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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 5 giugno 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    il massiccio utilizzo dell'amianto, verificatosi sino alla fine degli anni Ottanta ed il cui uso è stato vietato in Italia da una legge del 1992, ha prodotto un'enorme quantità di patologie e di decessi per quanti sono entrati in contatto con tale materiale. La sua presenza nelle più disparate strutture continua tuttora a produrre malattie asbesto-correlate; dai dati contenuti nel Registro nazionale dei mesoteliomi risulta che l'8 per cento dei casi è dovuto all'esposizione ambientale in abitazioni prossime ai luoghi di lavorazione o alla convivenza con familiari esposti all'amianto per motivi di lavoro;
    oltre ai dati statistici ormai noti a tutti, l'elemento più allarmante messo in risalto dalla comunità scientifica internazionale è quello che riguarda il periodo che va dal 2020 al 2025. In quell'arco di tempo, dicono infatti gli scienziati, si registrerà il picco massimo di patologie asbesto-correlate;
    appare evidente, dunque, come la lotta a questa calamità debba costituire uno degli elementi prioritari che lo Stato deve affrontare, predisponendo misure straordinarie in termini di sostegno ai soggetti colpiti da patologie derivanti dall'esposizione all'amianto ed alle loro famiglie, di diagnosi precoci per i soggetti a rischio, di bonifica dei siti, di rimozione integrale del cancerogeno dai luoghi di lavoro e dalle comunità, di mappatura e tracciatura del rifiuto e di intensificato contrasto all'attività delle ecomafie (nel corso del convegno organizzato dall'Osservatorio nazionale sull'amianto il 19 maggio 2012, sono stati evidenziati gli enormi profitti e gli immensi danni prodotti dalle attività illegali in questo settore;
    è evidente come il fenomeno rivesta rilevanza internazionale: il Parlamento europeo e il Consiglio, con l'ultima direttiva 2009/148/CE del 30 novembre 2009 sulla protezione dei lavoratori esposti al rischio amianto, hanno, infatti, emanato norme più stringenti e con esse hanno stabilito la necessità di una più attenta tutela senza discriminazioni nei confronti delle vittime. E proprio in questa direzione sono state definite misure in relazione ai diritti al prepensionamento (articolo 13, commi 7 e 8, della legge n. 257 del 1992);
    sul piano del sostegno ai soggetti colpiti dalle patologie suindicate ed ai loro familiari (in tale ottica va infatti valutata l'accertata e lunga latenza delle patologie, la presenza attuale di luoghi contaminati ed altro), lo Stato è già intervenuto;
    infatti, con la legge finanziaria per il 2008 (commi 241-246 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2007, n. 244) è stato istituito un Fondo per le vittime dell'amianto presso l'Inail che è diventato operativo a seguito dell'emanazione del decreto ministeriale 12 gennaio 2011. Il Fondo citato eroga una prestazione aggiuntiva alle altre riconosciute per legge, per le vittime dell'amianto, per quanti abbiano contratto patologie asbesto-correlate per esposizione all'amianto e, in caso di premorte, in favore degli eredi. Il finanziamento del Fondo per le vittime dell'amianto è, per un quarto, a carico delle imprese e, per tre quarti, a carico del bilancio dello Stato; l'addizionale a carico delle imprese ha dato un gettito pari a 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009 e di 7,3 milioni di euro a partire dal 2010; l'onere per lo Stato a decorrere dal 2010 assomma, quindi, a 22 milioni di euro;
    il regolamento del Fondo per le vittime dell'amianto stabilisce che la prestazione aggiuntiva sia calcolata applicando alla rendita già percepita la misura percentuale definita con decreto interministeriale. La prestazione è stata fissata nella misura del 20 per cento per ciascuno degli anni 2008 e 2009 e del 15 per cento per il 2010. Per gli anni successivi al 2011, il regolamento non fissa la misura della prestazione aggiuntiva, ma ne definisce il sistema di calcolo e di erogazione, secondo modalità decrescenti, dal 18,1 per cento computato per il 2011 all'8,3 per cento stimato per il 2022;
    la platea dei beneficiari, con riferimento al 2012, è di 17.501 soggetti tra aventi diritto e superstiti; le assegnazioni sono state regolari sino alle somme spettanti per il 2012 (erogate nel giugno 2013), ma nel 2013 non vi sono stati i previsti trasferimenti dal bilancio dello Stato;
    presso il Fondo per le vittime dell'amianto sono in giacenza circa 31 milioni di euro effettivamente utilizzabili, che appaiono, però, insufficienti ad assicurare le prestazioni future;
    per quanto concerne invece la bonifica del territorio, occorre ricordare l'importanza di tale operazione che, a distanza di anni dall'entrata in vigore della legge n. 257 del 1992, risulta ancora necessaria visto che sono presenti migliaia e migliaia di tonnellate di fibre di amianto e di cemento-amianto nelle fabbriche, negli edifici pubblici e privati e in varie comunità; secondo il Consiglio nazionale delle ricerche si tratta di oltre 32 milioni di tonnellate di cemento-amianto da bonificare, mentre sono ancora esposti agli agenti atmosferici 2,5 miliardi di metri quadri di coperture; risulta problematico anche lo smaltimento per la mancanza di discariche specializzate; il 60 per cento del materiale dismesso viene regolarmente inviato all'estero,

impegna il Governo:

   ad intervenire per semplificare le modalità di erogazione della prestazione aggiuntiva a valere sul Fondo per le vittime dell'amianto costituito presso l'Inail ai sensi dei commi 241-246 dell'articolo 1 della legge n. 244 del 24 dicembre 2007, spettante ai soggetti beneficiari, fissandola in una percentuale che rimanga tale nel corso degli anni e individuando le risorse necessarie ad assicurare la piena copertura delle erogazioni spettanti;
   ad operarsi per la piena funzionalità del Piano nazionale amianto, varato dal Governo Monti nel marzo 2013, ancora in sede di esame presso la Conferenza Stato-regioni, valutando la possibilità di incrementarne la dotazione economica, al fine di accelerare gli interventi ivi previsti, diretti ad eliminare i rischi per la salute pubblica derivanti dalla presenza di amianto negli edifici pubblici e nei luoghi di lavoro;
   a valutare la possibilità di escludere dai saldi rilevanti, per la verifica del rispetto del patto di stabilità interno, le spese per la bonifica dell'amianto, in particolare in edifici pubblici quali scuole, università ed ospedali, assumendo iniziative per prevedere il finanziamento del Fondo nazionale per il risanamento degli edifici pubblici, attualmente privo di adeguata dotazione;
   ad intervenire perché venga realizzata un’«Anagrafe dell'edilizia scolastica», anche attraverso l'impegno degli enti locali che potranno indicare al Governo – in maniera tale che questi informi pienamente il Parlamento – le necessità, le priorità e le emergenze da affrontare, al fine di risolvere un allarmante problema che, attualmente, coinvolge ben duemila edifici scolastici, 342 mila alunni, docenti ed operatori scolastici;
   ad assumere iniziative per la messa a regime delle agevolazioni fiscali attualmente previste in favore degli interventi di bonifica dall'amianto effettuati da privati;
   a valutare la necessità di predisporre misure in termini di diagnosi precoce al fine di tutelare la salute dei cittadini esposti al rischio amianto.
(1-00484) «Dorina Bianchi, Piccone».

Risoluzioni in Commissione:


   La IV Commissione,
   premesso che:
    l'obiettivo di contrastare il fenomeno dell'abbandono incontrollato di rifiuti di ogni genere ai margini delle strade o in aperta campagna e il successivo ricorso, spesso doloso, all'incendio di questi stessi rifiuti come forma di sbrigativo smaltimento degli stessi con rischi e danni elevatissimi per la salute e per l'ambiente è già stato oggetto di un intervento legislativo;
    il decreto-legge 10 dicembre 2013 n. 136 recante «Disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali ed a favorire lo sviluppo delle aree interessate» prevede espressamente all'articolo 3 che: «Fermo restando quanto previsto dalle disposizioni vigenti, i Prefetti delle province della regione Campania, nell'ambito delle operazioni di sicurezza e di controllo del territorio prioritariamente finalizzate alla prevenzione dei delitti di criminalità organizzata e ambientale, sono autorizzati ad avvalersi, nell'ambito delle risorse finanziarie disponibili, di personale militare delle forze armate, posto a loro disposizione dalle competenti autorità militari ai sensi dell'articolo 13 della legge 1° aprile 1981, n. 121.»;
    la norma si inserisce correttamente nel nostro ordinamento e nella prassi in vigore che riconoscono all'autorità di Governo territoriale la possibilità di avvalersi del concorso delle forze armate nelle situazioni di pubbliche calamità;
    la possibilità di prevedere tra le attività di concorso anche l'utilizzo dei cosiddetti UAV o APR, cioè aeromobili a pilotaggio remoto, non è di fatto esclusa e può essere presa in considerazione tenendo presente alcune considerazioni:
     l'impiego di mezzi a pilotaggio remoto deve essere approvato dall'ENAC che di caso in caso, stabilisce modalità e requisiti per arrivare ad individuare aree di decollo, atterraggio e soprattutto di operazioni basandosi sulla densità di popolazione e sulla densità di altro traffico aereo pilotato, nella zona;
     in termini più elementari ENAC, su proposta dell'Aeronautica militare, stabilisce normalmente di far decollare ed operare velivoli a pilotaggio remoto in zone con scarsa popolazione e scarsissimo traffico aereo in quanto i livelli di sicurezza di questi sistemi sono ancora inferiori a quello di un velivolo pilotato. Soprattutto per quanto concerne la separazione da altri velivoli che volino nello stesso spazio aereo;
     nei pochi casi (grandi eventi a rischio terrorismo molto elevato) in cui il Predator è stato utilizzato in prossimità di centri urbani, il suo impiego è stato limitato a poche ore e comunque sottoposto ad ulteriori limitazioni di volo;
    queste considerazioni portano a sconsigliare l'impiego dei «Predator» nelle attività di controllo sulle aree della «terra dei fuochi» che si trovano a ridosso dell'aeroporto internazionale di Capodichino e comunque hanno una densità abitativa che va da media ad elevata;
    l'altro fattore da tener presente è la limitata disponibilità da parte dell'Aeronautica militare che dispone complessivamente di 10/11 aeromobili nelle due versioni A e B direttamente acquistati negli Stati Uniti che, se impiegati anche in questa attività, (da sommare a quelle già in corso per il Controllo dell'immigrazione), in pochi mesi esaurirebbero la vita operativa dei componenti con l'esigenza di acquistarne di nuovi sul mercato;
    diverso sarebbe invece l'impiego di velivoli molto più piccoli, più adatti allo scopo e che per il loro peso molto più contenuto meglio si presterebbero all'impiego nelle aree citate. Tali velivoli non necessitano di piste di volo, possono essere agevolmente trasportati a spalla e sono lanciabili in pochi minuti da spazi aperti quali piazze, tratti stradali, campi di calcio e simili,

impegna il Governo:

   ad approfondire la validità dell'eventuale utilizzo di APR nell'area della cosiddetta «Terra dei fuochi» concordando tra tutti i ministeri interessati, difesa, interno, trasporti e ambiente e territorio un piano coordinato che fissi criteri e modalità di attuazione di una simile iniziativa;
   a tenere informata la Commissione in relazione alle valutazioni raggiunte nell'eventualità che venga individuata l'utilità di intervenire con l'impiego di aeromobili del tipo APR.
(7-00380) «Scanu, Villecco Calipari, Bolognesi, Carlo Galli, Salvatore Piccolo, Giuditta Pini, Valeria Valente, Zanin».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    l'economia di svariati comuni della provincia di Catania è legata principalmente al settore primario. L'attività agricola si caratterizza per una forte presenza di manodopera bracciantile collegata alla raccolta stagionale dei vari prodotti della terra, a cui si aggiunge che nei mesi che vanno da novembre a maggio l'attività bracciantile si concentra nella raccolta degli agrumi;
   gli impianti agrumicoli esistenti nella provincia di Catania nell'annata 2012-2013 presentano un notevole calo di produzione quantificabile intorno al 30 per cento se non addirittura al 40 per cento in meno rispetto all'anno precedente. Questa diminuita produzione si ripercuote pesantemente e produce le sue negative conseguenze sui livelli occupazionali dei lavoratori dell'agricoltura per i quali sarebbe anzi opportuno, mediante un'apposita iniziativa ad hoc, l'esclusione dal penalizzante regime previsto dalla legge di riforma del sistema pensionistico (cosiddetta legge Fornero). La campagna agrumicola del 2012-2013 non è riuscita ad impiegare la stessa quantità di manodopera utilizzata negli anni precedenti perché è mancato il prodotto da raccogliere;
   la scarsa produzione agrumicola si somma ad un'altra piaga che si è abbattuta, in questi ultimi anni nelle campagne del catanese e in quelle del siracusano. Si tratta di una delle patologie più gravi che colpiscono gli agrumi causata dal Citrus tristeza virus, conosciuta come «tristezza degli agrumi», che ha falcidiato migliaia di ettari di agrumeti per la quale non vi è un rimedio fitopatologico, ma l'unico metodo di controllo della patologia è la riconversione degli impianti con l'utilizzo di portainnesti tolleranti, come i citrange Carrizo e Troyer, alle principali popolazioni del virus e l'adozione di un'adeguata politica di monitoraggio e prevenzione dei ceppi più virulenti; oltreché lo svellimento delle piante definitivamente compromesse a seguito di ordinanza del servizio fitosanitario regionale;
   la crisi di produzione unita alla crisi per la ristrutturazione delle colture agrumicole comportano un calo considerevole della produzione e del mancato guadagno che ne consegue. La pratica colturale che si attua in questi casi, oltre quelle summenzionate, è l'estirpazione e il reimpianto degli agrumeti con la conseguente mancata raccolta per i successivi 5 anni. Il tutto si traduce in mancanza di reddito per le famiglie dei braccianti, minore erogazione dell'indennità di disoccupazione e la diminuzione dei versamenti contributivi. Sono migliaia le famiglie di braccianti agricoli che negli ultimi anni si sono ridotte allo stato di povertà;
   il virus, endemico nel Sud-Est Asiatico di cui è probabilmente originario, si è diffuso, negli ultimi anni, nella maggior parte delle aree agrumicole del mondo. Nel bacino del Mediterraneo esso è stato segnalato in forma epidemica in alcune aree causando la morte di milioni di piante su estensioni di terreno considerevoli;
   in Sicilia, sono stati rinvenuti diversi focolai della malattia, dovuti specialmente all'importazione di materiale di propagazione infetto, molto probabilmente proveniente dalla Spagna. I sintomi più classici e specifici della malattia sono il disseccamento dei rami, la defogliazione, la riduzione di sviluppo e il progressivo deperimento della pianta fino alla morte;
   il virus della tristezza si diffonde, oltre che con il materiale di propagazione, soprattutto tramite afidi, la cui specie vettrice più efficiente, la Toxoptera citricida, si teme che arriverà in Italia nei prossimi mesi. Negli oltre 60.000 ettari di agrumeti e nei diversi punti d'ingresso della Sicilia, gli ispettori del servizio fitosanitario regionale si sono attivati alla individuazione dell'afide il quale costituisce una notevole minaccia per gli agrumeti e l'indotto economico legato alla raccolta, commercializzazione e trasformazione del prodotto agricolo;
   da una recente indagine, svolta dal servizio fitosanitario in Sicilia orientale, sono stati ipotizzati tassi che vanno dal 10 per cento al 30 per cento d'infezione, che potrebbero rapidamente aumentare se l'afide marrone venisse importato in Sicilia per errore attraverso altre colture. Infatti, non vi è alcun modo possibile per proteggere le piante se non utilizzando, nei vivai le reti anti-insetto che non escludono la possibilità di altri mezzi di infezione delle piante;
   i prodotti fitosanitari hanno un effetto limitato sugli afidi e non sono efficaci contro la trasmissione della malattia. Altri metodi testati devono ancora dimostrare tutta la loro efficacia;
   la lotta contro il virus della tristezza è obbligatoria ed è regolamentata dal Decreto Ministeriale del 22 novembre 1996 (Gazzetta Ufficiale 5 dicembre 1996 n. 285);
   la regione Sicilia ha emanato la legge n. 25 del 24 novembre 2011, «Interventi per lo sviluppo dell'agricoltura e della pesca. Norme in materia di artigianato, cooperazione e commercio», il cui articolo 11, «Norme per il contrasto alle fitopatie, Citrus Tristeza Virus ed al punteruolo rosso», dà attuazione alle misure nazionali di lotta obbligatoria per la prevenzione ed il controllo delle infezioni causate dal virus con la previsione a concedere un indennizzo agli agricoltori per i costi sostenuti per la prevenzione e la lotta alla fitopatia degli agrumi,

impegna il Governo:

   ad intervenire immediatamente per quanto di competenza al fine di porre rimedio ad una situazione economica del settore agrumicolo già fortemente compromesso dalla perdita di lavoro e dal danno agronomico causato dal Citrus Tristeza Virus;
   a prevedere un piano d'azione nazionale pluriennale dotato di sufficienti risorse economiche e di specifici interventi e procedure al fine di tutelare la biodiversità della regione Siciliana e i redditi degli operatori del settore;
   a prevedere con appositi programmi annuali linee di finanziamento per le aziende agrumicole che dovranno riconvertire gli impianti agrumicoli infetti;
   a porre in essere misure economiche appropriate per sostenere il mancato reddito dei braccianti agricoli, prevedendo per essi la possibilità del riconoscimento delle giornate lavorative degli anni precedenti al fine di poter beneficiare dell'indennità di disoccupazione.
(7-00381) «Palazzotto, Franco Bordo».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    in data 29 aprile 2010 veniva approvato dalla Conferenza Stato-regioni il «Piano nazionale del settore florovivaistico per il 2010/2012»;
    il suddetto piano evidenziava numerose problematiche, a tutt'oggi ancora irrisolte, che erano e sono di diretta conseguenza di dinamiche commerciali a livello internazionale per le quali è urgente, oggi più che mai, proporre alla nuova Commissione europea di istituire, nell'ambito della Direzione generale dell'agricoltura e dello sviluppo rurale, un «Comitato Permanente del settore florovivaistico», con la partecipazione dei 28 rappresentanti istituzionali degli Stati membri, al fine di affrontare e discutere tematiche comuni volte, tra l'altro, a predisporre un regolamento comunitario specifico ed armonizzato del settore che garantisca le aziende, gli operatori e quindi tutta la filiera di settore in un periodo di evidente crisi e recessione del comparto;
    sono svariate le problematiche che rendono necessaria ed indifferibile la necessità di istituire un «Comitato permanente» che supporti una politica comunitaria armonizzata e condivisa del settore con regole chiare che vada oltre i poco incisivi e scarsamente funzionali «Gruppi consultivi» di supporto alla Commissione europea, istituiti ai sensi della decisione della Commissione n. 391/CE del 23 aprile 2004, come il Gruppo della «Floricoltura e Piante ornamentali»;
    il florovivaismo è un comparto avanzato dell'agricoltura che comprende il segmento dei fiori e fronde recise, delle piante in vaso da interno ed esterno e delle piante erbacee e legnose. Per le piante erbacee e legnose, vanno citati gruppi di prodotti come le conifere, le latifoglie (ornamentali, forestali, piante da frutto e barbatelle di vite), le aromatiche, le piantine di ortaggi, le piante mediterranee e le acidofile; tra queste alcune specialità sono molto apprezzate anche all'estero;
    il settore si avvale di tecnologie e procedure sempre più sofisticate (tra le quali la robotica e l'automazione) che hanno ricadute sull'intero comparto agricolo, industriale e commerciale, oltre ad essere attivamente connesse con settori quali l'arboricoltura, l'orticoltura, la frutticoltura, le coltivazioni erbacee, arbustive e industriali, nonché il paesaggismo, che coinvolge direttamente il «verde» inteso come ambiente, biodiversità e qualità della vita di tutti i cittadini comunitari. Inoltre, è da considerarsi strategico a livello nazionale per l'occupazione diretta ed indotta, per il miglioramento dell'ambiente, per il presidio del territorio quale bene comune, della qualità della vita e per la ricerca avanzata nel campo biotecnologico, termodinamico e meccanico;
    le aziende florovivaistiche in Europa hanno un fatturato di oltre 20 miliardi di euro e l'Italia, con oltre 36.000 aziende e 100 mila addetti, si attesta sul 15 per cento della produzione comunitaria; il settore florovivaistico italiano rappresenta circa il 6 per cento dell'intera produzione agricola (Produzione Lorda Vendibile);
    il settore florovivaistico sia a livello comunitario che nazionale, sta vivendo una crisi dovuta all'aumento delle importazioni dai Paesi extracomunitari. Infatti, la commercializzazione di fiori, fronde, piante ed altri prodotti florovivaistici di origine comunitaria, destinati ai principali mercati europei subiscono la concorrenza del prodotto extra Unione europea che sottrae quote di mercato interno, ed inoltre diminuisce il volume esportato per gli elevati costi di produzione (in primis il riscaldamento). Le aziende, di conseguenza, cercano di reperire varietà locali da valorizzare, che vengono coltivate fuori serra oppure cambiano specie sperimentando la produzione di fronde e fogliame. Quindi, attualmente, il settore soffre della crisi globale, della riduzione della domanda, ma anche di alcune criticità specifiche che avevano già evidenziato effetti negativi;
    l'origine di tali problematiche si può ricondurre essenzialmente alle politiche commerciali adottate dall'Unione europea con i Paesi extracomunitari nonché alle politiche economiche interne alla Comunità europea. Analizzando le politiche commerciali comunitarie attive in ambito del World trade organization, WTO, in particolare il fenomeno della «delocalizzazione produttiva» verso Paesi in via di Sviluppo, PVS, emerge il costante incremento delle importazioni di produzioni florovivaistiche. Tali politiche comportano anche incentivi per la delocalizzazione di grandi imprese comunitarie, che hanno così potuto avviare produzioni intensive in questi Paesi. Le piccole e medie aziende, invece, devono fare i conti con alti costi dei fattori di produzione (manodopera, ma anche terra ed energia) e con stringenti normative fitosanitarie ed ambientali. In particolare, dall'analisi dei dati disponibili in merito al settore florovivaistico, si evidenzia che il numero dei fiori importati dai Paesi terzi è in continua crescita ad un valore sempre più basso, e con standard di qualità ambientale decisamente insussistenti per vie del fatto che le normative di detti Paesi sono, rispetto all'impiego sostenibile dei prodotti fitosanitari, praticamente inesistenti (a tal riguardo, sarebbe opportuno richiedere per i Paesi extra Unione europea l'obbligo del «passaporto verde» per poter esportare nell'Unione europea);
    di conseguenza il fatturato proveniente dalle produzioni dei PVS è ottenuto molto spesso senza rispettare le norme di «salvaguardia ambientale, sanitaria e di tutela del lavoro», e determina conseguentemente, come già evidenziato, il calo dei prezzi su tutto il territorio dell'Unione europea per le diverse specie commercializzate, soprattutto per i fiori recisi, che in Italia hanno subito una diminuzione della produzione che si è fatta più evidente negli ultimi anni. Tutto questo mentre le importazioni dai Paesi terzi continuano costantemente ad aumentare visto che il 74 per cento dei fiori recisi commercializzato in Europa è importato dai suddetti Paesi;
    bisogna considerare, oltretutto, che le politiche economiche comunitarie non prevedono alcun sostegno al settore florovivaistico, che non ha mai potuto usufruire, a livello di regolamentazione comunitaria, di una Organizzazione comune dei mercati, OCM, che prevedesse tutta una serie di opportunità e di finanziamenti così come è previsto, ad esempio, per il settore degli ortofrutticoli. Il settore è ormai sottoposto anche ad una «concorrenza sleale» dovuta all'applicazione dell'esenzione parziale o totale dei dazi all'importazione, previsti per alcuni Paesi in via di Sviluppo;
    in particolare a seguito dell'avvenuta approvazione dell'OCM unica di cui al Regolamento (CE) n. 1234/2007 del Consiglio del 22 ottobre 2007, che ha abrogato il Regolamento (CEE) n. 234/68 del 27 febbraio 1968, il comparto delle piante vive e dei prodotti della floricoltura non dispone più di strumenti specifici, pur se limitati, previsti dalla precedente OCM di settore che è stato incorporato in una normativa unica per tutti i settori;
    con la nuova programmazione 2014-2020 della Politica agricola comune e, specificatamente il Regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013, recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli e che ha abrogato i Regolamenti (CEE) n. 922/72, (CEE) n. 234/79, (CE) n. 1037/2001 e (CE) n. 1234/2007 del Consiglio, è stato riconfermato, per il settore florovivaistico, quanto stabilito dal precedente Regolamento;
    in data 21 ottobre 2009 è stata emanata la direttiva 2009/128/CE sull'uso sostenibile dei fitofarmaci;
    il decreto legislativo n. 150 del 14 agosto 2012 ha dato attuazione alla Direttiva 2009/128/CE;
    in data 22 gennaio 2014 è stato adottato, ai sensi dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 150 del 14 agosto 2012, il «Piano d'azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (PAN)». Il PAN in linea con i principi della direttiva si prefigge di:
     a) ridurre i rischi e gli impatti dei prodotti fitosanitari sulla salute umana, sull'ambiente e sulla biodiversità;
     b) promuovere l'applicazione della difesa integrata, dell'agricoltura biologica e di altri approcci alternativi;
     c) proteggere gli utilizzatori dei prodotti fitosanitari e la popolazione interessata;
     d) tutelare i consumatori;
     e) salvaguardare l'ambiente acquatico e le acque potabili;
     f) conservare la biodiversità e tutelare gli ecosistemi;
    l'assenza in ambito comunitario di un'appropriata ed armonizzata regolamentazione del settore che preveda strumenti di sostegno al florovivaismo al fine di migliorarne la competitività sui mercati internazionali, sta fortemente pregiudicando la multifunzionalità del settore con le conseguenti ricadute socioeconomiche degli attori che vi operano,

