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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 9 giugno 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    l'Italia è stata fino alla fine degli anni Ottanta il secondo maggiore produttore europeo di amianto, in particolare di amianto crisotilo dopo l'ex Unione Sovietica e il maggiore della Comunità europea, nonché uno dei maggiori utilizzatori;
    la storica condanna, nel giugno 2013, a 18 anni di reclusione per disastro doloso di uno dei due manager imputati a Torino nel processo Eternit, ha aperto nuovamente i riflettori sulla drammatica questione delle vittime dell'amianto;
    nonostante il divieto di estrazione, produzione e impiego, imposti dalla legge 27 marzo 1992, n. 257, infatti, il pericolo di contrarre patologie derivanti dall'esposizione o lavorazione di materiali contenenti amianto in Italia è ancora a livelli altissimi;
    il rischio non si estingue con la cessazione delle lavorazioni, in quanto resta da gestire la presenza di grandi e diffuse quantità di materiali contenenti amianto in matrice friabile, negli edifici civili e industriali, negli impianti e nei mezzi di trasporto (in particolare in quelli navali) e di altrettanto rilevanti presenze di materiali contenenti amianto in matrice compatta il cui progressivo deterioramento, anche semplicemente dovuto alla vetustà del materiale, può essere causa di rilascio di fibre e di conseguente rischio;
    le fibre di asbesto, se inalate, provocano gravi patologie dell'apparato respiratorio (l'asbestosi, il tumore maligno del polmone e della laringe e il mesotelioma pleurico) e neoplasie a carico di altri organi, il mesotelioma peritoneale, pericardico e della tunica vaginale del testicolo, e il tumore maligno dell'ovaio. Causano, inoltre, placche pleuriche e inspessimenti pleurici diffusi. Alcuni studi suggeriscono che siano causa di tumori maligni in ulteriori sedi, quale l'apparato digerente;
    oltre ai lavoratori che hanno prestato la loro attività nelle industrie produttrici di amianto sono potenzialmente esposti a tale rischio sia i lavoratori che inconsapevolmente hanno prestato e prestano la loro attività in luoghi o in situazioni dove persiste la presenza di amianto che i familiari dei lavoratori che potevano respirare le fibre portate a casa, ad esempio con gli abiti da lavoro, e i cittadini che vivevano o vivono tuttora in aree dove è possibile inalare fibre aerodisperse, nonché, qualora vengano disattese le norme di prevenzione, anche i lavoratori impiegati nelle attività di manutenzione, bonifica e gestione dei rifiuti che contengono amianto;
    secondo le stime dell'Organizzazione mondiale della sanità, il numero di casi di malattie legate all'amianto nella sola Unione europea è compreso tra i 20.000 e 30.000 all'anno; in Italia, secondo quanto pubblicato dal Ministero della salute, il mesotelioma ha un'incidenza di 3,6 casi ogni 100 mila abitanti per gli uomini e di 1,6 casi ogni 100 mila per le donne e si registrano, ogni anno, oltre 4.000 vittime per malattie asbesto-correlate. Il problema è la latenza della malattia: oltre 40 anni, o addirittura 50 anni, potrebbero passare prima che i sintomi si manifestino nel malato. Per questo motivo il Ministero della salute attende un picco di ammalati tra il 2015 ed il 2020 e stima le persone a rischio in circa 680 mila;
    nel corso della II Conferenza governativa sulle patologie asbesto-correlate di Venezia, organizzata ai sensi della citata legge n. 257 del 1992 (22-24 novembre 2012), si sono confrontate tutte le componenti interessate, insieme a giuristi, scienziati ed esperti epidemiologi e clinici, dell'Università e del Sistema sanitario nazionale, per poter giungere a una proposta di piano operativo comprensivo delle linee di azione per le diverse problematiche identificate. Al termine della Conferenza è stato elaborato un Piano nazionale amianto, contenente la descrizione degli obiettivi e delle principali linee di attività che guideranno l'azione di tutti i soggetti coinvolti nella gestione della materia e che avrebbero dovuto consentire di ottenere rilevanti risultati in un arco temporale variabile tra i tre e i cinque anni successivi alla sua adozione;
    oltre a quelli sanitari, il problema dell'amianto coinvolge aspetti ambientali, economici e previdenziali;
    la legge 23 marzo 2001, n. 93, recante «Disposizioni in campo ambientale», ha disciplinato il finanziamento per la mappatura delle situazioni con presenza di amianto, all'esito della quale sono stati censiti oltre 34.000 siti contaminati da amianto, che potrebbero salire a 500 mila siti al termine della mappatura di tutte le regioni, e circa 80 siti con presenza di amianto di origine naturale;
    a distanza di venti anni dall'entrata in vigore della legge n. 257 del 1992, emerge che, sul territorio nazionale, sono ancora presenti complessivamente diversi milioni di tonnellate di materiali e beni contenenti amianto, di cui molte tonnellate di amianto friabile localizzate in siti a destinazione industriale e residenziale pubblici e privati;
    desta particolare allarme la presenza, in un numero elevato ma imprecisato di plessi scolastici, di materiali, anche datati, contenenti amianto;
    si rileva positivamente l'inclusione dei siti interessati da attività produttive ed estrattive di amianto tra i siti di interesse nazionale, operata dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, recante «Misure urgenti per la crescita del Paese»;
    tuttavia, secondo la mappatura degli impianti di smaltimento che accettano rifiuti contenenti amianto presentata dall'Inail-Dipia, è emerso che, a fronte degli elevati quantitativi di rifiuti contenenti amianto ancora da smaltire, sul territorio nazionale vi sia un'insufficienza di discariche per tale tipologia di rifiuti. Tale carenza è stata, altresì, confermata nel Piano nazionale amianto;
    sulla base dei dati pervenuti tramite le amministrazioni pubbliche, regionali e locali competenti in materia ed i soggetti proprietari/gestori delle discariche, al giugno 2013 sono stati identificati, su tutto il territorio nazionale, settantatré impianti, dei quali solo diciannove in funzione, ma totalmente assenti nelle regioni Calabria, Campania, Lazio, Molise, nella provincia autonoma di Trento, nelle regioni Sicilia, Umbria, Valle D'Aosta, Veneto e Lombardia;
    la ricerca condotta dall'Inail ha evidenziato che, sebbene le norme vigenti consentano la realizzazione di impianti di inertizzazione/recupero di tale tipologia di rifiuti, non vi è ancora nessun impianto attivo su scala nazionale per questo tipo di smaltimento;
    la legge 27 marzo 1992, n. 257, ha previsto disposizioni a sostegno dei lavoratori del settore, ma la normativa necessita di una revisione alla luce del corposo contenzioso esistente sia rispetto alle procedure per la valutazione dell'esposizione in luoghi di lavoro non più esistenti o non più riproducibili, sia in materia di risarcimento nei confronti sia delle vittime dirette dell'amianto che di quelle non correlate ad esposizione lavorativa all'amianto;
    la legge finanziaria per il 2008 ha istituito un fondo per i lavoratori e, in caso di premorte, in favore degli eredi, destinatari di rendita Inail per aver contratto patologie professionali asbesto-correlate per l'esposizione all'amianto. Tale fondo è finanziato per tre quarti dallo Stato e per un quarto dalle aziende attraverso un'addizionale sui premi;
    si rimarca il fatto che il presupposto per aver diritto al beneficio garantito dal fondo è il godimento di una rendita Inail, con esclusione di ogni altra ipotesi. Rimangono, dunque, esclusi dal beneficio soggetti non assicurati, coloro ai quali l`Inail non ha riconosciuto la patologia come malattia professionale, coloro ai quali l'Inail ha erogato una prestazione diversa dalla rendita (prestazione in capitale) e, ancora, i soggetti ai quali l'Inail non ha indennizzato la prestazione, perché con grado di inabilità inferiore al 16 per cento,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative volte a:
    a) dare concreta attuazione al Piano nazionale amianto;
    b) adeguare la normativa applicativa del Fondo per le vittime dell'amianto, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo attualmente discriminatoria, poiché non prevede alcun risarcimento per le vittime che non rientrano nella casistica vigente, nonché prevedere risorse aggiuntive a quelle attualmente stanziate con la legge di stabilità;
    c) monitorare il rispetto dei divieti di commercializzazione e riutilizzo di prodotti contenenti amianto;
    d) promuovere la ricerca su nuove tecniche per lo smaltimento dell'amianto, che assicurino un miglior rapporto costi-efficacia rispetto agli attuali metodi;
    e) sostenere campagne di informazione sul rischio dell'amianto, soprattutto nei luoghi di lavoro, e sulle possibili conseguenze della presenza di amianto dal punto di vista ambientale e sanitario;
    f) completare la mappatura dell'amianto sul territorio nazionale, adoperandosi presso le regioni inadempienti, e attivare idonei interventi di messa in sicurezza e bonifica, a partire dagli edifici scolastici, al fine di garantire la prevenzione nei confronti della popolazione più giovane;
    g) prevedere a tal fine risorse certe e adeguate, anche attraverso misure fiscali agevolative ed incentivanti lo smantellamento e la bonifica dei materiali di amianto;
    h) considerare l'opportunità di escludere i fondi destinati alla bonifica dell'amianto dal calcolo utile ai fini del rispetto del patto di stabilità;
    i) favorire la realizzazione di nuovi siti per il conferimento e lo smaltimento su tutto il territorio e, soprattutto, nelle regioni in cui sono completamente assenti, anche mediante l'impiego di cave e miniere dismesse;
    l) procedere ad un'armonizzazione e semplificazione delle disposizioni in materia attraverso l'elaborazione di un testo unico in materia.
(1-00485) «De Mita, Dellai, Cera, Binetti, Gigli, Santerini, Sberna».


   La Camera,
   premesso che:
    è ormai noto che l'amianto è una delle sostanze più devastanti nella storia moderna del mondo del lavoro, non solo per l'Italia e per l'Europa, ma anche per gli altri Paesi del mondo, visto l'utilizzo massiccio che ne è stato fatto;
    grazie alle sue caratteristiche organolettiche, infatti, quali l'assenza di infiammabilità, l'elevata resistenza al calore e la flessibilità, ne è stato fatto un largo uso sia nel settore industriale che in quello dell'edilizia;
    la sua natura fibrosa è alla base delle proprietà tecnologiche, ma, allo stesso tempo, è anche la causa principale della sua nocività, provocando nell'essere umano gravi patologie a carico prevalentemente dell'apparato respiratorio;
    la pericolosità, in particolare, deriva dalla capacità dei materiali di amianto di rilasciare fibre potenzialmente inalabili, nonché dell'estrema suddivisione a cui tali fibre possono giungere. Tale composizione, all'origine delle molteplici applicazioni di questo minerale, è, quindi, anche il suo punto critico per la salute umana perché è in grado di scomporsi in fibre di diametro infinitesimale e facilmente respirabile;
    già nel 1962 la Commissione europea aveva rivolto ai suoi sei Stati membri (Italia, Germania, Francia, Belgio, Lussemburgo e Paesi bassi) una raccomandazione accompagnata dall'elenco delle malattie professionali e di tutti i rischi derivanti dall'esposizione all'amianto, ma solo nel 2005 è entrata in vigore la disposizione che ne vietava totalmente l'uso in Europa;
    l'Italia è stata uno dei maggiori produttori ed utilizzatori di amianto fino alla fine degli anni Ottanta, seconda solo all'Unione Sovietica. Ma è stata anche una delle prime nazioni a dotarsi di una normativa di contrasto. Le prime disposizioni che regolamentano l'uso dell'amianto risalgono al 1986, con l'ordinanza del Ministero della sanità del 26 giugno 1986 che, in recepimento della direttiva europea 83/478/CEE, limitava l'immissione nel mercato; ma è nel 1992, con la legge n. 257, che l'Italia mette al bando tutti i prodotti contenenti amianto, vietando l'estrazione, l'importazione, la commercializzazione e la produzione di amianto e di prodotti contenenti amianto, secondo un programma di dismissione il cui termine ultimo fu fissato al 28 aprile 1994;
    la legge n. 257 del 1992, in particolare, ha regolamentato il processo di dismissione, definendo i criteri per il finanziamento delle imprese interessate alla riconversione produttiva e per i benefici previdenziali a favore dei lavoratori occupati nella produzione dell'amianto. Successivamente, la legge n. 271 del 1993 ha esteso tali benefici a tutti i lavoratori professionalmente esposti ad amianto;
    la norma citata non si limita a prescrivere la cessazione dell'impiego dell'amianto, ma cerca di prendere in esame la complessa tematica dell'amianto nella sua interezza, mettendo in evidenza alcuni problemi considerati particolarmente rilevanti ai fini della tutela della salute pubblica, connessi alla presenza nell'ambiente di prodotti di amianto liberamente commercializzati ed installati in precedenza;
    sono previste, a tal fine, disposizioni specifiche per il controllo delle imprese impegnate nelle attività di lavorazione, manutenzione, bonifica e smaltimento dell'amianto che annualmente devono inviare una relazione tecnica alle regioni e alle asl, secondo il modello stabilito da una circolare del ministero dell'industria del 1993, nonché l'emanazione di disciplinari tecnici per gli interventi di bonifica. Viene introdotto l'obbligo per coloro che operano nel settore dello smaltimento e della rimozione dell'amianto di iscriversi a una speciale sezione dell'albo delle imprese esercenti servizi di smaltimento dei rifiuti;
    proprio in Italia, inoltre, è stata pronunciata quella che si potrebbe definire, agli occhi non solo del nostro Paese ma di tutto il mondo, una sentenza storica, emessa dal tribunale di Torino, prima sezione penale, che, il 13 febbraio 2012, ha condannato la multinazionale svizzera Eternit ed i suoi vertici per disastro ambientale, pronuncia recentemente confermata dalla corte d'appello che, concludendosi con una condanna più pesante di quella inflitta in primo grado, non lascia dubbi sulla pericolosità della fibra killer;
    nonostante la bontà della norma e l'impegno della giurisprudenza, nonostante il fatto che l'uso dell'amianto sia stato completamente bandito nel 1992, il nostro Paese sopporta ancora oggi le conseguenze dei livelli di esposizione soprattutto, a causa dei ritardi sui programmi per la dismissione dell'attività estrattiva dell'amianto e sulle relative attività di bonifica, peraltro molto esose, che comportano una casistica ancora allarmante sul numero di casi di esposizione al letale materiale;
    anche dopo la cessazione delle lavorazioni, resta, infatti, da gestire la presenza di grandi e diffuse quantità di materiali contenenti amianto in matrice friabile, negli edifici civili e industriali, negli impianti e nei mezzi di trasporto (in particolare, in quelli navali), e altrettanto rilevanti presenze di materiali contenenti amianto in matrice compatta, il cui progressivo deterioramento, anche semplicemente dovuto alla vetustà del materiale, può essere causa di rilascio di fibre e di conseguente rischio;
    oltre alla gestione di questa calamità sotto l'aspetto ambientale, è altrettanto necessario valutarne e gestirne la casistica e gli effetti sotto gli aspetti della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro. Le prime e principali vittime dell'amianto sono state, e continuano ad esserlo, le maestranze esposte a causa della manipolazione delle fibre nell'attività estrattiva, nell'uso dell'amianto grezzo, nella produzione di prodotti e materiali in amianto e nella manutenzione degli impianti e delle strutture edili;
    con la legge finanziaria per il 2008, è stato istituito un Fondo per le vittime dell'amianto presso l'Inail, divenuto operativo nel gennaio 2011. Il Fondo per le vittime dell'amianto eroga una prestazione economica per il sostegno dei lavoratori affetti da una patologia asbesto-correlata o dei loro superstiti ed è finanziato per un quarto dalle imprese e per tre quarti dal bilancio dello Stato, per complessivi 40 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009 e 29,3 milioni di euro a decorrere dal 2010;
    per gli anni a regime decorrenti dal 2011, il regolamento del Fondo per le vittime dell'amianto non fissa la misura della prestazione aggiuntiva, ma ne definisce le modalità di calcolo e di erogazione, mediante due acconti e un conguaglio: la misura del primo acconto è fissata in una percentuale pari al 10 per cento della rendita percepita e il relativo importo è erogato mensilmente contestualmente al rateo della rendita stessa, secondo le ordinarie modalità di pagamento dell'Inail, previo trasferimento delle risorse finanziarie provenienti dal bilancio dello Stato. Il secondo acconto è corrisposto in un'unica soluzione entro il 30 giugno dell'anno successivo a quello di riferimento. La misura percentuale del secondo acconto è calcolata sulla base del rapporto tra le risorse provenienti dal bilancio dello Stato e le spese sostenute per le rendite erogate nell'anno di riferimento ai beneficiari del Fondo per le vittime dell'amianto, tenuto conto del primo acconto corrisposto;
    le assegnazioni, regolarmente erogate per il 2012, appaiono di maggiore difficoltà a partire dal 2013, posto che non sono stati previsti ancora i trasferimenti dal bilancio statale e risultano in giacenza circa 30 milioni di euro, non sufficienti per assicurare la copertura a tutta la platea dei beneficiari;
    inoltre, è ben noto che l'amianto ha rappresentato un rischio, oltre che per i lavoratori, anche per i loro familiari, che potevano respirare le fibre portate a casa, ad esempio con gli abiti da lavoro. Infine, è riconosciuto un rischio di mesotelioma anche a seguito di esposizione ad amianto di natura ambientale sia antropica (per la residenza nei pressi di industrie o di siti con importanti inquinamenti ambientali e per il riutilizzo del materiale di scarto), sia in particolari aree dove sono presenti affioramenti naturali di minerali fibrosi. In queste ultime condizioni è stato rilevato anche un incremento delle patologie pleuriche benigne;
    non è un caso, infatti, che nella casistica del Registro nazionale dei mesoteliomi (Renam) circa l'8-10 per cento dei casi per i quali sono state ricostruite le cause pregresse di esposizione è risultato essere per motivi ambientali (la residenza) o per motivi familiari (la convivenza con familiari professionalmente esposti);
    le erogazioni previste dal Fondo per le vittime dell'amianto non sono estese anche a tutti quei cittadini che non hanno copertura assicurativa professionale obbligatoria dei lavoratori ma che, per motivi ambientali, si sono trovati ad alto rischio espositivo;
    il rischio non si è attenuato, ed è ancora ad alti livelli d'allarme, se si considerano, inoltre, i manufatti contenenti amianto, di cui non fosse nota la presenza, provenienti da Paesi dove esso non è stato ancora bandito;
    lo stato dell'arte sulle conoscenze scientifiche sui rischi da amianto e sulle possibilità di diagnosi e terapia, nonché sui meccanismi di tutela assicurativa e prevenzionistica in Italia, è stato esaminato nella II Conferenza governativa sulle patologie asbesto-correlate, organizzata ai sensi della citata legge n. 257 del 1992 (Venezia, 22-24 novembre 2012), dove si sono confrontate tutte le componenti interessate, insieme a giuristi, scienziati ed esperti epidemiologi e clinici, dell'Università e del Servizio sanitario nazionale, per poter giungere a una proposta di piano operativo comprensivo delle linee di azione per le diverse problematiche identificate;
    procura fondato allarme sociale, inoltre, lo studio recentemente pubblicato dal Censis sullo stato di salute delle scuole dei figli, secondo il quale In Italia ci sono 2.000 scuole «che espongono i loro 342.000 alunni e studenti al rischio amianto». Degli oltre 41.000 edifici scolastici statali, il Censis stima in 24.000 gli impianti (elettrici, idraulici e termici) che non funzionano, sono insufficienti o non sono a norma. Sono 9.000 le strutture con gli intonaci a pezzi. In 7.200 edifici occorrerebbe rifare tetti e coperture: interventi sulle strutture portanti;
    la recente assegnazione del 95,7 per cento dei 150 milioni di euro stanziati con il cosiddetto decreto del fare del Governo Letta, per l'avvio immediato di 603 progetti di edilizia scolastica, rappresenta poca cosa rispetto alla necessità di mettere in sicurezza tutta la platea degli edifici scolastici, tanto è che, sulla base delle risorse stanziate e dei ritardi di spesa accumulati, alla fine del 2013, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti stimava in 110 anni il tempo necessario per mettere in sicurezza tutti gli edifici scolastici italiani;
    nel corso della citata conferenza del 2012, è stato definito il primo Piano nazionale amianto, ma, a distanza di anni, è ancora in attesa del vaglio della Conferenza Stato-regioni. Di fatto, ciò comporta un notevole ritardo nelle procedure di censimento, bonifica e smaltimento dei materiali contaminati;
    è dovere del Governo attivarsi a tutti i livelli per monitorare le questioni ancora insolute, a tutela dei lavoratori lesi, delle famiglie delle vittime e di tutti i soggetti danneggiati dal mancato rispetto delle norme sulla sicurezza dei lavoratori e dei luoghi di lavoro,

impegna il Governo:

   ad attivarsi, raccordandosi con le regioni, per una rapida conclusione del programma dettagliato di censimento, bonifica e smaltimento dei materiali contaminati, adoperandosi altresì presso le regioni per una celere adozione dei piani regionali volti al censimento delle imprese che hanno utilizzato l'amianto nelle attività produttive e delle imprese operanti nel settore delle attività di smaltimento e bonifica, nonché volti al censimento degli edifici con presenza di amianto friabile, con priorità per gli edifici pubblici, i locali aperti al pubblico o di utilizzazione collettiva;
   ad assumere ogni iniziativa normativa volta ad incrementare il Fondo per le vittime dell'amianto, estendendone i benefici e la copertura pensionistica anche ai cittadini colpiti da patologie asbesto-correlate non direttamente impiegati nella manifattura del materiale;
   ad assumere iniziative volte ad escludere dal saldo finanziario, rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno, le spese relative alla messa in sicurezza e bonifica dell'amianto;
   a promuovere il potenziamento della ricerca e della sorveglianza epidemiologica a livello nazionale ed internazionale, adoperandosi anche nelle sedi decisionali dell'Unione europea affinché, già a partire dal semestre di Presidenza italiana, nell'ambito dell'attuazione della direttiva 2011/24/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2011, concernente l'applicazione dei diritti relativi all'assistenza transfrontaliera, secondo quanto stabilito dall'articolo 12, paragrafo 2, lettera e), venga creata una rete di ricerca e prevenzione degli Stati membri.
(1-00486) «Palese, Polverini, Calabria, Mottola, Fucci».


