Camera dei deputati

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 1 luglio 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    la libertà religiosa è uno dei diritti fondamentali della persona che ogni Stato dovrebbe tutelare, oltre che riconoscere;
    la Costituzione, all'articolo 19, riconosce in modo ampio la libertà di religione, intesa quale diritto di ogni individuo di professare liberamente la propria fede e farne propaganda, nonché di esercitare in privato e in pubblico il culto e, all'articolo 8, riconosce che tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge;
    nella Dichiarazione Onu del 1948 tutti gli Stati che ne fanno parte si impegnano a garantire non tanto e non solo una mera tolleranza religiosa verso le minoranze, bensì una piena libertà religiosa per tutte e per tutti;
    dati recenti testimoniano che il 70 per cento della popolazione mondiale vive in Paesi caratterizzati da restrizioni o persecuzioni a causa della religione professata;
    in Europa, e non solo, oltre alla cristianofobia, sono crescenti i fenomeni di antisemitismo e islamofobia, che vanno assolutamente contrastati con politiche di inclusione sociale;
    le persecuzioni sono raramente coperte dall'attenzione dei media, che in ogni caso si concentrano sulle situazioni più note all'opinione pubblica, come quelle caratterizzanti la Cina, il Sudan e l'Afghanistan;
    dal punto di vista geografico, la situazione più grave si registra nel Medio Oriente, nell'Africa settentrionale e nell'Asia meridionale, dove persecuzioni religiose violente sono in atto in tutti i Paesi e, di fatto, sono divenute la norma. In particolare, tutti Paesi dell'Asia meridionale (Afghanistan, Bangladesh, Nepal, Pakistan, India e Sri Lanka) hanno registrato elevati livelli di persecuzione. La situazione è, invece, migliore nell'Africa subsahariana, nell'Europa e nell'emisfero occidentale, dove la libertà religiosa appare meglio tutelata;
    il Parlamento italiano è impegnato a porre ogni attenzione affinché i propri atti siano esplicitamente orientati al massimo rispetto di tutte le fedi e di tutte le opinioni, oltre che a contrastare ogni forma di violenza;
    al fine di scongiurare la prospettiva di uno scontro tra le civiltà e tra le identità culturali e religiose, quale possibile e drammatico esito delle crisi culturali e spirituali del nostro tempo, il Parlamento è prioritariamente impegnato a contrastare attivamente ogni forma di intolleranza e fanatismo,

impegna il Governo:

   ad attivarsi, tramite i canali diplomatici, nei confronti dei Governi che impediscono la libertà religiosa, affinché si adoperino per far cessare le persecuzioni religiose;
   a rendersi promotore, nell'ambito dell'Unione europea e presso gli organismi internazionali cui l'Italia partecipa, di iniziative volte a riaffermare i principi di libertà religiosa e di rispetto dei diritti civili e a favorire il dialogo tra i popoli e il dialogo interreligioso;
   ad adoperarsi presso gli Stati europei, e nell'ambito dell'Unione europea, al fine di ampliare il fronte di solidarietà contro le esortazioni alla violenza di esponenti del radicalismo di qualsiasi natura;
   a dare continuità e a rafforzare la politica estera italiana, con particolare riferimento alla cooperazione, per l'affermazione del diritto alla libertà religiosa e di parola, contro ogni persecuzione, in un'ottica di reciprocità, intendendosi quale libertà religiosa la libertà di praticare la propria fede, di cambiarla o di non averne alcuna.
(1-00518) «Fratoianni, Scotto, Kronbichler, Duranti».


   La Camera,
   premesso che:
    il 64 per cento dell'umanità vive in Paesi che limitano fortemente o addirittura impediscono la libertà religiosa e di coscienza;
    il fenomeno della «cristianofobia» – secondo la definizione di Papa Benedetto XVI – sta assumendo dimensioni devastanti, nel quasi totale silenzio della comunità internazionale;
    i cristiani, infatti, subiscono persecuzioni nel maggior numero di Paesi del mondo e contano il più alto numero di vittime dell'intolleranza religiosa rispetto a qualunque altra confessione;
    le uccisioni perpetrate ai danni dei cristiani a causa di fanatismo e intolleranza religiosa si accompagnano alla sistematica distruzione dei loro luoghi di culto, alla compressione dei loro diritti civili, alle incarcerazioni, a fenomeni di violenza di ogni genere, nonché al rapimento dei loro leader;
    nel periodo compreso tra il 2006 ed il 2012 i cristiani sono stati perseguitati in ben 151 Paesi, che equivalgono ai quattro quinti del mondo;
    la drammaticità della situazione è testimoniata anche dal fatto che migliaia di cristiani sono in fuga dalle loro terre d'origine e, mentre alcuni per sfuggire alla morte sono costretti a convertirsi, altri rimangono subendo maltrattamenti di ogni genere, torture e morte;
    in base ai dati contenuti nella World Watch List 2014, pubblicata nel mese di gennaio 2014 dall'associazione «Open Doors International», attiva da oltre 55 anni nel campo del sostegno ai cristiani perseguitati, i dieci luoghi più pericolosi del mondo per chi crede in Cristo sono la Corea del Nord, dove il regime impone con la forza l'ateismo di Stato, la Somalia, la Siria, l'Iraq, l'Afghanistan, l'Arabia Saudita, le Maldive, il Pakistan, l'Iran e lo Yemen, nove dei quali sono a maggioranza islamica;
    nella Corea del Nord coloro che vengono trovati in possesso di una Bibbia affrontano lunghe detenzioni o addirittura la morte, e si stima che il numero dei cristiani trattenuti nei campi di prigionia sia compreso tra cinquantamila e settantamila persone;
    i Paesi con il più elevato numero di violenze contro i cristiani (assassini, rapimenti e stupri, distruzioni di chiese) sono la Repubblica Centrafricana, nella quale orribili violenze sono state dirette contro i cristiani da parte dei ribelli Seleka, la Siria, il Pakistan, l'Egitto, l'Iraq, il Myanmar, la Nigeria, la Colombia, l'Eritrea e il Sudan;
    la Siria, che accoglieva i cristiani profughi dall'Iraq ed era considerato un rifugio sicuro, da quando è scoppiata la guerra civile, a causa della proliferazione dei gruppi radicali islamici, è diventata una trappola mortale e lo stesso discorso vale per l'Iraq, in seguito alla caduta di Saddam Hussein;
    anche il Pakistan per i cristiani diventa sempre più un posto dove è difficile vivere, a causa dell'incapacità del Governo di garantire la sicurezza della minoranza cristiana, incapacità che permette un ampio margine di manovra e d'impunità per gli islamici radicali che discriminano e commettono veri e propri crimini a danno dei cristiani;
    la Somalia, dove vari clan integralisti islamici si contendono il potere, è un luogo invivibile per chiunque non sia musulmano, a maggior ragione per la minoranza cristiana, e anche in Afghanistan la persecuzione è continuata nonostante la caduta del regime talebano, mentre Arabia Saudita, Maldive, Pakistan, Iran e Yemen sono tutti regimi islamici ostili ad ogni minoranza che professi una religione diversa;
    addirittura in Egitto, in cui i cristiani costituiscono il dieci per cento della popolazione e che una volta era un modello di pacifica convivenza interreligiosa, dopo la rivoluzione del 2011 la situazione per la minoranza cristiana è drammaticamente peggiorata, con il susseguirsi di attacchi a persone e luoghi di culto;
    in Pakistan un cittadino britannico è stato condannato a morte per un'accusa non dimostrabile di blasfemia e molti cristiani sono in carcere per lo stesso motivo, mentre in Sudan è recentissimo il caso della giovane condannata a morte perché sposata con un cristiano;
    in alcuni casi, come l'ultimo citato, la mobilitazione della comunità internazionale permette di evitare il peggio ma è infinitamente superiore il numero dei crimini che si compie senza che se ne abbia notizia;
    secondo i dati contenuti nella World Watch List, in ben trentaquattro nazioni la persecuzione dei cristiani è aumentata rispetto all'anno precedente, mentre solo in cinque è diminuita;
    dal rapporto emerge, inoltre, chiaramente che l'estremismo è il motore della persecuzione in trentasei dei cinquanta Stati della lista, confermando un'intensificazione del trend che, negli ultimi quindici anni, ha reso l'estremismo islamico la fonte principale dei fenomeni di cristianofobia;
    l'aumento costante dell'intolleranza religiosa è confermato anche dal rapporto sui conflitti interreligiosi pubblicato dall'americano Pew Research Center;
    il fatto che la lista comprenda anche Stati come le Maldive, popolare meta turistica dell'Occidente cristiano, o come la Cina e l'India, che costituiscono punti di riferimento economici mondiali, impone alcune severe riflessioni in tema di rapporti tra Paesi e di condizioni di reciprocità nei temi afferenti le libertà individuali e, in particolare, di quella religiosa, riconoscendo a ciascun individuo il diritto alla propria integrità intellettuale e morale;
    Papa Francesco ha recentemente dichiarato: «Per trovare i martiri non è necessario andare alle catacombe o al Colosseo: i martiri sono vivi adesso, in tanti Paesi. I cristiani sono perseguitati per la fede. In alcuni Paesi non possono portare la croce: sono puniti se lo fanno. Oggi, nel secolo XXI, la nostra Chiesa è una Chiesa dei martiri»,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative in sede internazionale affinché sia riconosciuta la giusta importanza al tema delle persecuzioni ai danni dei cristiani, esercitando, al contempo, forme di pressione diplomatica ed economica verso quei Paesi che non garantiscono o non tutelano il diritto alla libertà religiosa, arrivando, laddove necessario, all'interruzione delle relazioni diplomatiche e commerciali;
   a stabilire come principio imprescindibile alla negoziazione e conclusione di qualsiasi accordo internazionale la garanzia della controparte che, al proprio interno, sia garantita la libertà di professare qualunque religione;
   ad adottare ogni iniziativa utile a garantire la tutela delle minoranze cristiane nel mondo, sia attraverso la stipula di accordi bilaterali sia attraverso azioni dirette, da realizzare in collaborazione con le rappresentanze diplomatiche italiane e consolari in loco.
(1-00519) «Rampelli, Corsaro, Maietta, Nastri, Totaro, Cirielli, La Russa, Giorgia Meloni, Taglialatela».


   La Camera,
   premesso che:
    si vive in una società informatizzata e che utilizzerà sempre di più gli strumenti informatici;
    la scuola non può ignorare tale realtà: che postula, senza alcun dubbio, la necessaria alfabetizzazione informatica;
    in realtà, i programmi della scuola elementare già prendono in considerazione l'insegnamento dell'informatica: ma riservano allo stesso uno spazio troppo esiguo ed inadeguato all'importanza della disciplina;
    i programmi della scuola media prestano maggiore attenzione all'insegnamento dell'informatica, ma, anche in questo caso, in termini assolutamente inadeguati, tanto che, tale materia, costituisce «parte» di altri insegnamenti anziché godere di una propria autonomia;
    è vero che i giovani si destreggiano con abilità all'interno del mondo informatico (a tal proposito, va detto che la possibilità di imparare ad utilizzarlo deve essere fornita a tutti proprio per evitare penalizzanti esclusioni) e che, in questo, si sono portati avanti rispetto allo stesso insegnamento della materia; ma quello informatico non è solo uno spazio ludico o un fenomeno sociale. Perché il mondo del lavoro, della ricerca, del progresso, in termini generali, ne utilizza le potenzialità ed i vantaggi, ormai a livello professionale;
    questa materia, che nasconde anche le insidie e le difficoltà che ogni nuova esperienza porta con sé, deve essere affrontata ed insegnata in modo adeguato e completo;
    l'università di Milano-Bicocca ha condotto una ricerca tra i docenti delle scuole italiane: l'indagine è stata realizzata da settembre 2013 a gennaio 2014 e ha coinvolto, tramite un questionario di trenta domande, un campione di 1.332 docenti (81,8 per cento donne e 18,2 per cento uomini, con un'età media di 50 anni) distribuiti in 148 centri urbani in tutta Italia. Il 37 per cento dei docenti intervistati insegna nelle scuole elementari, il 37,8 per cento nelle scuole medie e il 25,2 per cento nelle scuole superiori;
    lo studio ha voluto investigare le problematiche legate all'introduzione ed al rafforzamento dell'insegnamento dell'informatica nella scuola italiana attraverso lo sguardo del personale docente;
    sono gli insegnanti, infatti, le fonti primarie da cui trarre la fotografia realistica della situazione attuale e sono interpellati, ora per la prima volta, dal mondo della ricerca;
    i dati riportati fanno riferimento alla loro percezione ed ai casi da essi riportati: è comunque legittimo supporre che le problematiche legate all'uso delle tecnologie di informazione e comunicazione siano anche più diffuse e più vaste di quanto a loro conoscenza;
    si considerino, allora, i principali dati tratti dalla ricerca dell'università Milano-Bicocca;
    partendo da quelle che, secondo la metà dei docenti interpellati, sono le maggiori criticità del rapporto tra studenti e mondo dell'informatica, emerge che l'aggressione sui social network (minacce, insulti, messaggi offensivi o di denigrazione) è l'episodio più ricorrente: 361 sono gli insegnanti che hanno segnalato almeno un caso di aggressione avvenuto nel proprio istituto o tra i propri studenti;
    a seguire, si trova la diffusione di dati personali (197 docenti segnalano questo tipo di problematica affermando di averla riscontrata da 1 a 4 volte), il furto della propria identità virtuale (163 docenti segnalano di averlo riscontrato tra i propri studenti da 1 a 4 volte) e i casi di copiatura scolastica (riferito da 82 insegnanti con una frequenza superiore ai 10 episodi, e da 170 con una frequenza da 1 a 4 volte);
    non mancano anche i casi di sexting, ovvero lo scambio di messaggi e foto sessualmente espliciti (140 gli insegnanti che sono venuti a conoscenza della problematica almeno una volta) e di incontri a rischio (67 gli insegnanti che ne segnalano dei casi tra i propri studenti);
    gli episodi sono segnalati in tutti i livelli di scuola, nelle primarie con un indice più basso (29 per cento), che poi aumenta nelle medie (75 per cento), e si abbassa leggermente nelle superiori (73 per cento). Quattro professori su dieci, inoltre, dichiarano di essere entrati in contatto con uno studente che manifestava problemi di dipendenza dalle tecnologie, e a uno su dieci che ciò è avvenuto quattro o più volte;
    per quanto concerne ciò che dovrebbe essere fatto per superare le criticità elencate, dalla ricerca effettuata è emerso che l'83 per cento dei docenti, pur avendo già partecipato a corsi di formazione informatica, ritiene che sia indispensabile un più vasto ed approfondito insegnamento nell'utilizzo dei computer all'interno delle scuole;
    per i docenti risulta, poi, molto difficile integrare le nuove procedure con i nuovi strumenti: l'utilizzo delle tecnologie in classe non è ancora totalmente integrato nella didattica e le strumentazioni informatiche vengono utilizzate solo occasionalmente;
    nel 92 per cento dei casi, gli insegnanti credono che gli alunni abbiano bisogno di una formazione specifica sull'uso di internet, dei social network, dei sistemi di messaggistica istantanea e che, nel 67 per cento dei casi, debbano appoggiarsi a un adulto;
    tuttavia, non sembrerebbero essere i genitori le guide cui ispirarsi: nell'80 per cento dei casi, gli insegnanti non li percepiscono presenti nella vita online dei figli e della scuola;
    è dunque evidente che, come in tutti i Paesi più avanzati, l'informatica costituisca una delle materie prioritarie da insegnare nelle scuole proprio per preparare i giovani a competere con successo in un mondo sempre più informatizzato;
    per far ciò, ancora prima che risorse, occorre una precisa e forte volontà da parte del Governo per pervenire in tempi rapidi ad una soluzione positiva del problema,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per rendere l'informatica una disciplina autonoma di insegnamento, svincolata dai programmi di altre materie in cui finora è ricompresa, allo scopo di aumentarne lo spazio didattico all'interno dei programmi scolastici annuali;
   a predisporre risorse specifiche per sostenere un'iniziativa che risulta essere di vitale importanza per il futuro dei giovani e per lo sviluppo stesso del Paese.
(1-00520) «Dorina Bianchi».


   La Camera,
   premesso che:
    la Corte costituzionale, con la sentenza del 9 aprile 2014, n. 162, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della legge n. 40 del 2004 in materia di «procreazione medicalmente assistita», relativamente alla parte della medesima legge nella quale si vieta di ricorrere alla donazione di gameti (ovociti o spermatozoi) esterni alla coppia per concepire un figlio;
    con detta sentenza, della legge n. 40 del 2004 rimane sempre meno, dal momento che i progressivi interventi hanno in parte «smontato» la legge e dichiarato illegittimi alcuni dei punti più gravi di un impianto «fondamentalista» della legge che ha leso in questi anni la laicità dello Stato, la libertà riproduttiva e il diritto alla salute delle donne, delle coppie e dei nascituri;
    dopo aver affrontato la questione del numero di embrioni da creare e da impiantare nell'utero materno, della possibilità di conservare gli embrioni, in attesa di ulteriore impianto in considerazione della salvaguardia della salute della donna, la Consulta era stata chiamata a giudicare la legittimità costituzionale della norma sul divieto di fecondazione eterologa;
    a seguito della sentenza – come prima del 2004, anno di emanazione della legge n. 40, ma solo per i centri privati – sia i centri pubblici che quelli privati possono eseguire tecniche di fecondazione con donazione di ovociti e spermatozoi esterni alla coppia. Diventa quindi lecita sia l'ovodonazione che la donazione di seme. Si offre quindi una possibilità per tutte quelle coppie che ora non saranno più discriminate e potranno ricevere tutte le cure e l'assistenza, senza doversi affidare, come spesso è avvenuto finora, a costosi «viaggi della speranza» all'estero;
    attualmente si stimano in 9 mila le coppie infertili disponibili ad avere un figlio con la fecondazione eterologa;
    subito dopo la sentenza della Consulta, il Ministro della salute, Beatrice Lorenzin, dichiarava: «L'introduzione della fecondazione eterologa nel nostro ordinamento è un evento complesso che difficilmente potrà essere attuato solo mediante decreti». E ancora: «Ci sono alcuni aspetti estremamente delicati che non coinvolgono solamente la procedura medica ma anche problematiche più ampie, come ad esempio l'anonimato o meno di chi cede i propri gameti alla coppia, e il diritto a conoscere le proprie origini e la rete parentale più prossima (fratelli e sorelle) da parte dei nati con queste procedure. Sono questioni che non si può pensare di regolare con un atto di tipo amministrativo, ma necessitano una condivisione più ampia, di tipo parlamentare»;
    la Corte Costituzionale ha ribadito più volte nella suddetta sentenza n. 162 del 2014, l'assenza di un vuoto normativo determinato dalla cancellazione del divieto di fecondazione eterologa e che le norme per regolamentare la donazione dei gameti sussistono sia nella legge n. 40 del 2004 che nella disciplina su tessuti e cellule già in vigore;
    risulta indispensabile e urgente che il Governo si attivi per l'aggiornamento delle linee guida e per l'immediata operatività della sentenza così da consentire, alle tante coppie in attesa, di poter realizzare un legittimo diritto;
     con la pronuncia della Consulta, il nostro Paese è ora nella condizione di poter rendere operativa anche questa pratica medica, visto che:
     è garantita dalla stessa legge n. 40 del 2004 agli articoli 8 e 9 l'assenza di rapporto giuridico tra donatore e nati;
     sono state recepite nel nostro ordinamento le direttive comunitarie 2004/23/CE, 2006/17/CE, 2006/86/CE con i decreti legislativi n. 191 del 2007, n. 16 del 2010, n. 85 del 2012 e il decreto ministeriale 10 ottobre 2012 che perfezionano sotto i profili scientifici le procedure di reperimento, lavorazione, conservazione, e screening anche per donazione eterologa, nel rispetto della non commercializzazione di gameti;
    i centri potranno di fatto predisporre tutte le iniziative necessarie per applicare le tecniche eterologhe con donatore esterno in attesa del recepimento dell'allegato III della direttiva 17/2006 riguardante la donazione di cellule riproduttive da soggetto diverso dal partner (detta direttiva è stata infatti recepita con il decreto legislativo n. 16 del 2010, che però non ha incluso nell'allegato III la suddetta parte riguardante la donazione da persone diverse dal partner);
    molte regioni, comunque, in attesa delle decisioni del Ministero della salute, si stanno attivando per capire come regolare la materia e dare disposizioni ai centri pubblici. La Toscana inizierà a metà agosto 2014, e prima ancora che il Governo detti le linee guida nazionali i centri per la fecondazione assistita si stanno adeguando per far fronte anche a questo tipo di domanda. Una domanda che sul totale delle inseminazioni seguite medicalmente rappresenta circa il 20 per cento, ossia 500 coppie sulle 2.600 assistite ogni anno in regione;
    a dieci anni dall'approvazione della legge n. 40 del 2004 risulta scarso e inadeguato l'impegno da parte dei vari Governi per dare un effettivo sostegno alle persone con problemi di infertilità e sterilità, e favorirne l'accesso alle prestazioni sanitarie;
    sussiste tuttora una situazione di grave discriminazione delle coppie a seconda della regione di appartenenza per il mancato sostegno in ordine a favore l'accesso alle prestazioni da parte di molte regioni;
    la modalità di erogazione delle prestazioni dal punto di vista economico è caratterizzato da poca trasparenza, opacità della condotta di molte regioni e spreco di denaro pubblico;
    le maggiori criticità riguardano la mancata trasparenza del sistema e l'inappropriatezza nell'erogazione delle prestazioni sia sul piano nazionale che su quello regionale e, in particolare, nel sistema della mobilità sanitaria tra regioni;
    nonostante la procreazione medicalmente assistita (PMA) non sia inserita nei livelli essenziali di assistenza nazionali (LEA), né inclusa nei tariffari nazionali, in realtà le prestazioni sono erogate dal servizio pubblico e privato-convenzionato e, difatti, il Servizio sanitario nazionale nel 2011 ha trattato il 63 per cento delle coppie ed eseguito il 64,7 per cento del totale delle prestazioni di fecondazione in vitro (cosiddetti cicli a fresco), mentre solo il restante 35,3 per cento delle suddette prestazioni, sono state eseguite da centri privati;
    a seconda delle regioni, le prestazioni vengono incluse o nell'area di ricovero o nel nomenclatore relativo alla specialistica ambulatoriale spesso senza alcuna delibera regionale o aziendale, in completa violazione delle norme in vigore nonché mediante l'inserimento in codificazioni appartenenti ad altro tipo di interventi sanitari (DRG inappropriati) con tariffazione diversificata che incide sulla spesa sanitaria pubblica;
    pur non essendo esplicitate nel nomenclatore tariffario della mobilità interregionale, le prestazioni entrano anche nel sistema di compensazione tra le regioni della spesa sanitaria, con tariffe diversificate e una variazione anche del 20 per cento per la stessa prestazione, rendendo ancora di più inappropriato e non corretto il sistema di mobilità passiva;
    i dati sulla migrazione (Ministero della salute 2013) rilevano come nel 2011 le coppie che hanno effettuato i trattamenti in centri ubicati in regioni diverse da quella di residenza sono state 11.642 rappresentando il 25 per cento del totale delle coppie che effettuano le prestazioni;
    le regioni di accoglienza sono quelle del Centro-Nord che hanno un forte sistema pubblico-convenzionato, mentre la gran parte delle regioni del Centro-Sud vede la prevalenza di centri privati e nessun sostegno alle coppie. Si determina così una migrazione delle coppie provenienti dalle regioni meridionali e una discriminazione di fatto legata alla necessità di migrare per una prestazione concessa tranquillamente in altre regioni;
    complessivamente la stessa prestazione costa il doppio alla regione che invia le coppie in un'altra regione rispetto al costo che dovrebbe sostenere se queste rimanessero nel proprio territorio di residenza,

impegna il Governo:

   a provvedere quanto prima, anche in conseguenza della sentenza della Corte costituzionale del 9 aprile 2014, n. 162, all'aggiornamento delle linee guida di cui al decreto del Ministero della salute 11 aprile 2008 secondo le indicazioni della medesima sentenza n. 162 del 2014;
   a prevedere l'inserimento della procreazione medicalmente assistita nei livelli essenziali di assistenza (LEA) e a correggere l'attuale sistema di compensazione della mobilità passiva;
   a predisporre le opportune iniziative volte al recepimento dell'allegato III della direttiva 17/2006, relativamente alla parte riguardante la donazione di cellule riproduttive da soggetto diverso dal partner.
(1-00521) «Nicchi, Palazzotto, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Fratoianni, Pannarale, Quaranta, Ricciatti».


   La Camera,
   premesso che:
    come dimostrato del premio Nobel per l'economia James Heckman, se si investe nei primi anni di vita del bambino l'effetto sul suo sviluppo cognitivo e comportamentale è molto più forte e duraturo di investimenti che avvengano più tardi nella vita;
    il Consiglio europeo di Lisbona del 2000 stabilì che gli Stati membri avrebbero dovuto raggiungere la soglia del 33 per cento di copertura territoriale di servizi per l'infanzia dedicati ai bambini con età compresa tra gli 0 e i 2 anni, entro l'anno 2010;
    in Italia, ad oggi, si assiste ad una copertura di servizi per l'infanzia pari al 18 per cento circa, stando ai dati forniti da Save the Children, secondo la quale l'unica regione italiana che si avvicina all'obiettivo europeo è l'Emilia Romagna;
    l'IPE, strumento per la valutazione dell'indice di povertà educativa, evidenzia come in Italia vi sia un incolmabile divario tra le regioni meridionali e quelle settentrionali. A titolo esemplificativo, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia raggiungono punteggi che vanno da 1 a 3, a differenza di regioni come Emilia Romagna, Lombardia e Friuli Venezia Giulia che raggiungono invece picchi ragguardevoli compresi tra i 15 e i 17 punti;
    dallo studio «L'indice di Save the Children per misurare le povertà educative e illuminare il futuro dei bambini in Italia» emergono dati poco confortanti; al 1° gennaio 2013, dei 2.171.465 bambini in età compresa tra gli 0 e i 3 anni, il 50 per cento circa è costretto a vivere in condizioni di povertà assoluta – ovvero impossibilitati ad accedere a un paniere minimo di beni; l'11,2 per cento tra gli 0 e i 2 anni ha frequentato un asilo nido comunale (dato Istat riferito all'anno 2012); la restante parte corrispondente a circa il 37 per cento, si rivolge a servizi offerti da aziende private;
   dalla ricerca dell'Osservatorio nazionale dei prezzi e delle tariffe della Onlus Cittadinanzattiva, emerge che in Italia si trovano quasi 3.800 asili nido comunali e oltre 5 mila istituti privati. I posti disponibili ammontano ad un totale di 263 mila circa, di cui il 58 per cento in strutture pubbliche e il 42 per cento in strutture private;
    nel 2014, secondo i dati Istat, pubblicati il 27 maggio 2011, sono ancora molte le donne che si trovano a dover scegliere tra famiglia e carriera. La percentuale di donne che interrompono l'attività lavorativa in occasione della nascita di un figlio non registra particolari variazioni tra il 1944 (15,6 per cento) e quelle nate dopo il 1973 (14,1 per cento), confermando così che la maternità continua ad essere un momento di forte criticità nel percorso di vita delle donne;
    l'aspetto più preoccupante del succitato dato è dovuto dal fatto che oltre la metà delle interruzioni lavorative non derivano da una libera scelta delle donne: l'8,7 per cento delle madri che lavorano o hanno lavorato in passato, hanno dichiarato che nel corso della loro vita lavorativa sono state licenziate o messe in condizione di doversi dimettere in occasione di una gravidanza; fenomeno che riguarda in particolare le nuove generazioni;
    i servizi per l'infanzia sono fondamentali per il lavoro delle donne. La carenza d'attenzione verso tale tema è dimostrata dal divario che intercorre tra offerta e fabbisogno di tali servizi. Il protocollo d'intesa interministeriale, siglato il 13 novembre 2009 da i Ministri per la semplificazione e la pubblica amministrazione riguardante gli asili nido nella pubblica amministrazione, ha evidenziato come una maggiore disponibilità di asili nido con orari più flessibili indurrebbe una percentuale significativa di donne non occupate con figli piccoli (50-60 per cento) a modificare le proprie scelte di vita e ad intraprendere una attività lavorativa. In considerazione di ciò ha previsto un fondo per l'avviamento di un progetto pilota di apertura di nidi aziendali presso le pubbliche amministrazioni. Tale progetto tuttavia non ha ottenuto i risultati sperati;
    il 7 marzo 2011 è stato siglato un accordo fra Governo e parti sociali, per sostenere le politiche di conciliazione tra famiglia e lavoro, assumendo il valore del «family-friendly» come opzione organizzativa e gestionale auspicabile per le imprese. Si trattava di un indubbio passo avanti, collegato alla modulazione degli orari e dei tempi di lavoro coerenti con politiche di conciliazione aziendale, che avrebbero creato benefici fiscali nell'ambito di accordi territoriali e/o aziendali;
    dando uno sguardo all'intero comparto scolastico, considerando il percorso formativo nel suo insieme, non si può tralasciare l'ennesimo dato negativo rappresentato dalla riforma della scuola del triennio 2008-2011, promossa dai Ministri Tremonti e Gelmini, introdotta dal decreto-legge n. 112 del 2008, convertito con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008. La riforma ha comportato, oltre all'enorme contrazione di competenze e offerta formativa, anche epocali tagli alle risorse, concretizzandosi, tra l'altro, in una riduzione del personale della scuola statale (insegnanti e Ata) del 10,9 per cento, a fronte di una popolazione studentesca rimasta sostanzialmente invariata. A conferma di quanto questo comparto sia stato già drammaticamente oggetto di tagli di risorse ad avviso dei firmatari eccessivi, si cita lo studio «Evoluzione recente del personale scolastico» del gennaio 2014, che evidenzia come la percentuale di cui sopra risulti addirittura doppia rispetto alla contrazione subita dal resto del personale appartenente al pubblico impiego (5,6 per cento);
    a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, il comparto scolastico tutto, data l'eccezionalità delle sue funzioni, sia nella sua fase primaria che durante tutto il percorso formativo, non dovrebbe esser considerato un capitolo di spesa per uno Stato, bensì un vero e proprio investimento da cui far ripartire l'economia nazionale e il benessere sociale del nostro Paese;
    a fronte del quadro delineatosi, una risposta per quanto, a oggi, non sufficiente potrebbe essere rappresentata dal così detto Tagesmutter. Si tratta di asili nido di famiglia, ossia quelli che permettono alle stesse famiglie di affidare in modo stabile e continuativo i figli a operatori educativi, appositamente formati, i quali forniscono educazione e cura a uno o più bambini, presso il proprio domicilio o altro ambiente. Servizio già molto diffuso in quasi tutta Europa, ad eccezione di Italia, Spagna e Grecia;
    un'altra realtà che si sta sempre più diffondendo in Italia è l'agrinido che, oltre ad ottemperare alle normali attività svolte nei nido convenzionali, offre anche la possibilità ai bambini di crescere a stretto contatto con la natura, in una sorta di «palestra verde» dove coltivare le piante, socializzare con gli animali, imparare a conoscere i ritmi della natura e i principi di una alimentazione sana. Elemento di particolare importanza, come confermato dal Ministero della salute, perché si stima che in Italia i bambini tra i 6 e gli 11 anni con problemi di eccesso ponderale siano ben 1 milione e centomila. Il 12 per cento dei bambini risulta infatti obeso, mentre il 24 per cento è in sovrappeso, dunque, più di un bambino su tre, ha un peso superiore a quello che dovrebbe avere per la sua età, indice del fatto che la cura verso i principi di una sana e corretta alimentazione, si stiano perdendo del tutto,

impegna il Governo:

   a promuovere, nell'ambito delle proprie competenze, iniziative atte a sostenere la diffusione sul territorio nazionale sia di «asili nido di famiglia» che di «agrinido»;
   a promuovere con urgenza, ogni attività diretta ad aumentare l'offerta di posti in asili nido pubblici, al fine di garantire un reale e concreto accesso all'attività lavorativa per le donne;
   ad assumere iniziative dirette a stabilire agevolazioni per tutte quelle aziende private che, dotatesi di strutture per l'infanzia, come asili nido, baby-parking o centri d'infanzia, riservino quota parte dei posti a loro disposizione, in regime di convenzione con gli anti locali, ai bambini che abitano nel comune in cui si trovano;
   a predisporre un fondo atto all'apertura di asili nido all'interno degli uffici della pubblica amministrazione, siano essi centrali o periferici, accessibili sia ai bambini figli di dipendenti della pubblica amministrazione sia ai bambini appartenenti al territorio di pertinenza di suddetti uffici;
   a porre in essere, al fine di ridurre in maniera drastica il gap esistente tra le regioni settentrionali e quelle meridionali in materia di servizi all'infanzia e all'adolescenza, tutte le azioni atte a ridurre tale distanza;
   ad intervenire con urgenza per ripristinare le risorse sottratte all'intero comparto scolastico dall'entrata in vigore del decreto-legge n. 112 del 2008 come convertito dalla legge n. 133 del 2008;
   ad attivarsi affinché il comparto relativo alla scuola, all'università e alla ricerca, non venga più coinvolto nell'ambito di provvedimenti ispirati alla spending review;
(1-00522) «Lupo, Luigi Di Maio, Carinelli, Silvia Giordano, Marzana, Vacca, Lorefice, Dall'Osso, Nuti, Di Vita, Baroni, Sorial, Gagnarli».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni III e XIV,
   premesso che:
    il Consiglio europeo del 19-20 dicembre 2013 ha dato mandato alla Commissione europea, in cooperazione con gli Stati membri, di elaborare entro giugno 2015, una Strategia dell'Unione europea per la regione alpina che dovrebbe comprendere i territori alpini di Italia, Francia, Svizzera, Germania, Austria, Liechtenstein e Slovenia;
    il 18 ottobre 2013, i rappresentanti delle regioni e degli Stati della macroregione alpina, riuniti a Grenoble (Francia), avevano sottoscritto una risoluzione, con la quale raccomandavano l'avvio del processo di elaborazione della Strategia e del relativo piano d'azione, in modo che questi testi fossero adottati durante la Presidenza italiana del Consiglio europeo nel 2014;
    secondo la procedura che si è consolidata nella prassi, la Commissione europea, al fine di dare seguito al mandato del Consiglio europeo, dovrebbe presentare, dopo aver consultato gli Stati membri e i territori interessati, un'apposita comunicazione ed un piano d'azione, che dovranno essere approvati da parte del Consiglio europeo;
    l'attuazione della Strategia sarà effettuata a più livelli: la Commissione europea sarà responsabile del coordinamento, del monitoraggio e del supporto, in coerenza con l'approccio definito dal Consiglio dell'Unione europea, mentre i «territori» interessati e gli Stati membri adotteranno le misure di rispettiva competenza;
    l'area alpina è una macroregione interconnessa con capacità economiche eterogenee e preoccupazioni crescenti in materia di questioni ambientali, evoluzione democratica, infrastrutture di trasporto, turismo e questioni energetiche;
    la strategia dell'Unione europea per la regione alpina, in coerenza con l'articolo 174 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, dovrebbe essere intesa a superare gli svantaggi strutturali delle regioni di montagna dell'area alpina e creare le condizioni per la crescita economica e per un'effettiva coesione sociale e territoriale nella medesima area, mediante il coordinamento delle politiche dell'Unione e di quelle di tutte le parti interessate;
    in particolare, la Strategia dovrebbe essere intesa a dare impulso allo sviluppo dell'area attraverso una migliore capacità di utilizzo dei fondi europei e nazionali;
    l'area alpina è già oggetto della convenzione delle Alpi, firmata nel 1991 dagli otto Paesi alpini (Austria, Germania, Francia, Italia, Liechtenstein, Principato di Monaco, Svizzera e Slovenia) e dall'Unione europea e ratificata dall'Italia, con la legge n. 50 del 2012. Tale Convenzione si applica ad un'area di 190.959 chilometri quadrati, che include 5.867 Comuni lungo 1.200 chilometri di arco alpino. Nel 2007 la popolazione totale residente all'interno del perimetro della Convenzione era pari a quasi 14 milioni;
    la Convenzione delle Alpi è integrata da otto protocolli che stabiliscono misure specifiche di attuazione dei principi da essa previsti, con particolare riferimento a pianificazione territoriale e sviluppo sostenibile, protezione della natura e tutela del paesaggio, agricoltura di montagna, foreste montane, turismo, energia, difesa del suolo, trasporti. Oltre ai protocolli, nel novembre 2006 sono state redatte due dichiarazioni dei Ministri relative a popolazione e cultura e ai cambiamenti climatici;
    appare necessario che la Strategia dell'Unione europea per la regione alpina includa, analogamente alla Convenzione delle Alpi, soltanto le aree più spiccatamente montane e non anche le aree urbanizzate circostanti. Ove la Strategia fosse estesa a tutte le regioni in cui ricadono amministrativamente le aree alpine, la nuova macroregione alpina si applicherebbe ad aree con caratteristiche naturali, demografiche, sociali ed esigenze di sviluppo del tutto eterogenee rispetto a quelle delle aree montane. In particolare, la Strategia coprirebbe territori con una popolazione complessiva di oltre 70 milioni di abitanti a fronte dei 12 milioni di persone residenti nelle zone alpine in senso stretto;
    in tale ultimo caso, la Strategia per la regione alpina finirebbe con il perseguire inevitabilmente obiettivi estranei rispetto alle caratteristiche delle zone alpine, in palese contrasto con le esigenze di coesione territoriale di cui al richiamato articolo 174 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e con l'obiettivo stesso delle strategie macroregionali dell'Unione europea, che è quello di assicurare il coordinamento delle politiche dell'Unione europea in relazioni a territori (di Paesi membri e di Paesi terzi) accomunati da esigenze comuni;
   il Parlamento europeo ha approvato il 23 maggio 2013 una risoluzione sulla strategia macroregionale per le Alpi nella quale si sottolinea «l'importanza di allineare il contenuto della strategia per le Alpi alla Convenzione alpina ad ai rispettivi protocolli successivi,

impegnano il Governo:

   ad adoperarsi affinché la Strategia dell'Unione europea per la regione alpina:
    a) includa esclusivamente i territori alpini di Italia, Francia, Svizzera, Germania, Austria, Liechtenstein e Slovenia, come delimitati dalla Convenzione delle Alpi del 1991, in coerenza con l'articolo 174 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;
    b) sia intesa in via esclusiva al superamento degli svantaggi strutturali delle regioni di montagna dell'area alpina e a garantirne un'effettiva coesione sociale e territoriale, con particolare riferimento alle questioni connesse alla fragilità dell'ecosistema alpino, allo sviluppo sostenibile dei territori e alle culture transfrontaliere;
    c) tenga conto degli strumenti di cooperazione e delle reti transnazionali già esistenti in questo ambito.
(7-00402) «Berlinghieri, Borghi, Amendola, Braga, Giuseppe Guerini, Rosato, Sanga, Piccoli Nardelli, Brandolin, De Menech».


