Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 18 luglio 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    la macroregione, così come definito dalla Commissione europea, è «un'area che include territori di diversi Paesi o regioni associati da una o più sfide e caratteristiche comuni (...) geografiche, culturali, economiche o altro»; è, dunque, una strategia multilivello e multisettoriale che contribuisce all'europeizzazione del continente e allo sviluppo territoriale, travalicando i limiti dettati dai confini nazionali e coinvolgendo, in più settori, gli attori operanti a tutti i livelli;
    le esperienze realizzate nell'ambito delle strategie macroregionali esistenti, la strategia dell'Unione europea per la regione del Mar Baltico e la strategia europea per la regione del Danubio testimoniano l'importanza delle iniziative di cooperazione regionale per promuovere la stabilità politica e la prosperità economica;
    a partire dal 2015 sarà operativa la macroregione adriatico-ionica, nota anche come iniziativa Eusair (European union strategy for adriatic and ionic region), il cui obiettivo generale è promuovere una prosperità economica e sociale sostenibile mediante la crescita e la creazione di posti di lavoro e il miglioramento dell'attrattività, della competitività e della connettività dei territori;
    l’Eusair, che interessa le regioni di quattro Stati membri (Italia, Slovenia, Croazia e Grecia) e di quattro Paesi vicini dei Balcani occidentali (Albania, Montenegro, Serbia, Bosnia e Erzegovina), è uno spazio funzionale definito dai bacini dei mari Adriatico e Ionico e comprende anche le zone terrestri e costiere considerate come sistemi interconnessi, in cui il movimento di beni, servizi e persone è estremamente elevato, considerato gli oltre 70 milioni di residenti nell'area;
    il piano d'azione che accompagna la strategia adriatico-ionica presenta un elenco di priorità, tra le quali figurano il potenziamento delle reti di trasporto ed energia coerentemente con gli obiettivi della strategia 2020 che si fonda sull'approccio integrato tra potenziamento del mercato e cambiamento climatico;
    la macroregione adriatico-ionica presenta un notevole deficit da un punto di vista infrastrutturale, specialmente tra gli Stati membri dell'Unione europea di antica data, con conseguente scarsa accessibilità. La rete ferroviaria, in particolare, va urgentemente ristrutturata attraverso la rimozione delle strozzature e il ripristino delle connessioni mancanti, al fine di garantire una migliore gestione del traffico e un potenziamento della capacità;
    il collegamento tra il Mediterraneo orientale ed il Baltico, grazie alla realizzazione del corridoio baltico-adriatico, consentirebbe di ridurre di circa quattro giorni i tempi di trasporto delle merci rispetto al tradizionale percorso via Rotterdam e di collegare dunque l'Oceano Indiano, attraverso Suez, con il Golfo di Finlandia;
    la creazione di reti infrastrutturali efficienti per i trasporti, unitamente agli investimenti nel campo delle reti transeuropee, rappresenta uno degli obiettivi principali della programmazione 2014-2020, come dimostra la creazione del meccanismo per collegare l'Europa, di cui al regolamento n. 1316 del 2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, che determina una dotazione finanziaria di circa 33 miliardi di euro, dei quali oltre 26 destinati al settore dei trasporti;
    il libro bianco sui trasporti del marzo 2011 individua dieci obiettivi, suddivisi in tre capitoli, per un sistema dei trasporti competitivo ed efficiente sul piano delle risorse. All'interno del capitolo «Ottimizzare l'efficacia delle catene logistiche multimodali, incrementando tra l'altro l'uso di modi di trasporto più efficienti sotto il profilo energetico» sono elencati 4 obiettivi, tra i quali, in particolare, il numero 3 che auspica che entro il 2030, sulle percorrenze superiori a 300 chilometri, il 30 per cento del trasporto di merci su strada venga trasferito verso altri modi, quali la ferrovia o le vie navigabili, e che tale percentuale arrivi al 50 per cento nel 2050;
    il libro bianco di cui sopra indica come obiettivo primario il perseguimento del buon funzionamento del mercato interno e il rafforzamento della coesione sociale, territoriale ed economica, al fine di consentire una mobilità senza ostacoli e sostenibile, soprattutto da un punto di vista ambientale, delle persone e delle merci, permettendo l'accessibilità e la connettività a tutte le regioni dell'Unione europea;
    all'interno del capitolo «Migliorare l'efficienza dei trasporti e dell'uso delle infrastrutture mediante sistemi d'informazione e incentivi di mercato» afferente sempre al libro bianco sui trasporti è contenuto l'obiettivo numero 9, che fissa per il 2020 l'obiettivo di dimezzamento delle vittime nel trasporto su strada;
    è noto che lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti non può prescindere dal ripristino e dall'ammodernamento delle infrastrutture di trasporto esistenti, ove per ripristino è da intendersi quel processo volto al conseguimento dei parametri originali di costruzione delle strutture esistenti dell'infrastruttura ferroviaria associato ad un miglioramento duraturo della loro qualità rispetto allo stato in cui si trovano;
    lo sviluppo delle reti, l'implementazione dei nodi e delle vie di collegamento deve sempre avvenire nel rispetto dei territori, ovvero garantendo la sostenibilità degli interventi da un punto di vista ambientale e paesaggistico;
    il buon funzionamento delle infrastrutture, oltre a garantire competitività all'Europa, è essenziale per il raggiungimento dei cinque obiettivi delineati della strategia «Europa 2020», ovvero: innalzamento al 75 per cento del tasso di occupazione; aumento degli investimenti in ricerca e sviluppo; riduzione delle emissioni di gas serra del 20 per cento; riduzione dei tassi di abbandono scolastico precoce; lotta alla povertà e all'emarginazione;
    l'ammodernamento e l'adeguamento della dorsale adriatica, con particolare riferimento alla direttrice Ancona-Pescara-Bari-Taranto-Lecce, consentirebbero di agevolare ancor più il processo di collegamento tra il Mediterraneo orientale ed il Baltico e di garantire spostamenti più veloci ed efficienti di persone e merci, sempre in linea con gli obiettivi delineati nella strategia «Europa 2020» e nel libro bianco dei trasporti;
    l'infrastruttura ferroviaria delle regioni meridionali del Paese, in particolare della Puglia, del Molise, dell'Abruzzo e della Basilicata, versa in uno stato di degrado e precarietà che rischia di rallentare, se non impedire, il reale sviluppo di tutte le potenzialità intrinseche nella costituzione della macroregione adriatico-ionica;
    la linea ferroviaria adriatica è tutt'oggi caratterizzata, in due tratti, dal binario unico: uno di 37 chilometri tra Termoli e Lesina ed il secondo di un chilometro a nord della stazione ferroviaria di Ortona;
    il raddoppio della linea Termoli-Lesina risulta coerente con gli obiettivi dei principali strumenti di programmazione, collocandosi tra gli interventi previsti nel progetto «corridoio adriatico» (1999), che, a sua volta, è richiamato a livello comunitario dal programma di sviluppo e di integrazione delle reti di collegamento con i Paesi CEEC e CIS affiancato al programma Ten-T (Trans-European network for trans);
    i trasporti ed i collegamenti sono la base per lo sviluppo di territori a vocazione turistica, come la Puglia e la Basilicata;
    sarebbe opportuno, al fine di favorire lo sviluppo territoriale, procedere all'ammodernamento e all'implementazione della rete ferroviaria in Basilicata, che, nonostante la sua nota vocazione culturale e quindi turistica, risulta ad oggi essere l'unica regione con un capoluogo di provincia non servita dalle Ferrovie dello Stato,

impegna il Governo:

   in considerazione di tutto quanto ciò premesso e alla luce della strategicità infrastrutturale della dorsale ferroviaria adriatica, a promuovere, presso le competenti sedi europee, ogni iniziativa valida volta ad ottenere il prolungamento del corridoio baltico-adriatico lungo la direttrice Ancona-Pescara-Bari-Taranto-Lecce;
   ad individuare ulteriori risorse a valere sui fondi assegnati all'Italia in attuazione della politica di coesione 2014-2020 per finanziare interventi di ripristino, ammodernamento e adeguamento della linea ferroviaria della dorsale adriatica, di implementazione e potenziamento dei collegamenti su ferro con i principali aeroporti e porti situati sulla medesima dorsale, nonché di implementazione e sviluppo della linea ferroviaria lucana.
(1-00552) «De Lorenzis, Liuzzi, Spessotto, Nicola Bianchi, Dell'Orco, Colonnese, Nesci, Brescia, L'Abbate, Cariello, De Rosa, Cristian Iannuzzi, Paolo Nicolò Romano, Zolezzi, Daga, Busto, Vacca, Del Grosso, Scagliusi, Terzoni, D'Ambrosio».

Risoluzioni in Commissione:


   La VI Commissione,
   premesso che:
    nell'ultimo decennio l'aliquota delle accise sulla birra è aumentata del 93 per cento, raggiungendo livelli di tassazione tra i più alti di Europa. A partire dall'anno 2003, infatti, il legislatore è più volte intervenuto in materia di accise sulla birra con continui aumenti di aliquota. Le ultime modifiche al riguardo sono state apportate con i seguenti recenti interventi normativi:
     1) l'articolo 14, comma 2, del decreto-legge n. 91 dell'8 agosto 2013, ha previsto, a decorrere dall'anno 2014 e 2015, un aumento dell'aliquota pari rispettivamente a 2,39 e 2,48 euro per ettolitro e per grado-Plato. Il successivo articolo 15, lettere e-bis) ed e-ter), con finalità di copertura di disposizioni introdotte in sede parlamentare nello stesso provvedimento, ha poi previsto la possibilità di incrementare ulteriormente le dette aliquote di accisa sui prodotti alcolici;
     2) l'articolo 25, comma 1, del decreto legge del 12 settembre 2013, n. 104, ha previsto nuove aliquote di accisa sulla birra in misura ben superiore a quella che erano state disposte poco prima dal menzionato decreto-legge 91. Precisamente, l'aliquota è stata fissata nella misura di 2,66 euro per ettolitro e per grado-Plato a decorrere dal 10 ottobre 2013. Inoltre, il comma 2 del citato articolo, ha rideterminato le aliquote previste dall'articolo 14, comma 2, del decreto-legge 91, fissandone le nuove misure al successivo comma 3:
   2,70 euro a decorre dal 1o gennaio 2014;
   2,99 a decorrere dal 1o gennaio 2015;
     3) l'articolo 7 del decreto-legge n. 133 del 30 novembre 2013, ha poi chiarito che gli incrementi autorizzati dall'articolo 15, lettere e-bis ed e-ter, del decreto-legge 91 dovessero aggiungersi alle aliquote di accisa così come rideterminate dal decreto-legge n. 104 del 2013. Di conseguenza, con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle dogane n. 145744 del 23 dicembre 2013 sono stati disposti i seguenti ulteriori aumenti di accisa:
   2,77 euro per ettolitro e per grado-Plato a decorrere dal 1o marzo 2014;
   3,04 euro per ettolitro anidro a decorrere dal 1o gennaio 2015;
     4) sennonché, con l'articolo 12, comma 1-ter del decreto-legge n. 145 del 23 dicembre 2013, il Governo è nuovamente intervenuto prevedendo la modificazione, per il solo anno 2014, della determinazione assunta dal direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli con il menzionato provvedimento del 23 dicembre 2013. È seguito il provvedimento del direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli del 25 febbraio 2014 con il quale, per l'anno 2014, è stato eliminato l'incremento dell'accisa sulla birra previsto dal precedente decreto del 23 dicembre 2013;
    al momento e fino al 31 dicembre 2014, dunque, l'aliquota di accisa sulla birra sarà di 2,70 euro, così come previsto dal decreto-legge 104. A decorrere dal 1o gennaio 2015, invece, l'aliquota salirà a 3,04 euro;
    fra le bevande alcoliche da pasto, la birra è l'unica a scontare l'accisa in Italia, e per di più con livelli di tassazione di gran lunga superiori rispetto a quelli mediamente previsti in altri Paesi europei (basti pensare che l'aliquota sulla birra in Italia è superiore al triplo di quella applicata in Germania e Spagna). Peraltro, i consumi nazionali di tale bevanda sono significativamente più bassi rispetto a quelli degli altri Paesi europei. Dallo studio condotto dal Centro studi Ref Ricerche commissionato dalla AssoBirra — Associazione degli industriali della Birra e del Malto (che riunisce aziende rappresentative del 98 per cento della produzione nazionale), il consumo di birra in Italia è addirittura tra i più bassi al mondo. In un tal contesto, l'inasprimento fiscale sulla birra non si giustifica neanche come disincentivo al suo consumo;
    con l'aumento dell'aliquota a decorrere dal 1o gennaio 2015, il gettito previsto dal Governo sarebbe di circa 177 milioni di euro all'anno. Tuttavia, come evidenziato dal menzionato dossier del Centro Studi Ref, l'aumento delle accise determina, allo stesso tempo, un inevitabile aumento del prezzo di vendita della bevanda. L'effetto che si genera, sarà una significativa contrazione dei consumi (specialmente in un contesto quale quello attuale ove il potere d'acquisto delle famiglie è messo a dura prova dalla crisi economica) e con essa la riduzione del gettito derivante dalle imposte indirette (accisa ed IVA). In altre parole, il sacrificio derivante dall'aumento dell'aliquota dell'accisa sulla birra rischia di non produrre l'effetto finanziario previsto a fronte della inevitabile riduzione dei consumi. Del resto, è quanto insegna l'esperienza avutasi in altri Paesi europei: ad esempio, in Gran Bretagna, dove è stato a lungo in vigore un meccanismo di aumento automatico delle accise sulla birra, ai progressivi aumenti delle accise è conseguita negli anni una corrispondente riduzione della domanda e del gettito fiscale complessivo;
    la stessa ragioneria generale dello Stato, nel parere reso alla Commissione bilancio della Camera dei deputati in data 26 luglio 2013, ha evidenziato l'inopportunità dell'aumento delle accise quale strumento di copertura finanziaria: «Al riguardo, sul criterio di copertura proposto, si esprime parere contrario, in quanto lo stesso, incrementando in modo consistente la tassazione sugli alcolici determina, in un contesto di difficoltà economiche diffuse, sicuri effetti regressivi, con diminuzione dei consumi e conseguente aumento dei consumi illegali, peraltro privi dei necessari controlli sanitari, correlati al fenomeno contrabbandiero. Inoltre, l'introduzione di rilevanti maggiori spese, utilizzando a compensazione un aumento della pressione fiscale, rende certamente più arduo e problematico il rispetto della regola sulla dinamica complessiva della scesa prevista dal fiscal compact recentemente ratificato dal Parlamento richiedendo, a tal fine, l'individuazione di spesa corrispondenti misure compensative sul versante della spesa, e non delle entrate, del comparto delle Pubbliche Amministrazioni»;
    il settore della birra in Italia rappresenta una fetta importante dell'industria alimentare nazionale. Esso comprende, infatti, oltre 500 produttori sparsi in tutta Italia, tra grandi marchi (14 stabilimenti industriali, 2 impianti produttivi di malto) e microbirrifici artigianali, e che sta creando concrete opportunità imprenditoriali, soprattutto per i giovani. Come evidenziato da AssoBirra nel corso delle audizioni tenutesi alla VI Commissione Finanze della Camera dei deputati in data 5 novembre 2013, negli ultimi 5 anni sono nate circa 300 micro aziende birrarie, con imprenditori nella maggior parte dei casi under 35 e con una produzione di circa 13,5 milioni di ettolitri di birra all'anno (dato 2012). Positivi anche gli effetti sul piano occupazionale: 4.700 occupati diretti (+4,4 per cento sull'anno precedente), 18.000 fra diretti e indiretti e 144.000 compreso l'indotto allargato. Da non sottovalutare poi il significato contributo economico e finanziario dato ad altri settori merceologici e produttivi quali l'agricoltura nazionale e il settore dei pubblici esercizi: i produttori birrai acquistano ogni anno in Italia beni e servizi per quasi 1 miliardo di euro, di cui 100 milioni dal settore agricolo. In un tal contesto, il programmato aumento dell'aliquota delle accise sulla birra a decorrere dal 1° gennaio 2015, oltre a gravare direttamente sulla domanda interna di tale prodotto, rischia di ripercuotersi negativamente anche su altri settori merceologici e produttivi nonché, come evidenziato dal Centro Studi Ref, sugli stessi livelli occupazionali (ove si rischia di perdere ben 2.400 unità di lavoro);
    gli aumenti delle accise rischiano inoltre di danneggiare lo stesso Stato italiano anche in altra misura, se consideriamo che peggiorerà anche la bilancia commerciale con l'estero, dato che l'aumento delle accise renderebbe ancor meno competitiva la birra italiana rispetto a quella proveniente dai Paesi stranieri in cui l'accisa sulla birra è più bassa,

impegna il Governo

ad assumere tutte le iniziative necessarie, anche a carattere normativo, al fine di evitare l'ulteriore aumento di accisa sulla birra (pari a 3,04 euro per ettolitro anidro), previsto a decorrere dal 1o gennaio 2015, così tutelando un settore in crescita e in fermento che appena due anni fa aveva fatto segnare un + 4,4 per cento di occupazione, e dando peraltro credito al citato parere della ragioneria dello Stato del 26 luglio 2013 con il quale si invitava il Parlamento ad agire sul versante della spesa pubblica e non delle entrate.
(7-00422) «Pesco, Gagnarli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gallinella, L'Abbate, Parentela, Lupo, Alberti, Barbanti, Cancelleri, Pisano, Ruocco, Villarosa».


