di azoto, soprattutto in periodo invernale, mentre si riscontra un elevato inquinamento da ozono in periodo estivo. I parametri non mostrano variazioni di rilievo negli ultimi anni»;
   per far fronte a tali fenomeni appare estremamente importante e urgente intraprendere una serie di azioni integrate e tra loro ben coordinate volte ad incidere sull'efficienza del trasporto pubblico locale, ad implementare le reti ferroviarie, regionali e nazionali, ad incentivare l'abbandono del trasporto su gomma delle merci, nonché a ridisegnare l'assetto delle competenze istituzionali in ordine alla gestione di queste problematiche, le quali minacciano da vicino la salute dei cittadini;
   con particolare riguardo a tale ultimo aspetto, è evidente come lo Stato non possa limitarsi a predisporre solo i limiti massimi di inquinamento (abbandonando a sé stessi comuni e regioni), essendo invece necessario un suo intervento fattivo — di concerto con le regioni e gli enti locali — al fine di mantenere una qualità dell'aria in linea con tali limiti –:
   se il Ministro interrogato non reputi necessario, data la gravità della situazione, adottare, nell'ambito delle proprie competenze, o di concerto con gli altri dicasteri, le opportune iniziative, anche di carattere normativo, al fine di definire una nuova strategia nazionale nei confronti del fenomeno dell'inquinamento dell'aria nei centri urbani, e in particolare in quelli del Nord Italia. (4-05649)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la galleria Royal Athena ha riproposto nei siti internet la vendita di cinque straordinari reperti archeologici, dal prenuragico al nuragico;
   vengono impunemente venduti a cifre tra i 37 mila e i 6.500 dollari, per complessivi 124 mila dollari con descrizioni di autenticità e datazione;
   di fatto tra Londra e New York si svende la civiltà nuragica senza che nessuno intervenga per contrastare e impedire questa gravissima lesione del patrimonio archeologico della Sardegna;
   si tratta di straordinarie statuette della più antica e segreta civiltà del Mediterraneo in vendita nelle gallerie internazionali senza che nessuno faccia niente per impedire questo traffico di reperti archeologici che potrebbero essere rubati all'antica storia della Sardegna;
   tutto questo è semplicemente inaccettabile;
   è inaccettabile che il Governo e il Ministero dei beni culturali si occupi di proporre trasferimenti dei Giganti di Monte Prama al Quirinale e nel contempo non faccia assolutamente niente per impedire che pezzi pregiati e straordinari della civiltà nuragica vengano svenduti in giro per il mondo;
   nessuno poteva sottrarre alla Sardegna quel patrimonio archeologico per venderlo sul mercato internazionale;
   è scandaloso che il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, nonostante segnalazioni simili siano state fatte anche in anni passati, non abbia fatto assolutamente niente per fermare questo traffico vergognoso e quasi certamente illegale del patrimonio della civiltà nuragica;
   tutto questo deve essere immediatamente fermato e perseguito anche penalmente;
   si tratta di collezioni private che hanno attinto assai probabilmente da tombaroli e mercanti dell'archeologia nuragica sarda;
   nella fattispecie si chiede di procedere all'immediato recupero dei seguenti reperti detenuti dalla Royal Athena Gallery di Londra e New York:
    a) GUERRIERO SARDO – indossa il casco cornuto, con arco sopra la spalla, indossa tunica. Definito raro. Proveniente da un ex collezione privata svizzera. Periodo nuragico, VIII secolo a.C – in vendita per 30.000 dollari;
    b) GUERRIERO SARDO – con elaborato copricapo. Parte del fiocco sulla spalla, faretra sulla schiena. Raro, collezione privata ex svizzera. Preistoria nuragica periodo, VIII secolo – in vendita per 25.000 dollari;
    c) CERVO IN BRONZO – REPERTO PREISTORICO – con lunghe corna. Molto raro. Ex collezione privata francese. Esposto: Picker Art Gallery, Colgate University 1985-1999. Sardegna, nono-ottavo secolo a.C. in vendita per 37.500 dollari;
    d) MONTONE NURAGICO – con grande testa allungata e il corpo cilindrico sulla piccola base. Raro. Preistoria Nuraghian periodo, Ca. VIII secolo a.C. – in vendita per 6.500 dollari;
    e) GUERRIERO SARDO IN PIEDI – Indossa un elmo cornuto e una corta tunica con scollo a V, con un colletto alto a strati, con un fremito appeso lungo la schiena, il suo arco sulla spalla sinistra, il suo lungo viso ovale con occhi e un lungo naso sottile fondendosi con le sopracciglia sporgenti. Ex collezione inglese; periodo nuragico, VIII-IX secolo a.C. – in vendita per 25.000 dollari –:
   se il Ministro sia a conoscenza di questa compravendita di beni archeologici provenienti dalla civiltà nuragica;
   se intenda intervenire e come per fermare questo furto alla storia e alla civiltà della Sardegna;
   se non intenda promuovere una più ampia ricognizione, d'intesa con gli altri organi dello Stato, al fine di rinvenire e riportare nella disponibilità della civiltà nuragica tutti i reperti illegalmente detenuti da privati o da gallerie;
   se non intenda proporre un adeguamento normativo per prevedere pene più severe per i mercanti di reperti archeologici e attivare il blocco totale con un più stretto controllo dell'esportazione illegale all'estero di questi straordinari reperti.
(5-03310)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 19 giugno 2013 veniva depositata l'interrogazione a risposta scritta 4-00928 riguardante gli affreschi rinvenuti nel 1857 nella tomba François a Vulci e il loro trasferimento effettuato da Torlonia, allora proprietari del fondo, in una delle sedi della famiglia a Roma;
   con risposta scritta pubblicata giovedì 3 ottobre 2013 nell'allegato B della seduta n. 90, il Ministro interrogato ha chiarito alcune parti della vicenda;
   in particolare il Ministro ha risposto che: «Nel mese di maggio 2013 è stato eseguito un sopralluogo da parte di funzionari responsabili dell’“Istituto superiore per la conservazione e il restauro”, che ha tra i suoi fini istituzionali la promozione e l'espletamento di attività di ricerca, la progettazione, la sperimentazione e la verifica nel campo della tutela dei beni culturali.» E che «hanno verificato che le condizioni ambientali del locale non sembrano determinare situazioni di rischio e che il luogo di conservazione, per quanto riguarda l'umidità e la temperatura, risulta controllato attraverso l'uso di un termoigrografo.»;
   il termoigrografo o «igrotermografo» è uno strumento che registra la temperatura e l'umidità relativa della massa d'aria circostante e non per forza uno strumento che ne regola i valori;
   il Ministro ha affermato che «Le raccomandazioni relative alla conservazione, emanate dal suddetto istituto, di concerto con la Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma, sono state, pertanto, recepite e attuate dagli attuali detentori e proprietari delle opere» –:
   se il sopralluogo da parte di funzionari responsabili dell’«Istituto superiore per la conservazione e il restauro» avvenuto nel maggio del 2013 sia stato l'unico sopralluogo effettuato e se, in caso, intenda fornire i dati relativi al numero di sopralluoghi effettuati negli anni;
   se sia stato redatto, da parte dei funzionari responsabili dell’«Istituto superiore per la conservazione e il restauro», un verbale del sopracitato sopralluogo e se intenda rendere disponibile una copia;
   se, vista la tortuosità dell'intera vicenda che costringe l'istituto superiore per la conservazione e il restauro ad effettuare sopralluoghi in struttura privata intenda comunicare gli eventuali costi dei sopralluoghi;
   se non ritenga opportuno addossare gli eventuali costi dei sopralluoghi all'amministrazione Principe Torlonia;
   se il termoigrografo citato dal Ministro in risposta all'interrogazione 4-00928 di cui in premessa, abbia capacità di solo controllo o se sia implementato da uno strumento di regolazione dei valori di umidità e temperatura dell'aria;
   se intenda rendere disponibili, in caso il termoigrografo di cui al quesito precedente sia implementato di strumento di controllo dei valori di umidità e temperatura dell'aria, gli eventuali documenti e certificazioni che ne attestino la reale capacità di regolazione dei suddetti valori.
(4-05638)


   SCOTTO, FRATOIANNI e GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il sito archeologico Villa «A», conosciuta anche come Villa di Poppea Sabina, fa parte del complesso degli scavi di Oplontis;
   si tratta di una villa d’otium risalente al I secolo avanti Cristo, particolarmente rilevante per la sua bellezza ed estensione, tanto che non è ancora stata del tutto esplorata, nonostante i primi scavi sistematici risalgono agli anni ‘60;
   Oplontis, e quindi anche la villa di Poppea, è stata dichiarata dall'Unesco patrimonio dell'umanità nel 1997;
   la villa di Poppea è di competenza della soprintendenza speciale per i beni archeologici di Pompei, Ercolano e Stabia;
   ha fatto scalpore, negli scorsi giorni, la notizia dell'utilizzo della villa di Poppea per una festa serale privata organizzata al suo interno, con catering fornito da un noto ristorante di Pompei e sponsorizzata da una azienda il cui nome è stato ritenuto opportuno non essere divulgato dalla stessa soprintendenza, con oltre duemila invitati;
   il codice dei beni culturali approvato il 22 gennaio 2004, con l'articolo 106, permette agli istituti del Ministero di concedere l'uso temporaneo, dietro versamento di un canone stabilito dall'ente che gestisce il bene, di alcuni spazi appositamente individuati all'interno delle aree archeologiche di competenza della soprintendenza, per attività che sono valutate compatibili con il decoro del monumento;
   sono poco chiari i criteri con cui in questo caso specifico la soprintendenza abbia valutato tale compatibilità;
   per tale evento la soprintendenza ha ricevuto come canone la cifra di 5.000 euro, ma è poco chiaro secondo quali criteri sia stato deciso il canone di locazione, che sembra essere eccessivamente basso;
   appare strano che un'area che non è ricompresa tra quelle disponibili per le visite serali, sia invece considerata idonea ad una festa serale di queste dimensioni;
   associazioni, intellettuali, comitati e cittadinanza attiva hanno aspramente criticato la scelta della soprintendenza, arrivando ad organizzare un presidio di protesta all'esterno del sito;
   i manifestanti contestano l'utilizzo di un bene patrimonio dell'umanità per feste private e la mancata valorizzazione degli scavi, che influisce anche sulle attività commerciali della zona;
   beni culturali come la villa di Poppea dovrebbero essere valorizzati e resi fruibili a tutti i cittadini, affinché i benefici in termini di ritorno d'immagine ed economici ricadano su tutta la popolazione;
   gli scavi di Oplontis soffrono di un'evidente incuria: mancano sistemi di sicurezza sia per i visitatori che per lo stesso personale, non è ancora stato previsto l'abbattimento delle barriere architettoniche e manca un adeguato impianto di illuminazione (motivo per cui non vi sono visite serali);
   se i lavori di scavo ed esplorazione della villa di Poppea non sono ancora conclusi è in larga parte dovuto alla mancanza di fondi;
   i fatti narrati sono riportati, tra gli altri, anche nell'articolo «La Villa di Poppea concessa per feste private, scoppia la rivolta» pubblicato dal quotidiano Il Mattino il 13 luglio 2014 e su Il Corriere del Mezzogiorno del 17 luglio 2014 nell'articolo dal titolo «Il party privato nella villa di Poppea ? Costa solo cinquemila euro» –:
   se i mosaici che ricoprono parte della pavimentazione non siano stati danneggiati dal continuo passaggio da parte degli invitati, come la documentazione fotografica giornalistica sembrerebbe mostrare;
   se l'utilizzo che è stato fatto della villa di Poppea risponda ai requisiti richiesti per la concessione dell'area;
   se non ci sia il rischio di fenomeni speculativi di tipo privatistico;
   se il canone di locazione previsto per l'occasione risulti idoneo per coprire i costi sostenuti dalla soprintendenza;
   se il canone di affitto sia stato concesso ad aziende o a privati con i dovuti requisiti previsti dal Ministero;
   quali siano stati i criteri che hanno portato a stabilire un canone di locazione così basso per una struttura peraltro poco idonea ad ospitare feste private;
   se l'evento in questione possa essere definito in linea con i principi indicati dall'articolo 106 del codice dei beni culturali;
   se le attuali condizioni della struttura garantiscano la sicurezza e l'incolumità di un numero così elevato di persone;
   se non ritenga urgente predisporre un investimento serio e cospicuo tale da garantire il restauro e la messa in sicurezza del sito. (4-05639)


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   una società Beni culturali spa, a capitale quasi totalmente privato, la riforma annunciata dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo e portata avanti dal Ministero dell'economia e delle finanze. Un maxibando di gara del valore di mezzo miliardo di euro per appaltare ai privati i «servizi di gestione integrata e valorizzazione dei luoghi di cultura». È la prima volta in assoluto che si fa ricorso a una procedura di questo tipo. Il bando, a quanto si apprende, verrà materialmente lanciato a ottobre 2014 dalla Consip, la società del Ministero dell'economia e delle finanze che si occupa di approvvigionamento di beni e servizi;
   pare trattasi di appaltare a privati una miriade di servizi, tra i quali manutenzione e pulizia di immobili, musei e siti vari, gestione di bar, caffetterie, bookshop, audioguide e altro. Il massiccio ricorso ai privati è un esito scontato se solo si considerano i tagli subiti dal budget del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo dal 2001 al 2013: anni in cui gli stanziamenti sono passati da 2,7 a 1,5 miliardi, cifra ancor più risibile se paragonata all'intero bilancio dello Stato –:
   quali siano gli indirizzi e gli intendimenti politici di prospettiva che costituiscono la premessa di questo maxi-appalto in corso di predisposizione da parte della Consip. (4-05644)