impegna il Governo:

   in ambito comunitario nel semestre di presidenza italiana a rivedere quelle politiche comunitarie che oggi prevedono facilitazioni e sostegni per le aziende che investono fuori dal mercato europeo;
   a farsi promotore in sede comunitaria di una regolamentazione dei flussi di import di fiori e fronde recisi che, alla luce del calo di reddito e di produzione di molte aziende italiane ed europee negli ultimi anni, potrebbe prevedere la possibilità di un avvio della procedura di «clausola di salvaguardia», prevista dalla normativa in casi analoghi posto che la produzione floricola è, a tutti gli effetti, una produzione agricola ed anche per essa deve poter valere quanto previsto dal Regolamento (CE) n. 732/2008;
   a sollecitare, nell'ambito dell'Unione europea, specifici accordi al fine di armonizzare la normativa dei Paesi terzi alla regolamentazione comunitaria per l'utilizzo dei fitofarmaci ed alle normative agro-ambientali di riferimento e, comunque, a porre in essere controlli efficaci a livello comunitario finalizzati ad evitare l'importazione di prodotti con residui di fitofarmaci fuori dagli standard di sicurezza comunitari con lo scopo di tutelare la salute dei consumatori e sia per evitare che nell'Unione europea vengano introdotti, organismi patogeni che negli ultimi anni hanno prodotto delle vere e proprie contaminazioni epizoiche;
   a far inserire il settore florovivaistico a pieno titolo nell'ambito delle politiche della nuova programmazione della Politica agricola comune;
   a facilitare, sburocratizzando le procedure, l'incentivazione all'accesso ai fondi strutturali per la ricerca, lo sviluppo e l'innovazione, compreso il settore della logistica e del risparmio energetico, per il settore della floricoltura e delle piante ornamentali;
   ad avviare azioni o linee di intervento condivise tra tutti gli altri Stati membri, coordinate da un «Comitato permanente del settore florovivaistico» da istituire nell'ambito della direzione generale dell'agricoltura e dello sviluppo rurale al fine di tutelare e promuovere la filiera florovivaistica comunitaria quale strumento per la salvaguardia ambientale e dei prodotti comunitari di qualità, col compito anche di trasferire ai singoli Stati membri le decisioni adottate, favorendo un rapporto più diretto con tutta la filiera e con gli stakeholders per creare le condizioni adatte allo sviluppo del settore, coerentemente con le sue potenzialità e con le vocazioni produttive del territorio interessato.
(7-00382) «Franco Bordo, Palazzotto».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, unitamente al Ministro della pubblica amministrazione e la semplificazione, Marianna Madia, hanno inviato una lettera ai dipendenti pubblici per illustrare le proposte del Governo in carica circa il programma di riforme della pubblica amministrazione;
   al punto 13 della missiva figura l'abolizione del segretario comunale, che ha scatenato la reazione negativa dei diretti interessati ma anche dei sindaci e degli amministratori locali;
   quella del segretario comunale è una figura professionale fondamentale per il buon andamento della vita amministrativa del comune e che riveste molteplici importanti funzioni: dalla consulenza amministrativo-giuridica al coordinamento delle attività dei dirigenti; dalla partecipazione con funzioni consultive, referenti e di assistenza alle riunioni del consiglio e della giunta allo svolgimento di una funzione notarile (roga tutti i contratti nei quali l'ente è parte e autentica scritture private e atti unilaterali nell'interesse dell'Ente), con un risparmio notevolissimo per tutti i comuni e le province; dal controllo della regolarità amministrativa, delle determinazioni di impegno, degli atti di accertamento di entrata e di tutti gli atti amministrativi alla responsabilità delle attività dell'anticorruzione e del piano per la trasparenza;
   il ruolo del segretario si è persino ampliato con una ulteriore serie di competenze tra cui spiccano la tutela della trasparenza e quella della legalità e resta l'unico collaboratore valido al quale potersi rivolgere per dipanare problematiche e per proporre soluzioni;
   la figura del segretario comunale rappresenta, pertanto, una certezza di riferimento ed una collaborazione di funzionalità;
   senza questa figura molti comuni, specie quelli di medio-piccole dimensioni, sarebbero costretti a ricorrere a costosi pareri pro veritate e a numerose consulenze esterne, motivo per cui, dal punto di vista di revisione della spesa l'abolizione del segretario comunale farebbe nascere più costi rispetto al risparmio che ne deriverebbe;
   sottrarre ai comuni una tale professionalità sarebbe poi deleterio per la organicità dell'ente e penalizzerebbe la funzionalità degli organi politici e di programmazione –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se gli stessi corrispondano al vero;
   quali iniziative intendano adottare per scongiurare il rischio di abolizione del segretario comunale, figura centrale e storica per il mondo delle autonomie.
(4-05028)


   LAFFRANCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 29 maggio 2014 l'assemblea degli, azionisti di Ferrovie dello Stato italiane spa ha deciso di portare da cinque a nove i membri del consiglio di amministrazione dell'azienda; il nuovo consiglio di amministrazione è composto da Marcello Messori (presidente), Michele Mario Elia (amministratore delegato), Daniela Carosio, Vittorio Belingardi Clusoni, Giuliano Frosini, Gioia Ghezzi, Simonetta Giordani, Federico Lovadina, Wanda Ternau;
   il vecchio consiglio di amministrazione guidato da Mauro Moretti era composto di sole cinque persone; tolto lo stesso Moretti e il presidente Lamberto Cardia, gli altri tre erano funzionari del Ministero dell'economia e delle finanze e delle infrastrutture e dei trasporti che partecipavano senza percepire emolumenti già ai lavori del Consiglio;
   a parere dell'interrogante, risultano poco chiare non solo le ragioni per cui si è provveduto ad aumentare i membri del consiglio di amministrazione, ma anche i motivi per cui sia stato rinnovato tutto il consiglio, che non era in scadenza. Formalmente non vi era alcun bisogno di procedere al rinnovo; era necessario sostituire Mauro Moretti, che era il capo dell'azienda, spostatosi in Finmeccanica. Il numero due di Ferrovie, Michele Mario Elia, avrebbe preso il suo posto e il resto poteva non subire mutamenti;
   invece la decisione è stata diversa, e si è provveduto non solo al rinnovo dell'intero consiglio, ma anche all'aumento del numero di consiglieri preposti: quattro in più rispetto alla passata gestione; tra l'altro, visionando i curriculum dei nuovi membri del consiglio di amministrazione, risultano presenti ben tre esperti di relazioni esterne –:
   quale sia stata la logica che ha guidato le scelte dell'assemblea di Ferrovie dello Stato e che ha portato al completo rinnovo del consiglio di amministrazione, e, in particolare, quali siano le ragioni tecniche e strategiche che hanno determinato l'aumento del numero dei membri del nuovo consiglio;
   quali siano stati i criteri di nomina dei nuovi membri del consiglio di amministrazione di Ferrovie dello Stato;
   quale sia il risparmio prodotto dalla scelta dell'assemblea degli azionisti che ha portato da cinque a nove i membri del consiglio di amministrazione dell'azienda. (4-05035)


   GIANLUCA PINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   in data 3 giugno 2014 l'agenzia di stampa russa RIA NOVOSTI ha reso noto il prossimo dispiegamento nel Mar Nero della nave SIGINT della Marina Militare italiana denominata ELETTRA;
   l'ELETTRA che è dotata di sofisticati dispositivi di ascolto ed intercettazione, sostituirebbe a partire dal 15 giugno 2014 la nave francese DUPUY DE LOME, che ha lasciato il Mar Nero il 29 maggio 2014;
   non vi sono al momento conferme o smentite ufficiali da parte del Governo;
   ancorché certamente riconducibile all'accentuarsi della pressione dell'Alleanza Atlantica nei confronti della Russia per la crisi in atto in Ucraina, l'eventuale ingresso della nave ELETTRA nel Mar Nero appare comunque un atto politicamente sensibile, tanto più che implica lo svolgimento di attività di spionaggio elettronico in prossimità del territorio e delle acque territoriali della Federazione russa;
   la linea del Governo in relazione agli sviluppi della crisi in atto in Ucraina era stata finora improntata ad un grande equilibrio, come prova la centralità assegnata dal Ministro degli affari esteri agli sforzi di mediazione nell'ambito dell'OSCE –:
   se il rischieramento di nave ELETTRA in Mar Nero sia confermato e quali siano gli eventuali obiettivi della sua missione. (4-05036)


   CIPRINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia; la legge 4 maggio 1983, n. 184, «Diritto del minore ad una famiglia» e successive modificazioni, prevede l'affidamento del minore ad una famiglia o ad una persona singola in grado di garantirgli il mantenimento, l'educazione, l'istruzione e le relazioni affettive di cui ha bisogno nel caso in cui il minore sia temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo o, qualora questo non sia possibile, l'inserimento in una comunità di tipo familiare o in un istituto di assistenza pubblico e privato;
   il diritto del minore alla famiglia si atteggia in maniera particolarmente delicata soprattutto con riferimento alla condizione dei minori allontanati dalla famiglia di origine con provvedimento di una autorità giudiziaria;
   in una risoluzione del 2009 (Linee guida relative all'accoglienza eterofamiliare dei minori, adottate dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 2009, A/RES/64/142, pubblicata il 24 febbraio 2010), le Nazioni Unite impegnano gli Stati con ogni mezzo (finanziario, psicologico e organizzativo) a preservare il rapporto del minore con la sua famiglia di origine e ad impedire che il bambino ne debba uscire e, in tal caso, ad agevolarne il rientro, dettando criteri ben precisi sull'affidamento temporaneo, quali: che il minore sia tenuto in luoghi vicini alla sua residenza abituale; che si ponga attenzione a che il minore non sia oggetto di abuso o sfruttamento; che l'allontanamento si prospetti temporaneo e si cerchi di preparare il rientro in famiglia al più presto possibile; che il dato della povertà familiare non sia da solo sufficiente a giustificare l'allontanamento del minore; che i motivi d'ordine religioso, politico ed economico non siano mai causa principale dell'invio di un minore fuori dalla famiglia; che sia preferita, ove possibile, l'assegnazione ad un ambiente familiare rispetto all'istituto (soprattutto sotto i tre anni di età);
   tuttavia, sono sempre più numerosi i fatti di cronaca giudiziaria che dimostrano come giudici e pubblici ministeri fanno sempre più affidamento a opinioni, relazioni e conclusioni di psicologi, psichiatri e assistenti sociali del servizio sociale o dei consultori familiari con l'assunto che, grazie alla loro conoscenza, sia possibile determinare la responsabilità di una persona (paradigmatico è, ad esempio, il caso di Rignano Flaminio) senza che queste relazioni o perizie – a parere dell'interrogante – possano considerarsi prove concrete come dovrebbe accadere in un giusto processo;
   in data 19 dicembre 2011 nasceva prematuramente all'età prenatale di 27 settimane la minore G. dall'unione dei genitori M.D. e F.G.;
   la minore veniva ricoverata per quattro mesi in ospedale fino alla dimissione avvenuta in data 12 aprile 2012 e dunque affidata ai genitori con la seguente diagnosi: «prematurità d'alto grado, neonata piccola per l'EG, bronco displasia di grado lieve, persistenza dotto di Botallo, ittero trattato con fototerapia, anemia della prematurità. All'encefalo 19 dicembre 2011 sospetta GNH-IVH bilaterale e all'ecoencefalo 15 gennaio 2012 ipercogenicità parenchimale da ricontrollare»;
   la mattina del 16 luglio 2012 la minore presentava un forte malessere e, trasportata all'ospedale cittadino, la TAC evidenziava ematoma subdurale e occipitale con successivo ricovero della stessa in data 17 luglio 2012;
   in prossimità delle dimissioni della bimba, che sarebbe stata affidata ai genitori, la commissione di unità di Crisi dell'ospedale eleva un sospetto maltrattamento sulla base dell'incongruenza delle spiegazioni fornite dalla madre della minore sulle modalità dell'infortunio occorsole e, dopo aver acquisito informazioni da «colleghe del territorio», veniva effettuata la segnalazione agli organi competenti;
   veniva aperta una indagine penale dalla procura della Repubblica di Ascoli Piceno per l'ipotesi di reato di cui agli articoli 81, 572, 582, 583 codice penale a danno della minore G.;
   in seguito ad un esposto anonimo, in data 3 agosto 2012 il pubblico ministero presso la procura per i minorenni di Ancona ai sensi dell'articolo 8 della legge n. 184 del 1983 iscritto al R.G.A.C. n. 904/12 chiedeva al tribunale per i minorenni di Ancona «la dichiarazione dello stato di adottabilità di G. nata ad Ascoli Piceno il 19 dicembre 2011 con collocamento della stessa presso una idonea coppia ed ogni ulteriore conseguente statuizione. Con la dichiarazione di decadenza dei genitori dalla potestà parentale». Il pubblico ministero minorile fondava la propria richiesta sulla base di «un esposto anonimo diretto al Servizio Sociale del Comune di Ascoli Piceno in cui è evidenziato che i genitori della minore assumono reiteratamente nei confronti della stessa atteggiamenti incongrui»; che «le informazioni fornite sono precise e circostanziate tanto da apparire raccolte da persona che ha avuto modo di frequentare la minore e la sua famiglia prima della nascita»;
   nella stessa data del 3 agosto 2012 il tribunale per i minorenni di Ancona con decreto cron. 2131 (procedimento n. 13/12 ADS) disponeva «L'apertura della procedura relativa all'abbandono di (............), SOSPENDE entrambi i genitori dalla potestà sulla minore (...), AFFIDA la minore al SS del Comune di Ascoli Piceno in collaborazione con l'ASUR competente per l'adozione di tutte le iniziative opportune a tutela della neonata ivi compreso il collocamento della minore in idonea struttura, una volta giudicata dimissibile, con facoltà della madre di seguirla, riferendo a questo Ufficio con relazione trimestrale, salvo urgenze e salvo la prima immediata relazione, sulla situazione della minore e sulle iniziative intraprese». In detto decreto si afferma che «la descrizione della dinamica, a detta dell'Unità di Crisi del suddetto presidio non appariva compatibile con la lesività riportata dalla bambina; che in atti vi è lettera anonima contenente gravi e pesanti accuse nei confronti dei genitori della minore, incolpati di condotte incongrue, poco tutelanti e fonti di sicuro pregiudizio per la bimba»;
   in esecuzione al predetto decreto, la minore veniva dimessa in data 9 agosto 2012 dall'ospedale Salesi di Ancona e veniva affidata al responsabile della comunità di Macerata designata dal tribunale, dove faceva subito ingresso unitamente alla madre;
   avverso tale decreto, in data 17 settembre 2012, i genitori della minore proponevano reclamo alla corte d'appello delle Marche – Sezione Minori –, chiedendone l'annullamento e l'affidamento della minore ai genitori; la corte d'appello delle Marche con decreto cron. 347 del 14 novembre 2012 rigettava il reclamo, ritenendo al momento il decreto adottato dal tribunale adeguato all'interesse della minore, in quanto l'istruttoria non si era ancora conclusa, pur puntualizzando che una lettera anonima non poteva costituire fondamento di un provvedimento giudiziario;
   in data 16 febbraio 2013 il difensore dei genitori della minore faceva richiesta al tribunale per i minori di valutare l'opportunità di trasferire la bimba e la mamma in altra comunità, più vicina alla città di residenza dei genitori (Ascoli Piceno), per ridurre il disagio dei viaggi quotidiani del padre tra Ascoli Piceno e Macerata; tale richiesta era generata dalla necessità di ovviare al clima difficile che si era creato intorno alla mamma all'interno della comunità stessa, anche a seguito di alcune lesioni riscontrate nella bimba, che venivano attribuite alla mamma come maltrattamenti;
   a seguito di tali episodi – così come riferiti dalla comunità – il tribunale per i minorenni con decreto cron. 1882 del 23 maggio 2013, depositato il 21 giugno 2013, disponeva l'allontanamento della madre anche dalla comunità e la predisposizione di un ciclo di sei incontri monitorati e garantiti a distanza di entrambi i genitori presso il consultorio familiare; veniva altresì disposta una consulenza tecnica d'ufficio sulle capacità vicarianti delle zie della minore e dei rispettivi mariti, considerata la disponibilità in ordine a un eventuale affido, e sull'attuale stato psichico-relazionale della minore;
   la madre della minore veniva allontanata dalla comunità di Macerata il successivo 24 giugno 2013;
   nel settembre 2013 la procura chiedeva l'archiviazione del procedimento penale a carico del padre;
   all'udienza del 15 gennaio 2014 e con successiva richiesta del 24 febbraio 2014 il difensore dei genitori chiedeva e reiterava, anche alla luce dell'archiviazione del procedimento penale a carico del padre, l'immediata revoca della sospensione della potestà al padre ed il collocamento della minore presso lo stesso, richieste ad oggi non riscontrate;
   risulterebbe all'interrogante che la minore sia tutt'ora in comunità e che la madre sia stata allontanata sulla base di quanto riferito dagli operatori della comunità e dunque la minore non abbia contatto da diverso tempo con la madre;
   risulta che il procedimento penale a carico del padre è in fase di archiviazione e che il padre ha notevoli difficoltà nel ristabilire una relazione con la figlia anche a causa della distanza che lo separa dalla comunità in cui si trova la figlia; le istanze depositate dal legale dei genitori al fine di modificare il provvedimento suddetto sarebbero tuttora prive di riscontro;
   risulterebbe che la procedura di allontanamento della minore dal proprio nucleo familiare sia stata originata da un mero esposto anonimo poi posto alla base delle decisioni adottate dal tribunale;
   sulla base di questa e di altre storie di minori allontanati dal proprio nucleo familiare avvenute in passato appaiono drammaticamente fondate le conclusioni di una ricerca della regione Piemonte secondo cui «L'attuale sistema di sostegno e tutela dei minori sta rischiando di andare in corto circuito a causa del potere sproporzionato degli operatori sociali e della leggerezza con cui le decisioni di allontanamento vengono prese»;
   secondo giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia, per un genitore ed il proprio figlio il fatto di essere insieme rappresenta un elemento fondamentale della vita familiare. Le misure interne che lo impediscono costituiscono un'ingerenza nel diritto tutelato dall'articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo così laddove risulta provata l'esistenza di un legame familiare, lo Stato deve per principio agire in modo tale da consentire a questo legame di svilupparsi, e deve dunque adottare misure idonee affinché il genitore possa riunirsi al proprio figlio –:
   se il Presidente del Consiglio dei ministri e i Ministri interrogati, ciascuno per quanto di competenza, siano a conoscenza dei fatti esposti;
   quali iniziative intendano adottare, anche di carattere normativo, per la tutela del benessere dei minori al fine di evitare che i minori possano essere sottratti alle famiglie in forza di decisioni adottate dall'autorità giudiziaria sulla base di esposti anonimi, relazioni di psicologi, assistenti sociali, consultori familiari, operatori sociali e psichiatri che valutino l'operato dei genitori in modo unilaterale e senza una verifica del grado di validità e di attendibilità e riscontro delle informazioni, dati, fonti e giudizi su cui si basano le conclusioni raggiunte da tali operatori;
   quali iniziative intendano adottare, anche di carattere normativo, affinché tutti i processi decisionali concernenti provvedimenti di allontanamento dei minori dal nucleo familiare vengano assunti nel rispetto delle garanzie e dei diritti costituzionalmente previsti del giusto processo, del contraddittorio delle parti sulle fonti di prova acquisite e dei diritti della difesa dei genitori coinvolti in tali processi garantendone in maniera effettiva la conoscenza e la partecipazione anche tramite i propri difensori e i consulenti di parte;
   quali iniziative – anche di tipo normativo – intendano adottare affinché il genitore possa riunirsi al proprio figlio in conformità alla normativa nazionale, europea ed internazionale e ai princìpi espressi dalla giurisprudenza della Corte di giustizia europea in materia di affido temporaneo, favorendo programmi di supporto per il recupero della genitorialità con adeguati progetti e disincentivando la odiosa prassi degli «allontanamenti facili» e i continui scostamenti dei minori da una struttura all'altra;
   se il Ministro della giustizia non ritenga che sussistano i presupposti per promuovere iniziative ispettive presso il Tribunale dei minorenni di Ancona ai fini dell'eventuale esercizio di tutti i poteri di propria competenza;
   se i Ministri, ciascuno per quanto di competenza, intendano farsi promotori, con i modi e i mezzi che riterranno più opportuni, di un serio programma di supporto finalizzato al sostegno e al recupero della genitorialità. (4-05044)

