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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 24 giugno 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


  La Camera,
   premesso che:
    il Mobile User Objective System (MUOS) è un sistema militare di comunicazioni satellitari ad altissima frequenza e a banda stretta, composto da 4 satelliti e 4 stazioni di terra, una delle quali è in fase di realizzazione in Sicilia, a Niscemi (Caltanissetta), all'interno della riserva naturale Sughereta, sito di interesse comunitario;
    l'impianto di Niscemi è composto da 3 antenne paraboliche basculanti (di diametro pari a 18,4 metri e ad altissima frequenza) e da 2 antenne elicoidali UHF, alte 149 metri;
    nella base militare americana di Niscemi è già allocata la Naval Radio Transmitter Facility (NRTF-8), un'importante centrale di telecomunicazioni composta 44 antenne, di cui operanti 21 (20 in alta frequenza per comunicazioni di superficie ed una in bassa frequenza per comunicazioni sotto la superficie del mare);
    il programma MUOS è gestito dall'Us Navy (marina militare degli USA) ed è destinato a integrare forze navali, aeree e terrestri, in movimento in qualsiasi parte del mondo e a coordinare tutti i sistemi militari statunitensi dislocati nel globo;
    il provvedimento di autorizzazione all'installazione è frutto della stipula di un accordo bilaterale Usa-Italia del 2001, poi ratificato nel 2006, rilasciato dall'assessorato regionale del territorio e dell'ambiente a seguito di apposita conferenza di servizi svoltasi il 9 settembre 2008;
    i lavori vennero approvati dal Ministero della difesa con nota del 31 ottobre 2006, nella quale si precisava che i progetti «dovranno essere conformi alla normativa tecnica italiana e che prima della messa in funzione del sistema deve essere garantito e certificato che le emissioni elettromagnetiche rientrino nei parametri stabiliti dalle vigenti leggi italiane»;
    il 1o giugno 2011 è stato firmato un protocollo d'intesa tra Ministero della difesa e Regione siciliana, con il quale le parti «ognuna per quanto di propria competenza, definiscono termini, modalità ed impegni volti a garantire che l'installazione del sistema MUOS avvenga nel rispetto irrinunciabile della salvaguardia della salute della popolazione, della sicurezza dell'area, della tutela dell'ambiente, della conservazione della biocenosi e della fruizione e della valorizzazione della RNO Sughereta di Niscemi»;
    la costruzione del MUOS, inizialmente prevista a Sigonella (nel territorio di Lentini, in provincia di Siracusa), è stata spostata a Niscemi in seguito agli esiti dello studio di valutazione di impatto elettromagnetico «Sicily radhaz radio and radar radiation hazard model», realizzato per conto delle forze armate statunitensi da AGI e Maxym System;
    l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente siciliana ha effettuato una serie di rilevamenti sulle emissioni di onde elettromagnetiche generate dalla stazione e tali misurazioni hanno evidenziato il raggiungimento della soglia di attenzione indicata dalla legislazione italiana (legge n. 36 del 2001 e decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 luglio 2003) nel valore di 6 volt/metro (anche se tali misure sembrano essere falsate da «malfunzionamento dei dispositivi di monitoraggio» come affermato dall'Ispra nella relazione del 24 marzo 2014 consegnata in occasione dell'audizione effettuata presso il Senato della Repubblica);
    i valori, pur essendo fissati per legge, sono solo convenzionali e non escludono di per sé la possibilità di un danno alla salute delle popolazioni;
    l'azione investigativa dell'Arpa risulta, comunque, non esaustiva a causa della mancanza di dati certi, in quanto le informazioni tecniche sugli impianti e sullo stesso sistema MUOS sono in parte coperti da segreto militare;
    il principio di precauzione impone di valutare le possibili alternative, una volta che si sia deciso che l'attività debba necessariamente essere messa in atto, allorquando vi sia anche solo un rischio teorico o un allarme sociale;
    si trascinano intanto le azioni amministrative e giudiziarie iniziate con il sequestro della stazione radio del MUOS di Niscemi disposto dalla procura di Caltagirone il 6 ottobre 2012, per le supposte violazioni alle prescrizioni fissate dal decreto istitutivo dell'area protetta, sequestro annullato il 28 ottobre 2012 dal tribunale della libertà di Catania che ha dato il via libera alla ripresa dei lavori;
    a seguito di una riunione svoltasi in data 11 marzo 2013 e presieduta dal Presidente del Consiglio dei ministri è stata assunta la decisione di affidare all'Istituto superiore di sanità un ulteriore studio delle problematicità relative all'installazione dell'impianto MUOS e di introdurre strumenti di monitoraggio, sospendendo l'installazione delle parabole in attesa degli esiti dello studio stesso;
    l'Istituto superiore di sanità ha costituito un apposito gruppo di lavoro, con la partecipazione di rappresentanti della regione, per la verifica della compatibilità elettromagnetica del sistema con la salute della popolazione locale;
    il Governo della Regione siciliana ha revocato in data 29 marzo 2013 l'autorizzazione per la realizzazione del MUOS di Niscemi, ma, il 20 aprile 2013, il Ministero della difesa ha chiesto, con un ricorso al Tar della Sicilia, l'annullamento della revoca e la relativa condanna per la Sicilia a risarcire i danni;
    il 9 luglio 2013, con ordinanza n. 469, il Tar di Palermo ha respinto il ricorso del Ministero della difesa, ritenendo che la priorità assoluta sia la salute dei cittadini: secondo i giudici del Tar, il sistema radar americano non desta preoccupazione solo per le emissioni ma anche per le interferenze con gli aeroporti: «sussistono seri dubbi anche in ordine all'incidenza e alla pericolosità del sistema in questione sul traffico aereo della parte orientale dell'isola (aeroporti di Comiso, Sigonella e Catania)»;
    il Tar ha stabilito che resta in vigore la decisione di bloccare i lavori di realizzazione del MUOS contestati duramente dalla popolazione locale per le conseguenze sulla salute delle emissioni dei radar e ha sottolineato la necessaria «sottoposizione dell'amministrazione militare statunitense alla legislazione nazionale e al rispetto della complessiva disciplina vigente in Italia»;
    nonostante il ricorso del Ministero della difesa sia stato respinto dal Tar della Sicilia, a causa della mancanza di un referto che indichi la sicurezza del MUOS per la salute dei cittadini, il 24 luglio 2013 il governatore della regione siciliana ha annullato la revoca dell'autorizzazione precedentemente disposta, alla luce dello studio dell'Istituto superiore di sanità, che ha stabilito che la realizzazione dell'impianto non crea alcun danno alla salute dei cittadini, adducendo anche il motivo di non incorrere in una penale di 25.000 euro circa al giorno chiesta dagli Stati Uniti d'America;
    in data 5 settembre 2013 è stato presentato dall'Istituto superiore di sanità lo studio sul MUOS, realizzato in collaborazione con l'Organizzazione mondiale della sanità e l'Ispra, richiesto dal Ministero della salute, le cui conclusioni invitano ad una «particolare attenzione e cautela» e alla realizzazione di un «sistema di sorveglianza epidemiologica dello stato di salute delle persone residenti a Niscemi», al fine di «poter rilevare eventuali variazioni di frequenza di patologie e di fornire dati tempestivi alla popolazione residente»;
    lo studio sulla valutazione delle esposizioni della popolazione ai campi elettromagnetici collegati all'installazione delle nuove antenne individua i bambini come categoria più a rischio, specificando che la «presenza nella popolazione di Niscemi di una componente giovanile più accentuata che nell'intera regione richiede una particolare attenzione e cautela»;
    l'Istituto superiore di sanità precisa che, secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, «c’è un'evidenza diretta che i bambini sono più suscettibili degli adulti ad almeno alcuni cancerogeni, incluse alcune sostanze chimiche e varie forme di radiazioni»;
    il documento si limita a constatare che «in merito all'esposizione ai campi elettromagnetici e al profilo di salute, nella letteratura internazionale non esistono studi che abbiano fornito evidenze sufficienti per pronunciarsi in modo positivo o negativo sugli effetti sulla salute»;
    il gruppo di lavoro si è confrontato durante il corso dei lavori con esperti nominati dalla regione, tecnici del Ministero della salute, dell'Ispra ed esperti dell'Organizzazione mondiale della sanità, i quali hanno avuto modo di visionare quanto redatto, fare domande e presentare documenti aggiuntivi;
    alcune considerazioni critiche espresse dai tre esperti nominati dalla regione, afferenti all'Arpa della Sicilia, all'assessorato regionale alla sanità e al Politecnico di Torino, sono state recepite dal gruppo di lavoro dell'Istituto superiore di sanità, mentre nel documento sono presenti osservazioni discordanti con la relazione finale, soprattutto per quanto riguarda l'impatto elettromagnetico del MUOS;
    la relazione elaborata dagli esperti della Regione siciliana, dottor Mario Palermo e professor Massimo Zucchetti, che hanno espresso un loro parere sulle conclusioni della relazione del gruppo di lavoro dell'Istituto superiore di sanità per quanto riguarda gli aspetti di impatto elettromagnetico, sottolinea, infatti, che: «stante i risultati delle indagini e valutazioni ISS, ISPRA e ARPAS, (...) per quanto riguarda (...) le altre fonti inquinanti, e stante i risultati sull'inquinamento chimico e sul profilo di salute dei niscemesi – che mettono in evidenza correttamente molte criticità – gli scriventi ritengono che la costruzione del MUOS ricada in un contesto di grave inquinamento ambientale in fase di bonifica, che non può e non deve ulteriormente essere inquinato con altre installazioni. Per quanto riguarda il profilo di salute della popolazione di Niscemi, considerando la situazione sanitaria complessivamente non positiva che emerge, con un numero elevato di fattori oncogeni e patogeni simultaneamente presenti, sarebbe necessaria un'azione di attento monitoraggio e di ulteriore indagine»;
    l'installazione di una rete di rilevazione è già prevista dal protocollo d'intesa tra il Ministero della difesa e la Regione siciliana del giugno 2011 e, dopo la rimozione delle revoche disposte dalla regione, le attività per l'installazione della rete di monitoraggio sono state riavviate con il coinvolgimento diretto dell'Arpa della Sicilia, la quale ha indicato i luoghi dove posizionare le centraline di rilevamento;
    il MUOS suscita un'enorme preoccupazione nella popolazione siciliana, non solo della zona in cui insiste, ma di tutta l'isola, ed è per questo che si è formato un grande movimento, al quale si registra un'ampia partecipazione della popolazione;
    la normativa italiana ha assunto il principio di precauzione, pertanto occorre considerare anche la relazione prodotta dagli esperti nominati dalla Regione siciliana nell'ambito del predetto gruppo di lavoro (in particolare, si sottolinea, testualmente, che «una delle conseguenze dell'adozione del principio di precauzione è la fissazione di limiti più restrittivi di quelli internazionali per l'esposizione a lungo termine della popolazione. Tali limiti sono stati fissati in base ad un compromesso tra esigenze tecniche e risultanze scientifiche e il loro rispetto non garantisce in assoluto l'assenza di rischio»);
    si deve considerare che la costruzione del MUOS ricadrebbe in una zona ad alto rischio ambientale in fase di bonifica, perché limitrofa al territorio di Gela gravato dall'inquinamento prodotto dalle raffinerie; peraltro, si tratta anche di una zona ad alto rischio sismico;
    la relazione dell'Istituto superiore di sanità conclude rilevando la necessità di un'attenta e costante sorveglianza sanitaria della popolazione delle aree interessate, oltre che dell'attivazione di un monitoraggio dei livelli di campo elettromagnetico successivamente alla messa in funzione delle antenne del MUOS;
    la relazione prosegue evidenziando che «è stata inoltre rilevata l'opportunità di valutare nel tempo anche l'impatto della variabile ambientale dovuta all'industrializzazione delle aree limitrofe». Infatti, se è vero, come risulta da diversi studi, che non vi sono certezze, non ve ne sono né in un verso né nell'altro;
    i dati evidenziati dalla relazione sono contraddittori o comunque generano più allarme di quelli riportati nelle conclusioni dello studio effettuato dall'Istituto superiore di sanità;
    il ricorso ad una nuova indagine epidemiologica, pur auspicabile, sulla popolazione residente non appare risolutivo per la serenità della popolazione stessa, in quanto la bassa incidenza in popolazione di patologie non consente di accertare l'eventuale nesso di causalità,

impegna il Governo:

   a prevedere l'obbligatorietà per le autorità nazionali di condurre valutazioni periodiche per verificare l'impatto ambientale degli impianti MUOS e gli effetti sulla salute per le popolazioni, garantendo che le verifiche siano condotte in piena autonomia e sotto la responsabilità delle autorità italiane;
   a rispondere con sistematicità, trasparenza ed accuratezza alle gravi perplessità insorte a causa della costruzione del MUOS e manifestate dai cittadini, veicolando una corretta informazione;
   ad adottare ed accelerare le misure per l'adozione di un sistema di monitoraggio continuo dei campi elettromagnetici, secondo quanto già previsto dal protocollo d'intesa del 1o giugno 2011, tra il Ministero della difesa e la Regione siciliana, coinvolgendo il sistema pubblico, nel rispetto dei limiti delle emissioni previsti dalla legge;
   a valutare e sostenere, nel rispetto delle previsioni disciplinate dal protocollo d'intesa del 1o giugno 2011 citato, la fattibilità di un programma sistematico comprendente, tra l'altro:
    a) il monitoraggio e la caratterizzazione delle emissioni dell'impianto MUOS;
    b) campagne ambientali di misura dei campi elettromagnetici da radiofrequenze nell'area, orientate a produrre stime affidabili dei valori puntuali dei livelli di esposizione della popolazione nel tempo e nello spazio, anche applicando adeguati metodi di modellizzazione, utili nel futuro per contribuire a produrre conoscenze sugli effetti sulla salute;
   ad assicurare la riuscita del predetto programma attraverso un percorso che coinvolga anche enti e istituzioni competenti ed autonomi;
   a far rispettare il protocollo d'intesa tra il Ministero della difesa e la Regione siciliana del 1o giugno 2011 che prevedeva, tra gli altri, i seguenti impegni da parte del Ministero della difesa: la riduzione delle emissioni a radiofrequenza grazie all'installazione di un sistema di trasmissione interrato a fibre ottiche, per mitigare l'esposizione ai campi elettromagnetici generati dagli apparati di trasmissione già esistenti; la fornitura di strumentazione necessaria all'installazione di un sistema di monitoraggio in continuo dei campi elettromagnetici, da integrare nella rete regionale di monitoraggio dell'Arpa della Sicilia, che ne curerà la gestione e l'elaborazione dei dati, i quali saranno resi sempre disponibili all'amministrazione di Niscemi; la rimozione tempestiva delle antenne in disuso, privilegiando tecnologie di trasmissione alternative ed innovative e tali da ridurre i consumi energetici e le emissioni;
   a mettere in atto da subito l'azione, prevista al punto 3.6 del protocollo d'intesa, di supporto agli organismi territoriali per la promozione del prodotto agro-alimentare dell'area di Niscemi non solo sul territorio nazionale, ma anche su quello internazionale, avvalendosi anche dell'Ice;
   a prevedere l'immediata interruzione del sistema laddove, dal monitoraggio, emergessero risultati nocivi per la popolazione, come previsto dall'accordo del 2011;
   a valutare l'opportunità che le attività di controllo e di prevenzione del rischio ambientale e sanitario nell'area di Niscemi vengano svolte anche mediante l'impiego del locale distaccamento dei volontari dei vigili del fuoco, con una copertura dei relativi servizi sulle 24 ore, e che i costi per la realizzazione di tali servizi siano posti, nell'ambito di un apposito atto convenzionale, a carico del soggetto responsabile della gestione amministrativa della centrale di radiotrasmissione in cui è ubicato il MUOS;
   a presentare annualmente al Parlamento una relazione sintetica, ma esaustiva, delle azioni realizzate e del percorso compiuto in adempimento di quanto previsto dal presente atto di indirizzo.
(1-00513) «Scanu, Bratti, Braga, Lenzi, Cimbro, Villecco Calipari, Carrozza, Amendola, Raciti, Beni, Stumpo, Bolognesi, Carlo Galli, Giuditta Pini, Grassi, Zanin, Gullo, Piccione».


   La Camera,
   premesso che:
    in Italia sono attive dieci autorità amministrative indipendenti, cui si aggiungono la Banca d'Italia e l'Autorità garante della concorrenza del mercato; istituite con legge, esse esercitano funzioni amministrative in ambiti ad alti contenuto tecnico tali da esigere indipendenza e autonomia nei confronti del Governo, a tutela degli interessi coinvolti;
    la Banca d'Italia, dal 1988 parte integrante del Sistema europeo delle banche centrali, persegue finalità d'interesse generale nel settore monetario e finanziario: il mantenimento della stabilità dei prezzi, obiettivo principale dell'Eurosistema in conformità al Trattato sul funzionamento dell'Unione europea; la stabilità e l'efficienza del sistema finanziario; autorizza, disciplina, coordina e vigila l'esercizio del credito; dal 2012 determina gli indirizzi dell'IVASS, Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni, che ha compiti di vigilanza sul settore assicurativo;
    la Consob, la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob), istituita 1974, tutela gli investitori, l'efficienza, la trasparenza e lo sviluppo del mercato mobiliare italiano;
    l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, istituita nel 1990, insieme alle altre autorità dell'Unione europea fa parte della «Rete europea della concorrenza»; in applicazione della normativa comunitaria, il regolamento (CE) n. 1/2003, ha la possibilità di applicare direttamente le norme comunitarie in coordinamento con la Commissione europea. Garantisce il rispetto delle regole che vietano le intese anticoncorrenziali tra imprese, gli abusi di posizione dominante e le concentrazioni in grado di creare o rafforzare posizioni dominanti dannose per la concorrenza; contrasta la pubblicità ingannevole delle aziende e tutela i consumatori e le microimprese dalle pratiche commerciali scorrette delle imprese; esercita il controllo sulla pubblicità comparativa e assicura tutela amministrativa contro le clausole vessatorie inserite nei contratti con i consumatori; infine, applica la legge sul conflitto di interessi dei titolari delle cariche di Governo;
    la Commissione di garanzia dell'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, istituita nel 1990, con il compito di vigilare sul corretto contemperamento dell'esercizio del diritto di sciopero nei cosiddetti servizi pubblici essenziali, con il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà ed alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all'assistenza e previdenza sociale, all'istruzione ed alla libertà di comunicazione;
    la Commissione di vigilanza sui fondi pensione, istituita nel 1993, autorizza l'attività dei fondi pensione, garantisce ed assicura la trasparenza e la correttezza nella gestione e nell'amministrazione dei fondi pensione; svolge attività ispettive e di vigilanza;
    l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, istituita nel 1995, tutela gli interessi dei consumatori e promuove la concorrenza, l'efficienza e la diffusione di servizi con adeguati livelli di qualità nei settori dell'energia elettrica, del gas e del sistema idrico, attraverso l'attività di regolazione e di controllo;
    l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, istituita nel 1997, vigila sulla corretta competizione degli operatori delle telecomunicazioni sul mercato; svolge in particolare funzioni di regolamentazione e vigilanza nei settori delle telecomunicazioni, dell'audiovisivo, dell'editoria e delle poste;
    il Garante per la protezione dei dati personali, istituito nel 2004, controlla che i trattamenti dei dati personali siano conformi a leggi e regolamenti e prescrive ai titolari e ai responsabili dei trattamenti le misure da adottare per svolgere correttamente il trattamento, decidendo altresì sui ricorsi ad esso rivolti e adottando provvedimenti;
    l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, istituita nel 2006, vigila sul rispetto delle regole che disciplinano la materia dei contratti pubblici, garantendo correttezza e trasparenza nella scelta del contraente, economicità ed efficienza nell'esecuzione dei contratti e rispetto della concorrenza nelle procedure di gara;
    l'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza. Istituita nel 2011, promuove l'attuazione delle misure previste dalla convenzione di New York e da altri strumenti internazionali finalizzati alla promozione e alla tutela dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza;
    l'Autorità di regolazione dei trasporti, istituita nel 2011, è competente per la regolazione nel settore dei trasporti e dell'accesso alle relative infrastrutture ed ai servizi accessori; essa definisce i livelli di qualità dei servizi di trasporto e di contenuti minimi dei diritti che gli utenti possono rivendicare nei confronti dei gestori;
    l'Autorità nazionale anticorruzione, istituita nel 2013, svolge funzioni di valutazione e trasparenza delle amministrazioni pubbliche;
    il quadro italiano si presenta dunque profondamente disorganico, con ben undici autorità indipendenti con funzioni a volte limitrofe; alcune hanno un diretto collegamento con organismi affini di altri Paesi europei nell'ambito di norme comunitarie, altre esistono solo in Italia. La suddetta fisionomia, probabilmente dovuta al fatto che la costruzione delle autorità amministrative indipendenti è avvenuta per sedimentazione, si presenta disorganica anche nel modello di governance;
    su alcuni settori l'istituzione di autorità indipendenti ad avviso dei firmatari del presente atto ha spogliato di fatto il Parlamento di alcune precipue prerogative, ivi incluse le funzioni di controllo; spesso le autorità oppongono l'indipendenza al fine di non consentire attività di carattere ispettivo, in alcuni casi in modo legittimo, in altri, secondo i firmatari del presente atto, anche in modo ingiustificato;
    a livello europeo il quadro, pure frastagliato, è certamente più organico;
    in Francia, la Commission de régulation de l’énergie, autorità amministrativa indipendente incaricata di vigilare sul buon funzionamento dei settori dell'elettricità e del gas, è stata istituita con la legge n. 2000-108 sulla modernizzazione e lo sviluppo del servizio pubblico dell'elettricità; l’autorité de Régulation des activités ferroviaries è autorità amministrativa indipendente, relativa all'organizzazione e alla regolamentazione dei trasporti ferroviari e guidati e recante diverse disposizioni in materia di trasporti; la regolamentazione dei trasporti dell'aviazione civile e dei trasporti marittimi e su strada è affidata a direzioni generali del Ministero dell'ecologia, lo sviluppo sostenibile ed energia;
    in Spagna, nel 2013 è stata istituita la Comisión Nacional de los Mercados y la Competencia, con il compito di preservare e promuovere il corretto funzionamento, la trasparente e l'esistenza di una concorrenza effettiva in tutti i mercati e settori produttivi, a vantaggio dei consumatori e dagli utenti, con contestuale estinzione degli organismi precedenti;
    in Germania dal 2005 esiste l'Agenzia federale delle reti (Bundesnetzagentur, BNetzA). Autorità tedesca di regolamentazione per i settori dell'elettricità, del gas, delle telecomunicazioni, delle poste e delle ferrovie. È un'agenzia governativa che dipende dal Ministero federale dell'economia e della tecnologia e ha sede a Bonn;
    nel Regno Unito, il settore dell'energia è controllato dall’Office of Gas and Electricity Market; quello dei trasporti dalla Civil Aviation Authority e dall’Office of Rail Regulation; quello delle telecomunicazione dall’Office of Communications;
    oltre che le differenti strutture, a livello europeo le autorità indipendenti si differenziano per lo stato giuridico, la forma di finanziamento, le forme di indipendenza dal sistema politico ed economico, la durata del mandato la trasparenza nel rapporto con la collettività;
    la riduzione del numero delle autorità, l'accorpamento delle diverse funzioni, l'armonizzazione dei sistemi di governance e delle regole per procedere alla nomina, tramite l'elaborazione di un testo unico sulle autorità indipendenti raggiungerebbe il doppio scopo di semplificare il rapporto tra il cittadino/consumatore e l'autorità, nonché di rendere più celere ed efficace la capacità di intervento delle autorità indipendenti;
    la semplificazione sarebbe tanto più vantaggiosa per il mondo delle imprese, che spesso devono confrontarsi con autorità diverse con funzioni limitrofe, fenomeno che sviluppa gravi inefficienze,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di assumere iniziative per procedere ad una revisione delle autorità amministrative indipendenti, al fine di ridurne il numero, chiarirne le funzioni e aumentarne l'efficacia.
(1-00514) «Boccadutri, Bruno Bossio, Aiello, Di Lello, Daniele Farina, Fiano, Giampaolo Galli, Kronbichler, Lacquaniti, Librandi, Losacco, Marcon, Matarrelli, Melilla, Misiani, Plangger, Pastorelli, Porta, Andrea Romano, Rosato, Sannicandro, Scuvera».


   La Camera,
   premesso che:
    nell'ultimo decennio l'uso di internet ha raggiunto dimensioni tali che la disponibilità di connessioni veloci e superveloci per un Paese è ormai una precondizione essenziale per la sua crescita economica e sociale. Numerosi sono gli studi di autorevoli istituzioni internazionali (OCSE Broadband and the Economy – Banca Mondiale Economic impact of Broadband – Unesco The State of Broadband 2012) che evidenziano come gli investimenti in banda larga abbiano effetti diretti e indiretti sulla crescita complessiva dei sistemi sociali, sull'efficienza delle imprese, sull'aumento della produttività, dell'innovazione tecnologica e dell'occupazione. La Banca Mondiale quantifica che una variazione di 10 punti percentuali della penetrazione della banda larga possa generare una crescita del PIL dei Paesi sviluppati dell'1,2 per cento. In virtù di queste considerazioni, la Commissione Europea, nell'ambito dell'Agenda Digitale, ha fissato una serie di target per stimolare i Paesi membri alla realizzazione di nuove infrastrutture di telecomunicazione, ponendo l'obiettivo di conseguire entro il 2020 una copertura totale della connessione a 30 Mbps e di 100 Mbps per almeno il 50 per cento della popolazione;
    anche in Italia numerosi sono gli studi volti a misurare l'impatto economico degli investimenti nella banda larga e ultra larga. Una ricerca dell'Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni (Agcom), l’Authority preposta ad assicurare la corretta competizione degli operatori nel mercato delle telecomunicazioni e a tutelare il pluralismo informativo e le libertà fondamentali dei cittadini nell'accesso alla conoscenza e alla comunicazione, evidenzia chiaramente che, se la banda larga arrivasse al 60 per cento delle famiglie e al 90 per cento delle imprese, il potenziale per l'economia italiana sarebbe di un aumento del PIL dell'1,2 per cento, nella peggiore delle ipotesi, e del 12,2 per cento nella migliore;
    a fronte di tali importanti dati, che avrebbero di molto migliorato le capacità di risposta del nostro Paese alla crisi economica, la realizzazione di reti di accesso a internet ad alta velocità risulta allo stato attuale insoddisfacente. Come dimostra lo scoreboard sui progressi dell'Agenda digitale europea dedicato all'Italia, il nostro Paese vede una copertura della rete Next Generation Access Network (NGAN), con velocità di connessione di almeno 30mbps, pari al 14 per cento delle abitazioni contro una media europea del 53,8 per cento mentre la penetrazione della fibra ultraveloce (ad almeno 100mbps) appare del tutto marginale. Secondo dati Agcom la penetrazione della banda larga in Italia, a fine 2013, constava di meno di 14 milioni di collegamenti su rete fissa e di 38 milioni di cellulari con accesso ad internet. Dati questi che pur indicando una crescita, rispetto all'ultimo anno, sono comunque tali da non modificare significativamente il ritardo digitale del nostro Paese, il cui dato più emblematico è quel 45 per cento di popolazione che ancora non usa internet, anche perché milioni di unità abitative e produttive sono ancora senza nessuna copertura. La situazione, inoltre, si presenta critica anche laddove le unità abitative e produttive sono raggiunte da connessione in quanto la sua qualità è la peggiore in Europa. Secondo il rapporto Akami sullo stato di internet 2013, infatti l'Italia compare al 48esimo posto al mondo per velocità della connessione, ultimi nella graduatoria europea poiché anche Cipro e Grecia ci superano;
    il ritardo della copertura della nostra rete infrastrutturale di telecomunicazioni, rispetto agli altri partner europei, è stata fotografata anche nel recente rapporto Caio, il team di esperti istituito dal precedente Governo Letta per fare luce sullo stato degli investimenti nella nostra rete. Dal rapporto «Raggiungere gli obiettivi Europei 2020 della banda larga in Italia: prospettive e sfide», presentato il 30 gennaio 2014, si sostiene esplicitamente che l'obiettivo della totale copertura della rete con velocità a 30Mbps entro il 2020 è di impossibile realizzazione per una parte rilevante del Paese e pertanto si auspica nelle conclusioni un ruolo attivo, vigile e continuo del Governo e quindi dello Stato al fine del conseguimento degli obiettivi DAE 2020 che altrimenti, date le condizioni date, rimarrebbero a rischio;
    da questi dati si evince chiaramente come la causa principale della difficoltà del nostro Paese ad uscire dalla crisi economica è imputabile prioritariamente all'inadeguatezza della nostra infrastruttura di rete e questo è paradossale considerando che l'Italia è stata per anni all'avanguardia nel mondo delle telecomunicazioni. Infatti, Telecom Italia prima della privatizzazione era la più importante società di telecomunicazioni del mondo. Con 120.000 dipendenti solo in Italia, contava 30 partecipate estere, disponeva di un ingente ed innovativo patrimonio tecnologico e di know how tale da essere stata la prima a portare sul mercato le carte prepagate e, se non fosse stata privatizzata, la prima a portare la fibra ottica in 20 milioni di abitazioni (progetto «Socrate»). Il suo debito, 20 per cento del fatturato, era assolutamente trascurabile;
    con la privatizzazione avviata dal 1997 dal Governo Prodi ad oggi, Telecom Italia è stata oggetto secondo i firmatari del presente atto di indirizzo della più colossale truffa finanziaria che sia mai stata realizzata nel nostro Paese. Progressivamente depauperata delle proprie risorse umane, finanziarie e strumentali, per ripianare i cospicui debiti serviti per le sue scalate, il Gruppo si è trovato nella totale impossibilità di far fronte agli investimenti necessari a colmare il digital divide del nostro Paese e di ammodernare le reti esistenti. Secondo stime di Asati, l'associazione dei piccoli azionisti di Telecom Italia, la privatizzazione è costata direttamente alla compagnia di bandiera 26 miliardi di euro, 70.000 posti di lavoro e la svendita del suo immenso patrimonio tecnologico ed immobiliare e indirettamente all'intero sistema Paese per gli inquantificabili costi economici e sociali per l'inadeguatezza della sua infrastruttura;
    attualmente Telecom Italia, oltre ad avere un indebitamento netto pari a circa 28 miliardi di euro e un lordo di 36 miliardi, opera in un mercato domestico caratterizzato da una congiuntura economica negativa e su una rete obsoleta che necessita di urgenti interventi di ammodernamento;
    Internet è uno strumento indispensabile per la libertà di espressione dei cittadini e per l'accesso alle informazioni, alla istruzione, alla formazione, ai servizi sanitari, al turismo ed alla cultura. Ma è un fattore ancor più importante ai fini dello sviluppo e della crescita economica delle imprese poiché la quasi totalità della nostra economia si fonda sulla presenza in rete;
    gli investimenti finora assicurati da Telecom Italia si sono dimostrati insufficienti per garantire il raggiungimento degli obiettivi previsti dall'Agenda digitale europea e la situazione di forte indebitamento del Gruppo non fa presagire un rapido incremento degli stessi tali da garantire l'accesso alla rete a condizioni almeno pari a quelle assicurate negli altri Paesi comunitari. Non solo.  La presenza nel board di Telefonica, la compagnia telefonica iberica diretta concorrente sui mercati internazionali di Telecom Italia, è un ulteriore dimostrazione dell'incapacità dell'attuale assetto societario di garantire non solo politiche industriali efficaci ma anche la stessa sicurezza della rete e delle informazioni che vi transitano. Le strategie commerciali di Telefonica sono antitetiche a quelle di Telecom Italia che detiene un assett fondamentale come Tim Brazil, di cui gli spagnoli vogliono liberarsi così come hanno già fatto con Telecom Argentina;
    per ragioni economiche e di sicurezza nazionale occorre agire immediatamente per un ritorno della nostra infrastruttura di telecomunicazione in mano pubblica, attraverso lo scorporo ovvero la separazione societaria della rete, in modo da garantire l’equivalence of input, sulla parità di trattamento di tutti gli operatori del mercato, attualmente di difficile realizzazione come ha attestato la recente sentenza del Tar del Lazio n. 4801/14 dell'8 maggio 2014 che ha confermato la condanna di Telecom Italia per abuso di posizione dominante, e gli investimenti necessari a raggiungere gli obiettivi dell'agenda digitale;
    lo scorporo ovvero la separazione societaria della rete non contrasta con la Costituzione e la normativa nazionale ed europea. Non contrasta in primis con l'articolo 41 della Costituzione che pur stabilendo che «l'iniziativa economica privata è libera» questa non «può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.» Principio di utilità sociale rafforzato dall'articolo 43 della Costituzione che stabilisce che: «ai fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.» La nostra rete di telecomunicazioni, che possiede caratteristiche di monopolio naturale, è una risorsa strategica per il nostro Paese, poiché garantisce quei servizi pubblici essenziali e di preminente interesse generale, quali la libertà di comunicazione, l'accesso alla conoscenza, la competitività e la crescita economica delle imprese, che sono costituzionalmente sanciti;
    anche in ambito comunitario non si evincono preclusioni alla separazione e rinazionalizzazione ex lege dell'infrastruttura di rete in quanto l'articolo 36 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione europea sancisce la tutela e il rispetto dell'accesso ai servizi di interesse economico generale, la cui individuazione rinvia alle legislazioni e prassi nazionali. Inoltre, nell'ambito dei servizi di interesse economico generale, l'articolo 14 TCE (ex articolo 16 del TCE) limita la regola della concorrenza preservando aree di intervento in via esclusiva dei poteri pubblici attraverso strumenti normativi anche necessari ed urgenti come i decreti-legge. L'articolo 86, paragrafo 2, del trattato CE invece sancisce che i servizi d'interesse generale sono sottoposti «alle norme di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata» mentre la neutralità rispetto al regime di proprietà, pubblica o privata, delle imprese è sancito dall'articolo 295 del trattato CE;
    la normativa nazionale prevede l'adozione da parte dello Stato di poteri speciali (cosiddetti golden power) stabiliti con decreto-legge n. 21 del 2012 recante «norme in materia di poteri speciali sugli assetti societari nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per le attività di rilevanza strategica nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni», esercitabili dal Governo. Con riferimento a tali ultimi settori i poteri speciali esercitabili, emanati recentemente dal Governo con i decreti attuativi pubblicati nella Gazzetta Ufficiale 6 giugno 2014, consistono nella possibilità di far valere il veto dell'Esecutivo alle delibere, agli atti e alle operazioni concernenti asset strategici, qualora essi diano luogo a minaccia di grave pregiudizio per gli interessi pubblici relativi alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti e alla continuità degli approvvigionamenti, ivi compresi le reti e gli impianti necessari ad assicurare l'approvvigionamento minimo e l'operatività dei servizi pubblici essenziali;
    inoltre, esiste anche la possibilità per l'Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni di procedere ai sensi dell'articolo 50-bis del Codice delle comunicazioni elettroniche, decreto legislativo 1o agosto 2003, n. 259, alla separazione funzionale involontaria, imponendo alle imprese verticalmente integrate, nel caso specifico Telecom Italia, la collocazione delle attività relative alla fornitura all'ingrosso di prodotti di accesso in un'entità commerciale operante in modo indipendente, questo se è dimostrata l'incapacità della stessa di garantire una efficace concorrenza oppure una fornitura all'ingrosso di detti prodotti di accesso;
    la separazione societaria della rete di accesso, oltre che rafforzare l'assetto concorrenziale del mercato a vantaggio dei cittadini, appare una precondizione per consentire l'ingresso di nuovi capitali nella costituenda società in grado di sostenere gli investimenti necessari per l'ammodernamento della rete ed il passaggio alla fibra ottica in linea con gli obiettivi fissati nell'Agenda digitale europea,

impegna il Governo:

   a provvedere, anche ricorrendo ad iniziative normative d'urgenza, al necessario e urgente scorporo, ovvero alla separazione societaria della infrastruttura della rete di telecomunicazione, intendendo con esso il perimetro delle attività e delle risorse relative allo sviluppo e alla gestione della rete di accesso, sia in rame sia in fibra, mediante la costituzione di una società della rete a maggioranza pubblica;
   a consentire nella nuova società l'ingresso anche di privati, in primis gli Other Licensed Operators (OLO) favorendo un modello di governance di tipo public company in cui oltre a detenere la maggioranza di capitale pubblico sia garantita un'adeguata rappresentanza nel CdA di dipendenti e azionisti di minoranza;
   ad assicurare la presentazione di un piano industriale indirizzato ad un più rapido sviluppo delle reti in fibra di nuova generazione, coerentemente con gli obiettivi posti dall'Agenzia Digitale Europea, anche attraverso l'integrazione degli assetti in fibra ottica e rame già di proprietà di enti locali, enti governativi e partecipate e sostenendo la piena tutela e valorizzazione dell'occupazione e del patrimonio di conoscenze e competenze di Telecom Italia;
   a procedere alla riforma dell'istituto dell'offerta pubblica di acquisto (OPA), in linea con gli impegni convenuti nella mozione approvata dal Senato della Repubblica il 17 ottobre 2013 e mai attuata, modificando il Testo unico della finanza (TUF), in modo da rafforzare i poteri di controllo della Consob nell'accertamento dell'esistenza di situazioni di controllo di fatto da parte di soci singoli o in concerto tra loro, e ad aggiungere alla soglia fissa del 30 per cento, oltre la quale è già prevista per legge l'OPA obbligatoria, una seconda soglia, legata all'accertata situazione di controllo di fatto.
(1-00515) «Paolo Nicolò Romano, Nicola Bianchi, De Lorenzis, Dell'Orco, Cristian Iannuzzi, Liuzzi, Spessotto, Agostinelli, Alberti, Artini, Baldassarre, Barbanti, Baroni, Basilio, Battelli, Bechis, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Colonnese, Cominardi, Corda, Cozzolino, Crippa, Currò, Da Villa, Dadone, Daga, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, L'Abbate, Lombardi, Lorefice, Lupo, Mannino, Mantero, Marzana, Micillo, Mucci, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pinna, Pisano, Prodani, Rizzetto, Rizzo, Rostellato, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Segoni, Sibilia, Sorial, Spadoni, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Turco, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zolezzi».

