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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 3 giugno 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    il fenomeno dello spreco alimentare a livello mondiale ha assunto, da alcuni anni, una dimensione tale da essere considerato non più tollerabile, specialmente di fronte alle gravissime difficoltà di approvvigionamento di cibo di intere aree del pianeta;
    come ricorda la Fao, il numero di persone denutrite sulla Terra sfiora il miliardo, mentre la quantità di cibo sprecato nei Paesi industrializzati ammonta a 222 milioni di tonnellate, più o meno pari alla produzione alimentare disponibile nell'Africa subsahariana (230 milioni di tonnellate);
    i dati più gravi dello spreco alimentare riguardano gli Stati Uniti, ma anche l'Europa e l'Italia registrano una dimensione molto grave, aggravata, proprio in Italia, da un parallelo e paradossale incremento del fenomeno della povertà;
    molteplici sono le cause del fenomeno;
    è in corso una profonda distorsione nella produzione e allocazione del cibo, in particolare dei cereali, derivante da un modello di sviluppo sbagliato fondato sull'eccessivo consumo di risorse non rigenerabili;
    le politiche di marketing delle multinazionali e le normative sulla brevettazione dei prodotti agroalimentari, hanno contribuito a generare comportamenti sociali tendenti a produrre sempre più «spreco» e «scarto» alimentare e, di conseguenza, la cultura del «riciclo» e del «riutilizzo» alimentare faticano non poco ad affermarsi rispetto al suo contrario;
    esiste una relazione profonda tra la crisi che si sta vivendo ed un modello di consumo massificato e quantitativo ma non qualitativo, che richiede un intervento che eviti di perpetuare diseguaglianze, tanto più gravi trattandosi di accesso al cibo e ad una sana e buona alimentazione; viceversa, nell'immaginario collettivo dei Paesi cosiddetti «ricchi» l'educazione alimentare, erroneamente, si traduce in «performanti» diete, o nuovi «costumi alimentari», che si rivelano dannosi per l'organismo umano con ricadute sulla spesa sanitaria che diventa crescente a fronte di nuove patologie connesse all'alimentazione;
    si verifica il paradosso, riferito da numerosi rapporti di carattere internazionale, per il quale metà del cibo prodotto nel mondo non arriva mai ad essere consumato;
    si verifica perdita di cibo, nei paesi in via di sviluppo, a monte, a causa di limiti logistici e strutturali, e, nei paesi industrializzati, a valle, a causa di comportamenti errati nel consumo domestico e nella ristorazione collettiva;
    lo spreco alimentare grava, inoltre, sul clima, sulle risorse idriche, sul suolo e sulla biodiversità. La decomposizione dei rifiuti alimentari produce metano, gas ed effetti serra e ogni chilogrammo di cibo prodotto comporta oltre 4,5 chilogrammi di anidride carbonica equivalente;
    istituzioni e letteratura specializzata definiscono lo spreco alimentare in modi diversi; tuttavia, non esiste una definizione univoca di spreco alimentare né a livello istituzionale, né tanto meno nella letteratura scientifica specializzata. È stata proposta però, in uno studio commissionato dalla Fao, la distinzione tra food loss, perdite alimentari che si riscontrano durante le fasi di produzione agricola, post-raccolto e trasformazione degli alimenti, e food waste, lo spreco di cibo che si verifica nell'ultima parte della catena alimentare (distribuzione, vendita e consumo finale);
    per la definizione di spreco alimentare non esiste ancora in Europa un'unica definizione, ma, a partire dal 2011, in seno alla Commissione europea (agricoltura e sviluppo rurale), lo si è considerato come «l'insieme dei prodotti scartati dalla catena agroalimentare, che – per ragioni economiche, estetiche o per la prossimità della scadenza di consumo, seppure ancora commestibili e quindi potenzialmente destinabili al consumo umano –, in assenza di un possibile uso alternativo, sono destinati ad essere eliminati e smaltiti, producendo effetti negativi dal punto di vista ambientale, costi economici e mancati guadagni per le imprese»;
    purtroppo, il tema della «scarsità delle risorse naturali», che deve essere centrale nell'agenda politica di questo millennio, è vissuto, il più delle volte, come un mero esercizio percettivo;
    uno studio del 2011 della Commissione europea sullo spreco di cibo indica che esso, a livello domestico, è il più rilevante: corrisponde al 42 per cento del totale (25 per cento della spesa alimentare per peso) e ammonta a circa 76 chilogrammi pro capite all'anno (di cui il 60 per cento potrebbe essere evitato); è piuttosto consistente anche la parte relativa ai processi di trasformazione degli alimenti (39 per cento) e in quella riguardante i servizi di ristorazione e catering (14 per cento). Più contenuto, invece, lo spreco a livello distributivo (8 chilogrammi pro capite all'anno) anche se, in alcuni casi, la distribuzione è indirettamente responsabile di una parte dello spreco che avviene più all'inizio o più a valle della filiera alimentare; secondo il suddetto studio della Commissione europea, che indica come media i 180 chilogrammi pro capite di cibo sprecato, la situazione nell'Unione europea passa dai 579 chilogrammi pro capite dell'Olanda ai 44 chilogrammi pro capite della Grecia, con l'Italia a 149 chilogrammi pro capite, valore sopra la media mondiale, indicata dalla Fao in 95-115 chilogrammi pro capite;
    il rapporto della Fao Food Wastage footprint: Impact on Natural Resource, del settembre 2013, stima in 750 miliardi di dollari l'anno i costi economici diretti dello spreco alimentare, che ammonta a circa 1,3 miliardi di tonnellate di cibo, pari a circa un terzo (il 33 per cento) della produzione totale di cibo destinato al consumo umano. Per produrre il cibo che viene sprecato sono utilizzati 250 chilometri cubi di acqua e 1,4 miliardi di ettari di terreno e immessi in atmosfera all'anno 3,3 miliardi di tonnellate di gas serra; circa il 54 per cento dello spreco avviene durante la fase di produzione, lavorazione post-raccolto e stoccaggio, mentre il 46 per cento occorre nelle fasi di lavorazione, distribuzione e consumo;
    in Italia i dati raccolti hanno evidenziato come solo la frutta e gli ortaggi gettati via nei punti vendita abbiano comportato il consumo di più di 73 milioni di metri cubi d'acqua (water footprint) in un anno, l'utilizzo di risorse ambientali pari a quasi 400 metri cubi equivalenti (ecological footprint) e l'emissione in atmosfera di più di 8 milioni di chilogrammi di anidride carbonica equivalente (carbon footprint);
    secondo alcune prime stime dell'osservatorio sullo spreco alimentare, Waste Watchers, in Italia, nel 2011 lo spreco di cibo a livello domestico è costato a famiglia poco meno di 1.600 euro all'anno; Il libro nero dello spreco in Italia: il cibo, (Segrè e Falasconi 2011) ha quantificato in 20 milioni di tonnellate lo spreco alimentare lungo tutta la filiera nazionale; più di recente, esperti del settore hanno chiarito che «in Italia se le perdite della filiera alimentare (agricola, trasformazione e distribuzione) valgono 0,2 punti del Pil, lo spreco alimentare domestico rappresenta mezzo punto del Pil, ossia tra 8 e 9 miliardi di euro»;
    secondo la Società italiana di nutrizione umana (Sinu), la disponibilità calorica giornaliera per ogni italiano è di circa 3.700 chilocalorie, ossia oltre una volta e mezzo il fabbisogno energetico quotidiano, per cui il surplus di 1.700 chilocalorie che ne deriva o provoca sovralimentazione o viene sprecato;
    nei Paesi sviluppati, ma talvolta anche in quelli in via di sviluppo, sono rilevanti le motivazioni di carattere regolamentare ed economico che sono alla base dello spreco alimentare. C’è decisamente ancora molto da fare per comprendere le cause delle perdite nella parte iniziale della filiera. Nelle fasi di prima trasformazione del prodotto agricolo e dei semilavorati, le cause che determinano gli sprechi sono individuabili principalmente in malfunzionamenti tecnici e inefficienze nei processi produttivi: normalmente si parla di «scarti di produzione»;
    nella distribuzione e vendita (sia essa all'ingrosso che al dettaglio) lo spreco dipende da molteplici cause, tra cui ordinazioni inappropriate e previsioni errate della domanda;
    in particolare, nella filiera ortofrutticola, sugli sprechi incide la possibilità di ritirare parte della produzione per evitare il crollo dei prezzi. Il prodotto ritirato, infatti, è destinato solo in parte alla distribuzione gratuita (alle fasce deboli della popolazione, a scuole e a istituti di pena), mentre per la maggior parte è destinato alla distillazione alcolica (36 per cento), al compostaggio e biodegradazione (55 per cento) e all'alimentazione animale (4 per cento). Questi impieghi sono da considerarsi come spreco, in quanto implicano la destinazione del prodotto a un uso differente dall'alimentazione umana per cui era stato coltivato;
    nell'industria agroalimentare lo spreco medio ammonta al 2,6 per cento del totale, pari a circa 1,9 milioni di tonnellate di cibo (escludendo l'industria delle bevande). I prodotti scartati sono tendenzialmente gestiti come rifiuti o utilizzati per la produzione di mangimi e non destinati, invece, alla ridistribuzione alle fasce deboli della popolazione. La maggior parte dello spreco alimentare è riscontrabile nell'industria lattiero-casearia e nella lavorazione e conservazione di frutta e ortaggi;
    per quanto riguarda la fase della distribuzione, l'attività di ricerca condotta dall'Osservatorio sullo spreco alimentare, Waste Watchers, offre stime sulla quantità di cibo «gettato via» da parte, dei mercati all'ingrosso (centri alimentari e mercati ortofrutticoli) e della moderna distribuzione. Al riguardo, emerge che nel 2009 in Italia sono state sprecate 263.645 tonnellate di prodotti alimentari (per un totale di 900 milioni di euro), il 40 per cento delle quali è costituito da prodotti ortofrutticoli;
    un discorso a parte merita lo spreco alimentare nella ristorazione collettiva che, in massima parte, deriva da un'errata impostazione dei menù, da grammature scorrette e da capitolati di gara spesso mal impostati; soprattutto nella ristorazione ospedaliera, le organizzazioni di settore rilevano che le inefficienze previste all'interno dei capitolati degli appalti fanno registrare sprechi nel vassoio che si aggirano intorno al 20-25 per cento, con picchi del 40 per cento in alcune strutture ospedaliere;
    alcune ricerche dell'Osservatorio ristorazione collettiva e nutrizione evidenziano, inoltre, come nella ristorazione scolastica si possono osservare le seguenti percentuali di spreco (ciò che resta sul piatto): 15-17 per cento primi piatti; 20-25 per cento carne; 35-40 per cento ortofrutta;
    infine, per quel che riguarda la ristorazione aziendale, lo spreco alimentare deriva dal cosiddetto fine linea, i cibi che, da bando, devono essere comunque garantiti a fine turno in quantità corrispondente a quella iniziale;
    per ridurre il tema dello spreco della ristorazione collettiva occorrerebbe intervenire a monte, rivisitando le modalità che portano alla predisposizione dei bandi per evitare che siano inseriti prodotti di grande richiamo ma che poi non vengono mangiati, rivedendo le grammature all'interno dei capitolati, non per limitare il cibo, ma per ponderarlo in base alle caratteristiche dell'utente, lavorando sul «triangolo» cibo-famiglia-scuola, prevedendo percorsi di educazione alimentare nelle scuole rivolti non solo a bambini ma, soprattutto, a insegnanti e genitori;
    lo spreco domestico nasce: dalla difficoltà del consumatore di interpretare correttamente l'etichettatura degli alimenti, il cui contenuto potrebbe essere incrementato con l'adozione di maggiori informazioni come quella di porre in etichetta la doppia scadenza: il termine minimo di conservazione, che si riferisce alle caratteristiche qualitative del prodotto, «preferibilmente entro», (data di scadenza commerciale del prodotto) e la data di scadenza vera e propria, «da consumarsi entro», (relativa alla salubrità del prodotto alimentare) al fine di evitare confusione sulla commestibilità del cibo; dalla preparazione di porzioni troppo abbondanti (tanto nei ristoranti quanto a casa); a causa degli errori commessi in fase di pianificazione degli acquisti (spesso indotti da offerte promozionali); quando gli alimenti non vengono conservati in modo adeguato;
    il 19 gennaio 2012, il Parlamento europeo ha approvato in seduta plenaria la risoluzione su come «evitare lo spreco di alimenti: strategie per migliorare l'efficienza della catena alimentare nell'Unione europea», in cui definisce lo «spreco alimentare» e si pone l'obiettivo di ridurre del 50 per cento gli sprechi alimentari entro il 2015 e di dedicare il 2014 come anno europeo contro lo spreco alimentare, attraverso una strategia per migliorare l'efficienza della catena alimentare degli Stati membri;
    per raggiungere gli obiettivi della sopradetta risoluzione sono state coinvolte le autonomie locali in progetti contro lo spreco e, in particolare, sono stati organizzati eventi per favorire la massima adesione dei sindaci al progetto Carta per una rete di amministrazioni a spreco zero, per ridurre progressivamente gli sprechi attraverso il controllo e la prevenzione di tutte le attività pubbliche e private, che implichino la gestione di cibo, acqua, energia, rifiuti, mobilità e comunicazione;
    a livello nazionale, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha già avviato, nei mesi scorsi, una strategia nazionale e ha adottato, il 7 ottobre 2013, il Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti, che affronta in modo organico il problema degli sprechi alimentari in Italia, in sintonia con quanto indicato dalla Commissione europea nella tabella di marcia verso un'Europa efficiente nell'impiego delle risorse. In tale contesto, è stato istituito il Piano nazionale di prevenzione dello spreco alimentare (Pinpas) ed è stata proclamata, il 5 febbraio 2014, la prima Giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare in Italia; il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intende raggiungere entro il 2020 una riduzione del 5 per cento, dei rifiuti per unità di prodotto interno lordo, dei rifiuti urbani, del 10 per cento di quelli pericolosi e del 5 per cento di quelli speciali;
    l'Expo 2015, il cui tema è appunto «Nutrire il Pianeta. Energia per la vita», rappresenta un'opportunità per affrontare il tema degli sprechi alimentari e per studiare soluzioni innovative a livello globale in considerazione della prevista partecipazione di oltre 140 Paesi all'evento; in quest'occasione si potrebbe arrivare alla definizione di una piattaforma di idee in grado di stimolare nuove azioni per ridurre lo spreco alimentare;
    la Commissione europea, nella comunicazione Partecipazione dell'UE all'Expo 2015 di Milano – Nutrire il pianeta: Energia per la vita del 3 maggio 2013 ha ribadito che: «La sicurezza alimentare è diventata negli ultimi quindici anni un elemento centrale delle politiche dell'UE in questo settore e costituisce la base di un vero e proprio modello per il resto del mondo; l'approccio al cibo nell'UE è allo stesso tempo un prerequisito per salvaguardare la salute di cittadini e consumatori e la pietra miliare su cui si basa la reputazione e il successo dell'industria alimentare europea in tutto il mondo. La sostenibilità assume un'importanza sempre più decisiva per i cittadini europei e a livello mondiale, giacché è sempre più importante utilizzare le risorse in modo più razionale, al fine di garantire la prosperità alle generazioni future e di limitare l'impatto sull'ambiente, preservando le risorse naturali già limitate. Considerando tutto ciò, la partecipazione dell'UE dovrebbe avere anche un fine educativo, non solo sensibilizzando i visitatori, ma anche prospettando loro approcci concreti nel settore dell'alimentazione e della sostenibilità, in modo da permettere ai cittadini di cambiare in positivo i propri stili di vita riducendo, ad esempio, lo spreco di cibo e adottando scelte alimentari più sane»;
    in tale contesto va senza dubbio evidenziato il ruolo dell'educazione alla responsabilità come parte integrante della soluzione globale, soprattutto in relazione ai bambini a cui bisogna trasmettere il valore del cibo in quanto risorsa, per influenzarne i futuri comportamenti; allo stesso modo è importante educare la gente a riutilizzare e riciclare il cibo invece di gettarlo via, tanto a livello domestico che a livello di ristorazione collettiva, come in ospedali, mense e ristoranti,

impegna il Governo:

   ad affrontare, con urgenza, il problema dello spreco alimentare lungo tutta la catena dell'approvvigionamento e del consumo, sostenendo strategie per migliorare l'efficienza della catena agroalimentare e promuovendo il confronto con tutte le organizzazioni e le categorie coinvolte, tenendo conto delle iniziative già presenti a livello nazionale;
   a promuovere, in sede europea e nazionale, l'affermazione di modelli agricoli sostenibili e la trasformazione e il riutilizzo delle eccedenze alimentari;
   a incoraggiare l'adozione di misure atte a ridurre gli sprechi alimentari che si producono anche a causa dei requisiti imposti dalla legislazione europea e nazionale e ad incentivare modalità di packaging differenziato tra prodotti freschi e non;
   a promuovere accordi con le maggiori catene distributive e le industrie alimentari nazionali e straniere, al fine di ridurre gli sprechi alimentari, realizzando, altresì iniziative e campagne informative sui prodotti freschi per indicare ai clienti il modo migliore di conservare più a lungo gli alimenti a casa, così da ridurre lo spreco alimentare;
   ad utilizzare i finanziamenti previsti dal Fondo per gli aiuti europei agli indigenti (FEAD) per la prosecuzione, senza soluzione di continuità, del programma di distribuzione di alimenti agli indigenti finora svolto da AGEA in concorso con le organizzazioni caritative;
   ad attivare un coordinamento tra i Ministeri competenti in materia e la Conferenza Stato-regioni per la riduzione degli sprechi con l'obiettivo di:
    a) monitorare e analizzare la dimensione del fenomeno nel nostro Paese;
    b) sostenere le azioni per l'utilizzo di alimenti non consumati nella rete del commercio e della ristorazione;
    c) minimizzare le perdite e le inefficienze della filiera agroalimentare, favorendo la relazione diretta tra produttori e consumatori e coinvolgendo tutti i soggetti interessati con l'obiettivo di rendere più eco-efficienti la logistica, il trasporto, la gestione delle scorte e gli imballaggi;
   ad adoperarsi in sede europea al fine di sostenere il 2015, quale «anno europeo della lotta allo spreco alimentare», con lo scopo di stimolare l'opinione pubblica ad assumere comportamenti maggiormente responsabili rispetto alla fruibilità sostenibile degli agroalimenti e ad aggiornare il Parlamento, entro la fine del 2014, circa il percorso avviato per il raggiungimento degli obiettivi previsti dal PINPAS al fine di ridurre lo spreco alimentare in Italia;
   a farsi promotore in ambito europeo, in particolare nel semestre di Presidenza italiana dell'Unione Europea, dell'istituzione della comunità della conoscenza e dell'innovazione per l'alimentazione incentrata sulla prevenzione dello spreco di cibo e sull'educazione alimentare, stimolando l'opinione pubblica ad assumere comportamenti maggiormente responsabili rispetto alla fruibilità sostenibile degli agroalimenti;
   a rendere partecipe il Parlamento su quale sarà la posizione del Governo, durante il semestre di presidenza europeo, circa le modifiche proposte che sono state illustrate in sede di Consiglio Agricoltura e Pesca del mese di maggio 2014 in merito alle norme sulle etichette di scadenza dei prodotti alimentari;
   ad adottare iniziative volte a rafforzare, con un'idonea normativa di attuazione delle vigenti disposizioni, i principi secondo i quali, in sede di aggiudicazione degli appalti pubblici e privati, i criteri premiali devono essere rivolti ad evitare lo spreco alla fonte, mediante modalità di impostazione di capitolati di gara nella ristorazione collettiva che favoriscano, tra l'altro:
    a) le elaborazioni di menu su scala regionale;
    b) la ridistribuzione gratuita, per esigenze sociali, a favore dei cittadini meno abbienti;
    c) il ricorso ad approvvigionamenti in ambito locale che salvaguardi la qualità e la tracciabilità dei prodotti, da reperire principalmente attraverso modalità finalizzate a favorire l'avvicinamento tra la fase produttiva agricola e quella di consumo;
   a promuovere, sin dal prossimo anno scolastico della scuola dell'obbligo, nel rispetto dell'autonomia scolastica e dei limiti di finanza pubblica, iniziative di «educazione alimentare e gestione ecososteniblle delle risorse naturali» che abbiano, quale punto di partenza, gli effetti negativi che lo spreco alimentare produce, facendo sì che tali programmi di studio tendano a strutturare, nell'immaginario delle future generazioni, un approccio meno utilitaristico e maggiormente eco-responsabile delle risorse naturali viste nella loro complessità sistemica, ciò, al fine di dimostrare come rendere più sostenibile l'acquisto, la conservazione, la preparazione e lo smaltimento finale degli alimenti; a promuovere altresì campagne informative in occasione dell'esposizione universale Expo 2015, mediante l'adozione di un «Piano tra Nazioni», finalizzato a prevenire gli sprechi;
   ad assumere tutte le opportune iniziative per ridurre l'ammontare degli sprechi alimentari attraverso un maggior recupero di alimenti da destinare agli indigenti; (On. CATANIA);
   a valutare la possibilità di assumere iniziative anche di carattere economico per incrementare la dotazione finanziaria del Fondo per la distribuzione di derrate alimentari alle persone indigenti, previsto dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134;
   a intervenire per proseguire l'attività del Tavolo permanente di coordinamento istituito presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali di cui al decreto ministeriale n. 18476 del 17 dicembre 2012;
   a elaborare un testo unico di riordino della materia della distribuzione delle derrate alimentari alle persone indigenti che, ad oggi, appare regolata in modo non organico e, conseguentemente, a istituire un osservatorio nazionale sullo spreco alimentare, d'intesa con il sistema delle regioni e delle province autonome, al fine di conoscere in maniera più organica gli effetti delle esternalità negative sull'economia, sul sistema sanitario e sul sistema sociale che lo spreco alimentare genera;
   a promuovere in sede europea un piano di armonizzazione fra gli Stati membri, finalizzato alla raccolta di dati statistici sul fenomeno degli sprechi alimentari, nonché a stabilire un significato univoco per i termini «food loss», ovvero le perdite che si determinano a monte della filiera agroalimentare, principalmente in fase di semina, coltivazione e raccolta, e «food waste», ovvero gli sprechi che avvengono durante la trasformazione industriale, la distribuzione e il consumo finale, agendo congiuntamente con gli altri partner europei in materia d'investimenti relativi alla promozione di programmi comunitari finanziati dall'Unione europea, al fine di introdurre specifiche iniziative «faro» sull'educazione alimentare, sull'ecologia domestica e di filiera;
   a introdurre misure normative volte alla valorizzazione degli alimenti non più commestibili nell'ottica del riciclo della materia;
   a impegnarsi in sede europea al fine di intraprendere un'azione congiunta, volta ad impedire speculazioni finanziarie sulle commodity alimentari, quali grano, mais, soia, riso e zucchero.
(1-00482) «Fiorio, Gagnarli, Faenzi, Franco Bordo, Dorina Bianchi, Catania, Caon, Rampelli, Schullian, Zaccagnini, Pastorelli, Luciano Agostini, Allasia, Antezza, Anzaldi, Attaguile, Baldassarre, Balduzzi, Barbanti, Benedetti, Massimiliano Bernini, Binetti, Borghesi, Bossi, Buonanno, Matteo Bragantini, Busin, Caparini, Capua, Carra, Caruso, Catanoso, Causin, Cenni, Antimo Cesaro, Cimmino, Cirielli, Corsaro, Cova, Covello, D'Agostino, Dal Moro, De Mita, Dellai, Fabrizio Di Stefano, Fauttilli, Fedriga, Ferrari, Galgano, Gallinella, Riccardo Gallo, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, La Russa, L'Abbate, Librandi, Lupo, Maietta, Marazziti, Marcolin, Marrocu, Martella, Matarrese, Mazziotti Di Celso, Giorgia Meloni, Migliore, Molea, Molteni, Monchiero, Mongiello, Mottola, Narduolo, Nastri, Nesi, Oliaro, Oliverio, Palazzotto, Palese, Palma, Parentela, Pellegrino, Pesco, Piepoli, Gianluca Pini, Prataviera, Quartapelle Procopio, Quintarelli, Rabino, Andrea Romano, Rondini, Rossi, Russo, Sani, Santerini, Sberna, Schirò, Sottanelli, Speranza, Taglialatela, Taricco, Tentori, Terrosi, Totaro, Valiante, Vargiu, Venittelli, Vitelli, Zan, Zanin, Zaratti, Zolezzi».

