Camera dei deputati

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 14 luglio 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    i comparti difesa-sicurezza e soccorso pubblico sono, di fatto, oggetto di un blocco contrattuale dal 2006, nonché del congelamento di tutte le prerogative connesse ai diritti spettanti agli operatori, a partire dall'adeguamento economico attribuito per progressione di carriera, dell'assegno di funzione, compresi, quindi, gli scatti di anzianità, e finanche di un riordino delle carriere che sarebbe decisamente auspicabile;
    è evidente, pertanto, la discriminazione che si è venuta a determinare nel corso di questi anni nei confronti del personale dei comparti che, nonostante vanti sia requisiti professionali che di anzianità, non ha visto riconosciuti i diritti ad esso spettanti sotto il profilo contrattuale, nonché giuridico costituzionale;
    la situazione si è ulteriormente aggravata con il decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, che ha previsto l'esclusione, per l'intero triennio 2011-2013 – tanto dai meccanismi di adeguamento previsti per legge, quanto dall'applicazione degli aumenti retributivi (scatti e classi di stipendio) collegati all'anzianità di ruolo, nonché, addirittura, dal riconoscimento dei benefici economici correlati alle progressioni di carriera – delle retribuzioni del personale della pubblica amministrazione, tra cui rientra il personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, senza la possibilità di recuperarli successivamente;
    tali disposizioni, come è noto, sono state prorogate fino al 31 dicembre 2014 dal successivo decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 2013, n. 122;
   il richiamato blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali, in assenza di procedure di concertazione, ha pertanto pregiudicato la maturazione di alcuni istituti propri dei comparti difesa-sicurezza e soccorso pubblico, strettamente connessi alla valorizzazione dell'anzianità di servizio e alla correlata acquisizione di crescenti competenze professionali, nonché più impegnative responsabilità di servizio, quali l'omogeneizzazione, l'assegno funzionale e gli incrementi stipendiali parametrali non connessi a promozioni;
    tali disposizioni hanno, inoltre, determinato anche il blocco degli adeguamenti annuali indicizzati (classi, scatti stipendiali ed effetti economici) delle progressioni di carriera, che sono in gran parte legate a rigide procedure di selezione e avanzamento, assolutamente definite dalla normativa vigente per le varie categorie di personale;
    particolarmente problematiche si sono rivelate, in tal senso, le previsioni dell'articolo 66, comma 9-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto del 2008, n. 133, per gli anni 2010-2011, e il successivo blocco parziale del turnover fissato al 20 per cento per il triennio 2012-2014, al 50 per cento per l'anno 2015, e al 100 per cento a decorrere dal 2016; solo con la legge di stabilità 2014, poi, la facoltà assunzionale è stata in parte elevata al 55 per cento a decorrere dall'anno 2014, con la previsione di elevare ulteriormente tale percentuale fino al 70 per cento per l'anno 2015. Si è determinato così un repentino e deciso innalzamento dell'età media di tutti gli operatori del settore, che supera i 45 anni di età ed è, ad oggi, tra le più alte d'Europa, con conseguenze tutt'altro che trascurabili che incidono: sull'immissione di personale nelle carriere iniziali dei vari ruoli, sul piano dell'efficienza in generale, su quello dell'efficacia degli interventi operativi delle forze dell'ordine, sul piano della lievitazione dei costi necessari per fronteggiare le esigenze di servizio sia per le attività militari che per quelle relative all'ordine e sicurezza pubblica, poste da un personale con un'età così elevata che, se scorporata nelle qualifiche (gradi) intermedie (ispettori e marescialli) o apicali (funzionari-dirigenti e ufficiali), ha superato da tempo i 50 anni;
    va, inoltre, analizzata la circostanza che il susseguirsi degli effetti dei vari interventi normativi succedutisi nel tempo, spesso sulla base di decretazione d'urgenza, ha determinato un diverso trattamento economico tra soggetti che ricoprono le stesse funzioni, con decorrenze o provenienze diverse;
    nonostante la legge di stabilità 2014 abbia dato qualche segnale di inversione di tendenza per quanto attiene sia alla formazione e all'addestramento del personale, sia alla manutenzione e all'efficienza dei mezzi e degli equipaggiamenti a garanzia della piena funzionalità dello strumento militare, permane tuttavia un'evidente situazione di oggettiva difficoltà vissuta da chi opera nel settore;
    gran parte degli operatori, uomini e donne, del comparto percepisce trattamenti economici medio-bassi che dovrebbero essere migliorati e, anche se nei confronti di una piccola parte di tali operatori il cui trattamento economico non supera i 25 mila euro annui lordi è intervenuto il decreto-legge n. 66 del 24 aprile 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 89 del 2014, con il bonus di 80 euro, la situazione generale rimane assolutamente compromessa;
    appare, pertanto, ineludibile ripensare un nuovo modello di sicurezza per il nostro Paese che, ferme restando le esigenze e gli obiettivi di bilancio, ne ridisegni obiettivi, funzioni e organizzazione, anche al fine di rendere più efficace ed efficiente il lavoro svolto dagli operatori del comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico, e dotandolo delle risorse necessarie a perseguire gli obiettivi istituzionali che rimangono cura primaria dello Stato,

impegna il Governo:

   a presentare al Parlamento, entro tre mesi, una relazione dettagliata sulle condizioni professionali e retributive degli operatori, sugli organici e sulle dotazioni di cui dispongono i diversi corpi e specialità e sulla dislocazione sul territorio dei diversi presidi del comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico al fine di valutarne l'idoneità e l'efficacia, quantitativa e qualitativa, per il raggiungimento degli obiettivi affidati dalla legge alla sicurezza nazionale, nonché a presentare un'analisi del quadro normativo esistente, sia a livello centrale, che a livello regionale e locale (compreso il sistema della polizia locale), che tenga conto in particolare degli effetti prodotti sul comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico dalle disposizioni di legge entrate in vigore dopo la legge n. 121 del 1981;
   a presentare al Parlamento, entro gli stessi termini temporali, una relazione descrittiva della situazione retributiva del personale delle Forze armate, distinguendo per le varie posizioni di ruolo, grado e categoria di appartenenza la quota parte relativa al trattamento stipendiale, alle indennità specifiche e al trattamento accessorio;
   a valutare, in vista della predisposizione del disegno di legge di stabilità per il 2015, l'individuazione di misure finalizzate ad assicurare al personale di tutti i comparti il recupero, nella misura compatibile con l'andamento delle finanze pubbliche, dei trattamenti economici connessi con impiego e funzione, con l'effettiva presenza in servizio e con la maturazione dei requisiti di anzianità e di merito, ripristinando meccanismi di concertazione con le organizzazioni di rappresentanza del comparto stesso, al fine di riconoscere la giusta dignità professionale per gli operatori di questo comparto fondamentale per il Paese, anche con l'obiettivo di consentire una migliore e più moderna organizzazione sul territorio.
(1-00538) «Fiano, Scanu, Roberta Agostini, Cuperlo, D'Attorre, Marco Di Maio, Fabbri, Famiglietti, Ferrari, Gasparini, Giorgis, Gullo, Lattuca, Lauricella, Marco Meloni, Naccarato, Piccione, Pollastrini, Richetti, Rosato, Francesco Sanna, Aiello, Bolognesi, D'Arienzo, Ferro, Fioroni, Fontanelli, Carlo Galli, Garofani, Gregori, Lorenzo Guerini, Marantelli, Massa, Moscatt, Salvatore Piccolo, Giuditta Pini, Stumpo, Valeria Valente, Villecco Calipari, Zanin».


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, in relazione alla «straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per il contenimento della spesa pubblica e per il contrasto all'evasione fiscale ai fini della stabilizzazione finanziaria, nonché per il rilancio della competitività economica», ha previsto che, per l'intero triennio 2011-2013, le retribuzioni del personale della pubblica amministrazione – tra cui rientra il personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco – fossero escluse tanto dai meccanismi di adeguamento previsti per legge, quanto dall'applicazione degli aumenti retributivi (scatti e classi di stipendio) collegati all'anzianità di ruolo, nonché, addirittura, dal riconoscimento dei benefici economici correlati alle progressioni di carriera, senza possibilità successiva di recupero e senza possibilità di attivare comunque una procedura di concertazione;
    tali disposizioni sono state da ultimo prorogate fino al 31 dicembre 2014 dal decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 2013 n. 122. Sul relativo schema di regolamento la Commissione difesa della Camera dei deputati, in data 18 giugno 2013, ha espresso rilievi;
    il richiamato blocco ha pregiudicato la maturazione di alcuni istituti tipici specifici del comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico strettamente connessi alla valorizzazione dell'anzianità di servizio e alla correlata acquisizione di crescenti competenze professionali, nonché più impegnative responsabilità di servizio, quali l'omogeneizzazione, l'assegno funzionale e gli incrementi stipendiali parametrali non connessi a promozioni. Inoltre, tale norma ha bloccato anche gli adeguamenti annuali indicizzati (classi, scatti stipendiali ed effetti economici) delle progressioni di carriera, tra l'altro in gran parte legate a rigide procedure di selezione e avanzamento, assolutamente definite dalla normativa vigente per le varie categorie di personale;
    tale normativa ha avuto incidenze negative in modo devastante sia sulla funzionalità sia sulla motivazione del personale. Si pensi, in particolare, a coloro che, promossi e magari anche trasferiti in relazione a nuove e ben più rilevanti funzioni da assumere, non sono poi stati remunerati con il previsto trattamento economico;
    al fine di mitigare gli effetti del richiamato blocco, il Governo pro tempore aveva previsto l'istituzione di un fondo di 80 milioni di euro per ciascuno degli anni 2011-2012, per il finanziamento di misure «perequative» per il personale del comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico interessato alle suindicate penalizzazioni, con la volontà espressa di sterilizzarne gli effetti nel triennio in questione;
    con il decreto-legge n. 27 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 74 del 2011, il richiamato fondo è stato incrementato con 115 milioni di euro annui, sottraendoli peraltro alle disponibilità assegnate per il riordino dei ruoli dall'articolo 3, comma 155, del decreto-legge n. 350 del 2003;
    con tale decreto-legge, peraltro, sono state denominate «assegni una tantum» le misure perequative da concedere ed è stato legittimato il ricorso al fondo anche per compensare la mancata corresponsione, per effetto del tetto salariale di omogeneizzazione, di assegni funzionali e incrementi stipendiali e parametrali non connessi a promozioni;
    il richiamato fondo è stato incrementato, relativamente all'anno 2014, di 100 milioni di euro dall'articolo 1, comma 446, della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità per il 2014), ma è evidente che, come è avvenuto negli anni passati, tale somma sia insufficiente a perequare quanto è stato danneggiato dal protrarsi del blocco delle retribuzioni;
    si auspica, infine, che per tutti i dipendenti della pubblica amministrazione, in particolare le fasce salariali più basse, termini il regime di blocco degli aumenti contrattuali, adeguando il loro potere di acquisto al costo della vita,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per far cessare le previsioni di cui all'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, entro il 31 dicembre 2014;
   ad assumere iniziative per prevedere, a far data dal 1o settembre 2014, l'adeguamento alla retribuzione che, senza gli effetti dell'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010, spetterebbe ad oggi al personale appartenente al comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico;
   ad assumere iniziative per prevedere, in sede di incremento del fondo di cui all'articolo 8, comma 11-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010, la congrua dotazione, finalizzata alla ripartizione dell'ammontare dei mancati adeguamenti salariali, maturati dal personale appartenente alle Forze armate e di polizia e al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, per un terzo nel 2015, un terzo nel 2016 e la parte rimanente nel 2017, da corrispondere su base mensile, per gli importi già non perequati da precedenti assegni una tantum previsti dal fondo in questione;
   in sede di riparto delle risorse di cui alla dotazione del fondo di cui all'articolo 8, comma 11-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010, destinato a finanziare le misure perequative in favore del personale appartenente al comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico interessato dall'applicazione dell'articolo 9, commi 1 e 21, del richiamato decreto-legge e a corrispondere, in favore del medesimo personale, assegni una tantum, ad assicurare con le risorse disponibili per l'anno 2014, in via prioritaria, al personale appartenente alle carriere iniziali delle Forze armate e di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, la corresponsione di assegni una tantum nell'entità commisurata al 50 per cento dell'importo non corrisposto per il medesimo anno, in relazione alla sospensione degli effetti economici dovuti all'applicazione del comma 21 dell'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010;
   ad assumere iniziative per assicurare a far data dal 1o gennaio 2015, anche per tutti i dipendenti della pubblica amministrazione interessati dal decreto legge n. 78 del 2010, procedure per il progressivo riallineamento dei salari.
(1-00539) «Artini, Rizzo, Paolo Bernini, Basilio, Corda, Frusone, Tofalo, Nuti».


   La Camera,
   premesso che:
    l'istituzione delle zone franche urbane (Zfu) è stata introdotta dall'articolo 1, comma 340, legge 24 dicembre 2006, n.296 (legge finanziaria 2007), quale strumento di sostegno all'economia in determinate aree del territorio nazionale, particolarmente in ritardo sul versante dello sviluppo e della crescita, che a seguito dell'espletamento di determinate procedure, ed in armonia con il quadro regolatorio comunitario, possono beneficiare di una particolare fiscalità di vantaggio e di una mirata allocazione delle risorse;
    l'iniziativa s'inserisce all'interno di un panorama nazionale delle politiche di promozione dello sviluppo di una specifica parte geografica, finalizzato al concretizzarsi di una serie di sgravi fiscali e agevolazioni per le piccole e micro imprese, che avviano una nuova attività economica in territori ultraperiferici, con potenzialità di sviluppo inespresse;
    il riconoscimento dello status giuridico di zona franca, che prevede specifiche condizioni, quali essere territori ultraperiferici, a rischio di spopolamento e con una situazione socio economica di sottosviluppo, deve tener conto delle disposizioni legislative dello Stato, rafforzate dall'articolo 116 della Costituzione, che attribuisce al Friuli Venezia Giulia, alla Sardegna, alla Sicilia, al Trentino-Alto Adige/Südtirolo e alla Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, la disposizione di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale;
    nell'ambito delle caratteristiche riconducibili all'identificazione, dei presupposti indispensabili per rendere operativa la misura d'aiuto, attraverso un regime di speciali agevolazioni, lo strumento della zona franca urbana, istituito nelle fasce confinarie regionali, che subiscono la concorrenza di sistemi fiscali, previdenziali e forme contrattuali di lavoro particolarmente vantaggiose, costituisce un contributo rilevante e moderno per promuovere il rilancio dell'economia territoriale;
    la fascia confinaria della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia con la Slovenia e con l'Austria, rappresentata dalle città di Trieste, Gorizia, Cividale, Tarvisio, nonché la zona di frontiera italo-austriaca del Brennero, nella provincia autonoma di Bolzano, da diversi anni, sono contraddistinte negativamente dal punto di vista socioeconomico dall'accresciuta concorrenza, essenzialmente di tipo fiscale, messa in atto dai Paesi confinanti;
    il trattamento fiscale e contributivo più favorevole, attuato oltre la linea di confine, da parte dell'Austria e della Slovenia, si rivela essere infatti, notevolmente vantaggioso rispetto al confine orientale italiano, in considerazione del fatto che i benefici che si riscontrano oltre la fascia confinaria sono soprattutto quelli relativi alle imposte dovute alle accise, al costo del lavoro e ai differenziali nel complesso più favorevoli dei costi della vita e dei servizi;
    gli effetti negativi e penalizzanti derivanti dall'elevata tassazione italiana che complessivamente raggiunge livelli anche pari al 68 per cento, rispetto ai suesposti Paesi confinanti, i quali raggiungono percentuali d'imposizione fiscale rispettivamente pari al 34 per cento e al 50 per cento, stanno determinando inoltre una progressiva delocalizzazione produttiva e commerciale delle imprese friulane;
    la vicinanza geografica all'Italia, unitamente ad un sistema in generale più favorevole, rappresentato da procedure amministrative più «snelle», da semplificazioni fiscali e burocratiche vantaggiose e da un tessuto ambientale, che non ha pregiudizi nei confronti della figura imprenditoriale, stimola lo spostamento degli insediamenti produttivi e commerciali oltre le aree confinanti con l'Austria e la Slovenia, entrambi Stati membri dell'Unione europea;
    ulteriori elementi distintivi che inducono le imprese friulane a delocalizzare la propria attività aziendale, determinando considerevoli vantaggi per i relativi bilanci, derivano dallo spostamento della residenza fiscale oltre confine, in considerazione del fatto che tale decisione, oltre a non richiedere un grande sforzo logistico, eviterebbe la doppia imposizione dei redditi d'impresa;
    in termini complessivi i benefici che riscontrano gli imprenditori interessati a stabilire la propria attività d'impresa in Austria e Slovenia, sono rivolti, come in precedenza indicato, ad una complessiva imposizione fiscale più favorevole, se si valuta che in Slovenia e in Austria grava sulle società una pressione fiscale in media, rispettivamente, del 20 per cento e del 25 per cento, a differenza del livello di prelievo fiscale in Italia che ha raggiunto il 43,8 per cento del prodotto interno lordo nel 2013, con una base imponibile delle imposte (Irpef pari al 40 per cento, Ires al 27,5 per cento Irap al 3,9 per cento) così elevata, che determina un dimezzamento del risultato economico delle società;
    i contributi previdenziali e sanitari, il trattamento di fine rapporto, le aliquote delle accise ed una più ampia e generale libertà d'azione, anche dal punto di vista giuridico, nel creare le condizioni ideali per «fare impresa», stanno conseguentemente provocando una vera «migrazione» delle imprese italiane verso le limitrofe Austria e Slovenia, i cui effetti negativi e penalizzanti si ripercuotono evidentemente sull'economia territoriale friulana, nonché su quella nazionale, in particolare dal punto di vista occupazionale;
    le numerose e articolate criticità suesposte configurano pertanto un quadro complessivo estremamente svantaggioso dal punto di vista concorrenziale per le imprese italiane, le cui zone di frontiera hanno rappresentato per molti anni lo snodo dei traffici via terra verso l'Europa, con innegabili benefici di natura economica per le popolazioni residenti;
    il successivo allargamento progressivo dell'Unione europea verso est e l'adozione della moneta unica hanno inoltre rappresentato ulteriori elementi distintivi svantaggiosi per il Friuli Venezia Giulia, provocando la perdita di un numero considerevole di opportunità commerciali e di servizi, con evidenti ricadute negative sull'economia locale, causate anche, come in precedenza riportato, dalla competizione degli Stati confinanti aumentata nel corso degli ultimi anni;
    l'adozione di strumenti in grado di sostenere il tessuto produttivo posizionato lungo le fasce di confine, al fine di favorire le attività industriali, commerciali, artigianali e turistiche, nonché sostenere e promuovere lo sviluppo dell'economia locale, dell'occupazione e l'interscambio economico con i Paesi limitrofi, risulta pertanto urgente ed opportuno, al fine di interrompere il processo di delocalizzazione in corso dalla regione friulana e dare un nuovo impulso alla crescita della fascia confinaria friulana;
    l'introduzione di misure che possano rappresentare un efficace strumento moderno di politica economica e fiscale, in grado di tutelare in maniera costruttiva una parte consistente della suesposta regione di confine, volte alla semplificazione fiscale e burocratica e sostenere la concorrenza operata dai Paesi esteri confinanti una più ampia libertà di detassazione per le nuove imprese e per le imprese dei giovani, senza gravare sull'amministrazione dello Stato, un regime d'esenzione temporaneo dei dazi extra doganali e l'eliminazione delle imposte sui consumi e sui redditi limitatamente ai redditi prodotti nella zone franche, possono costituire nella totalità, un processo coordinato tra le istituzioni ed i soggetti interessati,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative, per quanto di competenza e in conformità alla disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato, a favore della regione Friuli Venezia Giulia, al fine di contrastare i fenomeni di disagio sociale ed economico causati dalla concorrenza degli Stati confinanti, di interrompere il processo di delocalizzazione degli impianti produttivi in corso, nelle aree oltre confine, e di favorire il rilancio economico e imprenditoriale friulano attraverso:
    a) l'istituzione in via sperimentale e temporanea della durata di tre anni di una disciplina normativa analoga a quella delle zone franche urbane (Zfu), di cui all'articolo 1, comma 340, legge 24 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), a favore dei territori dei comuni di Trieste, Gorizia, Cividale, Tarvisio e Brennero finalizzata a prevedere semplificazioni fiscali burocratiche dirette a contrastare la concorrenza dei sistemi più vantaggiosi, dal punto di vista fiscale, dei Paesi confinanti quali Austria e Slovenia;
    b) la previsione in via sperimentale e temporanea per la durata di cinque anni per i territori dei distretti industriali del Friuli Venezia Giulia dello status di zona franca, ai sensi del regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio (UE) n. 952/2013 del 9 ottobre 2013 e del regolamento (CEE) n. 2454/93 della Commissione, del 2 luglio 1993, quale elemento positivo di connessione tra il rilancio dell'economia locale e l'inversione di tendenza alla delocalizzazione degli insediamenti produttivi;
    c) la previsione di misure di agevolazione fiscale nei riguardi del settore marittimo al fine di favorire lo sviluppo turistico e l'attività portuale di Trieste, attraverso: l'esenzione da dazi e formalità doganali, prevedendo la libertà di sbarco, imbarco, trasbordo, deposito, manipolazione e lavorazione anche industriale delle merci in regime estero per estero, con mantenimento dell'origine, senza dazi doganali, tasse, aliquote e diritti marittimi; l'esenzione dalle imposte sui consumi e sui redditi limitatamente a quelli prodotti nelle zone franche; la riduzione degli oneri amministrativi per le società estere e la deregulation bancaria e assicurativa;
    d) l'introduzione di adeguate misure per l'incremento del commercio di determinati prodotti, in particolare riducendo la tariffa dei carburanti e dei generi di monopolio, i cui prezzi negli Stati confinanti sono particolarmente contenuti;
    e) l'introduzione di misure sperimentali per l'incremento della produttività del lavoro definendo le modalità di detassazione del salario di produttività, con riferimento al settore privato, l'imprenditoria giovanile ed i titolari di reddito da lavoro dipendente.
(1-00540) «Sandra Savino, Palese».