   Le Commissioni XII e XIII,
   premesso che:
    il 20 maggio 2014 la «Autorità europea per la sicurezza alimentare», EFSA, ha pubblicato il «rapporto 2014 sui residui di pesticidi negli alimenti», frutto del «programma coordinato di monitoraggio dell'Unione europea»;
    il rapporto si riferisce alle attività di controllo relative ai residui antiparassitari nei prodotti alimentari effettuate nel 2011 in 29 Paesi europei (i 27 Stati membri e 2 Paesi EFTA, Islanda e Norvegia). Nel medesimo documento viene illustrata anche una valutazione del rischio ambientale, che ha prodotto alcune raccomandazioni alle istituzioni europee intese a migliorare l'applicazione della legislazione europea sui residui di antiparassitari negli alimenti;
    nel 2011 più di 79.000 campioni di oltre 600 prodotti alimentari sono stati testati per verificare la presenza di residui fitosanitari;
    la crisi economica ha stimolato il commercio di surrogati, sottoprodotti e aromi artificiali, oltreché di alimenti a basso costo ma a rischio elevato come dimostra il fatto che le importazioni in Italia hanno raggiunto la cifra record di 39 miliardi di euro nel 2013 con un sensibile aumento del 20 per cento rispetto al 2007;
    il livello di residui chimici (livelli massimi di residui, LMR) presenti in alcuni alimenti importati dai Paesi terzi, sono superiori agli elevati standard di sicurezza alimentare di cui si è dotata l'Unione europea in questi anni e, in particolar modo, il nostro Paese. Si pensi, che l'Italia nel 2013 ha importato 273.800 chilogrammi di peperoncino dal Vietnam, il quale ha toccato la punta del 61,5 per cento di irregolarità dei campioni esaminati. Nel peperoncino è stata trovata la presenza in eccesso di difenoconazolo, di hexaconazolo e di carbendazim il cui uso in Italia è vietato sui peperoncini. Si consideri, che è il prodotto meno sicuro in Italia e viene utilizzato come condimento secco, per insaporire l'olio d'oliva, nella preparazione di sughi tipici come l'arrabbiata, la diavola o la puttanesca piccante e rivenduti in Italia come prodotti made in Italy. Al peperoncino si aggiunge il basilico col 59,5 per cento di irregolarità;
    oltre al peperoncino vietnamita vi sono altri alimenti di consumo quotidiani come l'okra dall'india coi 43,3 per cento di irregolarità; i piselli dal Kenya col 40,4 percento di irregolarità; le lenticchie dalla Turchia (1,6 milioni chili importati) che sono risultate irregolari in un caso su quattro col 24,3 per cento di irregolarità le melagrane col 40,5 per cento di irregolarità; le arance dall'Uruguay col 19 per cento di irregolarità presentano residui di pesticidi quali l'imazil, il fenthion e l'ortofenilfenolo, oltre i limiti di legge, il cui utilizzo è vietato nel nostro Paese; i fichi dal Brasile col 30,4 per cento di irregolarità; il frutto della passione dalla Colombia col 25 per cento di irregolarità; l'ananas dal Ghana col 15,6 per cento di irregolarità; le foglie di the dalla Cina col 15,1 per cento di irregolarità, le cui importazioni nei primi due mesi del 2014 sono aumentate addirittura del 1100 per cento; il riso dall'India col 12,9 per cento di irregolarità, con un flusso di importazione record di 38,5 milioni di chili nel 2013, risulta essere il prodotto a rischio più importato in Italia; i fagioli dal Kenya col 10,8 per cento di irregolarità; i cachi da Israele col 10,7 per cento di irregolarità; il peperoncino dalla Turchia col 10,5 per cento di irregolarità;
    si tratta di valori preoccupanti per l'Italia che può contare su una produzione con livelli di sicurezza elevati con un numero di prodotti agroalimentari con residui chimici oltre il limite di appena lo 0,2 per cento (limite di un già basso 0,3 per cento delle precedenti analisi) che sono risultati inferiori di nove volte a quelli della media europea (1,6 per cento di irregolarità) e addirittura trentadue volte a quelli extracomunitari (7,9 per cento di irregolarità);
    vi è un pericolo, ingiustamente subito, per quei soggetti che dispongono di una ridotta capacità economica di spesa a causa della crisi e, di conseguenza, sono costretti ad acquistare alimenti a basso costo dietro cui spesso si consumano adulterazioni e contraffazioni o falsificazioni. A mo’ d'esempio, in Italia le frodi alimentari dall'inizio della crisi hanno avuto un incremento record del 248 per cento e nel 2013 sono stati certificati oltre 130.000 controlli e relative sanzioni;
    per garantire che gli alimenti rispettino norme di sicurezza alimentare tra le più rigorose al mondo, l'Europa dipende dal suo «Sistema di allarme rapido per gli alimenti e i mangimi», RASFF (Rapid alert system for food and feed). Il sistema è uno strumento fondamentale per rintracciare e ritirare i prodotti in cui è stata scoperta la frode, come documentato dalla relazione annuale del RASFF 2013:
    dalla relazione si legge che sono state trasmesse attraverso il sistema RASFF 3.205 «notifiche originali» delle quali 596 sono state classificate come allarme, 442 come informazioni per follow-up, 705 come informazioni per attenzione e 1462 come notifiche di respingimento alla frontiera;
    le notifiche originali hanno dato luogo a 5158 notifiche di follow-up, che rappresentano in media circa 1,6 follow-up per ogni notifica originale. Le notifiche di follow-up possono dare origine ad una serie di azioni quali, ad esempio, il richiamo, il ritiro, il sequestro e la distruzione di prodotti alimentari;
    le questioni di maggior rilievo sono stati i focolai di tossinfezione alimentare dovuti alla presenza di virus dell'epatite A in miscele di bacche e fragole, le reazioni avverse provocate da integratori alimentari con ingredienti potenzialmente pericolosi, la presenza dell’escherichia coli che produce tossine nelle carni e i residui di pesticidi sui prodotti vegetali;
    delle 3205 «notifiche originali» trasmesse nel 2013 attraverso il sistema di allerta, ben 2710 (84,6 per cento) hanno riguardato prodotti alimentari, 272 i mangimi (8,5 per cento) e 223 (6,9 per cento) i materiali a contatto con gli alimenti;
    i prodotti agroalimentari maggiormente segnalati dal RASFF sono stati quelli provenienti dai Paesi terzi, quali la Cina, l'india e la Turchia, i cui prodotti alimentari rappresentano più di un terzo di quelli provenienti da tutto il resto del mondo;
    il decreto del Ministero della salute del 23 dicembre 1992, che recepisce la direttiva 90/642/CEE, relativa ai limiti massimi residui di sostanze attive nei presidi sanitari tollerate su e nei prodotti alimentari, ha indicato dei requisiti minimi alle regioni e province autonome per la programmazione dei controlli sui residui di sostanze attive da parte delle unità sanitarie locali, attraverso il «piano di controllo ufficiale»;
    il regolamento n. 882/2004/CE del 29 aprile 2004 stabilisce i controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali. A tal proposito, a livello nazionale, il «piano nazionale integrato», PNI o MANCP, ai sensi del predetto regolamento, descrive il «sistema Italia» dei controlli officiali in materia di alimenti, mangimi, sanità e benessere animale e sanità delle piante ed è finalizzato alla razionalizzazione delle attività, mediante un'opportuna considerazione dei rischi ed un adeguato coordinamento di tutti i soggetti istituzionali coinvolti. È attualmente vigente il «piano nazionale integrato 2011-2014»;
    in data 21 ottobre 2009 è stata emanata la direttiva 2009/128/CE sull'uso sostenibile dei fitofarmaci;
    il decreto legislativo n. 150 del 14 agosto 2012 ha dato attuazione alla direttiva 2009/128/CE;
    in data 22 gennaio 2014 è stato adottato, ai sensi dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 150 del 14 agosto 2012, il «piano d'azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (PAN)». Il PAN in linea con i principi della direttiva si prefigge di:
     a) ridurre i rischi e gli impatti dei prodotti fitosanitari sulla salute umana, sull'ambiente e sulla biodiversità;
     b) promuovere l'applicazione della difesa integrata, dell'agricoltura biologica e di altri approcci alternativi;
     c) proteggere gli utilizzatori dei prodotti fitosanitari e la popolazione interessata;
     d) tutelare i consumatori;
     e) salvaguardare l'ambiente acquatico e le acque potabili;
     f) conservare la biodiversità e tutelare gli ecosistemi;
    il 20 novembre è stato varato il «VII Programma d'azione europeo per l'ambiente», Paa, (Decisione n. 1386/2013/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, su un programma generale di azione dell'Unione in materia di ambiente fino al 2020 «Vivere bene entro i limiti del nostro pianeta»). Il programma intende raggiungere un elevato livello di protezione ambientale, una migliore qualità della vita e un determinato grado di benessere dei cittadini europei e non. Nel dettaglio, il programma che è incentrato sul raggiungimento degli obiettivi che si prefigge entro il 2020, individua nove obiettivi prioritari da realizzare, ossia: 
     1) proteggere, conservare e migliorare il capitale naturale dell'Unione;
     2) trasformare l'Unione in un'economia a basse emissioni di carbonio, efficiente nell'impiego delle risorse, verde e competitiva;
     3) proteggere i cittadini da pressioni e rischi ambientali per la salute e il benessere;
     4) sfruttare al massimo i vantaggi della legislazione dell'Unione in materia di ambiente migliorandone l'applicazione;
     5) migliorare le basi cognitive e scientifiche della politica ambientale dell'Unione;
     6) garantire investimenti a sostegno delle politiche in materia di ambiente e clima e tener conto delle esternalità ambientali;
     7) migliorare l'integrazione ambientale e la coerenza delle politiche;
     8) migliorare la sostenibilità delle città dell'Unione;
     9) aumentare l'efficacia dell'azione dell'Unione europea nell'affrontare le sfide ambientali e climatiche a livello internazionale;
    la base giuridica del VII programma d'azione europeo per l'ambiente è fondata sul principio di precauzione, sui principi di azione preventiva e di riduzione dell'inquinamento alla fonte e sul principio «chi inquina paga»;
    il terzo obiettivo tematico, in particolare, oltre a considerare prioritariamente e congiuntamente altre azioni da adottare entro il 2020, nell'ottica di conseguire un ambiente non tossico e di tutelare la biodiversità, pone la dovuta attenzione su un uso dei prodotti fitosanitari che non comporti alcun effetto negativo per la salute umana o che non abbia conseguenze inaccettabili sull'ambiente,

impegnano il Governo:

   a rimuovere il segreto e a rendere pubblici i flussi commerciali delle materie prime provenienti dall'estero, al fine di far conoscere ai consumatori italiani i nomi delle aziende che usano ingredienti stranieri che, in verità, dopo la trasformazione vengono venduti come prodotti made in Italy;
   ad assumere, nel semestre di presidenza italiana, dell'Unione europea iniziative volte a garantire un reale principio di reciprocità con i Paesi terzi con cui sono in essere, e con cui si faranno, accordi commerciali di scambio di prodotti agroalimentari, al fine di applicare gli stessi elevati standard di sicurezza e controlli alimentari con lo scopo di raggiungere, realmente, gli obiettivi prefissati nel «VII Programma d'azione europeo per l'ambiente» – «Vivere bene entro i limiti del nostro Pianeta» – e dagli altri strumenti di politica ambientale dell'Unione europea;
   a far sì che il sistema dei controlli sulla sicurezza alimentare attivo in Italia possa trovare un'applicazione di reciprocità all'interno dell'Unione europea, a fronte del fatto che i livelli massimi di residui presenti negli agroalimenti dei Paesi comunitari è risultato nove volte superiore al livello italiano.
(7-00401) «Franco Bordo, Nicchi, Palazzotto».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   a norma dell'articolo 1 del regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246, convertito dalla legge 4 giugno 1938, n. 880, «Disciplina del canone di abbonamento radiotelevisivo», il pagamento del canone di abbonamento Rai, è dovuto per la detenzione di uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle radiodiffusioni;
   la Corte costituzionale, con sentenze 11 maggio 1988, n. 535, e 17-26 giugno 2002, n. 284, ha riconosciuto al canone la natura sostanziale di imposta, per cui la legittimità dell'imposizione è fondata non sulla possibilità del singolo utente di usufruire del servizio pubblico radiotelevisivo, al cui finanziamento il canone è destinato, ma sul presupposto della sua riconducibilità ad una manifestazione di capacità contributiva. Quindi, il canone d'abbonamento è da riconoscere in forza della mera detenzione di un apparecchio televisivo, indipendentemente dall'utilizzo che ne venga fatto o delle trasmissioni seguite;
   secondo quanto stabilito dal citato regio decreto-legge n. 246 del 1938 e dal decreto-legge luogotenenziale 21 dicembre 1944, n. 458, devono pagare il canone speciale coloro che detengono uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radio televisive in esercizi pubblici, in locali aperti al pubblico o comunque fuori dell'ambito familiare, o che li impiegano a scopo di lucro diretto o indiretto;
   con nota del 22 febbraio 2012 il Ministero dello sviluppo economico, dipartimento per le comunicazioni, ha precisato cosa debba intendersi per «apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle radioaudizioni», al fine di definire l'obbligo di pagare il canone radiotelevisivo ai sensi della normativa vigente;
   consultando il sito internet www.abbonamento.rai.it si legge quanto disposto dal Ministero dello sviluppo economico, secondo cui «debbono ritenersi assoggettabili a canone tutte le apparecchiature munite di sintonizzatore per la ricezione del segnale (terrestre o satellitare) di radiodiffusione dall'antenna radiotelevisiva; ne consegue ad esempio che di per sé i personal computer, anche collegati in rete (digital signage o simili), se consentono l'ascolto e/o la visione dei programmi radiotelevisivi via Internet e non attraverso la ricezione del segnale terrestre o satellitare, non sono assoggettabili a canone. Per contro, un apparecchio originariamente munito di sintonizzatore – come tipicamente un televisore – rimane soggetto a canone anche se successivamente privato del sintonizzatore stesso (ad esempio perché lo si intende utilizzare solo per la visione di DVD)»; infine sul citato sito internet si legge che «la RAI ricorda che il canone non è dovuto per i computer privi di sintonizzatore»;
   il Ministero dello sviluppo economico ha elaborato una tabella in cui sono elencati, a titolo esemplificativo, gli apparecchi atti ed adattabili, soggetti al pagamento del canone TV, e gli apparecchi che non lo sono in quanto né atti, né adattabili alla ricezione del segnale radiotelevisivo;
   da fonti di stampa si è appreso che, in questi giorni, migliaia di artigiani, imprenditori e liberi professionisti hanno ricevuto, via posta tradizionale, una comunicazione dalla Rai, completa di bollettino, con cui si esige il pagamento del canone speciale, con tanto di importo precompilato, pari a 407,35 euro;
   l'interpellante ha raccolto le preoccupazioni delle associazioni di categoria che ritengono sia illegittima la richiesta di pagamento del canone speciale avanzata dalla Rai;
   con un comunicato stampa diramato venerdì 28 giugno 2014 la Rai ha dichiarato che le lettere spedite in questi giorni sono «comunicazioni informative prive di connotati precettivi o intimativi, nelle quali si descrive con chiarezza il presupposto dell'obbligazione di pagamento. In nessun passaggio della lettera Rai si dà per presupposta la detenzione di apparecchi tv, anzi si invita esplicitamente il destinatario ad effettuare il versamento soltanto qualora ricorra tale presupposto»;
   a parere dell'interpellante, la comunicazione spedita dalla Rai a migliaia di cittadini artigiani, piccoli commercianti e liberi professionisti, in realtà, si configura come un'ingiunzione di pagamento a tutti gli effetti, inviata senza fare le dovute verifiche, e le opportune distinzioni a norma di legge, tra chi è tenuto a corrispondere il canone speciale e chi non ha quest'obbligo, con l'obiettivo, per nulla velato, di recuperare risorse, a danno dei cittadini, in una congiuntura economica per l'azienda Rai sicuramente difficile –:
   quali iniziative di propria competenza ritengano di dover assumere il Presidente del Consiglio e i Ministri interpellati, al fine di chiarire, in maniera univoca, le disposizioni inerenti al pagamento del canone speciale per chi detiene uno o più apparecchi muniti di sintonizzatore atti a trasmettere, in luoghi pubblici, il segnale tv;
   se il Governo non ritenga, nell'ambito delle proprie competenze, di dover illustrare i criteri e le modalità con cui la Rai, in quanto concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, ha proceduto all'invio di decine di migliaia di lettere contenenti bollettini prestampati indicanti l'importo del canone speciale, indirizzate ad artigiani, commercianti e liberi professionisti con un tentativo di prelievo forzoso per l'uso di monitor e computer impiegati per motivi di lavoro e non per guardare programmi televisivi;
   se il Governo sia in grado di comunicare il numero di lettere inviate dalla Rai e il costo sostenuto per la spedizione e sulla base di quale presupposto è stato determinato l'importo richiesto;
   se non ritenga di dover spiegare a che titolo la concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo abbia avuto accesso, come affermato dalla stessa Rai, alle informazioni circa le aziende contenute nelle banche dati delle camere di commercio.
(2-00604) «Brunetta, Gelmini».

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   durante la sua requisitoria orale avvenuta il 26 giugno 2014, presso la Corte dei conti nel giudizio sul rendiconto generale dello Stato esercizio 2013 il procuratore generale, Salvatore Nottola, ha affrontato il tema della corruzione dilagante nel nostro Paese;
   Nottola ha sottolineato come certe procedure favoriscano la diffusione di questa piaga, come il sistema di estendere ai cosiddetti grandi eventi la normativa speciale dettata per la protezione civile che porta con sé troppo spesso la soppressione di regole e controlli: questi «vengono via via smantellati, in base alla motivazione della somma urgenza ovvero dell'emergenza, che giustificano deroghe ai codici degli appalti e ai principi della concorrenza, nonché abolizione di controlli preventivi e di gestione», che sono invece fondamentali per la lotta alla corruzione;
   a questo proposito il procuratore generale ha illustrato come il caso dell'Expo 2015, dove è stata scoperchiata quella che è stata definita dagli inquirenti una vera e propria «cupola degli appalti» che avrebbe gestito il sistema delle attività e degli affidamenti dei lavori con il coinvolgimento trasversale di alcune figure della politica locale e nazionale, sia emblematico poiché è stato oggetto di diverse disposizioni derogatorie: ai sensi della legge 6 aprile 2007, n. 46, l'ente comitato di candidatura è stato autorizzato a derogare alle disposizioni di cui alla parte II, titolo II, del codice dei contratti pubblici; con successive ordinanze del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3623 del 18 ottobre 2007, n. 3900 del 5 ottobre 2010 e n. 3901 dell'11 ottobre 2010 sono state autorizzate deroghe a numerose disposizioni normative e soppressi controlli preventivi e di gestione;
   sembra inoltre, sempre per Expo 2015, che i provvedimenti commissariali di protezione civile erano stati assoggettati a controllo preventivo della Corte dei conti con decreto-legge n. 225 del 2010, ma successivamente il controllo fu soppresso (articolo 10, comma 4-bis del decreto-legge n. 93 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 119 del 2013) con la motivazione che gli interventi d'urgenza venivano ritardati dall'attesa della risposta della Corte dei conti anche se ciò ad avviso dell'interpellante non era vero poiché il termine per il controllo era complessivamente contenuto in 7 giorni ed era altresì prevista la possibilità per l'amministrazione di dichiarare i provvedimenti provvisoriamente efficaci;
   in merito all'Expo la Corte dei conti già da tempo aveva lanciato l'allarme sui rischi insiti nella sua gestione (relazione della sezione di controllo sugli enti sulla gestione finanziaria per gli esercizi 2011 e 2012) –:
   se il Governo non intenda, anche sulla base degli atti depositati, fare chiarezza sulle ragioni delle diverse disposizioni derogatorie adottate in relazione all'evento Expo 2015 e sui motivi della soppressione del controllo preventivo previsto da parte della Corte dei conti di cui in premessa.
(2-00600) «Sorial».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, SEGONI, TERZONI, VIGNAROLI e ZOLEZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche dei rifiuti mira a prevenire o ridurre le ripercussioni negative sull'ambiente e sulla salute umana risultanti dall'intero ciclo di vita delle discariche;
   a questo riguardo l'articolo 14 della stessa direttiva, infatti, prevedeva che gli Stati membri adottassero misure affinché le discariche, che avevano ottenuto un'autorizzazione o che erano già in funzione al momento del recepimento della direttiva, potessero rimanere in funzione alle seguenti condizioni:
    a) entro un anno dalla data prevista nell'articolo 18, paragrafo 1, il gestore della discarica doveva elaborare e presentare all'approvazione dell'autorità competente un piano di riassetto della discarica comprendente le informazioni menzionate nell'articolo 8 e le misure correttive eventualmente necessarie al fine di soddisfare i requisiti previsti dalla direttiva, fatti salvi i requisiti di cui all'allegato I, punto 1;
    b) in seguito alla presentazione del piano di riassetto, le autorità competenti dovevano adottare una decisione definitiva sull'eventuale proseguimento delle operazioni in base a detto piano e alla presente direttiva;
    c) sulla base del piano approvato, le autorità competenti avrebbero dovuto autorizzare i necessari lavori, stabilendo un periodo di transizione per l'attuazione del piano;
   lo stesso articolo 14 prevedeva, altresì, che tutte le discariche preesistenti dovessero conformarsi ai requisiti previsti dalla direttiva, entro otto anni dalla data prevista nell'articolo 18, paragrafo 1, e che gli Stati membri adottassero le misure necessarie per far chiudere al più presto, a norma dell'articolo 7, lettera g), e dell'articolo 13, le discariche che, in forza dell'articolo 8, non avessero ottenuta l'autorizzazione a continuare a funzionare;
   in merito al rispetto degli obblighi previsti, tra l'altro, dal citato articolo 14 della, direttiva, in data 15 luglio 2009, la Commissione europea ha inviato una richiesta di informazioni alle autorità italiane (Ares (2009) 173208), alla quale l'Italia ha risposto con nota della Rappresentanza permanente d'Italia presso l'Unione europea del 13 ottobre 2009 (prot. N. 10910);
   nell'ambito della procedura EU Pilot 1513/10/ENVI la Commissione ha poi inviato alle Autorità italiane una nuova lettera datata 18 novembre 2010. In questa la Commissione ha osservato che, a settembre 2009, erano presenti nel nostro Paese almeno 187 discariche «preesistenti» (ovvero discariche già autorizzate o in funzione al momento del recepimento della direttiva 1999/31/CE) che non erano ancora state rese conformi alle prescrizioni della direttiva, né chiuse in (base a quanto previsto dalla stessa Direttiva, e ha, pertanto, invitato le Autorità italiane a presentare le loro osservazioni in merito;
   le autorità italiane hanno risposto alla lettera succitata in data 23 dicembre 2010 tramite nota del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 22 dicembre 2010. In tale lettera e nei relativi allegati esse hanno fornito informazioni su alcune iniziative intraprese per attuare l'articolo 14 della direttiva. La Commissione ha inviato un'ulteriore richiesta di chiarimenti l'11 aprile 2011, chiedendo all'Italia di trasmettere dati completi ed aggiornati in merito all'applicazione dell'articolo 14 della direttiva. Le autorità italiane hanno di nuovo risposto tramite lettera del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 16 maggio del 2011 nella quale sono state fornite informazioni dettagliate. Dalle analisi di tali informazioni emergeva che sul territorio italiano vi erano almeno 102 discariche «preesistenti» (3 delle quali per rifiuti pericolosi) che non erano ancora state né oggetto di provvedimenti di chiusura né rese conformi alla direttiva;
   la Commissione, in data 28 febbraio 2012, ha inviato alla Repubblica Italiana una lettera di costituzione di messa in mora, invitando il Governo italiano, conformemente all'articolo 258 dei Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, a trasmettere le osservazioni, entro due mesi dal ricevimento della lettera;
   tali discariche erano presenti nelle seguenti regioni; Abruzzo (21), Basilicata (19), Calabria (4), Campania (5), Friuli Venezia Giulia (10), Emilia Romagna (2) Liguria (1 per rifiuti pericolosi), Lombardia (2), Marche (1), Molise (10), Puglia (6), Sardegna (12), Piemonte (7) e Umbria (2);
   le autorità italiane hanno risposto alla costituzione di messa in mora mediante note della Rappresentanza Permanente d'Italia dell'11 maggio e dell'8 giugno 2012, dalle quali emergeva che, malgrado i notevoli progressi compiuti, sul territorio italiano vi fossero ancora 46 discariche «preesistenti» (1 delle quali per rifiuti pericolosi), con riferimento alle quali non erano stati rispettati gli obblighi previsti dell'articolo 14 della direttiva;
   la Commissione europea in data 21 novembre 2012 – dopo aver posto la Repubblica Italiana in condizione di presentare osservazioni con lettera di costituzione di messa in mora del 28 febbraio 2012 (rif. SG(2012)D/3668) e tenuto conto delle risposte del Governo italiano dell'11 maggio 2012 (rif. INF(2012) 105002) e dell’ giugno 2012 (rif. INF (2012)105172) – ha emesso il seguente Parere Motivato: poiché sul territorio italiano vi sono 46 discariche «preesistenti» che non sono ancora state rese conformi alle prescrizioni della direttiva 1999/31/CE né chiuse, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi imposti dall'articolo 14 della direttiva 1999/31/CE, pertanto, in applicazione dell'articolo 258 primo comma, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, la Commissione invita la Repubblica italiana a prendere le disposizioni necessarie per conformarsi al presente parere motivato, entro due mesi dal ricevimento del medesimo;
   la distribuzione delle predette 46 discariche preesistenti: Abruzzo (15), Basilicata (19), Campania (2), Friuli Venezia Giulia (4), Liguria (1 per rifiuti pericolosi), Puglia (5) –:
   se e quali iniziative siano state intraprese, o si intendano avviare, affinché – in merito alla procedura di infrazione 2011–2215 inerente alla violazione dell'articolo 14 della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti in Italia – venga evitato il deferimento del nostro Paese innanzi alla Corte di Giustizia europea;
   quale sia lo stato di fatto e lo stato di avanzamento dei distinti procedimenti amministrativi in essere riferiti alle 46 discariche «preesistenti», in relazione alle quali la Commissione ha constatato l'inadempimento, da parte dell'Italia, degli obblighi imposti dall'articolo 14 della direttiva con l'indicazione delle:
    a) discariche operanti e/o comunque autorizzate, al momento del recepimento della direttiva della direttiva 1999/31/CE, per le quali è stata autorizzata la realizzazione dai lavori, in conformità al piano di riassetto approvato;
    b) discariche operanti e/o comunque autorizzate al momento del recepimento della direttiva 1999/31/CE, per le quali non è stata ancora autorizzata la realizzazione dei lavori in conformità al piano di riassetto approvato;
    c) discariche operanti e/o comunque autorizzate al momento del recepimento della direttiva della direttiva 1999/31/CE, delle quali – ad esito dell'istruttoria del piano di riassetto presentato dal gestore – è stata disposta la chiusura;
    d) discariche operanti e/o comunque autorizzate al momento del recepimento della direttiva della direttiva 1999/31/CE, per le quali non è stato ancora concluso l’iter approvativo del piano di riassetto presentato dal gestore;
    e) discariche operanti e/o comunque autorizzate al momento del recepimento della direttiva della direttiva 1999/31/CE, per le quali non è stato ancora presentato il prescritto piano di riassetto. (5-03112)


   ZOLEZZI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, SEGONI e TERZONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in merito alle valutazioni e provvedimenti sulle attività di stoccaggio, ricerca a coltivazione idrocarburi sul territorio lombardo a seguito della pubblicazione del rapporto della Commissione ICHESE, in Lombardia, secondo i dati dell'Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse presso il Ministero dello sviluppo economico aggiornati al 31 marzo 2014, risultano vigenti: 14 permessi di ricerca idrocarburi in terraferma, 17 concessioni di coltivazione idrocarburi in terraferma, 9 istanze di permesso di ricerca idrocarburi in terraferma, 6 concessioni di stoccaggio gas naturale;
   il territorio lombardo storicamente è stato interessato da sismi, tra cui si ricordano: il terremoto di Soncino del 12 maggio 1802, i terremoti di Salò del 1901 e del 2004, il sisma di Caviaga del 15 maggio 1951 (sisma quest'ultimo che sarebbe stato indotto dalle operazioni di estrazione del metano, come riportato anche da organi di stampa);
   secondo i dati dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV) sono presenti, in particolare nella provincia di Cremona, le seguenti sorgenti sismogenetiche: ITCS072, ad una profondità compresa fra 1.000 metri e 7.000 metri, ITCS002, ad una profondità compresa fra 2.000 metri e 9.000 metri, entrambe in grado di generare sismi di magnitudo 6.1 in ogni punto della loro estensione, e la sorgente ITCS010, ad una profondità fra 5.000 metri e 7.000 metri, in grado di generare sismi di magnitudo 5.5;
   la presenza di tali sorgenti sismogenetiche viene esplicitata nella recente delibera di giunta regionale (dgr) X/1568: «[...] sorgenti sismogenetiche importanti, individuate dall'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), interessano, in modo differenziato, gli impianti di stoccaggio lombardi in Provincia di Cremona, nella quale è presente la gran parte dei volumi di stoccaggio autorizzati»;
   a seguito dei gravi eventi sismici verificatisi nel mese di maggio 2012 nelle regioni Lombardia ed Emilia Romagna, il commissario delegato Errani del dipartimento della protezione civile ha ritenuto di istituire una commissione internazionale tecnico-scientifica (cosiddetta ICHESE) per la valutazione delle possibili relazioni tra attività di perforazione per gli idrocarburi e aumento dell'attività sismica in Emilia-Romagna; le conclusioni del lavoro della commissione risultano certamente di interesse anche per la regione Lombardia, come scritto nella dgr X/1568: «Le conclusioni del lavoro della Commissione risultano certamente di interesse anche per la Regione Lombardia, per le analogie di carattere sismico esistenti tra le aree delle due Regioni interessate dall'attività di perforazione e di gestione degli impianti di stoccaggio del gas naturale»;
   la suddetta Commissione ha iniziato i lavori nel maggio 2013 e consegnato il rapporto scientifico conclusivo dell'attività di studio svolta al dipartimento della protezione civile in data 13 febbraio 2014, rapporto successivamente trasmesso alla regione Emilia-Romagna in data 17 febbraio 2014 e quindi al commissario delegato Errani nonché presidente della regione Emilia-Romagna;
   solo successivamente alla pubblicazione da parte di alcune agenzie di stampa della notizia secondo cui la commissione ICHESE ha terminato le proprie attività e il relativo rapporto è stato tempestivamente trasmesso, in data 15 aprile 2014 tale rapporto viene reso pubblico e accessibile sul sito web della regione Emilia-Romagna;
   risulterebbe, quindi, che regione Lombardia non fosse a conoscenza del rapporto della Commissione consegnato in data 13 febbraio 2014, se in data 20 marzo 2014 nella dgr X/1568 viene scritto: «[...] appare necessario attendere il pronunciamento autorevole della Commissione Tecnico Scientifica [...]»;
   nel redigere il rapporto, gli esperti hanno considerato un'area in cui siano presenti tre concessioni di sfruttamento per idrocarburi, un campo geotermico e un giacimento di stoccaggio di gas naturale;
   nel rapporto licenziato dalla commissione si legge: «[...] non può essere escluso che le azioni combinate di estrazione e iniezione di fluidi in una regione tettonicamente attiva possano aver contribuito, aggiungendo un piccolissimo carico, alla attivazione di un sistema di faglie che aveva già accumulato un sensibile carico tettonico e che stava per raggiungere le condizioni necessarie a produrre un terremoto.» «[...] non è possibile escludere, ma neanche provare, che le azioni inerenti lo sfruttamento del sottosuolo in atto in prossimità dell'area colpita dalla sequenza sismica del 2012, possano aver contribuito ad “innescare” l'attività sismica»;
   nel rapporto, la Commissione ha formulato raccomandazioni per una gestione ottimale delle attività di sfruttamento del sottosuolo, che comportano l'esigenza di definire nuove tecniche di monitoraggio e controllo, sviluppo di modellistica geofisica e geologica, nuove metodologie statistiche, piani di gestione del rischio con individuazione degli enti e i sistemi di controllo, programmi di interazione e comunicazione con la popolazione e gli amministratori. Per queste ragioni, con la collaborazione del mondo della ricerca, nel mese di febbraio, è stato costituito presso il CIRM (Commissione per gli idrocarburi e le risorse minerarie) del Ministero dello sviluppo economico – in stretta relazione con la regione Emilia-Romagna – un gruppo di lavoro composto da tecnici del Ministero, del dipartimento della protezione civile e da specialisti nel settore della geologia, della sismologia e della prevenzione del rischio, provenienti dal dipartimento della protezione civile e da istituti di ricerca (Cnr, Ogs, Ingv, Università), che sta lavorando agli approfondimenti indicati nelle raccomandazioni della commissione, per la definizione di linee guida;
   a seguito della pubblicazione, seppur tardiva, del rapporto, la regione Emilia-Romagna ha ritenuto di sospendere in tutto il territorio regionale qualsiasi nuova attività di ricerca e coltivazione idrocarburi;
   con dgr X/1568, la regione Lombardia ha deliberato: «In applicazione del principio generale di precauzione, (...) appare necessario attendere il pronunciamento autorevole della Commissione Tecnico Scientifica, da cui potranno discendere soluzioni, suggerimenti e prescrizioni ulteriori rispetto a quanto oggi previsto ed adottato in sede di approvazione dei programmi di lavoro per lo stoccaggio di gas in sotterraneo. Si ritiene, pertanto, opportuno sospendere le istruttorie in corso per il rilascio dell'intesa denominate “Sergnano” e “Ripalta”, relative alle attività di stoccaggio di gas per il tempo strettamente necessario ad acquisire le risultanze del lavoro della Commissione Tecnico Scientifica e definire, anche a seguito di confronto con le Strutture ministeriali, ulteriori prescrizioni e indicazioni per l'esercizio degli impianti di stoccaggio di gas, a maggior tutela dei territori e delle popolazioni interessate»;
   l'aggiornamento delle concessioni di stoccaggio di gas in sotterraneo del 18 marzo 2014 in merito alle centrali attive in regione Lombardia recita che Bordolano è uno stoccaggio attivo mentre nelle prescrizioni che hanno portato alla decisione di non assoggettare a valutazione di impatto ambientale l'entrata in esercizio dell'impianto è segnalata la necessità di monitoraggio sismico della durata di almeno un anno prima dell'entrata in esercizio (prima che vengano variate le pressioni della trappola geologica tramite iniezione/reiniezione di fluidi) al fine di monitorare la microsismicità locale ante operam –:
   se il Governo intenda comunicare le modalità e la tempistica con cui le regioni Lombardia ed Emilia Romagna siano state informate del rapporto della Commissione ICHESE;
   se il Governo intenda comunicare l'andamento dei lavori del gruppo di lavoro istituitosi presso la Commissione per gli idrocarburi e le risorse minerarie del Ministero dello sviluppo economico al fine di approfondire il rapporto della Commissione ICHESE richiamata in premessa ed elaborare nel più breve tempo possibile linee guida che accolgano ed integrino le raccomandazioni in esso contenute;
   se il Governo non valuti opportuno, in ragione del principio generale di precauzione, in costanza dei lavori del gruppo di lavoro della Commissione per gli idrocarburi e le risorse minerarie richiamato in premessa, assumere iniziative, anche normative, al fine di predisporre una moratoria di tutte le procedure in atto al fine di sospendere le concessioni di stoccaggio, ricerca e coltivazione idrocarburi, anche in fase di realizzazione (come nel caso del sito richiamato di «Bordolano»), e ogni nuova istanza e autorizzazione;
   se nell'ambito delle competenze della direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche, si intenda comunicare se la centrale a gas di Bordolano sia un sito di stoccaggio attivo e, se del caso, perché sia stato autorizzata ad operare in assenza di valutazione d'impatto ambientale prevista all'allegato II della parte II del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, punto 17, a tal fine, anche valutando l'opportunità di rinnovare il procedimento concessorio di cui all'articolo 11 del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, alla luce delle eventuali nuove evidenze scientifiche desunte dal lavoro del gruppo di lavoro della Commissione per gli idrocarburi e le risorse minerarie;
   se, infine, alla luce dei provvedimenti concessori assunti, siano in grado di chiarire se il gas stoccato nella regione Lombardia sia finalizzato all'utilizzo locale o siano previsti piani di stoccaggio, in funzione delle necessità di altre nazioni, e di smistamento all'estero e se, su base nazionale, siano in grado di operare una stima dei costi statali annui per il mantenimento e la realizzazione degli stoccaggi e delle trivellazioni. (5-03119)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CARFAGNA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   è ormai a tutti noto il dissesto ed il degrado in cui versa la rete stradale che percorre il Cilento ed il Vallo di Diano, dissesto aggravato dai recenti smottamenti verificatisi nei mesi scorsi a seguito delle intese piogge che si sono abbattute sulla zona;
   la provincia di Salerno ha chiesto al Governo lo stato di emergenza per le terribili e pericolose condizioni di viabilità del Cilento: cambi di corsia, segnaletica inesistente, buche e avvallamenti sono una costante che mina la sicurezza degli utenti, danneggia i veicoli e l'immagine della regione e degli enti locali i cui territori sono attraversati;
   il problema del dissesto idrogeologico della provincia di Salerno, sommato al degrado della rete stradale, ha assunto dimensioni tali da rischiare di comportare, per la imminente stagione estiva, il collasso economico e sociale dell'intero territorio e, in particolar modo, di quello della costiera cilentana;
   le denunce relative agli incidenti e ai danni provocati da questa grave ed incresciosa situazione, sono all'ordine del giorno, costituendo, altresì, un aggravio sulle casse delle pubblica amministrazione e, conseguenza, per le «tasche» del contribuente –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione esposta in premessa e se, nell'ambito delle proprie competenze, non intenda intraprendere iniziative urgenti per garantire standard manutentivi adeguati lungo l'intero tracciato, in considerazione delle attuali condizioni di grave deterioramento del manto stradale e dell'importante flusso viario. (4-05315)


   LOREFICE, SILVIA GIORDANO, BARONI, CECCONI, DALL'OSSO, DI VITA, GRILLO e MANTERO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 29 giugno 2014 un peschereccio con a bordo oltre 600 profughi e almeno 30 cadaveri, è stato soccorso dai mezzi della Marina militare nel Canale di Sicilia. L'imbarcazione è stata presa a rimorchio e portata nel porto di Pozzallo, nel Ragusano;
   gli immigrati sarebbero morti per asfissia, i corpi si trovano in una parte angusta dell'imbarcazione, sono stati recuperati dopo l'arrivo del peschereccio nel porto di Pozzallo;
   le operazioni di recupero dei corpi non sono state possibili nell'immediato, in quanto la posizione in cui si trovano i corpi ha impedito il loro immediato recupero; solo un paio di cadaveri sono stati recuperati immediatamente e portati a bordo della nave militare;
   per la Marina militare le morti sono state causate da asfissia e annegamento;
   il sindaco di Pozzallo ha dichiarato pubblicamente che non è in grado di affrontare l'emergenza da solo, ed ha ricordato che le due uniche celle frigorifere a disposizione nel cimitero comunale, ospitano già corpi di migranti ai quali non è stata data sepoltura, e, quindi, non sa dove mettere i corpi dei 30 migranti deceduti nei giorni scorsi;
   due donne incinte sono state soccorse immediatamente;
   quella che si è conclusa domenica tragicamente è stata un'altra giornata, che da venerdì ha impegnato ininterrottamente gli uomini e le unità del dispositivo Mare Nostrum;
   il 27 giugno 2014, le navi della Marina militare e della Guardia costiera hanno soccorso sette barconi e hanno salvato 1.654 persone partite dalle coste africane;
   il primo intervento, venerdì mattina, è stato eseguito dalla nave Dattilo della Guardia costiera, che ha preso a bordo 416 migranti che si trovavano su un barcone in difficoltà;
   quattro sono state le imbarcazioni soccorse dalla fregata Grecale: un primo intervento, nei confronti di un barcone che aveva una falla ed era alla deriva, ha consentito il salvataggio di 227 persone, tra cui 19 donne e 18 minori; a questo si sono succeduti gli interventi con i quali sono state soccorse altre 218 persone, tra cui 29 donne e 39 minori, su un barcone e 84 su un gommone che aveva difficoltà di galleggiamento. L'ultimo intervento ha coinvolto un barcone con a bordo 327 migranti, di cui 13 donne e 25 minori;
   sono complessivamente 382, invece, i migranti che erano sulle due imbarcazioni soccorse dalla nave Orione della Marina militare;
   dal 27 giugno al 30 giugno 2014 risultano circa 5000 i migranti soccorsi complessivamente; ai già citati vanno aggiunti i migranti soccorsi: dalla corvetta Chimera, con 353 migranti, arrivata a Pozzallo, dalla nave anfibia San Giorgio con a bordo 1.170 migranti arrivata nel porto di Taranto, dal pattugliatore d'altura Dattilo della capitaneria di porto con a bordo 1.096 migranti arrivato nel porto di Augusta; dalla rifornitrice Etna con a bordo 1.044 migranti arrivata nel porto di Salerno; dal pattugliatore Orione con a bordo 396 migranti e dal mercantile Mare Atlantic con a bordo 235 migranti arrivati nel porto di Messina; dalla motovedetta della capitaneria di porto 906 Corsi con a bordo 341 migranti arrivata a Porto Empedocle in giornata, dal mercantile City of Beirut con a bordo 105 migranti e dal mercantile Ticky con a bordo 190 migranti arrivati nel porto di Trapani;
   appare evidente come l'operazione «Mare nostrum» si stia rilevando ogni giorno insufficiente e incapace ad affrontare la questione degli sbarchi e in tale contesto appare inammissibile il costo in vite umane che persone disperate sono costrette a pagare per approdare alle coste italiane e, in particolare, della Sicilia –:
   quali iniziative intenda avviare, a partire dal semestre di presidenza italiana europea, in coordinamento con l'Unione europea e l'Onu, per affrontare la questione degli sbarchi che non può continuare ad essere trattata in termini emergenziali, in quanto è questione strutturale che attiene ad una problematica che può e deve essere affrontata solo a carattere internazionale;
   quali azioni siano state avviate per sostenere in particolare i comuni della Sicilia, che sono lasciati da soli ad affrontare la gravissima vicenda degli sbarchi di persone provenienti dal Nord Africa. (4-05322)


   NICCHI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'11 di giugno 2014 i giudici del tribunale di Torino hanno rigettato la richiesta di Domenica Canchano, cittadina peruviana residente in Italia da ben 23 anni; giornalista pubblicista dal 2009, Canchano esercita la professione da almeno dieci anni: dopo le prime esperienze con una tv locale di Genova, è stata collaboratrice del gruppo Repubblica e del Secolo XIX;
   Canchano sei mesi fa aveva inoltrato al tribunale di Torino una regolare richiesta per diventare direttrice responsabile di «Altra prospettiva», una testata online sul tema delle migrazioni, promossa dalla onlus Cospe e dall'Associazione nazionale stampa interculturale (ansi) e interamente curata da giornalisti stranieri; tra le motivazioni della sentenza di rigetto vi è l'articolo 3 della Legge sulla stampa (n. 47 del 1948) il quale stabilisce che tra i requisiti per diventare direttore di testata debba esserci anche la cittadinanza italiana; l'articolo 3 della legge n. 47 del 1948 era stato ritenuto abrogato di fatto nel mese di marzo 2014 da un parere del Ministero della giustizia per incompatibilità con il decreto legislativo n. 286 del 1998;
   contro l'articolo 3 della legge n. 47 del 1948 si era già espresso anche l'Unar (ufficio nazionale anti discriminazioni razziste), che nel settembre 2011 lo aveva bollato come discriminatorio;
   questa legge mette di fronte a una doppia violazione, da una parte c’è una netta discriminazione nei confronti dei cittadini stranieri, dall'altra viene meno la libertà d'informazione. È auspicabile una risposta tempestiva da parte del Ministero della giustizia affinché si possa cambiare una legge dello Stato italiano che non sta al passo coi tempi e non tiene conto dell'interculturalità dell'Italia di oggi;
   le associazioni Ansi, Cospe e Asgi hanno annunciato il ricorso in tribunale –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare affinché sia modificata la legge n. 47 del 1948 sulla stampa, retrograda e risalente a quasi 70 anni fa, consentendo anche ai cittadini stranieri regolarmente presenti sul territorio italiano di poter aprire una testata giornalistica. (4-05333)