Risoluzione in Commissione:


   La VI Commissione,
   premesso che:
    diversi studi dimostrano come un ricorso più diffuso ai pagamenti elettronici permetterebbe da un lato, attraverso la tracciabilità delle transazioni, di coadiuvare le azioni di contrasto all'evasione fiscale ed al riciclaggio di denaro, di compliance fiscale e quindi favorire l'emersione di ricchezza sommersa, e dall'altro di ridurre il costo di gestione del denaro contante a tutto vantaggio dell'economia italiana, aspetto, quest'ultimo, spesso sottovalutato dagli esercenti stessi, ma che secondo dati diffusi dalla Banca d'Italia sfiorerebbe, anche a causa dell'eccessiva rigidità della filiera del trasporto e della contazione del denaro, gli 8 miliardi di euro all'anno, che corrispondono allo 0,5 per cento del PIL, il 49 per cento dei quali sarebbe, sostenuto da banche ed infrastrutture per l'offerta dei servizi di pagamento, mentre il restante 51 per cento sarebbe a carico delle imprese;
    alcune direttive europee e norme interne spingono in questa direzione, nella convinzione che tutto il sistema economico e finanziario tragga vantaggi da questa innovazione, e per dare un impulso importante alla maturazione del mercato italiano dei pagamenti elettronici ed avvicinarlo così agli standard europei, nell'ultimo anno Governo e Parlamento hanno varato, accanto ad una serie di misure restrittive sull'uso del denaro contante e dei mezzi di pagamento al portatore e di definizione dell'ambito di applicazione dei pagamenti mediante carte di debito, anche una norma per la quale, dal 30 giugno 2014, diventerà operativo l'obbligo di accettare da privati pagamenti per acquisti di prodotti e prestazioni di servizi di importo superiore a 30 euro a mezzo del cosiddetto POS (Point of Sale);
    inoltre, nell'ambito di una regolamentazione unitaria della disciplina dei pagamenti effettuati a mezzo di strumenti elettronici da armonizzare con quella più ampia della trasparenza del costo delle commissioni, è stato emanato un decreto interministeriale recante il «Regolamento sulle commissioni applicate alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento presso i gestori di carburante», che entrerà in vigore dal 29 luglio 2014 e che cancella la gratuità prevista sia per l'acquirente che per il venditore, delle transazioni regolate con carte di pagamento (come bancomat o carte di credito) presso gli impianti di distribuzione di carburanti, ponendo così fine ad una norma equivoca, molto spesso ignorata dagli istituti bancari o volutamente disattesa dagli stessi per trasferire sul sistema altri costi, come ad esempio quelle dei canoni per il noleggio dei terminali POS;
    invero, il suddetto regime di gratuità aveva un limite temporale essendo vincolato all'applicazione dell'articolo 12, commi 9 e 10, del decreto-legge n. 201 del 2011 (cosiddetto Salva Italia), che affidava all'Abi, a Poste italiane, al consorzio bancomat, alle associazioni dei prestatori dei servizi di pagamento ed alle imprese che gestiscono i circuiti di pagamento, la definizione, peraltro mai completata, delle regole per l'applicazione delle commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento, tenuto conto della necessità di assicurare trasparenza e chiarezza dei costi, nonché di promuovere l'efficienza economica nel rispetto delle regole di concorrenza;
    il ritorno all'applicazione delle commissioni sul rifornimento del carburante, disincentivando il pagamento a mezzo di moneta elettronica, riapre l'annosa questione di garantire la sicurezza ad una categoria, quella dei gestori di impianti di rifornimento, quotidianamente esposta al rischio di rapine, rischio che si eleva proporzionalmente in presenza di maggiore circolazione del contante;
    d'altra parte i costi di commissione e quelli di gestione, come il canone di noleggio, del cosiddetto POS, obbligatorio, come detto, dal prossimo 30 giugno 2014, si aggiungono ai recenti rincari delle accise su benzina e gasolio, ed in vigore fino al prossimo 31 dicembre 2014, riducendo in misura significativa il margine di guadagno degli stessi gestori, li porterà a rifiutare, come già avvenuto in passato e come dagli automobilisti, tutte quelle transazioni effettuate con mezzi di pagamento elettronici;
    un'altra categoria che al pari di quella dei gestori di impianti di distribuzione di carburanti si oppone all'applicazione della commissione sulle transazioni è quella dei tabaccai che negli anni, accanto alla distribuzione e vendita dei prodotti da fumo e la rivendita di valori bollati e postali, si sono visti attribuire, l'erogazione, attraverso i circuiti «Lottomatica» e «Sisal», molti servizi di pubblica utilità come l'attività di certificazione e riscossione di tributi locali, tasse automobilistiche, o di pagamento di multe, canoni e bollette, e la funzione di raccolta di giochi come lotto, superenalotto e lotterie istantanee, il tutto a fronte di «aggi» fissi e predeterminati, in percentuale, rispetto ai volumi conseguiti;
    tale attività ha fatto sì che le tabaccherie assumessero sempre più un valore ad alto contenuto sociale ma, al contempo, gli incassi giornalieri ed i beni presenti all'interno dei locali, che costituiscono dei veri e propri valori (tabacchi, ricariche telefoniche, tagliandi delle lotterie, e altro), hanno reso le rivendite di generi di monopolio una delle categorie maggiormente esposte agli attacchi della criminalità: l'ultimo Rapporto intersettoriale sulla criminalità predatoria segnala una recrudescenza delle rapine in tabaccheria con un andamento annuo costante pari a +5,9 per cento. Si evidenzia che oltre il 90 per cento del denaro che transita nelle tabaccherie deve essere riversato allo Stato od ai concessionari, per questo motivo il singolo rivenditore vittima delle attenzioni della criminalità paga in prima persona i danni subiti;
    per le stesse ragioni, anche la suddetta categoria ha espresso il suo malcontento, poiché, in ragione di un obbligo ad esercitare una funzione pubblica impostole per legge, rischia di rimetterci per calo di redditività soprattutto quando il margine di guadagno dell'operazione è inferiore a quello del costo medio da sostenere per la transazione elettronica, ma soprattutto minaccia di uscire dal mercato rifiutandosi di offrire, nello specifico, alcuni servizi di pagamento all'utenza;
    sia gli impianti di distribuzione di carburanti che le rivendite di generi di monopolio come le tabaccherie sono incaricati di un pubblico servizio tant’è vero che sono anche disciplinati dalla legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali. Infatti, per esempio, la distribuzione di prodotti energetici per autotrazione è un'attività diretta alla prestazione di un servizio indispensabile e non può essere intesa come fine a se stessa, ma finalizzata alla concreta realizzazione di un diritto costituzionale garantito, come quello alla mobilità, per la realizzazione del quale è necessario il ricorso a tali prodotti;
    se da una parte l'uso di strumenti di pagamento elettronici consente di limitare, se non eliminare, la presenza di denaro contante nei suddetti esercizi riducendone in misura significativa l'esposizione al rischio di rapine, dall'altro riduce ulteriormente quei già esigui margini di guadagno imposti per legge che, quasi sempre, non superano il 2 per cento del prezzo finale, basti pensare che nel caso del carburante le accise gravano per il 52 per cento sul prezzo complessivo per litro, mentre l'Iva per 16,67 per cento;
    le società di acquiring, che svolgono le attività relative alla gestione dell'accettazione delle carte di pagamento ed alla negoziazione delle transazioni, hanno fino ad oggi aggirato la gratuità delle transazioni effettuate mediante pagamenti elettronici proponendo, anzi imponendo, ai gestori delle pompe di benzina una sorta di canone fisso calcolato sulla media delle operazioni, soluzione che ha comunque finito con il riversare gli effetti sull'utente finale, in termini di aumento del prezzo del carburante;
    tra tutte le suddette società spicca in senso negativo il comportamento di Setefi, che detiene un abbondante 20 per cento del mercato, che nel periodo di gratuità delle transazioni ha comunicato l'interruzione del servizio ed il recesso dal contratto per sopraggiunta maggiore onerosità, proponendone di nuovi con proposte assolutamente proibitive per qualsiasi gestore a partire dal pagamento di un canone mensile per l'uso del POS correlato al fatturato e che oscillava da un minimo di 500 euro per un fatturato annuo pari a 500.000 euro, ad un massimo di 11.000 euro, per un fatturato annuo oltre a 36.000.000 di euro;
    in Italia i costi complessivi legati al mantenimento ed all'uso del Pos sono più alti del 50 per cento rispetto alla media europea. La interchange fee rappresenta circa il 70-90 per cento dell'importo della commissione che viene applicata nel rapporto fra banca dell'esercente e banca del consumatore nel momento della transazione con carte di pagamento. Nel luglio del 2013 la Commissione dell'Unione europea nell'ambito della revisione della direttiva sui servizi di pagamento (PSD), ha presentato una proposta di limitazione dell’interchange fee che prevede un tetto dello 0,2 per cento della transazione per le carte di debito e dello 0,3 per cento della transazione per le carte di credito, tetto che per i primi 22 mesi sarà in vigore solo per le transazioni internazionali, successivamente entrerà in vigore anche per quelle nazionali. La stessa UE si aspetta che da questa riduzione derivi una parallela riduzione delle commissioni finali sugli acquisti,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per prevedere per le suddette categorie di esercenti forme di defiscalizzazione che contemplino il riconoscimento di un credito di imposta a coloro che debbano ancora dotarsi del terminale POS;
   ad assumere iniziative normative per prevedere la completa gratuità per ulteriori 12 mesi delle transazioni effettuate presso impianti di distribuzione di carburante e presso le rivendite di tabacchi per servizi prestati dalle stesse, per conto dello Stato, all'utenza, in attesa della completa abrogazione della commissione applicata;
   ad assumere iniziative per emanare misure di sostegno economico e fiscale che incentivino i gestori di impianti di distribuzione di carburante e di rivendite di generi di monopolio a dotarsi di sistemi di sicurezza attiva e passiva al fine di ridurre in misura significativa la loro esposizione al rischio di rapine.
(7-00378) «Paglia, Pagani».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   dal 1o luglio 2014 l'Italia sarà chiamata ad assumere la Presidenza del semestre europeo e ad oggi non è ancora disponibile un programma, ancorché non definitivo delle priorità del Governo italiano;
   l'Italia, come buona parte dei territori dell'Unione, è attanagliata da una profonda crisi economica, caratterizzata in particolare da una costante riduzione del Prodotto interno lordo che si protrae da 30 mesi consecutivi. La ricaduta sociale di questa perdurante situazione è sempre più forte e drammatica con il tasso di disoccupazione oramai al 13 per cento nel primo trimestre 2014, livello che non si verificava da oltre 30 anni;
   l'inizio della già citata crisi economica è effettivamente riconducibile a speculazioni finanziarie originate nel 2006, 2007 e 2008 negli Stati Uniti e legate a derivati su mutui sub-prime; tuttavia le conseguenze di questa crisi globale sono state gestite in modo errato a livello europeo, poiché ne hanno provocato la diffusione e l'aggravamento tramite politiche di contrazione dell'economia e di eccessivo rigore;
   sarebbe necessario rappresentare in ambito europeo l'esigenza di dare maggiore attenzione ai paesi del nord Africa che, spesso, si trovano in difficili transizioni istituzionali (Tunisia, Libia, Egitto) e della cui stabilizzazione porre sempre più all'attenzione europea la necessità di un miglior coordinamento fra gli stati europei nel controllo delle frontiere marittime per porre fine ai continui sbarchi in Italia che nell'autunno scorso verso le coste di Lampedusa hanno provocato tragedie da proporzioni immani;
   sarebbe opportuno condurre una corretta gestione delle risorse destinate alle politiche per l'occupazione e la formazione e implementare, anche a livello nazionale, apposite misure di responsabilizzazione degli enti locali per l'impiego efficace di tali risorse attraverso misure premiali e/o sanzionatorie, con un meccanismo che preveda la revoca delle risorse non utilizzate;
   nella relazione programmatica 2014 sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, in considerazione della Presidenza del semestre europeo, il Governo indica 5 priorità generali: perseguire il risanamento del bilancio differenziato e favorevole alla crescita; ripristinare l'erogazione del credito; promuovere la crescita e la competitività; contrastare la disoccupazione e le conseguenze sociali della crisi; modernizzare la pubblica amministrazione. Ciò nonostante non risultano chiare le modalità con le quali l'Esecutivo intende raggiungere tali obiettivi;
   durante l'esame della legge di stabilità 2014 è stato approvato l'emendamento n. 11358 il quale prevede l'obbligo della Presidenza del Consiglio dei ministri di trasmettere ai competenti organi parlamentari, prima dell'inizio del semestre di Presidenza italiana e in ogni caso entro e non oltre il 30 maggio 2014, una nota puntuale sul riparto delle risorse, suddivisa per finalità e iniziative;
   sembra che fra gli obiettivi del piano per il semestre di Presidenza dell'Unione europea il Governo, oltre a proporre di costruire un'Europa più democratica e rivolta alla crescita e di impostare una politica dell'immigrazione solidale nel mediterraneo, persegua altresì l'intenzione di attenuare il principio del 3 per cento del deficit e il Fiscal Compact aprendo un negoziato per modificare i Trattati –:
   quali siano le priorità del semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea e se il Governo non ritenga di dover chiarire tali priorità al fine di consentire la più ampia discussione e partecipazione alla definizione degli orientamenti politici alla base del programma della citata Presidenza;
   in che maniera il Governo intenda, concretamente perseguire gli obiettivi su esposti e come saranno ripartite le risorse per ciascuna finalità e iniziativa.
(2-00564) «Colonnese, Nesci, Carinelli, Gallinella, Spessotto, Vignaroli, Fico, Luigi Di Maio, Lupo, Massimiliano Bernini, Benedetti, Gagnarli, L'Abbate, Parentela, Cecconi, Baroni, Silvia Giordano, Dall'Osso, Di Vita, Grillo, Lorefice, Mantero, Tripiedi, Rizzetto, Bechis, Baldassarre, Chimienti, Ciprini, Cominardi, Rostellato».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro degli affari esteri, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   ad aprile del 2013 è stata presentata dai deputati Caruso e Chaouki una proposta di riforma della legge n. 184 del 4 maggio 1983 (disciplina in materia di adozione internazionale). All'interno della riforma dell'adozione si proponeva l'immediata trascrizione in Italia della sentenza di adozione pronunciata in Paese straniero, prima dell'effettivo ingresso del minore nel nostro Paese; tale pratica è già in uso in alcuni Stati dell'Unione europea, tra i quali il Belgio. I lavori parlamentari risultano essere ancora in corso;
   in occasione della giornata dei diritti dell'infanzia, che ha avuto come tema «Il diritto di bambini e ragazzi alla famiglia: come rilanciare adozioni e affidi», le più alte autorità del nostro Paese si sono impegnate in appelli per riconoscere ai minori il diritto di poter essere adottati e accolti nelle loro famiglie, auspicando come emerso da interventi del Presidente della Repubblica, appare necessario che il legislatore affronti in modo organico le problematiche finora individuate in tema di adozione;
   il problema dell'adozione appare agli interpellanti ancora ostaggio di scarsa sensibilità sia sul fronte dei costi da sostenere in termini economici da parte dello Stato sia su quello degli eccessi di burocrazia;
   nell'ambito dell'adozione internazionale, diversi Paesi – ad esempio la Repubblica democratica del Congo, ma anche Colombia e Bielorussia – hanno assunto decisioni che rischiano di compromettere la possibilità di portare a termine l’iter adottivo iniziato o in fase di completamento in base agli accordi precedentemente presi (nel caso della Colombia e della Bielorussia si tratta di Paesi firmatari della Convenzione internazionale dell'Aja del 1993); in particolare, si segnala la situazione della Repubblica democratica del Congo, che pur riconoscendo in più occasioni la correttezza delle procedure adottate dall'Italia, ha deciso di bloccare le adozioni internazionali per un anno senza garantire in alcun modo la ripresa delle pratiche adottive al termine di tale periodo, costringendo molti bambini a non poter uscire dalla Repubblica democratica del Congo pur essendo stati essi adottati secondo la stessa legge congolese (con sentenza definitiva del tribunale del Congo) da coppie di genitori italiani; si segnala per altro nello stesso contesto che la situazione umanitaria che si è venuta a creare per i bambini della Repubblica democratica del Congo con il blocco delle adozioni è drammatica, poiché gli istituti – a corto di disponibilità economiche e non sostenuti dal Governo congolese – non sono in grado di poter accogliere altri minori bisognosi;
   al quarto vertice Europa-Africa tenutosi a Bruxelles il 2 e il 3 aprile 2014, il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, rammaricato per non aver avuto occasione di parlare di persona con il Presidente della Repubblica democratica del Congo Joseph Kabila, ha dichiarato tuttavia la volontà di contattare telefonicamente quest'ultimo al fine di risolvere al più presto la situazione che si è venuta a creare relativamente alle adozioni;
   sempre nell'ambito delle dichiarazioni rilasciate dal Presidente Renzi in occasione del summit Europa-Africa, il Presidente del Consiglio ha sottolineato la necessità di affrontare la questione ponendola all'attenzione dell'ONU e del segretario generale Ban Ki-Moon (cfr. http://www.commissioneadozioni.it);
   nell'ambito dell'iniziativa per la cancellazione del debito dei Paesi più poveri e indebitati («Heavily Indebted Poor Countries»), lanciata dal Fondo monetario internazionale e Banca mondiale, adottata dai Paesi G7 nel 1996 e «rafforzata» dal G7/G8 nel 1999, il nostro Paese si è impegnato nel processo di cancellazione del debito estero dei Paesi beneficiari, tra i quali figura la Repubblica democratica del Congo (nei confronti della quale – come dichiarato dal Ministero degli affari esteri relativamente all'attuazione dell'iniziativa HIPC: al 31 maggio 2011 l'Italia ha cancellato ben 519,26 milioni di euro, cifra inferiore solo a quanto cancellato per il Mozabico) –:
   se vi sia un monitoraggio dei minori e delle famiglie italiane complessivamente coinvolte in percorsi di adozione bloccati per procedure indipendenti da enti e cittadini italiani;
   quali iniziative umanitarie a tutela dei minori adottati da famiglie italiane si intendano promuovere in attesa dello sblocco delle adozioni in Congo e negli altri Paesi che hanno assunto decisioni che rischiano di compromettere la possibilità di portare a termine l’iter adottivo iniziato o in fase di completamento;
   se non si ritenga opportuno in ogni caso, a tutela anche giuridica dei minori e delle famiglie italiane che hanno percorso il lungo iter per l'adozione internazionale, il varo a breve di iniziative normative, per altro già adottate in alcuni Stati dell'Unione europea, che prevedano l'immediata trascrizione in Italia della sentenza di adozione pronunciata in Paese straniero, prima dell'effettivo ingresso del minore nel nostro Paese;
   se per dare da subito un segnale concreto di fiducia alle famiglie sul tema delle adozioni, non si ritenga di assumere iniziative per rifinanziare il fondo a sostegno delle adozioni internazionali, previsto dalla legge finanziaria 2005 ma di fatto sospeso dal 2011, nonostante siano coinvolte oltre 3.000 famiglie nel 2012 (nel 2006 erano oltre 6.000), considerato che con soli 5 milioni di euro si potrebbero dunque destinare 1.600 euro a famiglia.
(2-00565) «Zanin, Zampa, Cova, Colaninno, Fregolent, Fossati, Scuvera, Luciano Agostini, Antezza, Bazoli, Bargero, Malpezzi, Dallai, Ferrari, Ginato, Donati, Antimo Cesaro, Venittelli, Carra, Terrosi, Tentori, Giuditta Pini, Sberna, Narduolo, Ventricelli, Simoni, Quartapelle Procopio, Marrocu, Martelli, Scanu, Bolognesi».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LACQUANITI, MELILLA, PELLEGRINO, PIRAS e ZAN. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la nostra Costituzione, nella parte dei principi fondamentali, dopo aver sancito all'articolo 8, primo comma, che «tutte le Confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge», stabilisce che anche quelle «diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano», fissando il principio secondo cui «i loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze»;
   l'intervento del legislatore costituente, pur nella sopravvivenza della normativa preesistente basata sul principio dei cosiddetti «culti ammessi», espressione della volontà del legislatore fascista, ne circoscrive l'ambito e le modalità applicative, grazie al novellato strumento delle «intese», chiamato a regolare i rapporti con le confessioni religiose diverse da quella cattolica;
   in ragione di quanto richiamato si sono succedute nel tempo numerose intese che hanno regolato, anche in tempi molto recenti, i rapporti fra molteplici confessioni religiose e lo Stato;
   la legge regionale della Lombardia n. 12 dell'11 marzo del 2005, «legge per il Governo del territorio», che all'articolo 52 si occupa, in particolare, dei «mutamenti di destinazione d'uso con e senza opere edilizie», ha introdotto una disciplina fortemente restrittiva in relazione al mutamento di destinazione d'uso di immobili finalizzati alla creazione di luoghi di culto, assoggettandoli a permesso di costruire (articolo 52, comma 3-bis, della legge citata);
   tale legge, ai sensi di quanto disposto dagli articoli 52 e 53, vincola quindi il cambio di destinazione d'uso di locali ab origine aventi destinazione differente dal culto a condizioni restrittive non previste per altre tipologie di locali, assegnando grande discrezionalità in capo alle amministrazioni locali e associando a tale discrezionalità un meccanismo sanzionatorio particolarmente severo;
   quanto ne emerge è che, ad oggi, nei fatti, è possibile ottenere in via automatica la destinazione d'uso di locali già adibiti a cinema o a teatro, per ristrutturarli e trasformarli in un supermercato, ma non lo è invece aprire un luogo di culto di una confessione religiosa diversa da quella cattolica, pur nel rispetto dei piani di governo del territorio locali e nell'esperimento pieno e completo delle prescrizioni della normativa sulla sicurezza;
   la puntuale applicazione della norma richiamata ha portato alla chiusura di più di venti luoghi di culto, punti di riferimento per comunità evangeliche e protestanti, composte soprattutto da immigrati neri d'Africa e, non ultimo, al caso della chiesa pentecostale «Christ Peace and Love» di Gorle (Bergamo), il cui luogo di culto di proprietà è stato oggetto di confisca, una vicenda solo da poco risolta con l'annullamento del provvedimento da parte del TAR di Brescia e la restituzione dell'immobile alla comunità;
   tale legge della regione Lombardia che, riguardo quanto previsto dalla disposizione citata, non trova precedenti in altre regioni, ha finito di fatto per limitare l'esercizio della libertà sancita dall'articolo 8 della Costituzione, senza che venisse peraltro motivata dal legislatore l'assegnazione di poteri tanto ampi in capo alle amministrazioni locali;
   ad avviso degli interroganti, forte è il dubbio che, almeno in relazione alla questione sollevata, sia stata di fatto ripristinata la dottrina dei cosiddetti «culti ammessi», così come pensata dal legislatore fascista, in aperto contrasto con quanto previsto dall'articolo 8 della Costituzione –:
   quale sia l'indirizzo politico che governa i rapporti fra lo Stato italiano e le confessioni religiose non cattoliche, considerato che questo deve in ogni caso essere informato al pieno rispetto dall'articolo 8 della Costituzione, ovvero a uno dei principi fondamentali della stessa. (5-02924)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito delle numerose argomentazioni contenute all'interno della relazione annuale della Banca d'Italia presentata il 30 maggio 2014 è emerso che le stime tendenziali segnalano che per conseguire il saldo programmato per il 2015 è necessario reperire risorse per almeno 7 miliardi di euro per rispettare gli impegni assunti della politica di bilancio per il 2014, per il medio termine;
   a fronte di tale necessità, il documento di Palazzo Koch, aggiunge che per rendere strutturale la riduzione del cuneo fiscale introdotta per il 2014 con il bonus Irpef da 80 euro, sarà essenziale il reperimento di ulteriori 7,3 miliardi di euro e, conseguentemente, per il 2015 occorreranno nel complesso 14,3 miliardi di euro;
   la relazione della Banca d'Italia evidenzia altresì, che il documento di economia e finanza – DEF, stima per il prossimo anno un ammontare massimo di risparmio pari a 17 miliardi di euro derivante dalle misure per la razionalizzazione dei conti cosiddetta «spending-review», affianco alle quali necessitano di essere rapidamente rese attuative le disposizioni per l'efficienza della pubblica amministrazione e quelle della legge delega in materia fiscale;
   la necessità di rendere immediatamente operative le norme dei predetti provvedimenti, i cui effetti, secondo il Governatore della Banca d'Italia, si auspica possano riflettersi favorevolmente sul funzionamento della pubblica amministrazione, migliorando l'operare dei mercati e della concorrenza, è dettata dalla mancata attuazione delle norme approvate, se si considera che alla fine del 2013 soltanto la metà dei provvedimenti previsti dalle riforme avviate tra novembre 2011 e aprile 2013, era stata definita, come rilevato dall'analisi rating del quotidiano «Il Sole 24 Ore» e richiamata dal Governatore;
   a giudizio dell'interrogante, i rinvii dell'adozione dei decreti attuativi, con particolare riferimento ad esempio alla legge per la delega fiscale, rischiano di compromettere ulteriormente la competitività e la crescita del sistema-Paese, i cui livelli già scarsi da anni, se affiancati all'elevata tassazione nei riguardi delle famiglie e delle imprese, rischiano di rinviare ulteriormente l'auspicata ripresa economica –:
   quali siano le motivazioni dei ritardi nell'attuazione dei decreti attuativi relativamente ai provvedimenti di riforma approvati in via definitiva dal Parlamento dal novembre 2011 all'aprile 2013 all'aprile 2013 e quali iniziative urgenti e necessarie intendano intraprendere, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di accelerare l'emanazione di tali decreti. (4-05004)


   NASTRI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto pubblicato dal quotidiano «Il Sole 24 Ore» il 30 maggio 2014, sarebbe in corso la stesura del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che contiene la proroga dei termini per il versamento di quanto dovuto attraverso il modello previsto della dichiarazione dei redditi, Unico 2014, per coloro che devono compilare gli studi di settore;
   la prospettiva dell'attesa per conoscere la conferma della proroga non tranquillizza gli operatori economici, ed in particolare le imprese, i professionisti e gli studi di assistenza fiscale, che nei giorni scorsi avevano chiesto più tempo per i versamenti, sia a causa del ritardo con cui i software applicativi saranno consegnati ai professionisti e alle imprese (il rilascio definitivo di Gerico è avvenuto soltanto da pochi giorni), sia in ragione dell'accavallarsi di scadenze non semplici, come quella della Tasi, il cui pagamento è peraltro oggetto di notevoli difficoltà applicative;
   nel caso venisse accolta la richiesta della proroga suindicata di cui all'articolo del quotidiano economico suddetto, il termine stabilito al prossimo 16 giugno potrebbe slittare, nel caso si replicasse la soluzione già trovata lo scorso anno, di circa 20 giorni, ovvero al prossimo 7 luglio;
   l'interrogante evidenzia come nel 2013 il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di proroga, avente la data del 13 giugno, venne pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, n. 139 del 15 giugno, esattamente il giorno prima del termine dell'adempimento e pertanto nel caso il Ministro interrogato, non confermasse in tempi rapidi la proroga della scadenza della dichiarazione dei redditi di UNICO 2014, tale attesa come peraltro già suindicato, contribuirà in modo negativo ad alimentare incertezze e confusione nei riguardi degli studi di assistenza fiscale e degli stessi operatori economici;
   nel caso fosse confermata la proroga anche per quest'anno, per colui che decide di pagare dall'8 luglio al 6 di agosto scatterebbe la penalità ridotta dello 0,4 per cento, termine che peraltro potrebbe subire un ulteriore differimento al 20 agosto in ragione della consueta proroga di ferragosto che fa slittare a tale data tutti i versamenti tributari in scadenza dal 1o al 20 agosto;
   occorre sottolineare, tuttavia, che la proroga riguarderebbe soltanto il versamento e non la materiale presentazione della dichiarazione, in considerazione del fatto che, per colui che decide di presentare il modello UNICO su carta, il termine resta fissato al 30 giugno; per chi decide di sfruttare invece la possibilità dell'invio telematico, la scadenza resta fissata al prossimo 30 settembre –:
   se il Governo intenda confermare quanto pubblicato dal quotidiano «Il Sole 24 Ore» secondo cui il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, che sarà prossimamente emanato, conterrà la proroga dei termini per il versamento di quanto dovuto attraverso UNICO 2014, per coloro che devono compilare gli studi di settore e, in caso affermativo, stanti le scadenze relative agli adempimenti fiscali che impongono tempi ristretti, se non ritenga di provvedere all'emanazione del suddetto decreto in tempi rapidi.
(4-05005)


   NICCHI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con la legge 31 dicembre 1998, n. 476, il nostro Paese ha ratificato la Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, e modificato la legge 4 maggio 1983, n. 184, in tema di adozione di minori stranieri;
   la legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005), ha istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, il «Fondo per il sostegno delle adozioni internazionali», finalizzato al rimborso delle spese sostenute dai genitori adottivi per l'espletamento della procedura di adozione;
   ai genitori adottivi residenti sul territorio nazionale, che abbiano adottato uno o più minori stranieri per i quali sia stato autorizzato l'ingresso e la residenza permanente in Italia viene concesso, entro un certo limite di reddito, il rimborso parziale delle spese sostenute per adozione;
   i suddetti genitori, nell'anno successivo a quello nel quale si è concluso il percorso adottivo, devono certificare le spese sostenute alla Commissione per le adozioni internazionali, al fine di ottenere il rimborso di parte delle medesime spese;
   attualmente le famiglie che hanno adottato dal 2011 in poi, non hanno ricevuto ancora quanto dovuto, e la Commissione per le adozioni internazionali (CAI), sta ancora istruendo le pratiche di rimborso presentate;
   sarebbe importantissimo per le tantissime famiglie interessate riuscire ad ottenere i rimborsi previsti in tempi più rapidi, soprattutto in un periodo di crisi quale quello attuale, considerando anche che il costo di un'adozione internazionale supera facilmente i 20/30 mila euro tra spese per l’iter e quelle di viaggio e che spesso si è costretti, per coprirle, a chiedere prestiti in banca o a familiari. Non a caso il fenomeno delle adozioni internazionali si è notevolmente ridimensionato negli ultimi anni;
   a ciò si aggiunga la mancanza di trasparenza e di chiare informazioni da parte della Commissione per le adozioni internazionali, nei confronti delle famiglie adottive circa lo stato di istruzione delle proprie pratiche e sui tempi previsti di rimborso –:
   quale sia lo stato attuale dei rimborsi delle spese sostenute per le adozioni internazionali;
   se non intenda attivarsi al fine di accelerare e rendere certi i tempi di rimborso, attualmente troppo lunghi e spesso insostenibili per molte famiglie che devono anticipare le spese per l'espletamento delle procedure di adozione;
   se non si reputi necessario garantire adeguate modalità di trasparenza e opportune e costanti informazioni nei confronti delle famiglie in attesa dei suddetti rimborsi;
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative per incrementare le risorse attualmente assegnate al «Fondo per il sostegno delle adozioni internazionali».
(4-05007)

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

III Commissione:


   AMENDOLA, MANCIULLI, PORTA, CASSANO, MONACO, QUARTAPELLE PROCOPIO e TIDEI. —Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   ha giurato di fronte al presidente Abu Mazen nella Muqata di Ramallah il nuovo Esecutivo di unità nazionale palestinese, presieduto da Rami Hamdallah che nasce a seguito della riconciliazione tra Hamas, che governa la Striscia di Gaza formalmente dal 2007, e al-Fatah, il movimento palestinese più moderato che controlla la Cisgiordania;
   il nuovo Governo palestinese è composto da 17 Ministri, tutti definite indipendenti con cinque di loro (tra cui quello della Giustizia) che vengono da Gaza, tre donne e Riad al-Maliki alla guida della diplomazia palestinese, nome eccellente sul quale si erano appuntati alcuni dissensi, poi superati, da parte di Hamas;
   il nuovo Esecutivo sembra mettere fine ad una storica divisione nel campo palestinese: Hamas, felicitandosi per l'evento, ha sottolineato che quello di Hamdallah «è il governo dell'intero popolo palestinese» e analogamente Abu Mazen nel suo discorso dopo il giuramento ha annunciato «la fine della divisione palestinese che ha grandemente danneggiato la nostra causa nazionale», ribadendo che il Governo ha il sostegno della comunità internazionale e che la nuova amministrazione si atterrà alle linee previste dal Quartetto (riconoscimento di Israele, rifiuto della violenza e mantenimento di tutti gli attuali accordi);
   secondo alcuni analisti la novità politica è anche dovuta alla necessità di entrambe le leadership palestinesi di uscire da una situazione di empasse dovuta alle nuove dinamiche sociopolitiche avviatesi nel mondo arabo;
   Hamas è in difficoltà per le divisioni che la pratica di Governo ha fatto sorgere all'interno dell'organizzazione, le forti resistenze che sta incontrando presso una buona parte dell'opinione pubblica di Gaza ma soprattutto per il venir meno di sostegni politici e finanziari da parte dell'Egitto, ritornato in mano a Governi fortemente avversi all'islamismo politico e che stanno conducendo una battaglia vera contro terroristi, in asse con i sauditi, e oppositori beduini, avviando la distruzione di gran parte dei tunnel utilizzati fino ad oggi per rompere l'isolamento della striscia di Gaza;
   Fatah subisce il nuovo scacco del processo di pace su cui aveva puntato e che ne aumenta debolezza e delegittimazione, constata la scarsa efficacia dell'iniziativa di Abbas all'Onu nonché la profonda crisi politica dell'Autorità palestinese anche per la difficoltà nell'individuare un successore dell'oramai anziano Abu Abbas;
   le reazioni internazionali a questa importante novità politica sono state diverse: l'amministrazione americana ha confermato che collaborerà con il nuovo Governo palestinese, notando che il presidente dell'Anp e leader di Fatah Abu Mazen ha formato un governo di (soli) tecnocrati che non include membri di Hamas, e lo giudicherà solo sulla base delle sue azioni calibrando su quelle il volume degli eventuali aiuti economici;  
   l'Unione europea appare sostanzialmente sulla stessa linea di Washington e l'ambasciatore dell'Unione europea negli Stati Uniti ha dichiarato che «l'Unione europea guarda con favore alla riconciliazione, nell'ottica di una soluzione duratura»;
   da Israele trapela, invece, una profonda delusione per la posizione dialogante di Washington; poco prima del giuramento del nuovo Governo il premier Benyamin Netanyahu ha condannato il fatto, esortando la comunità internazionale, e l'Unione europea in particolare, a prenderne le distanze e subito dopo ha convocato il consiglio di sicurezza del proprio Governo, mentre il Ministro nazionalista, Uri Ariel, del partito «Focolare ebraico», ha pubblicato un duro comunicato in cui accusa il presidente palestinese Abu Mazen di aver costituito «un governo terroristico assieme con assassini», ossia Hamas;
   come di consueto le novità politiche sono accompagnate da forti tensioni militari; a Gaza l'aviazione israeliana ha compiuto un raid notturno dopo che dalla Striscia erano stati sparati colpi di mortaio verso un villaggio israeliano sparati, secondo quanto riferisce la radio militare, da un'area siriana presidiata dalle forze di Bashar al-Assad e rafforzate da Hezbollah libanesi –:
   sulla base delle valutazioni svolte dal Governo italiano circa la formazione del nuovo Esecutivo di unità nazionale palestinese, quale azione politica e diplomatica il Ministro interrogato intenda svolgere in seno all'Unione Europea e autonomamente per far assumere all'Italia, in vista del semestre di presidenza europea e del rilancio di una politica mediterranea, un ruolo da protagonista nel nuovo contesto politico che va delineandosi nella regione mediorientale. (5-02925)


   GIANLUCA PINI e CAON. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   l'Expo universale che avrà luogo a Milano nel 2015 richiamerà un massiccio flusso di visitatori da ogni parte del mondo, che è interesse del nostro Paese di assecondare;
   si parla, in particolare, di ben 21 milioni di visitatori attesi, il 30 per cento dei quali rappresentato da stranieri ed è quindi prevedibile che aumenti, e in modo consistente, il numero delle domande di visto per potersi recare a visitare l'Expo;
   in un'audizione presso il Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione degli accordi di Schengen, l'8 aprile 2014 il Ministro interrogato ha rilevato come il nostro Paese abbia concesso nel 2013 2.125.490 visti, numero che potrebbe essere molto al di sotto delle domande da soddisfare nel 2015;
   il Governo ha recentemente inasprito la tassa sull'uso del passaporto, mentre nulla si sa delle intenzioni del Governo circa la tassa di concessione dei visti di ingresso nel nostro Paese –:
   se la rete consolare italiana si stia attrezzando per far fronte all'incremento di ingressi nel nostro Paese ed in che modo si conti di conciliare l'esigenza di garantire il successo dell'Expo 2015 con la necessità permanente di non favorire l'ingresso di migranti economici, eventualmente intervenendo sul costo della concessione dei visti di ingresso nel nostro Paese. (5-02926)


   SIBILIA, MANLIO DI STEFANO, GRANDE, SPADONI, SCAGLIUSI, DI BATTISTA e DEL GROSSO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   secondo un'autorevole fonte giornalistica (L'Espresso del 21 maggio 2014) il Governo intenderebbe riformare il trattamento economico degli appartenenti alla carriera diplomatica e dell'intero personale in servizio all'estero;
   sarebbe quindi stata già inviata ai sindacati del Ministero degli affari esteri una prima simulazione secondo la quale verrebbe aumentato lo stipendio metropolitano (l'indennità percepita in Italia), che è tassato, e dimezzato l'ISE (l'indennità di servizio all'estero) che non è tassata e non concorre al calcolo della pensione;
   peraltro, all'interno del rapporto Farnesina 2015, nel capitolo 2, sezione C) tra le raccomandazioni proposte figura «la riforma dell'indennità di sede all'estero attraverso una maggiore articolazione ed esplicitazione delle sue varie componenti» –:
   quali più puntuali precisazioni intenda fornire in ordine alle questioni evidenziate in premessa. (5-02927)


   SCOTTO e FAVA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il 24 maggio 2014, in Ucraina, è morto tragicamente il fotoreporter Andrea Rocchelli insieme all'interprete Andrey Mironov che lo accompagnava;
   secondo quanto riportato fonti locali i due sarebbero stati falciati dai colpi di mortaio, piovuti a grandine sulla strada nei pressi del villaggio di Andreyevka;
   l'auto crivellata di proiettili su cui viaggiavano Rocchelli e Mironov è stata fotografata dal reporter Andrey Krasnoschekov e riportata sul suo profilo Twitter. Secondo quanto riportato dal reporter, gli scatti indicano che con tutta probabilità gli occupanti sono scesi per ripararsi e poi sono arrivati i proiettili di mortaio. Krasnoschekov ha poi affermato che i colpi di mortaio hanno «decapitato l'interprete Mironov». Sul social network sono comparse anche le foto dei passaporti e dei telefoni che si trovavano su un prato accanto a un bossolo di artiglieria;
   in seguito all'accaduto le autorità di Kiev, attraverso il Ministro degli esteri, Andrii Deshchytsia, hanno annunciato che sarà aperta un'inchiesta sulla morte del fotoreporter assicurando che «tutti i colpevoli devono essere puniti»;
   la zona in cui sono morti Rocchelli e Mironov, è un'area controllata dai filo-russi. Ad ogni modo, nelle prime ore dall'accaduto, fonti locali hanno riferito che i due sarebbero stati uccisi da colpi dell'esercito ucraino;
   il Ministro interrogato, in seguito all'accaduto, aveva affermato di chiedere immediatamente alle autorità ucraine «che sia accertata rigorosamente la dinamica dell'attacco di cui è rimasto vittima Rocchelli»;
   a circa dieci giorni dall'accaduto ancora non sono chiare le dinamiche dell'omicidio, mentre continua il «bagno di sangue» nell'est dell'Ucraina, teatro da circa un mese e mezzo di combattimenti tra le truppe fedeli a Kiev e i separatisti filorussi –:
   quali aggiornamenti abbia il Ministro interrogato sul tragico accaduto e, in particolare, quali iniziative concrete intenda adottare affinché si faccia luce su un episodio ancora oscuro, ancorché tragico.
(5-02928)

AFFARI REGIONALI E AUTONOMIE

Interrogazione a risposta scritta:


   LOMBARDI. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 56 del 2014 lungi dall'abolire le province, ne ha solo trasformate dieci in città metropolitane, dando luogo a una lunga serie di incertezze normative;
   la prima di queste riguarda il trattamento economico del personale delle province e delle città metropolitane;
   al riguardo, l'articolo 1, comma 48, dispone che: «Al personale delle città metropolitane si applicano le disposizioni vigenti per il personale delle province; il personale trasferito dalle province mantiene, fino al prossimo contratto, il trattamento economico in godimento»;
   successivamente, l'articolo 1 comma 96, con riferimento al trattamento economico del personale delle province trasferito ad altri enti locali a seguito del riordino delle funzioni non fondamentali delle province, statuisce che: «Nei trasferimenti delle funzioni oggetto del riordino si applicano le seguenti disposizioni: il personale trasferito mantiene la posizione giuridica ed economica, con riferimento alle voci del trattamento economico fondamentale ed accessorio, in godimento all'atto di trasferimento, nonché l'anzianità di servizio maturata; le corrispondenti risorse sono trasferite all'ente destinatario; in particolare, quelle destinate a finanziare le voci fisse e variabili del trattamento accessorio, nonché la progressione economica orizzontale, secondo quanto previsto dalle disposizioni contrattuali vigenti, vanno a costituire specifici fondi, destinati esclusivamente al personale trasferito, nell'ambito dei più generali fondi delle risorse decentrate del personale delle categorie e dirigenziale»;
   pertanto, la scelta del legislatore è stata quella di distinguere la situazione dei dipendenti delle istituende città metropolitane da quella dei dipendenti provinciali che saranno trasferiti ad altri enti; per quanto riguarda i dipendenti delle future città metropolitane, appare preoccupante il solo riferimento al mantenimento del «trattamento economico in godimento», senza precisazione di quello fondamentale o di quello accessorio, come avviene invece nel caso dei dipendenti delle province assorbiti da altri enti;
   l'interpretazione che si ricava dalle due disposizioni è che i dipendenti delle future città metropolitane, al momento del passaggio nel nuovo ente, avranno meno garanzie dei dipendenti delle province che in base al riordino verranno collocati in altri enti;
   la legge n. 56 ha creato confusione anche sulle funzioni provinciali e del personale;
   infatti, l'articolo 1, comma 91, stabilisce che entro l'8 luglio 2014, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, lo Stato e le regioni individuano in modo puntuale, mediante accordo sancito nella Conferenza unificata, le funzioni attribuite dallo Stato e dalle regioni oggetto del riordino e le relative competenze;
   il comma successivo prevede poi che entro l'8 luglio con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sono stabiliti, previa intesa in sede di Conferenza unificata, i criteri generali per l'individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connesse all'esercizio delle funzioni che devono essere trasferite, ai sensi dei commi da 85 a 97, dalle province agli enti subentranti;
   le due disposizioni disciplinano la procedura inerente al riordino delle funzioni delle province, che verranno attribuite dallo Stato e dalle regioni;
   ora, atteso che le funzioni delle città metropolitane sono quelle fondamentali delle province, quelle proprie e quelle oggetto di riordino, sarebbe opportuno che nel momento di adozione dei criteri per il trasferimento del personale, si tenesse conto del novero più ampio di funzioni delle città metropolitane rispetto a quello delle province;
   inoltre, la legge sul riordino degli enti locali prevede una serie di scadenze ravvicinate – ad esempio per la realizzazione degli statuti metropolitani, per le elezioni dei consigli metropolitani e per l'individuazione delle risorse umane e finanziare delle città metropolitane – in ordine alle quali paiono esserci forti ritardi nell'attuazione delle relative disposizioni legislative;
   in proposito, si segnala che la pagina del sito del Ministero per gli affari regionali e le autonomie dedicata all'attuazione della legge Delrio annuncia l'attivazione di una sezione FAQ per fornire una base informativa chiara e univoca ai soggetti interessati, che però ad oggi non è ancora stata realizzata;
   infine, l'articolo 1, comma 14, attribuisce alla giunta provinciale in carica e al presidente – fino al 31 dicembre 2014 – compiti di sola «gestione provvisoria» e, a norma dell'articolo 163, comma 2, del TUEL, le spese possibili sono quelle limitate alle sole operazioni necessarie per evitare danni patrimoniali certi e gravi all'ente e in particolare:
    assolvimento di obbligazioni già assunte;
    obbligazioni derivanti da provvedimenti giurisdizionali esecutivi;
    obblighi speciali tassativamente regolati dalla legge;
    pagamento di spese di personale;
    pagamento di residui passivi;
    pagamento di rate di mutui;
    pagamento di canoni, imposte e tasse –:
   se il trattamento economico garantito al personale delle città metropolitane comprenda sia quello fondamentale che quello accessorio;
   se nell'adozione dei criteri per il trasferimento del personale dalla provincia alla città metropolitana, si intenda tener conto del novero più ampio di funzioni delle città metropolitane rispetto a quello delle province;
   se si intendano assumere iniziative per prorogare i termini previsti dalla legge per l'adempimento degli obblighi posti in capo ai nascenti organi delle città metropolitane;
   se non si ritenga più opportuno consentire che nel periodo di transizione dall'attuale alla nuova disciplina almeno le province trasformate in città metropolitane assolvano alle funzioni inerenti all'edilizia scolastica e alla viabilità, al fine di investire su scuole e strade per continuare ad offrire servizi necessari ai cittadini. (4-05002)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


   MATTIELLO e GIUSEPPE GUERINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il progetto – in fase di approvazione – presentato alla provincia di Bergamo dalla Quarzifera Bergamasca spa, proprietaria del terreno, prevede il recupero ambientale di una ex cava – situata nel Monte Castra nei comuni di Strozza e Almenno San Salvatore – con l'utilizzo di rifiuti speciali non pericolosi;
   nel progetto della società si stima che per riportare allo stato originario la montagna sono necessari un milione e 600 mila metri cubi di rifiuti;
   sono molte le tipologie di rifiuti speciali che potrebbero essere riciclati in questa zona, tra i quali terreni contaminati di altri siti;
   la zona interessata si sviluppa al di sopra dei centri abitati della Valle Imagna e nei paraggi del torrente Imagna;
   la zona è stata interessata, nel recente passato, da frane e il contesto idrogeologico potrebbe non garantire la sicurezza dal punto di vista ambientale;
   lo stesso progetto ammette implicitamente che la zona non si presta per l'aspetto morfologico alla realizzazione di una discarica, tanto da prevedere un muro di contenimento di 150 metri. La discarica verrebbe realizzata in un contesto nel quale, per ammissione della stessa impresa richiedente, è presente fauna rara tutelata dalle direttive comunitarie e dalle convenzioni internazionali;
   nel tempo un comitato spontaneo di cittadini della Valle ha raccolto 8000 firme per interrompere il progetto e tutti i comuni della zona hanno approvato ordini del giorno per evitare l'insediamento della discarica –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e se eventualmente non rilevi, per quanto di competenza, rischi per la fauna protetta dalla normativa europea.
(4-05008)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PIRAS. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il genio militare di Siliqua (comune della provincia di Cagliari) occupa un'area di circa 16.500 metri quadri, ubicata nel pieno del centro abitato e ospita costruzioni coperte per un totale di 300 metri quadri;  
   un tempo adibito a deposito di materiali e attrezzature, giace inutilizzato da anni. Nonostante ciò le abitazioni civili confinanti (che coprono tre lati del perimetro) sono tuttora costrette a mantenere, all'interno della loro proprietà, zone di rispetto palesemente obsolete;
   l'area è attualmente accessibile da un cancello laterale danneggiato, fatto che rende vane le segnalazioni di divieto d'accesso collocate in tutti gli ingressi;
   il genio militare di Siliqua è, quindi, abbandonato da anni, lasciato in balia delle intemperie e dei vandali che hanno fatto razzia di quanto possa avere un pur minimo valore;
   lo spazio, restituito al paese, trattandosi di un'area verde contenuta nel centro abitato, presenterebbe un notevole potenziale per lo svolgimento di attività sociali, culturali, ambientali e di volontariato;
   recentemente si è costituito un comitato spontaneo di cittadini denominato «Liberiamo il genio» che rivendica al Ministero della difesa la pronta smilitarizzazione del sito, in maniera tale da porre la regione autonoma della Sardegna nelle condizioni di richiedere l'acquisizione al demanio regionale dell'area, in base a quanto disposto dall'articolo 14 dello Statuto regionale e al comune di Siliqua di attivarsi per il trasferimento del bene, una volta dismesso, per pubbliche finalità;
   l'articolo 14, comma primo, dello Statuto d'Autonomia recita «La Regione [...] succede nei beni e diritti patrimoniali dello Stato di natura immobiliare e in quelli demaniali» è di ogni evidenza come la possibilità per la regione di esercitare il proprio diritto alla successione sia subordinata alla cessazione delle ragioni istitutive della proprietà statale;
   nel caso specifico perciò appare necessario un atto di «smilitarizzazione» dell'area in questione –:
   se il Ministro interrogato abbia intenzione di procedere alla smilitarizzazione del genio militare di Siliqua, al fine di consentire alla regione autonoma della Sardegna di acquisire l'area al proprio demanio. (5-02919)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   SOTTANELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 34 (regime speciale per i produttori agricoli), comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto), i produttori agricoli che nell'anno solare precedente hanno realizzato o, in caso di inizio di attività, prevedono di realizzare un volume d'affari non superiore a 7.000 euro, costituito per almeno due terzi da cessioni di prodotti agricoli e ittici, sono esonerati dal versamento dell'Iva e da tutti gli obblighi documentali e contabili, compresa la dichiarazione annuale, fermo restando l'obbligo di numerare e conservare le fatture e le bollette doganali: tali disposizioni cessano comunque di avere applicazione a partire dall'anno solare successivo a quello in cui è stato superato il limite di 7.000 euro a condizione che non sia superato il limite di un terzo delle cessioni di altri beni;
   l'articolo 36, comma 8-bis, del decreto-legge n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012, dispone che, al fine di rendere più efficienti le attività di controllo relative alla rintracciabilità dei prodotti agricoli e alimentari ai sensi dell'articolo 18 del regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2002, sulla sicurezza alimentare, i produttori agricoli di cui all'articolo 34, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, esonerati dalla dichiarazione Iva, sono invece tenuti alla comunicazione annuale delle operazioni rilevanti ai fini dell'imposta sul valore aggiunto di cui all'articolo 21 del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010 (cosiddetto «speso metro»);
   nel corso dell'esame del disegno di legge di stabilità per il 2014 era stata soppressa presso la Commissione bilancio della Camera la norma (inizialmente inserita nel testo approvato dal Senato) che conteneva l'abrogazione del citato comma 8-bis dell'articolo 36 del decreto-legge n. 179 del 2012;
   l'abrogazione di questo comma rappresentava una mera ed utile semplificazione che sarebbe stata accolta positivamente dal mondo agricolo;  
   infatti, l'obbligo di comunicazione all'amministrazione finanziaria, da parte dei produttori agricoli esonerati dalla dichiarazione Iva, delle operazioni rilevanti a fini Iva costituisce un ulteriore onere burocratico per tali contribuenti, senza alcun vantaggio diretto, né per l'imprenditore né per il consumatore; peraltro, le disposizioni di cui al comma 8-bis dell'articolo 36 del decreto-legge n. 179 del 2012 di fatto annullano le esenzioni di cui all'articolo 34, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972;
   con riferimento all'eliminazione di tale obbligo comunicativo, l'Agenzia delle entrate già in passato si era espressa in maniera favorevole, in considerazione delle esigenze legate a motivi di semplificazione, nonostante ritenesse anche che tale soppressione potrebbe collidere con le esigenze connesse alla tracciabilità dei prodotti agricoli e alimentari, finalizzata alla prevenzione delle frodi nel settore agro-alimentare;
   sebbene l'imposizione di tale adempimento risponderebbe all'esigenza di garantire questa tracciabilità, va sottolineato come le transazioni di importo inferiore ad una certa soglia siano comunque escluse dalla comunicazione e come pertanto il predetto obbligo non sia in grado di assicurare la tracciabilità di tutti i prodotti;
   i contribuenti «minimi» (commercianti, artigiani, professionisti) con volume d'affari inferiore a 30.000 euro sono esonerati dall'obbligo dello spesometro, mentre per assurdo gli agricoltori con volume di affari inferiore a 7.000 euro ne sono obbligati –:
   se, ai fini dell'esigenza di semplificazione degli adempimenti, non ritenga opportuno assumere iniziative volte ad abrogare al più presto la norma contenuta nel comma 8-bis dell'articolo 36 del decreto-legge n. 179 del 2012, eliminando questo obbligo di comunicazione a fini Iva (il cosiddetto «spesometro») che rappresenta solo un ulteriore onere burocratico per i produttori agricoli cui si applica il regime Iva semplificato. (5-02921)


   PESCO, ALBERTI, VILLAROSA, CANCELLERI, RUOCCO, PISANO e BARBANTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel corso degli ultimi anni l'Agenzia delle entrate ha subito un processo di riorganizzazione finalizzato al miglioramento dell'azione nella lotta all'evasione; da ultimo, l'accorpamento all'Agenzia delle entrate dell'Agenzia del territorio disposto con il decreto legge n. 95 del 2012;
   in particolare, si è cercato di ottimizzare i controlli fiscali sia attraverso una redistribuzione dei ruoli e delle funzioni all'interno degli uffici dell'Ade (suddivisi in «Ufficio controlli», «Ufficio Territoriale» e «Ufficio Legale») sia mediante la differenziazione dell'attività di accertamento in base al tipo di contribuente, distinguendo a tal fine diverse macro tipologie di contribuenti (grandi contribuenti, medie e piccole imprese, lavoratori autonomi, enti non commerciali, persone fisiche);
   per la categoria dei «grandi contribuenti» (contribuenti con volume d'affari, ricavi o compensi superiori, per ciascun periodo d'imposta considerato, a cento milioni di euro), è stata creata una specifica struttura organizzativa, interna all'Agenzia delle Entrate ed articolata in unità centrali (il cosiddetto «Settore Grandi Contribuenti» istituito presso la direzione centrale accertamento e suddiviso in ufficio analisi, ufficio governo e ufficio controlli), ed unità regionali: queste ultime sono istituite presso le varie direzioni regionali e provinciali ubicate su tutto il territorio nazionale e sono competenti per le attività di liquidazione e di controllo, formale e sostanziale, nonché per il cosiddetto «tutoraggio», ovvero un'attività di monitoraggio dei comportamenti posti in essere dai grandi contribuenti al fine di calcolarne il rischio di evasione;
   i grandi contribuenti costituiscono una parte significativa dell'intera economia nazionale: dai dati offerti dall'Agenzia delle entrate relativi all'anno 2012, infatti, emerge che dell'ammontare complessivo delle somme riscosse a seguito di attività di accertamento e di controllo formale (pari a 5.345 milioni di euro), 1.749 milioni di euro derivano da versamenti eseguiti da grandi contribuenti (pari al 33 per cento dell'ammontare complessivo), cui seguono: le persone fisiche (24 per cento con 1.298 milioni di euro), le imprese di piccole dimensioni e i lavoratori autonomi (21 per cento con 1.134 milioni di euro), le imprese di medie dimensioni (14 per cento con 748 milioni di euro) e l'imposta di registro (8 per cento con 416 milioni di euro);
   in proporzione al numero di accertamenti eseguiti nei confronti di grandi contribuenti, le maggiori imposte accertate sembrerebbero di gran lunga superiori rispetto a quelle derivanti da accertamenti condotti sulle altre categorie di contribuenti: con soli 3.011 accertamenti condotti su grandi contribuenti, infatti, l'Agenzia ha accertato maggiori imposte per 4.987 milioni di euro; viceversa, per l'accertamento delle maggiori imposte di 13.424 milioni di euro (nei confronti di imprese di piccole dimensioni e lavoratori autonomi) è stato necessario eseguire ben 176.540 controlli;
   l'intensificazione dei controlli sui grandi contribuenti potrebbe garantire allo Stato un maggior gettito annuale;
   l'atto di indirizzo per il conseguimento degli obiettivi di politica fiscale per gli anni 2013-2015, firmato in data 24 aprile 2013 dal Ministro dell'economia e delle finanze pro tempore, ha individuato tra le priorità politiche il rafforzamento della lotta all'evasione e all'elusione fiscale;
   come chiarito con la circolare dell'Agenzia delle entrate – direzione centrale accertamento, n. 25/E del 31 luglio 2013, le attività di controllo e verifica della categoria dei «Grandi contribuenti» «mireranno a proseguire nell'approccio sinora adottato, che ha consentito il raggiungimento e il consolidamento di risultati importanti sotto il profilo non soltanto dell'azione di contrasto all'evasione e all'elusione fiscale, ma anche dell'innalzamento del livello di adempimento spontaneo da parte dei contribuenti»;
   l'Agenzia delle entrate fissa annualmente un determinato obiettivo di produzione in merito all'ammontare di entrate da riscuotere: al raggiungimento del budget fissato concorrono indistintamente tutte le entrate riscosse a seguito dei controlli previsti per le diverse categorie di contribuenti; il che di fatto potrebbe disincentivare i controlli verso l'una o l'altra categoria di contribuenti una volta raggiunto l'obiettivo programmato –:
   quali iniziative, anche normative, abbia adottato o intenda intraprendere il Governo per il miglioramento e l'intensificazione delle attività di controllo formale e sostanziale dei cosiddetti grandi contribuenti e se ritenga opportuno assumere iniziative per prevedere obiettivi di produzione distinti per ciascuna categoria di contribuenti. (5-02922)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il comma 148 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità per il 2014) disciplina l'imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, dell'IRAP e di eventuali addizionali, sui maggiori valori, iscritti in bilancio, delle quote di partecipazione delle banche e degli enti finanziari al capitale della Banca d'Italia, assoggettandoli ad un'imposta sostitutiva;
   la legge n. 5 del 29 gennaio 2014 ha innalzato il valore nominale delle quote di partecipazione al capitale sociale della Banca d'Italia elevandolo da 156.000 a 7,5 miliardi di euro, il 5,66 per cento del quale è detenuto da due enti pubblici come Inps e Inail, che in quanto soggetti destinatari della nuova normativa sulla rivalutazione dovranno affrontare, come gli altri istituti di credito, anche il costo, in termini fiscali, dell'operazione –:
   a fronte di quali disponibilità finanziarie ritenga che i due suddetti istituti pubblici di previdenza, Inps e Inail, possano fronteggiare la nuova imposizione fiscale. (5-02923)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta immediata:


   PALESE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 29 maggio 2014 le sezioni unite penali della Corte di cassazione, presiedute dal primo presidente Giorgio Santacroce, accogliendo un ricorso della procura di Napoli contro la decisione del tribunale, che aveva negato ad un condannato recidivo per piccolo spaccio di ottenere il ricalcolo della pena a seguito della sentenza della Corte costituzionale che nel 2012 aveva dichiarato incostituzionale la norma della «legge Fini-Giovanardi» che vietava la concessione delle circostanze attenuanti prevalenti nel caso di recidivi, si sono pronunciate su una questione più generale rispetto alle norme in materia di stupefacenti ovvero «se la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma penale diversa dalla norma incriminatrice, ma che incide sul trattamento sanzionatorio, comporti una rideterminazione della pena in sede di esecuzione, vincendo la preclusione del giudicato»;
   la Corte di cassazione ha fornito una soluzione «affermativa», disponendo che l'illegittimità costituzionale di una norma «travolge» anche le condanne già divenute definitive, disponendo conseguentemente che vanno rideterminate al ribasso le condanne definitive per spaccio di droghe leggere, inflitte nel periodo in cui era in vigore la «legge Fini-Giovanardi», dichiarata incostituzionale a febbraio 2014;
   i condannati definitivi con recidiva per piccolo spaccio potranno ottenere in tal modo il ricalcolo della pena per l'incostituzionalità della norma, che vietava loro la concessione delle circostanze attenuanti, ed inoltre il giudice dell'esecuzione incaricato del ricalcolo dovrà tenere presente dell'abolizione della «legge Fini-Giovanardi» nella parte che non distingueva tra droghe leggere e pesanti con effetti di aggravio di pena anche per le ipotesi lievi;
   la sentenza della Corte di cassazione potrebbe avere notevoli ripercussioni anche sul numero di detenuti che stanno scontando una condanna per spaccio di droghe leggere, riaffrontando un tema già affrontato riguardante processi ancora in corso ad imputati per spaccio di droghe leggere per i quali è stato applicato il principio del favor rei, tornando ad applicare la «legge Iervolino-Vassalli»;
   si deve, tuttavia, tener presente che la decisione della Corte di cassazione permetterà a migliaia di detenuti condannati per piccolo spaccio di uscire dal carcere, qualora venisse accolta la loro richiesta di revisione del trattamento sanzionatorio, aumentando, inoltre, di molto il lavoro dei magistrati dell'esecuzione della pena, che nella maggior parte dei casi sono i tribunali e in misura minore le corti d'appello;
   del verdetto della Corte di cassazione «non si possono avvantaggiare i detenuti condannati in via definitiva per spaccio di droghe pesanti commesso con l'associazione a delinquere», ma solo i novemila per spaccio di lieve entità che potranno chiedere il ricalcolo della pena ai giudici dell'esecuzione;
   l'amministrazione penitenziaria sta già provvedendo ad effettuare un calcolo più dettagliato, pur trattandosi di un'operazione complessa, a fronte di un numero di persone detenute per spaccio e detenzione di droga pari a 14 mila, per la sola violazione dell'articolo 73 del testo unico sulle droghe, cifra che sale a 21 mila se si considera il complesso dei reati legati agli stupefacenti;
   Giuseppe Maria Berruti, direttore del massimario della Corte di cassazione, sul verdetto che riduce le condanne per spaccio leggero ha dichiarato che «la decisione della Cassazione mette l'Italia al passo con la giurisprudenza di Strasburgo e, insieme alle due sentenze della Consulta, ci mettono più in regola con la Carta di diritti dell'uomo» e che si tratta di «una decisione molto avanzata, politica nel senso che aiuta il Governo della nostra comunità e non un governo in senso stretto», non nascondendo gli effetti positivi «che questa decisione avrà rispetto all’ultimatum dell'Europa all'Italia per il sovraffollamento carcerario»;
   il tema, che le sezioni unite hanno affrontato, attiene al quesito se tutti coloro che siano condannati con sentenza passata in giudicato, in forza dell'applicazione delle norme abrogate, possano ottenere la rimodulazione e riquantificazione della pena patita;
   a seguito della declaratoria di incostituzionalità delle modifiche operate con gli articoli 4-bis e 4-viciester, che riverberavano diretto effetto sul trattamento sanzionatorio previsto dall'articolo 73 (e che unificavano le pene, quale concreta conseguenza dell'unificazione delle tabelle di cui agli articoli 13 e 14), molti commentatori ed anche parte della giurisprudenza avevano, infatti, ritenuto possibile il ricorso all'istituto dell'articolo 673 del codice di procedura penale, quale strumento processuale per provocare la rimodulazione della pena inflitta e passata in giudicato. Tale norma prevede, infatti, l'attivazione dell'incidente di esecuzione, nella specifica ipotesi di abolizione del reato. Di contro, invece, la tesi opposta escludeva che si potesse ottenere la revoca della sentenza di condanna, al di fuori di ipotesi di declaratoria di incostituzionalità che si riferisse e colpisse integralmente la norma incriminatrice, vale a dire al precetto violato (citando esemplificativamente l'oltraggio di cui all'articolo 341 del codice penale, che era stato del tutto abrogato prima della sua reintroduzione);
   le sezioni unite della Corte di cassazione, fornendo una soluzione affermativa al problema sollevato, paiono ribadire un'interpretazione estensiva dell'articolo 136 della Costituzione e della legge n. 87 del 1953, articolo 30, commi 3 e 4, sulla scia della tesi propugnata da Cass. Sez. 1, n. 977 del 27 ottobre 2011 (dep. 13 gennaio 2012, P.M. in proc. Hauohu, Rv. 252062) che ebbe a riferirsi all'applicabilità della circostanza aggravante della clandestinità, dichiarata incostituzionale;
   in quell'occasione, la Corte di cassazione affermò che il combinato disposto dalla norme sopra richiamate non consente «l'esecuzione della porzione di pena inflitta dal giudice della cognizione in conseguenza dell'applicazione di una circostanza aggravante che sia stata successivamente dichiarata costituzionalmente illegittima. Sicché spetta al giudice dell'esecuzione il compito di individuare la porzione di pena corrispondente e di dichiararla non eseguibile, previa sua determinazione ove la sentenza del giudice della cognizione abbia omesso di individuarla specificamente, ovvero abbia proceduto al bilanciamento tra circostanze»;
   significa che una persona che sia stata condannata in virtù di una pena che sia stata definita successivamente – in via diretta od in via indiretta – illegale, come nel caso di specie, ha diritto a rimettere in discussione anche una sentenza divenuta definitiva. Il giudicato non è, quindi, più un dogma assoluto di intangibilità, a fronte di una pronunzia di incostituzionalità che non colpisca direttamente la norma, ma si riferisca solo ad una parte – seppure essenziale – quale è la pena;
   la decisione della Corte di cassazione determina, quindi, la possibilità di chiedere la revoca della sentenza passata in giudicato – attraverso l'attivazione del rimedio processuale previsto dall'articolo 673 del codice di procedura penale – anche nelle ipotesi in cui, attinte dalla declaratoria di incostituzionalità, siano le norme penali incidenti sul trattamento sanzionatorio;
   dunque, pare di potere ricavare il principio per cui l'intervento delle sezioni unite riconosca la facoltà di richiedere la rimodulazione della sanzione inflitta sulla base di una pena, dichiarata illegale (come avvenuto per la «legge Fini-Giovanardi»), basandosi su di una lettura corretta della legge n. 87 del 1953, articolo 30, commi 3 e 4, la quale presenta una previsione più ampia dell'articolo 673 del codice di procedura penale e che rimane lo strumento processuale per riproporre la questione al giudice dell'esecuzione;
   la decisione della Corte di cassazione, oltre a rompere col consolidato indirizzo conservativo, reiterato nel tempo, fa vacillare il dogma dell'intangibilità del giudicato, togliendo certezza all'applicazione delle decisioni dei magistrati e privando in tal modo il cittadino della sicurezza in ordine all'applicazione del diritto e delle conseguenti garanzie per la propria incolumità –:
   come il Ministro interrogato intenda intervenire, per quanto di competenza, a fronte della problematica segnalata in premessa. (3-00852)


   MOLTENI, GIANCARLO GIORGETTI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014 ha dichiarato l'incostituzionalità della cosiddetta legge Fini-Giovanardi in materia di stupefacenti, determinando un vuoto normativo. Occorre rimarcare che tale sentenza è basata sull'accertamento di un vizio meramente procedurale della citata legge, non entrando, quindi, nel merito della stessa. Tale assunto, oltre a desumerlo dalle motivazioni della citata sentenza, è riportato chiaramente nella premessa al decreto-legge n. 36 del 2014, ove si legge che «la pronuncia di incostituzionalità è fondata sul ravvisato vizio procedurale dovuto all'assenza dell'omogeneità e del necessario legame logico-giuridico tra le originarie disposizioni del decreto-legge (...) e quelle introdotte dalla legge di conversione (...) e non già sulla illegittimità sostanziale delle norme oggetto della pronuncia»;
   con il decreto-legge 20 marzo 2014, n. 36, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 maggio 2014, n. 79, si è attuato l'ennesimo provvedimento di norme tese a provocare a parere degli interroganti dei gravi danni irreparabili – ed essendo questo l'ennesimo decreto che affronta il tema della sicurezza dei cittadini e della repressione dei reati – al «sistema giustizia», inteso nella sua complessità, in primis ai cittadini e in secondo poi a tutte le forze di polizia che ogni giorno garantiscono la sicurezza, e questo proprio attraverso l'introduzione di norme che hanno «depenalizzato» il reato di spaccio di sostanze stupefacenti, che passa da un reato che era considerato grave – fino a sei anni di reclusione, poi, attraverso l'ultimo provvedimento dell'allora Ministro della giustizia Severino diminuita la pena nel massimo a cinque anni di reclusione (e ciò al fine di evitare l'applicazione delle misure cautelari in carcere) – ed ora, attraverso un emendamento del Governo, approvato dalla legge di conversione del decreto-legge in parola, la riduzione della pena massima a quattro anni di reclusione e, quindi, l'applicazione, a detto reato, del «nuovo» istituto appena «coniato» della messa alla prova. In questo modo la maggioranza attua la definitiva depenalizzazione del reato di spaccio di sostanze stupefacenti, di fatto, legalizzandone l'uso e il consumo, siano esse pesanti che leggere;
   il problema del sovraffollamento delle carceri italiane è stato in passato risolto con amnistie e indulti, ma tali strumenti si sono rivelati del tutto inidonei a risolvere il problema, tanto che gli istituti penitenziari sono tornati in breve tempo nella situazione precedente, salvo nel contempo aver causato rilevanti problemi alla sicurezza dei cittadini e alla loro incolumità pubblica;
   dal 1942 a oggi sono stati varati tra indulti e amnistie 25 provvedimenti (circa uno ogni 2,8 anni) e l'ultimo in ordine di tempo, che risale al 2006 (legge n. 241 del 2006), ha avuto effetti devastanti: dopo solo sei mesi dal provvedimento di clemenza il tasso di crescita dei delitti è aumentato dal 2,5 per cento al 14,4 per cento;
   la legge n. 199 del 2010, benché prevedesse la possibilità di scontare in stato di detenzione domiciliare l'ultimo anno di pena residua, con esclusione di soggetti che scontavano una pena per i reati gravi, quali quelli previsti dall'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario, e persone particolarmente pericolose, aveva una durata transitoria con validità «fino alla completa attuazione del piano straordinario penitenziario», nonché l'adeguamento dell'organico del Corpo di polizia penitenziaria occorrente per fronteggiare la situazione emergenziale in atto;
   parimenti inefficaci, e comunque sempre nel solco della minor tutela per il cittadino, i provvedimenti, in particolare dei precedenti Governi, che hanno previsto, nei casi di arresto in flagranza, per diversi reati, molti di grave allarme sociale, che l'imputato prima di essere giudicato, o condotto dinanzi al giudice per la convalida dell'arresto o per la celebrazione del processo per direttissima, è prioritariamente assegnato agli arresti in un luogo diverso dal carcere (propria abitazione ed altro);
   il decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 211, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 9 del 2012, recante «Interventi urgenti per il contrasto della tensione detentiva determinata dal sovraffollamento delle carceri», ha stabilizzato l'innalzamento da dodici a diciotto mesi della pena residua per poter accedere alla pena detentiva domiciliare, introdotta, come detto, dalla legge n. 199 del 2010, ed ha perseguito, come unico scopo, «l'obbiettivo» di «liberare» anticipatamente il maggior numero di detenuti che scontano pene per reati (molti di grave allarme sociale) applicando, per l'ennesima volta, a parere degli interroganti, un «perdonismo», privo di tutela effettiva della persona offesa del reato;
   la legge 28 aprile 2014, n. 67, «Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili», ha introdotto nel nostro sistema penale, tra gli altri, l'istituto della messa alla prova, consentendo a chi commette gravi reati (anche il furto aggravato o la ricettazione) di poter estinguere il reato attraverso un breve periodo di lavoro di pubblica utilità, continuando, di fatto, a «demolire» le previsioni normative tese alla tutela della persona offesa, giacché appare evidente che l'unico obiettivo della citata legge è il supposto effetto deflattivo rispetto ai processi;
   tali provvedimenti non prevedono alcun investimento (né in dotazione di mezzi, né per l'incremento delle piante organiche) a favore delle forze dell'ordine, cui sarà demandato il compito di effettuare i controlli sull'effettività delle detenzioni domiciliari;
   la sentenza della Corte di cassazione penale, a sezioni unite, a seguito della sentenza di incostituzionalità della «legge Fini-Giovanardi», che vietava la concessione delle circostanze attenuanti prevalenti nel caso di recidivi, ha statuito che i condannati in via definitiva e recidivi per spaccio di droga potranno chiedere la rideterminazione, al ribasso, della pena, escludendo dal ricalcolo solo i detenuti condannati in via definitiva per spaccio di droghe pesanti commesso con l'associazione a delinquere;
   la Corte di cassazione ha statuito, come citato, di applicare da subito la nuova legge sugli stupefacenti (in sintesi, come riportato da varie fonti di stampa, «dall'introduzione dello spinello libero allo spaccio libero»), approvata dalla maggioranza «Renzi-Alfano» che modifica la vecchia e «punitiva» «Fini-Giovanardi», e con tale pronuncia parrebbe imminente l'uscita di oltre tremila detenuti, arrestati non senza fatica dalle forze dell'ordine, condannati in via definitiva e reclusi presso «patrie galere», che a breve torneranno liberi;
   il Ministro interrogato ha dichiarato: «adesso usciremo dall'emergenza carceri», e ciò evidentemente attraverso una scelta politica di impunità per chi commette reati, sperando che detta impunità non riguardi, da qui a breve, i delitti di rapina o altri più abbietti, tra cui la violenza sessuale;
   secondo gli ultimi dati disponibili, forniti dal Ministero della giustizia, al 30 aprile 2014 parrebbe che la capienza regolamentare degli istituti penitenziari presenti nel nostro Paese sia di 49.091 posti e che i detenuti presenti nelle nostre carceri sia pari a 59.683, di cui quelli stranieri sarebbero pari a 20.051 –:
   se il Governo possa specificare quali saranno gli effetti reali dell'applicazione della sentenza della Corte di cassazione in parola, ossia il numero di detenuti condannati per reati di spaccio che usciranno dal carcere, e se sia possibile stimare l'impatto che ciò avrà sul mercato dello spaccio di stupefacenti e sulla sicurezza della popolazione. (3-00853)


   MONCHIERO e RABINO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la riforma delle circoscrizioni giudiziarie (disposta con il decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155), certamente condivisibile nella finalità che si prefiggeva di raggiungere, ha avuto un'attuazione controversa che ha creato disparità e disfunzioni, senza ottenere il miglioramento dei servizi per i cittadini ed il risparmio economico voluti dalla legge delega 14 settembre 2011, n. 148;
   è opportuno ricordare che il Ministro della giustizia pro tempore, nel dare una risposta alle contestazioni che venivano da molte aree del Paese, con decreto del 13 settembre 2013, ha individuato otto tribunali che, per dimensione, carichi pendenti, specifiche situazioni territoriali, si distinguevano dalle altre sedi soppresse ed erano ritenuti meritevoli di ulteriori valutazioni;
   veniva, quindi, istituita, con decreto del 19 settembre 2013, un'apposita commissione con il compito di valutare le difficoltà incontrate dagli operatori nel dare attuazione alla riforma e le eventuali ricadute sulla qualità del servizio reso ai cittadini;
   non sfugge la natura ambigua di quest'ultimo provvedimento, che trova la propria motivazione in un'implicita ammissione degli errori compiuti nel dare attuazione alla legge 14 settembre 2011, n. 148, con esiti improponibili, quali la soppressione di tribunali di dimensioni medie e il mantenimento di altre sedi giudiziarie con popolazione e volumi di attività di gran lunga inferiori;
   come spesso accade in questioni che riguardano la burocrazia italiana, esso limita i compiti della commissione a valutazioni formali, senza entrare nel merito delle problematiche, con la palese intenzione di stendere un velo di oblio sugli errori della riforma;
   la questione è del tutto scomparsa dall'agenda del Ministero della giustizia, nonostante il termine ultimo per un provvedimento correttivo scada il 13 settembre 2014 –:
   se non ritenga opportuno esaminare le situazioni specifiche degli otto tribunali individuati nel decreto ministeriale del 13 settembre 2013, attraverso l'adozione di un provvedimento che rimedi ad alcuni degli errori più clamorosi contenuti nel decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155. (3-00854)


   PIEPOLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la stratificazione normativa in Italia ha comportato notevoli criticità in merito a molteplici aspetti, relativi al sistema giudiziario, al tessuto produttivo, all'aumento del contenzioso, alla competitività del sistema in generale, come peraltro ricordato durante la XVI legislatura nella relazione presentata dal presidente, onorevole Doris Lo Moro, e pubblicata in allegato al resoconto della seduta del Comitato per la legislazione del 5 febbraio 2013, dal titolo «I costi per la competitività italiana derivanti dall'instabilità normativa: cause e possibili rimedi»;
   secondo il rapporto 2013 sulla legislazione, prodotto dall'Osservatorio sulla legislazione della Camera dei deputati, si è osservata una diminuzione nel tempo della quantità totale di leggi approvate dal Parlamento, ma questa diminuzione è inversamente proporzionale alla concentrazione degli atti normativi, in altre parole quel fenomeno che vede un'espansione della quantità di disposizioni, spesso eterogenee tra loro, contenute nello stesso provvedimento;
   tale incremento di concentrazione degli atti normativi, in particolare per quanto concerne quelli di iniziativa governativa, comporta un aumento della frammentazione degli interventi normativi e la multisettorialità dei provvedimenti approvati;
   in particolare, questo fenomeno si è reso evidente per quanto concerne lo «tsunami normativo» nel settore della giustizia civile: da uno studio del Consiglio nazionale forense si evidenziano 17 riforme del codice di procedura civile in 7 anni, che hanno prodotto effetti negativi sulla durata, di circa due anni, e dei costi, del 55 per cento, dei processi;
   ciò produce un arretrato estremamente elevato, essendo arrivati alla cifra abnorme di 9 milioni di procedimenti civili pendenti nell'anno 2013 –:
   quali iniziative, anche di natura normativa, intenda il Ministro interrogato intraprendere, nello specifico, al fine di contrastare l'aumento della durata e dei costi del contenzioso, nonché, in generale, per semplificare e ridare coerenza al sistema normativo italiano, al fine di risolvere le criticità riportate in premessa.
(3-00855)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROSTAN. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 156 del 2012 ha disposto, in attuazione della delega contenuta nella legge n. 148 del 2011, all'articolo 1, inizialmente, la soppressione di 667 uffici del giudice di pace su 846 uffici;
   secondo la disposizione iniziale contenuta nel testo di legge del 2012, sarebbero dovuti rimanere in funzione solo 178 uffici, di cui 134 presso sedi circondariali e 44 presso sedi non più facenti capo ad un circondario di tribunale;
   il personale degli uffici soppressi avrebbe dovuto, poi, essere riassegnato ad altro ufficio;
   quanto sopra, con l'obiettivo di riorganizzare la complessiva distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari e realizzare risparmi di spesa con conseguenti incrementi di efficienza, poi realizzati, sul piano operativo, proprio con il decreto legislativo 156 del 2012;
   l'articolo 3 del decreto legislativo ha previsto e disciplinato il procedimento di conservazione degli uffici, su istanza degli enti locali interessati e dichiaratisi disponibili a garantire la copertura finanziaria dei costi necessari per il mantenimento degli uffici stessi;
   nel procedimento di cui al sopra indicato articolo 3, è stata prevista la pubblicazione della tabella degli uffici del giudice di pace in procinto di soppressione, nonché delle richieste degli enti focali interessati alla loro conservazione;
   il procedimento delineato dal Governo ha previsto una pluralità di passaggi quali la pubblicazione delle tabelle indicative degli uffici da sopprimere e quelli per i quali fosse stata formalizzata istanza di conservazione da parte dei vari enti locali interessati, sul Bollettino Ufficiale e sul sito internet del Ministero della giustizia;
   conditio sine qua non per la conservazione degli uffici giudiziari era che venisse accordata la disponibilità degli enti locali a sostenere i costi di gestione delle strutture ospitanti il personale amministrativo ed onorario indispensabile per il prosieguo del funzionamento degli uffici del giudice di pace;
   con provvedimento dell'11 marzo 2014, il Governo ha reso nota la lista degli uffici dei giudici di pace non soppressi a seguito delle disparate istanze formulate secondo l’iter sopra descritto;
   diversi comuni hanno riscontrato molte difficoltà nel reperire e porre a bilancio le risorse necessarie per il mantenimento degli uffici del giudice di pace;
   altri comuni, dopo aver formulato istanza di mantenimento, hanno dovuto revocare la stessa per sopravvenute e differenti esigenze di bilancio;
   in altri casi, ed in particolare nelle ipotesi di sezioni distaccate in comuni «Città Metropolitane», il decreto attuativo della riforma della geografia giudiziaria non ha proprio previsto l'ipotesi di presentazione dell'istanza di conservazione da parte degli enti interessati con la conseguenza che importati uffici del giudice di pace sono stati chiusi senza nessuna verifica preliminare di fattibilità circa la loro possibile conservazione;
   gli uffici del giudice di pace costituiscono un importantissimo presidio di legalità sul territorio, specie nelle periferie e garantiscono i servizi di prossimità alla cittadinanza in materia di giustizia;
   sarebbe opportuno dare una ulteriore possibilità alle amministrazioni locali che in prima battuta non l'avessero fatto, di chiedere la conservazione dell'ufficio del giudice di pace;
   riaprire tali termini, per un'ulteriore finestra e per le sezioni distaccate delle città metropolitane, non avrebbe ricadute negative per il bilancio dello Stato, trattandosi in ogni caso di oneri che sarebbero posti a carico dei singoli comuni interessati –:
   se il Ministro stia valutando l'ipotesi di prevedere una riapertura dei termini entro i quali le Amministrazioni comunali interessate e disposte a sostenerne i relativi costi, possono formalizzazione istanza, rivolta al Ministero della giustizia, ai sensi del decreto legislativo n. 156 del 2012 per la conservazione dell'ufficio del giudice di pace territoriale;
   se il Ministero stia valutando l'ipotesi di prevedere analoga procedura di conservazione a fronte delle medesime condizioni, già disposte dal decreto legislativo n. 156 del 2012, anche per le sezioni distaccate del giudice di pace presenti nei comuni che siano considerati «Città Metropolitane»;
   se il Ministero stia valutando di istituire un organismo tecnico di supporto per tutte le Amministrazioni comunali in difficoltà, che fossero comunque interessate e decise a reperire le risorse necessarie ed a crearle condizioni indispensabili per la formulazione dell'istanza di mantenimento del proprio ufficio del giudice di pace locale. (5-02916)

Interrogazione a risposta scritta:


   PANNARALE, DURANTI, COSTANTINO, MELILLA e RICCIATTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da notizie stampa, si apprende del decesso di un detenuto nel carcere di Bari, avvenuto in data 28 maggio 2014;
   questi era ristretto nell'istituto di pena in attesa di giudizio per reati contro il patrimonio e la persona;
   il detenuto ventinovenne, pur non versando in condizioni di salute fisiche e mentali tali da far presagire un evento così tragico, si sarebbe suicidato, impiccandosi;
   tale evento critico si è verificato lo stesso giorno in cui è scaduta la moratoria della Corte europea, che poco più di un anno fa ha condannato l'Italia, per l'ennesima volta, a causa del mancato rispetto delle norme della Convenzione europea per i diritti dell'uomo in tema di divieto di trattamenti inumani e degradanti, e che si appresta a valutare se i provvedimenti italiani siano sufficienti a scongiurare ulteriori e numerose condanne;
   secondo una nota del Cosp (Coordinamento sindacale penitenziario), dall'inizio dell'anno, per quanto attiene alla popolazione carceraria, sarebbero sei i suicidi avvenuti in Italia e otto i tentativi di suicidio sventati;
   inoltre, da una nota del Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria) si apprende che negli ultimi tre anni, si sarebbero tolti la vita circa 190 detenuti (49 solo nel 2013) e più di 30 poliziotti penitenziari –:
   di quali informazioni disponga il Ministro circa l'evento drammatico citato in premessa, e se in qualche modo potesse essere evitato;
   quali elementi possa fornire circa l'idoneità delle strutture sanitarie del carcere di Bari a garantire adeguate cure alla popolazione penitenziaria, anche e soprattutto a seguito del trasferimento al Servizio sanitario nazionale (e quindi alle asl di competenza locale) dell'assistenza sanitaria negli istituti penitenziari (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o aprile 2008, pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 30maggio 2008);
   più in generale, rispetto ai rilievi della Corte europea nei confronti del nostro Paese (sentenza «Torreggiani»), quali siano state le iniziative intraprese per migliorare le condizioni di vivibilità all'interno delle carceri e per scongiurare il ripetersi di tragici episodi, quale quello citato in premessa. (4-04996)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   OLIVERIO, D'ATTORRE e MONGIELLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la costruzione della diga di Gimigliano sul fiume Melito è stata programmata nel lontano 1978 ed è stata inclusa in un programma di opere finanziate dalla Cassa per il Mezzogiorno;
   il progetto di costruzione della diga è stato approvato dalla Cassa per il Mezzogiorno nel 1982, l'esecuzione dei lavori è stata affidata in concessione al consorzio di bonifica Alli Punta di Copanello, confluito successivamente nel Consorzio di bonifica Ionio Catanzarese;
   il comitato di gestione dell'Agenzia per la promozione dello sviluppo del Mezzogiorno deliberò nel 1988 il trasferimento delle competenze per la realizzazione dell'opera allo stesso Consorzio in uno al finanziamento del relativo importo di circa 500 milioni allora di lire;
   la diga è costituita da uno sbarramento di materiali sciolti, di altezza di 108 metri e sviluppo del coronamento di circa 1.500 metri. La capacità utile del serbatoio è calcolata in 106 milioni di metri cubi. La regione Calabria nel suo piano acque del 2003 ha previsto una domanda annua di circa 80 milioni di metri cubi. L'uso della risorsa è potabile, irriguo e industriale. Per il riempimento del serbatoio è necessario allacciare anche tre bacini contermini;
   i lavori per la costruzione dell'opera furono appaltati nel luglio 1990 e consegnati nel febbraio 1991, con ultimazione prevista per agosto 1997. Per problematiche connesse al procedimento di valutazione di impatto ambientale e a controversie sorte con l'impresa, i lavori furono sospesi nel 1993. Risolte le questioni impeditive, nel settembre 2003 i lavori furono ripresi, con ultimazione prevista per dicembre 2009. L'importo dei lavori in appalto si elevò a complessivi 170 milioni di euro;
   riguardo alla effettiva realizzabilità dell'infrastruttura idraulica, va fatto presente che già dal 2004 furono sollevate numerose contestazioni da parte dell'impresa, sul piano tecnico ed amministrativo. L'impresa contestava, peraltro, 1'ineseguibilità del progetto previsto dal contratto. Tali controversie hanno poi portato ad un lodo arbitrale intentato dall'impresa e al provvedimento, da parte del concessionario, della risoluzione del contratto in danno;
   alla data del 30 aprile 2008 erano stati eseguiti espropri per circa 20 milioni di euro e lavori contrattuali netti per circa 14 milioni di euro;
   il consorzio di bonifica sopra richiamato ha successivamente trasmesso, nell'aprile del 2009, ai fini del riappalto dell'opera, un aggiornamento progettuale;
   la direzione generale per le dighe e le infrastrutture idriche ed elettriche del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in data 26 febbraio 2009 aveva indicato gli elementi di cui il progetto in rielaborazione avrebbe dovuto tenere conto sulla base delle maggiori conoscenze nel frattempo acquisite, in particolare modo per gli aspetti geologici e geotecnici del sito e dei materiali da costruzione dello sbarramento;
   parallelamente alle questioni tecniche, cominciavano a sorgere anche forti dubbi sull'idoneità degli scavi per la zona della spalla destra della diga;
   il progetto aggiornato, che ha recepito in parte le osservazioni del Ministero competente, fu inviato dal consorzio di cui sopra, ad aprile 2009 perché venisse assoggettato all’iter istruttorio ed approvativo previsto dalla normativa di settore;
   in effetti, bisogna evidenziare che la delicata e complessa geologia del territorio aveva già comportato nel passato, all'epoca dell'approvazione del progetto, la necessità di vari posizionamenti della diga, ubicata in un territorio caratterizzato da valori di sismicità tra i più alti del territorio nazionale;
   nell'ambito dei riesami progettuali in essere nel 2009, il consorzio concessionario dell'opera aveva conferito l'incarico ad effettuare una perizia stralcio di estrema urgenza, relativa al completamento delle gallerie di scarico e della relativa vasca di dissipazione, che nel maggio 2009 il Ministero competente aveva approvato, in linea tecnica e per gli aspetti di competenza;
   nel maggio del 2010, il presidente del consorzio ionio catanzarese, dottor Graziano Manno, aveva lamentato ritardi negli adempimenti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti chiedendo un pronunciamento immediato sul progetto trasmesso, anche perché si trattava di un'opera la cui incompiutezza era stata più volte anche oggetto di denuncia pubblica da parte dei giornali che avevano parlato di «opera incompiuta»;
   alla predetta richiesta del presidente Manno, a detta del medesimo presidente, il Ministero diede risposte vaghe e non risolutive;
   allo stato attuale, a distanza di circa trenta anni dall'approvazione del progetto, risultano realizzate solo le due gallerie di scarico e alcune opere minori;
   la costruzione dello sbarramento ancora non è stata avviata e non risultano, allo stato, programmate le gallerie allaccianti al bacino né le opere di derivazione a valle per l'utilizzo delle acque, sia per gli aspetti progettuali sia per quelli finanziari;
   il progetto presentato dal consorzio di bonifica ionico catanzarese è stato recentemente sottoposto all'esame e al parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, che dovrà esprimersi nel merito;
   vista la delicatezza e l'incidenza dell'opera, apparirebbe ad ogni modo opportuno anche un coinvolgimento dell'ente regionale per una definizione complessiva dell'intervento territoriale. Infatti, sia le difficoltà incontrate nel corso del pregresso appalto e sia soprattutto le maggiori conoscenze tecniche maturate negli oltre trenta anni trascorsi dalla progettazione originaria ad oggi, farebbero ritenere che la costruzione di tale diga, caratterizzata da così rilevanti dimensioni e da peculiari complessità e particolarità del sito, con valori di sismicità locale tra i più alti del territorio nazionale, dovrebbe essere perseguita solo in un contesto tecnico-economico certo di eseguibilità e completamento dell'intero sistema idrico –:
   se sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa circa lo stallo della realizzazione della diga sul Melito, opera idraulica indispensabile per lo sviluppo dei territori che ne beneficerebbero, ma incompiuta da circa trenta anni;
   se esistano ulteriori problematicità nel procedimento di esecuzione dell'opera e se ci siano eventuali irregolarità nella sua realizzazione, ciò alla luce del fatto che ad oggi si è prodotto soltanto l'esproprio per la realizzazione di una parte del tutto irrisoria della diga;
   se possa fornire informazioni sulla effettività della presa in considerazione e della sottoposizione a valutazione dell'opera da parte del Consiglio superiore dei lavori pubblici ed in caso affermativo, se sia stato espresso il parere allo scopo dovuto;
   se ritenga che la costruzione della diga sul Melito sia ancora una priorità del Governo nel piano di un efficiente sistema idrico in una regione che presenta forte criticità nell'approvvigionamento dell'acqua;
   se sia stato quantificato il costo attualizzato per la realizzazione della diga sul Melito e se l'intervento abbia le necessarie coperture finanziarie;
   quali iniziative intenda promuovere qualora sulla base di dati tecnici e finanziari si dovesse riscontrare l'impossibilità a portare a conclusione la realizzazione della diga sul Melito. (5-02918)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   dallo scorso 3 febbraio una giovane donna di 19 anni, Chiara Insidioso Monda, versa in stato di coma all'ospedale San Camillo di Roma dopo essere stata letteralmente massacrata, e sfigurata, di botte dal proprio compagno con cui conviveva, come si apprende da fonti stampa, nel locale caldaie della palazzina presso la casa del padre di lui;
   i danni cerebrali subiti da Chiara come conseguenza del furioso pestaggio sono gravissimi;
   contro l'autore del pestaggio, Maurizio Falcioni, che dopo aver ripetutamente colpito la ragazza ha chiamato i soccorsi, erano già state presentate da parte del padre della ragazza due denunce-querele, lo scorso 3 dicembre 2013 e il 14 gennaio 2014;
   in particolare nell'ultima denuncia-querela veniva ricostruita la storia della ragazza e delle precedenti denunce presentate e veniva posto l'accento sulla situazione di «ritardo mentale lieve» e di una «personalità con immaturità affettiva e ritardo mentale lieve con ritardo cognitivo», così come certificato da attestati medici, e di gravi problemi di salute – la ragazza infatti soffre di asma bronchiale e allergia cronica che per ultimo nel 2012 l'aveva costretta al ricovero d'urgenza presso l'ospedale Fatebenefratelli;
   da fonti giornalistiche si apprende che i medici hanno riscontrato sul corpo di Chiara segni tali da lasciar intendere che la ragazza fosse stata picchiata altre volte in precedenza e che gli stessi carabinieri erano stati testimoni di un precedente episodio di maltrattamento nei confronti della ragazza in occasione del quale il Falcioni era stato fermato e denunciato per resistenza a pubblico ufficiale;
   di questi maltrattamenti non si ha notizia negli atti giudiziari ma vi sono testimonianze dei vicini di casa resi però solo successivamente alla tragedia del 3 febbraio 2014;
   in occasione del deposito dell'ultima denuncia, a gennaio di quest'anno, gli avvocati del padre della ragazza hanno saputo che, nonostante la segnalazione di reato effettuata dai Carabinieri, nessun procedimento era ancora stato avviato contro Maurizio Falcioni;
   il padre temeva per le possibili conseguenze di questa relazione, per la differenza di età tra i due, la condizione di tossicodipendenza del Falcioni, per i problemi di salute di Chiara e i luoghi inadatti in cui vivevano e soprattutto per la situazione di ritardo affettivo della ragazza che seppur maggiorenne, risultava immatura affettivamente;
   lo Stato deve avere tra i propri obblighi, morali ancora prima che costituzionali, la tutela di ogni individuo senza distinzione alcuna e la garanzia di una giustizia equa e sollecita a tutela delle persone offese;
   il Parlamento, dapprima con la ratifica della Convenzione di Istanbul e poi con l'adozione del decreto-legge n. 93 del 2013, ha inteso mandare un segnale forte alle vittime di violenza: lo Stato è presente, cerca di prevenire e vuole tutelare i suoi cittadini;
   sono state infatti definite come forme di violenza anche quelle di natura psicologica e sono stati dati strumenti alle forze dell'ordine tali da consentire interventi rapidi come ad esempio la procedibilità d'ufficio se il maltrattante viene colto in flagrante;
   come si è più volte affermato nella fase di discussione e adozione delle norme sopra indicate, la violenza contro le donne è un fenomeno innanzitutto culturale che riguarda la società intera e che necessita di una riforma profonda, dalla difficoltà a denunciare da parte delle vittime alla collaborazione di chi è conoscenza, o ipotizza, fenomeni di violenza, come ad esempio, l'intervento dei vicini – che oggi le norme tutelano per quanto riguarda la denuncia;
   è stato più volte considerato come la dichiarazione di incostituzionalità dell'articolo 603 del Codice penale (reato di plagio) avvenuta nel 1981, abbia creato un vulnus ordinamentale; il reato di plagio che presupponeva un totale stato di soggezione ed apparteneva ai delitti contro la persona (titolo XII del Libro II del codice penale), ovvero ai delitti contro la libertà individuale, infatti, tutelava un bene giuridico specifico, la personalità individuale –:
   se i Ministri interpellati non ritengano di dover compiere i passi necessari, per quanto di competenza, al fine di fare chiarezza in merito ai gravissimi fatti riguardanti la giovane Chiara Insidioso Monda, esposti in premessa, anche per individuare eventuali errori o ritardi negli interventi posti in essere, e soprattutto al fine di evitare, in futuro, simili epiloghi tragici, e per poter dunque proseguire con fermezza nella lotta alla violenza di genere e se non ritengano, inoltre, per quanto di competenza, di doversi ad operare per trovare strumenti giuridici equilibrati ed adeguati, atti a colmare il vuoto normativo creato dalla dichiarazione di incostituzionalità del reato di plagio.
(2-00563) «Giuliani, Moretti, Rotta, De Maria, Tartaglione, Pollastrini, Saltamartini, Gribaudo, Scuvera, Sbrollini, Ermini, Bergamini, Murer, Centemero, Piccoli Nardelli, Giulietti, Martelli, Giuditta Pini, Tinagli, Chaouki, Quartapelle Procopio, Carfagna, Richetti, Marzano, Locatelli, Zampa, Fassina, Di Salvo, Paris, Iori, Verini, Cuperlo, Orfini, Bonaccorsi, Civati, Laforgia».

Interrogazioni a risposta scritta:


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da recenti notizie di stampa apparse sul Quotidiano della Calabria del 24 maggio 2014 si apprende che il distaccamento «Caronte» dei Vigili del fuoco di Lamezia Terme versa in uno stato di profondo disagio operativo che penalizza fortemente l'efficacia dei compiti ad esso assegnati;
   in particolare il distaccamento starebbe diventando una sede sotto potenziata: risulterebbero in servizio solo cinque vigili rispetto ai fabbisogni del bacino d'utenza che non può subire un ulteriore depauperamento della forza lavoro impegnata quotidianamente per garantire il necessario pronto intervento;
   anche il sindacato Usb che chiede che si arrivi ad una rapida soluzione, al fine di evitare grave disagio ai lavoratori;
   il personale, per carenze di risorse, non riesce a fare più formazione né addestramento per il mantenimento delle specializzazioni conseguite negli anni precedenti. Le professionalità venute meno per trasferimenti ad altri comandi, oppure per pensionamenti o transito ad altri ruoli, non vengono da tempo rimpiazzati. Inoltre i vigili sono costretti ad essere alloggiati in strutture molto fatiscenti;
   questo presidio è necessario anche per garantire le attività di pronto soccorso sulla statale 280 e sulla autostrada A3;
   la situazione sta diventando ormai insostenibile. Diverse sono state le segnalazioni che sono state fatte pervenire agli organismi competenti per informare circa la gravissima situazione in cui sono costretti ad operare i vigili del fuoco –:
   se il Ministro interrogato intenda celermente intervenire al fine di salvaguardare un essenziale ed adeguato livello qualitativo al Corpo dei vigili del fuoco di Lamezia, garantendo ad esso le risorse umane necessarie allo svolgimento dei compiti assegnati;
   se il Ministro interrogato intenda stanziare adeguate risorse finanziarie per mettere in condizioni il suddetto Corpo di poter contare sulla disponibilità di mezzi adeguati al soccorso e all'assistenza ai cittadini. (4-04999)


   SARTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con ordinanza di custodia cautelare in carcere n. 652/13 R.G. O.C.C. il g.i.p. di Napoli Raffaele Piccirillo incartava, tra gli altri indagati con l'accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso, il viceprefetto, avvocato Francesco Sperti;
   da quanto risultava dalla pagina internet del dicastero dell'interno visibile sino al mese di gennaio 2014 e da quanto risulta dalla versione cache della stessa, il suddetto viceprefetto è in forza presso il medesimo dicastero con la qualifica di capo ufficio staff dell'ufficio programmazione e rapporti con il Cnipa;
   l'ufficio in cui il viceprefetto Sperti ricopre la qualifica di capo si occupa tra le altre cose del monitoraggio dei grandi progetti e del controllo delle risorse umane ed essendo l'ufficio che cura le relazioni con il Cnipa il suddetto viceprefetto ha accesso a innumerevoli dati sensibili ed ultrasensibili;
   dalla voluminosa ordinanza del g.i.p. Piccirillo, si evince che l'avvocato Sperti veniva stipendiato da un altro indagato per il reato di cui all'articolo 416-bis del codice penale, tal Righi Luigi, anch'egli accusato di far parte ed, anzi, di essere una figura preminente all'interno dell'organizzazione di stampo camorristico nota con il nome di «Clan Contini»;
   tale circostanza è resa ancora più grave da quanto si evince in una delle intercettazioni telefoniche contenute nelle motivazioni dell'ordinanza, nella quale il viceprefetto Sperti aveva a lamentarsi della insufficienza dell'emolumento versatogli mensilmente dal Luigi Righi, pari ad euro 1.500, tanto da avanzare esplicita richiesta di aumento;
   in più occasioni il g.i.p. Piccirillo ha evidenziato come l'intervento del viceprefetto Sperti abbia agevolato la famiglia Righi o le società da questa controllate e/o collegate, nell'ottenere autorizzazioni e concessioni amministrative e non solo;
   la suddetta ordinanza ha portato all'arresto di 90 persone indagate e al sequestro di numerose attività commerciali nell'ambito della ristorazione una delle quali, avente i locali d'esercizio proprio presso via della Mercede (è stata oggetto di trattativa commerciale (affitto di ramo d'azienda) proprio tra la Immobilrighi srl rappresentata da Salvatore Righi e la Pizza Italia srl rappresentata con procura speciale per questo singolo atto proprio dal viceprefetto avvocato Francesco Sperti);
   la vicenda sin ora descritta è senza dubbio sintomatica della violazione dei principi di Imparzialità e buon andamento ai quali è informata la pubblica amministrazione così come previsto dall'articolo 97 della Costituzione italiana; inoltre nel caso di specie all'interrogante appare violato anche il principio dell'articolo 98, primo capoverso, della Costituzione stessa nonché l'articolo 23 del CCNL 6 luglio 1995 I comma e III comma lett. l), e ancora, l'articolo 3 del CCNL dell'11 aprile 2008, lett. a), b) e c) –:
   se il Ministro intenda avviare o meno senza altro indugio, le procedure previste dagli articoli 4 III comma, e 5, II comma, del CCNL dell'11 aprile 2008 al fine di ottenere la sospensione dal servizio prestato all'interno della pubblica amministrazione del viceprefetto avvocato Francesco Sperti;
   se il ministro intenda avviare e rendere noti quanto prima tutti gli accertamenti del caso, per quanto di sua competenza, al fine di stabilire, anche sulla scorta dell'ordinanza di cui sopra, se, come, e in che misura il viceprefetto Francesco Sperti, approfittando della sua posizione, abbia avvantaggiato terzi nell'ottenere in modo non consono concessioni ed autorizzazioni di carattere amministrativo;
   se al termine di tali accertamenti, se del caso, intenda intraprendere la procedura prevista all'articolo 4, I comma, del CCNL dell'11 aprile 2008, riservandosi sin da quel momento, nella relativa denuncia alla autorità giudiziaria competente, la costituzione di parte civile della pubblica amministrazione nei confronti del viceprefetto Francesco Sperti. (4-05006)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta immediata:


   CAPELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il testo dell'articolo 9, comma 2, del decreto legislativo n. 68 del 2012 prevede testualmente: «Le Istituzioni e le università esonerano totalmente dalla tassa di iscrizione e dai contributi universitari gli studenti che presentino i requisiti di eleggibilità per il conseguimento della borsa di studio e gli studenti con disabilità, con riconoscimento di handicap ai sensi dell'articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, o con un'invalidità pari o superiore al sessantasei per cento»;
   in materia sono necessarie delle precisazioni relative alla differenza tra invalidità civile e la situazione di handicap, poiché si tratta di due riconoscimenti diversi;
   la valutazione dell'invalidità civile si basa sulla riduzione della capacità lavorativa, con la conseguente attribuzione di una percentuale, ai sensi del decreto legislativo 23 novembre 1988, n. 509;
   in altre parole, la riduzione della capacità lavorativa è il concetto che deve essere valutato per determinare la percentuale d'invalidità, individuando anche in questo modo la capacità lavorativa residua. Tale riduzione non comporta l'impossibilità di un inserimento lavorativo, bensì la difficoltà di eseguire una determinata attività nei modi e nei limiti considerati normali per un individuo;
   nel riconoscimento dello stato di handicap, invece, viene presa in considerazione la difficoltà d'inserimento sociale dovuta alla patologia o menomazione riscontrata. Il concetto di handicap – sempre come definito dalla legge n. 104 del 1992 – esprime la condizione di svantaggio sociale che una persona presenta nei confronti delle altre persone ritenute normali e si differenzia dalla menomazione (fisica, psichica o sensoriale) che di quella condizione ne è la causa;
   in altre parole, lo stato di handicap per la sua valutazione tiene conto della difficoltà d'inserimento sociale della persona disabile, difficoltà che è dovuta alla patologia o menomazione di cui una persona è affetta;
   ai sensi del decreto citato sopra si prevede l'esonero dal pagamento delle tasse di iscrizione e dei contributi universitari per quegli studenti che sono in possesso della certificazione di handicap, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, della legge n. 104 del 1992, oppure per gli studenti che hanno una percentuale di invalidità pari o superiore al 66 per cento;
   da una prima lettura del comma 2 sembrerebbe che il legislatore abbia stabilito di dover esonerare dal pagamento delle tasse anzidette, in maniera disgiunta, i soggetti in possesso della certificazione di handicap, riconosciuta ai sensi dell'articolo 3, comma 1, della legge n. 104 del 1992, «oppure» quelli in possesso di un riconoscimento di invalidità civile pari o superiore al 66 per cento. Parrebbe, infatti, che con l'utilizzo della congiunzione disgiuntiva «o» si siano volute indicare due condizioni alternative l'una all'altra (handicap o invalidità pari o superiore al 66 per cento) e per niente concorrenti tra loro;
   la maggior parte delle università italiane (verificabile nei loro siti internet) esonerano dal pagamento delle tasse universitarie solo gli studenti con invalidità civile pari o superiore al 66 per cento e non quegli studenti che magari possiedono il riconoscimento di handicap ai sensi della legge n. 104 del 1992, ma non una percentuale di invalidità superiore al 66 per cento –:
   quali iniziative, anche di carattere normativo, il Ministro interrogato abbia intenzione di porre in essere al fine di dare un'interpretazione autentica dell'articolo 9, comma 2, del decreto legislativo n. 68 del 2012, in modo che in tutti gli atenei italiani vi sia parità di trattamento tra studenti portatori delle problematiche di cui in premessa. (3-00856)


   CRIMÌ, LENZI, COSCIA, GHIZZONI, DALLAI, MAESTRI, COPPOLA, DE MARIA, MARTELLA e ROSATO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   ogni anno più di 10.000 studenti si iscrivono alla facoltà di medicina e chirurgia dopo aver superato un esame di ammissione molto selettivo;
   dopo la laurea e l'abilitazione all'esercizio della professione di medico-chirurgo, per avere diritto all'accesso ai ruoli del servizio sanitario nazionale è necessario, ai sensi del decreto legislativo n. 368 del 1999, e successive modificazioni ed integrazioni, essere in possesso di un titolo di specialista in area medica, chirurgica, dei servizi clinici ovvero conseguire l'attestato di frequenza del corso di formazione specifica di medicina generale per accedere in regime di convenzionamento alla medicina generale;
   per l'anno accademico a venire sono previsti poco più di 3.500 contratti per la formazione medica specialistica e circa 800 borse dalle regioni per i corsi di formazione di medicina generale, numero gravemente inferiore sia rispetto alle necessità del servizio sanitario nazionale, sia rispetto al numero di nuovi medici formati dalle università italiane;
   ogni anno la conferenza Stato-regioni stabilisce il numero di specialisti necessari al servizio sanitario nazionale e il contingente si aggira costantemente attorno alle 8.500 unità per far fronte al turnover;
   il decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 1o agosto 2005 ha allungato di un anno la durata delle scuole di specializzazione, provocando nel 2014 un ammanco di fondi rispetto al capitolo di spesa degli specializzandi per i nuovi contratti;
   il divario tra neo-laureati e contratti di formazione specialistica è destinato ad aumentare ancor più, essendo i posti per l'ammissione al corso di laurea in medicina e chirurgia andati incontro ad un costante aumento negli ultimi anni accademici;
   da recenti indagini di settore il numero di specialisti in servizio presso il servizio sanitario nazionale è in continua diminuzione, mancando l'adeguato ricambio generazionale che dovrebbe essere garantito dal numero di contratti di formazione nelle scuole di specialità;
   la diminuzione di medici specialisti, e comunque di medici, negli anni futuri potrebbe comportare un grave deterioramento dell'efficienza del servizio sanitario nazionale, mettendo, quindi, a rischio la tutela della salute dei cittadini italiani;
   il 3 giugno 2014 si è svolta una manifestazione nazionale dei giovani medici sia a Roma che, in contemporanea, in tutte le università per chiedere risposte al Governo su una tematica così importante e su quali interventi intenda mettere in atto per sostenere il futuro delle risorse umane del servizio sanitario nazionale –:
   come intenda agire il Ministro interrogato per reperire i fondi per incrementare il contingente dei contratti di formazione da mettere a concorso per il prossimo anno accademico, portandoli ad almeno 5.000, in modo da garantire il ricambio di specialisti necessario a mantenere il servizio sanitario nazionale efficiente e tutelare il diritto alla salute della cittadinanza. (3-00857)


   CHIMIENTI, LUIGI GALLO, BRESCIA, MARZANA, D'UVA, DI BENEDETTO, VACCA, SIMONE VALENTE, BATTELLI, TRIPIEDI, RIZZETTO, BECHIS, BALDASSARRE, CIPRINI, COMINARDI e ROSTELLATO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nel novembre 2013 il professor Paolo Latella redigeva un articolato dossier in cui pubblicava una serie di testimonianze anonime di docenti di scuole paritarie, pubbliche e private, dislocate in diversi territori della penisola che, al fine di vedersi attribuito il punteggio in graduatoria per il servizio prestato, accettavano stipendi troppo bassi o addirittura non ricevevano alcun compenso;
   il suddetto dossier rendeva noto come l'ufficio scolastico regionale dell'Abruzzo, a seguito di numerose segnalazioni da parte di docenti provvisti di abilitazione, a cui tuttavia alcune istituzioni scolastiche paritarie preferivano docenti privi di abilitazione e addirittura dei requisiti di base, abbia emanato una circolare per richiamare tutte le scuole della regione al rispetto della normativa e, in particolare, della legge 10 marzo 2000, n. 62, del decreto ministeriale 29 novembre 2007, n. 267 e del decreto ministeriale 10 ottobre 2008, n. 83;
   sono definite «scuole paritarie» le istituzioni scolastiche che, a partire dalla scuola dell'infanzia, sono coerenti con gli ordinamenti generali dell'istruzione e posseggono i requisiti fissati dalla legge 10 marzo 2000, n. 62 (comma 2.1 dell'articolo 1 del decreto ministeriale n. 83 del 2008);
   l'articolo 1, comma 4, della legge 10 marzo 2000, n. 62, statuisce che «La parità è riconosciuta alle scuole non statali che ne fanno richiesta e che, in possesso dei seguenti requisiti, si impegnano espressamente a dare attuazione a quanto previsto dai commi 2 e 3: (...) h) contratti individuali di lavoro per personale dirigente e insegnante che rispettino i contratti collettivi nazionali di settore»;
   la parità è riconosciuta con provvedimento adottato dal dirigente preposto all'ufficio scolastico regionale competente per territorio, previo accertamento della sussistenza dei requisiti di cui all'articolo 1 della citata legge n. 62 del 2000 (comma 2 dell'articolo 1-bis del decreto-legge 5 dicembre 2005, n. 250, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 febbraio 2006, n. 27);
   con l'istanza di riconoscimento il gestore o il rappresentante legale della gestione deve dichiarare di rispettare una serie di impegni, tra cui l'impegno ad utilizzare personale docente munito del titolo di abilitazione prescritto per l'insegnamento impartito, l'impegno a stipulare contratti individuali di lavoro per il coordinatore delle attività educative e didattiche e contratti di lavoro individuali conformi ai contratti collettivi nazionali di categoria per il personale docente della scuola e a rispettare il limite previsto dall'articolo 1, comma 5, della legge 10 marzo 2000, n. 62;
   in data 27 gennaio 2014, il professor Paolo Latella denunciava ai Carabinieri di Lodi una serie di minacce e intimidazioni ricevute telefonicamente a seguito dell'invio ad alcuni deputati della Commissione cultura, scienza e istruzione della Camera dei deputati, tra cui l'onorevole Silvia Chimienti (MoVimento 5 Stelle) e l'onorevole Gianluca Vacca (MoVimento 5 Stelle), del dossier sulla problematica delle scuole paritarie che non pagano gli stipendi agli insegnanti, offrendo loro in cambio del servizio prestato il punteggio spendibile nella terza fascia delle graduatorie di istituto;
   in data 5 febbraio 2014, il professor Latella inviava al dottor Marco Bani, segretario particolare del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca pro tempore, una lettera in cui rendeva noto il contenuto del dossier e le successive minacce ricevute, che lo avevano spinto a sporgere formale denuncia, e in cui sollecitava un tempestivo intervento del Ministro o quanto meno un incontro;
   a febbraio 2014 il professor Latella inoltrava al dottor Bani altre due lettere di contenuto analogo, senza ricevere alcuna risposta;
   alcuni giorni dopo il professor Latella riceveva una telefonata da parte del dottor Bani, che gli formulava la richiesta di inviare nuovamente il dossier al Ministro, in quanto non era ancora pervenuto;
   in data 5 marzo 2014, una collega del professor Latella segnalava uno scambio di battute su Twitter tra lei e il dottor Marco Bani, il quale, a seguito dell'insediamento del Ministro interrogato, dichiarava: «Penso che il nuovo Ministro debba guardare attentamente il documento»;
   all'interno del dossier in questione sono presenti oltre 500 testimonianze anonime di docenti che ammettono di aver svolto la loro professione in scuole paritarie senza essere stipendiati o ricevendo paghe nettamente inferiori;
   in data 1o aprile 2014 il sito ilfattoquotidiano.it dedicava in home page ampio spazio alla denuncia del professor Latella e al contenuto del suo dossier, raccogliendo ulteriori testimonianze. In particolare, in un video, veniva intervistato in forma anonima un docente di una scuola paritaria della provincia di Napoli che denunciava, oltre alle retribuzioni inesistenti, il fenomeno dei cosiddetti «diplomifici», l'esistenza di classi fantasma e la pratica di conferire diplomi e promozioni ad allievi che in realtà non hanno mai frequentato le lezioni;
   in data 15 maggio 2014, il Tg2 delle 20,30 trasmetteva un'intervista al professor Paolo Latella sul contenuto del suo dossier, che tuttavia veniva tagliata in alcuni dei punti di maggior interesse;
   in data 1o giugno 2014 la trasmissione Storie, in onda su Rai2, mandava in onda l'intervista completa al professor Paolo Latella sul contenuto del suo dossier –:
   quali urgenti iniziative, di natura ispettiva e legislativa, intenda intraprendere per fare luce su quanto denunciato e per porre immediatamente fine agli abusi perpetrati ai danni dei docenti e al sistema dei «diplomifici». (3-00858)


   GIANCARLO GIORDANO, COSTANTINO, FRATOIANNI e BOCCADUTRI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   giusto un anno fa, in data 28 maggio 2013, l'onorevole Boccadutri (Sinistra Ecologia Libertà) ha presentato un'interrogazione (4/00602) in merito al mantenimento in servizio e proroghe dei pensionamenti del personale della scuola, che, come è noto, può andare in pensione soltanto al termine dell'anno scolastico e, dunque, all'epoca a far tempo dal 1o settembre 2013;
   l'interrogazione è rimasta tuttora inevasa e ad oggi, a parere degli interroganti, esiste il concreto rischio del ripresentarsi delle stesse analoghe situazioni per i pensionamenti al 1o settembre 2014;
   infatti, la precedente interrogazione rappresentava quanto segue: l'attuale normativa stabilisce per i lavoratori della scuola il collocamento a riposo d'ufficio dal 1o settembre successivo al compimento del limite massimo di età e le eventuali proroghe, a domanda, sono possibili in due soli casi: a) può chiedere di rimanere in servizio chi compie sessantasei anni e tre mesi di età entro il 31 agosto 2013, fino al raggiungimento dell'anzianità minima pensionabile (20 anni) e in ogni caso non oltre il 70o anno di età; b) può, inoltre, richiedere di rimanere in servizio, per un periodo massimo di un biennio, oltre i limiti di età sulla base di una valutazione discrezionale dell'amministrazione per esigenze organizzative e funzionali; tuttavia, al riguardo i trattenimenti in servizio sono stati equiparati a nuove assunzioni;
   invero, le circolari ministeriali in materia hanno disposto che «i criteri di valutazione delle istanze di permanenza in servizio, devono essere applicati in maniera puntuale e motivata. Deve essere considerata, con particolare attenzione, la capienza della classe di concorso, posto o profilo di appartenenza, non solo per evitare esuberi (anche con riferimento agli anni scolastici successivi), ma anche nell'ottica di non vanificare le aspettative occupazionali del personale precario. Anche la circolare del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca/ufficio scolastico regionale del Lazio, n. 334 del 2012, si esprimeva in questo senso: «l'eventuale trattenimento in servizio del personale per un periodo necessariamente e particolarmente limitato, causerebbe in misura equivalente l'impossibilità di assumere personale precario che invece esplicherebbe la propria attività per un'intera vita lavorativa. Per le indicate considerazioni e al fine di non vanificare le aspettative occupazionali del personale precario questo ufficio esprime l'indirizzo, come già avvenuto negli ultimi anni scolastici, che le istanze in argomento di trattenimento in servizio non possano essere accolte». Nello stesso senso, la circolare del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca/ambito territoriale della provincia di Roma, n. 184 del 2013, precisava: «A tal proposito, si richiama l'attenzione delle SS.LL. (dirigenti scolastici) sull'indirizzo espresso dall'ufficio scolastico regionale per il Lazio in ordine all'indirizzo di non accoglimento delle istanze di trattenimento in servizio del personale docente ed ata»; e con l'occasione aggiungeva: «come per le richieste di proroga per un biennio sia stata valorizzata la discrezionalità nella concessione del trattenimento in servizio che non costituisce più un diritto potestativo attribuito all'interessato, bensì di un diritto condizionato alle esigenze e valutazioni dell'amministrazione»;
   tuttavia da informazioni formali, definite parziali dallo stesso ufficio scolastico regionale del Lazio, nell'anno scolastico 2013/2014 sono stati disposti ben 67 trattenimenti in servizio (53 a Roma, 10 a Latina, 3 a Frosinone e 1 a Viterbo) ovvero 20 ata, 3 docenti della scuola dell'infanzia, 17 della primaria, 14 della scuola media, 10 delle superiori e 2 irc. Inoltre, l'informazione pur ufficiale non è reputata perfettamente attendibile, cioè è al ribasso, perché non esisterebbe, secondo l'amministrazione scolastica territoriale, un'apposita rilevazione del sistema informativo del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca –:
   se e in che modo il Ministro interrogato intenda vigilare che i dirigenti scolastici abbiano seguito l'indirizzo di non accoglimento delle istanze in argomento e se e in che modo intenda provvedere in caso di mantenimenti in servizio non accoglibili al termine del corrente anno scolastico 2013/2014 e del passato anno scolastico 2012/2013. (3-00859)