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta scritta:


   SPADONI, MANLIO DI STEFANO, SCAGLIUSI, GRANDE e SIBILIA. — Al Ministro degli affari esteri, Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo la tabella n. 6 degli stati di previsione per il Ministero degli affari esteri per gli anni che vanno dal 2007 al 2013 risulta che la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo (Dgcs), facente capo a tale Ministero, ha ricevuto:
    per il 2007: 715.253.375 euro;
    per il 2008: 804.305.186 euro;
    per il 2009: 388.704.860 euro;
    per il 2010: 394.355.506 euro;
    per il 2011: 237.103.569 euro;
    per il 2012: 148.965.018 euro;
    per il 2013: 294.351.600 euro –:
   quale sia l'ammontare esatto delle spese che la direzione generale per la cooperazione allo sviluppo abbia effettivamente sostenuto e rendicontato;
   quali siano gli importi erogati, nell'ambito delle rispettive competenze;
   se tutti i rendiconti presentati dalla direzione generale per la cooperazione allo sviluppo abbiano superato positivamente il vaglio di controllo di regolarità amministrativa e contabile del Ministero dell'economia e delle finanze e quanti siano stati i rendiconti assoggettati annualmente al controllo della Corte dei conti.
(4-05037)


   CIRIELLI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia non scommette sulla diffusione della lingua e della cultura italiana all'estero e ne è prova evidente la proposta, avanzata dal Ministero degli affari esteri nell'ambito della «razionalizzazione» della rete consolare nel mondo, di chiudere 32 sedi all'estero tra ambasciate, consolati, sportelli consolari e istituti italiani di cultura;
   in particolare, un grave passo che il nostro Governo sta per compiere è proprio l'annunciata chiusura di ben otto istituti italiani di cultura nel mondo: Ankara, Vancouver, Francoforte, Lione, Stoccarda, Lussemburgo, Salonicco, Wolfsburg;
   come l'interrogante ha già denunciato nell'atto di sindacato ispettivo n. 4-04027 del 14 marzo 2014, il risparmio realizzato con la chiusura degli Istituti di cultura sarà di circa 800.000 euro annui e tale decisione andrebbe, addirittura, a colpire proprio quelle sedi che, grazie ai corsi di lingua italiana, riescono ad autofinanziarsi in ampia misura;
   sembrerebbero, invece, non contarsi gli sprechi tollerati in questi anni e le dubbie nomine di «esperti culturali» all'interno di tali istituti;
   in particolare, destano sconcerto due articoli pubblicati su ilFattoQuotidiano.it dello scorso 24 febbraio e 17 marzo, entrambe a firma del giornalista Thomas Mackinson, intitolati «Cultura, grazie ai politici c’è chi ci mangia. E lo scandalo italiano va in tutto il mondo» e «Bruxelles, conti in rosso e insegnanti in nero. Bufera all'Istituto italiano di Cultura»;
   come appare chiaro dai titoli, il giornalista denuncia le nomine fatte dal Ministro degli affari esteri senza selezione pubblica ad amici e familiari di politici, con incarichi da 15 mila euro al mese, più della stessa dotazione assegnata agli istituti per promuovere attività culturali; e la grave scoperta, a tre mesi dal semestre italiano dell'Unione europea, che gli insegnanti di lingua hanno lavorato per anni senza un contratto, perfino dentro la Commissione europea: tutto questo mentre lo stesso Ministero degli affari esteri, noncurante dell'ondata di appelli, tenta di giustificare la chiusura degli Istituti come scelta obbligata, dettata dai soliti criteri di spending review;
   in particolare, si legge nei due articoli, il Ministero degli affari esteri «continua ad alimentare lo spreco degli incarichi d'oro assegnati senza alcuna trasparenza. E così ritroviamo in giro per il mondo direttori nominati dal potente di turno, esperti culturali che tali non sono mai stati e sedicenti “addetti scientifici” incaricati con molta fantasia curricolare e stipendi da diplomatici»;
   il riferimento è alla facoltà concessa al Ministro dalla legge n. 401 del 1990 di nominare fino a 10 figure in virtù del loro indiscusso «prestigio culturale» e dell'elevata competenza nella promozione culturale, presto diventato, però, un sistema della politica per controllare le sedi più prestigiose e strategiche, affidandone la direzione a persone di fiducia;
   secondo l'articolo 16 della citata legge n. 401 del 1990 il Ministero può dotarsi di consulenti «in possesso di specifiche qualifiche e titoli», in numero non superiore a cinque presso il Ministero e dieci per il servizio all'estero;
   si tratta, tra l'altro, di incarichi ambitissimi, non solo per questioni di prestigio, posti la qualifica e il trattamento economico dei direttori, equiparati a quelli del consigliere d'ambasciata, e la loro indennità di sede estera (Ise, esentasse per altro) superiore fino al 30 per cento rispetto a quella di qualsiasi funzionario pubblico;
   il sistema dei «chiara fama» avrebbe prodotto effetti disastrosi e imbarazzanti, posto che per queste posizioni non ci sono criteri di selezione, né pubblicità delle procedure, come i numerosi esempi riportati dal giornalista: i gravi problemi amministrativi e contabili, riscontrati dalla stessa Corte dei conti, lasciati dal professor Riccardo Viale, ultimo direttore uscente del prestigioso istituto di New York; Angela Carpifave, nominata nel 2003 a Mosca e revocata dal Ministro degli affari esteri pro tempore Fini l'anno seguente per manifesta incompatibilità ambientale; Patrizio Scimia, un tecnico dell'ENEL privo di competenze in ambito culturale, inviato a Madrid dal Sottosegretario Baccini e rimasto in carica due anni; Giorgio Ferrara, nominato nel 2003 a Parigi, che avrebbe speso soldi dell'Istituto per far costruire un teatrino in legno e cartapesta, poi rottamato, sempre a pagamento, dal successore; Carlo Pesenti, nominato a Londra nel 2008 da Frattini e fortemente criticato per il livello organizzativo e culturale della sua direzione; Pia Luisa Bianco, nominata nel 2003 a Bruxelles, che, nonostante il bilancio dissestato lasciato, al suo rientro in patria, dopo quattro anni, sarebbe stata ricompensata da Frattini con una consulenza al Ministero degli affari esteri e con la direzione di un periodico patinato, tutt'ora esistente, «Longitude»;
   ovviamente, non mancano funzionari pubblici che lo Stato forma per questi incarichi e già paga, quali direttori e addetti appartenenti all'area della promozione culturale;
   molti di questi funzionari e dirigenti hanno specializzazioni accademiche di alto livello (dottorato di ricerca, master) e hanno frequentato corsi di perfezionamento in Italia e all'estero, i loro curricula sono regolarmente pubblicati sul sito del Ministero alla voce «Trasparenza» (a differenza degli addetti scientifici e dei fantomatici esperti «culturali» articolo 16 – legge n. 401 del 1990) e per accedere a queste posizioni hanno superato concorsi pubblici estremamente selettivi;
   sarebbe proprio di pochi giorni fa la notizia, scongiurata dopo segnalazioni e insistenti richieste di chiarimenti, che dava in corso di approvazione la nomina come «esperto culturale» presso l'Istituto italiano di cultura di Los Angeles del professor Vittorio Daniore, ginecologo, urologo e medico presso gli ospedali civili di Brescia, dal 1996 al 2001 coordinatore della Commissione per la ricerca medica al Ministero degli affari esteri, poi addetto scientifico presso l'ambasciata d'Italia a Washington;
   quando le voci si sono fatte insistenti e i sindacati, increduli, hanno chiesto spiegazioni, la Farnesina ha dovuto precisare in una nota ufficiale del 21 febbraio 2014 che la proposta di nomina era stata effettivamente avanzata ma poi sospesa;
   altra categoria privilegiata sarebbe poi quella degli addetti scientifici presso gli Istituti italiani di cultura, le ambasciate e le rappresentanze permanenti e anche in questo caso non vi sarebbe alcuna trasparenza nelle procedure di selezione e di nomina, né il Ministero si sarebbe preoccupato di rendere pubbliche le motivazioni delle assegnazioni;
   sul sito del Ministero, ad esempio, sono state pubblicate le nomine per Città del Messico, Pretoria, Parigi, Tel Aviv, ma nessuna indicazione risulta in merito alle competenze per cui hanno ricevuto l'incarico;
   molti esperti scientifici sono certamente persone serie e competenti, altri sono meno luminosi e potrebbero esser facilmente scambiati per clamorosi casi di clientelismo parassitario;
   almeno tre sarebbero i casi che secondo il giornalista sollevano forti dubbi: la nomina, nel 2010, del dottor Giulio Busulini, uno dei tre addetti scientifici a Washington, marito di Federica Bindi (direttrice uscente dell'istituto di Bruxelles), laureato dal 2008 in scienze della comunicazione, nessuna docenza universitaria alle spalle, nessuna pubblicazione scientifica; il dottor Emanuele Fiore, addetto scientifico per il Canada, che può vantare la qualifica di tecnico di laboratorio di III livello presso il CNR e un expertise nel settore tecnico degli imballaggi e l'addetto scientifico presso il nostro consolato generale a Boston, l'architetto Cinzia Del Zoppo, privo di affiliazioni accademiche e pubblicazioni scientifiche a suo nome;
   polemiche, in particolare, avrebbe suscitato la direttrice dell'istituto di cultura di Bruxelles, Federiga Bindi, ricercatore a Tor Vergata, nominata per «chiara fama» da Frattini (9.600 euro di indennità mensile), il cui incarico è scaduto il 9 marzo e non è stato rinnovato anche a seguito dei risultati di un'ispezione del Ministero dell'economia e delle finanze che nel 2013 ha rilevato «gravi irregolarità contabili e amministrative» nella gestione dell'ente: acquisti senza «determinazione a contrarre» (una cucina professionale da 13 mila euro, frigo e altri materiali per 5 mila (...), irregolarità per contratti e consulenze esterne, 9 mila euro di acquisti non rendicontati effettuati con la carta di credito dell'istituto;
   la dotazione ministeriale per l'istituto è raddoppiata nel giro di un paio d'anni fino a superare i 600 mila euro per esercizio: le uscite nel 2006 ammontavano a 774 mila euro, l'anno dopo hanno superato il milione, così come i costi di catering, passati da 30 mila euro nel 2004 a 35 mila nel 2005 fino a 58 mila nel 2007;
   tutta la storia contabile degli ultimi anni sembra avere dell'incredibile: nel 2005 l'ex direttore Pia Luisa Bianco certifica un avanzo di 47.049,29 euro, ma il 5 ottobre 2007 la Bianco ha lasciato l'istituto spiegando che «a fronte della prima tranche di dotazione finanziaria incassata, pari a 240 mila euro, si sono riscontrati 483.333,05 euro di autofinanziamento pari a due volte la dotazione finanziaria»;
   due settimane dopo, la reggente pro-tempore, Donatella Cannova, ha segnalato al Ministero fatture non liquidate, non elencate nel verbale di passaggio delle consegne, per 39.790 euro, accertati poi in euro 192 mila dal neo direttore, Giuseppe Manica, che il 31 dicembre dello stesso anno ha chiesto un'integrazione straordinaria al bilancio «per far fronte a una situazione debitoria tale da non consentire di corrispondere alle richieste dei creditori, a fronte dei numerosi impegni assunti sotto la gestione dell'ex direttore, dottoressa Pia Luisa Bianco»;
   il buco più nero di questa storia è però quello degli insegnanti di lingua, che dovevano essere il fiore all'occhiello dell'istituto, e sembra, invece, lavorassero da anni senza un contratto, solo impegni a voce e mandati di pagamento, nessuna ritenuta, niente tasse, zero contributi, nonostante venissero addirittura ingaggiati per tenere corsi ai funzionari della Commissione europea;
   «A richiesta del Ministero degli affari esteri, detti insegnati non hanno nessun contratto e sono ingaggiati sulla base del titolo universitario», scriveva nel 2006 l'ex direttore Bianco;
   l'ipotesi, pertanto, se confermata, è che tale indicazione venisse impartita direttamente da Roma per evitare che i docenti potessero accampare delle pretese sull'amministrazione sulla base di un impegno scritto e che l'indicazione trovasse poi sponda a Bruxelles, dove il mancato accollo di oneri contributivi e fiscali garantiva all'istituto entrate consistenti a costi ridottissimi e ai vari direttori di ostentare «ottimi risultati di gestione»;
   il rendiconto finanziario 2007, ad esempio, riporta 339 mila euro di entrate per le iscrizioni ai corsi a pagamento a fronte di 152 mila euro di compensi al personale docente, per anni poi, sulla base di convenzioni e gare d'appalto, gli stessi docenti venivano mandati a far lezione ai funzionari della Commissione e del Parlamento Europeo, con crescente profitto: 34 mila euro nel 2002, 62 mila nel 2003, 93 mila nel 2007, 120 mila nel 2009...;
   la Farnesina non smentisce né minimizza e la direzione generale che sovrintende gli Istituti di cultura conferma anzi di aver riscontrato irregolarità almeno dal 2007;
   come spiega il Ministro plenipotenziario Giovanni Iannuzzi al fattoquotidiano.it «Dal carteggio relativo alle passate gestioni emerge un meccanismo di retribuzione di questi insegnanti che sembrava prescindere da un contratto scritto e avvenire solo attraverso la contabilizzazione delle ore del servizio prestato, in assenza anche solo di una lettera d'incarico da produrre in atti»;
   la questione sarebbe dunque all'attenzione degli organi di controllo: «Tutti i contratti stipulati dalla PA richiedono la forma scritta ad substantiam», si legge nella relazione ispettiva sull'istituto trasmessa al Ministero e alla Procura della Corte dei conti;
   lo stesso neo premier Matteo Renzi aveva posto al centro del suo intervento di insediamento la cultura, dichiarando che «la cultura è qualcosa con cui si mangia, ossia qualcosa di cui si nutre l'anima», ma tale regola varrebbe solo per alcuni;
   se i fatti in premessa venissero confermati, si delineerebbe un modello di gestione degli Istituti di cultura all'estero basato su dubbie nomine politiche per il controllo delle sedi più prestigiose e strategiche, affidate a persone vicine a politici, con incarichi remunerati assai lautamente nel complesso superiori alla stessa dotazione assegnata agli istituti per promuovere attività culturali, con migliaia di risorse sprecate tra inaugurazioni e rinfreschi;
   di tale odiosa pratica oggi ne pagherebbero le conseguenze proprio quel personale direttivo e quei funzionari che hanno consentito agli Istituti di cultura all'estero di diventare un'importante vetrina dell'Italia nel mondo, promuovendo la cultura italiana di cui la lingua, la ricerca scientifica e l'idea di «Made in Italy» sono parte integrante –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, accertata la gravità e veridicità degli stessi, quali urgenti provvedimenti ritengano opportuno adottare per verificare se sussiste una situazione di diffuso clientelismo parassitario all'interno degli Istituti di cultura al fine di porre termine a questa odiosa pratica e fare luce sulle responsabilità;
   se non ritenga opportuno porre fine a una politica di incisiva riorganizzazione della rete consolare nel mondo, preferendo piuttosto una linea di «piccoli risparmi» attraverso la soppressione di quelle sedi dove è pressoché nulla la presenza di iscritti. (4-05038)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   MARIASTELLA BIANCHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente della Repubblica n. 73 del 2013 ha stabilito che i consigli direttivi dei parchi nazionali siano composti da 8 membri nominati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dei quali: 4 designati dalla comunità del Parco e 4 nominati in rappresentanza, rispettivamente, dei Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, delle politiche agricole alimentari e forestali, dell'Ispra e delle associazioni ambientaliste;
   si tratta di cariche che vengono svolte a titolo gratuito e che sono indispensabili per la funzionalità dell'ente, infatti per l'operatività dei Parchi Nazionali è necessario che siano stai nominati almeno quattro consiglieri;
   attualmente dei 23 parchi nazionali italiani solamente 3 hanno i consigli direttivi incaricati, nei rimanenti 20, dove opera solamente il presidente, non sono stati nominati i consiglieri di competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che non richiedono le designazioni delle comunità del parco;
   anche laddove le comunità del parco hanno provveduto a designare i consiglieri di loro competenza il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ha provveduto alla loro nomina: 7 comunità hanno designato i consiglieri entro dicembre 2013 altre 5 entro febbraio 2014;
   in base al decreto del Presidente della Repubblica n. 73 del 2013 entro la fine di agosto 2014 i presidenti dei parchi nazionali perderanno la possibilità di operare con i poteri del consiglio e anche atti di ordinaria amministrazione non potranno essere adottati con il rischio di paralizzare la gestioni dei questi enti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e entro quanto tempo intenda procedere alle nomine dei consiglieri. (4-05030)