   La Camera,
   premesso che:
    è necessario prendere atto degli effetti negativi dispiegati dalle misure di contenimento della spesa pubblica sull'efficienza e l'efficacia delle Forze armate, dell'ordine e del soccorso tecnico urgente;
    in particolare occorre sottolineare che, le conseguenze delle disposizioni introdotte dal il decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, che hanno determinato non soltanto il blocco degli adeguamenti stipendiali previsti dalla normativa preesistente ma, altresì, quello degli aumenti retributivi connessi all'avanzamento dell'anzianità di ruolo e persino degli scatti derivanti dalla progressione delle carriere nel comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico, generando significative situazioni di diseguaglianza tra persone appartenenti agli stessi livelli gerarchici o addetti al disbrigo delle medesime mansioni;
    tali situazioni di disallineamento si ripercuotono non soltanto sulle motivazioni dei singoli individui, già penalizzati da percorsi professionali che comportano trasferimenti improvvisi ed esposizione a gravi rischi, ma altresì sulle strutture e la coesione interna della difesa, delle Forze dell'ordine e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
    in materia son anche intervenuti atti d'indirizzo votati dal Parlamento, che hanno stigmatizzato la situazione, impegnando il Governo pro tempore alla correzione, come la risoluzione n. 8-00151, approvata dalla Commissione difesa della Camera dei deputati nella XVI legislatura ed il successivo ordine del giorno G/2969/2/5, approvato dalla Commissione bilancio del Senato della Repubblica in data 8 novembre 2011;
    a tali misure ne hanno fatto seguito altre, dalla spending review varata dal decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, alla «riforma Di Paola», che hanno determinato forti contrazioni nella consistenza degli organici dipendenti dal Ministero della difesa e dal Ministero dell'interno, disponendo il blocco parziale del turn over, che avviene ora in proporzioni inferiori al 100 per cento, con la conseguenza di assottigliare i presidi delle Forze dell'ordine ed invecchiare notevolmente il personale di truppa delle Forze armate;
    l'esistenza teorica di una prospettiva di integrazione europea estesa al campo delle Forze armate e l'appartenenza del nostro Paese ad alleanze internazionali potenti e credibili come la Nato consentono risparmi nell'area della funzione difesa che è invece impossibile immaginare nell'area sicurezza interna e soccorso tecnico, posto che non si può affidare all'Unione europea o all'Alleanza atlantica la tutela della legalità e della pubblica incolumità nel nostro Paese,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative volte a definire nel minor tempo possibile misure che reintegrino il turn over al 100 per cento del personale in uscita dalle Forze dell'ordine e dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco, in modo tale da frenarne la riduzione e l'invecchiamento degli organici, se necessario impiegando a tale scopo anche le risorse risparmiate tramite l'eventuale ridimensionamento o rimodulazione di alcuni programmi pluriennali di acquisizione di armamenti;
   ad assumere iniziative volte a sospendere fin dal secondo semestre del 2014 l'efficacia delle disposizioni che bloccano gli avanzamenti di retribuzione connessi alla progressione delle carriere e all'anzianità di ruolo in tutto il comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico;
   a permettere fin dal 2015 la ripresa della concertazione e della contrattazione nel comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico, prevedendo, altresì, un margine per il recupero almeno parziale degli aumenti retributivi non scattati e non goduti nelle more del blocco, in quanto possibile.
(1-00541) «Marcolin, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    da alcuni anni in Italia le adozioni internazionali sono in crisi. Nel 2012 l'Italia ha visto un grossissimo calo delle adozioni internazionali (-22,8 per cento) rispetto all'anno precedente. A questo dato nel 2013 si è aggiunto un ulteriore calo del 9,1 per cento. Pur essendo il nostro Paese ancora oggi uno dei più accoglienti al mondo, anche in Italia si può parlare di crisi delle adozioni internazionali;
    nel corso del 2013 le famiglie italiane hanno realizzato l'adozione internazionale di 2.825 bambini, provenienti da 56 diversi Paesi. Nonostante il continuo cambiamento del contesto internazionale e la crisi economica, il dato conferma come l'Italia rappresenti uno dei Paesi di destinazione più attivi nello scenario internazionale, in grado di offrire un'accoglienza che tenga conto delle sempre diverse e particolari esigenze dei bambini stranieri in stato di adottabilità;
    le mamme e i papà adottivi italiani dimostrano una grande sensibilità alle adozioni; infatti più che negli altri Paesi di accoglienza sono disponibili ad adottare bambini grandi, che hanno problemi di salute, anche gravi e non reversibili (cioè i cosiddetti «special needs» secondo i criteri della Convenzione de L'Aja), ma essendo spesso i Paesi di origine Paesi con forti problematiche sociali, economiche e politiche, di volta in volta si possono avere delle «crisi Paese» (si veda quella relativa all'Ucraina) che si riflettono anche sulle adozioni, che pertanto possono subire forti rallentamenti o sospensioni, che incidono quindi qualche volta in maniera determinante sul numero complessivo di adozioni portate a termine;
    a ciò si aggiunge il dato che in numerosi Paesi di origine dei bambini adottati l'elevarsi della sensibilità politica ed istituzionale ha portato a sviluppare ed implementare politiche nazionali di maggiore tutela dei diritti dei minori, che hanno determinato modifiche normative che, da una parte, hanno rallentato le procedure di adozione e dall'altra hanno significato l'elevarsi dello standard qualitativo delle tutele per i minori e quindi una maggiore aderenza alle normative internazionali poste a presidio di tali diritti;
    l'adozione internazionale è in funzione dell'interesse del bambino. Il pur apprezzabile desiderio di maternità e di paternità degli adulti e la disponibilità a offrire accoglienza familiare ad un minore può essere soddisfatto solo se il bambino non può trovare nel suo Paese una dimensione umana, di cui fa parte anche il diritto a vivere nel proprio Paese;
    per questo è importante assicurare la tutela del superiore interesse del minore e garantire ai minori adottati un'accoglienza familiare idonea come la Convenzione de L'Aja, ratificata dall'Italia con la legge 31 dicembre 1998 n. 476, chiede espressamente agli Stati aderenti di fare;
    il sistema di accoglienza adottiva italiano complessivamente – sia con riguardo alla disponibilità e alle capacità delle coppie adottive, sia con riguardo al sistema istituzionale posto a governo dell'intera procedura – risponde nella maniera più idonea a livello mondiale ai reali e più profondi bisogni dell'infanzia abbandonata. L'Italia può vantare una preziosa presenza in tutti i continenti per la tutela dei diritti dei minori e costituisce un'esperienza di riferimento anche per gli altri Paesi;
    con l'approvazione e l'entrata in vigore nel 1998 della legge di ratifica della convenzione de L'Aja, il sistema delle adozioni internazionali in Italia è stato completamente ridefinito conferendo alla Commissione per le adozioni internazionali (Cai) competenze internazionali che attengono ai rapporti con il segretariato de L'Aja, alle relazioni con le autorità centrali dei Paesi Aja e con le autorità di riferimento dei Paesi non Aja, allo sviluppo delle relazioni internazionali, alla conclusione di accordi bilaterali, nonché all'attività di cooperazione tesa a realizzare il principio di sussidiarietà e di residualità dell'adozione. L'adozione internazionale difatti deve svolgersi nel rispetto dei diritti umani e fondamentali, nella consapevolezza che un minore deve essere aiutato prima di tutto a restare nella propria famiglia e nel proprio Paese;
    la Commissione per le adozioni internazionali a inoltre competenze nazionali costituite da un'attività autorizzatoria, di vigilanza e di controllo in relazione agli enti che si occupano di adozione, che impone anche di applicare nei loro confronti sanzioni come la sospensione o la revoca delle autorizzazioni. La Commissione ha, poi, una funzione di autorizzazione in relazione alle richieste di ingresso dei minori adottati, poiché deve controllare che le adozioni rispondano ai principi della Convenzione e in particolare al superiore interesse del minore e alla sua effettiva adottabilità e deve svolgere, inoltre, un'attività di promozione della cooperazione tra i soggetti operanti nel campo delle adozioni internazionali, e in tale ambito mantiene rapporti di approfondimento della normativa e di collaborazione con l'autorità giudiziaria minorile (tribunali per i minorenni, sezioni specializzate delle corti d'appello e della Suprema Corte) e di monitoraggio della giurisprudenza della CEDU (Convenzione europea per i diritti dell'uomo);
    in questa stessa ottica, la Commissione per le adozioni internazionali deve intrattenere rapporti con le regioni e le province autonome, che nell'ambito delle proprie competenze, sono tenute a sviluppare una rete di servizi in grado di attuare i compiti previsti dalla legge, alcuni dei quali funzionali all'attività della Commissione. In tale ambito la Commissione raccoglie, in forma anonima, per esigenze statistiche o di studio, di informazione e di ricerca, i dati dei minori adottati o affidati a scopo di adozione di cui autorizza l'ingresso ed ogni altro dato utile per la conoscenza del fenomeno delle adozioni internazionali e interagisce con gli enti attraverso un portale dedicato e si occupa inoltre delle attività di promozione e formazione diretta ai genitori adottivi (potenziali e non), ai servizi, agli enti e a tutti coloro che sono chiamati a confrontarsi con le famiglie e con i servizi in materia di adozione, comprese le istituzioni giudiziarie;
    gli ultimi due Governi che si sono succeduti alla guida del Paese non hanno mostrato una particolare attenzione al tema delle adozioni internazionali e, di conseguenza, alle necessità della Commissione per le adozioni internazionali, degli enti e delle famiglie adottanti;
    alle politiche in materia di adozioni internazionali e alla Commissione per le adozioni internazionali il Presidente del Consiglio dei ministri Renzi ha detto di voler attribuire particolare importanza: infatti egli ha mantenuto sotto la sua diretta responsabilità politica la materia delle adozioni nazionali e internazionali e la Commissione per le adozioni internazionali,

impegna il Governo:

   a promuovere una revisione della normativa nazionale per assicurare il diritto dei minori ad avere una madre e un padre in tempi brevi, assicurando il concludersi dell’iter burocratico preordinato all'adozione in tempi più celeri;
   a valutare, nell'ambito delle modifiche da apportare alla normativa vigente nell'ottica dello snellimento e della semplificazione della procedura, l'inserimento della previsione dell'immediata efficacia dell'adozione pronunciata all'estero;
   a definire in tempi brevissimi l'ammontare delle risorse a disposizione della Commissione per il 2014, è senza dubbio necessario che la Commissione per le adozioni internazionali sia dotata di un congruo e apposito fondo, per avere le risorse economiche che le consentano di sostenere ed implementare tutte le sue funzioni, a livello nazionale e internazionale;
   ad assumere le iniziative di competenza per garantire l'espletamento in tempi certi, senza proroghe, delle relazioni dei servizi sociali e degli adempimenti dei tribunali per i minorenni sui requisiti di idoneità della coppia disponibile all'adozione;
   a erogare nel minor tempo possibile i rimborsi relativi alle adozioni concluse nel 2011 e ad adottare il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per l'erogazione dei rimborsi relativi all'anno 2012;
   ad assumere iniziative per aumentare la percentuale degli oneri deducibili dal reddito delle spese sostenute dai genitori adottivi durante il percorso dell'adozione;
   ad adottare iniziative per aumentare le agevolazioni relative ai congedi parentali, anche spostando il limite temporale in cui godere dei permessi non retribuiti fino a 8 anni dopo l'Ingresso in Italia dei minori adottati e a seconda del grado di bisogno del singolo bambino;
   ad incentivare la formazione e l'accompagnamento dei genitori adottivi anche nella fase post-adozione da parte dei servizi socio-assistenziali e degli enti autorizzati;
   a incentivare l'attenzione della Commissione alla consultazione, all'ascolto delle proposte degli enti e all'accompagnamento delle loro attività in campo nazionale e internazionale;
   a rafforzare, tramite la Commissione per le adozioni internazionali, i rapporti con il bureau de L'Aia e le autorità centrali dei Paesi che hanno aderito alla convenzione e a negoziare o rinegoziare accordi in materia di adozioni internazionali con i Paesi che non hanno ratificato la convenzione de L'Aia, come raccomandato dal Comitato Onu sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza;
   a creare gruppi tecnici specializzati ed integrati tra tutti i soggetti coinvolti nelle procedure, che possano costantemente monitorare lo svolgimento delle adozioni nelle diverse fasi e suggerire cambiamenti utili.
(1-00542) «Palmieri, Palese, Gelmini, Prestigiacomo, Centemero, Squeri, Fucci, Lainati, Vella, Brambilla».


   La Camera,
   premesso che:
    le adozioni in Italia riguardano un numero piuttosto considerevole di minori e di famiglie: nel 2011 sono stati 909 i minori che hanno trovato stabilmente una famiglia mediante le procedure dell'adozione nazionale e 4.022 attraverso l'adozione internazionale;
    per quanto concerne le adozioni internazionali, dopo il picco segnato nel 2010 con l'ingresso in Italia di ben 4.122 minori a conclusione di più di un decennio di crescita esponenziale, si è registrata un'inversione di tendenza, che con 4.022 minori adottati nel 2011 e 3.106 nel 2012 ha segnato un calo davvero rilevante, con il quale l'Italia si è, di fatto, allineata ad un trend in atto in tutti i Paesi occidentali;
    i motivi di tale flessione sono molteplici: il primo può essere ricercato nel fatto che molti dei Paesi di provenienza dei minori si sono orientati verso l'attuazione di politiche sociali ed interventi di prevenzione, a volte in accordo con quanto stabilito dalla Convenzione de L'Aja del 1993, firmata da molti dei Paesi da cui provengono i minori, cercando, laddove è possibile, di rimuovere le cause che portano all'allontanamento del bambino dalla sua famiglia ed incentivando misure alternative, quali l'affido e l'adozione nazionale;
    d'altra parte, seppur il numero di coppie disponibili all'adozione rimane ancora di gran lunga superiore a quello dei minori dichiarati adottabili, anche rispetto al numero di domande di disponibilità all'adozione si è verificato un sensibile calo, che ha portato nel 2012 ad una riduzione significativa delle coppie adottive, risultate pari a 2.469;
    la contrazione nella disponibilità all'adozione potrebbe essere ricondotta a diversi fattori, tra i quali la crisi economica, l'insicurezza in cui versano molte famiglie, i notevoli costi anche di ordine economico che debbono essere sostenuti dalle famiglie che intraprendono le procedure, come anche la diffusione di una maggiore consapevolezza che l'accoglienza di bambini, che hanno alle spalle spesso una lunga istituzionalizzazione, oltre che traumi, abusi e trascuratezza, richieda delle competenze genitoriali specifiche;
    tuttavia, non solo la difficile congiuntura economica, ma anche la complessità e la burocratizzazione delle procedure, oltre ad un atteggiamento a volte troppo sospettoso verso gli aspiranti genitori, hanno ridotto la capacità del sistema di realizzare uno dei principi-base su cui si ispira la nostra legislazione: il diritto del minore a crescere in una famiglia;
    con la legge n. 149 del 2001 è stata prevista la creazione di una banca dati nazionale sulle adozioni, relativa ai minori dichiarati adottabili, nonché ai coniugi aspiranti all'adozione nazionale ed internazionale per garantire un miglioramento degli esiti dei procedimenti di adozione;
    ad oggi, tuttavia, in base alla Relazione sullo stato di attuazione della legge recante modifiche alla disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori, nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile, trasmessa al Parlamento il 16 dicembre 2013, alcune carenze infrastrutturali informatiche hanno bloccato, e rallentano tuttora, di fatto, l'avvio della banca dati;
    seppure si tratta di una percentuale di casi non elevata, un'importante problematica da affrontare in materia di adozioni è certamente quella dei cosiddetti fallimenti, vale a dire delle famiglie che, non riuscendo a gestire il minore avuto in adozione, lo restituiscono, causandogli un ulteriore trauma emotivo, che, oltretutto, comporta il suo trasferimento di nuovo nella realtà di origine, spesso rappresentata da Paesi nei quali vigono una disciplina normativa ed un approccio sociale arretrati rispetto ai minori che versino in stato di abbandono;
    un ulteriore fattore della contrazione della disponibilità alle adozioni è certamente rappresentato dalla carenza di strutture e di servizi dedicati all'infanzia nel nostro Paese, rispetto ai quali, peraltro, si continua ad assistere alla progressiva erosione delle risorse finanziarie dedicate;
    in particolare, la legge n. 285 del 1997, recante «Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza», aveva istituito il fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, successivamente inglobato al 70 per cento dal fondo nazionale per le politiche sociali di cui alla legge n. 328 del 2000, che però ha il grave limite di essere un fondo unico indistinto, senza vincoli di spesa, rispetto al quale è demandata alle regioni la programmazione e la pianificazione nell'ambito della loro esclusiva competenza, individuando nei livelli essenziali di assistenza la base comune delle prestazioni sociali per tutto il territorio nazionale;
    essere accolto e crescere all'interno di un ambiente familiare sereno rappresenta un diritto fondamentale del minore e costituisce un bene sociale irrinunciabile;
    i rilevanti cambiamenti intervenuti nel corso del tempo nelle scelte di adozione da parte delle famiglie italiane e le conseguenti significative criticità determinano il dovere in capo al legislatore di affrontare in modo organico i seri problemi finora individuati;
    i costi sociali ed economici dei mancati investimenti sull'infanzia e sull'adolescenza avranno un impatto negativo sull'Italia del presente, ma soprattutto del futuro,