   DORINA BIANCHI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito delle misure che il Governo intende adottare al fine di mettere in sicurezza gli edifici scolastici presenti sull'intero territorio nazionale, merita una particolare attenzione il preoccupante tema dell'amianto;
   in Italia, infatti, sono oltre 2.400 le scuole nelle cui strutture vi è presenza di tale pericoloso materiale. E questo dopo 20 anni dalla messa al bando dell'amianto: di conseguenza, sono oltre 30.000 i ragazzi, i docenti, gli operatori scolastici e personale amministrativo che si trovano quotidianamente esposti al grave rischio di contaminazione;
   la presenza di questo materiale altamente nocivo è distribuita in percentuali più o meno simili tra le regioni italiane –:
   quali siano i tempi e le modalità con le quali il Governo intende intervenire sul piano della sicurezza degli istituti scolastici in generale e nello specifico in merito al preoccupante tema della presenza di amianto in questo tipo di strutture.
(3-00860)


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'Ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza o sull'origine etnica (Unar), istituito con il decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, presso il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri, ha emanato e diffuso nelle scuole di ogni ordine e grado tre opuscoli intitolati «Educare alla diversità a scuola», dal contenuto pressoché identico se si prescinde da alcune piccole varianti per «adattarli» ai diversi gradi di scuola;
   i libretti sono stati emanati al fine di realizzare i «percorsi innovativi di formazione e aggiornamento per dirigenti, docenti e alunni sulle materie antidiscriminatorie, con particolare focus sul tema Lgbt e sui temi del bullismo omofobico e transfobico», nell'ambito della nuova «strategia nazionale» antiomofobia, affidata con un decreto del Governo a 29 associazioni del mondo lesbo, gay, bisessuale e transessuale e finanziata dai contribuenti con dieci milioni di euro;
   attraverso gli opuscoli la teoria del gender sarà insegnata nelle scuole italiane sin dalla più tenera età, partendo dal fatto che l'identità sessuale sarebbe formata da quattro componenti: la prima sarebbe l'identità biologica che si riferisce al sesso, la seconda sarebbe l'identità di genere che dipende dalla percezione che si ha di sé, la terza sarebbe il ruolo di genere imposto dalla società, mentre la quarta sarebbe l'orientamento sessuale, quello da cui dipende l'attrazione verso altre persone;
   in attuazione di quanto previsto dalle linee guida antiomofobia e di quanto illustrato negli opuscoli, nelle scuole di tutta Italia si stanno moltiplicando iniziative di educazione alla diversità sessuale che si sostanziano nella proiezione di film a tematiche omosessuali o su modelli familiari «alternativi», lezioni nelle classi da parte di persone omosessuali o transessuali ed altro, che stanno suscitando animate proteste da parte delle associazioni dei genitori, che, in particolare, criticano la giovane età di molti degli studenti coinvolti, nonché il fatto di non essere stati affatto coinvolti circa la decisione sull'opportunità o meno di dar luogo a tali iniziative;
   gli opuscoli, peraltro, fanno esplicito riferimento alla necessità di «contribuire alla conoscenza delle nuove realtà familiari, superare il pregiudizio legato all'orientamento affettivo dei genitori», di fatto inficiando il fondamentale ruolo svolto proprio dai genitori nell'educazione e formazione di un individuo;
   con il lancio della campagna anti omofobia e la pubblicazione degli opuscoli, l'Ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza o sull'origine etnica ha, ad avviso dell'interrogante, palesemente travalicato i propri compiti istituzionali, limitati alla discriminazione razziale, o etnica, e religiosa;
   in seguito alle proteste dei genitori sembrerebbe per ora essere stata sospesa la diffusione degli opuscoli, ma non si fermano le iniziative nelle scuole –:
   quali urgenti iniziative di competenza intenda assumere al fine, da un lato, di porre un freno alle manifestazioni realizzate dalle scuole in attuazione delle citate linee guida e dei precetti dei citati opuscoli e, dall'altro, per ricondurre nel proprio alveo istituzionale l'Ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza o sull'origine etnica.
(3-00861)

Interrogazione a risposta scritta:


   ZAN. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il liceo artistico Amedeo Modigliani di Padova risulta debitore verso lo Stato di euro 88.671: un debito che l'istituto scolastico avrebbe contratto nella passata gestione per il mancato pagamento di IRPEF e IRAP relativi ai compensi dei docenti legati alla realizzazione di alcuni progetti nel 2008, cui si aggiunge una sanzione amministrativa di ben 6.718 euro;
   si tratta di una somma insostenibile per il liceo Modigliani, che metterebbe a serio rischio il normale prosieguo delle attività scolastiche e laboratoriali dell'istituto;
   gli studenti si stanno trovando a sopportare le conseguenze dell'errata gestione di spese risalenti a sei anni fa – una gestione che peraltro non coinvolge l'attuale dirigenza scolastica. A oggi è stata ottenuta una rateizzazione dell'importo, da pagare in 4 anni, mentre la sanzione amministrativa andrà corrisposta interamente in un'unica soluzione nel periodo settembre-ottobre 2014, andando inevitabilmente a incidere sui programmi del prossimo anno scolastico;
   vi sarebbero già stati diversi colloqui con l'Agenzia delle entrate di Padova e di Venezia, nonché con gli uffici del Ministero, da parte della presidente del Comitato genitori e del dirigente scolastico, ma la situazione appare ancora difficile;
   con il conseguente dimezzamento del FIS (fondo di istituto) a tutte le scuole, riducendo così drasticamente l'insieme delle risorse finanziarie che arrivano alla scuola per retribuire attività aggiuntive e/o intensificare quelle esistenti, probabilmente non vi saranno i fondi nemmeno per assicurare gli sportelli didattici agli studenti che devono recuperare qualche materia a settembre –:
   se i Ministri intendano attivarsi, secondo le rispettive competenze, affinché l'Agenzia delle entrate riveda le tempistiche di recupero del credito o comunque se intendano assicurare eventuali fondi per sanare la situazione debitoria dell'istituto scolastico;
   quali azioni e iniziative i Ministri, per quanto di relativa competenza, intendano porre in atto con urgenza per impedire che il liceo artistico Amedeo Modigliani di Padova sia ostacolato nella piena e regolare effettuazione del proprio servizio da insostenibili oneri finanziari che farebbero ricadere le conseguenze di una probabile non corretta gestione amministrativa e finanziaria sugli studenti, con gravi ripercussioni sugli interessi e diritti di questi ultimi. (4-05003)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VENTRICELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la «SAEM Energie Alternative» viene costituita nel 2006; nel 2008 i soci fondatori cedono il 55 per cento delle quote sociali alla «KERSELF spa» con sede in Reggio Emilia, obbligandosi a cederne il 100 per cento in seguito e ottenendo in cambio un pagamento parziale: per il saldo del pagamento dovuto i soci sono attualmente in attesa. Nel 2009 il fondatore della «Kerself», Pierangelo Masselli, cede una quota di partecipazione alla «Avelar Energy ltd», a sua volta controllata dalla «Renova» che ne assume così il controllo;
   nel 2010 la «Kerself» vara un piano industriale asseverato da «PriceWaterhouseCooper», «Mediobanca» ed un gruppo di periti indipendenti nominati dal Tribunale di Reggio Emilia, e cambia in seguito il proprio nome in «Aion»; Pierangelo Masselli viene sollevato dal suo incarico e gli subentra Igor Akhmerov, già presidente di «Avelar Energy ltd», che diventa Presidente di «Aion» e Presidente di «SAEM», mentre il suo socio, Marco Giorni, già amministratore delegato di «Avelar» diventa amministratore delegato di «Aion» e consigliere di «SAEM»;
   nel 2012 i soci fondatori, spinti dalle prospettive di sviluppo del Gruppo previste nel piano industriale asseverato, cedono l'ulteriore 36 per cento delle loro quote societarie ottenendo in cambio solo azioni della «Aion», che però non vengono mai immesse sul mercato azionario e che oggi, a seguito del fallimento della «Aion», hanno perso ogni valore. Con questa ultima acquisizione, «Aion» controlla la «SAEM» per il 91 per cento: nel già citato momento il presidente del consiglio di amministrazione «Saem» è Igor Akhmerov, i consiglieri sono Marco Giorni e Angelo Colonna, e l'amministratore delegato è Francesco Maggi, sebbene quest'ultimo limitato statutariamente nei suoi poteri di amministratore;
   in base ai dati statistici Eurostat, già nel 2012 l'Italia ha raggiunto la quota del 13,5 per cento del consumo interno lordo coperto da fonti rinnovabili (ben oltre il target del biennio 2013-14, stabilito al 9,5), residuando dunque un 3,5 per cento da colmare per raggiungere il target 2020 fissato per l'Italia al 17 per cento; il cosiddetto Quinto Conto Energia ha raggiunto il limite massimo di spesa stabilito in 6,7 miliardi di euro annui, di talché dallo scorso anno chi installa pannelli fotovoltaici non riceve più alcun incentivo. Gli studiosi del settore ritengono che gli impianti favoriti in questa fase, grazie alla detrazione fiscale, siano quelli casalinghi di potenza pari a circa 3 chilowatt, soprattutto al Sud e nel Centro del Paese;
   tuttavia il sistema non parrebbe aver funzionato bene, poiché il meccanismo degli incentivi, dal 2007 al 2013, pur avendo assolto alla funzione di traino allo sviluppo delle rinnovabili – con l'abbattimento dei prezzi e il maggiore accesso alle tecnologie – ha creato numerose situazioni patologiche. Non ci si riferisce soltanto all'impatto ambientale, ma alla presenza di spregiudicati attori finanziari che hanno approfittato del Conto Energia, drenando risorse economiche pubbliche, a discapito delle imprese e dei lavoratori sul territorio: in Puglia, in particolar modo, questo è avvenuto in maniera evidente;
   il tema degli incentivi utilizzati per mere speculazioni finanziarie non è nuovo; è stato – ed è tutt'ora – al centro delle cronache, e ha raggiunto l'apice di criticità in questo periodo storico. Forze dell'ordine e magistratura stanno approfondendo situazioni sospette come il «forziere lussemburghese» intestato alla società russa «Renova», con una ventina di società che fanno capo al gruppo, il cui proprietario è Vicktor Vekselberg. Lo schema imprenditoriale ricorrente e collaudato è molto chiaro: debiti lasciati sulle spalle delle imprese locali e ricchezze trasferite all'estero, attraverso una serie di scatole vuote sparse sul territorio italiano. Una lunga catena di fallimenti che ha danneggiato in tutta Italia centinaia di lavoratori, che in più di una occasione avevano espresso preoccupazione per queste acquisizioni. In Puglia è stata coinvolta suo malgrado un'azienda altamurana, della provincia di Bari, la «Saem Energie Alternative», progettista e sviluppatrice di impianti fotovoltaici, che aveva creduto in un piano industriale presentato dai russi e asseverato da «PriceWaterhouseCoopers», «Mediobanca» e un gruppo di periti indipendenti;
   gli altamurani soci fondatori, confortati dalle prospettive di sviluppo previste nel piano industriale, hanno ceduto quote dell'azienda fino al 91 per cento alla società «Aion», ex «Kerself», controllata indirettamente dai russi; la «Aion» ha commissionato nel tempo alla «Saem» circa 50 parchi fotovoltaici dalla potenza di circa 1 megawatt (e dal valore, in media, di 1,5 milioni di euro cadauno) chiedendo che i campi venissero finiti le connessi entro il 31 agosto 2012, al fine di poter godere del Quarto o Quinto Conto energia, per ottemperare – così veniva promesso per far lavorare a credito – al piano industriale, acquisire i finanziamenti bancari, e poter, quindi, pagare la «Saem». Tuttavia, completati i campi fotovoltaici a regola d'arte e connessi i campi alle rete Enel, la committente «Aion» ha ceduto (anche qui con modalità torbide) tutti i campi a società sue controllate lasciando una voragine di debito verso «Saem» di circa 57 milioni di euro e portando gli incentivi statali, insieme alla proprietà dei campi fotovoltaici, in Lussemburgo;
   a dicembre 2012 la «Aion» presenta domanda di concordato preventivo e, dopo tre mesi, viene dichiarata fallita; la «Saem» non può così riscuotere i propri crediti, neanche in minima percentuale, e così a sua volta non riesce a pagare i propri fornitori. «Saem» presenta istanza di ammissione allo stato passivo del fallimento «Aion» per i circa 57 milioni di euro, domanda che viene integralmente accolta ma che, con ogni probabilità, non verrà mai soddisfatta per incapienza del fallimento;
   ad aprile 2013 la «Saem» è costretta a ricorrere alla procedura di concordato preventivo in continuità aziendale, grazie a contratti di cui è titolare e che le garantirebbero lavoro almeno per i prossimi venti anni. I commissari giudiziali nominati dal Tribunale di Bari hanno esaminato rigorosamente e puntualmente tutte le scritture contabili dell'esercizio in corso e di quelli precedenti nonché tutti gli atti posti in essere dalla «Saem» e concedono parere favorevole alla omologazione del concordato;
   tuttavia, il 1o aprile 2014 il concordato preventivo in continuità non viene omologato dal tribunale di Bari che dichiara il fallimento dell'impresa. Pochi giorni dopo, dietro istanza dei legali, il Tribunale prende atto che la «Saem» è un'azienda viva, con 50 dipendenti, che negli ultimi 11 mesi ha fatturato oltre tre milioni di euro, producendo ben 200 mila euro di utili e concede così l'esercizio provvisorio, delegando la gestione amministrativa e operativa della società ai soci fondatori Angelo Colonna e Francesco Maggi. Subito dopo, la società ha chiesto al Ministero del lavoro di erogare in favore dei suoi dipendenti la Cassa integrazione straordinaria;
   si auspica, naturalmente, per il bene dell'azienda e dei lavoratori, che la «Saem» possa ritornare in bonis, sottolineando che con il piano concordatario presentato, la società continuerebbe a lavorare grazie alle commesse ottenute producendo ricchezza per il territorio e dando lavoro a circa 250 persone, ed è bene altresì sottolineare che appare di rilevante evidenza come la questione «Saem Energie Alternative» non rileva di per sé ma in quanto paradigma di un modus operandi che, grazie a elaborazioni tecnico/giuridiche spregiudicate, ha sfruttato le risorse nazionali esportando ricchezza all'estero e lasciando al territorio solo debiti e inquinamento –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti riportati e quali siano i suoi orientamenti in merito ad una situazione che, come esposto in premessa, non riguarda solo il caso specifico segnalato, ma ha una portata molto più elevata;
   se non intenda, in misura preventiva e per permettere di analizzare in maniera più approfondita tale vicenda, di concerto con il Gestore dei servizi energetici, sospendere momentaneamente l'erogazione dei contributi statali a tutte le società committenti che con architetture societarie e costruzioni giuridiche di non verificata legittimità abbiano omesso, di pagare i propri appaltatori e subappaltatori, autorizzando la continuazione dell'erogazione di detti contribuiti, per tutto il tempo originariamente previsto, solo una volta che il committente abbia fornito prova dell'avvenuto pagamento di tutta la filiera interessata alla costruzione degli impianti fotovoltaici;
   se non ritenga ripensare ai regolamenti e ai criteri che regolano l'erogazione dei suddetti contributi, poiché con una più attenta analisi e una eventuale sospensione preventiva si potrebbe rimediare, probabilmente in maniera tardiva, alla grave dimenticanza commessa dal legislatore quando, nel varare la normativa sul Conto energia, non ha previsto un meccanismo simile a quello degli appalti pubblici in forza del quale il committente non viene pagato se non prova di aver onorato i debiti con i fornitori, e tanto in virtù del fatto che tali contratti potrebbero qualificarsi, seppur latamente, come «pubblici» a cagione della concessione di ingenti incentivi statali. (5-02929)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la legge finanziaria n. 111 del 15 luglio 2011 ha introdotto il cosiddetto «superticket», ovvero un ticket di 10 euro su ogni ricetta per prestazioni di diagnostica e specialistica;
   l'applicazione di questo nuovo superticket è stata lasciata al livello regionale;
   alcune regioni hanno espresso le loro posizioni nei confronti della norma ed applicato il ticket in modo differente;
   è infatti consentito alle regioni di trovare altre forme di compartecipazione, purché siano concordate con il Governo;
   si sono di conseguenza, venuti a creare quattro diversi tipi di posizione: regioni che hanno rifiutato di applicare il ticket, regioni che hanno applicato i 10 euro di ticket in modo indiscriminato, regioni che hanno modulato il ticket in base al reddito e regioni che hanno modulato il ticket in base alla complessità della prestazione;
   con l'introduzione del superticket, quindi, i prezzi sono diventati geograficamente ondivaghi;
   basta quindi fare qualche decina di chilometri e gli stessi identici test clinici possono costare anche il triplo;
   il 13 per cento degli italiani ha rinunciato a farsi curare, principalmente a causa degli eccessivi costi;
   un rapporto dell'associazione Altroconsumo ha preso in considerazione alcuni casi comuni e diffusi sul territorio nazionale per dimostrare la differenza di trattamento che si è venuta a creare tra i cittadini delle diverse regioni;
   un sospetto di calcoli renali, ad esempio, per i quali il medico di base chiede solitamente un esame delle urine, una visita nefrologica, una radiografia ed un'ecografia, viene a costare totalmente circa 90 euro laddove non si applica il superticket e 160 euro dove invece esso viene applicato, mentre nei casi in cui il calcolo avviene in base al reddito del paziente il costo può andare dai 92 ai 212 euro;
   per sospetti noduli alla tiroide sono solitamente previsti un consulto dall'endocrinologo, esami del sangue ed un ago aspirato, ed il costo complessivo va dai 118 euro previsti dal sistema sanitario della Basilicata ai 177 euro che la cittadinanza del Friuli Venezia Giulia è costretta a spendere;
   a parità di prestazioni, quindi, i costi sono estremamente diversi;
   ciò finisce col discriminare la popolazione per appartenenza regionale e per reddito, amplificando gli effetti di uno squilibrio economico già fin troppo evidente (specialmente tra Nord e Sud) e ponendosi in contrasto col diritto universale alla salute;
   secondo l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali il superticket ha fatto diminuire del 17-20 per cento in un anno le prestazioni;
   i fatti narrati sono riportati anche dall'articolo pubblicato il 28 maggio 2014 da La Repubblica con il titolo «La beffa dei ticket» – da Napoli a Venezia così triplica il prezzo di un test –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione descritta;
   se abbia già intrapreso, per quanto di competenza, iniziative in merito;
   se non ritenga urgente e doveroso assumere iniziative al fine di rivedere la funzione e l'efficacia del superticket e risolvere questa situazione di estrema discriminazione venutasi a creare. (4-04997)


   OLIVERIO e MONGIELLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   come evidenziato dalle competenti pagine informative del ministero della salute, oggi la patologia della celiachia interessa circa l'1 per cento della popolazione generale ed è più frequente tra le donne, 3 volte più che negli uomini;
   la celiachia, o malattia celiachia, è una malattia permanente su base infiammatoria dell'intestino tenue caratterizzata dalla distruzione della mucosa di questo tratto intestinale. Essa è causata da una reazione autoimmune al glutine, la frazione proteica alcol-solubile di alcuni cereali quali grano, orzo, segale. Molti sono gli alimenti che contengono questi cereali, tra i più diffusi pane, pizza, pasta, biscotti;
   nelle persone geneticamente predisposte alla celiachia, le cellule del sistema immune attivate dall'esposizione al glutine attaccano la mucosa dell'intestino tenue, arrivando a distruggere i delicati villi che sono le strutture responsabili dell'assorbimento di nutrienti e minerali. Questo danno determina nei casi più gravi una sindrome da malassorbimento e uno stato di malnutrizione;
   con la legge 4 luglio 2005, n. 123, recante «Norme per la protezione dei soggetti malati di celiachia», la malattia celiaca o celiachia è stata classificata come una intolleranza permanente al glutine ed è stata riconosciuta come malattia sociale;
   la legge n. 123 del 2005 dispone specificamente che al fine di garantire un'alimentazione equilibrata, ai soggetti affetti da celiachia è riconosciuto il diritto all'erogazione gratuita di prodotti dietoterapeutici senza glutine;
   in tale ambito gli interventi previsti dalla normativa nazionale e regionale sono diretti, unitamente agli interventi generali del Servizio sanitario nazionale, a favorire il normale inserimento nella vita sociale dei soggetti affetti da celiachia;
   gran parte delle regioni italiane, nel rispetto della normativa sopra richiamata, hanno messo in atto programmi operativi volti a permettere alle persone affette da celiachia di rifornirsi dei prodotti alimentari senza glutine, a carico dei relativi servizi sanitari regionali, anche presso comuni negozi convenzionati, e non solo nelle farmacie, ad ogni modo in grado di coprire gli interi territori regionali;
   in questo modo, le persone con celiachia ottengono determinati buoni spesa, di regola mensili, che vengono inviati a domicilio dalle aziende Usl di residenza. Il valore di tali buoni varia in funzione del sesso e dell'età del cittadino;
   purtroppo non in tutte le regioni italiane la situazione di favore prevista dalla legge n. 123 del 2005 per i malati celiaci è in grado di consentire ad essi di poter esercitare effettivamente il loro diritto a ricevere l'erogazione gratuita dei prodotti alimentari senza glutine;
   un caso di tale criticità si starebbe verificando nella regione Calabria. Al riguardo, proprio in questi giorni, un comunicato-stampa di Federfarma Calabria denuncia il rischio di interruzione dell'erogazione dei buoni spesa per i malati celiaci di questa regione;
   il comunicato in questione così recita: «Sembrava che Regione e farmacisti avessero trovato un punto d'accordo per quel che riguarda la fornitura dei prodotti senza glutine, ma in occasione dell'ultimo incontro avvenuto, 28 maggio, è riemersa un'incomprensibile mancanza di collaborazione. Per garantire correntezza nei rimborsi delle forniture per assistiti celiaci e, allo stesso tempo, ridurne gli oneri burocratici connessi, Federfarma aveva chiesto alla Regione, nella persona del direttore generale dell'Assessorato alla Salute, di provvedere a detti pagamenti di mese in mese, contestualmente a quelli delle ricette dei farmaci. Il motivo è molto semplice: a seguito della diminuzione di forniture per celiaci nelle singole farmacie a causa dell'allargamento della platea dei fornitori, la consegna dei buoni in uffici diversi, spesso lontani, a volte per un solo buono e anche in ASP diverse da quella di appartenenza diventerà macchinosa, dispendiosa e burocraticamente inutile. Quale sia la motivazione che la Regione dà è del tutto incomprensibile; si può pensare che sia la volontà di qualche servizio farmaceutico a non volerlo fare ? Oppure c’è un interesse a rendere più complicato e contorto un passaggio così semplice ?»;
   in altre regioni, quali Lazio, Liguria, Campania ed Emilia Romagna, regioni che spesso e volentieri sono prese dai rappresentanti regionali come riferimento e ad esempio per modernità e snellimento delle procedure, i buoni per celiaci sono inseriti nella distinta mensile per cui vengono pagati insieme ai farmaci. Quindi mantenere questo stato di complessità in una cosa che si potrebbe risolvere in un semplice e unico passaggio, rimane incomprensibile e frustrante; anche perché buoni che sono stati presentati all'inizio dell'anno con relativa fattura sono ad oggi ancora fermi in qualche ufficio facendo così aumentare il ritardo del pagamento (ad oggi sono già quattro mesi di ritardo). Indubbiamente, tale mancanza di collaborazione non giova a nessuno e farà ben presto sentire i suoi effetti negativi sull'efficienza del servizio;
   non è la prima volta che i farmacisti della regione Calabria sono costretti a fare i conti con poco comprensibili comportamenti delle ASP ben lontani da quel dovere di attenzione che bisognerebbe prestare nei confronti di coloro che, come le farmacie, espletano un servizio fondamentale per la collettività. Comportamenti che hanno spesso costretto le farmacie ad azioni di autotutela, tanto dure quanto necessarie. La consulta regionale sindacale titolari di farmacia della Calabria denuncia pertanto che a causa della totale mancanza di collaborazione da parte dell'assessorato alla salute, l'erogazione dei prodotti per celiaci dal 1o giugno 2014 non potrà essere assicurata dalla gran parte delle farmacie della regione che sono già gravate dai notevoli ritardi dei pagamenti per le forniture di medicinali –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza del rischio di interruzione dell'erogazione dei prodotti dietoterapeutici per i malati celiaci della regione Calabria, in particolare ai sensi delle circostanze descritte in premessa;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda il Ministro interrogato, ad ogni modo, mettere in atto affinché i malati di celiachia possano sempre ed effettivamente vedersi riconosciuto il diritto ad avere gratuitamente i prodotti alimentari senza glutine;
   se nel caso specifico riguardante la regione Calabria, non ritenga urgente anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario accertare l'effettiva osservanza delle previsioni recate dalla legge n. 123 del 2005. (4-05000)


   OLIVERIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   gli ospedali calabresi devono fare i conti con difficoltà di varia natura, soprattutto con la carenza dei posti letto. Il rischio, anzi la certezza, è quella di dover andare da una struttura all'altra prima ancora di trovare una consulenza pediatrica o di sottoporsi ad intervento ortopedico. Ovviamente tutto questo è ancora più problematico nelle ore notturne;
   la carenza di personale che si verifica, in particolare, nella sala operatoria di ortopedia dell'ospedale di Soverato costringe i pazienti che si presentano al pronto soccorso ad essere dirottati in altre strutture sanitarie. È quanto traspare da una dichiarazione del direttore responsabile del presidio, Amalia Milano;
   la decisione è stata adottata dal direttore sanitario dell'ospedale il 31 maggio 2014 e si lega alla preoccupazione del dirigente responsabile di ortopedia che ha dichiarato che la sala operatoria di ortopedia è nell'impossibilità di fornire gli adeguati servizi;
   a parere dell'interrogante la sanità ospedaliera del territorio di Soverato, privata di questi importanti reparti, diventerebbe precaria e inefficace, con gravissime ripercussioni sulla popolazione;
   i medici in poco tempo si sono ridotti da cinque a due o tre e ciò non consente la possibilità di costituire l’équipe dalle ore 14 alle ore 8;
   anche il reparto di pediatria sta attraversando un periodo di difficoltà; vi è solo un medico nel reparto di padiatria;
   nella popolazione cresce la preoccupazione che forse con molta probabilità l'intero presidio ospedaliero rischia che venga chiuso;
   solo grazie all'impegno e alla professionalità del personale medico e infermieristico, i due reparti in questione hanno, finora, fatto registrare significativi e lusinghieri giudizi positivi e che per tali ragioni la privazione di servizi essenziali nel contesto dell'offerta della struttura ospedaliera comporterà un deterioramento qualitativo di un sistema sanitario i cui disservizi mettono sempre più a rischio la salute dei cittadini –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle possibili conseguenze che potrebbero derivare dalla chiusura del reparto di ortopedia e del reparto di pediatria dell'ospedale di Soverato e quali iniziative per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario intenda adottare per assicurare alle comunità interessate il diritto costituzionale alla tutela della salute, all'assistenza medica e alla somministrazione dei livelli essenziali di assistenza. (4-05001)


