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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 9 luglio 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    nel corso della seduta dell'8 novembre 2013, il Comitato Interministeriale per la programmazione economica – CIPE – ha approvato, con prescrizioni, il progetto preliminare del corridoio di viabilità autostradale dorsale Civitavecchia-Orte-Mestre, relativo alla tratta E45-E55 Orte-Mestre;
    tale opera è ricompresa nell'elenco delle infrastrutture strategiche di cui alla delibera CIPE del 21 dicembre 2001 n. 121, in conformità a quanto previsto dalla «legge obiettivo» (legge n. 443 del 2001), e automaticamente inserita nel piano generale dei trasporti e della logistica (PGTL), approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 14 marzo del 2001;
    come noto, il soggetto promotore del progetto autostradale risulta essere, insieme ad ANAS s.p.a., una cordata di imprese e di banche, capeggiata dalla società GEFIP Holding, di proprietà dell'europarlamentare Vito Bonsignore, e formata da Banca Carige S.p.A., Efibanca S.p.A., Egis Projects S.A., ILI Autostrada S.p.A., MEC S.r.L., Scetaroute S.A., Technip Italy S.p.A. e Transroute International S.A.;
    l'autostrada Orte-Mestre, costituisce una delle opere più grandi e impattanti previste nella legge obiettivo: copre una tratta di circa 396 chilometri, attraverso cinque regioni (Lazio, Umbria, Toscana, Emilia Romagna e Veneto), 11 province e 48 comuni e necessita di 139 chilometri di ponti e viadotti, 64 chilometri di gallerie, 20 cavalcavia, 226 sottovia, 83 svincoli, 2 barriere di esazione e 15 aree di servizio;
    il progetto prevede la realizzazione ex novo di una autostrada a quattro corsie nel tratto Ravenna-Mestre e l'adeguamento con varianti della superstrada E-45;
    l'investimento complessivo previsto per la realizzazione dell'opera, è stimato in quasi 10 miliardi di euro, circa 2 miliardi e 600 milioni in più di quelli inizialmente preventivati dal CIPE;
    tale infrastruttura, che presenta un prospetto finanziario a lunghissimo termine, sarà affidata in concessione per 50 anni e verrà realizzata integralmente in regime di project financing; la società che si aggiudicherà l'appalto e la concessione dell'opera potrà inoltre beneficiare della prima applicazione della normativa per la defiscalizzazione delle opere di project financing, ai sensi della legge n. 183 del 2011, con un credito di imposta, quantificabile in circa 2 miliardi di euro, riconosciuto su Ires, Irap e Iva e valido per 15-20 anni;
    i rimanenti 8 miliardi di euro necessari per realizzare l'opera dovrebbero essere anticipati dalla stessa società privata utilizzando il sistema di project financing e di project bond, fatto salvo il sostegno pubblico, qualora le condizioni pattuite in sede di convenzione sulla base del piano economico e finanziario dovessero venire meno (ad esempio, livelli di traffico insufficienti);
    la realizzazione dell'infrastruttura in regime di project financing comporterà inevitabilmente l'introduzione di un pedaggio dell'arteria, considerata la natura dell'investimento da parte dei privati e considerate le modalità scelte per il ritorno del suddetto investimento;
    il tracciato della nuova autostrada interferisce con importanti zone di interesse storico, paesaggistico ed ambientale come, per esempio, il parco delle foreste casentinesi, la valle del Tevere, il delta del Po, le valli del Mezzano, la laguna di Venezia, la zona archeologica nei dintorni di Lova, la Riviera del Brenta;
    solo nel tratto emiliano-veneto il consumo suolo sarebbe stimato in 3.300.000 metri quadrati di terreno, per la quasi totalità agricolo ed il tracciato autostradale andrebbe ad interessare 11.000 ettari di siti di interesse comunitario (SIC), 5800 zone a protezione speciale (ZPS), e 8300 ettari di parchi regionali;
    come confermato dalla Commissione europea, il corridoio autostradale Civitavecchia-Orte-Mestre non è ricompreso tra i corridoi infrastrutturali e intermodali considerati strategici per lo sviluppo delle vie di comunicazione in Europa ed è considerato solo come intervento secondario complementare allo sviluppo delle reti TEN-T;
    la strada statale 309 Romea, la cui gestione è in capo alla società ANAS s.p.a., è stata classificata, come riportato dai rilevamenti statistici dell'ACI e dell'ISTAT, come una delle strade più pericolose d'Italia, secondo i parametri relativi al numero di incidenti stradali per chilometro e al numero di decessi per incidente;
    Governo, regione Veneto e ANAS s.p.a. demandano la risoluzione del problema legato alla insicurezza dell'arteria strada statale 309, alla realizzazione della nuova autostrada Orte-Mestre, parallela all'attuale Romea commerciale, ma il progetto preliminare approvato dal CIPE non contiene alcun provvedimento significativo diretto alla riqualificazione e messa in sicurezza della strada statale 309 Romea;
    gli attuali flussi di traffico e le previsioni di quelli futuri che interessano la strada statale 309 Romea non sembrano giustificare la costruzione di una nuova tratta autostradale di questa portata: stando a quanto riportato dai comitati cittadini presenti sul territorio, i dati del traffico commerciale che interessa la Romea sarebbero infatti crollati dal 2008 del circa 30 per cento;
    la strada statale 309 Romea registrerebbe attualmente livelli di traffico bassissimi (circa 15-18 mila veicoli al giorno), inferiori a quelli della SR11 Brentana e quindi considerati tali da non poter giustificare la costruzione di un nuovo tracciato autostradale di circa 400 chilometri le cui previsioni dei flussi di traffico sarebbero, alla luce di questi dati, inattendibili e sovrastimati,

impegna il Governo:

   a fronte delle gravi ripercussioni che la realizzazione della nuova autostrada comporterebbe in termini di consumo di suolo, aumento dell'inquinamento atmosferico ed acustico, aumento del rischio idrogeologico, danni al settore agricolo e turistico, ad assumere iniziative per il ritiro del progetto preliminare del corridoio di viabilità autostradale dorsale Civitavecchia-Orte-Mestre – Tratta E45-E55 (Orte-Mestre);
   ad assumere iniziative per avviare, in tempi rapidi, un programma di interventi urgente per la messa in sicurezza del tracciato dell'attuale strada statale 309 Romea, finalizzato alla riqualificazione e al potenziamento delle infrastrutture esistenti, al fine di migliorare la viabilità e la sicurezza sull'arteria;
   ad aprire un tavolo di confronto, con tutte le amministrazioni locali interessate dal tracciato, le associazioni di categoria, le forze sindacali, le associazioni e i comitati ambientalisti, al fine di raccogliere debitamente le loro istanze ed individuare alternative più sostenibili dal punto di vista ambientale, economiche ed efficaci rispetto, alla realizzazione della nuova autostrada, sia sul breve che sul medio periodo.
(1-00531) «Spessotto, Vignaroli, Colonnese, Nesci, Cozzolino, Lorefice, Silvia Giordano, Dall'Osso, Dadone, Castelli, Dieni, Grande, Di Battista, Manlio Di Stefano, Sibilia, Di Benedetto, Brescia, Nicola Bianchi, Paolo Nicolò Romano, Liuzzi, Dell'Orco, Brugnerotto, Mannino, Terzoni, Segoni, Daga, Busto, De Rosa, Zolezzi, D'Uva, Artini, Frusone, Corda, Basilio, Alberti, Pesco, Cancelleri, Villarosa, D'Incà, Businarolo, D'Ambrosio, Colletti, Baldassarre, Chimienti, Cominardi, Bechis, Tripiedi, Ciprini, Rizzetto, Da Villa, Gallinella, Lupo, Benedetti, Mucci, Gagnarli».


   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi anni si è registrata una ricca produzione normativa sul made in, sia sul fronte della tutela dei prodotti italiani sia su quello del rafforzamento dell'azione di contrasto ai fenomeni di contraffazione;
    un traguardo importante è stato ottenuto con la promulgazione della legge 8 aprile 2010, n. 55, che assicura la tracciabilità dei prodotti del comparto tessile, pelletteria e calzaturiero, attraverso l'introduzione di un sistema di etichettatura obbligatoria che evidenzi il luogo di origine di ciascuna delle fasi di lavorazione dei prodotti stessi. La legge non è stata tuttavia pienamente attuata;
    l'impossibilità per l'Italia di dotarsi di un sistema di etichettatura obbligatoria dei prodotti deriva dalla forte opposizione sul fronte europeo dei Paesi nordici, dalla Gran Bretagna, dall'Olanda e dalla Germania, che non hanno interesse a vedere tutelate le produzioni di qualità in quanto non ne sono produttori ma semplici importatori;
    il Parlamento europeo da tempo discute sull'opportunità di dotarsi di un sistema di etichettatura di origine dei prodotti. In data 15 aprile 2014, lo stesso ha approvato in prima lettura le norme per rendere obbligatorie le etichette made in sui prodotti non alimentari venduti sul mercato europeo;
    una proposta di regolamento sull'indicazione del Paese di origine di taluni prodotti importati da Paesi terzi nell'Unione europea è stata già approvata dal Parlamento europeo nel 2010, ma non ha mai avuto definitiva approvazione a causa dell'impossibilità di raggiungere il necessario consenso con gli Stati membri;
    l'Italia è uno dei Paesi maggiormente danneggiati dalla contraffazione, dal momento che presenta una struttura produttiva prevalentemente composta da piccole e medie imprese che faticano a contrastare la concorrenza proveniente dal mercato del falso, con un'inevitabile perdita di competitività;
    stando ai dati, il mercato del falso nel nostro Paese ha realizzato nel corso del 2008 un «fatturato» di 7 miliardi e 109 milioni di euro. Le perdite per il bilancio dello Stato in termini di mancate entrate fiscali sono state calcolate in 5 miliardi e 281 milioni di euro, mentre sono stati 130 mila i posti di lavoro sottratti all'economia regolare. Secondo il Censis, se si riportasse il fatturato complessivo della contraffazione sul mercato legale, si genererebbe una produzione aggiuntiva, diretta e indotta, per un valore di quasi 18 miliardi di euro, con un valore aggiunto di circa 6 miliardi di euro, che fornirebbe nuovi stimoli al mercato, attivando anche nuova occupazione regolare;
    la World Customs Organization, nel rapporto «Customs and Ipr Report 2009», ha evidenziato come, su un totale di oltre 290 milioni di prodotti contraffatti sequestrati dalla dogane mondiali nel 2009, il 34 per cento dei sequestri sia avvenuto nell'area asiatica e del pacifico, il 30 per cento in Europa, il 18 per cento in Medio Oriente, il 14 per cento in America e lo 0,7 per cento in Africa;
    nel triennio 2006-2008, l'Italia è stato il terzo Paese europeo per numero di prodotti contraffatti, con oltre 44 mila prodotti sequestrati, pari all'11,5 per cento del totale europeo. Nel 2008, il 54,6 per cento dei prodotti contraffatti è arrivato dalla Cina, mentre in Europa ogni minuto vengono sequestrati 186 prodotti contraffatti provenienti dalla Cina;
    un dato positivo si registra in termini di sequestri di prodotti contraffatti. Le confische di beni contraffatti avvenute all'interno dell'Unione europea nell'anno 2000 ammontavano a quasi 68 milioni di beni, ma già nel 2001 erano passate a 95 milioni. Nel periodo 2004-2006, i beni sequestrati sono arrivati a 128 milioni;
    è necessario che il Governo porti quanto prima a compimento le iniziative che il Parlamento italiano ha adottato in materia di tutela del made in Italy per permettere, specie in questo momento di crisi, alle imprese che producono in Italia di difendersi dalla concorrenza di chi, senza scrupoli, immette sul mercato prodotti di qualità estremamente bassa e quindi spesso dannosi per la salute umana, facendoli passare come made in Italy anche se prodotti interamente all'estero;
    il made in Italy e, in particolare, quello agroalimentare, è universalmente riconosciuto come straordinaria leva competitiva «ad alto valore aggiunto» per lo sviluppo del Paese;
    la crescita costante dell’export testimonia l'indiscutibile ruolo dell'agroalimentare del nostro Paese e del valore attribuito al marchio made in Italy;
    la contraffazione del made in Italy, cosiddetto italian sounding, è quell'insieme di caratteristiche collegate a un prodotto che presenta un mix di nomi italiani, loghi, immagini e slogan chiaramente riconducibili al nostro Paese al solo scopo di indurre in errore il consumatore, convincendolo che sta acquistando un prodotto italiano. Si tratta di etichette di falsa origine italiana, sia con riferimento alla materia prima che alla trasformazione. L'italianità è, infatti, un richiamo molto forte, poiché significa non solo qualità, bontà, semplicità, ma anche gusto e cultura;
    l'imitazione di prodotti agroalimentari, che evocano un'origine ed una fattura italiana, ma che non hanno alcun collegamento con il territorio italiano, fanno perdere risorse e provocano un danno all'immagine del Paese. Le imprese, che a causa della concorrenza sleale perdono spazi di mercato, e i consumatori, che per la ridotta capacità di spesa sono costretti a limitare la spesa alimentare optando per alimenti economici con prezzi troppo bassi per essere prodotti autentici, con il rischio di acquistare alimenti poco sicuri, non di qualità e di origine incerta, sono le vittime di questa pratica sleale;
    le finalità dell'etichettatura sono quelle di non indurre in errore l'acquirente sulle caratteristiche del prodotto alimentare e precisamente sulla natura, sull'identità, sulla qualità, sulla composizione, sulla quantità, sulla conservazione, sull'origine o la provenienza, sul modo di fabbricazione o di ottenimento del prodotto stesso ovvero non attribuire al prodotto alimentare effetti o proprietà che non possiede;
    il sistema di etichettatura e tracciabilità dei prodotti agroalimentari, per ciò che concerne in particolare la tutela del made in Italy e l'anti-contraffazione, prevede ai sensi dell'articolo 4, comma 49, della legge n. 350 del 2003 il divieto dell'uso ingannevole «di segni, figure, o quant'altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana»; quando ciò non corrisponda a verità ne consegue l'applicazione dell'articolo 517 del codice penale;
    la legge 3 febbraio 2011, n. 4, reca disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari, in particolare, l'articolo 4 ha reso obbligatoria anche l'indicazione del luogo di origine o di provenienza sulle etichette degli alimenti. Tuttavia, in sede di prima applicazione della legge, per alcuni prodotti la decisione di esecuzione della Commissione europea ha impedito a tutt'oggi all'Italia di emanare i decreti interministeriali attuativi con motivazioni correlate anche ai termini di entrata in vigore in materia del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio n. 1169 del 2011;
    il regolamento (CE) n. 1169/2011 introduce alcuni cambiamenti in merito alla fornitura di informazioni sugli alimenti con lo scopo di garantire un elevato livello di protezione dei consumatori in materia di informazioni sugli alimenti;
    nonostante lo svolgimento delle attività di controllo e l'applicazione delle disposizioni di cui al regolamento (CE) n. 1169/2011, nonché le disposizioni interne, ivi comprese le fattispecie di reato previste dagli articoli del codice penale, le frodi e le contraffazioni nel settore agricolo e agroalimentare continuano a svilupparsi in maniera sempre più crescente;
    l'impegno di tutti i Paesi europei deve essere quello di contrastare il falso, che rappresenta un danno grave soprattutto per l'economia italiana, basti pensare che tutto l’export agroalimentare italiano vale 30 miliardi di euro, mentre il consumo di prodotti italiani falsificati nel mondo vale il doppio, per cui basterebbe una riduzione del 10 per cento di questi falsi per dare un contributo notevolissimo all'industria agroalimentare italiana;
    occorre contrastare efficacemente l'usurpazione del made in Italy, assicurando la qualità, la salubrità, le caratteristiche e soprattutto l'origine dei prodotti alimentari. Solo la tutela rigida dell'autenticità dell'indicazione di provenienza permette di consentire una scelta consapevole del consumatore;
    la lotta alla contraffazione è una battaglia che va condotta anche a livello europeo. Le condizioni di conoscibilità delle filiere e di tracciabilità degli alimenti sono informazioni fondamentali per il consumatore e sono volte a tutelare le imprese agricole italiane, basandosi sulla considerazione che i valori alimentari, territoriali, ambientali e culturali del made in Italy rappresentano un bene collettivo da valorizzare e proteggere in modo specifico,

impegna il Governo:

   a farsi promotore, durante il semestre di presidenza dell'Unione europea, di iniziative che prevedano la possibilità per gli Stati membri di dotarsi di un sistema di etichettatura obbligatoria dei prodotti, adottando specifiche iniziative per permettere una maggiore tracciabilità dei prodotti stessi attraverso l'indicazione del Paese di origine e dei luoghi in cui avvengono le successive fasi di lavorazione;
   ad intraprendere tutte le azioni necessarie a contrastare l'ingresso e la commercializzazione sul territorio nazionale di prodotti contraffatti, anche attraverso l'intensificazione ed il rafforzamento dei controlli da parte degli organi competenti;
   a farsi promotore, durante il semestre di presidenza dell'Unione europea, di una campagna di lotta alla contraffazione, per contrastare efficacemente il mercato del falso nel settore agroalimentare, basata sulla specificità dell'etichettatura in modo che essa possa far risalire all'origine del prodotto, per la salvaguardia del made in Italy;
   ad adottare iniziative, anche normative, per rendere più incisive le misure sanzionatorie previste dal codice penale in modo che facciano da deterrente alle sopradette pratiche illecite;
   ad assumere iniziative a livello europeo al fine di potenziare gli scambi di informazioni tra partner europei e soprattutto di coordinamento europeo ed internazionale, al fine di rendere più efficaci i controlli a protezione dei prodotti agroalimentari italiani.
(1-00532) «Allasia, Fedriga, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    il 10 luglio 1976 dallo stabilimento Icmesa di Meda (MB) fuoriuscì una nube altamente tossica contenente varie sostanze tra cui la molecola di tetraclorodibenzo-p-diossina (TCDD);
    studi immediatamente susseguenti al disastro ambientale provarono che la nube contaminò 1810 ettari di territorio nei comuni di Seveso (MB), Barlassina (MB), Cesano Maderno (MB), Meda (MB), Bovisio Masciago (MB) e Desio (MB);
    a seconda del grado di contaminazione riscontrato negli studi, l'area colpita dall'incidente venne suddivisa nelle zone A, B ed R, a contaminazione del suolo decrescente; negli anni successivi si susseguirono interventi di bonifica limitatamente alla zona A e studi epidemiologici sulla popolazione residente, nonché studi di valutazione dei rischi per la stessa popolazione;
    nonostante l'area B fu sottoposta ad un voluto trattamento di tipo agricolo al fine di diluire la diossina e favorirne la fotodegradazione, i livelli di diossina si mantenevano superiori ai limiti previsti per i siti con destinazione d'uso verde pubblico e residenziale ed anche industriale, e per tale motivo nuovi interventi su quelle aree richiedono, a tutt'oggi, l'effettuazione di indagini ed interventi previsti dal decreto legislativo n. 152 del 2006, richiesti anche specificatamente dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE);
    la Pedemontana Lombarda, detta anche sistema viabilistico pedemontano, è un insieme di tratte autostradali in fase di cantierizzazione che si sviluppa attraverso le province di Varese, Como, Monza-Brianza, Milano e Bergamo, per un totale di 86,7 chilometri di autostrada e 70 chilometri di nuova viabilità provinciale e comunale, comprendente anche le nuove tangenziali di Como e Varese;
    è in fase di ultimazione la tratta A e i primi lotti di tangenziali di Como e Varese del sistema viabilistico pedemontano e sono appena iniziati i lavori della tratta B1 tra Lomazzo (CO) e Lentate sul Seveso (MB);
    i comuni di Bovisio Masciago e Desio disposti sulla progettata ma non ancora costruita tratta C, così come comuni di Barlassina, Meda, Seveso e Cesano Maderno disposti sulla progettata ma non ancora costruita tratta B2, sono tutti inclusi all'interno di aree classificate come contaminate a seguito del disastro dell'ICMESA;
    nella tratta B2, l'autostrada Pedemontana si spingerà all'interno del parco naturale del «Bosco delle Querce» di Seveso e Meda, anch'esso a tutt'oggi contaminato dalla diossina di Seveso, ambito di memoria creato sulle due enormi vasche di contenimento nelle quali venne riposto tutto ciò che di contaminato era presente nella zona A, compreso il terreno rimosso e i macchinari utilizzati per la demolizione e gli scavi;
    nel periodo di primavera e autunno 2008, Pedemontana spa, con la supervisione di regione Lombardia, ARPA e in accordo con i comuni, ha effettuato campionamenti ed analisi a supporto del progetto definitivo. La prima ha evidenziato alcuni superamenti del limite industriale in 10 casi su 127 campioni, con una distribuzione prevalentemente superficiale degli inquinanti;
    nell'ottobre 2008, intorno ai punti di superamento si è condotto l'approfondimento che ha confermato i precedenti risultati, portando ad affermare la necessità di una maggior attenzione nella movimentazione dei terreni in fase di cantierizzazione;
    nell'anno 2011 è stato pubblicato lo studio «Dioxin Exposure and Cancer Risk in the Seveso Women's Health Study» che, prima volta per un'indagine epidemiologica, evidenzia che l'esposizione a diossina nel passato è significativamente relazionata all'incidenza di ogni tipo di cancro;
    tali evidenze sono conseguenza del fatto che il tetraclorodibenzo-p-diossina (TCDD), più nota come «diossina Seveso», la più pericolosa tra le circa 200 diossine stabili conosciute, sia un inquinante organico persistente, ovvero una sostanza chimica altamente tossica molto resistente alla decomposizione, tuttora presente a pochi centimetri di distanza dal terreno calpestabile nel sottosuolo delle zone sopra indicate;
    con l'opportunità di defiscalizzare l'opera che ad oggi risulta non essere interamente finanziata, è stato impostato un piano economico finanziario che permette di ridurre la ricapitalizzazione da 1,2 miliardi a 850 milioni di euro, garantendo la copertura per le sole tratte A e B1 sprovviste però delle per contratto previste compensazioni ambientali, senza alcuna certezza per le tratte B2, C e D;
    la società concessionaria ha deciso di gestire la direzione dei lavori al suo interno, in conseguenza delle difficoltà finanziarie riscontrate e del recente annullamento del bando per l'affidamento dell'incarico di direzione lavori per il secondo lotto della Pedemontana dove il concessionario ritiene di procedere per singole tratte in relazione alle disponibilità economiche;
    le ripetute aste per la cessione delle quote di provincia e comune di Milano della società Serravate spa che detiene il 78,97 per cento di Pedemontana Lombarda, tutte andate deserte, mettano a rischio la realizzazione di Pedemontana stessa;
    vi è un minore interesse da parte degli istituti di credito a finanziare l'opera, in virtù della difficoltà a rientrare dai capitali investiti entro tempi certi;
    nell'ultima seduta del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) del 30 giugno 2014, non è stato destinato alcun finanziamento all'opera Pedemontana Lombarda come più parti politiche avevano invece previsto, in primis il presidente della regione Lombardia, Roberto Maroni;
    in data 3 aprile 2013, l'assessore alle infrastrutture e ai trasporti della regione Lombardia, Maurizio Del Tenno, ha dichiarato che «per Pedemontana sussistono sia problemi di carattere territoriali dovuti all'avanzamento dei cantieri come rumori, polveri e altro, sia criticità attinenti la certezza della complessiva realizzazione dell'opera»;
    i sindaci dei comuni disposti sulla tratta B1 e B2, hanno mostrato una più che evidente preoccupazione nel caso si dovesse completare la tratta B1 per l'inevitabile ed insostenibile congestionamento dell'esistente superstrada Milano-Meda causato dall'eccessivo traffico di veicoli provenienti dalle province di Como e Varese; gli stessi sindaci hanno denunciato, tra le numerose incongruenze, la mancanza delle compensazioni ambientali all'opera promesse dalla società Pedemontana;
    i cittadini dei comuni di Bovisio Masciago, Cesano Maderno, Seveso e Desio hanno rilevato, a loro dire, diversi profili di illegittimità del progetto definitivo della tratta B2 e hanno inoltrato al TAR due ricorsi contro la delibera di approvazione del CIPE (delibera del 6 novembre 2009, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 18 febbraio 2010), contestando che il progetto definitivo è stato modificato in sede di approvazione per la tratta B2, prevedendo la realizzazione del tracciato stradale fuori terra a differenza di quanto previsto dal progetto preliminare del marzo 2006 che prevedeva, invece, una soluzione in interrato, come altresì indicato da regione Lombardia con DGR VII/17643;
    tali modifiche non sono state assunte con il recepimento di prescrizioni o raccomandazioni impartite dal CIPE nel progetto preliminare, bensì derivano da scelte del collegio di vigilanza dell'accordo di programma, sottoscritto il 19 febbraio 2007;
    nel ricorso presentato si è evidenziata, inoltre, la violazione della normativa nazionale e comunitaria in materia di tutela ambientale e, in particolare, in relazione alla procedura di valutazione ambientale strategica (VAS) dei piani/programmi e a quella di valutazione d'impatto ambientale (VIA);
    il ricorso ha altresì evidenziato la più che discutibile approvazione della legge regionale 15 del 2008 denominata «Infrastrutture di interesse concorrente statale e regionale» che consente, «in deroga» alla legge regionale 60 del 1985, l'attraversamento dell'opera Pedemontana nel parco naturale del Bosco delle Querce;
    gli stessi cittadini, inoltre, da sempre ritengono non sia opportuno eseguire lavori così invasivi per il territorio ed intervenire su suoli così inquinati;
    la Provincia di Monza e Brianza, interessata dal passaggio prossimo della mastodontica opera Pedemontana, risulta essere infatti quella con il più alto tasso di superficie urbanizzata d'Italia e il suo indice medio di consumo di suolo, calcolato come rapporto tra superficie urbanizzata e superficie totale, supera il 54 per cento;
    dall'inizio del concepimento dell'opera Pedemontana risalente agli anni ’50, il territorio interessato dal tracciato si è progressivamente deindustrializzato, l'inquinamento atmosferico è aumentato e il suolo si è rapidamente urbanizzato con la logica conseguenza che gli scenari di mobilità che è oggi possibile prevedere non coincidono con i valori considerati per giustificare la realizzazione di quest'opera infrastrutturale, anche in ragione di un mutamento dei trasporti merci internazionali e interregionali,