   La Camera,
   premesso che:
    la previsione di una legge annuale «per la semplificazione e il riassetto normativo» risale al 1997; aveva l'obiettivo di procedere, in via strutturale e sistematica, alla semplificazione dei procedimenti amministrativi e della normativa; la cadenza annuale è diventata subito biennale, per poi, piano piano, eclissarsi del tutto;
    la semplificazione, come concetto e come principio, risale, nel nostro Paese, alla fine degli anni ’90; l'Italia fu tra i primi Paesi dell'area europea ad adottare tali disposizioni ed è, oggi, da rilevare che era impossibile, all'epoca, prevedere che semplificare sarebbe stato così complicato: preme, infatti, ai firmatari del presente atto di indirizzo segnalare l'impellenza della ripresa delle politiche di semplificazione, in tutti i suoi molteplici aspetti, al fine di contrastare le ricadute negative sulla pubblica amministrazione, sui cittadini e sulle imprese, nonché sul sistema Paese;
    si è appena svolta un'indagine conoscitiva in tal senso promossa dalla Commissione parlamentare per la semplificazione, segno evidente che tali problematiche, benché discusse da molto tempo, risultano, ancora, difficili da aggredire e risolvere;
    la semplificazione – nei suoi molteplici aspetti – non solo è un fattore economico ed è risparmio di tempo, di costi e di energie, ma è anche uno degli elementi dello stato di salute «interno» di un Paese, attentamente valutato da organismi ed analisti internazionali, i quali solitamente piazzano l'Italia in fondo alla graduatoria a causa dell'appesantimento burocratico del sistema italiano, che reca, quale diretta conseguenza, un difficilissimo rapporto dei cittadini e degli operatori economici, che quotidianamente ci convivono, con la pubblica amministrazione, e che rende il nostro Paese scarsamente appetibile per gli investitori stranieri;
    anche la corruzione è un elemento valutato a livello internazionale – quale «disfattore» economico – e qui il nostro Paese si distingue, al contrario, per l'altissima incidenza di questa voce tabellare, che vede emergere l'Italia per fenomeni di malaffare e corruttele: il link, del resto, è indissolubile e statisticamente supportato, quanto in un Paese corrotto la produzione normativa e regolamentare è altissima;
    dalle notizie della stampa del 19 maggio 2014 si apprende, ad esempio, che il 97 per cento degli italiani ritiene il sistema pubblico inefficiente perché corrotto e che è pari al 40 per cento l'aumento dei costi di un appalto medio a causa del versamento di fondi, oltre che ai politici, a tecnici e burocrati;
    c’è un rapporto direttamente proporzionale, statisticamente dimostrato, tra il numero delle leggi con la macchina burocratica che le accompagna e la corruzione: più si gonfiano le norme e gli organici di chi le interpreta e le applica, e più si espande il fenomeno delle tangenti; assicurare trasparenza e certezza ai diritti dei cittadini e delle imprese rappresenta un tassello indispensabile del contrasto alla corruzione: le leggi dovrebbero essere efficaci, poche, semplici e chiare e non dovrebbero essere modificate o rimesse in discussione ad ogni colpo di vento;
    la chiarezza delle regole, la comprensione netta delle norme e delle loro finalità, la semplicità degli adempimenti e delle procedure amministrative rappresentano presidi di garanzia del rispetto della legalità, consentendo a chi vuole rispettare la legge di non incorrere in errore contro la propria volontà e, al contempo, eliminando alibi a chi, invece, ha come fine quello di aggirare o contravvenire alle norme, sfruttandone la farraginosità;
    è la Corte dei conti ad aver sottolineato, in una recente audizione, che l'eccesso di burocratizzazione consente l'insorgere di fenomeni corruttivi – collegati all'esigenza di poter contare sulla possibilità di accelerare, rallentare o evitare passaggi procedurali – i quali, se pur possono considerarsi fenomeni di una corruzione in un certo senso «minore», praticata a basso livello, hanno avuto e continuano ad avere effetti devastanti in termini di immagine della pubblica amministrazione e di fiducia da parte del cittadino e che l'insieme contrasta fortemente con il principio costituzionale del buon andamento, a fronte del fatto che l'azione amministrativa deve orientarsi e produrre risultati utili per la collettività;
    preme segnalare, a questo proposito, un costume ed una prassi esecrabili quanto costanti: ogni qual volta il Governo, ma anche il Parlamento, prendono una decisione, si creano, più o meno regolarmente, nuove strutture e nuove competenze; l'innovazione legislativa diventa strumento principale per garantire la proliferazione o la sopravvivenza di mille burocrazie: a testimonianza di ciò, basta scorrere velocemente i contenuti dei provvedimenti, anche recenti e recentissimi;
    costituisce un dato oggettivo che, con il passaggio da un sistema politico consociativo ad un sistema politico maggioritario, il Governo ha acquisito un potere e, soprattutto, una rilevanza politica maggiore rispetto agli anni precedenti; dal 1994 in poi la preminenza politica dell'Esecutivo nei confronti delle assemblee parlamentari si è tradotta anche in una preminenza del primo sulle seconde per quanto attiene la produzione legislativa; come si evince dalle analisi dell'Osservatorio sulla legislazione della Camera dei deputati e, in particolare, i rapporti sullo stato della legislazione, la preminenza dell'Esecutivo nei confronti del Parlamento si è realizzata innanzitutto per il tramite della decretazione d'urgenza, ma anche, complessivamente, attraverso le leggi ordinarie di iniziativa governativa, le leggi di ratifica di trattati internazionali, le leggi a ciclo annuale, quali la legge finanziaria e i relativi collegati prima, e da ultimo la legge di stabilità; altro elemento di rilievo che influisce sulla produzione normativa è costituito dalle leggi che hanno come finalità quella di adeguare l'ordinamento nazionale all'ordinamento europeo;
    dall'inizio della XVII legislatura fino al 15 gennaio 2014, su un totale di 31 leggi approvate, 27, pari all'87,10 per cento, sono di iniziativa governativa e 3 di iniziativa parlamentare; nella XVI legislatura la produzione legislazione è risultata per il 76,04 per cento di iniziativa governativa e per il 20,83 per cento di iniziativa parlamentare; nella XV legislatura la produzione legislativa è stata per l'88,39 per cento di iniziativa governativa e per l'11,61 per cento di iniziativa parlamentare;
    dal punto di vista qualitativo la produzione legislativa delle ultime legislature, che, come dimostrano i dati numerici, è da ascriversi in larga parte all'iniziativa governativa, si caratterizza in senso negativo a causa di un gran numero di provvedimenti dal contenuto estremamente eterogeneo e di difficile lettura per il gran numero di commi da cui sono composti, ciascuno dei quali spesso afferente a discipline e settori i più disparati;
    a questa caratteristica di per sé estremamente negativa ai fini della chiarezza e della semplificazione normativa, se ne è aggiunta un'ulteriore, fortemente legata alla situazione di grave crisi economica determinatasi, in particolare, dall'estate del 2011: da quel momento la produzione legislativa si è ancora di più caratterizzata per una lunga serie di provvedimenti d'urgenza, che, oltre ad acuire l'eterogeneità dei contenuti e la ponderosità, hanno prodotto una legislazione che mutava incessantemente a suon di correzioni, aggiustamenti, modifiche parziali e totali, abrogazioni accavallate, realizzate sovente in un ristretto lasso di tempo;
    negli anni recenti sono stati operati 3 interventi per ridurre il numero di leggi che componevano l'ordinamento italiano, attraverso il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, il decreto-legge 22 dicembre 2008, n. 200, e il decreto legge 14 dicembre 2009, n. 179. Considerato che dall'ultimo di questi interventi sono ormai trascorsi 5 anni, periodo nel quale, come precedentemente descritto, è stata prodotta una legislazione con diversi profili di criticità sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo, la riduzione dello stock normativo è, tuttavia, solo il primo passo verso una semplificazione effettiva del sistema amministrativo italiano. Occorre, infatti, portare avanti l'opera di riassetto della normativa vigente, tramite la predisposizione di codici e testi unici, al fine di restituire la certezza del diritto e ridurre gli oneri burocratici gravanti sui cittadini e sulle imprese;
    all'ipertrofia legislativa conseguono ampie aree, per non dire voragini, di inattuazione – per fare un esempio, ammontano, ad oggi, ad oltre 700 gli atti amministrativi da adottare in conseguenza dei provvedimenti adottati dai due Governi precedenti all'attuale: in sostanza, ci sono leggi in vigore monche, prive di efficacia – ciò è da ascriversi anche ad un altro costume invalso nei recenti Governi, quello delle cosiddette «leggi annuncio» o «manifesto», in una sorta di permanente clima pre-elettorale, che poi rimangono prive di effetti tangibili;
    è ancora la Corte dei conti a segnalare un'altra peculiare problematica italiana, inerente alle norme che spesso non sono sufficientemente chiare nelle finalità perseguite, con la conseguenza di contrastanti linee applicative da parte dei soggetti istituzionali cui spetta l'attuazione: in ordine al contenuto dei provvedimenti normativi, infatti, la tecnica legislativa troppo frequentemente rinvia la sua applicabilità a provvedimenti successivi l'adozione dei quali poggia su una pluralità di sedi e livelli istituzionali, con una tempistica spesso oggetto di rinvii e proroghe anche a causa dell'insorgere di interessi contrapposti;
    in sostanza, si è di fronte a competenze ripartite fra amministrazioni diverse, spesso collocate a livelli diversi di governo, fra i quali mancano, il più delle volte, efficaci strumenti di raccordo: il processo diventa codecisionale, passa per un intreccio di pareri, concerti, intese e preliminari che producono ritardi ed inefficienze e spesso rendono impossibile assumere una decisione definitiva;
    è necessaria una ridefinizione degli assetti organizzativi, nonché lo sfoltimento del complesso di enti, agenzie, fondazioni, società facenti capo alle pubbliche amministrazioni centrali e territoriali, enti ed organismi pubblici che a vario titolo e in modo vano creano affollamento di competenze, sovrapposizione di interessi, incertezza nella decisione finale, rallentamento delle procedure; l'indeterminatezza delle competenze specifiche acuisce la criticità di tale modello organizzativo, che va rivisitato, anche alla luce delle esigenze di contenimento ed ottimizzazione della spesa pubblica;
    in ordine alla richiesta di abolire o fondere gli strati amministrativi intermedi, nel nostro Paese c’è solo l'imbarazzo della scelta, a fronte della loro proliferazione: anche una semplice – ma seria – eliminazione delle duplicazioni di organismi, uffici e servizi avrebbe un impatto economico enorme;
    un punto oltremodo dolente è che nessuno sa con precisione quali e quanti siano gli enti pubblici non economici esistenti ed il fallimento del proposito di procedere, per alcuni, in particolare quelli denominati ufficialmente «inutili», è dovuto in parte anche alla mancanza di una specifica fase preliminare di ricognizione e censimento degli enti pubblici non economici esistenti;
    nell'affrontare il tema della semplificazione normativa a tutti i livelli e in tutte le sue declinazioni, non si può tralasciare un tema estremamente specifico, ma di grande rilievo per l'influenza che ha prodotto sull'ordinamento generale, quale è quello delle ordinanze di protezione civile di cui all'articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, strumento del quale per molti anni si è fatto un uso estremamente frequente ed in molti casi eccessivo e per finalità oggettivamente diverse da quelle per le quali era stato istituito;
    limitando l'analisi a partire dall'anno 2001, 200 sono state le ordinanze di protezione civile emanate nel triennio 2001-2003, 223 nel triennio 2004-2007, 279 nel triennio 2007-2009 e 217 nel triennio 2010-2012; tale ampio ricorso alle ordinanze di protezione civile è stato favorito dalla possibilità, prevista dall'articolo 5, comma 5, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, di derogare alle norme vigenti, oltre che dalla gestione impropria che per diversi anni è stata operata in merito all'organizzazione dei così detti «Grandi eventi», dei quali l'Expo 2015 è l'ultimo ad essere rimasto in essere;
    poiché alle ordinanze di protezione civile si è fatto ricorso non solo per affrontare situazioni di emergenza determinate da disastri e calamità naturali, ma anche per fronteggiare emergenze sociali e ambientali, quali, ad esempio, la gestione del ciclo dei rifiuti, il traffico e la mobilità, l'immigrazione, le criticità delle carceri, che potevano più propriamente essere affrontate con strumenti quali la decretazione d'urgenza e le successive leggi di conversione in legge, si è dato vita ad una sorta di micro ordinamento parallelo, del quale, però, è molto difficile lo studio sistematico e approfondito anche da parte di esperti del diritto;
    il decreto-legge 15 maggio 2012, n. 59, ha modificato la situazione pregressa, in particolare prevedendo un limite alla durata dello stato di emergenza e alla conseguente gestione commissariale. Va rilevato, altresì, che nel 2014 le ordinanze di protezione civile emanate e pubblicate in Gazzetta Ufficiale sono alla data del 23 maggio 2014 già 27;
    nonostante nel corso degli anni siano state emanate ordinanze di protezione civile «omnibus» oppure ordinanze che dettavano novelle ad ordinanze già in vigore, non esiste ad oggi un sistema di pubblicità di questi provvedimenti che ne consenta la consultazione in testo storico e in testo vigente;
    poiché l'unica forma di consultazione ad oggi possibile è quella tramite il testo storico riportato in Gazzetta Ufficiale all'atto della pubblicazione, risulta estremamente arduo ricostruire l’iter della normativa e degli atti adottati per gli stati di emergenza che si sono protratti per periodi anche pluriennali ed in merito ai quali sono state emanate molteplici disposizioni, anche con ordinanze di protezione civile vertenti su altro argomento; ne deriva l'opacità di alcune gestioni commissariali di durata pluriennale, in particolare per quanto attiene all'efficacia dei provvedimenti adottati nel corso degli anni;
    in tema di semplificazione amministrativa, è utile ricordare alcuni dati riportati dagli organi della stampa il 20 maggio 2014: 42 primati negativi per l'Italia – se il costo del personale della pubblica amministrazione (10,5 per cento del prodotto interno lordo) è in linea con la media europea, la differenza sta tutta nell'efficienza; l'Italia, secondo Paese manifatturiero nell'Unione europea, impiega 37 giorni per esaurire una procedura di import-export, contro i 16 della Germania, 21 nell'eurozona; in Italia una disputa commerciale dal giudice civile si risolve in 1.185 giorni, contro i 547 dell'eurozona e i 394 della Germania;
    ciò spiega perché la semplificazione amministrativa deve essere considerata parte integrante della riforma della pubblica amministrazione, finalizzata a renderla più efficiente, rapida ed economica – al riguardo i firmatari del presente atto di indirizzo auspicano, infatti, che la rivoluzionaria riforma della pubblica amministrazione, cui il Governo dichiara di accingersi, non sottovaluti il tema indicato;
    risulta, al contempo, assolutamente necessario alleggerire gli oneri burocratici che rendono oltremodo gravosi i rapporti tra i cittadini e le imprese, da una parte, e la pubblica amministrazione dall'altra – questo era anche il titolo di un ambizioso disegno di legge, cosiddetto «Brunetta-Calderoli», risalente alla XVI legislatura, il cui iter si è arrestato insieme al suo contenuto, passato da 30 articoli ad uno solo, recante la codificazione;
    occorre dedicare maggiore attenzione, nell'adozione di atti normativi e amministrativi, alla ricaduta complessiva degli oneri burocratici sui cittadini e sulle imprese;
    il problema principale, da risolvere, risiede a monte: il sistema di acquisizione delle informazioni richieste ai cittadini e alle imprese; vige da oltre un decennio un decreto del Presidente della Repubblica che obbliga le pubbliche amministrazioni, per gli accertamenti istruttori, ad acquisire le informazioni e la documentazione dalle banche dati. Ci si chiede perché gli uffici continuino a pressare e vessare cittadini e imprese con la richiesta di esibizione di documenti, certificati e dati che dovrebbero o potrebbero acquisire altrove e in altro modo;
    attualmente si ha il centro elaborazione dati del Ministero dell'interno, il repertorio nazionale dei dati territoriali, l'anagrafe tributaria, il casellario giudiziale, la banca dati dei contratti pubblici, quelle degli istituti previdenziali, il registro delle imprese e si potrebbe continuare, ma ci si dovrebbe fermare comunque, perché, finora, sembrerebbe che non sia mai stata scattata una fotografia dei grandi database di interesse pubblico, tra i quali gli archivi in possesso dei Ministeri della giustizia e dell'interno e ciò non risulterebbe espressamente previsto neanche dal nuovo codice dell'amministrazione digitale;
    gli oneri burocratici che gravano sulle piccole e medie imprese ammontano a circa 1,2 miliardi di euro – si tratta di un'ingentissima tassa sulla burocrazia che si disperde nei costi per i moduli, le comunicazioni da inviare, le raccomandate, i certificati e gli attestati – in sostanza, oneri impropri;
    vale per tutte, ma per quanto riguarda le piccole e medie imprese, corpo del nostro sistema produttivo, non si può che augurarsi che si prosegua e persegua il processo di semplificazione e riduzione degli oneri burocratici ed amministrativi, ma soprattutto occorre espressamente e concretamente dare attuazione al principio della proporzionalità tra l'onerosità degli adempimenti amministrativi e la dimensione delle imprese;
    altra grave carenza è l'insufficiente utilizzo delle tecnologie informatiche, in grado di ridurre tempi ed oneri dell'azione amministrativa; il nostro Paese è indietro, tra l'altro, per numero di utenti web, per l'accesso e presenza di banda larga – ma è da ricordare che dal 1997, con la legge n. 59, furono introdotti il documento informatico e la firma digitale; l'Italia fu tra le prime nazioni europee ad approvare norme e regole tecniche in materia di documenti informatici e firma digitale e il risultato può dirsi, proprio a fronte di tale dato e di quanto è quotidianamente sotto gli occhi del cittadino e dell'operatore economico, fallimentare;
    mancate attuazioni, ritardi ed inefficienze caratterizzano l'introduzione e l'utilizzo della digitalizzazione nei rapporti dei cittadini e delle imprese con gli uffici pubblici – dal 1993 ad oggi, per l'ufficio a ciò dedicato si è proceduto con accanimento a modificarne l'acronimo, passato da Aipa a Cnipa a DigitPa e ora, sembra, Agid; per l'Agenda digitale, fiore all'occhiello dell'innovazione, al contempo rivoluzione e risoluzione dei cronici ritardi italiani in materia, caricata dell'onere di procedere a progetti del valore, in termini di risparmi per l'intera macchina amministrativa, pari a oltre 60 miliardi di euro, è stata disposta in rapida successione una congerie di norme che via via ne modificavano la struttura, la composizione e la nomina dei vertici, che al momento non ci sono più;
    il Ministro dello sviluppo economico Guidi ha dichiarato, in linea con i suoi predecessori, che «il Governo è consapevole dei ritardi e l'impegno sarà massimo per sbloccare il processo di digitalizzazione a vantaggio dei cittadini e delle imprese»;
    l'Agenda digitale è un'occasione unica per il recupero di competitività del nostro Paese, per una maggiore trasparenza, nonché per il decisivo e definitivo snellimento delle procedure burocratiche e tale da poter contribuire in maniera determinante alla ripresa dello sviluppo economico: il decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, è ad oggi di fatto inattuato, non essendo ancora stati adottati, neppure in minima parte i numerosi decreti attuativi previsti da quel provvedimento,

impegna il Governo:

   a presentare alle Camere una relazione contenente un programma di semplificazione normativa, suddiviso per settori e discipline, sulla base delle risultanze dell'indagine conoscitiva svolta dalla Commissione parlamentare per la semplificazione, nonché dei risultati della recente consultazione pubblica di cittadini e imprese, indicando la cadenza temporale degli interventi e delle iniziative finalizzati all'accorpamento delle discipline di settore in codici e testi unici ai sensi all'articolo 17-bis della legge 23 agosto 1988, n. 400, avvalendosi del Consiglio di Stato;
   per una normativa chiara, efficace e trasparente, ad attenersi al puntuale rispetto, nell'approvazione dei decreti-legge, dei criteri di cui all'articolo 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e delle specifiche sentenze in materia pronunciate dalla Corte costituzionale, nonché ad evitare, nei medesimi provvedimenti, l'inserimento di disposizioni normative la cui attuazione sia rinviata a provvedimenti attuativi di natura non regolamentare o a provvedimenti attuativi per i quali non sia stato indicato esplicitamente un termine di emanazione;
   ad adottare le opportune iniziative, anche normative, che obblighino le pubbliche amministrazioni all'acquisizione della documentazione necessaria, per gli accertamenti istruttori inerenti ai cittadini e alle imprese, dalle banche dati esistenti o dagli organismi pubblici che ne sono in possesso, in modo tale che ai cittadini e alle imprese non sia richiesta nessuna informazione e nessuna documentazione che le pubbliche amministrazioni possono attingere al loro interno;
   a procedere alla standardizzazione delle procedure, dei moduli e dei modelli utilizzati dalle pubbliche amministrazioni nelle pratiche e nei procedimenti, in modo tale che il cittadino e l'operatore economico possano contare sulla certezza e sull'uniformità degli adempimenti in tutto il territorio nazionale;
   ad adottare misure sanzionatorie nei confronti degli uffici pubblici statali competenti e dei loro responsabili a fronte di inadempienze e ritardi;
   a realizzare un database in formato elettronico che renda accessibile in forma pubblica e gratuita la consultazione dei testi delle ordinanze di protezione civile in testo storico e vigente, di cui all'articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, valutando di utilizzare a tale scopo il portale Normattiva;
   a procedere immediatamente all'adozione dei provvedimenti attuativi di cui al decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, in particolare per quanto attiene la digitalizzazione degli atti della pubblica amministrazione;
   a realizzare il progetto di unificazione, ai fini amministrativi, della carta d'identità elettronica e della tessera sanitaria;
   ad assicurare agli utenti la possibilità di firmare digitalmente qualsiasi istanza o documento da trasmettere alla pubblica amministrazione e di utilizzare la posta elettronica certificata come modello usuale di trasmissione di atti aventi efficacia legale;
   a rendere operativi su tutto il territorio nazionale gli sportelli unici per le attività produttive (suap), al fine del coordinamento degli adempimenti delle imprese, potenziando al contempo il modello dello sportello unico, in modo da estenderlo a tutti i procedimenti complessi;
   a rispettare la disciplina vigente in materia di valutazione di impatto della regolamentazione, con particolare riguardo agli oneri per gli utenti, adottando il principio che non possano essere introdotti nuovi oneri senza ridurne altri;
   a procedere all'approvazione dei regolamenti annuali per la riduzione degli oneri amministrativi e la semplificazione dei procedimenti amministrativi concernenti l'attività di impresa;
   a realizzare interventi di riduzione e semplificazione di procedure obsolete, complicate e inutili, onde alleviare gli aggravi sui cittadini e le imprese, a tal fine eliminando duplicazioni di adempimenti e di competenze;
   con riguardo alla semplificazione degli adempimenti inerenti alle imprese, ad adottare il principio di proporzionalità degli oneri alla dimensione delle imprese;
   a procedere al censimento delle banche dati pubbliche esistenti;
   a procedere al censimento degli enti pubblici.
(1-00487) «Cozzolino, Mucci, Dadone, D'Ambrosio, Dieni, Fraccaro, Lombardi, Nuti, Toninelli».


   La Camera,
   premesso che:
    l'amianto è sostanza particolarmente insidiosa perché può provocare due diverse malattie: l'asbestosi, frutto dell'accumulo nell'organismo di fibre del materiale, altamente invalidante, ed il mesotelioma pleurico, tumore maligno per la cui insorgenza, anche a distanza di decenni dall'esposizione, è sufficiente l'azione addirittura di pochissime fibre;
    l'uso massiccio di amianto negli anni Sessanta-Settanta nell'industria e nell'edilizia e la conseguente esposizione alla fibra ha fatto registrare nel nostro Paese, nel periodo 1988-1997, 9094 morti per tumore maligno della pleura (5942 uomini, 3152 donne);
    la pericolosità dell'amianto, infatti, investe non soltanto l'ambiente di lavoro ed i soggetti ivi occupati, bensì anche il territorio, considerato che, nelle città ove sono ubicati stabilimenti contenenti amianto, i tassi di mortalità per malattie causate da tale fibra si sono rivelati, nel tempo, sedici volte superiori alla media, restando coinvolti non solo i lavoratori direttamente esposti, ma anche le famiglie che hanno respirato le fibre portate a casa con gli abiti da lavoro e i cittadini che si sono ritrovati ad inalare le fibre aerodisperse nell'ambiente;
    con il riconoscimento, dunque, che l'esposizione all'amianto è altamente nociva per la salute dell'uomo e dell'ambiente, la legge 27 marzo 1992, n. 257, ha disciplinato la cessazione dell'impiego di amianto nelle attività produttive di qualsiasi tipo, vietandone in Italia l'estrazione, il commercio, l'importazione ed esportazione di amianto e/o materiali contenti amianto;
    il problema attualmente consiste nella significativa presenza di prodotti in amianto installati o costruiti in passato ed ancora presenti negli ambienti di vita e di lavoro;
    il nostro Paese è, purtroppo, indietro con le opere di rimozione e bonifica: il Consiglio nazionale delle ricerche ha quantificato in 32 milioni le tonnellate di cemento-amianto da bonificare in relazione a 2,5 miliardi di metri quadri di copertura in cemento-amianto presenti sul territorio italiano;
    a creare intoppi nei piani di bonifica sono la mancanza di puntuali e completi censimenti regionali dei siti contenenti amianto, l'insufficienza ed inadeguatezza di discariche specializzate sul territorio nazionale e gli elevati costi di smaltimento;
    la legge finanziaria per il 2008 aveva istituito il «Fondo nazionale per il risanamento degli edifici pubblici», con uno stanziamento iniziale di 5 milioni di euro per il 2008, per finanziare gli interventi diretti ad eliminare i rischi per la salute pubblica, riconoscendo priorità alla messa in sicurezza degli edifici scolastici, sanitari, caserme ed uffici aperti al pubblico;
    per quanto riguarda la tutela delle vittime dell'amianto, i benefici previdenziali sono riconosciuti ai sensi dell'articolo 13 della legge n. 257 del 1992 e dell'articolo 47 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 2003; il decreto ministeriale 27 ottobre 2004, emanato in attuazione dell'articolo 47 del citato decreto-legge n. 269 del 2003, ha incluso la categoria dei marittimi tra gli aventi il diritto alla concessione dei benefici previdenziali;
    i marittimi, tuttavia, non sempre riescono a beneficiare delle tutele legislative per esposizione all'amianto a causa dell'atipicità del loro lavoro (luogo e rapporto diverso negli anni, residenza diversa dal compartimento marittimo in cui è iscritta la società marittima, cambio di bandiera e demolizione della nave), che rende oggettivamente impossibile avere un curriculum lavorativo con dichiarazione dell'impresa;
    una prestazione aggiuntiva per le vittime dell'amianto che hanno contratto patologie asbesto-correlate e per esposizione alla fibra «fiberfrax» e, in caso di premorte del lavoratore, in favore degli eredi è erogata dal Fondo per le vittime dell'amianto istituito presso l'Inail. Il finanziamento di tale Fondo è per un quarto a carico delle imprese e per tre quarti a carico del bilancio dello Stato;
    con decreto ministeriale 12 gennaio 20111, n. 30, è stato emanato il regolamento del Fondo per le vittime dell'amianto, che prevede l'erogazione della prestazione in due acconti ed un conguaglio (articolo 2, comma 2) e fissa la prestazione (articolo 2, comma 5) nella misura del 20 per cento della rendita per ciascuno degli anni 2008 e 2009 e del 15 per cento per il 2010. A decorrere dal 2011, il regolamento non stabilisce la misura della prestazione aggiuntiva, ma ne definisce il sistema di calcolo, secondo modalità decrescenti, dal 18,1 conteggiato per il 2011 all'8,3 stimato per il 2022;
    per il 2012 la platea degli aventi diritto è di 17.501; le assegnazioni sono state regolari sino alle somme spettanti per il 2012 ed erogate nel giugno 2013; nel 2013 però sono mancati i previsti trasferimenti dal bilancio dello Stato;
    i 31 milioni di euro al momento in giacenza presso il Fondo per le vittime dell'amianto risultano insufficienti ad assicurare le prestazioni future;
    secondo l'associazione Ona onlus - Osservatorio nazionale amianto, a 20 anni dalla messa al bando sono 5 mila i decessi ogni anno causati dall'amianto e si prevede un aumento delle malattie dell'85 per cento entro il 2025,

impegna il Governo:

   ad accelerare le operazioni di bonifica e smaltimento dell'amianto negli edifici pubblici, individuando come prioritari gli edifici scolastici e le strutture sanitarie;
   ad assumere iniziative per prevedere l'esclusione dai saldi di finanza pubblica, relativi al rispetto del patto di stabilità interno, delle spese per la bonifica dell'amianto;
   ad adottare le opportune iniziative per la messa a regime delle detrazioni fiscali attualmente previste per gli interventi di bonifica dall'amianto compiuti da privati;
   ad assumere iniziative per incrementare le dotazioni del Fondo per le vittime dell'amianto e del Fondo nazionale per il risanamento degli edifici pubblici senza ricorrere a nuova ed ulteriore tassazione per le imprese e per i cittadini;
   ad emanare atti di propria competenza che riconoscano valido, in sostituzione del curriculum lavorativo, l'estratto matricolare mercantile o la fotocopia autenticata del libretto di navigazione quale documento probante l'esposizione all'amianto da parte del lavoratore marittimo.
(1-00488) «Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».


   La Camera,
   premesso che:
    in molte parti del mondo professare il cristianesimo significa rischiare emarginazione, violazione dei diritti, subire violenza e rischiare la vita, anche per mano del potere politico e statuale; questa situazione non sta registrando alcun significativo miglioramento negli ultimi anni e si assiste anzi ad una recrudescenza delle persecuzioni anticristiane, in particolare nei paesi a maggioranza musulmana, senza alcuna distinzione tra un islam più o meno fondamentalista posto che non si registrano prese di posizione chiare da parte di esponenti politici o religiosi di fede islamica contro questi fenomeni;
    è notizia dello scorso maggio, che ha provocato numerosi appelli in tutto il mondo, la condanna all'impiccagione, dopo avere ricevuto 100 frustate, di una donna sudanese di 27 anni madre di un bambino di 20 mesi e incinta di sette mesi. La condanna a morte è per apostasia, le frustate per adulterio, essendo il matrimonio con il marito cristiano non riconosciuto dalla religione islamica. La condanna a morte sarebbe eseguita dopo la nascita del figlio;
    all'inizio di giugno alcune autorità sudanesi, di fronte alla mobilitazione internazionale, avrebbero lasciato intendere l'intenzione di liberare la giovane Meriam, ma le affermazioni sono state smentite dal Governo, posto sotto pressione da gruppi islamisti radicali; se anche sfuggisse alla condanna, sarebbe probabilmente costretta a fuggire dal Sudan per evitare le vendette degli integralisti. La sua tragedia riecheggia quella delle centinaia di giovani nigeriane rapite recentemente dai terroristi fanatici di Boko Haram, ridotte in schiavitù e forzate alla conversione;
    dal 1983 a Khartoum vige la sharia ed è un tribunale islamico che ha pronunciato la condanna a morte di Meriam; una vicenda abominevole che calpesta qualunque principio di diritto e di umanità;
    la vita della giovane donna, Meriam Yehya Ibrahim Ishag, è paradigmatica delle ipocrisie dell'islamismo sudanese: Meriam è nata da padre musulmano, che ha abbandonato la famiglia alla sua nascita. Meriam è stata educata dalla madre, etiope ortodossa, alla religione cristiana;
    per la legge islamica, il padre musulmano determina che i figli siano musulmani, indipendentemente da qualunque libertà di scelta dei figli stessi; se il padre cristiano diviene musulmano, tutti i figli automaticamente cambiano religione. Ciò non vale solo per il Sudan ma per tutto il mondo islamico, contro qualunque principio di libertà religiosa;
    una donna musulmana non ha diritto di sposare un non musulmano; deve scegliere sempre un marito musulmano o che deve diventare musulmano prima del matrimonio;
    come spiegato dall'islamologo Samir Khalil Samir, ciò avviene quotidianamente anche in Europa, benché sia ufficialmente taciuto: le donne straniere provenienti da Paesi musulmani che vivono in Europa costringono l'uomo che desidera sposarle a diventare musulmano. In caso contrario, non riceverebbero dalle rispettive ambasciate il nulla osta al matrimonio; ciò significa che quotidianamente viene violato in Europa il diritto alla libertà religiosa costituzionalmente tutelato da tutti gli stati europei;
    l'articolo 18 della carta universale dei diritti umani riconosce il diritto a cambiare religione, o a rinunciare alla religione. Per la legge islamica l'apostasia è punita con la morte; il divieto di cambiare religione è tuttora in vigore in 39 Paesi, dalla Giordania all'Egitto;
    nel 2011 Benedetto XVI aveva espressamente parlato di «cristianofobia», termine che descrive ormai un fenomeno di portata universale e che come tale è stato adottato dall'ONU dal 2003 e dal Parlamento europeo nel 2007;
    secondo il Rapporto 2013 sulla situazione della libertà di religione o fede nel mondo, presentato a febbraio dal Gruppo di lavoro sul tema del Parlamento europeo, negli ultimi anni vi è stato un continuo aumento delle violazioni commesse sia da attori governativi che non governativi contro individui e gruppi sociali attuati sulla base della loro appartenenza religiosa o della loro fede;
    secondo il rapporto sono 25 i Paesi di «particolare preoccupazione», 15 dei quali sono segnalati come «gravi violatori» della libertà di religione e fede (Cina, Egitto, Eritrea, India, Iran, Iraq, Corea del Nord, Libia, Mali, Nigeria, Pakistan, Arabia Saudita, Siria, Tunisia e Uzbekistan). Per i cristiani, in particolare, «la Corea del Nord rimane il Paese più difficile al mondo»: tra 50 mila e 70 mila cristiani sono detenuti in «spaventosi campi di prigionia». Anche in Eritrea, che pure riconosce cattolicesimo e ortodossia come fedi ufficiali, risultano detenuti tra i 2 mila e i 3 mila cristiani. Drammatica la situazione in Nigeria, dove tra il novembre 2011 e l'ottobre 2012 si sono avuti ben 791 dei 1.201 assassinii di cristiani registrati in tutto il mondo; in Egitto è costante il rifiuto di concedere l'autorizzazione alla costruzione di nuove chiese ai cristiani copti, mentre in Iran dal 2010 si contano ben 300 arresti tra musulmani convertitisi al cristianesimo;
    un caso estremo per le persecuzioni religiose è l'Arabia Saudita, che presenta delle pesanti discriminazione per i cittadini o i residenti non-musulmani. Sulla scorta di queste informazioni il Gruppo di lavoro ha fortemente raccomandato all'Unione europea di dare alla questione della libertà religiosa un ruolo cruciale nel stabilire rapporti e nello stringere negoziati con i Paesi terzi,

impegna il Governo:

   ad esercitare una chiara e dichiarata forma di pressione diplomatica ed economica verso quei Paesi che non garantiscono o non tutelano il diritto alla libertà religiosa, in particolare dei cristiani e di altre minoranze perseguitate dove essa risulti minacciata o compressa, per legge o per prassi, sia direttamente dalle autorità di governo sia attraverso un tacito assenso e l'impunità degli autori di violenze, arrivando, laddove necessario, all'interruzione delle relazioni diplomatiche e commerciali;
   a stabilire come principio imprescindibile alla negoziazione e conclusione di qualsiasi accordo internazionale la garanzia della controparte che al proprio interno sia garantita la libertà di professare qualunque religione e la libertà di cambiare religione o credo;
   a farsi promotore, nelle sedi comunitarie ed internazionali, della sospensione di ogni accordo multilaterale verso i Paesi nei quali è applicata, anche parzialmente o su porzioni di territorio, la legge islamica, fino alla reale rimozione da parte di questi Paesi di ogni impedimento alla libera professione religiosa e alla cessazione di episodi di violenza contro comunità o singoli non islamici presenti sul territorio.
(1-00489) «Giancarlo Giorgetti, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini, Marguerettaz».