    La XIII Commissione,
   premesso che:
    il 2 luglio 2014 si è aperto il semestre di presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea. La presidenza di turno spettante all'Italia, che si concluderà il 31 dicembre 2014, è l'occasione che consentirebbe al nostro Paese di tracciare e realizzare una nuova agenda politica europea che sappia guardare alle vere esigenze dei cittadini europei visti nell'ottica di attori sociali fondamentali;
    l'Italia nel semestre di presidenza deve fornire una chiara e rinnovata idea di politica agricola comune, valorizzando le peculiarità delle biodiversità dei Paesi membri, i prodotti agroalimentari, in un'ottica di demarcazione netta da quelle politiche dei Paesi terzi che intendono lo scambio commerciale con l'Unione, come un punto di arrivo delle proprie politiche commerciali e non un punto di partenza in cui far convergere le loro peculiarità, la loro biodiversità e le esigenze dei soggetti che compongono l'universo mondo delle produzioni, delle trasformazioni e del consumo finale dei prodotti agroalimentari. Vi è un modus operandi, nel redigere e applicare gli accordi sugli scambi commerciali con i Paesi terzi, che tende a cedere continui pezzi di identità culturale dell'agroalimentare europeo e, fondamentalmente, italiano, in cui, spessissime volte, ci si è trovati a fronteggiare emergenze di tossinfezione e fitosanitarie cagionate dall'immissione, fraudolenta, sul mercato comunitario di prodotti carenti in tema di sicurezza alimentare, di controllo sugli agenti patogeni (eccessivo utilizzo di pesticidi, carenti standard di controllo fitosanitario) e nell'indicazione d'origine dei componenti il prodotto alimentare che si sta commercializzando. Gli esempi, in questi ultimi anni, sono molteplici e, di certo, non vanno a diminuire, anzi aumentano, certificando così, il paradosso che gli standard di controllo e conseguente certificazione della salubrità dei prodotti, anziché rappresentare una garanzia per i consumatori, si stanno appalesando in continui alert di insalubrità dei prodotti (a tal riguardo, basterebbe leggere la relazione 2013 del «Sistema di allerta comunitario, Rasff»);
    in data 14 gennaio 2014, la Camera dei deputati ha adottato all'unanimità la mozione n. 1-00311, che attiene, principalmente, alla questione dell'indicazione in etichetta dell'origine delle materie prime dei prodotti agroalimentari;
    la Commissione europea ha lanciato una consultazione pubblica sull'obbligatorietà dell'etichettatura di origine degli alimenti, che si è conclusa il 16 maggio 2014, al fine di raccogliere informazioni e dati dalle piccole e medie imprese del settore alimentare (produttori, commercianti, rivenditori e dettaglianti di farina, riso, legumi, zucchero, olio vegetale, frutta e verdura congelata, frutta e verdura fresca tagliate, frutta e verdure lavorate, pane e prodotti da forno, pasta, pesce lavorato, come, ad esempio tonno in scatola);
    i risultati della consultazione pubblica a distanza di due mesi non sono stati resi noti;
    secondo le norme comunitarie vigenti, l'indicazione di origine sui prodotti alimentari deve essere fornita ogni volta che la sua assenza può indurre in errore il consumatore circa l'origine del prodotto, così come delineato dall'articolo 3 della direttiva 2000/13/CE, principio confermato dal regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2011. Al momento è obbligatoria per: carni bovine, frutta e ortaggi, vino, olio d'oliva, uova, miele e pesce fresco non trasformati. Nel regolamento (UE) n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni alimentari ai consumatori, sono state introdotte una serie di disposizioni in materia di etichettatura di origine degli alimenti;
    in tale contesto, la Commissione europea sta raccogliendo commenti e osservazioni dalle piccole e medie imprese per redigere una relazione che deve essere presentata al Parlamento europeo e al Consiglio entro il dicembre 2014. La relazione analizzerà la necessità di una nuova legislazione in materia di norme sull'etichettatura obbligatoria, tenendo conto della necessità per il consumatore di essere informato, della fattibilità della fornitura dell'indicazione obbligatoria del Paese d'origine o del luogo di provenienza e un'analisi dei costi e benefici dell'introduzione di tali misure, tra cui l'impatto sul mercato interno e sul commercio internazionale;
    in data 6 febbraio 2014 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sul regolamento di esecuzione (UE) n. 1337/2013 della Commissione del 13 dicembre 2013, che fissa le modalità di applicazione del regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, per quanto riguarda l'indicazione del Paese di origine o del luogo di provenienza delle carni fresche, refrigerate o congelate di animali della specie suina, ovina, caprina e di volatili;
    nella risoluzione, il Parlamento europeo chiede alla Commissione di ritirare e, conseguentemente redigere una versione riveduta del regolamento di esecuzione (UE) n. 1337/2013 della Commissione del 13 dicembre 2013, che fissa le modalità di applicazione del regolamento (UE) n. 1169/2011. La modifica sostanziale richiesta dal Parlamento europeo riguarda l'indicazione obbligatoria in etichettatura del luogo di nascita, nonché dei luoghi di allevamento e di macellazione dell'animale per le carni non trasformate di animali della specie suina, ovina, caprina e di volatili, in conformità alla legislazione vigente in materia di etichettatura di origine delle carni bovine. La Commissione viene inoltre invitata a eliminare le deroghe previste per le carni macinate e le rifilature;
    la decisione dei parlamentari europei scaturisce da alcune considerazioni:
     a) l'indicazione dell'origine sull'etichetta è attualmente obbligatoria per le carni bovine e i prodotti a base di carni bovine all'interno dell'Unione come conseguenza della crisi dell'encefalopatia spongiforme bovina (ESB) e le norme dell'Unione europea in materia di etichettatura delle carni bovine sono in vigore dal 1o gennaio 2002; considerando che tali requisiti in materia di etichettatura includono già i luoghi di nascita, di allevamento e di macellazione;
     b) i suddetti requisiti applicabili alle carni bovine e ai prodotti a base di carni bovine hanno aumentato le aspettative dei consumatori per quanto riguarda le informazioni sull'origine di altri tipi di carni largamente consumate nell'Unione;
     c) il regolamento relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori sottolinea che l'origine delle carni è di primaria importanza per i consumatori e questi di conseguenza si aspettano di essere adeguatamente informati in merito al Paese di origine delle carni; considerando che ciò è ulteriormente confermato da recenti studi e dalle conclusioni di ricerche condotte sui consumatori;
     d) al fine di fornire ai consumatori informazioni esatte sull'origine delle carni, l'indicazione dei luoghi di nascita, di allevamento e di macellazione dovrebbe figurare sull'etichetta degli alimenti. Ciò consentirebbe, inoltre, ai consumatori di ottenere un quadro più completo delle norme in materia di benessere degli animali e dell'impatto ambientale di un prodotto a base di carne;
    i recenti scandali alimentari, tra cui la sostituzione fraudolenta di carni bovine con carne di cavallo, hanno dimostrato che regole più severe in materia di tracciabilità e di informazione dei consumatori sono tanto necessarie quanto volute dai consumatori medesimi;
    l'etichettatura «UE» o «non-UE» per le carni macinate e le rifilature è pressoché priva di significato e potrebbe creare un precedente indesiderato, soprattutto in relazione all'eventuale futura indicazione del paese di origine sull'etichetta per le carni utilizzate come ingrediente;
    i requisiti relativi all'etichettatura di origine per le carni bovine dimostrano che un'indicazione più precisa dell'origine per le carni macinate e le rifilature è non solo realizzabile, ma anche opportuna al fine di garantire l'informazione dei consumatori e la tracciabilità;
    la Commissione europea ha presentato la proposta di regolamento del Parlamento e del Consiglio europeo del 24 marzo 2014 COM(2014) 180, relativa alla produzione biologica e all'etichettatura dei prodotti biologici, a cui si aggiunge il «Piano di azione nazionale per il futuro della produzione biologica nell'Unione Europea» del 24 marzo 2014 COM(2014) 179, con cui si intende rivedere e aggiornare la normativa europea preesistente al fine di attualizzarla ai nuovi standard qualitativi che i consumatori, sempre più esigenti in termini di salubrità alimentare e consapevolezza del consumo sostenibile, richiedono al mercato. La produzione biologica in Italia e in Europa è inferiore alla domanda di mercato, anche se la superficie destinata alla produzione, biologica nell'Unione è raddoppiata e ogni anno circa 500.000 ettari supplementari vengono convertiti all'agricoltura biologica;
    il biologico è un presidio, fondamentale, di tutela della biodiversità dell'agricoltura e dell'agroalimentare europeo e italiano;
    lo  scopo di tali proposte è quello di eliminare gli ostacoli allo sviluppo sostenibile della produzione biologica nell'Unione, garantire condizioni di concorrenza eque tra gli agricoltori e gli operatori, e consentire al mercato interno di funzionare in modo più efficiente, mantenere e migliorare la fiducia dei consumatori nei prodotti biologici e, da ultimo, attuare un sistema di riconoscimento unico e affidabile degli organismi di controllo nei Paesi terzi;
    la legislazione europea, al fine di garantire un elevato livello di sanità umana, animale e vegetale, e garantire il funzionamento del mercato interno, prevede una serie di norme armonizzate per prevenire, eliminare o ridurre gli eventuali rischi di ordine sanitario per l'uomo, per gli animali e per le piante presenti nella «filiera agroalimentare», espressione intesa nella sua accezione più ampia per abbracciare tutti i processi, i prodotti e le attività relativi ai prodotti alimentari, alla loro lavorazione, e la normativa che garantisce che essi siano sicuri e idonei al consumo umano;
    la Commissione europea il 6 maggio 2013 ha presentato la proposta di regolamento del Parlamento e del Consiglio europeo COM(2013) 265 sui «controlli ufficiali», al fine di addivenire ad una armonizzazione indispensabile per i controlli di qualità, sia per la produzione biologica degli alimenti sia nell'ambito della catena di produzione di organismi geneticamente modificati, OGM;
    i controlli servono per evitare che Paesi membri, che hanno scelto di non coltivare sul proprio territorio gli OGM, e di consumare alimenti OGM free, si trovino nella situazione di avere armi spuntate nel contrastare il fenomeno, sempre più diffuso, di immissione fraudolenta sul mercato di OGM e alimenti insalubri, viste le ultime vicende dell’escherichia coli trovata nei pomodori di varietà ciliegino, provenienti dal Marocco, commercializzati in alcuni Stati dell'Unione;
    la proposta di regolamento è volta a stabilire una base giuridica solida sia per la proposta di regolamento sul biologico che per quella sugli OGM;
    il 12 giugno 2014 si è tenuto il Consiglio ambiente dell'Unione europea che ha approvato a larga maggioranza, con le sole astensioni di Belgio e Lussemburgo, il testo di compromesso politico della Presidenza greca – sulla base di una proposta della Presidenza danese – sulla proposta di regolamento COM(2010) 375 di modifica della direttiva 2001/18/CE volta a lasciare maggiore libertà agli Stati membri in materia di coltivazione sul loro territorio, o parte di esso, di OGM, anche per motivi diversi dalla tutela della salute pubblica e dell'ambiente. Il testo che adesso dovrà tornare in seconda lettura al Parlamento europeo, pur rappresentando un passo avanti rispetto alla normativa vigente, non recherebbe sufficienti garanzie in sede legale (Corte di giustizia europea) per quei Paesi, come l'Italia, che vogliono ri-nazionalizzare le autorizzazioni per la semina di organismi geneticamente modificati sul proprio territorio;
    il testo prevede che, durante la fase istruttoria coordinata dall'EFSA sulla richiesta di introduzione sul mercato europeo di un prodotto OGM da parte di una impresa biotech, lo Stato membro può chiedere l'esclusione del proprio territorio dalla fase della «coltivazione» (in questo caso le aziende biotech avranno un ruolo formale nel processo di messa al bando della coltivazione di OGM, oltre ad impedire agli Stati membri di utilizzare le motivazioni legate ai rischi per la salute e l'ambiente). Nel caso in cui nessun accordo fosse raggiungibile con l'impresa biotech sulla limitazione geografica, lo Stato membro è autorizzato ad assumere un proprio provvedimento di divieto o limitazione della «coltivazione», motivandolo anche con ragioni di politica agricola. È previsto, in tal caso, un esame da parte della Commissione europea sul contenuto del provvedimento, esame che dovrà esaurirsi entro un periodo di 75 giorni, cessato il quale lo Stato potrà procedere, unilateralmente, recependo o no le osservazioni della Commissione europea. Lo Stato membro può attivare analoga procedura anche per i prodotti OGM già autorizzati a livello comunitario entro il termine di sei mesi dall'entrata in vigore della nuova direttiva. In realtà la nuova proposta di regolamento non prevede specifiche disposizioni relative alla contaminazione transfrontaliera, questione posta sia dalla Francia che dalla Germania, né tantomeno affronta i rischi legati alla coesistenza con specie no biotech. Peraltro, la proposta non ha alcuna disposizione relativa alla valutazione del rischio ambientale, sanitario e socio-economico degli OGM e, specificatamente, degli effetti a lungo termine degli OGM;
    in data 29 aprile 2010 veniva approvato dalla Conferenza Stato-regioni il «Piano nazionale del settore florovivaistico per il 2010/2012». Il piano evidenziava numerose problematiche, a tutt'oggi ancora irrisolte, che erano e sono di diretta conseguenza di dinamiche commerciali a livello internazionale per le quali è urgente, oggi più che mai, proporre alla nuova Commissione europea di istituire, nell'ambito della direzione generale dell'agricoltura e dello sviluppo rurale, un «Comitato Permanente del settore florovivaistico», con la partecipazione dei 28 rappresentanti istituzionali degli Stati membri, al fine di affrontare e discutere tematiche comuni, volte, tra l'altro, a predisporre un regolamento comunitario specifico ed armonizzato del settore che garantisca le aziende, gli operatori e, quindi, tutta la filiera di settore in un periodo di evidente crisi e recessione del comparto;
    sono svariate le problematiche che rendono necessaria ed indifferibile la necessità di istituire un «comitato permanente» che supporti una politica comunitaria armonizzata e condivisa del settore florovivaistico con regole chiare, che vadano oltre i poco incisivi e scarsamente funzionali «Gruppi consultivi» di supporto alla Commissione europea, istituiti ai sensi della decisione della Commissione n. 391/CE del 23 aprile 2004, come il gruppo della «Floricoltura e Piante ornamentali»;
    la nuova programmazione 2014-2020 della politica agricola comune e, specificatamente, il regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013, recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli, ha riconfermato per il settore florovivaistico, quanto stabilito dal precedente regolamento (regolamento (CE) n. 1234/2007 del Consiglio del 22 ottobre 2007), che il comparto delle piante vive e dei prodotti della floricoltura non dispone più di strumenti specifici, pur se limitati, previsti dalla precedente OCM di settore, in quanto incorporato in una normativa unica per tutti i settori;
    la bioeconomia rappresenta una delle possibilità, per i settori produttivi del sistema Europa, di rilancio dell'economia in chiave green con l'utilizzo di sottoprodotti agricoli che rappresentano, se non valorizzati opportunamente, delle esternalità negative per l'ambiente e la società;
    i materiali naturali rinnovabili e, in particolar modo quelli in eccesso, potrebbero essere il punto di partenza di nuovi e sostenibili cicli di produzione di una nuova politica industriale europea che sappia valorizzare le potenzialità inespresse che l'agricoltura può offrire per il rilancio dell'economia dell'Unione;
    la Commissione europea con la comunicazione ((2011) 809) del 30 novembre 2011 ha istituito il programma quadro di ricerca e innovazione «Horizon 2020» (regolamento n. 1291/2013 dell'11 dicembre 2013). All'interno del programma vi è la priorità «bioeconomy» che si aggiunge alla successiva comunicazione ((2012) 60) del 13 febbraio 2012 con cui si istituisce in Europa una strategia per una bioeconomia sostenibile. La bioeconomia per poter trovare una reale applicazione di sistema integrato con gli altri Stati membri, necessiterebbe di una propria e autonoma regolamentazione comunitaria che abbia quale primo presupposto il monitoraggio e la successiva catalogazione, all'interno di un network della conoscenza europeo, con cui procedere all'implementazione nei cicli socio-produttivi, delle innovazioni che stanno interessando, nell'ultimo lustro, il campo dell'agro-bioeconomia;
    in merito alla riforma del settore fitosanitario, il 6 maggio 2013 la Commissione europea ha presentato una proposta di riforma (COM(2013)267) sugli «organismi nocivi per la piante» con l'obiettivo di migliorare le garanzie dei prodotti presenti sul mercato europeo e favorire il commercio internazionale;
    al G8 del 17 giugno 2013 sono stati avviati ufficialmente i negoziati per un partenariato in materia di commercio e investimenti tra gli Stati Uniti e l'Unione europea (Transatlantic Trade and Investment Partnership, TTPI). L'avvio dei negoziati è stato possibile dopo che il Consiglio dei ministri competenti per il commercio ha approvato, il 14 giugno 2014, il mandato negoziale per la Commissione. L'agricoltura rappresenta una «grande parte» dei negoziati. Specificatamente, per quanto riguarda i temi della sostenibilità agricola e ambientale, dello sviluppo delle aree rurali e delle indicazioni geografiche, sono particolarmente rilevanti per gli Stati membri dell'Unione, in particolare modo per l'Italia, considerato l'elevato numero di produzioni di qualità (DOP, DOCG, IGP, STG);
    la direttiva 91/676/CEE del Consiglio, del 12 dicembre 1991, relativa alla protezione delle acque dell'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole, consente agli Stati membri di derogare al limite di 170 chili di azoto per ettaro all'anno a determinate condizioni particolarmente stringenti;
    gli Stati membri devono dimostrare di essere in grado di raggiungere gli obiettivi della direttiva migliorando le altre misure definite dai programmi d'azione e riducendo le perdite di nutrienti in altri modi. La deroga, per l'impiego di quantitativi di effluenti di allevamento superiori a 170 chili di azoto per ettaro all'anno previsti dalla direttiva, deve essere giustificata da criteri obiettivi quali, ad esempio, stagioni di crescita prolungate, colture ad elevato assorbimento di azoto, elevate precipitazioni o condizioni eccezionali dei terreni. La deroga è autorizzata con decisione della Commissione, previo parere del «Comitato nitrati»;
    occorre una interpretazione aggiornata dell'applicazione della deroga al limite di 170 chili di azoto per ettaro all'anno, che consideri l'evoluzione intervenuta nei sistemi di gestione e trattamenti dell'effluente di allevamento nel corso del quasi quarto di secolo che ormai contraddistingue la vita della direttiva stessa;
    sarebbe opportuno prendere atto che sono oggi disponibili processi di trattamento dell'effluente di allevamento (ad esempio, digestione anaerobica più separazione spinta) che lo rendono nella pratica agronomica equiparabile ai fertilizzanti di sintesi. Serve, in particolare, considerare che le tecniche di gestione che vengono messe in atto per rendere possibile la sostituzione del concime chimico con l'effluente trattato, risultano anche ampiamente migliorative del complessivo impatto ambientale sia per quanto riguarda le acque, ma soprattutto per quanto riguarda le emissioni in atmosfera;
    da un recente rapporto dell'istituto superiore per la protezione ambientale, ISPRA, illustrato ai Ministri delle politiche agricole alimentari e forestali e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché alle regioni del Nord Italia, relativamente alle responsabilità che ha agricoltura di inquinare le falde acquifere con i nitrati di origine zootecnica, vi è da parte dell'ente la constatazione che «...l'impatto interessa non più del 10 per cento delle superfici, tranne in Piemonte dove il tasso sale al 19 per cento...»;
    secondo l'ISPRA, dunque, «...non può essere attribuita prevalentemente al settore zootecnico la responsabilità del processo di contaminazione da nitrati alle sorgenti...». Lo studio rimette in discussione il limite dei 170 chili di azoto per ettaro che si possono ogni anno distribuire nelle zone vulnerabili. Le mappe attuali delle zone a rischio ambientale risalgono al 2006 mentre fino al prossimo anno gli allevamenti, che ne faranno richiesta, potranno usufruire di una deroga, concessa dalla Commissione europea, che consente di arrivare a distribuire fino a 250 chili di azoto nelle aree vulnerabili,