   PILI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere, premesso che:
   le dichiarazioni del Sottosegretario ai beni e alle attività culturali e al turismo con le quali annunciava l'intenzione di portare un «gigante» di Monte Prama al Quirinale sono frutto di episodiche azioni tese a nascondere le inadempienze del Governo rispetto ai beni culturali e archeologici della Sardegna;
   secondo l'interrogante i giganti di Monte Prama devono stare nel Sinis, e da nessuna altra parte; devono restare uniti e nessuno li deve dividere e non hanno nulla a che vedere con il Quirinale;
   chi propone di portare un gigante al Quirinale ad avviso dell'interrogante non ha capito l'imponenza della scoperta. Questa proposta che l'interrogante giudica estemporanea e grottesca di portare i giganti di Monte Prama, fosse anche solo uno, al Quirinale, è un'offesa al popolo sardo e al più insigne accademico dei Lincei Giovanni Lilliu che si era sempre dichiarato contrario a qualsiasi tipo di separazione dei Giganti, e totalmente contrario all'allontanamento dal luogo del ritrovamento;
   si è – a giudizio dell'interrogante dinanzi al festival del grottesco e della più bieca azione di «servilismo» culturale alla ricerca di personali visibilità senza tener conto di un progetto di valorizzazione internazionale che deve vedere il Sinis e la Sardegna protagonisti;
   pensare di mettere in mostra un gigante al Quirinale, e non l'intero monumentale ritrovamento nel Sinis significa umiliare la Sardegna e i sardi;
   è secondo l'interrogante offensivo che un rappresentante del Governo venga in Sardegna a spacciare come nuovi finanziamenti che nel 2011 furono stanziati dal Ministro Bondi per la ripresa di quegli scavi;
   questo Governo non stanzia risorse in più e soprattutto non mette in campo soluzioni che consentano di evitare che imprese esterne possano occuparsi degli scavi;
   occorre trovare soluzioni che vedano gli archeologi e le università sarde protagoniste degli scavi e dei ritrovamenti;
   il Governo doveva evitare conferenze stampa e dare risposte a questioni fondamentali come appunto le risorse finanziarie;
   lo stanziamento in essere entro l'anno sarà esaurito;
   soprattutto saranno esclusi dagli scavi gli archeologi sardi, i protagonisti di questi progetti di ricerca, che verranno sostituiti dall'impresa che vincerà l'appalto;
   tutto questo è davvero inaccettabile per un Governo che pensa di mettersi in mostra con iniziative quali quella descritta ad avviso dell'interrogante meramente propagandistiche –:
   se non intenda smentire l'idea di portare un gigante al Quirinale;
   se non intenda stanziare risorse importanti e utili alla realizzazione in loco di un imponente museo a cielo aperto della grande civiltà nuragica;
   se non intenda in questa operazione coinvolgere le università sarde e gli archeologi che hanno sempre operato in quegli scavi. (4-05652)

DIFESA

Interrogazione a risposta immediata in Commissione:
IV Commissione:


   MARCOLIN. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 30 giugno 2014 è scaduto il termine di proroga previsto per le missioni all'estero delle nostre Forze Armate dal decreto-legge 16 gennaio 2014, n. 2, convertito con modificazioni dalla legge 14 marzo 2014, n. 28;
   lo stesso 30 giugno, stando al comunicato diramato quel giorno dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministro della difesa ha riferito ai colleghi membri del Governo le linee guida del successivo decreto legge di proroga;
   il 10 luglio seguente, l'esame del nuovo decreto-legge di proroga missioni risultava altresì iscritto all'ordine del giorno dei lavori del Consiglio dei ministri, senza tuttavia essere effettivamente discusso ed approvato;
   soltanto dopo 23 giorni, il 23 luglio, il Consiglio dei ministri è riuscito a varare il nuovo provvedimento per prolungare ulteriormente gli interventi, che nel frattempo sono comunque proseguiti sul campo in un quadro giuridico provvisorio, che tra l'altro ha verosimilmente contemplato anche l'applicazione del Codice penale militare di guerra al personale impegnato;
   non è chiaro per quali ragioni l'atteso decreto-legge di proroga missioni sia stato accantonato il 10 luglio, anche se vi è ragione di sospettare che un problema fosse rappresentato dalle coperture, posto che il fondo all'uopo rifinanziato dalla vigente legge di stabilità è già stato interamente consumato –:
   quali siano le ragioni per le quali il Governo ha tardato così tanto a fornire ai militari in missione in teatri ad alto rischio operativo come l'Afghanistan, il Libano, la Libia ed il Mali le necessarie garanzie giuridiche ed economiche.
(5-03302)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TARICCO, MARIANI, D'INCECCO, VALIANTE e CARRA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a partire dal 2013 si è riscontrato in tutta Italia un considerevole aumento di casi di famiglie in difficoltà economica con la conseguente crescita di ingiunzioni di sfratto e consequenziali casi di emergenza abitativa;
   tale situazione si sta verificando anche nel comune di Cuneo in quanto nel corso del 2013 sono stati gestiti dal Consorzio socio assistenziale del cuneese (al quale il comune ha delegato la gestione dei servizi socio-assistenziali) n. 69 casi di emergenza abitativa con inserimento in strutture di accoglienza (n. 40 nuclei famigliari composti da 53 adulti e 21 minori e n. 29 nuclei famigliari composti da 36 adulti e 12 minori);
   le richieste di aiuto che giornalmente pervengono al settore socio – educativo del comune di Cuneo aumentano di anno in anno e che il comune, aderendo anche alle richieste rivolte dal Ministero dell'interno tramite la locale prefettura, ha accolto un notevole numero di profughi da Paesi africani e ha assicurato a buona parte di loro ospitalità in strutture di emergenza;
   l'operatività del comune riesce solamente in parte a dare risposte a tutte queste richieste attingendo sia a misure tradizionali (quali, ad esempio, l'assegnazione degli alloggi di edilizia sociale disponibili e l'erogazione dei contributi per la locazione) sia ad interventi straordinari (quali la riserva di alloggi sociali, l'ospitalità temporanea in strutture di accoglienza, l'erogazione di contributi straordinari);
   il 15 novembre 2001 a Cuneo venivano inaugurati il palazzo degli uffici finanziari (PUF) destinato ad accorpare in un unico stabile le sedi di tutti gli uffici finanziari presenti in città e un palazzo adiacente composto da 18 alloggi dotati di tutti gli impianti e le dotazioni necessarie, pronti ad essere utilizzati, destinati ai funzionari di tali uffici;
   il 23 dicembre 2004 il Governo pro tempore, nell'ambito della cosiddetta cartolarizzazione dei beni immobili, ha conferito la proprietà del PUF e del palazzo adiacente, al fondo immobiliare pubblici, ponendo a carico dello Stato sia il pagamento del canone d'affitto che la manutenzione ordinaria e straordinaria dell'edificio (decreto di apporto del 23 dicembre 2004 del Ministero dell'economia e finanze pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 303 del 28 dicembre 2004);
   a tutt'oggi, a 13 anni dalla sua inaugurazione, a quanto consta agli interroganti il 40 per cento del PUF non è utilizzato e i 18 alloggi adiacenti sono da sempre sfitti in disponibilità dell'Agenzia del demanio (direzione regionale Piemonte e Valle/d'Aosta);
   lo Stato paga sia il canone d'affitto e le spese di riscaldamento per l'intero stabile del PUF, sia un affitto annuale con la formula «pieno per vuoto» per i 18 alloggi;
   l'amministrazione comunale di Cuneo con una lettera raccomandata all'Agenzia del demanio (Prot. n. 60065), del 29 ottobre 2013 ha chiesto di concedere in locazione al Comune di Cuneo, a prezzo simbolico, i 18 alloggi per sopperire all'emergenza abitativa e l'amministrazione non ha mai ricevuto ad oggi una risposta;
   il perpetuare di questa situazione comporta non solo che i 18 alloggi si deteriorino con il tempo e che in questo momento di emergenza abitativa risulti ancora più grave la scelta di mantenerli vuoti ed esposti al degrado, ma anche un evidente cattivo impiego di denaro pubblico –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di assumere iniziative per concedere al comune di Cuneo l'affitto a titolo simbolico dei 18 alloggi destinati ai funzionari degli uffici finanziari;
   come il Ministro interrogato intenda procedere relativamente ad una struttura quella del palazzo degli uffici finanziari sottoutilizzata e fonte di quello che, ad avviso degli interroganti, è un cattivo uso di risorse finanziarie pubbliche. (5-03297)


   FANTINATI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto contenuto nel decreto firmato dal Ministro dell'economia e delle finanze il 2 luglio 2014, il fondo strategico italiano (controllato all'80 per cento da Cassa depositi e prestiti e il restante 20 per cento da Bankitalia), allargando il proprio perimetro, potrà investire anche in aziende del settore turistico-alberghiero, agroalimentare e della distribuzione, nonché della gestione dei beni culturali e artistici;
   l'iniziativa si fonda sull'idea secondo cui tali settori rivestono particolare importanza per l'economia italiana, pur essendo penalizzati dalle ridotte dimensioni e da una certa frammentazione;
   nel dettaglio, il fondo potrà investire anche in società che non sono costituite in Italia, ma che controllano società presenti sul territorio nazionale, in possesso di particolari requisiti di fatturato (almeno 50 milioni di euro) e di dipendenti (non meno di 250). Inoltre, è confermata la possibilità, da parte del fondo, di acquisire partecipazioni in società, che, «pur non operando nei settori indicati, presentino un fatturato annuo netto non inferiore a 300 milioni di euro e un numero medio di dipendenti nell'ultimo esercizio non inferiore a 250, con un margine di ribasso del 20 per cento qualora l'attività della società risulti comunque rilevante in termini di indotto e di presenza di stabilimenti produttivi»;
   da articoli di stampa si apprende la notizia che il fondo strategico nazionale abbia intenzione di acquistare la catena alberghiera che fa capo a Rocco Forte — imprenditore inglese di origini italiane — che in questo momento ha in portafoglio 11 alberghi extralusso in giro per l'Europa, di cui tre in Italia: il Savoy a Firenze, il de Russie a Roma e il Verdura Golf Resort & Spa di Sciacca, in Sicilia;
   l'operazione è complessa, anche perché le singole strutture in Italia sono controllate da società differenti. Per capire, però, la ratio dell'intervento bisogna partire dalla struttura siciliana di Rocco Forte, ossia il «Verdura Resort», una struttura che, di recente, ha subito una serie di fibrillazioni che hanno fatto finire nel pantano tutta una serie di investimenti che Rocco Forte aveva in mente. Per esempio la costruzione di ben 52 villette per un importo complessivo di 100 milioni di euro, parte dei quali messi a disposizione dallo Stato italiano;
   notizie di stampa riferiscono, inoltre, che da anni Rocco Forte Hotels, tramite il Ministero dello sviluppo economico e Invitalia, percepisce contributi pubblici e che sull'evoluzione delle 52 villette sopracitate penda un piano paesaggistico locale che la catena alberghiera ritiene particolarmente penalizzante. E non è servita a sbloccare la situazione, la promessa che nell'operazione sarebbero stati coinvolti operai e artigiani locali;
   non c’è dubbio che l'operazione desta una serie di perplessità: c’è l'intervento dello Stato in un'impresa alberghiera a controllo estero e con diversi problemi «politici» in Italia –:
   se corrisponda al vero quanto descritto in premessa;
   quali siano i piani d'investimento che il fondo strategico italiano (FSI) intende adottare nel settore turistico-alberghiero, agroalimentare e della distribuzione, nonché della gestione dei beni culturali e artistici. (5-03298)

Interrogazione a risposta scritta:


   VILLAROSA, PARENTELA, PESCO, ALBERTI, BARBANTI e RUOCCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il consiglio comunale di Bordighera, in provincia di Imperia, in data 11 luglio 2013, aveva all'ordine del giorno, tra i vari punti, il seguente: «Tributi – Tariffe d'Estimo Catastale degli Immobili siti nel Comune di Bordighera – Richiesta di revisione ai sensi dell'articolo 28 Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 2 e successive modificazioni e integrazioni»;
   questo punto all'ordine del giorno scaturisce dall'esigenza di tutelare i coltivatori diretti i quali non riescono più a far fronte ad una imposizione «vessatoria» fondata su estimi catastali antiquati rispetto alle condizioni attuali reali; in particolar modo, le categorie «roseto» e «orto irriguo» risultano da dieci a trenta volte più alte che non in altre regioni d'Italia;
   è assolutamente necessario un continuo aggiornamento dei valori catastali per rispettare il principio costituzionale di capacità contributiva in modo da garantire, nella maggiore misura possibile, che gli stessi risultino perfettamente aderenti alla realtà economica caratterizzata da una continua evoluzione; sussiste inoltre la possibilità del comune di richiedere la revisione parziale degli estimi, ai sensi dell'articolo 28, commi 2 e 3 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, che testualmente recitano: «Art. 2. Le tariffe d'estimo sono sottoposte a revisione quando se ne manifesti l'esigenza per sopravvenute variazioni nelle quantità e nei prezzi dei prodotti e dei mezzi di produzione o nell'organizzazione e strutturazione aziendale, e comunque ogni dieci anni. Art. 3. La revisione è disposta con decreto dal Ministro delle finanze, previo parere della Commissione censuaria centrale e può essere effettuata, d'ufficio o su richiesta dei comuni interessati, anche per singole zone censuarie e per singole qualità e classi di terreni. Prima di procedervi gli uffici tecnici erariali devono sentire i comuni interessati»; conseguentemente il consiglio comunale di Bordighera deliberava all'unanimità di richiedere all'Agenzia del territorio – ufficio provinciale di Imperia – la revisione parziale delle tariffe d'estimo, relativamente alle categorie catastali «orto irriguo coltura floreale (o.i.c.f.) e roseto», ai sensi dell'articolo 28 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 e successive modificazioni e integrazioni;
   risulterebbe ad oggi che gli uffici del catasto di Imperia abbiano mandato tutta la documentazione al Ministero e che la procedura sia bloccata, in attesa della formazione della commissione sulla revisione degli estimi, fondamentale per un corretto svolgimento della procedura –:
   se sia a conoscenza di tutti i fatti esposti in premessa questo atto e se intenda, in tempi congrui, emanare il decreto ministeriale indispensabile per la modifica, e conseguente attualizzazione, delle tariffe d'estimo catastale della provincia di Imperia;
   se intenda altresì provvedere tramite decreto ministeriale, alla revisione delle tariffe d'estimo catastale di tutte le altre province d'Italia che presentano lo stesso problema, in modo da garantire condizioni eque e non, percepite dai contribuenti, come «vessatorie». (4-05637)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TURCO, FERRARESI, MICILLO, CURRÒ, BECHIS, CHIMIENTI, BALDASSARRE, COLLETTI, BUSINAROLO, AGOSTINELLI e PETRAROLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana – 4a Serie Speciale «Concorsi ed Esami» n. 92 del 23 novembre 2012, è stato pubblicato un concorso per il reclutamento di 170 (uomini) e 44 (donne) allievi agenti di polizia penitenziaria;
   svoltisi i quiz di selezione, dopo un rinvio, molti dei concorrenti idonei sono stati ammessi agli accertamenti medici e psico-attitudinali, 523 uomini, ammessi con un voto minimo di 9,750/10, cioè l'ultimo ha risposto 78/80 domande, e 135 donne, ammesse con un voto minimo di 9,62/10 cioè l'ultima ha risposto 77/80 domande;
   la gran parte dei concorrenti ammessi alle visite mediche e psico-attitudinali è stata giudicata idonea allo svolgimento delle attività previste nel concorso per allievi agenti di polizia penitenziaria: 121 donne e circa 500 uomini;
   quindi gli «idonei non vincitori» saranno complessivamente oltre 300;
   la graduatoria di detto, concorso è ancora aperta considerato che i vincitori inquadrati nei VFP4 non sono ancora stati arruolati;
   ciò è accaduto poiché il concorso per 271 posti di allievo vice ispettore polizia penitenziaria del 6 febbraio 2003, ha concluso il proprio iter concorsuale, a distanza di oltre 10 anni, lo scorso anno 2013;
   pertanto si è verificata una situazione contingente nella quale i fondi messi a disposizione, tramite un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, per le assunzioni degli allievi agenti della polizia penitenziaria dell'anno 2013, sono stati impiegati per assumere i vincitori del concorso del 2003, conclusosi appunto nel 2013;
   appare evidente che lo svolgimento del concorso indetto nel 2003 non abbia in ogni caso rispettato il comma 3 dell'articolo 35 del decreto legislativo n. 165 del 2001, in forza del quale nelle procedure di reclutamento del personale dipendente nelle pubbliche amministrazioni dovrebbe essere assicurata l'economicità e la celerità di espletamento;
   frattanto è stato bandito un nuovo concorso, il concorso dei 208 (uomini) e 52 (donne) allievi agenti polizia penitenziaria, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana – 4a Serie Speciale «Concorsi ed Esami» n. 94 del 29 novembre 2013;
   perciò si è venuta a creare una situazione per la quale sia i vincitori sia gli «idonei non vincitori» del concorso del 2012 conclusosi nel 2013 non sono stati arruolati ma contemporaneamente viene indetto un secondo concorso per sopperire alla cronica mancanza di agenti di polizia penitenziaria situazione che si è venuta a creare per un turnover ridottosi al solo 20 per cento circa;
   da più parti, anche a mezzo stampa, si evidenziava che potrebbe apparire più logico per coprire tale mancanza di agenti di polizia penitenziaria dare corso all'entrata in servizio dei vincitori del concorso del 2012, la cui graduatoria è ancora aperta;
   in caso di ulteriore mancanza di personale si aprirebbe la possibilità, eventualmente estendendo la graduatoria stessa, di farla scorrere in via straordinaria, ma come già più volte attuato in sede di concorsi per agenti di polizia penitenziaria, sino ad assumere una parte dei concorrenti risultati idonei ma in soprannumero rispetto ai vincitori;
   in ultima analisi e solo all'esito di tali arruolamenti di personale sostanzialmente già selezionato, ed in caso di esaurimento degli idonei non vincitori del concorso del 2012, espletare invece le prove selettive per il nuovo concorso –:
   se sia a conoscenza della situazione prospettata;
   se e quali iniziative ritenga di poter intraprendere per considerare l'assunzione dei vincitori del concorso ad allievi agenti polizia penitenziaria del concorso del 2012, la cui graduatoria è ancora aperta, stante il mancato arruolamento dei vincitori;
   se ritenga di poter valutare l'opportunità di intervenire in via straordinaria con l'ampliamento della graduatoria del concorso ad allievi agenti polizia penitenziaria del concorso del 2012, al fine di consentire l'arruolamento dei concorrenti risultati idonei ma in soprannumero rispetto ai vincitori anziché dare corso alle prove preselettive del nuovo concorso per 208 (uomini) e 52 (donne) allievi agenti polizia penitenziaria, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana – 4a Serie Speciale «Concorsi ed Esami» n. 94 del 29 novembre 2013. (5-03299)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BATTAGLIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con il Contratto istituzionale di sviluppo (CIS), siglato il 18 dicembre 2012 fra Ministero per la coesione territoriale, regioni Campania, Basilicata e Calabria ed amministratore delegato della società Rete ferroviaria italiana (RFI) sono stati definiti interventi da realizzare per la velocizzazione della direttrice ferroviaria Salerno – Reggio Calabria;
   successivamente, in data 8 marzo 2013, in sintonia con quanto previsto nel CIS, il CIPE ha preso atto e deliberato una serie di interventi, tra i quali, nell'ambito del «Programma delle infrastrutture strategiche (legge 443/2001)», la «realizzazione a Reggio Calabria del dirigente centrale operativo (DCO) intero compartimento con fabbricato DCO – dirigente operativo trazione elettrica “DOTE”», per un importo complessivo di 11 milioni di euro, da installare a Reggio Calabria in locali già predisposti, a suo tempo, per il montaggio delle apparecchiature e delle postazioni di lavoro;
   rete ferroviaria italiana (RFI) società del Gruppo FS, invece di dare seguito al contratto siglato ed alla delibera del CIPE e di avviare la realizzazione della citata struttura a Reggio Calabria, ha deciso invece di delocalizzare l'intervento trasferendo a Roma i posti centrali di Lamezia Terme e Sapri, previsti dal CIS e dal CIPE a Reggio Calabria, finanziando l'intervento con fondi propri lasciando decadere i fondi stanziati dal CIPE;
   la decisione sarebbe motivata sull'assunto che il comando e controllo della circolazione sulla direttrice Battipaglia – Reggio Calabria è opportuno che vengano governati dal posto centrale di Roma, poiché la stessa direttrice è parte del corridoio europeo Scandinavo – Mediterraneo;
   tale scelta è estremamente penalizzante per la regione Calabria e, ove trovasse realizzazione, determinerebbe la perdita, per trasferimento, di, circa, ottanta posti di lavoro, oltre l'indotto, senza alcun vantaggio in termini di efficienza ed efficacia per la circolazione ferroviaria sulla direttrice tirrenica o sulla direttrice Scandinavo – Mediterranea –:
   se il Governo sia informato di tale decisione assunta da RFI e se non intenda intervenire per evitare la delocalizzazione a Roma dei posti centrali di Lamezia e Sapri che rappresenterebbero secondo l'interrogante l'ennesimo atto di discriminazione di RFI nei confronti del Mezzogiorno con atti unilaterali decisi, addirittura, in difformità a contratti, e da accordi assunti con il Governo e in deroga ad atti deliberativi del CIPE. (5-03296)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GALLINELLA, GAGNARLI e CIPRINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nelle ultime settimane nel nostro Paese si assiste a diverse tensioni tra i pendolari delle linee ferroviarie regionali ed interregionali, stanchi di una situazione di ambiguità che rischia di penalizzare, in egual maniera, pendolari e bilanci regionali;
   in particolare, in molte regioni italiane, si assiste alla cancellazione di fermate di treni interregionali a causa del contenimento delle spese da parte dell'ente regionale, compromettendo inevitabilmente la mobilità dei cittadini;
   uno degli esempi più gravi di questa situazione è rappresentato dalla linea Orte-Roma. Lungo questa tratta effettuano fermate importanti diversi treni gestiti dalla regione dall'Umbria, che, proprio in queste settimane, ha proposto la soppressione della fermata di Orte da due treni regionali veloci, essendo i vagoni troppo affollati e poco agevole la modalità di viaggio per i cittadini umbri;
   questo episodio ha scatenato proteste anche violente da parte dei pendolari laziali, che già non godono di una felice situazione nell'ambito del trasporto pubblico, penalizzati dalla soppressione delle due fermate utilizzate quotidianamente;
   la regione Umbria ha preso la decisione mossa dalla volontà di contenere le perdite in bilancio, ma essendo stato valutato anche il danno ai pendolari è stato aperto nel mese di luglio 2014 un tavolo tecnico tra le regioni interessate;
   al momento la situazione è in stallo e le proteste si stanno facendo sempre più gravi, tanto da arrivare a bloccare la stazione di Orte per chiedere l'inserimento come sostitutivo delle due fermate soppresse, di una fermata aggiuntiva ad Orte per un treno intercity che viaggia su quella stessa tratta;
   si assiste a casi analoghi anche in altre regioni italiane ad esempio tra regione Piemonte e regione Liguria, oppure tra le, regioni Veneto e Lombardia;
   è noto che la competenza della gestione del trasporto ferroviario regionale ed interregionale, così come disposto dalla legge 422 del 1997; cosiddetta «Legge Bassanini», è in capo alle regioni, ma è altrettanto evidente che gli interessi economici di una regione non possono compromettere il diritto dei cittadini ad un trasporto pubblico efficiente;
   allo stesso tempo una regione non dovrebbe essere penalizzata, ad avviso degli interrogati, per la mala gestione del trasporto pubblico da parte di un'altra;
   soltanto una normativa adeguata a livello centrale potrebbe risolvere il problema del servizio di trasporto ferroviario, indispensabile nel nostro Paese –:
   se, in base a quanto esposto in premessa circa le diverse tensioni riscontrate nelle ultime settimane, nonché gli episodi già avvenuti in passato, non ritenga opportuno rivedere l'attuale normativa sul trasporto pubblico locale assumendo iniziative, se del caso anche di rango costituzionale, per riportare a livello centrale le attuali competenze regionali per risolvere quella che sta diventando un'emergenza diffusa in tutta la penisola. (4-05647)


   NACCARATO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Consorzio regionale autotrasporti artigiani/veneti (di seguito CRAAV), attivo dal 1980, grazie alla sua natura consortile, garantisce alle piccole aziende dell'autotrasporto di avere sul mercato le caratteristiche della grande impresa per struttura e numero di mezzi;
   CRAAV è, di fatto, uno strumento economico che organizza ed acquista servizi necessari all'attività delle singole imprese ponendosi come unico interlocutore sul vasto mercato dei prezzi e della qualità;
   il decreto legislativo n. 67 del 1996 e successive modifiche che ha previsto sconti sui pedaggi autostradali a seconda della classe veicolare e del fatturato complessivo, ha individuato il CRAAV come l'ente strumento dei singoli consorziati per ottenere gli sconti previsti dalla legge;
   ad oggi il Consorzio riunisce il fatturato di quasi 1.000 ditte di autotrasporto, che operano in prevalenza nel Veneto e rappresenta uno straordinario elemento di tenuta nel mercato del trasporto merci;
   nel mese di ottobre dello scorso anno il Consorzio ha ricevuto 2.010.705,40 euro a titolo di acconto sulle erogazione delle riduzioni dei pedaggi 2011, a seguito della delibera 19/2013 del Comitato centrale dell'Albo nazionale delle persone fisiche e giuridiche che esercitano l'autotrasporto per conto di terzi;
   la percentuale di sconto applicata è pari al 8,4072 per cento contro il 13 per cento di percentuale preventivata, ovvero il 64,7 per cento del totale richiesto, come si desume dalla delibera in allegato;
   ad oggi dalle stime elaborate dagli operatori del settore residuerebbe la somma di 1.098.472,00 euro a titolo di saldo sulla riduzione dei pedaggi per l'anno 2011;
   il 20 ottobre 2010 lo scrivente ha già interrogato il Governo circa i motivi del ritardo e della riduzione nell'erogazione dei fondi per la riduzione dei pedaggi per il settore autotrasporti –:
   se il Governo sia al corrente dei fatti sopra esposti;
   quali siano, in base alle informazioni in possesso del Governo, i tempi e le modalità di erogazione della parte residuale dei contributi per la riduzione dei pedaggi per l'anno 2011;
   quali i tempi e le modalità di erogazione della riduzione dei pedaggi anno 2012, presentata come da richiesta dell'albo dell'Autotrasporto Conto, entro il 16 ottobre anno 2013, di cui, ad oggi, non pare siano state diffuse comunicazioni ufficiali. (4-05648)