impegna il Governo:

   ad elaborare le opportune iniziative di modifica delle normative volte alla semplificazione delle procedure per le adozioni internazionali;
   ad istituire un sistema di monitoraggio delle spese sostenute dalle coppie che decidano di adottare un minore straniero e, al contempo, a valutare l'introduzione in favore di tali coppie di un rimborso delle medesime spese, attraverso un meccanismo di detraibilità fiscale;
   a valutare l'opportunità che gruppi tecnico-professionali specializzati, formati da soggetti dei diversi settori operanti nell'ambito delle adozioni nazionali ed internazionali, operino presso la Commissione per le adozioni internazionali al fine di monitorare e favorire il migliore processo evolutivo adozionale e il più attento svolgimento delle procedure di adozione, contribuendo al miglioramento dei rapporti tra i diversi partner, anche esteri;
   con specifico riferimento alla problematica dei fallimenti e delle restituzioni, a prevedere iniziative normative per ridurne il rischio, individuando percorsi di sostegno e formazione alla famiglia adottiva ed introducendo azioni di monitoraggio garantite da servizi specializzati e destinati solo a tale scopo.
(1-00543) «Rampelli, Corsaro, Maietta, Nastri, Totaro, Cirielli, La Russa, Giorgia Meloni, Taglialatela».


   La Camera,
   premesso che:
    l'istituto dell'adozione internazionale è stato introdotto, nell'ordinamento italiano, con la legge n. 184 del 1983, e successivamente modificato in seguito all'adesione dell'Italia alla Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale tenutasi all'Aja il 29 maggio 1993, che ha reso necessaria un'ampia revisione della normativa;
    la Convenzione dell'Aja ha risposto all'esigenza di garantire uniformità e trasparenza nelle procedure, nonché alla necessità di assicurare un'efficace collaborazione tra gli Stati nel campo delle adozioni, garantendo la realizzazione del superiore interesse del minore;
    la Convenzione ha sancito alcuni principi comuni, volti a garantire che le adozioni internazionali abbiano come obiettivo l'interesse superiore del minore; a realizzare tra gli Stati contraenti un sistema di cooperazione; ad assicurare il riconoscimento negli Stati contraenti delle adozioni realizzate in conformità alla stessa Convenzione;
    il report 2013 della Commissione per le adozioni internazionali descrive il fenomeno delle medesime in Italia mediante l'analisi dei dati e delle informazioni sulle tematiche che contribuiscono a definire i percorsi delle coppie italiane che adottano minori di origine straniera;
    secondo i dati acquisiti nel 2013 sono stati autorizzati all'ingresso in Italia 2.825 minori stranieri, a fronte dei 3.106 del 2012, con un decremento del 9 per cento; le coppie adottive che hanno portato a termine un'adozione nel 2013 sono state 2.291 rispetto alle 2.469 del 2012, con un decremento del 7,2 per cento;
    le coppie italiane che, in possesso del decreto di idoneità, hanno portato a termine positivamente l’iter adottivo negli anni che vanno dal 2000 al 2013 sono state 33.820, con un andamento temporale che evidenzia un numero di coppie adottive per singolo anno superiore alle 2.500 unità (con un massimo di 3.241 unità nel 2010), mentre nell'anno 2013 le coppie adottive sono state 2.291;
    i dati mettono in rilievo il consolidamento di alcune tendenze che si erano già manifestate negli ultimi quattro anni, e cioè: aumento dell'età media dei genitori adottivi, incremento del peso delle adozioni delle regioni meridionali sul totale delle adozioni, alto livello di istruzione delle coppie adottive, incremento delle adozioni di bambini provenienti dai Paesi africani;
    per quanto riguarda i flussi di ingresso negli oltre tredici anni compresi tra il 16 novembre 2000 e il 31 dicembre 2013, i bambini stranieri autorizzati all'ingresso in Italia a fini adottivi sono stati 42.048. Questi minori sono stati adottati da 33.820 coppie. Nell'anno 2013 il numero medio di minori adottati per coppia è stato di 1,24 bambini, in diminuzione rispetto alla media di 1,26 minori adottati per coppia nel 2012;
    questo fenomeno decrescente per quanto riguarda le adozioni internazionali dipende non solo dai costi dell'adozione internazionale, ma anche dalla lunghezza e dalla complessità delle procedure adottive;
    di questo problema ha preso atto anche la Commissione bicamerale per l'infanzia e l'adolescenza che, nel documento conclusivo dell'indagine conoscitiva sull'attuazione della normativa in materia di adozione e di affido, presentato il 22 gennaio 2013, al termine della XVI legislatura, ha raccolto le testimonianze delle associazioni ed ha lanciato proposte per una riforma della legge sulle adozioni internazionali;
    in realtà l’iter procedurale per giungere all'effettivo provvedimento di adozione è estremamente complesso. In primo luogo, la coppia deve presentare una dichiarazione di disponibilità al tribunale dei minori competente, corredata della documentazione attestante i requisiti richiesti dalla legge. Il tribunale affida, quindi, ai servizi degli enti locali lo svolgimento di un'istruttoria, volta a valutare la capacità degli adottanti di prendersi cura di un minore, l'apertura di entrambi all'adozione e la loro situazione socio-economica;
    i servizi presentano, quindi, una relazione al tribunale che, entro i successivi due mesi, rilascia un decreto di idoneità o emette un decreto attestante l'insussistenza dei requisiti all'adozione. Entro un anno dal rilascio del decreto di idoneità, la coppia deve avviare la procedura di adozione internazionale, rivolgendosi ad uno degli enti autorizzati dalla Commissione per le adozioni internazionali. L'ente prescelto avvia la procedura prendendo contatto con l'autorità straniera competente, al fine di individuare il minore da adottare, e assiste poi gli adottanti nei successivi incontri con il bambino. Se gli incontri della coppia con il bambino si concludono con un parere positivo anche da parte delle autorità del Paese straniero, l'ente trasmette gli atti alla Commissione per le adozioni internazionali, la quale, dopo avere accertato che l'adozione sia conforme alla Convenzione de l'Aja, autorizza l'ingresso e la permanenza del minore adottato in Italia. Dopo l'ingresso dell'adottando nel Paese, il tribunale per i minorenni provvede alla trascrizione del provvedimento di adozione nei registri dello stato civile. Con tale atto, il minore acquisisce la cittadinanza italiana e diviene contestualmente membro della nuova famiglia;
    pertanto, il procedimento dello stato di adottabilità dei bambini, che si prolunga spesso oltre una ragionevole durata, continua a suscitare preoccupazioni da parte degli operatori ed in qualche caso il ritardo può determinare una vera e propria lesione del diritto del bambino a vedere tempestivamente definita la propria situazione;
    emergono, quindi, come in precedenza, alcune criticità relative sia alla complessità e alle lacune della normativa vigente che ai costi troppo elevati per poter procedere all'adozione. Infatti, non va sottovalutato il peso della crisi economica, i cui effetti di compressione dei consumi e della qualità della vita delle famiglie non può che determinare conseguenze negative anche in questo settore. La scelta di avere un figlio, per coppie che si confrontano con la perdurante difficoltà di accedere ad un lavoro e ad un reddito sicuri, appare oggi sempre più difficile e onerosa, anche in considerazione dell'inadeguato sostegno finanziario di cui le famiglie possono usufruire, a fronte di costi sempre più elevati;
    sarebbe opportuno valutare, quindi, la possibilità di procedere al progressivo abbattimento degli ostacoli burocratici attualmente presenti nel percorso adottivo, dei relativi tempi procedurali, delle duplicazioni dei soggetti e delle procedure. Le misure di correzione, quindi, dovrebbero essere orientate ad una sostanziale semplificazione e razionalizzazione dell'intera procedura;
    sarebbe anche necessario procedere, attraverso opportune campagne formative degli operatori del settore, ad una revisione dei fondamenti culturali dell'adozione, per passare da una concezione del percorso adottivo, inteso come selezione diretta a valutare le capacità soggettive ed oggettive della coppia in base a parametri rigidi e predeterminati, ad una cultura dell'accompagnamento della coppia volta a consentire a tutti gli aspiranti genitori di raggiungere la maturità necessaria per effettuare l'adozione, acquisendo gli strumenti psicologici e cognitivi per affrontare il percorso, sia preadottivo che post-adottivo,

impegna il Governo:

   a valutare la possibilità di avviare un procedimento di revisione della normativa vigente al fine di accelerare il processo delle adozioni internazionali;
   a valutare l'opportunità di prevedere la riproposizione di sgravi fiscali per le coppie che affrontano i costi delle adozioni internazionali, che appaiono eccessivi;
   a considerare l'ipotesi di chiedere ed ottenere maggiori garanzie per le adozioni da quei Paesi che possono cambiare le loro decisioni nel corso del procedimento adottivo.
(1-00544) «Dorina Bianchi, Roccella, Calabrò».


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni dalla legge n. 133 del 2008, pur applicando tagli lineari ai Ministeri, delineava alcune eccezioni per le Forze dell'ordine e le Forze armate. In particolare, il comma 6-bis dell'articolo 74 disponeva, in favore delle strutture del comparto sicurezza, delle Forze armate e dei Vigili del fuoco, una deroga all'obbligo, posto per tutte le pubbliche amministrazioni, di ridimensionare gli assetti organizzativi e di ridurre le dotazioni organiche; l'articolo 70 escludeva al comma 1 dall'applicazione della disciplina relativa alla soppressione del trattamento economico aggiuntivo per causa di servizio del dipendente, il personale del comparto sicurezza e difesa; l'articolo 71, al comma 5-bis, escludeva dall'applicazione della disciplina relativa ai disincentivi economici per assenze per malattia e per permesso retribuito dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni il personale del comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico;
    in data 12 marzo 2009 è stata approvata la mozione n. 1-00126 del gruppo parlamentare Popolo della Libertà, che recava nel dispositivo l'impegno ad avviare una nuova stagione di attenzione ai problemi della difesa affinché quanto prima si potessero trovare soluzioni ai numerosi e seri problemi che affliggono il comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico e si giungesse al pieno riconoscimento della professionalità e specificità del personale delle Forze armate al fine di assicurarne prospettive di crescita e sostegno anche sotto il profilo del trattamento economico;
    l'articolo 19 della legge n. 183 del 2010 ha riconosciuto, per la prima volta da un punto di vista normativo, la specificità del ruolo delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, disponendo che ai fini della definizione degli ordinamenti, delle carriere e dei contenuti del rapporto di impiego e della tutela economica, pensionistica e previdenziale, fosse riconosciuta la specificità del ruolo delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché dello stato giuridico del personale ad esse appartenenti, in dipendenza della peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell'ordine e della sicurezza interna ed esterna, nonché per i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti e che la disciplina attuativa dei principi e degli indirizzi fosse definita con successivi provvedimenti legislativi, con i quali si doveva provvedere altresì a stanziare le occorrenti risorse finanziarie;
    l'articolo 19 della legge n. 183 del 2010 ha riconosciuto, inoltre, al Consiglio centrale della rappresentanza militare (Cocer) il compito di partecipare, in rappresentanza del personale militare, alle attività negoziali svolte in attuazione del principio di specificità concernenti il trattamento economico del medesimo personale;
    il decreto-legge n. 27 del 2011, recante misure urgenti per la corresponsione di assegni una tantum al personale delle Forze di polizia, delle Forze armate e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, convertito in legge n. 74 del 2011, ha previsto la corresponsione di assegni una tantum al citato personale interessato dal blocco dei meccanismi di adeguamento retributivo e degli automatismi stipendiali disposti con la legge n. 122 del 2010 di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica;
    i Governi succedutisi dal novembre del 2011, nonostante le dichiarazioni pubbliche e gli impegni presi a proposito della necessità di garantire la sicurezza del territorio, hanno adottato provvedimenti che hanno ulteriormente peggiorato la situazione degli operatori della sicurezza;
    il decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, ha previsto una serie di ulteriori misure di contenimento della spesa nel settore della difesa e della sicurezza ed i tagli del bilancio della difesa, conseguenti ai recenti provvedimenti di revisione della spesa pubblica, hanno inciso profondamente sul settore della difesa, non solo riducendo le risorse destinate allo strumento militare, ma anche limitando riconoscimenti economici al personale impiegato in questo delicato settore, comprese le progressioni di carriera e i nuovi arruolamenti;
    il decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 2013, n. 122, ha prorogato fino al 31 dicembre 2014 le disposizioni in materia di blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, compreso il comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico;
    la necessità di garantire lo svolgimento in sicurezza di eventi internazionali, soprattutto a fronte del necessario incremento della presenza delle forze dell'ordine nelle città protagoniste di tali manifestazioni, non deve pregiudicare il livello di sicurezza nelle altre aree del Paese;
    le esigenze di razionalizzazione delle risorse finanziarie, contenute all'interno del «Piano Cottarelli», predisposto dal commissario straordinario per la previsione della spesa pubblica, comportano una riorganizzazione del comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico sul territorio e la dismissione di un considerevole numero di presidi;
    il Ministro dell'interno, Angelino Alfano, nell'ambito dell'incontro con i Ministri della giustizia e affari interni degli stati membri dell'Unione europea dell'8 luglio 2014 a Milano, ha affermato che obiettivo del semestre italiano è quello di compiere una «revisione della strategia per la sicurezza interna dell'Unione europea», indicando come le priorità di tale revisione siano: «tutela del mercato legale contro la criminalità organizzata; affrontare il tema della corruzione; contrasto al terrorismo; giusto equilibro tra esigenza di sicurezza e rispetto dei diritti fondamentali»,

impegna il Governo:

   ad avallare con atti concreti l'intenzione di rivedere la strategia di sicurezza interna, invertendo l'attuale trend di continui tagli ai fondi per la sicurezza che annullano e mortificano la professionalità degli operatori di sicurezza in Italia;
   a prevedere, nell'ambito dei prossimi provvedimenti normativi, adeguate iniziative, volte a sospendere, a partire dal primo semestre del 2015, per il comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico, il blocco degli effetti economici delle progressioni di carriera e degli automatismi retributivi.
(1-00545) «Palese, Laffranco, Palmizio».