impegna il Governo:

   a proseguire in sede comunitaria, nelle iniziative finalizzate a definire, nel quadro di quanto stabilito nel regolamento (UE) n. 1169/2011, norme puntuali e incisive in materia di origine dei prodotti, prevedendo l'obbligatorietà dell'indicazione dell'origine dei prodotti anche per i settori attualmente non contemplati dalla regolamentazione vigente;
   a rendere pubblici i risultati della consultazione pubblica sull'obbligatorietà dell'etichettatura d'origine degli alimenti, che si è conclusa il 16 maggio 2014;
   a promuovere in sede comunitaria le idonee iniziative al fine di poter consentire al nostro Paese di tutelare il made in Italy con un sistema di etichettatura dei prodotti agroalimentari che salvaguardi la biodiversità agroalimentare nella sua interezza culturale;
   ad avviare le trattative politico-istituzionali al fine di veder riconosciuta all'Italia la possibilità di utilizzare le «disposizioni ulteriori» stabilite dall'articolo 39 del Regolamento (UE) 1169/2011 per specifici motivi quali: la protezione della salute pubblica e dei consumatori, la prevenzione delle frodi, la repressione della concorrenza sleale, la protezione dei diritti di proprietà industriale e commerciale, nonché la tutela delle indicazioni di provenienza e denominazioni di origine controllata;
   nel semestre di presidenza ad assumere iniziative per giungere, in tempi brevi, ad un accordo politico sul dossier relativo all'agricoltura biologica e all'etichettatura dei prodotti biologici, limitare l'eccessivo ricorso allo strumento del conferimento alla Commissione europea del potere di adottare atti delegati di attuazione del regolamento, in assenza di precisi criteri direttivi espressamente indicati nel regolamento, esercitare un monitoraggio preventivo sull'esercizio di tali deleghe, far inserire la ristorazione collettiva e la ristorazione biologica nel regolamento per ciò che attiene, per esempio, la refezione scolastica al fine di contenere, e sempre più ridurre i rischi di frodi alimentari, rivedere le disposizioni sugli scambi commerciali con i Paesi terzi, con l'obiettivo di evitare operazioni fraudolente, auspicando, in futuro, accordi di libero scambio che abbiano un regime di conformità agli standard qualitativi previsti dai disciplinari tecnici di produzione dell'Unione, con lo scopo di tutelare tutta la filiera di produzione e il consumo dei prodotti agro alimentari;
   ad assumere iniziative per far inserire, quali condizione obbligatoria, negli accordi di libero scambio con i Paesi terzi, gli standard di qualità previsti nel regolamento sui «controlli ufficiali» che devono essere rispettati, da quei Paesi che vogliono commercializzare con l'Europa, secondo il «principio di reciprocità»;
   a far sì che il dossier riguardante la proposta di regolamento sui «controlli ufficiali» venga approvato entro il semestre di presidenza italiana al fine di dare una robusta e solida base giuridica alle due altre proposte di regolamento in discussione (biologico e organismi geneticamente modificati);
   a chiudere il dossier sulla proposta di regolamento COM (2010) 375 entro il semestre e, contestualmente, a porre in essere le opportune iniziative di modifica del testo approvato, consentendo così una vera e propria ri-nazionalizzazione delle colture in difesa della biodiversità e della qualità agroalimentare, di prevedere effettivamente, senza l'ausilio formale delle aziende biotech, la possibilità di vietare la coltivazione di OGM sul territorio dello Stato membro interessato, di dare attuazione alle conclusioni del Consiglio ambiente adottate il 4 dicembre 2008 e della risoluzione del 5 luglio 2011 (P7–TA(2011)0314) del Parlamento europeo, che davano un quadro giuridico più robusto per i divieti nazionali, come per esempio il divieto di coltivazione di OGM anche per problemi di carattere ambientale;
   ad assumere iniziative per modificare la base giuridica della proposta di regolamento COM(2010) 375, che modifica la direttiva 2001/18/CE, attualmente fondata sull'articolo 144 del Trattato di funzionamento dell'Unione europea, TFUE, basandola sugli articoli 191 e 192 del TFUE;
   ad avviare il dossier per strutturare una proposta di regolamento per il settore florovivaistico, disciplinandolo in maniera chiara e alla pari di tutti gli altri settori che compongono l'organizzazione comune di mercato, nonché di applicare controlli stringenti e reali riferiti all'aspetto fitosanitario e fitopatologico visto l'elevato numero di fitopatie, anche di natura epizoiche, che hanno fortemente interessato il territorio italiano negli ultimi anni, ed anche, per salvaguardare l'ambiente e tutelare la salubrità umana rispetto all'importazione, dai Paesi terzi, di materiale vegetativo con elevata presenza di residui fissi di fitofarmaci che sono cancerogeni per l'uomo e dannosi per l'ecosistema;
   ad avviare una base di discussione in sede comunitaria al fine di approntare il dossier di proposta di regolamento sulle agroenergie e l'agro-bioeconomia, mettendo al centro dell'impianto teleologico della proposta l'utilizzo dei sottoprodotti agricoli e agroalimentari, non più edibili per l'uomo, quali presupposti di una razionalizzazione degli sprechi in chiave di una «new green farm society economy»;
   a contribuire alla prosecuzione dei lavori della proposta di riforma (COM(2013)267) sugli «organismi nocivi per la piante», esaminato dalla plenaria del Parlamento europeo in data 14 aprile 2014, che sta diventando sempre più strategico per il commercio internazionale, anche per evitare ogni possibile forma di speculazione sull'utilizzo, a volte improprio, delle barriere fitosanitarie;
   a tenere costantemente informato il Parlamento sull'andamento dei negoziati sul Transatlantic Trade and Investment Partnership e, nelle sedi europee, a sostenere la necessità della massima trasparenza da parte della Commissione europea cui è affidato il mandato negoziale, e ad attivarsi per fare inserire nella fase negoziale l'obbligo di etichettatura e tracciabilità dei prodotti agroalimentari liberi da organismi geneticamente modificati a tutela degli agricoltori, dei produttori, dei consumatori e delle peculiarità agroalimentari dei territori;
   a promuovere l'apertura di un tavolo con la Commissione europea al fine di ridiscutere l'impianto della «direttiva nitrati», n. 91/676/CEE, la quale necessita di una ridefinizione attualizzata della questione, alla luce dell'evoluzione del contesto temporale e tecnologico.
(7-00421) «Franco Bordo, Scotto, Palazzotto».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   SORIAL. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il mondo sta assistendo ad una terribile ripresa del conflitto nella Striscia di Gaza, tra israeliani e palestinesi, che ha già provocato più di 200 morti e più di 1500 feriti tra i palestinesi e si è registrata il 16 luglio, anche la prima vittima israeliana: un civile israeliano rimasto ucciso al valico di Erez;
   la crisi pare sia stata innescata dall'uccisione di tre giovanissimi ragazzi israeliani rapiti il 12 giugno scorso, che ha dato vita ad azioni di rappresaglia, nonostante la smentita da parte di Hamas, incolpata da Israele, di avere la responsabilità degli omicidi;
   secondo la dichiarazione del portavoce Sami Abu Zuhri alla France Presse «la scomparsa e l'uccisione dei tre israeliani è basata solo sulla versione di Israele. L'occupazione sta cercando di usare questa storia per giustificare una guerra ad ampio raggio contro il nostro popolo»;
   in risposta ai tre omicidi, le frange estremiste israeliane (estremisti de La Familia) nella notte tra il 30 giugno e il 1o luglio hanno rapito un ragazzo palestinese e lo hanno ucciso bruciandolo vivo;
   il premier israeliano Netanyahu, in risposta ai lanci di razzi da parte di Hamas dalla Striscia di Gaza, dopo un iniziale atteggiamento di prudenza e moderazione, ha deciso di rispondere con un'azione militare, bombardando Gaza, comunicando all'esercito di prepararsi per una «una campagna forte, continua e lunga»;
   dopo una tregua durata solo alcune ore, il 15 luglio 2014, i bombardamenti sono ricominciati e la situazione sta peggiorando di ora in ora; l'esercito israeliano avrebbe chiesto a 100 mila persone nel nord e nell'est della Striscia di Gaza di evacuare le loro case, come riporta Ynet, citando fonti militari secondo cui i palestinesi hanno ricevuto dei messaggi in proposito;
   sembra che da anni ormai manchi un ruolo politico dell'Europa nel quadro di questi scontri, se non come sostegno economico e finanziario all'ANP e alla cooperazione euro-mediterranea, nonostante sia non solo responsabilità di tutti attivarsi per la pace nel Medioriente, ma ci sia anche una ricaduta diretta di tali scontri per i Paesi europei, ovvero l'aumento dei flussi migratori nel Mediterraneo già alimentati dalle altre crisi in Eritrea, Iraq e Siria –:
   quali siano gli orientamenti del Governo sui fatti riportati in premessa e se non si ritenga necessaria una forte presa di posizione del nostro Paese al fianco del Parlamento europeo, dell'Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite e delle organizzazioni umanitarie internazionali per intraprendere un serrato dialogo diplomatico per una ripresa del processo di pace, al fine di scongiurare terribile escalation di violenza ora in atto, che mette a repentaglio la vita della popolazione civile;
   se il Governo non intenda intervenire anche in sede europea, in considerazione del semestre di presidenza italiana dell'Unione europea, nell'ottica di dare all'Europa un ruolo più attivo e incisivo nella

politica mediterranea nella promozione di una strategia a lungo termine, che possa attivare un processo politico di negoziato e cooperazione per arrivare alla pace reale e duratura tra i due popoli israeliano e palestinese. (4-05589)


   GULLO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la tutela della salute costituisce principio fondamentale costituzionalmente garantito;
   ad ogni cittadino deve essere garantito il diritto di vivere in un ambiente salubre;
   i campi elettromagnetici hanno assunto un'importanza crescente legata allo sviluppo dei sistemi di telecomunicazione diffusi capillarmente sul territorio;
   l'intensificazione della rete di trasmissione elettrica nonché la diffusa urbanizzazione hanno contribuito a destare interesse circa i possibili effetti sulla salute derivanti dalla permanenza prolungata in prossimità di queste fonti di emissioni di onde elettromagnetiche;
   il decreto ministeriale n. 381 del 1998 prevede le disposizioni per il risanamento dei siti non a norma;
   non appare sufficiente che all'individuazione di tali siti si proceda a seguito di esposti o denunce;
   comunque, i monitoraggi ad oggi eseguiti non appaiono sufficienti a tutelare in modo completo la salute dei cittadini;
   vista la diffusione dei campi elettromagnetici ed il loro esponenziale aumento sarebbe necessario un sistema di monitoraggio generale del Paese –:
   quali iniziative urgenti si intendano prendere, per quanto di competenza, al fine di eliminare i rischi per la salute dei cittadini ed effettuare azioni costanti, effettive ed efficaci di controllo e monitoraggio in tutta Italia;
   se si intendano assumere iniziative normative a sostegno delle famiglie colpite da patologie legate all'inquinamento elettromagnetico. (4-05593)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PES. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   una società di Genova, la Interconsult, avrebbe presentato un progetto per la realizzazione di un parco eolico offshore, circa 50 pale alte cento metri e piantate su un fondale di una settantina di metri, da installarsi davanti al Golfo di Oristano, a una quindicina di chilometri da capo San Marco e dall'area marina protetta Sinis Mal di Ventre e altrettanti dalla spiaggia di Pistis;
   a metà dicembre, dello scorso anno, sarebbe iniziato l’iter burocratico per l'acquisizione dei pareri, sulla fattibilità dell'impianto, che, però, avrebbe avuto un primo esito negativo da parte della capitaneria di porto di Oristano, a seguito di valutazioni oggettivamente sfavorevoli sia per la pericolosità che l'impianto eolico potrebbe causare alla navigazione, in particolar modo alle navi in entrata e in uscita dal porto industriale, sia per i danni che potrebbe arrecare alla pesca, alla nautica da diporto e anche alle attività di addestramento dei poligoni di Capo Frasca che utilizzano rotte anche a bassa quota, che avrebbe bloccato la pratica rendendo inutile la «pubblicazione» dell'istanza alla quale sarebbero dovute seguire le osservazioni ai enti, istituzioni e cittadini interessati e poi la Conferenza dei Servizi con tutte le parti in causa;
   la società Interconsult, a seguito del blocco dell'istanza avanzata, sarebbe intenzionata a presentare ricorso al TAR sulla pronuncia della capitaneria;
   l'eolico può rappresentare una valida fonte di energia alternativa, ma, è assolutamente necessario salvaguardare il mare della Sardegna e le sue coste dall'uso selvaggio e indiscriminato e dall'abuso dell'ambiente, sfruttato ai danni del patrimonio paesaggistico;
   le coste sarde per le caratteristiche che le contraddistinguono devono essere tutelate da qualsiasi intervento di eolico off-shore; più volte gli abitanti dell'Oristanese hanno espresso la loro contrarietà a simili progetti anche con manifestazioni pubbliche, come accadde per il territorio di Is Arenas, Abarossa e marina di Arbus in cui erano state avanzate proposte per l'insediamento di un parco eolico;
   a poche miglia dall'eventuale dislocazione dell'impianto sono presenti oasi naturalistiche, un'area marina protetta e importanti insediamenti archeologici come la città fenicio-punica di Tharros;
   l'economia della Sardegna e della costa Occidentale dell'isola che nel turismo, nella pesca e nell'acquacoltura alcune delle principali risorse, sarebbe seriamente compromessa a causa dell'impatto paesaggistico assolutamente insostenibile dell'eolico che potrebbe arrecare anche effetti negativi nella valorizzazione del territorio;
   le acque, durante le fasi di costruzione del parco eolico, potrebbero essere contaminate per un eventuale rilascio di carburanti, lubrificanti e altre sostanze nocive;
   quali iniziative intendano assumere per tutelare il territorio suddetto, comprensivo dell'area marina protetta e la costa oristanese, da eventuali insediamenti come quello che la società di cui sopra avrebbe in programma;
   se possano assumere qualsiasi iniziativa urgente per bloccare questo tipo di opere che rischiano di compromettere l'ambiente e lo specchio acqueo con un insediamento gravemente invasivo, ledendo norme che disciplinano l'impatto paesaggistico e ambientale. (5-03257)