impegna il Governo

ad assumere le iniziative di competenza al fine di limitare la realizzazione dell'opera infrastrutturale Pedemontana Lombarda – «Collegamento autostradale tra Dalmine, Como, Varese, Valico del Gaggiolo ed opere connesse», alla tratta A, tra lo svincolo di Cassano Magnago sulla A8 e lo svincolo di Lomazzo sulla A9 e le tangenziali di Varese e Como, esclusivamente in relazione ai lotti in via di realizzazione così come individuati nel contratto sottoscritto il 26 agosto 2008 tra società Autostrada Pedemontana Lombarda e la società di progetto denominata Pedelombarda Scpa, e di interrompere immediatamente i lavori appena iniziati della tratta B1, spostando le risorse economiche destinate alle tratte B1, B2, C e D verso investimenti di messa in sicurezza, risanamento e potenziamento del trasporto pubblico su ferro della regione Lombardia, previa attenta analisi delle reali necessità.
(1-00533) «Tripiedi, De Rosa, Carinelli, Manlio Di Stefano, Pesco, Alberti, Zolezzi, Sorial, Caso, Toninelli, Cominardi, Ciprini, Rizzetto, Fico, Di Battista, Spessotto, Crippa, Castelli, Dell'Orco, Prodani, Busto, Cristian Iannuzzi, Gallinella, Vallascas, Paolo Bernini, Massimiliano Bernini, Liuzzi, D'Uva, Parentela, Cancelleri, Brugnerotto, Simone Valente, Marzana, Luigi Gallo, Battelli, Chimienti, Baldassarre, Turco, Villarosa».

Risoluzioni in Commissione:


   La VII Commissione,
   premesso che:
    all'inizio del XX secolo, durante gli ultimi anni dell'esistenza dell'impero Ottomano, il popolo armeno ha subito un vero e proprio genocidio (in lingua armena Medz Yeghern «Grande Crimine»). Ideato, pianificato e realizzato dal governo dei Giovani Turchi, ebbe il suo tragico inizio il 24 aprile 1915, con la fucilazione dell’intellighenzia armena di Istanbul e si concluse con lo sterminio di oltre 1.500.000 civili armeni, cristiani indifesi;
    la strage fu condotta nel modo più crudele: fucilazione della popolazione maschile, deportazione e lunghe marce della morte verso i deserti della Siria, annientamento finale dei sopravvissuti nei campi della morte nel deserto di Deir el-Zor, su disposizione del governo turco guidato dal Gran Visir Talat Pasha e condotto dall'OS (Organizzazione speciale per lo sterminio degli armeni);
    è posizione consolidata tra gli storici indipendenti che gli armeni furono eliminati a causa dell'odio religioso e razziale, in nome della pulizia etnica propugnata dai Giovani Turchi;
    come ormai è riconosciuto da 21 Paesi (Argentina, Armenia, Belgio, Canada, Cile, Cipro, Francia, Germania, Grecia, Italia, Libano, Lituania, Paesi Bassi, Polonia, Federazione Russa, Slovacchia, Svezia, Svizzera, Uruguay, Santa Sede, Venezuela), dal Parlamento europeo, dal Consiglio d'Europa e dalla Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, il termine corretto per definire la prima immensa strage del ’900, e che fu perpetrata contro gli armeni, è «genocidio»;
    è notorio che Raphael Lemkin, giurista polacco ebreo, ha fondato la descrizione del reato di genocidio nel diritto internazionale sulle dinamiche del genocidio armeno, coniando così il termine stesso che sta alla base della Convenzione ONU per la prevenzione e la punizione del crimine di genocidio del 1948;
    la Camera dei deputati il 16 novembre 2000 è stata approvata la risoluzione n. 6-00148. In particolare nella mozione si ricorda l'invito rivolto al governo di Ankara al riconoscimento del genocidio ai danni della minoranza armena, commesso anteriormente allo stabilimento della moderna Repubblica Turca nella risoluzione approvata dal Parlamento europeo sulla Relazione periodica 1999 della Commissione europea sui progressi della Turchia verso l'adesione;
    inoltre, più di 60 amministrazioni locali italiane, grandi e piccole (Roma, Milano, Genova, Firenze, Padova, Parma, Ravenna, Belluno, Udine e altri) hanno solidarizzato con i discendenti dei sopravvissuti del genocidio armeno attraverso riconoscimenti;
    il genocidio degli Armeni è pressoché sconosciuto alla grande massa dei cittadini italiani. Nei testi scolastici se ne trovano modeste tracce e non senza ambiguità, le manifestazioni pubbliche dedicate a questa tragica vicenda sono rarissime;
    il centenario del 2015 sarà un'occasione di memoria condivisa con un popolo, la cui storia e la cui cultura si sono da secoli fecondamente intrecciate alle nostre, dall'età romana fino alla guerra di liberazione e alla costruzione dell'Italia repubblicana;
    il patrimonio culturale armeno in Italia ha la sua roccaforte nell'isola di San Lazzaro a Venezia custodita dai padri mechitaristi armeni, ma preziosi reperti della cultura armena sono custoditi in quasi tutte le regioni italiane. Numerose comunità armene della diaspora sono presenti in modo vivace e perfettamente integrato nel nostro Paese;
    negli ultimi anni il romanzo storico «La masseria delle allodole» di Antonia Arslan, cittadina italiana di origine armena, scampata al genocidio, e l'omonimo film dei fratelli Taviani, hanno ottenuto riconoscimenti nazionali e internazionali per il valore artistico e l'accuratezza della ricostruzione storica;
    il centesimo anniversario del primo genocidio del XX secolo, le cui tecniche e la cui segretezza furono presi a modello per quella catena di crimini contro l'umanità che ha caratterizzato il «Secolo Breve», è una straordinaria occasione per consolidare nella coscienza nazionale e trasmettere alle giovani generazioni il ripudio dell'odio razziale e religioso e la fecondità del rapporto tra popoli e civiltà differenti;
    la coscienza della comune appartenenza alla famiglia umana ed in particolare a quella europea impone a chi ha responsabilità pubblica di contribuire a spazzare via le foglie secche dell'oblio, senza lasciarsi frenare da opportunismi e prudenze di comodo dinanzi al contenzioso ancora aperto tra popoli e governi discendenti delle vittime e dei carnefici;
    non si tratta di puntare il dito contro il popolo turco. Tanto più che esistono responsabilità delle potenze occidentali che lasciarono che il massacro si compisse per ragioni di strategia globale e permisero che l'opera di annientamento fosse compiuta, dopo un timido soccorso. E dimenticarono;
    non dimenticò invece Hitler, che trasse insegnamenti per i crimini contro l'umanità della II Guerra mondiale. Già il 22 agosto 1939 a Obersalzberg, prima dell'invasione della Polonia allorché diede l'ordine «di uccidere senza pietà tutti gli uomini, donne e bambini di razza o lingua polacca», tranquillizzò i suoi comandanti sulle future conseguenze dicendo: «Chi parla ancora oggi dello sterminio degli armeni?»;
    lo studio e la conoscenza dei fatti sono potente strumento contro il negazionismo, il quale, secondo l'Associazione internazionale degli studiosi del genocidio (IAGS), non è una semplice opinione sbagliata, infatti: «L'ultimo atto di un genocidio è la sua negazione». In altri termini è quell'atto che rende il crimine del genocidio, un crimine perfetto;
    oggi tocca il compito di sapere. Senza giustificazionismi e senza negazionismi. La memoria è scudo contro la barbarie presente e futura;
    il culmine delle celebrazioni in Armenia e in tutto il mondo sarà il 24 aprile 2015,

impegna il Governo:

   ad attivarsi, collaborando con le istituzioni scolastiche e nel rispetto della loro autonomia, per far sì che nelle scuole di ogni ordine e grado durante l'anno scolastico 2014-1015 si promuova, con idonee iniziative, la conoscenza e lo studio del genocidio del popolo armeno, attraverso testimonianze e lezioni da tenersi in orario scolastico e post-scolastico, predisponendo una serie di strumenti e di proposte, d'intesa con la comunità armena;
   ad inserire stabilmente la conoscenza del genocidio armeno nei programmi scolastici, favorendo la diffusione della cultura della pace e della concordia tra i popoli, nel rispetto delle differenti identità religiose e culturali.
(7-00407) «Palmieri, Centemero».


   La XII Commissione,
   premesso che:
    nel corso della Conferenza su sistemi sanitari e crisi economica, che si è svolta il 17 e 18 aprile 2013 ad Oslo, l'Organizzazione mondiale della sanità, data la situazione congiunturale e i dati relativi al carico di spesa sanitaria dei Paesi europei, ha individuato nella prevenzione e nel trattamento precoce una via efficace per il mantenimento della sostenibilità economica dei sistemi sanitari nei Paesi ad alto reddito;
    l'Unione europea ha avviato il terzo programma in materia di salute per il periodo 2014-2020, Health for Growth, che ha tra i suoi obiettivi la promozione della salute dei cittadini e la prevenzione delle malattie;
    il Ministero della salute afferma che in Italia la spesa destinata al primo livello di assistenza, che comprende, tra le altre, le attività di prevenzione rivolte alla persona, quali vaccinazioni e screening, si attesta al 4,2 per cento della spesa sanitaria, contro il livello fissato nel patto per la salute 2010-2012 del 5 per cento. Il dato risulta differente nelle rilevazioni OCSE, che posizionano il nostro Paese all'ultimo posto in Europa per la spesa destinata alla prevenzione, con appena lo 0,5 per cento;
    il piano nazionale di prevenzione vaccinale 2012-2014 riconosce come priorità di sanità pubblica la riduzione o l'eliminazione del carico delle malattie infettive prevenibili da vaccino e prevede di diffondere la cultura della prevenzione come scelta consapevole e responsabile dei cittadini e di realizzare azioni per potenziare l'informazione e la comunicazione al fine di promuovere l'aggiornamento dei professionisti sanitari;
    il Sottosegretario De Filippo, intervenendo in XII Commissione, ha affermato che è di primaria importanza raggiungere e mantenere elevate coperture vaccinali: la presenza di un'offerta capillare e gratuita, garantita dall'obbligo, è stata negli anni passati un potente fattore di lotta alle disuguaglianze, offrendo gli stessi diritti alla prevenzione ai bambini nati in ogni parte del nostro Paese;
    lo European centre for disease prevention and control ha certificato che l'Italia, così come altri Paesi europei, ha ridotto, dal 2009 al 2012, la copertura vaccinale contro l'influenza stagionale negli over 65, nonostante la prevenzione sia uno dei focus della strategia europea da qui al 2020 e nonostante uno studio europeo abbia dimostrato che il raggiungimento di un tasso di copertura del 75 per cento potrebbe salvare 35.000 vite umane ed evitare costi indiretti per 112 milioni di euro;
    il programma europeo Health for Growth ha tra i suoi obiettivi quello di «combattere le crescenti minacce sanitarie derivanti dagli spostamenti delle popolazioni a livello globale», contribuendo, tra l'altro, a introdurre «una copertura vaccinica ottimale per lottare efficacemente contro la ricomparsa di malattie infettive»;
    nel momento attuale in cui vi è una crescente presenza di migranti provenienti da Paesi ad alta incidenza di patologie infettive, è alto il rischio di ricomparsa di malattie comunemente considerate debellate, come dimostrano i recenti fatti di cronaca che hanno visto un presunto contagio di tubercolosi tra i militari impegnati nell'operazione Mare Nostrum e una ingente diffusione di Ebola in Guinea, Sierra Leone e Liberia;
    si segnala, al contempo, che i vaccini sono oggi oggetto di contestazione da parte di chi obietta che la profilassi abbia conseguenze negative sulla salute di bambini e adulti. In particolare, notizie di stampa e pronunce giurisdizionali stanno amplificando la considerazione che un loro impiego scorretto può causare danni gravissimi. A titolo esemplificativo, due recenti sentenze (2014) del Tar del Friuli Venezia Giulia e della corte d'appello di Lecce si sono pronunciate sulla somministrazione di vaccini in modo ravvicinato e massiccio nei confronti di due militari, deceduti rispettivamente nel 2002 e nel 2008: nel primo caso il tribunale ha invitato il Ministero della difesa a riesaminare la richiesta della famiglia di considerare il proprio figlio «vittima del dovere», mentre nel secondo caso è stato condannato il Ministero della salute a risarcire la famiglia del militare deceduto,

impegna il Governo:

   ad aggiornare il calendario vaccinale con l'inserimento dei nuovi vaccini disponibili e di comprovata efficacia e l'ampliamento delle popolazioni che possono usufruire della gratuità assicurando, ad esempio, l'abbassamento dell'età per la vaccinazione antinfluenzale a 60 anni, l'estensione della vaccinazione anti HPV ai maschi, la vaccinazione anti varicella, la vaccinazione anti Herpes Zoster nella popolazione anziana, la vaccinazione contro il meningo B, la vaccinazione antirotavirus;
   a potenziare, in attuazione del piano nazionale di prevenzione vaccinale 2012-2014, la formazione e l'informazione sull'importanza delle vaccinazioni nei confronti di genitori, bambini e operatori sanitari, diffondendo, al contempo, informazioni complete sulle possibili conseguenze derivanti da una scorretta somministrazione delle stesse;
   ad affrontare il tema dell'importanza delle vaccinazioni nell'agenda per il semestre europeo, anche alla luce del sempre più consistente fenomeno della migrazione.
(7-00406) «D'Incecco, Albini, Amato, Paola Bragantini, Capone, Carnevali, Casati, Miotto, Lenzi, Piccione».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    ai fini della tracciabilità della produzione di latte di bufala, è attiva sul portale del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, una specifica applicazione telematica, accessibile tramite credenziali personali, che consente la trasmissione dei dati all'amministrazione;
    il decreto ministeriale n. 473 del 14 gennaio 2013 riporta le disposizioni nazionali per la rilevazione della produzione di latte di bufala in attuazione dell'articolo 7 delle legge 3 febbraio 2011, n. 4, e prevede l'obbligo, da parte degli allevatori bufalini, di registrare giornalmente il quantitativo di latte prodotto da ciascun animale bufalino presente in stalla e in produzione e di trasmettere i dati al Sistema informativo agricolo nazionale (SIAN) secondo le modalità di cui all'articolo 5 del medesimo decreto;
    la circolare ministeriale PQA 7013 del 22 aprile 2013 attuativa del citato decreto n. 473 del 2013 dispone l'obbligo per l'allevatore di trasmettere con cadenza mensile, entro i primi 10 giorni lavorativi del mese stesso, la dichiarazione dei dati di produzione del primo giorno del mese per singolo capo bufalino unitamente all'indicazione del numero delle bufale in produzione e al quantitativo di latte di massa prodotto per il mese precedente;
    l'allevatore ha inoltre l'obbligo di trasmettere, entro il primo giorno lavorativo di ciascuna settimana del mese, la dichiarazione settimanale con i quantitativi di latte di massa prodotti nella settimana precedente;
    il piano attuale dei controlli presenta alcune criticità tra le quali: la scarsa rappresentatività, posto che la violazione dell'obbligo di trasmissione dei dati non prevede alcuna sanzione e pertanto ad oggi solo poche decine di allevatori risultano iscritti, il sistema di registrazione della produzione, in quanto la cadenza settimanale o mensile con la quale le quantità sono riportate rende difficile la verifica della tracciabilità e l'impossibilità di rilevare eventuali ingressi di latte da Paesi stranieri poiché il monitoraggio è limitato alla quantità e non riporta il dato preciso sulla provenienza e destinazione;
    con deliberazione n. 110, seduta del 27 maggio 2013 la regione Campania ha stabilito di estendere a tutti gli operatori della filiera lattiero-casearia bufalina, che operano sul territorio amministrativo della regione, la richiesta di aderire ad un sistema volontario di tracciabilità di filiera, al fine di garantire la leale concorrenza del mercato, la sicurezza dei consumatori, ma soprattutto la trasparenza, la reputazione e la credibilità del comparto campano, rafforzando e completando le misure introdotte dalla legge n. 4 del 3 febbraio 2011, attraverso una specifica piattaforma informatica, realizzata in collaborazione con l'assessorato alla sanità e con l'Istituto zooprofilattico sperimentale del Mezzogiorno di Portici-ORSA;
    il progetto, denominato «S.I.T.A. sistema informatico per la gestione della tracciabilità e rintracciabilità nella filiera agroalimentare», è stato approvato con la DGR 1543 dell'8 ottobre 2009;
    il sistema informatico si basa sull'utilizzo, da parte dei diversi segmenti della filiera di una piattaforma che consente agli allevatori l'inserimento dei dati relativi alle produzioni quantitative giornaliere di latte e alla sua destinazione, ai trasportatori l'inserimento dei dati relativi al latte movimentato e ai caseifici l'inserimento dei dati relativi al latte in entrata e ai derivati prodotti;
    per quanto attiene alla norma sulla separazione degli stabilimenti l'uso della piattaforma consente di dimostrare inequivocabilmente la provenienza del latte bufalino dall'areale della DOP mentre con riferimento agli obblighi sulla tracciabilità del latte bufalino la piattaforma permette l'elaborazione del dato del latte prodotto settimanalmente;
    il sistema prevede inoltre l'incrocio dei dati dell'anagrafe bufalina dell'Istituto zooprofilattico di Teramo con il quantitativo giornaliero del latte di massa nonché con i prodotti da esso derivati;
    consente di tracciare e monitorare lungo tutta la filiera i flussi di materia prima e di prodotto realizzato, per evitare che nel sistema entri latte non idoneo;
    aderiscono attualmente al sistema campano 834 allevatori che conferiscono i dati relativi alla quantità giornaliera e alla destinazione del latte;
    la gestione della piattaforma informatica è affidata all'Osservatorio regionale sulla sicurezza alimentare, costituito dagli assessorati regionali all'agricoltura e sanità e dall'Istituto zooprofilattico sperimentale per il Mezzogiorno, che opera anche con verifiche in campo finalizzate alla validazione dei dati introdotti nel sistema dai vari soggetti,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per estendere all'intero territorio nazionale l'uso del sistema di registrazione informatica già disponibile presso la regione Campania in collaborazione con l'Istituto zooprofilattico sperimentale del Mezzogiorno, anche tramite accordo interministeriale.
(7-00405) «Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, L'Abbate, Lupo, Parentela, D'Ambrosio, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Tofalo».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PELUFFO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il Gran Premio di Monza, che si disputa dal 1922, rappresenta un'importantissima tradizione sportiva e culturale della Lombardia e dell'Italia intera, movimentando inoltre un importante indotto economico con positive ricadute sul territorio in termini occupazionali ed economici;
   secondo quanto si apprende dalla stampa nazionale e locale (ad esempio articoli sulla Gazzetta dello Sport del 1o luglio 2014 e del 7 luglio 2014, e sul Corriere della Sera del 3 luglio 2014), il contratto tra la società «Formula One Management» (FOM) e l'autodromo di Monza, che regola la disputa del Gran Premio di automobilismo di Formula 1, risulta essere in scadenza nel 2016. Bernard Ecclestone, presidente della FOM, ha dichiarato l'intenzione di non rinnovare tale contratto dopo il 2016;
   l'Automobile Club di Milano, che gestisce l'autodromo attraverso la sua controllata Società incremento automobilismo e sport (SIAS), ha affermato, nella persona del presidente Carlo Edoardo Valli, di non aver mai ricevuto una proposta formale dalla FOM con le richieste per prolungare la presenza del GP sul circuito brianzolo dopo la scadenza del 2016;
   secondo quanto riportato dalle citate fonti di stampa, Ecclestone ha affermato che si tratta di una questione esclusivamente economica in quanto il canone annuo pagato da Monza deve essere allineato a quello degli altri circuiti europei di pari grado, passando dagli attuali dieci milioni di dollari di canone all'anno a venti, come quello riconosciuto degli altri Gran Premi europei. Tale cifra richiesta sarebbe oltre le attuali possibilità economiche di SIAS –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione sopra descritta;
   quali iniziative di competenza si intendano intraprendere per garantire la disputa del Gran Premio d'Italia presso l'Autodromo di Monza negli anni successivi al 2016, in considerazione del fatto che la sua uscita dal circuito della Formula 1 rappresenterebbe un impoverimento del tasso tecnico degli sport motoristici nel nostro Paese, oltre ad incidere pesantemente sull'indotto economico che annualmente viene movimentato dall'evento. (5-03194)