Risoluzione in Commissione:


   La III Commissione,
   premesso che:
    l'11 giugno 2014 è stato eletto per acclamazione alla presidenza dell'Assemblea generale dell'Onu l'ugandese Sam Kutesa, il candidato scelto dall'Unione africana cui spettava, per rotazione, la designazione del nuovo incaricato al vertice dell'organo rappresentativo delle Nazioni Unite;
    come aveva promesso di fare alla vigilia di questa elezione, il Segretario Generale dell'Onu Ban Ki-moon, nel congratularsi, ha prontamente ricordato al neo-eletto che il suo mandato gli impone di combattere «ogni discriminazione»;
    come è noto, infatti, il 20 dicembre 2013 il Parlamento ugandese aveva approvato una legge che criminalizza l'omosessualità configurando come reato anche la discussione in pubblico delle tematiche relative all'omosessualità e introducendo per i recidivi il carcere a vita e la detenzione anche per chi non denunci le persone omosessuali alle autorità; su questo, il neo-eletto Sam Kutesa, in qualità di Ministro degli esteri dell'Uganda, è intervenuto difendendo tale legge anti gay dalle condanne trasversali provenienti dalla comunità internazionale;
    il 24 febbraio 2014 il presidente dell'Uganda Yoweri Museveni ha firmato questa controversa legge (definendo «disgustose» le persone omosessuali) che si preannuncia come una delle più feroci del mondo. In sua difesa Sam Kutesa ha prontamente dichiarato che «la maggioranza degli Africani aborrisce questa pratica» e che «non accetteremo promozione ed esibizione, perché pensiamo che sia sbagliato per i nostri giovani e che offenda la nostra cultura»;
    in tutto il mondo si sono levate voci di protesta contro l'avvenuta nomina, già data per scontata alla vigilia. La senatrice di New York, Kirsten Gillibrand, aveva infatti dichiarato che «Sarebbe inquietante vedere il Ministro degli Esteri di un Paese che ha approvato una legge ingiusta e discriminatoria sulla base dell'orientamento sessuale che diventa presidente dell'Assemblea generale dell'Onu»;
    Sam Kutesa è stato, inoltre, oggetto di ulteriori critiche perché coinvolto in numerose inchieste sulla corruzione in Uganda: Cissy Kagaba, dell’Anti corruption coalition Uganda, ha dichiarato che l'assunzione di un ruolo così importante da parte di un politico discusso manderebbe un messaggio negativo rispetto alla lotta alla corruzione;
    la figura di Kutesa al vertice del più rappresentativo organo istituzionale delle Nazioni Unite rappresenterebbe una chiara offesa ai valori e ai principi fondativi su cui si basa l'azione dell'ONU;
    alla luce dell'approvazione della citata legge (come anche di quella nigeriana) il Parlamento europeo, il 13 marzo 2014, ha risposto con una risoluzione molto dura facendo appello agli Stati Membri di intraprendere una serie di azioni tra cui quella di esortare la Commissione e gli Stati membri a riesaminare la strategia sugli aiuti alla cooperazione allo sviluppo con l'Uganda e la Nigeria (firmando tali leggi, i governi di questi due Stati sono venuti meno, infatti, a un obbligo che deriva dal rispetto per i diritti umani, i principi democratici e lo Stato di diritto, cui si fa riferimento nell'articolo 9, paragrafo 2, dell'accordo di Cotonou) e a dare priorità al trasferimento degli aiuti alla società civile e ad altre organizzazioni rispetto alla sospensione, anche settoriale, degli aiuti; quella di suggerire all'Unione africana di assumere un ruolo guida e di istituire una commissione interna che esamini tali leggi e questioni legate al rispetto per i diritti umani secondo cui uno Stato non può, attraverso la legislazione nazionale, venir meno agli obblighi internazionali assunti in materia di diritti dell'uomo; o ancora quella di invitare il presidente ugandese ad abrogare la legge contro l'omosessualità e la sezione 145 del Codice penale dell'Uganda (lo stesso discorso vale anche per la Nigeria); infine, quella di invitare gli Stati membri, o l'alto rappresentante con il sostegno della Commissione, a valutare la possibilità di imporre sanzioni mirate, come i divieti di viaggio e di visto, nei confronti dei principali responsabili dell'elaborazione e dell'adozione di queste due leggi;
    la III Commissione della Camera dei deputati, tra l'altro, aveva già unanimemente approvato, il 25 marzo 2014, la risoluzione 8-00041 che impegna il governo ad avviare, di concerto con gli altri partner UE, ogni iniziativa utile a tutelare la comunità LGBT attraverso azioni di sensibilizzazione nell'ambito delle politiche di cooperazione politica ed economica tra Unione europea, Paesi membri e Uganda;
   l'articolo 1 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo afferma che «tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti». Tutte le persone, tra cui lesbiche, gay, bisessuali e transgender (LGBT) hanno il diritto di godere delle tutele previste dal diritto internazionale dei diritti umani, anche nel rispetto dei diritti alla vita, alla sicurezza della persona e della privacy, il diritto di essere liberi dalla tortura, dagli arresti arbitrari e dalla detenzione, il diritto di essere liberi dalla discriminazione e il diritto alla libertà di espressione, di associazione e di riunione pacifica. La Dichiarazione e il Programma d'azione di Vienna conferma che, «mentre l'importanza delle particolarità nazionali e regionali e diversi contesti storici, culturali e religiosi deve essere tenuto presente, è dovere degli Stati, indipendentemente dai loro sistemi politici, economici e culturali, di promuovere e tutelare tutti i diritti umani e le libertà fondamentali»,

impegna il Governo:

   ad adoperarsi, nel corso della imminente presidenza italiana del Consiglio europeo, affinché, di concerto con le istituzioni europee:
    venga riesaminata, alla luce di quanto esposto in premessa, la strategia sugli aiuti alla cooperazione allo sviluppo con l'Uganda e la Nigeria e a dare priorità al trasferimento degli aiuti alla società civile e ad altre organizzazioni rispetto alla sospensione, anche settoriale degli aiuti;
    fermo restando il diritto all'autodeterminazione e alla sovranità legislativa di ogni Paese, venga sollecitata l'Unione africana ad assumere un ruolo guida e di istituire una commissione interna che esamini l'adozione di leggi e provvedimenti in aperto contrasto con le dichiarazioni della Commissione africana e della Commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani secondo cui uno Stato non può, attraverso la legislazione nazionale, venir meno agli obblighi internazionali assunti in materia di diritti dell'uomo;
    con l'unanime consenso di tutti i partner europei e nel solco del pieno rispetto degli accordi internazionali, si valuti la possibilità che la citata nomina di Sam Kutesa venga rivalutata nel più breve tempo possibile;
    venga valutata la possibilità di imporre sanzioni mirate, come i divieti di viaggio e di visto, nei confronti dei principali responsabili dell'elaborazione e dell'adozione di queste due leggi liberticide.
(7-00398) «Manlio Di Stefano, Scagliusi, Colletti, Spadoni, Spessotto, Silvia Giordano, Businarolo, Tofalo, Di Vita, D'Uva».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, per sapere – premesso che:
   l'Agenda digitale è una grande visione di digitalizzazione e modernizzazione del Paese volta allo sviluppo di competenze e infrastrutture digitali, per migliorare l'efficienza dei processi, la qualità della vita dei cittadini alimentando opportunità di conoscenza, culturali, sociali ed economiche;
   l'Agenda digitale italiana, in sintonia con quanto previsto a livello europeo, si propone una serie di obiettivi oltre che sul fronte delle infrastrutture e della diffusione della banda larga, anche sul versate dell'educazione al digitale e, quindi, dell'utilizzo consapevole e informato delle nuove tecnologie dell'informazione e delle comunicazione;
   la Commissione europea il 28 maggio 2014 ha reso noti i dati relativi all'attuazione dell'Agenda Digitale europea dedicando specifici focus tematici sui singoli Paesi membri;
   a livello europeo il quadro appare soddisfacente: la Commissione prevede che entro il 2015 saranno raggiunti 95 dei 101 obiettivi previsti;
   in termini generali si segnala l'aumento dell'utilizzo regolare di Internet; dei progressi significativi con riferimento all'utilizzo dell'ICT da parte di appartenenti a gruppi svantaggiati; la crescita del commercio elettronico e il progressivo sviluppo della banda larga veloce;
   volgendo però lo sguardo alla situazione italiana il quadro si fa sconfortante in relazione ai principali indicatori analizzati (mercato della banda larga; utilizzo di internet, competenze digitali, sviluppo del commercio elettronico e investimenti in ricerca e sviluppo nel settore ICT) soprattutto se i suddetti dati vengono posti a confronto con dati di altri Paesi europei e se solo si considera che la media europea viene naturalmente calcolata sui dati dei 28 Paesi membri come risultanza del processo di integrazione;
   dai dati pubblicati dalla Commissione europea con riferimento alla penetrazione della banda larga emerge che solo il 21 per cento delle abitazioni italiane è raggiunto da una rete di accesso veloce ad internet (almeno a 30 Mbps) a fronte di una media europea del 62 per cento e a dati di alcuni Paesi europei quali Regno Unito o Spagna che si attestano sopra la media, rispettivamente all'82 e al 65 per cento penetrazione e che nei prossimi anni prevedono di raggiungere il 100 per cento di copertura;
   i dati sull'estensione della banda larga ripercuotono i propri effetti in relazione a quelli relativi all'utilizzo di internet rispetto ai quali l'Italia si segnala agli ultimi posti in ambito europeo: il 34 per cento della popolazione italiana non ha mai avuto accesso ad internet (a fronte di una media europea del 20 per cento e di dati di Paesi quali Regno Unito e Spagna rispettivamente all'8 e al 24 per cento) mentre solo il 56 per cento della popolazione accede ad internet almeno una volta a settimana (a fronte di una media europea del 72 per cento) mentre solo il 51 per cento della popolazione accede ad internet quotidianamente (a fronte di una media europea del 62 per cento);
   medesime proporzioni si riscontrano con riferimento alle competenze digitali la Commissione europea, infatti, rileva come ben il 60 per cento della popolazione italiana non ha o ha competenze digitali estremamente ridotte (a fronte di una media europea del 47 per cento);
   oltre che in termini di accesso e utilizzo di internet, la situazione italiana appare drammatica con riferimento all'utilizzo da parte di imprese e cittadini dei servizi di commercio elettronico: solo il 20 per cento della popolazione ha fatto acquisti online nel 2013 (a fronte di una media europea del 47 per cento è dati di altri Paesi quali il Regno Unito ben al di sopra della suddetta media con il 77 per cento e solo il 7 per cento della popolazione ha effettuato acquisti transfrontalieri attraverso «servizi di commercio elettronico (dato peggiore a livello dei 28 Paesi membri dell'Unione);
   altrettanto deludenti appaiono i dati relativi agli investimenti in ricerca e sviluppo nel settore ICT che ammontano allo 0,7 per cento del PIL al di sotto della media europea del 1,2 per cento in linea con i dati relativi a Paesi europei come la Spagna ma ben al di sotto di quanto si investe nei Paesi più sviluppati e attenti all'innovazione;
   in Francia è stato predisposto un programma nazionale a banda larga (Piano France THD (France Très Haut Débit) che fissa e definisce l'obiettivo di garantire una connessione a 3-5 Mbps per tutti entro il 2017, con l'ulteriore ambizioso traguardo di promuovere un accesso a banda larga ultraveloce per tutte le famiglie entro il 2022, mediante un mix di tecnologie. L'obiettivo è di dotare il 100 per cento del territorio con la banda larga entro il 2022 allo scopo di raggiungere una copertura nazionale completa mediante investimenti pubblici e privati di 20 miliardi di euro. In particolare, il Piano è finalizzato a rafforzare la competitività economica e lo sviluppo locale, partendo dal presupposto che la banda larga ad alta velocità costituisce un fattore essenziale di sviluppo per le imprese, in grado di migliorare il livello di innovazione, produttività e l'accesso a nuovi mercati;
   la Germania ha adottato una strategia nazionale a banda larga nel 2009, nuovamente aggiornata nel 2013 ed in vigore fino al 2018. Gli obiettivi principali sono quelli di dotare almeno il 75 per cento delle famiglie con connessioni a banda larga caratterizzate da una velocità di trasmissione di almeno 50 Mbps entro il 2014, per raggiungere una copertura totale del 100 per cento entro il 2018. A tal fine, la strategia nazionale incentiva l'uso di sinergie per l'espansione economica di infrastrutture a banda larga mediante una politica di sostegno e una regolamentazione orientata alla crescita per stimolare l'espansione delle reti a banda larga principalmente effettuate da operatori privati;
   nel quadro tracciato al di là degli annunci, fatti a più riprese, di voler fare dell'innovazione e del completamento dell'Agenda digitale un traino per lo sviluppo del sistema Paese nel suo complesso, il Governo in carica ha percorso le strade, ad avviso degli interpellanti fallimentari, già percorse dai propri predecessori come emerge dal Documento di economia e finanza, nel quale non si prevede di destinare risorse sufficienti per il completamento dell'Agenda digitale, o dalla recente delega sull'Agenda digitale attribuita al Ministro interpellato, che testimonia come, ancora una volta, si intende sviluppare l'Agenda digitale solo facendo riferimento a una digitalizzazione, ancora lontanissima, della pubblica amministrazione italiana –:
   quali iniziative urgenti intenda assumere il Governo, anche in vista del prossimo semestre di presidenza italiana dell'Unione europea, per assicurare una più rapida attuazione dell'Agenda digitale italiana in modo da colmare il gap di sviluppo rispetto agli altri Paesi europei testimoniato dai dati diffusi di recente dalla Commissione europea.
(2-00591) «Liuzzi, Nicola Bianchi, De Lorenzis, Dell'Orco, Cristian Iannuzzi, Paolo Nicolò Romano, Spessotto, Alberti, Artini, Barbanti, Basilio, Paolo Bernini, Brugnerotto, Busto, Cancelleri, Cariello, Caso, Castelli, Corda, Crippa, Currò, Da Villa, Daga, De Rosa, Della Valle, D'Incà, Fantinati, Frusone, Mannino, Micillo, Mucci, Pesco, Petraroli».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, per sapere – premesso che:
   lo scorso 18 giugno 2014 la Commissione europea ha notificato al Governo italiano, con procedura di urgenza, una lettera di messa in mora per violazione della direttiva 2011/7/UE, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali;
   la direttiva europea, che il Parlamento ed il Consiglio europeo hanno adottato lo scorso 16 febbraio 2011, e che l'Italia ha recepito con il decreto legislativo 9 novembre 2012, n. 192, prevede l'obbligo per le pubbliche amministrazioni di pagare le imprese creditrici entro il termine massimo di 30 giorni, pena interessi di mora dell'8 per cento più l'euribor. Sono previste possibilità di deroga con estensione del termine a 60 giorni, solo per alcuni casi specifici. Deroghe che devono in ogni caso essere giustificate e approvate dalla Commissione europea;
   la Commissione dell'Unione europea, in base alle segnalazioni ricevute, ha riscontrato in Italia un'applicazione non corretta della direttiva sui tempi, più pratiche scorrette su tassi di mora e rapporti d'avanzamento dei lavori pubblici finalizzati a ritardare i pagamenti;
   la pubblica amministrazione italiana oggi paga le sue fatture in media in 180 giorni (6 volte quanto prescritto dalla normativa europea), dato confermato dalla Banca d'Italia nel suo rapporto annuale presentato lo scorso 30 maggio. La situazione è ancora più grave nel settore dei lavori pubblici, dove la media è di 210 giorni. L'Italia è peggior pagatore di Bosnia (41 giorni), Serbia (46 giorni), ma anche della Grecia (155 giorni);
   la Commissione europea contesta all'Italia anche il fatto che il tasso di interesse applicato in caso di ritardo dei pagamenti non è quello dell'8 per cento più euribor previsto dalla direttiva europea, ma molto inferiore. Per cui viene meno lo spirito della norma, che intende contrastare il fenomeno dei tardati pagamenti attraverso l'imposizione di un tasso di interesse di mora alto;
   a ciò si aggiunge, infine, stando ai rilievi della Commissione europea, che la normativa italiana lascia troppa discrezionalità alla pubblica amministrazione nella definizione dei tempi per la fatturazione da parte delle imprese, passaggio essenziale per consentire a queste ultime di poter emettere fattura e, di conseguenza, esigere il pagamento della stessa;
   ora l'Italia ha due mesi per rispondere a Bruxelles e se non lo farà in modo soddisfacente l’iter dell'infrazione andrà avanti;
   nel ricostruire le vicende che hanno portato all'avvio della messa in mora nei confronti dell'Italia, partiamo dal 18 marzo 2013, quando i vice-presidenti della Commissione europea, Olli Rehn e Antonio Tajani, comunicano all'Italia che il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione non rientra nel calcolo del debito pubblico ai fini del patto di stabilità;
   ed è così che l'8 aprile 2013 il Consiglio dei ministri, presieduto da Mario Monti, allora in carica per gli affari correnti, vara il decreto che «sblocca» i pagamenti: si prevede che vengano liquidati 30 miliardi nel 2013 e 20 miliardi nel 2014. Di questi 50 miliardi totali: 40 miliardi, relativi a spese di parte corrente (forniture di beni e servizi) erano già computati nel calcolo del deficit, mentre non erano compresi nel deficit 10 miliardi di spese in conto capitale (investimenti). Questo ha comportato un aumento del deficit pubblico, nel 2013, dello 0,5 per cento (da -2,4 per cento a -2,9 per cento), concordato preventivamente con l'Ue;
   i debiti delle pubbliche amministrazioni nei confronti delle imprese private fornitrici di beni e di servizi, infatti, sono tutti contabilizzati nei bilanci dei Comuni, mentre a livello aggregato (bilancio dello Stato, che rileva nei nostri rapporti con l'Europa) è già contabilizzata (quindi compresa nel deficit) solo la quota relativa alle spese di parte corrente, mentre non è contabilizzata la quota relativa alle spese in conto capitale;
   l'impatto sull'indebitamento netto (ovvero sul deficit) del pagamento dei debiti commerciali, pertanto, dipende dall'origine dei debiti stessi; il pagamento incide sull'indebitamento netto solo per quelli riguardanti le spese per gli investimenti, contabilizzati con il criterio della cassa, mentre i debiti riguardanti le spese in conto corrente non incidono sull'indebitamento netto, in quanto sono contabilizzati con il criterio della competenza;
   questo succedeva con il Governo Monti. Con il pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni si dava modo alle imprese, attraverso la liquidità immessa nel sistema, di riavviare subito il ciclo dei pagamenti dei propri fornitori, di tornare a investire e di ricominciare ad assumere. Con effetto diretto sul Pil e con sollievo per le casse dello Stato, attraverso, da un lato il versamento dell'Iva da parte di chi riceveva i pagamenti; dall'altro, attraverso il gettito dei tributi diretti e dei contributi sociali derivanti dalla ripresa occupazionale innescata dalla ripresa produttiva generata dai pagamenti. Convinti di ciò, a giugno 2013 (Governo Letta), gli interroganti cominciano a chiedere ripetutamente al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro dell'economia e delle finanze di anticipare al secondo semestre 2013 anche il pagamento dei 20 miliardi inizialmente previsti per il 2014. Già solo per la quota prevista nel 2013, infatti, il Governo aveva stimato che dal pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni il Pil potesse aumentare, nel 2013, dello 0,2 per cento;
   anticipando i pagamenti della tranche originariamente prevista per il 2014, il Pil sarebbe potuto aumentare nel 2013 di ulteriori 0,3 punti, per un totale di 0,5 punti percentuali. E il pagamento anticipato di ulteriori 20 miliardi di debiti delle pubbliche amministrazioni, avrebbe prodotto effetti positivi non solo sul gettito Iva, per via del riavvia del ciclo di fatturazione, quantificato in circa 4 miliardi, ma anche, per via della ripresa occupazionale, sulle entrate da tributi diretti e contributi sociali quantificato, ipotizzando una elasticità unitaria del gettito rispetto al Pil, in altri 4-5 miliardi. L'effetto totale per l'erario sarebbe stato, quindi, di circa 8-9 miliardi, al netto di quanto già contabilizzato nei tendenziali. Sempre a giugno 2013 gli interpellanti chiedono al Governo Letta di aggiungere pagamenti per altri 50 miliardi di euro, prevedendo ulteriori forme di finanziamento da parte del sistema bancario e delle società di factoring, da attivare mediante semplice concessione di garanzia da parte dello Stato su debiti certi, esigibili e ormai definitivamente accertati dalle procedure già poste in essere;
   ma ottengono solo che il 28 ottobre 2013 l'esecutivo stanzi ulteriori 7,2 miliardi di euro per il 2013;
   si arriva così al Governo Renzi. Nel suo discorso alle Camere per la fiducia (24 febbraio 2014), il presidente del Consiglio interpellato si impegna a pagare tutti i debiti residui della pubblica amministrazione anche attraverso il ricorso alla concessione di garanzia da parte di Cassa depositi e prestiti. Nella conferenza stampa del 12 marzo 2014 si impegna a pagare 68 miliardi di debiti della pubblica amministrazione entro luglio e dopo solo un giorno (Porta a porta del 13 marzo) già Spostava avanti di 3 mesi la deadline;
   ad oggi, sul sito del Ministero dell'economia e delle finanze l'aggiornamento è del 28 marzo 2014 e i debiti della pubblica amministrazione pagati ai creditori ammontano a 23,5 miliardi, di cui 22,8 miliardi liquidati dal Governo Letta e solo 700 milioni dal Governo Renzi. Era previsto un ulteriore aggiornamento dei dati sul sito del Ministero dell'economia e delle finanze per il 23 aprile, ma non c’è stato. Né sono presenti altri aggiornamenti di maggio e giugno;
   va infine messo in evidenza che quel 18 marzo 2013 i vice-presidenti Rehn e Tajani avevano chiesto all'Italia di precisare quale fosse l'ammontare totale e certo dei debiti della pubblica amministrazione. Ad oggi, dopo 15 mesi, non è ancora arrivata una risposta, L'unico dato che tutti conosciamo è quello della Banca d'Italia: 90 miliardi. Di cui, ripetiamo, solo 23,5 pagati dal 2013 a oggi;
   sarebbe opportuno accelerare, per un motivo (oltre quelli già esaminati) molto semplice: il pagamento di tutti i debiti della pubblica amministrazione deve essere portato a termine entro il 2015, altrimenti scattano le regole del Fiscal compact per cui qualsiasi aumento del debito oltre i parametri prefissati dagli accordi europei dovrà essere compensato nell'esercizio in corso, venendo meno, cioè, la «concessione» fattaci il 18 marzo 2013 dall'Europa –:
   quali siano le misure urgenti che il Governo intende adottare per rispondere alla lettera di messa in mora della Commissione europea relativa al pagamento dei debiti commerciali della pubblica amministrazione, al fine di un corretto recepimento della direttiva 2011/7/UE;
   quali siano le modalità con cui il Governo intende saldare i debiti pregressi, così come annunciato nella conferenza stampa del Presidente del Consiglio del 12 marzo 2014.
(2-00595) «Brunetta, Palese».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 29 maggio scorso con un comunicato stampa della Presidenza del Consiglio dei ministri si parlò di fatto storico relativamente ad una presunta cancellazione del patto di stabilità per la regione Sardegna;
   in realtà le cose non andarono così;
   il patto di stabilità non solo resta in vigore ma colpisce anche le donazioni fatte ai comuni colpiti dall'alluvione del 18 novembre dello scorso anno;
   l'enfasi della comunicazione la quale fu annunciata la cancellazione del patto di stabilità in realtà diventa pertanto un boomerang terribile per i comuni sardi e per la stessa regione;
   i tempi scanditi nel comunicato di palazzo Chigi, entro dieci giorni per rimodulare il patto di stabilità per il 2014, sono abbondantemente scaduti;
   per il pareggio di bilancio posto come condizione per il 2015 è la corte dei conti a chiarire che l'applicazione vale per tutti i comuni, sia per i bilanci di competenza che quelli di cassa. Insomma un vero e proprio disastro per i comuni della Sardegna;
   appare semplicemente inaccettabile che i comuni sardi non possano spendere nemmeno le donazioni ricevute in occasione dell'alluvione del novembre dello scorso anno;
   è un patto di stabilità suicida e illegittimo perché applicato ad una regione a statuto speciale che non può a norma di Statuto subire imposizioni unilaterali in materia finanziaria ed economica;
   è inaccettabile che non si sia voluta estendere la norma predisposta per le donazioni all'Emilia Romagna anche alla Sardegna;
   le donazioni destinate a favore dei comuni restano fermi in banca per buona pace dei donatori e dei beneficiati;
   a tutto questo si aggiunge la farsa del comunicato di palazzo Chigi di 23 giorni fa;
   in quel comunicato si assumeva un impegno preciso: entro dieci giorni sarà rinegoziato il patto di stabilità per il 2014;
   i dieci giorni sono trascorsi da molto e non solo non si vede niente all'orizzonte ma le clausole poste dal governo in quel comunicato oggi escono allo scoperto in modo ineludibile;
   il Governo nel comunicato aveva, infatti, scritto che la modifica del patto di stabilità per il 2014 sarebbe dovuta avvenire in ottemperanza di una sentenza della corte costituzionale (dove la regione ha perso) e in armonia con gli obiettivi di finanza pubblica;
   la millantata cancellazione del patto di stabilità dal 2015 nasconde invece conseguenze devastanti per la Sardegna e i comuni sardi;
   si tratterebbe di una accettazione in anticipo di un anno prima di tutti gli altri, regioni e compreso lo Stato che ha chiesto una proroga in tal senso all'Unione europea;
   il pareggio di bilancio vuol dire tagliare in pochi mesi tutte le spese, e quindi i servizi, o mettere nuove tasse sin dal prossimo anno. Quando tutti, Stato, altre regioni e altri comuni italiani avranno più tempo per recuperare defict e debiti la Sardegna sarà invece in una morsa infernale, sia sul piano finanziario che economico;
   il pareggio di bilancio, infine, non riguarda come si poteva immaginare solo la regione, ma con la riforma costituzionale riguarderà tutti i comuni della regione, nessuno escluso;
   il pareggio di bilancio, per essere precisi, non riguarderà il solo bilancio di competenza ma anche quello di cassa. Quindi vuol dire che i comuni sardi saranno nell'impossibilità di dilazionare i pagamenti delle tasse e per far funzionare il sistema dovranno esigere tutto e subito dai cittadini;
   tutto questo lo afferma la Corte dei conti che ad esplicito quesito ha risposto: l'equilibrio di bilancio deve essere «misurato in termini di gestione di cassa finale del complesso degli enti della regione», ai sensi della legge n. 243 del 2012, di attuazione dell'articolo 81 della costituzione;
   il patto di stabilità non si può applicare in Sardegna, e va revocato, perché si tratta di una regione a statuto speciale e nessun atto economico, finanziario e fiscale può essere adottato in termini unilaterali;
   i commi da 7 a 16 dell'articolo 31 della legge 12 novembre 2011 n. 183 (legge di stabilità per il 2012) prevedono l'esclusione, dal saldo valido ai fini del patto di stabilità interno, di specifiche tipologie di entrate e di spese;
   il successivo comma 17 del richiamato articolo 31 abroga le disposizioni che individuano esclusioni di entrate o di spese dai saldi rilevanti ai fini del patto di stabilità interno precedenti alla legge di stabilità 2012 e non previste espressamente dalla stessa. Ne consegue che non sono consentite esclusioni dal patto di stabilità interno di entrate o di spese diverse da quelle previste dalle norme richiamate;
   il comma 7 dell'articolo 31 della legge n. 183 del 2011 prevede l'esclusione delle risorse provenienti dallo Stato e le relative spese di parte corrente e in conto capitale sostenute dalle province e dai comuni per l'attuazione delle ordinanze emanate dal Presidente del Consiglio dei ministri a seguito di dichiarazione dello stato di emergenza;
   le richiamate esclusioni operano distintamente per le entrate e per le spese:
    a) Entrate. Sono escluse dal saldo finanziario di riferimento, valido per la verifica del rispetto del patto di stabilità interno, le sole risorse provenienti dal bilancio dello Stato (e non anche da altre fonti) L'esclusione opera anche se le risorse statali sono trasferite per il tramite delle regioni;
    b) Spese. Sono esclusi gli impegni di parte corrente e i pagamenti in conto capitale – disposti a valere sulle risorse statali – effettuati per l'attuazione di ordinanze del Presidente del Consiglio dei ministri o del Capo del Dipartimento della Protezione civile a seguito di dichiarazione dello stato di emergenza. Sono escluse dal patto di stabilità interno le sole spese effettuate a valere sui trasferimenti dal bilancio dello Stato e non anche le altre tipologie di spesa (ad esempio le spese sostenute dal comune a valere su risorse proprie o a valere su donazioni di terzi);
   con riferimento all'esclusione delle spese per interventi calamitosi sostenute utilizzando risorse proprie, il comma 8-bis dell'articolo 31 prevede che, con apposita legge, le spese per gli interventi realizzati direttamente dai comuni e dalle province per eventi calamitosi, per i quali è stato deliberato dal Consiglio dei ministri lo stato di emergenza, effettuate nell'esercizio finanziario in cui avviene la calamità e nei due esercizi successivi, siano escluse dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno, nei limiti delle risorse rese disponibili, ai sensi del successivo comma 8-ter. A differenza, quindi, del comma 7, il richiamato comma 8-bis prevede l'esclusione di spese per interventi legati ad eventi calamitosi, ma finanziati con risorse proprie degli enti danneggiati. È importante sottolineare che tale esclusione richiede l'emanazione di una specifica disposizione di legge in assenza della quale l'esclusione in parola non può essere operata –:
   se non ritenga che per i comuni colpiti dall'alluvione del novembre 2013 si disponga con apposita iniziativa normativa l'esclusione dal patto di stabilità interno, per il 2014, 2015 e 2016 delle spese sostenute sia con risorse proprie (avanzo di gestione e/o avanzo di amministrazione) che provenienti da erogazioni liberali e donazioni da parte di cittadini privati ed imprese finalizzate a fronteggiare l'eccezionale evento alluvionale del novembre 2013. Facendo riferimento ai fini dell'individuazione dei comuni colpiti dall'alluvione del novembre 2013, all'ordinanza del Commissario delegato per l'emergenza n. 3 del 22 novembre 2013 e successive integrazioni;
   se non ritengano di non applicare il patto di stabilità per la regione Sardegna proprio in applicazione delle norme statutarie e costituzionali che prevedono l'autonomia finanziaria ed economica e la clausola pattizia sull'imposizione di norme in ambito economico e finanziario;
   se non ritengano di disporre apposito decreto al fine di escludere dal patto di stabilità e crescita risorse proprie degli enti e risorse provenienti da erogazioni liberali. (5-03064)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DI VITA, BUSINAROLO, CECCONI, LOREFICE, DALL'OSSO, MANTERO, GRILLO e SILVIA GIORDANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il dipartimento della funzione pubblica e il dipartimento per le pari opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei ministri si avvalgono oggi di uno strumento potenzialmente molto efficace per fronteggiare le discriminazioni sul luogo di lavoro: i comitati unici di garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni;
   l'istituzione dei CUG (G.U. n.134 dell'11 giugno 2011), più specificamente, è stata dettata per prevenire e battere le discriminazioni dovute non soltanto al genere, ma anche all'età, alla disabilità, all'origine etnica, alla lingua, alla razza, e, per la prima volta, all'orientamento sessuale. Una tutela che comprende, il trattamento economico, le progressioni in carriera, la sicurezza e che viene estesa all'accesso al lavoro;
   gli stessi CUG assumono tutte le funzioni che la legge e i contratti collettivi attribuivano ai comitati per le pari opportunità e ai comitati paritetici sul fenomeno del mobbing e dovrebbero rappresentare un interlocutore unico, più efficace e completo al quale i lavoratori potranno rivolgersi nel caso subiscano una discriminazione e vogliano porvi rimedio. Si tratta di un intervento di semplificazione e razionalizzazione che risponde all'esigenza di garantire maggiore efficacia ed efficienza nell'esercizio delle funzioni alle quali il nuovo organismo è preposto;
   in data 18 aprile 2012, con decreto dei succitati dipartimenti veniva altresì istituito il gruppo di monitoraggio e supporto alla costituzione e sperimentazione dei comitati unici di garanzia per le pari opportunità;
   l'articolo 4 del decreto interdipartimentale, in particolare, prevede che il gruppo sia istituito per la durata di due anni con eventuale proroga per una pari durata, ovvero ulteriori due anni (comma 1);
   il comma 2 del medesimo articolo, invece, stabilisce che con cadenza annuale il gruppo presenta al capo del dipartimento della funzione pubblica e al capo del dipartimento per le pari opportunità un rapporto relativo al monitoraggio dell'implementazione della direttiva 4 marzo 2011, recante «linee guida sulle modalità del funzionamento dei «comitati unici di garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni» (articolo 21, legge 4 novembre 2010, n. 183)»;
   in base al dato letterale della norma citata, costata la decorrenza in data 18 aprile 2014 del termine biennale di nomina del gruppo di monitoraggio, con e-mail datata 29 maggio 2014 la prima firmataria del presente atto chiedeva pertanto chiarimenti al dipartimento per le pari opportunità circa il rinnovo della permanenza in carica o l'eventuale nuova nomina del gruppo suddetto;
   il Direttore del Servizio per gli interventi in materia di parità e pari opportunità presso la presidenza del Consiglio dei ministri rispondeva dunque con nota protocollata D.P.O. 4741 del 30 maggio 2014, riferendo in particolare: «Come previsto dall'articolo 4 del citato decreto interdipartimentale, essendo la durata del gruppo di lavoro biennale, esso è scaduto in data 18 aprile 2012 – rectius, 18 aprile 2014 – e pertanto non è più operativo» –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se possa fornire i rapporti prodotti dal gruppo di monitoraggio ai sensi dell'articolo 4, comma 2 del decreto citato, nonché illustrarne nel dettaglio i dati ivi riportati;
   quali siano stati, più in generale, i risultati prodotti dal gruppo di monitoraggio nel dorso della sua permanenza in carica;
   se intenda motivare, soprattutto in base ai dati in suo possesso relativi all'implementazione della direttiva 4 marzo 2011 citata in premessa, le ragioni che hanno portato al mancato rinnovo del gruppo di monitoraggio e per cui non abbia provveduto a dame pubblica informazione, quantomeno attraverso il sito istituzionale del dipartimento alle pari opportunità. (4-05251)