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, SEGONI, TERZONI, ZOLEZZI, CANCELLERI, CURRÒ, DI BENEDETTO, D'UVA, DI VITA, GRILLO, LOREFICE, LUPO, MARZANA, NUTI, RIZZO e VILLAROSA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con l'interrogazione parlamentare n. 5-02776 – sottoscritta dai deputati del Movimento 5 Stelle componenti della Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici e dagli eletti dello stesso movimento nelle circoscrizioni elettorali Sicilia 1 e Sicilia 2 – sono stati richiesti al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti dei chiarimenti, in merito alle operazioni di trasbordo del pet-coke effettuate nello scalo di Porto Empedocle nel mese di aprile 2014;
   nell'interrogazione, tra le altre cose, è stato specificatamente chiesto se e in che modo fosse stato accertato che il pet-coke movimentato non contenesse un quantitativo di zolfo superiore a quello indicato nel citato Allegato X del decreto legislativo n. 152 del 2006 e rispettasse i requisiti precisati nello stesso decreto legislativo, che deve avere per poter essere classificato e utilizzato come combustibile;
   in riscontro al quesito richiamato sopra, il Ministero delle infrastrutture e delle Infrastrutture ha scritto quanto segue:
    «il valore in percentuale del quantitativo di zolfo contenuto nel pet-coke che arriva allo scalo di Porto Empedocle è riportato sul documento Petcoke cargoes declaration by shipper prodotto dal caricatore, in via preventiva, ai fini del rilascio dell'autorizzazione allo sbarco del prodotto, ed è pari al 4,5/5 per cento. Il quantitativo del tenore di zolfo, come riportato nella parte I, paragrafi 2 e 5 dell'allegato X del citato decreto legislativo, riguarda gli impianti di combustione»;
   rispondendo all'interrogazione, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha fornito, altresì, le seguenti informazioni:
   a)  per lo svolgimento delle attività di imbarco e di sbarco di materiali, come il pet-coke, gli operatori portuali sono tenuti a richiedere l'autorizzazione, di cui all'articolo 16 della legge n. 84 del 1994 senza l'obbligo di assoggettare dette attività alla valutazione di impatto ambientale ovvero a verifica di assoggettabilità a VIA;
   b)  il consulente chimico del porto, di norma, rilascia un certificato con il quale esprime parere favorevole allo sbarco, nel caso in cui venga presentata istanza di sbarco e imbarco di pet-coke;
   c)  non esistono disposizioni normative che impongono alle autorità marittime di adottare una specifica modalità per il trasbordo del pet-coke, quale il «suction unloading» che, al contrario di quanto può avvenire ricorrendo alla modalità meccanica – come nello scalo di Porto Empedocle – annulla il rischio di dispersione del pericolosissimo materiale polverulento contenuto nel pet-coke;
   dalla movimentazione del pet-coke possono derivare concreti e gravi danni alle matrici ambientali esposte durante le operazioni di sbarco e trasporto, che si vanno ad aggiungere a quelli determinati dalla combustione dello stesso materiale in impianti come il cementificio di Isola delle Femmine;
   la classificazione del pet-coke come combustibile e il suo utilizzo all'interno di impianti – come la cementeria di Isola delle Femmine – è strettamente subordinato al rispetto delle soglie percentuali massime di zolfo in massa fissate nell'allegato X alla parte quinta del decreto legislativo n. 152 del 2006 e delle caratteristiche indicate nella parte II dello stesso decreto –:
   se un quantitativo di pet-coke – con le caratteristiche descritte nel «Petcoke cargoes declaration by shipper» presentato dal caricatore in occasione dello sbarco nello scalo di Porto Empedocle – rispetti i valori di soglia e i requisiti stabiliti nel decreto legislativo n. 152 del 2006, e in particolare nell'allegato X alla parte quinta dello stesso decreto, e dunque abbia le caratteristiche per essere classificato come combustibile, ed essere utilizzato come tale all'interno della cementeria di Isola delle Femmine;
   se, alla luce dell'elevata pericolosità del pet-coke, ritenga che la tutela dell'ambiente e in particolare delle matrici ambientali esposte durante le operazioni di imbarco e di sbarco possa essere adeguatamente assicurata dalla normativa vigente in materia di trasporto alla rinfusa di materiali solidi, che rimette al caricatore l'onere di attestare la composizione del materiale e al servizio chimico di Porto di verificarne la regolarità, e affida, in via esclusiva, alle autorità «marittime il potere di concedere il nulla osta alle operazioni di imbarco e di sbarco dello stesso materiale e di vigilare sullo svolgimento delle stesse;
   se ritenga che possa essere considerato idoneo a salvaguardare l'ambiente un regime normativo, come quello vigente, che non prevede espressamente:
   a) l'assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale ovvero alla verifica di assoggettabilità a VIA delle richieste di autorizzazione all'esercizio delle attività portuali, se presentate da operatori portuali che movimentano il pet-coke;
   b) l'obbligo, per le autorità portuali, di adottare forme di regolamentazione della movimentazione del pet-coke che impongano il ricorso alla cosiddetta modalità «suction unloading». (5-03263)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PELLEGRINO, FRANCO BORDO, ZANIN, ZACCAGNINI, GALLINELLA, BRATTI, RIZZETTO, PRODANI, OLIVERIO, CENNI, CIVATI, BRANDOLIN, ANZALDI, SGAMBATO, MONGIELLO, MOGNATO, MONACO, RIBAUDO, REALACCI, DE ROSA, DAGA, SEGONI, BRAGA, MAZZOLI, BORGHI, GADDA, MARIANI, ARLOTTI, ZARATTI, MARCON, PAGANI e PALMA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Ministero della salute adottato di concerto con il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di adozione delle misure d'urgenza ai sensi dell'articolo 54 del Regolamento CE n. 178/2002 concernenti la coltivazione di varietà di mais geneticamente modificato MON 810 del 12 luglio 2013, vieta nel territorio nazionale la coltivazione di varietà di mais MON 810, entro il termine massimo di 18 mesi dalla sua adozione;
   l'articolo 4, ultimo comma, del decreto-legge 24 giugno n. 91, recante disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l'efficientamento energetico dell'edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea, punisce con la reclusione da 6 mesi a tre anni e con la multa da euro 10.000 a euro 30.000 chi viola i divieti di coltivazione con atti adottati, anche in via cautelare, ai sensi degli articoli 53 e 54 del Regolamento (CE) n. 178/2002;
   la legge regionale del Friuli Venezia Giulia del 28 marzo 2014 n. 5 vieta la coltivazione di mais geneticamente modificato per un periodo non superiore a 12 mesi dalla sua entrata in vigore e dispone l'applicazione ai trasgressori della sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 euro a 50.000 euro irrogata dal Servizio competente in materia di Corpo forestale regionale;
   il Tar del Lazio il 24 aprile 2014 ha respinto il ricorso proposto da un imprenditore agricolo friulano per ottenere l'annullamento del decreto interministeriale del 12 luglio 2013;
   è stata rigettata, da parte del Consiglio di Stato, la richiesta di sospensione in via cautelare degli effetti del decreto interministeriale citato;
   il corpo forestale della regione Friuli Venezia Giulia ha disposto il sequestro del materiale vegetale transgenico con conseguente distruzione del campo coltivato presso il comune di Mereto di Tomba (UD);
   il 25 giugno 2014 e stata presentata istanza per ottenere una misura cautelare di sequestro conservativo del materiale transgenico in altri campi coltivati a OGM da parte della polizia giudiziaria presso la procura della Repubblica di Udine;
   tale richiesta, a quanto consta all'interrogante, ad oggi risulta ancora disattesa pur nella continuità della condotta illecita;
   non appaiono chiare le ragioni che inducono il procuratore aggiunto presso il tribunale di Udine, dottor Raffaele Tito, a negare continuità all'azione della polizia giudiziaria;
   ad avviso dell'interrogante il decorso di un periodo così lungo per dar seguito ad un intervento assolutamente necessario potrebbe interpretarsi come una grave negligenza considerato che il mais coltivato è prossimo alla fioritura e, pertanto, qualora non venga distrutto prontamente, finirà inevitabilmente per diffondersi nei campi limitrofi compromettendo gli obiettivi che le disposizioni normative richiamate, sia statali che regionali, intendono perseguire –:
   quali iniziative il Governo intenda promuovere per assicurare il rispetto delle leggi e per evitare che la coltivazione di mais OGM possa avvenire sul territorio italiano;
   se intenda valutare se sussistano i presupposti per disporre iniziative ispettive presso la procura della Repubblica di Udine alla luce di quanto rappresentato in premessa. (4-05596)


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la discarica di Corigliano d'Otranto, alla cui realizzazione hanno partecipato il Gruppo Marcegaglia, la regione Puglia e la società Acquedotto pugliese, della quale la regione detiene l'intero pacchetto azionario, è uno dei tre impianti salentini di smaltimento dei rifiuti, sorta in un'area contigua a una vecchia discarica, in attesa di una completa bonifica, proprio nell'area dei pozzi dai quali la società Acquedotto pugliese pompa l'acqua per i rubinetti delle famiglie del Salento;
   sotto la discarica, infatti, a settanta metri di profondità, si muove uno dei più ricchi bacini idrici delle regioni meridionali, decisivo per l'approvvigionamento potabile dell'intero Salento;
   sino agli anni Novanta l'ente per l'acquedotto aveva posto un veto sull'ipotesi di realizzare una discarica in tale collocazione, ma poi in nome dell'emergenza rifiuti e di un piano compilato senza lo svolgimento di alcuno studio preliminare le amministrazioni che si sono succedute hanno posto in secondo piano le ragioni dell'acqua;
   il posizionamento dell'impianto di stoccaggio dei rifiuti proprio sopra la falda acquifera che alimenta l'Acquedotto pugliese, potrebbe determinare un deterioramento della qualità delle acque, se non il vero e proprio avvelenamento del bacino idrico;
   la realizzazione della discarica desta grande allarme per la salute pubblica e sotto il profilo della tutela ambientale, e ha dato origine alla creazione di un coordinamento civico composto da una rete di oltre quaranta associazioni, tra cui la Lega italiana lotta ai tumori e Federconsumatori, che ha presentato diverse diffide alla prosecuzione e messa in funzione dell'opera, considerato che nella zona già si registra una percentuale di tumori tra le più alte d'Italia;
   in un parere sul progetto della discarica emesso dal CNR si legge che «perseverare nel progetto della maxi-discarica sarebbe inumano e mostruoso: l'inquinamento della falda da percolato è più una certezza che un rischio», perché il percolato – il liquido che si origina dall'infiltrazione dei rifiuti derivanti dai processi biologici e fisicochimici all'interno delle discariche – andrà direttamente ad inquinare le acque;
   la discarica appare all'interrogate, inoltre, in contrasto con il piano di tutela regionale delle acque di cui alla delibera del 19 giugno 2007, n. 883;
   infine, la realizzazione della discarica viola il principio di precauzione, sancito la prima volta nel corso della Conferenza sull'ambiente e lo sviluppo dell'ONU di Rio de Janeiro del 1992, e ufficialmente adottato a livello europeo come uno strumento di decisione nell'ambito della gestione del rischio in campo di salute umana, animale e ambientale;
   il principio di precauzione prevede che «Al fine di proteggere l'ambiente, un approccio cautelativo dovrebbe essere ampiamente utilizzato dagli Stati in funzione delle proprie capacità. In caso di rischio di danno grave o irreversibile, l'assenza di una piena certezza scientifica non deve costituire un motivo per differire l'adozione di misure adeguate ed effettive, anche in rapporto ai costi, dirette a prevenire il degrado ambientale»;
   con riferimento alla società Acquedotto pugliese già nel maggio del 2012 la Corte dei conti ha rilevato che «Sui bilanci dell'AQP pesano la minaccia di un indebitamento crescente, oltre ad alcuni dubbi espressi sul processo decisionale e sulla governance dell'Acquedotto» –:
   quali urgenti iniziative intendano assumere anche per il tramite del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente al fine di tutelare le popolazioni interessate dall'approvvigionamento delle acque provenienti dalla falda acquifera di cui in premessa e, più in generale, al fine di verificare lo stato dei luoghi. (4-05601)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DAGA, DE ROSA, TERZONI, BUSTO, MANNINO, MICILLO, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   secondo il quotidiano Il Tempo, articolo del 9 luglio 2014, la Società Autostrade per l'Italia ha proposto al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo il progetto denominato «Grand Tour per l'Appia Antica»;
   la via Appia Antica è una strada romana che collegava Roma a Brindisi il più importante porto per la Grecia e l'Oriente nel mondo dell'antica Roma;
   vista la natura storico-archeologica dell'Appia, si sono attivate, con un comunicato congiunto diffuso a mezzo stampa, a tutela della strada romana l'Associazione Bianchi Bandinella il Comitato per la bellezza ed altre associazioni tra cui Salviamo il paesaggio, Italia Nostra Roma, Rete dei comitati per la difesa del territorio, Eddyburg, Carteinregola, Comitato Fuori Pista –:
   quale sia il ruolo che Autostrade per l'Italia andrà a ricoprire all'interno di questo progetto tenuto conto che da anni gli enti competenti hanno progetti che non sono mai stati realizzati a causa della proclamata mancanza di fondi per realizzarli;
   quali siano le iniziative normative che il Ministro intende adottare per realizzare tale progetto;
   quali siano i motivi sottesi alla scelta di richiedere l'intervento di soggetti privati per la valorizzazione di un patrimonio culturale pubblico. (5-03260)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   GULLO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 52 della Costituzione recita che «difendere la Patria è sacro dovere del cittadino»;
   gli appartenenti alle Forze Armate ricoprono un ruolo essenziale per la sicurezza nazionale ed internazionale;
   lo status giuridico dei militari prevede la limitazione di alcune libertà che la Costituzione garantisce per tutti gli altri cittadini;
   alcune disposizioni relative al personale militare ed alla sua dislocazione sul territorio nazionale non appaiono propriamente congruenti con lo spirito attuale che dovrebbe regolare la materia ovvero con il particolare momento storico;
   i trasferimenti a domanda (cosiddetto svecchiamento), le richieste di ricongiungimento familiare, le procedure di mobilità tra Ministeri, le attribuzioni di sede ai sensi del decreto legislativo n. 267 del 2000 nonché quelli ai sensi della legge n. 104 del 1992 risultano procedere a rilento;
   l'ottica di spending review, che ha determinato gli ultimi Governi ad agire attraverso azioni dirette a ridurre le spese inutili o superflue;
   nonostante i nuovi scenari di politica internazionale ed il continuo arrivo di migranti in Sicilia si assiste ad una sistematica riduzione delle caserme e del personale al sud in generale ed in Sicilia in particolare;
   la maggioranza degli appartenenti alle Forze armate proviene dalle regioni meridionali in generale ed insulari in particolare;
   il PIL dell'ultimo anno ha visto la Sicilia molto indietro rispetto alle altre regioni;
   lo spostamento verso sud di caserme e militari, oltre a rispondere alla legittima aspettativa di molti cittadini di ritornare nei luoghi d'origine potrebbe determinare la crescita di un indotto utile a contrastare le attuali difficoltà economiche –:
   quali misure urgenti si intendano intraprendere per:
    a) individuare strumenti per razionalizzare il rapporto tra militari presenti per regione e necessità operative inerenti alle emergenze attuali;
    b) rispondere in modo celere, coerentemente alla «speciale» funzione dagli stessi rivestita, alle legittime aspettative di trasferimento a domanda, di ricongiungimento familiare, di mobilità tra Ministeri, di attribuzione di sede ai sensi del decreto legislativo n. 267 del 2000 nonché ai sensi della legge n. 104 del 1992;
    c) potenziare il numero delle strutture militari ubicate nel sud Italia ed in particolare in Sicilia ovvero aumentare il numero di appartenenti alle forze armate presenti. (4-05595)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   Lottomatica Group spa, nell'ottica di sviluppare il business su scala mondiale, cambiava la sua denominazione, a partire dal giugno 2013, in GTECH spa;
   controllata direttamente dal Gruppo De Agostini spa al 53,7 per cento, GTECH spa è oggi leader mondiale, sia come operatore commerciale che come fornitore di tecnologia, nei seguenti settori: lotterie online, istantanee e tradizionali, concorsi a pronostici, scommesse a totalizzatore e a quota fissa, gaming machine, terminali di gioco, sistemi centrali di controllo, software e servizi associati attraverso canali multigaming, giochi interattivi e servizi commerciali;
   in Italia opera sia in qualità di concessionario esclusivo – per determinati giochi come lotterie istantanee e tradizionali – sia in quanto concessionario non esclusivo per giochi come le scommesse sportive e gli apparecchi da intrattenimento, nonché nel settore dei servizi alle imprese e ai cittadini tramite la controllata Lottomatica Italia Servizi;
   inoltre, è l'operatore leader a livello mondiale nel campo dei sistemi di processing ad alta sicurezza per le Lotterie online, con attività in circa 60 Paesi in tutto il mondo, oltre a progettare, vendere e gestire una gamma completa di terminali per punti vendita abilitati alla gestione delle lotterie e sistemi centrali, terminali e servizi;
   dopo essersi aggiudicato negli Stati Uniti, in Illinois, la gestione di una lotteria statale, nei giorni scorsi Gtech Azzardo ha effettuato la più grande acquisizione commerciale da quando è iniziata l'attuale crisi economica. Le ultime acquisizioni che si ricordano da parte di una società italiana risalgono ai tempi di Enel ed Endesa nel 2007-2009 (13,5 miliardi di dollari) e di Drs Technologies da parte di Finmeccanica nel 2008 (oltre 5 miliardi di dollari). Questa operazione supera quella appena compiuta dalla Fiat, che per 4,35 miliardi di dollari ha recentemente acquisito il 41,5 per cento di Chrysler non ancora in suo possesso;
   per 6,4 miliardi di dollari la ex Lottomatica comprerà la società di Las Vegas «International Game Technologies», diventando il primo gruppo al mondo nell'intera gamma dei giochi, aggiungendo alla leadership nel settore delle lotterie anche quella delle lotterie delle slot machine, con sede in Gran Bretagna;
   in questo modo una delle storiche famiglie industriali italiane, detentori del marchio «De Agostini», porta a compimento una scalata cominciata nel 2002 con l'acquisizione di Lottomatica e proseguita nel 2006 con l'acquisizione da 4,7 miliardi di dollari dell'americana GTech attraverso cui si compirà questa nuova acquisizione. Al termine dell'operazione, attesa entro la prima metà del 2015, il gruppo De Agostini resterà proprietario del 47 per cento della nuova compagnia, che sarà di diritto inglese e sarà quotata solo a New York;
   si tratta dell'ultima operazione compiuta dai «big» dell'azzardo; i mercati hanno reagito bene, anche perché a differenza del caso Fiat, pone molti meno problemi di personale e di stabilimenti. La nuova società abbandonerà la borsa di Milano per essere quotata a Wall Street, dove la Igt ha fatto registrare un balzo dell'8 per cento;
   l'accordo è l'ultimo di una serie nel processo di consolidamento del settore del gioco alle prese con la rapida crescita dei giochi online;
   l'obiettivo del gruppo, che finora ha potuto fondare il suo successo sulle cospicue giocate degli italiani, sembrerebbe quello di ridurre l'esposizione al mercato italiano, considerato ormai «maturo». Un modo come un altro per dire che in Italia l'azzardo ha raggiunto un punto di espansione difficilmente superabile. Secondo gli analisti infatti, come ha recentemente ribadito uno studio del Politecnico di Milano, non ci sono molti altri margini di crescita in un settore che vede circolare più di 80 miliardi all'anno;
   questa situazione potrebbe aver spinto la Sisal a rinviare la decisione di quotarsi in Piazza Affari a causa dello scarso interesse degli investitori e forse per questo la multinazionale piemontese ha deciso di rinunciare a quotarsi in Italia;
   «l'operazione», secondo Gtech, «creerà un'azienda leader a livello mondiale nell'intera catena del valore nel settore dei giochi, con un posizionamento unico per capitalizzare le opportunità nei diversi settori del mercato globale»;
   il passaggio di Gtech negli USA potrebbe consentirgli di rifinanziare il suo indebitamento a tassi più convenienti e acquisire la leadership nel mercato dei giochi in Usa, Paese che a differenza dell'Italia ha ancora grandi potenzialità di crescita –:
   se corrisponda al vero il fatto che la nuova holding inglese avrà sedi operative a Roma, Las Vegas e Providence, ma sarà quotata solamente a Wall Street, per cui le azioni di Igt verranno ritirate dal Nyse e lo stesso accadrà per quelle di Gtech, che non scambieranno più a Piazza Affari;
   se non ritengano che questa vicenda possa determinare conseguenze sul gettito fiscale atteso dal Ministero dell'economia e delle finanze. (3-00959)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BERLINGHIERI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 5 comma 5 del decreto-legge n. 78 del 2010 recita: «Ferme le incompatibilità previste dalla normativa vigente, nei confronti dei titolari di cariche elettive, lo svolgimento di qualsiasi incarico conferito dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009 n. 196, inclusa la partecipazione ad organi collegiali di qualsiasi tipo, può dar luogo esclusivamente al rimborso delle spese sostenute; eventuali gettoni di presenza non possono superare l'importo di 30 euro a seduta»;
   secondo la Corte dei conti della Lombardia (parere 257/2012): «La norma sopra richiamata si inserisce nei più generali interventi di razionalizzazione e contenimento delle spese degli apparati pubblici che, negli ultimi anni, il legislatore ha dettato sia per gli apparati dello Stato sia per gli apparati gli enti locali ... omissis... Alla luce della linea interpretativa già adottata da questa Sezione, la norma trova applicazione per il titolare di cariche elettive che svolga “qualsiasi incarico conferito dalle pubbliche amministrazioni” di cui al comma 3 dell'articolo 1 della legge n. 196/2009 inclusa la partecipazione ad organi collegiali “di qualsiasi tipo”. Conseguentemente, la disposizione si applica a prescindere da qualsiasi “collegamento” tra l'Amministrazione conferente l'incarico e quella ove il destinatario del medesimo è titolare di carica elettiva. (Lombardia/144/2011/PAR del 24 marzo 2011). In sede di esegesi della norma ... omissis. .. mentre l'articolo 5 comma 5 comporta un risparmio di spesa senza – però – interdire lo svolgimento della relativa funzione ... omissis;
   pertanto, la ratio sottesa all'articolo 5, comma 5, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni nella legge 30 luglio 2010, n. 122, non è quella di interdire ex se lo svolgimento di “qualsiasi incarico” in favore di pubbliche amministrazioni da parte di titolare di carica elettiva, bensì quella di “escludere che il titolare di cariche elettive possa percepire ulteriori emolumenti per lo svolgimento di qualsiasi incarico conferito dalle pubbliche amministrazioni” di cui al comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009 n. 196, inclusa la partecipazione ad organi collegiali di qualsiasi tipo;
   sotto tale profilo, al soggetto che è titolare di carica elettiva è preclusa la possibilità di percepire emolumenti per lo svolgimento di “qualsiasi incarico conferito dalle pubbliche amministrazioni”, salva la possibilità di richiedere un rimborso spese delle spese sostenute, nonché eventuali gettoni di presenza che non possono superare l'importo di 30 euro a seduta;
   in conclusione, lo svolgimento di qualsiasi incarico di natura elettiva (a prescindere dalla percezione di un emolumento per lo stesso) determina l'applicazione del vincolo di finanza pubblica introdotto dall'articolo 5, comma 5, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78.»;
   un sempre maggior numero di amministrazioni locali, soprattutto in Lombardia e Toscana, interpreta il parere sopracitato nel senso che qualora un soggetto sia surrogato a carica elettiva (consigliere comunale) successivamente all'elezione a revisore dei conti presso un altro ente locale non possa percepire il compenso da revisore, neppure nel caso che rinunci a quello di consigliere comunale;
   la norma citata fa esplicito riferimento alle economie da conseguire negli «Organi costituzionali, di governo e negli apparati politici» (decreto-legge n. 78 del 2010, articolo 5);
   l'Organo di Revisione economico finanziaria:
    a) non fa parte degli organi costituzionali, non svolge funzioni di governo e non è inquadrabile fra l'apparato amministrativo o politico del comune;
    b) non è da comprendere fra gli «organi collegiali, anche di amministrazione» in quanto l'Organo di Revisione costituisce imprescindibili (in quanto organo obbligatorio e quindi non a incarico volontario) organi di revisione;
    c) non può essere compreso tra gli organi di amministrazione e controllo in quanto – nella pubblica amministrazione – l'attività di controllo viene esercitata da organi facenti parte dell'amministrazione stessa e da organi di altro ente (esempio TUEL decreto legislativo n. 267 del 2000, articolo 147 per organi interni all'ente, articolo 148 per la Corte dei Conti). Appare pertanto improprio includere l'organo di revisione tra «gli organi di indirizzo, direzione e controllo». La definizione del T.U.E.L. è quella di «organo di revisione economico-finanziaria» essendo investito di molteplici funzioni che comprendono la collaborazione, la vigilanza, l'attestazione dei risultati, il referto e le verifiche periodiche di cassa (articolo 236 TUEL). L'Organo di revisione economico-finanziaria in definitiva non può essere considerato «Organo di controllo», né interno, né esterno, dell'ente locale;
    d) il revisore non è titolare di incarichi in quanto è «eletto» o «nominato», dal Consiglio dell'ente per la durata di tre anni come indicato nel Tuel (ed ora estratto a sorte dalle Prefetture dagli elenchi formati a livello regionale) e non può essere considerato titolare di incarico in quanto il Revisore assume l'obbligo della prestazione non nell'interesse esclusivo del committente (il comune o la provincia), ma bensì assume obblighi e responsabilità della revisione sulla sana e corretta gestione dell'ente nell'interesse pubblico;
    e) il compenso per la prestazione professionale dell'organo di revisione è determinato ai sensi dell'articolo 241 del Tuel, ed è deliberato dal Consiglio Comunale (o Provinciale) all'atto della nomina, entro i limiti massimi del compenso base stabiliti con decreto del Ministro dell'interno di concerto con il Ministro del Tesoro del Bilancio e della Programmazione economica, (l'ultimo aggiornamento è quello stabilito dal decreto ministeriale 20 maggio 2005) in relazione alla classe demografica ed alle spese di funzionamento e di investimento dell'Ente Locale;
    f) la funzione esercitata e la specialità professionale richiesta per chi è chiamato a svolgere il ruolo di Revisore dei Conti fa ritenere, ragionevolmente, che il 5o comma dell'articolo 5 non sia applicabile ai revisori degli enti locali, dovendosi escludere che il legislatore abbia inteso sopprimere compensi che sono a tutti gli effetti dei compensi professionali regalati da una disciplina speciale, che la norma in questione non ha in alcun senso richiamato e/o modificato. Inoltre, il DM 20 maggio 2005 che dispone il trattamento economico dell'organo di revisione, nei limiti massimi fissati dallo stesso, non prevede la corresponsione di gettoni di presenza;
    g) tutto ciò fa presupporre che la norma citata sia indirizzata ad organismi costituiti, o incarichi assegnati dagli enti locali che hanno natura «volontaria» e non ad un organo obbligatorio e regolato da una disciplina speciale –:
   se non ritenga, al fine di evitare limitazioni ai diritti costituzionali di partecipazione alla vita pubblica dei cittadini ed al diritto alla retribuzione, oltre che per scongiurare l'instaurarsi di contenzioso fra revisori dei conti e enti locali, di fornire una interpretazione autentica della norma, la cui applicazione dovrebbe essere riservata agli organi diversi dai collegi dei revisori dei conti e/o revisore unico dei conti degli enti locali, dai collegi sindacali e dai revisori dei conti. (4-05586)


   POLVERINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel business plan 2013-2017, l'Eni aveva previsto un investimento di 700 milioni di euro per la riconversione a gasolio e la ristrutturazione del sito di Gela; nel frattempo, da maggio 2012 fino a maggio 2013 circa il 40 per cento della forza lavoro sarebbe stata posta in cassa integrazione per un anno, cosa che puntualmente è avvenuta;
   a marzo del 2013 si è verificato un incendio sulla linea 1, con il conseguente sequestro da parte della magistratura. Nonostante il dissequestro avvenuto circa un mese dopo, non si sono verificati i dovuti lavori di ripristino della linea per il riavvio della raffineria. Sono rimasti in marcia solo gli impianti di utility per garantire l'energia agli impianti e servizi di pubblica utilità, mentre i lavoratori sono stati reinseriti, alcuni smaltendo ferie, altri in trasferta su altri siti e altri ancora a presidio degli impianti. Il tutto in attesa dell'autorizzazione AIA. Il 20 giugno presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare a Roma si è riunita la conferenza dei servizi che ha dato autorizzazione sulla media ponderata sulle emissioni della centrale termoelettrica integrata al circuito di raffinazione della raffineria di Gela. Ciò sarebbe stato propedeutico a ricevere l'autorizzazione AIA;
   il nuovo amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, ha annunciato, nel corso di un recente incontro con le organizzazioni sindacali, che almeno due delle tre linee produttive della raffineria di Gela sono destinate al fermo a tempo indeterminato, venendo così meno agli impegni precedentemente presi;
   il sito di Gela, fra occupati diretti ed indiretti, garantisce almeno tremila posti di lavoro, in un'area dove la ricollocazione lavorativa è particolarmente complessa; la chiusura definitiva di due linee, alla quale si aggiunge l'incertezza sulla riconversione della terza, avrebbe un effetto drammatico in termini sociali;
   secondo una analisi di ricerche & studi Mediobanca, Eni, con 134,2 miliardi di euro, è il sesto gruppo per fatturato in Europa, il primo in Italia, il quattordicesimo nel mondo;
   lo Stato italiano, direttamente o attraverso Cassa depositi e prestiti, controlla poco più del 30 per cento del pacchetto azionario di Eni;
   in ragione del suo controllo maggioritario, il Governo ha proceduto ad indicare il nome di Claudio Descalzi alla guida di Eni –:
   quali azioni il Governo intenda adottare a tutela dell'occupazione e a garanzia del territorio di Gela, valutando, in quanto azionista di maggioranza, ogni possibile atto nei confronti dell'amministratore delegato. (4-05599)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 15 aprile 2014 è stata notificato al Ministero della giustizia il decreto della corte d'appello di Caltanissetta Rep. 917/2012 riguardante il procedimento per equa riparazione promossa dalla signora M.R.P. il 31 agosto del 2010;
   il procedimento giudiziario inizia il 17 febbraio 1999 e termina, in primo grado, il 3 febbraio del 2009 con la sentenza del tribunale di Palermo n. 574/2009;
   a giudizio dell'interrogante la signora di cui sopra ha già avuto modo di attendere abbastanza i tempi della giustizia italiana per aggiungerci anche quelli del Ministero della giustizia;
   al danno si aggiungerebbe la beffa se gli uffici preposti alla liquidazione del danno per l'irragionevole durata del procedimento giudiziario di primo grado tardassero nel pagare quanto dovuto alla signora M.R.P. –:
   quali iniziative di natura amministrativa intenda assumere il Ministro interrogato per sollecitare gli uffici preposti alla liquidazione delle somme spettanti a titolo di risarcimento per l'irragionevole durata del procedimento giudiziario. (4-05587)


   TRIPIEDI, CIPRINI, ROSTELLATO, BECHIS, TURCO, COMINARDI, RIZZETTO, CHIMIENTI e BALDASSARRE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la legge del 14 settembre 2011, n. 148, contenete la delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, ha portato, in data 7 aprile 2014, alla chiusura del tribunale di Desio (MB) e in data 29 aprile 2014 alla chiusura dell'ufficio del giudice di pace di Desio con trasferimento di entrambe le sedi al vicino tribunale di Monza (MB);
   collocata in un territorio fortemente infiltrato dalla ’ndrangheta, la sede del tribunale di Desio copriva un territorio di 160 chilometri quadrati per un totale di venti comuni riconosciuti nella propria giurisdizione per un bacino di circa 400.000 cittadini e risultava essere la più grande sede distaccata di tribunali d'Italia;
   a riprova del fatto che la sede di Desio fosse riconosciuta come un'eccellenza per la sua funzionalità anche dagli stessi addetti ai lavori, in data 9 luglio 2014, l'ordine degli avvocati organizzò un incontro pubblico presso l'allora tribunale di Desio dal titolo «Soppressione della Sede Giudiziaria di Desio, sezione staccata del tribunale di Monza: l'efficienza e la qualità del servizio giustizia deve cedere il passo rispetto al paventato (ed insussistente) risparmio di spesa», all'interno del quale esponenti dello stesso Ordine affermarono che «il tanto sbandierato contenimento dei costi dovuto al trasferimento dalla sede di Desio a quella di Monza non sussiste affatto» e che «un accorpamento con Monza risulterebbe costoso e di difficile gestione logistica e funzionale». Tali affermazioni furono rafforzate dagli studi condotti dal Consiglio nazionale forense, che comprovarono che l'eliminazione del tribunale di Desio non comportò un effettivo taglio delle spese ma, al contrario, ne aumentarono la consistenza;
   lo spostamento del tribunale di Desio ha significato per la sede di Monza il dover trovare nuovi locali in affitto per ospitare il personale proveniente da Desio con un costo aggiuntivo rispetto ai 2.065.029 euro delle locazioni dei sei edifici della sede ospitante. A tali costi si aggiunsero anche quelli previsti e sostenuti dal Ministero di giustizia per lo spostamento degli arredi dalla vecchia alla nuova sede. Le spese annue sostenute per il funzionamento dell'ufficio giudiziario nella sede di Desio ammontavano, invece, a 196.274 euro per utenze telefoniche, riscaldamento, manutenzione e servizi, mentre per la locazione non vi era nessun costo in quanto l'edificio era messo gratuitamente a disposizione dal comune di Desio;
   il trasferimento delle sedi di Desio del tribunale e del giudice di pace hanno creato oggettivi problemi al tribunale di Monza che da sempre soffre di carenza di spazi e personale amministrativo, provocando il collasso delle cancellerie, soprattutto quella civile, dove tutti i fascicoli provenienti da Desio sono stati trasferiti ma non il personale, che ha scelto altre destinazioni diverse da Monza. Nel palazzo di Monza non vi sono spazi per ulteriori aule dove celebrare i processi monocratici ereditati da Desio e quindi aumentati a dismisura, tanto che alcune udienze davanti ai giudici monocratici sono state fissate per il primo trimestre del 2015;
   in una lettera inviata dal presidente della provincia di Monza e Brianza Dario Allevi, dal presidente dell'ordine degli avvocati di Monza e Brianza Francesca Sorbi e dai comuni di Desio e Monza all'allora Ministro della giustizia, Maria Grazia Cancellieri, insieme alle critiche rivolte all'ingiusto, a loro avviso, trasferimento della sede del tribunale di Desio, si ricordava che la stessa struttura annoverava 12 magistrati (7 togati e 5 onorari) e che nel solo anno giudiziario 2010/2011 sono sopravvenuti 6.323 procedimenti civili e 977 penali;
   sul quotidiano on-line «Il Giorno», in data 5 aprile 2014, il sindaco di Desio, Roberto Corti, dichiarava che «le decisioni calate dall'alto non vanno sicuramente bene. In particolare nel caso specifico di Desio è stata chiusa una sede distaccata che per costi e numero di pratiche non aveva ragione di essere chiusa se non quella che ha riguardato tutte le sedi decentrate. Sicuramente una decisione che ha poco del razionale». Nello stesso articolo, l'avvocato Marco Negrini, presidente della camera penale monzese, dichiarava che «restiamo preoccupati per l'impatto che la chiusura del tribunale di Desio avrà su Monza. Bisogna trovare spazi e personale per ammortizzare il carico di lavoro in arrivo. Servono spazi, sia dal punto di vista logistico che processuale». E sempre nello stesso articolo l'avvocato Francesca Sorbi, presidente dell'ordine degli avvocati di Monza e Brianza, dichiarava che «sotto il profilo organizzativo è stata una grossa perdita la chiusura del tribunale di Desio. Ci siamo rimboccati le maniche e stiamo facendo tutti grandi sforzi per garantire l'efficienza. I giudici sono arrivati ma spazi e personale, che avevano promesso, no»;
   dopo pochi mesi dalla chiusura, l'ex tribunale di Desio è stato sostituito con uffici ed ambulatori della locale ASL –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   se il Ministro non intenda risolvere, per quanto nelle sue possibilità, la grave situazione di disagio creatasi nel tribunale di Monza a seguito dei trasferimenti sopra citati, considerando l'opportunità di riportare tribunale di Desio e l'ufficio del giudice di pace nelle originarie o in nuove sedi. (4-05590)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FABBRI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il comando provinciale dei vigili del fuoco di Bologna è una struttura operativa del che si occupa istituzionalmente di soccorso tecnico urgente e prevenzione incendi (articolo 1 decreto legislativo n. 139 del 2006);
   oltre al comando provinciale, il territorio bolognese è presidiato da:
    sette distaccamenti permanenti: distaccamento di città (Carlo Fava), Imola, Pianoro, Budrio, Vergato, Zola Predosa, Aeroporto di Bologna;
    un nucleo elicotteri (con tre elicotteri n. 2 AB 412 e n. 1 AB 206) sito presso Aeroporto di Bologna (che copre il territorio dell'Emilia Romagna, parte della Toscana, e parte della Lombardia);
    un nucleo sommozzatori che dopo la soppressione del nucleo di Ferrara copre, unitamente al presidio di Ravenna numericamente però meno consistente, l'intero territorio regionale;
    nove distaccamenti volontari: Bazzano, Castiglione dei Pepoli, Gaggio Montano, Medicina, Monghidoro, Monzuno, San Giovanni in Persiceto, San Pietro in Casale, Fontanelice;
   a Bologna ha sede anche la direzione regionale vigili del fuoco Emilia Romagna che svolge le funzioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 314 del 2002;
   il comando vigili del fuoco di Bologna effettua ogni anno: circa 12.000 interventi di soccorso tecnico urgente, oltre 5700 procedimenti legati ad attività di prevenzione incendi, oltre 900 attività di vigilanza in locali per pubblico spettacolo, oltre 150 corsi formazione esterna decreto legislativo 81/2008;
   i fondi di cui dispone il comando dei vigili del fuoco di Bologna per la manutenzione, la logistica, gli investimenti, i materiali di facile consumo, le utenze ammontano a circa 3.000.000 di euro;
   il comando provinciale dei vigili del fuoco di Bologna ha sofferto, come tutti i comandi provinciali d'Italia, fino in tempi recentissimi di una grave carenza di personale operativo in tutti i ruoli (vigili del fuoco, capo squadra, capo reparto). Solo in tempi recenti, con le ultime assunzioni di personale e lo sblocco (con norma in deroga al decreto legislativo n. 217 del 2005) dei concorsi interni a capo squadra e capo reparto, la situazione di difficoltà si è attenuata anche se permane a livello di guardia;
   permane, invece, una situazione di grave difficoltà per quanto concerne le carenze di personale amministrativo e tecnico informatico. Il comando vigili del fuoco di Bologna registra un'elevata carenza dovuta anche a progressivi trasferimenti di personale senza sostituzioni o con sostituzioni operate solo sulla carta (personale assegnato a vario titolo ad altra sede in trasferimento temporaneo). Inoltre le mobilità avvengono senza il necessario periodo di affiancamento e quasi mai tengono conto delle qualifiche di cui effettivamente si necessita (con l'ulteriore difficoltà di assegnare personale non qualificato rispetto ai compiti ed alle necessità);
   per quanto riguarda il personale volontario permane una grossa difficoltà a formare il personale volontario da destinare ai distaccamenti. La modifica del decreto del Presidente della Repubblica n. 76 del 2004, con la creazione di un unico elenco nel quale confluiscono sia i volontari che manifestano la volontà di voler effettuare i richiami temporanei (cd discontinui) sia il personale volontario destinato ai distaccamenti (cd detto a campana) crea grosse difficoltà;
   la norma infatti, non consentendo alcuna discriminazione rispetto alla necessità dell'amministrazione, rischia di formare personale non rispondente alle reali necessità, per esempio formare il personale «cosiddetto discontinuo» mentre si necessita di personale «cosiddetto a campana» o viceversa;
   il comando provinciale dei vigili del fuoco di Bologna lamenta enormi difficoltà sui capitoli delle utenze/tasse per rifiuti solidi urbani, sui capitoli della manutenzioni delle sedi e sul capitolo della manutenzione automezzi, attrezzature ed acquisto carburante. Con riferimento al capitolo delle utenze si registra una grave e cronica carenza di fondi e più volte al comando sono giunte richieste di interessi moratori da parte delle società di somministrazione. Al momento il deficit sul capitolo di bilancio per le utenze/rifiuti ammonterebbe a circa 800.000 euro e spesso, per quanto riguarda le spese per lo smaltimento dei rifiuti, il comando è stato iscritto a ruolo Equitalia con ingiunzione di pagamento e costretta al pagamento di penalità;
   per quanto concerne la manutenzione delle sedi di servizio il comando ha recentemente disdetto i contratti per la manutenzione di impianti (compreso quello strategico rispetto al soccorso di manutenzione dei gruppi elettrogeni delle sedi di servizio), poiché i fondi assegnati erano totalmente insufficienti;
   per quanto riguarda la manutenzione automezzi si registra un continuo e progressivo taglio delle risorse legate alla manutenzione ed al momento non viene effettuata sui mezzi alcuna manutenzione preventiva (tagliandi) ma si interviene solo in caso di guasto. Rispetto alle somme ordinarie assegnate nel 2013, già insufficienti, si registra un ulteriore taglio di oltre il 15 per cento. Diversi mezzi sono stati messi fuori servizio tra questi quasi tutte le vetture di servizio ma anche e soprattutto diversi mezzi destinati al soccorso tecnico urgente;
   a parere dell'interrogante una carente manutenzione dei mezzi rischia di inficiare la sicurezza dei lavoratori stessi e di chi viene soccorso ma anche di rendere vana ogni operazione sul campo;
   la regione Emilia Romagna negli ultimi anni è stata interessata fortemente da numerose calamità naturali (alluvioni, terremoto del 2012, trombe d'aria, e altri) che hanno visto un impegno notevole del Corpo e dei mezzi dei vigili del fuoco. La mancanza di manutenzione dei mezzi rischia pertanto di inficiare tutte quelle operazioni di soccorso e messa in sicurezza che come è noto possono manifestarsi in maniera imprevedibile;
   altra situazione che si sta complicando molto è quella delle sedi di servizio vigili del fuoco in affitto;
   tutte le sedi volontarie e molte sedi permanenti sono in affitto e quasi tutte di proprietà di enti locali. Molti contratti risultano essere prossimi alla scadenza e la procedura di rinnovo contrattuale prevede un iter assai complesso: indagine di mercato (anche quando l'entità del canone non lo richiederebbe dato l'importo); acquisizione di tutte le certificazioni; nulla osta da parte del dipartimento vigili del fuoco alla copertura finanziaria della spesa per tutta la durata contrattuale. Solo nel momento in cui tutta la documentazione è stata regolarmente acquisita agli atti, l'Agenzia del demanio può procede nella stipula del contratto. Purtroppo, il dipartimento non rilascia il nulla-osta alla copertura finanziaria «conditio sine qua non», alla stipula del contratto di fitto poiché non dispone di adeguate coperture finanziarie... quindi permane per molte sedi una situazione di occupazione «sine titulo» (che comunque prevede un impegno economico) e nessuna via d'uscita –:
   se sia a conoscenza della situazione suesposta e se non ritenga necessario garantire il trasferimento di risorse per assicurare il buon funzionamento delle sedi e delle attività del corpo dei vigili del fuoco nonché della manutenzione dei mezzi di soccorso;
   se non ritenga opportuno esentare, con iniziative normative ad hoc, i vigili del fuoco dal pagamento delle accise sui carburanti così come accade per l'esercito, al fine di consentire un immediato aumento di disponibilità per quanto riguarda le risorse di bilancio. (5-03258)