Interrogazione a risposta scritta:


   NESCI, DIENI, PARENTELA, COLONNESE, SPESSOTTO, DI BENEDETTO, DAGA, SEGONI, DE ROSA, BUSTO, ZOLEZZI, TERZONI, MANNINO, BRESCIA, DE LORENZIS, SIBILIA, SCAGLIUSI, NICOLA BIANCHI, CRISTIAN IANNUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, LIUZZI, DELL'ORCO, DADONE, COZZOLINO, MANLIO DI STEFANO, DI BATTISTA, SPADONI, D'AMBROSIO, COLLETTI, SORIAL, CASTELLI, FICO, D'INCÀ, D'UVA, MARZANA, SIMONE VALENTE, BRUGNEROTTO, CANCELLERI, ARTINI, VILLAROSA, ALBERTI, BARBANTI, BASILIO, PAOLO BERNINI, MASSIMILIANO BERNINI, CORDA, FRUSONE, BUSINAROLO, AGOSTINELLI, SARTI, BECHIS, COMINARDI, CHIMIENTI, BALDASSARRE, FANTINATI, CIPRINI, TRIPIEDI, RIZZETTO, DA VILLA, BATTELLI, LUIGI GALLO, GALLINELLA, BENEDETTI, GAGNARLI, L'ABBATE, FRACCARO, VIGNAROLI, DALL'OSSO, MANTERO, LOREFICE, GIANLUCA VACCA e GRANDE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro dell'interno, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 19 giugno 2008 la società SEI SpA ha presentato domanda di pronuncia di compatibilità ambientale e di autorizzazione integrata ambientale ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006, come modificato e integrato dal decreto legislativo 16 gennaio 2008 n. 4, relativamente al progetto di centrale termoelettrica alimentata a carbone, di potenza elettrica di 1320 megawatt e localizzata nel comune di Montebello Jonico (RC), all'interno dell'agglomerato industriale di Saline Joniche e relativo elettrodotto di interconnessione alla rete localizzato nei comuni di Montebello Jonico (RC), Motta San Giovanni (RC), Melito di Porto Salvo (RC), Badalaghi (RC), Roghudi (RC), Condofuri (RC), San Lorenzo (RC) Calanna (RC) e Reggio Calabria;
   in data 29 aprile 2013, sollecitando risposta scritta il 13 marzo 2014 e poi il 25 giugno 2014, gli interroganti hanno presentato l'interrogazione n. 4-00312, chiedendo ai Ministri interrogati, a proposito del suddetto progetto, se si ritengano superati, allo stato della procedura, i rilievi mossi dalla Corte dei conti già nel 2013 in merito al mancato patto tra Stato e regione e se vi siano interessi di ’ndrangheta nella vicenda, alla luce di dichiarazioni sul contesto rilasciate dal procuratore aggiunto Nicola Gratteri;
   ad adiuvandum, si rammenta che la Corte dei conti calabrese ha evidenziato che la procedura in parola mancava del presupposto, quanto necessario, accordo tra Stato e regione, ritenuto presupposto essenziale, perché si potesse procedere nei lavori di installazione di qualunque manufatto interessasse la costruenda centrale a carbone;
   gli interroganti osservano che l'interpretazione della Corte dei conti trova le sue radici nel dettato normativo di cui alla legge n. 55 del 2002, articolo 1 comma 1, secondo cui per ottenere l'autorizzazione è comunque necessario acquisire l'intesa con la regione, mentre l'esaurimento dell'istruttoria relativa alla Via non sostituisce tale elemento ma ne costituisce solo il presupposto, così chiarendo che l'assenso regionale è elemento postumo alla già svolta istruttoria;
   è recente la notizia secondo cui il proponente SEI ha richiesto ai vari comuni interessati la pubblicazione di avviso comprendente opere connesse e collegate alla centrale e di un vincolo preordinato all'esproprio di terreni finalizzato alla loro realizzazione;
   gli interroganti reputano tale avviso radicalmente nullo e assolutamente intempestivo, poiché nel medesimo si discute di opere ritenute di pubblica utilità senza che sia pervenuta l'autorizzazione che necessariamente deve precedere e che sola conferisce all'opera la sua pubblica utilità ai fini e per gli effetti di cui all'articoli 11 del decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001;
   gli interroganti sottolineano che tale autorizzazione deve essere concessa a seguito dell'accordo tra Stato e regione Calabria, ente che da sempre si è dichiarato contrario alla realizzazione del progetto;
   agli interroganti appare opportuno che la regione si esprima con l'evidenza degli atti, dunque emanando un decreto di non disponibilità all'esecuzione dell'opera, il che la stessa regione ha significato verbalmente e solo in sede di istruttoria Via;
   nell'avviso pubblicato presso i vari comuni si evidenzia un dato quantomeno inquietante e cioè che il controllo e la direzione delle opere viene affidato a Repower;
   per come è noto, la società Repower è controllata dal cantone svizzero dei Grigioni, proprietario, che ha inibito la realizzazione dell'opera deliberandone l'uscita e ogni attività nell'ambito del progetto in argomento a partire dal 2015, sicché da lì dovrà essere sostituita da altro operatore al momento non conosciuto;
   non c’è dubbio che Repower era da considerarsi partner consapevole, esperto e preparato;
   innanzi all'impatto dell'impianto nel tessuto territoriale, per certo imponente, se non devastante, la presenza di un operatore competente poteva costituire motivo di conforto e garanzia –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti e, all'occorrenza, che cosa possono riferire sulla società che sostituirà Repower;
   quali iniziative, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano adottare per la definizione della questione circa la mancata intesa fra Stato e regione o se ritengono superata la medesima;
   si siano manifestati interessi di ’ndrangheta sul progetto in argomento, complessivamente inteso. (4-05464)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 3 e il 4 luglio 2014 si è verificato quello che si teme sarà solo il primo degli incendi che ogni estate flagellano la Sardegna;
   nelle campagne che si trovano nel triangolo tra Guspini, Gonnosfanadiga e Arbus sono andati in fumo quasi 1.500 ettari di boschi di sugherete, macchia mediterranea, pascoli e uliveti;
   a Marrubiu, in provincia di Oristano, il fuoco è arrivato a lambire la frazione abitata di Sant'Anna, mettendo a rischio le popolazioni, e nei centri limitrofi di Arborea e Santa Giusta si contano i danni nelle imprese agricole, colpite da distruzioni delle coltivazioni, delle scorte, delle attrezzature e degli immobili;
   per oltre cinque ore è rimasta chiusa la strada statale 131 Carlo Felice Sassari-Cagliari, come anche sono stati interrotti i collegamenti ferroviari di Trenitalia fra Oristano e Marrubiu;
   nel Medio Campidano, tra Gonnosfanadiga, Arbus e Guspini, sono andate in fumo la folta macchia mediterranea di cisti e lentischio e centinaia di piante di lecci, e sono morti centinaia di animali selvatici, e le fiamme sono arrivate talmente vicine alla pineta comunale da rendere opportuna l'evacuazione di una comunità di recupero per disabili, i cui ospiti hanno dovuto essere trasferiti in altre strutture ricettive della zona;
   le operazioni di spegnimento delle squadre antincendio a terra sono state rese particolarmente difficoltose per via dell'inaccessibilità di automezzi alla zona e si sono dovute fermare per tutta la notte, mentre continuavano ad operare solo i mezzi aerei;
   in occasione dei citati roghi il responsabile della protezione civile dell'isola ha avuto modo di ribadire la assoluta necessità che sia garantito l'utilizzo di un terzo velivolo Canadair in funzione antincendio;
   troppo spesso gli incendi che si verificano nell'isola sono la conseguenza di deliberati attacchi di piromani che puntano al disboscamento di alcune zone a fini di speculazione edilizia –:
   quali urgenti iniziative intendano assumere per il contrasto degli incendi, sia sotto il profilo del potenziamento dei mezzi terrestri e aerei nell'isola e dell'incremento delle risorse umane, se del caso attraverso l'indizione di nuovi concorsi per i vigili del fuoco e l'inserimento in ruolo dei vigili del fuoco discontinui che da tempo operano in maniera precaria ingiustamente, sia sotto il profilo dell'intensificazione delle misure di controllo e di prevenzione, sia, infine, sotto il profilo dell'inasprimento delle sanzioni amministrative e penali nei confronti dei piromani. (4-05449)


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   come si evince da numerose agenzie di stampa Legambiente ha pubblicato a maggio 2014 i risultati dell'indagine «Beach litter» condotta dall'associazione su protocollo scientifico del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dell'ISPRA, concernente quantità e tipologia di rifiuti presenti sulle spiagge italiane;
   dall'indagine risulta che il 65 per cento dei rifiuti è costituito da plastica. Il rapporto sostiene inoltre che solo una ridotta frazione di rifiuti finisce sulla costa, mentre la maggior parte affonda in mare, e che quindi le quantità di rifiuti trovati sulle nostre spiagge è solo la punta dell'iceberg di un inquinamento diffuso dei nostri mari;
   è altresì nota da tempo la presenza di grandi accumuli di plastica in tutto il mondo dovuti agli scarichi in mare o da terraferma. Gli effetti sulla fauna marina sono rilevanti, così come le conseguenze derivanti dal minor assorbimento di gas effetto serra e dalla mancata produzione di ossigeno da parte del fitoplancton. Tale è la situazione nel cosiddetto Pacific Trash Vortex, una delle cinque aree del pianeta a maggior accumulo di rifiuti plastici, ma vortici simili, seppure molto più ridotti, le cosiddette «zuppe di plastica», sembrano esserci anche nel nord del Tirreno e in altre aree del Mediterraneo;
   inoltre, calamità naturali e altre emergenze ambientali contribuiscono costantemente al degrado delle condizioni di vita dell'ecosistema oceanico e marino. Si pensi, ad esempio, il maremoto del marzo 2011 in Giappone ha prodotto un'enorme massa di rifiuti, trascinati in pieno oceano al ritiro delle acque dalla terraferma ed il Mare Mediterraneo non è immune da questo problema;
   un articolo pubblicato sulla rivista scientifica «Marine Pollution Bulletin» riporta che alti livelli di microplastiche nel santuario dei cetacei del Mar Ligure. Lo studio, condotto dal gruppo di ricerca dell'università di Siena, in collaborazione anche con la marina militare, finanziato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ha fornito tre dati, i primi a livello internazionale su questo tema: il 56 per cento dei campioni di plancton superficiale nell'area del Santuario dei Cetacei contiene particelle di microplastica, con un valore elevato; nel plancton è molto alto il livello degli ftalati, composti additivi della plastica nocivi per la salute dei mammiferi e classificati come «distruttori endocrini», sostanze che interferiscono con la riproduzione; è stato provato che gli ftalati presenti nel plancton vengono metabolizzati e possono avere effetti tossici sui cetacei, con alte concentrazioni rilevate nell'adipe sottocutaneo di 4 balenottere comuni su 5 ritrovate spiaggiate lungo le coste italiane. In base alle analisi effettuate su 7 capodogli spiaggiati sulle coste pugliesi il 17 dicembre 2009, 4 di questi, avevano lo stomaco pieno di buste di plastica, ingerite perché scambiate per calamari, gli altri 3 li hanno seguiti spiaggiandosi anch'essi. Un analogo effetto si registra con le tartarughe marine che scambiano le buste di plastica in sospensione, per meduse (il loro cibo preferito) trovando spesso la morte per soffocamento. Il problema interessa anche l'avifauna marina; nell'apparato digerente di molti uccelli marini non è infrequente rinvenire oggetti di plastica;
   è poi opportuno ricordare che ftalati e PCB, accumulati nell'organismo di pesci e molluschi, possono essere assunti anche dall'uomo attraverso la catena alimentare;
   l'allarme per l'inquinamento da plastica in mare, a livello planetario, ha superato l'allarme per inquinamento da idrocarburi, come dimostrato dalla preoccupazione espressa o non solo dalle organizzazioni ambientaliste, ma anche da organismi internazionali quali l'UNEP e la FAO;
   della necessità di gestire e ridurre radicalmente la marine litter si occupa anche la Marine Strategy dell'Unione europea e più volte il commissario dell'Unione europea all'ambiente, Janez Potocnik, nella passata legislatura europea, ha ricordato l'importanza di azioni concrete contro le plastiche e le microplastiche nei mari europei, in particolare nel Mediterraneo, sottolineando che, visto anche il crescente utilizzo delle plastiche, occorre mettere in atto efficaci strategie di consumo, raccolta, riciclo e riutilizzo dei materiali plastici ed avviare azioni di prevenzione e di ripulitura delle coste affinché le plastiche non arrivino in mare, spesso attraverso fiumi ed altri corsi d'acqua, producendo poi microplastiche attraverso il loro degrado, oppure depositandosi sui fondali o nei canyon sottomarini;
   a disposizione dello Stato italiano vi è una flotta messa a disposizione da «Castalia», per finalità di lotta all'inquinamento marino; tale flotta è composta da 9 unità di altura e 26 unità costiere, per un totale di 35 navi. Risulta poi che il Corpo delle capitanerie di porto e la marina militare dispongono di unità equipaggiate per la lotta all'inquinamento marino –:
   quali iniziative urgenti il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intenda mettere in campo, magari promuovendo iniziative ad hoc per la salvaguardia dell'ambiente marino con tutti i Paesi rivieraschi nel Mediterraneo, a tutela dei nostri mari e per la raccolta e il trattamento delle plastiche disperse in mare;
   se la flotta Castalia, le unità anti-inquinamento delle Capitanerie di porto e delle marina militare, dispongano, o abbiano allo studio, dispositivi idonei per la bonifica di rifiuti a base di materie plastiche in mare, tenendo conto della diversa dimensione che tali rifiuti possano avere. (4-05455)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   ANTONIO MARTINO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Fondazione «Centro di Studi Alfieriani», con sede in Asti, sta attraversando una fase di difficoltà economica a causa del venir meno, o della considerevole riduzione, dei contributi precedentemente versati da enti quali la provincia di Asti, il comune di Asti, la regione Piemonte e lo stesso Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   a tale grave problematica si è recentemente sommato un altro fattore di crisi, che consiste, a quanto consta all'interrogante, nel più volte ipotizzato ridimensionamento della figura e della retribuzione della direttrice della stessa Fondazione, dottoressa Carla Forno, unica dipendente della stessa;
   un tale ridimensionamento non solo non avrebbe nulla della razionalizzazione che spesso si auspica (trattandosi di una realtà culturale articolata, dalle grandi potenzialità a livello nazionale e internazionale, già sacrificata con un unico dipendente-direttore tuttofare), ma rischierebbe di paralizzare l'attività della Fondazione «Centro di Studi Alfieriani», proprio alla vigilia della riapertura al pubblico del Palazzo Alfieri di Asti dopo circa un ventennio di chiusura;
   tali ipotesi comporterebbero che il Centro di studi alfieriani non possa più disporre, di fatto, di un direttore, di un conservatore dei beni del museo, dei volumi della biblioteca (in consultazione e antiquaria), delle carte dell'archivio alfieriano, che, con quelle della Laurenziana di Firenze e con la Biblioteca di Montpellier, è uno dei tre grandi centri di conservazione delle carte alfieriane;
   la dottoressa Carla Forno, direttrice da circa trent'anni del Centro Alfieriano, è una alfierista nota a livello internazionale, che ha all'attivo una ricca produzione di saggi ed ha tenuto conferenze e convegni su Vittorio Alfieri in tutta Italia e in diverse parti del mondo;
   la stessa, per la sua professionalità, è stata insignita dell'onorificenza di Ufficiale dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana personalmente dal Presidente Ciampi;
   illustri docenti universitari italiani e stranieri (fra i quali il professore Vincenzo Placella ordinario dell'Università «L'Orientale» di Napoli; la professoressa Francesca Fedi, Università di Pisa; il professore Giorgio Baroni già ordinario dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; il professore Sebastiano Martelli ordinario di lingua e letteratura italiana Università di Salerno; la professoressa Maria Teresa Giaveri, ordinario letteratura comparata università di Torino; il professore Roberto Mercuri, ordinario di letteratura italiana, Università «Sapienza» di Roma; il professore Bartolo Anglani, ordinario di letterature comparate presso l'università di Bari e ora docente di letteratura italiana presso la stessa Università; il professore Renzo Rabboni, ordinario di letteratura italiana, dipartimento di studi umanistici università degli studi di Udine; il professore Costantino Nicas, università di Napoli «L'Orientale»; il dottore Roberto Ubbidiente, Humboldt-Universität zu Berlin, Institut für Romanistik; il professore Yasuhiro Saito professore emerito dell'università di Kyoto; la professoressa Stefania Buccini, professor of Italian, University of Wisconsin-Madison; la professoressa Anthi Nicas Università Kapodistriaka di Atene) in data 3 marzo 2014 hanno rivolto un appello alle più alte cariche dello Stato a tutela della Fondazione «Centro di Studi Alfieriani» e della sua direttrice, che ne è l'anima e la memoria storica, auspicando fortemente, in particolare, che la dottoressa Forno possa continuare nel suo fondamentale ruolo –:
   se sia al corrente di tale grave situazione in cui versa la Fondazione «Centro di Studi Alfieriani» e – in caso affermativo – se non ritenga opportuno e urgente ogni intervento di competenza finalizzato:
    a) a garantire alla Fondazione «Centro di Studi Alfieriani» risorse economiche adeguate alla grandezza del personaggio che la stessa è chiamata ad illustrare; 
    b) a scongiurare qualsiasi iniziativa che penalizzi l'unica vera professionalità alfieriana presente all'interno della Fondazione, tanto da compromettere l'operatività della stessa. (4-05458)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TIDEI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, recante disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo, all'articolo 3, afferma la necessità di restituire al complesso borbonico, il Palazzo Reale di Caserta, la sua destinazione culturale, educativa e museale nonché di coordinare tutti i soggetti pubblici e privati che allo stato attuale ne utilizzano a vario titolo gli spazi;
   il suddetto decreto-legge dispone, inoltre, che entro il 31 dicembre 2014, il commissario straordinario, consegnatario unico dell'intero complesso, predispone d'intesa con la Soprintendenza speciale per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico e per il polo museale della città di Napoli e della Reggia di Caserta, con l'Agenzia del demanio e con il Ministero della difesa, il progetto di riassegnazione e di restituzione degli spazi del complesso della Reggia alla loro esclusiva destinazione culturale, educativa e museale, stabilendo un crono-programma relativo alla delocalizzazione graduale degli spazi del complesso e definendo la destinazione d'uso degli spazi medesimi;
   appare di tutta evidenza che la permanenza all'interno del complesso della Scuola specialisti dell'Aeronautica militare così come di altre strutture, mal si concilia con la vocazione più intima della Reggia, il cui incommensurabile valore storico, artistico e culturale ha elevato la stessa a meritare di essere proclamata patrimonio dell'Umanità da parte dell'Unesco;
   coerentemente con il principio, insito non soltanto nel summenzionato decreto-legge, ma anche nel Piano strategico per lo sviluppo del turismo in Italia, elaborato, nel gennaio 2013, dall'allora Ministro Gnudi, di valorizzare il patrimonio storico-culturale, così come i siti e i beni culturali e architettonici di maggior potenziale attrattivo, restituire la funzione museale alla Reggia di Caserta rappresenta una necessità improrogabile;
   la presenza all'interno della Reggia della «Scuola Specialisti Aeronautica Militare» costituisce insieme un valore storico e professionale rappresentando, da decenni, un'eccellenza nella formazione di allievi e ufficiali. Non solo. L'insistenza dell'Aeronautica nel complesso borbonico ha un notevole impatto positivo sul tessuto economico e sociale della città di Caserta. È evidente, pertanto, che il trasferimento in allocazioni alternative dell’«Arma Azzurra», ai fini della valorizzazione culturale e turistica della Reggia, non può non realizzarsi se non in presenza di una progettualità d'insieme che tenga opportunamente conto della duplice necessità di preservare e potenziare la vocazione museale della Reggia così come di riutilizzare coerentemente gli spazi dismessi –:
   se non ritenga opportuno, nell'ambito di un tavolo tecnico, valutare, ove si optasse per il trasferimento della scuola specialisti aeronautica militare da Caserta, la soluzione rappresentata dall'aeroporto militare di Vigna di Valle, che anche in ragione della sua passata destinazione come Centro di selezione dei sottufficiali e ufficiali dell'Arma, costituirebbe una valida alternativa. (5-03196)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZAN. — Al Ministro della difesa, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   giunge notizia all'interrogante che il 7 marzo 2012, presso il tribunale militare di Verona, si sarebbe verificato un episodio discriminatorio a danno di un dipendente civile del Ministero della difesa ivi in servizio che, destinato allo svolgimento dell'attività di verbalizzazione in udienza, sarebbe stato oggetto di richiamo in quanto portatore di capelli lunghi e abbigliamento informale, ritenuti non consoni all'ufficialità dell'ente;
   in particolare risulterebbe che il dipendente sia stato richiamato per modificare il taglio di capelli e l'abbigliamento;
   il lavoratore, non essendosi adeguato all'ordine, sarebbe stato poi oggetto di condotte tese al suo isolamento, in quanto privato per oltre un mese di un'autonoma postazione di lavoro, nonché attraverso iniziative disciplinari sino a innescare documentate patologie a carattere psicologico, pervenendo alle successive dimissioni per giusta causa;
   la vicenda sopra descritta appare come un possibile caso di discriminazione dei lavoratori in ragione del loro aspetto estetico, in assenza di qualsiasi normativa contraria che possa imporre a un dipendente civile che svolge attività presso un ufficio giudiziario militare di avere i capelli corti e un abbigliamento formale con giacca e cravatta;
   se i fatti venissero confermati, i reiterati comportamenti discriminatori posti in essere dai funzionari dell'ente si configurerebbero a giudizio dell'interrogante quali palesi violazioni dei diritti soggettivi del lavoratore, e in particolare dei principi costituzionali di libertà e di eguaglianza;
   i fatti denunciati minerebbero altresì la credibilità stessa dell'istituzione giudiziaria militare, stante l'attuazione di condotte che appaiono all'interrogante irragionevoli in danno a un dipendente civile con canoni estetici diversi dalla massa;
   i comportamenti de quibus potrebbero dar luogo, ad avviso dell'interrogante a responsabilità disciplinare e amministrativa per i magistrati militari e il funzionario che li avrebbero posti in essere, per evidente nocumento al prestigio dell'immagine dell'ente pubblico –:
   se i Ministri non intendano acquisire maggiori informazioni circa i fatti avvenuti nell'ufficio giudiziario militare di Verona nel corso del mese di marzo del 2012. (4-05466)