   La Camera,
   premesso che:
    il 14 giugno 2013 il Consiglio europeo ha accordato alla Commissione europea il mandato per negoziare, a nome dell'Unione europea, l'accordo di partenariato economico-finanziario noto come Transatlantic trade and investment Partnership (TTIP) considerato «il più importante accordo di libero scambio del mondo e della storia» che, ad opinione di molti, viene considerato una «NATO economica», per enfatizzare il ruolo egemone degli Stati Uniti nell'organizzazione del Patto Atlantico;
    le condizioni per la creazione di una zona di libero scambio vennero poste già nel 2007 con l'istituzione di un Consiglio economico transatlantico, un anno prima dello scoppio della bolla speculativa che ha aperto la strada alla crisi finanziaria e all'attuale depressione economica; ciò, considerato alla luce delle recenti indiscrezioni che vedrebbero la Federal Reserve intenzionata ad avviare una stretta monetaria – i cui effetti provocherebbero un rialzo dei tassi di interesse statunitensi generando un consistente afflusso di dollari dal resto del mondo agli Usa – renderebbe verosimile la possibilità dell'adozione del dollaro come moneta unica europea quale provvidenziale soluzione all'ormai irreversibile crisi dell'euro;
    già da tempo gli Stati Uniti si sono impegnati a migliorare gli accessi per incentivare gli scambi con l'Unione europea che offre un mercato di oltre 500 milioni di persone, con particolare riguardo ai comparti manifatturiero, dell'agricoltura e dei servizi a conferma delle tesi che ritengono il TTIP un accordo disegnato a misura degli interessi dell'economia americana;
    si legge nell’Executive Order n. 13534 del marzo 2010, firmato dal presidente americano Barak Obama, che gli Stati Uniti si sono impegnati a migliorare gli accessi per gli scambi oltreoceano relativi alla propria manifattura, agricoltura e servizi ed è pertanto plausibile sostenere che il TTIP sia disegnato a misura degli statunitensi, dove l'Unione europea è puramente subordinata alle loro scelte;
    le trattative per la conclusione del TTIP si svolgono nel più assoluto segreto; anche i documenti elaborati nei vari incontri che si sono susseguiti sono e saranno secretati; infatti, nessuna bozza o schema è uscito dalle trattative sul TTIP tra Stati e multinazionali, mentre le popolazioni e le organizzazioni sociali vengono tenute rigorosamente all'oscuro e fuori da ogni processo decisionale e nel silenzio complice dei grandi media;
    il 4o round del negoziato UE-USA si è svolto il 26 marzo 2014 mentre quello successivo è previsto a Washington prima dell'estate. Sul sito dell'unione europea si legge che lo scopo dell'accordo è quello di «aumentare lo scambio delle merci, eliminando dazi e barriere commerciali», una deregulation insomma, tramite tre obiettivi: accesso ai mercati, allineamento delle regole e norme in materia di commercio per la globalizzazione;
    il Ministero USA del Commercio con l'Estero ha proseguito i nuovi negoziati del TTIP ad Arlington, nello Stato della Virginia, nei giorni dal 19 al 23 maggio 2014; nella settimana precedente alle elezioni europee, nell'intento di aumentare il consenso alle trattative a partire da Francia e Germania, all'idea della necessità di ulteriori liberalizzazioni, il commissario europeo al commercio De Gucht, ha aperto per tre settimane una consultazione online sul sito della Commissione per acquietare quella parte dell'opinione pubblica che lo accusa di scarsa trasparenza nel negoziato e ha iniziato una marcia forzata di incontri con imprese e istituzioni competenti;
    il timore per il nostro Paese è più che lecito poiché basta chiedere ai piccoli imprenditori e agricoltori, che sono la maggior parte in Italia, se l'attuale globalizzazione li ha favoriti; infatti, saranno coinvolti i prodotti agroalimentari e industriali, il mercato dei servizi come il trasporto e la liberalizzazione degli investimenti privati, che coinvolgeranno anche gli appalti pubblici, sicurezza ambientale e alimentare, dei farmaci, dei diritti di proprietà intellettuale;
    il Ministero dello sviluppo economico ha commissionato nel 2013 a Prometeia Spa una prima valutazione d'impatto per l'Italia, da cui si evince che i primi benefici delle liberalizzazioni si manifesterebbero nell'arco di tre anni dall'entrata in vigore dell'accordo, immaginando il 2018 quale data più vicina, con un aumento del Pil dello 0,5 per cento nel migliore dei casi; secondo l'ICE solo le prime 10 imprese italiane, su 210 mila, monopolizzano oltre il 70 per cento dell'export italiano, quindi alle piccole imprese, se non già inserite nelle filiere globali, il trattato non risulta dare vantaggi, piuttosto potrebbero non sopravvivere allo shock, mentre le grandi imprese, che già sono ben inserite nel mercato globale esportando grazie molto spesso alle esternalizzazioni di parti dell'impresa fuori dal territorio italiano, non risultano necessitare del trattato;
    erroneamente si ritiene che per l'Italia l'interesse strategico assoluto sia la riduzione massima delle barriere commerciali, quali i dazi, al fine di avere più aperture di mercato possibili, come se l'apertura dei mercati fosse la panacea per risolvere una situazione di crisi creata dallo stesso sistema economico neoliberista che promuove, ad esempio, la gestione privatistica di beni e servizi essenziali i cui risultati fallimentari sono ben visibili, essendo l'interesse privatistico unicamente il raggiungimento dell'utile a fine anno e non la fornitura del bene o servizio a fini sociali; l'aumento del Pil può tradursi, a questo punto, nella distruzione di interi settori produttivi italiani, quali la manifattura e la piccola e media trasformazione, i presidi Dop e Igp;
    sulla natura di tale accordo viene affermato, tra l'altro, che potrebbe far aumentare l'economia europea di 120 miliardi di euro, considerazione frutto di stadio che è stato commissionato da un ente, il Center for Economic Policy Research (CEPR) di Londra che secondo i presentatori del presente atto di indirizzo non sembra risultare del tutto indipendente;
    sul sito dell’Economic and Social Research Council, si legge che il CEPR è finanziato dalla Banca d'Inghilterra, dalla Fondazione Rockfeller, dalla Banca del Canada e di Israele, la BCE, dall'Alpha Bank, dalla Barclais, dal Citigroup, dal Credit Suisse, dall'Intesa San Paolo, dal Gruppo Santander, da JP Morgan e altre banche e con i fondi del MES. Il CERP è presieduto da Guillermo De La Dehesa, membro del Gruppo dei Trenta del comitato esecutivo del Banco Santander e consulente internazionale di Goldman Sachs. Alcuni ricercatori del CERP risulta che lavorino per la Rockfeller Foundation e la Banca mondiale. Il capo progetti del dossier del TTIP elaborato dal CERP è Jospeh François economista di Linz (Austria) con cittadinanza statunitense e ha lavorato per l’International trade commission degli Stati Uniti, occupandosi degli accordi NAFTA, GATT e WTO;
    è logico considerare che il TTIP sia lontano dall'essere un progetto neutrale, la zona euro-americana di libero scambio legherebbe in maniera definitiva le sorti dell'Europa e dell'euro a quelle degli Stati Uniti e del dollaro, limitando la residua autonomia di un'Unione europea sempre meno integrata al suo interno, e rischia di sfociare in un'annessione totale dell'Europa ai dettami finanziari e commerciali di Washington;
    il paventato rialzo dei tassi di interesse americani non sarebbe senza implicazioni per la politica monetaria nell'eurozona e imporrebbe alla BCE di scegliere se svalutare l'euro o elevare il saggio di sconto, spingendo verso la bancarotta alcuni degli Stati periferici come l'Italia;
    sul piano strettamente economico giova rilevare che mentre il mercato unico, quantomeno nelle intenzioni, ha l'obiettivo di creare un'omogeneità di regolamentazione senza precedenti, volta ad assicurare ai cittadini europei uguali condizioni di partenza per l'esercizio dell'attività imprenditoriale, quello statunitense è frutto di anni di deregulation e i nostri operatori economici si troveranno a competere con concorrenti americani in un quadro caratterizzato dalla compresenza di assetti legislativi differenti, poiché difficilmente i negoziatori europei riusciranno a persuadere i colleghi d'oltreoceano sulla bontà delle pesanti normative in vigore nell'Unione europea. Inoltre, le regole e gli standard europei in termini di tutela della salute e delle condizioni di lavoro, come è noto più restrittivi in Europa rispetto agli Stati Uniti, riescono a tenere lontani dai nostri mercati alcuni prodotti non sicuri o tossici (cibi OGM e trattati con nanoparticelle di vetro per aumentarne la croccantezza, residui di pesticidi nel cibo, ftalati nei giocattoli, carne agli ormoni, solo per fare qualche esempio) ma la preoccupazione di una concessione alle multinazionali di porsi al di sopra dei bisogni delle persone e di sfruttare in maniera incontrollata risorse naturali fondamentali come l'acqua, il suolo, i minerali rimane forte;
    l'Unione europea, attraverso il TTIP, potrebbe imporre con maggiore facilità, le politiche di austerità e di smantellamento delle politiche sociali, inizialmente introdotte in modo forzoso a causa della crisi del debito pubblico, fino alla completa privatizzazione anche dei servizi essenziali alla persona;
    in particolare, relativamente al comparto agricolo, per il quale i fautori dell'accordo vantano benefici a doppio senso, in considerazione delle enormi barriere tariffarie esistenti, le preoccupazioni maggiori riguardano le importazioni di organismi geneticamente modificati, posto che gli Usa cercano sbocchi per grano e soia, e, in assenza di opportune salvaguardie, il rischio di chiusura di molte piccole aziende, in quanto la frammentazione della proprietà agraria che caratterizza il continente europeo comporta una impari competizione con i grandi farmer statunitensi;
    si rileva l'esautorazione dei tribunali nazionali in caso di dispute legali, in quanto l'accordo prevede infatti l'inclusione dell’Investor State dispute settlement (ISDS), uno strumento che consentirebbe a un soggetto privato di denunciare un Governo per i mancati profitti derivanti da politiche sociali; per fare un esempio, accordi simili hanno fatto sì che la Philip Morris stia chiedendo il risarcimento ai Governi uruguaiano e australiano per le politiche di restrizione del fumo a tutela della salute; ciò, unitamente all'esautorazione dei tribunali nazionali nella risoluzione di dispute legali che verranno risolte da un organismo terzo come già avviene con i panel del WTO, metterebbe a rischio la tutela ambientale e sociale garantita dalla legislazione europea, di gran lunga più garantista per i cittadini di quanto non lo sia quella statunitense;
    è assolutamente necessario, dunque, sviluppare la dovuta informazione sul significato di tale tipo di scenario per la società, l'ambiente e la democrazia; a questo proposito, infatti, va evidenziato che sul sito della Commissione europea è disponibile il questionario per la consultazione informale sul TTIP, ma nessuna campagna informativa è stata promossa dai Ministeri competenti per i cittadini e le associazioni interessate; tutto questo, mentre la legge n. 234 del 2012, recante «Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa delle politiche dell'Unione europea», prevede che il Governo debba obbligatoriamente rendere conto di tutte le riunioni e delle iniziative che avvengono nell'ambito dell'istituzione della UE, compresi i negoziati per i trattati,

impegna il Governo:

   a riferire periodicamente al Parlamento in merito agli sviluppi delle trattative e, nell'ottica di una più ampia partecipazione democratica, a valutare l'opportunità di indire un referendum di indirizzo;
   ad intervenire presso le competenti sedi comunitarie affinché:
    si rivedano i termini dell'accordo al fine di escludere qualsiasi intesa che di fatto limiti la portata delle leggi della Repubblica italiana ed in particolare si riconsideri il meccanismo di composizione delle controversie tra investitori e Stati escludendo la previsione di un organismo terzo rispetto ai tribunali tradizionali;
    il partenariato si articoli su assetti legislativi quanto più omogenei e preveda forti tutele per l'agricoltura comunitaria;
    siano esclusi dall'ambito dell'accordo i beni fondamentali, quali la gestione del servizio idrico integrato e i servizi pubblici locali, le materie di carattere sanitario, fitosanitario e di conservazione ambientale al fine di mantenere l'attuale sistema di tutela dei diritti sociali e del lavoro, nonché la preservazione dei beni comuni quali acqua e terra/cibo, e le garanzie di accesso ai servizi essenziali;
    si svolgano adeguate consultazioni pubbliche attraverso l'attivazione di tavoli di lavoro partecipati volti a informare e coinvolgere i cittadini, le associazioni e la società civile in merito alle ragioni e agli effetti di un tale accordo e alle conseguenze che esso avrebbe sui rapporti politici e diplomatici con gli altri partner commerciali quali i cosiddetti BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica);
    si introducano adeguati meccanismi di salvaguardia degli interessi produttivi degli Stati membri, in particolare di quelli dell'area mediterranea, qualora la Banca centrale europea decidesse di innalzare i tassi di interesse dell'eurozona, posto che il mantenimento di un obiettivo di cambio con il dollaro in rivalutazione genererebbe insormontabili difficoltà per le finanze pubbliche nazionali.
(1-00490) «Gallinella, Daga, Sibilia, Agostinelli, Alberti, Artini, Baldassarre, Barbanti, Baroni, Basilio, Battelli, Bechis, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Colonnese, Cominardi, Corda, Cozzolino, Crippa, Currò, Da Villa, Dadone, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, Cristian Iannuzzi, L'Abbate, Liuzzi, Lombardi, Lorefice, Lupo, Mannino, Mantero, Marzana, Micillo, Mucci, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pinna, Pisano, Prodani, Rizzetto, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Rostellato, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Segoni, Sorial, Spadoni, Spessotto, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Turco, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zolezzi».


   La Camera,
   premesso che:
    la congiuntura economica internazionale che ha investito il mondo e che ha avuto pesanti ripercussioni anche nel nostro Paese ha fatto emergere tutti i mali di un sistema immobile affetto da una burocrazia elefantiaca, incapace di responsabilizzare gli amministratori, sempre più distante dalle necessità reali dei cittadini, improduttivo e assistenzialista, inadeguato alla valorizzazione dei territori, organizzato senza alcun rispetto dei principi di sussidiarietà orizzontale e verticale, fagocitato da una politica autoreferenziale dimentica del suo primario compito di ricerca del bene comune ma basata esclusivamente sul consenso clientelare;
    la semplificazione ha assunto, negli anni, una valenza strategica, anche a fronte dell'eccesso di regolazione esistente nell'ordinamento italiano che si accompagna, inevitabilmente, a una cattiva qualità e a una scarsa chiarezza del sistema delle regole;
    è stato necessario individuare un meccanismo di revisione sistematica e generalizzata dello stock normativo, che permettesse una drastica riduzione del numero delle norme esistenti e che aiutasse a rendere più leggibile e fruibile il quadro delle regole del Paese;
    con la legge di semplificazione 2005 (legge n. 246 del 2005) è stata introdotta la versione italiana della ghigliottina normativa, il cosiddetto «taglia leggi», che si è rivelato un obiettivo strategico per il miglioramento della qualità della regolazione. Tuttavia, una matura policy di semplificazione non è legata soltanto al numero di norme adottate o soppresse, ma all'effettiva riduzione degli oneri e dei tempi burocratici per i cittadini e le imprese che rappresenta un obiettivo comune a tutti i Paesi dell'Unione europea. Garantire un livello di tutela adeguato, ma senza oneri inutili, identificare il problema che si intende risolvere, condividerlo con i destinatari, identificare le possibili opzioni di intervento, misurando costi e benefici, sono le premesse essenziali per la creazione di un contesto normativo favorevole all'investimento, all'innovazione e all'imprenditorialità;
    la semplificazione normativa e amministrativa e la modernizzazione delle pubbliche amministrazioni rappresentano politiche convergenti da perseguire all'interno di un'ottica unitaria e omogenea volta a migliorare il livello complessivo di competitività del sistema produttivo nazionale e accrescere la fiducia dei cittadini e delle imprese;
    una volta realizzato un sistema di regole razionale e coerente, sarà possibile concludere questo ambizioso progetto di semplificazione e riordino normativo attraverso la codificazione di tutte le disposizioni che regolano la vita dei cittadini e delle istituzioni. Si tratta di una delle più importanti innovazioni legislative che consentirà al nostro Paese di allinearsi agli altri Paesi europei;
    l'obiettivo, infatti, è quello di intervenire affinché la semplificazione «annunciata» si trasformi in semplificazione «percepita» dalle imprese, dai cittadini e dall'intera collettività e, infine, in semplificazione effettivamente «rilevata» a livello statistico ed economico. Soltanto a quel punto gli sforzi di semplificazione potranno produrre benefici effettivi anche sulla competitività del Paese. La stima complessiva del risparmio annuo potenziale a regime, connesso all'attuazione di tutte misure di semplificazione, è pari a oltre ventuno miliardi di euro annui;
    sul tema della semplificazione normativa è essenziale il raccordo con le regioni e le autonomie locali. Occorre individuare un programma e un metodo di lavoro ispirato ad un dialogo costante tra i diversi «livelli di governo», prendendo atto dei profondi cambiamenti in termini di competenze introdotti dalla riforma del titolo V della Costituzione, nella consapevolezza che oggi, in Italia, qualsiasi strategia di semplificazione non può essere condotta a livello esclusivamente nazionale;
    è necessario, pertanto, individuare un percorso congiunto che si ponga come obiettivo la riduzione degli oneri burocratici e una regolazione di qualità per lo sviluppo e la competitività delle aree del Paese al fine di:
     a) individuare i livelli minimi di semplificazione (o definizione dei tetti massimi), nonché i requisiti tecnici omogenei sul territorio, anche al fine di effettuare una misurazione comparativa dei diversi livelli di imposizione burocratica;
     b) individuare i casi pilota in specifici settori di regolazione regionale;
     c) creare linee guida comuni in tema di analisi di impatto della regolazione (air) e verifica dell'impatto della regolazione (vir);
     d) individuare programmi di formazione congiunta per il corretto utilizzo degli strumenti di semplificazione normativa;
    la semplificazione delle leggi e del quadro normativo per tagliare la burocrazia e alleggerire l'Italia è un tema di fondamentale importanza per il rilancio del Paese e viene oramai affrontato dai Governi che si sono succeduti negli anni in modo sistemico. I dati, però, dicono che si sta andando nella direzione opposta: per ogni dieci norme abrogate ne entrano in vigore dodici nuove, senza che molte di esse, però, riescano a diventare operative a causa dei decreti attuativi che regolarmente vengono dimenticati, come emerge chiaramente dal rapporto della Corte dei conti fornito alla Commissione parlamentare per la semplificazione. Riguardo agli adempimenti previsti e mai adottati o adottati con gravi ritardi, si può annotare che alla data del 4 febbraio 2014 risultavano attuati 405 degli 883 adempimenti previsti nei provvedimenti legislativi approvati nella vigenza del Governo Monti e 57 adempimenti dei 394 previsti nella vigenza del Governo Letta;
    la Federdistribuzione ha calcolato che l'1,15 per cento del fatturato del commercio si volatilizza ogni anno per spese di burocrazia: 1,4 miliardi di euro l'anno. Mentre l'associazione dei trasportatori Confetra ha rammentato che secondo l'Ocse sono necessari in Italia mediamente 19 giorni per un'operazione di export, contro i 10 di Francia e Spagna, i 9 della Germania e addirittura i 7 dell'Olanda,

impegna il Governo:

   a rendere operanti, per quanto di competenza, le disposizioni già vigenti in materia di qualità della legislazione, di redazione dell'analisi di impatto della legislazione, dell'analisi tecnico-normativa, nonché di verifica dell'impatto della regolamentazione;
   a implementare i processi di digitalizzazione in corso e la costruzione di un'unica rete informatica nella quale possano confluire tutte le pubbliche amministrazioni;
   ad adottare in tempi rapidi un'agenda per la semplificazione, che individui obiettivi, risultati attesi, responsabilità, scadenze e tempi di realizzazione, modalità di verifica del raggiungimento dei risultati, da rendere accessibili on line in tempo reale;
   a varare, da un lato, in tempi rapidi i decreti attuativi al fine di rendere le norme di semplificazione effettivamente applicabili e, dall'altro lato, ad evitare la proliferazione di nuove complicazioni, dando attuazione alle previsioni della legge n. 180 del 2011, sul divieto di introdurre nuovi oneri per cittadini ed imprese;
   a rafforzare la cooperazione interistituzionale tra Stato, regioni e autonomie locali e la realizzazione condivisa del programma di semplificazione, a partire, ad esempio, dalla standardizzazione della modulistica e delle procedure entro tempi prestabiliti e certi;
   ad avviare in tempi rapidi un sistematico lavoro di redazione di codici e testi unici, anche avvalendosi dell'opera del Consiglio di Stato, partendo dalla redazione di testi unici compilativi, come primo passo verso il riordino delle normative settoriali;
   a varare, attraverso il coinvolgimento delle associazioni di categoria imprenditoriale delle grandi, piccole e medie imprese, un programma di semplificazione amministrativa incentrato sul rapporto fiduciario tra lo Stato e le imprese fondato sullo snellimento delle pratiche burocratiche attraverso il ricorso all'autocertificazione.
(1-00491) «Prataviera, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini».


   La Camera,
   premesso che:
    l'amianto è stato utilizzato fino agli anni Ottanta prioritariamente nella coibentazione di edifici, tetti, navi e treni e come materiale da costruzione per l'edilizia, utilizzato per fabbricare tegole, pavimenti, tubazioni, vernici o canne fumarie, a causa dell'eccezionale resistenza al calore della fibra, che ne favorì una massiccia diffusione;
    in seguito all'individuazione dell'amianto come sostanza altamente nociva e cancerogena, all'inizio degli anni Novanta la legge 27 marzo 1992, n. 257, ne ha proibito l'estrazione, la lavorazione e la commercializzazione;
    in Italia sono oltre quattromila le vittime dell'esposizione alla pericolosa fibra e nei prossimi decenni, stante il lungo periodo di latenza del mesotelioma, è previsto un forte incremento dei decessi provocati dall'amianto, che raggiungerà l'apice tra il 2015 e il 2025;
    nel marzo del 2013 il Ministero della salute ha emanato il Piano nazionale amianto, contenente le «Linee di intervento per un'azione coordinata delle Amministrazioni statali e territoriali», scaturito dalla conferenza nazionale sull'amianto promossa dal Governo nel novembre 2012;
    il Piano nazionale amianto prevede interventi integrati sotto i tre profili sanitario, ambientale e previdenziale, ma attualmente risulta essere inattuato per mancanza di copertura finanziaria;
    tra le azioni previste dal Piano nazionale amianto figurano il completamento della mappatura e del risk assessment dell'amianto del territorio italiano e l'identificazione delle zone con maggior rischio ambientale, degli incentivi per la rimozione delle coperture in eternit e la sostituzione con pannelli fotovoltaici, che, con un investimento di circa venti milioni di euro, consentirebbe la bonifica di oltre dieci milioni di metri quadri e l'individuazione di nuovi siti di smaltimento per rifiuti pericolosi, dato il numero nazionale insufficiente che comporta il conferimento dell'amianto all'estero, determinando un notevole aumento dei costi;
    il Piano nazionale amianto riconosce, altresì, una priorità d'intervento in favore della bonifica degli edifici scolastici, all'interno di molti dei quali si rinvengono ancora strutture contenenti amianto, affinché la bonifica degli stessi sia completata in un arco temporale compreso tra tre e massimo cinque anni;
    in base al Piano nazionale amianto, solo nella classe di rischio più elevata (la numero 1) sarebbero stati rilevati ancora ben 380 siti inquinati e il censimento non è ancora completo, mentre le stime parlano di oltre trentadue milioni di tonnellate di amianto ancora sparse in tutto il territorio nazionale;
    mentre le bonifiche vanno a rilento, e in tutto il Paese aumentano le discariche abusive, che mettono ulteriormente a rischio la salute della popolazione, nulla è stato fatto sul fronte del risanamento ambientale e dello smaltimento dei materiali contenenti amianto, dell'avvio di un'efficace sorveglianza sanitaria ed epidemiologica per gli esposti e della garanzia di risarcimento per le vittime;
    dopo oltre vent'anni dall'entrata in vigore della legge n. 257 del 1992, l'Italia è drammaticamente in ritardo rispetto a quello che si sarebbe potuto e dovuto fare per arginare l'emergenza sanitaria provocata dall'esposizione all'amianto;
    la legge n. 257 del 1992, oltre a stabilire termini e procedure per la dismissione delle attività inerenti all'estrazione e la lavorazione dell'asbesto, ha previsto le prime disposizioni in favore dei lavoratori esposti all'amianto, introducendo diversi benefici per gli stessi, consistenti sostanzialmente in una rivalutazione contributiva del 50 per cento ai fini pensionistici dei periodi lavorativi comportanti un'esposizione al minerale nocivo;
    in particolare, tale beneficio è stato previsto: per i lavoratori di cave e miniere di amianto, a prescindere dalla durata dell'esposizione, per i lavoratori che abbiano contratto una malattia professionale asbesto-correlata, in riferimento al periodo di comprovata esposizione, e per tutti i lavoratori che siano stati esposti per un periodo superiore ai 10 anni;
    i danni derivanti dall'esposizione all'amianto, tuttavia, hanno colpito anche lavoratori molto giovani che non avevano ancora maturato il citato requisito di dieci anni di esposizione, ma sui quali i danni sono ancora peggior perché questi sono in parte stati resi inabili al lavoro al contempo rimanendo esclusi dai benefici per l'accesso pensionistico previsti dalla citata legge;
    sarebbe opportuno valutare l'introduzione di un criterio che permetta di calcolare il requisito temporale dell'esposizione all'amianto differentemente a seconda dell'età del lavoratore;
    inoltre, è stato certificato da numerose indagini sanitarie che il danno non cessa con l'esposizione alla sostanza;
    con la legge finanziaria per il 2008 è stato istituito presso l'Inail un Fondo per le vittime dell'amianto, «in favore di tutte le vittime che hanno contratto patologie asbesto-correlate per esposizione all'amianto e alla fibra “fiberfrax”, e in caso di premorte in favore degli eredi», il cui meccanismo di erogazione è stato configurato come una prestazione aggiuntiva in favore di coloro che siano già titolari di una rendita Inail;
    in relazione alle responsabilità imputabili alle aziende di produzione e lavorazione dell'amianto, nel giugno del 2013 è intervenuta l'importante sentenza di condanna dei vertici dell'azienda Eternit, rinviati a giudizio per i reati di disastro ambientale doloso e di omissione volontaria di cautele antinfortunistiche, con la quale è stato anche disposto il risarcimento di centinaia di parti civili, ammalati di mesotelioma e di altre patologie connesse, e di parenti delle vittime;
    tuttavia, sono migliaia i lavoratori dell'amianto che ancora sono costretti a battersi nelle aule giudiziarie per vedersi riconosciuti il risarcimento dei danni ad essi provocati dall'esposizione all'amianto, tanto che la onlus Osservatorio nazionale amianto nel mese di maggio 2014 ha annunciato la sua intenzione di presentare un ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo per i mancati riconoscimenti dei benefici contributivi e della sorveglianza sanitaria specifica per gli ex esposti, in Italia, nonché di un'istanza di infrazione a carico della Repubblica italiana in ordine alle mancate bonifiche, alla mancata attuazione del Piano nazionale amianto e alla sua contrarietà ad alcune normative comunitarie,

impegna il Governo:

   a valutare l'adozione delle opportune iniziative normative sia al fine dell'introduzione di un criterio di riequilibrio rispetto al mero requisito temporale per il riconoscimento dei benefici previsti dalla legge n. 257 del 1992, prevedendo che esso sia legato all'età anagrafica del lavoratore, sia al fine di garantire il risarcimento del danno in favore dei soggetti contaminati;
   a promuovere l'immediato avvio alle opere di bonifica ambientale, sia con riguardo ai grandi siti industriali inseriti nel programma nazionale di bonifica, sia con riguardo alle emergenze locali riguardanti la presenza di amianto in edifici e strutture pubbliche, dando priorità agli edifici scolastici ed alle strutture ospedaliere;
   a finanziare in maniera adeguata il Piano nazionale amianto, affinché si possano tempestivamente realizzare tutti gli interventi in esso previsti, a partire dai censimenti, fino alle operazioni di bonifica dei siti, assumendo iniziative per il ripristino degli incentivi per la sostituzione delle coperture in cemento-amianto con il fotovoltaico, al fine di agevolare ed accelerare la bonifica anche dei siti privati;
   a valutare la realizzazione di un'impiantistica di trattamento e smaltimento a supporto delle operazioni di bonifica, al fine di ridurre i costi connessi a tali operazioni;
   ad operare, attraverso il Sistema sanitario nazionale, per realizzare un sistema di sorveglianza sanitaria dei lavoratori che sono stati esposti ad amianto e la contestuale raccolta di dati sanitari ed amministrativi da strutture ospedaliere ed Inail relativamente alle patologie correlate all'amianto;
   a promuovere campagne di informazione sui rischi per la salute derivanti dall'esposizione alle fibre di amianto e sul comportamento da adottare in presenza di strutture contaminate in ambienti domestici, scolastici o presso i luoghi di lavoro.
(1-00492) «Taglialatela, Giorgia Meloni, Rampelli».