   BUSINAROLO, SILVIA GIORDANO, SPESSOTTO, BENEDETTI, TOFALO e ROSTELLATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 97 della Costituzione stabilisce un principio generale, in base al quale gli uffici pubblici devono essere organizzati in modo tale che siano garantiti il buon funzionamento e l'imparzialità dell'amministrazione. La norma ha, quindi, prima di tutto, un carattere programmatico che attiene ai profili organizzativi. È stata interpretata anche come regola dell'attività amministrativa: i pubblici funzionari sono tenuti ad assicurare il corretto e imparziale bilanciamento degli interessi pubblici o privati che sono chiamati a valutare: in virtù di questa interpretazione, l'articolo 97 avrebbe un significato precettivo, oltre che programmatico, e una applicabilità immediata ai funzionari pubblici, senza che sia necessaria l'intermediazione di una specifica Legge o di un regolamento (vedasi ad esempio la Suprema Corte di cassazione, Sezione VI penale, sentenza 19 giugno 2008, n. 25162);
   l'articolo 43 del TUEL statuisce che «i consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all'espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge»;
   la norma, nella sua chiarezza espositiva, è ispirata alla ratio di garantire ai rappresentanti del corpo elettorale l'accesso ai documenti e alle informazioni utili all'espletamento del loro mandato, anche al fine di permettere di valutare, con piena cognizione, la correttezza e l'efficacia dell'operato dell'amministrazione, e di esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del consiglio, onde promuovere, anche nell'ambito del consiglio stesso, le iniziative (interrogazioni, interpellanze, mozioni, ordini del giorno, deliberazioni) [Consiglio di Stato, Sez. V 2 aprile 2001, 1983 e 21 febbraio 1994, n. 199] che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale: si configura come peculiare espressione del principio democratico dell'autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della collettività [Consiglio di Stato, sezione V, 17 settembre 2010, n. 6963];
   l'articolo 43 del TUEL consente al consigliere comunale di poter esercitare il proprio mandato, verificando e controllando il comportamento degli organi istituzionali decisionali del comune, uffici compresi [T.A.R. Abruzzo – Pescara, sez. I, 20 febbraio 2008, n. 123];
   il complesso normativo approda alla piena accessibilità, da parte del consigliere, delle informazioni e degli atti (accesso equivale ad estrazione di copia essendo venuta meno la distinzione tra visione ed estrazione) [T.A.R. veneto, sez. III 27 aprile 2011, n. 700] in possesso dell'amministrazione (anche riferiti a periodi antecedenti al mandato), non potendo manifestare alcun diniego determinandosi altrimenti un illegittimo ostacolo al concreto esercizio della sua funzione, che è quella di verificare che il sindaco e la giunta municipale (nelle loro articolazioni) esercitino correttamente la loro funzione: poteri e diritti che configurano, dal lato passivo, un vero e proprio dovere di supporto dei consiglieri comunali nella esecuzione del proprio mandato, da parte dei funzionari degli uffici dell'amministrazione;
   il mancato rilascio dei documenti può costituire un'ipotesi delittuosa, di cui all'articolo 328 codice penale, a fronte del quale l'azione tipica è integrata dal mancato compimento di un atto dell'ufficio da parte del pubblico ufficiale, ovvero dalla mancata esposizione delle ragioni del ritardo, entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi ha interesse, con la conseguenza che il reato, omissivo proprio e a consumazione istantanea, si intende perfezionato con la scadenza del predetto termine, Cass. Pen., sez. VI, 2 aprile 2009, n. 14466. In termini, integra il reato di omissione di atti d'ufficio (articolo 328, comma 2 codice penale) la condotta di colui che, a fronte della richiesta di un consigliere comunale di accesso agli atti, ometta di fornirgli e di rispondere nei termini di legge, essendo irrilevante che gli atti richiesti non rientrino nelle competenze deliberative del consiglio comunale (ex articolo 42 TUEL), Cass. Pen., sez. VI, 8 aprile 2009, n. 21163;
   la violazione del diritto di accesso comporta responsabilità erariale derivante al comune dall'attivazione del giudizio amministrativo (Corte conti, sezione giurisdizionale Umbria, 5 giugno 1997, n. 284). Tutti i consiglieri comunali hanno gli stessi poteri di accesso ai documenti amministrativi ed alle notizie in possesso degli uffici comunali e devono fruire di un'identica collaborazione da parte di tali uffici; pertanto è palesemente illegittimo discriminare i consiglieri comunali a seconda che siano di maggioranza o di minoranza (parere espresso dalla Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi nella seduta del 31 maggio 2011);
   a titolo di esempio si segnala che non è stata fornita alcuna risposta alle domande di accesso agli atti qui di seguito riportate rivolte al comune di Conselve e all'Unione dei comuni del Conselvano (PD): richiesta di accesso agli atti al comune di Conselve (PD) con prot. n. 20815 del 25 novembre 2013 (l'acquisizione della documentazione completa della Valutazione d'impatto Ambientale per il Cogeneratore di Conselve, oggetto di indagine da parte della Corte dei conti); richiesta di accesso agli atti al comune di Conselve (PD) con prot. n. 20816 del 25 novembre 2013 (acquisizione di informazioni relative alla ditta IRIS AMBIENTE e dell'impianto di trattamento delle ceneri provenienti degli inceneritori del Nord d'Italia); richiesta di accesso agli atti al comune di Conselve (PD) con prot. n. 20926 del 26 novembre 2013 (copia del provvedimento regionale di approvazione del PIRUEA AURORA); nota consigliare del 19 dicembre 2013 (prot. n. 22408) per la richiesta di accesso agli atti; richiesta di accesso agli atti al comune di Conselve (PD) con prot. n 22409 del 19 dicembre 2013 (acquisizione dell'elenco completo del protocollo (data, numero protocollo, oggetto, mittente in entrata e uscita) dal 1o gennaio 2013 alla data di consegna che riguarda la ditta SESA SpA e la ditta BIOGREEN a seguito della nostra segnalazione di sversamenti su terreno agricolo); nota consigliare del 3 gennaio 2013 prot. n 74 per la richiesta di accesso agli atti non ancora ricevuti e la contestuale messa in mora per il diniego delle richieste di accesso agli atti, comune di Conselve (PD); richiesta di accesso agli atti all'Unione dei comuni del Conselvano (PD) con prot. n. 213 del 19 febbraio 2014; richiesta di copia delle delibere (tranne per la n. 4 e n. 7) di giunta dell'Unione del 2014 e della motivazione per la mancata pubblicazione nell'Albo Pretorio del comune di Conselve (PD); richiesta di accesso agli atti all'Unione dei comuni del Conselvano con prot. 381 del 27 febbraio 2014 (copia dei capitolati delle mense scolastiche); richiesta di accesso agli atti con prot. n. 4249 del 20 marzo 2014 (ProLoco di Conselve –PD); richiesta di accesso agli atti con prot. n. 4250 del 20 marzo 2014 (acquisizione dell'elenco del protocollo per la distilleria Bonollo) –:
   se l'interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   se l'interrogato intenda avviare una verifica da parte della Commissione centrale di accesso ai documenti amministrativi viste la mancate risposte, in modo reiterato e costante, degli enti locali sopra citati entro il termine dei trenta giorni;
   se il Governo intenda assumere iniziative normative che prevedano sanzioni proporzionali al ritardo nella risposta di accesso agli atti e al danno causato ai cittadini. (4-05266)


   VIGNAROLI, DE ROSA, MANNINO, DAGA, BARBANTI, PARENTELA e NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 settembre 1997 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 217 del 17 settembre 1997) – richiamato l'articolo 5 comma 1 della legge 24 febbraio 1992 n. 225 – venne dichiarato lo stato di emergenza nel territorio della regione Calabria per la gestione dei rifiuti solidi urbani;
   con ordinanza n. 2969 del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 ottobre 1997, fu nominato il commissario delegato del Governo per l'emergenza rifiuti, al quale vennero assegnati precisi obiettivi ed in particolare, quello del conseguimento della raccolta differenziata nella misura del 20 per cento «entro il 30 giugno 1999» e della programmazione di ulteriori interventi «per realizzare l'obiettivo minimo di raccolta differenziata del 35 per cento nei successivi due anni». L'esperienza commissariale dunque, doveva essere transitoria e limitata nel tempo;
   durante i sedici anni di poteri d'urgenza si sono alternate due diverse figure istituzionali utilizzate per il commissariamento. Da una parte i presidenti di regione, dall'altra i prefetti e analoghe figure istituzionali. Un diverso disegno che, alla fine dei conti, ha dimostrato in entrambi i casi di essere errato;
   i commissari di Governo, succedutisi negli anni, approvarono diversi piani per avviare un ciclo dei rifiuti. Tra questi i più significativi: il Piano degli interventi di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani ed assimilabili del 21 luglio 1998, il Piano generale della raccolta differenziata del 26 marzo 1999, il Piano Rifiuti del 30 ottobre 2002 e da ultimo il Piano Rifiuti del 30 ottobre 2007;
   la Corte dei conti (sezione regionale di controllo per la Calabria, relazione approvata nell'adunanza del 21 dicembre 2009 (doc 350/2), attestò la «pressoché inesistenza di raccolta differenziata sul 90 per cento di territorio regionale»;
   il Rapporto dei rifiuti urbani 2013 redatto dall'Ispra, riporta i dati per la raccolta differenziata per l'anno 2012. Da questo documento si evince con chiarezza che la percentuale raggiunta dalla Calabria si attesta intorno ad un misero 13,8 per cento. Inoltre sempre il rapporto Ispra, segnala come l'81 per cento dei rifiuti solidi urbani prodotti nella regione Calabria vengano smaltiti in discarica, con l'aggravante che gran parte di questi sono stati interrati senza nessun trattamento in palese violazione della direttiva 1999/31/Ce;
   la relazione territoriale sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella regione Calabria – redatta ed approvata all'unanimità dalla competente Commissione bicamerale nella seduta del 19 maggio 2011 – contiene il documento (doc. 163/1) del Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente – gruppo Napoli che riferisce come nel periodo 1998-2006 siano state gestite ingenti risorse economiche dall'ufficio commissariale, pari a circa 700 milioni di euro, risorse che, successivamente, sono lievitate a ben oltre il miliardo di euro, a fronte degli insufficienti risultati ottenuti. A tal riguardo, la sezione regionale della Corte dei conti di Catanzaro, con la quale i nuclei calabresi dei carabinieri hanno collaborato in diverse occasioni, non ha risparmiato critiche alla struttura ed alla gestione commissariale in Calabria, parlando di «fallimento della esperienza commissariale», che invece di produrre scelte rapide e definitive, introduce conflitti istituzionali devastanti e incomprensibili, tanto più che «si è riscontrata la totale assenza di pubblicità, correttezza e trasparenza nell'attribuzione degli incarichi esterni...»;
   il dipartimento della protezione civile, avvalendosi dei propri poteri ispettivi sulle strutture commissariali, iniziò una verifica nel secondo semestre del 2006, tale documento venne ripreso nella relazione territoriale sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella regione Calabria. Il dottore Michele Maggio rivelò dal punto di vista finanziario carenze ed anomalie, specificando quanto segue: a) la mancata puntuale annotazione degli impegni assunti che, ancora al momento della verifica, non poneva l'ufficio accertatore in condizione di conoscere i complessivi debiti che erano stati assunti dalla gestione commissariale; b) l'incertezza sulle somme da richiedere alla regione Calabria in ordine a talune opere programmate da detto ente, ma realizzate con i fondi accreditati all'ufficio del Commissario; c) l'inesistenza di un luogo idoneo alla conservazione del denaro anticipato all'economo. Inoltre, per quanto concerne la gestione patrimoniale, fu riscontrata; a) la mancata compilazione di un registro inventario dei beni acquistati; b) il deprezzamento consistente dei beni conferiti nelle società miste e la mancata redazione di un verbale relativo a detto conferimento;
   il 16 aprile 2013 è stata pubblicata nel Bollettino Ufficiale della regione Calabria, la legge regionale 12 aprile 2013, n. 18 «Cessazione dello stato di emergenza nel settore rifiuti. Disciplina transitoria delle competenze regionali e strumenti operativi». Il provvedimento fa seguito all'Ordinanza n. 57 del 14 marzo 2013 con cui il Capo dipartimento della protezione civile, dopo sedici anni di gestione commissariale, ha definito le modalità per il passaggio di consegne dal commissario delegato per l'emergenza rifiuti alla regione in merito alle iniziative di coordinamento del servizio rifiuti in Calabria;
   la regione Calabria – nonostante sedici anni di commissariamento ed un fiume di denaro speso – si trova ancora oggi in piena emergenza rifiuti. Tant’è che la chiusura temporanea della discarica di Pianopoli – avvenuta nel febbraio del 2014 e dovuta alle opere necessarie per la sua messa in sicurezza – ha causato il caos in diverse città, cosicché diversi paesi sono stati invasi da montagne di spazzatura ed inoltre in alcune di queste zone sono iniziati finanche i roghi. L'ennesima urgenza dimostra ancora una volta come, dopo anni di poteri speciali, il sistema di gestione dei rifiuti continua ad essere incentrato sulle discariche –:
   se il dipartimento della Protezione civile sia al corrente delle risorse economiche utilizzate durante i sedici anni di commissariamento;
   se esista una relazione finale del dipartimento della Protezione civile relativa ai sedici anni di commissariamento, che chiarisca come siano state utilizzate le ingenti somme di denaro pubblico spese e con quali risultati;
   se l'attuale gestione dei rifiuti in Calabria, sia conforme alle direttive 2008/98/CE e 1999/31/CE e se, come ritengono gli interroganti, la continua emergenza presente nel territorio calabrese non possa portare la Commissione europea ad aprire una nuova procedura di infrazione.
(4-05269)

AFFARI REGIONALI E AUTONOMIE

Interrogazioni a risposta immediata:


   FORMISANO. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   l'11 settembre 2013 e il 14 maggio 2014 la componente Centro democratico ha presentato due atti di sindacato ispettivo al Ministro della salute riguardanti la prevista riconversione del presidio ospedaliero «A. Maresca» di Torre del Greco;
   questa decisione rientrava nel piano di rientro del settore sanitario, deciso dal commissario ad acta con decreto n. 49 del 27 settembre 2010, nel quale veniva approvato il riassetto della rete ospedaliera territoriale, disponendo che i direttori generali ed i commissari straordinari delle aziende sanitarie locali procedessero alla presentazione di un piano attuativo aziendale di riorganizzazione, di riconversione, di riallocazione e/o di dismissione dei propri presidi, ovvero di concentrazione di funzione specifiche, come quelle relative alle attività di emergenza e di pronto soccorso;
   nei due atti di sindacato ispettivo si sottolineavano, tra l'altro, i gravi problemi che una simile scelta avrebbe comportato e si preannunciava che si sarebbe tornati sull'argomento qualora non vi fossero state soluzioni positive in tempi brevi, stante l'accertata scarsità di posti letto in Campania;
   in particolare, nell'atto di sindacato ispettivo presentato l'11 settembre 2013 si osservava che «la riconversione stessa del presidio ospedaliero Maresca era subordinata all'attivazione dell'emergenza ed urgenza all'Ospedale del mare di Ponticelli, struttura polifunzionale che tuttora è in costruzione e interessata da provvedimenti legali e contrattuali che ne inficiano il completamento e l'apertura»;
   nelle sue risposte il Ministro della salute ricordava che: «L'intervento che coinvolge l'ospedale Maresca e l'ospedale di Boscotrecase risulta (...) coerente con gli obiettivi del decreto n. 49 del 2010, che prevede l'individuazione del presidio ospedaliero di Boscotrecase quale spoke per la rete cardiologica e la riorganizzazione programmata dei punti nascita. Per il presidio ospedaliero Maresca di Torre del Greco il medesimo decreto prevede che il relativo punto nascita, con annessa la neonatologia, confluisca nel presidio di Boscotrecase, nelle more del completamento della nuova azienda ospedaliera “Ospedale del mare”»;
   sempre nella sua risposta il Ministro della salute affermava: «Tanto evidenziato, l'interrogazione pone comunque un tema che non intendo affatto ignorare» e accettava l'invito ad effettuare un sopralluogo per rendersi conto di persona di quanto fatto;
   la questione, però, non può non riguardare anche le competenze del Ministro interrogato, essendo la sanità di competenza delle regioni, ed è quindi necessario coinvolgere anche questo Ministro in una vicenda tanto importante e grave –:
   quali iniziative, nell'ambito delle sue competenze, il Ministro interrogato intenda, quindi, porre in atto per contribuire ad affrontare una questione che preoccupa i cittadini di un'area molto popolosa (circa 350 mila abitanti), che rischiano di essere lasciati senza assistenza sanitaria pubblica, con gravi conseguenze in termini monetari e di diritto alla salute.
(3-00896)


   PALESE. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, modificando il titolo V della parte seconda della Costituzione, ha innovato i rapporti tra Stato, regioni ed enti locali, potenziando il principio di autonomia;
   in questa direzione si era, infatti, mossa la nuova ripartizione delle competenze legislative tra lo Stato e le regioni, che aveva limitato ad un elenco tassativo le materie riservate alla legislazione esclusiva statale e aveva inserito una clausola di attribuzione residuale esclusiva a favore delle regioni, distinguendo l'area di competenza concorrente;
   l'attuazione della riforma costituzionale del 2001 è stata, ed è tuttora, fortemente problematica anche a causa delle difficili e numerose questioni interpretative e applicative e, tra l'altro, la sua complessa attuazione ha portato il legislatore a riflettere in merito ad un'ulteriore modifica delle norme di cui al titolo V della Costituzione, attualmente all'esame del Senato della Repubblica;
   nel difficile contesto applicativo delle disposizioni introdotte dalla legge costituzionale n. 3 del 2001 si è inserito lo sviluppo della giurisprudenza costituzionale relativa al contenzioso tra Stato e regioni: la Corte costituzionale, con le sue pronunce, ha svolto un importante ruolo di indirizzo e di interpretazione dei nuovi principi costituzionali, precisando spazi e limiti delle diverse competenze –:
   alla luce del significativo aumento di contenzioso dinanzi alla Corte costituzionale determinato dall'entrata in vigore della legge costituzionale n. 3 del 2001, quali siano i dati relativi al numero e alla natura delle pronunce della Corte costituzionale intervenute in merito e, nello specifico, quanti i ricorsi sollevati da parte dello Stato, quanti quelli portati avanti dalle regioni, quanti quelli conclusi e quali le materie particolarmente interessate dalla giurisprudenza della Corte costituzionale sul nuovo titolo V della Costituzione. (3-00897)


   RAMPELLI. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   in data 3 giugno 2014, il consiglio regionale della Calabria ha approvato in via definitiva la nuova legge elettorale, all'interno della quale sono state inserite delle soglie di sbarramento particolarmente alte, nonché la figura del «consigliere supplente»;
   le soglie previste per accedere al riparto dei seggi in seno al consiglio sono il quindici per cento per coalizioni o liste singole che non partecipano ad alcuna di esse e il quattro per cento per le singole liste all'interno della coalizione;
   con la figura del consigliere supplente si prevede, invece, che il consigliere regionale nominato assessore lasci lo scranno al primo dei non eletti della sua lista, il quale sarebbe, tuttavia, costretto a lasciare il proprio posto in seno al consiglio per permettere al suo predecessore di rientrare qualora decadesse dalla carica di assessore;
   in particolare, questi due elementi hanno suscitato le perplessità dei tecnici del Ministero per gli per gli affari regionali e le autonomie quando hanno esaminato il testo della legge;
   attualmente la legge regionale sarebbe all'esame della direzione centrale dei servizi elettorali del Ministero dell'interno al fine dell'espressione del parere;
   in Calabria le elezioni regionali sono previste tra il 20 ottobre e il 15 novembre 2014 e anche laddove la nuova legge fosse impugnata in sede di Consiglio dei ministri questo non fermerebbe l’iter del voto, configurando il rischio di svolgere le consultazioni sulla base di una normativa pesantemente a rischio di incostituzionalità, con il rischio dell'annullamento delle stesse –:
   di quali notizie sia in possesso rispetto alle problematiche di cui in premessa e quali siano gli intendimenti del Governo in merito alla vicenda, con particolare riferimento all'ipotesi di impugnativa della legge. (3-00898)


   GIANCARLO GIORGETTI, RONDINI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI e PRATAVIERA. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   nel recente concerto dei Rolling Stones al Circo Massimo di Roma del 22 giugno 2014 la giunta capitolina ha chiesto 7.934 euro all'organizzazione per l'affitto dell'intera area;
   il Circo Massimo è ancora dentro le Mura Aureliane, al centro di un'enorme area verde e archeologica: si tratta di un'area monumentale dalla storia più che bimillenaria; infatti, le installazioni lignee del Circo probabilmente risalgono addirittura all'epoca dei primi re etruschi, nella prima metà del VI secolo avanti Cristo, mentre le prime strutture in muratura risalgono al II secolo avanti Cristo ed in ogni caso le strutture stabili nell'area furono edificate da Augusto;
   il sindaco Ignazio Marino ha sostenuto di aver provveduto ad aumentare significativamente le tasse per l'occupazione di suolo pubblico per il futuro, portandole fino a 10 volte di più a seconda delle situazione, affermando che il 30 aprile 2014 la giunta ha votato questo provvedimento, che ora deve essere votato anche dall'assemblea capitolina: tuttavia, le tariffe per gli «eventi culturali», come è stato classificato il concerto al Circo Massimo, non sono state incluse tra quelle da aumentare;
   nelle altre capitali europee, su beni del patrimonio pubblico di molto meno valore storico ed archeologico, funziona molto diversamente: per esempio, secondo i regolamenti sull'utilizzo dei parchi pubblici londinesi, lo scrupoloso regolamento dei The Royal parks, l'agenzia del Dipartimento britannico della cultura, dei media e dello sport che gestisce i nove grandi parchi londinesi, prevede un preciso tariffario per l'organizzazione di eventi negli spazi pubblici: chi organizza una manifestazione musicale nella capitale inglese deve versare alla municipalità 3,5 sterline a spettatore; una cifra parametrata non al numero dei biglietti effettivamente venduti, ma alla «capacità» dell'area presa in concessione; l'organizzazione si fa, inoltre, carico della disruption charge, ossia delle spese per la chiusura di strade, la pulizia del luogo, il disagio per gli altri utenti del parco e così via; il prezzo viene, infatti, parametrato in base al «disagio provocato» dall'evento; per questo negli ultimi due anni i Royal parks prevedono di incassare 21 milioni di sterline dai «grandi eventi» ospitati sui verdi prati londinesi, oltre ai 14,1 milioni di sterline di contributo dallo Stato; e proprio ad Hyde Park i Rolling Stones hanno tenuto un grande concerto nel luglio 2013 davanti a 100 mila spettatori;
   se questi parametri fossero stati applicati all'evento romano, il comune di Roma avrebbe incassato grazie al concerto dei Rolling Stones circa 330 mila euro;
   anche in altre città in Italia funziona molto diversamente: per esempio, la Live Nation nel 2013 ha pagato 50 mila euro per poter utilizzare l'Arena di Verona, in occasione del concerto degli One Direction;
   secondo l'organizzazione dell'evento a Roma sarebbero arrivati 25 milioni di euro in indotto: alberghi, cibo, acquisti dei tanti fan degli Stones accorsi a Roma letteralmente da tutto il mondo, ma secondo tutte le associazioni di categoria delle imprese turistiche – la Fiavet in testa – l'indotto per quest'evento difficilmente è andato oltre i due milioni di euro, al massimo tre: infatti, un concerto del genere non porta un turismo di qualità e non produce guadagni significativi dal punto di vista alberghiero e della ristorazione;
   a parere degli interroganti questo vero e proprio regalo del sindaco Ignazio Marino è uno schiaffo a tutti i cittadini delle altre città che sono costretti a pagare la voragine del buco di Roma provocata anche da scelte incomprensibili come questa –:
   se sia intenzione del Ministro interrogato affrontare, in sede di Conferenza Stato-regioni e Stato-città, il tema dell'utilizzo dei beni nella disponibilità delle autonomie territoriali e locali in maniera coerente con la situazione economica e finanziaria degli enti stessi, al fine di evitare di redistribuire su altri enti locali e territoriali il risultato di gestioni non economicamente equilibrate delle singole amministrazioni. (3-00899)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con un atto inaudito e di fatto non agevolmente conoscibile il Ministro dello sviluppo economico ha emanato il decreto ministeriale del 9 agosto 2013 con il quale ha ridefinito le aree marine in cui è possibile effettuare nuove attività di prospezione e di ricerca di idrocarburi, rimodulando la zona marina «E» con l'apertura di una nuova area nel Mar di Sardegna, ad una distanza dalla costa tale da garantire la preservazione delle aree di tutela ambientale;
   le dichiarate nobili ma secondo l'interrogante non credibili argomentazioni addotte per tale progetto di modifica nascerebbero dalla necessità di approfondire la conoscenza del sottofondo marino in quest'area, caratterizzata da una modesta attività esplorativa precedente e da una potenzialità mineraria che viene definita di sicuro interesse;
   secondo le argomentazioni fornite dal decreto e dai progetti conseguenti si afferma che prospezioni geofisiche, attraverso la misura di alcune proprietà fisiche delle rocce, consentono di determinare con sufficiente grado di dettaglio i tipi di rocce esistenti e l'andamento delle strutture sepolte;
   in seguito una società straniera con ramificazione italiana, la Schlumberger Italiana spa, ha proposto l'utilizzo di questa metodologia per effettuare l'acquisizione di un rilievo geofisico 2D sull'intera area della zona marina E recentemente aperta all'esplorazione, dando, è scritto nel progetto, il proprio contributo per approfondire le conoscenze del sottofondo marino in quest'area;
   la Schlumberger ha presentato il 20 gennaio 2014 un'istanza di permesso di prospezione in mare proponendo, nel pro gramma lavori, studi che possano portare, sempre secondo la relazione di accompagnamento, alla miglior comprensione della situazione geologica e della potenzialità geomineraria;
   il permesso di prospezione è un titolo minerario non esclusivo, rilasciato dal Ministero dello sviluppo economico su istanza della parte interessata che presenta il programma di ricerca che intende sviluppare, e riguarda aree di grandi dimensioni dislocate soprattutto in mare. All'interno dell'area del permesso di prospezione è possibile condurre solo ed esclusivamente ricerche geofisiche;
   l'area oggetto dell'istanza di permesso di prospezione è localizzata nel Mar di Sardegna, all'interno della zona marina «E». La zona interessata dall'istanza ricopre l'intera area oggetto di ampliamento, per una superficie di 20922 chilometri quadrati. Il lato più vicino alla costa è quello occidentale, che dista oltre 24 miglia nautiche dalle coste sarde (24.3 da Capo dell'Argentiera) e circa 33 miglia nautiche da Alghero;
   per le prospezioni geofisiche è necessaria quindi una sorgente di energia che emette onde elastiche ed una serie di sensori, detti idrofoni, che ricevono le onde riflesse. La produzione di onde elastiche è ottenuta con diverse tecnologie che fanno uso di sorgenti artificiali differenti:
    a) ad acqua: WATER-GUN, costituito da un cannone ad aria compressa che espelle ad alta velocità un getto d'acqua che per inerzia crea una cavità che implode e genera un segnale acustico;
    b) ad aria compressa: AIR-GUN, costituito da due camere cilindriche chiuse da due pistoni (pistone di innesco e di scoppio) rigidamente connessi ad un cilindro provvisto di orifizio assiale che libera in mare, istantaneamente, aria ad una pressione, compresa tra 150 e 400 atmosfere (ad oggi il sistema maggiormente utilizzato);
    c) a dischi vibranti: MARINE VIBROSEIS, in cui alcuni dischi metallici vibranti immettono energia secondo una forma d'onda prefissata, senza dar luogo all'effetto bolla (sistema complesso non ancora pienamente sviluppato);
    d) Elettriche: SPARKER/BOOMER, dove un piatto metallico con avvolgimento in rame viene fatto allontanare da una piastra a seguito di un impulso elettrico; l'acqua che irrompe genera un segnale acustico ad alta frequenza con scarsa penetrazione (adatto per rilievi ad alte definizioni);
   per l'acquisizione geofisica nell'area dell'istanza di permesso di prospezione «d 1 E.P-.SC» è previsto l'utilizzo della tecnologia Air-gun, tipicamente utilizzata per i rilievi sismici marini;
   Schlumberger Italiana spa fa parte di Schlumberger Oilfield Services («Schlumberger»), la più grande compagnia al mondo di servizi per le società petrolifere, leader nella fornitura di servizi tecnologici e soluzioni all'industria petrolifera mondiale;
   le attività di ricerca di idrocarburi prevedono diverse fasi, ognuna delle quali legata ad un particolare impatto ambientale;
   nella prima fase viene eseguito lo studio geologico regionale, con la rielaborazione e l'interpretazione di dati sismici, in alcuni casi già esistenti, e successiva acquisizione di nuovi dati sismici;
   le metodiche di prospezione geosismica prevedono, nella la maggior parte dei casi, l'utilizzo di una sorgente energetica ad aria compressa, meglio conosciuta come air-gun;
   attraverso questa tecnica si genera una violenta onda d'urto che si propaga nel fondale e successivamente viene riflessa, mostrando in questo modo la presenza e la natura di idrocarburi nel sottosuolo. Gli air-gun sono disposti sempre in batteria (si contano diverse decine di sorgenti) e nelle loro vicinanze si possono registrare picchi di pressione dell'ordine di 260db (dB 1 μPa a 1m);
   è noto che molte specie appartenenti all'ordine dei cetacei, sono particolarmente sensibili a forti emissioni acustiche, quali quelle generate dai sonar militari e dagli air-gun, le quali vanno sommate al rumore di fondo sottomarino e a quello generato dal normale traffico marittimo. Zifii (Ziphius cavirostris) e capodogli (Physeter macrocephalus) sono tra le specie più sensibili e possono subire effetti negativi che vanno da disagio e stress, fino al danno acustico vero e proprio, con perdita di sensibilità uditiva che può manifestarsi come temporanea o permanente;
   questo tipo di emissione acustica può far impaurire e stordire gli animali sino ad indurli a un'emersione rapida ed improvvisa senza adeguata decompressione, con conseguente morte per la « gas and fat embolic syndrome », ossia morte per embolia;
   l'esposizione a rumori molto forti inoltre può produrre anche danni fisiologici (emorragie) ad altri apparati, oltre a quelli uditivi, fino a provocare effetti letali;
   una volta completata la prima fase, nel caso si evidenzi un'area di interesse minerario, sarà eseguito in seconda fase un pozzo esplorativo che può giungere a profondità di diverse migliaia di metri;
   nel malaugurato caso si decidesse di proseguire l'attività estrattiva, in ultima fase verrà costruita una piattaforma permanente di estrazione, che implicherà attività di stoccaggio e trasporto di idrocarburi con strutture a terra e ulteriore traffico navale annessi;
   molti animali marini, come tutti i cetacei, emergono per respirare e possono rimanere in superficie per periodi abbastanza lunghi. Questo comportamento, unitamente all'enorme mole che rallenta i tempi di reazione e i movimenti, è tra le cause che concorrono a rendere queste specie più soggette alle collisioni;
   le aree oggetto delle istanze di ricerca di idrocarburi sono zone di importanza strategica per numerose attività che caratterizzano la complessa e straordinaria vita dei cetacei (alimentazione, allattamento, riproduzione, migrazione, socializzazione, riposo, e altro), la quale viene disturbata dalle attività antropogeniche previste. Lo stress è un pericoloso fattore che causa gravi danni alla fisiologia dei cetacei, causandone anche la morte. Nella maggior parte degli episodi di spiaggiamento di cetacei, i fattori di inquinamento acustico e ambientale, rappresentano costanti concause responsabili della morte di questi mammiferi marini;
   il tentativo di minimizzare e mitigare un impatto cumulativo risulta del tutto impraticabile. Infatti, anche a distanza di tempo e di spazio, l'effetto inevitabilmente si propaga in tutto il bacino e permane proprio per le caratteristiche stesse del mare;
   le conseguenze che colpiscono un'area marina come quella individuata dal progetto richiamato si estendono automaticamente nelle aree adiacenti o in altre aree più distanti, così è il significato e il valore delle caratteristiche dell'ecosistema marino nel suo complesso e della sua Biodiversità;
   nella logica e nel rispetto di un principio precauzionale, dovrebbero essere vietate tutte quelle attività che non prendono in considerazione tutte le conseguenze e gli impatti a breve e a lungo termine, di natura diretta o indiretta, sull'ecosistema marino e in particolare sui cetacei, gruppo di specie a rischio, protette da una regolamentazione volta alla loro salvaguardia e conservazione a livello nazionale ed internazionale –:
   se non ritengano di dover revocare per illogicità/irragionevolezza e palese assenza di presupposti il decreto che individua il mare di Sardegna come area marina per queste ricerche petrolifere secondo l'interrogante scellerate;
   se non ritengano di dover negare qualsiasi permesso, negando il parere positivo alla valutazione ambientale, proprio per la consistente presenza e attività di cetacei nell'area sottoposta al progetto di ricerca di idrocarburi, nelle aree adiacenti e nell'intero bacino Mediterraneo (si ricorda che gran parte dei cetacei sono mammiferi pelagici, ossia vivono nuotando nei mari in base alla presenza di prede, legata alle stagioni e alle correnti);
   se non ritengano che l'assoluta carenza e assenza di documentazione e di studi sulle popolazioni di cetacei nei tratti di mare oggetto della richiesta di ricerche petrolifere sia il presupposto per respingere la richiesta di valutazione di impatto ambientale;
   se non si ritenga di dover uniformare la propria condotta su questioni così delicate per l'ambiente attenersi ad un principio precauzionale per la massima tutela e rispetto dell'habitat e dei cetacei potenzialmente presenti;
   se non ritenga di dover censurare la proposta fatta dalle società di ricerca petrolifera di offrire i propri mezzi di navigazione come piattaforme utili ad incrementare la documentazione sulla presenza di Cetacei, proposta che risulta palesemente incompatibile tra la presenza di questi esemplari e il forte impatto delle attività previste;
   se non ritenga proprio per l'evidente impatto ambientale del progetto sia per quanto riguarda l'inquinamento di varia natura (chimico, atmosferico, acustico, operativo e altro), diretto o indiretto sull'area sottoposta al progetto di ricerca di idrocarburi, sulle aree adiacenti e sull'intero bacino Mediterraneo a breve e lungo termine di respingere il progetto stesso;
   se non ritenga di dover promuovere una modifica completa di tutta la normativa che regola e tutela l'ambiente marino, i suoi abitanti e l'ecosistema in generale, di tutte le misure di salvaguardia e mitigazione da adottare durante le operazioni e parallelamente la descrizione dei requisiti appartenenti alle proprie strutture e al proprio personale tecnico-scientifico per garantire l'ottemperanza alle stesse regolamentazioni;
   se non ritengano alla luce della mancanza di tutti i presupposti e condizioni necessarie e indispensabili alla tutela e alla conservazione del delicato ecosistema e della biodiversità connessa, primi tra tutti i Cetacei di revocare il decreto di individuazione dell'area marina suddetta;
   se il Ministero competente abbia approfondito le cause dirette e indirette, tra attività di prospezione e lo spiaggiamento di 7 esemplari di capodoglio (Physeter macrocephalus) nel dicembre 2009 nelle coste a nord del Gargano (tra i comuni di Cagnano Varano e Ischitella e lo spiaggiamento di massa di esemplari di zifio (Zifius cavirostris) sulle coste dell'isola di Corfù e sul litorale Calabrese, risalente al novembre/dicembre 2011, avvenuto in concomitanza ad attività di prospezione geosismica mediante sorgente energetica di tipo air gun da parte di tre navi (Princess, Thor Guardian e Thor Server) provenienti da Malta e operanti a largo delle coste tra Monopoli e Brindisi incaricate dalla società inglese Nothern Petroleum, e ad esercitazioni militari con l'utilizzo di sonar;
   se non ritenga di dover recepire le indicazioni della comunità scientifica internazionale, durante la riunione annuale dell’American Association for the Advancement of Science (AAAS), a favore di un'etica che rispetti i diritti dei cetacei come persone non umane dotate di un'intelligenza superiore e della coscienza di sé stessi;
   se non ritenga alla luce di queste considerazioni di negare il rilascio di ulteriori permessi e autorizzazioni a campagne di prospezione geosismica, perforazione del fondale e coltivazione nei mari della Sardegna e del sistema paese.
(5-03076)