   SCOTTO e DURANTI. — Al Ministro della difesa, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   risulta all'interrogante che il 7 marzo 2012 si sarebbe verificato, presso il tribunale militare di Verona, un comportamento palesemente discriminatorio nei confronti di un dipendente civile del Ministero della difesa;
   tale dipendente avrebbe ricevuto un richiamo perché la sua scelta di portare i capelli lunghi e di dotarsi di un abbigliamento informale non era consono all'ufficialità dell'ente in questione;
   una nota del 9 maggio 2012 del presidente del tribunale militare di Verona afferma che non risultano esistere ordini di servizio e/o direttive scritte dell'ente in tal senso;
   il dipendente del Ministero in questione ha deciso di non sottostare all'ordine, ritenendolo illegittimo;
   successivamente egli è stato fatto oggetto di una serie di azioni disciplinari, tra cui la privazione di un'autonoma postazione di lavoro per oltre un mese;
   si è trattato, a quanto pare, di presunto mobbing, finalizzato al pieno e totale isolamento del dipendente;
   tutto ciò ha provocato il manifestarsi di patologie psicologiche nel soggetto, tali da costringerlo a rassegnare le dimissioni per giusta causa, con le conseguenti azioni risarcitorie nei confronti dell'ente tipiche di questi casi;
   si veda in merito la motivazione della nota di dimissioni per causa di servizio del 3 febbraio 2013, nonché l’excursus degli eventi quali ripercorsi in dettaglio nelle istanze del dipendente del 3, 13 e 23 febbraio 2013 alla medesima amministrazione ai fini dell'attivazione del procedimento per il riconoscimento di infermità per causa di servizio, dichiarato inammissibile con nota del 3 aprile 2013 per sopravvenuta abrogazione dell'istituto;
   sull'argomento è già stata presentata il 26 settembre 2013 interrogazione a risposta scritta alla Commissione da un eurodeputato italiano del gruppo ALDE, l'onorevole Andrea Zanoni;
   a tale interrogazione rispose il 21 novembre 2013 Viviane Reding a nome della Commissione, spiegando che la questione se sia legittimo da parte di un datore di lavoro pubblico discriminare o molestare un dipendente sulla base del suo abbigliamento e della lunghezza dei capelli, come pure del suo aspetto generale, deve essere trattata nell'ambito del diritto nazionale –:
   quali iniziative abbiano intenzione di adottare, per quanto di competenza, per far sì che non verifichino più casi di discriminazione di questo tipo presso i tribunali militari italiani. (4-05467)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 5 del decreto-legge n. 78 del 2010 sancisce che «Ferme le incompatibilità previste dalla normativa vigente, nei confronti dei titolari di cariche elettive, lo svolgimento di qualsiasi incarico conferito dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009 n. 196, inclusa la partecipazione ad organi collegiali di qualsiasi tipo, può dar luogo esclusivamente al rimborso delle spese sostenute; eventuali gettoni di presenza non possono superare l'importo di 30 euro a seduta.»;
   l'articolo 6, comma 2, del decreto-legge n. 78 del 2010 sancisce che «A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto la partecipazione agli organi collegiali, anche di amministrazione, degli enti, che comunque ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche, nonché la titolarità di organi dei predetti enti è onorifica; essa può dar luogo esclusivamente al rimborso delle spese sostenute ove previsto dalla normativa vigente; qualora siano già previsti i gettoni di presenza non possono superare l'importo di 30 euro a seduta giornaliera»;
   la Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la regione Lombardia, nel parere n. 1072 del 23 dicembre 2010 aveva già chiarito l'esclusione delle figure esclusivamente tecnico-professionali come tipicamente è quella del revisore dei conti (ma anche dei membri degli O.I.V., organismi indipendenti di valutazione o nuclei di valutazione degli enti pubblici) dal novero dei soggetti e degli incarichi individuati al comma 2 dell'articolo 6 del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito dalla legge n. 122 del 2010;
   a dissipare ogni possibile dubbio in proposito è intervenuto il comma 2-bis dell'articolo 35 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, che ha fornito l'interpretazione autentica del predetto articolo 6 comma 2, escludendo il carattere onorifico della partecipazione agli organi collegiali e della titolarità di organi degli enti che comunque ricevono contributi a carico della finanza pubblica per i collegi dei revisori dei conti e sindacali e per i revisori dei conti («La disposizione di cui all'articolo 6, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, si interpreta nel senso che il carattere onorifico della partecipazione agli organi collegiali e della titolarità di organi degli enti che comunque ricevono contributi a carico della finanza pubblica è previsto per gli organi diversi dai collegi dei revisori dei conti e sindacali e dai revisori dei conti»);
   la ragioneria generale dello Stato, con la circolare n. 33 del 2011, ha stabilito chiaramente che «va tenuto conto che il rapporto che si instaura tra l'ente ed i componenti dei collegi dei revisori dei conti e sindacali può essere assimilato ad un rapporto di natura contrattuale che mal si concilia con la gratuità dell'incarico, in quanto l'attività svolta dai predetti revisori e sindaci, di natura prettamente tecnica, è una prestazione d'opera a cui normalmente corrisponde una prestazione economica»;
   in aggiunta, il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, con il documento congedato in data 16 febbraio 2011, ha preso posizione e ha ritenuto che la generale nozione di «organi collegiali» non può ricomprendere né l'organo di revisione né il collegio sindacale. Ciò in forza di un'interpretazione sistematica, posto che ove il legislatore ha inteso includere nei vincoli e limitazioni di spesa l'organo di revisione, vi ha fatto espressamente riferimento, come ad esempio al comma 5 dell'articolo 6 del decreto-legge n. 78 del 2010; infine, anche le specifiche disposizioni in materia di organo di revisione (articolo 10 del decreto legislativo n. 39 del 2010) e del collegio sindacale (articolo 2233 c.c.) avrebbero dovuto senza dubbio essere richiamate laddove la norma avesse inteso superarle in favore di una «generale» gratuità;
   l'articolo 10 (Indipendenza e obiettività) del decreto legislativo n. 39 del 2010 commi 9 e 10, in materia di revisione legale stabilisce che il corrispettivo per l'incarico di revisione legale non può essere subordinato ad alcuna condizione, non può essere stabilito in funzione dei risultati della revisione, ne può dipendere in alcun modo dalla prestazione di servizi diversi dalla revisione alla società che conferisce l'incarico, alle sue controllate e controllanti, da parte del revisore legale o della società di revisione legale o della loro rete. Il corrispettivo per l'incarico di revisione legale è determinato in modo da garantire la qualità e l'affidabilità dei lavori. A tale fine i soggetti incaricati della revisione legale determinano le risorse professionali e le ore da impiegare nell'incarico avendo riguardo:
    a) alla dimensione, composizione e rischiosità delle più significative grandezze patrimoniali, economiche e finanziarie del bilancio della società che conferisce l'incarico, nonché ai profili di rischio connessi al processo di consolidamento dei dati relativi alle società del gruppo;
    b) alla preparazione tecnica e all'esperienza che il lavoro di revisione richiede;
    c) alla necessità di assicurare, oltre all'esecuzione materiale delle verifiche, un'adeguata attività di supervisione e di indirizzo, nel rispetto dei principi di cui all'articolo 11;
   dunque, in conclusione, l'introduzione dell'articolo 35, comma 2-bis, del decreto-legge n. 5 del 2012 non lascia più spazio a dubbi in quanto sancisce che il carattere onorifico o gratuito della partecipazione agli organi collegiali è previsto per gli organi diversi dai revisori dei conti e sindacali e dai revisori dei conti, pertanto anche per l'articolo 5, comma 5, del decreto-legge n. 78 del 2010 risulta applicabile quanto sancito dal legislatore in merito alla non gratuità dell'incarico, in quanto si tratta di rapporto di natura contrattuale e professionale –:
   se il Ministro non ritenga opportuno assumere iniziative per chiarire in modo definitivo ed inequivocabile che, anche nei confronti dei titolari di cariche elettive, il carattere onorifico o gratuito della partecipazione agli organi collegiali è previsto per gli organi diversi dai revisori dei conti e sindacali, incarichi di natura prettamente professionale che richiedono notevoli investimenti di tempo e di esperienza tecnica. (4-05451)


   PRODANI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dal 6 giugno 2014 è entrato in vigore l'obbligo della fatturazione elettronica in base alla quale Ministeri, agenzie fiscali ed enti nazionali di previdenza non possono più accettare fatture emesse o trasmesse in forma cartacea in modo da ridurre costi, tempi e uso della carta;
   questa disposizione è stata introdotta dalla legge finanziaria del 2008 (n. 244 del 2007, articolo 1, commi da 209 a 214), che ha previsto anche il ricorso a un sistema di interscambio (SdI) di natura informatica per il supporto al processo di ricezione e successivo inoltro delle fatture elettroniche alle amministrazioni destinatarie e per la gestione dei dati in forma aggregata e dei flussi informativi anche ai fini della loro integrazione nei sistemi di monitoraggio della finanza pubblica;
   con il decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 3 aprile 2013, n. 55, sono state stabilite le modalità di funzionamento del sistema di interscambio, la cui gestione spetta all'Agenzia delle entrate ai sensi del decreto ministeriale 7 marzo 2008;
   la fatturazione elettronica, oltre a garantire un risparmio per la pubblica amministrazione (PA) e i suoi fornitori, dovrebbe favorire un miglior controllo gestionale, la tracciabilità delle transazioni e la velocità dei tempi di pagamento da parte della stessa pubblica amministrazione;
   questo strumento sarà esteso dal 31 marzo 2015 agli altri enti nazionali e alle amministrazioni locali ma non riguarderà i fornitori non residenti in Italia per i quali è necessaria l'emanazione di uno specifico decreto;
   questa disparità di trattamento appare come una vera e propria discriminazione nei confronti dei fornitori nazionali e per quelli residenti nel nostro Paese, sui quali gravano adempimenti e oneri non riconosciuti ad altri fornitori stranieri –:
   quali iniziative urgenti il Ministro intenda adottare per estendere la fatturazione elettronica alle imprese straniere, non residenti in Italia, che intrattengono rapporti di fornitura con la pubblica amministrazione. (4-05453)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CERA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della giustizia, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 13, comma 2, della legge n. 181 del 2011, in forza della raccomandazione del Commissione europea 2003/261/CE del 6 maggio 2003, al fine di favorire l'accesso delle micro, piccole e medie imprese, prevede la corresponsione dei pagamenti da parte della stazione appaltante direttamente ai subappaltatori; 
   il potere di scelta conferito alla stazione appaltante è sancito dall'articolo 118, comma 3, del decreto legislativo 163 del 2006, e confermato dall'articolo 15 della legge n. 181 del 2011, secondo le limitazioni di cui all'articolo 37, comma 11, del codice degli appalti, così come modificato dal decreto legislativo 152 del 2008, con l'ulteriore rafforzamento a tutela delle piccole e medie imprese, quindi dei subappaltatori, con l'inserimento del nuovo comma 3-bis nell'articolo 118 ad opera del decreto cosiddetto «Destinazione Italia», convertito dalla legge n. 9 del 2014;
   detto novellato articolo 118, comma 3-bis, del decreto legislativo 163 del 2006, prevede che, in caso di richiesta di concordato preventivo ad opera dell'impresa affidataria, la stazione appaltante, possa provvedere ai pagamenti dovuti per le prestazioni eseguite dai subappaltatori, «... secondo le determinazioni del Tribunale competente per l'ammissione alla predetta procedura...», con effetto anche retroattivo rispetto alla stipula e all'esecuzione dei contratti;
   qualora sia pendente una procedura di concordato preventivo con continuità aziendale, si ritiene sia sempre consentito alla stazione appaltante provvedere ai pagamenti dovuti per le prestazioni eseguite da eventuali diversi soggetti che costituiscano l'affidatario, tra cui i subappaltatori, in quanto sarebbe una contraddizione in termini attrarre nella procedura concorsuale eventuali crediti trattenuti dalla stazione appaltante e vantati dai subappaltatori autorizzati; soprattutto quando i lavori sono stati eseguiti a regola d'arte e ritualmente certificati e quindi i crediti maturati completamente e legittimamente esigibili;
   la sentenza della Cassazione n. 3402 del 2012 riconosce alla stazione appaltante di estinguere il credito con i subappaltatori direttamente, senza alcun intervento dell'impresa affidataria, qualora sia per essa pendente una procedura di concordato preventivo con continuità aziendale, quando i subappalti, essendo autorizzati, vantano incondizionatamente crediti in prededuzione rispetto alla stessa procedura concorsuale;
   la relazione tecnica al cosiddetto decreto «Destinazione Italia», prevede che la stazione appaltante versi i corrispettivi dovuti per l'appalto distintamente all'appaltatore principale rispetto ai subappaltatori onde in tal senso sarebbe superfluo il passaggio del pagamento attraverso la procedura di concordato, altrimenti non si potrebbe parlare di «pagamento diretto ai subappaltatori», con svincolo automatico delle garanzie ex articolo 237-bis; volendo quindi evitare che la procedura di concordato congelasse la situazione dell'impresa affidataria impedendogli di far fronte ai pagamenti dovuti nei confronti dei subappaltatori –:
   se il governo intenda assumere iniziative per chiarire:
    a) se il periodo compreso nel comma 3-bis dell'articolo 118 del novellato decreto legislativo 163 del 2006 «... secondo le determinazioni del tribunale competente per l'ammissione alla predetta procedura...» si debba interpretare con la esclusione delle imprese subappaltatrici autorizzate, con conseguente pagamento automatico e diretto delle somme trattenute da parte della stazione appaltante;
    b) se, invece, il suddetto periodo compreso nel comma 3-bis dell'articolo 118 del novellato decreto legislativo 163 del 2006 ricomprenda anche le imprese subappaltatrici, ancorché autorizzate, con conseguente rilascio del nulla osta o altro provvedimento ad hoc alla stazione appaltante ovviamente a seguito di un sub procedimento autonomo e separato dalla procedura concorsuale, ovvero incidentale ad essa, con carattere sommario ed urgente, previa esibizione dei documenti attestanti l'esigibilità e legittimità del credito vantato. (5-03192)


   RUBINATO, MORETTO, DE MENECH, CASELLATO e ROTTA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dal 1o gennaio 2014 si sono registrati forti rincari dei pedaggi autostradali, con un incremento medio delle tariffe del 3,9 per cento;
   gli aumenti risultano ben superiori al tasso di inflazione, pari al 1,3 per cento in media nel 2013, uno dei valori più bassi degli ultimi anni, mentre il traffico autostradale è in netto calo negli ultimi sei anni;
   l'aumento dei pedaggi si aggiunge a rincari dell'ordine del 16,7 per cento già occorsi nell'ultimo quinquennio, contestualmente alla grave crisi economica e all'aggravio della pressione fiscale, con un andamento prociclico delle tasse, delle tariffe e dei prezzi amministrati;
   secondo le stime di Adusbef e Federconsumatori l'aumento dei pedaggi determina – e direttamente e indirettamente – un aggravio di 87 euro all'anno a famiglia; ancora più grave l'impatto dell'aumento dei pedaggi e quindi dei prezzi di trasporto sul sistema produttivo, dei servizi e sulla competitività dell'intero paese;
   l'incremento dei pedaggi, insieme all'aumento del gasolio e del costo di produzione dei servizi connessi al trasporto delle merci – come le assicurazioni –, ha infatti pesanti ricadute sul costo del trasporto delle merci; in Italia – ad oggi – il costo su strada delle merci, ben superiore alla soglia di 1,5 euro a chilometro, è il più alto d'Europa; le conseguenze di tali aumenti sono amplificate dalle modalità di trasporto delle merci – in Italia essenzialmente su gomma –, dalla distanza tra i mercati di sbocco e di approvvigionamento e tra i luoghi di produzione e i mercati, dall'elevata perifericità dei sistemi locali; è pesante l'aggravio di costi anche per i pendolari, già penalizzati dalla grave inefficienza di collegamenti modali – come le ferrovie – alternativi alla mobilità su gomma;
   il problema dell'aumento dei pedaggi dipende anche da un complesso di norme introdotte nel 2009 in sede di conversione del decreto legge n. 78 del 2009 che ha gravato i pedaggi di una serie di tasse «occulte» per finanziare l'Anas e per sovvenzionare le autostrade gratuite italiane (come Gra di Roma, Salerno-Reggio Calabria (A3), Palermo-Catania (A19) e Palermo-Mazara del Vallo (A29); il canone dovuto dai concessionari all'Anas è stato così aumentato incorporandovi un sovrapprezzo sui pedaggi. Tale sovrapprezzo è calcolato sulla percorrenza chilometrica di ogni veicolo, pari a 3 millesimi di euro a chilometro per i mezzi leggeri e a 9 millesimi di euro a chilometro per i veicoli pesanti. Ulteriori aumenti del canone annuo sono stati decisi nel 2010 e nel 2011, rispettivamente per 1 e 2 millesimi di euro sui mezzi leggeri e 3 e 6 millesimi per quelli pesanti per cui oggi il canone Anas vale complessivamente circa il 2,5 per cento del pedaggio, risorse queste destinate alla manutenzione ordinaria e straordinaria, all'adeguamento e al miglioramento delle strade e delle autostrade gestite direttamente da Anas;
   appare pertanto urgente e necessario definire un sistema di adeguamento delle tariffe autostradali vincolato agli investimenti effettivamente realizzati dai concessionari per ogni singola arteria e non dirottare una quota dei pedaggi delle autostrade a pagamento verso quelle senza pedaggio; è inoltre essenziale rendere trasparenti i meccanismi di adeguamento delle tariffe e i rapporti contrattuali stipulati in passato tra lo Stato e le concessionarie, che gestiscono in regime di monopolio infrastrutture essenziali per il nostro Paese quali sono le autostrade; è altresì urgente garantire più stringenti controlli di gestione, in particolare per evitare ingiustificati aumenti tariffari;
   i pendolari della tratta Venezia-Padova in transito dalla barriera di Mestre a Padova est (o viceversa) fino al 1o gennaio 2014 avevano una percorrenza gratuita fino a Mirano; per il percorso da Mestre a Padova Est dovevano corrispondere un pedaggio pari a 3,20 euro; Mirano è una località che si trova circa a metà della tratta: uscendo a Mirano e rientrando subito la tratta costava 80 centesimi, con un risparmio di quasi 5 euro al giorno per il percorso di andata e ritorno; si determinavano così quotidiani intasamenti e congestioni nel tratto autostradale del cosiddetto «tornello di Vetrego», ovvero quella rotonda a metà strada che i pendolari della tratta Venezia Padova percorrevano quotidianamente – anche più volte al giorno – per ridurre l'incidenza del pedaggio sul costo complessivo del percorso;
   a decorrere dal 1o gennaio 2014, con l'aumento dei pedaggi, le società concessionarie hanno scelto di uniformare il costo delle due tratte: il pedaggio di 3,20 euro – relativo alla prima tratta – è stato ridotto a 2,80 euro, mentre il pedaggio relativo alla seconda – che costava 80 centesimi grazie al «tornello di Vetrego» – ha registrato un aumento record passando da 80 centesimi a 2,80 euro, con un incremento superiore al 250 per cento;
   per contenere gli effetti del rincaro, la società CAV (Concessioni autostradali venete) ha proposto un abbonamento per il percorso Padova est – Mirano/Dolo e viceversa, riservato ai residenti nei Comuni di Mirano, Dolo, Mira, Spinea e Pianiga, che effettuino almeno 20 transiti in un mese (dal 1o al 31o giorno del mese) e abbiano sottoscritto un contratto Telepass Family; in sostanza, la concessionaria, «al raggiungimento del numero minimo di 20 transiti/mese» offre un abbonamento che consente una riduzione del pedaggio pari al 40 per cento; «il mancato raggiungimento del numero minimo di transiti/mese (20)» determina invece «la non applicazione dell'agevolazione»;
   tale agevolazione – poco conveniente anche perché condizionata da un numero minimo di transiti – è del tutto spiazzata da un percorso alternativo che, passando per Spinea, consente di imboccare il passante e raggiungere Dolo al costo di pedaggio di 1,60 euro;
   il pedaggio viene applicato in modo irrazionale anche in altre tratte autostradali della regione Veneto: per i pendolari tra il casello di Venezia est e quello di Vicenza est la distanza è di 47 chilometri effettivi; ai fini del calcolo del pedaggio sulla medesima tratta le società concessionarie considerano però anche gli svincoli per accedere ai caselli; un percorso di 47 chilometri risulta così superiore ai 50 chilometri richiesti – come limite massimo – per poter beneficiare di agevolazioni e di abbonamenti; considerando che l'unico modo per rientrare nel limite massimo agevolabile dei 50 chilometri è quello di uscire a Grisignano, si ripropone anche per tale tratta il problema della congestione da traffico e dei possibili intasamenti dei pendolari che cercano di rientrare nel limite dei 50 chilometri di percorrenza;
   anche il limite massimo di percorrenza di 50 chilometri per la concessione di agevolazioni appare agli interroganti essere troppo contenuto ed irrazionale e dovrebbe pertanto essere superato, portandolo almeno a 100 chilometri, sia pure stabilendo fasce di sconto progressive, nei casi di pendolarismo giornaliero per ragioni di lavoro o studio o per sottoporre/assistere un familiare a cure che richiedono lo spostamento in centri specialistici fuori della propria provincia;
   gli sconti e le agevolazioni si applicano al dispositivo «telepass» intestato a persona fisica; in tal modo risultano penalizzati i pendolari che utilizzano il cosiddetto «car pooling», un sistema di mobilità sostenibile che anche Autostrade per l'Italia nel 2009 ha incentivato sulle autostrade A8 e A9 con riduzioni del pedaggio autostradale;
   il «car-pooling», che prevede l'utilizzo di un'auto diversa ogni giorno a rotazione è, inoltre, di fatto escluso da qualsiasi riduzione di pedaggio perché questo si applica solo dopo 2 mesi di «regime pendolare»; ad un singolo telepass non si possono associare più di 2 targhe; ad una targa non può essere associato più di un telepass;
   gli utenti «telepass» segnalano che in molti casi – nelle singole tratte in gestione a due diverse concessionarie autostradali – non risulta applicabile nemmeno lo sconto del 10 per cento «Telepass family» per non meglio specificati «motivi tecnici»;
   le agevolazioni sui pedaggi risultano di fatto applicabili solo ai pendolari che utilizzano da soli la propria auto per tratte particolarmente brevi, escludendo forme di uso promiscuo dell'auto – come il car pooling – che dovrebbero essere invece incentivate come mobilità sostenibile;
   l'aumento dei pedaggi combinato con i continui rincari delle accise sui carburanti determina una netta riduzione dei consumi delle famiglie per viaggi e vacanze e un calo rilevante anche dell'erogato medio dei gestori delle pompe di benzina sulle autostrade, con una riduzione anche del gettito relativo ad accise e al prelievo sul fatturato dei distributori di carburante;
   i gestori della rete autostradale sembrano essere troppi in rapporto all'estensione della stessa (per fare un esempio in Veneto operano per poco più trecento chilometri di rete autostradale cinque concessionari: la Brescia-Padova, l'Auto strada del Brennero, la Cav regionale, Autovie venete, Autostrade per l'Italia); inoltre ciascun gestore tiene insieme una catena di partecipazioni incrociate che spesso ripropongono sovrapposizioni e piccole partecipazioni legate a società strumentali minori, con conseguente inefficienza delle gestioni stesse, scaricandosi sugli utenti le relative diseconomie;
   la massiccia presenza degli enti pubblici (regione, province e comuni) nelle società concessionarie finisce con l'escludere il ricorso a gare pubbliche per l'affidamento delle gestioni e ha, come conseguenza quella di chiudere il mercato ai soggetti privati e di generare sprechi, inefficienze se non addirittura clientele, a danno degli utenti –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere:
    a) per rendere trasparenti all'utenza i meccanismi di adeguamento delle tariffe autostradali e vincolarli agli investimenti effettivamente realizzati su ogni singola arteria;
    b) per far si che le società concessionarie, anche tramite adeguamento delle relative concessioni, applichino ai pendolari: sconti e agevolazioni, anche progressivi, almeno entro i 100 chilometri di percorrenza per le situazioni di pendolarismo giornaliero per lavoro, studio o per cure sanitarie specialistiche; abbonamenti e sconti di ammontare prefissato su qualsiasi tratta soggetta a pedaggiamento; analoghi sconti ed agevolazioni anche nelle giornate di sabato e domenica, per evitare di considerare in modo diverso i pendolari che lavorano nei giorni feriali da quelli che sono impegnati a lavorare anche nel fine settimana;
    c) per procedere al riordino e alla razionalizzazione delle concessioni autostradali, a partire dagli ambiti regionali, e per garantire la giusta distinzione tra amministrazioni pubbliche concedenti, che devono fare la programmazione e le gare, nonché esercitare il controllo, e società concessionarie, che si devono occupare della gestione diretta, al fine di conseguire la riduzione delle tariffe a carico degli utenti. (5-03199)