   LOMBARDI, DAGA, DE ROSA, RIZZETTO, BECHIS, TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI e BALDASSARRE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il piano urbanistico comunale (PUC) è uno strumento di gestione del territorio comunale del nostro Paese, disciplinato dalla legislazione urbanistica e composto da elaborati cartografici e tecnici che regolano la gestione delle attività di trasformazione urbana e territoriale del comune di pertinenza;
   nell'ambito del piano urbanistico comunale, l'amministrazione comunale, secondo la legge 18 aprile 1962, n. 167, predispone il cosiddetto Piano di edilizia economica popolare (P.E.E.P.), un piano attuativo che serve per programmare, gestire e pianificare tutti gli interventi riguardanti l'edilizia economica popolare;
   gli alloggi realizzati nell'ambito dei Piano di edilizia economica popolare sono interessati da alcune clausole limitative al loro utilizzo; in particolare, i limiti riguardano la locazione e l'alienazione per quanto concerne:
    a) requisiti necessari per potere acquisire un alloggio;
    b) iniziale non locabilità o inalienabilità;
    c) successiva possibilità di locare o alienare, ma a canone o prezzo inferiore a quello di mercato;
   le leggi 22 ottobre 1971 n. 865 e 17 febbraio 1992 n. 179 contengono Norme per l'edilizia residenziale pubblica (o edilizia sociale, dall'inglese social housing) – ERP –, espressione con cui ci si riferisce a tre tipologie di operazioni edilizie che vedono l'attivazione della pubblica amministrazione statale, a livello nazionale e/o locale, per offrire ai consociati immobili abitativi in proprietà, in locazione o in superficie;
   il ruolo concretamente svolto dalle amministrazioni pubbliche contribuisce a differenziare le tipologie e, pertanto, si suole distinguere in:
    a) edilizia residenziale sovvenzionata di esclusiva proprietà pubblica;
    b) edilizia residenziale agevolata in proprietà e/o a canone calmierato;
    c) edilizia residenziale convenzionata in diritto di superficie o proprietà;
     a) edilizia residenziale sovvenzionata di esclusiva proprietà pubblica: l'ente pubblico edifica direttamente il fabbricato, mediante finanziamenti integralmente pubblici e le abitazioni così realizzate vengono cedute in locazione a canoni molto bassi a soggetti (nuclei familiari) in particolare condizione di disagio economico e sociale, identificati attraverso appositi bandi pubblici;
     b) edilizia residenziale agevolata in proprietà e/o a canone calmierato: l'amministrazione incentiva l'edificazione residenziale attribuendo specifiche agevolazioni creditizie alle imprese costruttrici (finanziamenti pubblici – statali, regionali e/o comunali – sotto forma di contribuiti in conto capitale oppure di agevolazioni particolari sui finanziamenti); anche in questo caso i soggetti destinatari delle abitazioni devono possedere particolari requisiti di reddito minimo e massimo e soprattutto non possedere una casa di proprietà e generalmente sono individuati anch'essi attraverso appositi bandi che stabiliscono anche particolari requisiti di preferenza (ad esempio giovani coppie, oppure anziani soli, e altre situazioni simili);
    in tempi recenti i bandi pubblici di finanziamento per l'edilizia agevolata propongono un nuovo modello: l'edilizia a canone calmierato, in pratica i promotori degli interventi si impegnano, in cambio di finanziamenti pubblici in conto capitale e/o agevolazione anche tributarie (abbattimento oneri urbanizzazione, o esonero del pagamento IMU per un certo numero di anni), a realizzare abitazione da cedere, per periodi non inferiori a 8 anni, ad affitti calmiera predefiniti in sede di bando;
     c) edilizia residenziale convenzionata in diritto di superficie o proprietà: l'ente pubblico non offre agevolazioni creditizie, ma stipula una convenzione con i costruttori, con la quale, a fronte di concessioni da parte dell'Amministrazione pubblica (riguardanti l'assegnazione delle aree su cui edificare o la riduzione del contributo concessorio), vengono assunti obblighi inerenti l'urbanizzazione del comparto e l'edificazione di alloggi di edilizia economico popolare e dalla quale, inoltre, discendono vincoli incidenti sulla successiva circolazione degli alloggi così realizzati;
   due sono le convenzioni che tradizionalmente si fanno rientrare nell'ambito della «EDILIZIA RESIDENZIALE CONVENZIONATA»:
    I) la convenzione di attuazione di un piano di edilizia economico popolare (P.E.E.P.), convenzione che si pone nell'ambito del più ampio procedimento di edilizia residenziale pubblica tracciato dalla legge 22 ottobre 1971 n. 865; questa convenzione è disciplinata dall'articolo 35 suddetta legge n. 865 del 1971;
    II) la convenzione per la riduzione del contributo concessorio al cui pagamento è subordinato il rilascio del permesso di costruire; questa convenzione è disciplinata dall'articolo 18 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001 n. 380 (T.U. in materia edilizia) che sul punto ha sostituito la disciplina in precedenza dettata dalla «Legge Bucalossi»;
   in molti comuni del nostro Paese, specie in grossi centri quali Roma e Firenze, i costruttori, dopo aver ricevuto contributi da parte della pubblica amministrazione per realizzare opere di edilizia residenziale pubblica, stipulano contratti di locazione a canoni ben più elevati di quelli previsti dagli articoli 8-10 della legge n. 179 del 1992 in totale violazione di legge;
   così facendo, le cooperative edilizie e/o le imprese costruttrici, lungi dal considerare in alcun modo le finalità per cui vengono realizzati alloggi del genere – ovvero risolvere l'emergenza abitativa – ottengono indebiti vantaggi economici in danno dello Stato visti i finanziamenti incamerati e dei conduttori degli immobili i quali, percependo redditi molto bassi, non sono in grado di corrispondere canoni tanto onerosi e sono frequentemente sfrattati per morosità;
   nel marzo 2012 Asia Usb attraverso una denuncia penale presentata dall'avvocato Vincenzo Perticaro contestava una serie di illegittimità nella procedura seguita nell'applicazione dei canoni agli inquilini, ma ancor di più nell'uso dei finanziamenti pubblici da parte dei costruttori;
   dopo tale denuncia la procura di Roma ha proceduto al sequestro di 326 alloggi di costruiti da società che appartenevano al consorzio Vesta, assegnandone la custodia agli inquilini titolari del relativo contratto di locazione;
   il comune di Roma attraverso gli uffici preposti ha agito in autotutela per accertare la correttezza della procedura, invero, accertava la mancata detrazione del finanziamento regionale dal prezzo massimo di cessione, utilizzato per la determinazione del canone di locazione con conseguente pagamento da parte dei conduttori di canoni ben al di sopra dei canoni dovuti per legge;
   la regione Lazio, in data 2 dicembre 2013, ha pubblicato sul sito istituzionale le nuove tabelle del corrispettivo di cessione per le cooperative/imprese, al fine del calcolo del canone di locazione annuo, trasmesse da Roma Capitale con canoni molto più bassi rispetto a quelli realmente applicati;
   è emerso che gli inquilini degli immobili di edilizia residenziale pubblica appartenenti alle fasce deboli vantano un credito nei confronti delle società e cooperative edilizie;
   infatti, il contributo erogato dalla regione a fondo perduto doveva essere detratto dal prezzo massimo di cessione preso a base per il calcolo del canone di locazione, così come ha determinato recentemente anche dal TAR del Lazio con la sentenza N. 06800/2014 REG.PROV.COLL del 26 giugno 2014;
   ne è derivato che la mancata detrazione di quel contributo, al momento della approvazione da parte degli uffici comunali della tabella di determinazione del prezzo di cessione e del conseguente canone di locazione degli alloggi delle società e cooperative edilizie, ha generato un ingannevole errore nei confronti degli inquilini stessi, costretti a corrispondere canoni di locazione elevati, oggi invece ridotti della metà;
   tuttavia, nonostante l'emanazione delle suddette tabelle che hanno visto la riduzione dei canoni di locazione, a dispetto delle numerosi violazioni poste in essere dai beneficiari dei finanziamenti pubblici, sebbene il TAR del Lazio si sia pronunciato statuendo l'illegittimità delle procedure utilizzate per l'applicazione dei canoni di locazione, le stesse imprese stanno diffidano gli inquilini a pagare i vecchi ed illeciti canoni pena lo sfratto per morosità e/o finita locazione, quindi le cooperative edilizie continuano a percepire dagli inquilini i precedenti importi;
   ma cosa ancor più grave riguarda la circostanza che, le stesse problematiche suindicate stanno interessando anche gli immobili costruiti ex articolo 18 del decreto-legge n. 152 del 1991 convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203;
   tale norma che prevede la realizzazione di un programma straordinario di edilizia residenziale da concedere in locazione o in godimento ai dipendenti delle amministrazioni dello Stato, quando è strettamente necessario alla lotta alla criminalità organizzata, con priorità per coloro che vengono trasferiti per esigenze di servizio;
   sul punto e sulle irregolarità sollevate si è pronunciato anche il Consiglio di Stato con sentenza n. 1125/2014 REG.PROV.COLL del 10 marzo 2014 riconoscendo tutte le ragioni degli inquilini, compresa l'illegittimità del canone applicato;
   eppure tali soggetti, sono dipendenti dello Stato, con compiti delicatissimi svolti nell'intesse dello Stato stesso, nonostante la pronuncia dei giudici di Palazzo Spada, ancora oggi si trovano a pagare canoni di locazione in totale contrasto con quanto disciplinato dalla legge stessa e senza alcuna tutela da parte delle istituzioni;
   solo per ricordarlo, gli immobili oggetto di contestazione, si trovano soprattutto nella città di Roma, e si trovano in zone in cui non sono garantiti i minimi standard urbanistici (verde pubblico, servizi, e altro) ed in alcuni casi mancano le basilari dotazioni di un abitato, quali l'illuminazione esterna e il manto stradale;
   per le violazioni oggetto della presente interrogazione sono stati presentati anche esposti – dal sindacato Asia Usb nella persona di Angelo Fascetti – alla procura regionale della Corte dei Conti di Roma, proprio per far emergere sia le responsabilità individuali che il danno erariale –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti alla luce dei gravi episodi riportati nella sentenza del Tar del Lazio n. 06800/2014 reg. prov. coll. del 26 giugno 2014 relativa a costruzioni finanziate ex lege n. 179 del 1992, in merito alle violazioni poste in essere dai beneficiari dei finanziamenti;
   quali iniziative intenda assumere il Ministro dell'interno alla luce dei gravi episodi riportati nella sentenza del Consiglio di Stato n. 1125/2014 reg. prov. coll. del 10 marzo 2014 relativa alle costruzioni finanziate ex articolo 18 del decreto-legge n. 152 del 1991 convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, anche con l'ausilio delle prefetture competenti, in merito alle violazioni delle convenzioni poste in essere dai beneficiari dei finanziamenti, quali iniziative i Ministri interrogati intendano assumere al fine di tutelare gli inquilini ex lege n. 179 del 1992 ed ex articolo 18 del decreto-legge n.152 del 1991 convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203 visto che gli stessi sono stati costretti a pagare canoni di locazione in violazione di legge costringendo così le proprie famiglie a mutare le proprie condizioni di vita come dimostrato dalla sentenza n. 1125 del 2004 del Consiglio di Stato;
   quali iniziative normative, alla luce di quanto accaduto, i Ministri interrogati intendano assumere per porre in essere i dovuti accorgimenti per evitare il ripetersi di tali situazioni. (4-05657)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a Roma, in zona San Giovanni, a Piazza Epiro, a mezzanotte e mezza di sabato 28 giugno 2014, un ragazzo diciottenne subisce una violenta aggressione;
   la cronaca locale, in modo particolare il «Messaggero di Roma» il giorno 30 giugno così riferisce: «preso a calci e pugni in strada, dopo essere stato circondato da un gruppo di almeno tre ragazzi di estrema destra, che gli avevano chiesto se fosse “un antifascista”. Un'aggressione a freddo, poco dopo la mezzanotte di venerdì, avvenuta a piazza Epiro. La vittima è uno studente 18enne del liceo Mamiani, che ora si trova ricoverato all'ospedale San Giovanni, con un naso rotto e numerose contusioni»;
   alla risposta affermativa del ragazzo che si è dichiarato apertamente «antifascista» i tre forse quattro facinorosi, hanno dapprima provocato ed offeso lo studente verbalmente, per poi sfociare di lì a poco al pestaggio e all'aggressione fisica;
   il ragazzo, intervistato da «Il Messaggero», ha testualmente dichiarato: «sul fatto che fossero estremisti di destra non avrei dubbi. Poco prima di prendermi a pugni mi hanno chiamato “compagno”». «Davvero non so spiegare perché sia successo. Non ho mai ricevuto minacce anche se in qualche occasione sono stato preso di mira verbalmente da un ragazzo legato ad un'organizzazione di estrema destra. Ma non era tra gli aggressori. Almeno credo»;
   la zona dell'aggressione si trova in un quartiere di Roma dove non sono rare le aggressioni verbali e le intimidazioni di chiaro stampo neofascista a danno delle comunità di extracomunitari, LGBT, malcapitati e di quanti esprimono apertamente il proprio orientamento politico;
   l'apologia di fascismo nonché la ricostituzione di un partito o movimento ispirato al disciolto partito fascista, è un reato ai sensi dell'ordinamento giuridico italiano, e a maggior ragione, ogni azione lesiva e discriminatoria nei confronti di soggetti terzi –:
   quali iniziative di pubblica sicurezza e azioni amministrative intenda intraprendere per contrastare il proliferare di gruppi violenti di stampo nazifascista in alcuni quartieri della Capitale che corrono il rischio di instaurare una catena di odi e rappresaglie;
   quali iniziative di competenza siano state intraprese per agevolare l'attività investigativa e per tutelare la vittima da future ritorsioni. (4-05645)


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Commissario per la spending review, le cui funzioni sono state potenziate dal decreto-legge 21 giugno 2013 n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013 n. 98, può promuovere un riordino di carattere strutturale della spesa, superando il principio dei tagli lineari dettati dalle situazioni di emergenza, introducendo criteri permanenti di gestione della spesa basati su costi e fabbisogni standard;
   in data 23 ottobre 2013, Carlo Cottarelli, è stato nominato Commissario straordinario per la spending review;
   nei giorni tra il 16 ed il 23 marzo 2014, autorevoli quotidiani hanno riportato la notizia che, nella proposta per la revisione della spesa pubblica per gli anni 2014-2016, è previsto un taglio per le forze di polizia pari – rispettivamente per gli anni 2015 e 2016 – a 0,8 e 1,7 miliardi di euro;
   tale proposta prevede la chiusura di 300 presidi, la centrale unica per gli acquisti, la disdetta dei contratti di affitto e il trasferimento negli immobili demaniali, l'eliminazione delle auto blu;
   la relazione contiene, altresì, grafici e tabelle per dimostrare il risparmio ottenuto negli ultimi anni e il limite da non oltrepassare «senza incorrere nel rischio di intaccare ulteriormente la funzionalità e l'operatività degli apparati già sensibilmente messi in crisi dalle riduzioni degli ultimi tempi» come dichiarato dal capo della polizia, prefetto Alessandro Pansa, nell'articolo comparso il 22 marzo 2014 sul Corriere della Sera;
   il piano di riduzione delle spese per la Polizia, come riportato nel «Progetto di rimodulazione dei presidi della Polizia di Stato» del dipartimento P.S., prevede complessivamente sul territorio nazionale la chiusura di: 11 commissariati e 2 da trasferire presso altre strutture; 29 presidi e la conseguente riorganizzazione di 7 presidi della stradale; 73 presidi della ferroviaria e la conseguente riorganizzazione di 33, nonché l'istituzione di 16 nuovi presidi; 73 presidi della postale; 12 presidi della polizia di frontiera, con la conseguente riorganizzazione di 16 presidi; 68 unità speciali (50 squadre nautiche, 4 squadre sommozzatori, 11 squadre a cavallo, 3 nuclei artificieri);
   a quanto è dato sapere, nel prossimo biennio, le forze dell'ordine complessivamente perderanno 22.000 uomini (scendendo da 260.000 a 238.000);
   molte sono le preoccupazioni degli operatori delle forze di polizia in ordine ai blocchi stipendiali effettuati, alla difficile situazione nella quale sono chiamati a lavorare quotidianamente e per la paventata diminuzione dell'organico, nel prossimo biennio, che comporterà ulteriori difficoltà nel coprire adeguatamente i turni di servizio, soprattutto a causa della recrudescenza di alcuni reati;
   la legislazione, secondo l'interrogante «schizofrenica», alla quale assistiamo, come il provvedimento cosiddetto «Svuotacarceri» fa sì, come recentemente accaduto e reso noto in un comunicato stampa dell'UGL Polizia di Stato, che l'autorità giudiziaria competente – non potendo inviare presso il locale istituto di pena alcuni immigrati che abusivamente chiedevano soldi ai parcheggi – inviti i poliziotti a procedere a denunce a piede libero;
   il 17 luglio 2014 è stato dato ampio risalto agli esiti dell'incontro fra le organizzazioni sindacali di polizia ed il questore di Roma, Massimo Maria Mazza, il quale ha annunciato un piano per far fronte alle esigenze dei mesi estivi nella capitale;
   tale provvedimento prevede che alcuni commissariati, rispetto a quelli attualmente in servizio 24 ore, restino chiusi di notte e nei festivi, al fine di far fronte alle esigenze di personale da schierare in campo nell'ordine pubblico (manifestazioni ed eventi sportivi) e per rinforzare il reparto scorte;
   nella stessa data sono stati resi pubblici alcuni dati, alla luce dei quali è stata messa in discussione l'opportunità del predetto piano, infatti a Roma e provincia, solo nel 2013, i furti in abitazione sono stati 15.777 con un +3.3 per cento rispetto al 2012 (15.272) e un +7.9 per cento nell'ultimo triennio –:
   quali siano gli accertamenti del Ministro interrogato rispetto ai fatti esposti in premessa;
   se il Ministro non ritenga opportuno porre in essere una verifica di quali misure sono state predisposte per la sicurezza dei cittadini di Roma, che continuano a veder crescere quotidianamente la propria percezione di pericolo di fronte all'assenza di un numero adeguato di forze dell'ordine sul territorio;
   se non intenda adottare provvedimenti al fine di rivedere nel complesso il «Progetto di rimodulazione dei presidi della Polizia di Stato» con particolare riferimento a Roma, per garantire ai cittadini romani una maggiore sicurezza.
(4-05650)