   GAGNARLI, BENEDETTI, GALLINELLA, L'ABBATE, PARENTELA e LUPO. —Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva n. 2009/128/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 ottobre 2009 ha istituito un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei pesticidi. L'Italia ha recepito la direttiva con il decreto legislativo n. 150 del 14 agosto 2012, in vigore dal 14 settembre 2012;
   l'articolo 6 del decreto legislativo n. 150 del 2012 ha previsto che il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e della salute, d'intesa con la Conferenza permanente Stato, regioni e delle province autonome, adottasse un Piano attuativo, denominato PAN (piano di azione nazionale);
   con più di un anno di ritardo, in data 13 febbraio 2014, viene definitivamente approvato il PAN che dovrebbe dare concreta attuazione alle previsioni del decreto legislativo per l'uso sostenibile degli agrofarmaci e quindi della direttiva madre n. 2009/128/CE;
   l'articolo 4 della direttiva 2009/128/CE, piani d'azione nazionali, recita al comma 1: «Gli Stati membri adottano piani d'azione nazionali per definire i propri obiettivi quantitativi, gli obiettivi, le misure e i tempi per la riduzione dei rischi e degli impatti dell'utilizzo dei pesticidi sulla salute umana e sull'ambiente». A parere degli interroganti, il PAN non identifica alcun obiettivo quantitativo e demanda gli stessi ad altri atti non meglio identificati, da emanarsi entro uno o due anni dalla sua entrata in vigore, né indica i tempi per la riduzione dei rischi e degli impatti sulla salute e sull'ambiente, perdendo l'ennesima occasione di regolamentare nel dettaglio questi assetti fondamentali;
   altro aspetto critico a parere degli interroganti riguarda l'assenza nel PAN di un sistema sanzionatorio che rende di fatto inefficace tutto l'impianto. Sulla difesa integrata, ad esempio, gli obblighi a carico delle aziende agricole sono ridotti al minimo: in caso di controllo si deve solo poter dimostrare di conoscere o avere accesso alle previsioni meteo, ai bollettini territoriali di difesa integrata, ai materiali informativi sulla difesa integrata da reperire on-line o presso i fornitori di fitofarmaci; non vi è alcuna sanzione nel caso ciò non sia posto in essere dagli agricoltori;
   all'articolo 6 del decreto legislativo n. 150 del 2012 si definisce che il PAN una volta approvato venga trasmesso agli altri Stati membri ed alla Commissione europea e venga da questa riesaminato periodicamente almeno ogni cinque anni;
   all'articolo 14 del decreto legislativo n. 150 del 2012 si specifica che il Piano definisce le misure appropriate per la tutela dell'ambiente acquatico e delle fonti di approvvigionamento di acqua potabile dall'impatto dei prodotti fitosanitari, e che le regioni assicurano l'attuazione delle misure previste dal piano informando ogni anno i Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e della salute sulle misure adottate; non risulta agli interroganti che nel PAN sia presente alcuna decisione in merito alla tutela dell'ambiente acquatico e delle aree specifiche, viene invece ulteriormente rimandata ad altro atto l'individuazione delle misure specifiche;
   a questo proposito, risulta agli interroganti che la Commissione europea, nella riunione bilaterale del 24 settembre 2013, a causa di una scarsa attuazione delle misure di tutela dell'ambiente acquatico e delle fonti di approvvigionamento di acqua potabile abbia richiesto all'Italia la precisa definizione delle misure da applicare in campo agricolo per la tutela delle acque;
   nel testo unico ambientale, oltretutto, si era stabilito che le regioni avrebbero dovuto individuare, al fine di tutelare le acque, le cosiddette aree vulnerabili da nitrati, ed applicare le relative misure di salvaguardia. Ad oggi 18 regioni avrebbero individuato le suddette zone che corrisponderebbero ad oltre il 50 per cento della SAU con punte dell'80 per cento della SAU della regione Lombardia; nonostante ciò nessuna misura ad oggi risulta sia stata applicata per la riduzione dell'apporto dei nitrati e per la salvaguardia delle acque; allo stesso modo si era stabilito che le regioni avrebbero dovuto individuare, sempre ai fini di tutela delle acque, le cosiddette aree vulnerabili da prodotti fitosanitari, che ad oggi non risulta siano state individuate, tranne che in Veneto ed in Piemonte, ma anche in questo caso, nessuna misura volta alla riduzione dell'uso dei prodotti fitosanitari pare sia stata presa;
   non risulta agli interroganti, oltretutto, che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonostante ne avesse facoltà, abbia mai identificato le suddette zone vulnerabili attraverso i poteri sostitutivi sulle regioni inadempienti –:
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno, anche nell'ambito del semestre europeo a guida italiana, proporre una rivisitazione del piano di azione nazionale (PAN) nel senso di una sua più dettagliata e puntuale riscrittura, posto che nello stesso non si riscontrano né gli obiettivi quantitativi, le misure ed i tempi per la riduzione dei rischi e degli impatti dell'utilizzo dei pesticidi sulla salute umana e sull'ambiente che stabilisce l'articolo 4, comma 1, della direttiva 2009/128/CE/ (piani d'azione nazionali), né tantomeno le misure appropriate per la tutela dell'ambiente acquatico e delle fonti di approvvigionamento di acqua potabile dall'impatto dei prodotti fitosanitari, per le quali l'Italia era già stata allertata dalla Commissione europea nella riunione bilaterale del 24 settembre 2013;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con riguardo delle misure per la tutela dell'ambiente acquatico e delle fonti di approvvigionamento di acqua potabile, considerato che nelle zone vulnerabili da nitrati non risulta sia stata presa alcuna misura di salvaguardia, mentre le zone vulnerabili da fitofarmaci non sono neppure state ancora individuate, salvo che nelle regioni Veneto e Piemonte, non ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza per evitare violazioni della normativa europea;
   se i Ministri interrogati, per quanto esposto in premessa e nell'ambito delle loro prerogative, non ritengano che l'assenza di un sistema sanzionatorio vada a rendere di fatto inefficaci i pochi obblighi stabiliti dal PAN e pertanto non ritengano opportuno inserirlo in occasione di una eventuale rivisitazione. (4-05032)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta scritta:


   DE GIROLAMO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   La Reggia di Caserta, storica residenza dei Borbone di Napoli riconosciuta come patrimonio dell'umanità dall'Unesco sin dal 1997 e che, nel 2012, ha fatto registrare la presenza di ben 570 mila visitatori, versa in uno stato sconcertante di degrado;
   la trasmissione di La 7, L'aria che tira, di lunedì 2 giugno, ha evidenziato come la Reggia sia in stato di preoccupante abbandono. Si è, infatti, registrato un nuovo crollo di una porzione del tetto della zona ovest del palazzo, occupata dalla Scuola specialisti dell'Aeronautica militare; gli splendidi giardini sono chiusi «a tempo indeterminato», chiusa, altresì, risulta la sala del Presepe del ’600 e ’700 napoletano;
   il gioiello architettonico del Vanvitelli è peraltro divenuto luogo di spaccio di droga e di vendita abusiva di articoli e gadget che fanno della Reggia di Caserta un «suk fuori controllo»;
   nel mese di aprile è stata persino rubata la gabbia di Faraday posta sopra il tetto della Reggia;
   il giovedì successivo alla Santa Pasqua, quando il parco della stessa Reggia, doveva risultare, in teoria, chiuso al pubblico, una decina di giovani sono entrati, si sono immersi nelle fontane ed hanno inscenato una indegna gazzarra senza che alcuno intervenisse;
   quanto descritto è solo una parte infinitesimale di ciò che avviene all'interno della Reggia di Caserta e la situazione è pervenuta ad un tale degrado che ogni anno si è arrivati a perdere oltre cinquantamila visitatori;
   è necessario, quindi, mettere sotto controllo la situazione e intraprendere azioni dirette a preservare questo bene pubblico di impareggiabile valore ed a conservarlo, salvaguardarlo, restaurarlo per renderlo disponibile a chi intenda visitarlo –:
   quali urgenti iniziative intenda adottare per affrontare e risolvere un problema che, già di per se grave, rischia di gettare ulteriore discredito sul nostro Paese incapace di gestire e rendere fruibile all'umanità intera l'enorme patrimonio culturale che gli appartiene. (4-05031)


   COLONNESE, FICO, SILVIA GIORDANO e LOREFICE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il parco Floridiana che si trova a Napoli nel quartiere Vomero, fu voluto nel 1815 da Ferdinando IV di Borbone che acquistò per la moglie Lucia Migliaccio, duchessa di Florida l'ampio appezzamento sulla collina del Vomero, dove si ergeva una imponente villa, che chiamò Floridiana. Nel 1817 inoltre il re acquistò altre proprietà confinanti che portarono ad avere un ingresso anche a via Chiaia. Tra il 1817 e il 1819 l'architetto Antonio Niccolini realizzò la villa in stile neoclassico e l'ampio parco in stile romantico. Villa Lucia e parte del parco furono venduti a privati, mentre nel 1919 lo Stato acquistò il resto del parco e villa Floridiana, dove vi espose la collezione di ceramiche ricevuta in donazione nel 1911 da Maria Spinelli di Scalea, che l'aveva ereditata dal duca di Martina, da cui il museo prende il nome;
   il parco è l'unico «polmone verde» del quartiere Vomero, nonché un'importante area verde dove gli abitanti del vomero, ma non solo, possono passeggiare e rilassarsi;
   il degrado del parco e della ottocentesca Villa Floridiana al Vomero, a cui i cittadini napoletani assistono quotidianamente, sono l'emblema dell'abbandono istituzionale riguardo i beni pubblici, culturali ed il verde urbano;
   già nel 2003 si era scongiurato il rischio di chiudere la Floridiana grazie all'intervento del comune di Napoli, che si accollò l'onere di un servizio temporaneo di manutenzione di alcune aree, evitando così la chiusura della struttura;
   il comune di Napoli era intervenuto con una convenzione del 2004 scaduta nel 2010;
   il comune di Napoli era anche intervenuto nel 2011 e nel 2012 evitandone la chiusura –:
   quali piani e quali spese siano state fatte dal Ministero sia in merito alla manutenzione ordinaria che in merito a eventi e manifestazioni straordinari, negli ultimi 10 anni;
   quali iniziative intenda porre in essere per garantire anche per il futuro la indefettibile fruizione gratuita del parco.
(4-05033)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   MICCOLI. — Al Ministro della difesa, al Ministro della salute, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la Croce rossa italiana è un ente di diritto pubblico non economico con prerogative di carattere internazionale che svolge importanti ruoli istituzionali connessi con l'assistenza umanitaria e sociosanitaria, con l'assolvimento di compiti di protezione civile e di ausiliarietà alle forze armate dello Stato, essendo punto di riferimento indiscusso in tali ambiti;
   la componente più antica dell'associazione della Croce rossa italiana è il Corpo militare che per effetto di norme vigenti è un corpo militare speciale volontario, ausiliario delle Forze armate dello Stato, la cui costituzione risale al 1866;
   il Corpo militare della Croce rossa italiana svolge attività in tempo di guerra provvedendo all'assistenza, allo sgombero e alla cura dei feriti e delle vittime, militari e civili, organizza ed esegue misure di difesa sanitaria antiaerea, disimpegna il servizio di ricerca e assistenza dei prigionieri di guerra, degli internati, dei dispersi, dei profughi, dei deportati e dei rifugiati, svolge attività di assistenza sanitaria in relazione alla difesa civile. In tempo di pace provvede al mantenimento e alla gestione dei centri di mobilitazione e delle basi operative, cura la custodia e il mantenimento delle dotazioni sanitarie, provvede all'addestramento e all'aggiornamento del proprio personale ed organizza corsi qualificativi di primo soccorso e di auto protezione sanitaria a favore del personale delle Forze armate, concorre al servizio di assistenza sanitaria nel caso di grandi manifestazioni ed eventi e per esercitazioni militari, fornisce assistenza e supporto sanitario alle Forze armate e alle forze di polizia nei poligoni di tiro, è impiegato nel corso di calamità naturali o disastri per operazioni di protezione civile e si occupa anche della diffusione del diritto internazionale umanitario;
   tutti gli appartenenti al Corpo adottano l'uniforme in uso a quella dell'Esercito da cui si differenziano peculiarmente per il distintivo di appartenenza e per l'apposizione del distintivo di neutralità;
   il suo personale è sottoposto all'ordinamento disciplinare e penale militare e la sua organizzazione ed il suo funzionamento sono regolati dal codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, e al decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90, recante «Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare» (e successive modificazioni), che hanno assorbito, abrogandolo, il regio decreto del 10 febbraio 1936, n. 484, rimasto in vigore per oltre 70 anni;
   il personale militare della Croce rossa italiana riveste i distintivi di grado i quali sono nomenclati e raccordati attraverso una tabella di equiparazione con le Forze armate e i Corpi di polizia ad ordinamento militare e che individuano imprescindibilmente l'ordine gerarchico nella catena di subordinazione che disciplina l'ordinamento militare del Corpo;
   la Croce rossa italiana per assolvere ai compiti istituzionali si avvale anche di personale militare;
   il decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, e il decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90, così come il regio decreto del 10 febbraio 1936, n. 484, rimasto in vigore per oltre 70 anni, non hanno mai previsto un «ruolo per il personale militare» in servizio continuativo;
   pur in mancanza di una dotazione organica e di norme di assunzione conformi alle attuali disposizioni vigenti, il personale presente alla data del decreto di riordino della Croce rossa italiana (decreto legislativo n. 178 del 2012), era pari a circa 1.200 unita di cui n. 850 cosiddette in servizio continuativo e a n. 350 cosiddette personale richiamato;
   attualmente, per effetto del raggiungimento dei limiti di età, sono in servizio 811 militari cosiddetti continuativi e, a seguito dei congedi intervenuti nel tempo, 176 militari cosiddetti richiamati;
   nella prima fase di applicazione della riforma della CRI, con la privatizzazione dei comitati provinciali e locali, alla data del 31 marzo 2014, è stato posto in congedo un contingente pari a n. 109 unità di cosiddetti militari richiamati;
   il sopra richiamato personale congedato ha trovato, solo in parte e a tempo determinato, ricollocazione nelle neo costituite strutture territoriali private, con evidente danno giuridico ed economico e conseguente nascita di contenzioso con l'ente CRI;
   l'attuale contingente di personale cosiddetto richiamato, pari a n. 176 unità, è impiegato, tenuto conto della professionalità acquisita nel corso degli anni, in compiti istituzionali della CRI all'interno della struttura centrale, in posizioni strategiche per il funzionamento della struttura amministrativa e operativa;
   il personale militare cosiddetto richiamato quale «contingente storico», è presente in servizio con richiami senza soluzione di continuità, da un minimo di 10 anni fino ad oltre 20 anni, con il paradosso che, alcuni elementi, sono in possesso di anzianità maggiore di altri cosiddetti continuativi;
   il decreto legislativo n. 178 del 2012, decreto di riordino della CRI prevede un percorso di riconversione per il solo personale militare cosiddetto continuativo, attraverso il transito nei ruoli civili e la successiva mobilità secondo le norme vigenti;
   il legislatore nello stesso decreto ha evidenziato la presenza del personale cosiddetto richiamato senza soluzione di continuità, prevedendo che lo stesso possa partecipare, come il personale cosiddetto continuativo, alla selezione per titoli per la costituzione del previsto contingente di personale del Corpo militare in servizio attivo pari a trecento unità;
   il legislatore ha altresì previsto la possibilità, per il Presidente nazionale della CRI, di continuare a richiamare detto personale fino alla data del 31 dicembre 2014;
   lo stesso decreto, con evidente disparità, non prevede per il personale cosiddetto richiamato, medesimo percorso di riconversione automatica previsto per il personale cosiddetto continuativo, circostanza che ha già generato un contenzioso presso la magistratura competente;
   allo stato attuale, così come evidenziato nella relazione del dipartimento della ragioneria generale dello Stato ispettorato generale di finanza, servizio ispettivo di finanza pubblica, all'interno del contingente di personale cosiddetto continuativo, sono presenti diversi elementi cosiddetti «trattenuti in servizio» e quindi sprovvisti di provvedimenti di assunzione a tempo indeterminato ma riconosciuti tali dalla norma di riordino;
   valutata la posizione generale del personale militare della CRI, risalta l'evidente identità giuridica tra le posizioni del personale cosiddetto continuativo e il personale cosiddetto richiamato;
   il personale cosiddetto richiamato in servizio, costituisce l'ossatura portante per garantire una pronta risposta nelle 24-48 ore nel caso di attivazione per grandi emergenze, pubbliche calamità e per ausilio alle forze armate dello Stato;
   i militari del Corpo militare della Croce rossa italiana si sono meritevolmente sempre distinti in occasione di tutte le calamità e le gravi emergenze nazionali ed internazionali per lenire le sofferenze dei più deboli e più bisognosi, riscuotendo consensi e attestati di gratitudine in Italia ed all'estero;
   nelle loro missioni hanno affiancato le Forze armate dello Stato in scenari difficili e sconvolti dalla guerra dove i pericoli per la vita umana erano costanti e continui e in questi teatri di guerra molti appartenenti al Corpo hanno contratto anche gravi malattie, ed in alcuni casi sono, purtroppo, deceduti;
   il contingente di personale cosiddetto richiamato attualmente in servizio pari a n. 176 unità verrà posto in congedo alla data del 30 giugno 2014, e pertanto, salvo possibile ulteriore proroga massima fino al 31 dicembre 2014, non trovando riconversione alcuna, subirà la perdita del posto di lavoro e la perdita del sostentamento per sé e per le proprie famiglie;
   così come più volte ribadito dal già commissario straordinario della CRI, ora presidente nazionale, la spesa relativa al personale militare cosiddetto richiamato, trova da anni copertura nel bilancio dell'ente, attraverso i contributi di funzionamento dello Stato e pertanto una eventuale stabilizzazione non comporterebbe ulteriori oneri;
   allo stato attuale, ove non intervenga una modifica al testo di riordino dell'ente, gli attuali vertici dello stesso, saranno impossibilitati a continuare a richiamare, per l'anno 2015, il «contingente storico» dei cosiddetti richiamati nonché a procedere, così come per il personale cosiddetto continuativo, al percorso di riconversione previsto dal decreto legislativo n. 178 del 2012 –:
   quale iniziativa utile si intenda intraprendere per eliminare l'evidente disparità di trattamento, perpetrata nei confronti del personale militare della CRI cosiddetto richiamato;
   quale ulteriore iniziativa utile si intenda porre in essere per stabilizzare il sopra citato personale;
   quale iniziativa immediata si intenda attuare per scongiurare il licenziamento di detto contingente a fronte del prossimo congedo previsto dal decreto legislativo n. 178 del 2012, anche attraverso un «congelamento» delle posizioni in attesa di una soluzione politica e normativa della questione. (4-05046)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FRAGOMELI, CAUSI e RUBINATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 1, comma 688 della legge 27 dicembre 2013 n. 147, sostituito dall'articolo 1, comma 1, lettera b) del decreto legge 6 marzo 2014, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 maggio 2014, n. 68, è stata fissata la scadenza per il pagamento della Tasi (tributo sui servizi indivisibili) differenziandola nelle seguenti modalità:
    1. pagamento prima rata in acconto al 16 giugno e seconda rata a saldo il 16 dicembre per i comuni che hanno approvato i bilanci di previsione 2014 e pubblicate le aliquote e detrazioni del tributo entro il 31 maggio 2014;
    2. pagamento in un'unica rata al 16 dicembre per gli immobili adibiti ad abitazione principale e pagamento della prima rata al 16 giugno ad aliquota base (1 per mille) e seconda rata a conguaglio entro il 16 dicembre per gli altri immobili nei comuni che non hanno approvato i bilanci di previsione 2014 e non sono state pubblicate le aliquote e detrazioni del tributo entro il 31 maggio 2014;
   i CAF hanno evidenziato, tuttavia, le criticità nell'assistere i contribuenti nel pagamento della Tasi anche per gli altri immobili – in particolare per l'individuazione del soggetto passivo/locatario – afferenti ai comuni che hanno pubblicato le aliquote e le detrazioni entro il 31 maggio 2014;
   il Governo ha recentemente manifestato l'intenzione di emanare un provvedimento d'urgenza, nei prossimi giorni, recante il rinvio del pagamento in un'unica rata al 16 dicembre anche per gli altri immobili (come per la prima casa);
   in risposta all'interrogazione a risposta immediata nella Commissione finanze (5-01867) del 14 gennaio 2014, concernente l'opportunità di non applicare le sanzioni e gli interessi per i pagamenti effettuati in ritardo a causa del mancato ricevimento del bollettino del saldo Tares 2013 e del modulo F24 relativo ai «servizi indivisibili», il rappresentante del Governo ha richiamato l'articolo 10, comma 2, della legge 27 luglio 2000 n. 212, secondo il quale «non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti all'amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificate dall'amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguente a ritardi» –:
   se il Governo intenda, al fine di ridurre le oggettive difficoltà dei contribuenti in un contesto normativo tuttora in evoluzione e in prossimità della scadenza normativa del 16 giugno, prevedere la non applicazione di sanzioni e interessi per i pagamenti in ritardo – entro il 31 luglio 2014 – della Tasi. (5-02942)