Interrogazione a risposta scritta:


   MOSCATT. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nella giornata del 7 luglio 2014 si è verificato il cedimento strutturale del viadotto nella strada statale 626 nei pressi di Ravanusa (Agrigento);
   tale cedimento strutturale nell'immediatezza ha provocato almeno sei feriti e sarà sicuramente causa di disagi inverosimili per la circolazione stradale;
   tale cedimento è l'ultimo di una serie di crolli stradali che testimoniano in maniera chiara e palese quanto fragile sia il sistema infrastrutturale siciliano ed, in particolare, quello della provincia di Agrigento;
   più volte si è chiesto al Governo di intervenire in maniera urgente per la messa in sicurezza del sistema viario di effettuare seri investimenti per riorganizzare e potenziare le infrastrutture del territorio;
    malgrado gli sforzi messi in atto dagli organi di competenza in Sicilia, senza le dovute risorse, risulta impossibile svolgere attività ordinaria e straordinaria di controllo e manutenzione dell'impianto stradale –:
    quali provvedimenti immediati si intendano porre in essere al fine di garantire l'immediato ripristino del viadotto ed evitare disagi alle popolazioni residenti;
   se non ritenga utile assumere iniziative per stanziare ulteriori fondi al fine di garantire all'ANAS Sicilia le risorse necessarie per svolgere, in maniera sistemica, attività di controllo e manutenzione ordinaria;
   se non ritenga necessario assumere iniziative per porre in essere un sistema di investimenti utile a riqualificare, riorganizzare e potenziare, per quanto di competenza, il sistema viario della Sicilia ed, in particolar modo, quello della provincia di Agrigento. (4-05450)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   dal 18 ottobre 2013 la città di Milano ha registrato il transito di oltre 10.000 cittadini provenienti dalla Siria, prevalentemente famiglie con bambini (questi ultimi costituenti il 30 per cento circa del totale). Ogni giorno, alla stazione centrale transitano mediamente oltre un centinaio di persone, con punte quotidiane di anche 555 migranti, come nella sola giornata del 3 luglio 2014; in generale, si registra un costante aumento, che ha portato negli ultimi giorni ad ospitare più di 1000 persone al giorno;
   si tratta di un flusso di solo passaggio; Milano è essenzialmente un luogo di transito per la Germania e il Nord Europa. Quasi nessuna delle persone ha deciso di rimanere nel capoluogo lombardo e di chiedere il riconoscimento della protezione internazionale a cui avrebbero diritto; solo lo 0,15 per cento richiede l'asilo; 
   si è creata nel nostro Paese una sorta di canale umanitario informale: all'approdo, dalla Libia, sulle coste siciliane e pugliesi, i migranti non vengono identificati, né richiedono lo status di rifugiato;
   parallelamente, Milano ha nelle ultime settimane registrato un analogo flusso di cittadini eritrei, prevalentemente ragazzi, che a pochi giorni dal loro arrivo ripartono per i Paesi del Nord;
   in questi otto mesi, Milano ha garantito ai migranti, grazie a una convenzione con la prefettura e al contributo degli enti del terzo settore e dell'associazionismo cittadino, accoglienza e ospitalità presso strutture dell'amministrazione e degli enti stessi; è comunque palese che queste soluzioni siano grandemente inadeguate a fronte della gravità eccezionalità del caso; 
   è necessario provvedere all'identificazione di luoghi per ovviare alle esigenze di accoglienza e smistamento. Purtroppo, Governo e regione, ai quali si devono aggiungere gli enti che gestiscono la stazione centrale, hanno in questi mesi dato scarsa prova di ascolto e disponibilità;
   in generale, è a partire da un'ottica nazionale che tale emergenza umanitaria dovrebbe essere considerata, e in una cornice di coerenza con gli strumenti già esistenti, a cominciare dal sistema Sprar; 
   sono due le azioni normative possibili per dare protezione giuridica ai profughi siriani e dunque permettere loro il regolare transito: l'attuazione dell'articolo 20 del Testo unico sull'immigrazione, attraverso il quale il Governo può concedere protezione umanitaria temporanea ai profughi siriani, tramite decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri; e l'applicazione della direttiva europea sulla protezione temporanea degli sfollati (2001/55/CE), la quale concede un permesso temporaneo da uno ai due anni per gruppi di persone in fuga da conflitti o violazioni dei diritti umani nei loro Paesi; quest'ultima azione normativa non è finora mai stata applicata –:
   quali iniziative normative, in sede nazionale ed europea, il Governo intenda promuovere per risolvere questa grave questione nazionale, al contempo affidando alla città di Milano i necessari ed indispensabili strumenti per ovviare all'emergenza umanitaria.
(2-00621) «Cimbro, Laforgia, Malpezzi, Fitzgerald Nissoli, Iori, Marzano, Chaouki, Villecco Calipari, Capone, Porta, Di Lello, Tidei, Casati, Scotto, Locatelli, Civati, Cominelli, Matarrelli, Piras, Beni, Martella, Fossati, Gnecchi, Gianni Farina, Carra, Pollastrini, Ginefra, Amoddio, Coppola, Cenni, Carella, Amendola, Simoni, Prina, Scuvera, Peluffo».

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   il 3 luglio 2014, in via della Camilluccia 19, a Roma, è stato ucciso Silvio Fanella;
   l'omicidio è avvenuto alle 9 del mattino, nel domicilio della vittima, a opera di un gruppo di persone (3 o più, resta da accertare), di cui faceva parte Giovanni Battista Ceniti;
   non si è trattato di un qualsiasi fatto di cronaca, dal momento che tutti i principali quotidiani nazionali vi hanno dedicato ampio spazio il 4, il 5 e il 6 luglio 2014 (si vedano, per esempio, La Repubblica, il Messaggero, il Fatto quotidiano, il Corriere della sera in quelle date);
   Silvio Fanella risultava indagato nel procedimento penale n. 6429/06 condotto dalla procura della Repubblica di Roma, per reati contro il patrimonio in danno di due note società di telefonia e – a quel che risulta dalla cronaca (v. ancora Repubblica, 4 luglio 2014, pag. 20) – ne aveva riportato una condanna a ben 9 anni di reclusione in primo grado;
   coimputati nel procedimento risultano anche molti altri soggetti, tra cui Gennaro Mockbel e l'ex senatore del PdL Nicola Di Girolamo;
   secondo quel che risulta dalle ricostruzioni giornalistiche, i membri del «commando» si sarebbero presentati al domicilio del Fanella, travestiti da agenti della Guardia di finanza e avrebbero affermato di dover eseguire una perquisizione. In realtà, essi intendevano prelevare forzosamente il Fanella per poterlo «interrogare» sul luogo in cui egli conservasse una ingente quantità di danaro, oltre a gioielli, orologi e pietre preziose;
   intuite vera identità e intenzioni dei falsi finanzieri, il Fanella avrebbe afferrato una pistola detenuta illegittimamente e avrebbe cercato di difendersi, ma sarebbe stato ucciso dal Commando di cui faceva parte anche Ceniti, il quale però è rimasto ferito e poi è stato abbandonato dai complici;
   in stato di fermo in ospedale, il Ceniti si è sinora avvalso della facoltà di non rispondere;
   stando all'unanime versione emersa sui quotidiani, l'episodio criminale appena descritto è maturato nell'ambiente dell'estrema destra romana. Significativi al proposito sono i contenuti degli articoli di Vincenzi e Zunino su Repubblica del 4 luglio 2014 (pag. 21, «Suicidi, affari sporchi e un tesoro scomparso: quella scia di sangue e soldi nella Roma nera») e di Buccini sul Corriere della sera nella stessa data (Tutti i misteri di Silvio, il «pupillo» tra la banda della Magliana e i neri);
   in sostanza e salvi gli accertamenti giudiziari ancora in corso, a Roma si muove un vasto gruppo delinquenziale, connotato da idee marcatamente destrorse e pratiche illegali e violente, che avrebbe rapporti anche con elementi riconducibili all'ex banda della Magliana e a cosche della ‘ndrangheta calabrese (tanto che il fermo di Ceniti è stato convalidato a richiesta della direzione distrettuale antimafia di Roma);
   l'ex senatore Di Girolamo sarebbe stato eletto – stando alla documentazione disponibile relativamente alla richiesta di arresto avanzata al Senato nei suoi confronti – nella circoscrizione estero non avendone i titoli e secondo forme di voto di scambio, nelle liste del PdL. Artefice di tale elezione sarebbe stato Mockbel, il quale poi risulta aver riportato in primo grado 15 anni di carcere. Fanella – oltre che coimputato di Di Girolamo e di Mockbel – sarebbe stato il «cassiere» di quest'ultimo, nel senso che avrebbe conservato beni di pregio e danaro per suo conto. In effetti, proprio il giorno dopo il suo omicidio, a Pofi, in provincia di Frosinone – presso un'abitazione di famiglia in campagna – sono stati rinvenuti valori ingenti in diamanti, orologi e contanti;
   è poi accertato che Ceniti – venuto a Roma su richiesta od ordine di persone da accertare – sia un notorio esponente della gioventù nostalgica e destrorsa piemontese ed è stato fino a tempi assai recenti un militante di CASAPOUND;
   ad avviso degli interroganti, gli elementi sin qui riportati sono più che sufficienti per ravvisare la persistente minaccia costituita dai gruppi dell'estrema destra romana, i cui componenti hanno attitudini militari organizzate e capacità d'interlocuzione con soggetti istituzionali e d'infiltrazione nell'economia, anche all'estero;
   tutto ciò non può essere ricondotto a mero folklore né alla legittima manifestazione di pensiero. Il neofascismo nella capitale è un serio problema di ordine pubblico –:
   quale sia l'orientamento del Ministro interpellato alla luce dei fatti di cui in premessa e quali ulteriori accertamenti di competenza abbia disposto sulla situazione sul neofascismo nella capitale, avvalendosi soprattutto delle informative della prefettura di Roma;
   se il servizio di analisi criminale – attivo presso il dipartimento di pubblica sicurezza, una cui divisione è dedicata anche ad analisi di livello strategico dei fenomeni criminali e della correlata azione di contrasto sul territorio nazionale e nei singoli contesti territoriali – abbia condotto approfondimenti sui fenomeni criminali specifici richiamati nella premessa.
(2-00623) «Gregori, Fassina, Ferro».

Interrogazioni a risposta scritta:


   PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da alcuni articoli apparsi nei giorni scorsi sulla stampa si è appreso la notizia dell'arresto di don Sergio Librizzi, direttore della Caritas di Trapani con l'accusa di concussione e violenza sessuale pluriaggravata ai danni degli immigrati che, stando alle intercettazioni pubblicate, avrebbero subito violenze sessuali e ricatti da parte del parroco in cambio di presunti suoi interventi volti ad agevolare le pratiche di regolarizzazione, per l'ottenimento dello status di rifugiato o del permesso di soggiorno non solo per gli immigrati vittime degli abusi ma in alcuni casi anche per gli scafisti;
   don Sergio Librizzi era visto come una persona importante da tutti quelli che si occupavano di immigrazione e gestione degli immigrati, dai centri di accoglienza alle cooperative apposta costituite per le case famiglia e il lavoro e secondo il gip Cersosimo avrebbe avuto coperture importanti. Infatti, dalle indagini sarebbe emerso come fatto inconfutabile e notorio come don Librizzi sia detentore di una posizione di grande potere e che lo stesso sia strettamente legato a soggetti più potenti di Trapani nonché gestore di fatto dei centri di accoglienza e del sistema di cooperative connesso;
   don Librizzi risulta essere unico ed incontrastato dominus di una complessa e articolata rete di cooperative, «ipab» e società attraverso le quali gestisce in regime monopolistico non solo i centri di accoglienza per extracomunitari ma anche l'intero universo del lavoro ad esso collegato generando e gestendo risorse e lavoro. È al vertice di una ricca fiorente e incontrastata holding finanziata con denaro pubblico che gestisce per intero il business dell'assistenza ai migranti;
   per gli inquirenti monsignore Sergio Librizzi avrebbe abusato del suo ruolo di componente della commissione territoriale e si sarebbe mosso sempre con determinazione per ostacolare e danneggiare i pochi coraggiosi che hanno avuto la forza di tentare di opporsi alle sue reiterate malefatte con intimidazioni, minacce e aggressioni con il chiaro effetto di creare intorno allo stesso l'aura di soggetto intoccabile e impunibile;
   dalla stampa si apprende inoltre dell'esistenza di una serie di denunce e testimonianze contro il parroco, come quella di un dipendente di uno dei centri di accoglienza nei quali don Librizzi si sarebbe mosso con «autorità», il quale avrebbe detto come le notizie delle periodiche ispezioni sarebbero arrivate per tempo e sarebbe stato lo stesso don Librizzi, ogni volta, a preannunciare le ispezioni, così da avere il tempo necessario a mettere ogni cosa al suo posto. O come quella di una ragazza che si occupa di migranti, che si sarebbe attivata per aiutare un immigrato vittima delle pressioni del prete e che avrebbe ricevuto una busta con un proiettile. O come la denuncia di un'altra ragazza che sembrerebbe aver ricevuto minacce mentre si apprestava a denunciare un caso di presunta malasanità. Un'altra testimone ha invece raccontato ai pubblici ministeri di una minaccia ricevuta dopo aver cercato di aiutare un immigrato che sosteneva di aver subito una violenza sessuale dallo stesso sacerdote;
   stando alle ricostruzioni dell'accusa quindi, gli assistenti e i mediatori culturali avrebbero lavorato nei centri solo se graditi al prete e addirittura molti di quelli che avrebbero voluto sporgere denuncia sarebbero stati invitati a desistere;
   a parere degli interroganti i fatti sopra esposti, qualora accertati dalla magistratura, sono da ritenersi di una gravità assoluta e vanno condannati e stigmatizzati da parte delle istituzioni democratiche, che non posso tollerare l'esistenza di tali comportamenti inqualificabili messi in atto tra l'altro nei confronti di soggetti deboli e ricattabili come gli immigrati, costretti nella fattispecie a subire abusi sessuali in cambio di permessi di soggiorno o dietro il ricatto di un rimpatrio immediato;
   dall'inchiesta in corso oltre all'aspetto, seppur aberrante, legato ai presunti abusi sessuali che vanno accertati, perseguiti e puniti, emerge con preoccupazione l'esistenza di un vero e proprio sistema di affari e prevaricazioni dietro agli sbarchi e alla gestione dell'accoglienza degli immigrati a Trapani, dalle informazioni date in anticipo sulle ispezioni al rilascio dei permessi di ingresso nei centri solo a persone considerate fidate o dopo mesi dalla richiesta e dopo ripetute insistenze, al controllo diretto delle cooperative che gestiscono i centri;
   è di tutta evidenza che Don Librizzi abbia potuto agire solo grazie ad una fitta rete che, tramite comportamenti ed omissioni, gli ha consentito di operare come vero dominus dell'accoglienza e che, quindi, agli eventuali profili di responsabilità penale si accompagnino gravissime responsabilità oggettive in capo a tutti i soggetti aventi ruoli di gestione e di controllo dell'attività legata all'accoglienza dei migranti ed alle procedure di riconoscimento del diritto d'asilo e della protezione sussidiaria –:
   se il Ministro non ritenga opportuno, per quanto di competenza, avviare immediatamente un'ispezione per verificare l'esistenza di comportamenti scorretti e contrari alla legge da parte di don Librizzi ed eventuali altre irregolarità nella gestione dei centri per l'accoglienza, identificazione ed espulsione della provincia di Trapani;
   quali iniziative il Ministro intenda assumere nelle more della definizione del procedimento penale, sulla base del principio di precauzione, per assicurare il buon andamento e la regolarità nella gestione dei centri per migranti e nelle procedure per il riconoscimento di status di rifugiato nella provincia di Trapani.
(4-05462)