   D'ARIENZO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il sindaco del comune di Torri del Benaco (VR), Stefano Nicotra è stato sospeso dall'incarico per un periodo di 18 mesi dalla prefettura di Verona in quanto condannato in primo grado alla pena di due anni, poi sospesa, per violazione dell'articolo 326 del codice penale;
   da informazioni acquisite sul territorio comunale interessato, emerge, al contrario, che il signor Nicotra proseguirebbe a frequentare quotidianamente la sede comunale, incontrare residenti, partecipare a riunioni e a svolgere azioni tipiche della funzione dalla quale risulta essere sospeso;
   sebbene non risulti un atto amministrativo a suo carico, parrebbe svolgere normalmente l'azione di indirizzo, stimolo e coordinamento verso i dipendenti e gli assessori, ovvero azioni che quotidianamente competono ad un sindaco nel pieno delle proprie funzioni;
   non si può escludere secondo l'interrogante l'utilizzo dei mezzi strumentali, telefono, fotocopiatrice, ecc... comunque presenti;
   quanto descritto, se corrispondesse al vero, potrebbe comportare una violazione della norma che ha stabilito la sospensione del pubblico amministratore condannato;
   l'interrogato ha segnalato l'evidenza agli uffici del Ministero sia con mail sia con conversazioni telefoniche al fine di comprendere gli obblighi in capo all'amministratore sospeso senza ottenere alcuna, risposta esaustiva –:
   a quali obblighi sia assoggettato un amministratore sospeso dalla carica dalla prefettura competente perché condannato;
   se la prefettura di Verona sia a conoscenza dei fatti in premessa e, qualora ne fosse a conoscenza, quali azioni abbia eventualmente posto in essere per evitare, nel caso quell'amministratore non potesse frequentare i locali comunali, lo svolgimento delle «attività tipiche» di un sindaco in carica, peraltro presso la stessa sede del comune; se i fatti in premessa siano conosciuti alle forze dell'ordine competenti per territorio;
   se tutto quanto sopra non sia noto, quali prescrizioni cogenti sia possibile impartire con riferimento a quanto affermato in premessa. (4-05655)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   BALDUZZI e ANTIMO CESARO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la cultura musicale, come lo stesso Ministro senatore Stefania Giannini, ha più volte ricordato riportando meritoriamente il tema attenzione del dibattito pubblico, e una componente fondamentale e caratterizzante del nostro patrimonio culturale e artistico. Al contributo che essa ha dato al nostro Paese e che per suo tramite il Paese ha dato alla cultura europea e mondiale – perché all'estero ne sono assai più consapevoli di noi – non corrisponde ormai da anni l'attenzione del sistema scolastico a questa parte così rilevante della nostra storia passata e presente (e sottolineo: presente). Non è infatti solo questione di riconoscere un tributo ad antichi fasti, all'Italia dell'opera, del melodramma, all'Italia capace di raggiungere combinazioni elevatissime delle forme d'arte musicale, coreutica, canora. E ciò perché questa eccellenza italiana è ancor oggi riconosciuta nei teatri e nei festival o nell'industria cinematografica di tutto il mondo, senza contare che da tempo alcune di quelle «combinazioni», come il musical, hanno recuperato margini di crescita anche di natura economica. Di questa eccellenza è dimostrazione, del resto, la rete che oggi resiste, tra mille difficoltà, dei licei musicali, degli istituti pareggiati, dei conservatori: un'ossatura solida delle competenze dei «maestri» che vi operano, delle famiglie che vi ripongono fiducia e risorse, degli studenti e allievi che vi dedicano con abnegazione interi e fondamentali tratti delle proprie vite;
   il Ministero ha confermato concretamente l'impegno per questo settore, anzitutto con l'avvio del cosiddetto «pacchetto» sull'AFAM, l'Alta formazione artistica e musicale, i cui «otto punti» prevedono interventi immediati e di prospettiva;
   tale rilancio della formazione musicale deve fare propria un'attenzione specifica per i virtuosi intrecci che questa ha con i percorsi di istruzione scolastica e, quindi, in primo luogo con la rete dei licei musicali;
   a fronte di cinque «indirizzi musicali» precedentemente attivi in altrettanti istituti della regione, in Piemonte sono ad oggi quattro gli istituti autorizzati ad avviare i corsi di liceo musicale e la parte sud-orientale della regione risulta ancora priva di questa offerta formativa;
   il «Saluzzo-Plana» prestigioso istituto superiore della città di Alessandria, avendo ospitato fino a ieri l'indirizzo musicale, è oggi pronto, con un congruo numero di iscritti (17 effettivi e 4 con opzione), ad avviare un proprio liceo musicale (che si affianca, in un polo umanistico ben integrato al suo interno e nel territorio, a quelli classico, linguistico, delle scienze umane, economico-sociale), ma risulta ancora in attesa dell'autorizzazione da parte del competente ufficio scolastico regionale;
   tale liceo musicale proseguirebbe l'esperienza positiva dell'omologo indirizzo (istituito nell'ambito del liceo socio-psico-pedagogico e poi delle scienze umane), la cui genesi e il cui radicamento trovano evidente spiegazione nel suo inserimento naturale all'interno di un percorso formativo che parte dai molti indirizzi musicali attivi nelle scuole medie della provincia e s'intreccia e prosegue con le opportunità offerte dalla presenza in città di un conservatorio di eccellenza, qual è l’«Antonio Vivaldi» (con il quale la collaborazione è per più profili virtuosa, ad iniziare da quella che concerne l'organico del personale docente, con evidenti margini di efficiente utilizzazione delle risorse umane fino ad oggi praticati con successo). È in particolare la collaborazione con tale conservatorio, con il quale è già stata stipulata una convenzione ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 89 del 2012 (presupposto per l'attivazione del liceo musicale), a garantire nel segno della complementarità la qualità dei contenuti formativi e la sostenibilità di questo percorso integrato anche per il futuro (a questo proposito va ricordato che già in occasione degli esami preliminari degli iscritti all'istituendo liceo musicale gli insegnanti del conservatorio hanno partecipato alle commissioni di valutazione, assicurando standard di giudizio solidi ed elevati). E non da ultimo va dato atto che per la lunga tradizione dell'indirizzo musicale, l'istituto Saluzzo-Plana risulta già dotato di locali e di strumenti idonei e sufficienti per le esigenze del liceo musicale medesimo;
   la domanda della città, dei centri zona della provincia e di alcuni comuni delle province e regioni limitrofe, nonché delle rispettive istituzioni e comunità locali è forte rispetto alla possibilità di fruire di questa offerta formativa;
   il ritardo nella risposta da parte del competente ufficio scolastico regionale lascia nell'incertezza tutti gli attori di questo progetto, ad iniziare dalle famiglie;
   è interesse complessivo della stessa regione, anche in termini di copertura territoriale dell'offerta formativa di settore, che l'esperienza alessandrina dell'indirizzo musicale presso l'istituto Saluzzo-Plana sia proseguita ed evolva naturalmente in quella del liceo musicale –:
   quali siano le ragioni del ritardo nella deliberazione dell'ufficio scolastico regionale;
   se il competente ufficio abbia debitamente valutato, anche in relazione a eventuali domande concorrenti, le caratteristiche peculiari che il liceo musicale alessandrino presenta nel panorama regionale, a partire dalla sua collocazione in un percorso integrato che il territorio offre, e abbia valutato altresì le conseguenze negative che la non attivazione del liceo avrebbe su questo stesso percorso, anche in termini di «scopertura» territoriale;
   quali siano ad oggi le valutazioni svolte dall'ufficio, quali i criteri elaborati per la decisione sull'autorizzazione predetta e, in particolare, se siano state sentite tutte le parti interessate;
   quali iniziative il Ministro intenda assumere per proseguire sulla strada intrapresa di valorizzazione della cultura e della formazione musicale e corrispondere altresì a legittime e giustificate istanze del territorio alessandrino. (4-05654)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la recente vicenda di un «falso invalido» di 56 anni di Pontedera, in provincia di Pisa, ha riportato alla ribalta il problema degli abusi e delle distorsioni nel sistema dei sostegni economici statali alle persone affette da disabilità;
   in particolare, l'uomo, ufficialmente non vedente, è stato scoperto dalla Guardia di finanza mentre passeggiava da solo, accompagnava la figlia a scuola e faceva shopping;
   lo stesso è ora accusato di truffa ai danni dello Stato e gli sono stati sequestrati i beni per risarcire l'Erario di oltre 47.000 euro incassati illegittimamente;
   dal 2011 il falso cieco, dopo essere riuscito a simulare un grave stato di invalidità ed a farsi riconoscere dalla asl di Pisa i benefici previsti dalla legge per i non vedenti, riceveva un assegno di circa 1.200 euro al mese;
   la campagna contro i «falsi invalidi» iniziata nel 2008 ha portato ad indire controlli straordinari che nel complesso, nell'arco temporale 2009-2015, porteranno a visite per circa la metà dei titolari delle prestazioni;
   la legge di stabilità 2013 (legge 24 dicembre 2012, n. 228), infatti, all'articolo 1, comma 109, prevede che per il periodo 2013-2015 debba realizzarsi un piano di 150.000 verifiche straordinarie annue, aggiuntivo rispetto all'ordinaria attività di accertamento, nei confronti dei titolari di benefici di invalidità civile, cecità civile, sordità, handicap e disabilità, da attuarsi da parte dell'Inps;
   tuttavia, i dati resi noti dalla Corte dei conti e dall'Inps sugli esiti di queste verifiche straordinarie non permettono di distinguere fra benefici revocati e benefici da ridurre per cambiamento di fascia o per riconoscimento di una percentuale invalidante inferiore rispetto alla stessa fascia;
   i dati possono risultare fuorvianti se letti come indicativi di situazioni di abuso, poiché dal 2010 l'Inps ha indirizzato i suoi controlli straordinari anche gli invalidi inviati o da inviare a visita sanitaria di revisione;
   nel contempo, i falsi invalidi individuati nell'azione della Guardia di finanza, come emerge dai suoi rapporti annuali, sono stati 389 nel 2012 e 1.047 nel 2011;
   l'articolo 1, comma 109, della stessa legge di stabilità per il 2013, dispone, inoltre, che le eventuali risorse derivanti dall'attuazione dei controlli straordinari accertati, siano destinate ad incrementare il fondo per le non autosufficienze, sino alla concorrenza di 40 milioni di euro annui;
   emerge, infine, la preoccupazione che i «veri» invalidi possano essere i reali danneggiati dall'attività criminale legata alle autorizzazioni ed ai benefici in loro favore, sollevando pregiudizi e critiche intorno alla spesa sociale –:
   a quanto ammontino i risparmi per la spesa relativa alle indennità di invalidità risultanti dall'attività e dagli effetti dei piani straordinari previsti dalla legge di stabilità per il 2013;
   a quanto ammontino i risparmi ottenuti con i controlli effettuati nel 2013;
   di quanto si intenda aumentare il fondo per le non autosufficienze da distribuire nell'anno in corso;
   se non si ritenga opportuno promuovere forme di maggiore coinvolgimento delle associazioni delle persone affette da invalidità, così da contribuire ad una più efficace azione di contrasto al fenomeno dei falsi invalidi da parte delle autorità competenti, che tuteli, al contempo, i soggetti legittimamente beneficiari di indennità di invalidità. (5-03295)