   NUTI e DE LORENZIS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il comma 2 dell'articolo 74 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, introdotto grazie ad un emendamento presentato dal deputato del Gruppo parlamentare «Lega Nord e Autonomie» Davide Carlo Caparini, stabiliva che «i soggetti titolari di concessione radiofonica comunitaria in ambito nazionale sono autorizzati ad attivare nuovi impianti (...) sino al raggiungimento della copertura di cui all'articolo 3, comma 5, della legge 31 luglio 1997, n. 249. Decorsi novanta giorni dalla comunicazione di attivazione degli impianti al Ministero delle comunicazioni ed in mancanza di segnalazioni di interferenze, la frequenza utilizzata si intende autorizzata»;
   i soggetti titolari di concessione radiofonica comunitaria esistenti in Italia sono esclusivamente due: Radio Padania Libera e Radio Maria;
   ad avviso degli interroganti, la citata previsione normativa costituirebbe un ingiusto e smisurato favore nei confronti di due emittenti radiofoniche politicamente e culturalmente schierate, di cui una, Radio Padania Libera, costituisce emittente radiofonica di un partito politico, che, tra l'altro, sempre ad avviso degli interroganti, è solita dar voce ad opinioni xenofobe, razziste, omofobe e contrarie all'unità nazionale, così come sancita dalla Costituzione;
   inoltre, costituirebbe un provvedimento di assoluto sfavore nei confronti delle numerose emittenti radiofoniche locali, il cui numero negli ultimi anni è drasticamente diminuito, anche a causa delle evidenti difficoltà economiche;
   la norma richiamata in premessa, ha consentito a Radio Padania Libera e a Radio Maria di acquisire gratuitamente un elevato numero di frequenze, garantendo un aumento considerevole del proprio patrimonio, senza alcun costo;
   in molti casi le frequenze radiofoniche così acquisite sono state cedute a titolo oneroso ad altre emittenti radiofoniche commerciali ovvero in cambio di frequenze di altre aree, in alcuni casi con una differenza di valore che ha consentito comunque di ottenere plusvalenze, anche ingenti;
   nello specifico, Radio Maria ha, tra l'altro, ceduto a titolo oneroso, per un corrispettivo di circa 10 milioni di euro, frequenze radiofoniche relative all'area di Milano, a Radio 2, emittente radiofonica pubblica;
   Radio Padania Libera, invece, ad avviso degli interroganti, potrebbe non avere la necessità di avere una copertura radio sull'intero territorio nazionale, come si evince dal programma politico del suo partito politico di riferimento, nonché dal pubblico a cui è esplicitamente rivolto o dal nome stesso della Radio, oltre al fatto che spesso i suoi Programmi radiofonici ospitano commenti denigratori nei confronti dei cittadini italiani provenienti dalle regioni meridionali, così come verso persone omosessuali o straniere, e per questo non si comprende il significato della norma in questione, vale a dire favorire una copertura radiofonica nazionale;
   la conferma viene anche dal fatto che Radio Padania Libera ha provveduto, sin dall'entrata in vigore della norma, ad occupare frequenze radio su tutto il territorio nazionale, solitamente non trasmettendo ovvero limitandosi a trasmettere i propri programmi per i primi 90 giorni, vale a dire la durata minima richiesta dalla legge affinché la frequenza possa essere acquisita, per poi cedere le frequenze radiofoniche a titolo oneroso ovvero permutandole in cambio di altre frequenze presenti nelle zone settentrionali del Paese;
   in altre, parole, dunque, provvedendo ad acquisire frequenze radiofoniche in tutta Italia per poi rivenderle o permutarle in cambio di frequenze nell'Italia settentrionale, Radio Padania Libera non otterrà mai la copertura radiofonica di cui all'articolo 3, comma 5, della legge 31 luglio 1997, n. 249, e potrà perennemente acquisire frequenze non utilizzate, al solo fine di ottenere guadagni con la vendita o la permuta delle stesse;
   si ricorda, inoltre, che la disposizione di cui al comma 2, articolo 74, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, non è la sola norma emanata in favore delle emittenti radiofoniche comunitarie, Radio Maria e Radio Padania, a giudizio degli interroganti in aperto contrasto con la stringente normativa vigente per le emittenti radiofoniche commerciali: in particolare, si ricordano il comma 190, articolo 4 della legge 24 dicembre 2003, n. 350, e il comma 213, articolo 1, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, introdotto grazie ad un emendamento presentato sempre dal deputato Davide Carlo Caparini, che garantiscono un contributo annuale di almeno 1 milione di euro in favore delle radio comunitarie, a valere sui contributi di cui all'articolo 52, comma 18, della legge 28 dicembre 2001, n. 448;
   a seguito di un breve calcolo da parte degli interroganti, le due norme appena richiamate hanno garantito fondi pubblici a Radio Padania libera per almeno 5 milioni di euro;
   i fondi di cui sopra non sarebbero gli unici che gli organi del Partito «Lega Nord» riceve: il quotidiano La Padania, infatti, riceve annualmente ingenti fondi dal dipartimento per l'informazione e l'editoria presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, che dal 2003 al 2012 sono stati più di 36 milioni di euro;
   la redditività delle operazioni descritte è facilmente attestabile anche dal patrimonio di Radio Padania Libera, accresciuti di quasi 300 frequenze radiofoniche, e dal fatturato, passato da poco più di 100 mila euro nel 2006 ai quasi 2 milioni di euro nel 2008, nonostante in qualità di radio comunitaria non possa, per legge, trasmettere pubblicità per più di 3 minuti ogni ora;
   risulta agli interroganti, così come riportato da alcuni articoli di stampa e da fonte CERVED, che svariate decine di operazioni di permuta e compravendita di frequenze radio da parte di Radio Padania Libera sono avvenute con RTL 102.5 e Radio 101, la prima riconducibile a Lorenzo Suraci e la seconda di proprietà del gruppo Mondadori, riconducibile a Silvio Berlusconi;
   in particolare si evidenzia come Radio Padania Libera abbia una partecipazione del 33,33 per cento nella società Eurodab Italia s.r.l., il cui amministratore unico è Lorenzo Suraci, mentre si ricorda che il partito «Lega Nord» è stato parte delle varie coalizioni guidate da Silvio Berlusconi, di cui è stato anche alleato di governo;
   tra l'altro, come riportato da articoli di stampa, il trattamento di favore da parte delle sopra citate emittenti radiofoniche commerciali non si limiterebbe a permute e compravendite: nell'ottobre del 2010, infatti, Radio Padania Libera occupò la frequenza radio 89.700 MHz nella zona del Salento, su cui già trasmetteva RTL 102.5 la quale decise però non di denunciare il fatto entro i 90 giorni stabiliti dal comma 2, articolo 74 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, lasciando quindi che Radio Padania Libera acquisisse gratuitamente una frequenza propria;
   in data 14 aprile 2014, l'Avvocatura generale dello Stato, ha emesso un parere relativo alla potestà del Ministero dello sviluppo economico di inibire l'esercizio dei nuovi impianti di radiodiffusione sonora, attivati ai sensi del comma 2, articolo 74, legge 28 dicembre 2001, n. 448, e successivamente ceduti a soggetti autorizzati all'esercizio dell'attività: con tale parere, in sintesi, si invita il Ministero dello sviluppo economico a disattivare tutti gli impianti acquisiti ai sensi del comma 2, articolo 74, legge 28 dicembre 2001, n. 448, e successivamente trasferiti –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se non intenda adottare tutti le iniziative, anche normative, al fine di eliminare, alla luce delle gravi e perduranti distorsioni del sistema radiofonico italiano esposte in premessa, il trattamento di favore garantito alle radio comunitarie assicurato dal comma 2, articolo 74, legge 28 dicembre 2001, n. 448, nonché dal comma 190, articolo 4 della legge 24 dicembre 2003, n. 350, e dal comma 213, articolo 1, della legge 30 dicembre 2004, n. 311;
   se abbia già provveduto, e, in tal caso, con quali risultati, a dar seguito al parere formulato in data 14 aprile 2014 dall'avvocatura dello Stato, richiamato in premessa;
   se intenda rivalersi nei confronti di Radio Padania Libera, per le modalità illegittime, secondo quanto si evince dal parere dell'avvocatura dello Stato, con le quali si è avvalsa delle agevolazioni di cui al comma 2, articolo 74, legge 28 dicembre 2001, n. 448;
   se intenda assumere iniziative per eliminare i contributi pubblici erogati da parte del dipartimento per l'informazione e l'editoria presso la Presidenza del Consiglio dei ministri ovvero, se non intenda almeno ridurre i contributi in favore del quotidiano La Padania, in ragione degli ingenti fondi e dell'evidente trattamento di favore garantito a Radio Padania Libera, altro organo ufficiale del partito Lega Nord. (4-05338)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta orale:


   D'ALIA. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero degli affari esteri, con DM/5015 n. 164-bis del 4 aprile 2014, ha bandito un nuovo concorso per 35 posti di segretario di legazione;
   l'articolo 4, comma 3, lettera b), del decreto-legge 101 del 2013, stabilisce che «per le Amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, l'autorizzazione all'avvio di nuove procedure concorsuali [...] è subordinata alla verifica [...] dell'assenza, nella stessa amministrazione, di idonei collocati nelle proprie graduatorie vigenti ed approvate a partire dal primo gennaio 2007, relative alle professionalità necessarie anche secondo un criterio di equivalenza»;
   all'osservanza di tale regola il dipartimento della funzione pubblica ha richiamato tutte le pubbliche amministrazioni con circolare n. 5 del 21 novembre 2013;
   al punto 3.1 della suddetta circolare nella quale sono state indicate anche le risorse finanziarie destinate all'attuazione di tale meccanismo si precisa che «Sullo scorrimento delle graduatorie degli idonei, vigenti e approvate dal 1o gennaio 2007, c’è un vincolo, previsto dal legislatore, allo scorrimento delle stesse rispetto all'avvio di nuove procedure concorsuali»;
   con la sentenza 3 dicembre 2013 n. 10375, il Tar del Lazio ha stabilito che tale disposizione su richiamata, è «di applicazione, quanto ad ambito oggettivo, indistintamente a tutte le Amministrazioni, senza limitazioni di carattere soggettivo ed oggettivo»;
   il Ministero degli affari esteri dovrebbe quindi sottrarsi alla previsione di cui alla circolare n. 5 del 21 novembre 2013 che lo obbliga, nel bandire nuovi concorsi, al preliminare scorrimento delle vigenti graduatorie;
   il Consiglio di Stato, Sez. V, con sentenza 23 dicembre 2013 n. 6209 stabilisce il principio secondo cui in presenza di una graduatoria concorsuale vigente lo scorrimento della stessa deve costituire la regola generale per l'amministrazione che intende assumere;
   il Ministero degli affari esteri è stato autorizzato a bandire ogni anno, dal 2010 al 2014, un contingente annuo non superiore a 35 posti, ex articolo 4 del decreto – legge 2010/1: essa è norma di mera autorizzazione, pertanto – pur fissando un limite massimo – non fissa in alcun modo un limite minimo ovvero un obbligo di emanazione di nuovi bandi;
   la disposizione menzionata al punto precedente va integrata con la già citata normativa intercorsa di cui al decretolegge n. 101 del 2013, in particolare l'articolo 4, comma 3, lettera b), per cui un nuovo bando di concorso deve essere emanato previo accertamento dello scorrimento delle graduatorie vigenti;
   il Tar del Lazio, con la sentenza 3 dicembre 2013 n. 10375, su citata, sottolinea come l'esigenza di alta preparazione professionale (richiesta anche nel bando 2014) «non risulta incompatibile con lo scorrimento della graduatoria, alla luce della valutazione di idoneità riportata all'esito di una procedura concorsuale»;
   ad adiuvandum, già prima dell'emanazione del decreto – legge 101 del 2013, precisamente nel 2011, il Ministero degli affari esteri ha operato lo strumento dello scorrimento graduatorie degli idonei, mettendo a bando solo 29 posti su 35 autorizzati, dopo aver fatto scorrere la graduatoria del 2010;
   alcuni degli idonei dei concorsi banditi dal Ministero degli affari esteri per segretario di legazione negli anni 2011 e 2012 hanno presentato ricorso, in quanto, pur utilmente compresi nelle graduatorie tuttora valide ed efficaci, il Ministero degli affari esteri non ha proceduto allo scorrimento delle graduatorie ai fini della copertura dei posti a concorso: 
   il Consiglio di Stato ha rigettato tale ricorso non ritenendo fondate le pretese dei ricorrenti che dovevano essere rivolte contro il concorso immediatamente successivo a quello da cui traeva origine, ossia quello del 2012 che non risulta essere stato impugnato da nessuno dei ricorrenti;
   secondo il Consiglio di Stato una volta che il nuovo concorso è stato bandito senza alcuna doglianza da parte degli idonei del precedente, non esisterebbe più alcun interesse da parte di costoro a far valere la loro posizione nei successivi in quanto essi rappresenterebbero il prodotto di decisioni autonome, sganciate dall'alternativa tra scorrimento della vecchia graduatoria e indizione di una nuova procedura selettiva –:
   se ritengano correttamente applicata la normativa di cui al decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, alla luce degli elementi esposti in premessa e delle motivazioni addotte dal Consiglio di Stato per confutare le argomentazioni contenute nel ricorso citato degli idonei inseriti nelle graduatorie tuttora valide dei citati concorsi. (3-00908)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   nel novembre 2013 la Commissione straordinaria del comune di Reggio Calabria ha affidato per sei mesi la conduzione del servizio di igiene urbana cittadina all'azienda Avr spa, misura resasi necessaria poiché il socio privato presente nella compagine societaria della Leonia, società precedentemente affidataria della gestione dei rifiuti, veniva nel 2102 sottoposto a informativa interdittiva emessa dalla prefettura di Reggio Calabria. La Leonia viene successivamente sciolta per infiltrazioni mafiose;
   dallo scioglimento della Leonia le maestranze sono entrate in agitazione per il mancato percepimento di stipendio e TFR e il mancato ricollocamento professionale;
   l'affidamento dell'incarico all'Avr Spa è avvenuto senza bando pubblico ma in maniera diretta a causa dell'emergenza, nonostante la quale però il servizio è rimasto fermo per svariati giorni; durante i sei mesi di incarico affidati all'Avr Spa, è stato emesso il bando pubblico vinto poi da Camassambiente costituitasi in un'ATI (associazione temporanea di impresa), assieme alla ditta di Vibo Valentia Eurocoop, la quale, nelle ultime settimane, è stata travolta da una serie di arresti per truffa allo Stato, protagonisti amministratori e funzionari. L'incarico è ritornato perciò in maniera provvisoria, e per altri 6 mesi, nelle mani dell'Avr spa;
   la raccolta dei rifiuti si è perciò di nuovo arenata nell'attesa del certificato antimafia e delle dovute verifiche;
   l'Avr Spa sa probabilmente che non gli verrà rinnovato l'affidamento dei rifiuti e i lavoratori sono già in mobilitazione, rallentando ulteriormente lo svolgimento delle mansioni;
   in provincia di Reggio Calabria rimangono nel frattempo chiuse per lunghi periodi, per cause sempre diverse e a volte non verificabili, le discariche di Pianopoli, Casignana e Sambatello: a volte perché non essendo mai a regime non riescono ad «accogliere» i rifiuti di tutti i comuni che scaricano, a volte perché, essendo ormai obsoleti, gli impianti lavorano faticosamente, altre volte le discariche rimangono chiuse a causa delle tariffe elevate che i comuni non riescono ad affrontare, lasciando la spazzatura dentro ai camion fuori dai cancelli in fila per giorni;
   la mancata apertura delle discariche, aggiunta a periodi di sciopero dei lavoratori, comporta continuamente l'accumulo, per settimane, soprattutto nelle zone periferiche, di enormi quantità di rifiuti, per il cui smaltimento servono puntualmente mezzi pesanti, come ruspe e camion container, il che mette ulteriormente a repentaglio la riuscita della raccolta differenziata;
   nel frattempo le tariffe Tares riguardanti i rifiuti sono esponenzialmente aumentate;
   la situazione igienico sanitaria in città è al limite dell'accettabilità, intere strade sono ostruite dai rifiuti e l'arrivo di temperature calde fa degenerare la situazione, in alcune zone i rifiuti vengono bruciati da alcuni cittadini, peggiorando la respirabilità dell'aria e la sicurezza, e questa situazione si reitera da anni;
   già una volta l'Italia, per la gestione dei rifiuti in Campania, è stata infatti condannata presso il tribunale di Strasburgo per violazione della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Lo Stato, infatti, non può essere esonerato, perché affida a terzi (le regioni) la gestione dei rifiuti: spetta, infatti alle autorità nazionali adottare misure effettive per rendere concreto il diritto garantito dalla Convenzione –:
   se il Governo non ritenga di dover intervenire con urgenza, per quanto di competenza, in relazione ad una situazione – quale quella della gestione dei rifiuti a Reggio Calabria – in cui vengono negati ai cittadini il diritto alla salute e, all'integrità dell'ambienta davanti a un evidente deterioramento della qualità della vita e se non ritenga di dover verificare perché le discariche vengano ripetutamente tenute chiuse, anche alla luce dell'esigenza di rispettare obblighi di carattere internazionale.
(2-00607) «Costantino, Fratoianni, Giancarlo Giordano».

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   la piana di Scarlino è stata oggetto di attenzione da oltre dieci anni in relazione alla grave situazione di inquinamento ambientale che connota l'area, con particolare riferimento alla situazione delle falde acquifere, inquinate da rilevanti quantità di arsenico cancerogeno di prima classe, che, da tempo, erano oggetto di preoccupazione a diversi livelli istituzionali;
   le denunce e le sollecitazioni rivolte, nel corso degli anni ai competenti organi di vigilanza sono rimaste inascoltate e senza significativi interventi di rimozione dell'arsenico che sarebbe dovuto essere ricercato sui perimetri concentrici di raggio crescente circostanti la Piana;
   oggi, all'interno della Piana di Scarlino, rileva il rappresentante del Comitato Beni Comuni di Scarlino, si stima che siano disperse diverse migliaia di tonnellate di arsenico, mentre le tecniche proposte per la bonifica dell'area, prevedono attualmente la sottrazione di poche decine di chili di arsenico in 15 anni;
   già negli anni 1999-2001, la Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse della XIII legislatura si era occupata dell'inquinamento della piana di Scarlino, dando prescrizioni e formulando raccomandazioni;
   in particolare il Documento XXIII n. 55 degli atti parlamentari della suddetta Commissione, nell'ambito della relazione conclusiva sulla Toscana ed Umbria, dell'anno 2001 (relatore senatore Giovanni Iuliano), aveva già rilevato come a distanza di oltre dieci anni dalle prescrizioni che erano state impartite in relazione al sito citato, le norme previste in materia di bonifiche dei siti inquinati, non fossero state rispettate, aggiungendo inoltre che le falde inquinate non erano ancora state correttamente delimitate e bonificate, in quanto non era stato realizzato alcun serio provvedimento risanatore; inoltre il medesimo documento parlamentare evidenziava che le procedure di bonifica riavviate e approvate dal comune di Scarlino e dalla provincia di Grosseto, si erano limitate alle operazioni di bonifica della sola superficie e non anche delle falde idriche, riducendo le opere di ripristino e messa in sicurezza, entro il limite di proprietà dei soggetti responsabili, evitando pertanto di indagare oltre i confini di tali proprietà, pur essendo documentato l'avvenuto smaltimento di rifiuti sul territorio, anche all'esterno alle singole proprietà Eni;
   anche da parte della popolazione la situazione era già da tempo nota: sin dal 2001, il Comitato Beni Comuni di Scarlino, nell'ambito della conferenza dei servizi, per le bonifiche dei siti inquinati del 19 dicembre 2000, avanzava richieste d'intervento volte ad accertare la possibilità di migrazione degli agenti inquinanti nelle falde, sia all'interno che oltre il confine comunale di Scarlino;
   la causa della contaminazione da arsenico, secondo molte fonti, dovrebbe essere ricondotta alle attività industriali derivanti dal processo produttivo dell'Eni; tuttavia gli enti locali riconobbero che l'inquinamento da arsenico nei terreni della piana era di origine naturale, consentendo di fatto all'ENI di evitare di adempiere ad alcun obbligo di bonifica;
   successivamente Eni ha ceduto a diversi soggetti pubblici e privati le aree da bonificare ma la bonifica è stata avviata a macchia di leopardo ad opera delle industrie subentrate alle precedenti quali Scarlino energia, Nuova Solmine, e Tioxide ed è stata nel complesso inefficace;
   i comitati ambientalisti cittadini, avevano rilevato in più occasioni la necessità che gli enti locali, competenti a vigilare sulla bonifica del sito si attrezzassero adeguatamente per rimuovere le fonti inquinanti, anche attraverso una più incisiva azione di monitoraggio dell'intero territorio, che era stato suddiviso in più siti da bonificare senza che questa azione si limitasse, come è invece avvenuto, solo entro i confini di proprietà dell'azienda Nuova Solmine;
   le bonifiche svolte, da parte dei medesimi enti coinvolti, si sono limitate alle operazioni di rimozione dei rifiuti tossici interrati alla sola superficie di proprietà dei singoli siti, pur essendo documentato che tali rifiuti tossici erano stati interrati anche oltre il limite delle singole proprietà ed inoltre le stesse amministrazioni locali, non hanno prescritto la rimozione dei rifiuti tossici depositati nelle strade, nei piazzali, nei parcheggi, negli argini dei canali ed hanno convalidato il collaudo delle bonifiche delle superfici, pur sapendo che le acque in transito sotto quelle superfici continuavano a ricevere arsenico fuori norma;
   i livelli di pericolosità derivanti dall'inquinamento, sono, in conseguenza di ciò, divenuti sempre più elevati, come suffragato anche dallo studio commissionato dal comune di Scarlino, finalizzato ad individuare le cause della contaminazione e predisposto dalla società Ambiente nell'anno 2013 a seguito del quale sono emersi, i dati allarmanti relativi all'espansione territoriale della contaminazione;
   le conclusioni del predetto rapporto tecnico nell'ambito delle articolate motivazioni, evidenziano infatti due dati inquietanti relativi sia all'estensione della contaminazione da arsenico, che risulta essersi allargata oltre il territorio storicamente inquinato, ovvero verso la zona industriale di Follonica, sia con riferimento, alla persistente situazione di contaminazione che risulta ancora in corso e addirittura aggravata;
   il 12 giugno 2014, l'edizione locale di Grosseto del quotidiano: Il Tirreno, ha pubblicato un articolo che riporta l'allarme diffuso dall'Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana-Arpat e dall'Azienda sanitaria locale, sull'inefficacia degli interventi di bonifica effettuati nel corso degli anni, a seguito del ritrovamento dell'arsenico nella falda acquifera della piana di Scarlino in provincia di Grosseto;
   in un successivo articolo dello scorso 20 giugno del medesimo quotidiano, sono stati documentati gli errori, le omissioni e l'inefficienza degli enti locali coinvolti nell'annosa vicenda delle bonifiche delle aree inquinate nell'area di Scarlino, in particolare si segnalava come ad esempio fosse stato espresso parere favorevole al riuso delle ceneri di pirite, per realizzare massicciate stradali, pur essendo noto che tali rifiuti erano tossici e nocivi, perché capaci di cedere arsenico in acqua e non è stato prescritto che fossero quantificate le quantità di polveri arseniose e ceneri disperse dalle attività di fusione delle arsenopiriti (bilancio di massa), nonostante il fatto che ciò fosse stata richiesto espressamente da consulenti tecnici del comune di Scarlino in sede di Conferenza dei Servizi;
   occorre segnalare che il Tirreno descrive inoltre un'evidente sottovalutazione della situazione e un tentativo di minimizzare la questione. Si evidenzia infatti dal confronto delle vecchie tavole dello studio Biondi-Donati del 2011 descrittivo dello stato dei luoghi, con le nuove tavole 4b) e 4c) del citato studio della società Ambiente, che queste ultime, che danno conto di un peggioramento della situazione, sono state rapidamente ridimensionate dal sindaco e dall'assessore provinciale del comune di Scarlino, al fine di evitare che i preoccupanti rilievi contenuti dallo studio commissionato, potessero essere resi pubblici, cosa che in realtà è comunque avvenuta; inoltre, mentre sulla stampa locale, l'Asl competente e l'Acquedotto del Flora, tentavano di trasmettere rassicurazioni sullo stato di sicurezza della falda acquifera della piana di Scarlino, gli enti coinvolti erano a conoscenza che il livello di sicurezza e della qualità dell'acqua del sottosuolo, avrebbe dovuto essere controllato con maggiore accuratezza, attraverso il reperimento di nuovi dati, in grado di comprendere quali siano le cause della contaminazione e intervenire di conseguenza;
   la suesposta vicenda, a giudizio dell'interpellante, desta sconcerto e preoccupazione, ove il contenuto dell'articolo dell'edizione locale di Grosseto del quotidiano: Il Tirreno fosse confermato, in considerazione delle gravissime conseguenze relative ai danni per la salute dei residenti delle comunità locali interessate e dell'impatto sull'ambiente circostante;
   la situazione di evidente pericolosità in termini di rischi sanitari ed ecologici nella piana di Scarlino, le denunce e le accuse rivolte da oltre un decennio, da parte dei Comitati ambientalisti locali, nel manifestare una situazione di inquinamento di estrema gravità nella falda acquifera della piana medesima, a seguito delle quali non sono seguite azioni incisive di risanamento per eliminare i livelli di inquinamento, accrescono, a parere dell'interpellante, l'esigenza di interventi urgenti da parte dei Ministri interpellati, al fine di definire in maniera univoca, le reali condizioni dell'area interessata;
   l'evidente inefficacia da parte dell'Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana, di adeguati sistemi di controllo e monitoraggio dello stato della falda acquifera coinvolta, a cui non è seguita una seria attività ispettiva sull'intera area industriale, per controllare il rispetto delle norme in materia di tutela ambientale per accertare il livello critico di sostanze inquinanti e cancerogene, conferma inoltre l'urgenza, anche a livello normativo, di introdurre misure in grado di rafforzare le attività di controllo, finalizzate ad ottenere un alto livello di protezione ambientale nel nostro Paese;
   l'interpellante rileva altresì, come la suesposta vicenda, sia stata oggetto di un atto di sindacato ispettivo n. 4-07427, presentato la scorsa legislatura, in data 1o giugno 2010, nel quale già si segnalava nella Piana del Casone di Scarlino, una concentrazione di arsenico nelle falde idriche della zona pari a diverse centinaia di volte superiore ai limiti di legge;
   la situazione complessiva di particolare gravità e complessità, determinatasi nell'area in precedenza esposta, in ordine alle possibili ripercussioni, per l'inquinamento del territorio e dei suoi effetti diretti e indiretti sulla salute dei cittadini della comunità di Scarlino e del risanamento ambientale dell'area industriale (che risulta fortemente compromessa, a causa alle quantità e pericolosità degli inquinanti presenti quale l'arsenico cancerogeno di prima classe), richiede pertanto, che si affronti concretamente la fase di risanamento e di messa in sicurezza del territorio, nonché una revisione dei meccanismi di gestione delle operazioni di recupero dei rifiuti prodotti dalle bonifiche dei siti industriali contaminati dei territori –:
   quali orientamenti nell'ambito delle rispettive competenze intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa che evidenzia condizioni di elevata criticità sanitaria e ambientale, nella Piana di Scarlino, nell'intera area industriale inclusa la zona di Follonica, alla luce di quanto contenuto nell'articolo pubblicato nell'edizione locale di Grosseto del quotidiano: Il Tirreno;
   se intendano inoltre assicurare la prevenzione di possibili disastri sanitari ed ambientali mediante un controllo diretto delle procedure di bonifica della Piana di Scarlino, riportata nella premessa, da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con l'inserimento, ove ne ricorrano i presupposti, dell'area nell'elenco dei siti di bonifica di interesse nazionale;
   quali iniziative urgenti e necessarie, nell'ambito delle rispettive competenze intendano intraprendere, al fine di verificare, anche per il tramite dell'istituto superiore di sanità, se e quali effetti sulla popolazione possano essere derivati dall'attuale situazione di sostanziale compromissione delle acque di falda.
(2-00599) «Faenzi».

Interrogazioni a risposta orale:


   CORDA, PINNA, NICOLA BIANCHI, VALLASCAS, BUSTO, ZOLEZZI, SEGONI, MICILLO, MANNINO, DAGA, TERZONI e DE ROSA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Sogin, società che dal 1999 ha competenza sulla gestione dei rifiuti radioattivi e sullo smantellamento delle centrali chiuse dopo il referendum del 1987, chiamata, dietro indicazione dell'Ispra, l'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, entro il 31 dicembre 2014, a disporre un programma nazionale indicante le aree idonee a ospitare il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi delle vecchie centrali nucleari italiane;
   si riparla di sito unico nazionale, sulla spinta delle direttive europee e della necessità di cancellare la «mappa ad alto rischio» dei 23 siti nei quali sono ospitate le scorie, eredità della breve stagione nucleare italiana, chiusa dal referendum del 1987. Si tratta di 54.800 metri cubi di rifiuti radioattivi di cui 10.400 ad alta attività e altri 44.400 a media e bassa attività; a questi si aggiungono 35.400 metri cubi (con un tasso di crescita di 500 metri cubi all'anno) derivanti dalla medicina nucleare, dalla produzione industriale e dalla ricerca, per un totale di oltre 90 mila metri cubi di materiale radioattivo;
   l'ISPRA ha da poco reso noti i criteri (guida tecnica n. 29/2014) per la localizzazione di un impianto di smaltimento superficiale di rifiuti radioattivi a bassa e media attività, l'ormai famigerato deposito unico nazionale che in realtà si sarebbe dovuto costruire già da tempo;
   il 15 e il 16 maggio 2011 la regione Sardegna ha tenuto un referendum regionale consultivo proposto da Sardigna Natzione Indipendentzia, sull'eventuale costruzione di impianti nucleari nell'isola, con il decreto n. 1 del 30 gennaio 2011. Il quesito referendario recitava: «Sei contrario all'installazione in Sardegna di centrali nucleari e di siti per lo stoccaggio di scorie radioattive da esse residuate o preesistenti ?», coinvolgendo dunque anche i depositi di scorie. La consultazione ha visto una partecipazione del 59,49 per cento del corpo elettorale e una vittoria dei «Sì» con una percentuale di oltre il 97 per cento. Tale referendum ha avuto solo valore consultivo, non impegnando né il governo regionale né quello nazionale, servendo comunque come messaggio politico, date le dimensioni della partecipazione popolare e l'esito della consultazione;
   l'equiparazione delle scorie alle merci ha già portato la Corte Costituzionale a bocciare in passato alcune leggi regionali che dichiaravano denuclearizzato il territorio regionale sardo per impedire l'ingresso del materiale radioattivo nel proprio territorio. Secondo una interpretazione giuridica le scorie potrebbero essere considerate pari a merce semilavorata o materia prima per ulteriori attività industriali, pertanto sono equiparabili alle merci e, in quanto tali, godono della libera circolazione sul territorio nazionale;
   la Sardegna sarebbe stata individuata quale regione adatta ad ospitare il deposito permanente delle scorie nucleari, per la sua area non sismica e quindi geologicamente più stabile. In realtà vi è una forte preoccupazione tra gli abitanti per il fatto che il nucleare produca un gran numero di rifiuti tossici, alcuni dei quali rimarrebbero pericolosi per un lungo periodo; inoltre le scorie non possono essere stoccate in un sito artificiale, ma in un deposito sotterraneo naturale desertico e impermeabile, chiuso da chilometri e chilometri di argilla, dove i bidoni radioattivi possano riposare al sicuro per i prossimi millenni;
   si rileva la violazione della Convenzione di Aarhus, trattato internazionale entrato in vigore il 30 ottobre 2001 e ratificato nel 2013 da 45 stati e dall'Unione europea, volto a garantire all'opinione pubblica e ai cittadini il diritto alla trasparenza e alla partecipazione in materia di processi decisionali di governo locale, nazionale e transfrontaliero concernenti l'ambiente –:
   se, nell’iter procedurale per la decisione finale dell'allocazione del deposito unico, verrà preso in considerazione, ed in quale misura, l'avvenuto referendum popolare tenutosi nella regione Sardegna il 15 e 16 maggio 2011. (3-00907)


   TERZONI, DE ROSA, MANNINO, SEGONI, DAGA, MICILLO, ZOLEZZI e BUSTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 30 giugno 2014 le agenzie di stampa riportano la notizia dell'arresto dell'ex presidente e amministratore delegato di Finmeccanica Pierfrancesco Guarguaglini accusato di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione, nell'ambito delle indagini che stanno coinvolgendo Selex per il contratto stipulato per l'organizzazione e la gestione del sistema Sistri. Secondo l'accusa Guarguaglini sarebbe coinvolto nella raccolta di fondi neri destinati agli «sponsor politici»;
   rispondendo all'interpellanza urgente n. 2-00473 a prima firma Tenzoni, e in particolare all'ipotesi avanzata dagli interpellanti allo Stato e al Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare di costituirsi parte civile nel procedimento giudiziario ai sensi dell'articolo 1 della legge 3 gennaio 1991, n. 3, il Sottosegretario Velo rispose che «l'amministrazione continuerà a monitorare le attività giudiziarie e, all'esito delle indagini, qualora venga disposto il rinvio a giudizio degli imputati, si procederà a richiedere alla Presidenza del Consiglio dei ministri la costituzione di parte civile nel processo –:
   se il Ministro interrogato, alla luce di quanto emerso, non ritenga opportuno prendere atto delle indagini e assumere iniziative per costituirsi appena ne sussistano le condizioni, parte civile nel procedimento giudiziario come da impegno preso;
   se non ritenga che quanto emerso possa rappresentare ulteriore motivo per procedere con l'annullamento del contratto in essere con SELEX e attivare con un nuovo procedimento amministrativo per riaffidare il servizio con meccanismi che garantiscano trasparenza e legalità,
prevedendo, nel contenuto del nuovo assetto contrattuale, anche l'applicazione di nuove e più efficienti tecnologie. (3-00910)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TENTORI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 152 del 2006, all'articolo 184, comma 2, lettera e), considera rifiuti urbani «i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali» e al comma 3, lettera a), considera rifiuti speciali «i rifiuti da attività agricole e agro-industriali, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 2135 c.c.»;
   relativamente alle esclusioni dall'ambito di applicazione l'articolo 185, comma 1, lettera f) del decreto legislativo n. 152 del 2006 classifica tra ciò che è escluso da quanto concerne i rifiuti «le materie fecali, se non contemplate dal comma 2, lettera b), paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente né mettono in pericolo la salute umana»;
   le definizioni e le classificazioni sopra citate comportano conseguenze non indifferenti e complicazioni di ordine burocratico in quanto spesso gli scarti vegetali sopra richiamati possono trovare un idoneo riutilizzo nella normale pratica agricola o zootecnica, anche per il mantenimento dei livelli di sostanza organica nei terreni, nonché utilizzati per la produzione di ammendanti o concimi, anche al di fuori del luogo di produzione ovvero ceduti a terzi, come nel caso di un impianto di lombricoltura in cui vengono utilizzati per alimentarne il processo meccanico stesso, casi attualmente non specificati e dunque lasciati all'interpretazione della norma;
   un impianto di lombricoltura inoltre viene classificato come impianto di compostaggio ossia finalizzato al recupero di rifiuti organici che, una volta trasformati in compost, cessano di essere rifiuto per diventare un prodotto fertilizzante, quindi deve sottostare alla normativa in materia e rientrare tra le operazioni di recupero di rifiuti (R3, allegato C alla parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006);
   un impianto di lombricoltura tuttavia in sintesi trasforma paglia, sfalci e potature in risorsa: attraverso l'alimentazione dei lombrichi, che vengono allevati direttamente sul terreno, l'impianto smaltisce tutti i residui sopra citati trasformandoli in humus (ottimo ammendante ecologico e prezioso concime naturale indispensabile per fiori, piante e ortaggi), quindi dovrebbe essere considerato come un'attività agricola a tutti gli effetti –:
   se non ritenga di assumere iniziative dirette a modificare il decreto legislativo n. 152 del 2006, al fine di adottare misure di semplificazione e favorire il riutilizzo delle materie vegetali chiarendo le diverse interpretazioni della norma;
   se ritenga possibile escludere l'attività di lombricoltura dalla legislazione sui rifiuti considerandola a tutti gli effetti un'attività agricola. (5-03115)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CURRÒ. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Comprensorio industriale Milazzo-Valle del Mela, nello specifico il comune di Milazzo ricade nelle aree SIN (Siti di Interesse Nazionale) istituiti a partire dal 1998 con la legge n.426 del 9 dicembre 1998, che prevedeva l'adozione del Programma nazionale di bonifica e identificava un primo elenco di interventi di bonifica di interesse nazionale;
   con il decreto ministeriale 11 gennaio 2013, sono stati declassificati 18 siti dei precedenti 57, ma il sito di Milazzo rientra sempre tra i restanti 39 SIN che prevedono finanziamenti per la bonifica ambientale e per i quali esiste una diretta competenza del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   in tale quadro il dipartimento di medicina clinica e sperimentale dell'università di Messina, ha eseguito alcuni esami medici (emocromo, urine, ecografie e visite mediche complete), su un campione di circa 200 adolescenti delle scuole medie dei comuni di Milazzo, S. Lucia del Mela, S. Filippo del Mela, Pace del Mela, Gualtieri Sicaminò, Condro e San Pier Niceto, tutti ricadenti nel comprensorio industriale denominato «Valle del Mela», nell'ambito di un biomonitoraggio condotto dal dipartimento di medicina clinica e sperimentale dell'università di Messina commissionato dall'Organizzazione mondiale della sanità (progetto coordinato dal professor Francesco Squadrito emerito membro della comunità medica e scientifica mondiale);
   il rapporto del professor Squadrito è stato presentato nel luglio 2013;
   i livelli riscontrati dall'indagine eseguita e condotta dall’équipe medico scientifica del professor Francesco Squadrito sono allarmanti perché rilevano gravissimi danni fisici alla popolazione, senz'altro definibili come generazionali;
   ad esito degli esami eseguiti è risultato che diversi adolescenti esaminati erano vittime dell'inquinamento. Dalla raccolta di campioni biologici, è emersa infatti la presenza di metalli pesanti nel loro organismo, in particolar modo nichel, cadmio e cromo; inoltre in ben 31 casi su 200 sono state rilevate alterazioni morfologiche nell'apparato riproduttore degli adolescenti, tutti di età compresa tra i 12 ed i 14 anni;
   come è noto le patologie connesse con l'inquinamento da metalli pesanti influiscono pesantemente, tra le altre alterazioni biochimiche e funzionali, sull'apparato riproduttivo delle persone colpite impedendo a tali soggetti la procreazione;
   il suddetto biomonitoraggio è stato oggetto di attenzione, nello scorso novembre, dalla procura della Repubblica di Barcellona Pozzo di Gotto che ha aperto di conseguenza un'indagine;
   lo stesso biomonitoraggio, è stato oggetto dell'interrogazione 3-00455 pubblicata il 5 novembre 2013, nella seduta n. 134, dei Senatori Catalfo, Nugnes, Pepe e Martelli indirizzata al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   come attesta il rapporto di Legambiente del 2012 (Mal'Aria Industriale), quantità preoccupanti di nichel e di cromo vengono rilasciati nell'ambiente dalla raffineria di Milazzo, dalla centrale termoelettrica di S. Filippo del Mela, mentre cadmio, nichel e piombo sono prodotte dalla Ecologie Scrap Industry ESI spa., nonché da altre importanti aziende operanti nell'area di sviluppo industriale di Milazzo;
   inoltre, le citate aziende (le più importanti tra quelle ricadenti nel comprensorio industriale denominato «Valle del Mela») in questo tipo di «produzione» si collocano ai vertici degli stabilimenti italiani che rilasciano nell'ambiente tali tipologie di sostanze;
   dai dati emergenti dall'autorizzazione integrata ambientale, il provvedimento con cui vengono disciplinate e monitorate le emissioni inquinanti nell'ambiente rilasciata alle industrie inquinanti operanti nell'area di sviluppo industriale ed alla raffineria di Milazzo nel 2011 (in occasione della realizzazione della nuova unità idrogeno HMU3) ed in particolare dal parere rilasciato in data 25 febbraio 2011 in sede di istruttoria dalla Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale, si evince che, alla predetta data del febbraio 2011, «sul territorio regionale non si rilevano in via continuativa metalli pesanti (...)» e che «la rete regionale di monitoraggio della qualità dell'aria è in fase di revisione ed adeguamento ai criteri stabiliti dagli standard europei», oltre alla circostanza che «le stazioni di monitoraggio per metalli saranno inserite nel contesto della rete regionale di monitoraggio nel nuovo assetto futuro»;
   ad oggi non sono stati appaltati i lavori di bonifica previsti dal protocollo del 21 maggio 2014 deliberato nel corso della conferenza di servizi istruttoria svoltasi al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che ha impegnato l'Arpa di Messina a realizzare uno studio capace di definire quali livelli di concentrazioni presenti nelle analisi di caratterizzazioni dei suoli da parte delle imprese riguardo a ferro, manganese ed altri inquinanti quali i metalli pesanti possono essere identificati come valori del fondo naturale del territorio dell'area complessiva di Milazzo. Ciò è il presupposto necessario ad impegnare le imprese in attività di bonifica in relazione all'inquinamento legato effettivamente alle attività produttive;
   proprio in questi mesi l'Arpa della regione Friuli Venezia Giulia ha ricevuto l'incarico di portare avanti, in collaborazione con l'università di Trieste, «uno studio approfondito sulla qualità dell'aria del monfalconese che preveda, oltre all'utilizzo di apparecchiature automatiche per la rilevazione su basi chimico-fìsiche, anche l'uso dei licheni epifiti come bioindicatori, al fine di certificare il livello delle emissioni nell'aria con particolare riguardo per i metalli pesanti»;
   l'iniziativa in questione, promossa dall'assessore regionale all'Ambiente ed Energia, Sara Vito, in risposta ad un'interpellanza sulle emissioni della centrale termoelettrica di Monfalcone, ha avuto forte impulso e l'attenzione relativa ai livelli di inquinamento di metalli pesanti nel Monfalconese ha oggi acquisito centralità nell'azione amministrativa della regione –:
   a che punto sia l'attività di identificazione dei valori del fondo naturale del territorio dell'area complessiva di Milazzo con riferimento a ferro, manganese ed altri inquinanti quali i metalli pesanti presupposto necessario ad impegnare le imprese in attività di bonifica in relazione all'inquinamento legato effettivamente alle attività produttive;
   se non si ritenga necessario predisporre immediatamente e senza indugio alcuno, viste le gravi ripercussioni che le emissioni di metalli pesanti hanno sulla salute dei cittadini, uno studio approfondito sulla qualità dell'aria nel comprensorio industriale di Milazzo e nel suo vasto hinterland che preveda oltre all'utilizzo di apparecchiature automatiche per la rilevazione su basi chimico-fisiche, anche l'uso dei licheni epifiti come bioindicatori, al fine di certificare il livello delle emissioni nell'aria e sul suolo, con particolare riguardo per i metalli pesanti nell'intero comprensorio dell'area di sviluppo industriale denominata «Valle del Mela». (4-05327)


   FURNARI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   per il cosiddetto progetto «Tempa Rossa» l'Eni presentò la domanda di compatibilità ambientale «VIA-AIA» congiunta il 16 aprile 2010. Il parere favorevole della «Commissione Tecnica di Verifica d'Impatto Ambientale VIA-VAS» del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che arrivò il 21 giugno 2011;
   il 19 settembre 2011, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, firmò il decreto di pronuncia di compatibilità ambientale al progetto cui seguirono in ordine di tempo i pareri favorevoli di comune, provincia ed infine, il 6 dicembre 2011, quello della regione Puglia;
   il 23 marzo 2012 arrivò anche l'approvazione definitiva al progetto da parte del CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economia). Sta di fatto che nell'ottobre del 2012 il comune di Taranto approva un ordine del giorno con il quale si dichiara contrario. Si legge testualmente: «Il Consiglio comunale di Taranto, al fine di prevenire un ulteriore ed insostenibile rischio di inquinamento che si andrebbe ad innestare su una situazione ambientale, quella attuale, già fortemente compromessa.... Delibera l'orientamento contrario alla realizzazione da parte dell'ENI Spa del nuovo impianto di stoccaggio e movimentazione del greggio denominato «Tempa Rossa»; la riapertura immediata dell'AIA Rilasciata all'ENI spa per il medesimo progetto che dovrà contemplare oltre alla valutazione del danno sanitario anche quelle relative al rischio di incidente rilevante;
   si ricorda che il progetto di adeguamento delle strutture della raffineria di Taranto per lo stoccaggio e la movimentazione del greggio proveniente dal giacimento «Tempa Rossa», consisterà nella costruzione di diverse opere, tra cui la costruzione di un nuovo impianto pre-raffreddamento greggio e di due nuovi impianti di recupero vapori a integrazione dell'esistente, uno per la gestione dei vapori da caricamento greggio Tempa Rossa e uno per la gestione dei vapori da caricamento greggio Val d'Agri. In altre parole si legge nel progetto si prevede la «Progettazione e realizzazione delle opere marine previste per l'ampliamento del terminale petrolifero sito nel Mar Grande di Taranto»;
   il fattore di rischio di inquinamento di cui sopra fa riferimento al fatto che, attraverso la realizzazione di questo terminale petrolifero, si produrrà un 12 per cento in più di emissioni diffuse, che si distinguono dalle altre per il fatto che si disperdono in atmosfera senza l'ausilio di un sistema di convogliamento delle stesse dall'interno verso l'esterno. Emissioni diffuse che rientrano nella normativa sull'inquinamento prodotto dagli impianti industriali, emanata con decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1998 n. 203, che all'articolo 2, comma 4, recita testualmente: «Emissione, ovvero qualsiasi sostanza solida, liquida o gassosa introdotta nell'atmosfera, proveniente da un impianto, che possa produrre inquinamento atmosferico»;
   al di là delle vicende locali in merito a varianti del piano regolatore portuale che vede interessati da un lato i comuni di Taranto e Bari e dall'altro la regione Puglia e che di fatto ostacolano e ritardano la fase di progettazione ed anche in presenza dell'eventuale attuazione dell'autorizzazione integrata ambientale da parte di ENI spa per la raffineria di Taranto e dell'utilizzo delle migliori tecnologie disponibili, il «Progetto di adeguamento delle strutture della raffineria di Taranto per lo stoccaggio e la movimentazione del greggio proveniente dal giacimento denominato Tempa Rossa» costituisce certamente un elemento aggiuntivo di inquinamento in un contesto ambientale già fortemente compromesso sia dal punto di vista delle ripercussioni sulla salute che per quel che concerne i fattori inquinanti –:
   se il Ministro ritenga utile, al fine di salvaguardare l'ambiente e la salute delle popolazioni interessate, valutare tutte le prossime richieste di autorizzazione integrata ambientale per i nuovi impianti in modo tale che non sia consentito un peggioramento delle matrici ambientali e sanitarie nel comune di Taranto il cui equilibrio è già fortemente compromesso;
   se il Ministro ritenga necessario sospendere l'attività dovuta al «progetto di adeguamento delle strutture della raffineria di Taranto per lo stoccaggio e la movimentazione del greggio proveniente dal giacimento denominato Tempa Rossa» al fine di salvaguardare l'ambiente e la salute dei cittadini e dei lavoratori dei territori interessati. (4-05328)