   La Camera,
   premesso che:
    la semplificazione normativa, intesa come azione di deflazione e riordino della normativa primaria e secondaria vigente, allo scopo di una sua maggiore conoscibilità, coerenza ed organicità, minore ambiguità interpretativa, più agevole applicabilità, nonché come azione di controllo quantitativo e qualitativo della produzione di nuove norme, tanto sotto il profilo politico dell'opportunità delle scelte regolatorie quanto sotto quello tecnico dell'elaborazione degli atti e delle disposizioni normative, rappresenta un obiettivo strategico del Paese, nella prospettiva di renderlo più equo e vivibile per i cittadini, competitivo per gli investimenti produttivi e le attività economiche, credibile e autorevole nella comunità internazionale;
    la semplificazione normativa è comunemente considerata una condizione primaria (seppur non esclusiva, né necessariamente presupposta sul piano del processo di semplificazione) di quella amministrativa, intesa essenzialmente come la riduzione degli adempimenti e degli oneri procedimentali a carico dei cittadini, delle associazioni e delle imprese, nonché come riorganizzazione e razionalizzazione delle strutture burocratiche nella direzione di una loro maggiore capacità di rispondere ai principi del buon andamento e dell'imparzialità della pubblica amministrazione;
    nell'ottica predetta, la semplificazione normativa rientra tra le azioni qualificanti il programma dei Governi della Repubblica nelle legislature più vicine e, in particolare, degli Esecutivi della XVII legislatura, come emerge dalle dichiarazioni programmatiche dei Presidenti del Consiglio dei ministri del 29 aprile 2013 (Enrico Letta) e del 24 febbraio 2014 (Matteo Renzi), ove sono, altresì, sottolineati il coraggio e la determinazione necessari per individuare e realizzare seriamente ed efficacemente la predetta semplificazione;
    nella XVII legislatura, la Commissione parlamentare per la semplificazione, presieduta dall'onorevole Tabacci, ha svolto un'indagine conoscitiva il cui documento finale offre elementi di conoscenza numerosi e preziosi per determinare le scelte prioritarie su questo piano;
    tale ultimo contributo alla descrizione e comprensione dei problemi e alla rassegna delle possibili soluzioni va integrato con l'ormai corposo complesso di conoscenze che l'ordinamento, dotandosi di rilevanti strumenti operativi (dal Comitato per la legislazione, organo politico della Camera, al servizio per la qualità degli atti normativi e al dipartimento per gli affari giuridici e legislativi, quali strutture tecniche a supporto rispettivamente del Senato della Repubblica e della Presidenza del Consiglio dei ministri, oltre che alle procedure di analisi tecnico-normativa, analisi di impatto della regolazione e verifica dell'impatto della regolazione concernenti gli atti del Governo), ha prodotto, anche a seguito delle buone pratiche internazionali (paradigmaticamente le linee guida di better regulation dell'Ocse), nonché dei numerosi studi scientifici messi a disposizione dalla ricerca universitaria;
    al possesso di tali, spesso raffinati, strumenti di razionalizzazione e, talora, contenimento e soluzione del problema della complicazione normativa e amministrativa, non hanno finora fatto seguito una volontà politica sufficiente e una capacità realizzativa adeguata a portare a progressi rilevanti nella sua soluzione;
    in particolare, gli sforzi, in ogni caso utili e positivamente valutabili, di semplificazione normativa si sono, da un lato, concentrati nel tentativo di ridurre la quantità degli atti normativi (specialmente di rango primario) esistenti mediante alcune operazioni di riordino settoriale e una vasta azione di sistematica abrogazione, mentre, dall'altro, hanno introdotto nelle procedure di produzione normativa facenti capo al Governo, quale titolare dell'iniziativa legislativa e della potestà di normazione secondaria più attivo, adempimenti di valore strategico finalizzati alla razionalizzazione delle decisioni di produrre nuove norme, in ordine sia alla necessità e qualità tecnica delle medesime sia al loro impatto sulla regolazione esistente, da valutarsi ex ante ed ex post;
    tali sforzi, sul primo versante della riduzione dello «stock normativo», hanno dato risultati tutto sommato modesti, come emerge anche dalla recente indagine conoscitiva sopra citata, o, al più, limitati a singoli e circoscritti settori materiali, a fronte di una sovraesposizione mediatica di alcune di queste operazioni (come quella del cosiddetto «taglia leggi»), rischiando di distanziare l'utilità effettiva da quella percepita e conseguentemente di far considerare meno impellente il ricorso a strumenti più efficaci;
    sul secondo versante, quello della qualità della normazione, essi hanno, invece, faticato a trovare onesto ed effettivo accoglimento nelle prassi ministeriali, con il rischio che una perdurante scorretta applicazione degli strumenti di analisi e valutazione già richiamati finisca per travolgere con un giudizio di inefficacia il complesso di questi, anziché le regole e le pratiche finora ostative di un loro utile impiego;
    in ogni caso, sembra posto in secondo piano, se non nelle analisi, senz'altro nelle soluzioni più frequentemente proposte, il problema che tutti i dati mettono in risalto, ovvero che non vi è semplificazione senza un controllo e una riduzione «in entrata» della produzione normativa, tale da favorire l'autolimitazione nell'esercizio dei poteri d'iniziativa legislativa e di normazione secondaria da parte dei soggetti titolari, nonché l'elaborazione di interventi normativi attenti a prevenire massimamente le controversie interpretative e applicative mediante una corretta formulazione delle disposizioni e il loro corretto inserimento nel tessuto normativo;
    non ci sarà mai efficace semplificazione senza coraggiosi interventi per la cura di quella che si può chiamare «bulimia legislativa», cui non sono estranee le circostanze dell'attuale crisi economico-finanziaria, ma che è bene non nascondersi essere ormai radicata in un clima politico-culturale di permanente emergenza, che non fa che alimentare un circolo vizioso tra richiesta di norme manifesto, scadimento della qualità legislativa e inefficacia della regolazione giuridica;
    un prioritario intervento dovrebbe ambire all’enforcement degli strumenti dell'analisi tecnico-normativa e dell'analisi dell'impatto della regolamentazione, da un lato, e della verifica dell'impatto della regolamentazione (unita alla più complessiva attività di valutazione delle politiche pubbliche), dall'altro;
    sotto il primo profilo, è nota la modesta applicazione dell'analisi tecnico-normativa e dell'analisi dell'impatto della regolamentazione da parte delle strutture ministeriali, spesso ridotte ad adempimento formale e quindi intempestivo rispetto alle potenzialità di favorire una correzione della volontà politica relativa alla produzione delle norme oggetto di analisi, tale da rendere forzosamente inefficace anche il controllo del dipartimento per gli affari giuridici e legislativi per esse previsto ai fini dell'iscrizione all'ordine del giorno dei lavori del Consiglio dei ministri. È allora doveroso valutare l'opportunità di riorganizzare, sotto il profilo strutturale e procedurale, tale fase preparatoria dell'attività normativa del Consiglio dei ministri. In tal senso, potrebbero esaminarsi diverse soluzioni, tra le quali:
     a) la creazione di una struttura interministeriale, di assistenza (cooperativa, ma autonoma) agli uffici legislativi dei diversi ministeri, facente capo alla Presidenza del Consiglio dei ministri ed esclusivamente incaricata di monitorare in itinere la qualità dell'attività normativa ministeriale, collaborando a questa sotto il profilo dello svolgimento degli adempimenti richiesti dall'analisi tecnico-normativa e dall'analisi dell'impatto della regolamentazione, in modo da anticipare il più possibile l'intervento delle valutazioni ad essi coessenziali e da rendere contestuale l'elaborazione dell'intervento normativo con il controllo della sua qualità;
     b) l'attribuzione delle funzioni di controllo relativo al corretto svolgimento degli adempimenti predetti ad un'unità indipendente di esperti – individuando un meccanismo di nomina che consenta di coinvolgere i Presidenti delle Camere – incaricata di una valutazione non vincolante per il dipartimento per gli affari giuridici e legislativi, che resterebbe competente ad autorizzare l'iscrizione all'ordine del giorno del provvedimento in questione (ferma la sempre garantita possibilità d'esame da parte del Consiglio dei ministri, motivando adeguatamente l'urgenza); interventi, quelli ipotizzati, che consentirebbero, altresì, un riordino delle strutture, nel senso eventualmente di eliminare sovrapposizioni e duplicazioni di competenze;
    sotto il secondo profilo, la verifica dell'impatto della regolazione risulta, nella debole applicazione pratica che se ne fa, paradossalmente scollegata dal circuito di produzione normativa, laddove l'impatto delle precedenti scelte di regolazione, tanto al fine di monitorare l'effettiva applicazione delle norme, quanto al fine di verificarne l'efficacia rispetto alle finalità ad esse presupposte, dovrebbe rappresentare la condizione essenziale per progettare nuovi interventi normativi. Perciò, sarebbe opportuno verificare la possibilità di rafforzare la verifica dell'impatto della regolazione rendendola presupposto necessario, sanzionandone l'assenza o l'inadeguata esecuzione, per l'avvio di ogni nuovo procedimento di normazione. In secondo luogo, va notato come la verifica dell'impatto della regolazione rappresenti uno strumento essenziale, seppur non sufficiente, per la complessiva valutazione delle politiche pubbliche. In quest'ottica, attesa la centralità che tale attività dovrebbe acquisire tra le funzioni della seconda camera secondo i progetti di revisione costituzionale attualmente in discussione al Senato della Repubblica (ad iniziare dal disegno di legge costituzionale Atto Senato n. 1429), si presenta oggi l'opportunità di anticipare la riorganizzazione dell'istituto della verifica dell'impatto della regolazione, incaricando della sua effettuazione un ufficio da individuarsi presso il Senato, composto da personale sia ministeriale sia governativo sia regionale, sotto la diretta responsabilità dell'Ufficio di presidenza di tale Camera;
    un'ulteriore innovazione dovrebbe riguardare le procedure di consultazione pubblica, che gradualmente trovano sempre maggiore diffusione, oltre che presso le autorità indipendenti, anche a livello governativo. Si tratta di procedimenti la cui reale utilità, nonché la corrispondenza ai principi di trasparenza e imparzialità, dipende in buona misura delle regole metodologiche cui sono sottoposti. A questo proposito, è essenziale che Governo e Parlamento avviino un percorso, esso stesso partecipato (seguendo l'esempio di esperienze regionali esistenti), per la produzione di una disciplina organica degli istituti di consultazione e di dibattito pubblico, al fine di definire tali procedure e i relativi standard qualitativi e metodologici, nonché i casi di attivazione obbligatoria. Tale percorso sarebbe di massima utilità anche per migliorare la qualità della produzione normativa tanto a livello governativo quanto parlamentare, secondo quanto può constatarsi osservando alcune esperienze internazionali, come l'ormai consolidato meccanismo di consultazione pubblica in uso presso le istituzioni comunitarie oppure la quasi ventennale esperienza del prelegislative scrutiny in uso presso il Parlamento britannico. A questo riguardo, va notato come il prolungamento dei tempi generato da queste procedure istruttorie del procedimento legislativo sia solo apparente, sia perché è possibile configurare incentivi all'adozione volontaria di tali procedure volti a semplificare e accelerare la fase deliberatoria dell'atto formatosi a seguito delle medesime (come il contingentamento degli emendamenti, l'esame obbligatorio dei soli emendamenti segnalati, l'automatica adozione del procedimento legislativo in sede redigente o deliberante ed altro), sia perché a beneficiare di questa più ponderata elaborazione delle norme è la fase della loro attuazione e applicazione, senza contare che gli interventi normativi così elaborati possono prevedibilmente godere di una maggiore stabilità nel tempo;
    alcuni degli interventi sopra prefigurati possono essere attivati per volontà del Governo, tanto nell'esercizio dei poteri di autoregolazione e di normazione secondaria quanto in quello dell'iniziativa legislativa, mentre altri necessitano di modifiche regolamentari da parte delle Camere; questa mozione vuole essere solo un primo, anche se importante, passo in un percorso essenziale per il rinnovamento del sistema normativo italiano, nell'ambito del quale andrà valutata anche la possibilità di ricorrere, nell'ambito delle riforme costituzionali, allo strumento della legge organica per assicurare un rango superiore ai fondamentali principi della legislazione, in modo da garantirne il rispetto,

impegna il Governo:

   ad avvalersi del potere d'iniziativa legislativa, nonché di quello di normazione primaria e secondaria nell'effettivo rispetto della legge n. 400 del 1988, i cui principi e regole, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, sono spesso disattesi nel concreto ricorso a tali poteri, specie in sede di decretazione d'urgenza;
   a effettuare una revisione della disciplina concernente l'analisi tecnico-normativa, l'analisi di impatto della regolazione e la verifica dell'impatto della regolazione secondo i principi delineati in premessa, utilizzando tutti i poteri di autoregolamentazione riconosciutigli dalla legge e armonizzando tali interventi con le iniziative in corso di revisione dei regolamenti delle Camere, e in particolare a:
     a) intervenire sulla procedura di formazione dell'analisi tecnico-normativa e dell'analisi di impatto della regolazione, eventualmente anche istituendo una struttura interministeriale autonoma di assistenza agli uffici legislativi dei diversi ministeri, facente capo alla Presidenza del Consiglio dei ministri ed esclusivamente incaricata di monitorare in itinere la qualità dell'attività normativa ministeriale, collaborando a questa sotto il profilo dello svolgimento degli adempimenti richiesti dall'analisi tecnico-normativa e dall'analisi di impatto della regolazione, in modo da anticipare il più possibile l'intervento delle valutazioni ad essi coessenziali e da rendere contestuale l'elaborazione dell'intervento normativo con il controllo della sua qualità;
     b) rinforzare il controllo di adeguatezza delle relazioni concernenti l'analisi tecnico-normativa e l'analisi di impatto della regolazione, eventualmente anche attribuendo le funzioni di controllo relativo al corretto svolgimento degli adempimenti predetti ad un'unità indipendente di esperti – individuando un meccanismo di nomina che consenta di coinvolgere i Presidenti delle Camere – incaricata di una valutazione non vincolante per il dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei ministri, che resterebbe competente ad autorizzare l'iscrizione all'ordine del giorno del provvedimento in questione; con ciò consentendo, peraltro, unitamente a quanto proposto sub a) un riordino delle strutture esistenti, eventualmente anche nel senso di eliminare sovrapposizioni e duplicazioni di competenze;
    c) studiare la possibilità che, in caso di parere negativo della predetta unità indipendente ovvero di decisione del Consiglio dei ministri di esaminare un atto nonostante il parere negativo del dipartimento per gli affari giuridici e legislativi circa la sua iscrizione all'ordine del giorno, tali pareri negativi siano esplicitamente richiamati nelle premesse dell'atto di normazione secondaria ovvero nella relazione illustrativa d'accompagnamento al disegno di legge, consentendo così un maggiore controllo in sede parlamentare e di dibattito pubblico;
    d) intervenire sulla disciplina della verifica dell'impatto della regolazione, sia valorizzandola nell'ambito dell'analisi tecnico-normativa e dell'analisi di impatto della regolazione, quale presupposto oggetto di necessaria valutazione in quella sede, sia riordinando le competenze e le procedure per la sua esecuzione, eventualmente considerando la possibilità, in collaborazione con le Camere, di incaricare di tali adempimenti una struttura tecnica formata da componenti di nomina sia governativa sia parlamentare e regionale, configurata in modo tale da poter anticipare in via sperimentale quanto previsto dai progetti di revisione costituzionale all'esame del Senato della Repubblica in ordine alle funzioni di valutazione delle politiche pubbliche da attribuirsi alla seconda Camera;

   ad avviare, insieme al Parlamento e in collaborazione con le regioni e le autonomie locali, un percorso di elaborazione di una disciplina organica concernente le procedure di consultazione e dibattito pubblico, esperibili sia in sede di produzione normativa che in sede di amministrazione attiva.
(1-00493) «Balduzzi, Antimo Cesaro, Monchiero, Mazziotti Di Celso».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni X e XIII,
   premesso che:
    la bioeconomia rappresenta una delle possibilità, per i settori produttivi del sistema Paese, di rilancio dell'economia in chiave green con l'utilizzo di sottoprodotti agricoli che rappresentano, se non valorizzati opportunamente, delle esternalità negative per l'ambiente e la società;
    i materiali naturali rinnovabili e, in particolar modo quelli in eccesso, potrebbero essere il punto di partenza di nuovi e sostenibili cicli di produzione di una nuova politica industriale che sappia valorizzare le potenzialità inespresse che l'agricoltura può offrire per il rilancio dell'economia;
    le realtà di buone pratiche in Italia, in ambito «agro-bioeconomico», sono svariate ma, spesso, rappresentano solo il frutto di azioni prive di una struttura armonizzata e di sistema, sono il più delle volte il risultato di studi fatti da singoli soggetti, dalle università e dai centri di ricerca che rimangono confinati in dinamiche volontaristiche. A tal proposito, è necessario e indispensabile il supporto del Governo nella programmazione sistematica di medio-lungo periodo delle possibilità di straordinaria innovazione tecnologica che sono in grado di esprimere;
    gli esempi in tale ambito sono svariati. In Puglia una azienda in provincia di Lecce, la Sikalindi, è riuscita a realizzare, con l'utilizzo delle cladodi dei fichi d'india, molto diffusi nel Sud Italia – che altrimenti verrebbero potate lasciando le foglie a marcire sul terreno con la conseguente produzione di gas a effetto serra – delle fibre legnose vegetali con cui poter realizzare complementi d'arredo, tavoli, librerie, sedie, e altro. Le piante di fichi d'india sono oggetto di potature o sfoltimento, perché considerate dagli agricoltori delle infestanti, ma con appositi accordi di filiera ciò che poteva essere un rifiuto si è trasformato in una risorsa rinnovabile. La fibra è presente nelle cladodi in quantità notevole con delle peculiari ramificazioni che donano a questo nuovo materiale una texture sempre differente e di elevato pregio estetico e funzionale. Il materiale ottenuto dall'essicazione delle cladodi viene trattato con prodotti speciali e resine impregnanti per legno che hanno lo scopo di preservare il materiale, conferirgli la resistenza meccanica e renderlo impermeabile. Per fare ciò vengono utilizzati prodotti a basso impatto ambientale, provenienti da aziende con certificazione ambientale ISO 14001. L'azienda in questione ha avviato una collaborazione con il dipartimento di ingegneria dei materiali dell'università del Salento al fine di testare resine totalmente naturali. L'intero processo produttivo avviene all'interno di laboratori artigianali situati nell'area del Salento;
    l'istituto di chimica e tecnologia dei Polimeri, ICTP, del Consiglio nazionale di ricerca, CNR, di Pozzuoli (NA) ha messo a punto tecniche per l'utilizzo di materie prime di origine vegetale, non utilizzate per scopi alimentari, come le bucce dei pomodori San Marzano, da cui hanno ottenuto un film biodegradabile, biocompatibile e non tossico da utilizzare per le pacciamature delle piante, ossia quel processo di protezione e aiuto alla crescita delle piante nella fase più delicata dello sviluppo con alcuni strati di plastica stesi al suolo. Si pensi, che nel mondo vengono usate ogni anno circa 700 mila tonnellate di plastiche pacciamanti e che il loro destino è quello di un difficile riciclo, in quanto contaminate da terree sostanze organiche, o di finire nel terreno compromettendo la fertilità del suolo. Il vantaggio socio-ambientale del prodotto non è soltanto quello di essere composto da sostanze organiche, ma di poter essere utilizzato anche sotto forma di spray e non aver bisogno di essere rimosso, funzionando da ammendante del suolo perché si decompone a contatto con l'acqua piovana – mantenendo le performance per tempi confrontabili ai tradizionali additivati – dopo un certo periodo, non lasciando tracce e inquinanti;
    in Italia l'azienda Bio-on ha realizzato e brevetto la prima bioplastica PHAs (Polidrossialcanoati) al mondo completamente e naturalmente biodegradabile in acqua e al suolo. Si tratta della Minerv-PHA, un polimero biologico per la cui produzione si utilizzano gli scarti della lavorazione della barbabietola e della canna da zucchero, i quali anziché rappresentare un costo di smaltimento, diventano una risorsa economica con risvolti positivi sull'ambiente e l'ecosistema. Questo tipo di bioplastica è resistente al calore fino a 200° C, è impermeabile ai gas e ai liquidi e ha prestazioni meccaniche eccellenti. I seguiti applicativi di questo polimero biologico sono diversi, a partire dalla possibilità di utilizzarlo come substrato per i circuiti elettrici, combinato con opportune nano cariche, può diventare un conduttore di elettricità con prospettive straordinarie, prima su tutte, quella di ridurre drasticamente l'impatto che il fenomeno conosciuto e-waste ha sull'ambiente con i suoi 50 milioni di tonnellate di rifiuti prodotti ogni anno nel mondo dall'elettronica. Alcuni ricercatori dei dipartimenti di ingegneria delle università di Modena e Reggio Emilia stanno studiando la possibilità di incorporare circuiti elettrici ed elettronici in substrati plastici, al fine di ottenere un'elettronica flessibile, leggera, facilmente integrabile e sostenibile. La bioplastica PHAs può essere utilizzata anche per rigenerare un tessuto umano, in particolare per realizzare la struttura di supporto (scaffold) di colture di cellule ossee; strutture grazie alle quali è possibile rigenerare un osso umano. In laboratorio è stato dimostrato, empiricamente, che questo tipo di bioplastica, opportunamente combinata con particelle di ceramica o vetrose osteoinduttive in strutture altamente porose, sia adatto alla costruzione di scaffold compositi privi di citotossicità;
   il «cluster tecnologico nazionale della chimica verde» è stato creato nell'ambito della comunicazione (2011)809 della Commissione europea che istituisce il programma quadro di ricerca e innovazione «Horizon 2020», sotto la priorità «bioeconomy». Il cluster intende sviluppare a livello nazionale la promozione delle bioindustrie europee a basse emissioni di carbonio, efficienti sotto il profilo delle risorse, sostenibili e competitive. Le attività si concentrano sulla promozione della bioeconomia con la trasformazione dei processi e dei prodotti industriali convenzionali in prodotti e processi biologici efficienti nell'uso delle risorse e dell'energia, con lo sviluppo di bioraffinerie che utilizzano biomassa, rifiuti biologici e biotecnologici sottoprodotti derivati dalla produzione primaria e l'apertura di nuovi mercati attraverso il sostegno alla standardizzazione, alla regolamentazione e alle attività dimostrative/sperimentali e altri, tenendo conto delle conseguenze della bioeconomia sull'utilizzazione del terreno e delle modifiche di destinazione del terreno,

impegnano il Governo:

   a promuovere un monitoraggio e una successiva catalogazione delle buone pratiche e delle invenzioni in ambito bioeconomico al fine di strutturarle in un apposito processo ai sistema, o network della conoscenza, al fine di consentire lo sviluppo delle pratiche esposte in premessa in chiave sistemica e funzionale al rilancio della politica industriale del Paese;
   a incentivare lo sviluppo di «chemical» da fonti rinnovabili, con particolare riferimento all'utilizzo da prodotti di scarto dell'industria agroalimentare, residui forestali locali, o comunque a materie prime vegetali coltivate in terreni marginali o abbandonati dall'agricoltura;
   ad assumere iniziative per dettare norme di settore snelle, semplici e armonizzale in un testo unico, al fine di promuovere la costituzione sul territorio nazionale nei «distretti agroenergetici», per semplificare le procedure per il deposito dei brevetti, per garantire l'accesso al credito, per prevedere forme di defiscalizzazione del settore ed, eventualmente, la creazione di zone franche a supporto di investimenti tecnologici ad alto valore aggiunto nel campo della «agro-bioeconomia»;
   a porre in essere ogni iniziativa di competenza finalizzata ad adottare un «piano nazionale per la bioeconomia», già istituito in Europa da Germania, Olanda, Danimarca, Irlanda, Repubblica Ceca ed in via di definizione in Francia, che introduca un nuovo sistema di politica industriale-ambientale teso a favorire la riqualificazione ed il rilancio delle aree del Paese deindustrializzate, a sostenere la ricerca universitaria, l'innovazione pubblica e privata, i processi di internazionalizzazione e le reti di imprese, e, infine, a incoraggiare la domanda e l'offerta di bioprodotti.
(7-00383) «Franco Bordo, Ferrara, Palazzotto».


   La VIII Commissione,
   premesso che:
    il 3 giugno 2013, gli agenti del Corpo forestale dello Stato di Avellino hanno dato esecuzione al decreto di sequestro preventivo dello stabilimento e dell'area dove era allocata l'azienda «Isochimica spa», sita in Pianodardine – Zona A.S.I. di Avellino, disposto in via d'urgenza dalla procura della Repubblica ai sensi dell'articolo 321, comma 3-bis, del codice di procedura penale;
    gli accertamenti eseguiti dai periti nominati dalla procura della Repubblica di Avellino hanno confermato la presenza di ingenti quantità di amianto, circa 2.276 tonnellate, in gran parte del tipo crocidolite, irregolarmente smaltito all'interno dello stesso sito dell'isochimica spa, così come era stato riferito da alcuni lavoratori dell'ex «fabbrica dei veleni» nelle molteplici denunce depositate presso la procura della Repubblica di Avellino, già nei lontani anni 84/85;
    l'accertamento delle gravi condizioni, in cui lavoravano gli operai dell'ex isochimica fu compiuto, in sede giudiziale, per la prima volta, dall'allora procuratore della Repubblica di Firenze, dottor Beniamino Deidda, il quale, nell'anno 1988, dispose la chiusura dei capannoni A e B della predetta fabbrica. Successivamente, vi fu la dichiarazione di fallimento della società;
    il nove maggio 2013, il professor Auriemma, consulente tecnico d'ufficio nominato nel 2011 dalla procura della Repubblica di Avellino, è pervenuto a conclusioni allarmanti in ordine allo stato dei luoghi, testualmente dichiarando: «a causa della suddetta criticità, è in atto un pericolo concreto per la salute pubblica ed incolumità per la dispersione di fibre di amianto nell'area dello stabilimento dell'ex isochimica. Tale pericolo, a suo tempo rilevato con precedenti studi, è dovuto all'ulteriore stato di degrado dei manufatti stoccati nell'area». Il professor Auriemma ha, dunque, evidenziato la pericolosità dello stabilimento dell'ex isochimica, definendolo una bomba ecologica nel cuore della città, assolutamente da bloccare;
    gli accertamenti del professor Auriemma sono stati recentemente confermati anche dai professori Gualtiero Ricciardi ed Umberto Moscato, entrambi nominati nell'anno 2011, all'atto della nuova indagine voluta dall'allora procuratore della Repubblica di Avellino, dottor Angelo Di Popolo. I due superperiti, provenienti dall'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma hanno affermato, senza alcuna esitazione, che: «il pericolo di vita è sussistente...»;
    nelle cinquanta pagine dell'ordinanza di convalida del sequestro del sito dell'ex Isochimica spa, a firma del GIP, dottor Giuseppe Riccardi, si legge: «ricorre altresì il periculum in mora sussistendo il grave pericolo che la libera disponibilità del sito, dove fu svolta la criminosa attività connessa alla lavorazione dell'amianto, possa aggravare o protrarre le conseguenze dei reati contestati, compromettendo ulteriormente l'integrità dell'ambiente nonché l'incolumità delle persone e l'esigenza che i reati di disastro ambientale e omissioni in atti d'ufficio siano portati ad ulteriori conseguenze»;
    è del tutto evidente che l'azione di bonifica e messa in sicurezza del sito nonché il monitoraggio epidemiologico dei lavoratori e della popolazione residente in prossimità degli impianti dismessi non può essere a carico esclusivamente delle istituzioni locali considerate le oggettive dimensioni dell'area e necessita di un'assunzione di responsabilità anche da parte del Governo centrale come avvenuto già per altri siti nelle medesime condizioni;
    la caratterizzazione ambientale del sito, effettuata nel 2006 e il progetto di bonifica, approvato nel 2008, ai sensi del decreto ministeriale n. 471 del 1999 sono stati aggiornati, in accordo con comune e ARPAC, al fine di tener conto di tutti i dati analitici disponibili e degli aspetti di seguito elencati: la normativa nel frattempo intervenuta in campo ambientale con il decreto legislativo n. 152 del 2006, che modifica il procedimento di bonifica prevedendo anche l'analisi di rischio sito-specifica; la modifica della conoscenza dello stato dei luoghi; la necessità di approfondire le indagini effettuate in fase di caratterizzazione; gli interventi effettuati e quelli in corso; la necessità di intervenire in modo definitivo anche sulle coperture dei capannoni, oltre che sui cubi e sull'amianto seppellito nel sottosuolo; la redazione di tale piano integrativo, stimata da ARPAC in euro 4.500,00, è stata affidata, con DD n. 702 del 16 maggio 2014 alla predetta Agenzia che, tra l'altro, ha partecipato al procedimento ai sensi del decreto ministeriale n. 471 del 1999 e ha effettuato, nel tempo, ulteriori indagini;
    quanto alla copertura finanziaria per la realizzazione della bonifica dell'area Isochimica, si rappresenta che nel bilancio regionale gestionale 2014/2016 non risulta alcuno stanziamento per interventi di bonifica, né è possibile utilizzare le risorse del POR FESR 2007/13 Obiettivo Operativo 1.2 in quanto trattasi di sito di proprietà e gestione privata;
    la regione Campania ha richiesto formalmente al MATTM, con nota prot. n. 0961/SP del 13 febbraio 2014, il finanziamento dell'intervento di bonifica dell'area in argomento, indicandolo come prioritario, a valere sui fondi FSC 2014-2020 destinati al piano nazionale amianto,