   FABBRI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   per svolgere tutte le incombenze di natura amministrativa e contabile nonché di natura tecnico-informatica, il Corpo nazionale dei vigili del fuoco si avvale di figure professionali specifiche dotate di preparazione ad hoc che garantiscono l'espletamento di funzioni oggi sempre più strategiche ed essenziali visto la complessità dell'attività amministrativa contabile e l'alto tasso di informatizzazione e tecnologia della nostra società;
   il personale appartenente ai ruoli amministrativo e tecnico-informatici del Corpo nazionale dei vigili del fuoco è inquadrato nel ruolo non operativo, ma può essere impiegato, ai sensi dell'articolo 85, comma 2, del decreto legislativo n. 217 del 2005 e dell'articolo 54 del decreto del Presidente della Repubblica n. 64 del 2012, in supporto a strutture operative in località colpite da grave calamità pubblica o in altre situazioni di emergenza in cui il Corpo nazionale dei vigili del fuoco sia chiamato a svolgere i propri compiti istituzionali. In tali situazioni coadiuva il personale operativo nello svolgimento delle proprie mansioni;
   sebbene il legislatore, abrogando quasi tutta la normativa preesistente (regio decreto 1570 del 1941 e legge n. 930 del 1980) per espressa volontà in atti, abbia voluto arrivare a dare pari dignità a tutte le varie componenti del Corpo nazionale dei vigili del fuoco con fine ultimo di erogare alla cittadinanza il soccorso tecnico urgente, la componente amministrativa e tecnico-informatica del Corpo nazione dei vigili del fuoco è ancora fortemente discriminata rispetto alle varie componenti del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, ivi compresi i ruoli ginnici e medici;
   il personale amministrativo e tecnico-informatico, cui sono affidati compiti specifici legati all'appartenenza, rispetto alla generalità del pubblico impiego, viene discriminato, rispetto ad altri ruoli presenti nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco, sul piano della carriera professionale, sul piano stipendiale, con indennità di amministrazione pari al 50 per cento di tutti gli altri profili e per sole dodici mensilità e su quello pensionistico, con l'indennità di amministrazione calcolata in quota B mentre per tutti gli altri ruoli è calcolata in quota A e requisiti per accedere al pensione di anzianità peggiorativi rispetto al restante personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   nonostante dal punto di vista economico, la retribuzione, paragonata con quella degli altri ruoli del Corpo o di altri settori produttivi, è fra le più basse a tale personale viene comunque richiesta, in forma gratuita e volontaria, la reperibilità al di fuori dell'orario di lavoro;
   quasi inesistente risulta essere la mobilità. Le piante organiche sono imprecise e poco diffuse. Numerosi lavoratori da anni sperano in un trasferimento che li riavvicini alla famiglia ma si sono visti inspiegabilmente scavalcati in diverse occasioni;
   fra le altre disparità di trattamento si segnala quella del «riconoscimento e della protezione personale»: questi lavoratori non sono muniti di tesserino di riconoscimento né di una divisa che li identifichi e protegga, strumenti indispensabili anche in considerazione degli scenari in cui sono chiamati ad operare. La normativa vigente li prevede, ma viene disattesa;
   il riconoscimento passa anche attraverso una chiara definizione dei ruoli e delle competenze –:
   se sia a conoscenza della situazione esposta in premessa e cosa intenda fare per provvedere a sanare un'evidente discriminazione di trattamento tra lavoratori appartenenti allo stesso Corpo e con professionalità, a parere dell'interrogante, che andrebbero valorizzate. (5-03259)


   FABBRI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il Corpo nazionale dei vigili del fuoco espleta un servizio essenziale a difesa del Paese e dell'integrità dei cittadini che svolge 365 giorni all'anno, 24 ore su 24 senza sosta alcuna, con professionalità, dedizione e abnegazione nonostante i pesanti tagli alle risorse a cui tale importante settore negli ultimi anni è stato sottoposto;
   il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco è senz'altro una categoria di lavoratori che per la tipologia di lavoro che svolge è particolarmente esposta agli infortuni sul lavoro (in aumento, come risulta dalle statistiche elaborate dall'amministrazione dell'interno);
   tuttavia, mentre tra le categorie di lavoratori assistite dall'INAIL sono compresi gli addetti ad operazioni di salvataggio e spegnimento degli incendi, dall'articolo 1, comma 3, n. 22 del testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965, sono esplicitamente esclusi i vigili del fuoco;
   anche il personale volontario, che svolge le stesse mansioni, svolge un lavoro «a rischio» tant’è che la Consulta che, con la sentenza n. 10456 del 2006, su un ricorso dell'INAIL, ha affermato che i «sistemi di protezione dai rischi di infortunio alternativi a quello del T.U. n. 1124 sono costituzionalmente corretti nella misura in cui assicurino a tale personale una tutela non inferiore a quella garantita dal T.U. alla generalità dei lavoratori, così che lo stesso T.U. n. 1124 viene ad assumere una funzione di parametro adeguato ai sensi dell'articolo 38 della Costituzione, comma 2»;
   in passato l'ONA (Opera nazionale di assistenza per il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco) con i propri fondi di autofinanziamento ha provveduto alla carenza normativa al fine della salvaguardia della salute degli operatori prevedendo una polizza sanitaria integrativa che, nel rispetto dell'articolo 38, comma secondo, della Costituzione, serviva essenzialmente a coprire eventuali spese per cure mediche sostenute dai vigili a seguito di infortuni sul lavoro e non coperte dal servizio sanitario nazionale e dall'INAIL;
   la polizza in questione non è più attiva dal 1o gennaio 2013 e il mancato rinnovo sta creando molteplici problemi ai soggetti interessati e una situazione di incertezza che è la negazione stessa dei principi assicurativi e sociali;
   al lavoratore non resta che anticipare le spese sanitarie e richiedere il rimborso che eventualmente arriverà dopo un lungo iter amministrativo che non sempre si conclude favorevolmente;
   poiché trattasi, nella maggior parte dei casi, di infortuni e/o incidenti seri ed importanti, ne consegue che gli importi per un'adeguata assistenza sanitaria e/o una riabilitazione e altro sono consistenti e non sempre il lavoratore può anticipare somme consistenti per curarsi;
   si paventa pertanto, non solo il rischio che per recuperare dette somme i lavoratori debbano percorrere la via giudiziaria, ma anche di non poter accedere alle cure perché impossibilitati ad anticipare somme di denaro importanti;
   si riporta a tal proposito il caso, segnalato anche dalla stampa locale, di Francesco Sicilia, vigile del fuoco rimasto ustionato nel 2013 durante le operazioni di spegnimento di un incendio in un pub a Reggio nell'Emilia, che ha pagato e sta pagando personalmente la fisioterapia e i due tutori per le mani e potrà presentare solo al termine delle cure le fatture per il rimborso spese all'assicurazione –:
   se non ritengano necessario assegnare, con la massima urgenza e indicando tempi certi, all'ONA del Corpo nazionale dei vigili del fuoco le risorse necessarie a consentire in via prioritaria il rinnovo della polizza sanitaria integrativa a favore del personale operativo del Corpo;
   se non ritengano di dover adottare le opportune iniziative e gli opportuni provvedimenti di competenza, affinché l'INAIL ponga sotto la propria tutela tale importante categoria di lavorati, insostituibili operatori della sicurezza dei cittadini e dello Stato. (5-03261)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VALIANTE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a seguito di forti eventi meteorologici avvenuti qualche mese fa la strada provinciale 110 «Capitello-Ispani», in provincia di Salerno, ha subito notevoli danni che aggravati successivamente per l'effetto dell'accentuazione di alcuni movimenti franosi, hanno comportato da parte della provincia di Salerno, ente proprietario della strada, l'emissione di ordinanza di limitazione al traffico veicolare;
   successivamente a seguito di un sopralluogo congiunto provincia-comune di Ispani effettuato in data 20 marzo 2014, sono stati comunicati da parte degli organi competenti imminenti interventi di sistemazione dell'arteria e trasmessi al comune gli elaborati progettuali relativi al dettaglio degli interventi da eseguire;
   ad oggi però dei 3 interventi previsti si sta dando esecuzione soltanto ad uno dei progetti di recupero dei movimenti franosi, disattendendo le assicurazioni ricevute in precedenza che davano come certo un intervento complessivo su tutti i movimenti franosi in atto;
   con l'esecuzione di uno solo degli interventi necessari a fronte dei 3 movimenti franosi esistenti, costituenti pericolo per la circolazione, non vengono meno le limitazioni al traffico, già disposte con apposita ordinanza nei confronti degli automezzi di massa superiore alle 3,5 tonnellate, permanendo, pertanto, i notevoli disagi alla circolazione e inoltre a tutta la popolazione locale interessata, soprattutto gli anziani, gravemente penalizzati per la chiusura del locale ufficio postale di Ispani Capoluogo, in conseguenza proprio dell'interruzione del trasporto pubblico locale sulla tratta frazione San Cristoforo-Ispani Capoluogo-frazione Capitello, a causa della mancanza di interventi di messa in sicurezza;
   i rischi per la sicurezza degli utenti aumenteranno esponenzialmente in considerazione dell'inizio della stagione estiva a causa del notevole incremento del flusso veicolare in quanto lungo in cui insistono molteplici accessi di turisti e vacanzieri –:
   di quali elementi dispongano in relazione ai rischi per la pubblica incolumità e per la sicurezza degli utenti derivanti dai movimenti franosi di cui in premessa e quali iniziative si intendano adottare per un rapido e completo intervento di messa in sicurezza della strada provinciale 110 Capitello-Ispani. (4-05592)


   PANNARALE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Bitritto (BA) si sono recentemente svolte le elezioni per il rinnovo del consiglio comunale e l'elezione diretta del sindaco;
   all'esito di tali consultazioni popolari, lo schieramento di maggioranza ha eletto 12 consiglieri – compreso il sindaco – di cui 7 uomini e cinque donne, mentre lo schieramento di opposizione ha eletto 5 consiglieri di cui 3 uomini e due donne;
   all'atto di formare la giunta comunale, il sindaco ha nominato – con atto reso noto il 19 giugno 2014 – quattro uomini (di cui uno cosidetto esterno) e una donna;
   tanto è avvenuto secondo l'interrogante in chiara violazione dell'articolo 1, comma 137, della legge cosidetta Delrio (n. 56 del 2014) che testualmente reca: «Nelle giunte dei comuni con popolazione superiore a 3.000 abitanti, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento, con arrotondamento aritmetico». È evidente infatti che una donna su cinque assessori oltre al sindaco (che si computa nel calcolo) fa meno del 20 per cento;
   la disposizione richiamata è diretta attuazione dell'articolo 51 della Costituzione, il quale a sua volta, nel primo comma, secondo periodo, reca: «A tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini»;
   questa evidente violazione della Costituzione e della legge è stata già denunziata dal signor Gerardo De Letteriis, cittadino ed elettore di Bitritto, con un ben scandito e preciso esposto al prefetto di Bari, datato 3 luglio 2014;
   la violazione dell'equilibrio di genere nelle giunte degli enti territoriali – purtroppo – non è una novità di questi mesi successivi all'entrata in vigore della legge n. 56. Anche in precedenza, tribunali amministrativi regionali erano dovuti intervenire per annullare nomine di giunte addirittura prive di donne, come nel caso della giunta regionale campana, presieduta da Stefano Caldoro, che si vide annullato il decreto di nomina degli assessori dalla sentenza dell'8 aprile 2011; e come nel caso della giunta del comune di Roma, in cui il sindaco pro-tempore Alemanno si vide annullato il decreto di nomina degli assessori dalla sentenza del 15 luglio 2011. Altri precedenti sono citati nell'esposto del signor De Letteriis. Tanto si rammenta solo per evidenziare come il tema, anche solo a livello di cronaca, non poteva essere ignoto al sindaco di Bitritto;
   d'altronde diversi atti di sindacato ispettivo (delle deputate Polverini, Valente e Rostan), antecedenti all'entrata in vigore della legge n. 56, avevano sollevato la questione e – in un caso – ottenuto la risposta del Governo;
   né appare all'interrogante in alcun modo giustificabile il comportamento del sindaco di Bitritto alla luce della circolare del Ministero dell'interno – dipartimento affari interni e territoriali – del 24 aprile 2014 (che ha ad oggetto proprio l'applicazione della legge «Delrio»), al cui punto 3 si legge testualmente: «Per completezza, si soggiunge che occorre lo svolgimento, da parte del sindaco, di una preventiva e necessaria attività istruttoria preordinata ad acquisire la disponibilità allo svolgimento delle funzioni assessorili da parte di persone di entrambi i generi. Laddove non sia possibile occorre un'adeguata motivazione sulle ragioni della mancata applicazione del principio di pari opportunità»;
   il significato della circolare è assai chiaro: il sindaco si deve premurare tempestivamente ed esperire tutti i tentativi necessari per comporre la giunta in modo rispettoso del dettato legislativo. Se ne evince che – ai sensi della circolare – soltanto di fronte a reiterati ed espressi rifiuti o a disponibilità di soggetti – alternativamente – del tutto inadeguati al compito oppure espressione di una sensibilità politica e amministrativa opposta a quella del sindaco, egli dovrà motivare – in modo esplicito ed articolato – un provvedimento di formazione della giunta non corrispondente all'articolo 1, comma 137, della legge citata;
   tale interpretazione della circolare è a giudizio dell'interrogante la sola consentita, non solo e non tanto perché – in buona sostanza – già fatta propria da altre pronunzie di TAR successive all'entrata in vigore della legge n. 56 ma anche perché altrimenti si aprirebbe il pertugio per una deroga alla legge contenuta di fatto in una circolare, ciò che la gerarchia delle fonti non ammette;
   è poi evidente che, nel caso di Bitritto, con ben cinque donne consigliere comunali di maggioranza, nessuna di queste evenienze possa essere addotta –:
   se non intenda dare apposite istruzioni al prefetto di Bari per rendere congrua risposta al signor De Letteriis e per ricercare le opportune informazioni sul caso;
   se non intenda integrare la circolare del 24 aprile 2014 per fugare ogni equivoco;
   se il dipartimento degli affari interni e territoriali raccolga dati sulla composizione delle giunte locali per effettuare il monitoraggio sull'attuazione dell'articolo 1, comma 137, della legge n. 56 del 2014. (4-05597)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PALMIERI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 30 aprile 2013 il Ministro del lavoro e delle politiche sociali del Governo Monti con delega alle pari opportunità, Elsa Fornero, ha presentato la «Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere (2013-2015)», predisposta e coordinata dall'UNAR, in collaborazione con le diverse realtà istituzionali, 29 associazioni LGBT e le parti sociali;
   l'UNAR è nato nel 2003 per via di una direttiva europea che spingeva gli Stati a combattere le discriminazioni fondate sulla razza e l'etnia. Oggi, sotto la dicitura di lotta alla discriminazione e al bullismo sta mirando secondo l'interrogante a tutt'altro ossia anche all'imposizione della teoria del gender e alla promozione di nuove forme di famiglia;
   le attività promosse dall'UNAR nell'anno scolastico appena terminato hanno suscitato forti reazioni da parte dei genitori, a giudizio dell'interrogante defraudati della libertà di educazione dei propri figli, in totale spregio dell'articolo 30 della Costituzione;  
   il 12 luglio 2014 il Ministro interrogato, durante un incontro con alcuni rappresentanti delle associazioni omosessuali, si sarebbe impegnata ad accettare le loro richieste per la continuazione dell'azione dell'UNAR presso le scuole –:
   se risponda al vero quanto affermato dalle fonti giornalistiche riguardo alle intenzioni del Ministro interrogato. (5-03254)