   La Camera,
   premesso che:
    la proroga al 2014 del «blocco» delle retribuzioni del personale del comparto difesa-sicurezza e del connesso fenomeno delle cosiddette «promozioni bianche», in atto oramai dal 2011, sta incidendo in maniera significativa sulla qualità della vita del personale delle Forze armate e di tutto il comparto difesa-sicurezza, ripercuotendosi anche sul futuro trattamento pensionistico;
    nonostante le numerose prese di posizione, fino a livello ministeriale, intese alla necessità di porre ordine alla problematica così generatasi e legata specificatamente al personale del comparto difesa-sicurezza, non sono stati ancora definiti tempi e modi per il suo «sblocco», causando incertezza nel personale e nelle loro famiglie;
    i tagli lineari degli ultimi anni hanno complessivamente ridotto di oltre 4 miliardi di euro gli stanziamenti economici destinati al funzionamento e all'efficacia del sistema di sicurezza e protezione sociale del Paese, compromettendo l'efficienza degli apparati e diminuendo sensibilmente la capacità di intervento delle Forze di polizia e dei vigili del fuoco sul territorio;
    si tratta di tagli, originati dalla necessità, ma che hanno avuto delle gravi ripercussioni sulle funzioni attribuite ad un settore così delicato della pubblica amministrazione, quotidianamente impegnato a garantire la protezione della collettività e la salvaguardia dello sviluppo sociale del Paese, con conseguenze davvero pesanti che hanno prodotto un ulteriore peggioramento delle già precarie condizioni di lavoro e di vita degli operatori interessati, alle prese con crescenti mole di lavoro, da affrontare con minori risorse umane e strumentali a disposizione e con tutele sempre più ridotte;
    la situazione contrattuale del comparto difesa-sicurezza, già bloccata dal 2006, ha subito un ulteriore aggravio per effetto del decreto-legge n. 78 del 2010, prevedendo al comma 21 dell'articolo 9 l'esclusione, per l'intero triennio 2011-2013, tanto dai meccanismi di adeguamento disposti per legge, quanto dall'applicazione degli aumenti retributivi (scatti e classi di stipendio), collegati all'anzianità di ruolo, e dei benefici economici correlati alle progressioni di carriera delle retribuzioni di tutto il personale della pubblica amministrazione. Il decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 2013, n. 122, ha prorogato dette disposizioni fino al 31 dicembre 2014;
    successivamente, nel documento di economia e finanze del 2014 il Governo ha messo in conto lo sblocco di alcune delle misure di congelamento stabilite dall'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010, in particolare il tetto individuale (comma 1) e alcuni effetti economici delle promozioni (comma 21, terzo e quarto periodo);
    tuttavia, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 154 del 2014, ha fornito la sua interpretazione con riferimento agli automatismi stipendiali del personale del comparto difesa-sicurezza: sono tutti bloccati dal comma 21, secondo periodo, dell'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010 e non dal comma 1 dello stesso articolo; dunque, il quadriennio 2011-2014 non ha valenza giuridica ai fini della maturazione degli automatismi stipendiali comunque denominati e non solo per le «classi e scatti» del personale dirigente. Tutto ciò a grave danno del personale del comparto difesa-sicurezza, che, nonostante siano riconosciuti professionalità e impegno nello svolgimento dei compiti di istituto, non ha visto rispettati i propri diritti contrattuali, nonché quelli giuridico-costituzionali;
    nel corso della XVI legislatura, diverse sono state sia le proposte di legge, sia gli atti di sindacato ispettivo prodotti e condivisi che hanno evidenziato l'opportunità di avviare una serie di iniziative volte a favorire la funzionalità ed operatività dello strumento militare, con particolare riferimento alla salvaguardia della funzionalità e delle capacità operative di intervento;
    uno degli obiettivi considerati prioritari e individuati a larga maggioranza attraverso gli atti di indirizzo approvati dalla Camera nella XVI legislatura, in occasione dell'esame delle mozioni 1-00093, 1-00126 e 1-00128, è quello di destinare in via prioritaria le risorse della difesa ai settori del reclutamento e dell'addestramento e ad assicurare, nel tempo, stabilità e coerenza all'assegnazione delle risorse per il comparto difesa;
    il «collegato lavoro» (legge 4 novembre 2010, n. 183), all'articolo 19, ha disposto in merito alla specificità, riconoscendo il ruolo delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché lo stato giuridico del personale ad esse appartenente, in dipendenza della peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell'ordine e della sicurezza interna ed esterna, nonché per i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti;
    il decreto-legge n. 27 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 74 del 2011, recante misure urgenti per la corresponsione di assegni una tantum al personale delle Forze di polizia, delle Forze armate e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, attingendo a risorse finanziarie già stanziate per il comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico, ha previsto la corresponsione di assegni una tantum al citato personale interessato dal blocco dei meccanismi di adeguamento retributivo e degli automatismi stipendiali disposti con il decreto-legge n. 78 del 2010;
    le iniziative normative positive, purtroppo, si sono alternate ad iniziative che non ne hanno permesso una tempestiva realizzazione. Il decreto legge n. 95 del 2012 (cosiddetto spending review), attraverso misure di contenimento della spesa, quali la riduzione del personale militare in misura non inferiore al 10 per cento e la riduzione di spesa per l'acquisto di beni e servizi del Ministero della difesa pari a 148 milioni di euro, ha dilazionato nel tempo l'attuazione degli impegni precedentemente assunti, in merito all'assegnazione di risorse adeguate per il comparto difesa-sicurezza e alle disposizioni in materia di blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti,

impegna il Governo

ad adottare concrete ed immediate iniziative normative finalizzate a rimuovere il blocco stipendiale per il comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico, anche attraverso la predisposizione di misure, compatibilmente con le esigenze di bilancio, volte al recupero dei trattamenti economici che tengano conto dei differenti impieghi e funzioni, sin dalla legge di stabilità per l'anno 2015.
(1-00546) «Causin, Antimo Cesaro, Molea, Matarrese».


   La Camera,
   premesso che:
    il rapimento avvenuto il 12 giugno 2014 di tre giovanissimi ragazzi israeliani, in una zona disabitata palestinese a nord di Hebron, e la scoperta successiva dei loro corpi barbaramente massacrati, ha innescato azioni di rappresaglia e alimentato un’escalation di violenze, che rischiano seriamente di spegnere quel barlume di speranza che le recenti iniziative di dialogo promosse dal Segretario di Stato americano John Kerry e Sua Santità Papa Francesco avevano riacceso, dopo anni di guerre e conflitto fra Israele e Palestina;
    Hamas, incolpata da Israele, ha smentito la propria responsabilità negli orrendi omicidi dei tre ragazzi israeliani; secondo la dichiarazione del portavoce Sami Abu Zuhri alla France Presse «la scomparsa e l'uccisione dei tre israeliani è basata solo sulla versione di Israele. L'occupazione sta cercando di usare questa storia per giustificare una guerra ad ampio raggio contro il nostro popolo»;
    la successiva ritorsione da parte di frange estremiste e razziste della società israeliana non si è fatta purtroppo attendere; nella notte tra il 30 giugno e il 1o luglio un giovanissimo ragazzo palestinese è stato rapito da un gruppo di destra ultras del Beitar Jerusalem (estremisti de La Familia, non nuovi a inneggiare negli stadi slogan come «morte agli arabi»). Il giovane palestinese è stato bruciato barbaramente quando era ancora vivo in un bosco di Gerusalemme;
    il messaggio Pax et Bonum di Papa Francesco e il recente incontro voluto dal Vaticano, conclusosi con un importante gesto simbolico e l'abbraccio tra i due leader, tra l'israeliano Peres e il palestinese Abbas, non sembra aver sortito effetti immediati in favore della ripresa di un dialogo e del processo di pacificazione in Medio Oriente; lo Stato ebraico e i territori palestinesi occupati sono in costante e permanente conflitto;
    la tensione tra Israele e la Striscia di Gaza si acuisce di ora in ora. Il premier israeliano Netanyahu, come risposta ai lanci di razzi da parte di Hamas dalla Striscia di Gaza, dopo un iniziale atteggiamento di prudenza e moderazione – che lasciava sperare in uno sbocco utile dell'azione di Egitto e Giordania volta a spingere Hamas a un cessate il fuoco e a ripristinare la tregua siglata nel 2012 – ha deciso di rispondere con un'azione militare, bombardando Gaza, dando istruzioni all'esercito di prepararsi per una «una campagna forte, continua e lunga», lanciando l'operazione «Protective Edge», con più di cento raid aerei al giorno, aprendo i rifugi di sicurezza nel Sud e aumentando le batterie antimissile «Iron Dome»;
    l’escalation militare sembrerebbe tornare utile a molti degli attori nello scacchiere Mediorientale, in particolare alle frange più estremiste di Hamas e alle forze jihadiste, la cui azione da sempre è volta a far fallire il processo di pace con Israele e a compromettere il processo di riconciliazione, recentemente timidamente avviato anche tra le forze palestinesi, in particolare fra Hamas e Fatah e l'Autorità Nazionale Palestinese di Abu Mazen;
    la radicalizzazione del conflitto armato fra Israele e Hamas sembra aiutare anche le crescenti spinte all'interno della coalizione di governo d'Israele, dove il leader del partito ultranazionalista Yisrael Beitenu e Ministro degli Esteri del governo Avigdor Lieberman, annunciando la rottura della sua alleanza con il Likud, mira a sfidare Netanyahu per la premiership di una destra più radicale per il governo del paese; il leader ultranazionalista coglie l'occasione per esigere una decisa controffensiva nei confronti della popolazione palestinese, anche degli arabi israeliani e in favore dell'invasione della Striscia, con annessioni di fatto o di diritto;
    pesa sull'aggravarsi della situazione in Medioriente anche l'attuale debolezza degli Usa nell'incidere in favore di una svolta per il processo di pace nella regione;
    d'altra parte, pesa anche l'assenza, ormai da alcuni anni, di una strategia politica europea, che vada oltre il sostegno, seppure importante, economico e finanziario all'ANP e alla cooperazione euro-mediterranea, nel quadro del processo di Barcellona e della Politica europea di vicinato per la promozione della sicurezza e della stabilità tra i paesi confinanti. Occorre che l'Europa riprenda a svolgere anche un ruolo politico nella regione,

impegna il Governo:

   a esercitare una decisa azione sia a livello bilaterale che multilaterale, anche nell'ambito della Presidenza di turno dell'Unione europea, atta a scongiurare un aggravarsi della crisi, l'innescarsi di una spirale di violenze da entrambe le parti e a favorire, nonostante le difficoltà per la ripresa degli scontri armati, la sospensione di ogni azione militare e di ogni atto di violenza o rappresaglia, una ripresa del processo di pace che rispetti il diritto alla sicurezza di Israele e il diritto palestinese all'autodeterminazione, assicuri la protezione della popolazione civile, garantisca il congelamento di nuovi insediamenti di coloni sui territori palestinesi e prevenga cambiamenti unilaterali dello status di Gerusalemme;
   a rilanciare l'azione dell'Unione europea nel conflitto israelo-palestinese affinché si ricostituisca un deciso ruolo politico dell'Unione nell'area mediorientale e nel Mediterraneo, anche alla luce degli effetti nefasti dell'acuirsi dei conflitti sui crescenti flussi migratori nel Mediterraneo che – unitamente ad altre aree di crisi come Eritrea, Iraq e Siria – finiscono per pesare particolarmente sull'Italia e su tutti gli altri Paesi del sud dell'Europa.
(1-00547) «Speranza, Amendola, Chaouki, Manciulli, Quartapelle Procopio, La Marca, Zampa, Cimbro, Sereni, Fedi».


   La Camera,
   premesso che:
    si sta diffondendo, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, un approccio al tema delle adozioni fuorviante basato su azioni sensazionalistiche come l'operazione condotta per riportare in Italia i bambini dal Congo, ideologicamente surrettizie come sul tema delle adozioni per le coppie omosessuali e impregnate di un falso buonismo come per il riconoscimento giuridico della kafala, introdotto di recente anche nel nostro Paese con il provvedimento di ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l'esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori, fatta all'Aja il 19 ottobre 1996, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno;
    con la ratifica della Convenzione dell'Aja si riconosce una veste giuridica alla kafala, una sorta di affidamento familiare, previsto come unica misura di protezione del minore in stato di abbandono negli ordinamenti islamici. Il riconoscimento dell'istituto della kafala, che per giunta prescrive che possa essere esercitato soltanto ed esclusivamente dai fedeli musulmani (prevedendo, di fatto, una conversione all'islam coercitiva), si presenta, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, in contrasto con il principio costituzionale della laicità dello Stato e manifestamente non conforme alle disposizioni di cui agli articoli 2, 3, 8, 19, 30, 31 della Costituzione;
    è necessario evitare che il riconoscimento della kafala possa indurre – o almeno facilitare – atteggiamenti elusivi della normativa sulle adozioni internazionali. È necessario evitare il rischio che i cittadini intravedano nell'affidamento sub kafala una facile scorciatoia rispetto alle procedure previste dalla legge n. 184 del 1983. È evidente, quindi, che non si deve in alcun modo incoraggiare, o perfino solo non ostacolare l'elusione alla legge in generale e, in particolare, di una normativa a tutela di diritti fondamentali dei minori, per di più storicamente posta anche (o forse proprio) allo scopo di ostacolare il «far west adottivo»;
    non è quindi accettabile che il tema delle adozioni venga affrontato in questi termini. Il diritto dei bambini ad una famiglia deve essere considerato una priorità dei legislatori. Se, da un lato, quindi è necessario dotarsi di una legge sulle adozioni capace, prima di ogni altra cosa, di tutelare i diritti dei minori, dall'altro lato, è inaccettabile che non si riesca a semplificare la procedura farraginosa, costosa ed eccessivamente burocratizzata per le adozioni;
    gli ultimi dati disponibili relativi sia alle adozioni nazionali che internazionali dimostrano le forti criticità che tuttora permangono: per quanto riguarda le adozioni nazionali, nel 2011, a fronte di 9.795 richieste da parte di famiglie, sono stati 1251 i minori dichiarati adottabili e sono state pronunciate 1016 adozioni. Per le adozioni internazionali, nel 2013, sono stati autorizzati all'ingresso in Italia 2.825 minori stranieri, a fronte dei 3.106 dell'anno precedente, con un decremento del 9 per cento; a loro volta le coppie adottive che hanno portato a termine un'adozione nel 2013 sono state 2.291 rispetto alle 2.469 del 2012 con un decremento del 7,2 per cento;
    negli ultimi anni il fenomeno dell'abbandono dei minori nel mondo è in costante crescita, essendo passato dai 145 milioni di bambini dichiarati in stato di abbandono nel 2004 ai 168 milioni del 2009;
    tuttavia, seguendo un trend apparentemente opposto a quello del fenomeno dell'abbandono dei minori, il numero delle idoneità all'adozione internazionale dichiarate dai tribunali per i minorenni italiani è drasticamente diminuito;
    tra le principali ragioni della crisi dell'istituto dell'adozione internazionale vanno senz'altro considerati i rilevanti costi che le famiglie devono sopportare quando intraprendono questo percorso e che contribuiscono negativamente, specie in un periodo di grave crisi economica quale quello che si sta vivendo;
    una ricerca realizzata dal Centro di ricerche sulla gestione dell'assistenza sanitaria sociale (Cergas) dell'Università, Bocconi in collaborazione con alcuni enti autorizzati ed associazioni, ha analizzato i costi italiani delle adozioni internazionali, facendo emergere un quadro molto preoccupante sia per le famiglie che per gli enti. La spesa che le famiglie adottive devono sostenere per i servizi resi dagli enti per il percorso pre e post adozione supera i 4 mila euro. I costi a carico degli stessi enti sono stati quantificati in 7.500 euro (dato medio calcolato secondo un modello di costo definito dallo studio). Per rientrare delle maggiori spese sostenute questi «devono fare sempre più ricorso al volontariato, utilizzando personale meno qualificato, specializzarsi su pochi paesi, trovare finanziamenti attraverso attività di cooperazione internazionale e grazie alle donazioni». Soluzioni che si scontrano con l'attuale contesto delle adozioni internazionali, in cui l'elevata percentuale di bambini adottati (40 ogni 100) presenta situazioni e necessità particolari che richiedono un'alta specializzazione del personale impiegato dagli enti. Per le famiglie la situazione non è meno problematica: se i soli costi italiani ammontano a più di 4 mila euro, «il percorso completo può superare facilmente i 20 mila euro». Si tratta di cifre che rischiano di essere proibitive per molte famiglie, soprattutto in un momento di crisi economica come quella che si sta vivendo;
    sono circa 35.000 i bambini «ospiti» delle comunità per minori dati diffusi dall'Istat nel 2012. Ne sono stati contati 22.584 nel 2009, contro i 16.414 del 2006. Si tratta di un 40 per cento in più di under 18; ogni ospite che risiede in una casa-famiglia costa dai 70 ai 120 euro al giorno. La retta agli istituti (sia religiosi sia laici) viene pagata dai comuni. Un giro d'affari che si aggira intorno a 1 miliardo di euro l'anno. Tanto ricevono le oltre 1800 case famiglia italiane per mantenere le loro «quote» di minori;
    è improcrastinabile una riforma dell’iter procedurale, per una semplificazione delle procedure dell'adozione; riduzione dei costi e introduzione della gratuità dell'adozione internazionale,

impegna il Governo:

   ad avviare in tempi rapidi una riforma della normativa vigente in materia di adozioni in un'ottica di semplificazione della procedura, riduzione dei tempi e totale gratuità per le adozioni internazionali;
   a valutare l'opportunità di intervenire, anche attraverso iniziative normative urgenti, al fine di stabilire i confini giuridici entro i quali può considerarsi compatibile con l'ordinamento italiano il riconoscimento della kafala che, nella sua forma attuale, si presenta, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, in contrasto con il principio costituzionale della laicità dello Stato e manifestamente non conforme alle disposizioni di cui agli articoli 2, 3, 8, 19, 30 e 31 della Costituzione;
   a evitare – in quanto a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo manifestamente in contrasto con i principi costituzionali e antitetica al diritto naturale – qualsiasi iniziativa di modifica della normativa vigente in materia di adozioni internazionali volta a prevedere la possibilità di accedere alle procedure di adozione per le coppie omosessuali.
(1-00548) «Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Cristian Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Simonetti».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta scritta:


   GRILLO e COZZOLINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi mesi diverse cronache di stampa hanno riportato la notizia delle indagini avviate dalla procura di Venezia che ha portato agli arresti il Mazzacurati, in merito alla vicenda del Mose;
   dai fascicoli dell'inchiesta sembrerebbero emergere una serie di incontri avvenuti tra Giovanni Mazzacurati ex presidente del Consorzio Venezia Nuova e il dottor Letta, quando rivestiva la carica di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri del Governo Berlusconi (degli anni 2008-2011);
   appare dunque chiaro che il Mazzacurati per conferire con il dottor Letta dovesse usufruire di «passi» che venivano rilasciati dalla Presidenza del Consiglio –:
   se risultino agli atti il numero di passi autorizzati dalla Presidenza del Consiglio, negli anni indicati in premessa, per gli incontri che avvenivano tra il Mazzacurati e il dottor Letta nella sua qualità di Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio;
   se risulti se il Mazzacurati fosse esentato sulla base di una particolare disposizione a non essere registrato e avesse accesso alla Presidenza del Consiglio senza il passi;
   se la Presidenza del Consiglio abbia inviato alla procura di Venezia il registro degli accessi riguardanti gli incontri tra i soggetti su menzionati. (4-05506)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta orale:


   CARRESCIA, REALACCI, COMINELLI, MAZZOLI, ARLOTTI e ZARDINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il SISTRI, il sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti, è lo strumento informativo introdotto nell'ordinamento per monitorare i rifiuti pericolosi tramite la loro tracciabilità mediante il trasferimento in formato digitale degli adempimenti documentali in forma cartacea costituiti dal MUD – modello unico di dichiarazione ambientale – dal registro di carico e scarico dei rifiuti e dal FIR – formulario di identificazione dei rifiuti;
   le numerose criticità del sistema sono state oggetto di diversi atti di sindacato ispettivo in sede parlamentare. Il 3 aprile 2014 il sottosegretario delegato in risposta all'interrogazione parlamentare n. 5-02535 (on. Gadda, Carrescia e altri) sugli sviluppi in termini di collaudo del SISTRI, ha dichiarato che la commissione di verifica, istituita il 20 settembre 2013, ha provveduto ad accertare la funzionalità delle tecnologie predisposte rispetto agli obiettivi che l'amministrazione aveva inteso perseguire mediante il contratto e ha verificato essere perfettamente funzionanti le componenti delle infrastrutture centrale e periferica;
   la commissione ha concluso i lavori il 20 dicembre 2013, rilasciando certificato di conformità del sistema SISTRI sostenendo «l'assenza di difetti e/o carenze tali da precludere l'erogazione dei servizi, nonché la diretta e immediata utilizzabilità della georeferenziazione degli automezzi»;
   il sottosegretario delegato si è tuttavia riservato di valutare «in modo rigoroso le conseguenti iniziative da assumere in merito» in base alle conclusioni definitive accertate nella sede giudiziaria penale in relazione alle vicende giudiziarie che hanno riguardato la correttezza delle procedure di affidamento, progettazione e realizzazione del SISTRI;
   l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (AVCP) dopo due anni di indagini e relativa istruttoria finale, ha depositato l'8 maggio 2014 la deliberazione n. 10 con la quale, dopo aver ricostruito gli eventi dal 2006, elenca tutte le violazioni e omissioni di ogni tipo commesse in tutto l’iter amministrativo del sistema di tracciabilità dei rifiuti (SISTRI);
   in particolare, dalla dettagliata ricostruzione dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici emerge che il 14 giugno 2012 il presidente del comitato di vigilanza e controllo del SISTRI aveva valutato il progetto non congruo economicamente, mentre il 26 settembre 2012 l'Avvocatura generale dello Stato riteneva le valutazioni incomplete in quanto non avrebbero preso in considerazione l'ulteriore sconto del 15,1 per cento concesso da SELEX, sconto che, di fatto avrebbe ridotto la differenza di prezzi pattuiti rispetto a quelli «congrui» ad appena il 4 per cento;
   in ogni caso l'Avvocatura, nel parere del 26 settembre 2012, riteneva opportuno acquisire un nuovo parere sulla congruità economica di DigitPA;
   dalla ricostruzione dell'AVCP emerge, inoltre, che sono passati meno di 20 giorni tra la presentazione del progetto di massima del SISTRI al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare da parte della consociata di Finmeccanica Selex e lo stanziamento nella legge finanziaria 2007 di ben 5 milioni di euro per la realizzazione del sistema e soltanto 4 giorni lavorativi sono trascorsi tra la richiesta di bozza di contratto della direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (22 dicembre 2008) a Selex e la presentazione di quest'ultima di uno «schema di contratto per l'integrale esecuzione» al Ministero; l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici ha dichiarato non conforme al codice dei contratti pubblici l'affidamento di tale progetto in particolare per quanto riguarda la parte di secretazione posta il 23 febbraio 2007 dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro-tempore con livello di riservatezza «Segreto»;
   l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici ha evidenziato che l'affidamento del progetto SISTRI non sia conforme all'articolo 17, comma 1, del Codice dei contratti pubblici. «L’iter posto in essere – presentazione del progetto preliminare da parte di SELEX, secretazione del SISTRI, sviluppo del progetto, stipula del contratto – non trova riscontro in alcun modello normativo che disciplina i contratti pubblici, dove la titolarità dell'iniziativa appartiene di norma al committente pubblico...» e anche «Inoltre si rinvengono consistenti dubbi sulla stessa configurazione del contratto come appalto; infatti, la circostanza che il costo dell'operazione di fatto venga sostenuto dagli utenti registrati, induce a ritenere che si sia in presenza) di una concessione di servizi»;
   l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, sulla base delle valutazioni svolte, ha dato mandato per l'invio del provvedimento alla direzione distrettuale antimafia presso la procura della Repubblica di Napoli, alla procura generale della Corte dei Conti e al nucleo polizia tributaria di Napoli, per i profili di competenza;
   quindi l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici ha rilevato:
   a) che l'affidamento a Selex è avvenuto su di un progetto preliminare senza nessuna richiesta formale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e che pertanto sorge il dubbio se e tale contratto possa considerarsi appalto. Considerato che il SITRI è finanziato dagli stessi utenti si potrebbe ritenere che si sia in presenza non di un appalto, bensì di una concessione di servizi;
   b) l'affidamento non rientrerebbe nel novero dei «contratti secretati» a norma dell'articolo 17 del codice dei contratti pubblici. La secretazione operata dall'amministrazione è tuttavia di fatto servita per l'affidamento diretto della gestione del SISTRI a Selex;
   il suddetto contratto con SELEX scadrà il 30 novembre 2014 –:
   quali provvedimenti intenda assumere il Governo in merito al contratto in essere con Selex e se ritenga opportuno assumere iniziative per attivare, in luogo del SISTRI, un sistema di tracciabilità idoneo a garantire il controllo di legalità nella movimentazione dei rifiuti che sia nel contempo meno impattante e oneroso per le imprese. (3-00938)


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   come si evince dalle maggiori agenzie di stampa e da vari forum di operatori in rete, che riportano anche la notizia dell'aggravarsi delle inchieste sul gruppo Finmeccanica nei confronti dell’ex presidente Guarguaglini, l'autorità per la vigilanza sui contratti pubblici – AVCP – dopo due anni di indagini e relativa istruttoria finale, ha depositato l'8 maggio 2014 la deliberazione n. 10 con la quale, dopo aver ricostruito gli eventi dal 2006, si elencano alcune violazioni e illegittimità in merito all’iter amministrativo del sistema nazionale di tracciabilità dei rifiuti (SISTRI). La ricostruzione dei fatti connessi al SISTRI conduce l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici a dichiarare «non conforme» al codice dei contratti pubblici l'affidamento di tale progetto, in particolare per quanto riguarda la «secretazione» sul progetto stesso: posta nel febbraio 2007 dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore Pecoraro Scanio;
   la sopraccitata deliberazione così recita: «L’iter posto in essere – presentazione del progetto preliminare da parte di SELEX ES, secretazione del SISTRI, sviluppo del progetto, stipula del contratto non trova riscontro in alcun modello normativo che disciplina i contratti pubblici, dove la titolarità dell'iniziativa appartiene di norma al committente pubblico, dalla individuazione delle esigenze alla fattibilità dell'intervento, alla sua definizione alla ricerca del contraente e successiva gestione e controllo della fase realizzativi. Inoltre si rinvengono consistenti dubbi sulla stessa configurazione del contratto come appalto; infatti, la circostanza che il costo dell'operazione di fatto venga sostenuto dagli utenti registrati, induce a ritenere che si sia in presenza di una concessione di servizi»;
   dalla ricostruzione dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici risulta poi che sono passati, sorprendentemente, meno di 20 giorni tra la presentazione del progetto di massima del SISTRI al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare da parte della consociata di Finmeccanica Selex ES, e lo stanziamento nella legge finanziaria per il 2007 di ben 5 milioni di euro per la realizzazione del sistema, e soltanto 4 giorni lavorativi sono trascorsi tra la richiesta di bozza di contratto della direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (22 dicembre 2008) a Selex ES e la presentazione di quest'ultima di uno «schema di contratto per l'integrale esecuzione» al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   il carteggio con i rilievi dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici è stata peraltro inviato d'obbligo alla direzione distrettuale antimafia presso la procura della Repubblica di Napoli, alla procura generale della Corte dei Conti e al nucleo polizia tributaria di Napoli, che da marzo 2014 sta indagando sul SISTRI in merito a fondi neri all'estero, affidamenti illeciti e false fatturazioni;
   è plausibile peraltro ritenere che la deliberazione dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici avrà il suo peso sulla decisione del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sul prolungamento del contratto in essere, che scadrà il prossimo 30 novembre 2014;
   come ha avuto modo di sottolineare l'interrogante nell'atto n. 4-03564 ancora senza risposta, il SISTRI, ovvero il sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti, nasce con l'idea di attuare una semplificazione del processo di gestione e tracciabilità dei rifiuti (ospedalieri, urbani, speciali e pericolosi). Il SISTRI avrebbe dovuto avere il duplice obiettivo di semplificare l’iter di certificazione e tracciabilità dei rifiuti e di rendere trasparente il ciclo di distruzione dei rifiuti abbattendo i costi sostenuti dalle imprese del settore, ma nella realtà – tra rinvii, stop e modifiche alla normativa – il SISTRI non hai mai centrato le aspettative; l'avvio del sopraddetto SISTRI è stato infatti più volte rinviato e poi sospeso fino al 30 giugno 2013 per motivi di ordine tecnico, legale e gestionale, per poi andare in vigore dal 1o ottobre 2013 solo per chi tratta rifiuti pericolosi;
   è utile altresì ricordare che per il sistema SISTRI non è stata mai effettuato alcun collaudo, sebbene previsto dalla normativa vigente sugli appalti pubblici;
   come ben descritto dal rapporto Ecomafia 2014, elaborato annualmente da Legambiente, sono 29.274 le infrazioni nel ciclo dei rifiuti accertate nel 2013, più di 80 al giorno, ovvero più di 3 l'ora. Il 22 per cento delle infrazioni ha interessato la fauna, il 15 per cento i rifiuti e il 14 per cento il ciclo del cemento. Il fatturato, sempre altissimo, nonostante la crisi, ha sfiorato i 15 miliardi di euro grazie al coinvolgimento di numerosi clan, ben 321, appartenenti alla più pericolosa criminalità organizzata –:
   alla luce di quanto sopradescritto, quali iniziative urgentissime intenda mettere in campo il Ministro interrogato per fare luce sulla vicenda Sistri e dare informazioni sulle autorizzazioni date dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare a Selex ES; se non ritenga poi utile avviare una nuova procedura di affidamento rispettando quanto previsto nel codice degli appalti con meccanismi che garantiscano trasparenza e legalità, ribadito che, a fronte dei gravi dati sulle ecomafie del Paese, la tracciabilità dei rifiuti e il loro smaltimento corretto e senza danni per l'ambiente sono assolutamente necessari. (3-00939)


   REALACCI e GADDA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   come più volte ricordato, secondo i dati dell'ultimo Rapporto ecomafie di Legambiente, il giro illegale di rifiuti in Italia è di almeno 4,1 miliardi di euro l'anno di cui 3,1 derivano da rifiuti speciali e un miliardo dagli appalti della gestione dei rifiuti solidi urbani nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa; le inchieste per traffico organizzato di rifiuti ex articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006, sono ad oggi oltre 253, con 1.367 ordinanze di custodia cautelari, oltre 4.000 denunce e 698 aziende coinvolte;
   il SISTRI, ovvero Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti, nasce con l'idea di attuare una semplificazione del processo di gestione e tracciabilità dei rifiuti (ospedalieri, urbani, speciali e pericolosi). Il SISTRI dovrebbe avere il duplice obiettivo di semplificare l'iter di certificazione e tracciabilità dei rifiuti e di rendere trasparente il ciclo di distruzione dei rifiuti abbattendo i costi sostenuti dalle imprese del settore, ma nella realtà – tra rinvii, stop e modifiche alla normativa il SISTRI non hai mai centrato le aspettative;
   il predetto sistema si basa sull'utilizzo di due apparecchiature elettroniche: una cosiddetta black box, ovvero un transponder, da montare sui mezzi adibiti al trasporto dei rifiuti per tracciarne i movimenti e un token usb da 4 gigabyte equipaggiata con un software per autenticazione forte e firma elettronica che viaggia assieme ai rifiuti, su cui sono salvati tutti i dati ad essi relativi; sono obbligati ad aderire a tale sistema di tracciabilità: tutti i produttori iniziali di rifiuti pericolosi; tutti i produttori iniziali di rifiuti non pericolosi derivanti da lavorazioni industriali, da lavorazioni artigianali, da trattamenti effettuati sulle acque, da trattamento di rifiuti e costituiti da fanghi da abbattimento delle emissioni in atmosfera con più di 10 dipendenti; tutti i trasportatori di rifiuti speciali prodotti da terzi; i trasportatori di propri rifiuti speciali pericolosi; i gestori di impianti di recupero e smaltimento, gli intermediari e i commercianti di rifiuti senza detenzione degli stessi; i comuni e gli enti e le imprese che gestiscono i rifiuti urbani nel territorio della regione Campania;
   l'avvio del sopraddetto SISTRI è stato infatti più volte rinviato e poi sospeso fino al 30 giugno 2013 per motivi di ordine tecnico, legale e gestionale, per poi andare in vigore dal 1o ottobre 2013 solo per chi tratta rifiuti pericolosi. Per i produttori di rifiuti, comuni e imprese campane la partenza prevista è il 3 marzo 2014. Per questa serie di piccoli artigiani il SISTRI viaggerà in parallelo ai classici adempimenti cartacei costituiti da registri di carico/scarico e formulario di trasporto rifiuti fino al 1o agosto 2014, dopo di che il tracciamento telematico diventerà esclusivo. Mentre per il via al terzo scaglione, costituito da operatori del trasporto intermodale e dagli altri gestori di rifiuti urbani bisognerà attendere l'adozione degli specifici decreti ministeriali;
   l'obbligo di SISTRI varrà perciò anche per diverse categorie di piccoli artigiani al pari degli altri produttori iniziali di rifiuti speciali pericolosi già obbligati ad utilizzare il sistema informatico per la tracciabilità dei rifiuti pericolosi. Si tratta di carrozzieri, elettrauto, parrucchieri, orafi se utilizzano acidi, tintorie, lavanderie, impiantisti, fabbri e falegnami che effettuano anche verniciature, odontotecnici, metalmeccanici, autofficine, tipografie, estetiste;
   i ripetuti appelli da parte delle associazioni di rappresentanza imprenditoriale volti a modificare la necessità di dotarsi di apparecchiature elettroniche – sul cui numero si basa il corrispettivo riconosciuto al concessionario dal contratto di servizio – non sono stati adeguatamente considerati, nonostante la fattibilità tecnica di semplici modifiche di sistema ad esempio collegamento in remoto, uso di password e altro; 
   le associazioni di categorie imprenditoriali interessate lamentano il fatto che dalla penultima data di entrata in operatività (quindi dal giugno 2012 al marzo 2014) nulla è stato fatto in termini di diffusione delle apparecchiature, riallineamento del funzionamento delle stesse, approntamento della formazione degli operatori. Il Sistri presenta pertanto gli stessi deficit strutturali e conoscitivi che suscitarono tanto allarme nel maggio 2011 quando, con il famoso click day si appalesò l'impreparazione dell'apparato di assistenza e l'approssimazione dell'intero sistema;
   dal 1o ottobre 2013 l'entrata in vigore del Sistri ha comportato pesanti rallentamenti nel lavoro di gestori e trasportatori, nella peggiore, un vero e proprio blocco delle attività. Tale situazione, oltre a ripercuotersi sull'attività delle imprese, rischia soprattutto di favorire la gestione illegale dei rifiuti, come dimostra il calo dei quantitativi di rifiuti raccolti già riscontrato a seguito dell'operatività di ottobre: nell'ultimo trimestre del 2013 i dati sulla raccolta dei rifiuti mostrano un calo di circa il 20/25 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente;
   le rilevazioni effettuate nella filiera dalle maggiori associazioni di categoria, dopo la partenza del SISTRI, il 1o ottobre indicano che i tempi per tracciare i rifiuti sono aumentati, rispetto al sistema cartaceo, del 1500 per cento cui corrispondono costi 20 volte superiori;
   nella risposta dello scorso 17 settembre 2013 all'interrogazione n. 5/00913 presentata dall'interrogante il Ministro dell'Ambiente Andrea Orlando precisava: «In particolare, attraverso una normativa secondaria, verranno individuate ulteriori semplificazioni tese a razionalizzare il sistema di tracciabilità per la gestione e la movimentazione dei rifiuti in modo da renderlo semplice, efficace e trasparente e senza sovraccarichi organizzativi da parte delle aziende, anche al fine di eliminare gli strumenti più contestati dagli utenti, vale a dire la cosiddetta black box e la chiavetta USB. La semplificazione si pone anche in una prospettiva di progressiva riduzione dei costi a carico degli utenti, e di aumento dei servizi ad essi offerti, anche mediante la possibilità che la piattaforma informatica del Sistri confluisca in un sistema informativo più ampio a servizio della pubblica amministrazione. Nella consapevolezza che un sistema informatico non è mai perfetto ab initio, ma senz'altro perfettibile alla luce della sua applicazione pratica, non solo è stata prevista una prima semplificazione in fase transitoria, ma dopo questa sono previste semplificazioni periodiche, previa consultazione degli utenti, al fine di adeguare il sistema all'evoluzione tecnologica e alle esigenze via via manifestate dagli utenti, con una logica di work in progress (...) Una particolare attenzione è stata posta al sistema sanzionatorio in fase di prima applicazione del Sistri, al fine di attenuare gli effetti derivanti dall'operatività di un nuovo sistema da parte degli operatori, prevedendo una soglia di tre violazioni consentite oltre la quale verrà applicata la sanzione stessa. Alla luce delle osservazioni già pervenute da parte delle associazioni, vi è la disponibilità del Ministro dell'ambiente a ampliare ulteriormente, in sede di emendamenti al decreto-legge, la soglia di non punibilità, purché si tratti di illeciti colposi, mentre non possono consentirsi deroghe alla punibilità di illeciti dolosi (quale ad esempio la consapevole e voluta non iscrizione al Sistema)»;
   la motivazione con la quale i Ministri interrogati continuano a giustificare l'ineluttabilità del Sistri è quella del danno erariale per violazione del contratto con Selex Spa, che si determinerebbe qualora il Sistri venisse superato a favore di un sistema più agile per le imprese operatrici. Tale condizione non solleva le importanti responsabilità del decisore pubblico sui costi e le difficoltà del sistema verso le imprese obbligate all'adesione al Sistri –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, intendano valutare una rapida iniziativa normativa per il superamento del Sistri sostituendolo con nuovi criteri da affidare poi a normativa secondaria e pur mantenendo, nel frattempo, il sistema esistente, se non ritengano utile intervenire da subito affinché si garantisca maggiore efficacia del Sistri, data anche l'urgenza di dare una soluzione efficace al problema del contrasto allo smaltimento illegale di rifiuti;
   se non ritengano utile censire e integrare i vari sistemi già esistenti al livello regionale;
   se essi intendano poi adottare per il nuovo sistema di tracciabilità informatizzata gli indirizzi indicati unanimemente dalle 31 organizzazioni delle imprese interessate e se non sia altresì utile che nella progettazione, sperimentazione e miglioramento del nuovo sistema siano coinvolte le organizzazioni delle imprese e ugualmente che si prevedano misure di semplificazione, per determinate categorie, sulla base della individuazione di esigenze obiettive di tutela ambientale;
   se i Ministri interrogati non ritengano più utile che il nuovo sistema di tracciabilità entri completamente in funzione solo dopo essere stato efficacemente collaudato. (3-00940)

Interrogazione a risposta scritta:


   DAGA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sul quotidiano Il Messaggero, del 10 luglio 2014 è apparso un articolo dal titolo «Roma, allarme mare inquinato: spiagge invase dalla schiuma»;
   secondo quanto riportato nell'articolo, sarebbe in corso un fenomeno di deposito di schiuma sulla costa del litorale romano nelle località di Ostia e di Fiumicino; nello specifico una coltre bianca sembra aver coperto un lungo tratto di spiaggia di Fiumicino, a metà strada tra i due sbocchi a mare del Tevere, tra il Porto-canale e Fiumara Grande;
   a quanto risulta potrebbe trattarsi di un fenomeno legato all'effetto dei tensioattivi contenuti nei saponi riversati nel Tevere e del loro impatto con le correnti del mare di libeccio;
   la capitaneria di porto avrebbe immediatamente allertato l'Arpa-Lazio per effettuare le dovute analisi sul fenomeno;
   il 13 e 14 giugno 2014 Goletta Verde, il laboratorio galleggiante di Legambiente, aveva esaminato lo stato di salute delle coste del Lazio: su 24 campionamenti effettuati lungo i 329 chilometri del litorale, 18 campionamenti, cioè il 75 per cento, hanno dato risultati di un'altissima concentrazione di inquinamento microbiologico –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti suesposti;
   quali azioni i Ministri interrogati abbiano intrapreso o intendano intraprendere per capire se vi siano danni ambientali, causati da inquinamento, al fine di garantire sicurezza per le acque e scongiurare qualsiasi rischio per la salute dei bagnanti;
   se, in particolare, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in relazione al rischio del verificarsi di un danno ambientale ex articolo 300 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, intenda predisporre, anche per il tramite del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, ai sensi dell'articolo 197, comma 4, del decreto legislativo n. 152 del 2006, un monitoraggio delle sostanze inquinanti presenti nell'acqua del tratto di mare interessato. (4-05513)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, SEGONI, TERZONI, ZOLEZZI, CANCELLERI, CURRÒ, DI BENEDETTO, D'UVA, DI VITA, GRILLO, LOREFICE, LUPO, MARZANA, NUTI, RIZZO e VILLAROSA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013 n. 98, è stata prevista – all'articolo 18 comma 10 – l'approvazione, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, del programma degli interventi di manutenzione straordinaria di ponti, viadotti e gallerie della rete stradale di interesse nazionale in gestione ad ANAS SpA;
   con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze n. 268 del 17 luglio 2013, è stato autorizzato, a favore di ANAS, un finanziamento di 300 milioni di euro per l'attuazione del programma degli interventi di manutenzione straordinaria presentato da ANAS, in data 8 luglio 2013;
   in data 31 luglio 2013, è stata sottoscritta tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e ANAS spa una convenzione che disciplina l'attuazione del programma degli interventi di manutenzione straordinaria di ponti, viadotti e gallerie della rete stradale di interesse nazionale in gestione ad ANAS spa;
   la legge 27 dicembre 2013 n. 147 (legge di stabilità per il 2014) ha modificato l'articolo 18 comma 10 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, prevedendo che il programma degli interventi di manutenzione straordinaria di ponti, viadotti e gallerie della rete stradale di interesse nazionale in gestione ad ANAS spa, venisse integrato con ulteriori interventi mirati ad incrementare la sicurezza e a migliorare le condizioni dell'infrastruttura viaria;
   nella stessa legge 147 del 2013 sono state, altresì, stanziate somme per la realizzazione di interventi di manutenzione della rete stradale, per utilizzare le quale, lo scorso mese di maggio, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e l'ANAS spa, hanno sottoscritto una convenzione per la realizzazione del secondo «Programma di manutenzione straordinaria di ponti, gallerie e interventi mirati alla sicurezza del piano viabile»;
   in occasione dell'approvazione della richiamata legge 147 del 2013, il Governo ha accolto l'ordine del giorno sottoscritto dai deputati Mannino, Busto, Daga, De Rosa, Segoni, Terzoni e Zolezzi, con il quale, tra le altre cose, si impegnava il Governo a prevedere nell'aggiornamento della Convenzione tra Ministero delle infrastrutture e ANAS spa del 31 luglio – da stipularsi per disciplinare l'utilizzo delle nuove somme stanziate – quanto segue:
    a) la pubblicazione, in un'apposita sezione del sito web dell'ANAS spa e del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti della relazione, predisposta dal responsabile del Programma di manutenzione straordinaria di ponti, viadotti e gallerie della rete stradale di interesse nazionale, con una cadenza almeno semestrale;
    b) l'obbligo per ANAS spa pubblicare – in un'apposita sezione del proprio sito web – la consistenza delle risorse disponibili per il finanziamento di interventi manutenzione straordinaria di ponti, viadotti e gallerie della rete stradale di interesse nazionale, derivante da finanziamenti statali ovvero dalle economie formatesi nel corso dell'attuazione del programma;
   in relazione al crollo del viadotto collocato lungo la strada statale 626 dir, al chilometro 4,350 tra Licata e la contrada Braemi, l'ANAS ha affermato: «Nessun segnale di possibile cedimento era emerso neppure nei recenti interventi di manutenzione sia ordinaria che straordinaria, che hanno interessato il viadotto negli anni scorsi, con l'adeguamento delle barriere di sicurezza e, ancor più di recente, con la sostituzione dei giunti di dilatazione»;
   il crollo di un viadotto ubicato lungo la strada statale 626 dir, al chilometro 4,350 tra Licata e la contrada Braemi – che stando a quanto sostenuto dall'ANAS spa è avvenuto in modo improvviso senza che si fossero manifestati in precedenza dei segnali che potessero far presagire il crollo – conferma, dunque, ancora una volta la necessità di una continua e sistematica attività di monitoraggio delle infrastrutture, estesa anche e soprattutto a quelle oggetto di interventi di manutenzione;
   per ciascuna infrastruttura, è necessario poter disporre di un'anagrafe, aperta e consultabile, che consenta di ricostruire il quadro delle responsabilità e le eventuali connessioni tra gli interventi di manutenzione realizzati e/o i mancati interventi e crolli come quello verificatosi, lo scorso 7 luglio lungo la Strada statale 626 –:
   se intenda fornire un quadro dei lavori eseguiti sul viadotto collocato lungo la strada statale 626, delle risorse pubbliche stanziate ed effettivamente utilizzate, e dei soggetti a diverso titolo coinvolti nell'esecuzione degli stessi lavori e una relazione sulle eventuali connessioni tra le lavorazioni eseguite e i fenomeni all'origine del crollo;
   se nelle Convenzioni sottoscritte con l'ANAS spa – richiamate nelle premesse – siano state previste apposite disposizioni che prevedano una continua e regolare attività di verifica dello stato delle infrastrutture oggetto degli interventi di manutenzione;
   se nella Convenzione stipulata lo scorso mese di maggio siano stati inseriti le disposizioni e gli obblighi – oggetto dell'ordine del giorno accolto dal Governo richiamato in premessa – finalizzati ad assicurare la pubblicità delle informazioni relative al Programma di manutenzione straordinaria di ponti, viadotti e gallerie della rete stradale, e la piena verificabilità delle risorse pubbliche stanziate e/o di quelle utilizzabili per l'attuazione dello stesso Programma;
   se ritenga che tra gli ulteriori interventi mirati ad incrementare la sicurezza e a migliorare le condizioni dell'infrastruttura viaria con priorità per le opere stradali, di cui al citato articolo 18, comma 10 del decreto legge n. 69 del 2013 – da prevedere già all'interno della Convenzione stipulata con l'ANAS spa lo scorso mese di maggio – debbano essere compresi la definizione e l'implementazione di sistemi di monitoraggio e di controllo continuo, o almeno con una cadenza temporale adeguata, rispetto alla stabilità delle strutture, che possono scongiurare o ridurre sensibilmente il rischio che si verifichino «improvvisamente» crolli e/o di danni a ponti viadotti e gallerie.
(5-03214)


   RUBINATO e MORETTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con DGR n. 121 dell'11 febbraio 2013 la giunta regionale del Veneto ha avviato le procedure di gara per l'affidamento in concessione, mediante finanza di progetto, della progettazione definitiva ed esecutiva della costruzione e della gestione della superstrada a pedaggio denominata «Via del mare: collegamento A4-Jesolo e litorali»;
   l'intervento consiste nella realizzazione di una bretella di collegamento tra il casello di Meolo sulla A4 Milano-Trieste e la rotatoria «Frova», a nord-ovest dell'abitato di Jesolo. Tale asse stradale ha uno sviluppo complessivo di circa 19 chilometri, di cui circa 11 chilometri di adeguamento della viabilità esistente, 6,5 chilometri di viabilità in nuova sede, e 1,5 chilometri di affiancamento alla viabilità esistente, e interessa il territorio di 2 province e 5 comuni: Roncade in provincia di Treviso Meolo, Musile di Piave, San Donà di Piave e Jesolo in provincia di Venezia. L'opera sarà soggetta a pedaggio e i cinque accessi a pagamento sono previsti nelle seguenti località: Meolo; Rotatoria sulla S.S. 14; Rotatoria sulla S.P. 47 a Caposile; Santa Maria di Piave (accesso solo in direzione Jesolo); Cà Nani (in sola entrata per chi proviene dalla S.R. 43 in direzione di Jesolo);
   il progetto preliminare dell'opera è stato presentato congiuntamente in data 2 aprile 2007 dalle Società «Adria Infrastrutture SpA», «Strade del Mare SpA» e il Consorzio «Via del Mare», in qualità di proponenti, alla regione del Veneto in una proposta in regime di finanza di progetto ai sensi dell'articolo 153 del decreto legislativo n. 163 del 2006 e degli articoli 10 e seguenti della legge regionale n. 15 del 2002;
   la giunta regionale del Veneto, pubblicato l'avviso per consentire la presentazione di ulteriori proposte, dopo la ricezione di altre tre proposte nei termini previsti, con DGR n. 988 del 21 aprile 2009, ha dichiarato di pubblico interesse la proposta di finanza di progetto pervenuta dalle società promotrici;
   in data 17 marzo 2010 la Commissione regionale VIA ha espresso, parere favorevole, cui è seguito in data 16 dicembre 2010 il parere positivo, con prescrizioni del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   nell'Intesa generale quadro della regione Veneto del 16 giugno 2011 il «Collegamento tra la A4 ed il sistema turistico del litorale veneto» (solo per procedure) è inserito tra le opere di interesse regionale per le quali concorre l'interesse nazionale;
   in data 4 luglio 2011 regione Veneto ed ANAS firmano un protocollo d'intesa per l'utilizzo di parte del sedime della strada statale 14, nel tratto della variante di San Donà di Piave;
   il progetto preliminare dell'opera è stato approvato dal CIPE nella seduta del 30 aprile 2012 con delibera n. 56 pubblicata sulla G.U.R.I. n. 193 del 20 agosto 2012;
   con nota in data 31 ottobre 2012 le società «Adria Infrastrutture S.p.A.», «Strade del Mare S.p.A.» e il consorzio «Via del Mare» hanno comunicato di aver appositamente costituito la società «La Strada del Mare S.r.l.», sede legale in Venezia, V.le Ancona 26, C.F. P.IVA 04136810274, R.E.A. VE – 368643, quale soggetto promotore unico nella procedura;
   con decreto n. 5 del 19 luglio 2013 il dirigente regionale della direzione strade e autostrade e concessioni, Giuseppe Fasiol, ha quindi indetto il relativo bando di gara, mediante procedura ristretta, per l'affidamento, della concessione di costruzione e gestione dell'opera ai sensi dell'articolo 153 comma 15 del decreto legislativo n. 163 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni per un importo base di euro 200.751.772,00 (al netto di IVA) e con scadenza 20 settembre 2013;
   il suindicato bando di gara, che prevedeva il diritto di prelazione da parte del gruppo di imprese che hanno redatto il progetto preliminare, faceva esplicito riferimento al protocollo di legalità, sottoscritto in data 9 gennaio 2012 dal presidente della regione Veneto, dai prefetti del Veneto, dal presidente dell'U.R.P.V. e dal presidente dell'Anci Veneto, al fine della prevenzione dei tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata nel settore dei contratti pubblici per l'acquisizione di lavori, servizi e forniture;
   i responsabili della società «Adria Infrastrutture Spa», del consorzio «Via del Mare», nonché della società «La strada del Mare Srl», Claudia Minutillo e Piergiorgio Baita, sono stati arrestati nel febbraio del 2013, nell'ambito dell'inchiesta della procura di Venezia riguardante il Gruppo Mantovani, del cui consiglio di amministrazione era presidente il medesimo Baita, per l'ipotesi di associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale e costituzione di fondi neri, attraverso un giro di fatture false tramite «cartiere» collocate per lo più all'estero;
   con deliberazione n. 21 del 22 marzo 2013 il Consiglio regionale del Veneto ha istituito una Commissione d'inchiesta sui lavori pubblici regionali che ha tra i suoi compiti quello di verificare, anche comparativamente, le procedure, i costi e i tempi di affidamento, aggiudicazione e realizzazione dei lavori pubblici di competenza regionale, con particolare riguardo a quelli eseguiti o in corso di esecuzione/affidamento attraverso project financing;
   nel settembre 2013, in una conferenza stampa svoltasi a San Donà di Piave, alcune amministrazioni dei comuni del trevigiano e veneziano interessati dal progetto di superstrada hanno lanciato un appello alle autorità competenti, a partire dal prefetto di Venezia e dalla Corte dei Conti, per cercare di fermare il project financing alla luce dei fondati dubbi in ordine alle condizioni di legalità dell'opera dovuti alle indagini sul gruppo Mantovani e al coinvolgimento della società Adria Infrastrutture Spa;
   peraltro il progetto della «Via del Mare» è stato fortemente contestato sin dall'inizio del suo iter da una parte degli amministratori locali e da associazioni di cittadini, in primis perché si tratta non della costruzione di una nuova infrastruttura, ma della trasformazione di un'arteria regionale già realizzata con risorse pubbliche e fortemente interconnessa con il territorio che – unitamente alla variante alla strada statale 14 che va dalla Fossetta a Caposile – per 40 anni rimarrebbe sottratta alla libera fruizione dell'utenza e fuori del controllo pubblico, ma anche sotto il profilo tecnico-progettuale, per le grosse criticità evidenziate da uno studio redatto dall'associazione, «Ferrovie a Nordest», esistendo inoltre uno studio di fattibilità, elaborato su incarico del comune di Roncade dai tecnici di Tepco Srl ed approvato in conferenza di servizi in data 21 febbraio 2011, presenti le amministrazioni comunali di Roncade, Silea, San Biagio di Callalta, Meolo, e le due province di Venezia e Treviso, nonché Veneto Strade spa, società strumentale della regione Veneto, studio che dimostra come sia possibile la messa in sicurezza ad un costo inferiore della strada esistente senza trasformarla in superstrada;
   con una comunicazione del 14 ottobre 2013 il sindaco del comune di San Donà di Piave ha chiesto al prefetto di Venezia di adottare tutte le opportune iniziative per tutelare le comunità interessate al progetto e per garantire il rispetto delle condizioni di legalità di cui al summenzionato Protocollo nella realizzazione dell'opera;
   i dubbi sulla correttezza e legalità della procedura di project financing in oggetto sono rafforzati da ultimo dagli sviluppi delle indagini in ordine al cosiddetto sistema Mose, in cui la procura di Venezia ipotizza, in estrema sintesi, l'esistenza di un meccanismo corruttivo ad ampio raggio gestito dai responsabili (Giovanni Mazzacurati e Piergiorgio Baita) del consorzio Venezia Nuova (concessionario unico del MIT per gli interventi a salvaguardia di Venezia, di cui il gruppo Mantovani era il primo socio e braccio operativo), che avrebbero concordato con i principali consorziati di corrispondere denaro allo scopo di influire sulle decisioni inerenti l'esecuzione dell'opera MOSE ed, in generale, l'attività del Consorzio. A tal scopo, sarebbe stato costituito, con il meccanismo della retrocessione in contanti, un fondo comune di denaro contante, versato pro-quota dalle imprese, che venivano ricompensate mediante contratti per prestazioni tecniche fittizie o inesistenti (e quindi con false fatturazioni) o anticipazioni su riserve sovradimensionate;
   in particolare, secondo quanto riferito dal relatore onorevole Rabino nella seduta dell'11 giugno scorso della Giunta per le autorizzazioni (convocata per discutere la domanda di autorizzazione del giudice per le indagini preliminari del tribunale di Venezia ad eseguire la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti del deputato Giancarlo Galan), «il GIP usa parole estremamente allarmanti: parla di “sistema corruttivo diffuso e ramificato, in cui il legame tra corrotti e corruttori era talmente profondo che non sempre è stato possibile individuare il singolo atto specifico contrario ai doveri di ufficio oggetto dell'attività corruttiva, poiché spesso non era necessario un pagamento per un singolo atto” e afferma che “la ricostruzione complessiva evidenzia casi in cui i funzionari e i politici coinvolti sono da tempo ‘a libro paga’ del Mazzacurati e del Baita”, quest'ultimo vicepresidente di ADRIA INFRASTRUTTURE, “al punto da chiedere la consegna di somme a prescindere dai singoli atti compiuti nel corso dell'espletamento dei loro uffici. In tale contesto i favori chiesti dagli indagati, da un lato, non sono sempre esattamente quantificabili a priori e, dall'altro lato, a volte comportano un'elargizione dilazionata nel tempo”». Tale meccanismo – secondo lo stesso GIP – «arriva al punto di integrare in un'unica società corrotti e corruttori: è il caso di ADRIA INFRASTRUTTURE (di cui è stata, per un periodo, formale titolare Minutillo Claudia, segretaria di Galan Giancarlo), il cui capitale sociale viene, tramite prestanome, detenuto in effetti anche dal già presidente della regione (Galan) e dal suo assessore di riferimento in materia di infrastrutture (Chisso, assessore ancor oggi o meglio sino al 4 giugno u.s.), che sono coloro i quali, ai vertici della Regione, si dovevano occupare della assegnazione e realizzazione dei progetti presentati dalla stessa ADRIA», società controllata dalla Mantovani, emergendo – sintetizza il relatore – che ogni affidamento di lavori o approvazione di project financing a questa società comportava un utile immediato ed automatico per tutti i soci occulti della medesima, nonché per i pubblici funzionari che avevano deliberato ed approvato le assegnazioni o partecipato alle procedure autorizzative –:
   quali urgenti iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere, attivandosi anche di concerto con la regione Veneto, per assicurare il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione e per verificare il rispetto delle condizioni di legalità nella procedura in oggetto, nonché affinché si sospenda la gara in corso relativa alla costruzione e alla gestione della superstrada a pedaggio denominata «Via del Mare A4-Jesolo e litorali», anche in attesa degli esiti delle verifiche della Commissione regionale d'inchiesta sui lavori pubblici e dell'inchiesta giudiziaria in corso. (5-03215)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GREGORIO FONTANA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a partire da aprile 2014 è stato interrotto il servizio merci pericolose nella stazione di Bergamo. Tale servizio risulta fondamentale per importanti realtà produttive di importanza nazionale e locale quali: Polynt, Mapei, Thyssenkrupp, Italcementi, Bayer, Brenntag, 3V Sigma e Schneider Electric, con una movimentazione negli ultimi anni circa 4.500 carri ferroviari per complessivi 300 treni (di cui, circa la metà di merci RID);
   l'interruzione del servizio ferroviario nello scalo di Bergamo, che attualmente riguarda solo le merci pericolose, da quanto riportato dal quotidiano L'Eco di Bergamo rischia di venire esteso all'intero trasporto merci rendendo di fatto inutilizzabile questo scalo al trasporto cargo con un ulteriore aggravio della situazione, già molto problematica, con centinaia di posti di lavoro a rischio –:
   quali siano le ragioni della chiusura dello scalo di Bergamo alle merci pericolose e se tale chiusura sia solo temporanea e quindi sia possibile, in tempi brevi, riprendere le attività in attesa che venga predisposto uno scalo alternativo;
   se sia fondata la preoccupazione che l'interruzione del servizio merci, oltre a quelle pericolose, venga esteso all'intero trasporto merci ferroviario;
   se si intenda intervenire, e in che modo, per ripristinare il servizio merci pericolose, la cui sospensione sta mettendo a dura prova importanti realtà imprenditoriali della provincia di Bergamo già impegnate a fronteggiare gli effetti della crisi. (4-05508)