   ROSTELLATO, COMINARDI, RIZZETTO, CIPRINI, BECHIS, CHIMIENTI e BALDASSARRE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in merito all'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-02463 riguardante i tirocini attivati da Italia lavoro, nella quale si chiedeva quale fosse stato il numero delle domande pervenute, quanti tirocini risultavano essere attivati e di conseguenza quanti ancora in attesa di conferma da parte di Italia lavoro spa, il Ministero ha risposto dicendo che sono state più di 37.000 le iscrizioni effettuate dai giovani attraverso il portale www.cliclavoro.it, che sono state quasi 9.000 le aziende iscritte, per una disponibilità complessiva di 12.000 percorsi di tirocinio, che nel periodo settembre-dicembre 2013 sono state inviate dai giovani e dalle aziende circa 20.000 domande di cui circa 11.000 hanno proseguito il proprio iter, mentre le restanti sono state escluse dalla procedura trattandosi di invii doppi, spam, domande di aziende sprovviste della corrispondente domanda del tirocinante e viceversa, e che nonostante il notevole lavoro di selezione condotto da Italia Lavoro, le domande potenzialmente accoglibili risultavano circa 5.200;
   inoltre, ha proseguito, che delle 5.200 domande potenzialmente accoglibili Italia Lavoro ne ha ritenuto valide circa 2.800 e che le 2.400 escluse dalla procedura sono da ricondurre alla carenza di documentazione prodotta nonché alla mancanza di requisiti prescritti nell'avviso pubblico;
   di conseguenza dal 18 giugno 2014, risultano attivati circa 1.700 tirocini ed entro il prossimo 30 giugno saranno completate tutte le pratiche necessarie all'attivazione di altri 500 tirocini, con l'obiettivo di raggiungere così un numero complessivo di circa 2.300 tirocini;
   le rimanenti 500 domande dichiarate ammissibili sono dovute o a rinunce da parte delle aziende o degli aspiranti tirocinanti ovvero agli esiti di controlli ulteriori, effettuati in loco da Italia Lavoro –:
   quanti tirocini risultino essere attivati a tutt'oggi e se si sia raggiunto l'obiettivo espresso in premessa (2300 tirocini entro il 30 giugno);
   come si intenda operare al fine del raggiungimento dell'attivazione di 3000 tirocini come era previsto dal bando e quale si supponga sia la tempistica;
   se il Ministro interrogato intenda riaprire il bando, ovvero optare per l'accoglimento delle domande carenti di documentazione (circa 2400), con successiva richiesta di integrazione da parte del candidato al fine del raggiungimento immediato del numero dei tirocini previsto dal bando (3000). (5-03301)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PORTA e LA MARCA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 5, commi da 1 a 4, del decreto-legge 2 luglio 2007, n. 81, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2007, n. 127, prevede a partire dall'anno 2007 la corresponsione di una somma aggiuntiva (detta anche «quattordicesima»), in presenza di determinate condizioni reddituali, a favore dei pensionati ultrasessantaquattrenni titolari di uno o più trattamenti pensionistici a carico dell'assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive, esclusive ed esonerative della medesima, gestite da enti pubblici di previdenza obbligatoria;
   tale beneficio viene erogato anche ai titolari di pensione in convenzione internazionale residenti all'estero;
   i beneficiari devono possedere i requisiti di contribuzione previsti dalla tabella A allegata alla legge n. 127 del 2007 e che di seguito si riepilogano per i lavoratori dipendenti: fino a 15 anni di contribuzione la somma aggiuntiva è pari a 336 euro; oltre i 15 e fino ai 25 anni è pari a 420 euro; oltre i 25 anni è pari a 504 euro;
   l'Inps ha deciso che ai fini dell'importo da erogare nel caso di pensioni liquidate in regime internazionale deve essere considerata utile solo la contribuzione italiana;
   tale decisione ha avuto come conseguenza l'erogazione dell'importo più basso previsto dalla legge alla stragrande maggioranza dei titolari di pensione in convenzione che di norma in Italia fanno valere un'anzianità contributiva inferiore ai 15 anni a causa dell'emigrazione in altri Paesi;
   sia il decreto-legge istitutivo della somma aggiuntiva, all'articolo 5, comma 1, che la circolare applicativa dell'Inps n. 119/2007 affermano che tale somma aggiuntiva è determinata in funzione dell'anzianità contributiva complessiva e che al fine della valutazione dell'anzianità contributiva deve essere considerata tutta la contribuzione (obbligatoria, figurativa, volontaria e da riscatto) relativa alla pensione su cui spetta il beneficio, utile e non utile per il diritto a pensione;
   la contribuzione estera, anche in virtù del principio dell'assimilazione dei territori che informa tutte le convenzioni internazionali di sicurezza sociale stipulate dall'Italia, viene sempre presa in considerazione dall'Inps sia ai fini della maturazione del diritto che ai fini del calcolo (pensione virtuale) delle prestazioni italiane in pro rata –:
   se il Ministro abbia emanato provvedimenti interpretativi riguardo all'utilità della contribuzione estera ai fini della determinazione dell'importo della somma aggiuntiva (cosiddetta 14ma) sulle pensioni in convenzione e, qualora così non fosse, se intenda verificare i motivi per cui l'Inps non prende in considerazione la contribuzione estera ai fini del calcolo dell'importo della somma aggiuntiva sulle pensioni in convenzione internazionale.
(4-05641)


   MATARRELLI. —Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel dicembre 2013 nasceva una holding company a nome Italian Electronics, proprietaria delle aziende MarcopoloExpert e Unieuro, dando vita a un colosso leader in Italia nel settore della distribuzione specializzata di prodotti elettronici con eccellenti prospettive di crescita e forte di un fatturato consolidato di circa 1,4 miliardi di euro;
   successivamente a tale accordo, il management aziendale attuava la chiusura dei centri amministrativi Unieuro di Monticello D'Alba e Piacenza licenziando oltre 100 dipendenti, esuberi accompagnati da ammortizzatori sociali quali la cassa integrazione e la mobilità addizionata di incentivo all'esodo per ciascun lavoratore come da verbale di accordo del 2 maggio 2014;
   a tale operazione seguivano le rassicurazioni da parte dell'azienda, secondo cui dopo la ristrutturazione sarebbe seguito un periodo di investimenti mirati al rilancio del marchio che avrebbe coinvolto tutti i negozi del territorio nazionale, dando così a tutti gli store la possibilità di un periodo di operatività commerciale e di vendite finalizzato a recuperare fatturati e posizioni di mercato anche dove vi erano delle sovrapposizioni tra punti vendita a marchio Expert e Unieuro come per il parco commerciale di Cavallino (Lecce);
   in data 9 giugno 2014 l'azienda presso il negozio di Unieuro di Cavallino, tramite i suoi rappresentanti, riunita in assemblea plenaria con i dipendenti del punto vendita, palesava ufficialmente la decisione irremovibile della direzione aziendale di chiusura dello stesso entro i primi giorni di dicembre 2014, informando di aver già dato formale disdetta del contratto di locazione in prossima scadenza alla proprietà dello stabile, motivando la decisione con il gravare di costi di gestione elevati e, non per ultimo, proprio con la sovrapposizione tra i due negozi del gruppo all'interno dello stesso parco commerciale, e cioè disattendendo di fatto quanto precedentemente dichiarato e assicurato;
   ove ciò si verificasse, si assisterebbe ad un dramma per 37 persone e le rispettive famiglie, danneggiando il tessuto sociale ed economico di una vasta zona del Salento, chiudendo un punto vendita strategico, che ha storicità nel territorio e che sviluppa un fatturato comunque importante in un periodo di congiuntura economica negativa e di contrazione dei consumi su tutto il territorio nazionale;
   la Unieuro, apparentemente dietro la giustificazione dell'incidenza della crisi e del calo di profitti, assunse medesima politica almeno a partire dal 2008, quando 40 negozi furono chiusi con prevalenza nel Nord; nel 2013 altri licenziamenti e chiusure ci sono stati in Piemonte ed Emilia Romagna, ciò mentre il fatturato delle strutture coinvolte era sembrato tale da rendere ingiustificata la motivazione addotta;
   in data 27 giugno a Bologna al tavolo di trattativa tra società e rappresentanze sindacali, sarebbe emerso un nuovo elemento: a quanto consta all'interrogante i sindacati diramavano la notizia che l'azienda confermava la chiusura del negozio di Cavallino, ma poteva eventualmente riconsiderare la decisione, a patto che la proprietà del locale fosse disposta a ricontrattare le condizioni di affitto in base alle sue richieste, notizia rilanciata dal direttore dello stesso punto vendita ma che non sarebbe stata messa a verbale in quella data, nonostante in tale sede il problema di Cavallino sia stato oggetto di discussione;
   successivamente, su richiesta dei lavoratori, il presidente della provincia di Lecce Gabellone in data 1o luglio 2014 convocava presso palazzo Adorno in Lecce, azienda, sindacati, lavoratori, proprietà del locale, prefetto e sindaco di Cavallino, concludendosi l'incontro in un nulla di fatto, perché svoltosi in assenza dell'azienda e del proprietario dello stabile;
   in data 2 luglio 2014 i sindacati comunicavano che l'azienda sarebbe stata disposta ad incontrare l'affittuario il 14 luglio 2017, quest'ultimo però si dichiarava indisponibile per quella data e proponeva il 21 luglio 2014 come termine ultimo –:
   se non si ritenga necessario allestire un tavolo di concertazione alla presenza dei Ministri interrogati o di loro rappresentanti per salvaguardare il destino di un cospicuo gruppo di lavoratori, tenuto conto che il comportamento aziendale dell'Unieuro degli ultimi anni, attuando politiche di licenziamento ma godendo ove possibile di benefici a sostegno dell'occupazione, non sembra all'interrogante aver rispettato lo spirito e la lettera della legge;
   quali iniziative si intendano promuovere finalizzate alla salvaguardia dei posti di lavoro a rischio. (4-05643)


   MATARRELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 15 novembre del 2013 un gruppo di lavoratori assunti dalla Sicurcenter spa (ditta aggiudicataria dell'appalto per la sicurezza e la vigilanza dell'aeroporto di Brindisi) ha depositato ricorso per lamentare:
    a) la turnazione predisposta autonomamente dalla società datrice di lavoro per ogni giornata e comunicata ai dipendenti solo il giorno precedente o addirittura poche ore prima dell'inizio dell'attività lavorativa;
    b) la frammentata distribuzione settimanale e giornaliera dell'orario di lavoro; le prestazioni di lavoro straordinario in quantità ben maggiore del limite massimo previsto e consentito dalla contrattazione collettiva di settore e dalla legge; il mancato godimento dei riposi giornalieri e settimanali;
   il 13 marzo il tribunale di Brindisi – ufficio del giudice del lavoro, dall'esame del trimestre a cavallo tra il 2013 ed il 2014, ha rilevato marcate inosservanze per i riposi giornalieri e per lo straordinario asseritamente in eccesso e ha dunque dichiarato l'illegittimità del comportamento dell'azienda nell'eccessiva adozione dell'orario spezzato e nel mancato preavviso settimanale dei turni di lavoro;
   il tribunale di Brindisi – ufficio del giudice del lavoro ha ordinato alla Sicurcenter spa di organizzare i turni di lavoro individuando i dipendenti disponibili in caso di urgenze non programmabili con un preavviso ragionevole, evitando la previsione di un orario di lavoro spezzato –:
   se non ritenga necessario promuovere iniziative ispettive, per il tramite delle strutture territorialmente competenti, per verificare, per quanto di competenza, il pieno rispetto dei diritti dei lavoratori.
(4-05653)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GALLINELLA, PARENTELA, GAGNARLI e L'ABBATE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF) è l'organo nazionale che svolge il maggior numero di controlli sulla qualità agroalimentare e procede a sanzionare gli illeciti amministrativi;
   l'ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi è anche Autorità nazionale per la tutela ex officio di cui al Regolamento (UE) 1151/2012 ed interviene presso altri Stati membri al fine di difendere le denominazioni e le indicazioni geografiche protette;
   come evidenziato nella relazione d'attività riferita ai primi mesi dell'anno in corso, sono numerose e di estrema rilevanza le azioni di controllo promosse a tutela del made in Italy e della leale concorrenza; altrettanto significativa l'intensa attività ispettiva operata nei 57 comuni della cosiddetta terra dei fuochi;
   a seguito dei recenti provvedimenti di contenimento della spesa, l'ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi è stato sottoposto ad una profonda riorganizzazione, con diminuzione delle sedi periferiche e revisione delle competenze territoriali degli uffici;
   nonostante la razionalizzazione di cui sopra, l'attività di contrasto alle frodi agroalimentari si mantiene ad un livello alto e qualificato, così come preziosa resta la tutela ex officio al di fuori dei confini nazionali a difesa delle principali eccellenze italiane;
   se sotto il profilo logistico, grazie allo stanziamento per il 2014 dei fondi previsti dalla legge 499 del 1999, l'Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi ha risorse, ancorché esigue, che ne consentono l'operatività fino al 31 dicembre 2015, molta più preoccupazione desta la situazione del personale che ad oggi 800 unità effettive con un rapporto tra impiegati, e dirigenti al di sotto del limite posto dalla spending review;
   in mancanza di nuove assunzioni, nel 2016 il personale in servizio presso l'ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi sarà del 30 per cento inferiore a quello di 8 anni prima con inevitabili ripercussioni sull'efficienza del sistema dei controlli;
    l'ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi trae le risorse per il proprio fabbisogno dagli stanziamenti di bilancio del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, dai fondi AGEA previsti nella legge 99 del 2009, destinati tuttavia a cessare nel 2015, dalle risorse a valere sulla legge 499 del 1999 e su parte delle rassegnazioni delle sanzioni relative alle infrazioni nel settore vitivinicolo e agli illeciti sui prodotti certificati;
   nel 2014 il fabbisogno stimato è di circa 4,4 milioni di euro, coperto dalle predette fonti a meno di ulteriori tagli allo stato di previsione del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, mentre per il 2015, a fronte di un fabbisogno stimato di 4,2 milioni di euro, le risorse disponibili pare siano circa 3,8 milioni, con un disavanzo contenuto e comunque non tale da incidere sull'operatività dell'organo, è tuttavia per il 2016, con il venir meno dei fondi a valere su AGEA, che l'operatività e l'efficienza dell'Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi risultano a forte rischio considerata la scarsità delle unità in organico e delle risorse finanziarie a disposizione per le attività ispettive ed analitiche –:
   di quali ulteriori elementi disponga il Ministro in relazione a quanto espresso in premessa e quali azioni urgenti intenda intraprendere al fine di garantire, pur nell'ambito dei necessari interventi di contenimento della spesa pubblica, l'operatività e l'efficienza del sistema dei controlli sulla qualità agroalimentare dei prodotti nazionali svolto dall'ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi. (5-03300)