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   come si evince dalle maggiori agenzie di stampa e da vari forum di operatori in rete, che riportano anche la notizia dell'aggravarsi delle inchieste sul gruppo Finmeccanica nei confronti dell’ex presidente Guarguaglini, l'autorità per la vigilanza sui contratti pubblici – AVCP – dopo due anni di indagini e relativa istruttoria finale, ha depositato l'8 maggio 2014 la deliberazione n. 10 con la quale, dopo aver ricostruito gli eventi dal 2006, si elencano alcune violazioni e illegittimità in merito all’iter amministrativo del sistema nazionale di tracciabilità dei rifiuti (SISTRI). La ricostruzione dei fatti connessi al SISTRI conduce l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici a dichiarare «non conforme» al codice dei contratti pubblici l'affidamento di tale progetto, in particolare per quanto riguarda la «secretazione» sul progetto stesso: posta nel febbraio 2007 dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore Pecoraro Scanio;
   la sopraccitata deliberazione così recita: «L’iter posto in essere – presentazione del progetto preliminare da parte di SELEX ES, secretazione del SISTRI, sviluppo del progetto, stipula del contratto non trova riscontro in alcun modello normativo che disciplina i contratti pubblici, dove la titolarità dell'iniziativa appartiene di norma al committente pubblico, dalla individuazione delle esigenze alla fattibilità dell'intervento, alla sua definizione alla ricerca del contraente e successiva gestione e controllo della fase realizzativi. Inoltre si rinvengono consistenti dubbi sulla stessa configurazione del contratto come appalto; infatti, la circostanza che il costo dell'operazione di fatto venga sostenuto dagli utenti registrati, induce a ritenere che si sia in presenza di una concessione di servizi»;
   dalla ricostruzione dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici risulta poi che sono passati, sorprendentemente, meno di 20 giorni tra la presentazione del progetto di massima del SISTRI al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare da parte della consociata di Finmeccanica Selex ES, e lo stanziamento nella legge finanziaria per il 2007 di ben 5 milioni di euro per la realizzazione del sistema, e soltanto 4 giorni lavorativi sono trascorsi tra la richiesta di bozza di contratto della direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (22 dicembre 2008) a Selex ES e la presentazione di quest'ultima di uno «schema di contratto per l'integrale esecuzione» al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   il carteggio con i rilievi dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici è stata peraltro inviato d'obbligo alla direzione distrettuale antimafia presso la procura della Repubblica di Napoli, alla procura generale della Corte dei Conti e al nucleo polizia tributaria di Napoli, che da marzo 2014 sta indagando sul SISTRI in merito a fondi neri all'estero, affidamenti illeciti e false fatturazioni;
   è plausibile peraltro ritenere che la deliberazione dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici avrà il suo peso sulla decisione del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sul prolungamento del contratto in essere, che scadrà il prossimo 30 novembre 2014;
   come ha avuto modo di sottolineare l'interrogante nell'atto n. 4-03564 ancora senza risposta, il SISTRI, ovvero il sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti, nasce con l'idea di attuare una semplificazione del processo di gestione e tracciabilità dei rifiuti (ospedalieri, urbani, speciali e pericolosi). Il SISTRI avrebbe dovuto avere il duplice obiettivo di semplificare l’iter di certificazione e tracciabilità dei rifiuti e di rendere trasparente il ciclo di distruzione dei rifiuti abbattendo i costi sostenuti dalle imprese del settore, ma nella realtà – tra rinvii, stop e modifiche alla normativa – il SISTRI non hai mai centrato le aspettative; l'avvio del sopraddetto SISTRI è stato infatti più volte rinviato e poi sospeso fino al 30 giugno 2013 per motivi di ordine tecnico, legale e gestionale, per poi andare in vigore dal 1o ottobre 2013 solo per chi tratta rifiuti pericolosi;
   è utile altresì ricordare che per il sistema SISTRI non è stata mai effettuato alcun collaudo, sebbene previsto dalla formativa vigente sugli appalti pubblici;
   come ben descritto dal rapporto Ecomafia 2014, elaborato annualmente da Legambiente, sono 29.274 le infrazioni nel ciclo dei rifiuti accertate nel 2013, più di 80 al giorno, ovvero più di 3 l'ora. Il 22 per cento delle infrazioni ha interessato la fauna, il 15 per cento i rifiuti e il 14 per cento il ciclo del cemento. Il fatturato, sempre altissimo, nonostante la crisi, ha sfiorato i 15 miliardi di euro grazie al coinvolgimento di numerosi clan, ben 321, appartenenti alla più pericolosa criminalità organizzata –:
   alla luce di quanto sopradescritto, quali iniziative urgentissime intenda mettere in campo il Ministro interrogato per fare luce sulla vicenda Sistri e dare informazioni sulle autorizzazioni date dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare a Selex ES; se non ritenga poi utile avviare una nuova procedura di affidamento rispettando quanto previsto nel codice degli appalti con meccanismi che garantiscano trasparenza e legalità, ribadito che, a fronte dei gravi dati sulle ecomafie del Paese, la tracciabilità dei rifiuti e il loro smaltimento corretto e senza danni per l'ambiente sono assolutamente necessari. (4-05336)


   MANTERO, BATTELLI, SIMONE VALENTE, SILVIA GIORDANO e LOREFICE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la collina di Pitelli, situata sulla sponda orientale del golfo di La Spezia e considerata un sito di alto valore paesistico secondo una legge del 1939, è stata oggetto di uno dei peggiori disastri ecologici nella storia d'Italia, e dopo 15 anni di inchieste, tutti gli imputati sono stati assolti per «insussistenza del fatto» nonostante la vicenda ad avviso degli interroganti presenti aspetti oscuri ed ambigui;
   difatti, sono ancora molti i misteri irrisolti dei rifiuti tossici e radioattivi sepolti sotto le banchine portuali, commerciali e turistiche della collina, considerata per anni il crocevia di traffici illeciti di rifiuti;
   alla fine degli anni 70, la società Contenitori Trasporti predispose un progetto per una discarica sulla collina che nonostante i numerosi esposti rivolti alla magistratura da parte di forze politiche e cittadini locali, riuscì a realizzare, nonostante l'effettuazione del sequestro giudiziario dell'area avvenuto nel 1996, quando furono definitivamente chiusi tutti gli impianti;
   durante quegli anni vennero di fatto insabbiati circa tre milioni di chili di rifiuti di ogni genere, dalle diossine al benzene ed idrocarburi, dagli scarti di industria farmaceutica ai residui di demolizione degli autoveicoli, dalle 116 tonnellate di fanghi alle ceneri e scorie metalliche, passando dai fusti di olii al catrame. Per non parlare di tracce di mercurio, piombo e nichel rinvenute nelle acque sotterranee e di scorie radioattive provenienti dai Paesi dell'Est;
   su tale questione, la procura di Asti fu la prima ad incardinare nel 1996 l'inchiesta per accertare la presenza di infiltrazioni camorristiche che dietro dazioni di denaro avrebbero dato luogo a illeciti, smaltendo grandi quantità di rifiuti tossici in maniera assolutamente difforme dalle previsioni di legge; in un secondo momento si occupò del caso anche la procura di Spezia (territorialmente competente) che iscrisse ben 130 persone nel registro degli indagati;
   le indagini si conclusero qualche decennio dopo con l'assoluzione per la dozzina di imputati accusati di disastro ambientale. Neanche l'entrata in vigore della legge n. 426 del 1988 (recante nuovi interventi in campo ambientale, la quale prevedeva ingenti finanziamenti per la bonifica e il ripristino dei siti inquinati) è riuscita a risollevare le sorti dell'area ormai chiaramente considerata ad alto rischio ambientale;
   come se non bastasse, si è assistiti anche alla morte bianca di un operaio dipendente della società Contenitori Trasporti che lavorava nella discarica, sul quale è stato aperto un processo –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se intenda promuovere una verifica sullo stato di inquinamento dei luoghi, anche per il tramite del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare il Governo al fine di ripristinare e restituire all'area il giusto valore paesaggistico. (4-05339)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:


   CAUSI, BARGERO e FIORIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, convertito, con modificazioni dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112, e il decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2013, n. 128, hanno disposto successivi aumenti delle aliquote di accisa relative alla birra, ai prodotti alcolici intermedi e all'alcole etilico;
   l'articolo 15, comma 1, lettere e-bis) ed e-ter) del citato decreto-legge n. 91 del 2013, con finalità di copertura di disposizioni introdotte in sede parlamentare nello stesso provvedimento, ha stabilito un ulteriore incremento delle aliquote di accisa sui prodotti alcolici;
   l'articolo 7 del decreto-legge 30 novembre 2013, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 gennaio 2014, n. 5, chiarisce che questi incrementi si aggiungono alle aliquote di accisa rideterminate dal citato decreto-legge n. 104 del 2013: di conseguenza, con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle dogane del 23 dicembre 2013 sono stati dunque disposti gli ulteriori aumenti previsti;
   a decorrere dal 1° marzo 2014 gli incrementi sono stati i seguenti: prodotti alcolici intermedi: euro 80,71 per ettolitro; alcole etilico: euro 942,49 per ettolitro anidro; a decorrere dal 1° gennaio 2015 gli incrementi saranno i seguenti: prodotti alcolici intermedi: euro 88,67 per ettolitro; alcole etilico: euro 1.035,52 per ettolitro anidro; birra: euro 3,04 per ettolitro e per grado-Plato;
   per effetto dell'articolo 12, comma 7-ter, del decreto-legge n. 145 del 2013 e del provvedimento del direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli del 25 febbraio 2014 è stato eliminato l'incremento dell'accisa sulla birra che, fino al 1° gennaio 2015, ammonterà dunque a 2,70 euro (anziché a 2,77 euro per ettolitro e per grado-Plato);
   il citato innalzamento delle accise sui prodotti alcolici in vigore dal 1o ottobre dello scorso, il ritocco successivo dal primo gennaio 2014, ed il previsto aumento a decorrere dal 1o gennaio del 2015 porterà l'accisa ad un aumento complessivo di circa il 27,4 per cento;
   secondo le stime delle associazioni di categoria i consumi, a fronte dei forti aumenti di prezzo, rischierebbero di diminuire più che proporzionalmente, in base all'ipotesi di un'elasticità della domanda rispetto al prezzo di tali prodotti superiore ad uno, con una conseguente ricaduta negativa in termini di gettito erariale ed in termini di impatto occupazionale nella filiera;
   il settore dei prodotti alcolici occupa in Italia circa 100.000 addetti, generando un valore aggiunto pari a circa 5 miliardi di euro e un gettito erariale pari a circa 3,5 miliardi di euro annui;
   l'aumento delle accise andrebbe a colpire in particolare molte aziende di piccole e medie dimensioni italiane che costituiscono circa il 76 per cento del mercato degli alcolici;
   i risultati dello studio economico «Il settore della birra. Caratteristiche della domanda e dell'offerta, effetti della tassazione» condotto da REF Ricerche, stimano un minor gettito erariale di 109 milioni di euro al confronto di quanto previsto; a fronte dei 177 milioni di euro previsti, gli analisti di REF stimano ne siano incassati solo 116 milioni di euro; la stessa analisi ritiene di stimare in 48 milioni di euro l'ulteriore effetto negativo in termini d'introito fiscale dovuto al calo del PIL causato dalla flessione dei consumi; il gettito stimato dal centro di ricerca sarebbe pertanto di 68 milioni di euro effettivi, pari al 62 per cento in meno di quanto preventivato, in base a questa valutazione –:
   quale sia il gettito effettivo che si è prodotto a partire dal mese di ottobre del 2013 al fine di valutare se le stime proposte dalle associazioni di categorie possano essere confermate dall'andamento effettivo e, in tale ipotesi, se non ritenga opportuno evitare l'ulteriore aumento delle accise sugli alcolici previsto a decorrere dal 1° gennaio 2015. (5-03120)


   CANCELLERI, RUOCCO, VILLAROSA, ALBERTI, PESCO, PISANO e BARBANTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con l'articolo 23-quater del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, è stata stabilita l'incorporazione dell'amministrazione autonoma dei monopoli di Stato e dell'Agenzia del territorio rispettivamente, nell'Agenzia delle dogane e nell'Agenzia delle entrate; come indicato nella relazione resa dal Ministero dell'economia e delle finanze ai sensi del comma 1 dell'articolo 23-quater del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, il suindicato accorpamento è finalizzato al conseguimento di «obiettivi di risparmio, razionalizzazione gestionale ed efficientamento delle strutture»: una operazione che si inquadra, come precisato nel documento, «in una più ampia manovra di revisione degli apparati amministrativi, finalizzata a ridurre la spesa pubblica ma anche ad accrescere l'efficienza delle strutture»; i risultati attesi comprendono il miglioramento dei servizi resi all'utenza, lo sviluppo della tax compliance, una maggiore efficacia della lotta all'evasione fiscale e, al contempo, la riduzione del costo attraverso lo sfruttamento delle economie di scala e di gestione;
   l'avvio del processo di accorpamento è stato accompagnato da un ampio dibattito di carattere politico, giuridico e sindacale, tuttora insopito, che ha messo più volte in discussione l'opportunità della manovra sia con riferimento ai pretesi guadagni di efficienza – tutt'altro che scontati – sia con riguardo all'ancora più delicato problema del rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione che risulterebbe alterato e compromesso da ingiustificati processi di concentrazione delle burocrazie pubbliche;
   in particolare, dubbi sono stati sollevati sulla reale possibilità di conseguire sinergie operative ed economie di scala attraverso l'accorpamento di strutture con mission e operatività del tutto differenti quali l'Agenzia del territorio e l'Agenzia delle entrate o, come nel caso della gestione dei giochi, rispetto al funzionamento dell'apparato doganale;
   dall'esame delle esperienze di «merging» maturate negli altri Paesi europei non emerge una tendenza all'accorpamento tra le agenzie delle entrate e quelle del territorio né, tantomeno, dei giochi alle dogane: nel Regno Unito, ad esempio, le attività del catasto sono separatamente attribuite al valuation office agency dell'HMRC, mentre le attività delle conservatorie dei registri immobiliari sono svolte da un'altra agenzia, la HM Land Registry; in Spagna entrate e dogane sono gestite dall'agenzia tributaria (Aeat), mentre l'attività del catastale della conservatoria è svolta direttamente dal ministero delle finanze; in Francia, ove non vige il sistema delle agenzie ma quello tradizionale ministeriali e l'attività del catasto, del demanio e della conservatoria dei registri immobiliari è gestita specificamente dal service France domaine della Dgfip e i dirigenti di questa struttura hanno un separato percorso di carriera rispetto agli altri burocrati. In tutte le citate esperienze, inoltre, i processi di accorpamento si sono rivelati difficili e costosi a causa dell'eterogeneità tecnica ed operativa delle funzioni conglobate e dell'adeguamento del sistema informatico e delle competenze dei funzionari;
   analoghe perplessità sono manifestate nella risoluzione in Commissione n. 8-00185 del 4 luglio 2012 ove «si evidenzia come eventuali accorpamenti o trasferimenti di funzioni da un settore all'altro dell'Amministrazione finanziaria, non potranno essere realizzati in forma generica, meccanica o irrazionale, ma debbano invece tenere attentamente conto delle diversità e delle omogeneità nelle attività svolte, dell'articolazione degli interessi pubblici coinvolti, delle peculiarità delle materie trattate, nonché delle necessità di assicurare un adeguato presidio territoriale e di rispondere alle legittime esigenze dei cittadini e degli operatori professionali»;
   nel medesimo documento si formula la fondamentale raccomandazione, con riferimento alle operazioni di riforma del catasto «di mantenere distinte le funzioni di attribuzione del valore e della rendita catastale dei fabbricati da quelle di accertamento e liquidazione dei tributi immobiliari basati su tali valori» –:
   se non ritenga opportuno fornire una dettagliata esposizione circa l'effettiva sussistenza di economie di scala e sinergie operative nelle summenzionate operazioni di accorpamento delle agenzie fiscali, corredata di una stima quantitativa delle economie finora conseguite e di quelle conseguibili nel medio e lungo periodo anche allo scopo di rivalutare l'opportunità di mantenere «distinte le funzioni di attribuzione del valore e della rendita catastale dei fabbricati da quelle di accertamento e liquidazione dei tributi immobiliari basati su tali valori» attraverso la riassegnazione delle summenzionate funzioni a separate ed autonome amministrazioni o agenzie, così come indicato nella risoluzione in Commissione n. 8-00185 del 4 luglio 2012. (5-03121)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il nuovo regime di spending review al quale sono sottoposti anche gli enti locali rappresenta per gli stessi una condizione per verificare se sia possibile ridurre i costi di eventuali mutui già contratti adeguandoli alle attuali condizioni offerte dal mercato anche al fine di rendere meno gravosa l'incidenza dell'indebitamento sul proprio bilancio;
   il decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7, (meglio noto come decreto «Bersani») all'articolo 8 consente al debitore di sostituire più facilmente l'istituto erogante con uno nuovo, senza necessità di consenso del primo, eventualmente a condizioni più favorevoli, allo scopo di accrescere il grado di concorrenza nel mercato dei mutui bancari, attraverso il ricorso all'istituto giuridico della surrogazione del creditore come disciplinata dagli articoli 1201 a 1205 del codice civile, previo estinzione del debito;
   alcuni enti locali, che hanno precedentemente contratto mutui con la Cassa depositi e prestiti, non si trovano nella condizione di poter esercitare liberamente la suddetta facoltà, dovendo, in caso di recesso anticipato dal contratto stesso, corrispondere alla Cassa una penale contrattuale per estinzione anticipata;
   il citato decreto Bersani, afferma, all'articolo 8, comma 3, il principio per cui è nullo ogni patto, anche posteriore alla stipulazione del contratto, con il quale si impedisca o si renda oneroso per il debitore l'esercizio della facoltà di surrogazione di cui all'articolo 1202 del codice civile, (rubricato «surrogazione per volontà del debitore»): quindi, qualsiasi clausola che l'istituto di credito intendesse invocare sarebbe qualificabile, ove realmente ostativa alla surroga, nulla di diritto;
   gli stessi enti locali, pur avendo in sede di consiglio comunale deliberato di procedere all'estinzione del mutuo a tasso fisso contratto con la Cassa depositi e prestiti, ed ottenuto a tal fine da altri istituti di credito privati la disponibilità ad anticipare la provvista necessaria ad estinguere il contratto di mutuo e ad accenderne di nuovi, a condizioni migliorative, trovano un limite nella normativa attuale derivante dalla natura giuridica della stessa Cassa depositi e prestiti che, in quanto società per azioni che possiede la configurazione giuridica di intermediario finanziario non bancario, è soggetta alla vigilanza della Banca d'Italia nelle forme previste per gli intermediari finanziari iscritti nell'elenco speciale di cui all'articolo 107 del Testo unico bancario;
   è indubbio che alla suddetta fattispecie si applicabile la disciplina di cui all'articolo 120-quater del  Testo unico bancario tra l'altro confermata anche dalle «Disposizioni della Banca d'Italia su trasparenza e correttezza dei rapporti tra intermediari e clienti e per le quali: alla sezione III, prevedono che «per i contratti disciplinati dal presente provvedimento si richiamano inoltre gli articoli 120, commi 01, 1 e 3 (Decorrenza delle valute e calcolo degli interessi), 120-ter (Estinzione anticipata dei mutui immobiliari) e 120-quater (Surrogazione nei contratti di finanziamento. Portabilità) del T.U.»; agli articoli 3 e 4 dispongono che tra i «destinatari» di questa disciplina della Banca d'Italia, cui si applicano «le sezioni da I a V e X della stessa» (compresa dunque la predetta sezione III) vi sono anche «gli intermediari finanziari iscritti nell'elenco previsto dall'articolo 107 del T. U.», e quindi anche CDP;
   per quanto premesso, il mutuo contratto da un ente locale sarebbe «portabile» senza oneri per l'ente stesso e trasferibile per surrogazione agli istituti bancari già disposti a subentrarvi a condizioni migliorative, semplicemente pagando a CDP il residuo debito dovuto, senza che nessuna penale possa essere pretesa da CDP, a condizione che l'operazione sia impostata e negoziata come una surrogazione e non come un'estinzione anticipata –:
   se non ritenga di dover assumere un'iniziativa normativa al fine di chiarire definitivamente il regime giuridico da applicare agli enti locali che vogliono avvalersi della facoltà accordata dall'articolo 8 del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7 (cosiddetto decreto Bersani). (5-03122)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   come disposto dal decreto-legge n. 150 del 2013 (cosiddetto «milleproroghe»), nel testo convertito, a decorrere dal 30 giugno, tutti i professionisti, le imprese, gli artigiani e i commercianti sono tenuti a dotarsi di un dispositivo POS per i pagamenti superiori ai 30 euro;
   a parere del deputato interrogante, più si percorre la strada della «virtualizzazione» del denaro, maggiore è la probabilità che banche e società finanziarie speculino mediante la previsione di commissioni e interessi di vario tipo;
   l'obiettivo dell'introduzione di tale norma, ovvero un nuovo penetrante strumento per la lotta all'evasione fiscale mediante una maggiore tracciabilità del denaro, potrebbe essere anche condivisibile. Tuttavia, il Governo probabilmente non ha considerato quali costi dovranno sostenere i destinatari per adeguarsi;
   dalle stime in possesso del deputato interrogante, occorreranno oltre 600 euro all'anno in media solo per il noleggio del dispositivo. A questo va aggiunta la commissione sulla transazione che in alcuni casi supera anche l'1 per cento della cifra del pagamento. Non sfuggirà al Ministro interrogato come un simile balzello rappresenti una percentuale molto elevata degli utili realizzati dai professionisti cui si applica la norma in questione. È preoccupante come, ancora una volta, al fine di lottare contro l'evasione fiscale, lo Stato si concentri sulle fasce più deboli ed esposte alla crisi economica;
   risulta di tutta evidenza come il Governo, al fine di arginare le citate problematiche applicative, avrebbe dovuto farsi promotore e garante della stipula di una serie di convenzioni finalizzate non solo a ridurre al minimo il costo del noleggio dell'apparecchio, ma anche al fine di abbattere i costi fissi sulle transazioni con carte di credito e bancomat, così come peraltro già previsto in molti Paesi dell'Unione europea ed extra Unione europea;
   peraltro, occorre segnalare una ulteriore anomalia che caratterizza questa norma: l'assenza di sanzioni per i soggetti che si sottraggano al suo recepimento –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo al fine di superare le problematiche evidenziate in premessa, in particolare facendosi convintamente promotore di convenzioni finalizzate all'abbattimento dei costi di noleggio degli apparecchi POS e dei costi fissi che si applicano ad ogni transazione;
   quali siano le intenzioni del Governo, una volta individuate le norme per «alleggerire» il gravoso carico che, come segnalato, un intensivo utilizzo del POS pone sulle spalle dei destinatari, in merito all'eventuale introduzione di sanzioni o interdizioni in caso di inadempienza. (4-05326)


   SIBILIA, SILVIA GIORDANO, PAOLO BERNINI, COLONNESE, COLLETTI, DA VILLA, MICILLO, BARBANTI e PETRAROLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 10 giugno 2014, le più accreditate testate giornalistiche italiane diffondono la notizia clamorosa secondo cui la procura di Trani, attraverso la Guardia di finanza, aveva notificato avvisi di fine indagine a 62 persone del gotha del mondo bancario italiano, tra cui l'ex responsabile della Vigilanza di Bankitalia, Anna Maria Tarantola (attuale presidente della Rai), l'ex Ministro dell'economia Fabrizio Saccomanni (ex dg di via Nazionale) e l'ex dg Vincenzo Desario;
   secondo il pm inquirente della procura della Repubblica, di Trani, Michele Ruggiero, sarebbe stato commesso il reato di usura, in relazione a finanziamenti concessi sotto forma di anticipazioni ad alcune imprese pugliesi, da parte degli organismi di governance e di controllo delle banche con il concorso morale degli ex vertici di Bankitalia e da parte del capo della quinta direzione del dipartimento del Tesoro, Giuseppe Maresca;
   questi ultimi, contravvenendo alle disposizioni della legge dell'usura, dal 2005 al 2012 avrebbero prescritto alle banche di calcolare gli oneri dei finanziamenti concessi in rapporto al credito accordato invece, come richiesto dalla normativa vigente, che a quello realmente erogato e utilizzato dal cliente, in modo da realizzare le condizioni per una elaborazione da parte degli istituti di credito di tassi effettivi globali, i cosiddetti Teg, falsati in quanto più bassi di quelli effettivamente praticati;
   tutto ciò, secondo le indagini, determinava che gli interessi/remunerazioni applicati dagli istituti di credito alla clientela per alcune forme di finanziamento, quale l'anticipazione in c/c, risultassero sempre entro i limiti dei «tassi soglia», nonostante in realtà superiori ad essi e, quindi, usurai;
   negli ultimi anni abbiamo assistito ad una serie infinita di casi con i quali si è volutamente trarre in inganno gli organi di vigilanza bancaria come nel caso di Monte Paschi di Siena che, nel 2009, subito dopo la fusione con Antonveneta, per evitare multe chiedeva alla Fondazione Mps di trasferire i suoi soldi (circa 100 milioni di euro) da Siena a Roma allo scopo di rispettare, attraverso un evidente trucco contabile, la quota di raccolta (massimo 58 per cento) nella provincia di Siena imposta dagli stessi organi di vigilanza;
   l'Adusbef ha presentato un esposto denuncia per evidente lesioni dei diritti degli investitori nel caso del recente aumento di capitale di Mps. Il giorno 9 giugno del 2014 dopo un'eccezionale performance del titolo BMPS con un + 20 per cento, Unicredit e Societè Generale, banche emittenti, decidono di modificare in corsa il regolamento del prodotto la stessa sera del 9 giugno 2014, stabilendo arbitrariamente che la performance del warrant non fosse più indicizzata all'andamento del solo titolo BMPS, come invece era previsto dal regolamento redatto dalle stesse banche emittenti e comunicato il giorno 6 giungo del 2014, ma alla performance dei BMPS più il diritto di opzione sui BMPS. Tutto ciò in conflitto con il Regolamento dei Mercati organizzati e gestiti da Borsa Italiana SpA di cui al capo 7 articolo 2.2.22 comma 1, lettera d);
   dalle notizie diffuse, nelle ultime settimane, dai media nazionali, l'ex presidente di Carige ed ex vice-presidente di Abi, Giovanni Berneschi, attualmente in carcere con l'accusa di truffa aggravata, associazione a delinquere e riciclaggio nell'ambito dell'inchiesta su Carige Vita Nuova, risulta indagato dalla procura della Repubblica di Genova anche per false comunicazioni sociali in danno della società, dei soci e dei creditori e per aggiotaggio –:
   quali iniziative intenda assumere, anche nella sua veste di Presidente del Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio, al fine di assicurare il pieno rispetto della legalità nel settore finanziario e creditizio, a garanzia dei diritti dei cittadini risparmiatori e consumatori ed a tutela della trasparenza di un settore cruciale della vita economica del Paese. (4-05337)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta orale:


   NICCHI e GELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il piccolo Giacomo di poco più di sei anni ha trascorso quasi tutta la sua vita nel carcere di Sollicciano a Firenze;
   Giacomo è arrivato nella sezione femminile di Sollicciano come «ospite» insieme alla mamma nel 2010, all'età di un anno;
   la madre era stata arrestata a Bari nel 2009 per reati legati allo sfruttamento della prostituzione e deve scontare la pena fino al 2019;
   nel caso della madre di Giacomo qualsiasi percorso alternativo è stato finora impossibile perché è troppo alta la pena da scontare per reati gravi;
   la legge prevede che i bambini non vengano separati dalle madri detenute fino a tre anni, ma nel 2011 ne è stata aumentata l'età fino a sei anni, a patto però che siano in un icam, un istituto a custodia attenuata per le detenute madri;
   a Firenze, ma in generale in Toscana, non sono presenti icam. Sono anni che si sta attendendo l'apertura della casa delle detenuti madri a Firenze, ed è stata anche individuata una struttura ad hoc di proprietà della Madonnina del grappa, c’è stato l'appalto, ma i lavori non sono ancora partiti, e la struttura che lo avrebbe potuto ospitare si sta deteriorando giorno dopo giorno;
   il piccolo Giacomo non è un caso eccezionale, visto che in Italia ci sono decine di casi di bambini detenuti sotto i tre anni –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Governo per risolvere il caso del bambino recluso nel carcere fiorentino di Sollicciano in modo da consentire al piccolo Giacomo di sei anni di trascorrere una vita normale lontano dalla prigione senza recidere la relazione con la madre;
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda mettere in atto, affinché i finanziamenti già predisposti per la realizzazione di un icam a Firenze siano utilizzati per accelerarne l'apertura. (3-00909)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata:


   PIAZZONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.— Per sapere – premesso che:
   con il decreto-legge n. 102 del 2013 è stato introdotto nella legislazione italiana il concetto di morosità incolpevole con riferimento agli affittuari di immobili che non riescono a pagare il canone di locazione a causa di intervenute difficoltà economiche e familiari. L'articolo 6, comma 5, del decreto citato ha, infatti, istituito, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, un fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli, con una dotazione pari a 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015;
   il successivo decreto-legge n. 47 del 2014 ha stabilizzato la dotazione del fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli per gli anni a seguire fino al 2020, incrementando, inoltre, le risorse e prevedendo, nello specifico, per il 2014, 15,73 milioni di euro aggiuntivi;
   questi stanziamenti, necessari a dare una prima risposta alla perdurante situazione di emergenza abitativa che opprime il Paese – di cui un aspetto centrale è rappresentato dalle difficoltà delle famiglie nel pagamento dei canoni di locazione – rischiano di non trovare applicazione immediata a causa della mancata emanazione del decreto interministeriale di riparto. All'articolo 6, comma 5, del decreto-legge n. 102 del 2013 stabilisce, infatti, che le risorse citate in premessa sarebbero state ripartite tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, e successivamente trasferite ai comuni, a seguito dell'emanazione di apposito decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano;
   come denunciato dalle organizzazioni sindacali degli inquilini, il ritardo nella predisposizione del decreto di cui sopra potrebbe portare al mancato utilizzo delle risorse stanziate per l'anno 2014 pari a circa 35,73 milioni di euro;
   considerando come i dati recenti sugli sfratti in Italia segnalino un numero di circa 70 mila sentenze per l'anno 2013 – di cui ben il 90 per cento dovute alla morosità – e che se il trend di questi ultimi anni non fosse bruscamente invertito si potrebbe giungere nel 2015 alla probabile cifra di 200 mila sentenze di sfratto per morosità, appare assolutamente necessario dare immediata attuazione a provvedimenti già approvati dal Parlamento, che a causa di tempi burocratici inspiegabilmente lunghi rischiano di perdere efficacia –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato abbia intenzione di assumere al fine di adottare il regolamento interministeriale citato in premessa, così che possano essere impegnate al più presto le risorse, stanziate per l'anno 2014, del fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli. (3-00915)


   MATARRESE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la regione Puglia ha impegnato 15 milioni di euro per l'allargamento della strada statale 172 in Puglia, nella provincia di Brindisi, nel tratto tra Fasano e Laureto per la progettazione ed i lavori di allargamento e messa in sicurezza di un tratto di strada di 6 chilometri;
   sono a rischio circa 100 milioni di euro di finanziamento, che rientrano nel programma operativo nazionale reti e mobilità 2007-2013 dell'Anas coperti da finanziamenti comunitari, per il raddoppio della strada statale 96 in Puglia, nella provincia di Bari, opera per la quale sono stati già ultimati da un anno gli iter di gara e sono state effettuate le consegne dei lavori alle imprese aggiudicatarie. In dettaglio sono bloccate le opere relative all'ammodernamento di due tratti della strada statale 96 tra Bari ed Altamura: il tronco Gravina-Bari, compresa la variante di Palo del Colle, ed il tratto tra la fine della variante di Altamura e l'inizio della variante di Toritto (2o stralcio);
   la strada statale 172 dei Trulli è interessata da un rilevante traffico viario perché collega nel suo tracciato importanti città della provincia di Bari, di particolare interesse storico, turistico e produttivo, quali Casamassima, Turi, Putignano, Alberobello, Locorotondo, Martina Franca, ed arriva fino a Taranto attraversando la Valle d'Itria;
   ancora oggi la strada statale 172 dei Trulli ha dei tratti che costituiscono un rischio per l'incolumità degli automobilisti, come riprovato dal susseguirsi di incidenti stradali anche verificatisi di recente, che hanno spesso registrato vittime, come successo alcuni anni fa nel tratto sopra indicato tra Fasano e Laureto;
   tale circostanza ha motivato lo stanziamento dei fondi e la programmazione della progettazione dei lavori di messa in sicurezza della strada che continuano a non avere inizio a causa del ripetuto rinvio della propedeutica conferenza di servizi;
   da quanto si evince dagli articoli di stampa ed in ultimo dall'articolo de La Gazzetta del Mezzogiorno del 27 giugno 2014, sembrerebbe che la strada statale 172 sia in più punti in stato di degrado e, quindi, in condizioni di maggiore pericolosità, in quanto, ormai, non viene interessata da interventi di manutenzione periodica probabilmente a causa dei lavori programmati e non ancora iniziati;
   secondo quanto denunciato dagli organi di stampa, sembrerebbe che il 17 giugno 2014 sia stata rinviata, ancora una volta, la conferenza di servizi specificatamente convocata per la strada statale 172, che ha registrato la sola presenza dei rappresentanti di Anas e Snam e l'assenza di tutti i rappresentanti degli enti convocati, quali la regione Puglia con i sette uffici preposti (pianificazione paesaggistica, urbanistica, lavori pubblici, ecologia, foreste ed agricoltura), la provincia di Brindisi, il comune di Fasano, la soprintendenza di Brindisi, Lecce e Taranto, l'autorità di bacino, l’Enel, la Telecom. Quanto sopra si evincerebbe dal verbale di conferenza di servizi sottoscritto dal provveditorato generale delle opere pubbliche;
   il raddoppio della strada statale 96 sembrerebbe, in base a quanto riportato dagli organi di stampa, ancora non avere inizio, nonostante i lavori siano stati già appaltati, a causa della non avvenuta emissione dei pareri da parte dell'Arpa al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (sui nidi dei chiricotteri) e della soprintendenza in merito allo spostamento del tracciato in corrispondenza del Casino Nitti e la Torre di San Vincenzo, oggetto di vincoli e di richieste di documentazione integrativa già consegnata da tempo dall'Anas alla stessa soprintendenza;
   sono molti gli articoli di stampa che raccolgono le proteste legittime dei cittadini dei comuni interessati dalle viabilità in questione, che pare abbiano denunciato più volte agli organi competenti, senza avere alcun significativo riscontro, le problematiche correlate sia allo stato di dissesto delle strade e alle situazioni di pericolo derivanti, che alla necessità di dare inizio con urgenza ai lavori programmati per il miglioramento della funzionalità e sicurezza dei collegamenti stradali in questione;
   lo stato attuale dei tratti della strada statale 96 e della strada statale 172, interessati dai lavori e dai finanziamenti programmati cui si è fatto innanzi riferimento, continua a determinare una situazione di rischio e, quindi, di possibilità di incidenti e vittime;
   in un momento di crisi quale l'attuale non è consentito di porre a grave rischio di revoca sia decine di milioni di finanziamenti comunitari che rilevanti investimenti statali per opere infrastrutturali che creano lavoro e occupazione e mettono in sicurezza la viabilità nell'interesse dei cittadini;
   non è accettabile che il grave danno cui viene assoggettata la collettività dallo stato di fatto innanzi rappresentato sia determinato dall'inadempimento e dall'operato, senza alcun rispetto dei tempi, da parte delle pubbliche amministrazioni interessate, alle quali si chiede, soprattutto in tema di investimenti pubblici, solerzia nell'azione, efficacia ed efficienza –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali urgenti iniziative intenda adottare affinché siano eliminati tutti gli impedimenti procedurali e burocratici all'utilizzo delle risorse stanziate per la strada statale 96 nei tratti innanzi indicati e per la strada statale 172 nel tratto Fasano-Laureto, per dare quindi effettivo inizio, in tempi brevi, ai lavori già appaltati ed alle attività allo scopo necessarie e affinché siano garantite le condizioni di funzionalità e di sicurezza dei suddetti tratti stradali, tramite il ripristino della manutenzione ordinaria programmata. (3-00916)


   DELL'ORCO, DI BATTISTA, NICOLA BIANCHI, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, CRISTIAN IANNUZZI, SPESSOTTO e DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dalle recenti inchieste della procura di Venezia sui fenomeni corruttivi legati agli appalti per la realizzazione della costruzione del Mose sono emersi come coinvolti alcuni funzionari del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   tra costoro vi è l'ingegner Ercole Incalza, il quale, seppur non indagato, sembra essersi attivato tra il 2011 ed il 2013 per ottenere la nomina di Paolo Emilio Signorini alla guida del magistrato delle acque (istituto periferico del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che svolge un ruolo rilevante sia di controllo e vigilanza sulla realizzazione delle opere, nonché di rilascio di tutta una serie di autorizzazioni);
   da alcune intercettazioni riportate dagli organi di stampa, emerge che il 24 maggio 2013 l'ingegner Incalza avrebbe contattato il presidente del Consorzio Venezia Nuova, dottor Mazzacurati, per discutere della nomina del magistrato alle acque e proporre la candidatura a presidente di Signorini;
   sempre dagli organi di stampa si apprende che il 12 giugno 2014 la segretaria dell'ingegner Incalza, Ornella Malusa, avrebbe contattato Mazzacurati per avvisarlo del tentativo dell'ingegner Incalza di mettersi in contatto con lui ed informarlo che, nonostante Incalza fosse sempre con il Ministro, la proposta di nomina di Signorini sembrava essere decaduta e che al suo posto sarebbe stato nominato Fabio Riva, il quale, sempre da intercettazioni riportate, sembrerebbe persona non gradita da Mazzacurati;
   l'ingegner Ercole Incalza lavora da oltre 30 anni in veste di consulente presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e anche presso altri Ministeri e dal 2008 riveste il ruolo di capo della struttura tecnica di missione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   la struttura tecnica di missione – istituita ai sensi dell'articolo 163 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 – operando alle dirette dipendenze del Ministro, rappresenta uno degli organismi chiave all'interno del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e si articola in tre servizi, ovvero nel settore tecnico, nel settore giuridico e nel servizio per l'alta sorveglianza delle grandi opere;
   tale struttura si occupa dell'istruttoria e della funzione di supporto alle attività del Cipe, Comitato interministeriale per la programmazione economica, le cui delibere danno il via all'erogazione dei finanziamenti delle grandi opere;
   di recente il conferimento dell'incarico all'ingegner Incalza alla guida della struttura tecnica, ai sensi dell'articolo 7, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, è stato riconfermato dal Ministro interrogato fino al 31 dicembre 2014, con un compenso annuo pari ad euro 136.000;
   in particolare, l'avviso pubblico di selezione del 28 ottobre 2013, recante la firma di Paolo Emilio Signorini, capo del dipartimento per le infrastrutture, gli affari generali ed il personale, richiedeva esperienze lavorative decennali in posizioni simili, delle quali solo il candidato, nonché già capo del dipartimento, ingegner Incalza risultava essere in possesso;
   l'ammissibilità delle domande e la valutazione dei curricula è stata effettuata da una commissione nominata sempre dal dottor Paolo Emilio Signorini, che, seppur non indagato, risulta aver avuto relazioni con gli indagati e, in particolare, con Mazzacurati;
   dall'ordinanza del giudice per le indagini preliminari di Venezia, Alberto Scaramuzza, emerge che «la persona di cui il Mazzacurati aveva caldeggiato la nomina (Signorini) aveva ricevuto in precedenza dei benefit (Mazzacurati, attraverso il Consorzio Venezia Nuova, ha offerto al Signorini un “presente” costituito dal pagamento integrale di una vacanza del Signorini e del suo intero gruppo familiare in Toscana) dal Consorzio Venezia Nuova mentre l'altra persona (Riva) era considerata ostile»;
   l'ingegner Incalza, seppur mai condannato, risulta essere stato indagato in ben 14 procedimenti penali, per alcuni dei quali la sentenza di assoluzione è stata determinata dal decorso del termine di prescrizione;
   l'ingegner Incalza risulta essere stato anche rinviato a giudizio con l'accusa di corruzione in atti giudiziari per aver corrotto il sostituto procuratore di Roma, Giorgio Castellucci, responsabile dell'iscrizione al registro degli indagati dell'ingegner Incalza per abuso d'ufficio, nel tentativo di ottenere l'archiviazione;
   i magistrati del tribunale di Perugia, il 7 febbraio 1998, hanno autorizzato l'arresto, da un lato, del pubblico ministero Castellucci, accusandolo di essersi fatto corrompere insieme all'altro magistrato romano Renato Squillante, e, dall'altro lato, dei presunti corruttori, ovvero dell'ingegner Incalza, del presidente di Enichem, poi di Enimont e amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato fino al 1996, dottor Lorenzo Necci, e del dottor Chicchi Pacini Battaglia, faccendiere già condannato a sei anni di reclusione per appropriazione indebita nell'inchiesta sui fondi neri dell’Eni. Secondo le accuse, questi ultimi avrebbero conferito degli incarichi di consulenza a tre avvocati vicini ai due magistrati romani (Astolfo Di Amato, Fiorenzo Grollino e Marcello Petrelli, anche loro arrestati);
   in merito a questo procedimento Incalza ha ottenuto una sentenza di assoluzione per intervenuta prescrizione nel gennaio 2007;
   l'attuale capo della struttura tecnica di missione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha subito un procedimento penale per truffa aggravata sull'alta velocità, che tra gli imputati annoverava anche l’ex senatore di Forza Italia Luigi Grillo, gli imprenditori Marcellino Gavio e Bruno Binasco (già protagonista di Mani pulite - condannato insieme a Primo Greganti per finanziamento illecito ai partiti - e poi lo sarà anche nel caso Penati): l'inchiesta della magistratura aveva ad oggetto le procedure con le quali per quattro anni e mezzo sono stati erogati finanziamenti pubblici (per un ammontare di circa cento miliardi di lire), destinati al completamento dell’iter progettuale della linea ferroviaria ad alta velocità Tortona/Novi Ligure-Genova, conosciuta anche come Terzo valico dei Giovi, o più semplicemente come Terzo valico;
   il 6 febbraio 2006 il giudice per l'udienza preliminare genovese Roberto Fucigna ha definito il giudizio con un provvedimento di «non luogo a procedere per intervenuta prescrizione» (solo due mesi dopo l'entrata in vigore della «ex Cirielli» che è intervenuta abbassando i termini prescrizionali);
   l'ingegner Incalza, come riportato da organi di stampa, risulta indagato per «associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e abuso di ufficio» in merito agli appalti per la costruzione del Tav di Firenze;
   in particolare, secondo la procura di Firenze, «Mele (Giuseppe, funzionario del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti) e Incalza (Ercole) quali associati che portavano un rilevante contributo agli obiettivi della associazione, in quanto dirigenti dell'unità di missione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti a cui faceva riferimento l'appalto Tav di Firenze, si attivavano per attestare falsamente che l'autorizzazione paesaggistica non era scaduta e che i lavori erano iniziati entro i cinque anni e che successivamente attestavano che le varianti al progetto non erano essenziali anche con riferimento al monumento storico della Fortezza da Basso»;
   nella stessa inchiesta, tra le altre cose, si sta cercando di fare chiarezza non solo sui materiali utilizzati per la costruzione della galleria – in quanto i magistrati ritengono che siano stati usati materiali scadenti ed addirittura prodotti pericolosi e non conformi alle specifiche contrattuali – ma anche sulla ditta responsabile per lo smaltimento dei fanghi e dei rifiuti, che sembrerebbe soggetta a infiltrazioni mafiose poiché incredibilmente legata al clan dei Casalesi;
   nell'indagine condotta dai magistrati fiorentini risultano essere coinvolte anche le cosiddette cooperative rosse, oltre che Maria Rita Lorenzetti, ex presidente della Regione Umbria (Partito democratico) e presidente dell’Italferr (società di progettazione del gruppo Ferrovie dello Stato), alla quale vengono contestati l'abuso di ufficio, l'associazione a delinquere e la corruzione, poiché avrebbe svolto la sua attività «nell'interesse e a vantaggio della controparte Nodavia e Coopsette (soggetti appaltanti) mettendo a disposizione dell'associazione le proprie conoscenze personali i propri contatti politici e una vasta rete di contatti, grazie ai quali era in grado di promettere utilità ai pubblici ufficiali avvicinati, e conseguendo, altresì, incarichi professionali nella ricostruzione del terremoto in Emilia in favore del coniuge»;
   nonostante siano pubblici gli atti della magistratura che testimoniano un coinvolgimento dell'ingegner Incalza nelle vicende giudiziarie relative alla Tav di Firenze, in data 10 giugno 2014 il Ministro interrogato, in un'intervista rilasciata a Il Fatto Quotidiano, ha messo in dubbio il coinvolgimento dell'ingegner Incalza di cui in parola, ritenendo necessario fare ulteriori verifiche;
   l'ingegner Incalza risulterebbe, inoltre, coinvolto, anche se non direttamente, in un affare immobiliare che ricorda molto quello della casa dell'ex Ministro Scajola;
   come riportato da organi di stampa, l'architetto Zampolini, lo stesso che portò 80 assegni per acquistare la casa dell'ex Ministro Scajola nel 2004, avrebbe corrisposto 820 mila euro, di cui 520 mila euro in assegni circolari e 300 mila euro in assegni bancari, per pagare una casa vicino a Piazza del Popolo a Roma, intestata al genero dell'ingegner Incalza e per la quale quest'ultimo avrebbe corrisposto solo 390 mila euro –:
   se il Ministro interrogato, stante quanto in premessa, consideri opportuna la permanenza dell'ingegner Ercole Incalza a capo della struttura tecnica di missione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e se non ritenga, dunque, appropriato procedere alla revoca dell'incarico conferito all'ingegner Incalza e, vista l'importanza della carica, al conferimento dello stesso ad un soggetto non coinvolto in procedimenti giudiziari per reati contro la pubblica amministrazione e che non sia mai stato assolto per intervenuta prescrizione. (3-00917)