impegna il Governo

   a procedere, su richiesta della regione Campania all'inserimento del sito in questione tra quelli di interesse nazionale e quindi ad impegnarsi direttamente nel processo di bonifica e messa in sicurezza dell'area dell'ex Isochimica nonché a valutare la possibilità del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di costituirsi parte civile nel procedimento giudiziario in corso nei confronti dei responsabili dei gravi fenomeni di inquinamento registrati;
   a coadiuvare l'azione della regione Campania per la bonifica del sito attraverso uno stanziamento di fondi adeguati;
   a verificare la possibilità di assumere iniziative per prevedere misure di sostegno per l'accesso al trattamento previdenziale a partire dai lavoratori ex dipendenti della fabbrica che ad oggi risultano colpiti dalle gravi patologie asbesto-correlate;
   a prevedere, per quanto di competenza un costante monitoraggio sulle condizioni di salute per tutta la popolazione residente in prossimità dello stabilimento considerata la sua vicinanza all'area urbana.
(7-00384) «Bratti, Famiglietti, Mariastella Bianchi, Borghi, Braga, D'Agostino, Tino Iannuzzi, Mariani, Paris, Realacci».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   con riferimento ai recenti dati pubblicati dall'ISTAT, sulla disoccupazione giovanile cresciuta in Italia al 46 per cento, raggiungendo nel primo trimestre dell'anno, livelli massimi che non si registravano dal 1977, gli interpellanti evidenziano il preoccupante aumento dell'impiego dei lavoratori stagionali stranieri nel nostro Paese, che provengono dai Paesi dell'Est facenti parte dell'Unione europea, i cui effetti stanno indebolendo le assunzioni dei lavoratori italiani, in particolare quelli delle regioni di confine come il Friuli Venezia Giulia;
   gli interpellanti segnalano, altresì, che fra le diverse cause che hanno influito in modo negativo ad aggravare tale fenomeno, emerge un elemento distorsivo, imputabile alla promozione sul mercato italiano da parte delle agenzie internazionali di lavoro interinale, di reclutamento di cittadini provenienti da Stati dell'Unione europea come Romania e Bulgaria con gli stessi stipendi dei medesimi Paesi, per la definizione di un rapporto di lavoro pari a 21 euro all'ora per un italiano e 7 euro per uno straniero, anche se comunitario;
   gli effetti altamente svantaggiosi, di tale «dumping contrattuale» che determina l'estromissione (dalla stagione in particolare quella estiva), dei lavoratori italiani, costringendo i datori di lavoro ad una gara al ribasso, oppure alla perdita dell'occupazione, accrescendo i costi sociali ormai insostenibili, si manifestano in maniera rilevante in tutta l'area nazionale ed in particolare, proprio all'interno delle regioni a cavallo della frontiera fra due Stati diversi;
   gli interpellanti evidenziano, inoltre, come le attività commerciali e turistiche all'interno del tratto transfrontaliero italo-sloveno, siano influenzate dall'elevata presenza di lavoratori che svolgono la professione di camerieri e addetti alla ristorazione di nazionalità straniera, emarginando in concreto, come in precedenza esposto, i lavoratori italiani ed in particolare la fascia giovanile, ed escludendo in maniera evidente dal mercato, un settore che in passato consentiva opportunità dignitose ad una significativa fascia di lavoratori;
   a giudizio degli interpellanti, quanto suesposto conferma come dalle rilevazioni trimestrali per il 2014 fornite dall'ISTAT, sulla disoccupazione, emergano rilievi sfavorevoli che non sono derivati soltanto dalla congiuntura economica negativa, ma anche dalle precise conseguenze di un'integrazione europea che non ha tenuto in considerazione gli interessi della comunità nazionale, che, anche per questo, avverte spesso l'Unione europea come un soggetto istituzionale avverso ed ostile, piuttosto che un'opportunità di crescita e di sviluppo;
   la Confederazione italiana sindacato dei lavoratori-Cisl, analizzando il fenomeno del «dumping contrattuale,» ha evidenziato come esso sia diffuso in modo esteso nel nostro Paese, in considerazione del fatto che soltanto l'80 per cento dei lavoratori italiani, sono garantiti da un contratto nazionale, mentre il restante 20 per cento è costituito da precari, soprattutto di giovane età, assunti spesso con false partite Iva o Co.Co.Pro;
   all'interno di tale contesto, s'inserisce proprio la suesposta controversia dei lavoratori stranieri, spesso quelli comunitari, provenienti come in precedenza indicato dall'Est europeo, spesso sottopagati o pagati in maniera irregolare, per i quali a giudizio degli interpellanti, è necessario un adeguamento della legislazione europea, che faccia da riferimento normativo al «diritto dell'equo compenso», in virtù del quale i salari nazionali siano determinati tramite una contrattazione nazionale;
   in tale ambito la direttiva 2006/123/CE, meglio nota come «direttiva Bolkestein» relativa ai servizi nel mercato interno, ha consentito la possibilità di assumere attraverso l'intermediazione delle agenzie internazionali di lavoro interinale, aventi sede all'estero e filiale in Italia, i servizi dei propri compatrioti, con uno stipendio più ridotto, permettendo, di conseguenza, che i contributi siano versati da parte delle imprese italiane nel Paese d'origine, e determinando pertanto un intollerabile danno (con effetti secondo gli interpellanti discriminatori) sia previdenziale che economico per il sistema occupazionale nazionale a discapito dei lavoratori italiani;
   tale processo ha inciso pertanto in maniera estremamente sfavorevole sull'economia italiana, condizionando pesantemente il tasso di disoccupazione nazionale e le variazioni congiunturali;
   a giudizio degli interpellanti, il fenomeno risulta essere di estrema gravità, in considerazione del fatto che gli effetti penalizzanti si manifestano, oltre che nelle regioni transfrontaliere, anche in quelle ad alta vocazione turistica come la Sardegna, sovvertendo le dinamiche del comparto medesimo e dei servizi, in cui un elevatissimo numero di figure professionali denominati low cost (dai baristi, agli addetti delle pulizie e alla cucina), risulta proprio provenire da quei Paesi dell'Est europeo in precedenza indicati;
   interventi mirati e rigorosi anche in sede europea, volti ad interrompere un processo quale quello in precedenza esposto, particolarmente grave per la tutela dei livelli occupazionali del sistema-Paese, in grado di invertire un trend così negativo, risultano a giudizio degli interpellanti indifferibili, per far cessare un fenomeno quale il «dumping contrattuale» così pervasivo e nocivo per l'economia italiana, la cui concorrenza sleale produce effetti devastanti per le imprese sane e deve essere contrastata severamente –:
   quali orientamenti intendano esprimere, nell'ambito delle rispettive competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   quale sia il numero complessivo attuale dei contratti stipulati riferiti ai lavoratori stagionali stranieri provenienti dai Paesi dell'Est facenti parte dell'Unione europea;
   se intendano assumere iniziative per rivedere il ruolo di promozione svolto dalle agenzie internazionali di lavoro interinale, nell'ambito delle assunzioni stagionali dei suddetti lavoratori, all'interno del mercato del lavoro italiano, la cui indennità risulta essere pari a 7 euro all'ora, rispetto ai 21 euro all'ora, nel caso la retribuzione riguardasse un lavoratore italiano;
   in caso affermativo, se non ritengano urgente ed opportuno, in considerazione dei livelli di criticità esposti in premessa, prevedere adeguate iniziative anche in sede comunitaria, volte a modificare l'attuale disciplina normativa della direttiva 2006/123/CE, meglio nota come «direttiva Bolkestein» relativa ai servizi nel mercato interno, i cui effetti altamente penalizzanti sia in termini occupazionali, economici, contribuiscono ad aggravare l'attuale situazione sociale, economica ed occupazionale del Paese, il cui tasso di disoccupazione come esposto in premessa ha raggiunto livelli intollerabili.
(2-00568) «Sandra Savino, Faenzi, Parisi».

Interrogazioni a risposta scritta:


   GULLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 1188 del 23 giugno 1927, intitolata «Toponomastica stradale e monumenti a personaggi contemporanei», all'articolo 1, dispone che «Nessuna denominazione può essere attribuita a nuove strade e piazze pubbliche senza l'autorizzazione del prefetto o del sottoprefetto, udito il parere della regia deputazione di storia patria, o, dove questa manchi, della società storica del luogo o della regione»;
   è, purtroppo, divenuta prassi usuale dei comuni procedere all'intitolazione senza udire il parere previsto «della regia deputazione di storia patria, o, dove questa manchi, della società storica del luogo o della regione»;
   la circolare Ministero dell'interno del 10 febbraio 1996, n. 4, ha constatato come i comuni procedano spesso a mutare i nomi di vie esistenti e/o intitolare quelle nuove senza rispettare l’iter previsto relativamente all'aspetto autorizzatorio;
   gli stessi comuni procedono spesso senza richiedere il parere «della regia deputazione di storia patria, o, dove questa manchi, della società storica del luogo o della regione» –:
   se sia da considerarsi valida la procedura priva del parere «della regia deputazione di storia patria, o, dove questa manchi, della società storica del luogo o della regione»;
   se l'espressione «società storica del luogo» di cui alla legge n. 1188 del 23 giugno 1927 debba intendersi riferita alle società di storia patria, ove in loco esistenti, ovvero a quale tra le diverse società storiche eventualmente esistenti faccia riferimento. (4-05057)


   SCAGLIUSI, LOREFICE, DE LORENZIS, SPADONI, CECCONI, L'ABBATE, SIBILIA e TOFALO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   in data 27 settembre 2013, la direzione nazionale delle migrazioni (DGM), presso il Ministero dell'interno e della sicurezza della Repubblica democratica del Congo, ha informato tutte le ambasciate dei Paesi di accoglienza della sospensione per 12 mesi, a partire dal 25 settembre 2013, delle operazioni per il rilascio dei permessi di uscita per i bambini adottati dalle famiglie straniere;
   nell'ottobre 2013, comunque, le autorità della Repubblica democratica del Congo, hanno permesso la delineazione di una lista di coppie, con documentazione già conclusa entro il 25 settembre 2013, che avrebbero avuto il permesso di recarsi nel Paese per portare a compimento l'adozione dei figli;
   durante i primi di novembre, di ritorno da Kinshasa per un incontro con le autorità competenti, l'allora Ministro per l'integrazione, Cécile Kyenge, anche presidente della Commissione adozioni internazionali, ha riportato che in tale occasione le è stata sottolineata l'ottima reputazione di cui godeva il sistema italiano e che le era stato assicurato che sarebbero state ripristinate immediatamente tutte le pratiche di adozione che avevano già ottenuto l'approvazione definitiva delle autorità locali;
   il 4 novembre 2013, l'allora Ministro Kyenge dichiarava di aver raggiunto una conclusione positiva per 24 adozioni bloccate da un cavillo burocratico avendo fatto «ripristinare tutte le pratiche di adozione che avevano già ricevuto l'approvazione definitiva delle autorità locali»;
   il 28 maggio 2014 un aereo dell'Aeronautica militare proveniente da Kinshasa, giungeva a Ciampino con a bordo i 31 bambini congolesi adottati da famiglie italiane. Sul volo, c'era anche il Ministro per le riforme e i rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi;
   di ritorno da Kinshasa, la vice presidente della Commissione adozioni internazionali, Silvia Della Monica, ha affermato (http://goo.gl/JjLMl4) che ci sono altre sette coppie italiane nelle stesse condizioni di quelle che hanno abbracciato i loro figli ma che sono ancora in attesa –:
   quale sia la situazione ad oggi per le 7 coppie ancora in attesa;
   cosa intenda fare il Governo per risolvere quanto prima la situazione delle sette coppie di italiani ancora in attesa di abbracciare i loro figli adottivi. (4-05067)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DALLAI, PARRINI, BORGHI e SANI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in base alla «road map» resa nota da tempo dalle autorità ed istituzioni preposte, entro il prossimo mese di luglio, compatibilmente con le condizioni meteorologiche, dovrà essere effettuato lo spostamento del relitto della Costa Concordia naufragata davanti all'isola del Giglio (provincia di Grosseto) il 13 gennaio 2012;
   secondo quanto emerso dai media il 5 giugno 2014 si è tenuta la conferenza di servizi, in sede referente, volta ad istruire i lavori della conferenza di servizi in fase deliberante, prevista per il 15 giugno, nella quale sarà individuato il porto dove verrà trasportato e demolito il relitto della nave;
   in base a quanto disposto nella delibera del Consiglio dei ministri 11 marzo 2013, recante «Autorizzazione al Commissario delegato per l'emergenza ambientale conseguente al naufragio della nave Costa Concordia, ad adottare i provvedimenti necessari a consentirne il trasporto nel porto di Piombino e lo smantellamento», la nave Concordia è destinata alla demolizione e, come tale, soddisfa la definizione di «rifiuto» ai sensi della direttiva 2008/98/UE e del regolamento (CE) n. 1013/2006, ed è quindi assoggettata al relativo regime giuridico di gestione, di controllo e sanzionatorio i cui aspetti e competenze sono attribuiti alla regione Toscana;
   tale delibera specifica che l'allegato III al regolamento (CE) n. 1013/2006, voce GC030, classifica tra i rifiuti contenenti metalli le «navi ed altre strutture galleggianti destinate alle demolizioni adeguatamente vuotate di qualsiasi carico e di altri materiali serviti al loro funzionamento che possono essere classificati come sostanze o rifiuti pericolosi»;
   il parametro della vicinanza tra relitto e porto di smantellamento è in questo caso particolarmente importante, in considerazione del fatto che la zona in cui è avvenuto il naufragio è di altissimo pregio ambientale e prossima all'area protetta di valenza nazionale definita «Santuario dei Cetacei»;
   il commissario delegato per l'emergenza ambientale conseguente al naufragio della nave Costa Concordia, dottor Franco Gabrielli, nel corso della sua audizione presso la Commissione VIII Ambiente della Camera dei deputati, avvenuta il 17 aprile 2014 «inerente l'evoluzione della vicenda relativa alla rimozione della Costa Concordia» ha sottolineato che la selezione del porto di destinazione del relitto compete all'armatore, nel rispetto delle normative nazionali e comunitarie, della certezza dell'esito e della protezione dell'ambiente e della sicurezza sul luogo di lavoro;
   nell'audizione è inoltre emerso che l'armatore ha provveduto ad emanare un apposito «invito» per individuare il porto per lo smantellamento. A tale invito hanno risposto positivamente 13 porti di cui 4 italiani (Piombino, Civitavecchia, Genova e Palermo; in ordine crescente di distanza dal luogo del relitto);
   il 30 maggio il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Maurizio Lupi ha comunicato che lo smaltimento avverrà in un porto italiano;
   il porto logisticamente più prossimo e dunque meno rischioso per le potenziali problematiche legate al trasporto è il porto di Piombino, qualora tale sito risulti conforme ai lavori preposti nei tempi stabiliti;
   il 30 maggio 2014 il commissario dell’Authority portuale di Piombino Luciano Guerrieri ha confermato, anche a mezzo stampa, che i lavori per l'adeguamento e l'allestimento della banchina per accogliere e smantellare il relitto della Costa Concordia «procedono secondo i tempi stabiliti»;
   secondo i media, Costa Crociere (notizia confermata anche dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Gian Luca Galletti), in un dossier inviato al Governo, ha individuato il porto di Genova quale sito per accogliere il relitto della Concordia –:
   quali siano i vincoli ambientali ed i relativi parametri logistici, nel rispetto delle norme nazionali e comunitarie sullo smaltimento dei rifiuti ed in virtù dei contenuti e degli indirizzi presenti nei documenti citati in premessa (delibera del Consiglio dei ministri 11 marzo 2013 e relazione del commissario delegato del 17 aprile 2014), sulla base dei quali verrà identificato il sito italiano di smantellamento del relitto della Costa Concordia. (5-02951)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CORDA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che;
   la terra di Sardegna rischia di subire uno dei disastri ecologici più gravi della storia italiana;
   gli scempi compiuti nell'agro di Furtei rischiano di far esplodere una vera e propria bomba ecologica, a causa della disastrosa situazione in cui versano le colline sventrate e spoglie, infestate di laghi al cianuro;
   nel 1997 la Sardinia Gold Mining annuncia la fusione del primo lingotto d'oro della nuova Eldorado italiana, nel comune di Furtei, a 40 chilometri da Cagliari;
   un giacimento che si estende su di una superficie complessiva di circa 3.000 ettari, a lungo indagato dall'Agip e poi rilevato da due società minerarie australiane, in aggiunta al finanziamento del 10 per cento da parte della regione Sardegna;
   vengono aperte 4 miniere a cielo aperto ed alcuni bacini per lo stoccaggio dei reflui chimici del trattamento di arricchimento;
   nel 2008 la concentrazione del metallo scende però a valori così poco remunerativi che la miniera viene improvvisamente abbandonata, gli imprenditori australiani spariscono con il loro bottino, i 42 lavoratori vengono messi in cassa integrazione; questi ultimi ad oggi vigilano sui bacini al cianuro ed intervengono, a titolo gratuito e volontario, per impedire tracimazioni dei veleni nelle campagne sottostanti;
   dopo i primi interventi di emergenza da parte della giunta regionale (deliberazione n. 34/20 del 20 luglio 2009 – stanziamento di 250 mila euro – e deliberazione n. 37/7 del 30 luglio 2009 – predisposizione del piano di caratterizzazione), l'Esecutivo isolano con la deliberazione n. 43/42 del 6 dicembre 2010, con grave ritardo, affronta sul piano finanziario la pesantissima crisi ambientale conseguente all'abbandono della miniera d'oro di Santu Miali;
   la progettazione e realizzazione dei lavori di ripristino ambientale, per un importo di 16 milioni di euro, da completarsi entro il 2015, sono affidate alla società in house I.G.E.A. s.p.a, come di seguito sinteticamente indicato:
    progettazione e realizzazione di un impianto di trattamento delle acque provenienti dal bacino sterili e dalle cavità ex minerarie ubicate nelle aree di coltivazione denominate «Is Concas, Su Masoni e Sa Perrima»;
    progettazione e realizzazione della messa in sicurezza delle medesime aree, con eventuale impermeabilizzazione del fondo e delle pareti e la ricostruzione volumetrica del profilo e rinaturazione;
    progettazione e messa in sicurezza permanente dei bacino di accumulo sterili;
   viene promessa la «costruzione di un eco-parco», una volta terminate le attività estrattive, promessa rimasta sulla carta, nonostante gli 80 milioni di euro fatturati in un decennio di estrazione di metalli preziosi: 5 tonnellate d'oro, 6 mila d'argento e 15 mila di rame;
   il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore onorevole Andrea Orlando, nel febbraio 2014, ha precisato che è necessario che la regione Sardegna trasmetta al dicastero l'istruttoria per il risanamento ambientale, in modo da essere investito istituzionalmente e prendere provvedimenti –:
   se il Ministro abbia ricevuto l'istruttoria che lo investa istituzionalmente e quali iniziative di competenza intenda adottare per il ripristino ambientale.
(4-05055)


   MARZANA, LOREFICE, GRILLO, DI VITA, DI BENEDETTO, ZOLEZZI, SEGONI, TERZONI, DAGA, BUSTO, VILLAROSA, LUPO, RIZZO e CURRÒ. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Vega è la più grande piattaforma petrolifera fissa offshore realizzata in Italia. Il giacimento Vega ricade nella concessione di coltivazione denominata «C.C6.EO», ubicata a sud della costa meridionale della Sicilia, a largo di Pozzallo, in provincia di Ragusa, in una area che si estende su di una superficie di 184,8 chilometri quadrati. Le quote di partecipazione della concessione sono 60 per cento Edison spa, che è anche operatore della concessione, e 40 per cento ENI spa;
   il programma di sviluppo di tale giacimento, approvato contestualmente al rilascio della concessione di coltivazione con Decreto del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato (MICA) del 17 febbraio 1984, prevedeva la realizzazione di n. 2 piattaforme (Vega A e Vega B);
   poiché ad oggi le attività di coltivazione hanno interessato il solo giacimento Vega A è intenzione di Edison spa procedere, a completamento del programma lavori approvato, allo sviluppo del Campo Olio Vega B attraverso la realizzazione di una piattaforma fissa di tipo «minimum facilities», ubicata a circa 6 chilometri di distanza da Vega A, con conseguente perforazione di n. 4 pozzi iniziali fino ad un massimo di n. 12 pozzi;
   l'attività di esplorazione finalizzata alla scoperta di giacimenti petroliferi e idrocarburi comporta per sua natura operazioni invasive dei fondali e degli ambienti marini e presenta un elevato livello di rischio ambientale, attinente sia alle modalità tecniche di trivellazione e alle sostanze chimiche impiegate per controllare i processi, che al rischio di sversamenti nel corso della manutenzione degli impianti e del trasporto dei materiali estratti;
   nonostante si possa pensare che questo intervento avrebbe delle ricadute positive, dal documento Quadro di riferimento ambientale presentato dalla Edison al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si legge «I lavori di installazione e perforazione (...) determineranno una riduzione della superficie utilizzabile per l'attività di pesca (...)» con evidente riduzione delle già esigue risorse a disposizione del comparto marittimo;
   inoltre, in relazione alla possibilità di una stabile occupazione locale, la Edison nello stesso documento conclude che anche in fase di esercizio non si prevedono significativi incrementi occupazionali;
   da queste considerazioni deriva la convinzione dell'assoluta inopportunità a proseguire o ad autorizzare nuove trivellazioni nella zona poiché si intaccherebbe l'integrità dei siti marini e l'immagine ad alto valore naturalistico peculiare del Canale di Sicilia, uno dei mari a più alta biodiversità del Mediterraneo;
   si aggiunga il concreto rischio ambientale dato dalla possibilità di sversamenti di idrocarburi ed incidenti che potrebbero devastare non solo l'economia di Pozzallo, ma quella dell'intero Canale di Sicilia;
   a tal proposito la procura del tribunale di Modica ha già avviato nei confronti di alcuni dirigenti del Campo Vega un procedimento che li vede imputati per il reato di illecito profitto dovuto allo smaltimento di rifiuti pericolosi non autorizzato per l'attività estrattiva e di stoccaggio degli idrocarburi del campo petrolifero Vega al largo di Pozzallo;
   il Parlamento europeo ha votato il 21 maggio 2013 la risoluzione legislativa in prima lettura sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla sicurezza delle attività offshore i prospezione, ricerca e produzione nel settore degli idrocarburi, con la quale si avvia a compimento il procedimento per l'adozione del nuovo regolamento che prevede sostanziali innovazioni normative in materia di autorizzazione delle attività estrattive, prevenzione degli incidenti, responsabilità per il danno ambientale e cooperazione fra gli Stati membri dell'Unione europea;
   va altresì rilevato come l'Italia è una sorta di paradiso fiscale per i petrolieri, infatti, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625, e successive modificazioni e integrazioni, le royalties gravano per il 10 per cento sugli idrocarburi liquidi e gassosi estratti onshore e per il 4 per cento su quelli estratti in mare, contro una media delle aliquote applicate negli altri Paesi del mondo che oscilla tra il 20 e l'80 per cento;
   inoltre in Sicilia, come nel resto d'Italia, per ogni singola concessione c’è una franchigia annua per le prime 50 mila tonnellate per le estrazioni offshore equivalenti a 300 mila barili di petrolio. Sotto questa soglia produttiva, le società non sono tenute a pagare l'esiguo 4 per cento per le estrazioni offshore. Si aggiunga che è la compagnia l'unica responsabile della corretta misurazione delle quantità prodotte comunicate mensilmente all'URIG;
   la regione siciliana, in attuazione della Convenzione di Barcellona per la tutela e la prevenzione del Mar Mediterraneo, ha già chiesto al Governo nazionale il blocco temporaneo e immediato di tutte le autorizzazioni per progetti di ricerca e perforazioni offshore, comprese quelle la cui istruttoria risulta in itinere, in attesa di una celere e puntuale regolamentazione della materia e la rapida istituzione nel Canale di Sicilia di una zona di protezione ecologica (ZPE), così come esiste nel Mar Ligure e nel Mar Tirreno;
   di contro, nel decreto ministeriale del 27 dicembre 2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 60 del 12 marzo 2013 è disposto il più grande allargamento di una zona marina concedibile per attività petrolifera «Zona marina C – settore sud» che si sovrappone addirittura ai blocchi di mare di Malta per cui si è reso necessario N1 novembre 2013 un incontro tra il Presidente del Consiglio Enrico Letta e il premier maltese Joseph Muscat al fine di superare l'impasse sull'esplorazione nelle aree contese attraverso un accordo che sarà perfezionato entro la fine dell'anno –:
   quali misure intenda adottare, ed entro quali termini, a tutela dell'area marina interessata dal progetto di realizzazione della piattaforma petrolifera Vega B;
   se il Ministro intenda sospendere l’iter di tutte le autorizzazioni per nuove attività di prospezione e coltivazione di giacimenti di idrocarburi nel Mediterraneo in attesa della definitiva approvazione e dell'entrata in vigore del nuovo regolamento in materia in corso di adozione in sede di Unione europea e in attuazione della Convenzione di Barcellona già richiamata dalla regione Sicilia;
   in che modo e con quali tempi intenda procedere alla istituzione nel canale di Sicilia di una zona di protezione ecologica come previsto dalla legge n. 61 del 8 febbraio 2006;
   se ritenga di dover rivedere il complesso delle autorizzazioni per la ricerca, le prospezioni e le perforazioni in mare rilasciate a seguito del decreto del Ministro dello sviluppo economico del 27 dicembre 2012, che ha ampliato la zona marina «C»;
   quali iniziative intenda intraprendere per prevedere un sensibile incremento delle aliquote di royalties e di prelievo fiscale attualmente vigenti eventualmente prevedendo controlli esterni sulla quantità di idrocarburi estratti. (4-05064)