   PICCOLI NARDELLI, MARTELLI, TARICCO, TERROSI, AMODDIO, CENNI, ROMANINI, ZARDINI e VENITTELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la rete di informazione contabile agricola (RICA) è un'indagine campionaria annuale istituita dalla Commissione economica europea nel 1965, con il Regolamento (CEE) 79/56 e aggiornata con il Regolamento (CE) 1217/2009;
   RICA è uno strumento comunitario finalizzato a conoscere la situazione economica dell'agricoltura europea e a programmare e valutare la politica agricola comunitaria (PAC);
   i dati RICA sono funzionali ad alimentare una serie di indicatori relativi alle caratteristiche delle aziende agricole quali redditività, produttività, struttura dei costi e altro;
   l'indagine campionaria annuale viene svolta con un'impostazione analoga in tutti i Paesi membri dell'Unione europea e rappresenta l'unica fonte armonizzata di dati microeconomici sul funzionamento e sulle dinamiche economico-strutturali delle aziende operanti nel settore agricolo;
   l'INEA (Istituto nazionale di economia agraria) è stato individuato quale «organo di collegamento» tra l'Italia e l'Unione europea per la creazione e la gestione della RICA (decreto del Presidente della Repubblica n. 1708 del 1965);
   l'INEA gestisce la RICA attraverso una rete di rilevazione coordinata a livello nazionale dal servizio 1 e a livello locale dai responsabili RICA delle sedi regionali INEA;
   i rilevatori dei dati contabili sulle aziende della rete RICA dell'INEA per la Sicilia sono stati selezionati con un concorso per titoli (laureati in scienze agrarie o equipollenti e periti agrari ed agrotecnici) di cui alla GURS serie speciale concorsi n. 4 del 28 marzo 2003;
   tale concorso prevedeva che detti tecnici specializzati svolgessero «attività» connesse al protocollo di intesa tra INEA-ISTAT e regioni/province autonome, con incarico di collaborazione coordinata e continuata o di collaborazione professionale;
   detti rilevatori, ad oggi, attendono i pagamenti delle retribuzioni spettanti per le rilevazioni dell'anno contabile 2008, effettuate nel corso del 2009 e gestite dall'INEA tramite la regione siciliana;
   dal 2009 in poi l'INEA contrattualizzava e gestiva, direttamente i rilevatori siciliani e ha pagato i compensi per le rilevazioni degli anni contabili 2010, 2011, 2012 e 2013 solo ai rilevatori senza partita IVA, mentre tutti i professionisti, rilevatori, con partita IVA attendono le retribuzioni per i lavori di rilevazione per gli anni sopra citati;
   i compensi per l'anno contabile 2008, in base al protocollo d'intesa sopra citato, per un importo di circa euro 137.400,00 sono stati trasferiti dall'INEA all'assessorato delle risorse agricole e alimentari della regione siciliana nell'aprile 2013; a tutt'oggi e dopo 12 mesi dal trasferimento dei compensi da parte dell'INEA, i rilevatori non hanno ancora avuto alcun riscontro dei loro compensi –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di intervenire per verificare con urgenza la situazione e qualora le affermazioni di cui in premessa trovassero conferma, quali iniziative di competenza intenda assumere per sbloccare la situazione rispetto al pagamento dei compensi dovuti ai lavoratori, anche per non rischiare di minare la credibilità dell'INEA stessa. (5-03312)

SALUTE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
XII Commissione:


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel centro socio-riabilitativo per giovani disabili «Casa di Alice» di Grottammare (AP) gestito dal comune attraverso una cooperativa esterna sono stati arrestati dai carabinieri di San Benedetto del Tronto, cinque educatori in servizio presso il centro. Il centro ospita persone affette da autismo di età compresa dagli 8 ai 20 anni;
   due osservazioni importanti: in primo luogo si trattava di una struttura modello del comune, nata con ottimi propositi e buone scelte educativo-riabilitative, data in gestione a una cooperativa, di piccole dimensioni (12 ospiti dagli 8 ai 20 anni), con una carta dei servizi visibile su internet. E in secondo luogo, si trattava di giovani con autismo estremamente severo, dato che si parla di ricoveri, in una struttura semi-residenziale, per ragazzini ancora in età scolastica;
   le accuse sono maltrattamenti e sequestro di persona. Nel centro è stata sequestrata una cosiddetta «stanza di contenimento» buia e stretta, dove i ragazzi venivano denudati e rinchiusi. Tuttavia occorre sottolineare che nei disabili c'era una «totale assenza di comportamenti violenti o di azioni che giustificassero il loro “contenimento”, all'interno di quell'ambiente, usato come strumento per reprimere e punire la “vivacità” dei ragazzi»;
   fortunatamente l'uso delle tecnologie permette oggi di monitorare la vita all'interno di questi centri. La tecnologia mette a disposizione vari tipi di aiuto, comprese le telecamere, che possono essere di aiuto anche per i genitori. Forse l'uso delle telecamere non è sufficiente a garantire una maggiore sicurezza a tutte quelle categorie di persone, disabili, minori, anziani, che non sono in grado di provvedere da soli alla propria incolumità. Ma è certo che si rende necessaria una supervisione e che anche i genitori hanno il diritto di avere informazioni precise e puntuali, a 360o riguardo gli ambiti frequentati dai figli, nella scuola, nelle strutture riabilitative, sportive o quant'altro;
   certi episodi si ridurrebbero drasticamente se queste strutture fossero aperte al territorio nei due sensi dall'interno verso l'esterno e viceversa. In strutture semiresidenziali come quella in questione vanno previsti nei programmi educativi varie forme di collaborazione con attività con altri centri giovanili, con associazioni di volontariato, con occasione sociali come feste, sagre, e altro. Analogamente le strutture possono invitare la cittadinanza al loro interno in varie occasioni;
   appare sempre più urgente mantenere uno stretto rapporto di collaborazione tra genitori, educatori e personale terapeutico che si fanno carico di persone fragili. Tanto più intenso quanto più fragili sono queste persone. In Inghilterra esiste un documento fondamentale l'IMP o Individual management plan, dove vengono delineati comportamenti, eventuali fattori scatenanti, notizie mediche, problemi sensoriali, interessi e attività preferite del soggetto, comprese eventuali strategie di contenimento approvate dai genitori, che ne autorizzano l'uso nei casi estremi in cui dovessero essere necessarie; ma sempre in un clima di collaborazione tra genitori ed educatori –:
   quale sia il livello di formazione di base e di competenza specifica richiesto per il personale impegnato nel rapporto con i soggetti autistici, anche nel caso di cooperative che gestiscono strutture semi-residenziali come quella citata in premessa, e se non intenda assumere iniziative, anche normative, al riguardo.
(5-03304)


   LENZI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il nuovo ed atteso farmaco contro l'epatite C, Sofosbuvir, in grado di eliminare il virus dal sangue del paziente nel 90-100 per cento dei casi in sole 12 settimane di trattamento a casa, e non ancora disponibile, verrà fornito da subito e gratuitamente ai pazienti affetti da epatite C nei casi più urgenti. L'annuncio arriva dall'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) e accende le speranze in molti malati, considerando che in Italia sono 500mila le persone colpite dall'infezione, con un bilancio di circa 9mila morti l'anno;
   in occasione della riunione straordinaria del Comitato prezzi e rimborso di AIFA del 9 giugno 2014, il Comitato, come previsto nell'accordo iniziale, ha preso atto della richiesta dell'azienda produttrice Gilead di «sospendere la negoziazione di Sofosbuvir per un periodo di 30 giorni al fine di definire i dettagli dell'accordo. Durante questo periodo, AIFA e Gilead hanno previsto una soluzione per fornire da subito il farmaco ai pazienti affetti da epatite C nei casi più urgenti, ovvero pazienti con recidiva severa di epatite dopo trapianto di fegato (epatite fibrosante colestatica o epatite cronica con grado di fibrosi) oppure pazienti con cirrosi scompensata in lista per trapianto epatico. Il farmaco viene fornito gratuitamente ai pazienti dalla stessa azienda nell'ambito di un uso compassionevole»;
   era stato lo stesso Ministro della salute, Beatrice Lorenzin, ad annunciare nelle scorse settimane che il prezzo del nuovo farmaco sarebbe stato stabilito entro il 19 giugno, sottolineando che l'Italia è  tra i primi paesi europei a contrattare il prezzo, mentre altri lo hanno introdotto a prezzo di realizzo per l'industria, ad esempio in Germania e in Francia, mentre sarebbe opportuno attivare delle procedure comunitarie, anche per evitare il fenomeno del mercato parallelo». Il Ministro aveva, inoltre, già espresso l'intenzione di portare il tema in Consiglio dei ministri, in vista dei nuovi e costosi farmaci contro l'epatite C in arrivo sul mercato italiano entro il 2014-15 e con particolare riferimento al Sofosbuvir. Al momento, aveva spiegato il Ministro, «stiamo trattando il prezzo tramite l'Aifa e speriamo di ottenere il prezzo più basso. Poi arriveranno però anche scelte laceranti, considerando che si punta ad un piano per l'eradicazione della malattia e che in Italia ci sono 500 mila malati»;
   il problema da affrontare, anche ai fini della sostenibilità delle cure da parte del Sistema sanitario nazionale, è ovviamente legato ai costi: considerando la stima del prezzo più basso per i nuovi farmaci contro l'epatite, il costo sarebbe di 1 miliardo per il primo anno. Il tema principale, come già sottolineato dal ministro, «è, dunque, il prezzo ed anche come affrontare l'arrivo delle nuove molecole»;
   a fronte di tale urgenza, in data 9 luglio 2014 con un comunicato stampa l'Agenzia italiana del farmaco dichiara che: «la ditta Gilead non ha ritenuto possibile presentarsi alla riunione del Comitato Prezzi e Rimborso indetta per lo scorso 4 luglio al fine di concludere la procedura negoziale del prodotto Sovaldi (sofosbuvir) ed ha chiesto una proroga fino al 29 settembre 2014» e che indipendentemente dall'attività di negoziazione del prezzo del medicinale continua la procedura di fornitura gratuita del farmaco, per i pazienti affetti da epatite C nei casi più urgenti, quali quelli di pazienti con:
    a) recidiva severa di epatite dopo trapianto di fegato (epatite fibrosante colestatica o epatite cronica con grado di fibrosi >gF2 METAVIR);
    b) cirrosi scompensata in lista per trapianto epatico (MELD >h 25);
   attualmente, quindi, in Italia, il medicinale sofosbuvir, è fornito solo per uso compassionevole per i casi più urgenti, iniziativa assolutamente apprezzabile, ma, per ogni paziente che si riesce a curare tramite il programma di uso compassionevole, ce ne sono altri che muoiono tumore al fegato e cirrosi scompensata –:
   quali siano i criteri per l'utilizzo del farmaco in questione per uso compassionevole e quanti siano i pazienti sottoposti a tale trattamento e quanti quelli esclusi nonché, alla luce dei fatti sopraesposti se non ritenga opportuno predisporre iniziative urgenti volte a far sì che tutti coloro che per la propria malattia necessitano di tale farmaco possano finalmente utilizzarlo avvalendosi del Servizio sanitario nazionale. (5-03305)


   RONDINI, MATTEO BRAGANTINI, SIMONETTI e CAON. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel 2014, l’import di riso dalla Cambogia fa crollare del 22 per cento la produzione in Italia, con una riduzione di oltre 15.000 ettari di risaie. Un danno economico che mette a rischio la salute dei consumatori, e che causa un allarme sanitario alla settimana;
   l'accordo Everything but arms (Tutto tranne le armi) che ha portato all'azzeramento dei dazi ha favorito l'insediamento di multinazionali in Paesi meno avanzati dove hanno fatto incetta di terreni e si coltiva riso senza adeguate tutele del lavoro e con l'utilizzo di prodotti chimici vietati da decenni nelle campagne italiane ed europee;
   una delegazione di produttori rappresentativa di tutte le regioni guidata dal presidente della Coldiretti ha portato al Ministro delle politiche agricole un campione di riso importato dalla Cambogia per chiedere che vengano fatti controlli qualitativi dopo che nel primo semestre 2014 il sistema di allerta rapido europeo (Rasff) ha effettuato quasi una notifica a settimana per riso e prodotti derivati di provenienza asiatica per la presenza di pesticidi non autorizzati o che superano i limiti ammessi di residuo e assenza di certificazioni sanitarie;
   la concorrenza sleale provocata dalle speculazioni sulle importazioni del riso cambogiano ha comportato che le stesse in Italia sono aumentate del 360 per cento nel primo trimestre, dove il riso indica lavorato cambogiano arriva ad un prezzo riferito al grezzo inferiore ai 200 euro a tonnellata, pari a circa la metà di quanto costa produrlo nel nostro Paese nel rispetto delle norme sulla salute, sulla sicurezza alimentare e ambientale e dei diritti dei lavoratori;
   l'Italia è il primo produttore europeo di riso su un territorio di 216.000 ettari con opportunità occupazionali ma alla luce di quanto espresso la situazione sta precipitando e a rischio c’è il lavoro per oltre 10.000 famiglie tra dipendenti ed imprenditori di lavoro nell'intera filiera –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione e non intenda intervenire predisponendo controlli sanitari al fine di tutelare i consumatori, che in un periodo di crisi importante come quello attuale si rivolgono per gli acquisti a risi più economici come quelli importati, senza curarsi delle potenziali conseguenze di tutela della salute. (5-03306)