   LAFFRANCO e PALESE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nella saga interminabile della trattativa e degli annunci di accordi tra Alitalia e Etihad, le due compagnie hanno dichiarato di aver trovato un accordo per l'ingresso degli arabi con il 49 per cento dell’Alitalia;
   mancano, tuttavia, ancora due pilastri fondamentali: l'intesa tra Alitalia e sindacati sugli esuberi (sono 2.251 quelli richiesti da Alitalia e Etihad) e il consenso delle banche a cancellare 560 milioni di euro di debiti finanziari di Alitalia;
   queste due condizioni sono state poste da tempo proprio dalla compagnia degli Emirati Arabi Uniti come premessa indispensabile al suo ingresso con il 49 per cento nell’Alitalia, conducendo all'inevitabile domanda su quale sia il significato dell'annuncio congiunto delle due compagnie, se cioè si tratti di un passaggio legale, una sorta di scambio di lettere per dire che vengono accettate le condizioni della trattativa, ma che il contratto finale è tutto ancora da scrivere;
   l'impressione, quindi, è che nella sostanza questo annuncio sia un'offensiva mediatica per rassicurare le parti, compresi i passeggeri che comprano biglietti di una compagnia, Alitalia, che tra pochi mesi potrebbe fallire se non riceverà una nuova iniezione di capitali;
   in questa partita finora c’è stata sempre poca trasparenza e la compagnia araba guidata da James Hogan non ha quasi mai fatto dichiarazioni, salvo lasciar trapelare una sorta di insofferenza per l'attesa di decisioni che dovevano (e devono ancora) essere prese nello schieramento italiano;
   gli accordi imminenti tra i due vettori (fin da quando diceva «entro il mese di marzo»), che svariate volte il Ministro interrogato ha annunciato aver portato ad un punto di condivisione, dando seguito ad un (leggero) aumento dei voli intercontinentali di Alitalia da Fiumicino e da Malpensa, tuttavia non hanno ancora dato vita ad un piano industriale pubblico, neppure nel confronto con i sindacati sui tagli del personale;
   è tuttavia trapelato, senza smentite, che nell'immediato l'intesa con Etihad prevede, oltre al taglio dei posti di lavoro, anche quello dei voli e della flotta, con la messa a terra di 11 aerei di Alitalia a medio raggio della famiglia Airbus 320;
   l'ipotizzato incremento dei voli intercontinentali avverrà con gradualità a partire dal nuovo collegamento intercontinentale da Malpensa a Shanghai durante l'Expo 2015;
   il Ministro interrogato ha perfino sostenuto che Etihad si impegnerà con 1,25 miliardi di euro, cioè 560 milioni per entrare nel capitale di Alitalia più altri 692 milioni per investimenti nella flotta nel 2014-2018, mentre in realtà Etihad impegnerà soltanto 560 milioni, perché il resto dei soldi, come hanno riferito i sindacati dopo i chiarimenti ottenuti dall'amministratore delegato di Alitalia, Gabriele Del Torchio, sono gli investimenti previsti da Alitalia (di cui Etihad diverrebbe socio al 49 per cento); pertanto, è sbagliato sommare le due voci perché sarebbe come contare due volte gli stessi soldi;
   il Governo, che punta a chiudere la partita con i sindacati prima del 15 luglio 2014 per quanto riguarda gli esuberi, deve tuttavia sciogliere un nodo con le banche finanziatrici che potrebbe richiedere settimane;
   Alitalia e Etihad affermano che «procederanno già dai prossimi giorni alla finalizzazione della documentazione contrattuale, che includerà le condizioni concordate», ma che, prima di concludere l'accordo definitivo, bisognerà definire l'intesa sugli esuberi;
   l'ultimo incontro con i sindacati è stato un muro contro muro in cui la Filt-Cgil ha dichiarato che «sono inaccettabili 2.251 licenziamenti», mentre Etihad vorrebbe che gli esuberi lasciassero definitivamente la compagnia, non accettando i contratti di solidarietà o la cassa integrazione guadagni straordinaria a rotazione, ammortizzatori che al termine del periodo di crisi prevedono il riassorbimento dei lavoratori nell'azienda;
   il Ministro interrogato ha incontrato il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Giuliano Poletti, riferendo la conferma da parte di Alitalia dell'esistenza di 2.251 esuberi e affermando che per questi il Governo sta valutando «l'esternalizzazione» di alcuni servizi e la «ricollocazione» di parte del personale nel territorio;
   il Ministro interrogato aveva preannunciato un nuovo incontro con i sindacati che dovrebbe svolgersi oggi per fare il punto sulla vertenza Alitalia, aggiungendo che la deadline è il 15 luglio 2014, ma che si augura di raggiungere un accordo sugli esuberi di Alitalia prima di quella data, allo scopo di individuare le modalità con cui gestire i lavoratori licenziati –:
   come il Governo intenda attivarsi per portare a conclusione la trattativa con la compagnia araba, garantendo la ricollocazione degli esuberi della compagnia di bandiera italiana sul territorio. (3-00918)


   D'ALIA e SCHIRÒ. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la continuità territoriale tra Sicilia e Calabria è garantita dal servizio diretto di collegamento svolto dal consorzio Metromare dello Stretto, costituito nel 2008 da Rete ferroviaria italiana spa del gruppo Ferrovie dello Stato e Ustica lines spa e risultato vincitore della gara pubblica indetta dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   come previsto dal bando di gara, che ha regolato il servizio con una durata triennale a fine giugno 2014 è scaduto sia il contratto che garantiva il collegamento attraverso il vettore controllato da Ferrovie dello Stato, sia quello diretto fra Messina e Reggio Calabria del quale si occupava la Ustica lines spa;
   risulterebbe che una gara indetta dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per assegnare il servizio di collegamento sia andata deserta per la mancata partecipazione di Ustica lines spa e di qualunque altro operatore, oltre che per errori nella presentazione dei documenti da parte di Blueferries;
   conseguentemente, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti avrebbe avviato una proroga del servizio agli attuali gestori, che, però, alle condizioni economiche imposte dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, non garantirebbero il collegamento fra i due capoluoghi dello Stretto con le medesime corse, cancellando, di fatto, le sei doppie corse, quattro di mattina e due di pomeriggio, che finora venivano effettuate di sabato e domenica;
   pur tamponando un'emergenza, questo accordo non garantisce la continuità territoriale nel week end come negli altri giorni della settimana, producendo un danno economico nel periodo di alta stagione turistica;
   è necessario procedere in tempi brevi allo stanziamento di risorse adeguate e all'emissione del bando di gara per dare continuità a questo servizio oggi svolto da Metromare dello Stretto;
   non risultano di pubblico dominio, inoltre, gli importi attualmente impiegati a sostegno della mobilità sullo Stretto di Messina, relativamente a merci, passeggeri e trasporto ferroviario, al fine di valutare la possibilità di una loro più efficiente gestione derivante da una virtuosa messa a sistema di tali risorse –:
   se tali notizie corrispondano al vero e se non ritenga di affrontare in maniera strutturale e definitiva – con iniziative anche di tipo normativo, favorendo una più ampia partecipazione di operatori del settore e definendo anche condizioni tecniche che non riducano di fatto la platea dei vettori potenzialmente interessati – la problematica della continuità territoriale sullo Stretto che non può essere risolta con soluzioni temporanee e risorse inadeguate, atteso che è necessario garantire il diritto alla libera circolazione e mobilità delle migliaia di pendolari che quotidianamente, per motivi di studio o di lavoro, sono costretti a utilizzare il collegamento tra le due sponde senza dimenticare gli ingenti flussi stagionali legati al turismo dell'area. (3-00919)


   RAMPELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.— Per sapere – premesso che:
   il settore delle grandi opere continua a tornare alle luci della ribalta per fenomeni di corruzione e spreco di denaro pubblico, come dimostrato da ultimo dalle inchieste legate alla realizzazione del sistema Mose a Venezia o alle irregolarità nella gestione degli appalti per l'Expo 2015;
   in Italia, al contrario di quel che avviene negli organismi internazionali o in altri Paesi, non è richiesta alcuna valutazione terza delle analisi economiche e finanziarie effettuate sulle opere messe in preventivo al fine di determinarne la fattibilità;
   secondo la Corte dei conti le grandi opere sono caratterizzate da straordinari livelli di penetrazione della malavita organizzata e da scarsa innovazione tecnologica, elementi ai quali va aggiunto il fatto che il settore ha ricadute occupazionali scarse in proporzione al denaro pubblico speso;
   tutti questi fattori, uniti anche ai bassi livelli di utilizzazione di molte delle opere realizzate, hanno fatto sì che il settore dell'adeguamento infrastrutturale imperniato sulle grandi opere – che dovrebbe ridare slancio alla competitività tecnologica ed industriale del nostro Paese – si risolve, di fatto, in un notevole contributo alla crisi del bilancio pubblico italiano;
   il presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione durante la sua recente audizione in Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici alla Camera dei deputati, parlando del rischio malaffare negli appalti delle grandi opere, ha stigmatizzato il sistema di aggiudicazione dei lavori secondo il metodo del massimo ribasso, dichiarando che se anche esso «appare il criterio più oggettivo», attraverso di esso e il meccanismo della concessione delle successive varianti d'opera con perizie specifiche, si fa salire il conto e si facilita il malaffare, consentendo «alle aziende che vincono di chiedere di più e fare lievitare i costi dell'opera, anche oltre il valore della base d'asta iniziale»;
   altro grande problema nella realizzazione delle grandi opere è costituito dalle deroghe alle normative che regolano la concessione degli appalti, che, seppur concesse a fini di speditezza nella realtà, hanno meccanismi farraginosi e diminuiscono la trasparenza, aumentando i rischi di irregolarità –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere al fine di evitare lo spreco di denaro pubblico nel settore delle grandi opere, se del caso introducendo un meccanismo di valutazioni terze sulla fattibilità dell'opera e la sostenibilità dei costi, nonché implementando le procedure, semplificando le norme e aumentando i controlli e la trasparenza. (3-00920)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PALAZZOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel 2004 l'autorità portuale pro tempore di Catania ha approvato un Piano regolatore portuale che prevede oltre 1.500.000 metri cubi di edificazioni nell'area portuale e che, pertanto, detto progetto di Piano regolatore del Porto di Catania (P.R.P.) si caratterizza per un incremento abnorme della parte edificata, proponendo un porto che da approdo attrezzato per navi e pescherecci, si sarebbe trasformato nei fatti in un vero e proprio quartiere della città;
   più esattamente il progetto di Piano regolatore portuale prevede un drammatico stravolgimento dell'area portuale rendendo edificabili complessivamente 76.600 metri quadri con immobili commerciali, le cui altezze varierebbero da 12 a 20 metri, occultando anche la vista del mare. Inoltre viene prevista una notevole espansione delle aree disponibili che ammonterebbero a 1.041.710 metri quadri, con un incremento del 53,64 per cento rispetto alle attuali. Tutto ciò per un porto che attualmente risulta essere il quarto in Sicilia per movimentazione di merci, con un tonnellaggio pari all'incirca al 50 per cento del porto di Palermo e al 19 per cento di quello di Messina;
   tale ipotesi edificatoria non solo quindi escluderebbe qualsiasi fruizione paesaggistica del porto ma prevedrebbe anche una riduzione dello specchio d'acqua del porto, allo scopo di incrementare l'area edificabile: un'area ampia 363.410 metri quadri verrebbe strappata al mare per realizzare gli edifici previsti;
   nell'anno 2004 tale progetto di Piano regolatore portuale è stato depositato presso il consiglio comunale di Catania, per il parere obbligatorio previsto dall'articolo 5 della legge n. 84 del 1994;
   nel 2007 la IV commissione del consiglio comunale di Catania ha espresso, a larga maggioranza, parere negativo sulla proposta di Piano regolatore del porto, ritenendolo sovradimensionato e ispirato a criteri speculativi che poco hanno a che fare con le funzioni proprie di un porto;
   esiste il concreto pericolo, contenuto nell'ipotesi progettuale, che il Piano regolatore del porto si attui mediante Piani operativi di settore (P.O.S.) che, proposti dall'ente pubblico o da privati, vengono approvati dall'autorità portuale senza alcun tipo di confronto con il consiglio comunale;
   nell'agosto 2012, alla scadenza del mandato del presidente dell'autorità portuale, Santo Castiglione, constatando l'impossibilità di procedere in tempi brevi alla nomina della nuova autorità portuale e del nuovo comitato portuale, l'allora Ministro Corrado Passera ha provveduto alla nomina del dott. Cosimo Aiello come commissario straordinario, facente funzioni dell'autorità portuale e del comitato portuale;
   il 28 marzo 2014 il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha nominato un nuovo commissario, l'ing. Giuseppe Alati;
   a causa dell'attuale gestione del porto di Catania, nell'ultimo anno si sono registrati oltre 50 disdette di navi da crociera che hanno scelto di approdare a Messina e a Palermo, a causa degli alti costi e degli scadenti servizi del porto di Catania. Il solo servizio di raccolta rifiuti a bordo costa a Catania 2.900 euro, mentre a Messina si pagano 85 euro e a Palermo 563 euro. Complessivamente per una crociera, attraccare a Catania costa quasi il doppio di Messina e Palermo. Pertanto a Catania si registrano 280 mila turisti sbarcati nel 2011 contro i 500 mila di Palermo e i 505 mila di Messina;
   il Ministero ha nominato un nuovo commissario con il compito di garantire l'ordinaria amministrazione e non certamente per sostituirsi alle istituzioni democratiche e partecipative per l'approvazione del nuovo piano regolatore del porto –:
   se il Governo non ritenga necessario intervenire sulla disastrosa gestione del porto di Catania che ha già causato decine di disdette di navi da crociera;
   se non ritenga necessario avviare un'immediata indagine sul reale impatto della proposta di nuovo Piano regolatore del porto e degli oltre 1.500.000 metri cubi di edificazioni, per evitare lo scempio di un'area pregiata come quella del porto di Catania, che riveste un ruolo economico e paesaggistico importante e insostituibile per la città stessa. (4-05312)


   DAGA, DE ROSA, TERZONI, BUSTO, MANNINO, MICILLO, SEGONI, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la spiaggia del litorale romano è stata affidata in concessione a stabilimenti balneari che hanno innalzato siepi, applicato teli divisori sulle recinzioni, quando non addirittura muri, ad impedire anche solo la vista del mare e il libero accesso agli arenili. Tutto ciò è stato constatato anche da un monitoraggio effettuato da Lega Ambiente che ha evidenziato i seguenti dati: nelle 77 strutture, di cui 12 chioschi e 65 stabilimenti del litorale romano, 57 sono completamente inaccessibili, l'87 per cento del totale;
   il dossier di Lega Ambiente intitolato «Ostia. Basta Lungomuro» afferma che il lungomare di Ostia è un mare sempre più «privato»: «Il litorale romano, che si estende per circa 9 chilometri, sta diventando un caso limite di accesso alla battigia, come può facilmente appurare chi durante la stagione estiva decide di fare un tuffo da queste parti. Una situazione intollerabile, che viola palesemente la normativa vigente che obbliga i concessionari a garantire almeno una fascia di 5 metri destinati al libero transito per l'accesso alla battigia (legge finanziaria del 2006, articolo 1, comma 25)»; (http://www.greenreport.it);
   si evince, quindi, per quanto sopra importato, la violazione dell'articolo 1, comma 251, della legge n. 296 del 27 dicembre 2006 che recita: «È fatto obbligo ai titolari di concessioni di consentire il libero e gratuito accesso e transito per il raggiungimento della battigia antistante l'area compresa nella concessione, anche al fine della balneazione» e che le concessioni pubbliche sono solo «finalizzate a realizzare strutture per la balneazione, fornire servizi e mantenere pulito e fruibile l'arenile»;
   inoltre dal mese di ottobre ad aprile gli stabilimenti balneari rimangono chiusi al pubblico con l'impossibilità di accedere agli arenili;
   la revoca o il mancato rinnovo della concessioni possono essere attuati nei casi in cui la continuità ininterrotta degli stabilimenti in concessione comprime in modo intollerabile il libero accesso alla spiaggia ed al mare (Consiglio di Stato n. 1144 del 14 dicembre 1976);
   l'ordinanza n. 65 del 23 aprile 2014, emanata dal sindaco di Roma Capitale, che disciplina l'attività balneare sui litorale romano e che richiama norme e regolamenti vigenti nazionali e regionali, nonché il codice della navigazione viene in molti suoi punti disattesa –:
   se si intenda intervenire, rafforzando i controlli da parte delle competenti capitanerie di porto, per restituire alla cittadinanza il libero accesso alla battigia sul lungomare di Ostia e quali ulteriori iniziative di competenza intendano assumere, alla luce del dossier di Legambiente e delle numerose situazioni analoghe, al fine di monitorare il «livello di accessibilità» delle spiagge italiane, patrimonio indisponibile dello Stato. (4-05329)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   con ordinanza di custodia cautelare in carcere n. 652/13 R.G. O.C.C. il giudice delle indagini preliminari di Napoli Raffaele Piccirillo iscriveva nel registro degli indagati, con l'accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso, il Viceprefetto avvocato Francesco Sperti;
   secondo quanto risultava dalla pagina internet del Ministero dell'interno, visibile sino al mese di gennaio scorso, e dalla versione cache della stessa ancora visibile, il viceprefetto Sperti è ancora oggi in carica con la qualifica di capo ufficio staff dell'ufficio programmazione e rapporti con il Cnipa;
   il suddetto ufficio si occupa anche del monitoraggio dei grandi progetti e del controllo delle risorse umane oltre ad essere responsabile delle relazioni con il Cnipa; conseguentemente, il viceprefetto Sperti, ha accesso ad un enorme quantitativo di dati sensibili ed ultrasensibili;
   dall'ordinanza del giudice delle indagini preliminari Piccirillo, n. 652/13 R.G. O.C.C., si evince che Sperti veniva stipendiato da un soggetto indagato per il reato di cui all'articolo 416-bis del codice penale, tal Luigi Righi, anch'egli accusato di rappresentare una figura preminente all'interno di tale organizzazione a stampo camorristico, nota come «Clan Contini»;
   ad aggravare la posizione del viceprefetto vi è poi il contenuto di un'intercettazione telefonica riportata nella motivazione dell'ordinanza suddetta in cui Sperti lamentava l'insufficienza del denaro versatogli mensilmente da Righi, pari ad euro 1.500, tanto da avanzare esplicita richiesta di aumento;
   in più parti dell'ordinanza il Giudice per le indagini preliminari Piccirillo, evidenzia come l'intervento del viceprefetto Sperti, abbia agevolato la famiglia Righi o le società da questa controllate e/o collegate, nell'ottenere autorizzazioni e concessioni amministrative;
   l'ordinanza in oggetto, ha portato all'arresto di novanta persone indagate e al sequestro di numerose attività commerciali nel campo della ristorazione, tra cui una avente sede presso via della Mercede nel centro di Roma, la quale è stata oggetto di trattativa commerciale ai fini della locazione di un ramo d'azienda, svoltasi tra la Immobilrighi s.r.l., rappresentata da Righi Salvatore, e Pizza Italia s.r.l., rappresentata con procura speciale per questo singolo atto proprio dal viceprefetto avvocato Francesco Sperti;
   è importante ricordare poi che l'avvocato Sperti, in seguito allo scioglimento del comune di Amantea per infiltrazione maliosa, veniva nominato commissario insieme ad altri due soggetti, ricoprendo tale ruolo dal 2008 fino agli inizi di aprile 2010; la procura di Paola, in particolare il procuratore Bruno Giordano, inviava a Sperti un'informativa di garanzia poiché, dalle indagini svolte dai carabinieri, risultava che durante lo svolgimento dell'incarico di commissario, avesse richiesto i rimborsi di alcuni viaggi, di fatto mai intrapresi, proprio in ragione della carica ricoperta;
   in data 24 giugno 2014 la stampa riportava la notizia secondo cui Francesco Sperti e gli altri due commissari straordinari inviati ad Amantea nel periodo 2008-2010, sarebbero coinvolti anche in un'inchiesta riguardante il porto della città calabra; a quanto si legge, i tre commissari avrebbero permesso l'utilizzo del porto con correlata occupazione arbitraria del suolo demaniale, disponendone l'apertura in assenza di collaudo e senza aver rispettato le regolari procedure amministrative, necessarie per ottenere il rilascio della concessione demaniale marittima;
   l'inchiesta suddetta, riguarda anche il fatto secondo cui il comune di Amantea, incassava circa trecentomila euro all'anno versati dai proprietari delle barche attraccate al porto suddetto, senza però pagare alcun canone demaniale e traendo dunque un ingiusto profitto e un vantaggio patrimoniale a danno dell'erario;
   nella mattinata del primo luglio 2014, le testate giornalistiche informavano che la procura di Paola avviava nuove indagini volte ad appurare la regolarità di una serie di incarichi affidati all'avvocato Nicola Gaetano da parte del Comune di Amantea, proprio nel periodo in cui l'amministrazione comunale era retta dalla commissione prefettizia di cui faceva parte Francesco Sperti, ossia come anticipato tra il 2008 e inizio aprile 2010; proprio in merito alla funzione commissariale svolta dall'avvocato Francesco Sperti, attraverso il fascicolo-stralcio dell'inchiesta sulle «consulenze d'oro Asp» proveniente dalla procura di Cosenza;
   secondo quanto riportato dalla stampa, la vicenda del comune di Amantea ruoterebbe attorno non solo agli incarichi affidati all'avvocato Gaetano, ma anche all'ambiente politico orbitante attorno all'ex sottosegretario di Forza Italia Antonio Gentile; infatti, nei carteggi giunti alla Procura di Paola, accanto ai nomi di Sperti e Gaetano già presumibilmente vicini a tale ambiente politico, compare il nome dell'avvocato Andrea Gentile, figlio del Senatore ed ex sottosegretario. Tra i reati ipotizzati vi sarebbero truffa e falsa fatturazione con l'aggravante associativa; la vicenda sin ora descritta è senza dubbio sintomatica della violazione dei principi di imparzialità e buon andamento ai quali è informata la pubblica amministrazione, così come previsto dall'articolo 97 della Costituzione italiana; inoltre, nel caso di specie, viene violato secondo gli interpellanti anche il principio dell'articolo 98, primo capoverso della Costituzione stessa nonché l'articolo 23 del contratto collettivo nazionale del 6 luglio 1995 I comma e III comma e ancora, l'articolo 3 del contratto collettivo nazionale dell'11 aprile 2008 lettere a), b) c) –:
   se il Ministro intenda avviare o meno senza altro indugio, le procedure previste dagli articoli 4 comma 3 e articolo 5, comma 2, del contratto collettivo nazionale dell'11 aprile 2008 al fine di ottenere la sospensione dal servizio prestato all'interno della pubblica amministrazione del viceprefetto avvocato Francesco Sperti;
   se il Ministro intenda avviare e rendere noti quanto prima tutti gli accertamenti del caso, per quanto di sua competenza, al fine di stabilire, anche sulla scorta dell'ordinanza di cui sopra, se, come e in che misura il viceprefetto Francesco Sperti, approfittando del ruolo ricoperto, abbia avvantaggiato terzi nell'ottenere (in modo non consono) concessioni ed autorizzazioni di carattere amministrativo;
   se al termine di tali accertamenti voglia intraprendere la procedura prevista all'articolo 4 comma 1 del contratto collettivo nazionale dell'11 aprile 2008 riservandosi sin da quel momento, nella relativa denuncia alla autorità giudiziaria competente, la costituzione di parte civile della pubblica amministrazione nei confronti del viceprefetto Francesco Sperti.
(2-00606) «Sarti, Colletti, Bonafede, Businarolo, Agostinelli, Ferraresi, Turco, Manlio Di Stefano, Di Battista, Sibilia, Del Grosso, Grande, Spadoni, Scagliusi, Rizzo, Artini, Paolo Bernini, Basilio, Corda, Frusone, Tofalo, Barbanti, Ruocco, Cancelleri, Alberti, Pesco, Pisano, Villarosa, Luigi Di Maio, Vignaroli».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CRIPPA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 13 giugno 2014 l'ingegnere Diego Sozzani, con lettera con protocollo della provincia di Novara n. 82847, ha rassegnato le proprie dimissioni da presidente della provincia di Novara a causa dell'incompatibilità del ruolo con quello di consigliere regionale, essendo stato eletto come consigliere durante le elezioni regionali del Piemonte del 25 maggio 2014;
   al momento le deleghe di Sozzani sono transitate d'ufficio al vicepresidente della provincia di Novara, Luca Bona;
   tale situazione si protrarrà almeno fino a giovedì 3 luglio, data in cui saranno passati i 20 giorni, previsti dal comma 3 articolo 53 del decreto legislativo 18 agosto del 2000, denominato «Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali», decorsi dal giorno delle dimissioni di Sozzani ed entro cui la prefettura di Novara, sentito il Ministero dell'interno, dovrà pronunciarsi riguardo la nomina di un commissario al fine di presiedere la provincia fino al 31 dicembre 2014, considerando che, ai sensi della legge 7 aprile 2014, n. 56, dal 1o gennaio 2015 alle province subentreranno le cosiddette città metropolitane;
   in considerazione della natura anomala dell'attuale condizione dell'ente e del delicato periodo di transizione, risulterebbe da comunicazioni intercorse con la segreteria della presidenza della provincia e con il prefetto di Novara che a livello ministeriale si stiano valutando le soluzioni migliori per la gestione della situazione;
   è da considerarsi anche il disagio provocato dall'arresto per tangenti in data 8 maggio 2014 dell'ormai ex segretario provinciale di Novara Antonino Princiotta che, per precauzione, imporrebbe la massima attenzione da parte del prefetto e del Ministro interrogato sulla situazione, oltre che su una scelta ponderata rispetto alla figura del commissario –:
   quali criteri verranno utilizzati per la selezione del commissario straordinario che avrà il compito di governare la provincia di Novara fino al 31 dicembre 2014, viste le complessità esposte in premessa. (5-03124)

Interrogazioni a risposta scritta:


   AIRAUDO e FERRARA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 25 giugno alle ore 19 è deceduto per un incidente sul lavoro l'edile Zeneli Sulejman di 63 anni;
   l'incidente è avvenuto all'interno del cantiere di piazza Dante a Roma che sta trasformando il grande ex Palazzo delle Casse di risparmio postali nella sede dei servizi segreti;
   come noto, si tratta di un cantiere «fantasma» che ha suscitato tante polemiche;
   «anche in quel cantiere avremmo voluto svolgere il nostro compito — racconta Mario Guerci, segretario generale degli edili Cgil del Lazio — cioè contrattare le condizioni di lavoro e di sicurezza». La Fillea chiede come mai l'impresa I.CO.P. spa ieri sera alle ore 18.00 aveva i propri operai ancora al lavoro, e quali misure di sicurezza erano state adottate;
   la Fillea dichiara la sua indignazione perché in quel cantiere sono mesi che, a causa della segretezza dei lavori in esecuzione, viene impedito l'ingresso, non consentendo di fatto di svolgere il lavoro di sensibilizzazione di tutti i soggetti coinvolti nei lavori sui temi della sicurezza e dei diritti;
   è ormai dal 2008 che, con il decreto legislativo 81 l'Italia si è dotata del testo unico in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro che purtroppo, tanto nella pubblica amministrazione quanto nel settore privato, non ha ancora avuto corretta e completa applicazione;
   la Fillea denuncia inoltre che il titolare dell'impresa nella quale lavorava Zeneli Sulejman, siede al tavolo della trattativa per il rinnovo del contratto nazionale di settore, dove si vorrebbero introdurre norme per deresponsabilizzare le imprese e deregolamentare il sistema cantiere –:
   se possa fornire tutte le informazioni relative all'incidente mortale che ha coinvolto il signor Zeneli Sulejman;
   quali misure di sicurezza siano adottate nel cantiere di cui in premessa e se l'impresa rispetti tutte le prescrizioni di cui al decreto legislativo n. 81 del 2008;
   se il Ministro non ritenga di rimuovere la segretezza che copre tutti gli appalti relativi al cantiere per la ristrutturazione dell'ex Palazzo delle Casse di risparmio. (4-05311)


   CENTEMERO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   le elezioni amministrative ed europee del 2014 si sono tenute il 25 maggio 2014. I ballottaggi si sono tenuti l'8 giugno. Per quanto riguarda le prime, con gli 11 comuni del Trentino-Alto Adige che hanno anticipato le elezioni al 4 maggio, sono andati al voto complessivamente 4.098 comuni, di cui 3.901 appartenenti a regioni ordinarie e 197 a regioni a statuto speciale;
   si è votato in ventinove comuni capoluogo di provincia, fra cui Bari, Campobasso, Firenze, Perugia e Potenza che sono anche capoluogo di regione;
   secondo quanto appreso dal sito dedicato dal Ministero dell'interno, hanno votato complessivamente 28.991.258 cittadini su 50.662.460, per una percentuale del 57,22;
   quattro settimane dopo le elezioni, i nuovi deputati europei, i 73 deputati italiani arrivati a Bruxelles si preparano alla prima sessione plenaria, che si terrà dal 1° al 3 luglio a Strasburgo, mentre, relativamente alle amministrative, è in corso d'opera la formalizzazione degli incarichi –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno effettuare un monitoraggio sul genere degli eletti al fine di conoscere, in un'ottica di gender mainstreaming, quante sono le donne elette nelle elezioni amministrative ed europee e sapere se sono state rispettate le disposizioni della legge n. 120 del 2011 sia nelle candidature, sia nella composizione delle giunte. (4-05314)


   SCAGLIUSI, MANLIO DI STEFANO, SPADONI, GRANDE, SIBILIA, DI BATTISTA e DEL GROSSO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da un articolo apparso sul quotidiano Il Tempo del 26 giugno 2014 si apprende che dieci poliziotti, su 580 Controllati nell'ambito dell'operazione Mare Nostrum, sono risultati positivi alla tubercolosi, uno avrebbe contratto l'infezione (si tratta di un agente in servizio all'U.P.G.S.P. di Terni);
   risulta che indossassero semplici mascherine, diverse da quelle in uso per i militari coinvolti nella citata operazione, senza filtri di carbonio, inadatte a fare da scudo a eventuali portatori del virus della tubercolosi;
   sulla questione, il 25 giugno 2014 si è tenuto presso il Ministero dell'interno un incontro con i sindacati di categoria per affrontare l'avvio di un nuovo protocollo di sicurezza nella gestione dell'emergenza;
   la direzione centrale di sanità pare abbia diramato un nuovo protocollo operativo con il quale sarebbero stati innalzati i livelli di informazione preventiva, di profilassi e di rilevamento;
   il segretario generale di uno dei sindacati di polizia, il Consap, ha affermato che è soprattutto tra il pedonale incaricato del trasporto dei profughi e del controllo presso i Centri di identificazione ed espulsione che si registrano casi di positività e che appare insufficiente il controllo medico a bordo della navi  –:
   se siano a conoscenza di quanto denunciato e paventato dai sindacati di polizia in ordine alla insufficiente garanzia di sicurezza e tutela della salute di quanti sono impegnati nell'operazione Mare Nostrum;
   quali urgenti disposizioni intendano adottare, nell'ambito delle rispettive competenze, in ordine a quanto esposto in premessa e riportato nell'articolo sopra citato, per garantire la piena tutela della salute del personale, anche in relazione alle stesse precauzioni sanitarie già prese per i marinai, per evitare la trasmissione o il contagio di eventuali malattie infettive. (4-05318)


   PARISI e FAENZI. — Al Ministro dell'internoPer sapere – premesso che:
   lo scorso sabato 21 giugno, durante lo svolgimento di una pacifica manifestazione svoltasi a Siena, organizzata dalla rete di resistenza apartitica, aconfessionale denominata: «Sentinelle in Piedi», per dimostrare la contrarietà alla proposta di legge a prima firma Scalfarotto approvata in prima lettura alla Camera dei deputati il 19 settembre 2013, presentata come necessaria per fermare atti di discriminazione nei confronti di persone omosessuali, sono accadute forme di contestazione intollerabili da parte di una trentina di individui non autorizzati, i quali con urla e frastuoni hanno impedito fisicamente lo svolgimento dell'ordinato raduno;
   gli interroganti evidenziano, come gli organizzatori, siano stati fra l'altro condizionati negativamente dal comportamento bizzarro e disordinato dell'amministrazione comunale senese, in considerazione dei continui e ripetuti cambiamenti dei luoghi pubblici ove manifestare, nonché dalle esagerate restrizioni e divieti imposti anche nel servizio di volantinaggio, annullando di fatto la libertà di manifestare civilmente e pacificamente contro una legge in fase di approvazione definitiva;
   l'intervento delle forze dell'ordine, che ha invitato i contestatori non autorizzati a lasciare la piazza alle «Sentinelle», che nel frattempo avevano già perso una ventina di minuti fra spostamento di piazza e liberazione della nuova area pubblica ad essi riservata, non è stato tuttavia sufficiente a rendere più serena la situazione;
   a giudizio degli interroganti, è stato utilizzato un «metro di misura» differente, se si valuta come mentre per i provocatori è stato consentito di proseguire ogni azione di disturbo e d'intralcio, interrompendo in più occasioni la quieta manifestazione, per gli organizzatori è stato invece impedito in modo remissivo di esprimere il proprio dissenso per un'iniziativa legislativa a loro giudizio, non condivisibile, per la quale è stata addirittura comminata una sanzione di 100 euro, per l'utilizzo del megafono;
   la suesposta vicenda a giudizio degli interroganti, desta sconcerto ed inquietudine se si valuta come le evidenti e ripetute forme di ostacolo ricevute dai manifestanti della rete «Sentinelle in Piedi», nella libertà di manifestare il proprio dissenso ad una proposta di legge che riguarda il complesso tema etico e sociale dell'omofobia, disattendono la disciplina della libertà di manifestazione del pensiero, riconosciuto dalla Costituzione;
   gli interroganti evidenziano in definitiva come le intenzioni pacifiche degli organizzatori della manifestazione, erano rivolte esclusivamente ad una serie di osservazioni critiche dell'impianto legislativo del provvedimento per il contrasto dell'omofobia e della transfobia, giudicato eccessivo, se si valutano le disposizioni contenute all'interno della medesima proposta di legge, anche con riferimento alle norme previste dal codice penale –:
   se intenda confermare quanto esposto in premessa e in caso affermativo, se non intenda, stigmatizzare quanto avvenuto nel corso della manifestazione del 21 giugno 2014 a Siena che, così come sostenuto dagli organizzatori, si è svolta senza che fossero rispettati gli adeguati livelli di sicurezza e di serenità;
   se non ritenga di dover verificare presso la questura di Siena le modalità con cui è stata organizzata la dimostrazione predisposta dai manifestanti della rete «Sentinelle in Piedi», in riferimento alle contestazioni e agli atteggiamenti ostili dei disturbatori, i quali con il comportamento dimostrato, hanno secondo gli interroganti indebitamente compromesso la libertà di manifestazione i cui principi sanciti dalla Costituzione, stabiliscono che ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per le proprie idee. (4-05323)


   CENTEMERO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   su richiesta della procura regionale della Corte dei conti il sindaco di Besana Brianza, in data 30 luglio 2013, ha provveduto alla formale messa in mora del signor Sergio Gianni Cazzaniga, candidato ammesso al ballottaggio per l'elezione del sindaco nel suddetto comune, e di alcune altre persone candidate consiglieri comunali, dal momento che si sono verificate le condizioni perché il consiglio comunale, nella seduta di convalida degli eletti, possa procedere, ai sensi dell'articolo 69 del Testo unico degli enti locali, a contestare nei loro confronti la possibile esistenza della predetta causa di incompatibilità;
   l'articolo 63 del decreto legislativo n. 267 del 18 agosto 2000 – Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali – al comma 1, n. 6), prevede che non può ricoprire la carica di sindaco o di consigliere comunale «colui che, avendo un debito liquido ed esigibile... verso il comune... è stato legalmente messo in mora»;
   la procura della Corte dei conti ha richiesto, in particolare, la costituzione in mora a fini cautelativi, in misura non inferiore a 1.800.000 euro, oltre ad interessi, come per legge e rivalutazione monetaria, salvo non venga accertato un importo diverso o più elevato nel corso dell'istruttoria, dimostrando che si è ancora in una fase istruttoria che non permette dunque agli interessati di rimuovere la causa d'incompatibilità liquidando il debito, come consentirebbe la norma;
   risulta dalla lettera del prefetto dei comuni di Monza e Brianza che spetta comunque al consiglio comunale valutare ed assumere le conseguenti decisioni, ai sensi del comma 4 del predetto articolo 69 –:
   se il prefetto accertata la sussistenza dei presupposti d'incompatibilità e eventuale decadenza del neo-sindaco Cazzaniga di Besana in Brianza, non intenda agire ai sensi dell'articolo 70 del testo unico sull'ordinamento degli enti locali. (4-05325)


   LUPO, DALL'OSSO, SORIAL e SILVIA GIORDANO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la presenza di servizi per l'infanzia, come nidi, servizi integrativi e scuole materne, rappresenta un chiaro indicatore di opportunità educative e, di converso, la loro mancanza, denota un chiaro elemento di povertà;
   da uno studio condotto dall'associazione ONLUS «Save the Children», dal titolo «La lampada di Aladino», si evince che il numero di bambini e adolescenti nel nostro Paese costretti a vivere in condizioni di povertà assoluta è passato da 500 mila unità dell'anno 2007 a oltre 1 milione del 2012, con un incremento del 30 per cento soltanto nell'ultimo anno analizzato;
   l’At Risk of Poverty and Social Exclusion (AROPE), strumento dell'Unione europea atto ad analizzare il rischio di povertà economica e di esclusione sociale, indica per l'anno 2012, valori allarmanti per il nostro Paese; circa 3,5 milioni di bambini italiani, pari al 34 per cento del totale, infatti, vivrebbero in condizioni di povertà economica o di esclusione sociale;
   la comunicazione della Commissione europea n. 66 del 17 febbraio 2011, dal titolo «Educazione e cura della prima infanzia: consentire a tutti i bambini di affacciarsi al mondo di domani nelle condizioni migliori», riferisce che l'educazione e la cura della prima infanzia costituiscono la base essenziale per il buon esito dell'apprendimento permanente, dell'integrazione sociale, dello sviluppo personale e della successiva occupabilità;
   la pubblicazione «la Lampada di Aladino» presenta altresì un nuovo strumento indice di povertà educativa l’(IPE): lo strumento si basa su 14 indicatori (fonte Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca) atti a valutare l'offerta formativa educativa e la fruizione di attività ricreative culturali rivolte ai bambini di tutte le regioni italiane;
   l'IPE evidenzia come in Italia vi sia un incolmabile divario tra le regioni meridionali e quelle settentrionali; a titolo esemplificativo, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia raggiungono punteggi che vanno da 1 a 3 punti, a differenza di regioni come Emilia Romagna, Lombardia e Friuli Venezia Giulia che raggiungono invece punteggi ragguardevoli compresi tra 15 e 17;
   il Governo per far fronte agli obblighi stabiliti dal Consiglio europeo di Lisbona del 2000, ha varato, a distanza di sette anni da quella data, il piano straordinario dei servizi socio-educativi per la prima infanzia;
   a parere degli interroganti tale misura, seppur lodevole, risulta insufficiente, dal momento che nel Consiglio europeo di Lisbona del 2000 fu stabilito che gli Stati membri avrebbero dovuto raggiungere la soglia del 33 per cento di copertura territoriale di servizi per l'infanzia dedicati ai bambini con età compresa tra gli 0 e i 2 anni già entro l'anno 2010. Ad oggi, invece, stando ai dati forniti da Save the Children, l'unica regione italiana che si avvicina a tale obbiettivo è l'Emilia Romagna, contro una media nazionale di copertura del 18 per cento –:
   se il Governo sia a conoscenza dello studio citato in premessa;
   quali azioni intenda attuare per rafforzare l'impegno alla raccolta e alla diffusione degli indicatori e dei dati, nazionali e regionali, relativi alle opportunità educative per l'infanzia e l'adolescenza;
   se non ritenga doveroso definire e varare, nel più breve tempo possibile e di concerto con tutte le associazioni di categoria interessate, un nuovo piano di sviluppo per l'infanzia e l'adolescenza;
   quali iniziative ordinarie e non, anche di carattere normativo, intenda porre in essere al fine di ridurre in maniera drastica il gap esistente tra le regioni settentrionali e quelle meridionali in materia di servizi all'infanzia e all'adolescenza, in considerazione del fatto che il «servizi di cura all'infanzia e agli anziani non autosufficienti» di competenza del Ministro per la coesione territoriale pro tempore, e attuato dal Ministero dell'interno a oggi non ha prodotto risultati tangibili in tal senso. (4-05330)