Interrogazione a risposta scritta:


   GULLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   gli articoli 3, 34 e 38 della Costituzione affermano e garantiscono il diritto allo studio ed all'integrazione;
   l'articolo 3 della Dichiarazione Onu sui diritti delle persone con disabilità rileva che «Il rispetto per la dignità intrinseca, l'autonomia individuale, compresa la libertà di compiere le proprie scelte, e l'indipendenza delle persone, la non discriminazione, la piena ed effettiva partecipazione e inclusione nella società, il rispetto per la differenza e l'accettazione delle persone con disabilità come parte della diversità umana e dell'umanità stessa, la parità di opportunità, l'accessibilità, la parità tra uomini e donne, il rispetto dello sviluppo delle capacità dei minori con disabilità e il rispetto del diritto dei minori con disabilità a preservare la propria identità.»;
   in Italia vi sono oltre 200.000 alunni con disabilità di tipo intellettivo, motorio, uditivo e visivo;
   per un inserimento effettivo del disabile sono necessarie strutture e personale adeguatamente predisposti;
   per un'effettiva integrazione sono necessarie risorse umane e materiali;
   con il recente piano per l'edilizia scolastica si fornisce un'importante risposta alla necessità di risorse materiali, anche attraverso il miglioramento dell'edilizia scolastica;
   risulta, purtroppo, all'interrogante che non sempre gli studenti disabili ottengono dall'istituzione scolastica insegnanti di sostegno con competenza specifica in relazione alla loro disabilità;
   non sempre è possibile far fronte alla mancanza di una figura specificamente rispondente alle esigenze del disabile con la buona volontà del personale scolastico docente e non docente –:
   quali misure urgenti si intendano prendere per:
    a) rendere effettivo il pieno diritto all'integrazione ed allo studio per i soggetti disabili;
    b) predisporre sistemi e percorsi che consentano sempre allo studente disabile la possibilità di fruire di docenti con formazione orientata specificamente al proprio handicap. (4-05594)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CHIMIENTI, RIZZETTO, ROSTELLATO, BALDASSARRE, CIPRINI, TRIPIEDI, COMINARDI e BECHIS. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la De Tomaso è una società italiana operante nel settore automobilistico con alle spalle mezzo secolo di storia. Fondata a Modena nel 1959, attualmente ha la sua sede legale in Toscana, a Livorno, e stabilimenti a Guasticce (Livorno) e Grugliasco, in Piemonte;
   nel corso degli anni la De Tomaso ha cambiato più volte la sua denominazione sociale, mentre dal 2008 le sue azioni sono quasi esclusivamente detenute dalla società «Innovation in Automobile Industry» SpA, con sede a Torino, mentre una minima quota della società è attualmente detenuta dal signor Gianfranco Rossignolo in qualità di azionista privato, il quale riveste inoltre la carica di Presidente;
   la società consta di 950 dipendenti, ripartiti tra gli stabilimenti di Livorno con 128 lavoratori e Grugliasco con 822 lavoratori. La vicenda di questi 950 lavoratori a rischio di licenziamento è ormai nota alle cronache da molti anni;
   nonostante gli utili che la società ha ricavato dalla vendita nel 2010 del marchio «De Tomaso Modena Spa» e dall'acquisizione per 2 milioni di euro, da parte di Pininfarina, di tutti i macchinari gli accessori e il subentro nel contratto di 900 dipendenti, nel 2012 è stato dichiarato il fallimento;
   da allora la sorte della forza lavoro della società De Tomaso è segnata da continue manifestazioni e vertenze sindacali, interrotte saltuariamente dalla speranza riposta in alcune proposte di acquisizione presentate da acquisitori italiani ed esteri;
   ad oggi tali speranze si sono rivelate vane, dal momento che tutte le proposte non si sono concretizzate anche a causa del problema del marchio, sul quale resta aperto un contenzioso legale e che, quindi, non può ad oggi essere utilizzato da chi è interessato all'acquisizione dell'azienda;
   come riportato sul sito del quotidiano La Repubblica in data 15 luglio 2013, da mesi il curatore fallimentare dell'impresa, Enrico Stasi, ha instaurato una trattativa con una cordata di imprenditori interessata a rilevare la fabbrica e a impiegare 150 lavoratori circa. Il dialogo dura da mesi, ma non decolla, soprattutto per i contenziosi legali che ancora vincolano il marchio «De Tomaso»;
   le organizzazioni sindacali che si sono occupate della vicenda dei lavoratori della «De Tomaso» sono riuscite a prorogare di altri 4 mesi la cassa integrazione straordinaria, che ora scadrà il prossimo 4 settembre 2014, e per questo motivo i dipendenti hanno manifestato nuovamente lo scorso 14 luglio a Torino davanti alla prefettura, accompagnati dall'incubo sempre più gravoso del licenziamento;
   gli 822 dipendenti dell'ex azienda automobilistica di Grugliasco, così come gli oltre cento loro colleghi del sito di Livorno, avrebbero diritto all'indennità, ma l'accordo che hanno siglato il 4 maggio e che scade il 4 settembre non è ancora stato firmato dal Ministero dell'economia e delle finanze –:
   quali rassicurazioni si intendano dare sulla proroga degli strumenti di sostegno al reddito, in scadenza il 4 settembre 2014, nei confronti dei lavoratori impiegati nell'azienda, costretti a vivere una situazione di profonda incertezza;
   quali azioni concrete si intendano perseguire per il ricollocamento dei lavoratori e il rilancio di quella specifica area industriale;
   quali garanzie si intendano offrire ai dipendenti della società affinché la proroga della cassa integrazione possa essere garantita a prescindere dalle questioni legali inerenti al marchio illustrate in premessa. (5-03256)

Interrogazione a risposta scritta:


   COMINARDI, TRIPIEDI, BECHIS, CHIMIENTI, CIPRINI, RIZZETTO, ROSTELLATO, BALDASSARRE e LUIGI DI MAIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la grave crisi economica degli ultimi anni, nonché la difficoltà di ricercare nuovi posti di lavoro e nuove prospettive per il futuro, ha determinato uno sconforto psicologico di numerosi lavoratori e sta culminando in una vertiginosa spirale di suicidi a causa della disoccupazione divenuta oramai cronica;
   secondo alcuni studi nel 2013 i suicidi per motivazioni di carattere economico sono stati 149, mentre nel 2012 sono stati 89, con un incremento del 67 per cento;
   nel primo trimestre del 2014 sono circa 51 le persone che si sono tolte la vita per ragioni economiche, percentuale più alta rispetto ai 32 casi del primo trimestre dell'anno precedente;
   va segnalato che complessivamente dal 2009 al 2011 i suicidi sono aumentati del 25 per cento, in corrispondenza dell'aggravarsi della crisi economica, e dell'incremento del tasso di disoccupazione;
   ulteriore dato allarmante è quello relativo alla crescita dei tentati suicidi per motivi economici: 48 nel 2012, 86 nel 2013, 25 nel primo trimestre del 2014;
   ad oggi, lo Stato italiano non ha introdotto strumenti di tutela di carattere universale, quali ad esempio il reddito di cittadinanza, in favore dei lavoratori che sono in condizione di grave disagio economico e sociale;
   tra le vicende più note è possibile citarne alcune riportate dagli organi di stampa, con particolare attenzione al polo logistico di Nola e lo stabilimento di Pomigliano d'Arco dove, da alcuni anni, si registra un tasso di suicidi o tentati suicidi estremamente elevato: nel 2011, a Pomigliano, un operaio della Fiat tentò il suicidio dopo aver ricevuto dall'azienda una lettera che lo informava di altri due anni di cassa integrazione; nel gennaio 2014, sempre a Pomigliano, tentava il suicidio la moglie di un ex operaio della Fiat, licenziato 7 anni fa dall'azienda, in attesa della conclusione del processo; come riportato da numerosi quotidiani, articoli del 26 maggio 2014, la Repubblica e il Corriere della Sera, il 24 maggio veniva ritrovato il corpo di una donna appartenente al Comitato mogli operai di Pomigliano, operaia del reparto logistico di Nola, che si toglieva la vita all'età di 47 anni, da sei anni in cassa integrazione e che aveva più volte denunciato le condizioni di vita degli operai della Fiat;
   nello specifico, la vicenda dei lavoratori della Fiat risale al 2008 quando l'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, annunciò prima la realizzazione di un Polo Logistico a Nola, dove furono «delocalizzati» 316 lavoratori dello stabilimento di Pomigliano e, nel 2010, annunciò il fallimento di tale piano, con i 316 lavoratori in cassa integrazione guadagni e senza possibilità di reintegro;
   numerosi sono i fattori che stanno determinando un peggioramento delle condizioni di lavoro degli operai in Italia: la crisi economica, la riduzione delle tutele costituzionalmente riconosciute, lo sfruttamento delle riorganizzazioni aziendali che si traducono, spesso, in crisi aziendali e licenziamenti collettivi;
   l'abuso dell'esercizio della libera iniziativa economica a danno dei lavoratori, in questo momento di grave crisi, sembrerebbe determinare o rafforzare, considerati anche i dati citati in precedenza, l'altrui proposito di suicidio ai sensi dell'articolo 580 del codice penale, reato di istigazione o aiuto al suicidio;
   inoltre, l'articolo 41 della Costituzione stabilisce che «l'iniziativa economica privata è libera» ma «non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana» riservando alla legge la determinazione di programmi o controlli opportuni affinché l'attività economica sia indirizzata a fini sociali;
   in questo senso, il legislatore non ha previsto norme volte a disincentivare o impedire forme di abuso della libera iniziativa economica a danno dei lavoratori mediante l'irrogazione di sanzioni –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti riportati in premessa, con particolare attenzione alle vicende che riguardano il polo logistico di Nola e lo stabilimento di Pomigliano d'Arco, e se intendano intervenire a livello normativo al fine di tutelare i lavoratori da forme di abusi di carattere imprenditoriale, economico e sociale, secondo gli interroganti in palese violazione dei diritti costituzionalmente garantiti riconoscendo, nel bilanciamento di interessi e valori, prioritario quello della tutela della dignità umana e del lavoro rispetto alla libera iniziativa economica. (4-05598)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   FRANCO BORDO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia è il primo produttore europeo di riso, la coltivazione è concentrata principalmente nelle regioni Piemonte e Lombardia, nel triangolo Vercelli, Novara, Pavia. Viene inoltre coltivato in provincia di Mantova ed in Emilia-Romagna in particolare nel basso Ferrarese, in Veneto nella bassa Veronese, in Sardegna nella valle del Tirso e in Calabria nella Piana di Sibari;
   nelle principali province risicole, le organizzazioni agricole, Confagricoltura e CIA con l'adesione delle industrie risiere (AIRI) e delle riserie artigiane (Confartigianato) e Coldiretti sono in stato di agitazione con manifestazioni di vario tipo;
   le manifestazioni hanno lo scopo di richiamare l'attenzione del Governo e delle istituzioni, sul grave problema dell'aumento delle importazioni di riso estero proveniente da agricolture dai costi di produzione decisamente inferiori a quelli europei, infatti nell'ultima campagna di commercializzazione, nell'Unione europea queste importazioni sono aumentate di 100 mila tonnellate, di cui 84 mila provenienti dai Paesi meno avanzati (PMA) e quindi a dazio zero;
   questa situazione si sta riverberando in modo sostanziale sui prezzi di mercato, in specie quelli delle varietà di riso «Lungo B» (indica), quelle che maggiormente e più direttamente subiscono la concorrenza dei risi di importazione in particolare dalla Cambogia. I prezzi sono notevolmente scesi, passando dai 26 euro al quintale dello scorso febbraio, agli attuali 22,5 euro al quintale, cifra che a denuncia dei produttori è insufficiente a coprire i costi di produzione, pur comprendendo l'aiuto diretto proveniente dalla PAC (Politica agricola comunitaria);
   nel 2009-2010 le importazioni di riso coltivato provenienti dai Paesi meno sviluppati (PMS) sono triplicate rispetto al 2008. Nel 2012-2013 tali importazioni hanno superato quelle della Thailandia, che per anni era stata il principale esportatore di riso verso l'Unione europea. Nei primi sette mesi del 2013, su un totale di circa 169.000 tonnellate di importazioni dai PMS, 161.000 tonnellate provenivano dalla Cambogia (il 95 per cento del totale importato dai PMS), di cui 41.000 tonnellate erano già state confezionate;
   la risicoltura italiana rischia di essere fortemente ridimensionata, mettendo in pericolo un vasto territorio e tutta la filiera del comparto, con gravi ripercussioni economiche ed occupazionali, va inoltre riconosciuta la valenza ambientale delle coltivazioni di riso e la loro importanza vitale per il regime delle acque superficiali e sotterranee dell'intera pianura padana. Una risicoltura ridimensionata, esplicherebbe i suoi effetti anche sui consorzi irrigui e sul territorio, in quanto i risicoltori non avrebbero più interesse a mantenere quella rete irrigua che, fino ad oggi, ha salvaguardato il territorio da dissesti idrogeologici e da alluvioni che con sempre maggiore frequenza si manifestano in altre zone;
   ad oggi non si conoscono i dati precisi né sulle importazione, né sulle caratteristiche sanitarie del riso che viene importato;
   in data 1o luglio 2014 il sottoscritto ha depositato un testo di risoluzione in XIII Commissione agricoltura circa l'importazione di prodotti che presentano criticità in merito alla sicurezza alimentare, cui si propone di impegnare il Governo: «a rimuovere il segreto e a rendere pubblici i flussi commerciali delle materie prime provenienti dall'estero, al fine di far conoscere ai consumatori italiani i nomi delle aziende che usano ingredienti stranieri che, in verità, dopo la trasformazione vengono venduti come prodotti made in Italy; ad assumere, nel semestre di presidenza italiana, dell'Unione europea iniziative volte a garantire un reale principio di reciprocità con i Paesi terzi con cui sono in essere, e con cui si faranno, accordi commerciali di scambio di prodotti agroalimentari, al fine di applicare gli stessi elevati standard di sicurezza e controlli alimentari con lo scopo di raggiungere, realmente, gli obiettivi prefissati nel “VII Programma d'azione europeo per l'ambiente” – “Vivere bene entro i limiti del nostro Pianeta” – e dagli altri strumenti di politica ambientale dell'Unione europea; a far sì che il sistema dei controlli sulla sicurezza alimentare attivo in Italia possa trovare un'applicazione di reciprocità all'interno dell'Unione europea, a fronte del fatto che i livelli massimi di residui presenti negli agroalimenti dei Paesi comunitari è risultato nove volte superiore al livello italiano»;
   il Regolamento (UE) 978/2012 stabilisce che, a partire dal 1o gennaio 2014, in presenza di aumenti delle importazioni di prodotti esenti da dazi e provenienti da Paesi meno sviluppati che possano «causare o rischiare di causare gravi difficoltà», «i normali dazi della tariffa doganale comune possono essere ripristinati per detto prodotto» (clausola di salvaguardia, articolo 20 del regolamento (CE) n. 738/2008). Il regolamento specifica che se esistono sufficienti elementi provanti al riguardo, «la Commissione avvia un'inchiesta per determinare se è necessario ristabilire i normali dazi della tariffa doganale comune», inoltre il regolamento (UE) 1083/2013 consente l'apertura d'ufficio dell'inchiesta da parte della Commissione qualora vi siano «elementi di prova sufficienti a dimostrare che sono soddisfatte le condizioni di istituzione della misura di salvaguardia di cui all'articolo 22, paragrafo 1, del regolamento del Sistema delle preferenze generalizzate (SPG) –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere in merito alla necessità di assicurare che la Commissione europea si pronunci per l'attivazione della clausola di salvaguardia ai sensi del regolamento EU 978/2012 per istituire un limite quantitativo alle importazioni di riso provenienti dai PMS;
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere per tutelare la filiera risicola italiana e i Consumatori italiani evitando distorsioni del mercato del riso e garantendo i necessari controlli sulla qualità e sulla sicurezza sanitaria del riso importato;
   quali iniziative di competenza nel rispetto della normativa europea il Ministro interrogato intenda assumere per rendere obbligatoria in etichetta l'indicazione dell'origine territoriale del riso;
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere per rendere pubblici e trasparenti i dati relativi alle importazioni, al fine di garantire la tracciabilità delle produzioni;
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere per giungere ad accordi di filiera che tengano conto dei reali costi di produzione, della qualità e dei metodi di coltivazione, per addivenire ad una situazione economicamente sostenibile per tutti gli attori coinvolti nella filiera. (4-05591)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MURER, CAROCCI e TULLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio regionale della Liguria, con un ordine del giorno approvato all'unanimità, ha sollevato il caso del farmaco antitumorale Myleran (composto chimico Busulfano), spostato dall'Agenzia italiana del farmaco (Gazzetta Ufficiale n. 60 del 13 marzo 2014) dalla fascia A del Servizio sanitario nazionale alla fascia C;
   il Myrelan è un farmaco in commercio da più di cinquant'anni, utilizzato con ottimi risultati nella cura di malattie croniche del sangue, come alcune forme di leucemia che colpiscono soprattutto pazienti anziani;
   con il passaggio dalla fascia A alla fascia C, il prezzo di una confezione di questo farmaco è passato da 15 euro a 380 euro, precludendo in tal modo l'accesso alla cura a pazienti, perlopiù pensionati con pensioni minime, che non rispondono o sono intolleranti ad altri farmaci;
   il cambio di fascia ha provocato proteste e, come detto, un ordine del giorno approvato all'unanimità dal consiglio regionale della Liguria, dove veniva evidenziato che giungono «ripetute segnalazioni dal responsabile dell'ambulatorio di Ematologia, Immunologia e Malattie Rare dell'Ospedale Gallino di Pontedecimo, nonché dall'Associazione «Gigi Ghirotti», così come giungono segnalazioni, proteste, criticità da altre parti;
   nonostante l'intensa discussione aperta, ad oggi, la situazione è inalterata, lasciando i pazienti che non si possono permettere l'intero accollo del costo del farmaco nella condizioni di non potersi curare;
   va considerato che non si possono addurre a motivazione della scelta di passare il sopra menzionato farmaco dalla fascia A alla fascia C ragioni di ordine economico, dal momento che tale farmaco non risulta di vasto utilizzo;
   inoltre, va precisato che l'AIFA non consente la vendita del farmaco equivalente, che invece risulta in vendita in altri Paesi, come gli Stati Uniti, come generico con il composto chimico Busulfano –:
   se sia a conoscenza della problematica di cui in premessa e se non ritenga,nell'ambito delle sue competenze, di intervenire al fine di garantire il diritto alla salute per i pazienti che avevano nel composto chimico Busulfano del farmaco Myrelan l'unica cura possibile, di colpo sottratta a causa della insostenibilità dei costi. (5-03253)