   FUCCI e SANDRA SAVINO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta da un articolo pubblicato dal quotidiano Il Messaggero Veneto il 18 giugno, la regione Friuli Venezia Giulia, con una lettera inviata il 30 maggio 2014 dal segretario regionale della presidenza, al capo dell'ufficio legislativo del Ministero interrogato, ha formulato l'intenzione di riformare il sistema sanitario regionale, attraverso la fusione tra aziende ospedaliere e territoriali, tramite la concertazione di un percorso da attuare, anche attraverso un eventuale procedimento autorizzatorio che delinei per il livello regionale, tempi e modalità di avvio del nuovo modello organizzativo;
   la lettera prosegue il suindicato articolo, evidenzia come l'iniziativa s'inserisca all'interno di un disegno di legge concertato anche con l'altro Ministero interrogato, a fronte di una normativa nazionale, che stabilisca l'articolazione della sanità in ospedali, aziende territoriali e aziende ospedaliero-universitarie;
   la missiva, successiva all'approvazione delle linee guida, continua il quotidiano friulano, testimonia la necessità di una concertazione con lo Stato fin qui inespressa, la cui novità rischia di tradursi tuttavia se non in uno stop, in un allungamento dei tempi della riforma;
   la suddetta regione inoltre, secondo quanto contenuto nel documento, risulterebbe intenzionata a porre in essere un nuovo modello organizzativo, del proprio sistema sanitario, attraverso riduzioni, accorpamenti ed una nuova rete strutturale degli enti del servizio sanitario regionale;
   a giudizio dell'interrogante quanto suindicato, se fosse confermato, determinerebbe una serie di difficoltà e complessità di funzionamento nell'assetto del servizio sanitario regionale, sia con specifico riferimento alla scelta di accorpare l'azienda territoriale con quella sanitaria, come ad esempio l'unificazione tra istituti scientifici (Burlo e Cro), con gli ospedali ed i servizi territoriali, che in relazione alle dichiarazioni del presidente della regione Serracchiani, la quale, a differenza di quanto in precedenza sostenuto, ha affermato che la riforma sanitaria che intende prevedere sia da intendersi in via sperimentale;
   secondo il parere dell'interrogante a tal fine, l'incertezza di quanto annunciato dal medesimo presidente, risulta tanto contraddittoria quanto paradossale, se si valuta che le intenzioni iniziali di riformare strutturalmente il servizio sanitario, per l'intero territorio regionale erano di prevedere soltanto di 5 aziende ospedaliero-territoriali;
   i ritardi riscontrati anche a livello regionale nell'avviare il processo di riforma annunciato in tre date tutte entro il 15 giugno 2014, a seguito delle conclusioni dei gruppi di lavoro dei tecnici per la revisione dei punti nascita e delle pediatrie, ribadiscono inoltre a giudizio dell'interrogante, sia un evidente stato confusionale nelle decisioni organizzative intraprese in ambito regionale, che delle eventuali decisioni a livello nazionale per la politica sanitaria del Friuli Venezia Giulia e per la quali necessitano i necessari chiarimenti;
   secondo l'interrogante le intenzioni di avviare in maniera sperimentale il nuovo assetto organizzativo e di assistenza della sanità nei riguardi della suddetta regione, di fatto appaiono negative e penalizzanti per la comunità regionale, in considerazione, che la sperimentazione sulla salute che rappresenta una delle tematiche più importante della vita degli individui, anche dal punto di vista normativo –:
   se intenda confermare la necessità d'individuazione del nuovo modello organizzativo del servizio sanitario nei confronti del Friuli Venezia Giulia, e, in senso più generale, se il Ministro interrogato intenda prevedere iniziative normative per derogare a quanto stabilito sia dal decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 ai sensi del quale, le strutture territoriali, quali il dipartimento di prevenzione o la salute mentale, non rientrano all'interno della sfera delle aziende ospedaliere, in quanto strutture tipicamente del territorio, che da quanto disposto dal decreto legislativo 21 dicembre 1999, n. 517 il cui impianto legislativo, non contempla l'accorpamento tra territorio e ospedali.
(5-03307)


   SILVIA GIORDANO, BARONI, CECCONI, DALL'OSSO, DI VITA, GRILLO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'aspetto igienico sanitario che coinvolge l'intera area del bacino idrografico del fiume Sarno è stato, da sempre, sottovalutato;
   la coesistenza di scarichi industriali e civili, di una agricoltura dissipatrice di acqua e di una urbanizzazione priva di reti fognarie funzionanti ancora oggi costituisce una causa di danni ambientali e di rischio sanitario per la popolazione del bacino che recenti indagini epidemiologiche hanno messo in risalto;
   quello della popolazione che vive a contatto con il fiume Sarno è la storia di una popolazione che si nutre delle sue stesse eiezioni e di queste ne muore o a causa di malattie infettive o intossicata per i metalli pesanti per anni sversati nelle acque di superficie e ormai entrati nella catena alimentare; i monitoraggi effettuati dall'ARPAC rilevano la presenza di metalli pesanti, presenti in concentrazioni maggiori rispetto a quanto consentito dalla legge (decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, Disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento);
   l'emergenza sanitaria dell'inquinamento del Sarno, per le popolazioni che vivono nelle sue vicinanze, consiste nel fatto che la presenza nelle sue acque di microrganismi di origine fecale e di metalli pesanti, in concentrazione superiore a quanto stabilito dalla legge, è causa dell'aumento di infezioni quali febbre tifoide, diarrea infettiva, epatite A, ma soprattutto tumori;
   il 2 aprile 2003 il Senato della Repubblica ha approvato la deliberazione istitutiva della «Commissione Parlamentare d'inchiesta sulle cause dell'inquinamento del fiume Sarno», i cui lavori si sono conclusi nel 2006;
   la relazione alla proposta di istituzione della Commissione parlamentare, sottolineava come «la salute della popolazione è sottoposta a pericoli continui e, non a caso, nella zona esiste un tasso di malattie dell'apparato respiratorio e di malattie infettive, con altissime percentuali di carcinoma polmonare, che è il più alto d'Europa»;
   la Commissione parlamentare ha avuto occasione di verificare che un Rapporto dell'Organizzazione mondiale della sanità del 1997 già segnalava che nella zona del fiume Sarno risultava «un indice di mortalità per cancro e leucemia superiore del 17 per cento rispetto ad altre zone del mondo»;
   la Commissione Parlamentare ha, pertanto, considerato evidente la sussistenza anche di una emergenza sanitaria, probabilmente dovuta all'inquinamento del fiume;
   nonostante ciò nella sua relazione conclusiva rilevava che «nessuno, però, ha mai posto in essere un'indagine epidemiologica per analizzare possibili relazioni causa effetto tra inquinamento del fiume ed eventuali patologie specifiche, né alcun ente ha proceduto ad uno o più screening specifici da cui si potessero evidenziare eventuali nessi di causalità o con causalità tra l'inquinamento (accertato) del fiume e le condizioni sanitarie della popolazione» (12 aprile 2006);
   inoltre, con amarezza, bisogna rilevare che sono stati sperperati finora circa 800 milioni di euro senza ottenere un apprezzabile risultato –:
   se non si ritenga necessario un intervento, in attuazione dei principi di prevenzione e precauzione, al fine di limitare i rischi relativi all'incidenza di malattie tumorali, attivando uno stato di allerta della popolazione e finanziando ricerche statistiche e studi finalizzati alla riduzione del rischio derivante dall'inquinamento e in tale contesto se non si intenda avviare una indagine epidemiologica allo scopo di monitorare le relazioni tra causa ed effetto tra l'inquinamento del fiume Sarno e patologie specifiche.
(5-03308)


   NICCHI e MATARRELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Corte costituzionale, con la sentenza n. 162 del 9 aprile 2004, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della legge n. 40 del 2004 in materia di «procreazione medicalmente assistita», relativamente alla parte della medesima legge nella quale si vieta di ricorrere alla donazione di gameti (ovociti o spermatozoi) esterni alla coppia per concepire un figlio;
   a seguito della suddetta sentenza sia i centri pubblici che quelli privati possono eseguire tecniche di fecondazione con donazione di ovociti e spermatozoi esterni alla coppia. La sentenza della Consulta ripristina automaticamente la normativa precedente alla legge 40. Diventa quindi lecita sia l'ovodonazione che la donazione di seme. Si offre quindi una possibilità per tutte quelle coppie che ora non saranno più discriminate e potranno ricevere tutte le cure e l'assistenza, senza doversi affidare, come spesso è avvenuto finora, a costosi «viaggi della speranza» all'estero;
   come riportato dagli organi di stampa, vi sarebbero già almeno, quattro stati di gravidanza ottenuti grazie alla fecondazione eterologa: tre a Roma e uno a Milano;
   come riportato da un articolo de La Repubblica del 22 luglio 2014, alla clinica milanese Matris, del ginecologo Severino Antinori, dove era stato eseguito l'intervento di inseminazione eterologa, si sono presentati per un'ispezione i carabinieri dei NAS. Il professore Antinori sarà interrogato: «Mi metteranno sul banco degli imputati e so già che dovrò spiegare quali metodiche ho usato. Una assurdità. Finalmente abbiamo una sentenza che fa piazza pulita di un divieto assurdo e barbaro e io, medico, devo ancora giustificare il mio operato»;
   nel medesimo articolo si riporta la dichiarazione del Ministro Lorenzin per la quale «le ispezioni nascono da un'iniziativa autonoma dei Nas». Inoltre nell'intervista a Severino Antinori, il professore circa la suddetta dichiarazione del Ministro della salute, ha dichiarato che il Ministro «mente sapendo di mentire. La segnalazione ai NAS l'ha fatta lei. Io comunque, querelerò il Ministro per abuso di ufficio»;
   quanto su riportato rischia fortemente di creare un clima intimidatorio non accettabile –:
   se il Ministro confermi che l'ispezione dei Nas non trae origine da una sua iniziativa, e se le risulta, come riportato dall'articolo indicato in premessa sulla base di fonti ministeriali, che seguiranno altre ispezioni da parte dei Nas. (5-03309)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale 30 giugno 2014, in attuazione dell'articolo 1, comma 153, della legge 27 dicembre 2013, ha fissato le modalità di remunerazione della capacità produttiva delle centrali a cicli combinati a gas, per la fornitura di servizi di flessibilità che le stesse mettono a disposizione del sistema elettrico;
   l'intervento normativo dovrebbe garantire la sicurezza del sistema elettrico e la copertura dei fabbisogni di rete, senza aumento dei prezzi e delle tariffe dell'energia elettrica per i clienti finali;
   con il riconoscimento di tale meccanismo di remunerazione, le centrali termoelettriche si renderebbero quindi disponibili ad un aumento di capacità produttiva per supplire all'eventuale insufficiente erogazione di energia da impianti alimentati da fonti rinnovabili;
   dal 2007 al 2013, per effetto della crisi, la domanda di energia elettrica in Italia è scesa da 340 a 318 terawattora, mentre dal 2007 al 2011 la potenza disponibile da fonti rinnovabili è aumentata da 22 gigawatt a 41 gigawatt;
   le centrali termoelettriche sono oggi in difficoltà, in quanto il numero di ore di funzionamento è in diminuzione, determinando per i gestori l'impossibilità di rientrare degli investimenti effettuati nel settore;
   con decisione molto discutibile le perdite delle centrali termoelettriche sono state caricate sulla bolletta dell'energia, facendo pagare agli utenti finali la maggior sicurezza derivante dalla presenza di centrali inattive o quasi che potrebbero supplire all'eventuale insufficiente erogazione degli impianti a fonti rinnovabili –:
   quali iniziative, anche di carattere finanziario, il Ministro intenda adottare per far sì che le misure di remunerazione degli impianti termoelettrici, di cui al decreto ministeriale 30 giugno 2014, non gravino sulla bolletta elettrica a carico dei consumatori finali. (4-05635)


   BURTONE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il servizio postale presso il comune di Pomarico in provincia di Matera fa registrare, come denunciato dai cittadini, una serie di disservizi che rendono davvero critica la situazione;
   i cittadini lamentano interminabili code allo sportello con spazi angusti con rischi per gli utenti di sentirsi male e anche con problemi di riservatezza e privacy che inevitabilmente si vengono a determinare;
   inoltre, si registrano numerosi casi di corrispondenza recapitata in ritardo in particolare per bollette, e comunicazioni importanti che danneggiano cittadini e imprese;
   i cittadini di Pomarico stanno raccogliendo firme in calce ad una petizione finalizzata a chiedere un miglioramento del servizio postale ai responsabili aziendali;
   si ritiene necessario il potenziamento delle unità allo sportello e al recapito anche con il prolungamento dell'orario di apertura e soprattutto occorre consentire lo spostamento dell'ufficio in locali più idonei ad ospitare un servizio «pubblico» così importante per la comunità –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda adottare affinché Poste Italiane potenzi il servizio presso la comunità di Pomarico evitando disagi all'utenza. (4-05642)


   LUCIANO AGOSTINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il sottoscritto ha presentato un'interrogazione il 9 gennaio 2014, sull'allora paventata chiusura dell'azienda lattiero-casearia COALAC di Ascoli Piceno, chiusura che è avvenuta nel mese di giugno 2014 con pesanti ricadute negative sull'occupazione e sul settore zootecnico marchigiano;
   lo stabilimento COALAC è di proprietà del gruppo Società Cooperativa COOPERLAT con sede a Iesi (AN), il cui assetto societario e la relativa «governance» sono stati oggetto di una prima ispezione da parte del Ministero dello sviluppo economico;
   dal verbale della prima ispezione si rilevarono una serie di osservazioni, alle quali non sono state date formali risposte;
   recentemente il Ministero ha proceduto a una nuova ispezione dalla quale si rileva, a pagina 15 del verbale, come fosse indispensabile che la cooperativa si dotasse di apposito regolamento di assemblee. Regolamento di assemblee si cita testualmente «che disciplini oltre che le diverse fasi di svolgimento delle assemblee anche le diverse fasi in tema di scelta degli amministratori, il tutto nel rispetto dei principi statutari di mutualità, democraticità e trasparenza». Da tutto ciò si evince che la cooperativa COOPERLAT pur essendo una azienda di grandi dimensioni non ha mai provveduto a dotarsi di strumenti idonei per garantire la giusta e corretta elezione degli organi di direzione della cooperativa;
   tutto ciò ha di fatto portato ad escludere dalla governance della cooperativa alcuni soggetti aderenti, unici a conferire latte, per la lavorazione del prodotto fresco, preferendo l'approvvigionamento della materia prima da altre regioni e dall'estero;
   come si apprende dagli organi di stampa locale tutto ciò pare essere stata la causa della chiusura dello stabilimento di Ascoli Piceno –:
   se non sia eccessivo il termine di 60 giorni individuato dagli ispettori ministeriali per la redazione del regolamento;
   se l'attuale consiglio di amministrazione eletto con vizi formali e sostanziali come in parte rilevato dagli ispettori ministeriali possa essere l'organo deputato a redigere il regolamento per il corretto funzionamento delle assemblee;
   se gli atti di questo consiglio di amministrazione, in particolare il piano industriale dal quale scaturisce la chiusura dello stabilimento COALAC di Ascoli Piceno, unico del gruppo a lavorare latte fresco, possano considerarsi legittimi;
   se il Ministro, sulla base delle ispezioni ministeriali, non intenda prendere in considerazione il commissariamento della Società cooperativa COOPERLAT e/o in via subordinata assumere iniziative per la nomina di un commissario ad acta per redigere il regolamento sopra richiamato. (4-05656)

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Oliverio e altri n. 7-00196, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 dicembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Romanini.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Baldassarre e Paolo Nicolò Romano n. 4-05557, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato De Lorenzis.

  L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Taricco e altri n. 5-03281, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Romanini.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Silvia Giordano n. 5-00922 dell'8 agosto 2013;
   interpellanza urgente Balduzzi n. 2-00594 del 24 giugno 2013.