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   viale Leopardi, nella città di Udine, ormai da anni si trova in totale stato di degrado, come denunciato dai residenti che hanno inviato una lettera di protesta, recentemente e per l'ennesima volta, al prefetto, alla procura della Repubblica, al questore, al comandante provinciale dei carabinieri, al sindaco e alla polizia municipale per rivendicare «il sacrosanto diritto a vivere in una società civile come avviene negli altri quartieri di Udine»;
   come si apprende da quanto segnalato nella lettera dai residenti di viale Leopardi, nella zona il problema più grave è sicuramente rappresentato dallo spaccio di droga, «svolto in totale libertà» e rivolto soprattutto ai più giovani, che transitano nella vicina stazione per andare e tornare da scuola;
   il secondo problema, evidente conseguenza del primo, è legato dunque alla sicurezza personale dei residenti, tanto che, come si legge nella lettera, «Nessuno entra in auto nel vicolo laterale tra il caffè Dersut e il Pullman Bar, per accedere ai garage, senza che queste persone blocchino le portiere», e alla richiesta di andarsene, è consuetudine «ottenere in risposta insulti o vedere il segno di tagliare la gola con il pollice»;
   ad aggravare la situazione, sempre secondo quanto denunciato dai residenti, sono le attività gestite da stranieri, tra cui, solo a titolo esemplificativo, l'African Shop e il Pullman bar;
   in particolare, con riguardo all'African Shop, nella sopra citata lettera gli abitanti si domandano «come sia possibile che il Comune ne abbia autorizzato l'apertura» e ne tolleri la gestione alla luce del fatto che anziché un negozio etnico, come potrebbe far supporre il nome, invece «Ha praticamente come attività principale la vendita di birra»;
   il Pullman bar, che già nel marzo 2014 era stato chiuso per 15 giorni dal questore di Udine in seguito ai numerosi interventi effettuati dalla forze dell'ordine per motivi di sicurezza, è stato teatro proprio pochi giorni fa di un'altra aggressione per futili motivi da parte di un uomo di origini africane ai danni delle due cameriere cinesi, conclusasi con l'intervento dei carabinieri e il ricovero delle due donne;
   nonostante i numerosi esposti e le continue segnalazioni degli abitanti alle istituzioni e alle forze dell'ordine, il degrado e le condizioni di vivibilità della zona sono addirittura peggiorate negli ultimi anni –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione in cui versa la via Leopardi a Udine, quali provvedimenti intenda adottare al fine di garantire la vivibilità e la sicurezza dei residenti e se ritenga opportuno assumere iniziative per istituire una stazione di polizia nella via stessa, onde assicurare il pronto intervento delle forze dell'ordine e il ripristino della legalità nella zona. (4-05334)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   l'articolo 7 (commi 29 e 31) del decreto-legge n. 95 del 2012, come convertito in legge, introduceva le pagelle e registri on line, considerandoli come obbligatori a partire dal 2012/2013;
   il comma 27 del citato provvedimento normativo però afferma che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca predispone entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto un piano per la dematerializzazione delle procedure amministrative in materia di istruzione, università e ricerca e dei rapporti con le comunità dei docenti, del personale, studenti e famiglie;
   a ciò è poi seguita la nota ministeriale prot. AOODPPR Reg. Uff. n. 1682/U del 2012 che in sostanza prorogava l'applicazione della considerata normativa rendendo dunque, con riferimento al registro elettronico, ad oggi facoltativo il suo utilizzo;
   del termine come indicato dal decreto-legge n. 95 del 2012 non è da considerarsi perentorio, ma ordinatorio, dunque nessun obbligo sussiste per le scuole di dottarsi di registri elettronici, fino a quando non verrà realizzato il piano di dematerializzazione, da parte del Miur;
   tale piano dovrà essere approvato dal garante per la protezione dei dati personali che così scrive nella sua guida intitolata: «La privacy a scuola. Dai tablet alla pagella elettronica. Le regole da ricordare»: «Iscrizione e registri on line, pagella elettronica In attesa di poter esprimere il previsto parere sui provvedimenti attuativi del Ministero dell'istruzione riguardo all'iscrizione on line degli studenti, all'adozione dei registri on line e alla consultazione della pagella via web, il garante auspica l'adozione di adeguate misure di sicurezza a protezione dei dati»;
   da ciò si deduce che sia in tema di registri on line che di pagelle on line tutte le scuole che hanno deciso di provvedere a tale dotazione devono richiedere il parere consultivo del Garante per venire a conoscenza se la normativa in tema di privacy sia stata rispettata o meno, in caso contrario si rischiano diffide e sanzioni da parte della stessa autorità con ovvi rischi di danni erariali –:
   quali iniziative intenda assumere al fine di procedere con il Piano di dematerializzazione sopra esposto considerando inoltre le difficoltà economiche che i vari istituti scolastici incontrano per il processo di informatizzazione.
(2-00605) «Molea, Antimo Cesaro».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COCCIA. —Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   secondo fonti di stampa le classi differenziali per i disabili si stanno illegittimamente riaffacciando nella scuola italiana;
   oggi, infatti, nella classe terza sezione A dell'istituto comprensivo De Ruggiero di Brusciano in provincia di Napoli risultano iscritti quattro alunni disabili su un totale di ventidue. Per uno di essi la disabilità motoria è aggravata anche dall'assenza di un ascensore funzionante nella scuola;
   quando venne immaginata la scuola dell'inclusione per i disabili si riteneva che essa fosse realizzabile con classi formate al massimo da un alunno con disabilità su venti;
   la dirigente scolastica ha provato, invano, con gli strumenti a sua disposizione, a chiedere lo sdoppiamento della classe. Il CSA di Napoli non ha ritenuto di dovere procedere in tal senso e quindi, con tutta evidenza, da settembre a Brusciano partirà un'esperienza che si pone in netto contrasto con i principi e la legislazione che nel nostro Paese hanno sancito l'integrazione scolastica;
   dal prossimo mese di settembre, dunque, in una classe di 22 alunni di cui 4 disabili ci sarà un unico insegnante di sostegno e uno spazio «separato» nel quale i quattro bambini disabili trascorreranno il tempo scuola;
   attualmente l'Italia è l'unico paese in Europa che prevede l'integrazione scolastica degli alunni in situazione di handicap nelle sezioni e nelle classi comuni delle scuole di ogni ordine e grado. Tale diritto è sancito dalla Costituzione della Repubblica italiana e la sua attuazione è iniziata sul finire degli anni sessanta grazie alle sollecitazioni che pervenivano dalle famiglie degli alunni disabili;
   le tappe più importanti di questo percorso dal punto di vista normativo sono state:
    a) con il decreto-legge 30 gennaio 1971, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 118 del 1971 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili è stato introdotto per la prima volta il principio secondo il quale per alcune tipologie di alunni in situazione di handicap «l'istruzione dell'obbligo deve avvenire nelle classi normali della scuola pubblica». Inoltre essa prevede una forte limitazione di norme particolaristiche di tutela per tipologia di handicap che determinano la dispersione delle risorse;
    b) la circolare ministeriale 227/75 con in allegato la relazione conclusiva della Commissione presieduta dalla senatrice Franca Falcucci. Le indicazioni contenute nella relazione hanno dato origine alle scelte normative che hanno consentito la diffusione dell'integrazione scolastica nel nostro paese. Essa afferma che «il superamento di qualsiasi forma di emarginazione degli handicappati passa attraverso un nuovo modo di concepire la scuola e di attuare la scuola, così da poter veramente accogliere ogni bambino e ogni adolescente per favorire lo sviluppo personale, precisando per altro che la frequenza di scuole comuni da parte di bambini handicappati non implica il raggiungimento di mete minime comuni»;
    c) la legge n. 517 del 1977 recante «Norme sulla valutazione degli alunni e sull'abolizione degli esami di riparazione nonché altre norme di modifica dell'ordinamento scolastico» con cui è stato possibile procedere all'abolizione delle classi differenziali per gli alunni svantaggiati. È stato consentito a tutti gli alunni in situazione di handicap di accedere alle scuole elementari e alle scuole medie inferiori. Inoltre si è proceduto ad attivare gli strumenti necessari per adempiere a tale obbligo: insegnanti di sostegno specializzati, numeri di alunni per classe non superiore a venti, interventi specialistici dello Stato e degli Enti Locali;
    d) la sentenza della Corte Costituzionale n. 215/87 rappresenta un passo fondamentale per l'integrazione scolastica nella scuola secondaria superiore, in quanto assicura la frequenza in questo ordine di scuola agli alunni in situazione di handicap, indipendentemente dalla tipologia e dalla gravità del deficit, perché tale frequenza è «un essenziale fattore di recupero e di superamento dell'emarginazione»;
    e) la legge n. 104 del 1992 recante «Legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate», sancisce il diritto all'istruzione e all'educazione nelle sezioni e classi comuni per tutte le persone in situazione handicap precisando che «l'esercizio di tale diritto non può essere impedito da difficoltà di apprendimento né da altre difficoltà derivanti dalle disabilità connesse all'handicap» –:
   se non ritenga di dover intervenire per verificare la legittimità di un atto che si pone in evidente contraddizione con la legislazione vigente in materia di integrazione scolastica degli alunni con handicap e con le norme di buon senso e civiltà che stabiliscono che ogni bambino ha il diritto di esprimere e sviluppare al meglio le proprie potenzialità, soprattutto, nell'ambito delle esperienze scolastiche dove l'integrazione deve essere realizzata sul duplice versante degli apprendimenti e della socializzazione. (5-03114)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   con il decreto legislativo n. 509 del 1994 gli enti previdenziali sono stati trasformati in associazioni o in fondazioni con deliberazione dei competenti organi, a condizione che non usufruissero più di finanziamenti o altri ausili pubblici di carattere finanziario (articolo 1 del decreto legislativo n. 509 del 1994);
   pur continuando a sussistere come enti senza scopo di lucro assumevano personalità giuridica di diritto privato, rimanendo così titolari di tutti i rapporti attivi e passivi dei corrispondenti enti previdenziali e dei rispettivi patrimoni (si veda l'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 509 del 1994);
   le associazioni o le fondazioni hanno autonomia gestionale, organizzativa e contabile nel rispetto dei principi stabiliti dal presente articolo nei limiti fissati dalle disposizioni del presente decreto in relazione alla natura pubblica dell'attività svolta (articolo 2.1 del decreto legislativo n. 509 del 1994);
   infatti, la sentenza del Consiglio di Stato, sezione VI, n. 6014 del 2012, ha chiarito una volta per tutte che la trasformazione operata dal decreto legislativo n. 509 del 1994 ha lasciato, quindi, immutato il carattere pubblicistico dell'attività istituzionale di previdenza e assistenza svolta dagli enti in esame, che conservano una funzione strettamente correlata all'interesse pubblico, costituendo la privatizzazione un'innovazione di carattere essenzialmente organizzativo;
   a seguito dell'interpellanza urgente n. 2-00062, presentata dalla firmataria del presente atto e discussa nella seduta n. 22 del 23 maggio 2013, alla quale ci si riporta integralmente, ha risposto in rappresentanza del Governo il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali, Carlo Dell'Aringa;
   la risposta fornita a suo tempo non ha soddisfatto l'interpellante e, per tali motivi, era stata presentata nella seduta n. 31 del 11 giugno 2013 la mozione ex articolo 138 comma 2 n. 1-00092, con l'intento di impegnare il Governo ad intervenire sulle problematiche relative alla dismissione del patrimonio immobiliare, sospendere gli sfratti, verificare la legittimità della persona che ricopre il ruolo di Presidenti dell'Enasarco rispetto ai requisiti richiesti e intervenire sulla gestione finanziari;
   l'interpellante, sollecitata dagli inquilini e dagli iscritti alle casse, ha inviato una missiva al ex Ministro Giovannini, in data 14 ottobre 2013, ricevendo in pari data la seguente risposta: «Ferma restando l'autodeterminazione delle Casse nella selezione delle scelte di realizzo del fine di interesse pubblico, indubbiamente rientra nelle attribuzioni delle Amministrazioni vigilanti verificare il conseguimento del risultato ottenuto nonché la piena legittimità delle procedure intraprese, improntate a criteri di trasparenza e professionalità degli operatori (...) L'attività di vigilanza sopra richiamata non ha lasciato emergere, fino ad oggi, elementi che possano indurre a ravvisare, da parte delle Casse, la propensione ad una sistematica supervalutazione del patrimonio immobiliare, né di conseguenza può sostenersi che tale ipotizzata anomalia abbia determinato un'alterazione delle poste di bilancio, formalmente certificato da società di revisione, nonché verificato dagli organi di controllo interni agli enti e infine sottoposto al vaglio di questo Ministero e del covigilante Ministero dell'economia e delle finanze (...) Quanto (...) al caso Enasarco e alle operazioni mobiliari intraprese dall'ente, rappresento che questa Amministrazione ha da tempo posto sotto osservazione la gestione degli investimenti e le obbligazioni strutturate, coinvolgendo la Covip nell'attività di verifica e indagine ispettiva. Il referto della Commissione che ha valutato le attività finanziarie dal novembre 2006 al 2012, ha messo in evidenza alcuni profili degni di ulteriore approfondimento, senza tuttavia rilevare alcuna chiara fattispecie di illecito tali da configurare possibili responsabilità amministrative o addirittura penali (...) Le illustrate verifiche sono oggi valutabili alla luce dei generali criteri di sana e trasparente gestione, improntata a scelte prudenziali, in ragione del fine pubblico perseguito dagli enti gestori della previdenza obbligatoria»;
   il 18 settembre 2013 è stata discussa la mozione ex articolo 138 comma 2 n. 1-00092 concludendosi con la votazione del 9 dicembre 2013 il cui esito è stato quello di respingere l'atto;
   l'interpellante, nuovamente sollecitata dagli inquilini e da un loro sindacato di categoria ASIA USB, oltre che dagli iscritti alle casse e da un loro sindacato di categoria FederAgenti, ha inviato ulteriormente una missiva in data 3 dicembre 2013, sollecitando la risposta alla gravose perplessità nei propri atti parlamentari: all'ex Ministro del lavoro e delle politiche sociali Enrico Giovannini, all'ex Ministro dell'economia e delle finanze Fabrizio Saccomanni e al sottosegretario rapporti con il Parlamento e coordinamento attività del Governo Maria Teresa Amici, soprattutto in considerazioni della gestione finanziaria dell'Enasarco con particolare riferimento agli «investimenti alternativi» sui quali vi sono molti punti oscuri;
   il 30 gennaio 2014, vi è stata l'audizione in Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale, del Presidente e del direttore generale della fondazione Enasarco, Brunetto Boco e Carlo Bravi, ai quali il senatore del Movimento 5 Stelle Sergio Puglia ha esposto una serie di quesiti legati agli investimenti finanziari della Fondazione che ancora oggi attendono risposta;
   preme evidenziare che la stessa fondazione in tale sede, per dimostrare la correttezza del proprio operato ha affermato che: «Infine, preme precisare che la trasparenza della gestione finanziaria della Fondazione è assicurata dalla presenza coordinata di norme e procedure di investimenti e di controllo, sia interne sia a cura delle autorità vigilanti. Per i controlli esterni, la vigilanza è assicurata dalle norme in essere attraverso un meccanismo articolato e stringente di vigilanza, così composti:
    Vigilanza Ministero del lavoro;
    Vigilanza del Ministero dell'economia;
    Vigilanza della Covip;
    Vigilanza della corte dei conti;
    Revisione contabile e certificazione del bilancio a cura di società indipendenti;
    Presenza nel Consiglio di Amministrazione del rappresentante del Ministero del lavoro;
    Presenza nel Collegio dei Sindaci del rappresentante del Ministro del lavoro, con funzioni di presidente;
    Presenza nel Collegio dei Sindaci del rappresentante del Ministro dell'economia;
   il 4 marzo 2014 l'odierna interpellante presentava nella seduta n. 182 anche un'interrogazione a risposta scritta n. 4-03804, rivolta al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e al Ministero dell'economia e delle finanze, sull'operato della Covip come previsto dal decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 con cui è stato attribuito alla Commissione anche compiti di controllo sugli investimenti finanziari e sul patrimonio delle Casse professionali private e privatizzate;
   nulla è stato chiarito da nessuno degli organi di vigilanza o soggetti preposti al controllo degli enti previdenziali privatizzati anzi, vi è un rimpallo finalizzato a generare confusione nonostante i fatti di cronaca sugli investimenti scellerati realizzati da alcune Casse professionali privatizzate, che invero, dovrebbero garantire la pensione ai propri iscritti e che al contrario determinano perdite ingenti a danno dei contribuenti;
   all'interno del Ministero del lavoro e delle politiche sociali la vigilanza tecnico-finanziaria sulle attività correnti e sulla gestione patrimoniale degli enti previdenziali è affidata alla direzione generale per le politiche previdenziali e assicurative il cui direttore generale è il dottor Edoardo Gambacciani, quest'ultimo soggetto di un nuovo atto di sindacato ispettivo (vedi interrogazione a risposta scritta 4-04184 del 25 marzo 2014), da parte dell'interpellante, che ad oggi non ha risposta, a dispetto dei semplici quesiti posti: 1) se esista un rapporto di parentela tra il dottor Edoardo Gambacciani e l'avvocato Marco Gambacciani, collaboratore con la cattedra del professor Proia legale di Enasarco; 2) qualora sia assodata l'esistenza di un rapporto di parentela, sulla base di quali criteri oggettivi e soggettivi sia stato scelto il dottor Edoardo Gambacciani a dirigere l'ufficio; 3) se sia stato valutato il «potenziale conflitto d'interessi» tra l'avvocato Marco Gambacciani e il dottor Edoardo Gambacciani, tenuto conto del ruolo da quest'ultimo svolto presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   nell'inerzia dei ministeri vigilanti, nel mese di aprile 2014 il Consiglio di Stato su un ricorso d'urgenza presentato da un inquilino il 15 gennaio 2014 è intervenuto con una ordinanza (n. 103 del 2014) dichiarando di fatto illegittima la procedura di conferimento del patrimonio immobiliare della cassa nazionale previdenza ragionieri; infatti, il Consiglio di Stato ha statuito che il patrimonio immobiliari della cassa nazionale di previdenza dei ragionieri è pubblico, indipendentemente dallo schema giuridico adottato per il conferimento ad un altro soggetto incaricato della dismissione degli immobili e deve essere riconosciuto all'inquilino la prelazione nonostante il conferimento al fondo immobiliare;
   l'interpellante con la sua solita solerzia, nella seduta n. 209 del 10 aprile 2014 ha presentato un'altra interrogazione a risposta scritta n. 4-04464 al Ministero del lavoro e delle e politiche sociali per chiedere alla luce della nuova normativa e giurisprudenza circa la qualificazione giuridica degli enti un intervento normativo immediato per far rispettare agli enti previdenziali la legge nelle loro dismissioni così come delineata dal Consiglio di Stato nell'ordinanza n. 8826/2014 onde evitare ripercussioni sulle pensioni degli iscritti della cassa;
   nello stesso mese, sul blog beppegrillo.it veniva pubblicato una notizia: «Il Gruppo Movimento 5 Stelle alla Camera ha ricevuto da mittente anonimo una copia del verbale integrale della discussa seduta del Cda Enasarco del 7 febbraio 2013. Se queste pagine fossero autentiche, e chiediamo in tal senso lumi anche ai vertici della Fondazione, la denuncia lanciata quel giorno dall'ex vicepresidente dell'ente Andrea Pozzi sarebbe pesantissima e andrebbe ad avvalorare la tesi che sosteniamo da mesi, ovvero che il progetto FEROCE di dismissioni del patrimonio immobiliare dell'ente serva per coprire i buchi nel bilancio creati da investimenti finanziari disastrosi, sempre con i soldi dei contributi pensionistici. Pozzi, infatti, spiega che nel Cda del 20 dicembre 2012 era stata deliberata «l'approvazione e la ratifica dell'operato del presidente della Fondazione sugli investimenti» e relativa successiva ristrutturazione (perché in perdita) in alcuni fondi (denominati Athena) tramite veicolo residente alle Mauritius (paradiso fiscale in black list della Banca d'Italia): 70 milioni di euro. Peccato che in quel Cda di dicembre, secondo Pozzi, non fosse stato approvato «alcun punto all'ordine del giorno recante questo argomento». «A questi 70 milioni si sommano quelle effettuate da Anthracite, per un totale di 185,8 milioni ora svalutati a 155,5 milioni», dice Pozzi nel verbale. Pozzi poi ribadisce che questi investimenti in finanza opaca hanno «abbondanti criticità» e che «non è mai stata data alcuna informativa al Consiglio di amministrazione fino alla seduta del 20 dicembre 2012». Perché il Cda è stato tenuto all'oscuro di operazioni finanziarie così rischiose e importanti ? Chi ha deciso quegli investimenti ? Con quali scopi ? La reputazione della Fondazione è a rischio, si legge ancora nel verbale, perché «gli investimenti in Athena sono destinati tramite un complicato meccanismo di veicolo finanziario e senza alcun controllo» da parte della Fondazione «nel finanziamento della Time&Life di Raffaele Mincione, un finanziere con sede a Londra» (che ha puntato tra l'altro su Monte Paschi Siena) «con una perdita di 17,6 milioni su 40 investiti». Di tutto questo, secondo Pozzi, il Cda Enasarco non ha saputo nulla per oltre un anno. Così come non è stato informato del fatto che all'inizio del 2012 la Fondazione «aveva ricevuto due finanziamenti dal Fondo The Four Elements Pcc Athena Special Situation per evidenti ragioni di cassa». «Sono riportate le gravissime dichiarazioni del direttore generale che, in tutta serenità, afferma: «...Enasarco ha effettuato la manutenzione sugli immobili Solamente a rottura, ossia in presenza di una situazione di evidente necessità, comportando una situazione di degrado o fatiscenza di molti stabili (...) questi lavori interessano tutti gli immobili oggetto delle dismissioni...». Ma la cosa più grave riguarda il riferimento alla sostituzione dei divisori dei balconi in eternit di alcuni immobili a Roma: gli inquilini di questi stabili sapevano di aver “coabitato” con l’eternit ? Da parecchio tempo il M5S segue da vicino la vicenda Enasarco e si batte con forza per la trasparenza e la sostenibilità degli investimenti delle casse previdenziali»;
   il 3 aprile 2014 vi è stata una nuova audizione in Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale, del Presidente e del Direttore generale della Fondazione Enasarco, Brunetto Boco e Carlo Bravi per discutere le risposte inviate all'ufficio di Presidenza della commissione, in tale occasione il presidente della fondazione ha dichiarato che l'ente non può procedere a pagare al pagamento delle pensioni dei silenti (iscritti alla cassa che hanno versato in passato da 5 ai 15 anni di contributi);
   il 9 maggio 2014 si leggeva da articolo di giornali – in vicende connesse a CNPR e INPGI – che la magistratura procedeva con l'arresto di noti finanzieri italiani Ruggero, Aldo, Giorgio e Luca Magnoni, oltre che di Gianluca Selvi, presidente della cooperativa Confidi-Prof e «dominus» occulto della Hps, Andrea Toschi e Alberto Ciaperoni, rispettivamente ex direttore generale e amministratore delegato di Sopaf capital management, società di gestione del gruppo; «Per la Procura di Milano i Magnoni, vicini a personaggi di spicco della finanza, l'amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel e il finanziere renziano Vincenzo Manes, hanno utilizzato Sopaf come un bancomat prelevando indebitamente almeno un centinaio di milioni. Senza contare il frutto illecito delle operazioni finanziarie perpetrate a danno della Cassa dei ragionieri (Cnpr), dell'istituto nazionale previdenza giornalisti (Inpgi) e della Cassa dei medici, Enpam. Diversi i meccanismi attraverso i quali i Magnoni avrebbero operato per appropriarsi del denaro e sui cui i magistrati stanno ancora acquisendo materiale attraverso le perquisizioni effettuate dalle fiamme gialle negli uffici di Paolo Saltarelli, presidente della Cassa di previdenza dei ragionieri, e di Andrea Camporese, presidente dell'Inpgi»;
   inoltre, il 10 maggio 2014, si leggeva su una testata giornalistiche online che: «A metà novembre, Covip ha consegnato al ministero del lavoro una corposa relazione di oltre 300 pagine sui conti 2012 delle Cosse previdenziali... Dal documento dell’authority di previdenza, presieduta da Rino Tarelli, emerge che i funzionari Covip avevano segnalato le proprie «perplessità» ai ministeri vigilanti del lavoro e dell'economia in merito al metodo di contabilizzazione in bilancio del BTP Stripped messo a garanzia degli investimenti da 780 milioni di euro realizzati da Enasarco nell'ex veicolo finanziario Anthracite». «Della commissione parlamentare si è già detto. Covip, in ambito Casse, ha solo potere di ispezione e raccolta informazioni. La vigilanza è di competenza dei ministeri del lavoro e dell'economia. Il ministero del lavoro, in particolare, ha una divisione ad hoc specializzata sulla previdenza: abbiamo chiesto al direttore generale di questa area, Edoardo Gambacciani, se la contabilizzazione del BTP Stripped, viste le perplessità Covip, sia stata effettuata in modo corretto ma fino ad ora non abbiamo ricevuto risposta»;
   l'interpellante, tramite la commissione enti gestori ha avuto copia della relazione che la Covip ha inviato ai ministeri competenti, con allegata solo una parte dei documenti in essa richiamati;
   tale documento, anziché fugare i dubbi, in una parte copia pedissequamente quanto riportato nel bilancio e nei documenti della fondazione Enasarco, fomentando le perplessità con un testo che non dice e assolutamente non fornisce alcuna risposta ai quesiti sollevati dall'interpellante ma si limita a sostenere che vi sono «delle perplessità» –:
   se i Ministri interpellati non ritengano opportuno:
    a) intervenire, immediatamente al fine di assumere le iniziative normative sollecitate anche dalla giurisprudenza, per le dismissioni degli enti previdenziali di cui al decreto legislativo n. 509 del 1994, così da applicare la norma prevista ed utilizzata per le dismissioni degli enti pubblici;
    b) stabilire anche mediante iniziative normative che la legge di dismissione del patrimonio pubblico trovi applicazione anche alle dismissioni attuate attraverso fondi immobiliari SGR di qualsiasi tipo che hanno avuto il conferimento del loro patrimonio da enti previdenziali di cui al decreto menzionato;
    c) istituire una commissione di inchiesta governativa che valuti le omesse vigilanze e le relative responsabilità dei soggetti preposti al controllo della gestione del patrimonio immobiliare e non, degli enti previdenziali privatizzati;
    d) intervenire in ordine alla truffa, che vede coinvolte tre casse di previdenza, quella dei ragionieri (CNPR) quella dei medici (ENPAM) e quella dei giornalisti (INPGI) per un danno di 79 milioni di euro, che hanno subìto perquisizioni e/o sequestri avvenuti presso gli uffici dei presidenti di CNPR e INPGI, oltre a quelle relative al direttore generale di ENPAIA, per non dire di tutte quelle notizie che hanno riguardato i vertici di ENASARCO, così da disporre il commissariamento di tali enti per tutelare le future pensioni degli iscritti così come previsto dalle norme in casi simili;
    e) valutare la possibilità di assumere iniziative normative per far confluire tutti gli enti privatizzati di cui al decreto legislativo n. 509 del 1994 con i relativi patrimoni immobiliari, anche se conferiti a fondi immobiliari SGR di qualsiasi tipo, nell'INPS, così come avvenuto per altri enti in modo da poter meglio tutelare sia i patrimoni immobiliari che gli iscritti beneficiari dei trattamenti pensionistici.
(2-00598) «Lombardi».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GIACOBBE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   a decorrere dal 1° settembre 1995 sono state previste limitazioni al cumulo dei trattamenti ai superstiti con i redditi del beneficiario, secondo modalità individuate dalla tabella F richiamata dall'articolo 1, comma 41, della legge n. 335 del 1995;
   in base all'articolo 35, comma 8, del decreto-legge n. 207 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14, così come modificato dall'articolo 13 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, ai fini della liquidazione o della ricostituzione delle prestazioni previdenziali ed assistenziali collegate al reddito, il reddito di riferimento è quello conseguito dal beneficiario (e dal proprio coniuge) nell'anno solare precedente, mentre per le prestazioni collegate al reddito rilevano i redditi conseguiti nello stesso anno per le prestazioni per le quali sussiste l'obbligo di comunicazione al casellario centrale dei pensionati di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1971, n. 1388, e successive modificazioni;
   in base all'interpretazione letterale e fortemente restrittiva di tali norme adottata dall'INPS, dal 1° gennaio di ogni anno, ai fini della determinazione della misura della pensione ai superstiti, si tiene conto non solo dei redditi conseguiti nell'anno precedente, ma anche di quelli conseguiti nello stesso anno per i quali sussiste l'obbligo di comunicazione al casellario centrale dei pensionati;
   si determina, quindi, una situazione paradossale, nella quale i lavoratori e le lavoratrici che risultano beneficiari di una pensione di reversibilità e che conseguano il diritto ad una pensione diretta, vedono applicati nei loro confronti limiti di cumulabilità che assumono a riferimento un reddito costituito sia dall'importo della propria pensione, conseguita nell'anno in corso, sia dal reddito da lavoro dell'anno precedente, che non viene più percepito;
   in modo del tutto irragionevole si dà quindi luogo ad una decurtazione rilevante del trattamento di reversibilità a causa dell'inserimento dei lavoratori interessati in una fascia reddituale più elevata, che comporta quindi maggiori riduzioni;
   appare altresì paradossale che, ai fini del calcolo dei limiti di cumulabilità per la pensione di reversibilità, non sia applicato alcun principio di contestualità, che imporrebbe di considerare come rilevante il reddito dell'anno di percezione della prestazione, come avviene nei casi di prima liquidazione di una prestazione, ai sensi del comma 9 del citato articolo 35 del decreto-legge n. 207 del 2008;
   risulta evidente che il problema si pone in modo particolare per tutti quei lavoratori dipendenti che decidono di lasciare il lavoro, rinunciando al proprio reddito da lavoro, anche in considerazione del percepimento della pensione di reversibilità –:
   se sia possibile assumere iniziative di carattere amministrativo volte a rivedere l'interpretazione delle norme richiamate in premessa al fine di evitare che, nel periodo in cui si passa dalla condizione di lavoratore a quella di pensionato, siano applicate decurtazioni irragionevoli e immotivate ai trattamenti di reversibilità in essere, valutando, in caso contrario, l'opportunità di un intervento normativo in materia. (5-03116)


   BATTAGLIA e BURTONE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Fondazione Enasarco negli ultimi anni è stata oggetto di inchieste a mezzo stampa che ne hanno sottolineato le criticità nelle gestioni mobiliare ed immobiliare ed in ordine all'equità del sistema nei confronti degli iscritti;
   in particolare la trasmissione televisiva «Report» in onda su Rai 3 in data 2 giugno 2014 ha evidenziato gravissime omissioni e lacune sia negli investimenti finanziari dell'ente che nelle procedure di vendita degli immobili detenuti da Enasarco, che avrebbero determinato ingentissime perdite tanto da pregiudicarne addirittura la sostenibilità finanziaria;
   il 5 giugno 2014 è stata ufficialmente depositata al Senato la richiesta per istituire una commissione parlamentare di inchiesta sulla gestione del patrimonio della fondazione Enasarco;
   esiste inoltre un problema relativo ai cosiddetti «silenti» ovverosia i circa 150.000 soggetti iscritti che, pur avendo versato per più di 5 anni nelle casse dell'ente, non si vedono oggi riconosciuta dallo stesso alcuna prestazione pensionistica, per quanto sia previsto dal regolamento dell'ente che i requisiti per il raggiungimento della pensione attualmente sono rappresentati da «quota 88», data dalla somma di età anagrafica ed anzianità contributiva, con un minimo di 20 anni di contributi versati e 65 anni di età;
   lo stesso regolamento non prevede la totalizzazione dei contributi accantonati, se si cambia professione;
   in una recente audizione parlamentare presso la Commissione di vigilanza sugli enti previdenziali, il presidente dell'Enasarco ha evidenziato le criticità presenti che impediscono la restituzione dei contributi versati ai cosiddetti «silenti», in quanto l'ente rischierebbe la propria sopravvivenza;
   il 21 maggio 2014, in occasione di una iniziativa pubblica, alcune associazioni di categoria degli agenti di commercio, dei promotori finanziari e degli agenti immobiliari hanno criticato aspramente l'attuale gestione del sistema previdenziale Enasarco presentando inoltre una proposta congiunta di revisione di tale sistema al fine di assicurarne la sostenibilità finanziaria e di salvaguardare i più elementari principi di equità nei confronti degli iscritti e di trasparenza gestionale –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere nei confronti dell'Enasarco e se non ritenga opportuno un suo commissariamento ai sensi dell'articolo 2, comma 6, del decreto legislativo n. 509 del 1994.
(5-03123)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la prima settimana di luglio i 54 dipendenti della Sider di Vasto andranno in ferie;
   saranno ferie poco serene per i lavoratori: il riposo di una settimana è «obbligato». È stato concordato ieri mattina negli uffici della Provincia di Chieti da azienda e sindacati in attesa che il Governo decida se rifinanziare o meno la cassa integrazione in deroga;
   la cassa integrazione guadagni straordinaria, infatti, scade il 30 giugno. In ogni caso la Sider spa ha avviato la procedura di mobilità per 15 lavoratori;
   l'azienda ha rassicurato i lavoratori garantendo che sta predisponendo un nuovo piano concordatario da presentare al tribunale di Vasto. Saranno in ogni caso determinanti le decisioni che il Governo assumerà sul finanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga anche per il secondo semestre 2014;
   gli enti locali in un appello chiedono alle istituzioni abruzzesi di attivarsi e trovare il modo per individuare soluzioni che salvaguardino il futuro produttivo e occupazionale dell'azienda vastese;
   sono in corso incontri tra le parti sociali;
   la situazione è drammatica. Vasto rischia di perdere un altro pezzo importante del settore industriale: se entro il 7 luglio non dovessero emergere soluzioni, 54 lavoratori si ritroveranno senza lavoro –:
   se non intendano intervenire immediatamente per accelerare le procedure di finanziamento della cassa integrazione guadagni straordinaria e convocare le parti sociali per trovare una soluzione e scongiurare la gravissima crisi occupazionale. (4-05313)


   CARFAGNA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la figura della consigliera di parità è stata introdotta con l'articolo 8 della legge n. 125 del 1991, il quale ha stabilito che tale soggetto, presente a livello nazionale, regionale e provinciale, è chiamato a presidiare la condizione della donna nel mercato del lavoro;
   successivamente, il capo quarto del decreto legislativo n. 198 del 2006, meglio noto come codice per le pari opportunità tra uomo e donna, ha introdotto una nuova disciplina strutturalmente unitaria delle consigliere e dei consiglieri di parità;
   il ruolo delle consigliere appare centrale nella strategia di intervento per sanzionare le discriminazioni e per incentivare le azioni positive nel modo del lavoro;
   la consigliera riveste anche la qualifica di pubblico ufficiale e ha l'obbligo di segnalazione all'autorità giudiziaria dei reati di cui viene a conoscenza. Si occupa della trattazione dei casi di discriminazione e della promozione di pari opportunità, anche mediante la partecipazione a diversi organismi di rilevanza nazionale che si interessano di politiche attive del lavoro, di formazione e di conciliazione;
   oltre al livello nazionale, la legge prevede che la consigliera di parità sia istituita nel ruolo di effettiva e supplente, anche a livello regionale e provinciale. La nomina delle consigliere e dei consiglieri di parità regionali e provinciali avviene con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per le pari opportunità, su designazione degli organi a tal fine individuati dalle regioni e dalle province;
   come noto la legge 7 aprile 2014, n. 56, recante disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni, ha cambiato l'assetto delle province –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno fare chiarezza, eventualmente anche con apposite iniziative normative, in merito alle ricadute che provocherà la riforma attuata dalla legge n. 56 del 2014 sulle nomine e sugli incarichi delle consigliere provinciali di parità. (4-05316)


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante evidenzia come, nonostante le dichiarazioni esorbitanti del Presidente del Consiglio dei ministri Renzi, relativamente alle disposizioni contenute all'interno del decreto-legge n. 34 del 2014, convertito dalla legge n. 78 del 2014, giudicate indispensabili per risolvere la difficile situazione occupazionale che riguarda lo stabilimento dell'Electrolux di Porcia (Pordenone), attualmente nessuna delle misure previste dal medesimo decreto è stata effettivamente resa operativa;
   l'interrogante rileva, infatti, che nonostante siano trascorsi oltre 40 giorni dalla conversione del cosiddetto «decreto-lavoro», gli impegni sulla decontribuzione dei contratti di solidarietà previsti per attenuare le intenzioni aziendali di ridimensionare l'intero assetto produttivo e occupazionale fino alla chiusura definitiva dell'impianto industriale, non sono stati rispettati;
   il decreto attuativo che rende esecutiva la norma sulla decontribuzione del 35 per cento dei contratti di solidarietà, attraverso lo stanziamento di 15 milioni di euro, misura-chiave molto apprezzata durante la trattativa sia dai vertici della multinazionale svedese, che dal Governo ed in particolare dai Ministri interrogati, tanto che la procedura adottata è stata definita addirittura come «metodo-Electrolux» da utilizzare per i futuri piani industriali nazionali, oltre a configurare prevedibili difficoltà di natura finanziaria tali da non consentire di rispettare i tempi previsti per l'emanazione, sta determinando apprensione e delusione da parte dei lavoratori interessati e dei sindacati, in considerazione del fatto che il Governo si era reso garante dell'accordo concluso alla presenza del Ministro dello sviluppo economico;
   ulteriori elementi di criticità, che emergono dal ritardo inerente alla mancata attuazione del suindicato decreto, si rinvengono, a giudizio dell'interrogante, anche nelle dichiarazioni del Governo, relativamente all'intesa tra le parti, che si sarebbe dovuta raggiungere non oltre la metà di maggio;
   i condivisibili timori da parte dei lavoratori dell'Electrolux e dei sindacati discendono, inoltre, sia dal rischio che l'estensione del beneficio previsto per la durata del piano, ovvero fino al 2017, possa subire alterazioni nella versione definitiva del decreto attuativo, che dalla progressiva riduzione dell'attenzione mediatica sulla vertenza Electrolux, nei lunghi sette mesi di precedente confronto;
   l'intesa, sottoscritta a parere dell'interrogante con esagerata ostentazione da parte del Governo, statuisce fino alla scadenza del 31 dicembre 2017 e prevede, fra l'altro, che tutti e quattro i siti produttivi italiani rimangano operativi e che i livelli occupazionali restino inoltre inalterati;
   l'accordo inoltre stabilisce che le agevolazioni statali seguano senza interruzioni il percorso di riorganizzazione e di rilancio fissato in quattro anni, ma, stante la situazione in precedenza evidenziata, serpeggia la preoccupazione di un testo definitivo di attuazione che sancisca una durata inferiore –:
   quali orientamenti intendano esprimere, nell'ambito delle rispettive competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   quali siano le motivazioni della mancata adozione del decreto attuativo, in precedenza citato, necessario per rendere pienamente operativa la decontribuzione del 35 per cento dei contratti di solidarietà, posto che l'indispensabile strumento previsto all'interno del piano industriale approvato dal Governo e dalle parti interessate dalla crisi aziendale dell'Electrolux, pur essendo stato definito un esempio virtuoso della capacità del Governo di intervenire per risolvere i casi aziendali più spinosi, stenta a diventare realmente operativo;
   quali iniziative urgenti e necessarie, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano infine intraprendere al fine di adottare il provvedimento in precedenza indicato, che interessa circa 5 mila lavoratori dell'Electrolux senza il quale la delocalizzazione degli impianti produttivi verso la Polonia si manifesterà con ogni probabilità. (4-05320)


   RIZZO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   i lavoratori italiani delle basi militari USA nel territorio nazionale operano per il settore difesa del Governo italiano in virtù di accordi bilaterali Italia-USA (ancora in parte secretati) chiamati SOFA Agreement (o SHELL Agreement) e sono assunti direttamente dalle Forze armate USA. A differenza di altri Paesi europei come la Spagna, Grecia e Germania, dove i lavoratori locali sono assunti dal Governo di quel Paese e prestati all'amministrazione USA, qui in Italia ogni installazione militare USA opera con una propria figura giuridica. Dunque, sarebbe più corretto affermare che questi nostri lavoratori sono dipendenti delle installazioni per cui lavorano e non delle Forze armate statunitensi in quanto tali;
   questi lavoratori che svolgono una funzione pubblica a contratto privato (con tanto di CCNL dedicato) si trovano a lavorare in un contesto che appare in contrasto con i diritti stabiliti l'articolo 18 della Statuto dei lavoratori (legge n. 300,1970). A titolo meramente esemplificativo si riportano alcune condizioni anomale: il loro datore di lavoro non è pignorabile, non godono degli sgravi sui premi produzione e non hanno la libertà di scegliere il sindacato al quale affiliarsi;
   questi lavoratori (circa 5000) operano per un ente che viene rappresentato nelle tematiche contrattuali da una commissione americana denominata JCPC avente come controparte solo due sigle sindacali (leggasi l'art, 2 del testo «normative per il personale civile non statunitense delle Forze armate U.S.A. in Italia del 1o novembre 2013).
   tali problematiche erano già state evidenziate in uno studio dell'istituto degli affari internazionali (IAI) (Le Basi Americane in Italia — Problemi Aperti; n. 70, giugno 2007); nella relazione si evidenzia: «...occorrerebbe una disamina delle fattispecie disciplinate, specialmente in relazione al reparto della giurisdizione penale sulle forze armate dei Paesi NATO presenti in Italia, alla esenzione dalla giurisdizione civile e alla disciplina dei rapporti di lavoro instaurati con la manodopera locale..»;
   si evidenzia come venga secondo l'interrogante sostanzialmente meno la libertà di associazione sindacale dei lavoratori e la mancata applicazione della legge n. 98 del 1971 in materia di «tutela del personale dipendente da organismi militari operanti sul territorio nazionale nell'ambito della comunità atlantica». Una norma, quest'ultima, che garantirebbe la ricollocazione in servizio in amministrazioni pubbliche italiane, in caso di ristrutturazioni degli organismi militari –:
   se il Governo non intenda rivedere gli accordi bilaterali e riconoscere la funzione di difesa nazionale (quindi pubblica) svolta dai (quasi) 5000 lavoratori italiani delle basi USA;
   quali iniziative siano state assunte dal Governo italiano nei confronti delle autorità militari delle basi Usa in Italia affinché siano rispettati i diritti sindacali dei lavoratori italiani lì impiegati e solennemente sanciti dalla Costituzione italiana e dalla legge n. 300 del 1970 (statuto dei lavoratori). (4-05335)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il settore florovivaistico è composto da aziende tra loro anche molto diverse, esiste, infatti, una profonda differenza fra le aziende contraddistinte dal prevalere di una struttura commerciale, dove le piante vengono invasate e rimangono nel vivaio solo il tempo necessario per una corretta radicazione (da sei a dodici mesi) e quelle con caratteristiche più tradizionali;
   queste ultime, specializzate nella produzione in pieno campo di specie vegetali ornamentali, producono piante a partire dal vasetto o addirittura dal seme fino alla pianta adulta, questo comporta un tempo di permanenza in vivaio molto lungo e fatturati ridotti rispetto ad aziende a vocazione più commerciale strutturate per una produzione basata prevalentemente su piante in vaso;
   alcune varietà rimangono in vivaio anche dieci anni prima di arrivare alla vendita, nel frattempo l'azienda affronta e sostiene tutta una serie di avversità (meteorologiche, climatiche, infestazioni parassitarie, eccetera);
   l'organizzazione produttiva di queste aziende necessita, quindi, di un bagaglio professionale e culturale relativo a tutte le fasi di sviluppo delle piantine, una profonda passione per il verde e le specie dendrologiche, per le quali è necessario un continuo aggiornamento delle varietà vegetali in vivaio;
   un'ulteriore differenza qualificante delle aziende specializzate nella produzione in pieno campo rispetto a quelle che hanno una struttura produttiva organizzata a vasetteria è il minore impatto ambientale, in quanto l'impegno nella difesa del suolo e del territorio sul quale coltivano le piante è, per esse, vitale;
   con l'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito, con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011 n. 214, il Governo ha anticipato al 2012 l'applicazione dell'imposta municipale propria (IMU), istituita e disciplinata dal decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, in materia di federalismo municipale, aumentando i moltiplicatori da applicare alle rendite catastali che hanno prodotto una pesante impennata della tassazione sui fabbricati e sui terreni agricoli;
   a parziale rimedio di tale situazione, il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102 convertito con modificazioni dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124 e il decreto-legge 30 novembre 2013, n. 133 convertito con modificazioni dalla legge 29 gennaio 2014, n. 5, hanno abolito per l'anno 2013, rispettivamente la prima e la seconda rata dell'IMU sui terreni agricoli e sui fabbricati rurali ad uso strumentale;
   per l'anno 2014 l'assetto dell'IMU è, ancora una volta mutato a seguito della disciplina recata dall'articolo 1 commi 639 e seguenti della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014) che ha istituito l'Imposta unica comunale (IUC), suddivisa tra IMU applicabile al possesso di immobili le abitazioni principali e due componenti collegate alla fruizione di servizi comunali la TASI (tributo per i servizi indivisibili) e la TARI (tassa sui rifiuti);
   la nuova disciplina esclude dal pagamento dell'IMU i fabbricati rurali strumentali mentre include i terreni agricoli, compresi quelli coltivati e quelli di proprietà di coltivatori diretti e agricoltori professionali iscritti nella previdenza agricola;
   l'IMU si calcola applicando al reddito dominicale risultante in catasto, rivalutato del 25 per cento, un moltiplicatore ridotto da 110 a 75, mentre il fattore di moltiplicazione per i terreni agricoli affittati è fissato a 135;
   in agricoltura le aziende sono in gran parte a conduzione familiare, spesso il proprietario del terreno è un genitore o il coniuge del titolare dell'azienda, a cui viene concesso in affitto il terreno, si configura quindi la condizione per cui famiglie, che da sempre hanno coltivato un appezzamento di terreno, sono gravate di un'imposizione maggiorata;
   alle imposte fin qui elencate si aggiungono i canoni per il consorzio di bonifica, la TIRE (ancora da quantificare), l'IRAP, l'IRPEF e tutta una serie di altri balzelli e imposte aggiuntive che dipingono un quadro non più sostenibile per il futuro dalle aziende agricole;
   la fiscalità dovrebbe essere uno strumento per indirizzare, valorizzare e conservare l'ambiente naturale, attività in cui le aziende agricole vivaistiche tradizionali sono specializzate, la tassazione del terreno coltivato, che rappresenta la loro reale fonte di reddito penalizza proprio queste aziende ed avvantaggia quelle più commerciali, come se, per fare un paragone con l'industria, si tassassero i macchinari che producono i manufatti industriali;
   la nuova IMU colpisce in modo indiscriminato tutte le tipologie aziendali senza distinzione, ignorando parametri come il fatturato, la produzione lorda vendibile (PLV) e costringendo molte aziende alla scomparsa;
   è necessaria una politica agricola che sappia distinguere le aziende vivaistiche da altre tipologie d'impresa e che riveda il regime fiscale sopra descritto, favorendo l'impiego delle risorse nel miglioramento delle aziende con lo scopo di implementarne la redditività, i livelli occupazionali, la predisposizione alla cura del territorio e dell'ambiente su cui tali aziende insistono –:
   se intendano rivedere i caratteri distintivi della nuova IMU, alleggerendo la pressione fiscale sulle aziende agricole di cui in premessa prevedendo, in particolare, che i terreni agricoli coltivati siano considerati beni strumentali non assoggettabili all'IMU, come già accade per i fabbricati rurali strumentali. (5-03113)