Interrogazioni a risposta scritta:


   REALACCI. —Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   come lamentano Federparchi e le più importanti associazione ambientaliste nazionali, i parchi nazionali del Paese, esempio migliore dell'Italia che tutela e valorizza l'ambiente, il territorio, il turismo e la green economy, rischiano la paralisi per il mancato rinnovo dei propri consigli direttivi negli enti di gestione e per tagli insostenibili ai loro bilanci;
   i maggiori parchi sono quasi tutti privi dei propri consigli direttivi, in alcuni casi attesi da anni. Su 23 parchi nazionali esistenti in Italia, attualmente solo due (Dolomiti Bellunesi, Gran Paradiso) hanno un presidente ed un consiglio direttivo operativo. Ecco il quadro della situazione:
    Parchi con presidenti in carica, ma privi di consigli direttivi:
     Parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise: privo del consiglio direttivo dall'11 luglio 2012;
     Parco nazionale dell'Alta Murgia: privo del consiglio direttivo dal 26 settembre 2010;
     Parco nazionale dell'Appennino Lucano, Val d'Agri e Lagonegrese: consiglio direttivo mai nominato;
     Parco nazionale dell'Appennino Tosco-Emiliano: privo del consiglio direttivo dal 30 maggio 2012;
     Parco nazionale dell'Arcipelago della Maddalena: privo del consiglio direttivo dal 27 dicembre 2012;
     Parco nazionale dell'Arcipelago Toscano: privo del consiglio direttivo dal 1o marzo 2012;
     Parco nazionale dell'Asinara: privo del consiglio direttivo dal 17 dicembre 2008;
     Parco nazionale Aspromonte: privo del consiglio direttivo dal 23 settembre 2012;
     Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni: privo del consiglio direttivo dal 31 dicembre 2013;
     Parco nazionale delle Cinque Terre: privo del consiglio direttivo dal 19 aprile 2010;
     Parco nazionale del Circeo: privo del consiglio direttivo dal 7 agosto 2012;
     Parco nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna: privo del consiglio direttivo dal 31 dicembre 2013;
     Parco nazionale del Gargano: privo del consiglio direttivo dal 27 giugno 2008;
     Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga: privo del consiglio direttivo dal 22 gennaio 2007;
     Parco nazionale della Majella: privo del consiglio direttivo dal 20 settembre 2007;
     Parco nazionale dei Monti Sibillini: privo del consiglio direttivo dal 27 dicembre 2012;
     Parco nazionale del Pollino: privo del consiglio direttivo dal 31 dicembre 2013;
     Parco nazionale dello Stelvio: privo del Consiglio direttivo dal 26 dicembre 2010;
     Parco nazionale della Val Grande: consiglio direttivo in parte nominato nel 2012, ma non insediato;
     Parco nazionale del Vesuvio: privo del consiglio direttivo dal 31 dicembre 2013.
   accanto ai Parchi privi di «governo» si aggiunge la difficile situazione economica, nonostante qualche recente tentativo da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di garantire finanziamenti adeguati al sistema nazionale delle aree naturali, da quest'anno si deve così registrare la ripresa dei tagli lineari che finiscono per rendere ancora più problematica la gestione dei parchi nazionali e la loro reale capacità di intervento sul territorio, rendendo de facto inefficace la loro esistenza;
   dall'inizio del 2014 di almeno tre tagli ai finanziamenti previsti dallo Stato sia per le aree naturali protette a terra che per quelle a mare. A quanto risulta il capitolo di bilancio «gestione interventi Parchi nazionali» ha registrato un taglio di circa 865.000,00 euro, passando dagli originari 5.800.000 circa di inizio anno agli attuali 4.960.000,00 circa (un taglio del 15 per cento). Ancora peggio il capitolo di bilancio «gestione interventi Aree marine protette» che ha registrato un taglio di oltre 1.200.000,00 euro, passando dagli originari poco più di 5.000.000,00 di inizio anno agli attuali 3.790.000,00 euro circa (taglio di circa il 24 per cento) –:
   quali iniziative urgenti intenda mettere in campo il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per sbloccare la governance dei parchi italiani nominando i soggetti di competenza e se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, non ritenga utile provvedere ad un nuovo riparto di fondi a favore dei parchi nazionali al fine di scongiurarne il dissesto finanziario;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ritenga opportuno, in caso di eventuale riduzione dei fondi, garantire autonomia degli enti parco nella ripartizione della stessa.
(4-05248)


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la Gazzetta del Sud del 20 giugno 2014 riporta che il maltempo si è, ancora una volta, accanito contro il sud e la situazione, soprattutto in Calabria, è molto preoccupante. Tropea, in particolare, è la località nella quale si conta il maggior numero di danni. Nubifragi e frane, infatti, oltre ad avere paralizzato in molte zone la circolazione, ha creato seri difficoltà ai centri abitati e minacce alla stessa incolumità dei cittadini;
   la situazione è apparsa subito critica, identificando il temporale come una vera e propria bomba d'acqua che ha riversato lungo il litorale tropeano quantità d'acqua mai viste e che hanno causato allagamenti, tombini esplosi, carreggiate ridotte ad enormi pozzanghere e fiumi di fango estesi fino al mare;
   un triste spettacolo a cui hanno partecipato inconsapevoli anche i turisti, considerato l'avvio della stagione estiva, e che sicuramente avrà ripercussioni anche sull'economia locale e in particolare sulle strutture balneari, causando anche seri problemi al lungomare che è risultato inagibile;
   gran parte della provincia di Vibo è stata funestata dal maltempo, così come allagamenti si sono verificati nella vicina Ricadi e segnatamente, nella nota località di Baia di Riaci a Santa Domenica;
   come se non bastasse queste località sono state colpite da forti mareggiate, che hanno creato ingenti danni alle abitazioni e alle infrastrutture;
   la Strada provinciale 17, che risulta essere chiusa dall'inizio dell'estate, non ha consentito alla popolazione il suo utilizzo e l'ha costretta a via alternative, utilizzando piccole arterie stradali che risultano inevitabilmente compromesse. Il tutto comportando enormi disagi agli automobilisti costretti a percorrere strade ancor più pericolose;
   tutti i Comuni della Calabria sono considerati a rischio per frane e alluvioni, anche per effetto della selvaggia cementificazione del territorio che ha sottratto terreni fertili all'agricoltura;
   una situazione aggravata dai cambiamenti climatici che – affermano le organizzazioni degli agricoltori – si manifestano con una maggiore frequenza, e che provocano eventi estremi, sfasamenti stagionali, maggior numero di giorni consecutivi con temperature estive elevate e una modificazione della distribuzione delle piogge;
   tutte situazioni, che mettono a rischio la sicurezza idrogeologica della Calabria –:
   se il Governo intenda per quanto di competenza mettere a disposizione delle realtà locali colpite adeguate risorse finanziarie destinate alla difesa del suolo e alla prevenzione del dissesto idrogeologico, stabilendo adeguati meccanismi di attribuzione delle stesse al fine di garantire che la distribuzione avvenga in modo da privilegiare le aree a più alto rischio franoso, come quella della Calabria. (4-05253)


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   risulta da notizie stampa riportate dalla Gazzetta del Sud del 22 giugno scorso che in località Santa Lucia alcuni immobili, in pessime condizioni e con rischio di cedimenti strutturali, presenterebbero coperture in eternit;
   ormai da qualche tempo si è diffusa la conoscenza del «rischio amianto». L'attenzione del mondo scientifico si è concentrata sulle caratteristiche di questo materiale, nonché sulle metodiche per l'individuazione e l'eliminazione dei rischi e dei danni dallo stesso provocati negli ambienti di vita e di lavoro alla salute delle persone e dei lavoratori;
   l'amianto è stato utilizzato, in passato, in modo massiccio per le sue ottime proprietà tecnologiche e per la sua economicità;
   ma con il passare del tempo e con gli approfondimenti tecnici il suo utilizzo si è rivelato nocivo per la salute dell'uomo, data la capacità del materiale stesso di rilasciare fibre potenzialmente inalabili, che provocherebbero gravi ed irreversibili patologie prevalentemente all'apparato respiratorio, malattie che si manifestano anche dopo molti anni dall'esposizione;
   oggi né è vietata la sua applicazione e, se utilizzato come componente in alcuni prodotti, deve essere dichiarato apponendo le apposite etichette previste dalla normativa vigente;
   per queste ragioni la legislazione ha da tempo disposto non solo la cessazione della produzione e della commercializzazione di qualsiasi materiale contenente fibre di amianto, ma ha anche dettato le regole per le cosiddette bonifiche;
   ad oggi non risultano però ancora avviati gli interventi previsti dalla conferenza di servizi di Santa Lucia e lo stesso Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nello scorso luglio ha riscontrato essere in notevole ritardo;
   i frammenti sprigionati dagli immobili risultano essere resistenti e molto piccoli, meno di mezzo millimetro di diametro, tanto da poter essere facilmente inalati con conseguenze gravissime per i cittadini che risiedono vicino a tali insediamenti a che sarebbero tutt'ora esposti al rischio di contrarre gravi malattie;
   è stato accertato che la vicinanza ad aree in cui persiste l'amianto può dare luogo all'insorgenza di gravissime malattie come il mesotelioma che colpisce la pleura, il peritoneo e il pericardio e l'asbestosi che colpisce direttamente i polmoni –:
   di quali elementi disponga il Governo in merito alle problematiche insorte – a seguito del mancato avvio del procedimento di bonifica – visto che la salute di ogni cittadino è un diritto tutelato dalla nostra Costituzione all'articolo 32 e che questo diritto comprende anche il diritto alla salubrità e sicurezza di ogni ambiente lavorativo. (4-05259)


   PILI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da più di 15 giorni due navi della Nato stanno compiendo operazioni inspiegabili sulle coste del Sud Sardegna;
   rotte incomprensibili, aree di permanenza in mezzo al mare inspiegabili e soprattutto precedenti non chiari;
   due navi dichiarate scientifiche in disponibilità della Nato, la Alliance e la Planet, ma in realtà dei giganti del mare, con apparecchiature sofisticate e senza eguali;
   navi imponenti battenti bandiera tedesca ma con i vessilli della Nato. Da Oristano a Buggerru, da Iglesias alle coste vicine a Teulada;
   i tracciati nautici sono eloquenti di un'attiva fuori dal comune;
   per l'interrogante credere allo studio della poseidonia è difficile, non foss'altro che la poseidonia cresce e si sviluppa su fondali relativamente luminosi e bassi, mentre queste due navi avrebbero potenzialità di ispezione con dei siluri di 6.000 metri;
   la mancata pubblicità dell'operazione, la prolungata permanenza nei mari della Sardegna e i precedenti come l'incagliamento sull'isola di Pianosa e relative inchieste inducono a pensate all'utilizzo non autorizzato dei mari della Sardegna per sperimentazioni quantomeno non dichiarate;
   occorre immediata chiarezza e il Governo deve dare risposte immediate;
   è davvero strano che si usino due navi di quella potenzialità per studiare la poseidonia intorno alla Sardegna;
   la Alliance, 93 metri di lunghezza e una stazza di 3.180 tonnellate e la Planet un mostro d'acciaio di 73 metri di lunghezza e 27 di larghezza con foggia da catamarano gigante, appare difficile siano davvero giunte in Sardegna per ricerca e sperimentazione;
   considerati i precedenti a partire da quelle indagini, redatte dallo stesso istituto di ricerca, fatte a largo dell'isola Rossa per cercare esplosivi in un tratto di mare dove non si è mai sparato c’è da restare quantomeno perplessi;
   i precedenti sull'attività di quelle due navi inducono più di un approfondimento, compresi i fatti di 9 anni fa quando la Alliance si incagliò davanti all'isola di Pianosa;
   in quell'occasione fu la magistratura ad aprire un'inchiesta per cercare di capire cosa realmente succedesse a bordo di quella nave e soprattutto le ragioni di quell'incagliamento, considerati i mezzi sofisticati a bordo;
   all'interno della nave ci sono ben 500 metri cubi di stoccaggio scientifico;
   Alliance è gestita da un gestore di navi commerciali;
   quando non è impegnato nella ricerca della Nato, la nave è disponibile per il charter alle nazioni della Nato e le organizzazioni internazionali con l'adesione Nato;
   tra gli scopi di Alliance ci sono anche quelli militari, governativi e di difesa correlati all'interno dei paesi della Nato;
   in occasione dell'incagliamento di Pianosa le cronache riportano test di raffinatissimi robot naviganti e subacquei, progettati per scopi sicuramente non scientifici dall’Office of Naval Research degli Stati Uniti;
   robot portati da siluri di plastica, guidati da appositi barchini, della lunghezza di 3 metri e del peso variabile tra i 100 e i 300 chili. Dei gioiellini tecnologici capaci di immergersi a 6mila metri di profondità ed essere controllati fino a una distanza di 500 chilometri. Sarebbero progettati per eseguire mappature dei fondali, fare rilevamenti ambientali marini ed esplorare siti archeologici subacquei. Ma potrebbero avere anche altre applicazioni;
   sono evidenti le potenzialità militari di questi robot e, dunque, i timori di militarizzazione sono quanto mai reali, visto che la Nato è riuscita a beneficiare anche di alcuni edifici sull'isolotto — denunciarono a Pianosa –:
   se non ritenga il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di fare immediatamente chiarezza anche alla luce dell'atteggiamento della Nato nei confronti della Sardegna;
   se non intenda far conoscere se e chi ha autorizzato quel tipo di esperimenti nei mari della Sardegna, e soprattutto di che esperimenti si tratti;
   se non ritenga di non dare puntuale informazione di tali esperimenti e ricondurli alle procedure autorizzative che coinvolgano la stessa regione Sardegna.
(4-05263)


   TOFALO e SILVIA GIORDANO. —Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Consorzio di bacino SA/1 è stato costituito in data 2 marzo 1995, ai sensi della legge regionale del 10 febbraio 1993 n. 10: Il compito primario del neo costituito consorzio di Bacino Salerno 1 era quello di gestire impianti destinati allo smaltimento dei rifiuti, secondo quanto previsto dal piano regionale dei rifiuti;
   a seguito delle prime emergenze, con l'ordinanza del sub-commissario di Governo n. 1 del 1999, emanata in ossequio all'Ordinanza del Ministro dell'interno delegato al coordinamento della Protezione Civile n. 2948/99, fu avviata la procedura con bando pubblico per l'assunzione del primo gruppo di 86 lavoratori;
   con il decreto-legge n. 61 dell'11 maggio 2007, convertito con modificazioni dalla legge n. 84/07 e con l'ordinanza n. 251/07 del commissario delegato si fa obbligo: ai comuni di avvalersi, in via esclusiva, dei consorzi per le attività di raccolta differenziata (sono fatti salvi i contratti e le proroghe non scadute alla data del decreto-legge ed ai Consorzi di predisporre piani economico-finanziari relativi alla raccolta differenziata nel proprio territorio e di adottare le misure necessarie atte ad incrementare la raccolta differenziata, onde raggiungere gli obiettivi del 35 per cento entro il 31 dicembre 2007;
   ad oggi, anche se i risultati della raccolta differenziata appaiano positivi, non si è del tutto debellato lo spettro di una emergenza rifiuti, e in relazione al consorzio, sono stati persino disposti 22 arresti per «assenteismo», grazie ad una indagine iniziata nel 2012 con le segnalazioni dei cittadini –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione e se sussista davvero il rischio di una nuova emergenza rifiuti. (4-05264)


   MASSIMILIANO BERNINI, SPESSOTTO, BENEDETTI, PARENTELA, L'ABBATE e GAGNARLI. —Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Treia, importante affluente del Tevere, è un fiume che scorre nelle province di Viterbo e Roma e attraversa nei territori dei Comuni di Mazzano Romano e Calcata, il parco «Parco Regionale Valle del Treja» istituito, originariamente con il nome di «Parco suburbano Valle del Treja», nel 1982;
   il fiume Treia e la forra che esso attraversa, per le bellezze paesaggistico ambientali che hanno carattere di unicità, è meta abituale di numerosi turisti e abitanti dei comprensori comunali che attraversa;
   durante la stagione estiva, a testimonianza della pulizia delle sue acque, da sempre i locali sono dediti ad immergersi e nuotare lungo il suo corso;
   per le ragioni sopraesposte, l'indotto legato al turismo ambientale del bacino del fiume Treia è un elemento fondamentale dell'economia locale dei comuni che ne vengono attraversati, avendo determinato nel corso degli anni, il fiorire di numerose attività agroturistiche e ricettive, nonché associazioni faunistiche ed enti di assistenza e di servizio per il turismo, caratterizzato quest'ultimo, da un flusso importante di visitatori provenienti da varie parti del mondo;
   l'equilibrio di un ecosistema fluviale, ivi compreso quello del fiume Treia, è estremamente delicato ed anche leggere perturbazioni di natura antropica possono generare alterazioni e squilibri difficilmente sanabili in un breve lasso di tempo o addirittura irreversibili;
   vari organi di stampa locale ed il sito ufficiale del «Parco Regionale Valle del Treja», riportano che nei giorni 10 ed 11 giugno 2014, nei pressi del comune di Civita Castellana è stato documentato uno sversamento di importante rilevanza che ha avvelenato l'ittiofauna del fiume Treia causando, secondo testimonianze documentate e avvalorate da foto pubblicate, la morte della «totalità» della fauna acquatica;
   il CFS di Civita Castellana (VT) in data 15 giugno 2014 ha individuato i presunti responsabili dell'avvelenamento del fiume Treia, denunciandoli per inquinamento ambientale e smaltimento illecito di liquami zootecnici nel corso d'acqua, di cui, anche lo stesso Ministro dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare, potrebbe decidere di costituirsi parte civile;
   nel 2005 venne alla luce nel territorio del viterbese un importante traffico illecito di rifiuti tossici che coinvolse alcuni comuni, tra i quali anche quello di Civita Castellana e per questo, il 29 giugno 2005 vennero ascoltati in audizione nella Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse, i sostituti procuratori della Repubblica presso il tribunale di Viterbo, responsabili del processo scaturito dall'inchiesta denominata «giro d'Italia» che confermarono la presenza di smaltimento fuori legge di rifiuti tossici –:
   se sia al corrente dell'episodio avvenuto nei giorni 10 ed 11 giugno 2014 di cui in premessa e se intenda costituirsi parte civile nell'ambito del processo che ne verrà;
   quali iniziative urgenti per quanto di competenza intenda intraprendere, affinché simili fatti non abbiano più a verificarsi, anche potenziando i controlli volti a individuare e reprimere gli sversamenti illeciti di qualunque provenienza.
(4-05265)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   OLIVERIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa riportate sulla Gazzetta del Sud dello scorso 15 giugno 2014, si rende noto che a Tiriolo, in provincia di Catanzaro, nel mezzo di un paradiso naturale, dovrebbe sorgere un altro parco eolico, che se confermato, rappresenterebbe un fatto gravissimo che andrebbe a danneggiare lo straordinario patrimonio paesaggistico e archeologico locale;
   Tiriolo è un centro della Sila piccola, situato a nord dell'istmo di Catanzaro, sopra un poggio che segna il displuvio tra la valle del fiume Amato sul versante tirrenico e quella del fiume Corace sul versante ionico. Da Tiriolo è possibile vedere i due mari che bagnano quella parte della Calabria, Jonio e Tirreno; le principali fonti di ricchezza sono costituite dall'agricoltura e dal turismo, settori entrambi strategici per l'economia del territorio;
   se così fosse si verrebbero a ripercuotere gravissime conseguenze anzitutto sull'aspetto generale del territorio, distruggendone il valore paesaggistico e panoramico dell'area interessata dalla realizzazione del parco eolico, facendone decadere le vocazioni turistiche e compromettendo irrimediabilmente l'integrità territoriale per imprese agricole, turistiche agrituristiche;
   queste notizie stanno generando forte preoccupazione non solo tra i cittadini ma anche, sempre stando alle notizie stampa locali, ad alcune importanti associazioni, tra le quali l'Associazione culturale «Teura», che, vedendo fortemente messa a rischio la natura paesaggistica del luogo, ha inviato delle richieste di chiarimenti alle istituzioni preposte;
   l'opposizione alla diffusione selvaggia, dell'eolico in Calabria non deve intendersi come indifferenza nei confronti delle energie rinnovabili, ma deve essere vista come una attenzione all'ambiente attraverso la diffusione equilibrata di altre forme di energie in direzione di uno sviluppo sostenibile che rappresenta, ormai, per una larghissima parte di cittadini una scelta irrinunciabile;
   peraltro l'area è sottoposta a un vincolo archeologico –:
   quali iniziative di competenza si intendano assumere per preservare i beni archeologici dell'area. (4-05262)

DIFESA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della difesa, per sapere – premesso che:
   il faro dell'isola di Ponza, sulla base dei risultati conseguiti nell'ambito della campagna 2012 «I luoghi del cuore» è stato inserito fra i diciannove beni che il FAI – Fondo Ambiente italiano – ha scelto come bene da salvaguardare e da tutelare per valore storico-culturale e paesaggistico;
   in data 30 ottobre 2013 ed in data 20 novembre 2013, a rettifica ed integrazione della prima istanza, il comune di Ponza ha inoltrato all'Agenzia del demanio, una richiesta di trasferimento a titolo non oneroso del fabbricato del faro costituito da n. 4 appartamenti (due per piano) ed altri locali compreso un giardino di circa 120 metriquadri a norma dell'articolo 56-bis del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (convertito dalla legge 9 agosto 2013, n. 98);
   nella richiesta il comune ha indicato come finalità la seguente opzione:
    «Bene da valorizzare in ottica di mercato ai fini della messa a reddito o dell'alienazione, anche mediante il conferimento ai fondi immobiliari, nell'interesse diretto od indiretto della collettività»;
   il bene è assegnato formalmente in uso governativo al Ministero della difesa. Pertanto l'Agenzia del demanio, in data 22 novembre 2013, ha informato della richiesta il Ministero della difesa, specificatamente la direzione generale dei lavori e del demanio, chiedendo di confermare, entro il termine perentorio di trenta giorni, la necessità del bene per le funzioni di difesa e per le esigenze istituzionali;
   l'Agenzia del demanio precisava che il mancato riscontro entro il termine indicato avrebbe costituito mancato interesse al mantenimento in uso dell'immobile e, di conseguenza, presupposto per i successivi adempimenti in materia di federalismo demaniale;
   l'Agenzia del demanio chiedeva, in particolare, di specificare, nell'ipotesi in cui il bene non fosse concretamente utilizzato ma fosse comunque necessario alle esigenze governative, la tempistica entro la quale se ne prevedeva l'utilizzo e, nel caso in cui l'immobile necessitasse di interventi edilizi, la conferma della disponibilità di risorse adeguate a finanziare i lavori e la tempistica prevista per l'esecuzione degli interventi;
   alla richiesta dell'Agenzia del demanio, il Ministero della difesa ha risposto, in data 20 dicembre 2013, in maniera sintetica confermando che «i beni in parola risultano necessari per lo svolgimento di attività istituzionali dell'A.D» –:
   se non ritenga che tale decisione contrasti con quanto disposto dal decreto direttoriale n. 13/2/5/2010 dell'8 settembre 2010 che aveva individuato, al fine del trasferimento al patrimonio disponibile dello Stato alcuni immobili in uso all'amministrazione della Difesa da assoggettare a procedure di alienazione, permuta, valorizzazione e gestione previste dall'articolo 14-bis, comma 3 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 che aveva inserito il faro tra i beni alienabili con la seguente annotazione «presenza di funzioni da riallocare» e quali iniziative intenda adottare conseguentemente.
(2-00592) «Fauttilli, Dellai».

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   MORETTO e CAUSI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 52 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, prevede la possibilità, per i contribuenti che si trovino per ragioni estranee alla propria responsabilità, in una comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica, di accedere, per il pagamento delle somme iscritte a ruolo, in aggiunta alla forma ordinaria di rateazione che prevede un massimo di 72 rate mensili, ad una rateazione straordinaria fino ad un massimo di 120 rate mensili;
   con successivo decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 6 novembre 2013, in attuazione del richiamato articolo 52, sono stati individuati quattro tipi di piani di rateizzatone: ordinario (fino a 72 rate), in proroga ordinario (ulteriori 72 rate), straordinario (fino a 120 rate) e in proroga straordinario (ulteriori 120 rate);
   il medesimo decreto ha stabilito, all'articolo 3, le condizioni per la richiesta del piano di rateazione straordinario, che consistono nell'accertata impossibilità per il debitore di eseguire il pagamento del credito tributario secondo un piano ordinario e, congiuntamente, nella solvibilità dello stesso debitore;
   tali condizioni sussistono, sempre secondo quanto disposto dal medesimo articolo 3 del decreto attuativo, quando, per le persone fisiche e le ditte individuali con regimi fiscali semplificati, il rapporto tra la rata e il reddito mensile, rilevabile dalla certificazione dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), è superiore al 20 per cento; mentre per gli altri soggetti, ovvero le imprese, il rapporto tra rata e valore della produzione è superiore al 10 per cento e l'indice di liquidità dell'impresa (dato dalla somma della liquidità differita più la liquidità corrente diviso il passivo corrente) è compreso tra 0,50 e 1;
   il numero delle rate dei piani straordinari è modulato in funzione del rapporto esistente tra la rata e il reddito o il valore della produzione secondo le tabelle A e B allegate al citato decreto;
   secondo quanto riportato dalle citate tabelle, per le persone fisiche e le ditte individuali con regimi fiscali semplificati, solo allorquando la percentuale superi il 38,80 per cento sarà possibile beneficiare della rateazione decennale in 120 rate, mentre gli altri soggetti potranno vedersi accordare una rateazione a 10 anni nel caso in cui il rapporto rata/valore della produzione sia superiore al 19,40 per cento; si tratta di valori evidentemente elevati che rendono difficile l'accesso al piano straordinario;
   facendo un esempio, un'azienda che ha un debito tributario di 72.000 euro ed ha ottenuto una rateazione ordinaria con 72 rate mensili pari a circa 1.000 euro, qualora intenda accedere ad una rateazione straordinaria in 120 rate dovrebbe dimostrare lo stato di difficoltà presentando un fatturato mensile inferiore ad euro 5.000; un fatturato evidentemente troppo basso, con il quale l'impresa dovrebbe coprire sia i costi di produzione e di gestione sia la rata mensile Equitalia di 1.000 euro per il debito pregresso;
   la scelta di parametrare la difficoltà finanziaria delle imprese ad indicatori economici appare incongruente, in quanto l'impossibilità di pagare debiti tributari non è causata dalla mancanza di ricavi ma è piuttosto legata, nella maggior parte dei casi, a problemi di natura finanziaria;
   agganciare l'indicatore al valore dei ricavi presenterebbe inoltre effetti distorsivi, quali ad esempio il fatto che un'azienda in momentanea ripresa economica si trovi nell'impossibilità di accedere ad una misura che gli consentirebbe di saldare i debiti pregressi proprio a causa dell'aumento del fatturato;
   l'applicazione del criterio con cui attualmente è concessa la rateazione ordinaria, legato ad un indice Alfa che prevede una proporzione tra debiti complessivi e valore della produzione superiore alle 3 volte, seppure con dei limiti, di fatto ha finora consentito di cogliere in maniera abbastanza diffusa le situazioni di difficoltà delle imprese che hanno così potuto accedere alla rateazione;
   pur nella previsione di un monitoraggio degli effetti previsto ai sensi dell'articolo 5 del citato decreto ministeriale, secondo il quale Equitalia spa, per il tramite dell'Agenzia delle entrate, presenta una relazione al Ministero dell'economia e delle finanze, entro il 31 marzo di ciascun anno, in ordine agli effetti sull'andamento delle riscossioni dell'anno precedente derivanti dall'introduzione dei piani di rateazione straordinaria, in questi mesi di applicazione, dalle associazioni di categoria delle piccole e medie imprese e dagli ordini locali dei commercialisti, perviene il dato di una scarsa accessibilità alla rateazione straordinaria; dato che sembrerebbe vanificare la misura stessa, prevista proprio per agevolare i soggetti intenzionati a regolarizzare la propria posizione verso l'erario –:
   quali siano i dati a disposizione del Ministro in merito all'andamento delle riscossioni derivanti dall'introduzione dei piani di rateazione-straordinaria, e quale valutazione attribuisca a tali dati anche con riguardo alla possibilità di modificare la normativa agendo su una significativa riduzione delle percentuali indicate nelle citate tabelle allegate al decreto ministeriale del 6 novembre 2013, ovvero alla possibilità di introdurre un diverso parametro legato al margine operativo lordo, in grado di cogliere in maniera più precisa le situazioni di difficoltà delle imprese. (5-03065)


   GEBHARD, PLANGGER, ALFREIDER, SCHULLIAN e OTTOBRE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a partire dal 1o luglio 2014 in Svizzera entreranno in vigore nuove disposizioni per il traffico turistico, che incideranno in particolare sul regime tributario delle merci non destinate al commercio che vengono importate in Svizzera dai privati per uso proprio o come regali;
   il Consiglio federale il 2 aprile ha infatti deciso di stabilire una franchigia di 300 franchi sulla merce che i viaggiatori importano per uso privato o come regali, valore al di sopra del quale occorrerà pagare l'imposta sul valore aggiunto, anche per i tabacchi manufatti, le bevande alcoliche e alcune derrate alimentari;
   la nuova disposizione appare quanto mai sproporzionata soprattutto per alcune derrate alimentari, per le quali vige anche un limite di peso: la quantità di carne, per esempio, è stata limitata ad 1 chilogrammo – in luogo dei 3 chilogrammi precedenti – oltre il quale bisognerà pagare un dazio doganale di 17 franchi per ogni chilogrammo in eccedenza;
   queste misure, motivate dalle autorità svizzere come semplificazione del traffico turistico, rischiano in realtà di rivelarsi gravemente pregiudizievoli per il commercio nelle zone di confine, tanto che già in Alto Adige le associazioni di settore sono in allarme e analoghe preoccupazioni sembrano riscontrarsi anche nelle altre regioni di confine che lavorano molto con il turismo svizzero;
   inoltre, sul piano della disciplina doganale, le nuove previsioni rappresentano una grave limitazione all'Accordo di libero scambio concluso nel 1972 tra la Svizzera e l'Unione europea, la cui applicazione deve invece essere facilitata;
   appare importante che il Governo italiano intervenga presso le autorità svizzere, in particolare il Consiglio federale svizzero, al fine di sollecitarle a rivedere tale nuova normativa, che costituisce una violazione delle norme doganali applicabili ai rapporti tra i due Stati –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere, nell'ambito delle proprie competenze, onde evitare che le misure appena descritte comportino un improprio aggravio di imposizione, che determinerebbe un grave nocumento per il commercio delle regioni italiane di confine, nonché per garantire, nel contesto dei rapporti doganali tra l'Italia e la Confederazione Elvetica, il rispetto del principio del libero scambio delle merci vigente nell'area euro, che anche la Svizzera ha accettato.
(5-03066)