   ANZALDI, CARBONE, MARCO DI MAIO, GRASSI e MAGORNO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le dogane, in Italia, potrebbero recuperare un gettito per un importo che va dai 6 agli 8 milioni di euro se fossero messe nelle condizioni di effettuare in maniera ottimale i controlli per l'esazione della tassa sui voli in aerotaxi, introdotta con l'articolo 16 del decreto cosiddetto «salva Italia» (decreto-legge n. 201 del 2011) e rubricato con «Disposizioni per la tassazione di auto di lusso, imbarcazioni ed aerei»;
   questa attività di controllo avrebbe anche la funzione di correggere un'attività di concorrenza sleale esercitata da vettori stranieri ai danni delle compagnie italiane;
   le modalità di pagamento dell'imposta, così come configurate, creano un ingiusto favoritismo a vantaggio delle compagnie straniere, proprio perché attualmente non c’è ancora il decreto attuativo che autorizzi la guardia di finanza ad effettuare i controlli, tant’è che chi vola con aziende con sede legale all'estero di fatto non paga la tassa;
   la dogana è l'organo aeroportuale chiamato a controllare l'imbarco del carburante esentato per i voli commerciali pertanto se a tale struttura fosse delegata l'attività di controllo e pagamento della tassa chi eventualmente volesse evitare di far pagare ai propri passeggeri la suddetta tassa, dichiarandosi volo privato, non potrebbe imbarcare carburante detassato;
   la dogana effettuando i controlli, potrebbe risalire anche ai voli passati e questa attività potrebbe consentire di scoprire anche un'altra attività di evasione e di elusione delle normative vigenti come quella di chi dichiara commerciali i voli privati al fine di poter imbarcare carburante detassato;
   affidando alle dogane la possibilità di effettuare verifiche, si potrebbero quindi recuperare circa 6-8 milioni di euro relativi ai primi due anni di vigenza della tassa e, a regime, circa 4 milioni di euro all'anno, costringendo anche le compagnie straniere a pagarla;
   per fare ciò è indispensabile l'emanazione di una apposita circolare ministeriale per autorizzare le dogane ad esercitare tale funzione di controllo –:
   se e quali iniziative il Ministro intenda attivare da subito, prima dell'avvio della stagione estiva, affinché possa essere emanata una circolare che autorizzi le dogane ad esercitare attività di controllo ed esazione della tassa vigente sui voli in aerotaxi, dando piena attuazione alla normativa vigente e correggendo una sistematica distorsione dell'attività di concorrenza che penalizza le società italiane di aerotaxi. (5-02944)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la possibilità di usufruire delle agevolazioni fiscali per l'acquisto della prima casa, nella particolare fattispecie dell'acquisto di immobili in corso di costruzione, non trova alcuna esplicita collocazione all'interno della disciplina normativa di riferimento;
   l'articolo 1, nota II-bis, tariffa parte prima del decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986 determina le condizioni necessarie per ottenere dette agevolazioni; tra queste, quella che l'immobile sia ubicato nel territorio del comune in cui l'acquirente ha o stabilisce la propria residenza entro diciotto mesi dall'acquisto;
   la Corte di cassazione si è pronunciata in modo deciso, sostenendo che le agevolazioni per l'acquisto della prima casa sono usufruibili anche nel caso di acquisto di immobile in corso di costruzione (si vedano Cassazione Civile n. 9149/00, 9150/00, 5297/01, 8163/02, 3604/03, 18300/04 e 10011/09);
   anche la prassi ministeriale ha avuto modo di esprimersi in aderenza al predetto indirizzo giurisprudenziale, laddove, con le circolari n. 19/E del 10 marzo 2001 e, da ultimo, n. 38/E del 12 agosto 2005, ha affermato, senza dubbi di sorta, che la condizione essenziale al fine di mantenere le invocate agevolazioni fiscali relative alla prima casa, coincida con la dimostrazione dell'ultimazione dei lavori nei termini di decadenza del potere di accertamento dell'ufficio relativamente alla sussistenza dei requisiti per la fruizione dei predetti benefici (tre anni dalla registrazione dell'atto pubblico ex articolo 76, del decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986); da ciò, pertanto, consegue, secondo la prassi ministeriale, che il potere di accertamento in capo all'ufficio (triennio decadenziale) inizi a decorrere dall'ultimazione dei lavori;
   ancora la Corte di cassazione, più di recente, con l'ordinanza n. 3507 dell'11 febbraio 2011 ha rigettato un ricorso dell'Agenzia delle entrate, indicando chiaramente che «... alla stregua del quadro normativo di riferimento e dei richiamati principi, al termine valorizzato in ricorso (18 mesi dall'acquisto) avente carattere meramente sollecitatorio, non può riconoscersi natura perentoria, cui riconnettere della decadenza, effetto che deve, invece, ricollegarsi solo all'inutile decorso del termine triennale,...»;
   anche la Commissione tributaria regionale di Venezia, sezione XXIX, si è espressa con una pronuncia di merito in relazione alla problematica in questione, ovverosia alla determinazione del dies a quo far decorrere il termine dei diciotto mesi per trasferire la residenza;
   con sentenza n. 34 del 22 ottobre 2007 la predetta commissione tributaria ha affermato, infatti, che in ipotesi di acquisto di immobile in corso di costruzione e partendo dalla pacifica ed assodata possibilità di usufruire delle agevolazioni per l'acquisto della prima casa, il termine dei diciotto mesi entro cui l'acquirente deve trasferire la residenza decorre non dalla registrazione dell'atto pubblico, ma dal giorno in cui detto immobile è divenuto effettivamente idoneo all'utilizzo ed al soddisfacimento dell'esigenza abitativa, avendo cura di indicare che i lavori devono essere ultimati entro tre anni dall'acquisto;
   il percorso logico-giuridico sviluppato dalla commissione tributaria regionale del Veneto, in assenza di alcun riferimento contenuto nel decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, ritiene di dover applicare le regole generali contenute nel codice civile, e segnatamente l'articolo 2964, che disciplina il computo della decadenza dal momento in cui il potere (o diritto) può essere esercitato;
   ancor più recentemente una sentenza della commissione tributaria regionale di Firenze n. 526 del 2011, pronunciatasi in data 12 dicembre 2012, ha ribadito gli esiti ai quali è pervenuta la Cassazione, riguardo alla caratteristica non perentoria ma di natura «meramente sollecitatoria» del termine dei 18 mesi;
   diverse commissioni tributarie e la stessa Cassazione hanno più volte riconosciuto l'impossibilità per causa di forza maggiore, del contribuente, a trasferire la propria residenza nell'abitazione acquistata nei termini previsti, avvalorando l'interpretazione che residenza e relativa costruzione o abitazione acquistata non possano essere tra loro scollegate;
   l'Agenzia delle entrate continua, invece, a revocare le agevolazioni (consistenti in IVA e imposta di registro ridotte, a seconda dei casi, oltre a interessi e sanzioni) sulla base del presupposto secondo il quale gli acquirenti che non hanno provveduto a trasferire la residenza nel comune entro 18 mesi dalla registrazione dell'atto pubblico di acquisto non sono in regola;
   il requisito del trasferimento della residenza, spiega formalmente l'Agenzia delle entrate, non è da intendersi come trasferimento nell'immobile acquistato, ma, più genericamente, trasferimento nel territorio del comune dove l'immobile acquistato è ubicato;
   tale interpretazione, ovviamente, favorisce chi acquista l'immobile nel medesimo comune dove già risiede e penalizza maggiormente chi invece sta costruendo la propria abitazione in un comune nel quale non risiede, in quanto chi costruisce la propria prima casa nel comune in cui già risiede ha tre anni di tempo per costruirla, mentre chi non è già residente nel comune in cui sta costruendo ha solo 18 mesi, periodo entro il quale deve trasferire necessariamente la residenza per non perdere le agevolazioni concesse;
   l'interpretazione dell'Agenzia delle entrate non sembra allinearsi a quanto indicato nelle citate sentenze che richiamano la necessità di riconoscere l'impossibilità per causa di forza maggiore, del contribuente, a trasferire la propria residenza nell'abitazione acquistata nei termini previsti dalla legge;
   è del tutto evidente che occorre determinare con chiarezza, nel caso di acquisto di un immobile in corso di costruzione, il giorno dal quale far decorrere il termine dei diciotto mesi utili per trasferire la residenza, al fine delle agevolazioni fiscali di cui in premessa;
   la soluzione del problema potrebbe essere conseguita prevedendo che il termine di 18 mesi per acquisire la residenza decorra dal momento in cui il comune rilascia il certificato di agibilità dell'immobile e quindi effettivamente la costruzione ha avuto termine oppure prevedendo la decadenza dalle agevolazioni per l'acquisto della prima casa esclusivamente decorso un triennio dall'acquisto –:
   quali iniziative urgenti intenda assumere per chiarire definitivamente quanto esposto in premessa. (4-05026)


   BONACCORSI e BERGAMINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il SIOPE (sistema informativo sulle operazioni degli enti pubblici) è un sistema di rilevazione telematica degli incassi e dei pagamenti effettuati dai tesorieri di tutte le amministrazioni pubbliche, che nasce dalla collaborazione tra la ragioneria generale dello Stato, la Banca d'Italia e l'ISTAT, in attuazione dall'articolo 28 della legge n. 289 del 2002, ed è disciplinato dall'articolo 14, commi dal 6 all'11, della legge n. 196 del 2009;
   tale sistema risponde, tra le altre, «all'esigenza di migliorare, rispetto al precedente sistema di rilevazione dei flussi di cassa di cui all'articolo 30 della legge n. 468 del 1978, la conoscenza dell'andamento dei conti pubblici, sia sotto il profilo della quantità delle informazioni disponibili, sia sotto il profilo della tempestività»;
   il Siope per queste ed altre motivazioni rappresenta uno strumento fondamentale per il monitoraggio dei conti pubblici, attraverso la rilevazione in tempo reale del fabbisogno delle amministrazioni pubbliche e l'acquisizione delle informazioni necessarie alla predisposizione delle statistiche trimestrali di contabilità nazionale, ai fini della verifica del rispetto delle regole previste dall'ordinamento comunitario;
   il sistema Siope risulta affidato alla Banca d'Italia, sulla base di un'apposita convenzione sottoscritta il 1o marzo 2003. Risulta inoltre disponibile e accessibile solamente nei giorni feriali dal lunedì al venerdì dalle 8:00 alle 18:00;
   tale limitazione oraria è limitativa e, non permettendo l'accesso e la consultazione dei dati in orari diversi da quelli indicati, può creare un disagio, data anche la quantità ingente di dati presenti all'interno del sistema Siope, a chi per necessità di effettuare ricerche vede interrompersi il proprio lavoro allo scadere della fascia oraria;
   la suddetta limitazione oraria potrebbe sembrare addirittura in contrasto con le finalità di tale sistema, che richiama appunto la tempestività, e con il miglioramento dell'accessibilità rispetto ai sistemi precedenti –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle motivazioni di questi termini orari del sistema in questione, di quali siano i vantaggi derivati da questo tipo di soluzioni e se siano tali da giustificare e compensare tutte le limitazioni in termini di qualità del servizio e di accessibilità;
   se il Ministro non preferisca, viste anche le possibilità che la tecnologia oggi mette a disposizione senza l'obbligo di personale umano dedicato, rendere utilizzabile senza limiti di orario il sistema Siope e l'accesso online dal sito, favorendone l'utilizzo e semplificando il lavoro e la consultazione dell'ingente mole di dati raccolti all'interno. (4-05039)


   PRODANI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, su disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria, ha introdotto misure per favorire la riduzione del costo della politica e della spesa della pubblica amministrazione;
   tra le norme figura, all'articolo 11, comma 9, la razionalizzazione dei servizi di pagamento degli stipendi delle amministrazioni diverse da quelle dello Stato centrale – come comuni e province – con l'introduzione di convenzioni, da stipulare con il Ministero dell'economia e delle finanze (MEF) efficaci dal primo gennaio 2013, per l'erogazione di questo tipo di servizio in modo da conseguire consistenti risparmi di spesa;
   in base all'articolo summenzionato, il Ministero dell'economia e delle finanze ha emanato il previsto decreto non regolamentare il 6 luglio 2012 per definire modalità, regole oneri per l'utilizzo dei servizi per il pagamento delle retribuzioni al personale delle pubbliche amministrazioni erogati tramite il proprio sistema centralizzato;
   in base a quanto stabilito dal decreto, per l'erogazione dei servizi è necessaria la stipula di un'apposita convenzione di durata quadriennale tra il Ministero dell'economia e delle finanze e l'amministrazione richiedente. Per rispettare l'efficacia stabilita dalla legge a partire dal primo gennaio 2013, il termine massimo di presentazione della richiesta di adesione è fissato al 31 agosto 2012, mentre la relativa convenzione doveva essere stipulata entro il 30 settembre 2012;
   la richiesta di adesione, per gli anni successivi al 2013, deve essere inoltrata entro la fine del mese di febbraio dell'anno precedente quello di utilizzo del servizio e la convenzione deve essere stipulata entro il 30 giugno;
   sono stabilite alcune eccezioni legate alle amministrazioni pubbliche, diverse da quelle dello Stato, che già usufruiscono dei servizi offerti dal Ministero dell'economia e delle finanze per le quali il decreto si applica a decorrere dal primo gennaio 2015 e alle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato già tenute all'utilizzo dei servizi descritti, che non sono soggette al pagamento del contributo;
   la razionalizzazione dei servizi e delle spese legate alla pubblica amministrazione è essenziale per efficentarne il funzionamento e, contemporaneamente, contenere l'aumento del debito pubblico;
   il ricorso al sistema centralizzato del Ministero dell'economia e delle finanze per il pagamento degli stipendi può costituire un valido strumento per ridurre i costi sostenuti dalle amministrazioni, ma è chiaro che la sua reale efficacia dipende dalla sua diffusione –:
   quante e quali siano le amministrazioni che hanno sottoscritto le convenzioni quadriennali con il Ministero dell'economia e delle finanze per valutarne la diffusione e la reale efficacia come strumento per ridurre la spesa pubblica;
   se il Ministro interrogato intenda valutare l'adozione di iniziative per l'estensione del ricorso al servizio di pagamento summenzionato, rendendolo obbligatorio, oppure se s'intenda lasciarlo opzionale, circostanza che non sembrerebbe generare consistenti risparmi (4-05042)


   SPESSOTTO, BUSINAROLO e TOFALO. —Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Crif S.p.A. (Centrale di rischio finanziario), è una agenzia privata di informazione creditizia, con sede in Bologna, in via M. Fantin 1-3, che raccoglie al suo interno i dati personali di privati e imprese, forniti direttamente dagli Enti finanziatori che aderiscono alla sua banca dati, vale a dire circa 800 intermediari bancari e finanziari;
   secondo quanto emerge dal sito internet della predetta società, accessibile al dominio www.crif.it, nel 2013 il valore della produzione di Crif s.p.a. è stato pari a 305 milioni di euro e il suo patrimonio netto ammonta a 128.888.000 euro. Crif S.p.A. ha circa 1.600 dipendenti distribuiti tra le sedi delle società controllate in Italia e nel mondo;
   i dati detenuti dalla Crif vengono messi a disposizione di tutte le banche e gli intermediari finanziari partecipanti al database, che, a loro volta, li utilizzano per la valutazione delle pratiche di finanziamento, compresi i mutui per l'acquisto di immobili e le fattispecie di credito al consumo;
   nella banca dati della centrale di rischio figurano i dati personali e le informazioni degli utenti riguardanti l'andamento dei rapporti di credito, come quelle relative alla puntualità nel pagamento delle rate, alle domande di prestito o agli inadempimenti, con la conseguenza che, nel caso di segnalazione dell'utente come «cattivo pagatore» presso la Crif, venga di fatti precluso l'accesso al credito;
   risulta agli interroganti che verrebbero segnalati presso la Crif non solo quanti si trovano in un vero e proprio stato di insolvenza, ma anche coloro i quali, per circostante contingenti, non abbiano pagato anche solo parte del proprio debito, e che il nominativo dell'utente rimanga registrato come «cattivo pagatore», anche se costui, successivamente alla scadenza, abbia posto rimedio al ritardo saldando l'importo dovuto;
   come noto, il Garante per la protezione dei dati personali, nel novembre 2004, ha varato un nuovo «Codice di deontologia e buona condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di crediti al consumo, affidabilità e puntualità nei pagamenti», sottoscritto dalle associazioni rappresentative del settore con la collaborazione delle associazioni dei consumatori; tale codice di deontologia, che si trova attualmente in fase di revisione per iniziativa del Garante, rappresenta allo stato attuale l'unica fonte di natura normativa che disciplina il comportamento delle centrali di rischio finanziario;
   come documentato nel servizio della trasmissione Report, andato in onda il 19 maggio 2014 su Raitre, nonostante tutti i dati finanziari di privati e imprese convergano nella banca dati della Crif, non è stato possibile risalire alla proprietà della stessa società, il cui principale socio azionista risulta essere la Cribis Holding, che a sua volta risulta di proprietà della Unione fiduciaria di Milano, dietro la quale sono schermati i veri proprietari di Crif;
   dalle informazioni reperite sul sito internet della Crif non emergono indicazioni specifiche ma risulta che il capitale della stessa sarebbe detenuto per il 90 per cento dai soci fondatori e dal management e per il restante 10 per cento da alcuni istituti di credito. Tra questi ultimi, fin dagli anni ’90 nella compagine azionaria sono presenti anche 3 banche di livello internazionale, quali BNL-BNP Paribas, Deutsche Bank e Banco Popolare (la maggiore banca popolare italiana);
   occorre tutelare la trasparenza e i dati personali degli utenti ed evitare che le segnalazioni alla centrale rischi si trasformino in un indebito strumento di pressione nei confronti di privati cittadini ed imprese –:
   di quali elementi disponga il Governo circa gli assetti proprietari della Crif spa;
   se intenda assumere iniziative normative al fine di disciplinare l'attività delle centrali di rischio finanziario in modo da evitare illegittimi trattamenti di dati personali ed evitare che gli intermediari finanziari procedano alla iscrizione dei debitori senza preavviso, o che costoro, anche dopo aver saldato il proprio debito, continuino a risultare come inadempienti. (4-05050)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CIRIELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la riforma delle circoscrizioni giudiziarie disposta dai decreti legislativi n. 155 e n. 156 del 2012, ha previsto una revisione geografica giudiziaria su tutto il territorio nazionale con la soppressione di 31 tribunali, 38 procure, 220 sedi distaccate e 674 uffici del giudice di pace;
   tra le sezioni distaccate ritenute «inutili», nell'ottica di una presunta razionalizzazione delle spese del settore giustizia, sono state individuate anche le sedi di Amalfi, Cava De’ Tirreni, Montecorvino Rovella e Mercato San Severino, in quanto «non hanno ragion d'essere perché geograficamente non distanti dalla sede centrale», come si legge nella relazione;
   questa affermazione non risponde al vero per quanto riguarda, in particolare, la sezione di Amalfi che, per la sua specificità territoriale, può essere assimilata a un'isola sulla terraferma non essendo raggiunta da autostrade, strade veloci o ferrovie, con le conseguenti e ovvie difficoltà di mobilità;
   il cittadino sarà, pertanto, costretto a rinunciare al proprio diritto, poiché arrivare a Salerno dalla Costiera amalfitana comporterà un vero e proprio viaggio da assommare ai costi della causa;
   pur condividendo la necessità di ottimizzare le risorse operando un taglio alla spesa pubblica, tale intervento non deve essere dettato da ragioni meramente economiche ma, come nel caso di specie, tenere conto delle ragioni complessive in base alle quali un territorio necessita della presenza di un presidio dello Stato al proprio interno;
   come evidenziato più volte dagli stessi avvocati e dalle associazioni di categoria, fondamentale appare il mantenimento dell'ufficio del giudice di pace, le cui funzioni ineriscono il bisogno primario di tutela delle problematiche civili e penali che riguardano direttamente il cittadino comune;
   a riguardo, il presidente della comunità montana Monti Lattari, con nota del 17 aprile 2014, all'esito di una favorevole valutazione da parte della giunta esecutiva, ha dato la disponibilità ad allocare presso l'ente la struttura amministrativa e giudiziaria del giudice di pace di Amalfi, mediante l'ottimale utilizzazione delle risorse umane, dei locali e degli arredi necessari a salvaguardare il servizio di giustizia nel territorio amalfitano –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, in considerazione del prospetto di una paralisi generale della macchina giudiziaria, se non ritenga opportuno adottare tutte le iniziative necessarie per scongiurare la chiusura dell'ufficio del giudice di pace di Amalfi ed offrire così ai cittadini dell'intero comprensorio della costa d'Amalfi un più efficiente e tempestivo servizio di giustizia. (5-02943)

Interrogazione a risposta scritta:


   LOREFICE, GRILLO, MANTERO, CECCONI, BARONI, DI VITA, SILVIA GIORDANO e DALL'OSSO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nel contesto della spending review, insieme ai provvedimenti di riorganizzazione della geografia giudiziaria che hanno visto la soppressione del tribunale di Modica, il Governo ha intrapreso delle azioni dirette alla razionalizzazione della geografia penitenziaria che hanno generato il serio rischio della chiusura del carcere di Modica;
   il 1o febbraio 2013 è stato infatti ufficializzato il decreto di chiusura del carcere di Modica e il relativo trasferimento dei detenuti al già saturo carcere di Ragusa, così come la chiusura di altre carceri della Sicilia. Nell'aprile 2014 il Ministero ha inviato alle carceri interessate (in Sicilia sono quelle di Modica, Mistretta e Nicosia) le disposizioni per i trasferimenti, fissando poi il termine ultimo per il 23 maggio;
   con tale scelta, accelerata dal provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria, non solo non si tiene conto dei tentativi del presidente Crocetta di mantenere in vita la struttura giudiziaria modicana, ma si ignora l'emergenza sbarchi sulle coste siciliane, in particolare pozzallesi, che determina l'arresto di decine di scafisti trasferiti nel carcere di Ragusa per competenza territoriale;
   tale chiusura ignora altresì i rigidi parametri della cosiddetta sentenza Torregiani che hanno portato alla chiusura per inidoneità dei reparti di minorati psichici e femminile al carcere di Ragusa, struttura sprovvista di docce all'interno delle camere di pernottamento;
   deliberando la chiusura del carcere si è ignorata l'iniziativa parlamentare volta a trasformare la casa circondariale di Modica in istituto a custodia attenuata;
   secondo fonti giornalistiche il 16 maggio 2014 però il provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria di Palermo avrebbe sospeso momentaneamente queste disposizioni, a seguito dell'accoglimento in Senato di un ordine del giorno come raccomandazione che prevede la trasformazione della struttura carceraria in struttura attenuata di pena per il trattamento delle tossicodipendenze;
   l'interroganda ha chiesto delucidazioni in merito al ministero della giustizia, soprattutto relativamente all'eventuale firma da parte del Dap di un atto sospensivo, anche se temporaneo, relativo alla chiusura del carcere. Il Dap dal canto suo ha risposto che al momento nessun atto è stato sottoscritto –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto e quali misure intenda intraprendere per rendere definitiva la momentanea sospensione delle disposizioni del provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria che avevano previsto la chiusura del carcere.
(4-05034)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta scritta:


   VIGNALI e PISO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da notizie apparse sui maggiori organi di informazione nazionali si apprende che a Milano, da ormai qualche giorno, è in corso una forte protesta dei tassisti, con manifestazioni sia spontanee che organizzate, che stanno coinvolgendo pressoché intera categoria;
   il fine di tali manifestazioni è quello di sollevare l'attenzione sulla singolare situazione in cui si sono venuti a trovare da ormai circa un anno gli stessi tassisti, ovvero dal momento del lancio dell'applicazione per smartphone «Uber»;
   Uber è un'applicazione che permette di prenotare un'auto con conducente per i propri spostamenti, mettendo direttamente in contatto il fruitore con il prestatore del servizio;
   l'attività di noleggio con conducente (NCC), così come quella dei taxi, è disciplinata dalla legge n. 21 del 1992, che regola il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea;
   l'articolo 3 della succitata legge stabilisce, al comma 1, che «il servizio di noleggio con conducente si rivolge all'utenza specifica che avanza, presso la rimessa, apposita richiesta per una determinata prestazione a tempo e/o viaggio»; il comma 2 del medesimo articolo, riferendosi agli autoveicoli destinati al noleggio con conducente, prescrive invece che «lo stazionamento dei mezzi deve avvenire all'interno delle rimesse»;
   tale previsione normativa è evidentemente volta alla delimitazione dei campi di attività del servizio di taxi e di quello NCC, per evitare la sovrapposizione degli stessi e per salvaguardare sia i prestatori del servizio che l'utenza;
   da quanto si apprende dagli organi di informazione e da quanto è facile immaginare dalle caratteristiche dell'applicazione in questione, il servizio NCC offerto da Uber non terrebbe conto di queste previsioni, stante la ricerca e la raccolta dei clienti «per le strade» e non nelle forme consentite dalla legge; tale dato è suffragato anche dall'alto numero di multe elevate dalla polizia locale per l'inosservanza di tali norme;
   a sostegno di quanto appena esposto in merito al mancato rispetto delle regole con cui si muoverebbe Uber, vi è anche un'intervista rilasciata a La Repubblica, in data 19 maggio, da Pierfrancesco Maran, assessore alla mobilità del comune di Milano, il quale, riferendosi proprio ad Uber, parla di «app che violano volutamente le regole»;
   ad esacerbare ancor di più gli animi è da poco arrivata un'altra applicazione, chiamata UberPop, la quale consente a chiunque di registrarsi come autista per trasportare (con il proprio mezzo) clienti dietro compenso, senza che siano richiesti requisiti se non quello di avere la patente da almeno tre anni;
   è evidente che quanto sopra non assicura la tutela del consumatore, che non si vede garantito sia nella qualità del servizio che nella sicurezza personale, non essendo i prestatori di tale servizio (gli «autisti» di UberPop) soggetti ad alcun controllo circa le qualità richieste per la fornitura dello stesso;
   è inoltre da rilevare come tutto ciò aggiri palesemente le disposizioni della legge n. 21 del 1992 la quale, all'articolo 6, prescrive l'istituzione del «ruolo dei conducenti di veicoli o natanti adibiti ad autoservizi pubblici non di linea»;
   nello specifico, il comma 3 del succitato articolo prevede che «l'iscrizione nel ruolo avviene previo esame da parte di apposita commissione regionale che accerta i requisiti di idoneità all'esercizio del servizio con particolare riferimento alla conoscenza geografica e toponomastica»; il comma 5 stabilisce invece che «l'iscrizione nel ruolo costituisce requisito indispensabile per il rilascio della licenza per l'esercizio del servizio di taxi e dell'autorizzazione per l'esercizio di noleggio con conducente»;
   tale situazione mette a serio rischio il sacrosanto principio della libera e leale concorrenza, dal momento che non a tutti coloro che prestano il medesimo servizio è richiesto il rispetto delle regole che normano il servizio stesso;
   è altresì evidente che la legge quadro prima richiamata né considera né regola la tipologia di servizio fornita da Uber, essendo datata 1992, anno in cui il fenomeno delle applicazioni per dispositivi mobili non era ancora emerso, ma tale vuoto normativo non può essere il pretesto per aggirare le disposizioni comunque vigenti nel settore, che regolano diritti e doveri dei prestatori del servizio e dell'utenza;
   la protesta dei tassisti di Milano non è l'unica in Europa, visto che situazioni analoghe si riscontrano a Londra, Parigi, Berlino; proprio nella capitale tedesca, da quanto riportato dai media, sembrerebbe che l'associazione dei tassisti abbia ottenuto un'ingiunzione da parte dell'Unione europea per considerare Uber come una vera e propria azienda e non solo un insieme di lavoratori indipendenti e per questo soggetta alle stesse regole dei tassisti tedeschi;
   le nuove frontiere della tecnologia non possono essere ignorate, e spesso nuovi modelli di business nascono proprio dall'evoluzione della stessa, ed è necessario che le future disposizioni legislative abbiano contezza di questo fenomeno e ne definiscano una giusta regolamentazione –:
   quali immediate iniziative, per quanto di propria competenza, intenda promuovere, al fine di ripristinare la legalità (anche prevedendo l'irrogazione di ulteriori sanzioni in aggiunta a quelle già previste dalla legge), un sistema di libera e leale concorrenza e una effettiva tutela dei consumatori;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative normative per la revisione della legge n. 21 del 1992, in modo che trovino regolamentazione anche le nuove forme di servizi ad oggi presenti, in considerazione della rapidità dell'evoluzione tecnologica e del sempre maggior impatto che le stesse hanno sul mercato. (4-05052)

INTERNO

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro della giustizia, il Ministro degli affari esteri, per sapere – premesso che:
   il regolamento Dublino III (regolamento (UE) n. 604/2013; in precedenza Convenzione di Dublino) è un regolamento europeo che determina lo Stato membro dell'Unione europea competente ad esaminare una domanda di asilo o riconoscimento dello status di rifugiato in base alla Convenzione di Ginevra articolo 51);
    il regolamento è la pietra angolare del sistema di Dublino, costituito dal regolamento Dublino III e dal regolamento Eurodac, che istituisce una banca dati a livello europeo delle impronte digitali per gli immigrati clandestini nell'Unione europea;
   secondo il Consiglio europeo per i rifugiati e gli esuli (ECRE) e l'UNHCR, il sistema attuale non riesce però a fornire una protezione equa, efficiente ed efficace. È stato dimostrato, infatti, in diverse occasioni, sia da ECRE sia da UNHCR, che il regolamento impedisce i diritti legali e il benessere personale dei richiedenti asilo, compreso il diritto a un equo esame della loro domanda d'asilo e, ove riconosciuto, ad una protezione effettiva;
   esso conduce, inoltre, ad una distribuzione ineguale delle richieste d'asilo tra gli Stati membri, con situazione di particolare onere per l'Italia, Paese che da solo si affaccia sul Mediterraneo con ben 7456 chilometri di coste e il cui suolo nazionale arriva a distare solo 113 chilometri dal continente africano;
   dal primo agosto 2012 al 10 agosto 2013 sono state 24.277 le persone sbarcate sul suolo italiano, a cui debbono aggiungersi le migliaia di persone morte in mare durante la traversata, mentre sono state in totale circa 43.000 le persone che sono arrivate via mare nel 2013;
   nei primi cinque mesi del 2014 si è registrato un numero di persone arrivate via mare in Italia pari a quello rilevato durante l'intero 2013;
   con il pattugliamento navale iniziato il 18 ottobre 2013, l'operazione Mare Nostrum ha consentito di salvare circa 20.000 naufraghi sulle coste siciliane;
   l'accoglienza e la sicurezza, la protezione e il pattugliamento che l'Italia ha garantito con un'iniziativa unilaterale attendono un rafforzamento da parte della Unione europea;
   le operazioni di salvataggio e di accoglienza gravano infatti in modo sproporzionato sull'Italia, sia per quanto riguarda le risorse umane impegnate, sia per quanto riguarda le risorse economiche allocate;
   i flussi migratori che arrivano sulle coste italiane sono costituiti sia da migranti economici che profughi politici;
   negli ultimi mesi, come ha affermato il Ministro Alfano nella informativa svolta il 16 aprile 2014 presso la Camera, gli arrivi sul suolo italiano sono composti in gran parte da rifugiati, provenienti da Siria, Eritrea, sud Sudan, e da altri Paesi africani teatro di guerra o a forte instabilità politica;
   peraltro, già il rapporto di Ferragosto 2013 del Ministero dell'interno informava che nel corso dell'anno precedente il Governo ha esaminato 11.068 richieste di protezione internazionale e, tra queste, ha concesso lo status di rifugiato in circa 1.600 casi, mentre altri tipi di tutela temporanea sono stati concessi a circa 5.500 persone;
   moltissimi altri esuli sono fuggiti nella speranza di essere accolti da altri Paesi, ma, a causa del regolamento di Dublino, rischiano di essere riportati a forza in Italia;
   servirebbe una maggiore solidarietà a livello europeo, tenuto conto anche del fatto che il flusso ininterrotto di profughi ha come destinazione finale non l'Italia ma altri Paesi europei;
   il semestre a guida italiana sarà un'occasione per discutere questi temi;
   anche il cosiddetto regolamento di Dublino II che aveva preceduto tale formulazione è stato significativamente criticato dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, in quanto non in grado di garantire i diritti dei rifugiati e si è pertanto pervenuti ad una sua revisione il cosiddetto Dublino III;
   se non ritengano opportuno, in vista del semestre a presidenza italiana dell'Unione europea, e nelle more di una revisione delle norme del regolamento (CE) n. 604/2013 (cosiddetto Dublino III), sollecitare: a) un sistema di accoglienza umanitaria direttamente in Africa; b) la previsione di una missione europea dedicata ai soccorsi in mare effettuati dall'Europa; c) lo spostamento della sede di Frontex da Varsavia in Italia; d) la possibilità per i migranti di esercitare il diritto di asilo politico nel Paese europeo di loro scelta e non solamente nel Paese di sbarco e identificazione;
   se non intendano richiedere presso la Commissione europea un ulteriore supporto – anche tramite maggiore assistenza finanziaria delle operazioni Frontex – nello sforzo messo in atto dall'Italia per far fronte all'ingente flusso di sbarchi ed evitare nuove vittime;
   se, in assenza di risposte da parte degli altri Paesi dell'Unione europea, non intendano reagire anche rifiutando di fornire agli altri Stati membri dell'Unione europea qualunque informazione raccolta in sede di identificazione dei clandestini al momento dello sbarco sul territorio italiano.
(2-00567) «Gigli».

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO e FAVA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   poco prima della mezzanotte di venerdì 30 maggio a Torre Annunziata, in provincia di Napoli, un killer, con alcuni complici, ha ammazzato i fratelli Roberto e Giovanni Scognamiglio, notoriamente legati a vicende di usura;
   si è trattato, con tutta probabilità, di un regolamento di conti interno al clan Gallo-Limelli-Vangone;
   sul luogo dell'agguato, la polizia scientifica ha trovato decine di bossoli, ogive, frammenti di proiettili ed una pistola calibro 9 Luger con ancora 10 cartucce nel caricatore e il colpo in canna;
   Roberto Scognamiglio è morto sul colpo, mentre il fratello è sopravvissuto all'agguato ed è stato trasportato da un'ambulanza in ospedale;
   in teoria l'ambulanza avrebbe dovuto trasportarlo all'ospedale «Sant'Anna» di Boscotrecase, essendo questo il più vicino al luogo dell'accaduto, ma in realtà Giovanni Scognamiglio è stato portato all'ospedale «Loreto Mare» di Napoli;
   questo perché, nel frattempo, all'ospedale di Boscotrecase era arrivato da un ingresso secondario un altro ferito: Andrea Gallo, reggente di una cosca camorristica ed i cui fratelli sono importanti boss del narcotraffico attualmente in carcere;
   secondo le prime indagini Gallo sarebbe il killer dei due Scognamiglio, e durante lo scontro sarebbe stato ferito da uno dei due fratelli; 
   i familiari di Andrea Gallo si sono immediatamente recati presso l'ospedale «Sant'Anna», ed un familiare del pregiudicato avrebbe bloccato il chirurgo all'uscita della sala operatoria dopo l'intervento di estrazione del proiettile per minacciarlo al fine di farsi consegnare l'ogiva estratta;
   ciò sarebbe avvenuto per rendere impossibile il confronto con la pistola trovata in casa degli Scognamiglio, e quindi difficile provare l'ipotesi di associazione camorristica pendente in queste ore su Gallo;
   l'ogiva sottratta ai medici del «Sant'Anna» è chiaramente visibile nella radiografia effettuata all'arrivo di Andrea Gallo in ospedale;
   da questa radiografia è stato comunque possibile risalire alle caratteristiche dell'ogiva estratta dal torace di Andrea Gallo; 
   dalle valutazioni che è stato possibile fare, l'ogiva in questione risulta essere compatibile con i proiettili esplosi sul luogo dell'agguato;
   i fatti sono narrati, tra gli altri, nell'articolo «La camorra in ospedale sequestra un proiettile «Costretto a consegnarlo» pubblicato dall'edizione locale de La Repubblica del 3 giugno 2014, nell'articolo «L'ogiva scippata ai medici, esiste solo nella radiografia» pubblicata dal quotidiano Metropolis del 3 giugno 2014 e nell'articolo «Napoli, uccisi due fratelli pregiudicati: crivellati di colpi in casa» pubblicato dal quotidiano online Tgcom 24 il 31 maggio 2014 –:
   se il Ministro sia già a conoscenza dei fatti;
   come sia possibile che membri di una famiglia di camorra possano minacciare un medico e farsi consegnare prove fondamentali per le indagini senza che le forze dell'ordine presenti all'ospedale siano in grado di intervenire;
   se non ritenga doveroso intervenire immediatamente per fare chiarezza sull'accaduto e prendere ogni misura utile a porre rimedio a quanto avvenuto e garantire che episodi analoghi non possano più ripetersi. (4-05024)


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da quanto si apprende dalle notizie riportate dagli organi di stampa nel comune di Ronco Briantino (provincia di Monza della Brianza), in via 4 novembre, un cittadino ha ritrovato all'interno di un cestino della spazzatura, un pacchetto di schede elettorali;
   sempre stando alle notizie pubblicate dai quotidiani locali, il cittadino ha denunciato alle forze dell'ordine il ritrovamento delle schede elettorali. Le forze dell'ordine hanno provveduto immediatamente a mettere sotto sequestro il materiale elettorale ritrovato;
   Maurizio Zorzetto, capogruppo della lega Nord in consiglio comunale e candidato sindaco nelle ultime amministrative, ha stigmatizzato il fatto sottolineando la gravità dell'episodio e la necessità di fare chiarezza;
   episodi simili contribuiscono a far diminuire la fiducia che i cittadini ripongono nelle istituzioni;
   ai sensi dell'articolo 1 della Costituzione la sovranità appartiene al popolo e il popolo esercita tale sovranità nelle forme e nei limiti previsti dalla stessa Costituzione. Il riconoscimento del diritto di voto e le sue caratteristiche, enunciate nel secondo comma dell'articolo 48, concorrono pertanto alla definizione dello Stato come Stato democratico. Attraverso di esso si realizza, infatti, il principio di organizzazione che caratterizza ogni democrazia, in forza del quale ogni decisione deve essere, direttamente o indirettamente, ricondotta alle scelte compiute dal popolo, detentore della sovranità;
   sempre stando alle informazioni raccolte dagli interroganti, l'episodio descritto in premessa, non pare essere isolato;
   l'astensionismo storico che ha caratterizzato le ultime competizioni elettorali è certamente dovuto alla disaffezione e poca fiducia che ripongono i cittadini nei confronti del sistema politico e delle istituzioni;
   il compito di garantire il corretto svolgimento delle elezioni e delle operazioni di scrutinio elettorale in modo trasparente e sicuro deve essere una priorità –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se, stando alle proprie informazioni sia a conoscenza di altri episodi similari a quelli descritti in premessa, e se, nel caso, quali proporzioni essi abbiano;
   quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di garantire che episodi come quelli descritti in premessa non possano più verificarsi. (4-05047)


   MOLTENI, GUIDESI e FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 4 giugno 2014, presso la sala del Mappamondo della Camera dei deputati, si è svolto un convegno organizzato dall'Anfaci, l'Associazione nazionale dei funzionari civili dell'interno, sul diritto d'asilo, a cui hanno partecipato, tra gli altri, i prefetti Bruno Frattasi, presidente dell'Anfaci, Ignazio Portelli, segretario generale, Riccardo Compagnucci, vicario del dipartimento libertà civili e immigrazione Mario Morcone, già Capo del dipartimento libertà civili;
   secondo notizie di stampa, pare che in occasione di tale convegno il Sottosegretario all'interno, con delega all'immigrazione, Domenico Manzione abbia dichiarato pubblicamente: «Stiamo mettendo a punto una circolare interpretativa, ormai quasi pronta e in emanazione a breve scadenza, per riconoscere la cittadinanza italiana a coloro che sono figli di chi ha ottenuto la protezione internazionale»;
   stando alle intenzioni dichiarate dal Sottosegretario, con tale circolare si vuole estendere il diritto alla cittadinanza ai figli di chi gode di protezione internazionale, sulla base di una supposta analogia con il riconoscimento previsto per i figli degli apolidi dalla legge n. 5 febbraio 1992, n. 91;
   per «protezione internazionale» si intende sia lo status di rifugiato, di cui alla convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, sia lo status di protezione sussidiaria, quale definito alle lettere e) e g) dell'articolo 2 della nuova direttiva cosiddetta qualifiche (2011/95/UE);
   inoltre, gli status di rifugiato e quello di protezione sussidiaria non sono a tempo «indeterminato», ed infatti è la stessa direttiva a prevedere sia per l'uno che per l'altro i requisiti ma altresì i motivi di cessazione, revoca ed esclusione, rispettivamente agli articoli 11, 12 e 14, nonché 16 e ciò creerebbe notevoli problemi ai figli di chi ha ottenuto ma poi perso la protezione internazionale;
   la nuova proposta di circolare ministeriale, sebbene chiamata dal sottosegretario «interpretativa», ad avviso degli interroganti, si palesa in realtà quale strumento per l'introduzione nel nostro ordinamento dello ius soli, in contrasto con il principio dello ius sanguinis che attualmente regola la cittadinanza, peraltro, in un ambito in cui dovrebbe essere il Parlamento a legiferare;
   non si comprende tale intervento normativo da parte del Governo ancor di più se, sempre stando alle dichiarazioni del Sottosegretario Manzione, la platea degli interessati «è ristretta», e se si considera che, secondo stime di fonti qualificate del Viminale, si tratterebbe di duecento persone al massimo –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto dichiarato dal Sottosegretario, con delega all'immigrazione, Domenico Manzione e se ciò corrisponda al vero; se ritenga opportuno l'introduzione del principio dello ius soli nel nostro ordinamento, così come sembrerebbe sia intenzione della circolare «interpretativa» ministeriale sopra citata; anche per stimolare un confronto e dibattito su una iniziativa che va ad incidere profondamente sulle nostre tradizioni giuridiche, essendo lo ius sanguinis principio fondante della legislazione italiana in materia di cittadinanza. (4-05049)


   BARGERO e FIANO. —Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   durante la campagna elettorale per il ballottaggio delle elezioni amministrative nel Comune di Casale Monferrato nella notte tra il 4 e il 5 giugno 2014 si sono verificati episodi spiacevoli essendo stati affissi ad alcuni palazzi della città materiali che invitando a votare il candidato di centrodestra, sindaco uscente, Giorgio Demezzi, contenevano elementi di incitamento al razzismo, contenenti la scritta: «Vuoi un siriano ospite a casa tua? Vota Titti Palazzetti», con un implicito riferimento alla drammatica vicenda dei profughi di Lampedusa –:
   se siano state avviate indagini in ordine all'episodio, che, ad avviso degli interroganti, nulla ha a che vedere con la normale campagna elettorale politica e che appare piuttosto come una forma di incitamento al razzismo e se non intendano assumere iniziative normative volte a rendere più rigorose le sanzioni rispetto a casi quali quello evidenziato in premessa.
(4-05053)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   dopo sette anni di annunci, rinvii, ripensamenti, sperimentazioni, a settembre 2014 dovrebbe partire la «riforma» dell'istruzione degli adulti che istituisce i CPIA (Centri per l'istruzione degli adulti);
   il quadro orario si attesta sulle 23 ore settimanali: pare che alcune materie vengano drasticamente ridimensionate (italiano, matematica, lingue straniere), altre quasi scompaiono (storia, diritto);
   pare che l'orario complessivo venga ridotto al 70 per cento dei corrispondenti corsi diurni, per cui si prevede di tagliare anche un 30 per cento del personale –:
   quali siano esattamente le iniziative che si intendono porre in essere in merito ai CPIA. (4-05040)