   MONGIELLO, CAPONE, MARIANO, GINEFRA, CASSANO e BRAY. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   le eccezionali avversità meteoriche che in questi giorni hanno colpito l'Italia sono state particolarmente violente nella regione Puglia dove gli eventi climatici hanno assunto il carattere di grande calamità;
   le criticità provocate dalle ondate di maltempo si sono manifestate soprattutto nel settore agricolo dove i danni arrecati alle produzioni agrarie, sia in atto e sia in fase di raccolto, appaiono essere ingentissime;
   come anche denunciato dalle principali organizzazioni professionali agricole pugliesi, l'eccezionale ondata di maltempo che ha devastato le campagne della Puglia ha colpito prima la provincia di Bari con grandinate e forti raffiche di vento tra Acquaviva, Sammichele e Casamassima con ulivi e vigneti da vino in fiore che sono stati piegati sotto il peso di grandine, vento, piogge incessanti;
   successivamente è stata l'intera provincia di Lecce ad essere duramente piegata sotto una «bomba d'acqua» mista a grandine: in particolare, nei comuni di Guagnano, Salice Salentino, Campi Salentina, Carmiano e Arnesano — ma in generale in tutti i comuni leccesi — si registrano danni molto gravi con distruzione fino al 100 per cento dei grappoli di uva da vino nei vigneti in piena produzione, ma ad essere colpiti sono stati anche gli uliveti e le coltivazioni ortofrutticole;
   nella provincia di Foggia sono stati compromessi i raccolti del grano duro. Nella Capitanata, in particolare, i campi sono stati allettati dalla forza dei nubifragi e centinaia di ettari di grano sono stati inondati dal fango. Dove il raccolto è stato risparmiato dalla violenza dell'acqua, i problemi potrebbero verificarsi al momento della commercializzazione del grano, il quale potrebbe aver subito gravi perdite qualitative nel contenuto proteico;
   il comparto agricolo pugliese rischia di subire un danno letale e gli agricoltori rischiano di vedersi compromesso il reddito della presente campagna agraria;
   sarebbe auspicabile un immediato intervento dei Governo per venire incontro alle necessità del comparto agricolo della Puglia e sostenere la regione affinché attivi immediatamente le procedure per richiedere il riconoscimento dello stato di calamità ed in tal senso, per quanto riguarda il settore dell'agricoltura, ai sensi del decreto legislativo n. 102 del 2004, deliberi la proposta di declaratoria della eccezionalità degli eventi calamitosi e tenendo conto delle circostanze in oggetto, individui le provvidenze da concedere e la relativa richiesta di spesa –:
   quali iniziative urgenti di competenza intenda adottare per fare fronte all'emergenza provocata al comparto agricolo della regione Puglia dalle avversità meteoriche che sono in atto in questa regione;
   se non intenda ad ogni modo assumere ogni iniziativa di competenza affinché sia dichiarata l'esistenza del carattere di eccezionalità delle calamità naturali che hanno flagellato le campagne delle province della regione Puglia, con particolare riferimento a quelle riportate in premessa, individuando provvidenze adeguate per risarcire i danni subiti dalle imprese e per permettere la ripresa delle aziende danneggiate. (5-03118)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRILLO, MANTERO, BENEDETTI, COLONNESE, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, DALL'OSSO, DI VITA e CECCONI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da anni il comparto della pesca sembra sia strumentalizzato per attirare finanziamenti poi utilizzati per altri scopi;
   di nove progetti finanziati dall'Unione europea, per 2,8 milioni di euro, avrebbero beneficiato imprenditori, manager, funzionari, professionisti, rappresentanti di enti pubblici, tranne che i veri destinatari per i quali Bruxelles aveva destinato i fondi, ovvero i pescatori della zona;
   quanto emerge da un'inchiesta della procura di Catania che ha indagato su 36 persone coinvolte a vario titolo un ruolo nella distrazione di fondi comunitari per un ammontare di circa quasi 4 milioni di euro;
   infatti, nelle ultime notizie di cronaca locale siciliana si parla di «progettopoli siciliana, ideata per andare a caccia di finanziamenti europei» come lo ha definito il presidente dell'Associazione pescatori marittimi professionali (Apmp), Fabio Micalizzi;
   tale cifra, potrebbe salire fino a sfiorare i 50 milioni di euro, secondo lo stesso presidente, se tutte le denunce depositate dall'associazione avranno un seguito, senza contare che, sempre da quanto riportato dall'articolo, sembrerebbero essere coinvolti politici di tutti i livelli, compresi personaggi che godono dell'immunità parlamentare e che la maggior parte di quei fondi siano stati usati per pagare gli amici dei politici e per finanziare le campagne elettorali;
   in particolare, sembra vi siano stati una serie di eventi, tra cui un convegno di quattro giorni per il quale furono spesi circa 75mila euro, rivelatosi un flop, opuscoli informativi sui marchi di qualità del pescato per una spesa di 500 mila euro, dei quali nessuno ha mai visto una sola copia pubblicata, oppure le Fiere del Mediterraneo, ognuna organizzata con un costo superiore al milione di euro;
   un altro settore che rischia di essere travolto da uno scandalo è quello della gestione delle cosiddette quote tonno, settore per il quale esistono delle vere e proprie lobby, con conseguenze disastrose per tutti gli altri pescatori. Infatti, sempre più spesso si sentono voci circa l'acquisto delle quote, azioni che non sarebbero consentite dalla legge –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto in premessa, e se intenda assumere adeguate opportune iniziative, per quanto di competenza, per aumentare i controlli ed evitare che fondi destinati ai cittadini, e allo sviluppo del territorio, vadano perduti e gestiti dai truffatori. (4-05317)


   LAVAGNO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   i sindacati Fp Cgil Corpo Forestale, Fns Cisl e Uilpa Cfs fanno sapere che l'Amministrazione del Corpo forestale dello Stato preferisce accordarsi con le sigle sindacali Sapaf e Ugl sulla proposta di distribuzione delle somme previste dal FESI 2014 per il CFS (circa 9.000.000 di euro) in base alla sola appartenenza ad un determinato settore senza prevedere alcuna differenza tra chi è presente ed effettivamente presta l'attività lavorativa e chi invece non garantisce continuità al servizio;
   il premio di produzione per le Forze armate non sarà distribuito in base a criteri di merito, ma in maniera eguale tra tutti gli appartenenti al Corpo forestale in base ad un accordo stipulato solo con alcuni sindacati, lasciando fuori dalla contrattazione gli altri;
   così facendo, il premio di produzione verrà distribuito anche agli assenti dal servizio, che si vedrebbero accreditati, le stesse somme di chi va a lavorare, le risorse economiche del fondo efficienza servizi istituzionali (FESI) del Corpo forestale dello Stato per l'anno 2014, previsto invece per incentivare la funzionalità del servizio e il raggiungimento di qualificati obiettivi e promuovere reali e significativi miglioramenti dell'efficienza dei servizi istituzionali –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto esposto in premessa, se e come intenda intervenire per assicurare che il fondo Fesi venga distribuito secondo criteri legati alla produttività e alla meritocrazia, senza svilirne il contenuto.
(4-05319)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   la Corte dei conti, alla fine del 2013 nella sua relazione ha registrato i disavanzi dell'Istituto superiore di sanità negli anni 2011, circa 26 milioni di euro, e 2012, circa 4 milioni di euro;
   la Corte dei conti certificando due anni consecutivi di bilanci in rosso, come prescritto dalla legge 111 del 2011, ha segnalato la possibilità di procedere alla decadenza di tutti gli organi direttivi dell'Istituto superiore di sanità, suggerendo al contempo di fare «scelte gestionali di contenimento dei costi e di sviluppo dell'attività convenzionale, che consentano all'istituto di far fronte anche a eventuali ulteriori limitazioni dei finanziamenti pubblici, dai quali, allo stato, resta ancora quasi totalmente dipendente»;
   la gestione contestata riguarda il periodo durante il quale Presidente era Enrico Garaci e alla direzione era Monica Bettoni;
   la Corte dei conti nella sua relazione ha invitato l'Istituto superiore di sanità, a fare particolare attenzione ai saldi negativi sia di parte corrente che in conto capitale e a ridurre la mole dei residui, in particolare passivi, seppure in decremento di circa il 16 per cento nel 2012, residui passivi, che denotano in ogni caso una difficoltà nella capacità di spesa;
   il ministro della salute Beatrice Lorenzin ha avviato le procedure per il commissariamento dell'Istituto superiore di sanità, che è il principale organismo di consulenza tecnico scientifica del ministero della salute dichiarando il commissariamento «una misura che dovevamo assumere, un atto dovuto in base al decreto legge 6 luglio 2011, n. 98 “(...)” che permetterà di riorganizzare l'istituto all'interno della riforma degli enti e degli istituti che stiamo predisponendo»;
   la decisione finale sarà presa in Consiglio dei ministri assieme al Ministro dell'economia e delle finanze, gli organi che potrebbero decadere a seguito dell'eventuale commissariamento sono il Presidente Fabrizio Oleari, il Consiglio di amministrazione e il comitato scientifico, mentre il direttore generale, Angelo Del Favero, insediato dal 19 marzo scorso resterebbe in carica, così come il collegio sindacale;
   è da segnalare che con la presidenza del dottor Fabrizio Oleari, insediatosi dal marzo 2013, sembrerebbe si stia producendo una ulteriore riduzione del disavanzo se non addirittura il pareggio di bilancio;
   i sindacati interni hanno espresso la loro preoccupazione; il 19 giugno 2014 si è già svolto uno sciopero e una manifestazione per la situazione dei numerosi precari che caratterizza da anni l'organico: dai ricercatori, ai tecnici fino ad arrivare al personale amministrativo;
   da molti mesi nell'Istituto superiore di sanità era cresciuta la preoccupazione per il bilancio della struttura tanto da rendere difficile assicurare il rinnovo dei contratti per gli esperti nei progetti di ricerca;
   a detta degli interroganti appare sconcertante che per un disavanzo di 4 milioni di euro che, oltretutto, sembrerebbe in via di risanamento si proceda al commissariamento dell'Istituto superiore di sanità, tenuto conto che nell'ambito della sanità insistono disavanzi ben maggiori, nei confronti dei quali non si è mostrata analoga sollecitudine da parte del Ministro della salute;
   la decisione in merito al Commissariamento non può essere presa, tenuto conto della relazione della Corte dei conti, senza prendere atto del risanamento in corso che potrebbe avere come risultato il raggiungimento del pareggio di bilancio nel corso del corrente anno;
   la decisione di avviare la procedura di commissariamento di un istituto, a detta degli interroganti, in realtà appare essere un espediente per dare il via, si ad una riorganizzazione, ma basata su tagli indiscriminati che oltre al licenziamento di centinaia di lavoratori, produrrebbe il forte ridimensionamento delle qualità professionali presenti nell'istituto superiore di sanità, decisione presa oltretutto senza affrontare il nodo delle centinaia di lavoratori precari impiegati nell'Istituto –:
   se non ritenga necessario sospendere la procedura di commissariamento dell'Istituto superiore di sanità ovvero in ogni caso di non procedere al commissariamento del citato Istituto tenuto conto dei risultati del lavoro svolto nei confronti del disavanzo che potrebbe portare all'azzeramento del disavanzo già dal corrente anno, chiarendo le motivazioni alla base di un commissariamento che appare agli interpellanti del tutto immotivato.
(2-00603) «Grillo, Silvia Giordano, Di Vita, Cecconi, Lorefice, Dall'Osso, Baroni, Mantero, Luigi Gallo, Brescia, Marzana, D'Uva, Di Benedetto, Vacca, Simone Valente, Battelli, Busto, De Rosa, Terzoni, Daga, Mannino, Segoni, Zolezzi, Micillo, Castelli, Sorial, Caso, Brugnerotto, Cariello, Currò, D'Incà».

Interpellanza:


   La sottoscritta chiede di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   nel corso del 2013, la Commissione per la vigilanza ed il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive ha proseguito nel suo impegno finalizzato alla lotta ed alla prevenzione della diffusione del fenomeno doping nella popolazione giovanile e nei settori sportivi amatoriali, promuovendo iniziative in tema di ricerca e formazione superiore, al fine di incrementare le conoscenze sul fenomeno, quale base per lo sviluppo di nuove e mirate strategie di intervento a tutela della salute degli sportivi;
   in attuazione dell'articolo 2, comma 3, della legge 376 del 2000, la Commissione ha provveduto ad aggiornare la lista dei farmaci e delle sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e delle pratiche mediche il cui impiego è considerato doping, adeguandola anche alla lista internazionale di riferimento, formulando la relativa proposta recepita con decreto 17 aprile 2013;
   il decreto ha dato attuazione al previsto adeguamento alla lista internazionale, emanata annualmente dall'Agenzia mondiale antidoping (WADA-AMA), ai sensi della legge 26 novembre 2007, n. 230, recante «Ratifica ed esecuzione della Convenzione internazionale contro il doping nello sport, adottata a Parigi nella XXXIII Conferenza generale UNESCO il 19 ottobre 2005»;
   le principali novità introdotte riguardano: a) precisazione delle definizioni di «agente anabolizzante esogeno» e di «agente anabolizzante endogeno»; b) proibizione di fattori di rilascio. In relazione all'aggiornamento della lista delle sostanze vietate per doping con il citato decreto, si è provveduto ad acquisire i dati da parte delle farmacie che allestiscono le preparazioni estemporanee, ai sensi di quanto previsto dal decreto ministeriale 24 ottobre 2006, recante «Modalità di trasmissione, da parte dei farmacisti, dei dati relativi alle quantità di principi attivi, appartenenti alle classi indicate nella lista dei farmaci e delle sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e delle pratiche mediche, il cui impiego è considerato doping, ai sensi dell'articolo 2 della legge 14 dicembre 2000, n. 376, utilizzati nelle preparazioni estemporanee» e successive modifiche;
   dall'analisi dei dati relativi alle preparazioni galeniche dichiarate dai farmacisti nel 2013, risulta un aumento delle preparazioni allestite in farmacia e comunicate al Ministero della salute. Si conferma, inoltre, come anche nel corso del 2013 le sostanze maggiormente prescritte siano quelle appartenenti alla classe dei diuretici ed agenti mascheranti (S5), a quella degli agenti anabolizzanti (S1) ed alla classe degli stimolanti (S6). Queste classi di principi attivi rappresentano da sole circa il 75 per cento del totale delle dichiarazioni rilasciate dai farmacisti. Tra questi principi attivi, i più utilizzati nel periodo 2007-2013 sono stati il deidroepiandrosterone ed il testosterone (agenti anabolizzanti);
   le regioni con il maggior numero di prescrizioni risultano essere il Lazio, la Lombardia e la Toscana;
   nel corso del 2013 l'attività di controllo antidoping della Commissione ha interessato sia le manifestazioni organizzate dalle federazioni sportive nazionali (FSN) e dalle discipline sportive associate (DSA), che dagli enti di promozione sportiva (EPS). Nel corso di questi eventi sono stati sottoposti a controllo antidoping 1390 atleti, di cui 916 maschi (65,9 per cento) e 474 femmine (34,1 per cento). Nel 53,5 per cento dei casi l'attività di controllo si è svolta in manifestazioni sportive che hanno avuto luogo nel Nord Italia, nel 26,3 per cento dei casi in eventi sportivi che si sono svolti nel Centro Italia, mentre nell'20,2 per cento dei casi in manifestazioni che hanno avuto luogo nell'Italia meridionale ed insulare;
   la maggior parte degli eventi sportivi controllati nel 2013 (163, il 56,4 per cento del totale) hanno riguardato gare riservate ai soli uomini. Soltanto 67 eventi sportivi (il 23,2 per cento erano riservati alle donne e 59 (il 20,4 per cento) erano gare aperte ad atleti di entrambi i sessi;
   le discipline sportive maggiormente testate sono state il ciclismo e il calcio;
   tra gli sport maggiormente controllati (numero di atleti sottoposti a test antidoping >100), le percentuali di positività più elevate sono state riscontrate in atleti praticanti il ciclismo (6,5 per cento di atleti positivi su un totale di 323 soggetti esaminati) e la pallamano (3 per cento di atleti positivi su 100 soggetti esaminati);
   il 74,4 per cento degli atleti risultati positivi aveva assunto una sola sostanza, mentre il restante 25,6 per cento risultava aver assunto due o più principi attivi vietati per doping;
   nel 2013, la percentuale più elevata di principi attivi rilevati in occasione controlli antidoping appartiene alla classe degli agenti anabolizzanti (35 per cento delle frequenze registrate) seguiti dagli ormoni e sostanze correlate (18,3 per cento) e dai cannabinoidi (16,7 per cento); 
   è interessante notare che alcune sostanze vietate per doping presenti nella lista sono anche inserite nelle tabelle delle sostanze stupefacenti o psicotrope secondo il decreto del Presidente della Repubblica 309 del 1990. I controlli antidoping forniscono anche un utile contributo informativo sull'epidemiologia del fenomeno delle tossicodipendenze;
   la Commissione, attraverso il sistema informativo reporting system doping antidoping, realizzato in collaborazione con l'Istituto superiore di sanità, ha svolto anche per il 2013 una elaborazione dei dati sull'uso dei farmaci consentiti, in base alle dichiarazioni rese dagli atleti sottoposti ai controlli antidoping. I dati riferiti hanno confermato la tendenza dei praticanti l'attività sportiva ad assumere grandi quantità di farmaci non vietati per doping e di prodotti salutistici. Infatti, il 69,4 per cento degli atleti sottoposti a controllo ha dichiarato di aver assunto prodotti farmaceutici (compresi prodotti omeopatici) e prodotti cosiddetti salutistici (vitamine, sali minerali, aminoacidi, integratori). Fra i primi, si conferma che la categoria di farmaci più usati e dichiarati sono i farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) con una percentuale del 40,9 per cento dei casi. Fra i secondi, i prodotti maggiormente utilizzati sono gli integratori (62,3 per cento dei casi) ed i sali minerali (13,6 per cento dei casi) –:
   quali iniziative si intendano assumere presso i medici sportivi, i medici di famiglia, gli allenatori e i diversi tecnici sportivi, per una più appropriata formazione sportiva che consenta di ridurre l'uso di sostanze che, pur non rientrando direttamente tra quelle considerate dopanti, rivelano comunque una cultura doping-affine;
   quali iniziative si intendano assumere presso i giovani, ragazzi e ragazze, perché il crescente diffondersi delle manifestazioni di carattere amatoriale e dilettantistico, rivolte soprattutto a loro, genera contestualmente false credenze sullo sviluppo delle capacità psico-fisiche e diffonde una cultura pseudoscientifica pericolosa proprio ai fini di un corretto sviluppo della loro personalità, oltre che dell'assetto globale dei giovani.
(2-00601) «Binetti».

Interrogazioni a risposta immediata:


   NICCHI, FRATOIANNI, PALAZZOTTO, COSTANTINO, DURANTI, PANNARALE, PELLEGRINO e RICCIATTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Corte costituzionale, con sentenza del 9 aprile 2014, n. 162, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della legge n. 40 del 2004 in materia di «procreazione medicalmente assistita», relativamente alla parte della medesima legge nella quale si vieta di ricorrere alla donazione di gameti (ovociti o spermatozoi) esterni alla coppia per concepire un figlio;
   con detta sentenza, della legge n. 40 del 2004 rimane sempre meno, dal momento che i progressivi interventi hanno in parte smontato l'impianto della legge e dichiarato illegittimi i punti più «ideologici»;
   a seguito della sentenza, sia i centri pubblici che quelli privati possono eseguire tecniche di fecondazione con donazione di ovociti e spermatozoi esterni alla coppia. Diventa, quindi, lecita sia l'ovodonazione che la donazione di seme;
   attualmente si stimano in 9 mila le coppie infertili disponibili ad avere un figlio con la fecondazione eterologa;
   la legislazione italiana dà, quindi, una possibilità per tutte quelle coppie che ora non saranno più discriminate e potranno ricevere tutte le cure e l'assistenza, senza doversi affidare, come spesso è avvenuto finora, a costosi «viaggi della speranza» all'estero;
   subito dopo la sentenza della Corte costituzionale, il Ministro interrogato dichiarava: «L'introduzione della fecondazione eterologa nel nostro ordinamento è un evento complesso che difficilmente potrà essere attuato solo mediante decreti». E ancora: «Ci sono alcuni aspetti estremamente delicati che non coinvolgono solamente la procedura medica ma anche problematiche più ampie, come, ad esempio, l'anonimato o meno di chi cede i propri gameti alla coppia e il diritto a conoscere le proprie origini e la rete parentale più prossima (fratelli e sorelle) da parte dei nati con queste procedure. Sono questioni che non si può pensare di regolare con un atto di tipo amministrativo, ma necessitano una condivisione più ampia, di tipo parlamentare»;
   è, quindi, indispensabile che il Governo si attivi per l'aggiornamento delle linee guida e per l'immediata operatività della sentenza, così da consentire alle tante coppie in attesa di poter realizzare un legittimo diritto;
   la Corte costituzionale ha ribadito più volte, nella suddetta sentenza n. 162 del 2014, l'assenza di un vuoto normativo determinato dalla cancellazione del divieto di fecondazione eterologa e che le norme per regolamentare la donazione dei gameti sussistono sia nella legge n. 40 del 2004 che nella disciplina su tessuti e cellule già in vigore;
   il nostro Paese è, quindi, ora nella condizione di poter rendere pienamente operativa anche questa pratica medica e i centri potranno, di fatto, predisporre tutte le iniziative necessarie per applicare le tecniche eterologhe con donatore esterno in attesa del recepimento dell'allegato III della direttiva n. 17 del 2006 riguardante la donazione di cellule riproduttive da soggetto diverso dal partner;
   molte regioni comunque, in attesa delle decisioni del Ministero della salute, si stanno attivando per capire come regolare la materia e dare disposizioni ai centri pubblici –:
   se non ritenga urgente provvedere, anche in conseguenza della sentenza della Corte costituzionale 9 aprile 2014, n. 162, all'aggiornamento delle linee guida di cui al decreto del Ministero della salute dell'11 aprile 2008 secondo le indicazioni della medesima sentenza n. 162 del 2014. (3-00911)


   LENZI, POLLASTRINI, ROBERTA AGOSTINI, ALBINI, AMATO, ARGENTIN, BENI, BIFFONI, PAOLA BRAGANTINI, BURTONE, CAPONE, CARNEVALI, CASATI, D'INCECCO, FOSSATI, GELLI, GRASSI, MARZANO, MIOTTO, MURER, PATRIARCA, PICCIONE, SBROLLINI, SCUVERA, MARTELLA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro della salute.— Per sapere – premesso che:
   la Corte costituzionale chiarisce, nella sentenza n. 162 depositata martedì 10 giugno 2014, le ragioni che l'hanno portata nel mese di aprile 2014 a dichiarare incostituzionale il divieto italiano di avere figli effettuando la fecondazione utilizzando ovuli o spermatozoi di una persona esterna alla coppia;
   il divieto di fecondazione eterologa contenuto nella legge n. 40 del 2004 è discriminante e illegittimo e il potere della Corte costituzionale «di dichiarare l'illegittimità costituzionale delle leggi non può trovare ostacolo nella carenza legislativa che, in ordine a dati rapporti, possa derivarne». Del resto, «nella specie sono identificabili più norme che già disciplinano molti dei profili di più pregnante rilievo, anche perché il legislatore, avendo consapevolezza della legittimità della procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo in molti Paesi d'Europa, li ha opportunamente regolamentati, dato che i cittadini italiani potevano (e possono) recarsi in questi ultimi per fare ad essa ricorso, come in effetti è accaduto in un non irrilevante numero di casi»;
   le ragioni che hanno spinto la Corte costituzionale a schierarsi dalla parte dell'eterologa risiedono nel fatto che la formazione di una famiglia, che include la scelta di avere figli, costituisce un diritto fondamentale della coppia, rispondente ad un interesse pubblico riconosciuto e tutelato dalla Costituzione. Del resto, si ricorda nella sentenza, obiettivo della legge n. 40 del 2004 è favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dall'infertilità della coppia e, quindi, il divieto stabilito dall'articolo 4, comma 3, della legge sarebbe discriminatorio ed irragionevole, in quanto tratterebbe in modo opposto coppie con limiti di procreazione, risultando differenziate solo in virtù del tipo di patologia che affligge l'uno o l'altro dei componenti della coppia;
   sarebbe, inoltre, violato l'articolo 32 della Costituzione perché il divieto in esame lederebbe l'integrità «psichica e fisica» delle coppie con più gravi problemi di sterilità o infertilità e, ricorda la Corte costituzionale, il benessere psichico, al pari di quello fisico, rientra nella nozione di «salute» sancita dall'Organizzazione mondiale della sanità;
   tuttavia, precisa la Corte costituzionale, «l'accoglimento delle questioni, in coerenza con il petitum formulato dai rimettenti, comporta l'illegittimità del divieto in esame, esclusivamente in riferimento al caso in cui sia stata accertata l'esistenza di una patologia che sia causa irreversibile di sterilità o infertilità assolute»;
   in relazione al numero delle donazioni, poi, la Corte costituzionale sollecita «un aggiornamento delle linee guida, eventualmente anche alla luce delle discipline stabilite in altri Paesi europei (quali, ad esempio, la Francia e il Regno Unito), ma tenendo conto dell'esigenza di consentirle entro un limite ragionevolmente ridotto» –:
   alla luce delle motivazioni sopra esposte, quali misure urgenti il Ministro interrogato intenda assumere affinché il diritto alla fecondazione di tipo eterologo, riconosciuto legittimo dalla Corte costituzionale, possa essere concretamente esercitato dalle coppie che ne facciano richiesta. (3-00912)


   RONDINI, GIANCARLO GIORGETTI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e SIMONETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende come dieci poliziotti siano risultati positivi alla tubercolosi, di cui uno ha contratto l'infezione;
   le cronache riportano che gli stessi erano equipaggiati con mascherine senza filtri di carbonio, inadatte a proteggere l'operatore se ci si trova davanti ad un immigrato con la tubercolosi tra i 60 mila, il numero di quelli salvati dai barconi della speranza, nei primi 6 mesi dell'anno, 10 volte di più rispetto allo stesso periodo nel 2013;
   inoltre, da settimane con l'accrescere degli arrivi di immigrati nei centri di accoglienza del Paese si susseguono gli allarmi sanitari in seguito alla scoperte di ulteriori diverse patologie infettive cui sono portatori;
   gli allarmi più pressanti riguardano casi di scabbia;
   inoltre, come noto, nelle zone di provenienza dei nuovi immigrati vi è una presenza elevata dei ceppi del bacillo della tubercolosi multiresistente alla terapia antibiotica, oltre che di casi di infezione di hiv e di altre temibili malattie infettive;
   lo stesso sindaco di Roma Marino ha scritto al Ministro Angelino Alfano e al Ministro interrogato, esprimendo la sua preoccupazione per le condizioni «igienico-sanitarie» e per la mancanza di controlli e assistenza agli immigrati che stanno giungendo in Italia e nella capitale;
   secondo quanto riferito dal Ministro dell'interno e dal Ministro interrogato, buona parte degli immigrati sbarcati sono sottoposti a visite e cure sanitarie –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei costi sostenuti per le visite e la cura degli immigrati entrati nel nostro Paese dall'inizio dell'operazione Mare Nostrum, riferendo se negli stessi capitoli di spesa siano previsti tutti gli strumenti idonei per la tutela sanitaria degli agenti che devono fronteggiare l'emergenza al fine di evitare che si ripetano altri casi di contagio. (3-00913)


   CALABRÒ. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   è notizia di questi giorni che, a seguito di programmati confronti, sia di natura tecnica che politica, tra il Ministero della salute e le regioni, è stato messo a punto il nuovo patto per la salute per il triennio 2014-2016;
   nella giornata di giovedì scorso 26 giugno 2014 il nuovo patto per la salute 2014-2016 è stato presentato agli assessori alla sanità di tutte le regioni, presso il Ministero della salute;
   dagli articoli di stampa, riferiti anche ad anticipazioni che il Ministro interrogato ha reso presso le competenti commissioni parlamentari nel corso di specifiche audizioni, è emerso che gli obiettivi fondamentali perseguiti dal nuovo patto per la salute sono la certezza dei budget delle regioni e l'individuazione di misure di spending review, che consentono l'individuazione di risparmi certi da reinvestire all'interno del servizio sanitario nazionale;
   si apprende che nell'ambito del nuovo patto per la salute, dopo un lungo e imbarazzante intervallo di tempo a scapito degli assistiti, saranno finalmente aggiornati i livelli essenziali di assistenza, nonché il nomenclatore tariffario per le protesi e gli ausili, fermo dal 1999;
   si apprende, inoltre, che sempre nell'ambito del nuovo patto per la salute, sarebbe stato trovato l'accordo per il provvedimento che razionalizza i posti letto ospedalieri, già previsto dall'articolo 15, comma 13, lettera c), del decreto-legge n. 95 del 2012, cosiddetto spending review, e non ancora emanato –:
   se il Ministro interrogato intenda confermare l'attendibilità delle anticipazioni emerse dagli articoli di stampa, sopra sintetizzate, con particolare riferimento alla certezza delle risorse finanziarie, nell'arco del triennio considerato, da destinare all'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza e del nomenclatore tariffario per le protesi e gli ausili, nonché fornire notizie sullo stato di avanzamento del provvedimento che riorganizza gli standard per l'assistenza ospedaliera e territoriale e, da ultimo, se intenda dare assicurazioni circa i tempi dell'adozione e dell'attuazione del nuovo patto per la salute valido per l'arco temporale 2014-2016. (3-00914)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in Francia il dibattito sul «fine vita» sta assumendo caratteristiche al tempo stesso drammatiche e paradossali; ci si chiede cosa stia succedendo in quel Paese se a distanza di pochi giorni il tema dell'eutanasia si è imposto ancora una volta all'attenzione di tutti suscitando dibattiti ed emozioni forti e contrastanti: prima con il caso Lambert e subito dopo con la sentenza sul caso Bonnemaison;
   come è noto Bonnemaison, per giustificare il suo operato (sette persone morte per somministrazione eccessiva di farmaci) ha affermato: «Ho agito da medico fino all'ultimo. Fa parte dei doveri del medico accompagnare i pazienti fino alla fine». Il medico francese, ad avviso dell'interrogante, ha evidentemente confuso il senso dell'accompagnare, che è un vero e proprio prendersi cura dei malati fino alla morte, con il provocare la morte, accelerandola e venendo meno ai principi stessi della deontologia medica;
   non a caso, del resto, l'Ordine dei medici francese lo aveva sospeso dalle sue funzioni radiandolo dall'ordine. La sentenza della magistratura invece non solo lo ha assolto, entrando secondo l'interrogante in flagrante contraddizione con l'etica medica, ma per di più ha riaperto per lui la possibilità di reinserirsi nella professione medica;
   l'assoluzione e il reinserimento nell'Ordine medico lasciano supporre che Bonnemaison possa continuare a somministrare le sue pozioni letali, con la massima impunità e in totale contrasto con quanto recentemente affermato dalla Corte dei diritti umani di Strasburgo;  
   in Francia non c’è «ancora» una legge che consenta l'eutanasia, ma di attivisti, a quanto pare ce ne sono anche tra medici e magistrati; essi reclamano una legge in questo senso per riconoscere al medico il diritto di uccidere, proponendolo con un maquillage linguistico che parla di accompagnamento dei pazienti fino alla fine;
   in Italia si ha già una buona legge sulle cure palliative (la legge n. 38 del 2010) che prevede un accompagnamento del malato fino alla fine, per mitigarne il dolore e offrirgli i supporti necessari senza per questo giungere all'accanimento terapeutico, ma senza neppure scivolare nell'eutanasia, in nessuna delle sue forme. La legge italiana si applica nel rispetto dei seguenti principi fondamentali: a) tutela della dignità e dell'autonomia del malato, senza alcuna discriminazione; b) tutela e promozione della qualità della vita fino al suo termine; c) adeguato sostegno sanitario e socio-assistenziale della persona malata e della famiglia;
   la Francia si sta spingendo molto oltre nelle sue richieste e mentre il Parlamento italiano è disponibile a riprendere il dibattito sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, ripartendo da dove era arrivato al termine della legislatura precedente, sussiste ancora una forte contrarietà ad ogni possibile forma di eutanasia, comunque la si voglia mascherare;
   il nuovo codice di deontologia medica deve essere su questo punto fermo e deciso per non cedere ad ambiguità che permettano a qualche magistrato di dare una interpretazione della norma che contraddica il senso stesso della professione medica, in analogia con quanto sta accadendo in Francia. Per questo serve una legge chiara e concreta da cui si evinca senza ombra di dubbio che il compito del magistrato è quello di applicare la norma, senza stravolgerla;
   accade però che anche in Italia che il sindaco di Roma affermi: «In attesa che il Parlamento colmi questo vuoto normativo, in discussione da oltre cinque legislature, il Campidoglio farà la sua parte. (...) Ognuno deve avere la libertà di scegliere quali terapie accettare e quali rifiutare». Il sindaco fa sua in questo modo un'iniziativa popolare del gruppo: «Se non ora quando ?», nata da una proposta della Consulta Bioetica;
   l'Assemblea capitolina ha infatti approvato una delibera che istituisce il registro comunale delle dichiarazioni anticipate di trattamento, per cui il cittadino potrà scegliere a quali cure sanitarie intende sottoporsi in caso di malattia grave e irreversibile. In attesa che il Parlamento approvi la legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, il Campidoglio permetterà ai romani di depositare le proprie dichiarazioni anticipate di trattamento in tutti gli uffici decentrati;
   è necessario invece diffondere una cultura delle cure palliative nello spirito della legge n. 38 del 2010; nell'aprile 2012 il secondo libro bianco a cura dell’«Associazione No Pain Onlus» ha monitorato la situazione italiana a distanza di due anni dall'entrata in vigore della legge, da cui appare evidente come la normativa non sia ancora stata applicata in tutti i suoi punti. I centri italiani presentano risorse esigue, personale impiegato a tempo parziale, modelli organizzativi e prestazioni elementari: aspetti che soddisfano solo minimamente gli standard internazionali per la gestione delle sindromi dolorose –:
   come intenda il Ministro procedere, nelle more della approvazione di una legge di iniziativa parlamentare sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, perché in Italia non si dia spazio ad iniziative che volendo tutelare il diritto del malato alla scelta della terapia, di fatto procedano ad una applicazione surrettizia di forme più o meno conclamate di eutanasia. (5-03125)


   CARNEVALI, FARAONE, DE MENECH, CRIVELLARI, MIOTTO e MURER. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 20 giugno 2014, sono stati arrestati, in via cautelare dieci operatori sanitari con l'accusa di maltrattamenti ai pazienti ricoverati presso gli Istituti Polesani di Ficarolo (RO);
   l'indagine è stata condotta dai carabinieri del Nas e dalla polizia a seguito di una denuncia presentata lo scorso anno da alcuni parenti delle vittime che avevano notato lividi ed ecchimosi sul corpo dei loro familiari ospiti della struttura;
   le indagini durate mesi, nelle quali sono state utilizzate intercettazioni ambientali, sono tutt'ora in corso;
   gli accertamenti hanno fatto emergere l'utilizzo di forme di violenza, brutalità e vessazioni nei confronti dei disabili psichici e fisici ricoverati;
   dall'indagine è emerso che alle richieste dei familiari delle vittime di avere chiarimenti circa le lesioni riscontrate sui propri cari, il personale dell'Istituto si giustificava sostenendo che gli ospiti si erano infortunati a causa delle precarie condizioni fisiche, derivanti da problematiche motorie o da malattie psichiatriche;
   gli Istituti Polesani di Ficarolo (Ro) accolgono un numero considerevole – oltre 200 – di persone con disabilità psichica e fisica distribuiti per nuclei/reparti, a cui si aggiunge una comunità alloggio;  
   da una visita recente agli Istituti in questione alla quale hanno partecipato i deputati D. Faraone, R. De Menech, D. Crivellari si è verificata l'accoglienza di giovani pazienti psichici nei nuclei con ospiti molto adulti;
   in alcuni reparti, tutte le stanze dedicate al riposo degli ospiti sono completamente prive di porte;
   sembra emergere che la struttura sia in fase di pre-accreditamento, ricevendo la quota sanitaria per ospite da parte della regione Veneto;
   la drammatica realtà emersa dall'indagine, ancora in corso, solleva pesanti interrogativi sulla mancata vigilanza da parte della regione Veneto (principale finanziatore della struttura) nonostante le denunce e i sospetti;
   i Nas hanno emesso un verbale, che dovrebbe essere stato notificato alla regione Veneto;
   la struttura risulta beneficiare di quote giornaliere per ciascun ospite, provenienti dal fondo sanitario per le attività di rilievo sanitario, come previsto dal vigente decreto sui LEA;
   per l'ottenimento dell'accreditamento sono necessari il rigoroso rispetto degli standard strutturali e gestionali e dei requisiti di sicurezza (testo unico sulla sicurezza del lavoro) –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti sopraesposti e delle contestazioni rilevate dai Nas e quali iniziative intendano adottare, nei limiti delle loro competenze e con il coinvolgimento delle regioni, per promuovere una ridefinizione dei criteri di accreditamento e delle modalità di controllo delle strutture socio-sanitarie, anche in relazione all'adeguatezza dei modelli organizzativo-gestionali rispetto all'esigenza di umanizzazione e all'adempimento dei piani individuali di assistenza. (5-03127)