   MARZANA, GRILLO, DAGA, TERZONI, ZOLEZZI, LOREFICE, DI VITA, CANCELLERI, VILLAROSA, LUPO, BUSTO, RIZZO, CURRÒ e DI BENEDETTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la tutela dell'ambiente è riconosciuta dal secondo comma dell'articolo 9 della Costituzione, secondo cui la Repubblica «tutela il paesaggio», mentre la disciplina contenuta nell'articolo 32 della Costituzione tutela la salute come diritto fondamentale dell'individuo e della collettività;
   nonostante queste tutele, la gestione dei rifiuti in Sicilia è diventata un'emergenza infinita, ma anche la situazione delle discariche dismesse è preoccupante, proprio a causa della grande quantità di rifiuti convogliati nel corso degli anni, spesso in assenza di adeguata protezione e controllo;
   orbene, nel comune di Noto (SR), in contrada Bommiscuro, in territorio contiguo al Comune di Rosolini (SR), ad una quota di 80 metri sul livello del mare, con una pendenza di 6 gradi circa, con inclinazione verso la Saia Baroni, normalmente utilizzata per fini irrigui, è ubicata una discarica dove sarebbero stati sversati, ed illecitamente interrati, rifiuti speciali altamente tossici e nocivi per la salute pubblica, declassati in rifiuti ordinari, provenienti anche dalla zona industriale del petrolchimico di Priolo-Melilli-Augusta;
   la base della discarica presenta un'alta permeabilità per fessurazione poiché risulta impostata su di un terreno marnoso con strati calcarei molto fratturati, costituenti il tetto della falda; l'area della predetta discarica risultava gestita e di proprietà della ditta BODEIN srl, allo stato in fallimento, la cui gestione a far data dal 3 agosto 1995, è passata alla ditta SBI, Smaltimento bonifiche industriali srl;
   in data 18 settembre 1992 viene disposto il sequestro della discarica e i periti d'ufficio nominati dal pubblico ministero della procura della Repubblica presso la Pretura Circondariale di Siracusa (procedimento penale n. 9116/92), nella perizia da loro redatta, evidenziavano: «Lo stato dei luoghi (...) è sicuramente difforme dalle condizioni di progetto (...). Infatti l'area interessata allo smaltimento dei rifiuti presenta: una quota di gran lunga superiore (...) con quanto progettato dalla stessa BODEIN sin dal 1986; un sistema di intercettazione delle acque “defluenti” dal corpo della discarica assolutamente non idoneo (...) la presenza di evidenti fenomeni di ruscellamento con conseguente spandimento di materiale della discarica sia in direzione del varco di accesso, sia nel vicino uliveto. La tecnica di smaltimento adottata per la posa dei rifiuti (...) sicuramente difforme (...)»; per quanto attiene ai volumi di rifiuti presenti in discarica: «Il valore totale stimato è (...) superiore alla capacità autorizzata»;
   nel triennio 2000/2002 a seguito del riscontro di un alto tasso di mortalità causata da tumori nella popolazione del comune di Rosolini, presumibilmente riconducibile all'inquinamento delle falde acquifere della Saia Baroni utilizzata per l'agricoltura, dai reflui provenienti dalla discarica in questione, il sindaco di Rosolini, pro tempore, con delibera della giunta comunale n. 316/2 e successiva integrazione istituì una «Commissione di studio per indagine sul problema malattie tumorali nel territorio comunale»;
   l'indagine della commissione ha prodotto un elenco di 139 soggetti deceduti per tumore nel territorio comunale, evidenziando una maggiore mortalità per tumori nel sesso maschile (anni 2000/02 numero di morti attese 66,69 – numero di morti rilevati 98) e che interessa maggiormente tumori del polmone (numero di morti attese 17,15 – numero di morti rilevati 32) e del colon retto (numero di morti attese 6,90 – rilevati 17);
   cosicché, sulla scorta dei risultati prodotti dalla (Commissione si avviò un secondo procedimento penale nei confronti dei proprietari della discarica, accusati di aver conferito in concorso tra loro rifiuti tossici e nocivi non compatibili con la tipologia « 2B» e cagionanti l'inquinamento delle acque attigue;
   nel corso del dibattimento del suddetto procedimento pendente avanti la corte di assise di Siracusa, ove la provincia regionale ed i comuni di Rosolini e Noto si sono costituiti parte civile, è emerso che la discarica continua a produrre percolato che si spande nei terreni circostanti, coltivati ad ortofrutta, con ulteriore pericolo di infiltrazioni e avvelenamento per la falda acquifera ed il torrente Passo Corrado;
   difatti, da un decennio a questa parte, Rosolini presenta un tasso di mortalità per tumore decisamente superiore alle medie provinciali, regionali e nazionali, la discarica rimane ancora luogo da cui le sostanze inquinanti altamente nocive si diffondono nell'ambiente circostante: i rilievi compiuti dall'autorità giudiziaria sui luoghi hanno rivelato l'avvelenamento delle acque di un laghetto attiguo alla discarica, risultate avvelenate dalla presenza di mercurio, nonché di cloruri e fosfati di gran lunga superiori ai parametri di legge, dei pozzi circostanti l'area interessata, nonché della faglia superficiale contaminata da idrocarburi policiclici aromatici;
   le indagini e i relativi procedimenti penali avrebbero dovuto portare ad immediati interventi di messa in sicurezza, in vista dell'approvazione di un piano di caratterizzazione e bonifica, invece, ad oggi, quel sito, rinominato «discarica dei veleni», non risulta ancora bonificato, nonostante l'area in questione figurerebbe nel piano regionale bonifiche redatto dall'Ufficio del commissario delegato per l'emergenza rifiuti e per la tutela delle acque in Sicilia, con alta priorità di intervento;
   con decreto del Presidente della Repubblica 17 gennaio 1995 è stato approvato il «Piano di disinquinamento per il risanamento del territorio della provincia di Siracusa-Sicilia Orientale»;
   la legge 9 dicembre 1998, n. 426, «Nuovi interventi in campo ambientale», all'articolo 1, disciplina la realizzazione di interventi di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati, anche in caso di loro dismissione;
   anche, il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, all'articolo 250, è molto chiaro: «Qualora i soggetti responsabili della contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti disposti dal presente titolo ovvero non siano individuabili e non provvedano né il proprietario del sito né altri soggetti interessati, le procedure e gli interventi [...] sono realizzati d'ufficio dal comune territorialmente competente e, ove questo non provveda, dalla regione, secondo l'ordine di priorità fissati dal piano regionale per la bonifica delle aree inquinate [...]. Al fine di anticipare le somme per i predetti interventi le regioni possono istituire appositi fondi nell'ambito delle proprie disponibilità di bilanci»;
   l'articolo 20 della legge 23 marzo 2001, n. 93, ha stanziato complessivi euro 934.967,59 per la realizzazione di una mappatura completa della presenza di amianto sul territorio nazionale nonché per la realizzazione degli interventi di bonifica urgente; il decreto ministeriale n. 101 del 2003, articolo 3, prevede, inoltre, che i risultati della mappatura siano organizzati avvalendosi di sistemi informativi territoriali e trasmessi annualmente, entro il 30 giugno, dalle regioni al Ministero dell'ambiente e tutela del territorio e del mare, eppure la regione siciliana e la Calabria non hanno trasmesso alcun dato –:
   se ritengano possibile assumere iniziative, anche normative, per sostenere l'ente locale e la regione siciliana qualora, con proprie risorse, intervengano per la bonifica dell'area citata in premessa, prevedendo l'allentamento degli obblighi del patto di stabilità interno;
   se, in riferimento al decreto ministeriale n. 101 del 2003, non intendano richiamare le regioni che non hanno trasmesso alcun dato e contestualmente esigere informazioni di dettaglio sui finanziamenti pubblici utilizzati;
   se non reputino opportuno promuovere, d'intesa con gli enti territoriali competenti, linee guida, per una continua ed effettiva sorveglianza e monitoraggio del territorio;
   quali iniziative intendano promuovere al fine di sensibilizzare la popolazione, a cominciare dall'ambiente scolastico, sulla corretta gestione dei rifiuti e sui danni provocati alla salute pubblica dalla contaminazione del suolo e dell'aria. (4-05065)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il segretario aggiunto della difesa per la sicurezza internazionale del Pentagono, Derek Chollet, nel corso di una conferenza stampa organizzata a Roma la scorsa settimana, ha sostenuto che nonostante le comprensibili difficoltà dell'Italia connesse alle ristrettezze finanziarie legate ai vincoli di bilancio, un'eventuale e definitiva decisione da parte del Governo italiano di rivedere il programma pluriennale di A/R n. SMD 02/2009, relativo all'acquisizione del sistema d'arma Joint Strike Fighter (JSF – denominato F35 Lightning II) e della realizzazione della associata linea FACO/MROU (Final Assemblyand Check Out/Maintenance, Repair, Overhaul Upgrade) nazionale, rischia di determinare serie conseguenze sui livelli occupazionali nel nostro Paese;
   il rappresentante del Governo statunitense, ha inoltre evidenziato, come sia d'importanza strategica per le capacità militari future degli Stati Uniti e dei Paesi alleati, la realizzazione dei nuovi caccia F-35, aggiungendo fra l'altro, che da quando l'Italia ha progressivamente diminuito il piano originale di acquisizione da 131 a 90 aerei, si sono determinati una serie di effetti negativi in termini economici, a causa delle riduzioni delle partecipazioni industriali associate con la realizzazione degli F-35, che hanno provocato una significativa perdita dei posti di lavoro;
   il segretario aggiunto della difesa per la sicurezza internazionale americano, ha esortato a tal proposito l'Italia di riconsiderare il piano di dismissione della riduzione della realizzazione dei velivoli F-35, le cui decisioni di ridimensionamento sembrerebbero essere contenute all'interno del prossimo «Libro bianco»;
   l'esponente governativo americano ha asserito fra l'altro che le relazioni internazionali tra gli Stati Uniti e l'Italia, non sono mai state così salde e che il personale tra civile e militare americano composto da più di 30 mila unità, riveste un ruolo essenziale nella sicurezza collettiva in particolare nell'area strategica del Mediterraneo;
   l'interrogante evidenzia come in considerazione di quanto suesposto, unitamente alle preoccupanti dichiarazioni del capo di stato maggiore della difesa italiana, pubblicate dal quotidiano: Il Corriere della Sera lo scorso 8 giugno, in ordine alle paventate decisioni di ridurre in maniera esorbitante gli investimenti nel settore della Difesa, determinano una serie di incertezze e confusioni, che richiedono pertanto una serie di precisazioni –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se intenda confermare il piano di ridimensionamento degli investimenti per la realizzazione dei velivoli F-35 e in quale misura finanziaria, intenda procedere;
   se il richiamo, a giudizio dell'interrogante, condivisibile da parte del rappresentante del Governo degli Stati Uniti, esposto in premessa, unitamente alle dichiarazioni del capo di stato maggiore della Difesa italiana, possano pregiudicare i livelli occupazionali nel nostro Paese connessi alla riduzione dell'esecuzione degli aerei militari F-35, che hanno consentito la piena occupazione per più di 6 mila individui, aggravando pertanto la già difficilissima crisi occupazionale in Italia.
   (4-05068)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BERGAMINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge 27 dicembre 2013, n. 147 (articolo 1, commi 639 e seguenti, della legge stabilità per il 2014) ha modificato l'assetto dell'IMU per il 2014 con l'istituzione dell'imposta unica comunale (IUC), che si basa su due presupposti impositivi; uno è costituito dal possesso di immobili e collegato alla loro natura e valore: si tratta dell'imposta municipale propria (IMU), di natura patrimoniale dovuta dal possessore di immobili escluse le abitazioni principali; l'altro è collegato all'erogazione e alla fruizione di servizi comunali: la componente riferita ai servizi, che a sua volta si articola in un tributo per i servizi indivisibili (TASI), a carico sia del possessore che dell'utilizzatore dell'immobile e la tassa sui rifiuti (TARI), destinata a finanziare i costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, a carico dell'utilizzatore;
   dal suddetto assetto, discende che la nuova disciplina indicata dall'articolo 9-bis del decreto-legge 28 marzo 2014 n. 47, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, relativa all'abitazione principale assoggettata alla TASI, con riferimento ai cittadini italiani residenti all'estero, pensionati e iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero - AIRE, comporta che, a partire dal 2015, l'imposta comunale sarà applicata per ciascun anno, in misura ridotta di due terzi;
   il suindicato decreto stabilisce inoltre che sarà considerata direttamente adibita ad abitazione principale, una sola unità immobiliare posseduta dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato, a condizione che non risulti locata o in comodato d'uso;
   tale disposizione sebbene rappresenti un intervento parzialmente efficace, ponendo rimedio ad una ingiusta applicazione dell'IMU per i cittadini italiani residenti all'estero, risulta tuttavia insufficiente in considerazione del fatto che la rimodulazione di tale imposta è limitata ad una ristretta platea di beneficiari a cui si applica (il possessore deve infatti essere pensionato ed essere iscritto all'AIRE e l'agevolazione spetta per un solo immobile che, oltre a non essere locato, non deve neppure essere concesso in comodato d'uso);
   l'interrogante rileva come la legislazione italiana, in tema di fiscalità immobiliare, oltre ad aver subito una profonda modificazione in un periodo di tempo così ristretto, se si valuta che prima del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, cosiddetto salva-Italia, che aveva introdotto una serie di misure vessatorie, gli adempimenti previsti (per i cittadini iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero - AIRE) erano nel complesso contenuti, si sta rivelando estremamente confusa generando incertezza e perplessità fra i contribuenti soprattutto nell'ambito delle scadenze dei tributi che risultano essere in continuo mutamento –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa e se non ritenga opportuno prevedere, nel prossimo disegno di legge recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015), un intervento ad hoc volto a rimodulare l'imposta per i servizi indivisibili TASI, nonché la tassa sui rifiuti TARI, per tutte le altre categorie di italiani residenti all'estero, al fine di garantire una tassazione più congrua ed equilibrata per i connazionali che risiedono all'estero.
(5-02946)

Interrogazione a risposta scritta:


   GALLINELLA, GAGNARLI, BENEDETTI, L'ABBATE, MASSIMILIANO BERNINI, PARENTELA e LUPO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   le prestazioni veterinarie, rientrano nel concetto One Health (una sola salute per l'uomo e gli animali) sostenuto dall'Organizzazione mondiale della sanità animale (OIE), in quanto fondamentali per la prevenzione e il controllo di malattie trasmissibili all'uomo e per la tutela della sanità animale che si traduce in sanità pubblica;
   in Italia, tali prestazioni, sono soggette ad una imposta sul valore aggiunto (IVA) del 22 per cento pari a quella dei beni voluttuari o di lusso e ciò implica un'evidente difficoltà per tutte quelle famiglie (quasi il 50 per cento del totale in Italia) che possiedono un animale da compagnia e vogliono garantirgli una vita dignitosa;
   la profilassi, la cura di malattie spesso molto gravi per l'animale, la prevenzione di malattie trasmissibili dall'animale all'uomo, nonché l'identificazione anagrafica rientrano nelle principali attività dei veterinari e non possono certo essere equiparate ad uno sfizio o un divertimento per il proprietario dell'animale; sono la prova, al contrario, di una corretta e responsabile gestione del rapporto tra uomo e animale;
   inoltre, un animale, così come l'uomo, ha il diritto di ricevere delle cure e una aliquota così elevata frena gli uomini a prendersi cura nella maniera più adeguata dei propri animali o peggio, induce chi non può permettersi di tenere in casa un animale ad abbandonarlo; secondo l'AMNVI, infatti, l'imposta non garantisce gettito, ma al contrario dissuade i cittadini-proprietari e fa aumentare la spesa pubblica per randagismo e mancato controllo della popolazione animale, soprattutto canina;
   uno Stato che si professa attento alla salute ed al benessere degli animali non può non prendere in considerazione le conseguenze che un'IVA così elevata potrebbe avere sulla salute degli animali che vivono sul territorio nazionale;
   possedere un animale non può essere paragonato ad un lusso, ma anzi dovrebbe essere un comportamento agevolato dalle politiche nazionali;
   sempre più spesso, gli animali sono l'unica compagnia per le persone anziane; l'incremento dei costi per le cure degli animali può spesso significare per un anziano essere costretto ad abbandonare il proprio compagno di vita, con ricadute anche sulla salute, sia fisica che mentale, della persona che resta sola;
   l'ANMVI ha raccolto e certificato più di 75 mila firme per l'esenzione totale delle «prestazioni one health» e per la riduzione alla soglia di imposta agevolata (la stessa dei medicinali) di tutte le altre;
   le detrazioni d'imposta per le prestazioni veterinarie, fissate al 19 per cento, hanno una franchigia di 129,11 euro fino a un massimo di 387,34 euro; con una detrazione massima in un anno di 49 euro –:
   se intenda porre in essere  iniziative, anche di carattere normativo, per agevolare l'accesso alle prestazioni veterinarie in Italia, prevedendo un abbassamento dell'aliquota IVA, o quantomeno garantendo un'agevolazione consistente per le prestazioni primarie quali profilassi, sterilizzazione e identificazione anagrafica. (4-05063)

GIUSTIZIA

Interpellanza:


   La sottoscritta chiede di interpellare il Ministro della giustizia, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   con una ordinanza del giudice di Pesaro, il medico Marino Andolina, vicepresidente di Stamina e braccio destro di Davide Vannoni nonché indagato dalla procura di Torino dal 2008 per truffa e somministrazione pericolosa di farmaci nell'ambito dell'inchiesta sul trattamento Stamina, è stato nominato «commissario ad acta» per la cura con il metodo Stamina all'ospedale Civile di Brescia;
   l'ordinanza «è immediatamente esecutiva» ed in quanto «ausiliario del tribunale» e «commissario ad acta degli Spedali Civili di Brescia» ha provveduto personalmente alle cure del piccolo Federico, un bimbo di 3 anni e mezzo di Fano affetto dal terribile morbo di Krabbe, anche a seguito del diniego dei medici del Civile di Brescia che si sono astenuti in attesa del giudizio della commissione di valutazione nominata dal Ministro Lorenzin;
   in pratica in virtù dell'ordinanza del tribunale di Pesaro si è sconfessata la decisione dell'Agenzia del farmaco che aveva definitivamente bloccato la sperimentazione del metodo Stamina;
   la nomina di Andolina è attualmente oggetto di approfondimento da parte della prima commissione del Csm e della procura generale della Cassazione che hanno chiesto la trasmissione degli atti relativi al caso, mentre l'assessore alla sanità della regione Lombardia Mario Mantovani ha scritto al Presidente del Consiglio dei ministri perché «si faccia chiarezza su una vicenda che assume contorni paradossali»;
   si è ancora in attesa del pronunciamento ufficiale e definitivo (per la terza volta) da parte del Comitato scientifico composto da grandi esperti nazionali e internazionali e che però, come conferma lo stesso presidente, l'ematologo bolognese Michele Baccarani, «ancora non si sono nemmeno incontrati»;
   già il primo Comitato, tuttavia, aveva documentato come il metodo Stamina in realtà non avesse nessuna pretesa di scientificità, ma quel comitato è stato bocciato dal Tar del Lazio in quanto «non imparziali»;
   si deve purtroppo registrare, ad avviso dell'interpellante, un atteggiamento indugiante ed esitante da parte delle istituzioni su tale vicenda che non ha aiutato né la comunità scientifica, né le istituzioni giudiziarie ma soprattutto le famiglie ed i malati, vere vittima di questa situazione;
   i genitori di Federico sono fermi nella decisione di proseguire il trattamento del piccolo Federico che ha già ricevuto, escluso quest'ultima, sette infusioni, l'ultima delle quali il 23 febbraio e dopo quella e da allora, secondo quanto da loro affermato, il piccolo è peggiorato e soffre;
   a Brescia sono accorsi anche i genitori di Celeste, la bimba veneta trattata con infusioni Stamina e anche lei oggetto di un'ordinanza che impone al Civile di Brescia di continuare la cura;
   la ricercatrice e senatrice a vita Elena Cattaneo, una dei massimi esperti di cellule staminali in Italia, ha criticato molto la nomina di commissario ad acta di Marino Andolina da parte del tribunale di Pesaro, definendo l'atto «un impazzimento giudiziario senza precedenti» e ha definito Andolina «un medico senza alcuna competenza in materia di malattie neurologiche o staminali» –:
   quali urgenti iniziative, ognuno per le specifiche competenze, intendano urgentemente adottare al fine di chiarire definitivamente la vicenda che, al di là degli aspetti giudiziari e scientifici, continua a pesare sulle numerose famiglie, spesso istigate con sofferenze strumentalizzate ed appese al filo dell'unica speranza offerta ai loro parenti gravemente ammalati, dal metodo Stamina.
(2-00570) «Binetti».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COLLETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   sono stati sospesi i lavori per la costruzione del nuovo padiglione del carcere di massima sicurezza di via Lamaccio a Sulmona dal 26 maggio 2014 senza alcuna motivazione ufficiale;
   nel carcere vi sono detenuti di alta sicurezza, di cui molti ergastolani;
   la responsabile del cantiere per la sovrintendenza archeologica, Rosanna Tuteri, ha dichiarato che è stato trovato qualcosa durante gli scavi per la realizzazione della nuova struttura carceraria, ma che comunque il direttore ha deciso di bloccare i lavori – non per un rinvenimento archeologico ma per altri problemi inerenti al cantiere su cui non è stata data alcuna informazione;
   avere un cantiere aperto e sospeso in un carcere comporta seri problemi di sicurezza, inducendo la direzione a distogliere personale da altri e non meno importanti posti di servizio con conseguente aggravio dei carichi di lavoro e ripercussioni sulle questioni legate alla compartecipazione attiva alle opere trattamentali nei confronti dei detenuti;
   in campagna elettorale sono stati spesi fiumi di parole, fra cui quelle del sottosegretario Giovanni Legnini, sulle questioni inerenti alle problematiche del carcere peligno –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti in premessa e quale sia la motivazione ufficiale che ha causato la sospensione dei lavori;
   se il Ministro intenda altresì attivarsi affinché la questione venga risolta velocemente e i tempi della consegna della nuova struttura non si dilatino ulteriormente, ciò in particolare per assicurare la sicurezza dei cittadini di Sulmona e zone limitrofe.
(5-02950)

Interrogazione a risposta scritta:


   GULLO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nella scorsa legislatura la legge n. 69 del 2009 – nell'ambito di articolati interventi sul processo civile – ha delegato il Governo a disciplinare la conciliazione delle controversie civili e commerciali. Il Governo pro tempore ha esercitato la delega con l'emanazione del decreto legislativo n. 28 del 2010, prevedendo in particolare che per talune controversie il tentativo di mediazione fosse obbligatorio, ovvero rappresentasse una condizione di procedibilità dell'azione;
   sul punto è intervenuta la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 272 del 2012, che ha dichiarato questo aspetto della disciplina incostituzionale per eccesso di delega;
   tale pronuncia della Corte Costituzionale è stata superata, nell'attuale legislatura, dal decreto-legge n. 69 del 2013, convertito dalla legge n. 98 del 2013, che ha reintrodotto le disposizioni sul carattere obbligatorio della mediazione, pur affermandone il carattere transitorio e sperimentale per 4 anni;
   la circolare del Ministero della giustizia del 27 novembre 2013 evidenzia che «Si dovrà, infine, garantire che l'accesso al procedimento di mediazione si caratterizzi per il contenimento dei costi per i cittadini, profilo che appare oltremodo necessario nell'attuale difficile momento economico in cui versa il Paese. Non deve, infatti, accadere che la congiuntura economica comprometta l'accesso alla tutela giuridica dei diritti che costituisce, come noto, uno dei compiti primari dello Stato»;
   risulta all'interrogante che la mediazione civile e commerciale abbia prodotto risultati deludenti in ambito europeo e, comunque, in Italia inferiori alle aspettative;
   sullo scarso utilizzo dello strumento incidono ancora sia la scarsa conoscenza dell'istituto della mediazione da parte dei cittadini, sia i costi nel caso in cui la conciliazione riguardi beni immobili o mobili registrati;
   nel caso in cui oggetto della conciliazione sia un bene immobile o mobile registrato è necessario, invece, l'intervento del notaio;
   l'intervento del notaio determina dei costi che non sembrano essere coerenti con l'istituto, in quanto sul cittadino gravano i normali costi degli atti notarili, salvo quanto previsto dalla legge in materia di imposta di registro;
   probabilmente serve un intervento normativo in merito o un chiarimento delle norme in questione –:
   se l'attuale applicazione della norma che prevede l'intervento dei notai risulti coerente, circa i costi da applicare alla mediazione, alla ratio delle norme vigenti in materia;
   se non ritenga di assumere iniziative per prevedere onorari ridotti specifici per gli atti derivanti dalla mediazione.
(4-05062)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GULLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a norma dell'articolo 16 della legge 12 agosto 1982, n. 531, il Consorzio per le autostrade siciliane è un Consorzio unificato costituito: dal Consorzio per l'autostrada Messina-Palermo, dal Consorzio per l'autostrada Messina-Catania-Siracusa e dal Consorzio per l'autostrada Siracusa-Gela. Si tratta di un ente pubblico regionale non economico sottoposto al controllo della regione siciliana;
   a norma dell'articolo 2, comma 1, dello statuto sociale, «il Consorzio ha per scopo il completamento dei lavori di costruzione non ancora realizzati delle autostrade Messina-Palermo, Messina-Catania-Siracusa e Siracusa-Gela e la realizzazione di eventuali altre iniziative nel settore autostradale e stradale di cui il Consorzio dovesse risultare concessionario o affidatario, nonché l'esercizio dell'intera rete assentita in concessione o affidata» e, ai sensi dell'articolo 2, comma 2, «Per il raggiungimento di tali fini, il Consorzio si avvarrà dei contributi dello Stato, della Regione, della Comunità Europea, di altri enti pubblici e di tutte le provvidenze nazionali, regionali e comunitarie vigenti e future»;
   il Consorzio per le autostrade siciliane è attualmente concessionario ANAS di due importanti arterie autostradali della regione siciliana, l'autostrada A20, che collega la città di Messina e la città di Palermo, e l'autostrada A18, la quale unisce le città di Messina e Catania, facente parte dall'asse viario europeo E45;
   l'attuale situazione di carente manutenzione rende poco sicure le autostrade siciliane;
   nonostante le molteplici segnalazioni, i diversi esposti e le innumerevoli promesse, seguenti all'emozione suscitata da gravi incidenti automobilistici, le problematiche inerenti alla sicurezza non risultano risolte;
   ad oggi sono pendenti diversi procedimenti presso varie procure della Repubblica a carico del Consorzio, e/o di soggetti ad esso riferibili, per la mancanza di adeguati sistemi di sicurezza e per la carenza/assenza di manutenzione nei tratti autostradali da esso direttamente gestiti, nonostante il contratto di concessione li preveda quali elementi essenziali;
   attualmente risultano diversi i sinistri direttamente ovvero indirettamente imputabili ad inadempienze nella sicurezza e nella manutenzione stradale, da ultimo in data 27 aprile 2014, nei pressi del viadotto Montagnareale ricadente nel comune di Patti (Messina);
   vari procedimenti penali vedono imputati soggetti a diverso titolo riferibili al Consorzio autostrade siciliane per il reato di omicidio colposo;
   numerosi incidenti stradali mortali sono stati provocati dalle precarie condizioni di manutenzione in cui versano i tratti di strade dell'ANAS ma affidato in concessione al Consorzio per le autostrade siciliane;
   tutto quanto sopra indicato costituisce grave rischio per l'incolumità di automobilisti e cittadini;
   dai documenti dell'autorità per la vigilanza sui contratti dei pubblici di lavori, servizi e forniture emerge che a carico del Consorzio per le autostrade siciliane è stata richiesta la decadenza dalla concessione con decreto interministeriale n. 457 del 5 luglio 2010, registrato alla Corte dei conti in data 4 novembre 2010, e notificato alla società concessionaria in data 29 novembre 2010;
   ne è seguito un lungo contenzioso conclusosi con sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa in cui veniva dichiarato nullo il decreto interministeriale del 5 luglio 2010, n. 457, dichiarante la decadenza della concessione di costruzione e di esercizio;
   la società Anas ha già inviato al Consorzio per le autostrade siciliane una lettera ufficiale, all'interno della quale viene richiesta una lunga serie di giustificazioni in ordine ad inadempienze circa la sicurezza stradale, prospettando altresì la revoca della stessa concessione, con contestazioni che spaziano dalla manutenzione delle piste alla segnaletica sia orizzontale che verticale, dai guardrail agli impianti elettrici, dalle opere in verde agli impianti telematici di esazione, in riferimento sia al tratto autostradale A18, sia al tratto A20;
   il pagamento di un pedaggio autostradale impegna contrattualmente il Consorzio autostrade siciliane ad assicurare un servizio migliore di quello altrimenti offerto dalla rete stradale non affidata a gestione esterna, ovvero a sostenere le spese per l'ammodernamento, l'innovazione, la gestione e la manutenzione del tratto considerato –:
   quali iniziative urgenti si intendano assumere per:
    a) verificare la presenza di inadempienze da parte del Consorzio per le autostrade siciliane nei sistemi di sicurezza e manutenzione stradale, tali da attentare alla sicurezza dei cittadini che percorrono le due arterie autostradali affidate alla sua diretta gestione;
    b) tutelare, comunque, l'incolumità e la salute dei cittadini;
    c) eliminare i rischi per l'incolumità dei cittadini;
    d) effettuare azioni costanti, effettive ed efficaci di controllo e monitoraggio sulle autostrade siciliane;
    e) far rispettare i criteri di sicurezza;
    f) intervenire a sostegno dei cittadini vittime della strada. (5-02948)

Interrogazione a risposta scritta:


   LAFFRANCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 28 maggio 2014 il tribunale di Civitavecchia ha dichiarato il fallimento di Ground Care, la società di handling aeroportuale (servizi da terra) che ormai da quattro anni vive in uno stato di difficoltà con costante perdita di attività a causa della mancanza di un piano industriale efficace oltre che dell'assenza di regole certe;
   a causa del fallimento dell'azienda, che opera presso gli aeroporti di Fiumicino e Ciampino, circa 900 addetti allo smistamento dei bagagli e di servizi di check in per le compagnie aeree perderanno il proprio posto di lavoro; in questi giorni, le proteste dei lavoratori hanno provocato disagi enormi alla circolazione aerea: sono stati cancellati molti voli, e per tantissime persone è stato impossibile recuperare il proprio bagaglio, fino ad arrivare alla precettazione della prefettura romana che ha imposto ai dipendenti della società dichiarata fallita di riprendere il lavoro per evitare il caos;
   nel piano nazionale aeroporti del Governo, l'aeroporto di Fiumicino e l'aeroporto di Ciampino sono considerati hub nazionali e strategici, ed hanno dunque necessità di essere serviti in maniera efficiente dalle società di handler che invece sono in spietata concorrenza tra di loro, e appaiono completamente prive di regolamentazione e non sottoposte a controlli, ma in balia di condizioni di mercato dettate dalle compagnie low cost;
   l'Enac, ente preposto alla funzione di controllo e regolazione, non è stato in grado di fermare questa deriva dal momento che da anni dentro l'aeroporto di Fiumicino e di Ciampino, oltre a fenomeni di disservizio diffuso, si assiste inermi ad una continua perdita di posti di lavoro e di pezzi di salario che danno luogo al dumping sociale per cui si «rottamano» i lavoratori con il contratto a tempo indeterminato sostituendoli con precariato stagionale o giornaliero;
   operazioni a giudizio dell'interrogante spericolate e poco attente da parte della dirigenza di Ground Care hanno generato una voragine di inefficienza dei servizi fondamentali per gli hub nazionali, senza avere un piano effettivo di rilancio della società; anche da parte dei sindacati c’è stato qualche eccesso di illusione, che ha lasciato per troppo tempo i lavoratori all'oscuro della situazione –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato, per ristabilire la regolarità dei servizi all'interno degli aeroporti e per andare incontro alla grave situazione dei lavoratori dell'azienda Ground Care, e se e quali iniziative intenda assumere nei confronti dell'Enac, che aveva certificato la società come prestatore ufficiale degli aeroporti nazionali di Ciampino e di Fiumicino, a giudizio dell'interrogante senza effettuare adeguate verifiche per la certificazione dell'azienda poi fallita. (4-05059)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CICU. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   ormai da diversi anni, nella periferia del comune di Monastir opera la scuola di formazione di polizia penitenziaria (SFAP) che ancora oggi svolge un ruolo importantissimo a servizio dell'amministrazione del Ministero della giustizia, nonché collabora in maniera integrata con le iniziative delle amministrazioni locali (Progettazione integrata e redazione PON sicurezza) costituendo un presidio formativo per la promozione della sicurezza e della legalità al fine della crescita della comunità locale e regionale;
   la suddetta scuola è una struttura esistente dal 1983, ubicata a ridosso della strada statale 131, chilometri 15,660, nel mezzo tra le zone industriali di San Sperate, Monastir, il parco di Santa Lucia ed il parco San Gemiliano di Sestu. Nella zona si trovano inoltre, il centro commerciale di Conforama, il centro di distribuzione regionale Conad, il centro distribuzione regionale Ferrero, le attività commerciali di Trony, palladium e altre strutture di rilievo;
   la notizia di un sopralluogo alla scuola di polizia penitenziaria di Monastir, effettuato il 3 aprile 2014 da una squadra capitanata dal prefetto di Cagliari, effettuato con l'intento di trasferirvi il centro di accoglienza di Elmas, ha riscaldato gli animi e ha causato grande preoccupazione per le inevitabili conseguenze alla sicurezza delle numerose aziende esistenti nella zona;
   l'obbiettivo della prefettura è quello di trasferire le centinaia di extracomunitari irregolari del centro di prima accoglienza di Elmas nella struttura della Scuola di polizia penitenziaria di Monastir, per delocalizzare i disordini causati nella struttura attigua allo scalo sardo e le incursioni e proteste più volte effettuate sulla pista aeroportuale;
   il trasferimento del centro di accoglienza per gli immigrati nella scuola di formazione di polizia penitenziaria alla periferia di Monastir, contigua alle aree artigianali ed industriali inglobate sulla Carlo Felice, crea forte preoccupazione tra gli operatori disseminati sull'arteria principale dell'isola;
   nel territorio di Monastir, di San Sperate e di Sestu, nella zona immediatamente limitrofa alla struttura in oggetto, sono presenti dei siti e degli interventi di interesse turistico del territorio, sia pubblici che privati, quali l'area Parco di monte Zara, il maneggio comunale, il Kartodromo, Parco di Santa Lucia e nella medesima zona si è sviluppata una forte area industriale e commerciale con diversi insediamenti qualificati, tra i più importanti a livello regionale e nazionale (CONAD, Ferrero, Grafiche Ghiani, Conforama, Carrefour, Corte del sole, il Centro agroalimentare di Sestu e altro);
   la trasformazione della struttura comporterebbe un incremento del carico potenziale di individui privi di occupazione e disagiati socialmente, creando forte preoccupazione per la pubblica sicurezza e per l'ordine sociale del territorio dell'unione;
   la zona protagonista di tale trasferimento sta sopportando spese di carattere sociale per far fronte al disagio economico-sociale che in questo periodo è in costante aumento e la scelta di trasformazione della SFAP in centro di prima accoglienza aggraverebbe ulteriormente i disagi economici dal momento che comprometterebbe lo sviluppo turistico economico e sociale rendendo meno appetibile l'insediamento di nuovi interventi commerciali e industriali;
   in un periodo come questo, dove le nostre aziende sono già in ginocchio per la gravissima crisi economica è particolarmente rischioso trasferire gli immigrati in una zona industriale in espansione, dove numerose ditte hanno chiuso mentre potrebbero nascere nuove strutture;
   gli impiegati ed operai delle aziende della zona interessata sono in rivolta e chiedono un intervento dei sindaci di San Sperate, Monastir e Sestu –:
   se il Ministro interrogato intenda attivarsi per impedire la trasformazione di una struttura come la SFAP, che presta un importantissimo aiuto all'amministrazione del Ministero della giustizia, e alle amministrazioni locali (progettazione integrata e redazione PON sicurezza), in un centro di accoglienza per immigrati la cui presenza creerebbe esclusivamente disagio e paura nella zona interessata oltre che una svalutazione della stessa. (5-02949)

Interrogazione a risposta scritta:


   MOLTENI e CAPARINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
    per circa un mese è stato trasmesso da tutti i telegiornali, in particolare da quelli del servizio pubblico, un video che ritraeva alcuni partecipanti all'ultimo congresso nazionale del Sindacato autonomo di Polizia (Sap) applaudire, si diceva, ai colleghi condannati per la morte di Federico Aldrovandi;
   tale video, poi diffuso rapidamente in rete, fece a lungo discutere, suscitando polemiche, indignazione e critiche nei confronti dei poliziotti e del Sap, a partire dalle censure da parte delle più alte cariche dello Stato e dal biasimo del Ministro dell'interno, Angelino Alfano, tanto che quest'ultimo decise di revocare addirittura l'appuntamento che aveva accordato al sindacato stesso per il martedì successivo;
   il 5 giugno 2014, a seguito dell'intervento di Gianni Tonelli, segretario generale del Sap, alla trasmissione Tgcom24, con un video esclusivo si sarebbe scoperto che quello trasmesso dai telegiornali precedentemente per un mese sarebbe in realtà un falso e che gli applausi sarebbero stati diretti ad un altro poliziotto, Gianni Spagnulo, «protagonista nel 2013 di uno sfogo durante un servizio di ordine pubblico»;
   come evidenziato dal segretario generale del Sap, il video falso, mandato allora in onda dai principali telegiornali, le pubbliche critiche e condanne da parte anche delle autorità dello Stato, hanno danneggiato non solo il Sap e i suoi dirigenti, ma tutto il corpo della polizia, dando agli occhi dell'opinione pubblica una immagine completamente distorta dei fatti e delle persone;
   è per primo compito delle autorità accertare la verità e correttezza delle informazioni e altresì sostenere le forze dell'ordine, le quali quotidianamente sono chiamate a garantire la sicurezza dei cittadini sul territorio, con impegno seppur in mancanza di adeguate risorse –:
   di quali elementi disponga in merito a quanto esposto in premessa e se anche alla luce di quanto emerso nella trasmissione Tgcom24, possa confermare la nuova versione dei fatti emersa e quali iniziative di competenza intenda assumere per tutelare il buon nome e la reputazione del Corpo della polizia di Stato. (4-05066)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   ANTIMO CESARO, MOLEA, CIMMINO e D'AGOSTINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   i Fondi sociali europei, così come esposto sul sito del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sono «strumenti finanziari gestiti dalla Commissione europea per rafforzare la coesione economica, sociale e territoriale, riducendo il divario fra le regioni più avanzate e quelle in ritardo di sviluppo»; il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca è stato coinvolto nella gestione dei fondi strutturali durante la programmazione 1994-1999; 2000-2006 e 2007-2013;
   il Fondo sociale europeo (FSE) finanzia interventi nel campo sociale, ha il compito di intervenire su tutto ciò che concorre a sostenere l'occupazione mediante interventi sul capitale umano: prevenire e combattere la disoccupazione, creazione di figure professionali e di formatori. I beneficiari sono soprattutto giovani, donne, adulti, disoccupati di lunga durata, occupati a rischio di espulsione dal mercato del lavoro e gruppi a rischio di esclusione sociale;
   alla luce di quanto esposto, è evidente la necessità di intervenire innanzitutto sui punti di criticità che emergono dal menzionato divario tra le regioni più avanzate e quelle in ritardo di sviluppo. Tra questi punti, il fenomeno della disabilità sta acquisendo, purtroppo, una dimensione sempre più complessa e difficile da gestire;
   in questo scenario politico-istituzionale, dove si moltiplicano in maniera allarmante emergenze pedagogiche e sociali, va riconosciuto che lo sport ha sempre dimostrato di poter essere un efficace strumento di «lotta» all'esclusione sociale, offrendo ambienti di apprendimento ideali per agevolare i difficili processi di inclusione dei disabili;
   non a caso, infatti, le attività sportive sono citate anche nell'articolo 1 della Carta europea dello sport per tutti, che recita: «I governi, con lo scopo di promuovere lo sport quale importante fattore per lo sviluppo umano, adotteranno le misure necessarie a realizzare le enunciazioni della presente Carta in accordo con i principi enunciati nel codice di etica sportiva, per:
    a) dare ad ogni individuo la possibilità di praticare lo sport, ed in particolare:
     b) garantire a tutti i giovani la possibilità di beneficiare di programmi di educazione fisica per sviluppare le loro attitudini sportive di base;
     c) garantire a ciascuno la possibilità di praticare sport e di partecipare ad attività fisiche ricreative in un ambiente sicuro e sano»;
   le attività sportive, inoltre, sollecitano la popolazione scolastica ad affrontare il fenomeno dell'inclusione attraverso l'abbattimento delle barriere sociali e culturali in quanto rappresentano uno strumento educativo di grande efficacia, soprattutto se viene valorizzato il loro aspetto ludico. Le attività sportive rivestono un ruolo fondamentale negli interventi di integrazione rivolti ai disabili perché favoriscono lo sviluppo delle potenzialità individuali, l'incremento di capacità e l'acquisizione di abilità nonché l'integrazione in contesti di vita ricchi di relazioni significative;
   grazie allo sport, i soggetti affetti da disabilità hanno la possibilità di trovare elementi di successo e di valorizzazione personale praticando, con motivazione e divertimento, attività particolarmente utili al loro benessere psicofisico. Oltre al miglioramento della forma fisica, allo sviluppo cognitivo conseguente all'apprendimento motorio, alla socializzazione conseguente all'integrazione nel mondo sportivo, vi è un miglioramento dell'autostima. Attraverso una sana competizione sportiva, le persone con disabilità riescono ad affermarsi e a spingere la società a considerarli non solo per i loro limiti ma anche per le loro potenzialità;
   se la scuola, come sopra esposto, rappresenta l'istituzione ideale per la realizzazione di tali attività, il CIP (Comitato italiano paralimpico) è l'istituzione più adeguata alla gestione e alla promozione di una eventuale progettazione nazionale –:
   quali misure intenda adottare per promuovere la politica dei progetti PON, per il settennio 2014-2020, a favore dell'implementazione di progetti di attività sportive per disabili a carattere inclusivo, usufruendo delle competenze e del supporto scientifico e formativo del Comitato italiano paralimpico, anche nel rispetto dell'articolo 21 della legge n. 59 del 1997 (legge Bassanini), il cui oggetto è l'autonomia scolastica. (3-00865)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CHIMIENTI, LUIGI GALLO, MARZANA, BRESCIA, VACCA, BATTELLI, DI BENEDETTO, SIMONE VALENTE e D'UVA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   secondo uno studio del CENSIS in tema di edilizia scolastica, di cui è stato reso noto un primo estratto in data 31 maggio 2014, in ben 24.000 degli oltre 41.000 edifici scolastici statali gli impianti elettrici, idraulici, termici sono non funzionanti, insufficienti o non a norma;
   secondo lo studio del CENSIS, i cui risultati sono stati ottenuti incrociando dati di indagine e dati strutturali, sarebbero 9.000 le strutture con intonaci a pezzi, mentre in 7.200 edifici occorrerebbe rifare tetti e coperture. Sarebbero infine 3.600 le sedi che necessitano di interventi sulle strutture portanti e ciò comporta che ben 580.000 ragazzi trascorrerebbero ogni giorno parecchie ore in condizioni di rischio oggettivo;
   secondo l'indagine del CENSIS, sono circa 2.000 le scuole che espongono i loro 342.000 alunni e studenti al rischio amianto;
   la stessa indagine rende noto che il 15 per cento degli edifici scolastici italiani è stato costruito prima del 1945, altrettanti datano tra il ’45 e il ’60, il 44 per cento risale all'epoca 1961-1980, e solo un quarto degli stabili è stato costruito dopo il 1980;
   secondo i 2.600 dirigenti scolastici consultati nell'ambito dell'indagine in questione, per il 36 per cento degli edifici è prioritario avviare lavori di manutenzione straordinaria, ma nella maggioranza dei casi (il 57 per cento) l'esigenza è dare continuità agli interventi di manutenzione ordinaria. Nonostante il patrimonio immobiliare scolastico sia vetusto, e benché si tratti generalmente di strutture che corrispondono a modelli oggi non più funzionali, anche quando sono state progettate dal principio come scuole e non ricavate da caserme o conventi, solo nel 7 per cento dei casi si ritiene fondamentale la costruzione di un edificio più adeguato o il trasferimento della scuola in un'altra sede;
   secondo le valutazioni dei dirigenti scolastici, che hanno considerato la qualità degli interventi realizzati in più di 10.000 edifici scolastici pubblici negli ultimi tre anni, sono più di un quarto le strutture in cui sono stati effettuati lavori ritenuti scadenti o inadeguati. Si tratta del 20,5 per cento delle scuole in cui gli interventi hanno riguardato l'abbattimento delle barriere architettoniche, del 22,5 per cento degli edifici in cui sono stati realizzati lavori di manutenzione ordinaria, del 32,8 per cento delle opere di manutenzione straordinaria, del 33,7 per cento delle strutture in cui sono state realizzate reti o introdotti servizi per la didattica digitale;
   lo scorso 30 aprile 2014 è scaduta la proroga di due mesi concessa dal Governo agli enti locali per l'affidamento degli interventi del piano per l'edilizia da 150 milioni previsto dal decreto del «Fare» e allo scadere della proroga di due mesi, riferisce una nota, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha effettuato una ricognizione puntuale della situazione da cui risulta affidato il 95,7 per cento delle opere;
   secondo quanto emerso dal comunicato stampa del CENSIS, sulla base delle risorse stanziate e dei ritardi di spesa accumulati, alla fine del 2013 il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti stimava in 110 anni il tempo necessario per mettere in sicurezza tutti gli edifici scolastici italiani. Gli interventi straordinari che via via sono stati programmati dopo il tragico crollo della scuola di San Giuliano hanno mobilitato poco meno di 2 miliardi di euro rispetto a un fabbisogno stimato di 13 miliardi, con notevoli ritardi nell'attuazione. A metà dei 2013 erano stati utilizzati appena 143 milioni di euro dei 500 milioni attivati con le delibere Cipe del 2004 e del 2006. Questa cifra è servita a realizzare 527 interventi sui 1.659 previsti, mentre per gli stanziamenti successivi, tutti i progetti sono ancora in attuazione o addirittura in fase di istruttoria;
   il 12 marzo, il Presidente del Consiglio dei ministri annunciava alla stampa un piano per le scuole da 3,5 miliardi per renderle più sicure e per rilanciare l'edilizia;
   successivamente, in data 27 marzo e il 12 aprile, il Presidente del Consiglio dei ministri Renzi ribadiva che «I cantieri partiranno a giugno e i 3,5 miliardi ci sono», che «dal 15 giugno devono partire i cantieri in tutti i comuni», per poi ribadire qualche giorno dopo: «Abbiamo tolto dal patto di stabilità» questi interventi, «saranno 3,5 miliardi di euro»;
   contrariamente a quanto dichiarato pubblicamente dal Presidente del Consiglio, nel Documento di economia e finanza 2014, il Governo dichiara, a pagina IV della sezione III, Programma nazionale di riforma – Parte I, la strategia nazionale e le principali iniziative: «Piano scuola: vi sono circa 2 miliardi di risorse disponibili destinate alla scuola a cui possono attingere comuni e province per la messa in sicurezza degli edifici scolastici»;
   contrariamente a quanto dichiarato pubblicamente dal Presidente del Consiglio, l'articolo 48 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 recita testualmente: «Per gli anni 2014 e 2015, nel saldo finanziario espresso in termini di competenza mista, individuato ai sensi del comma 3, rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno, non sono considerate le spese sostenute dai comuni per interventi di edilizia scolastica. L'esclusione opera nel limite massimo di 122 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015. I comuni beneficiari dell'esclusione e l'importo dell'esclusione stessa sono individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da emanare entro il 15 giugno 2014» –:
   quali siano le effettive risorse a disposizione del Governo per l'edilizia scolastica;
   con quali tempi e secondo quali procedure tali risorse verranno stanziate.
(5-02947)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   CORDA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il territorio Sulcis-Iglesiente è costituito da ventisette comuni, di cui ventitré sono nella provincia Carbonia-Iglesias. In particolare, il comune di Carbonia ha basato la sua economia principalmente sul settore terziario e sull'industria grazie alla vicina area industriale di Portovesme, frazione nel comune di Portoscuso. Portovesme ospita un grande polo industriale specializzato nella metallurgia non ferrosa con la presenza di industrie quali: EurAlluminia Spa, Otefal Sail Spa, Portovesme Srl, Alcoa, Rockwool Italia Spa, Carbosulcis Spa, divenendo polo unico in Italia per le sue produzioni di alluminio da bauxite, zinco, piombo e acido solforico, oro, argento e alluminio primario; nella zona industriale si trovano anche le centrali termoelettriche ENEL, che generano il 45 per cento dell'energia elettrica prodotta in Sardegna;
   i dati diffusi da fonti ufficiali ISTAT e dall'Osservatorio del mercato del lavoro della regione Sardegna evidenziano un progressivo e sostanziale crollo dell'occupazione in Sardegna, che al IV trimestre del 2013 registra il 18,1 per cento di tasso di disoccupazione e 34.000 occupati in meno rispetto allo stesso trimestre del 2012, e il permanere di una forte incidenza di lavoratori precari e di lavoro irregolare;
   tale situazione è particolarmente grave in alcuni territori dell'isola, da oltre 20 anni colpiti da processi di destrutturazione produttiva e deindustrializzazione, con pesanti e disgreganti conseguenze sulle condizioni di vita delle popolazioni;
   nel comune di Carbonia sono presenti tre discariche di rifiuti industriali: una dell'azienda Ecodump (di Riverso Srl) in località Serra Scirieddus, comune di Carbonia; una della Portovesme S.r.l, in località Genna Luas, comune di Carbonia ed Iglesias; una della Carbosulcis S.p.a. in località Monte Sinni, frazione di Cortoghiana, per lo smaltimento residui derivanti dalla centrale ENEL di Portoscuso;
   nel 2012 la discarica Ecodump è finita al centro di un'inchiesta per la quale erano stati notificati avvisi di garanzia per traffico illecito di rifiuti pericolosi, falso ideologico e attività di gestione di rifiuti non autorizzata;
   nel 2012 si è aperta un'indagine per traffico di rifiuti altamente pericolosi prodotti dagli impianti della Portovesme s.r.l., smaltiti illecitamente in cave del Cagliaritano e nella realizzazione di riempimenti stradali e piazzali degli ospedali; dal mancato smaltimento sarebbe generato un risparmio per la società di 3,6 milioni di euro;
   la Sardegna è una regione posta al centro del mediterraneo e vive di turismo per la sua bellezza paesaggistica. Non è possibile sottovalutare l'impatto che hanno le summenzionate discariche che, insieme alla destrutturazione industriale, hanno reso desolante il territorio; per i richiedenti è necessario intervenire e mettere in sicurezza territorio e cittadini tutti;
   il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale» stabilisce all'articolo 3-ter, comma 1, che «La tutela dell'ambiente e degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche o private, mediante una adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione, dell'azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché al principio “chi inquina paga” che, ai sensi dell'articolo 174, comma 2, del Trattato dell'Unione europea, regolano la politica della comunità in materia ambientale»;
   l'articolo 191 del Trattato dell'Unione europea (ex articolo 174) al paragrafo 2 stabilisce che: «La politica della Comunità in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni della Comunità. Essa è fondata sui principi della precauzione e detrazione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché sul principio “chi inquina paga”;
   l'industrializzazione con l'attuale processo di destrutturazione produttiva, del territorio Sulcis-Iglesiente ha compromesso gli equilibri naturali provocando danni enormi all'eco-sistema naturale e alla salute fisica e psichica della popolazione;
   dai dati emersi dall'ASL 7 del comune di Carbonia si evince un aumento delle patologie neoplasiche maligne nei territori del Sulcis-Iglesiente da 1.825 casi registrati nell'anno 2006 a 3.044 casi registrati nel 2013 ed, in particolare, nella città di Carbonia, dove tra il mese di novembre e dicembre dell'anno 2013 si è registrato un aumento di 100 unità;
   la Sardegna è la regione d'Italia dove si trova l'area contaminata più vasta: 445 mila ettari, dato diffuso nel 2011 da Greenpeace con il Sin Italy, un rapporto sui siti di interesse nazionale che devono essere bonificati (e aree più colpite da inquinamento del suolo, sottosuolo, acque superficiali e sotterranee sono quelle del Sulcis-Iglesiente e del Guspinese);
   all'emergenza ambientale del territorio Sulcis-Iglesiente si aggiunge la problematica lavorativo-occupazionale, come sopra enunciato; in Sardegna vivono questa situazione migliaia di lavoratori interinali, i quali hanno perso il posto di lavoro e non hanno alcuno strumento di integrazione al reddito e nessuna forma di ammortizzatore sociale;
   si vuole rilevare come i lavoratori interinali ex-Rockwool, a suo tempo impiegati in attività collaterali e di supporto alle più importanti realtà industriali del territorio, sono stati esclusi da qualsiasi forma di ammortizzatore sociale e in questo momento si trovano in una condizione di drammatica precarietà –:
   se il Governo intenda assumere le iniziative necessarie ad aprire un tavolo di discussione e di concertazione che coinvolga Stato, regione e tutte le parti interessate per avviare adeguati percorsi di aggiornamento, qualificazione e riconversione professionale per una ripresa lavorativa e produttiva;
   se si intenda affrontare con urgenza la situazione dei lavoratori di tutto il comparto industriale, anche considerando la necessità di interventi urgenti di bonifica delle aree industriali dismesse e conseguente riqualificazione del territorio;
   se si intenda porre in essere ogni opportuna iniziativa per favorire una ripresa ecosostenibile dell'attività produttiva. (3-00866)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DURANTI, FRATOIANNI, MATARRELLI, PANNARALE e SANNICANDRO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il nuovo piano di riorganizzazione presentato dall'ENI per il 2014 ha previsto, a partire dal 1o giugno, il taglio del 50 per cento del lavoro affidato ai trasportatori dei rifornimenti di gasolio e benzina dalla raffineria Eni di Taranto del consorzio LTS, assegnandolo alle aziende Gavio e Bertani;
   la decisione di riorganizzare drasticamente trasporto e distribuzione dei carburanti è motivata dalla raffineria di Taranto con gli sviluppi di un'inchiesta avviata tempo addietro della Guardia di finanza («Mare Nero») la quale ha scoperto una truffa con furto ai danni dell'Eni, nonostante quest'ultima abbia già licenziato i suoi dipendenti risultati coinvolti. I quali, in base al regolamento della società petrolifera, non potranno più lavorare con la stessa Eni alla luce di quanto accertato;
   la revoca della commessa ha spinto i trasportatori del consorzio Lts (200 in tutto) a fermarsi e a bloccare con le loro autocisterne l'area esterna alla raffineria per diverse ore, stazionando lungo i bordi della strada statale 106 Jonica Taranto-Reggio Calabria alle porte della città;
   come emerge dalla stampa nazionale e locale, la prefettura di Taranto, insieme al comune di Taranto, ha provato a mediare con i trasportatori e con i vertici della raffineria. Sembrava essersi aperto uno spiraglio, che però dopo un poco si è richiuso. Allo stato, quindi, il confronto è interrotto e non risultano soluzioni praticabili nell'immediato volte a salvaguardare la situazione occupazionale. Nello specifico, i trasportatori contestano sia il venir meno del 50 per cento dell'appalto complessivo che la quota di subappalto che deriverebbe dalle nuove aziende affidatarie del servizio, non accettando inoltre di lavorare in conto terzi. E in quanto all'inchiesta condotta dalla Guardia di finanza, precisano che i soggetti risultati coinvolti sono stati espulsi dal consorzio stesso;
   la raffineria di Taranto copre una vasta area tra Puglia, Basilicata e parte della Campania e della Calabria e, secondo quanto risulta agli interroganti, ogni giorno partono 200-250 autocisterne –:
   quali elementi il Governo intenda fornire alla luce di quanto descritto nella premessa;
   quali siano gli effetti diretti e indiretti che potrebbero scaturire dal nuovo piano citato in premessa, sotto il profilo del mantenimento degli attuali livelli occupazionali, tenendo conto soprattutto delle difficoltà del territorio jonico;  
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda assumere affinché l'ENI mantenga l'affidamento del lavoro ai consorzi del territorio. (4-05060)


   DI SALVO, FRANCO BORDO, AIRAUDO e PLACIDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Trafilerie Brambilla spa svolge l'attività di trafilatura a freddo dell'acciaio inossidabile che nel 2013 occupava 95 dipendenti, 73 operai e 22 impiegati;
   il 15 aprile 2013 veniva attivato un contratto di solidarietà difensivo, in quanto la situazione finanziaria dell'azienda è talmente critica, che nonostante un portafogli ordini importante, non riesce acquistare le materie prime per evaderli;
   ad ottobre 2013 l'azienda cambia denominazione e diventa Trafileria Del Lario e viene messa in liquidazione;
   contestualmente viene interrotto il contratto di solidarietà e il 22 ottobre 2013 veniva attivata una Cassa integrazione straordinaria per cessazione di attività;
   da ottobre 2013 l'attività lavorativa è ridotta al minimo e viene svolta solo per conto terzi;
   al contempo, l'azienda ha incaricato dei professionisti di raccogliere e valutare le proposte di acquisto dell'azienda, impegnandosi in maniera formale con le parti sociali che la ricerca e la scelta dell'acquirente, sarà finalizzata, oltre che al recupero delle risorse finanziare per soddisfare la liquidazione dei creditori, ad assicurare che l'acquirente mantenga invariato il livello di occupazione nell'azienda, la sua tipologia produttiva e la localizzazione del sito produttivo in Calolziocorte (Lecco);
   nel mese di dicembre 2013, per far fronte alla situazione debitoria ed evitare il fallimento, è stata presentata al tribunale domanda di ammissione al concordato preventivo in bianco, ovvero dichiarando la volontà di presentare una proposta ed un piano ai creditori, ma riservandosi di depositare i documenti e la attestazione entro il successivo termine assegnato dal tribunale;
   nei primi giorni di aprile 2014 l'azienda ha ricevuto un impegno formale a presentare futura proposta di affitto/acquisto da parte di Celik Halat ve Tel Sanayii A.S., società turca, facente parte del gruppo Dogan, gruppo quotato alla Borsa di Istanbul;
   il giorno 9 aprile 2014, l'azienda, in ragione del poco tempo a disposizione per stendere un piano concordatario basato sull'offerta ricevuta da Celik Halat ve Tel Sanayii A.S, non è stata ammessa al concordato;
   Trafilerie Del Lario è ora impegnata a lavorare sull'offerta di Celik Halat ve Tel Sanayii A.S, per poter presentare una nuova domanda di concordato, unica possibilità per evitare il fallimento;
   l'offerta di Celik Halat ve Tel Sanayii A.S, è condizionata all'accordo sindacale, per concludere il quale ha incaricato la Confindustria Bergamo di occuparsi delle trattative riguardanti i lavoratori in forza;
   a maggio 2014, Confindustria Bergamo ha comunicato ufficialmente, ai sensi dell'articolo 47, legge n. 428 del 1990, l'intenzione da parte di Celik Halat ve Tel Sanayii A.S di acquisire Trafileria Del Lario e il 21 maggio si è svolto l'incontro di esame congiunto previsto dalla procedura, finalizzato al raggiungimento di un accordo, che regoli il trasferimento dei lavoratori in forza e le loro condizioni contrattuali;
   durante l'incontro gli advisor incaricati hanno descritto il piano industriale che prevede una graduale crescita dell'attività lavorativa, se pur modesta, da giugno 2014 a dicembre 2014, e una crescita più sostanziale da gennaio 2015 fino ad arrivare al 2018, avendo come obiettivo il fatturato che Trafilerie Brambilla Spa aveva prima della crisi;
   l'operazione di acquisizione vede un impegno finanziario totale, da parte di Celik Halat ve Tel Sanayii A.S, di circa di 20 milioni di euro nel triennio, ma è stato dichiarato che il Piano presentato reggerà solo con l'abbattimento del 30 per cento del costo del lavoro;
   per quanto riguarda i lavoratori, Confindustria Bergamo ha comunicato che, Celik Halat ve Tel Sanayii A.S acquisirà:
    da giugno a dicembre 2014, circa 50 dei dipendenti in forza (che oggi sono 75);
    ai 50 dipendenti riconoscerà il livello di inquadramento, gli scatti di anzianità e il minimo tabellare previsto dal Ccnl Federmeccanica, azzerando ogni altro trattamento retributivo di natura individuale o collettiva acquisto in Trafilerie Brambilla;
   gli altri 25 lavoratori rimarranno in carico a Trafilerie Del Lario, usufruiranno della Cassa integrazione straordinaria fino ad ottobre 2014 e per eventuali ulteriori periodi che potranno essere riconosciuti in base alle normative vigenti, e di un incentivo all'esodo non quantificato;
   il sindacato ha dichiarato inaccettabile la proposta e ha proposto l'applicazione del contratto di solidarietà, che permetterebbe di non licenziare nessuno e di conservare la professionalità, che poi potrà essere riassorbita nell'arco dei tre anni, visto che si intende raggiungere l'obiettivo di tornare ai livelli produttivi precrisi;
   per quanto concerne il taglio delle retribuzioni, la Fiom si dice disponibile a trovare una strada che risponda alle esigenze aziendali, ma che conservi anche i diritti acquisiti dai lavoratori in anni di trattative, ma Confindustria Bergamo e gli advisor hanno dichiarato che non ci sono spazi di trattativa;
   il giorno 22 maggio 2014, Celik Halat ve Tel Sanayii A.S, tramite Confindustria Bergamo, ha intrapreso un'azione unilaterale, inviando 52 raccomandate ad altrettanti lavoratori, invitandoli lunedì 26 maggio 2014 presso Trafilerie Del Lario per ascoltare la proposta di assunzione;
   la Fiom in data 27 maggio 2014 ha depositato presso il tribunale di Lecco un ricorso contro Celik Halat ve Tel Sanayii A.S, per atteggiamento antisindacale ai sensi dell'articolo 28, legge n. 300 del 1970, avente come oggetto, la violazione della procedura ex articolo 47, legge n. 429 del 1990;
   i lavoratori sono tuttora in presidio e assemblea permanente, anche se purtroppo i 52 lavoratori hanno sottoscritto e sono disponibili ad accettare le condizioni poste dalla società Celik Halat pur di avere un posto di lavoro. Le altre maestranze continueranno ad attivare tutte le iniziative che saranno necessarie per difendere il loro posto di lavoro –:
   se non intenda attivare un tavolo di trattative per assicurare la salvaguardia dei livelli occupazionali e impedire che, a fronte della possibilità di accedere ai contratti di solidarietà, in vista della futura ripresa della piena attività da parte dell'azienda, vengano licenziate maestranze. (4-05061)