   LOREFICE, GRILLO, MANTERO, SILVIA GIORDANO, CECCONI, DALL'OSSO e DI VITA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   notevoli sono stati i giudizi promossi nei confronti del Ministero della salute tesi al riconoscimento di una responsabilità dello stesso nella massiccia diffusione dei virus dell'epatite B, C e dell'HIV in soggetti sottoposti a trasfusioni di sangue o che avevano fatto uso di farmaci emoderivati (cosiddetti salvavita) infetti avvenuta a partire dagli anni ’70;
   sin dal 2001 sono state avviate delle trattative tra un collegio di legali e il Ministero della salute per tentare di risolvere in via stragiudiziale il contenzioso introdotto da centinaia di contagiati per il risarcimento dei danni patiti;
   il decreto del Ministero della salute del 3 novembre 2003 (Gazzetta Ufficiale n. 280 del 3 dicembre 2003) ha previsto una prima transazione per circa 700 emofilici, ai quali è stato riconosciuto un risarcimento a fronte della rinuncia a proseguire le cause in corso contro lo Stato italiano;
   con le leggi 222 e 244 del 2007 il legislatore ha previsto un secondo percorso transattivo, per tutti i danneggiati (oltre agli emofilici, i talassemici, gli emotrasfusi, e altro), esclusi dalla transazione del 2003, prevedendo un finanziamento di 150 milioni di euro nel 2007 e 180 milioni di euro all'anno, da elargire secondo un piano pluriennale in analogia e coerenza con i criteri transattivi fissati per gli emofilici nel 2003;
   il decreto ministeriale 4 maggio 2012 in materia di definizione dei moduli transattivi in applicazione dell'articolo 5 del decreto n. 132 del 2009 concernente il risarcimento danni nei confronti di soggetti danneggiati da sangue infetto, emanato in attuazione delle leggi n. 222 e n. 244 del 2007, stabilisce l'esclusione dalla transazione di tutti coloro che hanno promosso causa di risarcimento danni nei confronti del Ministero oltre i 5 anni dal riconoscimento del danno biologico, ovvero dalla data di presentazione in sede amministrativa dell'istanza di indennizzo ai sensi della legge n. 210 del 1992 rispetto alla quale risulti documentata la piena conoscenza della patologia da parte del danneggiato, oppure oltre i dieci anni dal decesso del soggetto danneggiato, nel caso si tratti di eredi di soggetti deceduti. Non vengono altresì previsti dal decreto eventuali atti interruttivi della prescrizione, non conformemente alle norme di procedura civile e vengono esclusi dalla transazione i soggetti per i quali risulti un evento trasfusionale anteriore al 24 luglio 1978 –:
   quale sia il numero di soggetti che hanno presentato entro la data del 19 gennaio 2010 domanda di adesione alla procedura transattiva;
   quale sia il numero di soggetti che ad oggi hanno visto accolta la loro domanda;
   quale sia il numero di soggetti che ad oggi hanno visto rigettata la loro domanda perché ritenuti non in possesso dei requisiti previsti dal decreto ministeriale;
   se il Governo intenda assumere un'iniziativa normativa quale ad esempio un indennizzo straordinario, a favore dei soggetti che hanno fatto domanda di accesso al percorso transattivo, in linea con iniziative analoghe, al fine di addivenire ad una soluzione stragiudiziale in grado di sanare questa storia nera di sanità pubblica, aggravata dai ritardi della pubblica amministrazione;
   quante risultino, ad oggi, le somme già stanziate e disponibili per la citata soluzione transattiva; se il Governo confermi a nome dello Stato italiano di aver fatto richiesta di costituzione di parte civile, a fianco dei pazienti emofilici, nel procedimento penale n. 33870/03 R.G.N.R., con il capo d'accusa di omicidio colposo plurimo aggravato per fatti collegati ai danni causati dall'utilizzo di farmaci emoderivati infetti, pendente innanzi al tribunale di Napoli con udienza fissata per il giorno 3 ottobre 2014. (5-03255)


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel centro socio-riabilitativo per giovani disabili «Casa di Alice» di Grottammare (AP) gestito dal comune attraverso una cooperativa esterna sono stati arrestati dai carabinieri di San Benedetto del Tronto, cinque educatori in servizio presso il centro. Il centro ospita persone affette da autismo di età compresa dagli 8 ai 20 anni;
   due osservazioni importanti: in primo luogo si trattava di una struttura modello del comune, nata con ottimi propositi e buone scelte educativo-riabilitative, data in gestione a una cooperativa, di piccole dimensioni (12 ospiti dagli 8 ai 20 anni), con una carta dei servizi visibile su internet. E in secondo luogo, si trattava di giovani con autismo estremamente severo, dato che si parla di ricoveri, in una struttura semi-residenziale, per ragazzini ancora in età scolastica;
   le accuse sono maltrattamenti e sequestro di persona. Nel centro è stata sequestrata una cosiddetta «stanza di contenimento» buia e stretta, dove i ragazzi venivano denudati e rinchiusi. Tuttavia occorre sottolineare che nei disabili c'era una «totale assenza di comportamenti violenti o di azioni che giustificassero il loro “contenimento”, all'interno di quell'ambiente, usato come strumento per reprimere e punire la “vivacità” dei ragazzi»;
   fortunatamente l'uso delle tecnologie permette oggi di monitorare la vita all'interno di questi centri. La tecnologia mette a disposizione vari tipi di aiuto, comprese le telecamere, che possono essere di aiuto anche per i genitori. Forse l'uso delle telecamere non è sufficiente a garantire una maggiore sicurezza a tutte quelle categorie di persone, disabili, minori, anziani, che non sono in grado di provvedere da soli alla propria incolumità. Ma è certo che si rende necessaria una supervisione e che anche i genitori hanno il diritto di avere informazioni precise e puntuali, a 360o riguardo gli ambiti frequentati dai figli, nella scuola, nelle strutture riabilitative, sportive o quant'altro;
   certi episodi si ridurrebbero drasticamente se queste strutture fossero aperte al territorio nei due sensi dall'interno verso l'esterno e viceversa. In strutture semiresidenziali come quella in questione vanno previsti nei programmi educativi varie forme di collaborazione con attività con altri centri giovanili, con associazioni di volontariato, con occasione sociali come feste, sagre, e altro. Analogamente le strutture possono invitare la cittadinanza al loro interno in varie occasioni;
   appare sempre più urgente mantenere uno stretto rapporto di collaborazione tra genitori, educatori e personale terapeutico che si fanno carico di persone fragili. Tanto più intenso quanto più fragili sono queste persone. In Inghilterra esiste un documento fondamentale l'IMP o Individual management plan, dove vengono delineati comportamenti, eventuali fattori scatenanti, notizie mediche, problemi sensoriali, interessi e attività preferite del soggetto, comprese eventuali strategie di contenimento approvate dai genitori, che ne autorizzano l'uso nei casi estremi in cui dovessero essere necessarie; ma sempre in un clima di collaborazione tra genitori ed educatori –:
   quale sia il livello di formazione di base e di competenza specifica richiesto per il personale impegnato nel rapporto con i soggetti autistici, anche nel caso di cooperative che gestiscono strutture semi-residenziali come quella citata in premessa, e se non intenda assumere iniziative, anche normative, al riguardo.
(5-03262)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SORIAL. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel nostro Paese è in crescita un fenomeno preoccupante che coinvolge i più giovani, come riportato da numerose fonti di stampa: si tratta del cosiddetto cutting, nuova frontiera dell'autolesionismo giovanile che consiste nel praticarsi dei tagli gambe e braccia con vetri, coltellini e lamette per sfogare un forte disagio perché, a quanto dicono coloro che la praticano: «Quando esce il sangue la pelle brucia, ma dentro, nel cuore, arriva la tranquillità»;
   a detta degli psicologi che lavorano nelle scuole il fenomeno del cutting si è già trasformato in una vera propria epidemia: si ipotizza che i cutters, in prevalenza di sesso femminile, siano già il 10 per cento dei teenager tra i 13 e i 16 anni, dunque oltre duecentomila adolescenti;
   la pratica è amplificata dai mezzi informatici che permettono di trasformare i tagli in «selfie» (autoscatti) che i ragazzi condividono con i loro coetanei, e in particolare gli altri «cutters», ovvero altri adolescenti che si feriscono volontariamente, inviandoli, anche in tempo reale, tramite il telefono cellulare attraverso ogni tipo di social e in particolare su «Tumblr», con il verificarsi di una spirale di imitazione/emulazione;
   secondo lo psichiatra Gustavo Pietropolli Charmet, fondatore del gruppo «Minotauro»: «Tagliarsi è un rito ipnotico e catartico. Il coltello che scava nella pelle, la vista del sangue, il batuffolo d'ovatta che si macchia, la ferita che diventerà una cicatrice e dunque un trofeo. Può essere la rabbia contro un'ingiustizia subita, un rifiuto amoroso, un fallimento a scuola: si volge il coltello contro sé stessi quando ci si sente impotenti di fronte ad un dolore, un sopruso, una delusione. Attenzione però: anche se i ragazzi fanno di tutto per nascondere quei segni coprendoli con i pantaloni, sotto le maniche lunghe, l'autolesionismo è un gesto contro di sé che vuole parlare agli altri. Un grido d'aiuto insomma»;
   se i Ministri interrogati siano al corrente di quanto esposto in premessa e quali misure intendano prendere o abbiano preso, per quanto di loro competenza, per monitorare e contrastare tale preoccupante fenomeno che mette in pericolo la salute dei più giovani anche per le conseguenze che ne possono scaturire come infezioni e complicazioni;
   se i Ministri non intendano, altresì, attivarsi perché questo «grido d'aiuto» non resti inascoltato e questa pratica autolesionistica venga analizzata e studiata a fondo visto che rappresenta la manifestazione e dunque anche il campanello d'allarme di un malessere esistenziale più grave e profondo che pervade il mondo giovanile. (4-05588)


   DI VITA, GRILLO, MANTERO, CECCONI, SILVIA GIORDANO, DALL'OSSO e LOREFICE. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   i CDD, Centri diurni per persone con disabilità, sono strutture di tipo semiresidenziale che accolgono durante il giorno persone con disabilità, attraverso i quali vengono erogate prestazioni socio-sanitarie, riabilitative ed educative, sulla base di Progetti educativi individualizzati (P.E.I.);
   il ricorso ai mezzi di contenzione previsto dal regolamento manicomiale del 1909 prevedeva l'utilizzo di mezzi di «contenzione meccanica» (tra cui le stanze di contenimento, le camicie di forza e altro) in casi eccezionali e limitati nelle ipotesi di comportamenti violenti e/o aggressivi del paziente. Questa norma, e quelle analoghe sull'organizzazione dei manicomi, sono state abolite con la riforma psichiatrica del 1978;
   oggi dunque, giustamente, nel nostro ordinamento non v’è più alcuna disposizione di legge che, quanto meno sulla carta, autorizzi implicitamente o esplicitamente l'uso di mezzi di contenzione;
   la realtà dei fatti è però ben altra cosa;
   in data 15 luglio 2014, infatti, le cronache giornalistiche hanno riportato la notizia raggelante relativa ad una serie di maltrattamenti gravissimi compiuti in un centro diurno per disabili in provincia di Ascoli Piceno, la «Casa di Alice», a danno di alcuni ragazzi con disabilità che alloggiavano nella struttura;
   i particolari della vicenda sono ancora più terrificanti: le vittime di tali nefandezze, ragazzi autistici di età compresa fra gli 8 e 20 anni, venivano denudati, picchiati, spintonati, sgridati e tenuti addirittura sequestrati in anguste stanze di contenimento, ove erano anche costretti a urinare;
   la notizia stride fortemente con il dato relativo al 2004, quando il centro veniva allora presentato come il fiore all'occhiello di un progetto sperimentale che tendeva «attraverso interventi educativi comportamentali, a migliorare il rapporto dei ragazzi autistici con la realtà esterna», in collaborazione con un neuropsichiatra infantile, una psicologa e una psicopedagogista;
   i carabinieri di San Benedetto del Tronto hanno già liberato i giovani ospiti del centro diurno e su disposizione del giudice per le indagini preliminari del tribunale di Fermo hanno arrestato cinque educatori della struttura gestita dal comune, attraverso una cooperativa esterna, e sequestrato la «stanza di contenimento»;
   l'inchiesta ha permesso anche grazie alle intercettazioni video di documentare numerosissimi episodi di aggressione fisica e psicologica (spintoni, schiaffi, strette al corpo, minacce gestuali) ai danni dei giovani disabili, e l'impiego sistematico della «stanza di contenimento» come strumento per reprimere o «punire» la vivacità dei ragazzi;
   in realtà, come hanno rilevato in seguito alla stampa sia il pubblico ministero che i carabinieri, in quei ragazzi v'era una «totale assenza di comportamenti violenti o di azioni che giustificassero il loro “contenimento”, anche per svariate ore, all'interno di quell'ambiente, talvolta denudati dagli educatori e costretti a urinarsi addosso»;
   quello descritto purtroppo non costituisce solo un caso isolato, ma si inserisce a pieno titolo nel quadro di un fenomeno invero più diffuso di quanto si riesca a immaginare, dovuto in particolare alla pressoché generalizzata assenza di controlli in tale settore;
   realtà tristemente simili emergono sempre più di frequente dalle cronache giornalistiche che, citandone una per tutte, lo scorso giugno riportavano ad esempio la notizia relativa allo scandalo degli «Istituti polesani» di Ficarolo, in provincia di Rovigo, in cui, secondo le indagini, alcuni medici, infermieri o operatori sanitari, avrebbero maltrattato gli ospiti della strutturi, persone anziane e con disabilità, affette da problematiche invalidanti. Gli episodi contestati in tale vicenda riportavano di schiaffoni, a volte anche inferti con oggetti come manici di scopa o scarpe, ma anche strattoni, prese per i capelli, veri e propri «lanci» sulla sedia a rotelle piuttosto che sul letto di degenza: umiliazioni e vessazioni, insomma, all'ordine del giorno. Nel prosieguo dell'indagine è poi infatti definitivamente emerso che la violenza e la brutalità nei confronti di pazienti inermi erano elevate a sistema;
   anche in questo caso la struttura sanitaria, in apparenza modello di funzionalità, in realtà era un vero e proprio lager, in cui erano costretti coloro che avevano maggior bisogno di cure e affetto;
   in tal senso stupisce dover segnalare, non senza preoccupazione, come il Governo, nel licenziare il 10 luglio 2014 il disegno di legge delegato per la riforma del terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale, non abbia preso in esame la possibilità di provvedere utilmente a inserire nel testo di detto provvedimento alcuna disposizione atta a fronteggiare l'aspetto specifico sin qui descritto e denunciato, relativo alla carenza di controlli mirati nei confronti di soggetti giuridici, quali ad esempio le società e le cooperative sociali, che svolgono servizi di interesse pubblico per conto dell'ente locale di riferimento e che, con particolare incidenza al sud Italia, si rivelano quali veri e propri enti di sola «facciata» costituendo anche, non così di rado, veri e propri bacini elettorali per la politica locale –:
   relativamente alla materia dei centri diurni per persone con disabilità (CDD), quali attività di controllo, per quanto di competenza, il Governo ponga già in essere o, in caso negativo, intenda prossimamente intraprendere, anche per il tramite del Comando carabinieri per la tutela della salute, al fine di scongiurare che situazioni gravissime e drammatiche analoghe a quella in premessa citata possano nuovamente verificarsi. (4-05600)

Apposizione di firma ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Ginefra ed altri n. 1-00134, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dalla deputata Dorina Bianchi e con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Ginefra, Palese, Leone, Matarrese, Fratoianni, Cera, Pisicchio, Duranti, Ricciatti, Quaranta, Matarrelli, Sannicandro, Melilla, Pannarale, Cassano, Capone, Amendola, Amato, Sisto, Michele Bordo, Piepoli, Lodolini, Laforgia, Pelillo, Mongiello, Distaso, Fucci, Boccia, Losacco, Luciano Agostini, Grassi, Ventricelli, Carbone, Mariano, Tullo, Castricone, Dorina Bianchi».

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Lorefice n. 4-05523, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 264 del 15 luglio 2014.

   LOREFICE, GRILLO, MANTERO, SILVIA GIORDANO, CECCONI, DALL'OSSO e DI VITA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a Pozzallo, sede di un centro di primo soccorso e accoglienza molto importante in Sicilia per la posizione strategica, in questi giorni sono stati ritrovati nei cassonetti della spazzatura decine di portate di cibo ancora cellophanate provenienti dal CPSA;
   su tali fatti stanno indagando i carabinieri della compagnia di Modica ed è stata anche aperta un'inchiesta amministrativa interna alla struttura per verificare la corrispondenza tra il numero di pasti fornito quotidianamente e il numero degli ospiti del centro, nonché per verificare il rispetto delle tradizioni religiose dei migranti attraverso una giusta scelta degli alimenti;
   il capitolato speciale d'appalto tra il comune di Pozzallo e la ditta vincitrice della gara per il servizio di ristorazione in favore degli ospiti del CPSA con scadenza 31 agosto 2014, prevede la consegna di pasti agli ospiti nei locali del CPSA destinati a mensa tre volte al giorno, e precisamente la colazione dalle 8:00 alle 8:30, il pranzo dalle 12:00 alle 13:00 e la cena dalle 18:30 alle 19:00;
   il contratto prevede altresì che nella scelta degli alimenti dovranno essere rispettati tutti i vincoli costituiti dalle regole alimentari dettate dalle diverse scelte religiose;
   non è menzionata invece in tale contratto la gestione di eccedenze e avanzi dei pasti eventualmente somministrati –:
   se non ritenga opportuno estendere l'operatività delle linee di indirizzo nazionale per la ristorazione scolastica del 29 aprile 2010 al servizio mensa per i migranti, in particolare gestendo le eccedenze alimentari attraverso iniziative di solidarietà per la destinazione del cibo ad enti assistenziali, evitando in tal modo che numerose pietanze finiscano nella spazzatura;
   se, di concerto con il Prefetto, per quanto di competenza, nel rispetto della libertà di religione dei migranti, non intenda prendere in considerazione la possibilità di modificare gli orari di distribuzione dei pasti, conseguentemente a particolari periodi di preghiera come quello attuale del ramadan;
   se non ritenga opportuno verificare che vengano distribuite pietanze non in contrasto con i principi e le abitudini alimentari e culturali dei migranti, ad esempio attraverso la sostituzione della pasta con il riso. (4-05523)

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta in commissione L'Abbate n. 5-01774 del 20 dicembre 2013.