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la disabilità è un concetto in continua evoluzione ed «è il risultato dell'interazione tra persone con menomazioni e le barriere comportamentali ed ambientali, che impediscono la loro piena ed effettiva partecipazione alla società su base di uguaglianza con gli altri» (convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, 2006);
   «le persone con disabilità includono quanti hanno minorazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali a lungo termine, che in interazione con varie barriere possono impedire la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su una base di eguaglianza con gli altri». (ibidem, articolo 1 comma 2);
   la dizione «con disabilità» sottolinea il primato della persona, il cui valore non è definito dalle eventuali menomazioni o in generale dalle condizioni di salute;
   la convenzione ONU è stata ratificata con la legge n. 18 del 3 marzo 2009, che vincola l'Italia, qualora l'ordinamento interno avesse livelli di cautela dei diritti delle persone con disabilità inferiori a quelli indicati dalla convenzione, a emanare norme ispirate ai principi ivi espressi;
   linee guida per l'integrazione degli alunni con disabilità del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 2009 riprendono la definizione di disabilità della convenzione, che supera «un approccio focalizzato solamente sul deficit della persona con disabilità, accogliendo il modello sociale della disabilità e introducendo i principi di non discriminazione, parità di opportunità, autonomia, indipendenza con l'obiettivo di conseguire la piena inclusione sociale, mediante il coinvolgimento delle stesse persone con disabilità e delle loro famiglie»;
   vi sono diverse tematiche, tutte finalizzate all'inclusione dell'alunno con disabilità, quali ad esempio, quelle relative agli educatori, al trasporto, alla progettazione di iniziative di formazione, alle modalità di esercizio del diritto allo studio, alle valutazioni della qualità di integrazione e/o inclusione e altro, che necessitano di risposte chiare ed urgenti –:
   quali iniziative si intendano intraprendere, anche in relazione alle tematiche segnalate, nell'ambito dell'inclusione dell'alunno con disabilità. (4-05041)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   PISO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'Atac è un'azienda proprietà 100 per cento di Roma Capitale, esercisce a Roma servizio di trasporto pubblico locale (TPL);
   l'Atac, azienda di trasporto pubblico di Roma Capitale ha circa 11.000 dipendenti ed oltre 200 milioni di euro di deficit l'anno;
   nell'ambito delle attività di taglio e razionalizzazione delle spese di Roma capitale, il sindaco Marino ha avviato una operazione nei confronti di Atac, consistente in una discutibile applicazione della legge n. 223 del 1991 in materia di mobilità del personale; sono stati infatti certificati dall'azienda 323 esuberi e sottoposti alle organizzazioni sindacali ai quali è stato posto un aut-aut: part time a stipendio ridotto, oppure sugli autobus a controllare i biglietti, a stipendio invariato;
   secondo le notizie la lista dei 323 esuberi, così come quella più delicata dei 25 dirigenti da licenziare, sarebbe composta per la maggior parte da persone assunte dall'azienda durante l'amministrazione Alemanno;
   giova innanzitutto osservare che l'azienda di trasporto pubblico più grande d'Europa, su oltre undicimila dipendenti conta appena 70 controllori; una situazione che risale all'era pre-alemanniana, quando alla guida del Campidoglio c'erano giunte capitoline di centrosinistra;
   da notizie di stampa si apprende che numerose unità tra addetti alle biglietterie, addetti alle attività ausiliarie, verificatori, autisti e operai, sono stati distolti alla loro funzione originaria e dislocati in vari uffici dell'azienda municipalizzata sparsi nella Capitale. Una buona parte di questi – assunti prima dell'amministrazione Alemanno, effettuano servizio presso gli uffici di via Silone e sarebbero gli operatori dell'ex Sta, la società voluta dalla giunta Rutelli per la gestione e il controllo delle allora neonate strisce blu;
   costoro furono assunti proprio per svolgere le funzioni di verificatori, addetti alle biglietterie, addetti alle attività ausiliarie, oggi, invece, operano in ufficio a tutt'altre mansioni rispetto a quelle originarie;
   in sostanza si starebbe verificando anche sulla base di quanto si può desumere dalle notizie di stampa una sorta di resa dei conti politica, nella forma di operazione di razionalizzazione e posta in essere con una impropria applicazione della legge sulla mobilità: l'improprietà consiste nel fatto che la gran parte dei 323 esuberi è collocato nella mansione per cui è stato assunto; mentre tutte le unità descritte in premessa si trovano oggi tutte impiegate in ambiti diversi rispetto a quelli per i quali erano stati assunti, alcuni dei quali totalmente impropri;
   non risulta se, in un ottica di tutela dell'Azienda, del servizio pubblico e dei lavoratori, nell'ambito di tale procedura di licenziamento collettivo ed al fine di individuare correttamente quantità e caratteristiche del personale in esubero abbia l'ATAC, come previsto da regolamenti e accordi sindacali, preventivamente condotto un'accurata analisi organizzativa volta ad escludere in maniera tassativa che alcun dipendente sia attualmente collocato «fuori posizione» ovvero sia adibito a compiti e mansioni giuridicamente corrette e congrue con le specifiche mansioni di cui al proprio livello inquadramentale e/o contratto di lavoro;
   sarebbero presenti casi – più di 50 – di personale con qualifica «Autista» (operatori di esercizio nei vari parametri come da CCNL) collocati a svolgere mansioni diverse, di tipo impiegatizio-amministrativo – ad esempio, ma non solo, attività classicamente d'ufficio come quelle del call center nelle centrali operative – e/o comunque non esistano casi di operatori di esercizio distratti dalla guida di mezzi pubblici ed impiegati per altre mansioni-funzioni;
   sarebbero presenti in ATAC diversi casi di dipendenti con la qualifica giuridica di operai, in particolare provenienti dall'azienda STA – oltre 100 – impropriamente collocati negli uffici di via Ignazio Silone a svolgere lavoro d'ufficio e/o comunque non impiegati in mansioni operative su strada così come previsto nell'inquadramento parametrale delle singole posizioni giuridiche individuali;
   esistono diversi casi di dipendenti con la qualifica giuridica di «operai macchinisti» stabilmente occupati negli uffici turni e/o di gestione del servizio delle linee metropolitane e non alla guida di mezzi;
   fermo restando quindi il potere strettamente direttivo dell'azienda, come ad esempio definito ai sensi dell'articolo 2104 del codice civile, nella modalità attuata e definita con accordo sindacale dell'azienda ATAC, non ha, ad avviso dell'interrogante, correttamente individuato e proposto alle organizzazioni sindacali il bacino dei lavoratori in esubero, e sta, sempre ad avviso dell'interrogante, di fatto ponendo in atto comportamenti discriminatori nei confronti dei lavoratori appartenenti ai profili professionali individuati nel sopra citato accordo e potenzialmente coinvolti nella procedura di licenziamento collettivo, e in possibile contrasto con quanto previsto dal testo di legge n. 223 del 1991 in tema di licenziamenti collettivi –:
   di quali elementi disponga il Ministro interrogato in merito alla situazione descritta in premessa e in che modo si intendano salvaguardare i livelli occupazionali complessivi dell'azienda. (3-00863)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GIANCARLO GIORGETTI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l’«opzione donna» è un regime sperimentale che prevede – secondo l'articolo 1, comma 9, della legge n. 243 del 2003 cosiddetta Riforma Maroni – fino al 31 dicembre 2015 il pensionamento anticipato per le lavoratrici dipendenti che abbiano raggiunto 57 anni d'età, o per le autonome che ne abbiano raggiunti 58 anni (ai quali vanno aggiunti 3 mesi per effetto dell'adeguamento alla speranza di vita), con almeno 35 anni di contributi; in tal caso, chi usufruirà di tale opzione avrà la pensione calcolata interamente con il metodo contributivo;
   l'articolo 24, comma 14, del decreto-legge n. 201 del 2001, cosiddetto «Salva-Italia», ha previsto che le disposizioni in materia di requisiti di accesso e di regime delle decorrenze vigenti prima della data di entrata in vigore del decreto-legge medesimo continuino ad applicarsi, tra l'altro, alle lavoratrici contemplate per l'appunto dall'articolo 1 della riforma Maroni;
   sull'argomento la circolare Inps n. 35 del 14 marzo 2012 ha interpretato la norma di cui al predetto articolo 24 in maniera restrittiva, affermando che per esercitare l'opzione fosse necessario non solo maturare i requisiti entro il 31 dicembre 2015, ma anche percepire effettivamente il trattamento previdenziale, anticipando così il termine ultimo della domanda di oltre un anno;
   nello scorso novembre 2013, si ricorda, le Commissioni lavoro di Camera e Senato hanno approvato, ciascuna, una risoluzione con la quale si è impegnato il Governo «a sollecitare l'Inps (...) a rivedere il punto 7.2 della circolare n. 35 concernente la liquidazione del trattamento pensionistico per le lavoratrici in regime sperimentale, nel senso che per tali lavoratrici non deve essere applicata la finestra mobile per la decorrenza del trattamento pensionistico né le aspettative di vita, ma resta valida la semplice maturazione dei requisiti anagrafici e contributivi entro il 31 dicembre 2015 (...)»;
   peraltro, dalla discussione in Commissione Lavoro della Camera è emerso un orientamento del Ministro interpellato favorevole ad un riesame della circolare in questione, contrariamente alla posizione del co-vigilante Ministero dell'economia che ritiene il punto 7.2 della circolare pienamente coerente con la norma primaria oggetto di interpretazione (articolo 24, decreto-legge n. 201 del 2011) –:
   se e quali azioni abbia intrapreso da novembre ad oggi per dare seguito al dispositivo della risoluzione citata in premessa e se non convenga sull'opportunità di intervenire con provvedimenti di propria competenza per prolungare anche oltre il 2015 il regime sperimentale cosiddetto «opzione Donna», posto che sebbene tale prosecuzione possa – ad avviso della ragioneria generale dello Stato – compromettere gli effetti complessivi della riforma pensionistica operata con il decreto-legge n. 201 del 2011, convertito con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, giacché consentirebbe l'accesso a pensione ad un età ampiamente inferiore a quella prevista dalla medesima legge, è altrettanto vero che gli stessi sarebbero mitigati, se non addirittura compensati, dalle penalizzazioni derivanti dal conteggio della pensione interamente con il calcolo contributivo, anche per chi avrebbe normalmente usufruito del calcolo misto o puramente retributivo sino al 31 dicembre 2011.
(5-02945)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 10 settembre 2012, la giunta regionale, con delibera n. 390, ha disposto il trasferimento dalla regione Campania all'INPS delle attività relative all'esercizio delle funzioni concessione nei procedimenti di accertamento dei requisiti sanitari in materia di invalidità civile, cecità, sordomutismo, disabilità e handicap;
   l'affidamento in questione, che si realizzerà, tra l'altro, senza il versamento di alcun corrispettivo economico a carico dell'amministrazione regionale, rappresenta certamente un importante traguardo nei processi di razionalizzazione della spesa pubblica nell'ambito dell'erogazione dei servizi al cittadino;
   tale apprezzabile e condiviso processo di riassetto, senza dubbio informato dal principio di «razionalizzazione e unificazione dei procedimenti», necessita, però, di essere adeguato alle specifiche esigenze del territorio interessato;
   in particolare, la provincia di Salerno rappresenta un territorio sconfinato, con aree periferiche, a sud della provincia, gravate da drammatiche condizioni di viabilità e di collegamento con la città capoluogo;
   tutto ciò, peraltro, diventa ancora più evidente in considerazione del fatto che si tratta di cittadini portatori di handicap, con intrinseche condizioni di debolezza e fragilità;
   al fine di ovviare alle inevitabili difficoltà e insormontabili disservizi che si verrebbero altrimenti a creare, appare necessario attivare, accanto alle due sedi INPS di Salerno e Nocera, almeno altre due sedi operative, orientate alle valutazioni medico-legali, da ubicarsi nella parte sud della provincia –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali provvedimenti ritenga opportuno adottare al fine di sostenere la richiesta di rendere operative almeno altre due sedi INPS, da ubicarsi nella parte sud della provincia di Salerno, al fine di adeguare il processo di riassetto in corso alle specifiche esigenze del territorio interessato. (4-05029)


   GRIMOLDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   è notizia riportata dalla stampa locale il 29 maggio 2014 quella del licenziamento di 40 dipendenti dell’«Antologia» di Burago di Molgora (MB), storica azienda florovivaistica presente sul territorio brianzolo da trentacinque anni;
   su 40 licenziati, solo 20 hanno trovato l'accordo per la liquidazione del TFR, i restanti 20, invece, per i quali non è stata raggiunta alcuna intesa, da giovedì 29 maggio hanno iniziato un picchetto ad oltranza in segno di protesta;
   sembrerebbe che l'azienda stia chiudendo i battenti per rinascere come nuova società commerciale ma con gli stessi titolari; questa perlomeno è la denuncia dei lavoratori licenziati, i quali peraltro, in un comunicato, lamentano il mancato pagamento degli arretrati;
   secondo la replica affidata ad un comunicato diffuso dal legale della società, parrebbe, invece, che la direzione abbia manifestato «la propria disponibilità al pagamento rateale degli arretrati, chiedendo la collaborazione di tutti per affrontare insieme la gravissima crisi di mercato (...) [ma che] i lavoratori hanno respinto la proposta di pagamento» –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e, in particolare, circa i motivi che hanno portato alla chiusura aziendale ed ai conseguenti licenziamenti e quali iniziative intenda assumere al riguardo. (4-05048)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   LABRIOLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   è stata divulgata su diversi quotidiani on line la notizia che dalle analisi di una decina di campioni del latte di mamme residenti nella città di Taranto si sia riscontrato il superamento dei valori di azione di diossine a partire dal 700 per cento fino al 1500 per cento stabiliti per latte crudo e prodotti lattiero caseari;
   l'informazione proviene dal Fondo antidiossina il quale ha fatto analizzare una decina di campioni da centri accreditati i quali avrebbero rilevato il superamento di cui sopra;
   sembra infatti, che in tutti i campioni di latte delle neomamme di Taranto, di età superiore a 33 anni, siano state riscontrate significative concentrazioni di diossine. Tutti con valori molto al di sopra dei 6 picogrammi/grammo (limite per il latte per adulti). «La media che riscontriamo, infatti, si attesta su valori superiori ai 20-22 picogrammi e fino a valori di 39,992 picogrammi» – afferma in una nota il presidente del Fondo, che ha poi precisato che «la normativa prevede il divieto di commercializzazione e la distruzione di quell'alimento poiché considerato pericoloso per la salute»;
   se per gli ambientalisti sembra esserci un nuovo allarme per il latte materno contaminato da diossina di origine industriale dall'altra parte la notizia è ridimensionata, così le autorità sanitarie e i medici i quali difendono il valore nutritivo del latte materno –:
   se il Governo sia a conoscenza delle notizie esposte in premessa e quali iniziative abbia intenzione di adottare in ordine alla grave emergenza sanitaria e ambientale che sembra aver raggiunto le dimensioni del vero e proprio disastro per città di Taranto;
   se, accertata la gravità dei fatti esposti, non si consideri necessario avviare una seria indagine, volta a valutare con certezza le conseguenze sanitarie a cui è stata ed è soggetta la popolazione della zona, anche attraverso l'attivazione di adeguati e capillari controlli sanitari sulla popolazione interessata, con particolare attenzione alla salute delle future madri e dei nascituri, attivandosi anche affinché tutti i dati sanitari e ambientali che sono e saranno in possesso dei soggetti istituzionali siano resi pubblici e disponibili per i cittadini;
   se, non si ritenga urgente avviare parimenti un serio a capillare monitoraggio ambientale delle aree interessate, per chiarire la gravità dell'inquinamento subito da questa città;
   se non si consideri, altresì, improcrastinabile fermare da subito con azioni e infrastrutture mirate, lo sversamento degli inquinanti dallo stabilimento dell'Ilva di Taranto, anche per tramite degli istituti specializzati del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, e attivare tutte le necessarie risorse finanziarie al fine di avviare rapidamente la bonifica dei terreni e delle falde acquifere e dell'aria, a partire dalle zone più vicine allo stabilimento, chiarendo modalità e tempi di implementazione e precisando l'ammontare delle risorse disponibili per la bonifica dei siti inquinati di interesse nazionale quale è appunto l'Ilva. (4-05025)


   NICCHI, PALAZZOTTO, COSTANTINO, MELILLA, RICCIATTI, PELLEGRINO e ZAN. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   dalla metà degli anni Ottanta ad oggi, la distribuzione dei casi di Hiv/Aids per modalità di trasmissione ha subito un notevole cambiamento: la proporzione di casi dovuti alla trasmissione per scambio di siringhe è diminuita dal 76,2 per cento nel 1985 al 5,3 per cento nel 2012, mentre sono aumentati i casi attribuibili a trasmissione sessuale. In particolare, i casi attribuibili a trasmissione eterosessuale sono aumentati dall'11,7 per cento nel 1985 al 42,7 per cento nel 2012 e i casi attribuibili a trasmissione omosessuale nello stesso periodo sono aumentati dal 6,3 per cento al 37,9 per cento;
   secondo i dati ministeriali, le nuove diagnosi di infezione da HIV sono circa 4 mila l'anno. Diminuisce la proporzione di tossicodipendenti ma aumentano i casi attribuibili a trasmissione sessuale;
   l'informazione e la consapevolezza degli adolescenti è dunque cruciale per tendere all'obiettivo di ridurre drasticamente i nuovi casi, e purtroppo la mancanza di percezione del rischio e della conseguente necessità di proteggersi, sono ancora una volta tra i principali fattori che favoriscono il contagio dell'Hiv;
   di questa malattia i giovani ne sanno poco o nulla. Questo è quanto emerge da un recente studio realizzato dall'Università Ca’ Foscari Venezia per il Ministero della salute intervistando oltre 6 mila ragazzi in sei regioni (Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Campania e Sicilia). Su virus, malattia e prevenzione le conoscenze sono poche e confuse;
   il 37,5 per cento dei ragazzi tra i 14 e i 18 anni intervistati crede che le zanzare trasmettano l'HIV, tuttavia, rispondono, «è raro succeda». Rispetto a metodi alternativi al profilattico per prevenire il contagio, il 38,9 per cento ha risposto «non so», mentre il 36,5 per cento, tra cui soprattutto ragazze, ritiene pillola e spirale metodi efficaci per scongiurare il pericolo. Su concetti chiave come «periodo finestra», che intercorre tra il contagio e il momento in cui è possibile diagnosticarlo attraverso il test, e «periodo di incubazione» gli adolescenti mostrano le incertezze più gravi: i «non so» sono una larga maggioranza;
   il suddetto rapporto, sottolinea inoltre come il 20 per cento dei ragazzi crede che il test dell'HIV serva a sapere quando si è geneticamente predisposti all'AIDS, mentre il 16,8 per cento ritiene che una persona sieropositiva non corra il rischio di infettare amici o conoscenti «se è attenta a evitare baci o contatti troppo stretti»;
   in materia di rischi nella convivenza con chi è sieropositivo, la mancanza di informazione regna sovrana: quasi nel 95 per cento dei casi i ragazzi hanno risposto in modo inesatto o hanno dichiarato di non sapere nulla –:
   se non si ritenga indispensabile avviare una campagna di informazione sessuale, con particolare riferimento ai rischi di trasmissione dell'Hiv, a cominciare dall'ambito scolastico, e se non si ritenga utile attivarsi al fine di favorire l'installazione di distributori di profilattici nelle scuole medie superiori. (4-05027)