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


   FRANCO BORDO e PALAZZOTTO. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il 18 e 19 maggio 2014 la Repubblica Ceca, attraverso due notifiche inviate al «sistema di allerta rapido europeo», ha reso noto che nei pomodorini di varietà ciliegino provenienti dal Marocco, e importati dalla Francia, è stato trovato il batterio della escherichia coli;
   prima dell'allerta della Repubblica Ceca anche la Francia aveva reso nota, con una apposita nota, una tossinfezione alimentare legata ai pomodori marocchini. La nota ha informato l'opinione pubblica francese dei 26 casi di intossicazione avvertita con una grave sintomatologia, con «sintomi digestivi», ascrivibile al consumo di pomodori ciliegino nel periodo che va dal gennaio ad aprile 2014. A seguito dei 26 casi di tossinfezione il 30 aprile 2014, la Francia ha disposto il ritiro dal mercato;
   il batterio della escherichia coli viene trasmesso dalle feci dei ruminanti; è letale per gli anziani, bambini e per persone debilitate;
   a tutt'oggi il Ministero della salute non ha ancora informato l'opinione pubblica italiana circa la commercializzazione anche in Italia dei pomodorini contaminati provenienti dal Marocco;
   oltre che in Italia, Repubblica Ceca e Francia, i pomodorini del Marocco sono stati commercializzati in Germania, Slovacchia, Romania e Regno Unito;
   il 1o ottobre 2012 è entrato in vigore l'accordo di libero scambio tra il Regno del Marocco e l'Unione europea in merito a misure di liberalizzazione reciproche per i prodotti agricoli, i prodotti agricoli trasformati, il pesce e i prodotti della pesca (Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea serie L 241 del 7 settembre 2012) –:
   quali interventi urgenti il Ministro della salute intenda porre in essere per informare l'opinione pubblica circa ai fatti suddescritti e quali interventi immediati di prevenzione sanitaria si ritengano di adottare per evitare il rischio di tossinfezione per la salute umana così come è accaduto in Francia;
   se il Governo, alla luce della vicenda esposta in premessa, non valuti opportuno, in sede europea, promuovere una revisione dell'accordo di libero scambio con il Regno del Marocco al fine di garantire che gli standard qualitativi previsti dalla normativa europea siano fondati su un vero principio di reciprocità sia in ambito commerciale che in relazione alla qualità dei prodotti agroalimentari. (3-00864)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZARATTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del commissario ad acta del 5 luglio 2013 n. U00314 «adozione della proposta di programmi operativi 2013-2015 a salvaguardia degli obiettivi strategici di rientro dai disavanzi sanitari della regione Lazio» pubblicato sul bollettino ufficiale della regione Lazio n. 56 prevede la chiusura dei posti letto di riabilitazione dell'ospedale Villa Albani di Anzio, oltreché di quelli dell'ospedale Spolverini di Ariccia, nel comprensorio della ASL RMH;
   nell'ospedale Villa Albani di Anzio, struttura storicamente riconosciuta come punta di eccellenza della sanità laziale per la riabilitazione, sono attivi 35 posti letto di riabilitazione post acuzie (codice 56) e 4 posti di day hospital; la struttura ospita tra l'altro 30 pazienti gravemente disabili. Nell'anno 2013 all'ospedale Villa Albani tra visite specialistiche, fisiatriche e fisioterapia ambulatoriale (codice 56) sono state eseguite n. 49.714 prestazioni. Sono 180 i pazienti riabilitati post interventi protesici, mentre 2.355 sono stati i ricoveri in day hospital;
   attualmente nei distretti H4 (Pomezia) e H6 (Anzio e Nettuno) della ASL RMH, dove sono residenti circa 207.000 persone, sono attivi 71 posti di riabilitazione (degenza ordinaria e day hospital) dell'ospedale pubblico Villa Albani e della clinica privata convenzionata Villa dei Pini, con un numero di posti letto per 1.000 abitanti pari allo 0,34, quindi nettamente inferiore allo standard 0,7 posti letto per mille abitanti per la riabilitazione previsto dalla legge 7 agosto 2012, n. 135. Con la chiusura dei posti letto dell'ospedale Villa Albani resterebbero solo i posti letto della clinica privata Villa dei Pini; questo comporterebbe un drastico spostamento verso il basso dello standard previsto per legge con un numero di posti letto per 1.000 abitanti pari allo 0,15;
   con la prevista chiusura dei posti letto della riabilitazione del Villa Albani si arriverebbe al paradosso che in tutto il distretto H4 e, più in generale, in tutta la ASL RMH non esisterebbero più posti letto per la riabilitazione pubblici. La riabilitazione resterebbe solo appannaggio delle cliniche private convenzionate. Con il taglio dei posti letto previsto nel piano la riabilitazione ortopedica di eccellenza come quella erogata dall'ospedale Villa Albani di Anzio, risulterebbe gravemente deprivata –:
   se trovi conferma l'intenzione di chiudere il reparto di riabilitazione dell'ospedale Villa Albani di Anzio unico presidio pubblico per la riabilitazione ortopedica in territorio vasto e densamente popolato;
   quali iniziative il Governo intenda mettere in atto, nell'ambito delle proprie competenze e anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, per scongiurare la soppressione di un presidio sanitario fondamentale per il diritto alla salute dei cittadini del litorale laziale. (4-05056)


   L'ABBATE, MASSIMILIANO BERNINI, GALLINELLA, GAGNARLI, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nei primi giorni di giugno 2014, la Repubblica Ceca ha notificato attraverso il sistema di allerta rapido europeo il ritrovamento in un lotto di pomodorini ciliegina, provenienti dal Marocco ed importati dalla Francia, di tossine prodotte da escherichia coli;
   la Francia aveva già allertato i Paesi europei, nei giorni precedenti, sul possibile verificarsi di una tossinfezione alimentare legata al consumo di pomodorini provenienti dal Marocco e distribuiti, oltre che in Francia e Repubblica Ceca, anche in Germania, Slovacchia, Romania, Regno Unito ed Italia;
   già nel 2011, un altro prodotto di origine vegetale – germogli crudi di soia – venne coinvolto da un'allerta alimentare a causa della contaminazione da parte di ceppi di escherichia coli pericolosi per la salute umana. L'intossicazione fu riscontrata in maniera prevalente in Germania e Francia, causando anche alcuni decessi;
   dal Ministero della salute non è giunta, sinora, alcuna informazione volta ad informare i cittadini sulle eventuali precauzioni da adottare nel consumo di pomodorini ciliegina;
   la recente sottoscrizione dell'accordo tra Unione europea e Marocco ha, di fatto, liberalizzato lo scambio commerciale di molti prodotti agricoli e ciò, oltre a compromettere il mercato nazionale di tali produzioni potrebbe, se tali prodotti non fossero sottoposti a stringenti controlli igienico-sanitari, pregiudicarne la qualità, a possibile danno della salute dei cittadini/consumatori –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti in permessa e quali azioni intendano porre in essere al fine di garantire un'adeguata e tempestiva informazione ai consumatori italiani;
   quali misure intendano adottare, in base alle proprie competenze, per evitare l'ingresso o individuare i lotti già in circolazione dei pomodorini ciliegina provenienti dal Marocco per i quali è già partito un allarme a livello internazionale, sul mercato italiano, al fine di tutelare la salute dei cittadini;
   quale sia la tipologia di controlli igienico-sanitari applicata ai prodotti alimentari e agricoli provenienti da Paesi extra Ue, con particolare riferimento al regno del Marocco, considerando la facilità d'ingresso dei prodotti agricoli marocchini nel nostro Paese garantita dalla sottoscrizione dell'accordo citato in premessa. (4-05058)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   la società Antonio Merloni era una azienda situata nell'area di Fabriano, tra le Marche e l'Umbria, dove produceva elettrodomestici per conto terzi;
   il 27 dicembre 2011, dopo tre anni di amministrazione straordinaria, accompagnata da scioperi, occupazioni e proteste dei dipendenti, è stata venduta dai commissari nominati dal Ministero dello sviluppo economico alla società J.P. (Qs Group Spa), di proprietà dell'imprenditore Giovanni Porcarelli;
   la vendita è avvenuta per una cifra pari a 12 milioni di euro (appena un quinto del valore reale, stimato in 54 milioni) salvaguardando, almeno in parte, livelli occupazionali ed unità produttiva con il riassorbimento di 700 lavoratori nella newco;
   tra i creditori della Antonio Merloni, alcune banche hanno deciso di ricorrere alla autorità giudiziaria per chiedere l'annullamento della cessione del complesso industriale in quanto avvenuta in pregiudizio degli interessi dei creditori;
   il tribunale di Ancona il 20 settembre 2013 accoglieva il ricorso delle banche istanti, annullando la cessione e censurando l'operato dei commissari nominati dal Ministero dello sviluppo economico per aver agito travalicando i limiti del potere discrezionale della pubblica amministrazione;
   in particolare, il tribunale civile di Ancona contestava nel provvedimento «l'inderogabilità del criterio in base al quale, nella determinazione del valore dell'azienda ai fini della alienazione, secondo la disciplina stabilita dall'articolo 63 del decreto legislativo n. 270/1999, la redditività negativa poteva essere calcolata solo con riferimento al biennio successivo alla stima», mentre i commissari nominati dal Ministero dello sviluppo economico avevano determinato il valore su quattro anni;
   il tribunale sottolineava, inoltre, come il piano industriale di quattro anni, presentato dalla J.P. per acquisire i tre stabilimenti della Antonio Merloni di Fabriano e Gaifana, nonché i marchi Ardo e Seppelfricke, doveva essere sostenuto a rischio ed onere dell'acquirente J.P. e non a scapito dei creditori, che vedevano in quel modo azzerata la garanzia patrimoniale del debitore;
   la corte d'appello di Ancona, in data 4 aprile 2014, confermava la decisione del tribunale, ribadendo il principio che l'amministrazione straordinaria non impone ai commissari di vendere comunque e sempre ad un qualsiasi prezzo i beni che compongono l'attivo;
   di fatto, però, l'azione dei commissari è seguita alla oggettiva difficoltà di alienare un complesso industriale di 5 mila addetti, che produceva un numero di 5 mila lavatrici al giorno per conto terzi, gravato da 700 milioni di debiti;
   i bandi di interesse internazionale lanciati dai commissari erano andati deserti, così come infruttuose le ipotesi di individuare acquirenti cinesi o iraniani;
   esulando dal merito della vicenda giudiziaria che non compete all'interpellante, le decisioni del tribunale e della corte d'appello hanno creato una situazione di grande incertezza per il prosieguo dell'attività industriale del complesso aziendale ex Antonio Merloni, mettendo a rischio il livello occupazionale in una area geografica – un tempo nota come «distretto del bianco» – già duramente colpita da una lunga e persistente crisi industriale;
   il 5 giugno 2014, si è tenuto presso il Ministero dello sviluppo economico un incontro tra i commissari nominati dal Ministero e rappresentanti delle banche creditrici per cercare una soluzione, tuttavia senza esito risolutivo;
   ad oggi il Governo, come altre istituzioni competenti, non si è espresso ufficialmente sulla vicenda riepilogata in premessa –:
   se il Ministro interpellato intenda intervenire in modo diretto, attraverso l'apertura di un tavolo ministeriale o con altri strumenti previsti dall'ordinamento, per individuare una soluzione politica e tecnico-giuridica alla questione di cui in premessa;
   se non ritenga opportuno coinvolgere anche le rappresentanze sindacali dei lavoratori;
   se abbia avviato una indagine interna al fine di individuare eventuali responsabilità nell'attività di cessione operata dai commissari nominati dal Ministero dello sviluppo economico.
(2-00569) «Ricciatti».

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Tabacci e altri n. 1-00265, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato De Mita.

  La mozione Dorina Bianchi e Piccone n. 1-00484, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 giugno 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Scopelliti.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Grande n. 1-00286, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 139 del 17 dicembre 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    il rischio proveniente dall'esposizione all'amianto è noto al legislatore italiano per esito del regio decreto n. 442 del 1909, cui conseguirono il regolamento di cui al decreto legislativo 6 agosto 1916, n. 1136, e la tabella di cui al regio decreto n. 1720 del 1936;
    il nostro Paese si è distinto per la sua prolungata inadempienza in materia di protezione dall'amianto tanto da costringere le istituzioni europee ad intervenire con la procedura di infrazione n. 240/89, definita con la decisione di condanna della Corte di giustizia dell'Unione europea del 13 dicembre 1990, che dichiarava che l'Italia era venuta meno agli obblighi derivanti dal Trattato istitutivo della Comunità economica europea, non aver recepito la direttiva 83/477/CEE del 19 settembre 1983 «Sulla protezione dei lavoratori contro i rischi connessi con una esposizione ad amianto durante il lavoro» entro la scadenza del 1o gennaio 1987;
    la stessa Corte di giustizia dell'Unione europea affermava di aver presentato, a norma dell'articolo 169 del Trattato istitutivo della Comunità economica europea, un ricorso finalizzato a far dichiarare che l'Italia, non avendo recepito la direttiva di cui sopra, fosse venuta meno agli obblighi previsti in forza del Trattato istitutivo della Comunità economica europea;
    la Repubblica italiana, pur ammettendo sostanzialmente di non aver ancora adottato i provvedimenti necessari per l'attuazione della direttiva nel proprio ordinamento, finalmente, dopo qualche anno, recepiva la direttiva con il decreto legislativo n. 277 del 1991, cui fece seguito la legge 27 marzo 1992, n. 257;
    la legge 27 marzo 1992, n. 257, in materia di «Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto», che ha stabilito il divieto di estrazione, commercializzazione e produzione di amianto, la bonifica degli edifici, delle fabbriche e del territorio, nonché misure per la tutela sanitaria e previdenziale dei lavoratori esposti all'amianto, non risulta ad oggi totalmente applicata se si analizzano i dati nazionali legati alla pericolosità dell'amianto e ancora purtroppo drammatici;
    la «Conferenza governativa sull'amianto e le patologie asbesto correlate: stato dell'arte e prospettive», svoltasi a Venezia dal 22 al 24 novembre 2012, ha evidenziato che vi sono ancora oltre 40 mila siti con presenza di amianto sul territorio italiano, di cui circa 400 ad alto rischio;
    la ricognizione sullo stato di attuazione della legge n. 257 del 1992 ha evidenziato un'omogeneità nazionale di non attuazione: in effetti, mancano linee guida in alcune regioni, la progressione delle bonifiche risulta estremamente lenta ed è di circa l'1 per cento all'anno dell'amianto presente in Italia dal 1992, per cui, mantenendo questo ritmo, si ritiene che siano necessari almeno altri 60 anni di lavoro;
    questi dati sono, peraltro, decisamente approssimativi visto che regioni come Sicilia e Calabria, al momento della conferenza di Venezia, non avevano ancora comunicato alcun dato e che gli utilizzatori indiretti di amianto nelle attività produttive non stilano sistematicamente la relazione annuale;
    i decessi connessi con l'esposizione all'amianto sono pari a circa 5000 annuali, di cui circa 1500 per via di mesoteliomi (neoplasia dovuta all'esposizione alle fibre aerodisperse dell'amianto) e il restante tra tumori polmonari e altre patologie asbesto-correlate;
    studi scientifici ed epidemiologici rivelano che il picco si raggiungerà nei prossimi 15 anni a causa del lungo periodo di latenza che caratterizza le malattie asbesto-correlate, in particolare il mesotelioma che, in alcuni casi, può manifestarsi anche dopo 30/40 anni dall'esposizione all'amianto e che ha origine nel mesotelio, la membrana che riveste la maggior parte degli organi interni del corpo, tra cui i polmoni e la parte interna della gabbia toracica (pleura), il cuore (pericardio), l'intestino (peritoneo) e i testicoli (tunica vaginale);
    molto numerose, purtroppo per il nostro Paese, sono le realtà industriali nelle quali si è fatto indiscriminato uso di materiali contenenti amianto e Civitavecchia, come molte altre città, ha dovuto e sta tuttora pagando un prezzo altissimo in termini di vite umane a causa dell'indiscriminato utilizzo del sopradetto, pericolosissimo inquinante. Nel dicembre 2013, nel territorio di Civitavecchia, sono state rinvenute circa 300 tonnellate di amianto interrate abusivamente nel corso degli anni; si tratta di un potenziale disastro ecologico portato alla luce dal reparto operativo aeronavale della Guardia di finanza che ha ovviamente posto sotto sequestro l'area, con la procura della Repubblica che ha di seguito aperto un'inchiesta per reati ambientali;
    non meno rilevante, a titolo ulteriormente esemplificativo, è il caso di in un popoloso quartiere di Avellino dove è stato effettuato un testing sanitario sulla popolazione scolastica e sui residenti adulti con risultati sconcertanti;
    in quell'area grosse quantità di cemento-amianto sono contenute in un noto stabilimento in pessimo stato di conservazione all'interno di un silos prossimo al crollo;
    la procura della repubblica di Avellino ha disposto il sequestro penale dell'area per disastro ambientale doloso e ha emanato 24 avvisi di garanzia che hanno raggiunto soprattutto ex amministratori comunali;
    il procuratore Cantelmo è stato audito dalla Commissione ambiente del Senato della Repubblica in merito al legame tra inquinamento ambientale e patologie tumorali e gli atti sono stati secretati;
    ad oggi, sono stati accertati più di dieci morti da amianto tra i lavoratori, ma sembrano essere in realtà una trentina. Quasi tutti i 300 ex lavoratori dello stabilimento avellinese sono affetti da patologie asbesto-correlate, pur continuando ad esercitare la loro attività lavorativa, in assenza di regole serie per il prepensionamento;
    risulterà, pertanto, evidente la necessità di invertire una tendenza che, fino ad oggi, ha registrato tanto l'utilizzo indiscriminato di materiali contenenti amianto nei principali cicli produttivi quanto la colpevole inerzia degli enti preposti alla tutela dei lavoratori esposti e delle loro famiglie, al fine di minimizzare, per quanto ancora possibile, le gravi conseguenze di trascuratezze oggi, di fatto, riconosciute e non più ulteriormente tollerabili;
    all'alta concentrazione della mortalità a causa del mesotelioma nel nord del Paese, come ad esempio a Casale Monferrato, dove l'esistenza di un grande impianto per la produzione di manufatti di amianto ha generato un progressivo aumento di mortalità con un'incidenza 40 volte superiore al resto del Piemonte, si stanno aggiungendo altre aree in cui la mortalità per questa neoplasia è particolarmente preoccupante come Bari, Siracusa, Manfredonia e Avellino. Nel capoluogo irpino è tutt'ora localizzato, ancorché dismesso, uno stabilimento denominato Isochimica nel quale, per quasi dieci anni, circa 300 lavoratori hanno scoibentato 360 carrozze all'anno, piene di amianto, dei treni delle Ferrovie dello Stato;
    il rischio connesso alla pericolosità della dispersione nell'aria delle fibre di amianto nelle zone dove si lavorava questo materiale è altissimo non solo fra i lavoratori: secondo il Registro nazionale dei mesoteliomi, oltre l'8 per cento dei casi è stato esposto per motivi ambientali (luogo di residenza) o per motivi familiari (convivenza con lavoratori esposti);
    in Italia mancano ancora dati di mappatura dell'amianto nelle scuole per oltre la metà delle regioni italiane e ciò non è accettabile se si pensa che le patologie asbesto-correlate hanno una latenza prolungata e che potrebbero colpire, in particolare, le fasce di minore età. Si stimano dalle 2.000 alle 3.000 «scuole amianto» in Italia. Per quanto riguarda la mappatura, si segnala che esistono sistemi di individuazione dell'amianto visibile dall'alto anche a costi decisamente bassi. Si segnala che i centri operativi regionali afferenti al Registro nazionale dei mesoteliomi hanno subito un depotenziamento che determina la riduzione delle informazioni ottenute da parte degli esposti e che non consente di compilare un registro degli esposti, aggravando la carenza generale di dati in merito ai siti e alle attività produttive contaminate e impedendo la corretta sorveglianza epidemiologica; è da rilevare che oltre l'80 per cento delle circa 440 mila tonnellate di amianto smaltite negli ultimi anni in Italia è stata spedita all'estero, con costi aggiuntivi e incremento dei rischi durante il trasporto. Il costo medio di smaltimento dell'amianto è di 900 euro a tonnellata se esportato (550 per la rimozione, 250 per il conferimento in discarica e 100 euro per il trasporto). L'individuazione di siti regionali compatibili con lo smaltimento che rispondano a criteri di idoneità geologica, paesaggistica e ambientale potrebbe portare a una bonifica a «chilometri zero», che dovrebbe passare naturalmente per il coinvolgimento delle popolazioni interessate anche in merito alla necessità di riduzione del rischio in relazione al progressivo deterioramento dei materiali contenenti amianto presenti in tutto il Paese e garantendo la massima trasparenza dei dati dei controlli dell'inquinamento delle matrici ambientali circostanti gli impianti, coinvolgendo personale di età prossima alla pensione negli impianti stessi per i già citati dati di latenza dello sviluppo di patologie; il Piano nazionale amianto del Governo Monti, scaturito anche dalla governativa sull'amianto e le patologie asbesto-correlate di Venezia, seppur contenga buoni spunti, deve ancora essere approvato dalla Conferenza Stato-regioni e sembrerebbe, per quanto consta ai firmatari del presente atto di indirizzo, bloccato al Ministero dell'economia e delle finanze per la mancanza di coperture; stante l'urgenza che l'attuale Governo attui i provvedimenti necessari a far fronte a questo tema, nel corso della recente seconda conferenza internazionale dell'Osservatorio nazionale amianto (Ona onlus), tenutasi nell'aula dei gruppi della Camera dei deputati il 20 marzo 2014, dove è stata data voce alle istituzioni, alle associazioni di esposti, ai cittadini e a eminenti scienziati, è emersa oltretutto la necessità di un piano amianto alternativo a quello governativo, che miri in maniera più decisa alla prevenzione primaria, alla ricerca scientifica, alla interdizione dei crimini ambientali lesivi della dignità e dell'incolumità della persona e che, attraverso la valorizzazione delle associazioni e delle autonomie locali, possa permettere di affrontare e risolvere questo enorme problema; è necessario che, in linea con il piano governativo e i piani delle associazioni di esposti all'amianto, siano stabiliti, altresì, termini specifici e tassativi per eseguire e per portare a termine la mappatura delle zone del territorio nazionale interessate dalla presenza di amianto, nonché la bonifica, ai sensi dell'articolo 20 della legge n. 93 del 2001 e del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare n. 101 del 2003, atteso che l'assenza di termine finale rischia di prorogare sine die gli interventi di bonifica e di esporre a rischio cittadini e lavoratori, con maggior rischio di insorgenza di malattie e lesione della pubblica incolumità e con maggiori oneri sociali e sanitari; è urgente stabilire, inoltre, i termini perentori per la decontaminazione dei luoghi di lavoro in ambito civile e militare e per il divieto di esposizione all'amianto,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni iniziativa utile a consentire che i lavoratori affetti da patologie asbesto-correlate di origine professionale, qualora non abbiano ancora raggiunto i requisiti per la maturazione del diritto alla pensione, anche dopo la rivalutazione del periodo contributivo ai sensi dell'articolo 13, comma 7, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni, possano comunque accedere al pensionamento anticipato, con il sistema contributivo, senza rinunciare alle altre provvidenze vigenti;
   a verificare, d'intesa con le regioni, che entro il 30 giugno 2015 venga eseguita la mappatura dell'amianto contenuto nelle scuole, per tutte le regioni italiane, e si proceda entro il 1o gennaio 2020 alla rimozione dello stesso;
   a verificare, anche d'intesa con le regioni, che sia terminata la mappatura dell'amianto in ogni sito di pubblica fruizione entro il 31 dicembre 2016, nonché a porre in essere ogni iniziativa, anche sotto forma di incentivo finanziario, finalizzata ad agevolare le bonifiche da parte dei titolari di edifici pubblici e privati o porzioni di essi, contenenti amianto, ponendo come obiettivo per l'integrale bonifica la data del 1o gennaio 2020;
   ad assumere iniziative per introdurre nel codice penale specifiche fattispecie di reato che sanzionino la violazione di tali obblighi o prevedano l'inasprimento delle pene per fattispecie penali già vigenti;
   a porre l'obbligo in capo al datore di lavoro di provvedere alle bonifiche entro il 1o gennaio 2020, indipendentemente dalla concentrazione di amianto in sospensione e dal periodo di esposizione del lavoratore;
   ad assumere iniziative affinché, per le coperture installate a seguito di sostituzione di opere contenenti amianto, siano utilizzati materiali idonei al loro recupero e al loro riciclo in caso di successiva rimozione;
   ad assumere iniziative affinché, entro il 1o gennaio 2015, la presenza di amianto, in qualunque luogo, sia evidenziata con l'apposizione di un'etichetta chiara e visibile recante l'indicazione della presenza di amianto nonché contrassegni indicanti il pericolo;
   a provvedere, per quanto di competenza, alla creazione di un sistema di informatizzazione e banca dati dei processi di bonifica, alla georeferenziazione e all'individuazione di siti idonei allo stoccaggio dell'amianto in ciascuna regione italiana entro il 1o gennaio 2015, agendo anche nell'ottica di filiera corta di gestione, di riduzione del rischio e dei costi, avendo cura di riferire con cadenza semestrale alle Commissioni parlamentari competenti l'avanzamento di tutti i processi di bonifica relativi agli immobili censiti;
   a rafforzare i sistemi di verifica della tracciabilità dell'amianto, altresì stimolando lo smaltimento sostenibile anche attraverso la determinazione di un prezziario nazionale per singole tipologie di opere di bonifica;
   ad assumere iniziative per predisporre, nell'ambito di misure per la defiscalizzazione degli interventi di rimozione dell'amianto dagli edifici privati, la possibilità di detrazione dall'imposta lorda di un importo pari al 72 per cento delle spese documentate, fino a un ammontare complessivo delle spese non superiore a 96.000 euro per unità immobiliare;
   ad individuare forme di incentivazione e sostegno per privati ed imprese, finalizzate a contestualizzare, alle pratiche di bonifica, la realizzazione di pannelli fotovoltaici;
   a verificare l'omogeneità dei trattamenti delle patologie asbesto-correlate sul territorio nazionale, monitorando, in particolare, i trattamenti chirurgici e chemioterapici, predisponendo adeguate risorse per la valutazione degli outcome clinici e di qualità di vita dei pazienti e incentivando la ricerca clinica e laboratoristica nel settore;
   ad assumere iniziative per escludere, dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno, le spese per gli interventi di messa in sicurezza e bonifica dell'amianto, attivandosi anche in sede europea per lo scorporo dai predetti saldi.
(1-00286)
(Nuova formulazione) «Grande, Sibilia, Bechis, Zolezzi, Prodani, Artini, Pinna, Currò, Spadoni, Del Grosso, Scagliusi, Rizzo, Corda, Fico, Lorefice, Mantero, Di Vita, Vacca, Brescia, Grillo, Dall'Osso, Baroni, Cecconi, Gallinella, Bechis, Parentela, Toninelli, Frusone, Barbanti, Nicola Bianchi, Cristian Iannuzzi, De Lorenzis, Lupo, Terzoni, De Rosa, Paolo Nicolò Romano, Mannino, Lombardi, Turco, Da Villa».

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Marzana e altri n. 5-01751 del 19 dicembre 2013 in interrogazione a risposta scritta n. 4-05064;
   interrogazione a risposta in Commissione Marzana e altri n. 5-02096 del 7 febbraio 2014 in interrogazione a risposta scritta n. 4-05065.