   CANCELLERI, PESCO, ALBERTI, VILLAROSA, RUOCCO, PISANO e BARBANTI. —Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   i buoni fruttiferi postali sono titoli emessi dalla Cassa depositi e prestiti per propri fini istituzionali, garantiti dallo Stato italiano e collocati in esclusiva da Poste italiane, i relativi rendimenti sono stabiliti dall'emittente ed approvati dal Ministero dell'economia e delle finanze; i rendimenti e le tabelle con il relativo calcolo sono stampati sul retro di ogni singolo buono fruttifero postale;
   con il decreto del 13 giugno 1986 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 148 del giugno 1986) il Ministro del tesoro istituì una nuova serie di buoni con la lettera «Q» e stabilì che tutti i buoni fruttiferi postali delle serie precedenti (le serie L, M, N, O) fossero convertiti m titoli della nuova serie Q; l'attribuzione delle nuova serie Q rappresentava un vero e proprio «declassamento» delle serie precedenti, presentando tassi di interesse notevolmente più bassi rispetto a quelli sottoscritti al momento dell'acquisto;
   il potere di modificare il tasso di interesse previsto anche con riferimento a serie di buoni postali già emesse, oltre che a quelle di nuova emissione, era conferito al Ministro del tesoro dall'articolo 173 del decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156, (poi abrogato dal decreto legislativo 30 luglio 1999 n. 284); in particolare, la norma prevedeva la possibilità di modificare i tassi d'interesse sia per i buoni di nuova serie, emessi dalla data di entrata in vigore del decreto stesso, sia per quelli relativi a serie emesse in precedenza; lo stesso articolo 173 prevedeva inoltre che gli interessi dovevano essere corrisposti sulla base della tabella riportata a tergo dei buoni e che tale tabella, in caso di successiva variazione dei tassi, dovesse essere integrata con quella messa a disposizione dei titolari dei buoni stessi presso gli uffici postali;
   il declassamento attuato con il decreto ministeriale del 13 giugno 1986 generò non poche questioni interpretative e applicative, soprattutto in tema di trasparenza e pubblicità dell'intervenuta variazione unilaterale dei tassi di interesse per i buoni fruttiferi postali già emessi; al riguardo, con ordinanza del 16 luglio del 1999, il tribunale di Napoli sollevò addirittura la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 173 citato, in riferimento agli articoli 43, 47 e 97 della Costituzione, nella parte in cui consentiva l'estensione della variazione del tasso d'interesse anche alle serie di buoni postali fruttiferi precedentemente emesse, senza che di tale variazione vi fosse stata la previsione e la sottoscrizione per accettazione del titolare dei buoni e senza che vi fosse stata la comunicazione al medesimo titolare onde consentirgli di esercitare il diritto di recesso (contrariamente a quanto previsto dalla normativa, in vigore a seguito delle modifiche introdotte dall'articolo 7, comma 3, del decreto legislativo 30 luglio 1999 n. 284): sennonché, la Corte Costituzionale dichiarò inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata, rilevando un vizio procedurale dell'ordinanza di rimessione, ed evitando dunque di pronunciarsi nel merito;
   tuttavia, la questione è stata di recente nuovamente affrontata dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 13979 del 15 giugno 2007, hanno enunciato il principio di diritto secondo il quale «nella disciplina dei buoni postali fruttiferi dettata dal testo unico approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156, il vincolo contrattuale tra emittente e sottoscrittore dei titoli si forma sulla base dei dati risultanti dal testo dei buoni di volta in volta sottoscritti; ne deriva che il contrasto tra le condizioni, in riferimento al saggio degli interessi, apposte sul titolo e quelle stabilite dal decreto ministeriale deve essere risolto dando la prevalenza alle prime, essendo contrario alla funzione stessa dei buoni postali – destinati ad essere emessi in serie, per rispondere a richieste di un numero indeterminato di sottoscrittori – che le condizioni alle quali l'amministrazione postale si obbliga possano essere, sin da principio, diverse da quelle espressamente rese note al risparmiatore all'atto della sottoscrizione del buono»; in altre parole, secondo le Sezioni Unite il rapporto tra il soggetto emittente e il sottoscrittore dei titoli si forma sulla base delle condizioni risultanti dal testo dei buoni di volta in volta acquistati, condizioni che prevalgono sulle modifiche in seguito apportate con decreto ministeriale;
   il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite della suprema Corte di cassazione è stato in seguito ribadito in plurime sentenze dei giudici di merito; da ultimo si è pronunciato il tribunale di Roma, Sez. III, con la sentenza del 22 febbraio 2013, con la quale ha nuovamente chiarito che «in merito agli interessi da corrispondere sui buoni fruttiferi postali, l'articolo 173 del testo unico n. 156 del 1973, disponeva che essi dovevano corrispondersi sulla base di una tabella riportata a tergo dei buoni medesimi e che tale tabella, per i titoli i cui tassi fossero stati modificati dopo la loro emissione per effetto di un decreto ministeriale sopravvenuto, doveva essere integrata con quella messa a disposizione dei sottoscrittori presso gli uffici postali. Qualora nel corso del rapporto non risulti intervenuta alcuna modifica concernente il tasso degli interessi, né alcuna modificazione risulti verificatasi rispetto alla situazione esistente al momento della sottoscrizione dei titoli, l'eventuale discrepanza tra le prescrizioni contenute nel decreto ministeriale disciplinante la materia e le indicazioni apposte sui buoni fruttiferi offerti in sottoscrizione ai richiedenti dall'Ufficio Postale, deve essere risolta dando prevalenza a queste ultime» –:
   qual sia alla luce della consolidata interpretazione giurisprudenziale, la posizione assunta dal Ministero dell'economia e delle finanze e dalle società emittenti da esso partecipate (Poste italiane spa e Cassa depositi e prestiti spa) in relazione alle richieste di rimborso aventi ad oggetto buoni fruttiferi postali interessati dalle modifiche introdotte dal decreto ministeriale del 13 giugno 1986, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 148 del 28 giugno 1986, specificando in particolar modo il numero e lo stato delle procedure di rimborso avviate e/o concluse con il pagamento di interessi al saggio indicato nelle tabelle apposte a tergo dei buoni medesimi (anziché quello inferiore previsto dal detto decreto ministeriale) nonché l'autorità preposta alla gestione e controllo di tali procedure. (5-03067)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto pubblicato dal quotidiano: Il Sole 24 Ore, lo scorso 22 giugno, il primo dei decreti attuativi della legge 11 marzo 2014, n. 23 recante «Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita», cosiddetta legge di delega fiscale, varato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 20 giugno che dovrà essere esaminato dal Parlamento, sembrerebbe non garantire l'invarianza di gettito così come indicato dall'articolo 2 della medesima legge;
   la bozza del provvedimento come riporta l'articolo del quotidiano economico, non prevede infatti come inizialmente indicato, un posto sicuro per i rappresentanti delle associazioni di categoria del settore immobiliare, in ognuna delle 103 commissioni censuarie locali composte, da sette membri ciascuna e chiamate a validare gli algoritmi che dovranno determinare i valori patrimoniali e le nuove rendite basate sui metri quadrati per 60 milioni di unità immobiliari;
   spetterà infatti al prefetto, prosegue il Sole 24 Ore, proporre al presidente del tribunale i componenti indicati soltanto da professionisti e associazioni di categoria, con la conseguenza, che quest'ultime potrebbero trovarsi escluse dalla composizione finale e pertanto senza alcuna autorità d'intervento, sul meccanismo di costruzione delle statistiche per definire i nuovi importi;
   si tratta di un delicato passaggio, confermato dalle prime stime degli effetti della revisione delle rendite e della costruzione dei valori patrimoniali, che in alcuni casi potrà arrivare ad importi superiori a dieci volte quelli attuali, considerando naturalmente, che l'aumento in termini percentuali sarà tanto più elevato quanto più basso risulta il livello delle attuali rendite;
   sulla composizione delle commissioni censuarie è possibile una correzione di rotta, evidenzia il medesimo quotidiano, attraverso i pareri delle commissioni parlamentari, che potrebbero avvenire prima della pausa estiva, in quanto la delega stabilisce un termine di 30 giorni dalla data di trasmissione;
   i tempi ravvicinati non rendono semplice un ripensamento, così come risulterà necessario comprendere se le commissioni censuarie, saranno investite del compito di esaminare le richieste dei contribuenti di revisione della rendita attribuita per ridurre il contenzioso tributario, come sembra risultare dal contenuto della legge delega, a differenza dello schema di decreto legislativo approvato dal Governo che non invece non riporta alcun riferimento;
   ulteriori profili di criticità rileva l'articolo del quotidiano Il Sole 24 Ore, si rinvengono dai prossimi decreti sulla riforma del catasto, che daranno attuazione al principio dell'invarianza di gettito come in precedenza esposto, ovvero alla previsione che le nuove rendite e i nuovi valori patrimoniali, non dovranno trasformarsi anche in un ulteriore aumento della tassazione sui contribuenti;
   il disegno di legge delega, traccia una direzione d'intervento sulle aliquote, deduzioni dalla base imponibile o detrazioni d'imposta anche da parametrare al reddito familiare, senza un vincolo preciso che obblighi le amministrazioni comunali a restare nei limiti di quanto già incassato finora, determinando l'eventualità che le buone intenzioni, della delega sulla revisione delle rendite e dei valori patrimoniali, possa trasformarsi nell'ennesimo rincaro della tassazione sugli immobili per i contribuenti;
   l'interrogante evidenzia che, nel caso in cui le osservazioni in precedenza esposte e riportate dal suddetto quotidiano fossero confermate, il rischio più che evidente che si configurerà nei prossimi mesi, sarà di un aumento complessivo ed ulteriore del prelievo fiscale sugli immobili;
   l'interrogante rileva altresì come il testo della cosiddetta delega fiscale, approvato lo scorso febbraio dal Parlamento, prevede che la revisione del catasto debba essere effettuata garantendo l'invarianza di gettito per tutte quelle imposte, la cui base di calcolo è influenzata da stime di valori patrimoniali e rendite;
   in termini più espliciti, la rivisitazione dei valori immobiliari e delle rendite non dovrebbe riversarsi, a parere dell'interrogante, sui contribuenti sotto forma di aumento dei prelievi di IMU, TASI, ma anche le imposte sui trasferimenti e sui redditi;
   a tal fine per evitare che quanto predetto possa verificarsi, la legge delega, indica la direzione delle aliquote o dei correttivi con deduzioni dall'imponibile o detrazioni d'imposta;
   a giudizio dell'interrogante, necessitano pertanto una serie di chiarimenti volti a garantire maggiore certezza sia sul primo decreto attuativo, con riferimento alla rappresentanza nelle commissioni da parte delle associazioni di categoria del settore immobiliare, per la determinazione dei valori aggiornati, necessari per calcolare i valori patrimoniali e le nuove rendite basate sui metri quadrati per 60 milioni di unità immobiliari, nonché sui prossimi decreti, sul catasto volti a garantire l'osservanza dell'invarianza di gettito –:
   se intenda confermare le criticità riportate in premessa e contenute all'interno dell'articolo pubblicato dal «Sole 24 Ore», lo scorso 22 giugno e in caso affermativo, quali iniziative urgenti e necessarie intenda intraprendere, al fine di garantire sia la rappresentanza delle associazioni di categoria del settore immobiliare all'interno delle 103 commissioni censuarie locali, nel rispetto di quanto contenuto dall'articolo 2, comma 3, lettera a) della legge di delega fiscale, che dell'osservanza di quanto contenuto nella medesima, in ordine ai principi dell'invarianza di gettito. (4-05261)


   SAMMARCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Rocca di Papa è un comune della provincia di Roma con circa 16.000 abitanti;
   dalla relazione dell'organo di revisione sul rendiconto 2013 risulta che 5 dei 10 parametri indicati dal decreto del Ministro dell'interno 18 febbraio 2013, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 6 marzo 2013, n. 55, non risultano rispettati con la conseguenza che l'ente si troverebbe formalmente in situazione di deficitarietà strutturale ex articolo 242 e seguenti del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267);
   in particolare nel corso dell'esercizio 2013 l'ente, non riuscendo ad accertare tutte le entrate previste, non è stato in grado di mantenere nel proprio bilancio il Fondo svalutazione crediti nella misura indicata; di conseguenza al disavanzo di amministrazione dell'esercizio finanziario 2013 di euro 267.374,89 l'ente dovrà aggiungere l'importo di euro 1.329.403,18 del Fondo svalutazione crediti;
   il collegio dei revisori ha rilevato che lo scostamento fra le previsioni e le risultanze del rendiconto è rilevante: una serie considerevole di entrate non si sono realizzate e ciò sintomo che la capacità gestionale e soprattutto programmatoria dell'ente non risulta sufficientemente incisiva;
   il rendiconto giunge all'esame del consiglio comunale con il parere contrario all'unanimità della competente commissione consiliare;
   nella notte del 29 aprile 2014, il collegio dei revisori del comune, congiuntamente con il responsabile del settore bilancio del medesimo ente produceva al presidente del consiglio comunale, al sindaco, all'assessore al bilancio e al segretario comunale una lettera che di fatto smentiva la precedente relazione;
   a seguito di tale missiva, che non sembra essere parte integrante della relazione dell'organo di revisione, anche perché sarebbe irrituale fosse firmata anche dal preposto funzionario del comune controllato, il consiglio comunale approvava il rendiconto 2013 senza tener conto della eventuale deficitarietà strutturale, così come definita dai citati articoli del TUEL;
   che alcuni organi di informazione locale stigmatizzavano il comportamento dei revisori contabili e facevano rilevare che il parere della commissione consiliare competente, in ogni caso non aveva potuto esaminare il secondo elaborato, viziando così il parere della medesima commissione bilancio e, forse anche dello stesso consiglio comunale –:
   se non ritenga opportuno assumere un'iniziativa ispettiva per il tramite dei servizi ispettivi di finanza pubblica presso il comune di Rocca di Papa e sulla reale situazione contabile del medesimo ente alla luce di quanto rappresentato in premessa. (4-05271)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta immediata:


   COLLETTI, SARTI, BUSINAROLO, FERRARESI, AGOSTINELLI, BONAFEDE e TURCO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il livello di sovraffollamento della popolazione detenuta nel nostro Paese ha raggiunto livelli insostenibili, sia per le persone private della libertà personale, sia per coloro che lavorano presso gli istituti penitenziari;
   alla data dell'ultimo rilievo delle presenze, la popolazione detenuta attualmente negli istituti di pena, secondo il Ministro interrogato, si attesta a circa 58.500 unità, a fronte di una capienza regolamentare di 47.045 persone;
   con riferimento alla situazione carceraria e alla gestione della relativa situazione emergenziale dal 2010 è stato preposto un commissario straordinario, che, mediante una propria struttura, si avvale di poteri derogatori alla normativa vigente in materia di appalti per la realizzazione delle opere e per l'affidamento dei relativi lavori. La pubblicità e la trasparenza delle procedure, l'affidamento di incarichi e consulenze, la gestione della contabilità, i ritardi nella cantierizzazione e nella consegna di nuovi padiglioni nell'ambito degli obiettivi indicati dal piano carceri dimostrano i limiti e la pericolosità del modello straordinario seguito, sulla scia di ordinanze emergenziali di protezione civile che rimandano ad altri eventi. Nell'ambito del cosiddetto piano carceri, risultano ancora in corso di realizzazione i promessi 12.324 posti detentivi, comprensivi di quelli relativi all'apertura di quattro nuovi istituti penitenziari;
   nel 2010, per il suddetto piano, sono stati stanziati ben 675 milioni di euro, ridotti a 468 milioni di euro nel 2012; ciò nonostante, a distanza di anni dalla nomina del commissario, l'ultimazione dei lavori dei nuovi istituti, padiglioni o di ristrutturazione, dai quali si attende l'aumento dei posti detentivi per attenuare, evitare o arginare il sovraffollamento, appare ancora lontana;
   gli interroganti contestano, quindi, in modo radicale le scelte di una politica che, per risolvere un problema annoso come quello delle carceri, lucra sugli appalti, attribuendo una delega in bianco ad un commissario straordinario per le infrastrutture carcerarie che può agire liberamente e senza adeguata trasparenza, anche tramite la secretazione delle procedure di affidamento;
   già il 5 agosto 2013 il Movimento 5 Stelle ha presentato un piano carceri alternativo che prevedeva il ritorno alla competenza gestionale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, oltre ad una maggiorazione dei posti detentivi a costi di circa la metà rispetto al piano carceri attuale, ma tale proposta non è mai stata presa in considerazione;
   gli interroganti contestano, inoltre, della gestione commissariale che, ancora oggi, si ricorra alla secretazione di appalti relativi alle carceri;
   in merito alla secretazione di alcuni appalti, il Movimento 5 Stelle aveva cercato di avere risposte, già il 22 ottobre 2013; infatti durante un'audizione al prefetto Sinesio, commissario straordinario, fu già chiesto se il commissario avesse utilizzato delle procedure secretate, ricevendo risposta negativa;
   tanto che proprio il gabinetto del Ministro della giustizia pro tempore ha trasmesso, in seguito a richiesta di accesso presentata dal primo firmatario del presente atto di sindacato ispettivo, il decreto di secretazione di appalto di opere pubbliche in relazione al carcere di Arghillà, sito in Reggio Calabria;
   il 7 gennaio 2014, durante un'audizione presso la Commissione giustizia della Camera dei deputati, l'allora Ministro Cancellieri, su specifica domanda, ha sostanzialmente negato che vi sia stata qualsivoglia procedura di secretazione degli appalti, dichiarando, altresì, di non aver concesso alcun nulla osta;
   sia l'attuale inchiesta portata avanti dalla procura di Roma, sia la documentazione inviata dal gabinetto del Ministro della giustizia pro tempore dimostrano come quanto sopra esposto risulti falso;
   altri profili di illegittimità riguardano il frazionamento degli appalti per portarli ad una cifra minore di 5 milioni di euro, così come emerso dalla stessa inchiesta;
   il Movimento 5 Stelle già alcuni mesi fa, ovvero sin da ottobre 2013, ha messo in evidenza, rimanendo inascoltato, tutto ciò, parlando anche dei conflitti di interesse all'interno della struttura commissariale e delle modalità di assunzione all'interno della stessa –:
   se il Ministro interrogato non ritenga, allo stato dei fatti e delle inchieste penali in corso, di attivarsi perché intervenga la revoca dell'attuale commissario straordinario, nonché al fine di cancellare la previsione commissariale, facendo tornare l'edilizia carceraria nelle mani del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, istituzionalmente competente in materia, ma ancora carente di un direttore di nomina ministeriale. (3-00905)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BRUNO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   giorno 19 giugno 2014 sulla strada statale 107 Silana-Crotonese si è verificato l'ennesimo incidente stradale che ha visto coinvolto tre veicoli e il ferimento, anche grave, di alcuni automobilisti nonché il rallentamento del traffico con notevoli disagi;
   si tratta del terzo episodio registrato nell'arco di una settimana sullo stesso tratto a causa dei lavori in corso per l'adeguamento degli svincoli all'altezza di Piano di Maio e di Piano Monello per eliminare le corsie di immissione sulla superstrada;
   l'adeguamento in questione sembrerebbe prevedere l'eliminazione delle corsie d'immissione in quei tratti di strada extraurbane di categoria C in attuazione di un decreto datato 2006, che non viene applicato neanche agli svincoli adiacenti;
   è ovvio ed evidente che gli incidenti sono sostanzialmente riconducibili alla riduzione dello spazio disponibile per le vetture che devono immettersi dallo svincolo sulla statale;
   gli svincoli in questione sono particolarmente interessati da frequenti episodi di congestione del traffico in direzione dell'università della Calabria;
   è sostanzialmente evidente a tutti, (basta scorrere la rassegna stampa locale sull'argomento) che di tali lavori nessuno ha mai avvertito l'esigenza;
   purtroppo, sperando che la notizia sia infondata, sembrerebbe che l'unica esigenza ravvisata sia quella relativa all'apertura di un'area di servizio per il rifornimento di carburanti. Come dire che gli interessi privati, ancorché legittimi, prevalgono sulle esigenze di incolumità e sicurezza degli automobilisti;
   è altrettanto evidente che se non si interviene con celerità nel ripristinare almeno il livello di sicurezza precedente su quel tratto di strada presto si registreranno altri incidenti gravi con chiare ed evidenti responsabilità dei decisori pubblici –:
   quali iniziative urgenti intenda adottare il Ministro affinché vengano sensibilizzati gli organismi preposti dell'ANAS per provvedere al più presto al ripristino della situazione precedente in modo di rimettere in sicurezza gli svincoli in questione. (5-03058)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BIANCONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la società CAV – Concessioni autostradali Venete spa – è stata costituita il 1o marzo 2008 in partecipazione paritetica tra Anas s.p.a. e la regione Veneto;
   la CAV, in attuazione di quanto disposto dall'articolo 2, comma 290, della legge 24 dicembre 2007 n. 244, ha per oggetto il compimento e l'esercizio di tutte le attività, gli atti ed i rapporti inerenti la gestione, compresa la manutenzione ordinaria e straordinaria, del raccordo autostradale di collegamento tra l'Autostrada A4 – tronco Venezia-Trieste e delle opere a questo complementari nonché della tratta auto stradale Venezia-Padova, gestisce il passante di Mestre, il tratto della A4 tra Padova e Mestre, il raccordo Marco Polo e la tangenziale Ovest di Mestre;
   la società ha inoltre per oggetto il compimento e l'esercizio di tutte le attività, gli atti ed i rapporti inerenti la realizzazione e la gestione degli ulteriori investimenti di infrastrutture viarie indicati dalla regione Veneto, di concerto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   sia l'ANAS sia la regione Veneto rientrano nel bilancio consolidato dello Stato, e sono quindi obbligate al rispetto dei vincoli previsti dalla spending review anche in tema di contenimento della spesa pubblica e di affidamento di consulenze;
   lo scorso mese di novembre è stato nominato amministratore delegato di CAV il settantenne Piero Buoncristiano, ex direttore del personale di ANAS, attualmente in pensione –:
   quale sia la ragione per cui la società CAV ha affidato l'incarico di amministratore delegato ad un soggetto esterno, peraltro in pensione, con conseguente aggravio di costi in termini di compensi previsti, che avrebbero potuto essere più contenuti qualora fosse stato nominato un dirigente interno alla stessa ANAS;
   se la società abbia affidato negli ultimi mesi/ulteriori incarichi di consulenza esterna. (4-05247)


   OLIVERIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Calabria continua a vivere problemi legati a disagi ambientali e, in particolare nella provincia di Vibo Valentia, la Gazzetta del Sud del 24 maggio 2014 mette in risalto la notizia della chiusura della strada provinciale 83, evidenziando ancora una volta la fragilità del territorio calabrese;
   in particolare nel comune di Zambrone si registrano gravi problemi alla viabilità dovuti alla chiusura ed al sequestro delle strada provinciale da oltre due anni;
   questo grave disagio sta creando una situazione insostenibile tra la popolazione che non può più usufruire di una strada di primaria importanza che collega le frazioni zambronesi di Daffinà e Daffinacello con il vicino comune di Parghelia, costringendo la popolazione ad aumentare inevitabilmente il tempo per giungere a queste località;
   richieste di urgente dissequestro della strada e la sua riapertura sono state presentate nei giorni scorsi dalla cittadinanza che si è riunita in un comitato civico lamentando i ritardi della burocrazia al primo cittadino di Zambrone che attraverso un atto di intermediazione con la Provincia ha voluto sottolineare la necessità di urgenti interventi chiedendo anche l'interessamento del Prefetto di Vibo Valentia;
   la situazione appare molto critica e gli interventi da predisporre devono essere realizzati in tempi rapidi, proprio perché le continue carenze infrastrutturali limitano l'utilizzo della importante arteria;
   l'attuale situazione danneggia tutta la popolazione, non solo quella di Zambrone che è costretta ad adattarsi a vie di comunicazione secondarie, ma di tutto il comprensorio;
   l'attenzione che deve essere dedicata ad un settore vitale per l'economia locale deve essere massima, considerato che il trasporto merci in quel territorio avviene ancora per il 90 per cento su gomma;
   i fatti esposti sono ad avviso dell'interrogante preoccupanti e richiedono una immediata verifica al fine di salvaguardare la popolazione locale –:
   se e quali iniziative abbia assunto il prefetto a fronte delle richieste e delle segnalazioni fatte del comitato civico di Zambrone in relazione alla problematica descritta in premessa. (4-05260)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro della giustizia, il Ministro degli affari esteri, per sapere – premesso che:
   il regolamento Dublino III (regolamento (UE) n. 604/2013; in precedenza Convenzione di Dublino) è un regolamento europeo che determina lo Stato membro dell'Unione europea competente ad esaminare una domanda di asilo o riconoscimento dello status di rifugiato in base alla Convenzione di Ginevra articolo 51);
   il regolamento è la pietra angolare del sistema di Dublino, costituito dal regolamento Dublino III e dal regolamento Eurodac, che istituisce una banca dati a livello europeo delle impronte digitali per gli immigrati clandestini nell'Unione europea;
   secondo il Consiglio europeo per i rifugiati e gli esuli (ECRE) e l'UNHCR, ti sistema attuale non riesce però a fornire una protezione equa, efficiente ed efficace. È stato dimostrato, infatti, in diverse occasioni, sia da ECRE sia da UNHCR, che il regolamento impedisce i diritti legali e il benessere personale dei richiedenti asilo, compreso il diritto a un equo esame della loro domanda d'asilo e, ove riconosciuto, ad una protezione effettiva;
   esso conduce, inoltre, ad una distribuzione ineguale delle richieste d'asilo tra gli Stati membri, con situazione di particolare onere per l'Italia, Paese che da solo si affaccia sul Mediterraneo con ben 7456 chilometri di coste e il cui suolo nazionale arriva a distare solo 113 chilometri dal continente africano;
   dal primo agosto 2012 al 10 agosto 2013 sono state 24.277 le persone sbarcate sul suolo italiano, a cui debbono aggiungersi le migliaia di persone morte in mare durante la traversata, mentre sono state in totale circa 43.000 le persone che sono arrivate via mare nel 2013;
   nei primi cinque mesi del 2014 si è registrato un numero di persone arrivate via mare in Italia pari a quello rilevato durante l'intero 2013;
   con il pattugliamento navale iniziato il 18 ottobre 2013, l'operazione Mare Nostrum ha consentito di salvare circa 20.000 naufraghi sulle coste siciliane;
   l'accoglienza e la sicurezza, la protezione e il pattugliamento che l'Italia ha garantito con un'iniziativa unilaterale attendono un rafforzamento da parte dell'Unione europea;
   le operazioni di salvataggio e di accoglienza gravano infatti in modo sproporzionato sull'Italia, sia per quanto riguarda le risorse umane impegnate, sia per quanto riguarda le risorse economiche allocate;
   flussi migratori che arrivano sulle coste italiane sono costituiti sia da migranti economici che profughi politici;
   negli ultimi mesi, come ha affermato il Ministro Alfano nella informativa svolta il 16 aprile 2014 presso la Camera, gli arrivi sul suolo italiano sono composti in gran parte da rifugiati, provenienti da Siria, Eritrea, sud Sudan, e da altri Paesi africani teatro di guerra o a forte instabilità politica;
   peraltro, già il rapporto di ferragosto 2013 del Ministero dell'interno informava che nel corso dell'anno precedente il Governo ha esaminato 11.068 richieste di protezione internazionale e, tra queste, ha concesso lo status di rifugiato in circa 1.600 casi, mentre altri tipi di tutela temporanea sono stati concessi a circa 5.500 persone;
   moltissimi altri esuli sono fuggiti nella speranza di essere accolti da altri Paesi, ma, a causa dei regolamento di Dublino, rischiano di essere riportati a forza in Italia;
   servirebbe una maggiore solidarietà a livello europeo, tenuto conto anche del fatto che il flusso ininterrotto di profughi ha come destinazione finale non l'Italia ma altri Paesi europei;
   il semestre a guida italiana sarà un'occasione per discutere questi temi;
   anche il cosiddetto regolamento di Dublino II che aveva preceduto tale formulazione è stato significativamente criticato dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, in quanto non in grado di garantire i diritti dei rifugiati e si è pertanto pervenuti ad una sua revisione, il cosiddetto Dublino III –:
   se non ritengano opportuno, in vista del semestre a presidenza italiana dell'Unione europea, e nelle more di una revisione delle norme del regolamento (CE) n. 604/2013 (cosiddetto Dublino III), sollecitare:
    a) un sistema di accoglienza umanitaria direttamente in Africa;
    b) la previsione di una missione europea dedicata ai soccorsi in mare effettuati dall'Europa;
    c) lo spostamento della sede di Frontex da Varsavia in Italia;
    d) la possibilità per i migranti di esercitare il diritto di asilo politico nel Paese europeo di loro scelta e non solamente nel Paese di sbarco e identificazione;
   se non intendano richiedere presso la Commissione europea un ulteriore supporto – anche tramite maggiore assistenza finanziaria delle operazioni Frontex – nello sforzo messo in atto dall'Italia per far fronte all'ingente flusso di sbarchi ed evitare nuove vittime;
   se, in assenza di risposte da parte degli altri Paesi dell'Unione europea, non intendano reagire anche rifiutando di fornire agli altri Stati membri dell'Unione europea qualunque informazione raccolta in sede di identificazione dei clandestini al momento dello sbarco sul territorio italiano.
(2-00593) «Gigli, Dellai, Binetti, Buttiglione, Fauttilli, Marazziti, Santerini, Sberna».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COZZOLINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   le sedi dei vigili del fuoco interne all'aeroporto Leonardo da Vinci di Fiumicino versano in condizioni di grave fatiscenza e degrado tali da mettere a rischio la sicurezza e la salute delle persone che vi lavorano all'interno;
   tale condizione è stata segnalata più volte dai rappresentanti dell'Unione sindacale di base dei vigili del fuoco, da ultimo con una lettera del 14 marzo 2014 inviata al comandante dei vigili del fuoco di Roma, Ing. Massimiliano Gaddini, comunicazione alla quale sono state allegate 15 fotografie che ritraggono le criticità riscontrate interne alle strutture;
   in particolare dalle fotografie prodotte emerge come nelle sedi dei vigili del fuoco siano presenti colonie di ratti, al punto da aver costretto a posizionare una trappola per roditori in uno dei locali adibiti alla mensa. Sempre dalle immagini fotografiche allegate si nota la presenza di cavi elettrici volanti non a norma ed esposti ad umidità e infiltrazioni d'acqua, pavimenti dissestati, mura con crepe e lesioni, suppellettili fatiscenti e pericolose;
   è di tutta evidenza, a parere degli interroganti, che nelle sedi dei vigili del fuoco interne all'aeroporto Leonardo Da Vinci, non solo non sembrano assicurate le condizioni minime per la tutela e le sicurezza dei lavoratori negli ambienti di lavoro, ma neppure le condizioni minime relative all'igiene. Poiché la vigilanza relativa alla prevenzione per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori negli ambienti di lavoro, a norma dell'articolo 13, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 81 del 2008 è di competenza esclusiva dei servizi sanitari e tecnici istituiti presso le amministrazioni interessate, come ribadito dalla comunicazione del responsabile della UOS1 dell'azienda Usl Roma D, inviata in data 11 marzo 2014 alla Unione sindacale vigili del fuoco –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e quali atti intenda porre in essere per porvi rimedio in tempi brevi. (5-03063)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella relazione annuale della Direzione nazionale antimafia (Dna) per il periodo 1 luglio 2011 – 30 giugno 2012, si legge quanto segue: «È [...] evidente l'elevata appetibilità che le aree del centro nord d'Italia, caratterizzate da contesti ricchi e sedi di importanti crocevia per lo spaccio delle sostanze stupefacenti (emblematico è, a tale proposito, il caso di Perugia)»;
   in effetti, pur se non paragonabile alle grandi città (Roma, Milano, Torino), il capoluogo perugino, con il suo relativo benessere e un'ampia popolazione universitaria, come emerge dal dossier «La droga in Umbria» del 2014 dell'Associazione Libera, è una piazza interessante per le organizzazioni criminali che trovano nella città un mercato «ricco» per la cessione degli stupefacenti ma anche per «avviare» altre attività illecite;
   il fenomeno ormai non è nuovo: come è evidenziato nella Relazione della Commissione d'inchiesta della regione Umbria su «Infiltrazioni mafiose in Umbria, metodologie di controllo, prevenzione e lotta alla criminalità organizzata» del 27 settembre 2012 «emerge con chiarezza che la situazione umbra manifesta i segni di infiltrazioni criminali di stampo mafioso nell'economia legale e si ricollega pienamente a quanto è affermato nell'ultima relazione della Direzione Investigativa Antimafia (DIA) (febbraio 2012), laddove si sottolinea che la nuova strategia delle organizzazioni criminali di stampo mafioso è la espansione delle attività al di fuori del contesto territoriale del mezzogiorno, non nella forma classica del controllo pieno, di dominio, del territorio ma nella ricerca di impieghi ed attività utili al riciclaggio di enormi quantità di denaro liquido provenienti dal traffico di droga, armi ed esseri umani.»;
   la criminalità organizzata, a detta della Commissione d'inchiesta, agisce in Umbria, non con le forme note dell'organizzazione mafiosa volta al controllo del territorio, quanto piuttosto «nel contesto di una finanziarizzazione dell'economia»;
   la relazione della Commissione precisa che: «L'Umbria, sotto tale aspetto, non ha anticorpi sviluppati e un vigile controllo sociale nei confronti del fenomeno criminale mafioso, e nemmeno l'abitudine a tenere alta la guardia dell'attenzione e del sospetto. Perciò l'Umbria corre il rischio di essere un campo fertile in cui infiltrarsi, acquisire patrimoni, attività con forte flusso di cassa, per operare il riciclaggio dei proventi delle attività mafiose condotte in altre parti (audizione n. 1). Emerge dalle audizioni che l'assenza di comprovati fenomeni di radicamento ingenera nell'opinione pubblica, nelle organizzazioni sociali ed economiche e anche nel sistema istituzionale, un atteggiamento di sottovalutazione del fenomeno delle infiltrazioni malavitose. Di fronte alle inchieste giudiziarie che evidenziavano un fenomeno in espansione, davanti alle stesse segnalazioni giornalistiche, è prevalsa a lungo l'idea di considerarli episodi isolati, intrusioni in un contesto sano che restava totalmente refrattario all'infiltrazione. Alcuni dei soggetti auditi, pur senza giungere a posizioni negazioniste, hanno manifestato un'esplicita sottovalutazione del rischio di infiltrazione»;
   proprio nel 2011 si sono verificati alcuni eventi comprovanti infiltrazioni della criminalità organizzata nel tessuto perugino: è nota l’«Operazione Apogeo» del 14 settembre 2011 condotta nelle province di Perugia, Caserta, Ancona, Firenze, Padova e Pesaro nel corso della quale i carabinieri del R.O.S e i militari del G.I.C.O della Guardia di finanza di Perugia e Firenze hanno concluso un importante intervento nei confronti di un'organizzazione criminale dedita alla truffa aggravata, al riciclaggio, alla bancarotta fraudolenta, all'emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, con l'aggravante del metodo mafioso;
   l'organizzazione, che si presume collegata al clan dei Casalesi, aveva sede a Perugia. Secondo gli investigatori, questo gruppo criminale disponeva di ingenti capitali con i quali, attraverso società inesistenti o con sede all'estero, acquisiva attività commerciali nel settore alberghiero, della ristorazione ed edilizio, penetrando nel tessuto economico locale anche attraverso l'acquisizione di imprese in crisi;
   anche dal rapporto Ecomafie 2014 emerge un quadro poco rassicurante sulla penetrazione delle associazioni criminali nel tessuto economico e sociale umbro;
   tuttavia recentemente il prefetto di Perugia Antonio Reppucci, nell'ambito di una conferenza convocata per «difendere» Perugia e ridimensionare l'allarme droga e criminalità, ha accollato alle famiglie la responsabilità della diffusione degli stupefacenti presente nel capoluogo con toni e frasi pesanti che sono state trasmesse anche dai telegiornali nazionali del 22 giugno 2014;
   con una nota pubblicata sul quotidiano La Nazione e Il Giornale dell'Umbria del 21 giugno 2014 il procuratore della procura perugina dottoressa Antonella Duchini si è dissociato in maniera netta dalle affermazioni del prefetto, rilevando che «le tematiche afferenti al consumo ed alla cessione di sostanze stupefacenti, che indubbiamente investono anche il nostro territorio, sono complesse e riguardano sia l'aspetto della repressione (proprio delle forze dell'ordine e della magistratura) che quello della prevenzione attraverso politiche sociali rivolte alle famiglie, che non devono sentirsi isolate ma piuttosto supportate e coinvolte» e, si legge ancora nella nota, «Sotto altro diverso profilo, quanto alle affermazioni del signor prefetto circa l'assenza di evidenze certe di infiltrazioni della criminalità organizzata nel territorio umbro, rilevo, quale procuratore Distrettuale Antimafia, che il fenomeno è attuale ed in corso da oltre un decennio, come risulta dalla relazione della Procura Nazionale Antimafia» (da Il Giornale dell'Umbria del 21 giugno 2014);
   secondo il Procuratore Antimafia «solo l'efficace attività di contrasto tuttora in corso, ha impedito (...) lo sviluppo endemico di forme di criminalità organizzata»;
   come si è appreso dai telegiornali nazionali del 22 giugno 2014, il Ministro dell'interno avrebbe provveduto alla «rimozione» del prefetto di Perugia Antonio Reppucci;
   la vicenda ha fatto emergere, ad avviso dell'interrogante, una sostanziale sottovalutazione nonché scarsa conoscenza del fenomeno e del suo impatto sulla società e sul tessuto economico del territorio umbro che per le sue caratteristiche appare fortemente «appetibile» dalle organizzazioni criminali –:
   se il Ministro sia al corrente dei risultati della Relazione della Commissione d'inchiesta della regione Umbria su «Infiltrazioni mafiose in Umbria, metodologie di controllo, prevenzione e lotta alla criminalità organizzata» del 27 settembre 2012 e del dossier 2014 dell'Associazione Libera «La droga in Umbria» che evidenziano importanti elementi di fragilità e di esposizione al rischio infiltrazioni in Umbria e se non intenda promuovere, nell'ambito delle proprie competenze, azioni informative non solo di controllo e repressione del fenomeno, ma anche di prevenzione;
   quali misure, alla luce delle vicende di questi ultimi giorni, il Ministro interrogato abbia assunto o intenda mettere in atto, nell'ambito delle proprie competenze, per rafforzare l'azione di contrasto, anche con ulteriori «strumenti di controllo, alla penetrazione e alla diffusione delle associazioni criminali sul territorio umbro, in particolare nei settori degli investimenti immobiliari, delle operazioni finanziarie e dei traffici illeciti. (4-05250)


   BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, GALLINELLA, L'ABBATE, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il quotidiano La Stampa nell'edizione dello scorso lunedì 16 giugno riporta a pagina 15 la notizia secondo cui ci sarebbe un nuovo filone di indagine sulla sanità veneta, mettendola in relazione con il caso Mose e i fatti veneziani;
   la ricostruzione del quotidiano evidenzia i collegamenti tra politica, imprese e «faccendieri», già implicati nelle indagini riguardanti il Mose, seduti al tavolo delle trattative per la costruzione del nuovo ospedale di Padova;
   l'articolo riporta di un incontro avvenuto il 29 novembre 2010 tra il sindaco di Verona Tosi (ex assessore regionale alla sanità) e l'ex segretario generale della sanità veneta Giancarlo Ruscitti che da quel novembre 2010 era consulente Coveco (il consorzio di cooperative, associato al Consorzio Venezia Nuova, coinvolto nello scandalo tangenti) e oggi tra gli indagati sull'inchiesta Mose. Oggetto dell'incontro sarebbe stato il via libera di Tosi alla costruzione del nuovo ospedale di Padova, un affare che sulla carta valeva fino a 1,7 miliardi d'euro, la seconda grande opera della regione, dopo il Mose;
   secondo i finanzieri l'incarico di Ruscitti (da 200 mila euro l'anno) avrebbe avuto lo scopo di favorire l'ingresso del Cvn nell'appalto per la costruzione del nuovo ospedale di Padova, da realizzare in project financing. Secondo La Stampa a scatenare l'interesse del Cvn sarebbero stati sostanzialmente i soldi e la possibilità di replicare il «modello Venezia» in altre grandi opere;
   risulterebbe che a presentare il project financing padovano (valore finale di 600 milioni di euro e posti letto dimezzati) sarebbe una joint venture tra l'australiana Bovis Lend & Lease e i vicentini della Palladio di Roberto Meneguzzo, altro indagato dell'inchiesta veneziana;
   a seguito dell'incontro con Tosi, l'11 dicembre 2010, Ruscitti avrebbe incontrato, nella sede del Cvn, Giovanni Mazzacurati (ex presidente del Cvn) riferendogli che Tosi avrebbe dato il suo via al progetto ponendo delle condizioni (riportate negli atti dell'inchiesta Mose, grazie ad una intercettazione) e cioè l'assenso del sindaco di Padova all'opera, le dismissioni del vecchio ospedale, la garanzia dei fondi internazionali. Tosi avrebbe inoltre indicato le imprese che avrebbero dovuto eseguire i lavori;
   successivamente quindi Mazzacurati si sarebbe attivato per ottenere il via libera dell'allora sindaco Zanonato, che avrebbe incontrato nel febbraio 2011;
   il Corriere del Veneto del 24 luglio 2013 riporta la notizia secondo cui nel giugno 2011 in un noto ristorante padovano ci sarebbe stata una cena tra l'ex presidente del Cvn Mazzacurati, il consulente Coveco Pio Savioli, l'allora sindaco di Padova Zanonato, il rettore dell'università di Padova Zaccaria, l'ex segretario regionale della sanità del Veneto Ruscitti. L'argomento sarebbe stato il nuovo ospedale di Padova;
   la notizia di questo incontro si basa su alcune intercettazioni, operate dalla Guardia di finanza a carico di Pio Savioli e riportate a mezzo stampa, che rivelano che lo stesso Savioli nel corso di una telefonata con Franco Morbiolo, capo della Coveco, avrebbe fatto forti pressioni per sostenere la nuova struttura ospedaliera di Padova. Lo stesso Savioli in una intercettazione avrebbe detto: «visto che paghiamo noi Ruscitti è giusto utilizzarlo anche su altri fronti» –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e quali iniziative intenda assumere per prevenire e contrastare episodi di irregolare affidamento di lavori pubblici e se, alla luce delle sempre più frequenti indagini della magistratura, non intenda valutare l'opportunità di intervenire sul quadro normativo per renderlo più efficace sotto il profilo della trasparenza e della tutela del pubblico interesse. (4-05268)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   un gravissimo clima di tensione si è venuto a creare nel popoloso quartiere romano di Settecamini a causa del progettato insediamento in loco di un mega-centro di accoglienza per cittadini extracomunitari e/o rifugiati, precisamente in Largo Chiaro Davanzati all'angolo con via Mazzeo di Ricco;
   la preoccupazione dei cittadini, già fortemente penalizzati dalla presenza nel quartiere di uno dei più grandi campi nomadi d'Europa, si è esplicitata in innumerevoli iniziative, sempre caratterizzate da alto senso civico, di contestazione dell'iniziativa;
   ha suscitato inoltre un'enorme preoccupazione fra i cittadini l'aver saputo da fonte diretta che l'ente, al quale sarebbe affidata la gestione del centro, risulterebbe affidato operativamente a personale straniero, pare anche con precedenti penali;
   dopo attenta analisi della situazione socio ambientale venutasi a creare nel quartiere Settecamini e dopo diversi incontri con gli eletti del consiglio municipale, i comitati di quartiere e con i cittadini, anche l'assessore al sostegno sociale e sussidiarietà del comune di Roma ha inviato comunicazione formale al Ministero dell'interno, dando parere negativo all'apertura del centro nel quartiere medesimo e chiedendo la sospensione definitiva dell'apertura del progettato centro di accoglienza;
   ancora oggi, il Ministero dell'interno non ha però espresso il proprio parere in merito né dato alcun riscontro alle legittime preoccupazione dei cittadini per le conseguenze negative, sotto l'aspetto sociale e di ordine pubblico, che potrebbe avere l'utilizzo della predetta struttura, nonché per l'evidente deprezzamento del valore degli alloggi –:
   se il Ministro interrogato intenda dare una risposta urgente alle legittime richieste degli abitanti di Settecamini con la revoca definitiva del progetto di apertura del centro di accoglienza SPRAR di cui in premessa. (4-05270)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   la cultura musicale, come lo stesso Ministro senatore Stefania Giannini, ha più volte ricordato riportando meritoriamente il tema attenzione del dibattito pubblico, e una componente fondamentale e caratterizzante del nostro patrimonio culturale e artistico. Al contributo che essa ha dato al nostro Paese e che per suo tramite il Paese ha dato alla cultura europea e mondiale – perché all'estero ne sono assai più consapevoli di noi – non corrisponde ormai da anni l'attenzione del sistema scolastico a questa parte così rilevante della nostra storia passata e presente (e sottolineo: presente). Non è infatti solo questione di riconoscere un tributo ad antichi fasti, all'Italia dell'opera, del melodramma, all'Italia capace di raggiungere combinazioni elevatissime delle forme d'arte musicale, coreutica, canora. E ciò perché questa eccellenza italiana è ancor oggi riconosciuta nei teatri e nei festival o nell'industria cinematografica di tutto il mondo, senza contare che da tempo alcune di quelle «combinazioni», come il musical, hanno recuperato margini di crescita anche di natura economica. Di questa eccellenza è dimostrazione, del resto, la rete che oggi resiste, tra mille difficoltà, dei licei musicali, degli istituti pareggiati, dei conservatori: un'ossatura solida delle competenze dei «maestri» che vi operano, delle famiglie che vi ripongono fiducia e risorse, degli studenti e allievi che vi dedicano con abnegazione interi e fondamentali tratti delle proprie vite;
   il Ministero ha confermato concretamente l'impegno per questo settore, anzitutto con l'avvio del cosiddetto «pacchetto» sull'AFAM, l'Alta formazione artistica e musicale, i cui «otto punti» prevedono interventi immediati e di prospettiva;
   tale rilancio della formazione musicale deve fare propria un'attenzione specifica per i virtuosi intrecci che questa ha con i percorsi di istruzione scolastica e, quindi, in primo luogo con la rete dei licei musicali;
   a fronte di cinque «indirizzi musicali» precedentemente attivi in altrettanti istituti della regione, in Piemonte sono ad oggi quattro gli istituti autorizzati ad avviare i corsi di liceo musicale e la parte sud-orientale della regione risulta ancora priva di questa offerta formativa;
   il «Saluzzo-Plana» prestigioso istituto superiore della città di Alessandria, avendo ospitato fino a ieri l'indirizzo musicale, è oggi pronto, con un congruo numero di iscritti (17 effettivi e 4 con opzione), ad avviare un proprio liceo musicale (che si affianca, in un polo umanistico ben integrato al suo interno e nel territorio, a quelli classico, linguistico, delle scienze umane, economico-sociale), ma risulta ancora in attesa dell'autorizzazione da parte del competente ufficio scolastico regionale;
   tale liceo musicale proseguirebbe l'esperienza positiva dell'omologo indirizzo (istituito nell'ambito del liceo socio-psico-pedagogico e poi delle scienze umane), la cui genesi e il cui radicamento trovano evidente spiegazione nel suo inserimento naturale all'interno di un percorso formativo che parte dai molti indirizzi musicali attivi nelle scuole medie della provincia e s'intreccia e prosegue con le opportunità offerte dalla presenza in città di un conservatorio di eccellenza, qual è l’«Antonio Vivaldi» (con il quale la collaborazione è per più profili virtuosa, ad iniziare da quella che concerne l'organico del personale docente, con evidenti margini di efficiente utilizzazione delle risorse umane fino ad oggi praticati con successo). È in particolare la collaborazione con tale conservatorio, con il quale è già stata stipulata una convenzione ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 89 del 2012 (presupposto per l'attivazione del liceo musicale), a garantire nel segno della complementarità la qualità dei contenuti formativi e la sostenibilità di questo percorso integrato anche per il futuro (a questo proposito va ricordato che già in occasione degli esami preliminari degli iscritti all'istituendo liceo musicale gli insegnanti del conservatorio hanno partecipato alle commissioni di valutazione, assicurando standard di giudizio solidi ed elevati). E non da ultimo va dato atto che per la lunga tradizione dell'indirizzo musicale, l'istituto Saluzzo-Plana risulta già dotato di locali e di strumenti idonei e sufficienti per le esigenze del liceo musicale medesimo;
   la domanda della città, dei centri zona della provincia e di alcuni comuni delle province e regioni limitrofe, nonché delle rispettive istituzioni e comunità locali è forte rispetto alla possibilità di fruire di questa offerta formativa;
   il ritardo nella risposta da parte del competente ufficio scolastico regionale lascia nell'incertezza tutti gli attori di questo progetto, ad iniziare dalle famiglie;
   è interesse complessivo della stessa regione, anche in termini di copertura territoriale dell'offerta formativa di settore, che l'esperienza alessandrina dell'indirizzo musicale presso l'istituto Saluzzo-Plana sia proseguita ed evolva naturalmente in quella del liceo musicale –:
   quali siano le ragioni del ritardo nella deliberazione dell'ufficio scolastico regionale;
   se il competente ufficio abbia debitamente valutato, anche in relazione a eventuali domande concorrenti, le caratteristiche peculiari che il liceo musicale alessandrino presenta nel panorama regionale, a partire dalla sua collocazione in un percorso integrato che il territorio offre, e abbia valutato altresì le conseguenze negative che la non attivazione del liceo avrebbe su questo stesso percorso, anche in termini di «scopertura» territoriale;
   quali siano ad oggi le valutazioni svolte dall'ufficio, quali i criteri elaborati per la decisione sull'autorizzazione predetta e, in particolare, se siano state sentite tutte le parti interessate;
   quali iniziative il Ministro intenda assumere per proseguire sulla strada intrapresa di valorizzazione della cultura e della formazione musicale e corrispondere altresì a legittime e giustificate istanze del territorio alessandrino.
(2-00594) «Balduzzi, Antimo Cesaro».

Interrogazioni a risposta immediata:


   MOLEA, CAPUA e VEZZALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'entrata in vigore della «riforma Gelmini» ha modificato sostanzialmente i parametri per la formazione delle pluriclassi, ossia classi con alunni iscritti ad anni di corso diversi, costituite da un numero di alunni fino a 18, determinando in tal modo un maggiore affollamento delle stesse con gravi disagi per gli alunni e gli insegnanti che vi operano;
   il decreto ministeriale n. 331 del 1998, riguardante «Disposizioni concernenti la riorganizzazione della rete scolastica la formazione delle classi e la determinazione degli organici del personale della scuola», prevedeva, invece, un totale massimo di 12 alunni per la formazione delle pluriclassi;
   diciotto alunni in una pluriclasse sono tanti; la scuola, in queste condizioni, non è in grado di offrire un ambiente favorevole alla crescita integrale dei bambini, non può garantire un servizio didattico di qualità in un ambiente educativo sereno e stimolante e non favorisce al meglio il processo di formazione di ciascun studente, nel rispetto dei suoi ritmi e dei suoi tempi di apprendimento;
   molte realtà scolastiche, come per esempio le scuole di montagna, sono costrette ad operare in condizioni di disagio, sia per quanto riguarda un positivo e stimolante svolgimento dell'attività educativo-didattica, sia per l'offerta formativa, piuttosto limitata rispetto alle altre realtà, che in tali condizioni riescono ad offrire;
   durante la conversione in legge del decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104, recante «Misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca», al Senato della Repubblica è stato accolto un ordine del giorno su questo argomento –:
   quali interventi si ritengano necessari al fine del ripristino dei parametri per la formazione delle pluriclassi e classi previsti nel decreto ministeriale n. 331 del 1998 modificato dalla «riforma Gelmini». (3-00900)


   BINETTI, BUTTIGLIONE e GIGLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 9 della Costituzione attribuisce alla Repubblica il compito di promuovere la cultura e la ricerca scientifica e tecnologica, prevedendo testualmente al comma 1 che «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica»;
   il decreto legislativo n. 204 del 1998 prevede che il Governo espliciti ogni anno, in fase di programmazione economica e finanziaria, gli indirizzi e le priorità strategiche per gli interventi a favore della ricerca scientifica e tecnologica, definendo, tra l'altro, il quadro delle risorse finanziarie da attivare e assicurando il coordinamento con le altre politiche nazionali;
   lo stesso decreto prevede che sugli indirizzi governativi e sulle risoluzioni parlamentari relative alla stessa programmazione economica e finanziaria venga redatto, su coordinamento del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, un programma nazionale per la ricerca (pnr) di durata triennale con aggiornamento annuale;
   il programma nazionale per la ricerca deve definire gli obiettivi generali e le modalità di attuazione degli interventi alla cui realizzazione concorrono, con risorse disponibili sui loro stati di previsione o bilanci, le pubbliche amministrazioni, ivi comprese, con le specificità dei loro ordinamenti e nel rispetto delle loro autonomie ed attività istituzionali, le università e gli enti di ricerca;
   il programma nazionale per la ricerca, con le risorse e i suoi aggiornamenti annuali, è approvato dal Comitato interministeriale per la programmazione economica;
   l'ultimo programma nazionale per la ricerca che è andato in approvazione al Cipe è il programma nazionale per la ricerca 2011-2013, approvato con deliberazione n. 2 del 23 marzo 2011, da tempo scaduto;
   la sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato della Corte dei conti, con delibera n. 3 del 22 marzo 2012, ha approvato l'indagine sul fondo ordinario per gli enti e le istituzioni di ricerca (capitolo 7236 del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca), in cui è stato evidenziato il ritardo nell'approvazione del programma nazionale per la ricerca e la circostanza che tale inadempienza che interviene in un quadro di estrema eterogeneità delle fonti di finanziamento (statali, regionali, europee) e dei soggetti coinvolti (fa capo a sette ministeri), che utilizzano le risorse pubbliche per la missione ricerca e sviluppo;
   la mancanza di una cornice strategica nazionale di politica della ricerca indebolisce il coordinamento delle risorse pubbliche e non fornisce il necessario quadro di riferimento per le politiche regionali;
   nel mese di luglio 2014 inizia il semestre di presidenza dell'Unione europea. L'Italia si è impegnata a perseguire gli obiettivi della «Strategia Europa 2020», tra cui il raggiungimento del 3 per cento del prodotto interno lordo investito in ricerca e sviluppo tecnologico e della soglia minima del 40 per cento dei giovani laureati –:
   quali siano gli indirizzi che il Governo intende seguire per rilanciare lo sviluppo sociale e culturale del Paese, anche ai fini della ripresa economica, sia come contributo alla crescita dell'Europa, sia per lo sviluppo e la promozione della cultura italiana e del suo patrimonio culturale attraverso l'avanzamento della conoscenza, la valorizzazione dei talenti italiani e il trasferimento tecnologico.
(3-00901)


   MALPEZZI, CAROCCI, ROCCHI, COSCIA, FARAONE, MAESTRI, MARTELLA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il fondo d'istituto (fis) è l'insieme di risorse finanziarie destinate alle istituzioni scolastiche per retribuire attività aggiuntive e/o l'intensificazione delle attività;
   l'articolo 26 del contratto collettivo nazionale di lavoro del 31 agosto 1999 istituì – in conseguenza dell'autonomia scolastica, entrata in vigore il 1o settembre del 2000 – per tutte le scuole di ogni ordine e grado il fondo dell'istituzione scolastica, destinato a retribuire le prestazioni del personale finalizzate a sostenere esigenze didattiche e organizzative derivanti dalla concretizzazione del piano dell'offerta formativa e la qualificazione e l'ampliamento dell'offerta di istruzione e formazione, anche in relazione alla domanda proveniente dal territorio;
   il fondo per il miglioramento dell'offerta formativa (mof) è costituito dal fondo d'istituto e dai finanziamenti per la retribuzione delle funzioni strumentali del personale docente, degli incarichi specifici del personale ausiliario, tecnico e amministrativo, delle ore eccedenti per la sostituzione del personale docente assente, dell'indennità del lavoro notturno e festivo per gli educatori, delle ore eccedenti di pratica sportiva nella scuola secondaria;
   il fondo per il miglioramento dell'offerta formativa, dunque, è un fondo che può essere utilizzato solo per la retribuzione delle prestazioni aggiuntive dei lavoratori della scuola e non per pagare le progressioni di carriera;
   tuttavia, nel corso degli ultimi anni il fondo è stato utilizzato anche per altre esigenze: in diverse occasioni, infatti, si è attinto dal fondo per il miglioramento dell'offerta formativa per finanziare, in emergenza, altre finalità che, benché connesse al mondo della scuola, nulla hanno a che vedere con la sua destinazione originaria, che è quella di qualificare l'offerta formativa delle scuole;
   nel gennaio 2013 l'importo totale del fondo contrattuale per il miglioramento dell'offerta formativa era pari a circa 1,5 miliardi di euro: tuttavia, una parte di queste somme sono state utilizzate per pagare gli scatti di anzianità ai docenti che li avevano maturati nel 2011;
   in tal senso, il fondo ha subito una decurtazione pari a 350 milioni di euro, riducendo la somma totale a disposizione a circa 1 miliardo di euro;
   anche per gli scatti maturati nel 2012 saranno utilizzati i fondi per il miglioramento dell'offerta formativa;
   infatti, in data 11 giugno 2014 i sindacati hanno firmato all'Aran, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni, l'intesa sugli scatti di anzianità 2012 del personale della scuola e sulle posizioni economiche del personale ausiliario, tecnico e amministrativo. L'accordo è stato firmato da tutti i sindacati, tranne dalla Flc-Cgil, che ha firmato soltanto la parte dell'intesa relativa al personale ausiliario, tecnico e amministrativo;
   per permettere, dunque, di assolvere il diritto degli aumenti stipendiali automatici vengono tagliati in modo irrecuperabile 124 milioni di euro nel 2013 (che si aggiungono ad altri 280 milioni di euro già cancellati), circa 550 milioni per il 2014 e 350 milioni per il 2015. Con la prospettiva che il taglio di oltre un terzo del fondo per il miglioramento dell'offerta formativa diventi permanente;
   il fondo per il miglioramento dell'offerta formativa ha rappresentato in questi anni uno, se non l'unico, valido supporto per arricchire la didattica e il lavoro scolastico, consentendo l'esercizio reale dell'autonomia scolastica;
   al momento tali fondi rappresentano, inoltre, l'unica e concreta forma per poter valorizzare adeguatamente il merito delle risorse professionali esistenti;
   in tal senso, l'utilizzo del fondo per il miglioramento dell'offerta formativa per altri fini ha ridimensionato anche la contrattazione di istituto e, soprattutto, ha inciso dolorosamente e negativamente sull'offerta formativa agli alunni, impedendo una seria e indispensabile programmazione delle attività da parte dei dirigenti scolastici;
   infatti, l'autonomia si fonda sulla possibilità di poter programmare con risorse certe quantomeno gli ampliamenti dell'offerta formativa. Se viene meno questo elemento, si svuota di significato l'autonomia;
   vi è da aggiungere, infine, che l'impegno di restituzione degli scatti di anzianità era basato sul recupero del 30 per cento dei risparmi realizzati con il taglio di circa 140 mila unità di personale (decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133);
   illustrando le linee programmatiche del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca alla VII Commissione della Camera dei deputati, il Ministro interrogato ha posto nella giusta rilevanza la necessità di dare alla scuola una reale autonomia, attraverso lo stanziamento di congrue risorse finanziarie, prevedendo l'assegnazione di stanziamenti certi già all'inizio dell'anno scolastico, al fine di consentire una coerente programmazione alle istituzioni scolastiche;
   in quella stessa sede il Ministro interrogato si è impegnato formalmente al progressivo reintegro del fondo per il miglioramento dell'offerta formativa riportandolo alla capienza del 2011, ovvero circa 1,5 miliardi di euro;
   il 24 febbraio 2014 il Presidente del Consiglio dei ministri, nel discorso per illustrare il programma di Governo, ha ribadito l'importanza della scuola, affermando che «non ci sia politica alcuna che non parta dalla centralità dell'istruzione» e riconoscendo la necessità di tornare ad investire dopo anni di tagli lineari;
   nel parere approvato nella seduta del 13 marzo 2014 dalla VII Commissione cultura, scienza e istruzione della Camera dei deputati, alla legge di conversione del decreto-legge 23 gennaio 2014, n. 3, è indicata, tra le condizioni espresse, l'opportunità di ricostituire, per l'anno 2014, gli stanziamenti del fondo per il miglioramento dell'offerta formativa;
   tale impegno è stato ribadito nell'ordine del giorno 9/2157/3 accolto dal Governo nella seduta del 18 marzo 2014 –:
   quali iniziative urgenti stia adottando il Ministro interrogato per mantenere fede all'impegno formalmente assunto in merito al rifinanziamento del fondo per il miglioramento dell'offerta formativa, affinché, già all'inizio dell'anno scolastico 2014-2015, ciascun istituto possa, in modo certo e definitivo, sapere di quante risorse potrà disporre per assicurarne la reale autonomia finanziaria, organizzativa e progettuale, al fine di garantire agli studenti le classiche forme di arricchimento dell'offerta formativa. (3-00902)


   GIANCARLO GIORDANO, FRATOIANNI e COSTANTINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   dopo i ritardi incresciosi di fine anno 2013, già denunciati dall'onorevole Nicola Fratoianni con un'interrogazione, la n. 4-02972 del 17 dicembre 2012 e rimasta senza risposta, ancora una volta moltissime scuole si trovano nelle condizioni di non riuscire a riconoscere il lavoro ovvero a onorare i contratti di lavoro sottoscritti con il pagamento dello stipendio ai supplenti temporanei docenti e ata, in molti casi anche del mese di febbraio 2014 e dei mesi successivi fino ad oggi;
   questa ulteriore e deprecabile situazione ancora una volta è dovuta alla cronica insufficienza dei fondi a disposizione delle scuole e all'impossibilità di vedersi assegnare in tempo utile le risorse necessarie da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   continua così a ripetersi una situazione già tristemente nota: scuole senza risorse e supplenti senza retribuzione e per questo ancor più inaccettabile; migliaia di precari hanno aspettato e aspettano da mesi di ricevere lo stipendio e sono costretti, inevitabilmente, in serie difficoltà economiche da un sistema burocratico che mina alle fondamenta la loro dignità e professionalità di lavoratrici e lavoratori che, invece, proprio perché al servizio delle nuove generazioni e in questa fase delicata e conclusiva dell'anno scolastico dovrebbe almeno vedersi garantito il diritto alla retribuzione, così come prevede la Costituzione (articolo 36), le disposizioni del codice civile e le altre leggi applicabili in materia e il contratto collettivo nazionale di lavoro;
   invece, ancora una volta le scuole devono «correre» dietro al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e al Ministero dell'economia e delle finanze e alle cosiddette emissioni speciali e a quelle «emissioni urgenti»: quelle comunicate per il 13, 16 e 18 giugno 2014, nell'ennesimo, spesso vano, tentativo di provvedere alla liquidazione degli stipendi correnti e arretrati;
   purtroppo, come è stato più e più volte evidenziato, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca non riesce a dare regolarità e completezza ai finanziamenti alle scuole e, comunque, sempre in disallineamento temporale con le emissioni ordinarie mensili e/o speciali del Ministero dell'economia e delle finanze per il pagamento dei precari: le poche risorse arrivano sempre in ritardo, con il conseguente ritardo del pagamento degli stipendi;
   il procedimento di assegnazione dei fondi per le cosiddette supplenze brevi e saltuarie, attraverso l'erogazione ricorrente di risorse individuate e quantificate prima dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca dalla «lettura» dei contratti comunicati dalle scuole tramite «Sidi», accordate e concesse successivamente dal Ministero dell'economia e delle finanze e, infine, messe dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca a disposizione delle scuole stesse, dimostra ancora una volta di non funzionare, con gravi ripercussioni del servizio, spesso con i dirigenti scolastici e i direttori amministrativi costretti a scegliere chi pagare o suddividere la poca ed eventuale disponibilità economica tra i supplenti stessi;
   le scuole contrariamente da quanto previsto dalla normativa vigente hanno continuato anche per tutto l'anno 2013 e dal mese di gennaio 2014 (quindi, in deroga da ben 18 mesi) al calcolo e alla liquidazione degli stipendi dei supplenti temporanei utilizzando procedure farraginose e burocratiche, a causa di non meglio definite necessità di adeguamento dei sistemi informativi del Ministero dell'economia e delle finanze e/o del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e ad oggi nessuna altra e diversa soluzione e indicazione operativa risulta predisposta e/o è pervenuta alle istituzioni scolastiche;
   inoltre, non sono ancora state «riconsegnate» e messe nella disponibilità delle singole scuole le economie relative all'anno 2013 relative al fondo d'istituto e fondo per il miglioramento dell'offerta formativa 2012/2013, mentre si rincorrono voci di non restituzione e in molte contrattazioni integrative di istituto 2013/2014, nell'incertezza, i dirigenti scolastici e direttori sga hanno ritenuto di non mettere le economie tra le risorse disponibili –:
   quali siano le iniziative immediate che il Ministro interrogato intende attivare per garantire al personale supplente precario docente e ata il pagamento effettivo di tutto quanto dovuto per retribuzioni correnti e dei mesi arretrati, chiarendo ed illustrando quali siano ad oggi le difficoltà che non hanno permesso fino ad ora l'utilizzazione da parte delle scuole dei nuovi strumenti di liquidazione diretta dei compensi da parte del Service NoiPA.
(3-00903)


   TANCREDI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'Accademia nazionale di danza è l'istituzione pubblica di alta cultura per lo studio delle discipline coreutiche, inserita nel compartimento dell'Alta formazione artistica, musicale e coreutica (Afam), ed è l'unica istituzione pubblica in grado di rilasciare in materia, in Italia, diplomi accademici di I e II livello equipollenti alla laurea universitaria;
   dal 1996 non riesce ad eleggere il proprio direttore secondo le regole stabilite dalla legge e cioè dai docenti dell'istituzione; il passaggio dalla vecchia alla nuova normativa, fissata con il decreto del Presidente della Repubblica n. 132 del 2003, ha consentito il permanere del precedente direttore (eletto per «chiara fama»), ben oltre il limite dei due mandati, con una interpretazione della norma transitoria (articolo 16 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 132 del 2003);
   l'Accademia è stata commissariata con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca del novembre 2013, a causa della grave situazione economica, finanziaria e gestionale dell'istituzione e in ottemperanza all'ordine del giorno in Assemblea n. 9/C1574-A/14 – accolto il 31 ottobre 2013 – per consentire un «rapido riordino dell'istituzione, onde consentire il ritorno al regolare svolgimento dell'attività didattica ed al rinnovo degli organi dirigenti secondo le regole previste per legge»; il commissariamento scade il 31 ottobre 2014;
   il Commissario ha adeguatamente espletato i suoi compiti ed è al contempo commissario presso il Conservatorio di Teramo e in precedenza è stato per 15 anni (fino a ottobre 2013) direttore del Conservatorio dell'Aquila, le sue competenze sono comprovate e specifiche nel settore musicale –:
   se non ritenga opportuno, visto l'approssimarsi del nuovo anno accademico e in considerazione del fatto che il commissario proviene da un settore diverso da quello coreutico, non procedere al rinnovo del commissariamento e piuttosto consentire al più presto l'elezione di un nuovo direttore competente in materia coreutica, mediante l'indizione di regolari elezioni (secondo quanto previsto dall'articolo 3 dello statuto dell'Accademia stessa).
(3-00904)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   OLIVERIO e GARAVINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   Carfizzi, piccolo centro di minoranza linguistica arbereshe dell'entroterra crotonese, da anni vive un declino demografico grave e irreversibile;
   nel 2013 non si è registrata alcuna nascita e non se ne prevedono nemmeno per il 2014;
   attualmente a Carfizzi i bambini sono troppo pochi per meritare la scuola dell'infanzia pubblica;
   quest'anno si è scesi sotto i dieci iscritti nella scuola dell'infanzia comunale e per questo la direzione provinciale ha deciso di chiuderla e di accorparla ad un'altra scuola di un comune limitrofo;
   il sindaco di Carfizzi, dottor Carmine Maio, molto preoccupato della situazione, è convinto del fatto che se l'asilo non sarà presente ogni famiglia deciderà liberamente in quale comune iscrivere i propri figli, o deciderà di non far loro frequentare l'asilo. È probabile che la tenera età dei piccoli scoraggi i genitori dal tenerli fuori paese durante l'orario scolastico, poiché molte madri non sono automunite, altre lavorano e i bimbi sono affidati alle nonne;
   a Carfizzi non vi sono mezzi pubblici: i suoi abitanti non possono utilizzare alcun mezzo pubblico né verso i paesi limitrofi né verso i centri più grandi: c’è un solo autobus che lo collega a Crotone al mattino presto, ed il rientro è previsto nel primo pomeriggio. Crotone è a 50 minuti di auto, in gran parte su strade dissestate e tornanti montuosi;
   il comune, che deve già adempiere al trasporto degli alunni della scuola dell'obbligo all'interno del comune per la scuola primaria, non ha i mezzi per sostenere un ulteriore trasporto fuori comune;
   Carfizzi è una comunità albanofona, che andrebbe tutelata per essere di minoranza linguistica (nella scuola primaria si insegna la lingua arbereshe), che affonda le sue radici in una tradizione secolare tramandata dalle famiglie ai bambini, ma finora è stata arricchita e coltivata a scuola;
   a Carfizzi si sta diffondendo nella popolazione il pregiudizio che quando le persone diventano soltanto dei numeri, per lo più residenti nell'entroterra, accade che le leggi dello Stato, in nome dell'economia e del risparmio, scarichino tutti gli oneri sulle spalle delle famiglie e degli enti locali, creando poi di fatto dei cittadini di serie B;
   il Comitato promosso dai genitori dei bambini di Carfizzi hanno fatto presente di essere: cittadini come tutti gli altri «paghiamo le tasse, rispettiamo la legge, ma ci sentiamo trattati da cittadini di serie B, e così anche i nostri figli, che sono le principali vittime di questo sistema»;
   a Carfizzi la scuola vive già un'altra situazione penalizzante, che è quella delle pluriclassi nella scuola primaria e nella scuola media –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative per quanto di propria competenza intenda promuovere per tutelare questa comunità arbereshe, mettendola nelle condizioni di valorizzare la sua tradizione e la sua lingua, e con quali atti concreti, in particolare, intenda dare attuazione al diritto all'istruzione per i bambini di Carfizzi, dando loro la possibilità di frequentare assieme l'asilo per poter continuare a vivere la storica e sentita tradizione arbereshe. (5-03060)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIPRINI e CHIMIENTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 34 della Costituzione garantisce il diritto all'istruzione e la legge n. 104 del 1992 prevede l'inclusione nelle scuole di ogni ordine e grado degli studenti con disabilità;
   la legge ha previsto per gli insegnanti di sostegno un percorso formativo altamente specializzato volto alla preparazione e formazione degli insegnanti che andranno a supportare gli studenti con disabilità;
   i corsi di specializzazione per le attività di sostegno sono organizzati dagli atenei italiani e preparano attraverso un percorso articolato e specifico, insegnanti in grado di rispondere alle esigenze degli studenti con disabilità in modo da poter realizzare l'effettiva inclusione scolastica;
   gli attuali corsi di specializzazione diretti ad abilitare i futuri insegnati di sostegno ai sensi del decreto ministeriale n. 249 del 10 settembre 2010 sono iniziati da poco e dunque i docenti iscritti al corso conseguiranno la prescritta abilitazione solamente con l'inizio del prossimo anno scolastico 2014/2015 ovvero durante il prossimo anno;
   recentemente con decreto del 22 maggio 2014 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha previsto disposizioni per la presentazione delle domande per la costituzione delle graduatorie di istituto in tempi utili per il regolare avvio del prossimo anno scolastico 2014/2015;
   l'articolo 2 del bando prevede che: «Ai posti di sostegno accedono i candidati in possesso: a) dei titoli di specializzazione di cui all'articolo 325 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, al decreto del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologia 26 maggio 1998, emanato di concerto con il Ministro della pubblica istruzione, dell'università e della ricerca 20 febbraio 2002; b) della Laurea in scienze della formazione primaria con specifico modulo per il sostegno; c) del diploma di specializzazione conseguito a seguito della frequenza dei corsi di cui all'articolo 13 del decreto ministeriale 10 settembre 2010, n. 249. Tutti i titoli di accesso di cui al presente articolo devono essere posseduti entro la data di scadenza dei termini di presentazione delle domande di cui al successivo articolo 7»;
   ai sensi dell'articolo 7 la scadenza per la presentazione delle domande di inserimento nelle relative fasce di istituto è stata fissata per il 23 giugno 2014 e le graduatorie si rinnovano ogni tre anni senza possibilità di inserimento nel corso del triennio;
   per garantire a coloro che conseguono il titolo di abilitazione dopo il 23 giugno 2014 l'inclusione nelle suddette graduatorie, il Miur ha permesso l'inserimento con riserva, che verrà sciolta il 31 luglio, data entro la quale tutti i PAS (percorsi abilitanti speciali) e gli studenti di scienze della formazione primaria (che saranno abilitati per la scuola dell'infanzia e primaria), finiranno i loro percorsi;
   tale riserva varrebbe anche per gli abilitandi al sostegno didattico per gli studenti con disabilità;
   tuttavia proprio tali docenti non potranno avvalersi di tale riserva poiché il corso di sostegno è iniziato non prima di marzo 2014 e non può avere una durata inferiore agli 8 mesi e dunque nessun docente iscritto al corso per le attività di sostegno terminerà il corso entro il 31 luglio 2014, data ultima per lo scioglimento della riserva;
   ciò determinerà l'impossibilità per i docenti abilitati al sostegno di inserirsi nelle graduatorie triennali di circolo e di istituto sebbene conseguiranno il titolo già a febbraio del 2015 con conseguente pregiudizio anche per gli studenti disabili che con molta probabilità saranno supportati nei propri studi da docenti non abilitati al sostegno, sebbene ci siano futuri docenti specializzandi per tale ruolo –:
   se il Ministro sia al corrente dei fatti esposti;
   quali urgenti misure, anche di tipo normativo, intende adottare il Ministro interrogato per garantire ai docenti iscritti ai corsi di specializzazione per il sostegno e prossimi al conseguimento del titolo di abilitazione al sostegno, l'inclusione nelle rispettive graduatorie anche al fine di tutelare il diritto degli studenti disabili ad avere personale adeguatamente preparato e formato. (4-05254)