   PES. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da notizie apprese dagli interroganti, risulta che, presso il Centro di riabilitazione motoria dell'INAIL di Volterra, si rileva il frequente diniego dei trasferimenti previsti all'articolo 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992 in difformità alla normativa vigente, aggiornata – da ultimo – dall'articolo 24 della legge n. 183 del 2010, tale situazione lede i diritti fondamentali, quale quelli garantiti dalla normativa in questione, in attuazione di princìpi stabiliti a livello costituzionale, nei confronti dei disabili e dei loro familiari;
   il Consiglio di Stato in diversi pronunciamenti ha ribadito che la normativa di tutela per l'assistenza alle persone disabili trova diretto fondamento in princìpi di rango costituzionale con carattere derogatorio rispetto all'ordinaria procedura delle assegnazioni di sede e dei trasferimenti; non è consentito l'obbligo di permanenza per alcuni anni nella prima sede di assegnazione ai soggetti contemplati dalla legge n. 104 del 1992; non si può subordinare l'esigenza di tutela del soggetto debole alle necessità organizzative dell'amministrazione, in violazione della scala dei valori dettata proprio dai princìpi di rango costituzionale (parere del Consiglio di Stato n. 1813 del 10 dicembre 1996);
   la circolare n. 13/10 della Presidenza del Consiglio dei ministri, dipartimento funzione pubblica – «Modifica disciplina in materia di permessi per assistenza alle persone con disabilità», paragrafo 6, su «le prerogative relative alla sede di servizio» recita: «Il trasferimento e la tutela della sede lavoro... rappresentano uno strumento per la più agevole assistenza del disabile. È opportuno segnalare che la norma, rispondendo all'esigenza di tutela del disabile, accorda al lavoratore un diritto, che può essere mitigato solo in presenza di circostanze oggettive impeditive, come ad esempio la mancanza di posto corrispondente nella dotazione organica di sede, mentre non può essere subordinato a valutazioni discrezionali o di opportunità dell'amministrazione»;
   i numerosi dinieghi dell'INAIL potrebbero arrecare, altresì, ad avviso dell'interrogante un notevole danno alle casse dello Stato poiché i diretti interessati, per salvaguardare i propri diritti, possono adire le vie legali e, quindi, la pubblica amministrazione, a seguito delle sentenze emesse dai giudici di merito dovrà, comunque, disporre i trasferimenti e/o i distacchi e risarcire le spese di giudizio –:
   se il Governo sia a conoscenza delle motivazioni del diniego dei trasferimenti riportati in premessa e se non ritenga opportuno adottare provvedimenti per il diritto di tutela del soggetto debole per garantire la corretta applicazione della legge n. 104 del 1992. (4-05054)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il comma 1-bis dell'articolo 32 del decreto legislativo n. 151 del 2001, aggiunto dall'articolo 1, comma 339 lettera a), della legge n. 228 del 2012 ha introdotto la possibilità di fruire del congedo parentale su base oraria;
   tale normativa è stata inserita nel nostro ordinamento con il recepimento della direttiva 2010/18/Ue del Consiglio europeo dell'8 marzo 2010;
   il succitato articolo 32 demanda alla contrattazione collettiva di settore le modalità per l'applicazione e la fruizione di tale congedo;
   nonostante la norma sia in vigore per il settore del lavoro pubblico dal 1o gennaio 2013, essa continua di fatto ad essere inapplicata dal momento che non appare ancora chiaro quale sia il livello di contrattazione collettiva richiesto dalla legge;
   a seguito dell'interpello n. 25 presentato il 22 luglio 2013 dalle tre sigle sindacali CGIL-CISL-UIL, la direzione generale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha riconosciuto che per contratto collettivo di settore possano essere intesi anche i contratti collettivi di secondo livello, in quanto nella norma richiamata non vi è alcun esplicito rimando al contratto collettivo nazionale;
   il medesimo quesito posto tuttavia il 2 agosto 2013 dall'università degli studi dell'Insubria alla Presidenza del Consiglio dei/Ministri-Dipartimento della funzione pubblica riceveva una risposta diametralmente opposta, laddove si affermava che: «Ad oggi, per quanto riguarda il settore del lavoro pubblico, i contratti non hanno ancora provveduto al recepimento di tale norma e pertanto per l'applicazione della disposizione in questione l'Amministrazione dovrà attendere il recepimento attraverso il contratto collettivo di comparto o la contrattazione quadro;
   alla luce di quest'ultima interpretazione del Dipartimento della funzione pubblica, molti enti pubblici non hanno potuto riconoscere i congedi parentali su base oraria ai genitori lavoratori;
   un'ulteriore circostanza aggravante è rappresentata dal fatto che nel settore pubblico i contratti collettivi nazionali sono bloccati dal gennaio 2010 e la possibilità che tale norma possa essere recepita ed introdotta dalla contrattazione appare purtroppo remota –:
   quali iniziative, per quanto di rispettiva competenza e anche alla luce del fatto che è già trascorso un anno e mezzo dall'entrata in vigore del comma 1-bis dell'articolo 32 del decreto legislativo n. 151 del 2001 aggiunto dall'articolo 1, comma 339 lettera a), della legge n. 228 del 2012, intendano adottare al fine di fare definitiva chiarezza sulla controversa interpretazione della norma, dando così piena operatività ad un principio di giustizia già codificato in materia di sostegno della maternità e della paternità e di conciliazione della vita familiare con le esigenze lavorative. (4-05043)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


   DE LORENZIS, PETRAROLI, SCAGLIUSI e L'ABBATE. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   ogni giorno dalla raffineria ENI di Taranto, partono tra le 200 e le 250 autocisterne di carburante che riforniscono la Puglia, Basilicata e parte di Campania e Calabria;
   da fonti stampa si apprende che nell'ambito del servizio di trasporto carburante della raffineria di Taranto, l'ENI spa abbia revocato il servizio alle imprese di trasportatori tarantine aderenti al consorzio «Lts-logistica, trasporti e servizi»;
   sempre da fonti stampa si apprende che l'Iperconsorzio Multiservizi che fa capo a Confindustria Taranto ha accettato un nuovo contratto con ENI spa che prevede il taglio del 50 per cento dei servizi ad esso affidati a decorre dal 3 giugno 2014;
    a decorrere dal 3 giugno 2014, ENI spa ha affidato il 50 per cento del servizio a due aziende di Alessandria e Roma (gruppo Gavio e Bertani);
   l'ENI ha previsto che una quota del 15 per cento del servizio sia stornata dal plafond delle due imprese settentrionali e affidata in subappalto alle imprese di Taranto;
   sempre secondo fonti stampa, tali decisioni sono state prese da ENI spa a seguito di un'indagine della Guardia di finanza che ha scoperto furti di carburante dalla raffineria di Taranto da parte di alcuni trasportatori e dipendenti;
   a seguito della decisione di Eni, la situazione occupazione della città di Taranto potrebbe peggiorare con il rischio di aumentare la tensione sociale –:
   se il Ministro sia informato sui fatti sopra riportati e quali eventuali iniziative possa adottare al fine di limitare il rischio di disagi alla circolazione e alla distribuzione di carburante per i rifornimenti di quattro regioni meridionali;
   se il Ministro possa interagire con ENI per quanto di competenza al fine di assicurare, a tutti i lavoratori impiegati nel precedente contratto con «Lts-logistica, trasporti e servizi», una continuità lavorativa. (4-05045)


   COLONNESE, FICO, SILVIA GIORDANO e LOREFICE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'Unione europea riconosce esplicitamente l'esigenza e la legittimità del ricorso a «progetti coerenti», che si fonda su previsioni introdotte nei quadri strategici nazionali dell'Italia relativi ai periodi 2000-2006 e prevede regole e modalità per il riutilizzo delle risorse «liberate» grazie ad essi;
   originariamente essi erano finanziati con fondi di diversa provenienza ma utilizzati successivamente nell'ambito della programmazione comunitaria;
   oggi i «progetti coerenti» detti anche «sponda» rappresentano spesso una modalità di utilizzo delle risorse comunitarie usata in alternativa alle fonti statali di finanziamento, con modalità spesso distanti dal principio di addizionalità come inteso dalla Commissione europea. L'utilizzo di un artificio contabile permette talvolta di creare una base di risorse da cofinanziare con i fondi europei e di rendicontarne la spesa nei termini richiesti dalla Commissione. Si basano sulla rendicontazione dei vecchi progetti realizzati indipendentemente dai fondi europei. In questo modo si ottengono fondi che sono svincolati da qualsiasi destinazione in quanto rappresentano versamenti per spese già rendicontate. Tali fondi possono quindi essere utilizzati in maniera discrezionale dalle amministrazioni regionali che li ottengono, e non necessariamente riutilizzano, per cofinanziare progetti europei e ciò risulta legittimo purché vi sia coerenza fra gli obiettivi dei progetti sponda e quelli di nuova programmazione. Si crea quindi un fondo che potrebbe essere utilizzato a riattivare canali di spesa clientelare svincolati dai controlli e dalla rendicontazione utilizzata per i fondi europei, i quali, diversamente, richiederebbero una certa trasparenza. L'inserimento nei rendiconti comunitari ha il fine di ottenere una sorta di secondo finanziamento, in modo da incassare per altre attività risorse liberamente spendibili ovvero senza particolari vincoli temporali;
   la regione Campania, ad esempio, sin dalle programmazioni 2000-2006 ha fatto uso massiccio dei progetti sponda. I dati dell'unità di valutazione pubblicati dal dipartimento politiche di sviluppo assegnano alla Campania il poco invidiabile record di regione che ha fatto maggior ricorso a progetti non compresi nell'iniziale programmazione. Il rapporto si ferma al 31 dicembre 2005, ma i primi dati diffusi sul 2006 non solo confermano la tendenza in atto ma fanno segnare un'ulteriore accelerazione. La regione Campania, attraverso i report prodotti, non nega affatto il massiccio ricorso ai «progetti coerenti» e lo considera anzi un metodo come un altro per utilizzare al meglio le risorse comunitarie. In particolare, una volta ottenuta la certificazione delle spese effettuate per i «progetti coerenti», la regione si vede assegnare delle risorse «fresche», che potrà utilizzare per un nuovo parco progetti che si aggiunge a quello del POR e che in un certo senso lo sostituisce. Ne consegue che se i nuovi impegni saranno davvero rispettati, l'azione della Campania sarà profondamente diversa da quella immaginata in fase di programmazione; talvolta il ricorso ai progetti sponda ha concesso un impiego di risorse non effettivamente utili a creare presupposti di crescita del territorio –:
   come intenda intervenire, per quanto di competenza, al fine di introdurre un sistema di monitoraggio e controllo per evitare che i «progetti coerenti» diventino strumenti speculativi nelle mani dei gestori che potrebbero non essere destinati a coerenti progetti di crescita del territorio. (4-05051)

Apposizione di firme ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta immediata in Commissione De Rosa e altri n. 5-02939, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 giugno 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: D'Incà, Brugnerotto, Benedetti, Businarolo, Fantinati, Turco, Rostellato.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Bargero ed altri n. 1-00200, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 90 del 3 ottobre 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    nonostante l'amianto sia stato messo al bando circa 20 anni fa, con la legge n. 275 del 1992 – dopo una lunga battaglia contro resistenze, reticenze e sottovalutazioni della pericolosità delle particelle d'amianto – studi scientifici ed epidemiologici sostengono che nei prossimi 15/20 anni ci sarà un forte aumento delle malattie asbesto-correlate. Il problema è, quindi, ancora attuale in ragione dell'utilizzo che se ne è fatto, della lunga latenza delle malattie e della presenza di molti siti contaminati;
    tutt'oggi, si stima che siano ancora tra i 30 e i 40 milioni le tonnellate di materiale contaminato che debbono essere smaltite e, nonostante ciò, la commissione prevista dall'articolo 4 della legge n. 257 del 1992, che avrebbe dovuto governare il passaggio da un Italia pesantemente contaminata a un Italia bonificata, non è più operativa, così come il gruppo di lavoro nazionale, che in un primo momento aveva sostituito la commissione, ha cessato le sue funzioni, determinando, di fatto, la totale assenza di una cabina nazionale di regia che coordini la bonifica del territorio;
    si tratta di un fenomeno la cui vastità e gravità sono confermate dai dati derivanti dalla perimetrazione dei siti di interesse nazionale, che ne individuano 57 su tutto il territorio nazionale, con il coinvolgimento di oltre 300 comuni e con una superficie interessata pari a 1.800 chilometri quadrati di aree marine, lagunari e lacustri e 5.500 chilometri quadrati di aree terrestri;
    secondo stime del Registro nazionale dei mesoteliomi, sono circa 3.000 ogni anno le persone che nel nostro Paese perdono la vita in seguito a patologie asbesto-correlate (con un tasso di incidenza di mesotelioma pleurico che per il 2004 risulta essere di 3,49 casi per 100.000 abitanti per gli uomini e di 1,25 per le donne) e circa il 30 per cento dei casi sono attribuibili ad esposizione non professionale;
    tali dati, già di per sé estremamente allarmanti, non tengono conto delle così dette «vittime attese», poiché, visti i tempi lunghi di incubazione, si presume che il picco della mortalità per le patologie correlate all'amianto si raggiungerà intorno al 2020;
    con la legge n. 244 del 2007 «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria per il 2008)», all'articolo 2, commi 440-443, l'allora Governo Prodi istituì il «Fondo nazionale per il risanamento degli edifici pubblici» con una dotazione pari a 5 milioni di euro per il 2008, al fine di avviare una campagna di progressiva eliminazione dell'amianto dagli edifici pubblici. Tuttavia, tale fondo, di fatto, non è mai stato operativo visto che è stato interamente svuotato, insieme ad altri stanziamenti, per far fronte agli oneri derivanti dall'applicazione del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93 «Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie», convertito, con modificazioni, dalla legge n. 126 del 2008, per poter concorrere a coprire finanziariamente la totale abrogazione dell'ici sulla prima casa promossa dal Governo Berlusconi;
    il Piano nazionale amianto, definito nella Conferenza governativa sulle patologie asbesto-correlate di Venezia nel novembre 2012, approvato dal Governo Monti più di un anno fa, elenca una serie di obiettivi suddivisi in tre aree: tutela della salute, tutela dell'ambiente, aspetti di sicurezza del lavoro e previdenziali. Tuttavia, a tutt'oggi, non è stato ancora esaminato dalla Conferenza Stato-regioni e, nonostante le sollecitazioni avanzate dalle organizzazioni sindacali e dal Presidente dell'Anci, non trova ancora concreta attuazione;
    all'articolo 6, comma 6, della legge n. 257 del 1992, si prevede che annualmente il Governo trasmetta al Parlamento una relazione sullo stato di attuazione delle norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto, ma l'ultima relazione presentata risale ormai a diversi anni fa;
    si rende necessario ricondurre ad un testo unico armonizzato l'insieme della normativa di settore fin qui emanata;
    per quanto attiene al tema della tutela degli esposti all'amianto, in una prima fase, le misure adottate sono state rivolte nei confronti dei lavoratori, per cui, i primi risarcimenti sono stati riconosciuti nei loro confronti;
    in particolare, con l'articolo 1, commi 241-246, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, è stata prevista l'istituzione presso l'Inail di un Fondo per le vittime dell'amianto, finanziato con risorse per tre quarti dello Stato e un quarto dalle imprese;
    i beneficiari del Fondo per le vittime dell'amianto sono i titolari di rendita diretta, anche unificata, ai quali sia stata riconosciuta dall'Inail e dal soppresso Ipsema, una patologia asbesto-correlata per esposizione all'amianto e alla fibra «fiberfrax», individuato ai sensi dell'articolo 85 del testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali;
    il regolamento del Fondo per le vittime dell'amianto (decreto ministeriale 12 gennaio 2011) stabilisce che la prestazione aggiuntiva sia calcolata applicando alla rendita già percepita la misura percentuale definita con decreto interministeriale. Tale prestazione è stata fissata nella misura del 20 per cento per ciascuno degli anni 2008 e 2009 e del 15 per cento per il 2010;
    per gli anni a decorrere dal 2011, il regolamento non fissa la misura della prestazione aggiuntiva ma ne definisce le modalità di calcolo e di erogazione. La prestazione è calcolata sulla base del rapporto tra le risorse annue effettivamente disponibili nel Fondo per le vittime dell'amianto e la spesa sostenuta dall'Inail per le rendite erogate nell'anno di riferimento ai beneficiari del fondo ed è erogata mediante due acconti (di cui il primo pari al 10 per cento) finanziati utilizzando le risorse provenienti dal bilancio dello Stato e un conguaglio finanziato con le risorse provenienti dall'addizionale riscossa dalle imprese (articolo 2, commi 3 e 4 del decreto ministeriale 12 gennaio 2011);
    al fine di conferire al Fondo per le vittime dell'amianto apposito rilievo contabile, si è proceduto ad instaurare un sistema che si basa sull'istituzione di uno specifico articolo relativo ai «Recuperi e rimborsi di spese per prestazioni istituzionali», dedicato ad accogliere le evidenze contabili del Fondo per le vittime dell'amianto. Ugualmente, accade anche per i pagamenti contabilizzati all'interno di un apposito articolo del capitolo di uscita relativo alla contabilizzazione delle «rendite di inabilità ai superstiti», sull'assunto che tale erogazione consiste in una prestazione aggiuntiva rispetto al pagamento della rendita al beneficiario. Il completo impianto contabile, inoltre, prevede anche la creazione di diversi articoli tecnici tra le partite di giro relative alle «addizionali dei datori di lavoro», necessari sia per l'iniziale contabilizzazione dei finanziamenti derivanti dalle addizionali, sia per il successivo riversamento al capitolo di entrata, ovvero l'eventuale restituzione ai datori di lavoro a seguito di regolazioni addizionali incassate per il Fondo per le vittime dell'amianto;
    la legge n. 244 del 2007 prevede che il Fondo per le vittime dell'amianto sia finanziato per un quarto attraverso il versamento di un'addizionale a carico delle imprese con un gettito complessivo da parte di queste di 10 milioni di euro per gli anni 2008 e 2009 e di 7,3 milioni di euro a decorrere dal 2010;
    per quanto riguarda le prestazioni aggiuntive, ad oggi erogate, se negli anni 2008, 2009, 2010 e 2011 il pagamento è stato effettuato in acconti ma con regolarità e per il 2012 gli importi sono stati erogati entro il 30 giugno 2013, nel 2013 non si è potuto dare corso al pagamento in quanto non sono prevenuti i trasferimenti dello Stato;
    la platea dei beneficiari al 2012, tra reddituali e superstiti, era di 17.501 individui;
    in merito alle somme non utilizzate del Fondo per le vittime dell'amianto per il triennio, esse assommano a 36,2 milioni di euro, ma, tenendo conto delle prestazioni aggiuntive da erogare ai nuovi beneficiari che si evidenzieranno nei prossimi anni, le risorse effettivamente utilizzabili sono valutate in 30,8 milioni di euro;
    la misura della prestazione aggiuntiva nei prossimi anni decresce sensibilmente dal 18,1 per cento calcolato per il 2011 all'8,3 per cento stimato per il 2022;
    nel Piano nazionale amianto è prevista l'utilizzazione di 10 milioni di euro e in questa fase si potrebbe, quindi, utilizzare parte della somma giacente presso il fondo nazionale per la quale i Ministeri competenti a tuttora non si sono ancora pronunciati sui criteri di utilizzazione,

impegna il Governo:

   ad adoperarsi, per quanto di competenza, affinché l'esito positivo della procedura di esame e di approvazione del Piano nazionale amianto venga assicurato da tutti i soggetti interessati, prevedendo, al riguardo, un preciso cronoprogramma di attuazione per ciascun livello istituzionale coinvolto e l'individuazione delle relative risorse finanziarie e strumentali;
   ad assumere ogni iniziativa utile, d'intesa con le regioni, affinché sia completata entro tempi ravvicinati la mappatura delle fonti di esposizione ad amianto, ovvero dei siti con presenza di materiali contenenti amianto sia friabile che compatto;
   a proseguire, ai fini delle attività di prevenzione, le opere di bonifica ambientale dei siti di interesse nazionale con presenza di amianto e degli edifici al servizio del pubblico, con priorità a strutture sanitarie e scuole, per queste ultime utilizzando le risorse stanziate ai sensi dell'articolo 18 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98;
   a definire un'intesa con le regioni e le province autonome volta a concordare le modalità di regolamentazione delle «micro-raccolte di amianto» anche con il coinvolgimento delle aziende municipalizzate locali di raccolta dei rifiuti e ad individuare, in ogni regione, dei siti di discarica del materiale rimosso, a tal fine individuando cave adatte allo smaltimento in sicurezza di scarti pericolosi;
   ad individuare le risorse necessarie al rifinanziamento del Fondo nazionale per il risanamento degli edifici pubblici, istituito dalla finanziaria per il 2008;
   ad assumere iniziative per semplificare le modalità di erogazione della prestazione aggiuntiva, fissandola in una percentuale che rimanga fissa negli anni per garantire le risorse al fondo anche negli anni futuri;
   ad inserire un criterio di utilizzo delle risorse finanziarie complessive disponibili, anche con riferimento al triennio 2008-2010 e pari a 30,8 milioni di euro, che tenga conto degli aventi diritto relativi agli anni successivi, per i quali non potrebbe non essere garantita la copertura per l'intero periodo di consolidamento, e ad estendere, come previsto dal Piano nazionale amianto, la platea dei destinatari, comprendendovi non solo gli attuali beneficiari professionali, ma anche i familiari dei medesimi colpiti da patologie amianto-correlate (mesotelioma pleurico, peritoneale e altre neoplasie amianto-correlate);
   ad assumere iniziative, anche normative, in tempi ravvicinati, per definire una disciplina che pianifichi la fuoriuscita dalla problematica dell'amianto, anche attraverso la predisposizione di un apposito testo unico che riunifichi e armonizzi tutta la normativa in tema di amianto;
   ad implementare le attività di ricerca sanitaria integrando nella rete dei centri le strutture sanitarie delle aree in cui vi è la maggiore incidenza di patologie asbesto-correlate;
   ad istituire una commissione tecnica per la pianificazione, l'attuazione ed il monitoraggio delle azioni da intraprendersi, finalizzate alle attività di prevenzione, sorveglianza, assistenza e cura dei casi di patologie amianto-correlate.
(1-00200)
(Nuova formulazione) «Bargero, Speranza, Borghi, Cuperlo, Fiorio, Portas, Boccuzzi, Antezza, Amoddio, Basso, Beni, Baruffi, Berlinghieri, Gnecchi, Lodolini, Zanin, Moscatt, Battaglia, Colaninno».

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interpellanza urgente Giancarlo Giorgetti n. 2-00462 del 18 marzo 2014.

Ritiro di una firma da una risoluzione.

  Dalla risoluzione Zampa ed altri n. 7-00160, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 112 del 6 novembre 2013, è stata ritirata la firma della deputata Coscia.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Pes n. 5-01094 del 27 settembre 2013 in interrogazione a risposta scritta n. 4-05054.