   D'INCÀ, COZZOLINO, DA VILLA, BUSINAROLO, SPESSOTTO e BRUGNEROTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 443 del 21 dicembre 2001 cosiddetta «legge obiettivo», attuata mediante il decreto legislativo n. 190 del 20 agosto 2002, anche a seguito di numerosi aggiornamenti del piano delle infrastrutture strategiche (PIS), identifica n. 390 opere strategiche per un costo totale pari a 374,81 miliardi di euro;
   l'articolo 1, comma 1, della legge n. 443 del 2001 indica le diverse tipologie di finanziamento per la realizzazione del piano delle infrastrutture strategiche tra i quali il finanziamento privato cosiddetto project finance. In considerazione della ristrettezza dei fondi pubblici a disposizione è bene sottolineare come il project finance sia stato considerato strumento fondamentale per il raggiungimento degli scopi della legge n. 443 del 2001; esso dovrebbe coinvolgere, nella realizzazione delle opere pubbliche, il capitale dei privati. Questo coinvolgimento – a differenza di ciò che accade nei contratti di mutuo e nelle altre tipologie di prestiti – dovrebbe comportare, a carico del privato, l'assunzione dei rischi inerenti alla remunerabilità della operazione finanziaria;
   già nell'indagine del 2005 sullo stato di attuazione della legge obiettivo la Corte dei conti, sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, rilevava come gli strumenti realizzativi prescelti – come general contractor e project finance – avessero scontato la sostanziale assenza di cultura in questo settore nel nostro Paese e come dalla lettura delle varie relazioni degli advisor, impiegati negli studi di fattibilità, si potesse constatare come il parere positivo sulla remunerabilità e bancabilità del progetto fosse assolutamente condizionato dalla sincronica realizzazione di altre infrastrutture, talvolta nemmeno inserite nel programma della legge obiettivo, a cui va ulteriormente sommata l'insufficienza dei finanziamenti per la loro realizzazione;
   nella sostanza nella summenzionata indagine fu altresì posto in evidenza quanto gli obiettivi prestigiosi nel programma risultassero sproporzionati rispetto alla penuria dei finanziamenti complessivamente disponibili evidenziando al contempo gravi difformità di numerose fattispecie di project finance dal modello tipico, caratterizzato dalla capacità di coinvolgere i privati nel finanziamento delle opere pubbliche e nella assunzione dei rischi connessi alla loro realizzazione, oltre che la necessità di introdurre prescrizioni che impediscano ai concessionari e ai contraenti generali di assumere commesse, ponendo a carico della parte pubblica i relativi rischi;
   dal 2005 ad oggi numerose sono state le indagini e le analisi che hanno evidenziato l'assoluta criticità dell'applicazione del project finance e delle sue ripercussioni sul debito pubblico tra cui si evidenziano:
    l'analisi della Banca d'Italia del novembre 2009 sulle infrastrutture e project financing in Italia che rimarca quanto siano ancora numerosi i fattori di criticità presenti nella disciplina dello strumento in grado di pregiudicarne il corretto utilizzo, compromettendo il raggiungimento degli obiettivi di recupero del gap infrastrutturale del Paese e di riduzione della spesa pubblica attraverso l'apporto di capitale privato tanto da ritenere necessarie misure che assicurino: una più adeguata allocazione del rischio amministrativo, un più elevato grado di flessibilità nelle procedure di affidamento dei lavori, la previsione di una specifica disciplina del contratto di affidamento dei lavori in project financing, l'introduzione di meccanismi idonei ad evitare gli abusi cui pure esso può prestarsi (specie relativamente all'elusione dei limiti relativi all'indebitamento pubblico), in particolare attraverso stringenti presidi che assicurino la trasparenza e l'adeguata rendicontazione delle operazioni di project financing che coinvolgano la pubblica amministrazione, al fine di una loro corretta classificazione, ed un monitoraggio attento e trasparente sull'esecuzione dei contratti e l'acquisizione di elevate competenze tecnico-specialistiche da parte delle pubbliche amministrazioni, soprattutto a livello locale;
    il resoconto UTFP (unità tecnica finanza di progetto) del gennaio 2011 sul partenariato pubblico privato per la realizzazione di opere pubbliche ed il loro impatto sulla contabilità nazionale e sul debito pubblico che evidenzia la necessità che le pubbliche amministrazioni siano più sensibili all'analisi dei rischi valutando con più attenzione la possibilità di contabilizzare quali costi non debbano essere considerati nel bilancio pubblico, ovvero un'attenta classificazione dei progetti in funzione della capacità di autofinanziarsi attraverso i flussi di cassa in osservanza alla decisione di Eurostat «Treatment of public private partnerships» dell'11 febbraio 2004;
    l'indagine ANCE (Associazione nazionale costruttori edili) del novembre 2012 sulla realizzazione delle opere mediante il project financing che rileva una ridotta efficacia ed efficienza delle procedure relative al project financing, individuando una serie di limiti legislativi, amministrativi, procedurali ed economici, che impediscono una piena ed efficace risposta della finanza di progetto alla pressante richiesta dei servizi di pubblica utilità proveniente dal territorio;
    il rapporto della Presidenza del Consiglio dei ministri, Ministro per i rapporti con il Parlamento delegato per il programma di Governo, «Analisi di alcuni settori di spesa pubblica» del marzo 2013, che evidenzia un'alta mortalità del project finance per motivi che dipendono dalla inadeguata analisi preliminare sulla fattibilità dell'operazione, rilevando che i vantaggi di questo tipo di finanziamento sono puramente contabili e non consentono alcun effettivo risparmio per la finanza pubblica in quanto dovranno essere previsti esborsi futuri (o mancati introiti) da parte dell'operatore pubblico a favore del privato, addivenendo alla conclusione che normalmente il settore pubblico possa finanziarsi a costi inferiori a quello privato e che pertanto i progetti in PPP sono più costosi dei progetti tradizionali di investimento pubblico. Non da ultimo sotto il profilo della ripartizione dei rischi è posta in evidenza una certa asimmetria che induce i privati a minimizzare l'assunzione di rischi e/o a selezionare iniziative con basso rischio e alti rendimenti. Da questo punto di vista i vantaggi economici sarebbero molto limitati in quanto in un'ottica di finanza pubblica è opportuna l'opzione PPP a condizione che i privati si accollino i rischi che competono loro. Alcuni tipi di investimenti pubblici sono caratterizzati da elevata incertezza e da esternalità positive. In questi casi il settore privato si impegnerà solo nel caso possa contare su specifiche garanzie pubbliche (dissolvendo così in parte i vantaggi del PPP) –:
   se non intendano fare chiarezza, data la drammatica situazione in cui versa la spesa pubblica, circa l'opportunità di un complessivo ripensamento circa la congruità del largo ed indiscriminato utilizzo degli strumenti di finanza di progetto e partenariato pubblico e privato sin qui adottati, rispetto alle finalità istituzionali e di interesse pubblico assegnate, assumendo iniziative, per tutti i progetti interessati da tale modalità realizzativa, per un immediato periodo di moratoria che blocchi ogni ulteriore iniziativa da parte dei proponenti e sospenda l’iter di approvazione ad avvio di quanti in tale fase si trovino;
   se, non intendano fare chiarezza affrontando il tema della correttezza e della congruità della spesa sotto l'aspetto della convenienza e della sostenibilità economica volta a verificare le convenzioni, tariffe ed investimenti, coinvolgendo a priori la Corte dei Conti, per tutte quelle opere attualmente approvate dal CIPE realizzate mediante la finanza di progetto, in particolar modo le concessioni autostradali, che accusano enormi problemi finanziari dettati dall'aggravarsi della crisi economica e dalla diminuzione del traffico veicolare che ne mettono in discussione la realizzazione e/o il mantenimento obbligando di fatto all'intervento di capitale pubblico;
   se non intendano fare chiarezza sull'immediata necessità di attuare quelle azioni correttive atte ad assicurare l'affidamento dei contratti di partenariato pubblico privato solo in presenza di valutazioni preliminari sulla convenienza del ricorso a tale strumento, adeguatamente supportati da studi di fattibilità che includano altresì l'analisi dei rischi e l'analisi di redditività delle iniziative.
(4-05509)


   RICCARDO GALLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 7 luglio presso la strada statale n. 626 tra Licata e Canicattì, in provincia di Agrigento, si è verificato il crollo di alcune arcate del viadotto Petrulla, causato con ogni probabilità da un cedimento strutturale;
   la frana ha coinvolto alcune automobili che sono precipitate a causa dello smottamento e ha causato un successivo tamponamento a catena che ha visto coinvolte diverse automobili, ha provocato il ferimento di quattro persone tra cui donne e bambini;
   secondo una prima ricostruzione sembra che improvvisamente una parte del manto stradale abbia ceduto provocando un vistoso avvallamento nella parte iniziale del viadotto, proprio mentre le automobili stavano transitando;
   nonostante attualmente non ci siano né indagati, né ipotesi di reato a parere dell'interrogante è opportuno accertare quanto è accaduto, in considerazione che i livelli di sicurezza delle opere infrastrutturali di collegamento della viabilità stradale, si sono contraddistinti negativamente negli ultimi anni a causa dei numerosi incidenti accaduti nel nostro Paese ed in modo particolare in Sicilia;
   l'interrogante evidenzia inoltre che, secondo quanto hanno rilevato i responsabili dell'ANAS, il cedimento strutturale si è verificato nella parte iniziale del viadotto Lauricella, che a sua volta ha causato il crollo di una campata del confinante viadotto «Petrulla», risalente alla fine degli anni settanta, lungo 492 metri al chilometro 4,350 della «Licata-Braemi», nel territorio di Licata e la conseguente chiusura al traffico in entrambe le direzioni tra lo svincolo di Licata Calandrino/Innesto;
   i medesimi tecnici dell'ANAS, inoltre hanno ipotizzato che la causa del crollo sembrerebbe imputabile a una rottura delle travi in cemento armato precompresso che sostenevano l'impalcato;
   l'interrogante rileva altresì come nell'anno 2009 la suindicata statale n. 626, Caltanissetta-Gela, nel territorio di Butera, sia stata, oggetto di un altro disastro su un altro viadotto denominato «Geremia II», che ha determinato il crollo del manto stradale con numerosi feriti, la condanna di alcuni tecnici dell'ANAS e dei responsabili dell'impresa di costruzione del medesimo tratto stradale;
   ulteriori crolli e cedimenti strutturali in altri viadotti, sebbene di lieve entità, si sono segnalati anche l'anno scorso nell'Agrigentino ed in particolare sulla statale 115 tra Agrigento e Sciacca, con inevitabili ripercussioni sia sulla viabilità degli automobilisti che del ripristino dei collegamenti stradali che ha richiesto dei tempi tecnici eccessivi;
   la suesposta vicenda a giudizio dell'interrogante, evidenzia come episodi come quello verificatosi di recente nell'agrigentino, richiedano un'azione di monitoraggio più incisiva di verifica e dei controlli per i livelli di sicurezza delle infrastrutture di collegamento stradali in Sicilia, in considerazione come peraltro suesposto, dei numerosi e gravi incidenti accaduti nel corso degli ultimi anni, che certamente rappresentano un segnale d'allarme per i soggetti responsabili alla progettazione, alla revisione delle strutture, nonché alla salvaguardia e protezione degli utenti che utilizzano i tratti stradali interessati –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   quali iniziative urgenti intenda intraprendere, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di una verifica degli interventi necessari sia a ripristinare in tempi rapidi la viabilità che a prevenire eventuali problemi sulle altre campate del viadotto;
   se non intenda acquisire tutte le informazioni necessarie finalizzate ad accertare che lungo il percorso alternativo individuato non vi siano rischi di altri eventi franosi che possano mettere a rischio l'incolumità degli utenti che percorrono il medesimo tratto;
   se non si intenda altresì procedere ad una mappatura per quanto di competenza, sullo stato della rete viaria stradale e autostradale siciliana al fine di accrescere i livelli di monitoraggio per la sicurezza delle strade ed evitare il ripetersi di tragedie come quelle esposte in premessa, che come evidenziato risultano essere negli anni particolarmente aumentate. (4-05512)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 11 luglio 2014, la stampa locale comasca ha dato notizia della decisione con la quale è stato disposto con brevissimo preavviso il 5 luglio 2014 il trasferimento all'aeroporto di Fiumicino di otto poliziotti in servizio a Ponte Chiasso;
   la misura ha determinato sconcerto nella cittadinanza e proteste da parte delle organizzazioni sindacali della Polizia di Stato – oltre al Sap ed al Siulp, «Lo Scudo» – che hanno evidenziato come il provvedimento intervenga su una realtà già caratterizzata dall'insufficienza degli organici – 60 uomini disponibili rispetto agli 80 in pianta – in un momento di obiettiva recrudescenza delle attività criminali sul territorio di competenza e nel quale più forte è l'esigenza di controllare i respingimenti alle frontiere svizzere;
   gli agenti hanno già lasciato Ponte Chiasso per Fiumicino, dove rimarranno fino alla cessazione delle imprecisate esigenze per le quali è stato disposto il loro trasferimento;
   il comando provinciale di Como aveva già dovuto rinunciare recentemente ad un poliziotto, trasferito a Bari, ed altri 4, inviati a Venezia;
   la sottrazione temporanea di personale ai distaccamenti comaschi durante i mesi estivi, ormai pressoché consuetudinaria poiché è il quinto anno consecutivo che si verifica, riduce sensibilmente l'operatività locale della Polizia di Stato;
   sono rilevanti anche i costi patiti dalle famiglie del personale movimentato, che è già alle prese con il disagio economico conseguente al blocco degli stipendi –:
   quali ragioni abbiano indotto il Governo a spostare personale di polizia dal distaccamento di Ponte Chiasso verso Fiumicino e con così breve preavviso, quanto a lungo si protrarrà l'esigenza alla base del trasferimento generalizzato nella premessa e che misure si contino a breve di assumere per assicurare ai presidi delle forze dell'ordine nella provincia comasca la capacità di garantire la legalità sul territorio di loro competenza. (4-05507)


   PIRAS. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel corso degli anni la gestione amministrativa del distaccamento polizia stradale di Olbia effettuata da parte del relativo attuale comandante è stata oggetto di segnalazioni informali da parte dei singoli appartenenti alla Polizia di Stato ivi in servizio, ma anche da parte delle organizzazioni sindacali di tale personale, che le hanno anche ampiamente formalizzate a verbale sui competenti tavoli di confronto sindacale;
   in particolare le segnalazioni informali si riferivano esplicitamente a sistematiche e gravi irregolarità attribuite al citato comandante, mentre quelle formali e verbalizzate segnalavano la parallela irregolare tenuta dei documenti amministrativi appunto destinati a comprovare – come tassativamente prescrive la normativa – l'effettiva spettanza di indennità accessorie che, secondo i segnalanti, egli sistematicamente percepiva in maniera indebita;
   i dipendenti hanno in particolare affermato di aver riscontrato come il signor comandante sistematicamente non era presente in ufficio negli orari pomeridiani – ma altrettanto sistematicamente in quegli stessi giorni ed orari figurava in servizio – percependo in relazione a ciò il compenso per lavoro straordinario ed anche il buono pasto, la cui erogazione tuttavia non è prevista per chi fruisce di alloggio di servizio ubicati presso il luogo di lavoro;
   i medesimi dipendenti hanno affermato inoltre di aver riscontrato che svariati verbali di contravvenzione da essi redatti erano successivamente stati modificati;
   il 20 settembre 2013 la quasi totalità dei dipendenti, ritenendo di adempiere allo specifico obbligo di riferire che incombe in capo ad ogni ufficiale o agente di polizia giudiziaria, ha formalizzato una segnalazione di quanto sopra ai superiori gerarchici, in specie al direttore del compartimento polizia stradale per la Sardegna;
   l'espletamento delle indagini venne delegato al direttore del compartimento di polizia stradale;
   era stato affermato, in sede di accertamento, che, diversamente da quanto esplicitamente affermato dalla legge – si veda l'articolo 1, comma 1, lettera b, della legge 18 maggio 1989 n. 203 – e dalle circolari esplicative, la corresponsione dei buoni pasto spetterebbe anche al personale che fruisce di alloggio di servizio nello stesso stabile;
   parallelamente nello stesso periodo in cui il comandante fruiva di quel beneficio – proprio sulla base della richiamata normativa – lo negava a tutti gli altri dipendenti che fruivano di alloggio di servizio all'interno del medesimo stabile;
   la Procura della Repubblica ha disposto l'archiviazione del procedimento penale instauratosi a carico del comandante sulla base di una valutazione in punto di diritto sulle norme di settore espressa unicamente dall'organo di polizia giudiziaria delegato, cioè da direttore del compartimento;
   non è ovviamente ipotizzabile che venga dichiarata la responsabilità penale per calunnia o diffamazione nei confronti dei poliziotti che hanno sottoscritto la citata segnalazione dei descritti fatti e, pertanto, non può essere revocato in dubbio che essi godano in pieno della salvaguardia prevista dalla legge, che in merito letteralmente dispone: «Fuori dei casi di responsabilità a titolo di calunnia o diffamazione, ovvero per lo stesso titolo ai sensi dell'articolo 2043 del codice civile, il pubblico dipendente che denuncia all'autorità giudiziaria o alla Corte dei conti, ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia»;
   il testo trascritto è quello del primo comma dell'articolo 54-bis, decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 rubricato «Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti», introdotto dalla legge 6 novembre 2012, n. 190 recante «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione»;
   il citato direttore di compartimento, delegato delle indagini, dopo averle condotte, ha contestualmente disposto l'apertura di procedimenti disciplinari, per varie ragioni, nei confronti di alcuni sottoscrittori della segnalazione citata;
   i fatti sinteticamente descritti sono stati formalmente segnalati, insieme a violazioni della normativa in materia di tutela dei dirigenti sindacali, dall'organizzazione sindacale Uil Polizia, nell'ambito del Ministero dell'interno – dipartimento della pubblica sicurezza, sia al servizio polizia stradale che all'ufficio per le relazioni sindacali –:
   quali iniziative il Ministro intenda adottare al fine di accertare e, se del caso, provvedere in merito all'eventuale sussistenza delle descritte situazioni. (4-05514)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   i vertici dell'ENI avrebbero revocato un piano d'investimenti di settecento milioni per la riconversione del sito siciliano di Gela in bioraffineria, ed avrebbero inoltre manifestato l'intenzione di procedere ad un ridimensionamento delle attività del gruppo, soprattutto negli stabilimenti del Sud Italia;
   le motivazioni della decisione risiederebbero nel fatto che a causa della crisi del settore e di un surplus europeo di 120 milioni di tonnellate di raffinato, la società potrebbe assicurare la continuità operativa solo per la raffineria di Sannazzaro (Pavia) e per la propria quota del 50 per cento di Milazzo, mentre, oltre alla raffineria di Gela, sarebbe incerto il destino anche di quelle di Taranto, Livorno, Porto Marghera, e il petrolchimico di Priolo nel siracusano;
   le decisioni dell'Eni mettono a rischio, nell'immediato, 3.500 posti di lavoro tra occupati diretti e indotto, ed in seguito alla rottura delle trattative tra i sindacati e l'azienda le prospettive appaiono ulteriormente peggiorare;
   entro il 20 luglio 2014 avrà luogo una mobilitazione nazionale dei lavoratori, ed alcuni operai vogliono fermare l'attività del metanodotto che porta in Sicilia 10 miliardi di metri cubi di gas, mentre addirittura il governatore della regione avrebbe minacciato di chiudere i pozzi di petrolio;
   proprio negli scorsi giorni l'agenzia di rating Fitch aveva detto che i deboli margini di raffinazione in Europa potrebbero portare a un eventuale downgrade di Eni se la ristrutturazione del settore non dovesse avere successo;
   l'eventuale disimpegno dell'Eni dall'isola determinerebbe conseguenze disastrose sulla situazione occupazionale e sui parametri economici e finanziari della stessa regione, che ancora stenta a riprendersi dal recente disimpegno anche della FIAT –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere al fine di salvaguardare gli stabilimenti ed insediamenti produttivi dell'isola, e al fine di tutelare i lavoratori coinvolti, se del caso attraverso l'immediata convocazione di appositi tavoli di lavoro.
(4-05510)