   TOFALO e SILVIA GIORDANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Fondazione «Villaggio dei Ragazzi – Don Salvatore d'Angelo» sita in Maddaloni, provincia di Caserta, era fino a poco tempo fa un ente morale, riconosciuto con decreto del Presidente della giunta regionale della Campania, n. 609 del 5 febbraio 1975 e che rivestiva, in base alla legge 17 luglio 1890, n. 6972 (c.d. «legge Crispi»), al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 22 dicembre 1978, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 29 dicembre 1978, il regime giuridico di IPAB;
   in forza di tale status ed in virtù della legge del 28 dicembre 1989, n. 420, si autorizzava, il Ministero delle finanze a cedere, a titolo oneroso, la porzione del complesso immobiliare denominato ex caserma Nino Bixio;
   la Fondazione Villaggio dei Ragazzi – don Salvatore d'Angelo, con decreto dirigenziale della regione Campania n.4 del 26 maggio 2014 è stata trasformata da IPAB in fondazione di diritto privato;
   la trasformazione in Fondazione di diritto privato fa, ad avviso degli interroganti, perdere gli scopi istituzionali della Fondazione, e, pertanto, ai sensi dell'articolo 3 della legge 28 dicembre 1989 e dell'articolo 7 dell'atto di cessione, dovrebbe sperare la condizione risolutiva (ipso iure) della restituzione del comprensorio immobiliare all'Amministrazione delle finanze dello Stato;
   la dichiarazione di indebitamento resa dal consiglio di amministrazione della Fondazione Villeggio dei Ragazzi, nella seduta n. 6 del 21 giugno 2013, risulta di circa 14 milioni di euro –:
   se intenda attivare le procedure per la restituzione, come stabilito dalla legge 420 del 1989 e dall'articolo 7 dell'atto di cessione redatto il 12 luglio 1990 rep.713, visto che sono venuti a mancare i presupposti a causa della trasformazione in fondazione di diritto privato. (4-05267)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   il 3 dicembre 2013 il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 159/2013, recante il titolo «Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)», pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 24 gennaio 2014;
   la disposizione riguarda milioni di cittadini italiani: l'indicatore di situazione economica/equivalente, infatti, valuta e confronta la situazione economica dei nuclei familiari per regolare l'accesso alle prestazioni sociali e sociosanitarie erogate dai diversi livelli di governo;
   l'ISEE esiste già nella normativa italiana dal 1998, ma la sua applicazione è unanimemente ritenuta carente, inefficace e causa di un notevole numero di contenziosi. Da alcuni è, inoltre, ritenuto uno strumento scarsamente efficace nel contrasto di elusioni o abusi;
   forte anche di questi presupposti, dunque, il Parlamento, su iniziative del Governo Monti, (articolo 3 del decreto-legge n. 201 del 2011) ha disposto una revisione dell'ISEE che solo a fine 2013 è stata attuata con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013;
   il provvedimento è entrato in vigore l'8 febbraio 2014;
   da tale data, come previsto dal decreto stesso, decorrono i 120 giorni di tempo per completare il percorso di attuazione;
   per rispettare le scadenze, il primo passaggio dovrà essere completato entro il 9 maggio 2014 (90 giorni dall'entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri). Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con quello dell'economia e delle finanze, su proposta dell'Inps e sentiti l'Agenzia delle entrate e il garante per la protezione dei dati personali, dovrà pubblicare un provvedimento con cui verrà definito il nuovo formato della dichiarazione unica sostitutiva (Dsu), cioè il documento centrale dell'ISEE, che il richiedente dovrà compilare e consegnare per ottenere l'indicatore. Dovranno essere definite anche le istruzioni per la compilazione della Dsu, nonché le caratteristiche della ricevuta che verrà rilasciata al momento della presentazione della richiesta. Tra gli elementi che attendono di essere definiti con il provvedimento ministeriale c’è anche la modalità con cui i dati utilizzati per calcolare l'ISEE saranno condivisi tra i vari soggetti coinvolti;
   completato questo passaggio, gli enti erogatori delle prestazioni sociali agevolate avranno 30 giorni per adeguarsi alle nuove disposizioni, a partire dall'8 giugno, quindi, il nuovo indicatore della situazione economica equivalente dovrà essere pienamente operativo, sempre che vengano rispettate le scadenze previste dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri –:
   quale sia lo stato attuale dell’iter di attuazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013;
   se si preveda che le scadenze previste dal decreto, citate in premessa, verranno rispettate;
   se siano in atto o comunque, eventualmente, previsti controlli ministeriali diretti alla verifica dell'adeguamento alle nuove norme da parte degli enti erogatori, e con quali modalità intenda effettuare gli stessi;
   se, come riferito dal Vice Ministro del lavoro e delle politiche sociali pro tempore Maria Cecilia Guerra in occasione dell'audizione svoltasi il 23 gennaio 2014 in Commissione affari sociali, si intenda provvedere alla divulgazione, previa pubblicazione, delle simulazioni applicative del nuovo ISEE;
   come intenda agire nell'eventualità in cui dovessero riscontrarsi problemi di particolare entità sin dai primi esiti applicativi del nuovo ISEE e se, in tal caso, prenda in considerazione l'opportunità di formare una task force di intervento o, comunque, di elaborare un piano per modificare il nuovo strumento di indicazione della situazione economico-patrimoniale;
   se intenda assicurare sin d'ora, scongiurando la linea di intervento prefigurata dal commissario straordinario per la spending-review, Carlo Cottarelli, che non procederà ad una riduzione delle indennità, specie di accompagnamento, soprattutto data l'incertezza circa gli esiti applicativi del nuovo impianto ISEE, nonché alla luce della mancata revisione dell'articolo 5 del decreto «Salva Italia» che vede dette provvidenze assistenziali, peraltro costituzionalmente garantite, ingiustamente assimilate a voci di reddito;
   se non ritenga doveroso chiarire in che termini specifici intenda inasprire la cosiddetta lotta ai falsi invalidi tramite l'applicazione dell'ISEE, considerata, anzitutto, l'attuale indisponibilità o, comunque, la mancanza della documentazione necessaria per asserire che lo stesso indicatore economico possa considerarsi uno strumento certamente adatto allo scopo suddetto, nonché, a maggior ragione, a fronte dell'insuccesso della campagna di contrasto ai falsi invalidi, tuttora in atto, che fornisce oggi solo un quadro di migliaia di revoche disposte, specialmente, non a causa di illegittimi abusi riscontrati, bensì per via delle normali cessazioni dello stato temporaneo di invalidità dei beneficiari.
(2-00590) «Di Vita, Cecconi, Lorefice, Grillo, Dall'Osso, Baroni, Silvia Giordano, Mantero, Nuti».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BENEDETTI, BRUGNEROTTO, BUSINAROLO, COZZOLINO, D'INCÀ, FANTINATI, ROSTELLATO, SPESSOTTO e TURCO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il sito agricolae.eu in data 19 giugno 2014 riporta la notizia secondo cui, a seguito del ritardo nei pagamenti delle casse integrazioni per la pesca, alcuni sindacati preannunciano lo stato di agitazione;
   da qualche mese i sindacati si sarebbero attivati chiedendo un incontro con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali senza ricevere risposta;
   i lavoratori della pesca attenderebbero da oltre 10 mesi il pagamento dei periodi di sospensione dal lavoro dell'agosto 2013; per questo rivendicano l'immediata erogazione della cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga e pari dignità con tutti i lavoratori di settori che hanno visto da tempo liquidate le istanze del 2013 –:
   quali siano i motivi del ritardo nei pagamenti e con quali tempistiche intenda provvedere;
   se non ritenga accogliere la richiesta di incontro più volte sollecitata dai sindacati, delle associazioni armatoriali e dalle cooperative del comparto pesca. (5-03057)


   SORIAL. —Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   le mamme lavoratrici in Italia hanno a disposizione un contributo statale, erogato tramite l'Inps, da spendere una volta concluso il congedo per maternità, poiché chi rinuncia al congedo parentale (ex facoltativo) e torna al lavoro, può richiedere 300 euro mensili per sei mesi per servizi di asilo nido e baby sitting come previsto dalla legge 92 del 2013;
   questa misura è molto importante come argine al fenomeno dell'abbandono del lavoro da parte di moltissime donne, soprattutto al Sud, che spesso avviene proprio dopo la nascita del primo figlio;
   per il 2013 la misura era stata finanziata con 20 milioni di euro, soldi sufficienti per pagare i voucher a 11 mila donne, ma, secondo fonti di stampa, alla fine sono arrivate meno di 4.000 domande: 3.762 per la precisione, e di conseguenza è stato speso soltanto il 37 per cento dei fondi a causa di scarsa informazione e burocrazia;
   l'anno scorso il tempo per presentare le domande è stato tra il 1o luglio e il 10 luglio 2013, pochi giorni per di più in piena estate, inoltre serviva la dichiarazione ISEE, un asilo accreditato presso l'Inps e una domanda da compilare on line;
   la domanda da compilare on-line si è rivelata il passaggio più complicato: per accedere al sistema in rete era necessario avere un Pin «dispositivo» preventivamente richiesto (e ottenuto) tramite sito dell'INPS, questo perché senza PIN non si poteva accedere all'ultimo step, ovvero il click day che lo scorso anno si è tenuto il 28 luglio 2014;
   il sistema previsto per le richieste mostrava dunque molte difficoltà: Internet non è una modalità di accesso facile per tutti e inoltre gli asili accreditati presso l'Inps dove è possibile spendere i voucher sono una minima parte, ma soprattutto era davvero disagevole il fatto di dover fare richiesta del contributo attraverso il sito dell'Inps e in un giorno ben preciso;
   l'articolo 4, comma 24, lettera b) della legge 28 giugno 2012. n. 92 introduce in via sperimentale l'erogazione di questo fondo per il triennio 2013-2015, per cui sono previsti altri 20 milioni stanziati per quest'anno e altrettanti per il 2015;
   è abbastanza chiaro che, se il sistema per fare domanda resta così complicato e disagevole, il rischio di non erogare i fondi disponibili per questo e il prossimo anno è di nuovo molto alto, il tutto, naturalmente, a discapito delle giovani madri –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto illustrato in premessa e se non intenda assumere con urgenza ogni iniziativa di competenza affinché siano fatte le necessarie verifiche e modifiche al sistema di richiesta del contributo per le neo-mamme già da quest'anno in modo da rendere effettiva, e non soltanto virtuale, questa importante misura a sostegno della maternità e del lavoro delle donne in modo che sempre più mamme siano messe in condizioni di poter conciliare, al meglio, la propria attività lavorativa con la cura della propria famiglia;
   se il Ministro interrogato non consideri altresì importante svolgere un'azione di monitoraggio relativo alle altre forme di sostegno ed erogazione fondi similari al fine di evitare che si creino situazioni del genere e in modo che tali misure siano davvero in grado di promuovere l'interesse pubblico. (5-03062)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DI SALVO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il nuovo direttore dell'INPS di Milano, in data 16 giugno 2014 ha disposto lo spostamento di dipendenti con disabilità di tipo motorio, tramite comunicazione via mail ai diretti interessati e per conoscenza agli RLS, separandoli dai colleghi dei loro uffici di assegnazione. Sono stati riciclati ex studi medici posti al piano terra dell'edificio di via Pola 9 a Milano, ove peraltro non sono presenti i corrimano;
   non risulta all'interrogante che alcun passaggio formale sia stato intrapreso dall'amministrazione che non avrebbe condiviso il problema con le figure istituzionali previste procedendo in totale autonomia, con una sola informativa agli RLS;
   il direttore, a quanto consta all'interrogante, ignorando qualsiasi suggerimento e protesta, ha convocato i singoli lavoratori ed ha disposto il loro trasferimento assegnando un tutor il cui criterio di scelta non è stato reso pubblico;
   all'interrogante risulta che in data 19 giugno 2014 quindi a soli 3 giorni dal trasferimento, un lavoratore non trovando il sostegno del corrimano è caduto nel percorso verso i servizi. Solo la presenza di un collega (non disabile) che si trovava a passare casualmente ha consentito al lavoratore di «rimettersi in piedi»;
   trasferire tutti i disabili in un'ala del piano terra, allontanandoli dal contesto di lavoro e isolandoli appare all'interrogante discriminatorio e mortificante e mina la dignità di questi lavoratori –:
   se non ritenga necessario, per quanto di competenza, agire affinché questi lavoratori disabili non vengano discriminati e penalizzati. (4-05246)


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante evidenzia come la funzione dell'assegno sociale rappresenti una prestazione di carattere assistenziale che prescinde del tutto dal versamento dei contributi e spetta ai cittadini che si trovino in condizioni economiche disagiate;
   a tal fine hanno diritto all'assegno sociale i cittadini italiani, comunitari ed extracomunitari titolari di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, i quali: siano in possesso del requisito anagrafico previsto dalle norme attualmente in vigore (dal 1 gennaio 2013 il requisito anagrafico di 65 anni è stato posticipato al compimento del 65° anno e tre mesi), risiedono effettivamente e abitualmente in Italia e sono sprovvisti di reddito, ovvero possiedono redditi di importo inferiore ai limiti stabiliti di legge;
   l'interrogante rileva altresì che dal 1° gennaio 2009, per aver diritto all'assegno sociale, come ulteriore requisito, occorre aver soggiornato legalmente ed in via continuativa nel territorio italiano per almeno dieci anni;
   in base alla normativa in precedenza evidenziata, hanno diritto a richiedere questa speciale prestazione assistenziale anche i cittadini extracomunitari, ma solo a condizione di risiedere legalmente ed effettivamente sul territorio italiano da almeno dieci anni, mentre segnalazioni ricevute da alcuni cittadini indicano che, una volta ottenuto l'assegno sociale, alcuni extracomunitari fanno ritorno al loro Paese violando il suddetto obbligo della residenza effettiva ed abituale in Italia;
   a giudizio dell'interrogante, a tal fine, occorrono i necessari chiarimenti in considerazione delle precedenti osservazioni, le quali in caso affermativo rischiano di determinare oltre ad un danno economico per la previdenza nazionale, anche la configurazione di reato in termini erariali per l'amministrazione dello Stato –:
   se possa confermare o meno quanto esposto in premessa e se non ritenga opportuno effettuare i necessari controlli sui beneficiari di questa prestazione assistenziale circa la loro effettiva permanenza in Italia in modo legale e permanente al fine di evitare spiacevoli episodi di raggiri e di abusi atti a suscitare moti di rabbia e di recriminazione da parte dei cittadini onesti. (4-05249)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XIII Commissione:


   RUSSO e FAENZI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel giro di una settimana per ben due volte i comuni dell'area nolana e del vesuviano, in provincia di Napoli, sono stati funestati da un'eccezionale ondata di maltempo che si è abbattuta anche sul contiguo territorio della bassa Irpinia;
   il 16 giugno 2014 una tromba d'aria ha sradicato alberi e distrutto importanti colture;
   il 19 giugno 2014 copiosa alluvione ha ridotto i terreni in poltiglia, inghiottito le coltivazioni, sbarrato le strade di accesso ai fondi agricoli;
   il territorio devastato dai fenomeni atmosferici è caratterizzato dalla produzione di eccellenze alimentari, come il «pomodorino del piennolo», le albicocche, le nocciole e le ciliegie –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare per mitigare gli imponenti danni subiti dagli agricoltori, viste le dimensioni del disastro e le conseguenze sull'economia agricola regionale, e quali siano i suoi orientamenti in particolare in merito alla dichiarazione del carattere di eccezionalità della calamità indicata in premessa e alla messa a disposizione delle necessarie risorse finanziarie. (5-03071)


   CAON. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   gli organismi geneticamente modificati sono da sempre considerati sinonimo di omologazione in agricoltura, considerata un vero e proprio ostacolo per il Made in Italy. Il nostro Paese è la culla della biodiversità, con 4.500 prodotti tipici frutto di secoli e secoli di storia;
    il decreto interministeriale del 12 luglio 2013 stabilisce che nel nostro Paese le colture OGM sono vietate nel territorio nazionale;
    la sentenza n.04411/2014 del 24 aprile 2014 del tribunale amministrativo regionale del Lazio, che ha deciso il rigetto del ricorso presentato da un agricoltore friulano avverso il decreto interministeriale, ha stabilito che: «Quando sussistono incertezze riguardo all'esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone possono essere adottate misure protettive senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità di tali rischi»;
   il Consiglio di Stato, non accogliendo la sospensiva richiesta dall'agricoltore friulano e rinviando la decisione di merito al prossimo 4 dicembre, mette al sicuro dal rischio di semine di mais Monsanto 810 per il 2014;
   i ministri dell'ambiente europei hanno raggiunto un compromesso che permette a ciascun Stato membro di decidere in modo autonomo se consentire o vietare su tutto il proprio territorio, oppure su una singola porzione o regione, una coltura geneticamente modificata senza dover esporre alla Commissione europea le ragioni del divieto, come è avvenuto fino ad oggi ad ogni proroga;
   ogni Stato membro potrà emanare leggi proprie per regolamentare la coltivazione di OGM, senza l'obbligo di fornire, come giustificazione, prove scientifiche o clausole di salvaguardia;
   entro il mese di dicembre 2014 si dovrebbe giungere all'accordo definitivo, proprio nel periodo di presidenza italiana del semestre europeo –:
   quali iniziative normative intenda adottare per regolamentare la coltivazione degli OGM sul territorio nazionale, stabilendo regole precise per tutelare le colture non geneticamente modificate ed in particolare il Made in Italy. (5-03072)


   L'ABBATE, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, GALLINELLA, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   tra gli interventi finanziari a sostegno delle imprese agricole, il decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 102, come modificato dal decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, ricomprende i finanziamenti erogati da ISMEA a valere sul Fondo credito di cui alla decisione della Commissione europea C (2011) 2929 del 13 maggio 2011 e successive modificazioni;
   il Fondo opera in collaborazione con il sistema bancario e rilascia finanziamenti in parte a carico del Fondo stesso, con l'applicazione di un tasso di interesse ridotto o a tasso zero, e in parte a carico dell'istituto di credito intermediario, sulla cui quota è applicato un tasso di interesse di mercato;
   con decisione C (2011) 2929, la Commissione europea, in ottemperanza alla disposizione di cui all'articolo 108 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea in materia di aiuti di Stato, ha approvato il metodo di calcolo dell'aiuto erogato sotto forma di mutuo agevolato, precisando, al punto 47 della stessa, che il metodo oggetto della decisione può essere utilizzato anche nel quadro dei programmi di sviluppo rurale una volta predisposte le modifiche alle corrispondenti misure dei programmi di sviluppo rurale, al fine di rendere tale metodo compatibile anche con gli articoli 49 e 50, 51 e 52 del regolamento (CE) n. 1974/2006, relativo al Fondo europeo agricolo di sviluppo rurale (FEARS);
   il Fondo costituisce un importante strumento finanziario a disposizione delle amministrazioni regionali, titolari dei programmi di sviluppo rurale, e consente di migliorare le prestazioni degli stessi in termini di rapidità e qualità della spesa, favorendo un più facile accesso al credito delle imprese beneficiarie degli aiuti;
   tra i vantaggi proposti dal Fondo si segnala la natura rotativa per la quale le risorse rientranti per effetto dell'estinzione dei mutui tornano nelle disponibilità delle amministrazioni che potranno utilizzarle anche oltre la scadenza dei programmi;
   nonostante la decisione della Commissione europea risalga al mese di maggio del 2011, ad oggi non risultano ultimate le procedure atte a consentire l'implementazione del Fondo in parola –:
   quali siano le ragioni della mancata attivazione del Fondo di cui in premessa e se non ritenga urgente predisporre, anche in considerazione dell'avvio della prossima programmazione 2014-2020 del Fondo europeo agricolo di sviluppo rurale, le procedure necessarie ad implementare il Fondo crediti nazionale per le imprese agricole al fine di aumentare la dotazione delle risorse complessivamente disponibili per il credito all'agricoltura e di facilitarne l'accesso attraverso la riduzione del costo dell'indebitamento. (5-03073)


   ZACCAGNINI, SCHULLIAN e CATALANO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito dell'Unione europea, il dibattito politico riguardante la discussione da parte dei rappresentanti degli Stati membri del dossier sulla coltivazione degli organismi geneticamente modificati (OGM), originariamente prevista per il 23 maggio, è stata spostata a fine maggio, subito dopo le elezioni del Parlamento europeo. Da quella discussione, in data 2 giugno 2014, Tonio Borg, Commissario europeo alla sicurezza alimentare, ha dichiarato di attendere la data della seduta del Consiglio dei ministri dell'Unione, dove sarebbe stato previsto il raggiungimento di un accordo politico comune per quanto concerne il testo di compromesso della «proposta sulla coltivazione» degli OGM su suolo europeo (proposta di regolamento COM (2010) 375 di modifica della direttiva 2001/18/CE per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di OGM sul loro territorio), elaborata dalla presidenza greca;
   il Consiglio ambiente del 12 giugno 2014 ha approvato a larga maggioranza, con le sole astensioni di Belgio e Lussemburgo la proposta di compromesso della presidenza greca sulla richiamata proposta di regolamento COM (2010) 375;
   l’iter presso le istituzioni proseguirà, nel semestre di presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea, per la definizione dell'accordo in seconda lettura con il Parlamento europeo;
   il nuovo articolo 26-ter che la proposta intende inserire nella direttiva 2001/18/CEE prevede che gli Stati membri possono adottare misure nazionali volte a limitare o vietare la coltivazione di tutti o di taluni OGM in tutto il territorio o in parte di esso, senza utilizzare la clausola di salvaguardia e dunque per motivi diversi da quelli già previsti dalle norme europee;
   il nuovo articolo 26-ter consente agli Stati membri un diritto di libertà di scelta esclusivamente per quel che riguarda la coltivazione degli OGM, ma non incide sulla messa in commercio e sull'importazione delle sementi geneticamente modificati; inoltre, le misure nazionali dovranno essere assunte per motivi diversi da quelli già previsti dalle norme europee, legati alla valutazione degli effetti negativi sulla salute e sull'ambiente che potrebbero derivare dall'emissione deliberata o dall'immissione in commercio di OGM e deciderà la Commissione su parere dell'EFSA;
   il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali Martina ha recentemente dichiarato che l'Italia è un paese che non ha bisogno di OGM: «io sono convinto che il modello agricolo italiano non abbia bisogno di OGM: l'investimento sulla qualità ci consente di rafforzare un modello agricolo che evita di utilizzarli», ha ricordato il Ministro delle politiche agricole che ha aggiunto: «su questo tema c’è un dibattito molto complicato in sede europea; noi dobbiamo consentire alla ricerca pubblica di svilupparsi anche in campo agroalimentare, senza permettere alle multinazionali di strafare»;
   nell'ambito del dibattito europeo in materia di OGM, proprio nei giorni precedenti il Consiglio del 12 giugno, vi è stato il caso della soia OGM; infatti nel corso della riunione del 23 maggio 2014 della sezione alimenti e mangimi geneticamente modificati del Comitato permanente sulla catena alimentare e la salute degli animali (SCOFCAH), gli Stati membri non hanno raggiunto la maggioranza qualificata a favore o contro relativamente alle proposte volte ad autorizzare (per l'importazione di alimenti e mangimi, ma non per la coltivazione, tre varietà di soia geneticamente modificata: soia GM 305423 (DuPontPioneer); soia MON87705 (Monsanto) e soia GM BPS-CV127-9 (Basf)). Fra i paesi che si sono astenuti dal voto risulta esserci l'Italia. A livello procedurale si ricorda che sulla base del regolamento (CE) 182/2001, a seguito del mancato raggiungimento della maggioranza richiesta per adottare o respingere le summenzionate proposte, il Comitato d'appello è chiamato a esaminare le proposte ed esprimersi a maggioranza qualificata. La riunione del Comitato d'appello era stata convocata per il 10 giugno, data in cui la questione è stata esaminata dallo stesso Comitato, ma, poiché non è stata raggiunta la maggioranza qualificata, il dossier è tornato nelle mani della Commissione europea. Al momento si aspettano ulteriori sviluppi;
   l'indirizzo dato dal Consiglio del 12 giugno, dove è stata approvata la proposta di compromesso della Presidenza greca sulla facoltà dei singoli Stati membri di vietare o coltivare OGM sul proprio territorio, parte da presupposti ideologici errati e, invece di puntare su un ragionamento in termini europei, lasciando ai singoli Stati membri la scelta, rischia di creare non solo disparità a livello di competitività economica, ma in base al Trattato di libero scambio delle merci, tutelare di fatto quei Paesi che, pur optando per il non utilizzo nelle coltivazioni degli OGM, si ritroveranno ad essere contaminati a causa di scelte differenti compiute da altri Stati membri. L'impostazione basata sulla rinazionalizzazione e su una scelta europea unica, limita dunque le scelte di Stati dell'Unione che puntano ad un prodotto OGM free;
   il nuovo articolo 26-ter consente agli Stati membri un diritto di libertà di scelta esclusivamente per quel che riguarda la coltivazione degli OGM, ma non incide sulla messa in commercio e sull'importazione delle sementi OGM. Appare pertanto opportuno chiarire la posizione del nostro Paese e chiarire perché l'Italia non ha votato contrariamente, anche alla luce delle dichiarazioni del Ministro Martina su un’«Italia libera da OGM», circa le procedure di autorizzazione di OGM, con specifico riferimento al caso delle tre varietà di soia geneticamente modificate: soia GM 305423 (DuPontPioneer); soia MON87705 (Monsanto) e soia GM BPS-CV127-9 (Basf), quando, nella riunione del 23 maggio scorso della Sezione alimenti e mangimi geneticamente modificati del Comitato permanente sulla catena alimentare e la salute degli animali (SCOFCAH), l'Italia risulta essere tra i paesi che si sono astenuti dal voto;
   in base al proposto articolo 26-ter si potrà esercitare il divieto solo se lo Stato è in grado di dimostrare che esistono motivi di impedimento diversi, da quelli ambientali e relativi alla salute, sui quali, invece, continuerà ad esprimersi soltanto la Commissione, su parere dell'EFSA –:
   quali siano gli orientamenti del Governo in merito alle questioni indicate in premessa e, in particolare, quale sia stata la motivazione che ha indotto il Governo, nella citata riunione dello SCOFCAH ad astenersi nella votazione per l'autorizzazione delle tre varietà di soia OGM per la mangimistica, vista anche la posizione del Ministro per una filiera foraggera OGM free, e quale sia stata la motivazione che ha portato l'Italia ad aderire alla proposta di rinazionalizzazione invece che ad una proposta di Europa libera da OGM, posto che tale rinazionalizzazione comporterà l'impossibilità di dimostrare la nocività degli stessi per motivi sanitari e ambientali. (5-03074)


   CENNI, FIORIO, TENTORI, DAL MORO, COVA, LUCIANO AGOSTINI, CARRA e ANTEZZA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'agricoltura rappresenta uno dei settori di maggior rilevanza per l'intera l'economia italiana e per l'occupazione nazionale (soprattutto per quanto riguarda le nuove generazioni) anche nei periodi di crisi: sono state infatti create 117 mila nuove aziende negli ultimi tre anni (è agricola 1 impresa su 10 di quelle nate dal 2010), il 15 per cento condotta da giovani under 30, mentre l’export agricolo e agroalimentare ha registrato un aumento del 4,8 per cento nel 2013 rispetto all'anno precedente; tale comparto assume oggi un ruolo decisivo anche alla luce dei prossimi appuntamenti nello scenario internazionale come la presidenza italiana del Semestre europeo, l'Expo 2015 di Milano dedicato alla sovranità alimentare, la nuova stagione di fondi europei attraverso la nuova Pac e lo sviluppo rurale, la sfida del contrasto ai mutamenti climatici;
   uno degli enti pubblici a sostegno del settore primario è l'istituto nazionale di economia agraria (Inea): organismo di ricerca nel campo strutturale e socio-economico del settore agro-industriale, forestale e della pesca, fondato nel 1928 e sottoposto, per competenza, alla vigilanza del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;
   Inea ha svolto, nel corso degli anni, indagini e studi di economia agraria e forestale, conformando la propria attività alle esigenze e trasformazioni del sistema agroindustriale italiano, concorrendo in modo determinante alla formazione di una cultura della contabilità agraria in Italia, in quanto ente di collegamento tra lo Stato italiano e la Commissione europea;
   i compiti svolti dall'Inea rispondono quindi, in misura crescente, ad una domanda sempre maggiore e diversificata di supporto tecnico e metodologico con il mondo della ricerca e degli operatori. Tale domanda origina da una molteplicità di soggetti istituzionali pubblici (comunitari, nazionali e regionali) e, nel tempo, è andata intensificandosi per il crescente ruolo svolto dalle politiche comunitarie, sulle quali linea ha sviluppato e consolidato una competenza specifica;
   l'Inea, conta di una struttura territoriale con 20 sedi regionali ed una sede centrale a Roma, ha sviluppato numerose collaborazioni con le regioni e con le associazioni agricole, è dotato di autonomia scientifica, statutaria, organizzativa, amministrativa e finanziaria;
   l'Inea ha recentemente messo a punto approfondimenti nel campo dello sviluppo sostenibile del comparto agricolo, alimentare e forestale, della competitività delle aziende. Si è occupato della promozione dell'innovazione, dalla sicurezza alimentare all'incentivazione del ruolo dei giovani e delle donne; dalla semplificazione burocratica alla efficace attuazione delle risorse comunitarie; dallo sviluppo della «bioeconomia» all'implemento della funzione sociale dell'agricoltura;
   risulta evidente il ruolo centrale di un ente agricolo di ricerca pubblico ed indipendente per sostenere e supportare l'innovazione dell'intero settore agricolo nazionale soprattutto in una realtà come quella italiana, a diffusa vocazione territoriale e comprovata tradizione qualitativa;
   è noto che linea sta attraversando un periodo di consistente difficoltà, ragione per la quale è stato commissariato nel mese di gennaio 2014;
   nelle scorse settimane sono state numerose ed evidenti le occasioni di mobilitazione dei lavoratori per la salvaguardia dell'ente e per il mantenimento delle professionalità e competenze impiegate (circa 380 unità lavorative con varie tipologie contrattuali, con una età media intorno ai 40 anni) proprio per il valore strategico, già ampiamente ricordato, che Inea assume per il settore agroalimentare nazionale e per la qualità dei profili professionali presenti;
   è utile ricordare che in ogni Paese europeo esistono enti economici di ricerca: in Francia (Institut national de la recherche agronomique – Inra), in Spagna (Instituto nacional de investigación y tecnologia agraria y alimentaria – Inia), in Olanda (Agricultural economisc, research institute – Lei), in Germania (dove gli istituti di «agricoltura economisc» sono addirittura quattro);
   negli ultimi anni, le strutture della ricerca nel settore dell'agricoltura hanno già subito una profonda e continua opera di revisione, accorpamento e soppressione al fine di raggiungere una più efficiente organizzazione e realizzare gli obiettivi di risparmio stabiliti a livello nazionale. Va anche ricordato che alcune scelte dei precedenti governi hanno visto accorpamenti poi rimessi successivamente in discussione (Ense/Ente Risi), anche a dimostrazione di quanto il tema sia complesso e delicato;
   una complessiva, razionale ed efficace riorganizzazione del sistema degli enti vigilati dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali è, come il Ministro ha in più occasioni tenuto a sottolineare, assolutamente necessaria. Sul tema da tempo è aperto un dibattito ed esistono apposite proposte di legge presentate in Parlamento nell'attuale e nella precedente legislatura;
   da parte di alcune organizzazioni sindacali si è in più occasioni avanzato la proposta di una diversa organizzazione di tutti gli enti di ricerca operanti nei vari settori;
   anche nel piano di azioni per l'agroalimentare italiano denominato «Campolibero» annunciato dal Governo e dal Ministro competente, nei giorni scorsi, sono i presenti interventi che riguardano la riorganizzazione delle «Società vigilate dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali» –:
   quali siano gli indirizzi di Governo sul futuro della ricerca in agricoltura ed in particolare dell'Inea, in relazione al ruolo strategico che tale ente ha svolto fino ad oggi a sostegno del settore agroalimentare nazionale e come verranno attuati e se non ritenga conseguentemente necessario, nel quadro dell'efficientamento della spesa pubblica e della razionalizzazione in atto, garantire comunque la sostenibilità economica ed operativa e l'alta professionalità di molti operatori, di un ente pubblico ed indipendente di ricerca nel settore agroalimentare, quale strumento indifferibile per sostenere, anche in ambito comunitario e globale, uno dei comparti economici ed occupazionali di maggiore rilievo del panorama nazionale quale il settore agricolo. (5-03075)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   OLIVERIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel 2013 la produzione dei salumi ha fatto registrare un calo dell'1,5 per cento fermandosi a 1,179 milioni di tonnellate e il fatturato, nonostante un aumento dei prezzi, ha registrato una flessione dello 0,5 per cento;
   il consumo pro capite di salumi è sceso a 18 chilogrammi all'anno e nel dettaglio la produzione è calata in ogni ambito dal prosciutto crudo, –2 per cento, alla mortadella, – 2 per cento, dalla pancetta, –3 per cento, ai salami, –1,8 per cento;
   tuttavia la qualità dei prodotti italiani ha consentito un aumento dell’export; tant’è che il settore ha fatto registrare un quasi 6 per cento in più nonostante le barriere non tariffarie dei Paesi extra Unione europea, che poi sono quelli dai mercati più redditizi;
   particolarmente avvertita è la difficoltà da parte dei produttori di trovare soluzioni ad alcune malattie veterinarie, come la vescicolare e la peste suina che ci espone appunto alla chiusura dei mercati extra Unione europea;
   la Cina, per fare un esempio, da sola potrebbe garantire un 30 per cento in più di esportazioni aggiuntive di salumi;
   in Cina si possono esportare solo prosciutti stagionati per 313 giorni e dal 2011 è aperto un dossier per la possibilità di esportare anche i cotti e i salumi a breve stagionatura senza che fino ad ora vi sia stata una risposta da parte delle autorità competenti cinesi;
   il superamento di questo impasse potrebbe consentire nuovo slancio alle imprese italiane del settore in un mercato strategico per il futuro –:
   se e quali iniziative il Governo intenda adottare nella sua collegialità, in particolare con il Ministro della salute, a partire dall'occasione del semestre di Presidenza di turno italiana del Consiglio europeo per affrontare le questioni aperte con le autorità cinesi e superare le criticità che impediscono la esportazione dei nostri prodotti anche a breve stagionatura anche in relazione alla straordinaria opportunità rappresentata da Expo 2015. (5-03059)


   FRANCO BORDO e PALAZZOTTO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione Europea ha stigmatizzato che il sistema ordinamentale italiano dimostri, da lungo tempo, un'intrinseca inefficacia a garantire il recupero, da parte dello Stato italiano stesso, dei «prelievi» sulle eccedenze di produzione delle «quote latte» (cosiddetti «prelievi supplementari»);
   i Regolamenti comunitari n. 804/68, n. 856/84 e n. 1234/2007 (Regolamento unico OCM) assegnano, a ciascuno Stato membro, dei massimali di produzione del latte e di prodotti lattieri che non possono essere superati. All'interno di ciascuno Stato membro, poi, la quota viene divisa fra i vari produttori lattieri, ciascuno dei quali, pertanto, non può superare una soglia specifica;
   lo sforamento di tale tetto massimo, da parte del singolo produttore, impone al medesimo di pagare, sulla produzione in eccedenza e in favore dello Stato cui appartiene, un importo di denaro qualificato come «prelievo supplementare»;
   l'articolo 66 del Regolamento (CE) n. 1234/2007 del 22 ottobre 2007, ha prorogato il sistema delle «quote latte» fino alla campagna lattiera del 2014/2015. Il regime delle quote cesserà il 31 marzo 2015;
   il mancato pagamento dei «prelievi», da parte delle imprese italiane, ha costituito oggetto di una serie di procedure di infrazione già promosse dalla Commissione europea fra il 1994 e il 1998, poi archiviate a seguito del ripetuto intervento del legislatore italiano, con una serie di provvedimenti ritenuti dalla Commissione adeguati a soddisfare le proprie richieste;
   con decisione 2003/530/CE del 16 luglio 2003, la Commissione europea ha concesso la rateizzazione dei pagamenti dovuti da quelle aziende che, avendo già contestato in sede giudiziale le ingiunzioni delle amministrazioni italiane al pagamento dei prelievi, si fossero ritirate dal contenzioso. Un certo numero di produttori aderì a detti piani di rateizzazione;
   la Commissione europea in data 20 giugno 2013 ha inviato all'Italia la messa in mora. Di fatto, la Commissione europea ha posto l'Italia sotto procedura di infrazione (n. 2013/2092 – articolo 258 del Trattato di Funzionamento dell'Unione Europea) per il mancato recupero alle casse dello Stato, a tutt'oggi, di prelievi per un importo di 1,423 miliardi di euro. Questa cifra corrisponde al debito, fino ad oggi e per le campagne dal 1995/1996 al 2008/2009, dei produttori lattieri che non hanno aderito ai programmi di rateizzazione (per scelta o in quanto esclusi dalla «copertura» di cui alla citata decisione), calcolato al netto di 158 milioni di euro non più recuperabili;
   la paralisi di tali pagamenti è imputabile, secondo la Commissione, a vari livelli del sistema ordinamentale italiano:
    a) la stessa normativa nazionale sarebbe divenuta deficitaria, dopo che la legge n. 44 del 2012 ha permesso, ai soggetti debitori di enti pubblici che versino in condizioni di «oggettiva difficoltà economica» (ivi compresi i debitori di prelievi sulle eccedenze lattiere) di dilazionare i pagamenti (anche al di fuori dell'adesione ai piani di rateizzazione);
    b) gli «accertamenti» delle somme dovute, da parte dell'amministrazione italiana, sarebbero resi alquanto difficoltosi dalla confusione delle regole circa la quantificazione delle quote latte spettanti ai singoli produttori;
    c) dopo l'accertamento, la riscossione del prelievo dovuto è stata messa in forse, principalmente, dal fatto che le aziende, destinatarie degli ordini di pagamento emessi dalla pubblica amministrazione, hanno spesso impugnato gli stessi di fronte ai giudici nazionali ottenendo sovente una sospensiva cautelare dell'esecutività dell'ingiunzione stessa, prima della definizione della vertenza. Allo stato, tali procedimenti giudiziari sono ancora pendenti e, per quanto può ragionevolmente prevedersi, lontani dalla relativa decisione;
   la Commissione europea ha messo sotto accusa la gestione degli arretrati di quella fascia di produttori che non ha aderito al alcuna rateizzazione (ne sono state fatte due concordate in sede Ecofin) e che dunque risulta totalmente inadempiente. Per la Commissione l'assenza di progressi significativi del recupero delle multe dopo tanti richiami e campanelli d'allarme, non poteva che concretizzarsi in una procedura di infrazione;
   due anni fa la Corte dei conti aveva denunciato, con una relazione circostanziata, il rischio dell'apertura di una falla nel bilancio dello Stato e, precisamente, «...questo modo di procedere consente di mantenere sommerso un debito a carico del bilancio statale...» sottolineando la «...pericolosità finanziaria delle ingenti anticipazioni di tesoreria...»;
   lo Stato italiano per far fronte agli impegni con la Commissione europea, che altrimenti si sarebbe rivalsa sui contributi agli agricoltori, è ricorso alle anticipazioni di tesoreria statale, il tutto per sanare un buco di complessivi 4,4 miliardi di euro;
   il recupero delle somme dovute riguardano le pendenze di circa duemila produttori di cui seicento di loro devono pagare somme superiori a 300 mila euro. Il comportamento di questi soggetti produce una distorsione delle regole del mercato, nonché una concorrenza sleale nei confronti della stragrande maggioranza dei trentotto mila allevatori che si sono messi in regola e hanno rispettato le norme negli anni, acquistando o affittando quote per un valore complessivo di 2,42 miliardi di euro;
   in merito alla vicenda suddescritta in data 6 giugno 2014, la Commissione europea ha inviato al Consiglio dell'Unione europea una relazione (COM(2014) 334) relativa alla valutazione della situazione comunicata dall'Italia alla Commissione e al Consiglio in merito al recupero del prelievo supplementare dovuto dai produttori di latte nei periodi dal 1995-1996 al 2001-2002 a norma dell'articolo 3 della decisione n. 2003/530/CE del 16 luglio 2003 del Consiglio La relazione costituisce la valutazione della Commissione sui progressi comunicati dalle autorità italiane, con riferimento al 2012, nel recupero del prelievo supplementare sia nei periodi contemplati dalla decisione del Consiglio che in quelli non contemplati dalla citata decisione –:
   quali interventi urgenti il Ministro intenda porre in essere per dirimere la vicenda illustrata in premessa. (5-03061)