   MANTERO, SIMONE VALENTE, BATTELLI, LOREFICE e GRILLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto-legge n. 135 del 2012 (cosiddetto Balduzzi) era stata disposta la funzionalità e la persistenza degli ospedali posizionati in aree disagiate, ovvero in quelle zone in cui il tempo di percorrenza delle autoambulanze, dal punto di partenza al più vicino pronto soccorso, è molto superiore ai 90 minuti;
   questo è il caso dell'ospedale S. Giuseppe di Cairo Montenotte, nato nel dopoguerra, che, come dimostrato e calcolato in base ad oggettive tecniche di misurazione, è l'unico presidio ospedaliero entro i 90 chilometri di distanza nella zona della Val Bormida, rientrando così nei parametri del «decreto Balduzzi»;
   dunque, l'ospedale di una zona disagiata nella quale per raggiungere il pronto soccorso più vicino si impiega più di un'ora, deve essere considerato presidio ospedaliero di base; come tale deve mantenere un pronto soccorso idoneo, medicina interna, chirurgia ridotta con day surgery o week surgery con la possibilità di appoggio nei letti di medicina;
   lo stesso ospedale, che inizialmente contava 120 posti letto, oggi ridotti a soli 68, a causa dei «tagli» voluti dall'assessore regionale Montaldo e dal direttore generale della Asl2, Neirotti, è l'unico ospedale della Val Bormida, bacino di quasi 50 mila abitanti, ultimo baluardo della provincia di Savona, territorio collinare che si trova a nord degli Appennini;
   con lo smantellamento del pronto soccorso di Cairo Montenotte, trasformato in un punto di primo intervento, si è assistito ad un notevole trasferimento di malati dalla Val Bormida verso la costa, Savona, Genova, quando in realtà il medesimo potrebbe diventare un punto centrale e strategico sia per il Basso Piemonte (poiché si trova ai confini con la regione piemontese) sia per la stessa zona della Val Bormida, evitando la «fuga di pazienti» che ogni anno pesano per milioni di euro per la regione Liguria;
   questo perché molti cittadini della Val Bormida preferiscono addirittura raggiungere gli ospedali di Ceva o Mondovì, che seppur distanti quanto l'ospedale di Cairo, hanno in più il privilegio della comodità data dal fatto che negli ospedali piemontesi vi è un servizio più immediato;
   si tratta di un fattore che ha determinato una riduzione delle prestazioni fornite dall'attuale pronto intervento di Cairo, che dal 2011 ad oggi ha subito un calo: si è passati dalle 12780 prestazioni circa del 2011, alle 8000 circa nel 2012 sino alle sole 480 circa nel 2013, portando ad un utilizzo spropositato, in chilometri di percorrenza, dei mezzi di soccorso che sono passati dai 40 mila chilometri all'anno ai circa 120 mila chilometri all'anno;
   inoltre la trasformazione del pronto soccorso in punto di primo soccorso, prevede lo svuotamento dell'ospedale di tutte le sue prerogative, riducendo i medici di cardiologia, chiudendo il servizio di endoscopia, del laboratorio TSA, di endocrinologia, del servizio di centralino e della chirurgia, e costituendo un day surgery, dove in caso di emergenza si passerà ad uno stato di day service, tutto a carico dei cittadini, oltre alla soppressione nelle ore notturne e festive della reperibilità del tecnico radiologo e di laboratorio, sostituiti da apparecchiature automatiche;
   aiuti e richieste provengono dai cittadini del territorio cairese e dal Comitato sanitario locale che si batte per la difesa dell'ospedale di Cairo Montenotte e del distretto sanitario contro la ventilata chiusura dell'ospedale da parte della regione –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione espressa in premessa;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda mettere in atto per favorire il mantenimento dei presidi ospedalieri in aree disagiate come quella di cui in premessa, salvaguardando così i livelli essenziali di assistenza. (5-03128)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   Invitalia è una società per azioni partecipata al 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze che fu istituita con il nome «Sviluppo Italia» con il decreto-legge n. 1 del 1999 del Governo D'Alema a seguito dell'accorpamento di varie società ed enti di promozione ed ha assunto la denominazione di «Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa» con il comma 460 della legge finanziaria per il 2007;
   Invitalia «agisce su mandato del Governo per accrescere la competitività del Paese, in particolare del Mezzogiorno, e per sostenere i settori strategici per lo sviluppo», favorendo gli investimenti esteri, sostenendo la crescita del sistema produttivo e valorizzando le potenzialità dei territori;
   nel quadro delle attività promosse dall'Agenzia in materia di incentivi alle imprese, Invitalia opera attraverso vari strumenti, tra i quali la sottoscrizione dei cosiddetti «contratti di sviluppo» – agevolazioni istituite con decreto ministeriale 24 settembre 2010 e regolamentate dal recente decreto ministeriale 14 febbraio 2014 – rivolti ad imprese italiane ed internazionali per la realizzazione di grandi investimenti per un minimo di 7,5 milioni di euro ed un massimo di 20;
   l'Agenzia, una volta valutate le domande delle imprese interessate, eroga i finanziamenti sotto forma di contributi a fondo perduto, finanziamenti agevolati, contributi in conto interessi;
   stando ai dati disponibili, accessibili solo attraverso i comunicati stampa dell'Agenzia, dal gennaio 2013 a giugno 2014, l'Agenzia ha firmato nove contratti di sviluppo prevalentemente con multinazionali come Unilever, Vodafone, Rolls-Royce, o aziende partecipate come MBDA, posseduta per il 25 per cento da Finmeccanica, la quale ha ricevuto contributo a fondo perduto per 18,1 milioni di euro per un non meglio specificato «potenziamento e ampliamento di alcuni stabilimenti dell'area industriale della provincia di Napoli»;
   i nove contratti siglati da Invitalia hanno attivato investimenti per un totale di 400 milioni di euro di cui 166 milioni a titolo di agevolazioni a fondo perduto concesse dall'Agenzia, pari al 41,5 per cento degli investimenti complessivamente attivati;
   i fondi elargiti da Invitalia, a quanto consta agli interpellanti, risultano così distribuiti:
    in Campania:
     19,5 milioni di euro su un investimento complessivo di 38 milioni per gli stabilimenti Rolls-Royce;
     16,7 milioni di euro su 32 milioni complessivi per le Officine Grafiche di Mauro;
     10,2 milioni di euro su 35 milioni totali per Unilever;
     18,1 milioni di euro su 48,3 milioni per MDBA;
    in Sicilia:
     18 milioni di euro su 61 milioni di euro per le opere infrastrutturali Telecom Italia;
     15 milioni di euro su 50 milioni complessivi per Vodafone;
     30 milioni di euro su 47 per il gruppo energetico Sasol;
    in Puglia:
     26,3 milioni di euro su 48 milioni per Enterra;
     12,4 milioni 41 milioni di euro complessivi per Bridgestone Italia;
   le uniche informazioni disponibili in merito ai succitati progetti sono quelle rinvenibili nei comunicati stampa, che in sei casi su nove riportano solo l'ammontare complessivo dell'investimento senza i necessari dettagli sui processi o prodotti industriali oggetto di investimento, né sui risultati attesi in termini di incrementi di produttività, efficienza, fatturato, occupazione e, più in generale, sviluppo del territorio;
   nei tre progetti che riportano indicazioni sull'impatto occupazionale previsto non sono presenti analisi o informazioni di dettaglio a supporto dell'impatto occupazionale previsto, ipotesi che in taluni casi risultano in contrasto con altre fonti di informazione, come per esempio nel caso del progetto finanziato a favore della società Enterra per la costruzione di una centrale elettrica a biomasse il cui impatto occupazionale era stato stimato dall'amministratore delegato di Enterra stessa Jacques Levy in circa 70-80 unità tra assunzioni dirette e indotto (stima riportata dal quotidiano il Sole24ore nel dicembre 2013), contro i 130 nuovi posti di lavoro dichiarati nel comunicato stampa di Invitalia;
   non risultano inoltre disponibili, né sul sito di Invitalia né dei due Ministeri competenti, documenti, rapporti o comunicati sugli sviluppi dei progetti finanziati, il loro stato di avanzamento e i risultati ottenuti nel tempo, neppure dei primi progetti avviati nel gennaio 2013;
   ai sensi dell'articolo 4, comma 1, del decreto legislativo n. 1 del 1999 «La società presenta annualmente al Ministero dello sviluppo economico una relazione sulle attività svolte ai fini della valutazione di coerenza, efficacia ed economicità e ne riferisce alle Camere»;
   l'ultima relazione in possesso del Parlamento è stata presentata nel luglio 2012 e si riferisce alle attività dell'Agenzia nell'anno 2010;
   dal 2012 non sono più pervenute le relazioni annuali che Invitalia è tenuta a fornire al Parlamento e la precedente relazione risale al 2006, anno in cui l'Agenzia era ancora denominata «Sviluppo Italia»;
   l'articolo 9, comma 8, lettera a), del decreto ministeriale 14 febbraio 2014 prevede che l'Agenzia valuti «la coerenza industriale e la validità economica del programma di sviluppo nonché l'impatto occupazionale del programma stesso»;
   l'articolo 13, comma 2, dello stesso decreto prevede inoltre che al 30 giugno e al 31 dicembre di ciascun anno l'Agenzia presenti al Ministero [dello sviluppo economico] «un rapporto semestrale sulle attività svolte, fornendo in particolare dati e informazioni riguardanti l'avanzamento fisico, finanziario e amministrativo dei programmi di sviluppo e le eventuali revoche effettuate (...)» e prevede inoltre che tale rapporto contenga «anche un prospetto riportante i dati identificativi delle imprese beneficiarie e l'importo delle agevolazioni erogate, l'indicazione dei programmi di sviluppo cofinanziati dalle Regioni e l'importo del cofinanziamento, la natura delle risorse finanziarie utilizzate»;
   oltre ai contratti di sviluppo citati l'Agenzia dispone di numerosi altri strumenti ed agevolazioni, finanziamenti a tasso agevolato e a fondo perduto, che eroga sia direttamente che indirettamente attraverso le sue numerose società partecipate;
   la legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria per il 2007) aveva previsto un piano di riordino delle 216 partecipazioni dirette ed indirette di Invitalia, di cui si ha un primo aggiornamento nel rapporto relativo all'anno 2010 (secondo il quale molte partecipazioni risultano ancora in possesso di Invitalia o della società veicolo Invitalia partecipazioni), ma di cui non si ha alcun aggiornamento sugli sviluppi avvenuti negli anni successivi –:
   se i Ministri non intendano:
    a) emanare al più presto una direttiva ministeriale volta a rendere pubbliche ed accessibili tutte le informazioni riguardanti i contratti di sviluppo nel momento in cui essi vengono sottoscritti da Invitalia, incluse le analisi in merito alla «coerenza industriale e la validità economica del programma di sviluppo, nonché l'impatto occupazionale del programma stesso», e le procedure ed i criteri adottati per l'assegnazione delle agevolazioni al fine garantire una maggiore trasparenza delle attività dell'Agenzia Invitalia;
    b) provvedere ad elaborare al più presto un'aggiornata relazione da presentare al Parlamento sull'operato dell'Agenzia, sui fondi elargiti durante gli anni che non sono stati coperti dalla relazione annuale prevista ai sensi dell'articolo 4, comma 1, del decreto legislativo n. 1 del 1999 e sugli sviluppi del piano di dismissioni ex legge n. 296 del 2006;
    c) provvedere alla tempestiva pubblicazione sui siti del Ministero dello sviluppo economico e del Ministero dell'economia e delle finanze della relazione semestrale dovuta da Invitalia il 30 giugno 2014.
(2-00602) «Tinagli, Antimo Cesaro».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ABRIGNANI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la rete distributiva dei carburanti in Italia è caratterizzata ormai da decenni da un numero eccessivo di impianti (circa 23 mila punti vendita) non giustificabile per i nostri consumi rispetto agli altri Paesi Europei neanche tenendo conto della particolare morfologia del nostro territorio, del grado di urbanizzazione e del tipo di mobilità che ci contraddistingue;
   un alto numero di impianti ha determinato una rete con bassi volumi di vendita dei carburanti per impianto cui è associato uno scarso sviluppo di attività collaterali quali la rivendita: dei generi di monopolio, bar, giornali, che rappresentano invece per gli altri Paesi europei il 70 per cento dei ricavi dei punti vendita;
   si è quindi in presenza di una rete complessivamente poco efficiente ed economicamente non sostenibile sia per gli operatori che per i consumatori se si pensa che il 51 per cento dei punti vendita della rete è di proprietà delle aziende petrolifere operanti in Italia o in Europa anche nel settore della logistica e/o della raffinazione, mentre il restante 49 per cento è di proprietà di operatori di dimensioni piccoli e medie, di cui circa il 20 per cento espone presso gli impianti marchi propri non legati alle aziende petrolifere;
   negli ultimi anni si è registrato un costante calo dei consumi (-18,6 per cento dal 2008) dei prodotti per autotrazione dovuto sia al calo del prodotto interno lordo che all'aumento del prezzo dei carburanti a cui la fiscalità, prima in Europa, ha contribuito in modo determinante, con un aumento dell'IVA e delle accise dal 2011 ad oggi di oltre 22 centesimi al litro sulla benzina e di 25 centesimi al litro sul gasolio;
   il calo dei consumi ha reso ancora più inefficiente la rete rendendola un sistema distributivo non più sostenibile per i titolari di impianti e per i gestori i consumatori; un sistema che rischia di non riuscire ad assicurare le necessarie garanzie in termini di qualità, di legalità, di sicurezza, di rispetto dell'ambiente e di continuità del servizio;
   in tale contesto continuano ad essere attivi impianti già classificati nel 1998 come incompatibili con la sicurezza stradale sulla base del decreto legislativo 11 febbraio 1998, n. 32, diretto a razionalizzare la rete distributiva dei carburanti. Tali impianti dovrebbero essere chiusi o messi a norma da più di quindici anni, ma più volte si è cercato d'intervenire senza successo;
   gli impianti incompatibili con le norme di sicurezza stradale, spesso siti sui marciapiedi e il cui rifornimento avviene sulla carreggiata stradale, oltre ad essere pericolosi, riducono l'efficienza di sistema, senza avere alcuna prospettiva di sviluppo in una logica europea, neanche per l'esplicazione di attività collaterali;
   solo il 15 per cento delle transazioni presso gli impianti di distribuzione dei carburanti vengono effettuate tramite moneta elettronica, anche per l'elevato costo associato al loro utilizzo, mentre le residue transazioni, pari a 50 miliardi di euro l'anno, vengono effettuate in contanti, esponendo in questo modo la rete non solo a frequenti attacchi della criminalità per furto di contanti, ma anche a diventare un settore di sicuro interesse per infiltrazioni della criminalità organizzata;
   dal 1990 è stato disposto un indennizzo specifico per i gestori degli impianti oggetto di chiusura per razionalizzazione, finanziato interamente ed esclusivamente dal settore mentre per gli anni 2012-2014 è stato previsto, sempre ad esclusivo carico del settore, anche per i titolari degli impianti un contributo ai costi di smantellamento e bonifica degli impianti stessi, misura, peraltro non ancora operativa, che contribuendo ai costi di uscita dal mercato dovrebbe incentivare un avvio del processo di chiusura;
   il Governo pro tempore ha poi approvato nel Consiglio dei ministri del 13 dicembre 2013, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, un disegno di legge contenente misure per l'avvio delle attività economiche, per l'accesso al credito, per i finanziamenti ed agevolazioni alle imprese collegato alla legge di stabilità 2014, comprensivo di alcuni interventi finalizzati a ridurre in modo strutturale il costo della bolletta elettrica, presupposto imprescindibile per il recupero di competitività del Paese;
   nel suddetto disegno di legge, che tuttavia non è stato trasmesso al Parlamento, è disposta l'introduzione di un sistema incentivante alternativo offerto ai produttori di energia elettrica rinnovabile, sia eolica che fotovoltaica, in grado di diluire nel tempo gli oneri sulla componente A3, la revisione dell'istituto del «ritiro dedicato», con riduzione degli oneri in bolletta per 150 milioni, la revisione della tariffa bicraria, per renderla aderente alla reale curva del prezzo giornaliero, lo sviluppo di tecnologie di maggior tutela ambientale – conoscibilità dei titoli minerari, razionalizzazione della rete di distribuzione carburanti e stoccaggio del gas naturale;
   le norme contenute nel disegno di legge collegato contengono disposizioni volte ad accrescere le conoscenze del sottosuolo nazionale, favorendo l'acquisizione dei dati relativi ai rilievi geologici, geofisici e alle perforazioni, e a razionalizzare la rete di distribuzione dei carburanti, rafforzando la sicurezza degli impianti, nonché la rete per lo stoccaggio del gas naturale, semplificando il funzionamento del mercato del gas –:
   per quale motivo non sia stato ancora trasmesso al Parlamento il suddetto disegno di legge e se il Governo intenda attivarsi per prevedere in altri provvedimenti le misure previste dal disegno di legge collegato allo scopo di configurare una rete di distribuzione dei carburanti competitiva che garantisca al contempo un adeguato livello del servizio diffuso su tutto il territorio e una maggiore sostenibilità per tutti i soggetti coinvolti, nonché vantaggi per la collettività in termini di sicurezza, decoro urbano e rispetto per l'ambiente. (5-03117)


   ANZALDI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Icann (internet corporation for assigned names and numbers) organismo nato nel 1998 a cui è affidato il compito di regolare la diffusione dei domini sulla rete starebbe per mettere in vendita i domini legati al settore dei vini ed in particolare i domini «.vin» «.wine»;
   l'etichettatura digitale rischia di trasformarsi in una mega truffa o peggio, come ha sostenuto il presidente di Federdoc in Italia ed Europa, Riccardo Ricci Cubastro, in una intervista al Wall Street Journal, «un sistema di estorsione»;
   con la liberalizzazione dei domini di settore rischiano di essere immessi nel settore prodotti di pessima qualità, mentre i consumatori crederanno di comprare bottiglie autentiche;
   questo accade proprio quando pochi giorni fa il barolo è stato dichiarato patrimonio dell'umanità dall'Unesco a riprova della grande qualità da tutelare delle produzioni italiane;
   ad oggi la Francia è il Paese che da più tempo sta conducendo una ferrea battaglia contro l'Icann minacciando di boicottare le trattative sul patto commerciale transatlantico se il citato organismo non rivedrà le sue decisioni;
   va scongiurato il rischio che su tablet e smartphone di tutto il mondo si diffondano siti fuori controllo in grado di aggirare le norme anticontraffazione e di arrecare danni irreparabili a produzioni di eccellenza simbolo del made in Italy in campo agroalimentare –:
   se e quali iniziative il Governo intenda assumere, in sede internazionale, nei confronti dell'Icann, per diffidare l'istituto internazionale, a difesa dei consumatori e della trasparenza, dal porre in essere la liberalizzazione dei domini relazionabili al settore del vino, al fine di scongiurare la diffusione di operazioni commerciali che nulla hanno a che vedere con la tutela e la promozione della qualità e dell'eccellenza del made in Italy.
(5-03126)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il quotidiano il Corriere della Sera evidenzia, con un articolo pubblicato il 28 giugno 2014, che la maggior parte dei provvedimenti approvati sia dal Governo Monti, che dal precedente Governo Letta e dal presente Esecutivo Renzi, rivolti alla crescita, all'innovazione, alla ricerca, allo sviluppo della nuova imprenditorialità e alla competitività del sistema-Paese, è rimasta complessivamente inattuata;
   dall'analisi effettuata dal centro studi della Confederazione nazionale dell'artigianato e della piccola e media impresa – Cna, sostiene il medesimo articolo, emerge infatti una implacabile catalogazione delle misure inattuate, entrate in vigore tra il 26 giugno 2012 ed il 1° gennaio 2014, tuttora in attesa dei necessari decreti di attuazione;
   i più remoti tra i provvedimenti senza alcuna operatività riguardano i finanziamenti per progetti di ricerca e sviluppo definiti dal precedente Governo «di rilevanza strategica», a cui si aggiungono le disposizioni anch'esse approvate definitivamente del credito d'imposta per l'assunzione del personale ad alta qualificazione, rimaste irrealizzate;
   le suddette norme varate dal Governo Monti, in teoria avrebbero dovuto essere rese effettive da due anni, ma tra la mancanza del solito decreto di attuazione del Ministero competente e le difficoltà nella realizzazione della piattaforma informatica necessaria, per la quale comunque sarà necessario un altro decreto per definire le procedure e la modulistica, i tempi tecnici e burocratici stanno determinando un evidente mancanza di concretizzazione delle norme approvate dal Parlamento, ed inizialmente attese dal sistema imprenditoriale nazionale;
   ulteriori misure a favore dello sviluppo del Paese, approvate nel corso del giugno del 2013, prosegue l'articolo del Corriere della Sera, definite dal Governo Letta «d'importanza strategica» per il rilancio del sistema-Paese, concernenti interventi straordinari a favore della ricerca per lo sviluppo del Paese, sono anch'esse in attesa di essere rese operative, per mancanza delle risorse finanziarie da attribuire alla finalità della norma, il cui decreto attuativo da parte del Ministero non è stato ancora adottato;
   in tutti i casi citati i beneficiari avrebbero dovuto essere principalmente le piccole e medie imprese, star up innovative e spin off universitari, che attendono da mesi l'emanazione dei decreti di attuazione, così come dal dicembre del 2013, altre quattro misure che riguardano il credito d'imposta, voucher e mutui agevolati per gli investimenti di nuove attività sono in attesa, come gli altri suindicati interventi, che il Ministero emani il decreto attuativo;
   l'analisi del Cna, si conclude con la lista dei seguenti provvedimenti entrati in vigore all'inizio dell'anno e rimasti irrealizzati a causa dei medesimi e suindicati motivi: il fondo per sostenere le associazioni temporanee e i raggruppamenti d'impresa, l'istituzione di una sezione speciale di garanzia per i progetti di ricerca e innovazione rivolti alle piccole e medie imprese; in entrambi i casi si attende il vincolante decreto così come per il rafforzamento del patrimonio di Confidi;
   l'articolo del «Corriere della Sera» evidenzia in definitiva, come nonostante alcune misure quale l'introduzione dei minibond e l'incentivazione degli investimenti in macchinari (la nuova «Sabatini»), siano entrate in funzione, tali interventi rappresentano tuttavia delle eccezioni, rispetto alla totalità delle norme approvate dai precedenti Governi, Monti e Letta (alle cui mancanze si unisce anche l'inefficienza di quello attuale) all'interno di un programma di politica industriale, la cui definizione appare più un titolo che una reale progettazione;
   l'azione governativa, a giudizio dell'interrogante, in considerazione delle valutazioni in precedenza esposte, appare sminuzzata con effetto ritardato e, presa nel suo complesso, ha dimostrato di non essere minimamente in grado d'indirizzare le scelte d'investimento dei singoli nella direzione voluta; tutt'al più, accompagna ex post, scelte che gli imprenditori hanno maturato e atteso;
   l'interrogante evidenzia pertanto come a suo parere risulta pressoché inutile pianificare a livello legislativo un piano generale di politica industriale per il rilancio e lo sviluppo delle imprese nel Paese, se nella realtà, un numero, di norme di prospettiva attese dal sistema delle piccole e medie imprese e dagli operatori del settore, così rilevanti, rimangono irrealizzate a causa della mancanza dei decreti attuativi, il cui ritardo è da attribuirsi con ogni probabilità alla mancanza delle risorse finanziarie necessarie –:
   quali orientamenti intendano esprimere, nell'ambito delle rispettive competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   quali siano i motivi dei ritardi nell'emanazione dei decreti attuativi necessari per rendere operative importanti misure a favore della crescita e dello sviluppo delle imprese, in particolare quelle di piccola e media dimensione;
   quali iniziative urgenti e necessarie per rilanciare l'economia reale del Paese intendano intraprendere, nell'ambito delle rispettive competenze, al fine di emanare i decreti di attuazione esposti in premessa, senza i quali risulteranno inutili le norme già previste dai numerosi decreti-legge convertiti in legge dal 2012 ad oggi, a favore della crescita e dello sviluppo delle imprese. (4-05321)


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da informazioni della stampa on line (da www.ternimania.it del 22 maggio 2014 e www.terninrete.it del 21 maggio 2014) si apprende che la trattativa per la cessione delle aree all'interno dello stabilimento del polo chimico temano della Polymer (necessaria per il rilancio dell'intero polo), tra Basell e la cordata formata da Novamont, Cosp Tecno Service ha subito uno «stallo»;
   a detta degli ex lavoratori della Basell, che si sono costituiti in un comitato, sarebbero emerse «in maniera palese le enormi distanze fra le parti in merito ai criteri per la valutazione del valore delle aree» (da www.umbrialeft.it del 21 maggio 2014);
   la circostanza ha suscitato l'allarme tra i lavoratori poiché se non si sblocca la vendita potrebbero «saltare» i progetti di reindustrializzazione e di rilancio dell'area, in particolare il cluster della chimica verde nonché il prospettato riassorbimento di circa 60 ex lavoratori da parte della Basell;
   la vicenda necessita di un intervento del Governo finalizzato ad una celere soluzione del caso, poiché si inserisce in una situazione di mercato già difficile che riguarda l'intera area del polo chimico ternano e che potrebbe avere ripercussioni negative su tutte le imprese dell'indotto e che occupano numerosi lavoratori e addetti –:
   quale sia lo stato attuale della trattativa per la cessione dell'area e quali iniziative di competenza intendano adottare i Ministri interrogati per il rilancio del sito produttivo;
   quali azioni intendano adottare per favorire i progetti di reindustrializzazione e il dialogo tra le parti sociali che abbiano come interesse primario la salvaguardia dei livelli occupazionali dell'intero polo chimico ternano e il riassorbimento degli ex lavoratori Basell. (4-05324)


   CATALANO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogazione a risposta scritta n. 4-04077 di martedì 18 marzo 2014, seduta n. 192, non ha avuto risposta;
   Poste Tutela spa, una delle società della galassia Poste italiane si occupa, fra l'altro, della gestione del servizio valori;
   l'amministratore delegato della suddetta società è Stefano Grassi, già ufficiale della Guardia di Finanza e presidente della sezione sicurezza di Unindustria, unione degli industriali e delle imprese di Roma, Frosinone, Viterbo, Rieti e Latina, subentrato nella conduzione della struttura tutela aziendale a Maurizio Filotto, tratto in arresto per tangenti;
   sempre il nome di Stefano Grassi emerge nel verbale della testimonianza resa da Luigi Matacena durante l'inchiesta P4: «Effettivamente ho pagato, nell'autunno di quest'anno (in occasione della partita di calcio di andata Napoli-Milan), un pranzo al Ristorante Mattozzi a cui hanno partecipato il Generale Bardi, il Generale Adinolfi con la moglie, il Generale Grassi, il Generale Zafarana, l'ex ufficiale della Guardia di Finanza Stefano Grassi (oggi alle Poste), il dottor Galliani, amministratore delegato del Milan, con una accompagnatrice e un suo amico (...) in quell'occasione io ho anche regalato a tutti i signori menzionati (ufficiali della Guardia di Finanza e non) dei gemelli comprati da Marinella e per le signore un Fular sempre di Marinella. Pagai io il conto che venne a costare meno di mille euro»;
   in Gazzetta Ufficiale, 5a Serie Speciale – Contratti Pubblici n. 47, del 20 aprile 2011 è stato pubblicato a firma Stefano Grassi, un avviso di aggiudicazione di un appalto del valore di oltre 3 milioni di euro;
   l'appalto in questione è stato oggetto di una circostanziata denuncia da parte del sindacato UGL Abruzzo che ha richiesto un'urgente verifica su taluni aspetti riguardanti la società aggiudicatrice, la Securpol Group avente sede legale proprio in Roma;
   la gestione degli appalti di Poste tutela spa era stata oggetto di altra interrogazione parlamentare a risposta scritta n. 4-11225 presentata da Antonio Pezzella lunedì 11 ottobre 2004, nella seduta n. 525 –:
   di quali notizie sia a conoscenza il Governo;
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere rispetto ai fatti esposti in premessa. (4-05331)


   CATALANO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'edificio storico di Via Roma in Palermo ospita due filiali, un ufficio postale e il compartimento della PolPost per la Sicilia Occidentale;
   recentemente sono stati eseguiti imponenti lavori di ristrutturazione dei locali al piano terreno per ospitare il nuovo ufficio postale;
   le cronache giornalistiche (si veda Giornale di Sicilia del 31 maggio 2014) informano che il medesimo ufficio postale è chiuso per un cedimento strutturale e che non è dato sapere quando sarà riaperto all'utenza;
   nel mese di gennaio 2013 (si veda La Repubblica – Palermo del 22 gennaio 2013) è stata inaugurata la nuova sede della polizia postale, ospitata al 4o piano del medesimo edificio storico;
   di quali notizie disponga il Governo anche con riferimento agli effetti sull'utenza di quanto verificatosi;
   a quanto ammonti l'importo complessivo, a carico di Poste Italiane o sue controllate, per i lavori di ristrutturazione eseguiti al piano terra ed al quarto piano dell'edificio anzidetto. (4-05332)

Apposizione di firme ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Binetti e altri n. 1-00423, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 aprile 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati Dorina Bianchi, Fabrizio Di Stefano, Vignali e Balduzzi e, contestualmente con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Binetti, Patriarca, Fucci, Roccella, Balduzzi, Gigli, Buttiglione, Dorina Bianchi, Preziosi, Calabrò, Pagano, Sberna, Fitzgerald Nissoli, Piccione, Cicu, Causin, Minardo, Garofalo, Bernardo, Faenzi, Santerini, Gitti, Venittelli, Valentini, Milanato, Laffranco, De Mita, D'Alia, Molea, D'Agostino, Vezzali, Petrini, Schirò, Terrosi, Cera, Kyenge, Fabrizio Di Stefano, Vignali».

Apposizione di firme a risoluzioni.

  La risoluzione in Commissione Franco Bordo e Palazzotto n. 7-00382, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 giugno 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Grassi.

  La risoluzione in Commissione Rostellato e altri n. 7-00399, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 giugno 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Petraroli, Vallascas, Mucci, Fantinati Della Valle, Prodani, Crippa.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  La interrogazione a risposta in Commissione De Lorenzis e altri n. 5-03056, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 giugno 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Liuzzi.

Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Binetti n. 1-00423, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 204 del 3 aprile 2014.

   La Camera,
   premesso che:
    la libertà religiosa è uno dei diritti fondamentali della persona che ogni Stato dovrebbe tutelare e rispettare;
    la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, che all'articolo 18 recita: «Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione. Tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, in pubblico e in privato, la propria religione o il proprio credo, nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti». Queste dichiarazioni esigono reciprocità, esigono il diritto di aprire luoghi di culto, anche luoghi di culto cristiani, in quelle aree dove vige la sharia, esige il diritto-dovere degli Stati di garantire questi diritti e della comunità internazionale di pretenderlo dagli Stati che non lo assicurassero;
    la Costituzione italiana, all'articolo 19, riconosce in modo ampio la libertà di religione, intesa come libertà di fede religiosa per evidenziare il diritto di ogni individuo di professare la propria fede e farne propaganda e contempla il diritto di esercitare in privato e in pubblico il culto, cioè di svolgere o prendere parte a preghiere o riti religiosi. La disciplina della libertà religiosa è collegata anche ad altri principi costituzionali: il primo comma dell'articolo 8 afferma che tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge;
    fenomeni di intolleranza religiosa si stanno pericolosamente moltiplicando in diverse aree del mondo e i terribili attentati di queste settimane nei confronti delle comunità cristiane in Nigeria, in Egitto ed in Iraq rappresentano un'ulteriore pericolosa sfida del terrorismo fondamentalista;
    Giovanni Paolo II, che sarà canonizzato in questi giorni, fece lo storico tentativo di dare al dialogo tra le tre grandi religioni monoteiste il compito di promuovere la pace e lo sviluppo e la stessa promozione della dignità umana attraverso la solidarietà tra i popoli. Voleva aiutare tutti i credenti, anche se diversamente credenti, a superare quei drammi che si sono succeduti per 2.000 anni. Purtroppo, oggi si stanno creando nuove situazioni di tensione difficili da governare e tocca alla politica occuparsene. Se è vero che il Corano dice che la parola di Dio è pace e il saluto di un musulmano è salam aleikum, la pace sia con voi, se un ebreo si saluta con un suo correligionario con la parola shalom, se i cristiani abbiamo la meravigliosa espressione «Dio sia con te» o il più comune addio: «A Dio», se cioè il concetto di pace è all'origine delle religioni, tocca alla responsabilità delle istituzioni e dei Governi e anche alla responsabilità della politica garantire che questo avvenga;
    Benedetto XVI, nel messaggio per la Giornata mondiale della pace del 2011, metteva in luce che la persecuzione non viene solo dal fondamentalismo, ma anche dal laicismo delle società secolarizzate che soffoca la dimensione religiosa, eliminando un elemento importante per la vita dell'uomo e la convivenza tra i popoli: il fondamentalismo religioso e il laicismo sono forme speculari ed estreme di rifiuto del legittimo pluralismo e del principio di laicità;
    recentemente Papa Francesco ha più volte sottolineato – sia nella predicazione rivolta a tutti che negli incontri con i Capi di Stato, come ha fatto pochi giorni fa con Obama – il valore fondamentale della libertà religiosa. L'ha definita via indispensabile per la pace ed ha denunciato coraggiosamente la grave mancanza di libertà religiosa di cui soffrono gli uomini e, in particolare, proprio i cristiani in molti Paesi del vicino Oriente, ancora una volta vittime innocenti di una persecuzione che, in modi e in luoghi diversi, li costringe ad una sempre più massiccia diaspora dalle terre in cui vivono;
    gli attentati alle chiese cristiane, che si sono intensificati negli ultimi tempi, dimostrano chiaramente come l'obiettivo degli integralisti sia una vera e propria «pulizia etnica» dei cristiani dal Medio Oriente, ovvero un'espulsione dalle terre mediorientali delle comunità cristiane che da oltre 2.000 anni le abitano. Violenza materiale e relativismo culturale sono diverse modalità con cui oggi si colpisce la libertà religiosa, uno dei primi e più importanti diritti dell'uomo, inviolabile per sua stessa natura. Mortificarla e calpestarla offende tutti i diritti umani e ferisce la persona nella sua concretezza e nella sua universalità;
    sono aumentati in modo significativo delle vere e proprie aggressioni nei confronti delle comunità cristiane in Africa, Medio Oriente e Asia, in particolare in Pakistan, in Indonesia e nella Repubblica popolare cinese, dove il Governo ha intensificato proprio in questi mesi la propria ingerenza negli affari religiosi, incrementando la repressione nei confronti della Chiesa cattolica, ordinando nuovi vescovi della cosiddetta Chiesa cattolica patriottica; in Paesi come Iran e Corea del Nord la religione è sotto stretto controllo, nell'ambito del più ampio tentativo di dominare la vita politica e sociale in generale. Altri Stati come l'Eritrea opprimono la gente al punto tale che i credenti sono costretti a rinunciare alla propria fede o a lasciare il Paese. Talvolta la situazione è aggravata da gruppi estremisti come Al-Qaeda, che nel 2013 ha invocato attacchi violenti contro le minoranze religiose in Medio Oriente. Nel 2013 vi sono stati attentati contro luoghi sacri e fedeli sunniti, sciiti, ahmadiyya e cristiani;
    in questo crescente clima di odio e di intolleranza colpisce il silenzio delle organizzazioni internazionali, a cominciare dall'Organizzazione delle Nazioni Unite, e la flebile risposta dell'Unione europea. Si nota in modo stridente la mancanza di un'iniziativa forte e decisa da parte della diplomazia internazionale. L'Onu si dice costernata, ma non risulta aver preso iniziative di qualsiasi tipo. L'Occidente democratico assiste, pressoché muto, distratto, tra l'indifferenza e la rassegnazione, al massacro dei cristiani in Oriente, come se non ci si trovasse davanti ad un'intollerabile aggressione ai diritti umani. La cultura dei diritti umani stenta a trovare una voce forte ed autorevole che si schieri dalla parte della libertà religiosa, con energia e determinazione;
    la laicità positiva di uno Stato si esprime anche nella tutela di tale valore essenziale nella vita di tutti i cittadini, perché uno Stato che tacesse davanti alla violazione di un diritto inviolabile se ne renderebbe immediatamente complice e perderebbe credibilità e autorevolezza. La pace è necessaria per lo sviluppo umano ed economico, ma proprio per questo occorre fondarla su un rinnovato rispetto per la libertà religiosa delle minoranze del mondo intero;
    un fatto recente induce a riprendere la riflessione sulla libertà di religione, sollecitando la responsabilità di tutti gli uomini nel difendere e tutelare la libertà di religione come il primo e principale dei diritti civili dell'uomo: è l'ennesima storia di cristianofobia, quella che proviene dal Pakistan. Nella città di Lahore, nella parte nordorientale del Paese, Sawan Masih, cristiano, è stato condannato a morte con l'accusa di blasfemia per aver insultato il profeta Maometto durante una discussione;
    il verdetto del tribunale di primo grado di Lahore nei confronti del cristiano Sawan è arrivato giovedì 27 marzo 2014. L'episodio ha scatenato l'ira di oltre tremila musulmani che si sono scagliati contro il quartiere cristiano dove l'uomo viveva, incendiando 178 abitazioni, una ventina di negozi e due chiese. Oltre 400 famiglie hanno perso la casa, eppure gli 83 uomini ritenuti colpevoli dell'attacco sono stati tutti rilasciati su cauzione;
    il 2 aprile 2014, nella sala stampa della Camera dei deputati, nel corso di una conferenza stampa promossa dall'associazione Pakistani Cristiani in Italia, in collaborazione con alcuni parlamentari italiani, è stata presentata la campagna di raccolta-firme «Salviamo Sawan Masih». Le firme saranno presentate al presidente del Pakistan per chiedergli di intervenire in difesa delle minoranze, sempre più deboli davanti all'abuso della legge. Bisogna chiedere con insistenza che venga fatta giustizia e per far vedere che la comunità internazionale non sta in silenzio mentre vengono violati i diritti dei cristiani;
    la situazione dei cristiani in Pakistan sta cambiando negli ultimi anni e c’è un'azione organizzata contro i cristiani pakistani per costringerli ad abbandonare il Paese. È in atto un vero e proprio genocidio: basta ricordare i sette cristiani morti bruciati vivi a Gojra. E la stessa legge sulla blasfemia in un prossimo futuro potrebbe anche peggiorare, dal momento che la Corte federale della sharia ha proposto di modificare la legge, eliminando la possibilità di essere condannati all'ergastolo e lasciando solo la pena di morte;
    il Governo pakistano oggi però non vuole aiutare le minoranze. Le vittime cristiane di Joseph Colony, il quartiere incendiato e distrutto, non hanno ancora ricevuto il risarcimento promesso per ricostruire le loro case, mentre gli aggressori, le 82 persone musulmane, arrestate per la demolizione del quartiere, sono state tutte liberate su cauzione, e Sawan, innocente, è stato condannato a morte. I suoi familiari si trovano in un luogo nascosto e segreto, perché rischiano la vita;
    la comunità internazionale per aiutare i cristiani del Pakistan, oltre a firmare la petizione, deve opporsi al tentativo del Pakistan di internazionalizzare la legge sulla blasfemia. Il Pakistan, in qualità di rappresentante dell'Organizzazione della conferenza islamica, che riunisce 56 Paesi islamici, ha presentato all'Onu una risoluzione contro la diffamazione della religione. Sotto l'apparenza positiva, si nasconde il desiderio di estendere in tutto il mondo la legge sulla blasfemia. L'Occidente deve opporsi a questo tentativo. Urge invece promuovere l'abrogazione della legge sulla blasfemia;
    oltre ai casi citati al momento sono due le aree geografiche ritenute ad altissimo rischio per le comunità cristiane: la piana di Ninive dove vive circa la metà dei cristiani che sono rimasti in Iraq e dove la situazione potrebbe precipitare per l'avanzata delle milizie dell'Isis (il cosiddetto Stato Islamico dell'Iraq e del Levante), appoggiate da altri gruppi, che dopo la presa di Mosul hanno bombardato la città di Karakosh; lo Stato del Borno in Nigeria, dove domenica gli estremisti di Boko Haram hanno ucciso 54 cristiani durante un attacco contro alcune chiese,

impegna il Governo:

   ad attivarsi con determinazione per la tutela della libertà religiosa, come uno dei diritti inviolabili dell'uomo, fondamento di tutte le altre libertà, denunciando ogni forma di cristianofobia nei Paesi in cui i cristiani sono perseguitati;
   a promuovere misure di prevenzione dell'intolleranza, attraverso la messa al bando di ogni forma di incoraggiamento del fanatismo e dell'odio religioso, sia in ambito educativo e culturale, sia attraverso i mezzi di comunicazione di massa;
   a promuovere, specie in occasione del semestre italiano di Presidenza del Consiglio dell'Unione europea, l'istituzione di una giornata europea dei martiri cristiani per ricordare i tanti cristiani del nostro tempo uccisi in odio alla fede;
   a promuovere un'iniziativa in sede di Unione europea e in sede di Unione per il Mediterraneo, con l'obiettivo di compiere passi formali nei confronti di quei Paesi nei quali le minoranze religiose vengono minacciate o perseguitate sino ad impedire l'esercizio del diritto fondamentale della libertà di culto;
   a promuovere in sede di Unione europea e di Unione per il Mediterraneo un'iniziativa finalizzata all'adozione di un Libro bianco sulla libertà religiosa nel mondo per analizzare e far conoscere all'opinione pubblica il dramma delle persecuzioni religiose e per monitorare periodicamente lo stato della libertà religiosa nella comunità internazionale;
   a rafforzare le politiche per la cooperazione internazionale, specialmente nei Paesi in cui le minoranze cristiane sono pesantemente discriminate, mantenendo gli impegni multilaterali già assunti dall'Italia, promuovendo in sede di Unione europea e di Unione per il Mediterraneo la definizione di linee guida sulla libertà religiosa alle quali condizionare le scelte di cooperazione allo sviluppo, favorendo in questo modo i Paesi che mostrano progressi nel campo della libertà religiosa e segnalando i Paesi nei quali vengono alimentati o non contrastati l'odio e l'intolleranza;
    ad affermare nelle relazioni internazionali il principio di piena reciprocità in materia di libertà religiosa, in particolare per quanto concerne l'edificazione dei luoghi di culto delle minoranze religiose;
    a promuovere in sede Onu una conferenza internazionale sulla libertà religiosa, che consenta di avere un monitoraggio permanente delle persecuzioni religiose e per impegnare i diversi Stati ad intervenire tempestivamente nel contrasto e nella prevenzione dell'intolleranza e del fanatismo religiosi, posto che le numerose sfide, anche drammatiche, di questo 2014 vanno affrontate insieme: cristiani, musulmani, ebrei, credenti in altre fedi e non credenti nei Paesi sviluppati, nei Paesi emergenti e nei Paesi poveri, in modo anche di dare speranza alle nuove generazioni in ogni Paese;
    ad assumere iniziative presso il Governo del Pakistan o presso gli organismi internazionali al fine di richiamare il rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo e, in particolare, del diritto di libertà religiosa, nella speranza che non ci si limiti solo ad una formale convergenza di interventi a tutela dei cristiani minacciati, ma che queste iniziative diventino uno strumento politico concretizzandosi in un'azione politica, concreta e coraggiosa;
    ad assumere iniziative affinché parte degli aiuti destinati ad altri Paesi siano devoluti a progetti per la promozione delle minoranze religiose, con particolare attenzione all'educazione (ad esempio, borse di studio per appartenenti alle minoranze religiose);
   a richiedere che nei Paesi partner una quota dei posti nel pubblico impiego sia riservata alle minoranze religiose e che venga introdotto, nei diversi livelli dell'istruzione, lo studio storico ed introduttivo delle religioni cui appartengono le minoranze religiose.
(1-00423)
(Ulteriore nuova formulazione) «Binetti, Patriarca, Fucci, Roccella, Balduzzi, Gigli, Buttiglione, Dorina Bianchi, Preziosi, Calabrò, Pagano, Sberna, Fitzgerald Nissoli, Piccione, Cicu, Causin, Minardo, Garofalo, Bernardo, Faenzi, Santerini, Gitti, Venittelli, Valentini, Milanato, Laffranco, De Mita, D'Alia, Molea, D'Agostino, Vezzali, Petrini, Schirò, Terrosi, Cera, Kyenge, Fabrizio Di Stefano, Vignali».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Sarti n. 4-05006 del 3 giugno 2014;
   interrogazione a risposta scritta Rondini n. 4-05237 del 23 giugno 2014;
   interrogazione a risposta orale Molea n. 3-00906 del 26 giugno 2014;
   interrogazione a risposta in Commissione Piazzoni n. 5-03099 del 26 giugno 2014.

Ritiro di una firma da una mozione.

  Mozione Binetti e altri n. 1-00423, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 aprile 2014: è stata ritirata la firma dal deputato Molteni.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta scritta Fico n. 4-05308 pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 253 del 26 giugno 2014. Alla pagina 14447, seconda colonna, dalla riga ventiduesima alla riga trentunesima, deve leggersi: «digitale tale da consentire alle due Camere la migrazione degli attuali canali istituzionali nel nuovo sistema universale, mantenendone una piena autonomia» –:
   occorerebbe verificare quali siano, in dettaglio, le voci di costo che compongono l'ammontare del canone annuo pattuito tra Rai Way e le amministrazioni di Camera e Senato per l'erogazione del servizio di diffusione via satellite dei lavori parlamentari»; «e non «digitale tale da consentire alle due Camere la migrazione degli attuali canali istituzionali nel nuovo sistema universale, mantenendone una piena autonomia»;
   quali siano, in dettaglio, le voci di costo che compongono l'ammontare del canone annuo pattuito tra Rai Way e le amministrazioni di Camera e Senato per l'erogazione del servizio di diffusione via satellite dei lavori parlamentari –:», come stampato.