   RICCARDO GALLO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   al fine di contrastare i fenomeni di esclusione sociale negli spazi urbani e favorire l'integrazione sociale e culturale delle popolazioni abitanti in circoscrizioni o quartieri delle città caratterizzati da degrado urbano e sociale, la legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007), all'articolo 1, comma 340, ha istituito le zone franche urbane;
   l'individuazione delle zone franche urbane prevede agevolazioni fiscali e previdenziali volte a rafforzare la crescita imprenditoriale e occupazionale nelle micro e piccole imprese localizzate all'interno dell'obiettivo convergenza dell'Unione europea (Campania, Calabria, Sicilia e Puglia), nonché nel territorio dei comuni della provincia di Carbonia-Iglesias;
   le agevolazioni concesse alle imprese in sintesi, consistono in:
    a) esenzione dalle imposte sui redditi;
    b) esenzione dall'IRAP;
    c) esenzione dall'imposta municipale propria;
    d) esonero dal versamento dei contributi sulle retribuzioni da lavoro dipendente;
   i suesposti benefici, in zone caratterizzate da una forte depressione socio- economica, possono rappresentare un importante volano per la ripresa dell'economia locale;
   la disciplina normativa sull'istituzione delle zone franche urbane risulta essere così articolata: ai sensi del comma 342 dell'articolo 2 della legge finanziaria 2007 sopra richiamata, spetta al Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE), su proposta del Ministro interrogato, di concerto con il Ministro della solidarietà sociale (ora Ministro del lavoro e delle politiche sociali), prov-vedere alla definizione dei criteri per l'allocazione delle risorse e per la individuazione e la selezione delle zone franche urbane, sulla base di parametri, socio-economici, rappresentativi dei fenomeni di degrado;
   la medesima legge finanziaria per il 2007, nel subordinare l'efficacia delle disposizioni istitutive delle zone franche urbane all'autorizzazione della Commissione europea, ai sensi dell'articolo 88, paragrafo 3, del Trattato istitutivo della Comunità europea, ha istituto un Fondo nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, con una dotazione di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009, per il finanziamento di programmi di intervento da realizzarsi in tali zone;
   la legge finanziaria 2008 (legge 244 del 2007, articolo 2, commi 561, 562 e 563) ha confermato tale stanziamo e ha definito in maggior dettaglio le agevolazioni fiscali e previdenziali che, attualmente trovano la loro definizione particolareggiata all'interno del decreto interministeriale 10 aprile 2013, in attuazione di quanto previsto dall'articolo 37 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179;
   l'interrogante evidenzia che, con la delibera n. 5 del 30 gennaio 2008, il CIPE ha fissato i criteri e gli indicatori per la delimitazione delle zone franche urbane;
   il 10 ottobre 2008 il Ministero dello sviluppo economico – dipartimento politiche di sviluppo ha reso noto che sono state selezionate, sulle 64 proposte pervenute, 22 «zone franche urbane» in aree di disagio sociale e occupazionale che hanno diritto a incentivi e agevolazioni fiscali e previdenziali, per nuove attività economiche;
   infine, con delibera CIPE n. 14 dell'8 maggio 2009, su proposta del Ministero dello sviluppo economico è stata definita l'allocazione finanziaria per le zone franche urbane ammesse al finanziamento;
   l'articolo 3, comma 5 della legge 23 luglio 2009, n. 99, recante «Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia», inoltre autorizza il CIPE a destinare risorse, fino al limite di 50 milioni di euro annui, al Fondo destinato a finanziare le agevolazioni previste per le zone franche urbane a valere sulle risorse disponibili del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS). La medesima disposizione, ai fini dell'utilizzo delle risorse stanziate, assegna al CIPE il compito di provvedere, con le modalità di cui al comma 342 dell'articolo 1 della legge finanziaria per il 2007, ad aggiornare i criteri e gli indicatori per l'individuazione e la delimitazione delle zone franche urbane al fine di incrementare progressivamente la loro distribuzione territoriale;
   l'interrogante segnala altresì che con la circolare del 30 settembre 2013, n. 32024, sono state concesse dal Ministero dello sviluppo economico, dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica, direzione generale per l'incentivazione delle attività imprenditoriali «Agevolazioni in favore delle piccole e micro imprese localizzate nelle zone franche urbane delle regioni dell'obiettivo convergenza e nei comuni della provincia di Carbonia-Iglesias – Circolare esplicativa delle modalità di funzionamento degli interventi di cui al decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, 10 aprile 2013»;
   con decreto direttoriale 23 gennaio 2014, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 24 del 30 gennaio 2014, è stato inoltre adottato il bando per l'attuazione dell'intervento in favore delle micro e piccole imprese localizzate nelle zone franche urbane (ZFU) delle regione siciliana di cui al decreto interministeriale del 10 aprile 2013. Con decreto direttoriale 4 marzo 2014 il bando è stato rettificato relativamente alla zona franca urbana di Sciacca;
   la legge di stabilità 2014 (articolo 1, comma 319, della legge 27 dicembre 2013, n. 147) ha disposto, infine, l'estensione delle agevolazioni anche alle micro e piccole imprese localizzate nella zona franca urbana del comune di Lampedusa e Linosa, istituita dall'articolo 23, comma 45, del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011;
   l'interrogante evidenzia, in considerazione del suesposto, articolato e specifico quadro regolatorio, connesso ai benefici previsti per aree urbane caratterizzate da significativi fenomeni di disagio sociale, come anche ulteriori realtà territoriali ad alta vocazione turistica e imprenditoriali della Sicilia, quali le aree del comune di Agrigento, nonostante l'evidente situazione di emergenza economica, sociale ed occupazionale in cui versa l'intera zona, anche a causa degli effetti negativi derivanti dall'eccezionale ondata di flussi immigratori, non siano state inserite all'interno delle zone franche urbane proposte dal Ministero;
   interventi affini e similari a giudizio dell'interrogante a quelli in precedenza riportati risultano pertanto urgenti e necessari, a favore del territorio agrigentino, in considerazione delle rilevanti criticità economiche e finanziarie in cui si trova la medesima area, i cui effetti negativi e penalizzanti, oltre che alla persistente crisi finanziaria che insiste nel Paese ed in particolare nel Mezzogiorno, sono collegati all'inarrestabile ondata di sbarchi di clandestini sulle coste agrigentine che ha assunto connotati di vera e propri emergenza –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   quali iniziative, alla luce delle considerazioni suesposte dall'interrogante sulla evidente e improrogabile necessità del rilancio economico anche dell'area agrigentina, intenda intraprendere, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di una verifica degli interventi necessari ad inserire anche aree del comune di Agrigento nell'ambito delle zone franche urbane individuate all'interno della regione siciliana, anche e soprattutto con riferimento agli effetti economici negativi derivanti dall'eccezionale flusso di immigrati provenienti dai Paesi africani del Mediterraneo.
(4-05511)

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza Gregori e altri n. 2-00623, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fiano.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Nuti e De Lorenzis n. 4-05338, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Liuzzi.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Palmieri n. 1-00542, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 263 del 14 luglio 2014.

   La Camera,
   premesso che:
    da alcuni anni in Italia le adozioni internazionali sono in crisi. Nel 2012 l'Italia ha visto un grossissimo calo delle adozioni internazionali (-22,8 per cento) rispetto al 2011. A questo dato nel 2013 si è aggiunto un ulteriore calo del 9,1 per cento. Pur essendo il nostro Paese ancora oggi uno dei più accoglienti al mondo, anche in Italia si può parlare di crisi delle adozioni internazionali;
    nel corso del 2013 le famiglie italiane hanno realizzato l'Adozione internazionale di 2.825 bambini, provenienti da 56 diversi Paesi. Nonostante il continuo cambiamento del contesto internazionale e la crisi economica, il dato conferma come l'Italia rappresenti uno dei Paesi di destinazione più attivi nello scenario internazionale, in grado di offrire un'accoglienza che tenga conto delle sempre diverse e particolari esigenze dei bambini stranieri in stato di adottabilità;
    le madri e i padri adottivi italiani dimostrano una grande sensibilità alle adozioni. Infatti, più che negli altri Paesi di accoglienza sono disponibili ad adottare bambini grandi, che hanno problemi di salute, anche gravi e non reversibili (cioè i cosiddetti «special needs» secondo i criteri della Convenzione de L'Aja), ma, essendo spesso i Paesi di origine Paesi con forti problematiche sociali, economiche e politiche, di volta in volta si possono avere delle «crisi Paese» (si veda quella relativa all'Ucraina), che si riflettono anche sulle adozioni, che pertanto possono subire forti rallentamenti o sospensioni, che incidono, quindi, qualche volta in maniera determinante sul numero complessivo di adozioni portate a termine;
    a ciò si aggiunge il dato che in numerosi Paesi di origine dei bambini adottati l'elevarsi della sensibilità politica ed istituzionale ha portato a sviluppare ed implementare politiche nazionali di maggiore tutela dei diritti dei minori, che hanno determinato modifiche normative, che, da una parte, hanno rallentato le procedure di adozione e dall'altra hanno significato l'elevarsi dello standard qualitativo delle tutele per i minori e, quindi, una maggiore aderenza alle normative internazionali poste a presidio di tali diritti;
    l'adozione internazionale è in funzione dell'interesse del bambino. Il pur apprezzabile desiderio di maternità e di paternità degli adulti e la disponibilità a offrire accoglienza familiare ad un minore possono essere soddisfatti solo se il bambino non può trovare nel suo Paese una dimensione umana, di cui fa parte anche il diritto a vivere nel proprio Paese;
    per questo è importante assicurare la tutela del superiore interesse del minore e garantire ai minori adottati un'accoglienza familiare idonea come la Convenzione de L'Aja, ratificata dall'Italia con la legge 31 dicembre 1998, n. 476, chiede espressamente agli Stati aderenti di fare;
    il sistema di accoglienza adottiva italiano complessivamente – sia con riguardo alla disponibilità e alle capacità delle coppie adottive, sia con riguardo al sistema istituzionale posto a governo dell'intera procedura – risponde nella maniera più idonea a livello mondiale ai reali e più profondi bisogni dell'infanzia abbandonata;
    l'Italia può vantare una preziosa presenza in tutti i continenti per la tutela dei diritti dei minori e costituisce un'esperienza di riferimento anche per gli altri Paesi;
    con l'approvazione e l'entrata in vigore nel 1998 della legge di ratifica della Convenzione de L'Aja, il sistema delle adozioni internazionali in Italia è stato completamente ridefinito, conferendo alla Commissione per le adozioni internazionali (Cai) competenze internazionali che attengono ai rapporti con il Segretariato de L'Aja, alle relazioni con le autorità centrali dei «Paesi Aja» e con le autorità di riferimento dei «Paesi non Aja» allo sviluppo delle relazioni internazionali, alla conclusione di accordi bilaterali, nonché all'attività di cooperazione tesa a realizzare il principio di sussidiarietà e di residualità dell'adozione. L'adozione internazionale, difatti, deve svolgersi nel rispetto dei diritti umani e fondamentali, nella consapevolezza che un minore deve essere aiutato prima di tutto a restare nella propria famiglia e nel proprio Paese;
    la Commissione per le adozioni internazionali ha, inoltre, competenze nazionali costituite da un'attività autorizzatoria, di vigilanza e di controllo in relazione agli enti che si occupano di adozione, che impone anche di applicare nei loro confronti sanzioni come la sospensione o la revoca delle autorizzazioni. La Commissione ha, poi, una funzione di autorizzazione in relazione alle richieste di ingresso dei minori adottati, poiché deve controllare che le adozioni rispondano ai principi della Convenzione e, in particolare, al superiore interesse del minore e alla sua effettiva adottabilità e deve svolgere, inoltre, un'attività di promozione della cooperazione tra i soggetti operanti nel campo delle adozioni internazionali, e in tale ambito mantiene rapporti di approfondimento della normativa e di collaborazione con l'autorità giudiziaria minorile (tribunali per i minorenni, sezioni specializzate delle corti d'appello e della Corte di cassazione) e di monitoraggio della giurisprudenza della Convenzione europea per i diritti dell'uomo (CEDU);
    in questa stessa ottica, la Commissione per le adozioni internazionali deve intrattenere rapporti con le regioni e le province autonome, che, nell'ambito delle proprie competenze, sono tenute a sviluppare una rete di servizi in grado di attuare i compiti previsti dalla legge, alcuni dei quali funzionali all'attività della Commissione. In tale ambito la Commissione per le adozioni internazionali raccoglie, in forma anonima, per esigenze statistiche o di studio, di informazione e di ricerca, i dati dei minori adottati o affidati a scopo di adozione di cui autorizza l'ingresso ed ogni altro dato utile per la conoscenza del fenomeno delle adozioni internazionali, interagisce con gli enti attraverso un portale dedicato e si occupa, inoltre, delle attività di promozione e formazione diretta ai genitori adottivi (potenziali e non), ai servizi, agli enti e a tutti coloro che sono chiamati a confrontarsi con le famiglie e con i servizi in materia di adozione, comprese le istituzioni giudiziarie;
    gli ultimi due Governi che si sono succeduti alla guida del Paese non hanno mostrato una particolare attenzione al tema delle adozioni internazionali e, di conseguenza, alle necessità della Commissione per le adozioni internazionali, degli enti e delle famiglie adottanti;
    alle politiche in materia di adozioni internazionali e alla Commissione per le adozioni internazionali il Presidente del Consiglio dei ministri Renzi, ha detto di voler attribuire particolare importanza: infatti, egli ha mantenuto sotto la sua diretta responsabilità politica la materia delle adozioni nazionali e internazionali e la Commissione per le adozioni internazionali,

impegna il Governo:

   a promuovere una revisione della normativa nazionale per garantire il diritto dei minori ad avere una madre e un padre in tempi brevi, assicurando una celere conclusione dell’iter burocratico preordinato all'adozione;
   a valutare, nell'ottica dello snellimento e della semplificazione della procedura, l'opportunità di assumere iniziative per prevedere, con una modifica alla normativa vigente, che l'adozione pronunciata all'estero abbia immediata efficacia nel nostro Paese;
   a definire in tempi brevissimi l'ammontare delle risorse a disposizione della Commissione per le adozioni internazionali per il 2014, posto che è senza dubbio necessario che la Commissione per le adozioni internazionali sia dotata di un congruo e apposito fondo, per avere le risorse economiche che le consentano di sostenere ed implementare tutte le sue funzioni, a livello nazionale e internazionale;
   ad assumere le iniziative di competenza per garantire l'espletamento in tempi certi, senza proroghe, delle relazioni dei servizi sociali e degli adempimenti dei tribunali per i minorenni sui requisiti di idoneità della coppia disponibile all'adozione;
   a erogare nel minor tempo possibile i rimborsi relativi alle adozioni concluse nel 2011 e ad adottare il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per l'erogazione dei rimborsi relativi all'anno 2012;
   ad assumere iniziative per aumentare la percentuale degli oneri deducibili dal reddito delle spese sostenute dai genitori adottivi durante il percorso dell'adozione;
   ad adottare iniziative per aumentare le agevolazioni relative ai congedi parentali, anche spostando il limite temporale in cui godere dei permessi non retribuiti fino a 8 anni dopo l'ingresso in Italia dei minori adottati e a seconda del grado di bisogno del singolo minore;
   ad incentivare la formazione e l'accompagnamento dei genitori adottivi anche nella fase post-adozione da parte dei servizi socio-assistenziali e degli enti autorizzati;
   a incentivare l'attenzione della Commissione per le adozioni internazionali alla consultazione, all'ascolto delle proposte degli enti e all'accompagnamento delle loro attività in campo nazionale e internazionale;
   a rafforzare, tramite la Commissione per le adozioni internazionali, i rapporti con il bureau de L'Aja e le autorità centrali dei Paesi che hanno aderito alla Convenzione e a negoziare o rinegoziare accordi in materia di adozioni internazionali con i Paesi che non hanno ratificato la Convenzione de L'Aja, come raccomandato dal Comitato Onu sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza;
   a creare gruppi tecnici specializzati ed integrati tra tutti i soggetti coinvolti nelle procedure, che possano costantemente monitorare lo svolgimento delle adozioni nella diverse fasi e suggerire cambiamenti utili.
(1-00542)
(Nuova formulazione) «Palmieri, Palese, Gelmini, Prestigiacomo, Centemero, Squeri, Fucci, Lainati, Vella, Brambilla».

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Realacci e Gadda n. 4-03564 del 12 febbraio 2014 in interrogazione a risposta orale n. 3-00940;
   interrogazione a risposta in Commissione Carrescia e altri n. 5-02915 del 30 maggio 2014 in interrogazione a risposta orale n. 3-00938;
   interrogazione a risposta scritta Realacci n. 4-05336 del 1o luglio 2014 in interrogazione a risposta orale n. 3-00939.