Interrogazione a risposta scritta:


   GALLINELLA, GAGNARLI, L'ABBATE, PARENTELA, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI e LUPO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   dal quanto si apprende da diverse fonti stampa, il Parlamento europeo ha approvato nuove misure per bloccare l'accesso di piante, animali o insetti esotici invasivi nell'Ue oppure per limitare il danno ecologico ed economico causato dalle specie che sono già entrate e si sono diffuse. Il testo dovrà ora essere approvato formalmente del Consiglio;
   le specie invasive causano danni economici stimati in oltre 12 miliardi di euro all'anno nell'Ue dato che la loro diffusione non si ferma ai confini nazionali, la cooperazione tra gli Stati membri è cruciale per affrontare più efficacemente il problema;
   a titolo di esempio si potrebbe portare il caso dell'introduzione della zanzara tigre asiatica (Aedes albopictus), che può diffondere malattie tropicali, entrata nell'Ue attraverso il commercio di pneumatici usati, oppure del Punteruolo rosso delle palme (Rhynchophorus ferrugineus), che sta distruggendo il patrimonio palmizio italiano, introdotto in palme infetta provenienti presumibilmente dal nord africa senza certificato fitosanitario, o ancora il cinipide del castagno (Dryocosmus kuriphilus Yasumatsu) importato dalla Cina attraverso marze infette e che ha messo in ginocchio la castanicoltura italiana, o, infine, il calabrone asiatico che ha devastato gli alveari in Francia ed è stato segnalato in alcune regioni del nord Italia;
   diverse specie non autoctone sono inoltre introdotte nel nostro Paese anche a scopo venatorio, al fine di attuare il ripopolamento delle specie cacciabili. Ciò altera inevitabilmente e spesso in maniera irreversibile la biodiversità del territorio;
   l'atto approvato a Strasburgo richiede agli Stati membri di accertare le vie d'accesso e la diffusione di specie esotiche invasive e di istituire sistemi di sorveglianza e piani di azione che permetterebbero una intensificazione dei controlli alle frontiere;
   per le specie esotiche invasive già diffuse all'interno degli Stati membri, gli stessi dovranno invece elaborare appositi Piani di gestione;
   la lista di piante considerate di «rilevanza per l'Unione» contiene specie esotiche che non possono essere introdotte, trasportate, immesse sul mercato, conservate, cresciute o rilasciate nell'ambiente. Durante i negoziati, il Consiglio ha accettato la richiesta del Parlamento di non limitare l'elenco delle specie esotiche invasive a sole 50 specie come proposto originariamente: questo elenco sarà quindi aperto ed includerà specie prioritarie, quelle che sono un problema emergente e quelle che causano danni più significativi;
   i deputati europei hanno inoltre inserito disposizioni per tener conto di specie esotiche invasive che sono d'interesse per un singolo Stato membro, mentre le specie autoctone di una sola parte dell'Ue dovranno essere prese in considerazione attraverso una maggiore cooperazione regionale tra gli Stati membri, facilitata dalla Commissione;
   gli Stati membri dovranno inoltre delineare adeguate sanzioni contro le violazioni delle nuove regole –:
   quali siano le iniziative che il Governo intende adottare, in attesa della definitiva approvazione della normativa Ue, per bloccare l'accesso di piante, animali o insetti esotici invasivi nell'Ue o per limitare il danno ecologico ed economico causato dalle specie che sono già entrate e si sono diffuse;
   se esistano già programmi per l'accertamento delle vie d'accesso e della diffusione delle specie esotiche invasive, sistemi di sorveglianza, piani di azione e piani di gestione di cui si parla nella misura approvata dal Parlamento europeo;
   se, a tutela della biodiversità nazionale, intenda assumere iniziative volte a vietare ogni ulteriore introduzione per fini venatori di esemplari animali non autoctoni su tutto il territorio nazionale.
(4-05256)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   OLIVERIO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 12 giugno la Gazzetta del Sud ha pubblicato un articolo che riportava l'ormai consueto stato di degrado in cui versa la città di Vibo, invasa dalla sporcizia che accresce a dismisura mettendo a grave rischio l'incolumità della popolazione;
   l'emergenza rifiuti ha prodotto la presenza di enormi quantità di rifiuti in ogni angolo della città;
   gravissima è la situazione che emerge soprattutto in provincia e nella città di Vibo dove il problema rifiuti si sta trasformando in vera e propria emergenza igienico-sanitaria;
   ci sono strade in cui i cumuli hanno invaso l'intero territorio comunale e non vengono più raccolti da giorni;
   nonostante i lavoratori svolgano regolarmente le mansioni loro dedicate per ripulire la città, nonostante il mancato pagamento delle competenze loro spettanti, la responsabilità vada riscontrata nella mancata organizzazione della raccolta dei rifiuti che dovrebbe svilupparsi attraverso la differenziazione, così come avviene in altre località;
   in Calabria si producono circa 2400 tonnellate di rifiuti di queste quasi il 40 per cento viene trattato negli impianti pubblici ancora funzionanti mentre il resto, ormai, fa da triste cornice ad una regione in balia di amministratori che sembrano non rendersi conto della situazione;
   l'obiettivo di razionalizzare la spesa non può scaricarsi come un'ulteriore tegola sulle già critiche condizioni igienico-sanitarie della città di Vibo Valentia con pesanti conseguenze per la salute degli anziani e dei bambini che risultano essere i più esposti ai pericoli igienico-sanitarie;
   un'emergenza ambientale caratterizzata dal fatto che i rifiuti urbani smaltiti in discarica si sono ridotti del 11,7 per cento;
   davanti a questo cupo scenario è necessario uno sforzo di tutti, al di là di contrapposizioni e diversificazioni politiche, affinché il tema dei rifiuti in Calabria venga immediatamente affrontato. Ma è necessario che si muova con estrema urgenza la Regione Calabria, che in questo settore evidenzia il fallimento più grave –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto descritto in premessa e quali iniziative intendano promuovere, negli ambiti di rispettiva competenza, per la difesa dell'ambiente e della salute dei cittadini. (4-05255)


   OLIVERIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Quotidiano della Calabria del 17 giugno 2014 riporta la difficile situazione che sta vivendo l'ospedale di Soveria Mannelli (Catanzaro) che, a causa del malfunzionamento dell'ospedale di Soverato a cui è strettamente legato, sconta la soppressione dell'unico giorno settimanale in cui sono previste consulenze ortopediche e traumatologiche;
   la sanità ospedaliera del territorio di Soveria Mannelli, privandosi di questo servizio essenziale soprattutto nei mesi estivi quando la popolazione tra residenti e turisti aumenta in maniera considerevole, diventerebbe particolarmente precaria e inefficace, con gravissime ripercussioni sulla salute della popolazione;
   il reparto di ortopedia di questo ospedale è molto conosciuto ed è sempre stato il fiore all'occhiello di questa struttura; la contestata chiusura comporterà fortissimi disagi all'utenza non solo locale ma anche turistica, a cui il presidio fa riferimento;
   l'eventuale chiusura del reparto comprometterà inoltre la qualità del servizio, che, grazie all'impegno e alla professionalità del personale medico e infermieristico, ha finora fatto registrare significativi e lusinghieri giudizi positivi;
   la chiusura di questi essenziali servizi nel contesto della più generale carenza dell'offerta sanitaria della struttura ospedaliera comporterà un deterioramento qualitativo di un sistema sanitario i cui disservizi mettono sempre più a rischio la salute dei cittadini –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza per il tramite del commissario ad acta per il rientro dal deficit sanitario delle possibili conseguenze che potrebbero derivare dalla soppressione del reparto di ortopedia e quali iniziative intenda adottare al fine di assicurare alle comunità interessate livelli essenziali di assistenza.
(4-05257)


   OLIVERIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sulla Gazzetta del Sud del 3 giugno 2014 è stata pubblicata la notizia relativa ad una nuova riorganizzazione delle guardie mediche che sembrerebbe penalizzare i medici trimestrali;
   nell'articolo si legge che è in fase di introduzione un nuovo sistema di gestione che affida ai titolari di guardia medica un maggior numero di ore, da 24 a 38;
   questo provvedimento, fortemente penalizzante per i medici trimestrali, sta creando forte malumore anche tra i medici di continuità assistenziale con sede fuori provincia pronti ad adire alle vie legali per difendere i propri diritti;
   questo rappresenta uno degli ultimi provvedimenti, di una lunga serie, adottati dalla regione Calabria, che nello specifico non rispetterebbe l'articolo 63 dell'Accordo collettivo nazionale del 2009;
   la continuità assistenziale, meglio conosciuta come guardia medica, organizzata dall'azienda sanitaria locale n. 8 di Vibo Valentia, funziona nelle ore notturne, nei giorni prefestivi o festivi ossia quando i medici di famiglia non sono a disposizione dei cittadini;
   questo importante e strategico servizio si integra con il pronto soccorso ospedaliero, il 118, i punti di primo intervento che garantiscono continuità nell'assistenza in emergenza;
   la guardia medica svolge un importante compito di filtro rispetto all'accesso al pronto soccorso delle strutture ospedaliere, già ampiamente intasate, soprattutto durante il periodo estivo, anche da moltissimi accessi caratterizzati da codici a basso rischio di pericolosità;
   risulta, inoltre, sempre da agenzie locali, che da oltre 10 anni queste professionalità, dislocate sul territorio, attendono che la regione Calabria metta a bando le zone carenti al fine di presentare domanda e rientrare nel territorio di appartenenza;
   ancora oggi non risulterebbero, sempre da notizie stampa, individuate le zone carenti anche se sussisterebbe disponibilità di posti;
   in un territorio già colpito da un forte ritardo di sviluppo e dalla crisi economica, la situazione sopra descritta sarebbe un ulteriore disincentivo al turismo, già reso problematico dalle gravi carenze infrastrutturali dell'intera regione –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e se vi sia il rischio della compromessa dei livelli essenziali di assistenza così garantendo il servizio alla salute dei cittadini. (4-05258)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

IX Commissione:


   DE LORENZIS, NICOLA BIANCHI, LIUZZI, DELL'ORCO, SPESSOTTO, CRISTIAN IANNUZZI e PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   sulla base del decreto legislativo n. 58 del 2011 Poste Italiane S.p.A. risulta affidataria per quindici anni e quindi fino al 2026 del servizio universale postale che comprende, ai sensi del disposto dell'articolo 3 comma 2 del decreto legislativo n. 261 del 1999 e ss.mm.: «a) la raccolta, il trasporto, lo smistamento e la distribuzione degli invii postali fino a 2 kg; b) la raccolta, il trasporto, lo smistamento e la distribuzione dei pacchi postali fino a 20 kg; c) i servizi relativi agli invii raccomandati ed agli invii assicurati»;
   la vigilanza sull'attività di Poste Italiane s.p.a. nell'espletamento dei propri compiti di servizio universale è affidata al Ministero dello sviluppo economico e all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, secondo diversi ambiti di rispettiva competenza;
   ai sensi dell'articolo 3, comma 1, del citato decreto legislativo le prestazioni rientranti nel servizio universale devono essere fornite «permanentemente in tutti i punti del territorio nazionale, incluse le situazioni particolari delle isole minori e delle zone rurali e montane»;
   secondo quanto disposto dal comma 5 dell'articolo 3 dello stesso decreto legislativo il servizio universale deve essere «prestato in via contributiva per tutta la durata dell'anno» assicurando «l'attivazione di un congruo numero di punti di accesso» sulla base di criteri di ragionevolezza, al fine di tener conto delle esigenze dell'utenza;
   ai sensi dell'articolo 2, comma 4, lettera c) del decreto legislativo n. 261 del 1999 la «fissazione dei criteri di ragionevolezza funzionali alla individuazione dei punti del territorio nazionale necessari a garantire una regolare ed omogenea fornitura del servizio» spetta all'Autorità nazionale di regolamentazione del settore postale (l'AGCOM), attraverso l'adozione di provvedimenti di natura regolatoria;
   AGCOM non ha ancora adottato tali provvedimenti ma si trova ancora in una fase istruttoria del relativo procedimento, avendo avviato, con delibera 49/14/CONS del 30 gennaio 2014 che integra la delibera n. 236/13/CONS del 21 marzo 2013, una nuova «Consultazione pubblica sui criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete postale pubblica»;
   nel quadro descritto, i criteri in vigore per l'individuazione dei punti del territorio nazionale sono determinati quindi, dal decreto del Ministero dello sviluppo economico del 7 ottobre 2008 e recepiti nel Contratto di programma 2009-2011 stipulato tra il Ministero dello sviluppo economico e Poste italiane S.p.A., approvato con legge n. 183/2011 e integrato nell'efficacia dalla decisione della Commissione europea del 20 novembre 2012;
   tali criteri, elaborati prima del recepimento della direttiva comunitaria 2008/6/CE sul mercato interno dei servizi postali comunitari e che, quindi, non tengono conto della stessa, attribuiscono rilievo determinante all'economicità della gestione dei singoli uffici postali nonché a dati meramente geografici quali le distanze chilometriche tra gli stessi;
   l'adozione di tali criteri, unitamente all'elaborazione di un piano di razionalizzazione dei punti di accesso da parte di Poste italiane s.p.a. nel 2012, ha determinato la chiusura di oltre 1.000 sportelli in tutto il territorio nazionale e la riduzione dell'orario e dei giorni di apertura per circa 600 uffici postali, con grave nocumento per le popolazioni interessate in particolare in aree periferiche del Paese;
   nel 2014 con diverse decisioni gli organi della Giustizia amministrativa (da ultimo il Consiglio di Stato con sentenza sul ricorso n. 790 del 6 giugno 2014), sui ricorsi presentati dai comuni oggetto della chiusura o limitazione dell'attività degli uffici di Poste italiane s.p.a., hanno denunciato i diversi profili di illegittimità del decreto ministeriale del 2008 rilevando, da un lato, come fosse del tutto arbitrario «considerare il solo dato economico [come] esclusivo parametro di riferimento sulla base del quale disporre la chiusura o la modifica dell'orario di apertura» degli uffici e, sotto altro e concorrente profilo, che Poste Italiane s.p.a. pur conservando la propria autonomia imprenditoriale ha l'obbligo di assicurare a garanzia del servizio universale che le proprie scelte «siano frutto di un ragionevole ed equilibrato bilanciamento tra il dato economico e le esigenze degli utenti, specie di quanti si trovano in condizioni più disagiate, a tutela della coesione sociale e territoriale» –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato – nell'ambito delle competenze del proprio Ministero – per porre rimedio alla situazione descritta assicurando che Poste italiane s.p.a. adempia agli obblighi di servizio universale postale prescritti dalla disciplina in vigore.
(5-03068)


   MARGUERETTAZ e CAPARINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Rai spa è una società per azioni a totale partecipazione pubblica il cui capitale è detenuto per il 99,56 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze e per lo 0,44 per cento dalla Società italiana degli autori ed editori (SIAE);
   l'articolo 2, comma 2, della legge n. 223 del 1990 «Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato» ha disposto che il servizio pubblico generale radiotelevisivo fosse affidato mediante concessione a una società per azioni a totale partecipazione pubblica identificata nella RAI – Radio audizioni italiane spa – riconoscendo, quindi, «preminente interesse generale» l'attività di diffusione di programmi radiofonici e televisivi, in linea con l'assetto normativo precedente;
   l'11 giugno 1995 un referendum abrogativo, proposto dalla Lega nord e dai Radicali, con il 54,9 per cento dei sì è stata disposta l'abrogazione del comma 2 del suddetto articolo 2 limitatamente alle parole «a totale partecipazione pubblica» e dell'articolo 1 del decreto-legge 19 ottobre 1992, n. 408, convertito, con la legge n. 483 del 1992 il quale attribuiva soltanto allo Stato il possesso delle azioni Rai. Di fatto, trasformando la natura stessa della RAI-Radiotelevisione italiana spa e aprendo al possibile ingresso dei privati nel capitale sociale dell'azienda e decretando così la fine di quanto previsto dalla legge del 1990;
   la Corte costituzionale, nella sentenza n. 7 del 1995 che ha dichiarato l'ammissibilità del referendum, ha ammesso che una partecipazione privata al capitale azionario della RAI non si porrebbe in contrasto «con la natura pubblica del servizio radiotelevisivo ovvero con il carattere di società di interesse nazionale riconosciuto, ai sensi dell'articolo 2461 del codice civile, alla concessionaria di tale servizio»;
   ad avviso della Corte, «Tali elementi possono, infatti, operare indipendentemente dalla qualità pubblica o privata dei soggetti titolari del capitale azionario, riguardando, invece, la specialità del complessivo regime giuridico del servizio pubblico esercitato tramite concessionaria: specialità connessa al raggiungimento di quei fini di interesse generale cui, in ogni caso, non può non ispirarsi lo svolgimento di tale servizio»;
   inoltre, nella sentenza n. 284 del 2002, la Corte costituzionale ha ribadito che il venir meno del monopolio statale non comporta il venir meno della giustificazione costituzionale del servizio pubblico radiotelevisivo, che risiede nella sua funzione specifica, volta a soddisfare il diritto all'informazione ed i connessi valori costituzionali, primo fra tutti il pluralismo, nonché a diffondere la cultura per concorrere allo sviluppo sociale e culturale del Paese;
   la volontà popolare espressa con il referendum del 1995, finalizzata ad evitare la creazione di un monopolio pubblico nel settore del servizio pubblico radiotelevisivo, veniva successivamente recepita con la legge 3 maggio 2004, n. 112, la cosiddetta «legge Gasparri» – in attuazione della quale fu emanato il testo unico della radiotelevisione – che ha previsto una serie di passaggi per trasformare la RAI in una public company ad azionariato diffuso, lasciando lo Stato come azionista di maggioranza;
   l'articolo 21 della suddetta legge n. 112 del 2004 intitolato «dismissione della partecipazione dello Stato nella Rai» stabiliva al comma 1 che «entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge è completata la fusione per incorporazione della Rai spa nella società Rai-holding spa», specificando poi, al comma 2 che «per effetto dell'operazione di fusione di cui al comma 1, la società Rai-holding spa assume la denominazione sociale di Rai Radiotelevisione Italiana spa»;
   la medesima norma ha altresì sancito al comma 3 che «entro 4 mesi dalla data di completamento della fusione per incorporazione di cui al comma 1 è avviato il procedimento per l'alienazione della partecipazione dello Stato nella Rai-Radiotelevisione italiana spa»;
   il 17 novembre 2004 è avvenuta la fusione per incorporazione della Rai holding spa con la Rai Radiotelevisione Italiana spa assumendo la denominazione sociale di «Rai Radiotelevisione Italiana spa»;
   il processo di privatizzazione non si è mai concluso e attualmente la concessione del servizio pubblico radiotelevisivo è affidata, fino al 2016, alla RAI-Radiotelevisione italiana spa, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 49 del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177 «Testo unico della radiotelevisione»;
   il mancato inserimento della Rai nelle aziende da privatizzare di fatto finisce per eludere la gara obbligatoria per la concessione del servizio pubblico con le conseguenti responsabilità civili, patrimoniali e penali;
   è necessario intervenire sul mercato televisivo liberandolo dalle costrizioni e dalla regole ormai superate, cominciando a demolire quelle strutture politicizzate che difendono gli interessi di pochi a scapito della popolazione;
   da anni si chiede di mettere fine all'incomprensibile scelta di finanziare con soldi pubblici un'emittente che, nei fatti, opera in concorrenza con l'altra televisione generalista per scelte di programmazione, di audience e di vendita di contenuti;
   secondo l'interrogante occorre liberarsi del vecchio concetto che il servizio pubblico è della RAI. Il servizio pubblico è altra cosa, non è collegato al soggetto che lo fa, ma è l'oggetto stesso, quindi il contenuto –:
   per quale motivo il Ministero dello sviluppo economico, per i profili di propria competenza, non promuova la privatizzazione della RAI, nonostante il popolo italiano si sia espresso in tal senso ed una legge dello Stato abbia previsto come obbligatoria tale privatizzazione e se non ritenga che l'attuale trasformazione tecnologica debba necessariamente essere accompagnata anche da una trasformazione normativa, che renda il servizio radiotelevisivo italiano più efficiente e al passo con i tempi, anche intervenendo sull'assetto organizzativo e gestionale della concessionaria RAI, in primo luogo proprio mediante una privatizzazione della società. (5-03069)


   COPPOLA e TULLO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 5-bis del codice dell'amministrazione digitale (decreto legislativo n. 82 del 2005) prevede che la presentazione di istanze, dichiarazioni, dati e lo scambio di informazioni e documenti tra le imprese e le amministrazioni pubbliche avvenga esclusivamente utilizzando le tecnologie dell'informazione e della comunicazione e che con le medesime modalità le amministrazioni pubbliche adottino e comunichino atti e provvedimenti amministrativi nei confronti delle imprese;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 22 luglio 2011 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 16 novembre 2011, n. 267), nel dare attuazione alla disposizione, ne ha stabilito la decorrenza dal 1° luglio 2013;
   il citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri stabilisce inoltre (articolo 2) che le pubbliche amministrazioni centrali definiscano un programma di informatizzazione delle comunicazioni con le imprese fissando obiettivi intermedi quantitativamente omogenei con scadenze almeno semestrali e che a ogni scadenza sia pubblicato sui siti istituzionali di ciascuna amministrazione l'elenco dei procedimenti amministrativi relativamente ai quali le comunicazioni sono svolte esclusivamente in via telematica, con l'indicazione della data di decorrenza, comunque non superiore a sessanta giorni;
   la medesima disposizione prevede inoltre che i programmi di informatizzazione delle comunicazioni con le imprese, gli elenchi dei provvedimenti per le imprese informatizzati e quelli delle altre procedure comunque già informatizzate siano trasmessi a DigitPA (ora Agenzia per l'Italia digitale) per la verifica del rispetto dell'articolo 5-bis del codice dell'amministrazione digitale;
   in base all'articolo 5 del citato DPCM l'inosservanza dell'obbligo di pubblicazione delle procedure informatizzate e di quello di trasmissione all'Agenzia per l'Italia digitale costituisce responsabilità dirigenziale –:
   quale sia l'effettivo stato di attuazione, per quanto concerne il Ministero dello sviluppo economico delle previsioni dell'articolo 5-bis del codice dell'amministrazione digitale del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 22 luglio 2011. (5-03070)

Interrogazione a risposta scritta:


   MINARDO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da notizie riportate dalla stampa cresce la morosità di famiglie e di imprese per l'utilizzo di energia elettrica.Infatti, la relazione del Presidente dell'Autorità per l'energia ed il gas certifica la forte crisi delle famiglie e delle imprese italiane che da un lato riducono i consumi di luce e dall'altro sono impossibilitate a pagare le bollette;
   occorre, quindi, potenziare e semplificare uno strumento che da qualche anno aiuta gli utenti in difficoltà economica come il bonus sociale attivo sia per l'elettricità che per il gas di cui nel 2013 ha usufruito oltre un milione e mezzo di famiglie;
   è opportuno, altresì, migliorare lo strumento della conciliazione visto che i dati ne confermano la potenzialità: infatti durante il suo primo anno di operatività (da aprile 2013 ad aprile 2014) le richieste sono state più di mille con un aumento del 158 per cento negli ultimi sei mesi;
   per quanto riguarda il settore elettrico nel 2013 i consumi si sono ulteriormente ridotti del 3,4 per cento rispetto a quelli del 2012, scendendo sotto la soglia dei 300 terawatt ora con una con una grande contrazione;
   andrebbe migliorata anche l'informazione agli utenti perché gli stessi possano aderire ai bonus previsti dalla legislazione vigente –:
   quali iniziative intenda adottare per semplificare e potenziare il bonus sociale;
   se non sia necessario avviare campagne informative necessarie per fare conoscere il bonus sociale visto che solo il 35 per cento degli aventi diritto al bonus sociale ha usufruito dello stesso;
   se non sia necessario assumere iniziative, anche normative, per agevolare il ricorso alla rateizzazione da parte degli utenti in modo più agevolato rispetto alle condizioni attuali. (4-05252)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Dorina Bianchi e Sammarco n. 1-00511, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 giugno 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Tancredi.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Binetti n. 1-00209, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 99 del 17 ottobre 2013.

   La Camera,
   richiamando le premesse delle mozioni all'ordine del giorno numeri 1-209, 1-497, 1-498, 1-501, 1-502, concernenti iniziative in relazione al fenomeno dei minori stranieri non accompagnati,

impegna il Governo:

   a ricercare una soluzione che non sia di tipo emergenziale ma affronti in maniera organica – anche sul piano normativo – il problema dei minori stranieri non accompagnati, nel rispetto delle norme internazionali, quali la Convenzione Onu sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dall'Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, che vincola i Paesi sottoscrittori, tra l'altro, a riconoscere il diritto di non discriminazione (articolo 2), ad adottare ogni misura legislativa, amministrativa, sociale ed educativa per tutelare il fanciullo contro ogni forma di violenza, di oltraggio o di brutalità fisiche o mentali, di abbandono e di negligenza, di maltrattamenti o di sfruttamento, compresa la violenza sessuale (articolo 19), a riconoscere il diritto dei fanciulli ad ottenere il più alto standard possibile di cure mediche, protezione sociale ed istruzione (articoli 20, 28 e 29) e ad assicurare il diritto di protezione (articoli 19, 22, 30, 38); ad assumere iniziative per approvare al più presto una normativa organica sul tema dei minori stranieri non accompagnati, nonché a farsi promotore, nell'ambito del prossimo semestre di presidenza europea, di una politica di effettiva collaborazione e condivisione riguardo alle politiche europee di accoglienza dei migranti, con particolare riferimento all'assistenza dei minori non accompagnati;
   ad assumere iniziative per incrementare e rendere pluriennali le risorse assegnate al Fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati e, più in generale, per aumentare le risorse finanziarie a favore delle regioni e degli enti locali sulla base delle rispettive presenze, per il potenziamento e il miglioramento dei progetti di accoglienza a favore dei minori stranieri non accompagnati, anche per evitare che l'accoglienza e la gestione dei minori stranieri non accompagnati gravi sui bilanci dei comuni;
   a dare soluzione alle difficoltà connesse a procedure e prassi territorialmente eterogenee per quanto riguarda l'identificazione all'arrivo, le tempistiche, le condizioni di accoglienza, i casi di sovraffollamento, il profilo professionale degli operatori e la predisposizione di servizi di mediazione culturale, nonché l'attività informativa riguardo alla possibilità di presentare domanda di asilo, nonché a prevedere una disciplina organica del rilascio del permesso di soggiorno per i minori, che può essere concesso anche prima della nomina formale del tutore;
   a rendere omogenee nel territorio nazionale le procedure di accertamento dell'età, avendo cura che esse siano portate avanti da personale specializzato ed indipendente rispettando i principi di presunzione della minore età, di utilizzo di procedure non traumatiche e ricorrendo solo come extrema ratio a procedure mediche invasive;
   ad uniformare le procedure di identificazione e di accertamento dell'età, ad istituire un sistema nazionale di accoglienza ampliando il numero di posti previsti dal Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) e ad attivare un monitoraggio e una banca dati nazionale per disciplinare l'invio dei minori che giungono in Italia nelle strutture di accoglienza dislocate in tutte le regioni, sulla base delle disponibilità di posti e di eventuali necessità e bisogni specifici degli stessi minori, e ad assicurare il divieto di respingimento alla frontiera dei minori non accompagnati, prevedendolo esclusivamente nei casi in cui sia nel loro superiore interesse e sia finalizzato al riaffidamento ai familiari;
   a prevedere la partecipazione attiva e diretta dei minori stranieri non accompagnati a tutti i procedimenti che li riguardano, nel rispetto dei principi della Convenzione Onu sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza;
   a favorire la promozione della presa in carico e di un sostegno continuativo dei minori stranieri in condizioni di particolare vulnerabilità (vittime di tratta e di sfruttamento, richiedenti asilo e altri) e, nel garantire loro il diritto all'istruzione e il diritto alla salute, il sostegno organico all'integrazione sociale, scolastica e lavorativa dei minori stranieri non accompagnati, anche vicini al compimento della maggiore età, anche considerando il recepimento dell'accordo Stato-regioni che prevede l'iscrizione al Servizio sanitario nazionale anche per i minori privi di permesso di soggiorno, stabilendo procedure operative per l'attuazione di tale misura;
   ad incentivare il coinvolgimento attivo delle comunità nell'accoglienza e nell'integrazione dei minori stranieri non accompagnati, sviluppando l'affido familiare come alternativa alla comunità e la figura dei «tutori volontari» in rete con i garanti per l'infanzia e l'adolescenza e a favorire le attività per il ricongiungimento dei minori con i loro genitori allorquando giunti sul territorio italiano;
   ad assumere iniziative per introdurre l'istituto dell'affidamento familiare internazionale, finalizzato al compimento di uno specifico progetto di carattere familiare, umanitario, sanitario, di studio o di formazione professionale, a sostenere a livello europeo, in particolare con l'avvio del semestre di presidenza italiano dell'Unione europea, la predisposizione di un piano europeo di accoglienza e inserimento nei diversi Paesi di destinazione di migranti, richiedenti asilo e protezione, nonché di trasporto sicuro nella traversata del Mediterraneo e poi nel raggiungimento delle destinazioni finali spesso diverse dall'Italia, anche attraverso la revisione delle norme del regolamento (UE) n. 604/2013 (cosiddetto Dublino III), con particolare riguardo ai minori stranieri non accompagnati, che prevede la possibilità di trasferimento dei minori presso parenti (non solo genitori) residenti in altri Paesi, nonché a promuovere la cooperazione internazionale ed europea al fine di armonizzare i sistemi di protezione dei minori stranieri non accompagnati nei diversi Stati di origine, di transito e di destinazione;
    a prevedere, per quanto di competenza, misure stringenti di controllo e di accelerazione delle operazioni di prima identificazione dei minori stranieri non accompagnati, al fine di impedire che tali minori, resi «invisibili», finiscano nelle mani della criminalità organizzata o nella tratta di esseri umani.
(1-00209)
«Binetti, Zampa, Dall'Osso, Locatelli, Palese, Palazzotto, Adornato, Buttiglione, Capua, Caruso, Cera, Cesa, Antimo Cesaro, Cimmino, D'Agostino, Dambruoso, De Mita, Galgano, Gigli, Gitti, Locatelli, Marazziti, Matarrese, Mazziotti Di Celso, Molea, Fitzgerald Nissoli, Oliaro, Piepoli, Sberna, Sottanelli, Schirò, Tinagli, Vargiu, Vitelli, Centemero, Carfagna, Lupo, Sorial, Silvia Giordano, Mantero, Cecconi, Baroni, Di Vita, Grillo, Lorefice, Iori, Patriarca, La Marca, Scuvera, D'Incecco, Marco Di Maio, Gasparini, Antezza, Grassi, Albini, Miotto, Quartapelle Procopio, Piccione, Tidei, Capone, Amoddio, Paola Bragantini, Roberta Agostini, Chaouki, Carnevali, Beni, Zanin, Zappulla, Carra, Fabbri, Nicchi, Piazzoni, Migliore, Di Salvo, Pilozzi, Kronbichler, Fratoianni, Fava, Marcon, Pannarale, Ricciatti, Duranti, Piras, Costantino».

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione Fiano n. 5-02884, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 234 del 27 maggio 2014.

   FIANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 29 aprile 2014 a Milano si è svolta una manifestazione di diverse sigle del mondo neo fascista;
   tale manifestazione in forma di corteo si svolge da diversi anni per celebrare l'anniversario degli omicidi di Sergio Ramelli ed Enrico Pedenovi, i cui omicidi sono stati condannati a più riprese da tutte le forze democratiche;
   tale manifestazione si svolge anche nel ricordo di Carlo Borsani, membro della Repubblica sociale italiana, ucciso nei giorni della liberazione;
   in tale corteo nonostante le prescrizioni della prefettura di Milano, si sono ostentate bandiere con la croce celtica;
   la questura, in ragione della comunicazione della manifestazione citata, diffidava espressamente l'organizzatore della manifestazione dall'utilizzo di bandiere, emblemi e simboli in palese violazione della legge n. 205 del 1993, nonché dal porre in essere manifestazioni esteriori in contrasto con i dettami della legge n. 645 del 1952 o che comunque potessero, per la loro simbologia, cagionare problemi all'ordine o alla sicurezza pubblica precisando altresì che, qualora tali prescrizioni non fossero state rispettate, oltre alle sanzioni previste dalle normative citate si sarebbe proceduto nei confronti del promotore dell'iniziativa anche i sensi dell'articolo 650 del codice penale;
   in filmati presentati nel consiglio comunale di Milano e pubblicati sulla rete internet si riconosce Roberta Capotosti, vicecapogruppo di Fratelli d'Italia nel consiglio provinciale di Milano, nell'atto del saluto romano ripetuto più volte insieme ad altre centinaia di militanti dell'estrema destra milanese;
   a tale manifestazione hanno partecipato anche, come verificato dai filmati, l'ex assessore regionale Romano La Russa, Massimo Turci consigliere provinciale e Carlo Fidanza deputato europeo –:
   se, a fronte di quanto affermato in premessa, risulti siano state assunte iniziative coerenti con quanto indicato nella diffida della questura di Milano;   se intenda mantenere un costante monitoraggio sulle attività e le manifestazioni – e in tale sede se siano monitorati i comportamenti di singoli anche rappresentanti istituzionali – che si ispirino a valori non conciliabili con quelli propri della Costituzione repubblicana, adottando ogni iniziativa di competenza al riguardo.
(5-02884)

Ritiro di documenti di indirizzo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   mozione Palese n. 1-00497 del 16 giugno 2014;
   mozione Dall'osso n. 1-00498 del 16 giugno 2014;
   mozione Zampa n. 1-00501 del 16 giugno 2014;
   mozione Palazzotto n. 1-00502 del 17 giugno 2014.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta orale Fauttilli n. 3-00639 del 12 febbraio 2014;
   interrogazione a risposta scritta Di vita n. 4-04244 del 27 marzo 2014;
   interrogazione a risposta orale Molea n. 3-00743 del 3 aprile 2014;
   interrogazione a risposta in commissione Cenni n. 5-02879 del 26 maggio 2014;
   interpellanza Gigli n. 2-00567 del 5 giugno 2014.

Ritiro di una firma da una mozione.

  Mozione Palazzotto e altri n. 1-00344, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 febbraio 2014: sono state ritirate le firme dei deputati: Zanin, Beni.