   PASTORELLI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il diritto alla tutela della salute è garantito dalla Costituzione e non può essere oggetto di discriminazione territoriale;
   in generale, i laboratori ARPA sono l'unica fonte di vigilanza ambientale (acqua, aria, terreni, rifiuti, bonifiche) liberamente a disposizione del singolo cittadino; le emergenze ambientali in Arpa sono all'ordine del giorno e i laboratori servono a questo;
   la loro drastica riduzione, prevista in gran parte delle regioni italiane, comporta necessariamente un pesante ridimensionamento dei controlli effettuati sul territorio; inoltre, ciò comporterà la dispersione di professionalità specialistiche già acquisite, l'interruzione di legami e scambi di utili informazioni tra operatori di laboratorio e addetti alle attività di controllo; si spenderanno altresì ingenti risorse per il trasporto refrigerato su strada di tutti i campioni dall'intero territorio regionale verso le sedi che rimarranno operative;
   la chiusura di numerose sedi provinciali – ultima delle quali in ordine di tempo quella di Padova, il cui laboratorio di analisi, grazie all'alta professionalità dei tecnici, è stato promosso dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare unica struttura nazionale che dovrà svolgere le analisi di qualità dell'aria – avrà come conseguenza un evidente abbassamento del livello di sicurezza sull'intero territorio. Si tratta di un'operazione che, ad avviso dell'interrogante, non rispetta la missione costitutiva delle Agenzie regionali di protezione ambientale, quella del controllo pubblico della qualità dell'ambiente a supporto della prevenzione sanitaria a tutela della salute pubblica; infatti, l'Agenzia è a pieno titolo parte integrante del Servizio sanitario nazionale –:
   di quali informazioni dispongano i Ministri interrogati in merito a quanto sopra esposto e se e quali iniziative intendano intraprendere, anche sul piano normativo e sulla base di intese in sede di Conferenza Stato-regioni, per pervenire al potenziamento della rete deputata ai controlli ambientali, favorendo ogni soluzione utile a evitare scelte di destrutturazione come quella di cui in premessa. (4-05009)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


  LIUZZI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 5 del codice dell'amministrazione digitale (decreto legislativo n. 82 del 2005 e articolo 15 del decreto legislativo 179 del 2012 cosiddetto decreto crescita 2.0), ha introdotto l'obbligo per le pubbliche amministrazioni e i gestori di pubblici servizi di accettare modalità di pagamento caratterizzate dall'uso delle tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni;
   l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, il 28 marzo 2014, nell'esercizio del potere di segnalazione di cui all'articolo 22 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, ha ritenuto opportuno svolgere delle osservazioni in merito alle linee guida emanate dell'Agenzia per l'Italia digitale dichiarando che esse non svolgono in merito ai pagamenti elettronici, una «forte azione propulsiva per le pubbliche amministrazioni» rispetto al «persistere di ostacoli alla diffusione di un'ampia gamma di strumenti di pagamento e, conseguentemente, alla libera scelta dell'utenza» (attività di segnalazione e consultiva, AS1123 in materia di «Modalità di pagamento delle somme dovute alla pubblica amministrazione);
   le «Linee guida per l'effettuazione dei pagamenti elettronici a favore delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi» che l'AgID ha pubblicato sul suo sito nel mese di gennaio 2014, secondo l'Autorità sono troppo poco stringenti e peraltro rimandano l'implementazione a giugno 2015, vale a dire un anno e sei mesi dopo il termine del 30 giugno 2013 indicato dall'articolo 5, comma 1, del Codice dell'amministrazione digitale e lasciando così la possibilità di non rispettare la norma in maniera rigorosa. A tal proposito nella segnalazione, si legge che: «L'Autorità ritiene che siffatta incertezza sulla tempistica rischia di ritardare significativamente, se non di vanificare, la piena attuazione dell'articolo 5 del CAD e, conseguentemente di compromettere lo sviluppo di piene dinamiche competitive nell'offerta di strumenti di pagamento alle PP.AA.»;
   dal documento di segnalazione dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato si evidenzia anche: «la prassi di vari enti locali di non pubblicare il codice IBAN necessario per poter pagare attraverso il bonifico bancario, gli importi loro dovuti, quali le multe del Codice della Strada» e che, in merito alle modalità di pagamento, «risultano vigenti alcune disposizioni (ad esempio dell'Agenzia delle Entrate e del Ministero delle Finanze) che sostanzialmente privilegiano gli strumenti di pagamento di Poste Italiane»;
   a detta dell'interrogante le linee guida succitate, non creando le condizioni per una reale interoperabilità degli strumenti di pagamento, non fanno altro che continuare a incentivare pagamenti con mezzi obsoleti con costi aggiuntivi, e ostacolano modalità di pagamento veloci per l'utenza e utili al accelerare i tempi di incasso da parte delle pubbliche amministrazioni;
   il regolamento (UE) 260/2012, al fine di incentivare la concorrenza tra più strumenti di pagamento, sancisce che gli Stati membri devono consentire l'interoperabilità tecnica tra i diversi strumenti, privilegiando l'apertura al mercato e la semplificazione verso il cittadino pagatore anche attraverso il ricorso al tradizionale bonifico bancario –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro volte a rendere effettivi i pagamenti elettronici e con quali tempi, nel rispetto delle direttive comunitarie, della tutela della concorrenza e del mercato, anche a fronte delle segnalazioni dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. (4-04998)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CRIVELLARI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   lo stabilimento Cargill srl di Castelmassa (RO), parte della multinazionale statunitense Cargill Incorporated, che nel Polesine produce una vasta gamma di prodotti derivati dell'amido usando e trasformando il mais, con una produzione destinata a diversi settori tra i quali l'industria alimentare, la zootecnia, il settore chimico-farmaceutico e non ultimo la produzione di cartone ondulato, ad oggi impiega al proprio interno più di trecento addetti e genera una economia indotta di notevole entità per l'area polesana;
   già nel 2012 l'azienda aveva dichiarato 19 esuberi per il sito polesano, dopo la chiusura della sede di Vigonza (PD) con un taglio di 21 dipendenti e la messa in mobilità di circa 48 unità impegnate nel sito a mare di Chioggia, successivamente ceduto ad altra azienda;
   nei giorni scorsi le sigle sindacali hanno indetto una serie di scioperi per l'ipotesi di un ulteriore taglio dei dipendenti con funzioni informatico-amministrative, quattro o forse cinque esuberi – ma che potrebbero anche aumentare, dato che il dipartimento finanziario si aggira sulle venti unità;
   visto che lo sciopero annunciato nasce dalla mancata apertura di un tavolo di confronto da parte dell'azienda, che da quanto è dato sapere ha comunque iniziato un piano di riorganizzazione e ristrutturazione a livello mondiale, nella direzione della esternalizzazione dei servizi e tra questi quelli informatici o legati alle buste paga, accentrandoli e delocalizzandoli in altri Paesi;
   inoltre si apprende dalla stampa che proprio questo tipo di attività sono state date in servizio ad una società indiana;
   va tenuto conto della storia che questo stabilimento riveste per Castelmassa e per il Polesine: la fabbrica un tempo si chiamava Cerestar e iniziò la propria attività un secolo fa;
   ma soprattutto va considerato, nonostante il periodo di crisi, che anche il settore agroalimentare sta vivendo, il valore e l'importanza di questo sito produttivo per l'economia del territorio;
   valutato il timore che, come sollecitato dalle sigle sindacali, le ipotesi odierne di esubero del personale con particolari funzioni possa preludere a tagli ed esuberi ulteriori nel comparto della produzione, che ad oggi conta numerosi addetti con alta professionalità ed efficienza –:
   se sia possibile aprire un tavolo di confronto con l'azienda, con i sindacati e con le istituzioni locali e nazionali per meglio comprendere le linee dell'eventuale piano di riorganizzazione che la Cargill intende porre in atto, in modo da concertare politiche e strategie tali da poter salvaguardare il peso e l'importanza dello stabilimento di Castelmassa per l'economia del territorio e per la presenza della multinazionale in Italia. (5-02917)


   FRAGOMELI, BENAMATI e PELUFFO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   le compagnie petrolifere hanno piena autonomia nella definizione del prezzo dei carburanti per autotrazione, i gestori degli impianti di distribuzione non possono fare altro che accogliere ed attenersi alle disposizioni ricevute, avendo un margine di guadagno, per ogni litro di carburante erogato, pari a 0,029/0,031 euro;
   da detto margine vanno detratte le spese per la gestione ed il mantenimento della stazione di servizio nonché le quote relative ai versamenti INAIL, INPS (ogni gestore ha un minimo da versare annualmente pari a circa 3.200 euro per ciascun socio) e IRPEF;
   l'articolo 34, comma 7, della legge 12 novembre 2011, n. 183, ha riconosciuto alla categoria dei gestori di impianti di erogazione carburanti un bonus fiscale strutturale, stabilendo la gratuità, sia per l'acquirente che per il venditore, delle transazioni regolate con carte di pagamento presso gli impianti di distribuzione di carburanti di importo inferiore ai 100 euro;
   successive modificazioni, tuttavia, hanno sostanzialmente inficiato l'efficacia della norma, stabilendone una sorta di «sopravvivenza a tempo» collegata alla definizione di nuove regole atte a ridurre le spese di commissione: l'Associazione bancaria italiana, le associazioni dei prestatori di servizi di pagamento, la società Poste italiane spa, il consorzio Bancomat, le imprese che gestiscono circuiti di pagamento e le associazioni delle imprese maggiormente significative a livello nazionale, avrebbero dovuto definire entro il termine del 1o giugno 2012 – e applicare entro i tre mesi successivi – nuove regole generali allo scopo di assicurare una riduzione delle commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento;
   a tali regole generali si sarebbe dovuta dare definizione tenendo conto della correlazione tra le commissioni e le componenti di costo effettivamente sostenute da banche e circuiti interbancari, distinguendo le componenti di servizio legate in misura fissa all'esecuzione dell'operazione da quelle di natura variabile legate al valore transato e valorizzando il numero e la frequenza delle transazioni;
   ad oggi, tuttavia, nessun accordo sulle regole è stato raggiunto tra sistema bancario e di gestione dei circuiti card e rappresentanze di operatori; inoltre, con l'articolo 15, comma 4, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, è stata resa obbligatoria, per gli esercenti la vendita di beni e la prestazione di servizi, l'accettazione dei pagamenti in moneta elettronica;
   neanche il decreto del Ministero dell'economia e finanze 14 febbraio 2014, n. 51, ha contribuito alla risoluzione del problema, limitandosi unicamente a fornire indicazioni di massima (senza specificare cifre percentuali) riguardo i costi delle transazioni non superiori a 30 euro effettuate con moneta elettronica e sulla possibilità di fornire informazioni agli esercenti allo scopo di permettere un generico confronto delle tariffe;
   il decreto del Ministro dello sviluppo economico del 19 aprile 2013 («Contributi per i costi ambientali di ripristino dei luoghi a valere sul Fondo per la razionalizzazione della rete di distribuzione dei carburanti e suo rifinanziamento») regolamenta la corresponsione della quota di contributo al Fondo indennizzi a carico dei gestori di impianti di distribuzione di carburanti per autotrazione che, in precedenza, era invece corrisposto per intero dai titolari delle autorizzazioni ovvero dalle compagnie petrolifere stesse;
   il citato decreto prevede altresì, all'articolo 6, comma 1, che il Fondo è integrato attraverso un contributo a carico dei titolari di autorizzazione e dei gestori degli impianti di distribuzione carburanti della rete ordinaria, articolato in una componente fissa (a carico dei soggetti titolari di impianti pari a 100 euro e pari a 2.000 euro per gli impianti dichiarati incompatibili) ed in una componente variabile (per tutti gli impianti calcolata su ogni litro di carburante per autotrazione venduto sulla rete ordinaria nell'anno 2013 nella misura di 0,0015 euro a carico dei soggetti titolari di impianti e di 0,0005 euro a carico dei gestori;
   al comma 3 del medesimo articolo sono stabilite inoltre le modalità di versamento del contributo, da effettuarsi con un primo versamento a titolo di anticipo entro il 30 aprile 2014 e corrispondente al 50 per cento del contributo dovuto di cui al comma 1, calcolato sulla base della stima dei quantitativi di carburanti per autotrazione venduti nel corso dell'anno 2013; ed un secondo versamento da corrispondersi a titolo di conguaglio entro il 31 dicembre 2014 e corrispondente all'importo residuo del contributo dovuto di cui al comma 1, calcolato sulla base dei quantitativi di carburanti per autotrazione effettivamente venduti nell'anno 2013, accertati anche in riscontro con i dati in possesso dell'Agenzia delle dogane;
   su questo decreto le organizzazioni di categoria hanno manifestato evidenti perplessità in merito all'imposizione di un obbligo contributivo anche per i gestori –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno predisporre un tavolo di confronto allo scopo di razionalizzare la normativa, evitando di disincentivare l'utilizzo dei pagamenti elettronici, e chiarire in via definitiva la questione delle tariffe relative a commissioni e componenti di costo distinguendo altresì tra componenti fisse e componenti variabili;
   se non ritenga necessario intervenire in merito alla normativa riguardante la contribuzione al Fondo indennizzi allo scopo di liberare i gestori di distributori di carburanti da un prelievo iniquo che va ad erodere ulteriormente lo scarso margine di guadagno sui litri di carburante erogati, allineando così la normativa italiana a quella europea anche nel merito della possibilità di libera concorrenza. (5-02920)


   CRIPPA, DA VILLA, DELLA VALLE, FANTINATI e MUCCI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   come si evince da un articolo pubblicato dal sito web «www.ilfattoquotidiano.it» in data 6 novembre 2013 e dalle altre maggiori testate online, l’ex Amministratore delegato di ENI s.p.a. Paolo Scaroni ha rilasciato ai microfoni di Radio 1 alcune preoccupanti dichiarazioni riguardo l'approvvigionamento italiano di gas;
   Scaroni nel suo intervento dichiara che, secondo la sua opinione, sarebbe arrivato il momento che «anche l'Europa viva la rivoluzione dello Shale Gas che è all'origine dell'abbassamento dei costi degli Stati Uniti»;
   lo shale gas è ottenuto dalla frantumazione delle rocce profonde grazie all'immissione di acqua ad alta pressione mista a sostanze chimiche (detto anche «fracking»);
   desta perplessità come ENI, società di fatto controllata dallo Stato considerando una quota azionaria superiore al 30 per cento dei pacchetti del Ministero dell'economia e delle finanze e della Cassa depositi e prestiti, abbia tenuto pubblicamente una posizione sull'approvvigionamento energetico non prevista dal percorso «ufficiale» avviatosi con la SEN, considerati inoltre i dubbi in merito che resistono nelle comunità scientifica ed economica;
   nel dicembre 2009 la Schlumberger Oilfield Services, la più grande compagnia al mondo di servizi alle società petrolifere, ha affermato che il bacino del Po è un «potenziale bacino di shale gas»;
   la compagnia di esplorazione petrolifera Exoma, nel maggio 2010, ha rivelato agli investitori che nella valle del Po ci sarebbero 28 trilioni di piedi cubi di metano, sufficienti a coprire 10 anni di consumi italiani;
   nell'ultimo rapporto del World Energy Council, un'altra tabella rivela che l'Italia possiederebbe 73,000 milioni di barili di petrolio da scisto, pari a 125 anni di consumi nazionali;
   davanti a questi dati, il dirigente di ricerca del CNR di Bologna Nicola Armaroli, durante la puntata del programma televisivo d'inchiesta Report del 12 maggio 2014 dal titolo Shale Caos, ha risposto che «di questi dati ogni tanto ne saltano fuori, se ne parla, però, sostanzialmente non c’è nulla di concreto»;
   il «fracking», dopo essere stato vietato nello Stato di New York grazie ad una moratoria nel 2008 (così come Argentina e California), è stato recentemente messo in discussione anche in Germania. Come si apprende, infatti, dall'agenzia Adnkronos del 7 giugno 2013 «i ricercatori del Consiglio consultivo tedesco per l'ambiente (SRU) hanno [...] pubblicato uno studio nel quale si afferma che il gas estratto dalla frantumazione delle rocce profonde mediante l'immissione di acqua ad alta pressione mista a sostanze chimiche [...] è economicamente poco sostenibile. [...] Gli scienziati anzi raccomandano al governo di Berlino di esercitare la massima cautela per quanto riguarda questa nuova tecnologia di estrazione perché non si è ancora in grado di valutarne l'effettivo impatto ambientale. [...] Riguardo poi alla competizione con gli Stati Uniti gli scienziati sostengono che non è lo Shale Gas a fare la differenza sulla diversa velocità di crescita degli Stati Uniti rispetto all'Europa ed alla Germania, quanto piuttosto l'indebolimento del dollaro calato del 30 per cento rispetto all'euro. Per quanto poi riguarda la corsa allo Shale Gas statunitense, gli scienziati sostengono che c’è il fondato sospetto che questa possa essere una gigantesca bolla speculativa destinata a sgonfiarsi nei prossimi anni»;
   alle dichiarazioni in merito dell’ex amministratore delegato di ENI s.p.a. si sono aggiunte quelle rilasciate nel giro di pochi giorni dall'allora Ministro dello sviluppo economico Flavio Zanonato che, secondo l'agenzia ANSA, in data 10 ottobre 2013 dichiarò che in Italia lo Shale Gas «non si può estrarre, punto, quindi non lo consentiamo. [...] Non si capisce perché deve continuare la polemica su una cosa che non si può fare. [...] Non c’è lo Shale Gas in Italia in misure significative per poterlo estrarre e vendere, quindi il problema proprio non si pone»;
   all'interno della Strategia Energetica Nazionale (SEN) è chiaramente specificato che «[...] il Governo non intende perseguire lo sviluppo di progetti in aree sensibili in mare o in terraferma, ed in particolare quelli di shale gas»;
   in data 21 maggio 2013, durante il suo discorso alla Camera dei deputati, il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore Enrico Letta ha dichiarato che «per noi la priorità assoluta in campo energetico resta lo sviluppo delle fonti rinnovabili» rivendicando «un atteggiamento aperto e non penalizzante per lo sfruttamento delle fonti di energia prodotte in Europa, come lo Shale Gas»;
   numerose inchieste condotte in altri Stati da importanti organi di informazione hanno evidenziato i possibili rischi ambientali e sociosanitari legati alle operazioni di fracking;
   secondo l'articolo pubblicato domenica 2 dicembre 2012 sul sito web della testata «The Independent», parrebbe che durante le operazioni di fracking in Texas (U.S.A.) sia stato utilizzato un componente di cui non si conoscerebbe l'esatta composizione, ma solo il nome (EXP-F0173-11). La non identificazione del sopracitato elemento preoccuperebbe la popolazione texana dato il presentarsi di danni a reni e fegato a cittadini direttamente esposti alle perforazioni;
   all'interno del rapporto del 2011 della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti intitolato «Prodotti chimici usati nel fracking» si può leggere come le aziende avrebbero usato più di 2.500 prodotti per la fratturazione idraulica che avrebbero contenuto a loro volta 750 diverse sostanze chimiche (molte delle quali catalogate come cancerogene) e/o pericolosi inquinanti atmosferici;
   gran parte di questi prodotti sarebbero coperti da segreto industriale e, all'interno del rapporto del 2011 sopracitato, si può notare come le compagnie stesse dichiarino di iniettare fluidi di cui non conoscono contenuto e rischi per la salute umana;
   come riportato dalla versione online del quotidiano «New York Times» in data 26 febbraio 2011, si sarebbero rilevati altissimi livelli di radiazioni nei pressi dei pozzi artesiani confinanti con i siti di estrazione di shale gas (in alcuni casi, sono stati rilevati livelli di radiazioni 1500 superiori a quelli consentiti dalla legislazione americana);
   lascia perplessi anche il fattore di sostenibilità del progetto. Come riportato dall'osservatorio internazionale «PR Watch», emergerebbe che ogni pozzo dal quale si estrarrebbe shale gas necessiterebbe dai 2 ai 4 milioni di galloni di acqua per poter essere pienamente operativo (dato che si traduce nella produzione di 7-14 milioni di litri di acqua satura di sostanze chimiche);
   come dichiarato da Leonardo Maugeri, fino al 2011 direttore strategie e sviluppo ENI e oggi consulente energia per l'amministrazione Obama, durante la puntata di Report summenzionata, «un pozzo di shale, dopo un anno di produzione, ha già esaurito il 50 per cento di quello che può darle. Quindi, lei per continuare a tener viva la produzione di shale, sia di shale gas o di shale oil, deve perforare di continuo. E come una groviera, no ? Deve fare un pozzo; una volta che quel pozzo ha dato il massimo che poteva dare, quindi lei mette una pompa e passa a trivellare subito da un'altra parte e poi passa a trivellare da un'altra parte e poi a trivellare da un'altra parte. Quindi quello che lei ha è un'intensità di perforazione sconosciuta al resto del mondo»;
   come riportato dall'articolo sulla versione online del Sole 24 Ore del 27 agosto 2013 «Ora ci si mettono anche gli scienziati lanciando l'allarme su una possibile correlazione tra estrazione di Shale Gas e terremoti. A dirlo è uno studio che sarà pubblicato sulla rivista «Hearth and planetary science letters». Secondo gli autori, la grande quantità di Shale Gas estratta nel sud del Texas dal giacimento dell'area denominata Eagle Ford Shale, sarebbe la causa di un'ondata di piccoli terremoti registrati nella zona»;
   nel caso italiano, come si può notare dalla «Mappa di pericolosità sismica del territorio nazionale» (Ordinanza della Presidenza del Consiglio dei ministri 3519/2006) aggiornata al luglio 2006, gran parte del territorio è interessato dal rischio sismico e si rischierebbe un potenziale aggravio della situazione considerando l'ingente iniezione di fluidi necessaria durante le operazioni fracking;
   durante l'incontro interparlamentare intitolato «Il mercato interno dell'energia per il XXI secolo», che si è svolto a Bruxelles il 17 dicembre 2013 Randall Bowie, direttore dell’«European Council for an Energy Efficient Economy» (organizzazione non governativa che produce studi ed analisi in materia di efficienza energetica), ha affermato che «[...] il gas di scisto deve essere valutato con attenzione, ma non penso che possa essere un'opzione sostenibile e percorribile. [...] la parte occidentale degli Stati Uniti non è popolata a causa delle continue estrazioni di Shale Gas e con l'avanzare del tempo vi sarà un progressivo esaurimento delle risorse che porterà ad un aggravarsi della situazione ambientale. [...]»;
   il 7 settembre 2012, la Commissione europea ha pubblicato alcuni studi sui combustibili fossili non convenzionali, (con particolare riguardo allo shale gas). Alcuni di questi studi analizzano il potenziale impatto climatico della produzione di gas di scisto e dei rischi potenziali che il fracking che possono presentarsi per la salute umana e per l'ambiente;
   lo studio sull'impatto climatico («Climate impact of potential shale gas production in the EU») dimostrerebbe che l'estrazione di shale gas nell'Unione europea causerebbe maggiori emissioni di gas serra rispetto all'estrazione dei gas naturali convenzionali;
   l'analisi della Commissione europea sugli impatti ambientali («Environmental Aspects on Unconventional Fossil Fuels») porterebbe inoltre a dire che l'estrazione di shale gas in generale ha un impatto ambientale maggiore rispetto all'estrazione dei gas convenzionali;
   in tale studio vengono sottolineati tangibili rischi di contaminazione delle acque superficiali e sotterranee con una conseguente pesante diminuzione delle risorse idriche;
   la pubblicazione evidenzierebbe anche le alte probabilità di inquinamento acustico e dell'aria oltre a un eccessivo consumo del suolo e disturbo alla biodiversità;
   sempre Report riporta come il 22 aprile 2014 un tribunale texano ha condannato una piccola compagnia petrolifera a risarcire con 3 milioni di dollari una famiglia proprio per danni alla salute causati «oltre ogni ragionevole dubbio» dai liquidi prodotti durante le operazioni di fracking;
   John Armbruster, sismologo della Columbia University, ha dichiarato ai microfoni della trasmissione di Rai Tre che «A dicembre del 2010 è stato trivellato un pozzo tra la Pennsylvania e Ohio. Nei nove mesi a seguire sono stati percepiti 9 terremoti. E la notte di Natale del 2011 abbiamo registrato un terremoto di magnitudo 3, l'epicentro si trovava entro un km dal fondo del pozzo. A quel punto l'agenzia che regolava questo pozzo ha stabilito che non si potevano più iniettare liquidi nel terreno [in quanto] quel punto era abbastanza evidente che tutto quel pompaggio stava provocando i terremoti. [Le aziende petrolifere ed estrattrici di gas] non dichiareranno mai pubblicamente che sono stati loro a causare i terremoti»;
   l'11 aprile 2014 la rivista americana «Science» ha pubblicato un articolo intitolato «L'attività umana può aver innescato il disastroso terremoto italiano»;
   i terremoti a cui fa riferimento l'inchiesta sopracitata sono quelli di magnitudo 5.9 e 5.8 della scala Richter che hanno provocato, il 20 e il 29 maggio 2012, 47 vittime e danni valutati per oltre 13 miliardi di euro in Emilia Romagna;
   l'articolo sarebbe basato su una fuga di notizie legata al rapporto della commissione internazionale chiamata a studiare il caso il quale pare giacesse presso gli uffici della regione da quasi 2 mesi;
   prendendo ulteriormente spunto dalla puntata di Report sopracitata, si viene a conoscenza del fatto che presso Ribolla, frazione del comune di Roccastrada (Grosseto), avrebbe avuto luogo quella che può essere considerata, secondo le informazioni attuali, la prima, ma non unica, fratturazione idraulica in Italia presso la concessione fiume Bruna all'interno di una vecchia miniera di carbone;
   tale affermazione è confermata anche dal Country Manager di «Independent Resources plc», società titolare del permesso di perforazione presso il sito di Ribolla, durante la puntata di Report del 12 maggio 2014: «Abbiamo fatto, per la precisione, una microstimolazione ed era finalizzata a comprendere la natura del sottosuolo e le eventuali potenzialità di produzione del gas da quel territorio [...] abbiamo utilizzato 100 metri cubi di acqua, ed era finalizzata proprio esclusivamente a comprendere la natura di quella risorsa mineraria. [oltre ad acqua abbiamo utilizzato] Proppante. [...] Sono delle micro palline di ceramica [...] che servono a tenere aperte le fratture.»;
   sempre nella puntata di Report sopracitata, il sindaco di Roccastrada, Giancarlo Innocenzi commenta così la vicenda: «In via postuma abbiamo preso conoscenza che è stato fatto anche del fracking in uno dei pozzi. [...] Di solito per la normativa, diciamo, attualmente in vigore non prevede la descrizione specifica precisa, diciamo, delle tecniche di perforazione»;
   come dichiarato dai ricercatori ENI Luis E. Granado, Roberta Garritano, Raffaele Perfetto, Roberto Lorefice e Roberto L. Ceccarelli all'interno dello studio pubblicato in data 15 maggio 2013 a loro firma dal titolo «Revitalizing Mature GasField Using Energized Fracturing Technology In South Italy», parrebbe che la stessa ENI abbia «rivitalizzato» il giacimento di Roseto-Montestillo, nei pressi di Lucera (Foggia), concessione «Tertiveri» tramite fratturazione idraulica;
   nelle documentazioni reperibili sul sito del Ministero dello sviluppo economico riferite a tale concessione non vi sono riferimenti a tale operazione;
   il territorio della zona in questione è caratterizzato da un ingente sfruttamento agricolo, da una scarsa disponibilità idrica e da un alto rischio sismico –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei risultati del rapporto della commissione internazionale sopracitato in cui non si esclude che la mano umana possa avere contribuito ai sismi del 20 e 29 maggio in Romagna;
   se intendano trasmettere la necessaria documentazione in merito e fornire ogni elemento utile al riguardo;
   se vi sia l'obbligo da parte delle società concessionarie dei diritti di perforazione (da estrazione a operazioni di ricerca) di indicare all'interno dei procedimenti di valutazione di impatto ambientale e autorizzazione integrata ambientale la volontà da parte delle stesse di praticare o meno sui pozzi di loro competenza il fracking;
   se nei procedimenti di valutazione di impatto ambientale e autorizzazione integrata ambientale legati ai permessi «fiume Bruna», presso la frazione Ribolla del Comune di Roccastrada (Grosseto) e «Terviteri», presso Lucera (Foggia) fosse specificata l'intenzione da parte della «Independent Resources plc» e di ENI di praticare una fratturazione idraulica presso i siti sopracitati;
   nel caso in cui vi fosse l'obbligo e se non fosse stata presente la volontà da parte della «Independent Resources plc» e di ENI di praticare il fracking a Ribolla e a Lucera sui procedimenti di valutazione di impatto ambientale e autorizzazione integrata ambientale, se risulti quali iniziative sanzionatorie siano state messe in campo nei confronti delle aziende concessionarie sopracitate a causa di tali eventuali violazioni;
   in quanti e in quali altri pozzi presenti in Italia venga utilizzata la modalità definita fracking al fine di estrarre shale gas e shale oil o come sperimentazione o ricerca idrocarburi. (5-02930)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Fiorio e altri n. 1-00052, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Amoddio.