   SPESSOTTO, COZZOLINO, DA VILLA, D'INCÀ, BUSINAROLO, BRUGNEROTTO, CRISTIAN IANNUZZI, NICOLA BIANCHI e D'UVA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni è stato reso pubblico quanto emerso da un'inchiesta della guardia di finanza dell'Aquila su probabili infiltrazioni della camorra nei cantieri della città per la ricostruzione di edifici privati danneggiati dal sisma del 2009, inchiesta che ha portato all'arresto, tra gli altri, dell'imprenditore Domenico Di Tella, accusato di estorsione aggravata dal metodo mafioso;
   le indagini relative all'inchiesta dirty job, condotta dalla direzione distrettuale antimafia abruzzese, rivelano che, a pagare il pizzo a Di Tella, erano gli stessi operai delle società che ricostruivano i palazzi a l'Aquila e che venivano sfruttati tramite l'estorsione di quasi metà del loro stipendio, della quota del trattamento di fine rapporto e dei soldi della cassa edile;
   seguendo gli spostamenti del costruttore, la guardia di finanza dell'Aquila ha scoperto che Di Tella si recava molto spesso a Venezia per giocare al Casinò e che proprio nella Casa da Gioco Di Tella incontrava uomini legati al clan dei Casalesi, con cui si scambiava non solo informazioni, ma anche fiche dal valore di migliaia di euro;
   dalle indagini è inoltre emerso come il casinò di Venezia rappresentasse il luogo per eccellenza degli incontri degli uomini vicini al clan dei Casalesi, dove costoro si davano appuntamento per riciclare il denaro sporco e scambiarsi informazioni, anche sulla ricostruzione degli edifici privati de L'Aquila, per un giro di affari di oltre 10 milioni di euro;
   come confermato dall'amministratore delegato del Casinò di Venezia, Vittorio Ravà, considerata la loro elevata capacità di spesa presso la Casa da Gioco, Di Tella aveva diritto, come altri boss casalesi finiti nell'inchiesta, all'ospitalità gratuita presso il Casinò e ad un trattamento di riguardo, previsto per quei «forti giocatori», ritenuti ottimi clienti della struttura;
   sebbene non sia ravvisabile al momento nessun comportamento illecito da parte del Casinò di Venezia, che ha ospitato in maniera inconsapevole i boss malavitosi, appare quantomeno inopportuna agli interroganti la totale assenza di controlli da parte delle competenti forze dell'ordine su questi giocatori assidui, considerato che i Casinò spesso vengono utilizzati per riciclo di denaro di provenienza illecita –:
   alla luce dei fatti esposti in premessa, se il Ministro non ritenga opportuno, per quanto di competenza, predisporre tutti gli opportuni accessi ed accertamenti, anche attraverso l'acquisizione della necessaria documentazione, finalizzati alla verifica di eventuali casi di attività sospette nell'ambito del Casinò di Venezia per provvedere poi alle opportune segnalazioni all'autorità giudiziaria;
   se, al fine di contrastare gli interessi degli esponenti della criminalità organizzata che in questi mesi hanno assiduamente frequentato le sale da gioco della struttura Ca’ Vendramin Calergi, il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere iniziative anche attraverso l'ausilio delle forze dell'ordine, per vigilare in maniera più stringente sulle attività e sulle frequentazioni del Casinò di Venezia.
(4-05465)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CRIVELLARI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   attraverso il decreto 353 del 22 maggio 2014 che negava l'inclusione in seconda fascia delle graduatorie di istituto per coloro che conseguivano l'abilitazione all'insegnamento successivamente alla data del 23 giugno 2014, con conseguente impossibilità di inserimento, con riserva, di coloro che si apprestavano a completare i corsi PAS (Percorsi Abilitanti Speciali) a norma del decreto del MIUR n. 249 del 2010, nel periodo seguente la scadenza del provvedimento;
   visto che tale situazione si prefigurava frustrante per le legittime aspettative di docenti che da anni stanno comunque lavorando nelle scuole e con grandi sacrifici economici e personali per sostenere questi percorsi abilitanti nell'ottica di una prospettiva di lavoro;
   successivamente con decreto del MIUR n. 375 del 6 giugno 2014 si ammettevano a presentare con riserva la domanda di inserimenti nella II fascia delle graduatorie di circolo e di istituto anche gli aspiranti già iscritti ad un percorso abilitante, che conseguissero il titolo di abilitazione entro il 31 luglio 2014;
   premesso inoltre che con una nota del dipartimento per l'istruzione del MIUR si chiariva che a fronte del D.: n. 353 del 23 maggio 2014, «gli spiranti che si iscrivono con riserva nella II fascia e che conseguiranno l'abilitazione entro il 31 luglio 2014 sono graduati secondo la tabella A di valutazione dei titoli e servizi di II fascia»;
   nella sopraccitata nota si chiariva che: «i servizi prestati con contratti atipici, non da lavoro dipendente, stipulati nelle scuole paritarie o nei centri di formazione professionale su insegnamenti curricolari, sono valutati per l'intero periodo, secondo i medesimi criteri previsti per i contratti di lavoro dipendente sia per la seconda che per la terza fascia delle G.I.»;
   la volontà del Ministero competente è stata quella di tutelare tutti coloro che hanno intrapreso un percorso professionalizzante e specializzante, per non rimandare una tanto attesa speranza di inserimento stabile nel mondo del lavoro fra altri tre anni;
   tra chi sta svolgendo il percorso abilitante speciale, soltanto una parte potrà sciogliere la riserva entro la data del 31 luglio 2014, ed essere quindi inseriti con pieno titolo alle graduatorie di seconda fascia;
   con grave danno per chi invece si ritrova in sedi universitarie o dell'istruzione che non hanno prestato dovuta attenzione e cura alla scadenza sopraindicata, ovvero prolungando in definitiva oltre il 31 luglio 2014 la conclusione dei percorsi abilitanti, e potrà spendere il proprio titolo con relativo punteggio fra tre anni, quando riapriranno le graduatorie;
   gli uffici regionali interpellati su questo, dicono che probabilmente a dicembre 2014 si aprirà una finestra anche per gli esclusi, ma sottolineando che a dicembre vi sono già i dati delle nuove graduatorie (aventi diritto) e di conseguenza risulta chiaro quanto poco possa essere riscontrata la risposta degli uffici regionali –:
   quale sia la volontà del Ministro nei confronti di chi non riuscirà a sciogliere la riserva non per mancata conclusione del percorso abilitante, ma per il ritardo con il quale si concluderanno tali corsi;
   se si intenda decretare in merito per consentire a tutti medesima parità di trattamento e nel tentativo di trovare una soluzione tecnica per cui tutti coloro che hanno conseguito l'abilitazione iscrivendosi nella sessione primaverile del corrente anno, possano essere contemplati nelle graduatorie d'istituto di seconda fascia. (5-03195)


   RUBINATO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 62 del 2000 ha stabilito che «il sistema nazionale di istruzione è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali», definite come «le istituzioni scolastiche non statali, comprese quelle degli enti locali che, a partire dalla scuola per l'infanzia, corrispondono agli ordinamenti generali dell'istruzione e sono coerenti con la domanda formativa delle famiglie» e, «svolgendo un servizio pubblico, accolgono chiunque, accettandone il progetto educativo, richieda di iscriversi, compresi gli alunni e gli studenti con handicap»;
   il sistema paritario è fondamentale in particolare per assicurare il raggiungimento dell'obiettivo considerato prioritario dall'ordinamento «dell'espansione dell'offerta formativa e conseguente generalizzazione della domanda di istruzione dall'infanzia lungo tutto l'arco della vita», in linea con la strategia per la crescita «Europa 2020» che prevede di raggiungere la scolarizzazione del 95 per cento dei bambini fra i 4 ed i 6 anni, un traguardo semplicemente impossibile senza l'apporto delle scuole paritarie dell'infanzia;
   a livello nazionale le scuole paritarie rappresentano il 24 per cento delle scuole italiane ed accolgono il 10 per cento della popolazione scolastica; in particolare le scuole dell'infanzia – che accolgono bambini per i quali non c’è posto nelle strutture statali – ospitano circa il 40 per cento dei bambini (642.040 nell'anno scolastico 2012/2013), con punte dal 55 al 68 per cento in alcune regioni (Lombardia, Emilia Romagna e Veneto);
   le scuole paritarie, incluse quelle comunali, ricevono complessivamente dallo Stato appena l'1 per cento delle risorse stanziate per il sistema nazionale dell'istruzione, nonostante il rilevante risparmio che dalle stesse deriva per la finanza pubblica, come riconosciuto di recente anche dall'OCSE, in una sorta di applicazione del principio di sussidiarietà al contrario, nel senso che sono esse paradossalmente ad aiutare finanziariamente lo Stato;
   negli ultimi anni la situazione è peggiorata, per la costante diminuzione dei fondi stanziati dallo Stato e per il cronico grave ritardo nell'erogarli, aggravato dalla procedura introdotta dall'articolo 2, comma 47, della legge n. 203 del 2008, nonché da ultimo dalla disposizione di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213 (che ha visto bloccati al Ministero dell'economia e delle finanze ben 80 dei 223 milioni di euro stanziati nella legge di stabilità 2013, disaccantonati solo in data 16 dicembre scorso), con il risultato che le scuole alla data del 31 dicembre 2013 non avevano ancora ricevuto alcunché dello stanziamento approvato dal Parlamento nella stabilità 2013 fuori dal Patto di stabilità regionale al capitolo 1299 (complessivi 223 milioni), mentre si sono dovute far carico di anticipare le spese necessarie alla gestione del servizio pubblico erogato con la conseguenza che la maggior parte delle stesse versa ormai in una condizione di assoluta precarietà ed emergenza economico-finanziaria;
   in legge di stabilità 2014 e legge di bilancio 2014-2016, nei capitoli 1299 e 1477 dello stato di previsione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca risultano iscritti per l'anno 2014, in favore delle istituzioni scolastiche non statali, rispettivamente 220.000.000 di euro e 273.898.626 euro, con una ulteriore diminuzione rispetto all'anno 2014 pari a complessivi 8.023.366 euro; è stata assicurata l'esclusione dal patto di stabilità regionale solo per 120 dei 220 milioni di euro stanziati nel disegno di legge dilatabilità per l'anno 2014, a differenza dell'esclusione totale che era stata invece disposta nella legge di stabilità per il 2013;
   nella seduta della Camera del 20 dicembre 2013 il Viceministro pro tempore Fassina accoglieva l'ordine del giorno 9/01865-A/114 sottoscritto dai deputati della maggioranza Rubinato, Bobba, Fioroni, Vignali, Gigli, De Mita, Ginato, De Menech, Dal Moro, Malpezzi, Santerini, Moretto, Ascani, Taricco, che, impegnava il Governo: «a reperire e stanziare nel rispetto dei soldi di finanza pubblica, in un provvedimento da presentare al Parlamento entro il primo quadrimestre del 2014, le risorse per la compensazione sui saldi di fabbisogno e indebitamento netto al fine di prevedere che, per le finalità di cui all'articolo 1, comma 13, della legge 10 marzo 2000, n. 62, la somma di 220 milioni di euro prevista all'articolo 1, comma 166, del disegno di legge di stabilità 2014 sia allocata nel capitolo 1477 dello stato di previsione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (contributi alle scuole paritarie comprese quelle della Valle d'Aosta) anziché nel capitolo 1299 (somme da trasferire alle regioni per il sostegno alle scuole paritarie);
   a fornire un'interpretazione circa il fatto che le disposizioni di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213, non sono applicabili alle risorse da trasferirsi alle regioni che siano destinate alle finalità di cui alla legge 10 marzo 2000, n. 62;
   ad accelerare il saldo dei contributi e garantire l'effettivo trasferimento alle scuole paritarie che svolgono un servizio pubblico di tutte le risorse allo scopo stanziate dal Parlamento, comprese quelle già stanziate nel 2013;
   ad oggi, ad anno scolastico 2013-2014 concluso, si ripresenta, tuttavia, per l'ennesima volta negli ultimi anni la situazione drammatica di sofferenza finanziaria delle scuole dell'infanzia paritarie per i gravi ritardi con i quali il Ministero dell'istruzione e le regioni versano i rispettivi contributi, che sono fondamentali per la loro sopravvivenza e per consentire l'erogazione di un servizio pubblico fondamentale alle famiglie con bambini dai tre ai sei anni: poiché nei mesi di luglio e agosto le scuole non riscuotono le rette sono numerosi infatti i gestori che hanno informato il personale che non sarà possibile pagare gli stipendi dei prossimi due mesi;
   ad oggi inoltre permane il vincolo del patto di stabilità interno per una parte del contributo 2014 (100 milioni di euro) da assegnarsi per il tramite delle regioni, non essendo stato attuato dal Governo l'impegno di allocare tutte le risorse assegnate dal Parlamento alle scuole paritarie nel capitolo 1477 dello stato di previsione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca anziché nel capitolo 1299;
   preso atto delle dichiarazioni svolte dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Stefania Giannini in una intervista su Tempi del 3 luglio scorso sul tema delle scuole paritarie, in cui ha ribadito che i tempi sono maturi per una riforma che attui la parità applicando il costo standard, nel rispetto del principio di libertà di scelta educativa cui si ispira l'Unione europea, e ha riconosciuto la convenienza che ne deriva per il bilancio dello Stato, quantificabile in un risparmio annuo di circa 6 miliardi di euro;
   il Sottosegretario Roberto Reggi al recente congresso nazionale della Fism, in data 19 giugno scorso, affermando che «non possiamo più sottrarci dall'affrontare insieme l'emergenza educativa che colpisce profondamente le nostre famiglie. È un'emergenza europea. Perciò non ha più senso dividersi in conflitti ideologici senza futuro. La legislazione deve tenere conto di un sistema misto, pubblico-privato, dove ci sono diverse voci che hanno pari dignità. Daremo stabilità, certezza di trasferimenti e risorse per garantire una programmazione costante», ha confermato la necessità che i contributi vengano tutti erogati direttamente alle scuole dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e non dalle regioni, in conformità a quanto richiesto dal predetto ordine del giorno 9/01865-A/114;
   è positiva l'equiparazione delle scuole paritarie che rispettano il costo standard alle scuole statali ai fini dell'esenzione Imu e Tasi da ultimo operata nel decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 26 giugno 2014 (anche in attuazione dell'impegno assunto dal Governo rispetto all'ordine del giorno 9/1544-A/71 a firma dei deputati Rubinato, De Menech, Ginato);
   la stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 50 del 2008, ha ricordato che le prestazioni erogate dalle scuole paritarie «inseriscono a diritti fondamentali dei destinatari», il che impone allo Stato di garantire «continuità nella erogazione delle risorse finanziarie» relative –:
   quali urgenti iniziative intendano assumere per dare attuazione a tutti gli impegni contenuti nel predetto ordine del giorno 9/01865-A/114 dei gruppi della maggioranza, dall'allocazione della somma di 220 milioni di euro prevista all'articolo 1, comma 166, del disegno di legge di stabilità 2014 nel capitolo 1477 dello stato di previsione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, anziché nel capitolo 1299, alla accelerazione dell'effettivo trasferimento alle scuole paritarie che svolgono un servizio pubblico di tutte le risorse allo scopo stanziate dal Parlamento, escludendole interamente dal vincolo del Patto di stabilità regionale e semplificando le procedure, al fine di scongiurare l'emergenza occupazionale, sociale e formativa conseguente alla drammatica situazione di sofferenza finanziaria in cui versano le scuole dell'infanzia paritarie a causa dei tagli degli ultimi anni e dei ritardi nell'erogazione dei contributi da parte dello Stato e delle regioni. (5-03200)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LABRIOLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in Italia sono venti gli istituti musicali pareggiati (IMP) i quali possono rilasciare titoli di studio legalmente riconosciuti;
   l'istituto «Giovanni Paisiello» di Taranto, rientra tra questi ed è uno dei più prestigiosi e antichi enti musicali del Paese;
   con la legge 21 dicembre 1999, n. 508, recante «Riforma delle Accademie di belle arti, dell'Accademia nazionale di danza, dell'Accademia nazionale di arte drammatica, degli Istituti superiori per le industrie artistiche, dei Conservatori di musica e degli Istituti musicali pareggiati» l'istituto «Giovanni Paisiello» è stato inserito, ai sensi del comma 2 dell'articolo 2, nell'ambito del sistema dell'alta formazione artistica e musicale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e trasformato in istituto superiore di studi musicali, seguendo la stessa sorte dei conservatori di musica statali;
   nel 2013, la provincia di Taranto, cioè l'ente che ha sempre finanziato l'istituto, ha rappresentato formalmente, a causa delle difficoltà economiche derivanti dalla riduzione dei finanziamenti agli enti locali, l'impossibilità di continuare a farsi ulteriormente carico degli oneri economici relativi al funzionamento dell'istituto e ha deliberato, in data 30 aprile 2013, la richiesta di statizzazione ai sensi del citato articolo 2, comma 8, della legge n. 508 del 1999;
   in tal senso, l'articolo 2, comma 8, lettera e), della legge sopra citata prevede la «possibilità di prevedere, contestualmente alla riorganizzazione delle strutture e dei corsi esistenti e, comunque, senza maggiori oneri per il bilancio dello Stato, una graduale statizzazione, su richiesta, degli attuali istituti musicali pareggiati e delle Accademie di belle arti legalmente riconosciute, nonché istituzione di nuovi musei e riordino di musei esistenti, di collezioni e biblioteche, ivi comprese quelle musicali, degli archivi sonori, nonché delle strutture necessarie alla ricerca e alle produzioni artistiche»;
   la difficile congiuntura economica, la significativa riduzione dei finanziamenti agli enti locali ed i vincoli imposti ai bilanci delle amministrazioni locali stanno di fatto compromettendo lo svolgimento delle attività didattiche e formative dell'istituto «Paisiello», mettendone a rischio la sopravvivenza –:
   quali iniziative il Ministro interrogato abbia intenzione di assumere al fine dare piena attuazione al processo di riforma dell'alta formazione artistica e musicale di cui alla legge n. 508 del 1999, con particolare riguardo alla statizzazione dell'istituto superiore di studi musicali «Giovanni Paisiello», vista anche la delibera della provincia di Taranto, salvaguardando in tal modo un istituto di altissimo valore formativo atto alla diffusione della cultura musicale, di cui il nostro Paese può vantare altissime espressioni e lunghissima tradizione. (4-05454)


   ATTAGUILE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in Sicilia dal 14 al 31 luglio 2014 si terranno le prove di ammissione ai nuovi corsi TFA (tirocinio formativo attivo);
   tali prove vedranno impegnati ben 14 mila docenti precari provenienti da tutta la regione;
   l'URS (ufficio scolastico regionale) per la Sicilia ha stabilito che le suddette prove del concorso si terranno a Palermo;
   il capoluogo siciliano, oltre ad avere una localizzazione geografica non baricentrica rispetto a tutte le province, presenta notevoli difficoltà di accesso aggravate, nei giorni individuati per le prove del concorso, dall'inizio dei lavori per la rete tranviaria, l'anello ferroviario e la rete fognaria;
   raggiungere Palermo sarà una vera impresa per i 14 mila partecipanti alle prove concorsuali provenienti da tutta la regione e comporterà un aggravio non indifferente per lo stesso capoluogo siciliano;
   esistono in Sicilia altre sedi universitarie in grado di poter ospitare le prove concorsuali, non ultima la città di Catania su cui, anche dal punto di vista universitario, gravitano 5 province su le 9 totali siciliane;
   contro la scelta operata dall'ufficio scolastico regionale per la Sicilia il Codacons ha manifestato una precisa presa di posizione contestandone le ragioni –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di intervenire presso l'ufficio scolastico regionale per la Sicilia affinché venga individuata una sede geograficamente centrale rispetto alle province siciliane che consenta ai 14 mila docenti precari di poter sostenere le prove più agevolmente.
(4-05457)


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da diverse fonti stampa si apprende dell'indagine, condotta dalla Guardia di finanza di Terni, che avrebbe individuato dieci indagati per truffa ai danni dello Stato;
   l'indagine riguarda, infatti, la gestione dei fondi pubblici da parte dell'ISRIM (Istituto superiore di ricerca e formazione di materiali speciali per le tecnologie avanzate) di Terni, al quale si imputano diverse irregolarità contabili per alcune centinaia di migliaia di euro;
   la stessa Corte dei Conti si è interessata alla vicenda che riguarderebbe, in particolare, alcuni progetti e fondi del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per oltre due milioni di euro;
   la conclusione dell'indagine della Guardia di finanza arriva in un momento già molto delicato per l'ISRIM; da qualche tempo è infatti aperta la procedura di liquidazione e il personale – circa 30 dipendenti tra ricercatori e collaboratori a progetto – rischia di perdere il lavoro, poiché è molto probabile che, considerando l'aumento del debito (la ISRIM aveva già accumulato debiti per circa 30 milioni di euro) la società che aveva ipotizzato una partnership economica, la Italeaf, si tiri indietro, lasciando il personale e i progetti avviati senza futuro –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se, considerate le gravi conseguenze che la scoperta di questa truffa ai danni dello Stato potrebbe avere, non ritenga opportuno adottare dei meccanismi di rendicontazione e di controllo più rigorosi su come vengono gestite le risorse del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca così da scongiurare o quantomeno ridurre il rischio di abusi da parte dei soggetti che ne beneficiano.
(4-05461)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LABRIOLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Telecom Italia s.p.a. ha dato vita ad una divisione focalizzata alla gestione delle attività di caring, orientata a massimizzare le sinergie tra le 8 unità operative esistenti;
   tali azioni di riassetto organizzativo sono state presentate dall'azienda Telecom Italia nel piano d'azione d'impresa 2013-2015, che oltre a dichiarare circa 5.000 esuberi a livello nazionale, ha previsto un piano di razionalizzazione territoriale delle sedi, con particolare riferimento a quelle che abbiano un numero di dipendenti inferiore a 46 unità;
   la chiusura dei presidi caring services in 47 città sarà realizzata progressivamente entro il 2014;
   tra le sedi operative che saranno chiuse vi è la sede storica di assistenza alla clientela sita a Taranto con trasferimento, attraverso il sistema di mobilità territoriale di tutto il personale a Bari;
   gli operatori di Taranto sono prevalentemente donne, mamme e lavoratori part-time i quali subiranno, con tali decisioni aziendali forti disagi economici e personali;
   le attività di cui sopra si svolgono in modalità remotizzata, essendo di assistenza alla clientela (cosiddetto servizio 187): si tratta dunque di mansioni che potrebbero essere svolte in qualsiasi parte d'Italia o in uno dei tanti immobili sul territorio di Taranto nella disponibilità dell'azienda Telecom. Non a caso l'alternativa proposta ai singoli lavoratori è il telelavoro, che però, potrebbe rappresentare un isolamento ed un allontanamento non volontario del lavoratore dal normale ciclo produttivo con forte penalizzazione in termini di diritti e di condizioni lavorative;
   tale decisione, cui si sono opposte organizzazioni sindacali, comune e altri organi locali, va ad incidere in modo negativo su una città già gravata da un alto tasso di disoccupazione reso ancora più preoccupante dalle problematiche che investono il territorio sia con riferimento all'inquinamento ambientale che alle conseguenti ripercussioni sulla salute;
   nell'immediato futuro circa 30 lavoratori verranno trasferiti presso altra sede al di fuori della città con conseguente ulteriore impoverimento del tessuto economico e, produttivo;
   la motivazione addotta da Telecom Italia di volere risparmiare sui fitti delle sedi locali non è assolutamente giustificata sul piano economico: dal momento che la sede di lavoro di via Campania a Taranto resterà utilizzata dalla stessa Telecom, quale sito tecnologico (contiene centrali telefoniche, apparati trasmissivi e sale permutatori), e costituisce posto di lavoro per circa altri settanta lavoratori. Da ciò si evince una seria preoccupazione da parte dei lavoratori che l'iniziativa dell'azienda sia solo il primo passo verso un definitivo abbandono del territorio di Taranto, facendo perdere al territorio altri significativi posti di lavoro –:
   quali iniziative il Ministro interrogato abbia intenzione di porre in essere al fine di tutelare i lavoratori della sede caring di Taranto invitando l'azienda Telecom Italia, attraverso una revisione del piano d'impresa, a rinsaldare i legami con questo territorio, già molto sofferente, ed evitando in tal modo ulteriori ricadute negative sia dal punto di vista occupazionale che economico. (5-03190)


   LABRIOLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   da alcuni mesi la Dussmann Service ha prospettato una serie di licenziamenti dei lavoratori tarantini addetti ai servizi affidati in appalto dalla Marina Militare. Il probabile licenziamento degli addetti alle pulizie ed alla ristorazione presso la caserma Mariscuola di Taranto preoccupa fortemente tutta la comunità già molto provata da vicende note;
   la Dussmann Service srl presta servizio di ristorazione e sanificazione presso le caserme della marina militare di Taranto e provincia tra cui anche quello acquisito tramite appalto presso il sito della marina militare «Maricentro»;
   la società appaltatrice di cui sopra ha aperto due distinte procedure di licenziamento collettivo (legge n. 223 del 1991) per n. 20 unità impegnate nelle mense/ristorazione e n. 33 per le pulizie/sanificazione. Le motivazioni addotte nella prima procedura di licenziamento collettivo riguardano la chiusura «sine die» della mensa;
   non sono ufficialmente note le motivazioni che inducono la stazione appaltante a dismettere la mensa. Si parla di una ristrutturazione della mensa o di una riorganizzazione della stessa, ma già l'espressione «sine die» utilizzata dalla «Dussmenn Service srl» nella procedura di cui sopra, non pone alcun termine entro il quale le lavoratrici e i lavoratori torneranno a svolgere le loro mansioni lavorative. Eppure, ad una chiusura della mensa non corrisponde una diminuzione dei pasti da servire quotidianamente ai commensali della caserma «Maricentro – Taranto»;
   nella seconda procedura di licenziamento collettivo si assiste ancora una volta agli ennesimi tagli operati dalla stazione appaltante, con una conseguente riduzione di frequenze lavorative, che corrispondono drammaticamente alla decurtazione di ore di lavoro e reddito per i già sacrificati, in quanto part-time e già posti in cassa integrazione guadagni in deroga per effetto degli avvenuti precedenti tagli di risorse, degli anni scorsi, in addetti ai servizi di pulizie/sanificazione;
   da notizie di qualche giorno fa, riportata anche nella deliberazione del consiglio comunale di Taranto dell'11 aprile, si tratterebbe di ben 150 unità lavorative su un totale di 250 che si troverebbero prive di qualsiasi sostegno finanziario. Ciò avrebbe delle ripercussioni anche sulle famiglie. Il tutto sullo sfondo di un quadro sociale ed economico già di per sé allarmante;
   la Dussmann Service srl aveva anticipato il 23 ottobre 2013, alle organizzazioni sindacali, alla provincia di Taranto e per conoscenza alla regione Puglia, una lettera contenente un preavviso di licenziamento collettivo per riduzione del personale;
   si ricorda che il Ministero della difesa, nel corso di questi ultimi tre anni ha ridotto le risorse da destinare alla marina militare di Taranto per le pulizie delle caserme e delle aree di pertinenza nonché per i servizi di ristorazione;
   il 17 dicembre 2013, presso la direzione territoriale del lavoro di Taranto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, si è svolto un incontro in merito alle problematiche occupazionali relative ai lavoratori impegnati nell'appalto di servizi di mense e ristorazione presso «Maricentro» a Taranto e che ha visto partecipare la Dussmann Service srl, i sindacati e la Marina militare italiana;
   in ogni caso la Dussmann Service srl ha fatto sapere ai lavoratori che il 31 marzo 2014 cesseranno anche le attività di ristorazione svolte nella mensa di «Mariscuola» sempre su richiesta della marina militare a causa dell'internalizzazione del servizio, situazione che si traduce con il licenziamento –:
   quali iniziative i Ministri interrogati abbiano intenzione di porre in essere al fine di scongiurare i licenziamenti profilati in premessa;
   quali misure urgenti i Ministri interrogati intendano adottare per salvaguardare l'occupazione e il reddito dei dipendenti a rischio licenziamento e quali e quanti altri casi di rischio licenziamento si prefigurano a Taranto nel 2014 nei settori che prestano servizi per le forze armate. (5-03191)


   INCERTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   come evidenziato dallo stesso Ministro interrogato, le risorse per gli ammortizzatori in deroga necessitano di un sostanzioso impegno di rifinanziamento pari a un miliardo di euro per il prossimo anno, pena la perdita di almeno altri 50.000 posti di lavoro;
   i ritardi nell'erogazione delle risorse e un quadro normativo ancora incerto e frastagliato rendono ancora più precaria la soluzione di molte situazioni di crisi aziendali, pregiudicando le aspettative di migliaia di lavoratori;
   tra le tante situazioni di crisi presenti nel nostro Paese, si segnala quello relativo al gruppo Newlat di Reggio Emilia, che ha dichiarato 177 esuberi tra Reggio, Bologna e Lodi, dove, nonostante la buona predisposizione dell'azienda alla gestione di tali esuberi, si sconta la difficoltà di concludere la procedura di riconoscimento della prosecuzione della cassa integrazione in deroga;
   in base a un importante accordo tra le forze sociali, economiche e istituzionali della regione Emilia-Romagna, siglato in questi ultimissimi giorni, si è autorizzata la possibilità di sottoscrivere prestazioni fino al 31 agosto 2014 per i lavoratori di detto gruppo aziendale;
   i suddetti lavoratori sono ancora in attesa di veder riconosciuto il pagamento della cassa in deroga relativa al primo semestre 2014, stante il mancato sblocco delle relative risorse –:
   quali iniziative intenda assumere al fine di assicurare le condizioni per il sollecito perfezionamento della procedura di riconoscimento della cassa in deroga, nonché per lo sblocco delle risorse relative al primo semestre 2014 per i lavoratori del gruppo Newlat di Reggio Emilia. (5-03193)

Interrogazione a risposta scritta:


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto-legge 20 marzo 2014, n. 34, recante «Disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell'occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese», sono state modificate alcune disposizioni in materia di contratto a tempo determinato di cui al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, di attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall'UNICE, dal CEEP e dal CES;
   le nuove norme in materia di contratti a tempo determinato sono state promosse dal Governo con l'intento di promuovere iniziative di sostegno all'occupazione e all'inserimento al lavoro di giovani e disoccupati, e al fine di semplificare ed agevolare le assunzioni per le imprese;
   l'articolo 1, comma 1, del decreto-legge n. 34 del 2014 prevede che «il numero complessivo di contratti a tempo determinato stipulati da ciascun datore di lavoro ai sensi del presente articolo non può eccedere il limite del 20 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1o gennaio dell'anno di assunzione»;
   la citata disposizione fa salva tuttavia la norma contenuta nel decreto legislativo n. 368 del 2001 che prevede che l'individuazione di limiti quantitativi di utilizzazione dell'istituto del contratto a tempo determinato è affidata ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati, e che sono comunque esclusi da detti limiti i contratti a tempo determinato conclusi nella fase di avvio di nuove attività, per ragioni di carattere sostitutivo, o di stagionalità, per specifici spettacoli ovvero specifici programmi radiofonici o televisivi, e con lavoratori di età superiore a 55 anni;
   nonostante il mantenimento di questi limiti il nuovo limite del 20 per cento sul personale impiegato sta creando seri disagi a numerose aziende, sia perché per alcune tipologie di esse impedisce la flessibilità in entrata, sia perché, sul versante opposto, rischia di obbligare alcune imprese a licenziare i lavoratori assunti a tempo determinato eccedenti il predetto limite in base alla previgente normativa;
   con riguardo alla flessibilità in entrata basti pensare al sistema cooperativistico per cui i soci delle cooperative, ed in particolar modo quelle sociali, oltre alla qualifica di socio, nel momento in cui effettuato attività lavorativa o servizi a carattere non continuativo, sottoscrivono, per il tempo necessario dei contratti a tempo determinato con la medesima cooperativa;
   inoltre, la individuazione del parametro di riferimento ai contratti a tempo indeterminato in essere al 1o gennaio dell'anno in corso e non al personale effettivamente assunto in azienda al momento dell'eventuale assunzione a tempo determinato, rischia di penalizzare le aziende in fase di espansione o di elevata crescita produttiva;
   stante la difficile condizione del mercato del lavoro, è indubbio che sia meglio che un disoccupato possa fruire di un contratto di lavoro di anche solo tre mesi, invece di dover patire il dramma della disoccupazione;
   ciascun disoccupato assunto anche solo per pochi mesi, non solo è un disoccupato in meno a carico degli ammortizzatori sociali, ma diventa anche esso stesso contribuente degli istituti previdenziali, non costituendo così più un costo per la collettività ma una risorsa e un nuovo contribuente, sebbene temporaneo –:
   se non ritenga di assumere iniziative nel senso di prevedere una più esaustiva disciplina dei casi di esclusione dal limite di cui in premessa, se del caso ideando, per le aziende ammesse al regime derogatorio, meccanismi di incentivazione basati sul modello di sgravi contributivi, per l'assunzione di lavoratori con contratti a tempo determinato di lunga durata;
   quali iniziative intenda assumere affinché le imprese che alla data del 1o settembre 2014 abbiano in essere un sovrannumero di contratti a tempo determinato rispetto al limite di cui in premessa possano mantenere tale personale senza incorrere in sanzioni sino alla scadenza naturale degli stessi contratti. (4-05452)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   dall'11 agosto al 22 settembre 2014, in Abruzzo, scatta il fermo pesca per tutte quelle imbarcazioni munite dell'attrezzatura per l'attività «a strascico». Per tutte le altre della piccola pesca è consentita l'attività solo sotto costa. Il provvedimento che il Ministero delle politiche agricole si appresta a firmare è quasi una replica degli ultimi anni: un fermo pesca nel pieno dell'estate (l'anno scorso dal 5 agosto e nel 2012 il 6 agosto), con danni enormi all'economia marittima e turistica;
   la zona di pesca che va da Pesaro a Brindisi sarà congelata dall'11 agosto al 21 settembre e nelle dieci settimane successive sono previsti due giorni di stop. L'area che va da Trieste a Rimini si fermerà invece dal 28 luglio al 7 settembre. In tutto 42 giorni di stop, secondo i piani di gestione, per garantire il ripopolamento della specie ittica. Gli indennizzi per il fermo pesca 2013 sono stati solo da poco sbloccati;
   in una nota le Associazioni dei pescatori segnalano che il fermo biologico fu applicato per la prima volta nel 1986 ed è poi diventata una legge che non ha portato risultati o vantaggi, né per il mare né per gli operatori;
   secondo gli armatori, il Governo, dovrebbe consentire alle imprese di stabilire i 40 giorni di fermo nell'arco dell'intero anno;
   pochi giorni fa il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha sbloccato 30 milioni di euro della cassa integrazione per i fermi biologici 2013 e 2014, dando precedenza all'anno scorso e secondo gli operatori sono assolutamente insufficienti;
   l'anno scorso alla marineria di Pescara, a causa dei problemi di insabbiamento del porto, fu riconosciuta una deroga del fermo biologico con uno sconto di 8 giorni: deroga che quest'anno non c’è;
   le associazioni dei pescatori pescaresi ricordano che nel 2013 fu un disastro perché dopo 11 mesi di stop forzato, ci fu pure il fermo biologico. Ora si conferma un fermo per altri 40 giorni e questo complica ulteriormente le cose per un settore economico già in ginocchio da anni per le note vicende del prolungato blocco del Porto di Pescara a seguito del mancato dragaggio;
   il danno all'economia marittima si trasferisce al settore turistico, alberghiero, balneare e della ristorazione strettamente legato alla fornitura del pesce fresco che subirà rincari e difficoltà logistiche nell'approvvigionamento che si ripercuoteranno inevitabilmente sui turisti –:
   quali iniziative intenda assumere per ottenere la deroga al fermo biologico per la marineria di Pescara a seguito dei danni subiti negli anni precedenti e più in generale per evitare che il fermo biologico coincida con il periodo dell'alta stagione turistica della costa adriatica. (4-05456)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   MINARDO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il reparto di pediatria dell'ospedale Maggiore di Modica, a causa della mancanza di personale medico, è stato chiuso. Questa grave decisione è stata presa dalla regione probabilmente per ragioni di risparmio, vista la crisi regionale nel settore sanità e la sottoposizione della stessa regione al piano di rientro per disavanzo sanitario;
   appare, pertanto, discutibile la decisione di chiudere il reparto di pediatria per la mancanza di medici senza, per questo pensare, minimamente all'utenza ed al diritto alla salute dei cittadini, in questo caso bambini ed adolescenti;
   il reparto pediatria dell'ospedale di Modica, tra l'altro, è stato gestito fino alla chiusura con grande professionalità dal personale medico e paramedico che, è sempre stato in grado di gestire il reparto con competenza e preparazione;
   la regione, ad avviso dell'interrogante, sta gestendo in modo non congruo e superficiale la sanità in Sicilia ed in provincia di Ragusa elaborando un programma di riordino degli ospedali non rispondente alle esigenze di salute dei cittadini –:
   di quali elementi disponga il Ministro in relazione alla soppressione della struttura di cui in premessa, unica in un comprensorio molto vasto, se essa sia indispensabile ai fini della razionalizzazione della spesa sanitaria e dell'attuazione del piano di rientro;
   quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, per salvaguardare i livelli essenziali di assistenza, poiché la decisione di chiudere il reparto di pediatria rischia, nel futuro prossimo, di creare problemi per la salute dei cittadini.
(4-05448)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   la cooperativa agricola: «il Forteto», situata in prossimità nel comune di Vicchio, in provincia di Firenze, è stata nel recente passato, al centro delle cronache giornalistiche, per varie vicende giudiziarie le prime due concluse con sentenze di condanna passate in giudicato e la terza tutt'ora in corso, a seguito di una serie di abusi sessuali e maltrattamenti anche su minori accaduti all'interno della medesima struttura;
   secondo indagini svolte dagli organi giudiziari, gli abusi nei confronti di numerosi minori costretti a lavori esasperanti, con punizioni corporali per futili motivi, soprusi di ogni genere ed incentivi all'omosessualità sono stati principalmente provocati dal fondatore della comunità, Rodolfo Fiesoli, attualmente sotto processo con altre 22 persone per reati sessuali e maltrattamenti, da tutti riconosciuto come il leader carismatico della comunità-cooperativa, noto alle cronache come «Il profeta»;
   le indagini effettuate dagli organi inquirenti, hanno infatti accertato una promiscuità tra la comunità definita dagli organi d'informazione: «degli orrori» e la medesima cooperativa agricola, entrambe fondate dal suindicato ideatore Fiesoli;
   l'interpellante evidenzia come a seguito di quattordici mesi di controlli conclusi con la richiesta di commissariamento, il Ministero dello sviluppo economico, (come confermato dal quotidiano: «il Corriere fiorentino» lo scorso 2 luglio), ha tuttavia stabilito che le irregolarità emerse all'interno della cooperativa mugellana, potevano essere comunque sanate, consentendo inoltre per l'attuale consiglio di amministrazione di rimanere in ogni modo in carica;
   l'avvio dell'inchiesta intrapresa dal precedente Governo e proseguita anche dall'attuale Esecutivo, con la recente decisione del Ministero dello sviluppo economico, cui compete la vigilanza sulle cooperative, di regolarizzare le criticità oggetto di prescrizione, a seguito delle numerose irregolarità riscontrate, ha suscitato evidenti e comprensibili reazioni sia da parte delle vittime che hanno subito i maltrattamenti e dei rispettivi familiari, che da parte delle numerose forze politiche locali;
   l'interpellante evidenzia come la conferma di quanto predetto è confermato dall'invio di una lettera al Ministero interpellato, in data 31 gennaio 2013, da parte della Commissione regionale sviluppo economico onde sollecitare la valutazione dei presupposti per un'ispezione ministeriale presso la cooperativa «Il Forteto»;
   l'interpellante rileva altresì, come la vicenda sia stata peraltro oggetto di particolare interesse da parte di numerosi quotidiani quali: «la Repubblica» edizione di Firenze, il suesposto «il Corriere fiorentino», i quali in data 2 luglio 2014, hanno evidenziato come l'episodio richiamato, rappresenti un paradosso, se si valuta la decisione iniziale da parte dello stesso Ministero interrogato (del Governo Letta), di inviare gli ispettori presso la cooperativa: «il Forteto», la successiva richiesta dei medesimi, del commissariamento a seguito delle verifiche effettuate e infine quanto stabilito dallo stesso dicastero (Governo Renzi), di non procedere alla sostituzione degli amministratori, contravvenendo pertanto gli accertamenti iniziali degli stessi ispettori ministeriali;
   l'interpellante evidenzia inoltre come anche da un articolo pubblicato dal quotidiano: «Il Giornale», lo scorso 4 luglio, emerga un quadro dettato dagli ispettori medesimi, di rilevante gravità in ordine alle irregolarità relative anche ad una serie di violazioni dello statuto e del regolamento interno, i quali hanno aggiunto che la situazione di pericolosità non appare sostanzialmente mutata;
   la recente decisione di non commissariare la suindicata cooperativa pertanto, a giudizio dell'interpellante appare pertanto tanto grave con riferimento all'andamento del processo in corso, contro il fondatore della comunità agricola, Fiesoli, (condannato negli anni ‘80 per reati analoghi, con una sanzione giunta all'Italia dalla Corte di giustizia europea), quanto sconcertante se si valuta il cambio di atteggiamento del Governo in relazione all'invio degli ispettori tramessi in precedenza dal Ministero interpellato, che hanno trasformato la richiesta di commissariamento in diffida (non perché avevano sbagliato la prima analisi, ma solo per un diverso comportamento dettato dalla scelta del Consiglio di amministrazione del Forteto di modificare lo statuto e redigere un codice etico);
   l'articolo pubblicato dal suddetto quotidiano inoltre, coinvolge anche l'attuale Ministro del lavoro e delle politiche sociali ed ex vicepresidente nazionale di Legacoop (l'associazione nazionale delle cooperative i cui rapporti consolidati con il Partito democratico, sono noti) che si è sempre opposta al provvedimento di commissariamento in quanto «il Forteto» risulta essere socio;
   l'interpellante evidenzia inoltre come i fatti descritti siano stati evidenziati dalla relazione conclusiva della Commissione d'inchiesta sull'affidamento dei minori istituita in seno al Consiglio regionale della Toscana che ha svolto i suoi lavori dal 1o giugno 2012 al 16 gennaio 2013. Relazione approvata all'unanimità dalla Commissione stessa e successivamente inviata, assieme agli atti della Commissione alla procura di Firenze, titolare dell'inchiesta sui presunti abusi;
   a giudizio dell'interpellante appare altresì rilevante segnalare come nel corso degli anni la cooperativa e la fondazione «Il Forteto» hanno ricevuto finanziamenti da parte della regione Toscana, alcuni dei quali oggetto d'indagine giudiziaria. Nello specifico fondi sarebbero stati destinati a finanziare due convegni di formazione all'educazione dei minori, che secondo i pubblici ministeri titolari dell'inchiesta, non si sarebbero mai svolti così come emerge dalle cronache del marzo 2014;
   la suesposta vicenda a parere dell'interpellante, desta perplessità e preoccupazione, se le notizie pubblicate dai quotidiani in precedenza riportati fossero confermate, sia con particolare riferimento ai gravissimi episodi accaduti all'interno della struttura agricola «Il Forteto», oggetto peraltro di una serie di atti di sindacato ispettivo presentati sia nella scorsa legislatura, che nella presente, dal contenuto allarmante in relazione agli incredibili episodi di violenze e maltrattamenti di ogni genere accaduti, (per i quali non sono seguite risposte da parte dei Governi), che in attinenza alle decisioni intraprese dal Ministero interrogato, che ha respinto la richiesta avanzata dai suoi stessi controllori e per le quali necessitano ulteriori chiarimenti –:
   quali orientamenti nell'ambito delle rispettive competenze intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se intendano confermare le motivazioni per le quali, il Governo ha deciso di non commissariare la cooperativa agricola «Il Forteto», nonostante le ispezioni ministeriali avessero evidenziato una serie di gravissimi episodi di violenza accaduti all'interno della struttura, che si sono perpetuati nel corso degli anni e per i quali è in corso un processo nei confronti del fondatore della comunità e della cooperativa stessa Rodolfo Fiesoli;
   se sia noto quali siano le motivazioni per i quali la medesima cooperativa, nonostante una precedente condanna per abusi sessuali e maltrattamenti nei riguardi di Fiesoli, abbia continuato ad ottenere l'affidamento dei minori e a mantenere rapporti con i servizi sociali e l'autorità giudiziaria per la gestione dei minori in affido a terzi;
   quali siano altresì i motivi per i quali, nonostante le accuse, le denunce, la creazione di un profilo chiamato «falsi educatori» sul network «Facebook» in cui si raccontano le presunte violenze commesse all'interno della comunità «Il Forteto», detta struttura abbia continuato a funzionare;
   se non ritengano urgente ed opportuno, che a seguito delle conclusioni stilate dagli ispettori ministeriali, che evidenziano nel complesso un quadro allarmante e di persistente pericolosità in ordine alla tutela e alla sicurezza interna degli individui che lavorano dentro la cooperativa richiamata, prevedere iniziative volte ad avviare nuovamente ulteriori indagini ispettive, in considerazione della gravità dei fatti esposti in premessa, del processo in corso nei riguardi del fondatore della cooperativa e delle denunce dei diretti interessati, che evidentemente smentiscono la decisione finale del Governo di non commissariare l'azienda agricola del Mugello.
(2-00622) «Parisi».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FEDRIGA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   già con atto di sindacato ispettivo n. 5-02431, tuttora privo di risposta, l'interrogante poneva l'attenzione del Governo sull'operato poco chiaro di Fincantieri nel processo di riorganizzazione, che ha visto chiedere la cassa integrazione per i dipendenti dello stabilimento di Monfalcone e l'utilizzo in trasferta presso lo stesso stabilimento di personale proveniente dai cantieri di Castellammare di Stabia, Palermo ed Ancona;
   secondo l'articolo de Il Piccolo di Trieste del 3 luglio 2014, al tavolo della trattativa nella sedi di Confindustria-Gorizia, la Fincantieri ha confermato la volontà di procedere dal 14 luglio 2014 con la proposta del 6x6 (6 ore per 6 giorni alla settimana per circa 140 persone, chiamate a lavorare su tre turni: 6-12; 12-18; 18-24), prospettando l'ipotesi di spostare i carichi di lavoro altrove; 
   le motivazioni aziendali sono di voler recuperare efficienza e produttività, che a Monfalcone sono tra le più basse, dichiarando che la nuova organizzazione «porterà al quasi azzeramento della cassa integrazione guadagni straordinaria e quindi ad un minore ricorso all'appalto»;
   le rappresentanze sindacali unitarie, dal canto loro, controproponevano di sperimentare per un mese la flessibilità nello stabilimento di Monfalcone o in alternativa di effettuare solo il turno mattutino al sabato e, dinanzi all'intransigenza dell'azienda a trattare, al tavolo è stata rottura e le rappresentanze sindacali hanno dichiarato lo sciopero degli straordinari –:
   se, alla luce delle dichiarazioni della Fincantieri riportate sull'articolo citato in premessa, con riguardo all'ipotesi di spostare i carichi altrove e al fatto che la formula «6x6» ridurrà sia la cassa integrazione guadagni straordinaria che il ricorso agli appalti, non si ritenga doveroso ed urgente dare seguito a quanto già chiesto con il precedente atto di sindacato ispettivo presentato dall'interrogante, ovvero adottare urgentemente ogni iniziativa di competenza affinché Fincantieri assicuri un management teso allo sviluppo della cantieristica, alla tutela dei propri dipendenti ed alla salvaguardia di tutti gli stabilimenti e non solo di quelli ubicati al Centro-sud;
   se non si ritenga opportuno, alla luce dello stato in cassa integrazione guadagni straordinaria di un considerevole numero di dipendenti dello stabilimento di Monfalcone, appurare le ragioni del ricorso alle ore di straordinario per i restanti dipendenti. (5-03197)


   DE MENECH. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 18 maggio 2013 è stato inaugurato per iniziativa dell'associazione bellunesi nel mondo, presso la propria sede, il MiM Belluno – museo interattivo delle migrazioni. Un museo innovativo che utilizza la multimedialità quale linguaggio dell'attuale comunicazione;
   secondo quanto stabilito nel proprio statuto, l'associazione bellunesi nel mondo è apartitica, non persegue fini di lucro e si propone di svolgere, alla luce dei principi cristiani, la più ampia opera di solidarietà morale, sociale, culturale a favore dei bellunesi nel mondo e loro discendenti, degli ex emigranti, degli immigrati in provincia di Belluno e di coloro che intendono emigrare;
   anche il museo è ispirato agli stessi principi e non prevede il pagamento di biglietti d'ingresso, è interamente gestito da volontari, promuove la realtà delle migrazioni (emigrazione ed immigrazione) e svolge un'opera didattica nelle scuole;
   essendo un museo interattivo nella sua sede sono presenti diverse postazioni multimediali che fanno uso di un monitor per la proiezione di interviste, documentari, grafici, tutti realizzati in loco. I monitor sono indipendenti e proiettano file presenti in chiavette USB o attraverso la rete interna, ma non è presente nessuna antenna;
   tuttavia, a quanto consta all'interrogante il giorno 9 gennaio 2014, presso la sede del MiM si sarebbe presentato un addetto della RAI il quale avrebbe attivato per l'Associazione bellunesi nel mondo un nuovo «abbonamento speciale» per il semplice fatto che sono presenti dei monitor di ultima generazione predisposti, con l'attacco per l'antenna, nonostante sia stato ampiamente illustrato quali siano le finalità del Museo, quali siano i criteri di gestione e sopratutto il fatto i suddetti monitor siano esclusivamente utilizzati per le finalità istituzionali senza alcun collegamento all'antenna televisiva;
   il tema di una rinnovata disciplina del canone televisivo è al centro dell'attenzione degli organi di informazione che, con frequenti articoli segnalano richieste di pagamento apparentemente incongrue, pur nella consapevolezza delle necessità di un serio contrasto del fenomeno dell'evasione;
   il 17 giugno 2014, in occasione dell'esame del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 è stato accolto dal Governo l'ordine del giorno 9/2433/90, a prima firma dell'onorevole Peluffo, volto, tra l'altro, ad impegnare il Governo «a presentare, entro il 31 dicembre 2014, una proposta di riforma organica del canone» –:
   se non ritengano che, nelle circostanze sommariamente evidenziate in premessa, non si ravvisino le caratteristiche per esentare dal pagamento del canone televisivo quelle realtà museali che, senza alcun fine di lucro, si prefiggono scopi sociali e che, pur utilizzando la tecnologia multimediale, assicurino condizioni tecniche per non usufruire del servizio radiotelevisivo. (5-03198)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RIZZETTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso che il Gestore dei servizi energetici (GSE) non ha effettuato i dovuti pagamenti degli incentivi, entro il 30 giugno 2014, ai proprietari di impianti a fonti rinnovabili;
   a riguardo, il GSE ha proceduto all'invio di comunicazioni dal seguente tenore: «Gentile Operatore, la informiamo che per problemi tecnici non ci è stato possibile procedere, entro il 30 giugno 2014, al pagamento delle competenze relative alla produzione del Suo impianto nel mese di aprile 2014. Scusandoci per il disagio arrecato, La informiamo che il GSE ha disposto il pagamento a lei dovuto con valuta beneficiario 9 luglio 2014»;
   si evidenzia che, di frequente, i pagamenti in questione vengono corrisposti con ingiustificato ritardo e ciò si traduce in un danno ingiusto per i proprietari degli impianti che devono anticipare ogni costo;
   tali ritardi, ad avviso degli interroganti, mettono in luce la disorganizzazione e, dunque, la difficoltà del GSE di adempiere al compito a cui è tenuto istituzionalmente di gestire i conti e i pagamenti;
   i proprietari di impianti non possono essere penalizzati dalle difficoltà tecniche o di gestione del GSE; è necessario quindi procedere al riconoscimento degli interessi moratori qualora i pagamenti degli incentivi non vengano effettuati puntualmente –:
   se e quali iniziative intenda urgentemente adottare il Ministro interrogato affinché il GSE proceda ad una corretta gestione dei pagamenti e laddove l'adempimento avvenga in ritardo garantisca, oltre all'incentivo dovuto, la corresponsione degli interessi moratori ai proprietari di impianti che, altrimenti, riceverebbero un danno ingiusto. (4-05459)


   FERRARESI, SARTI, SPADONI, MUCCI, DALL'OSSO, PAOLO BERNINI, ZOLEZZI, DE ROSA e DELL'ORCO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in seguito al grave evento sismico che nel maggio 2012 ha devastato parte del territorio dell'Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, il presidente della regione Emilia Romagna, nonché commissario straordinario incaricato, ha istituito una commissione composta di autorevoli scienziati (International Commission on Hydrocarbon Exploration and Seismicity in the Emilia Region – ICHESE) a sua volta incaricata di valutare le possibili relazioni di concausa tra le attività estrattive di idrocarburi e l'accentuato aumento di sismicità dell'area; tale Commissione si è espressa nel febbraio 2014 con il «Report on the Hydrocarbon Exploration and Seismicity in Emilia Region»;
   nelle conclusioni del rapporto si legge, sintetizzando, che:
    «1. Esiste una correlazione statistica tra l'aumento della sismicità prima del 20 maggio 2012 e l'aumento dei parametri di produzione da aprile-maggio 2011. Quindi non può essere escluso che le azioni combinate di estrazione ed iniezione di fluidi in una regione tettonicamente attiva possano aver contribuito, aggiungendo un piccolissimo carico, alla attivazione di un sistema di faglie che aveva già accumulato un sensibile carico tettonico e che stava per raggiungere le condizioni necessarie a produrre un terremoto;
    2. L'attuale stato delle conoscenze e l'interpretazione di tutte le informazioni raccolte ed elaborate non permettono di escludere, ma neanche di provare, la possibilità che le azioni inerenti lo sfruttamento di idrocarburi nella concessione di Mirandola possano aver contribuito a «innescare» l'attività sismica del 2012 in Emilia;
    3. Pertanto sarebbe necessario avere almeno un quadro più completo possibile della dinamica dei fluidi nel serbatoio e nelle rocce circostanti al fine di costruire un modello fisico di supporto all'analisi statistica.
    4. L'implementazione di un Programma di Interazione e Comunicazione con la popolazione e gli amministratori locali ha una importanza critica perché venga acquisita fiducia nella gestione ottimale delle operazioni»;
   dopo la pubblicazione del rapporto, il Ministero dello sviluppo economico, nella persona del dirigente ingegnere Terlizzese, ha nominato una ulteriore commissione per sviluppare quanto raccomandato nelle conclusioni della commissione ICHESE;
   il Ministero dello sviluppo economico, la regione Emilia Romagna e le società Padana Energia s.p.a., il 17 aprile 2014, hanno firmato un «accordo di collaborazione relativo all'attività di monitoraggio e studio nella concessione Mirandola “Laboratorio Cavone”», dando seguito alle raccomandazioni del rapporto ICHESE;
   il giacimento Cavone occupa una parte di una articolata struttura anticlinalica nel sottosuolo di Novi, San Possidonio e Mirandola, in provincia di Modena, nell'area epicentrale dell'evento sismico del 29 maggio 2012; è entrato in produzione nel 1979 gestito da ENI; nel 1990 si estraevano 144 mila tonnellate annue di petrolio, nella prima decina di anni del 2000 la quantità di petrolio estratto era di circa 30.000 tonnellate all'anno, circa l'80 per cento in meno rispetto al picco precedente; nel 2010 il giacimento è stato ceduto a Padania Energia, società del gruppo Gas Plus;
   il sottosuolo interessato rappresenta una porzione di crosta deformata e sismicamente attiva composto da varie faglie le quali si sono riattivate a partire dal 20 maggio 2012;
   l'ultimo evento sismico significativo è avvenuto il 20 giugno 2014, di magnitudo 2.8, a profondità di 3.50 chilometri, con epicentro in località «Quaderlina», a metà strada tra Mirandola e la frazione di Fossa, dopo soli quattro giorni che erano terminate le iniezioni di fluidi nel pozzo «Cavone 14» nell'ambito delle prove avviate di monitoraggio e studio, a soli pochi chilometri di distanza;
   dal primo rapporto della sperimentazione pubblicato in rete (http://labcavone.it/it/) «Allegato al rapporto del 27 giugno 2014 – Risultati del Programma di Prove», si evince che: «l'iniezione d'acqua nel campo di Cavone non ha pressurizzato il sistema» ed anche che «la variazione di pressione interna del pozzo di reiniezione 14 non risulta significativa già nei pozzi vicini, e risulta praticamente nulla in corrispondenza dei pozzi più lontani e ai bordi del giacimento»;
   i dati dimostrerebbero che i fluidi iniettati nel pozzo 14 non causano modificazioni nei pozzi circostanti, quindi, si lascia intendere, che i fluidi nel sottosuolo non possono essersi dispersi fino ad attivare il primo terremoto del 20 maggio 2012, distante circa 20 chilometri;
   il quotidiano stampa Il Resto del Carlino edizione di Modena, qualche giorno dopo l'uscita di questi risultati, ha pubblicato una intervista alla dottoressa Fedora Quattrocchi, dirigente dell’ Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV) e scienziata di fama internazionale, circa le sperimentazioni al Cavone; la scienziata ha affermato che: «Sono pressoché inutili gli esperimenti al Cavone, non dicono niente del sisma del 2012», ha detto pure che: «Manca tutta la modellizzazione dinamica tridimensionale di flusso e trasporto reattivo geomeccanico sull'intero blocco crostale nel mezzo tra il Cavone 14 e la faglia che si attivò nel 2012»;
   è noto da anni che non vi è collegamento tra il pozzo «Cavone 14» e quelli circostanti dove non sono state registrate modificazioni in seguito al pompaggio di fluidi al suo interno durante la sperimentazione; lo riconferma una nota di ARPA sezione di Modena, del 5 luglio 2011, (prot. 2011/9905) «Considerazioni sulle prescrizioni del pozzo di reiniezione acque in unità geologica profonda – Cavone 14, prescrizione 6: “ulteriore conferma della scelta dell'unità geologica profonda per le sue caratteristiche di recettività e di non interferenza con il resto del giacimento è evidenziata dall'andamento erogativo dei pozzi limitrofi che non è stato interessato dall'attività di reiniezione in corso da circa tre decenni”»; era quindi noto che iniettando fluidi nel pozzo «Cavone 14» niente sarebbe stato registrato nei pozzi vicini;
   i pozzi attorno al pozzo 14 non circondano il pozzo di reiniezione 14, ma sono disposti su un allineamento lungo l'asse della struttura che è suddivisa in vari blocchi da diverse faglie e senza il modello strutturale del sottosuolo non è possibile addivenire ad alcuna considerazione scientificamente degna di nota;
   da più parti, sia da parte dei cittadini del territorio interessato dagli eventi sismici del maggio 2012, sia da parte di diverse personalità del mondo scientifico nazionale – come, secondo quanto risulta agli interroganti, il professor Franco Ortolani, professore di geologia presso l'Università Federico II di Napoli – si chiedono maggiori informazioni sugli studi in corso, in particolare di conoscere:
    1. la ricostruzione della struttura tridimensionale del giacimento Cavone e delle aree circostanti;
    2. l'ubicazione dei pozzi con sezioni geologiche parallele e perpendicolari alla struttura con sopra riportati i pozzi in scala e il loro uso;
    3. l'ubicazione in mappa e sezione degli ipocentri registrati prima e dopo e durante la crisi sismica del maggio 2012;
    4. il tipo di misure, e loro motivazione, effettuate nell'ambito della sperimentazione Cavone; durata e pressione delle iniezioni nel pozzo 14 e durata e pressione adottate prima del sisma;
    5. la sezione geologica attraverso il pozzo 14 e l'ipocentro del sisma del 20 giugno 2014;
    6. i rilievi idrogeologici ed idrogeochimici dell'area di sperimentazione Cavone mirati alla ricostruzione del contesto idrogeologico degli acquiferi compresi tra la struttura dove avviene la reiniezione e la superficie del suolo mirati alla ricostruzione del contesto idrogeologico del sottosuolo attraversato dai pozzi e alla definizione della geometria degli acquiferi e delle eventuali contaminazioni;
    7. la caratterizzazione chimica delle acque di giacimento e dei fluidi impiegati nelle reiniezioni;
    8. la caratterizzazione geomeccanica delle rocce attraversate fino a fondo pozzo;
   risulta agli interroganti che le reiniezioni di fluidi nel sottosuolo sono regolate come previsto dal decreto legislativo n. 152 del 2006, articolo 104, comma 3, e dalle norme tecniche riportate nell'allegato 5 della deliberazione del Comitato dei Ministri per la tutela delle acque dall'inquinamento del 4 febbraio 1977 – Criteri, metodologie e norme tecniche generali di cui all'articolo 2, lettere b), d) ed e), della legge 10 maggio 1976, n. 319, recante norme per la tutela delle acque dall'inquinamento;
   questa importante delibera individua una serie di requisiti generali per lo scarico di reflui nel suolo in merito alla immissione in unità geologiche profonde; la delibera recita: «In particolare deve essere accertata e debitamente documentata l'esistenza delle seguenti condizioni: – che trattasi di formazioni geologiche atte a ricevere gli effluenti, sicuramente isolate dalla superficie e dai serbatoi contenenti acqua dolce e/o altre risorse utili; – che dette formazioni siano situate in zone tettonicamente e sismicamente favorevoli»;
   il sottosuolo che ospita il giacimento Cavone è notoriamente interessato da faglie attive sismo genetiche, come dimostrato inequivocabilmente dagli eventi sismici del maggio 2012 e come riconosciuto anche dalla commissione ICHESE che definisce la regione «tettonicamente attiva»;
   il  principio di precauzione, sancito dall'articolo 191 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, impone di intervenire anche in assenza di una piena certezza scientifica e di prove sufficienti a dimostrare l'esistenza di un nesso causale tra l'esercizio di talune attività e gli effetti nocivi sull'ambiente e sul territorio (si veda ad esempio Corte di Giustizia, sentenza 5 maggio 1998, causa C-157/96, National Farmers’ Union e a., in Racc., 1998, I-2211 ss.) –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare il Governo, nell'ambito delle proprie competenze, per:
    a) rendere disponibili, come evidenziato in premessa, i dati richiesti dai cittadini e dal mondo accademico;
    b) permettere di chiarire se sia possibile o meno escludere che il sisma del 20 giugno 2014, con profondità ipocentrale identica a quella del fondo foro ubicato a pochi chilometri distanza del pozzo «Cavone 14» sia stato indotto dalle iniezioni effettuate nel pozzo stesso, così come se vi sia correlazione con l'aumento della sismicità prima del 20 maggio 2012;
   se le iniezioni di acque di giacimento, nel sottosuolo del pozzo «Cavone 14», siano state eseguite nel rispetto della normativa che regola la tutela delle acque dall'inquinamento e se l'area descritta sia idonea tettonicamente e sismicamente per la reiniezioni di fluidi nel sottosuolo;
   se non si ritenga necessario adottare un'iniziativa che, nelle more dei lavori della Commissione incaricata, per le attività in terraferma e in relazione alle aree del territorio nazionale ad alto e medio rischio sismico, vieti il rilascio di nuovi titoli minerari e sospenda l'efficacia dei titoli in corso. (4-05460)


   CATALANO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Poste italiane è uno società a controllo pubblico, alla cui guida è stato recentemente nominato Francesco Caio, subentrato come amministratore delegato del gruppo a Massimo Sarmi;
   con numerose interrogazioni, rimaste quasi integralmente prive di risposta, l'interrogante ha denunciato gravissime criticità verificatesi durante la passata gestione, in particolare per quanto riguarda le strutture di tutela aziendale e la gestione delle risorse umane;
   è in corso l’iter per procedere alla privatizzazione parziale della società, tramite la vendita del 40 per cento delle relative quote sociali;
   CISL-SLP è il sindacato assolutamente maggioritario in Poste italiane, risultando ad essa tesserato oltre un terzo dei dipendenti, mentre il secondo sindacato in ordine numerico non raggiungerebbe neppure la metà di tale percentuale;
   Mario Petitto, segretario di Cisl SLP, ha dichiarato in un'intervista pubblicata il 13 gennaio 2014 che «porremmo la questione della partecipazione dei lavoratori alle quote azionarie di Poste Italiane. Proprio nei giorni scorsi è andata in porto la privatizzazione della Royal Mail, anche se lì si è trattato di un processo totale, nel senso che lo Stato non ha più il controllo delle Poste inglesi. In quell'occasione il 10 per cento delle azioni sono state conferite gratuitamente ai lavoratori»;
   l'inchiesta dell'Espresso del 9 settembre 2005, denominata «Posto Prioritario», denunciante diffuse prassi clientelari nella gestione delle risorse umane nella società, si basa, tra l'altro, su un database interno alla società, un vero e proprio archivio contenente le segnalazioni, finalizzate all'assunzione o alla promozione di una serie assai corposa di nominativi, inoltrate da politici, cardinali e sindacalisti, al di fuori di qualsiasi canone di trasparenza e di pari opportunità;
   il cessato amministratore delegato, Massimo Sarmi, risulta aver inoltrato 140 raccomandazioni;
   nella medesima inchiesta, si legge che «il capitolo più delicato, in questa storia, è forse quello che riguarda il sindacato, controparte dell'azienda e nume tutelare dei lavoratori»;
   per quanto riguarda specificamente le segnalazioni da parte dei vertici dei sindacati, si legge che «il cognome di Ciro Amicone, segretario generale della Uil Post, compare nel database 60 volte, legato ad assunzioni a tempo indeterminato, contratti di somministrazione lavoro o sviluppi di carriera», che «altrettanto attivo (80 presenze) è Carlo Ciancio, segretario generale Sailp (Sindacato autonomo italiano lavoratori postelegrafonici), il quale raccomanda R.P., secondo Poste Italiane «nipote della moglie di Ciancio, inserita dalla (società) Select su Napoli sportello dal 26 gennaio al 30 aprile 2005» che «il segretario della Cisl, Sabino Pezzotta, si interessa del signor P. C., la cui assunzione richiesta il 29 dicembre 2003 avviene a tempo indeterminato il 16 marzo 2004» che «in altri file spuntano i cognomi di Donatello Bertozzi, consulente politico della segreteria generale Cisl, Antonino Sorgi (segretario della Slp-Cisl), Mario Petitto (segretario generale Slp-Cisl) e Walter De Candiziis, segretario generale della Federazione autonoma italiana lavoratori postelegrafonici (Failp-Cisal)» e infine che «vero mattatore del database è Serafino Cabras, segretario generale dell'Ugl (Unione generale del lavoro), a quota 94 presenze. A suo nome, gli uomini di Poste Italiane hanno creato tabulati riassuntivi per tenere sotto controllo le pratiche. Sempre a suo nome viene stilata da Poste Italiane il 6 giugno 2005 una nota riservata che ha per oggetto i contratti di somministrazione delle signore B. M. e F. C. D. F.. E tracce della sua attività si trovano anche in un file definito «confidenziale», dove le pratiche a lui riconducibili sono suddivise in «assunzioni» e «sviluppo»;
   come si apprende da fonti di stampa (v. ex pluribus, Il Fatto Quotidiano del 11 novembre 2013), la Cisl, oltre al suo ruolo sindacale, riveste anche quello di fornitore di servizi per Poste Italiane (oltre che per altri 700 tra Enti e Aziende pubbliche), attraverso la propria rilevante partecipazione di FINLAVORO nella società EUSTEMA;
   fonti giornalistiche (v. ex pluribus, Il Foglio del 25 novembre 2009) hanno denunciato l'esistenza di una evidente intesa con connessa spartizione di potere all'interno della società, tra Massimo Sarmi e CISL – SLP;
   l'interrogante già l'11 marzo 2014 in Commissione Trasporti, durante l'audizione del viceministro Morando, ha denunciato l'impropria commistione azienda – sindacati –:
   se quanto premesso corrisponda al vero;
   quali verifiche e iniziative siano state adottate a seguito dell'inchiesta giornalistica di cui in premessa, e quale sia il loro esito;
   se intenda valutare l'assunzione di iniziative, anche normative, per evitare il conferimento di ruoli dirigenziali a soggetti che rivestono importanti ruoli sindacali o l'assunzione di loro familiari;
   se il Governo non ritenga che sussistano rischi di conflitto di interesse tra l'attività sindacale della CISL all'interno di enti e società pubbliche e l'attività imprenditoriale svolta dalla stessa CISL a favore dei medesimi soggetti;
   quali iniziative intenda adottare Governo per assicurare che la gestione delle risorse umane in Poste italiane sia legata a criteri meritocratici;
   come il Governo valuti l'ipotesi di assegnazione di quote sociali ai dipendenti. (4-05463)

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta immediata in Assemblea Dorina Bianchi n. 3-00931, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Tancredi.

Cambio di presentatore di interrogazione a risposta in Commissione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-02227, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 febbraio 2014, è da intendersi presentata dall'onorevole Taricco, già cofirmatario della stessa.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta orale Terzoni n. 3-00910 del 1o luglio 2014.

Ritiro di una firma da una interrogazione.

  Interrogazione a risposta in Commissione Taricco e altri n. 5-02227, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 febbraio 2014, è stata ritirata la firma del deputato Biondelli.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Labriola n. 4-03754 del 27 febbraio 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-03190.
   interrogazione a risposta scritta Labriola n. 4-04828 del 15 maggio 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-03191.