Apposizione di firme ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in commissione Cenni n. 5-02912, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 maggio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Tentori, Terrosi, Luciano Agostini, Zanin.

Ritiro di documenti di indirizzo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   mozione Fiorio n. 1-00052 del 27 maggio 2013;
   mozione Gagnarli n. 1-00088 dell'11 giugno 2013;
   mozione Catania n. 1-00146 del 16 luglio 2013;
   mozione Migliore n. 1-00161 del 1o agosto 2013;
   mozione Faenzi n. 1-00472 del 26 maggio 2014;
   mozione Caon n. 1-00475 del 26 maggio 2014;
   mozione Dorina Bianchi n. 1-00479 del 26 maggio 2014;
   mozione Rampelli n. 1-00481 del 27 maggio 2014;

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interpellanza Lacquaniti n. 2-00029 del 29 aprile 2013;
   interrogazione a risposta orale Piepoli n. 3-00625 del 7 febbraio 2014;
   interrogazione a risposta in Commissione Chimienti n. 5-02726 del 30 aprile 2014;
   interrogazione a risposta scritta Capelli n. 4-04849 del 16 maggio 2014;
   interrogazione a risposta in Commissione Sottanelli n. 5-02867 del 26 maggio 2014;
   interpellanza urgente Crimì n. 2-00561 del 29 maggio 2014.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BATTELLI e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112, prevede all'articolo 2 l'inserimento di 500 giovani nel Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, finalizzato a proseguire l'attività di inventariazione e digitalizzazione del patrimonio culturale italiano;
   il 6 dicembre 2013 è stato bandito un avviso pubblico per la selezione di 500 giovani laureati da formare, per un periodo di dodici mesi, nelle attività di inventariazione e digitalizzazione del patrimonio culturale italiano, presso gli istituti ed i luoghi della cultura italiani;
   tale avviso pubblico prevede l'attivazione di 500 tirocini formativi della durata di dodici mesi, rinviando espressamente alla disciplina vigente in materia di tirocini formativi;
   i tirocini formativi sono disciplinati dalla legge 28 giugno 2012, n. 92, che delega il Governo e le regioni a concludere in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, un accordo per la definizione di linee-guida condivise in materia di tirocini formativi e di orientamento;
   tali linee guida, prevedono l'erogazione di un'indennità minima di 400 euro mensili ed una durata massima di sei mesi per la conclusione dei tirocini formativi e di orientamento;
   l'avviso pubblico prevede la corresponsione di 5 mila euro annui ai giovani partecipanti al progetto «500 giovani per la cultura» di cui circa 4.800 euro per indennità e circa 200 euro per l'assicurazione obbligatoria INAIL che il bando pone a carico dei tirocinanti stessi e pertanto questi giovani saranno indennizzati con poco più di 2 euro l'ora –:
   se ritenga che la tipologia dei tirocini formativi, indennizzati con 5 mila euro annui e soggetti ad IRPEF e contribuzione INAIL, possano risolvere i problemi lavorativi di 500 giovani;
   quali iniziative intenda intraprendere per rendere definitivo l'ingresso nel mondo del lavoro dei 500 giovani beneficiari del percorso formativo;
   se, dopo i sei mesi di tirocinio formativo previsti dagli accordi in sede di Conferenza permanente Stato-regioni, sia possibile prevedere per i restanti sei mesi una tipologia contrattuale differente come, ad esempio, l'apprendistato per facilitare l'accesso al lavoro di questi giovani e rendere produttivi i fondi stanziati per la realizzazione del progetto. (4-02955)

  Risposta. — Si riscontra l'interrogazione in esame, con la quale l'interrogante chiede se il Ministro ritenga che la tipologia dei tirocini formativi, di cui al decreto-legge 8 agosto 2133, n. 91, indennizzati con cinque mila euro annui e soggetti ad Irpef e contribuzione Inail, possa risolvere i problemi lavorativi di cinquecento giovani nonché quali iniziative intenda intraprendere per rendere definitivo l'ingresso dei giovani beneficiari del corso formativo nel mondo del lavoro e, infine, se, dopo sei mesi dall'inizio del percorso, sia possibile per i restanti sei mesi una tipologia contrattuale differente come, ad esempio, l'apprendistato, così come prevede la normativa sui tirocini formativi.
  Al riguardo, si comunica quanto segue.
  Ai sensi dell'articolo 2 del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 ottobre 2013, n. 122, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo «attua un programma straordinario finalizzato alla prosecuzione e allo sviluppo delle attività di inventariazione, catalogazione e digitalizzazione del patrimonio culturale, anche al fine di incrementare e facilitare l'accesso e la fruizione da parte del pubblico, anche attraverso l'utilizzo di appositi portali e dispositivi mobili intelligenti. Per la realizzazione del programma è autorizzata la spesa di 2,5 milioni di euro per l'anno 2014, integrata anche con eventuali finanziamenti europei. Il programma si conforma ai criteri e alle linee direttive elaborati, anche in attuazione dell'articolo 17 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante il codice dei beni culturali e del paesaggio, dall'Istituto centrale per il catalogo e la documentazione, dall'Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche e dall'Istituto centrale per gli archivi del Ministero».
  Sin dall'approvazione, in data 8 agosto 2013, da parte del Consiglio dei ministri del decreto-legge n. 91 e, poi, della legge di conversione n. 122 del 2013 da parte del Parlamento, il programma in argomento – attuato presso gli istituti e i luoghi della cultura statali, previa selezione, attraverso una procedura concorsuale pubblica da attivarsi entro 60 giorni dalla approvazione della legge di conversione (quindi entro il 7 dicembre 2013), di cinquecento giovani, che non abbiano compiuto trentacinque anni alla data di entrata in vigore del decreto-legge, laureati nelle discipline afferenti al programma o in possesso del titolo rilasciato dalle scuole di archivistica, paleografia e diplomatica di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 settembre 1963, n. 1409 – ha assunto la connotazione di un percorso formativo da svolgersi, per la durata di dodici mesi, nelle attività di inventariazione e di digitalizzazione presso gli istituti e i luoghi della cultura statali.
  L'obiettivo che il Governo e il Parlamento si sono posti, attraverso la citata disposizione normativa, è quello di favorire processi di formazione dei giovani laureati, della durata di 12 mesi, nei settori afferenti alle attività di inventariazione, catalogazione e digitalizzazione del patrimonio culturale.
  La specificità e la specialità del percorso formativo in argomento è, peraltro, evidenziata anche dall'ultimo periodo del comma 2 dell'articolo 2 del citato decreto-legge, introdotto dalla legge di conversione n. 122 del 2013, il quale ha previsto che, al termine del programma, sia rilasciato a coloro che lo abbiano concluso un apposito attestato di partecipazione, valutabile ai fini di eventuali, successive procedure selettive del Ministero e degli Istituti da esso vigilati.
  Ciò premesso, in data 6 dicembre 2013, in linea con la citata disposizione normativa e con il programma formativo adottato con decreto del segretario generale del Ministero in data 6 dicembre 2013, è stato emanato l'avviso, pubblicato il giorno successivo sul sito istituzionale del Ministero, che rinvia, per quanto non previsto, alla normativa vigente in tema di tirocini nei limiti consentiti dalla specificità e dalla specialità delle disposizioni di cui all'articolo 2 del decreto-legge n. 91 del 2013.
  Successivamente, in data 16 dicembre 2013, sono state apportate talune modifiche all'avviso di selezione del 6 dicembre 2013, al fine di consentire la maggiore partecipazione possibile dei giovani candidati.
  In particolare, è stato ampliato il bacino di accesso dei potenziali laureati interessati a partecipare al programma di formazione, portando il requisito di voto minimo per accedere alla selezione da 110 a 100 ed eliminando l'obbligo, ai fini dell'accesso alla selezione, di certificare il possesso di un determinato livello (B2) di competenza linguistica per l'inglese. Un'ulteriore modifica riguarda, poi, la possibilità per i partecipanti, nel caso di impegni di studio più lunghi, di sospendere il programma formativo fino a 3 mesi. Infine, è stato eliminato il riferimento all'impegno orario settimanale ed è stato fissato a 600 ore annue l'impegno dei partecipanti per le attività di formazione.
  Premesso quanto sopra, non si può che ribadire quanto già riferito in diverse audizioni parlamentari e cioè che la procedura selettiva in parola intende essere un'occasione per aprire una prospettiva di lavoro con il completamento di un percorso formativo nell'ambito di un'attività di collaborazione retribuita.
  In conclusione, con riferimento ai rilievi critici mossi dall'interrogante, va ricordato che lo scrivente Ministro, in sede di dichiarazioni programmatiche rese alla settima Commissione permanente del Senato lo scorso 23 aprile, ha testualmente dichiarato: «Quanto all'impiego di 500 giovani per la digitalizzazione del patrimonio culturale, avrei preferito una diversa soluzione, perché retribuire con poche centinaia di euro al mese delle professionalità di grande competenza e con grandi attese non mi sembra molto congruo, ciò premesso, la norma c’è già, il bando è stato già definito e le relative procedure sono in corso e quindi non intendo tornare indietro sulle decisioni già prese, se mai il tema riguarda la possibilità per il futuro di individuare risorse aggiuntive».

Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismoDario Franceschini.


   BLAZINA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nella regione Friuli Venezia Giulia si riscontra già da diverso tempo un notevole ritardo nella consegna della posta proveniente dalla vicina Repubblica di Slovenia. Gli ultimi due casi riguardano due lettere provenienti da Ljubljana e recapitate a Sgonico (provincia di Trieste). Dalle date stampate sulle buste delle due lettere e rispetto alle date di consegna a domicilio intercorre un intero mese. Una delle due lettere aveva come mittente il Parlamento sloveno;
   tali esempi sono molteplici e denotano un reale e persistente disservizio delle Poste italiane che arreca ai cittadini – abitanti nella zona di confine della regione – un grave danno, anche perché molti hanno rapporti parentali o professionali con la Repubblica di Slovenia;
   informata della situazione la direzione nazionale delle Poste non ha intrapreso alcuna iniziativa per risolvere tale questione –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere per effettuare un'attenta ricognizione e un monitoraggio continuo delle disfunzioni del servizio pubblico postale, al fine di individuarne le cause e avviare in tempi brevi tutte le necessarie azioni per migliorare l'efficienza, la rapidità e la qualità del servizio postale su tutto il territorio nazionale. (4-03341)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione in esame concernente il ritardo con cui sarebbero state recapitate due lettere provenienti dalla Repubblica di Slovenia e dirette a Sgonico in provincia di Trieste, sulla base delle informazioni acquisite presso la società Poste italiane.
  Al tal proposito, la società ha rappresentato che, pur in assenza di specifici riferimenti informativi nell'interrogazione in esame, sufficienti per accertare le motivazioni del ritardo lamentato, sono state predisposte apposite verifiche presso il centro primario di distribuzione di Trieste, riguardanti il periodo dicembre 2013-gennaio 2014, le cui risultanze non hanno però evidenziato giacenze né di posta internazionale, né di posta nazionale.
  Stesso risultato hanno prodotto le verifiche effettuate sulle lavorazioni svolte presso il centro di lavorazione di Milano, dove viene smistata la corrispondenza proveniente dagli altri Stati esteri e diretta su tutto il territorio nazionale.
  Ciò premesso, Poste italiane ha evidenziato che un cospicuo numero di invii diretti a Sgonico e ad altre città ubicate nel territorio triestino, spesso riportano sulla busta il nome della località di destinazione in lingua straniera che, non risultando perfettamente leggibile, può talvolta determinare qualche sporadico rallentamento nella fase di consegna.
  La società ha, altresì, fatto presente che non risultano reclami riguardanti disservizi in qualche modo riconducibili a quelli menzionati nell'interrogazione in esame.
  Si ricorda, infine, che il decreto legislativo del 22 luglio 1999, n. 261 prevede all'articolo 12 che l'Autorità di regolamentazione (Agcom) «al fine di garantire un servizio postale di buona qualità» stabilisca standard qualitativi del servizio universale, con riguardo essenzialmente «ai tempi di instradamento e di recapito ed alla regolarità ed affidabilità dei servizi» e che tali standard siano recepiti nella Carta della qualità del servizio pubblico postale. Da ultimo, tali
standard sono stati fissati con decreti del Ministero dello sviluppo economico del 1o ottobre 2008 recante «obiettivi di qualità del servizio di corrispondenza non massiva per il triennio 2009-2011» e del 23 novembre 2009 recante «obiettivi di qualità per il triennio 2009-2011 relativi ai servizi di posta massiva, posta raccomandata, posta assicurata e pacco ordinario, forniti da Poste italiane Spa». Tali obiettivi sono riportati nella carta della qualità pubblicata sul sito di Poste italiane.
  Per quanto riguarda i controlli di qualità previsti dal piano normativo vigente, si sottolinea che i risultati sono pubblicati annualmente sul sito
web dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonello Giacomelli.


   BORGHI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste Italiane spa è vincolata dal Contratto Di Programma con lo Stato che prevede oneri a carico dello stesso a copertura del servizio universale;
   l'articolo 23, comma 2, del decreto legislativo n. 261 del 1999 e successive modificazioni e integrazioni ha affidato a Poste Italiane per 15 anni (fino al 2026) il servizio universale;
   l'Autorità per la garanzia nelle comunicazioni, con delibera 236/13/CONS, ha avviato un procedimento volto a valutare la congruità dei criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete postale pubblica attualmente vigenti e l'opportunità di una loro eventuale modifica e/o integrazione, in modo da assicurare una regolare ed omogenea fruizione del servizio universale sul territorio nazionale, incluse le situazioni particolari delle isole minori e delle zone rurali e montane come richiamato nella direttiva 2008/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 febbraio 2008;
   il servizio universale deve garantire uguali servizi in tutti i punti del territorio nazionale per un minimo di:
    a) 5 giorni settimanali per il recapito;
    b) 18 ore settimanali minime di apertura per gli uffici postali;
    c) la presenza almeno di un ufficio postale in ogni comune;
    d) standard minimi degli uffici postali nei periodi estivi;
   nel territorio montano della provincia del Verbano Cusio Ossola da anni, con un aumento inaccettabile nell'ultimo anno, il servizio universale non è più garantito in quanto sia gli utenti delle zone montane sia gli utenti cittadini non ricevono la posta 5 giorni settimanali causa l'eccessivo ricorso allo straordinario (cosiddetta flessibilità operativa: il singolo portalettere titolare di zona è tenuto alla consegna non solo della corrispondenza della zona di sua competenza, ma anche pro quota, di quella di altra zona di collega assente non sostituito dall'azienda e tale prestazione rientra all'interno dell'orario d'ufficio), tale sistema di flessibilità all'interno dell'orario di lavoro rende impossibile completare il lavoro di distribuzione della corrispondenza;
   tale organizzazione del lavoro, nonostante interrompa il servizio universale in vaste zone del VCO, è diventata quotidiana per il 15 per cento delle zone di recapito tant’è che, in caso di presenza di tutti gli operatori addetti al recapito l'azienda impone ferie d'ufficio di un giorno, ad inizio/fine settimana, per poter ricorrere alla prestazione straordinaria di flessibilità. Le parti sociali hanno fatto un AG di significazione nel 2012 per tutelare i portalettere in quanto non responsabili dell'interruzione del servizio universale dovuto alla vastità delle zone di recapito;
   nel periodo estivo gli uffici postali di Intragna, Caprezzo (Valle Intrasca) e Gurro (Valle Cannobina) non hanno garantito l'apertura minima di 18 ore settimanali per cause organizzative che non possono essere assimilate a cause di «forza maggiore»;
   è stato disatteso il piano di rimodulazione delle aperture estive giornaliere presentato all'Agcom ad aprile 2013 che, prevedeva la chiusura di 9 uffici postali mentre, nella seconda metà del mese di luglio 2013, nel VCO sono stati chiusi 28 uffici postali oltre i 9 concordati con Agcom (sul totale di 86) per un totale di 46 giorni di chiusure forzate e ridotto il servizio di alcune ore giornaliere in altri 12 uffici postali;
   le parti sociali hanno segnalato le sopra menzionate criticità con lettere del 5 luglio e agosto 2013, i sindaci hanno inviato innumerevoli rimostranze a Poste italiane;
   appare inaccettabile che tali problemi perdurino e non vi sia una risposta di Poste italiane spa in merito al proprio operato e gli obblighi connessi all'espletamento del servizio universale né una posizione di salvaguardia o ravvedimento nel VCO in quanto le chiusure degli uffici postali e il ricorso alla flessibilità operativa in sostituzione degli operatori assenti in ferie d'ufficio perdura tutt'ora –:
   quali iniziative si intendano assumere per richiamare Poste italiane spa, soggetto interamente posseduto dallo Stato, al rispetto della convenzione sul servizio universale per meglio tutelare l'utenza in termini di affidabilità e regolarità del servizio postale in generale e universale in particolare, con particolare riferimento ai territori montani oggetto di ampia dispersione e rarefazione abitativa per i quali i sovracosti strutturali, debbono essere coperti mediante efficienze di servizio e convenzione con lo Stato;
   se si condivida la proposta che il VCO, dal 1997 sito territoriale in cui Poste italiane spa ha sperimentato per prima e continua a sperimentare i progetti innovativi, diventi sede all'avanguardia di un modello organizzativo postale che assicuri, attraverso sinergie di collaborazione con gli attori territoriali (amministratori, rappresentanti la cittadinanza e i lavoratori) una regolare ed omogenea fruizione del servizio universale incluse le situazioni particolari delle zone rurali e montane non dimenticando il forte contributo dato da queste zone alle quote di risparmio postale che servono a garantire le infrastrutture nazionali attraverso la Cassa depositi e prestiti. (4-02328)

  Risposta. — In via preliminare si fa presente che la predisposizione e la relativa trasmissione all'Autorità di regolamentazione di settore postale, ora individuata nell'Agcom, del piano degli interventi sulle strutture diseconomiche, costituiscono specifici obblighi per il fornitore del servizio universale, previsti dal contratto di programma stipulato con il Ministero dello sviluppo economico. L'effettiva implementazione del piano è subordinata al confronto con le istituzioni locali e l'attuale quadro normativo impone al fornitore del servizio universale precisi obblighi di presenza territoriale, ai sensi del decreto ministeriale 7 ottobre 2008, recante «criteri di distribuzione dei punti d'accesso alla rete postale pubblica».
  Gli interventi di chiusura e/o razionalizzazione degli uffici postali non possono comportare pertanto un ridimensionamento della rete che pregiudichi l'accesso degli utenti ai servizi anche nelle zone più remote e disagiate del Paese. Proprio tali realtà, infatti, sono oggetto di particolare tutela da parte della vigente normativa nello stabilire le distanze massime tra gli uffici postali per percentuale di popolazione residente e specialmente nel vietare la soppressione di uffici postali presidio unico nel territorio comunale, unitamente all'obbligo di apertura settimanale minima degli stessi, anche in presenza di situazioni di insanabile diseconomia (articolo 2, comma 4 e 5, decreto ministeriale 7 ottobre 2008).
  Con riferimento alle modalità di apertura degli uffici postali durante i mesi estivi, si evidenzia che Poste italiane, al fine di garantire il doveroso equilibrio tra la fisiologica flessione della domanda e l'offerta di servizi alla clientela, adotta provvedimenti di rimodulazione giornaliera od oraria di apertura al pubblico, esclusivamente nei confronti di quegli uffici postali che abbiano, in maniera ricorrente, evidenziato in tale periodo una sensibile riduzione dei flussi di traffico.
  A tal proposito il decreto ministeriale 28 giugno 2007 prevede gli standard minimi di servizio che gli uffici postali devono osservare durante la stagione estiva (15 giugno-15 settembre), allo scopo di garantire, anche durante questo periodo, la continuità e l'accessibilità al servizio postale. In conformità a tale decreto, la società Poste italiane è tenuta a presentare all'Agcom, entro il 30 aprile di ciascun anno, un piano contenente tutti gli interventi di rimodulazione delle aperture estive giornaliere ed orarie degli uffici postali. L'Autorità verifica la rispondenza di tali interventi agli standard minimi di servizio indicati nell'articolo 2 del sopra citato decreto e svolge periodicamente attività di monitoraggio, anche avvalendosi di un organismo specializzato indipendente.
  Ciò premesso per quanto concerne il territorio in esame, Poste italiane ha reso noto che durante i mesi estivi nella filiale di Verbania sono stati sottoposti a rimodulazione 9 uffici: «Carciano», «Cireggio», «Crevoladossola», «Domodossola Matteotti», «Gravellona Toce», «Intra», «Omegna», «Verbania Posteimpresa» e «Villadossola».
  Poste italiane ha evidenziato che i citati provvedimenti, inseriti nel piano di rimodulazione comunicato all'Agcom, sono stati adottati nel rispetto dei criteri di cui al decreto ministeriale 28 giugno 2007.
  La Società ha inoltre precisato che le sporadiche chiusure degli uffici «Caprezzo», «Gurro» ed «Intragna», alle quali si fa cenno nell'interrogazione in esame, sono da ricondursi a guasti tecnici, connessi all'interruzione delle linee elettriche o di comunicazione, tutt'altro che rare nei territori di riferimento.
  In particolare, l'ufficio «Caprezzo», aperto al pubblico nelle giornate di lunedì e mercoledì, con orario 8,20-12,45, e di sabato con orario 8,20-12,45, nel periodo compreso tra il 1o giugno ed il 30 settembre 2013 è stato operativo per 51 giorni rispetto ai 52 previsti.
  L'ufficio «Gurro», aperto al pubblico il martedì ed il giovedì dalle 8,20 alle 13,45 ed il sabato con orario 8,20-12,45, nel periodo dal 1o giugno al 30 settembre 2013 è stato operativo per 49 giorni rispetto ai 51 previsti.
  L'ufficio «Intragna», aperto al pubblico negli stessi giorni ed orari dell'ufficio «Caprezzo», nel periodo in esame è stato aperto 49 giorni rispetto ai 53 previsti.
  Con riferimento al servizio di recapito nel territorio della provincia di Verbano Cusio Ossola, Poste italiane ha precisato che l'area territoriale in esame è stata interessata nel periodo giugno/ottobre 2013 dal Piano di riorganizzazione dei servizi postali, previsto dall'Accordo nazionale, sottoscritto con le organizzazioni sindacali lo scorso 28 febbraio, e dalle successive intese regionali.
  Al riguardo, l'Azienda ha comunicato che presso i principali centri di distribuzione che servono il territorio di Intra e Domodossola non sono state registrate criticità nello svolgimento del servizio ed ha assicurato che in caso di assenza degli operatori titolari di zona, lo svolgimento del servizio è garantito ricorrendo agli strumenti gestionali di flessibilità operativa il cui utilizzo, previsto dagli accordi sindacali vigenti, risulta complessivamente nella norma ed in linea con la media nazionale.
  Poste italiane ha precisato, infine, che nel periodo compreso tra i mesi di luglio ed ottobre 2013, non risultano pervenuti reclami da parte dei sindaci dei comuni della provincia in oggetto, riguardanti il recapito.
  Per completezza d'informazione si fa presente che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni organo competente in materia di regolazione e vigilanza sul settore postale, ha provveduto a chiedere ragguagli alla società Poste italiane in merito agli interventi di rimodulazione degli uffici postali in provincia di Verbania Cusio Ossola, riservandosi di compiere ulteriori eventuali approfondimenti istruttori ove si ravvisassero violazioni degli obblighi connessi all'espletamento del servizio postale universale.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonello Giacomelli.


   CIPRINI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la recente legge n. 4 del 2013 disciplina le professioni non organizzate in ordini o collegi;
   accanto alle professioni «ordinistiche» (o «protette») si sono sviluppate, anche nel nostro Paese e con intensità crescente nel corso degli ultimi anni, numerose professioni che non hanno ottenuto il riconoscimento legislativo e che nella quasi totalità dei casi hanno dato vita ad autonome associazioni professionali rappresentative di tipo privatistico;
   tra le professioni non regolamentate rientra senz'altro quella degli archeologi;
   la legge n. 4 del 2013 presenta tuttavia dei punti poco chiari che sono fonte di preoccupazione per alcune associazioni professionali in particolare per la Associazione nazionale archeologi;
   l'articolo 1, comma 2, della predetta legge prevede che «Ai fini della presente legge, per professione non organizzata in ordini o collegi, di seguito denominata professione, si intende l'attività economica, anche organizzata, volta alla prestazione di servizi o di opere a favore di terzi, esercitata abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale, o comunque con il concorso di questo, con esclusione delle attività riservate per legge a soggetti iscritti in albi o elenchi ai sensi dell'articolo 2229 del codice civile, delle professioni sanitarie e delle attività e dei mestieri artigianali, commerciali e di pubblico esercizio disciplinati da specifiche normative;
   l'articolo 95, comma 2, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, ha previsto l'istituzione presso il Ministero per i beni e le attività culturali di un apposito elenco degli istituti e dei dipartimenti archeologici universitari nonché dei soggetti in possesso della necessaria qualificazione per lo svolgimento delle attività di indagine archeologica preliminare (cosiddetta «Verifica preventiva dell'interesse archeologico di aree ed immobili»);
   l'aspetto innovativo della suddetta disciplina normativa è dato dall'anticipazione delle indagini archeologiche preventive, volte a evidenziare la potenzialità archeologica dell'area oggetto di intervento, alla fase di progettazione preliminare invece che a quella esecutiva;
   tra i soggetti abilitati a svolgere le indagini la legge individua i «dipartimenti archeologici delle università» e i «soggetti in possesso di diploma di laurea e specializzazione in archeologia o di dottorato di ricerca in archeologia», specificando al comma 2 che l'elenco di tali soggetti è tenuto presso la direzione generale del Ministero per i beni e le attività culturali»;
   l'elenco è tenuto dalla direzione generale per i beni archeologici e il decreto del Ministero per i beni e le attività culturali n. 60 del 2009 ha stabilito caratteristiche e requisiti dell'istituzione di tale elenco. In particolare ha inserito nell'elenco dei soggetti qualificati alle indagini archeologiche «i soggetti in possesso del diploma di laurea e del diploma di specializzazione in archeologia o di dottorato di ricerca in archeologia»;
   la Circolare ministeriale n. 10 del 15 giugno 2012 chiarisce che l'unico elenco valido a norma di legge a raccogliere i nomi dei soggetti abilitati è quello tenuto presso la direzione generale;
   l'articolo 10, commi 1, 2 e 3 del suddetto decreto ministeriale sembra dare alla direzione generale per i beni archeologici il potere di verifica del possesso dei requisiti del soggetto incaricato di redigere una relazione di verifica archeologica preventiva;
   in tale contesto è intervenuta la legge n. 4 del 2013 sulla regolamentazione delle professioni non organizzate in ordini o collegi e ha previsto l'istituzione di un elenco delle associazioni professionali che raccoglie i professionisti di una determinata categoria e pubblicato dal Ministero dello sviluppo economico;
   le associazioni professionali contenute in tale elenco sono deputate anche al rilascio dell'eventuale possesso da parte del professionista iscritto della qualificazione e certificazione relativa alla conformità alla norma tecnica UNI;
   dunque dalla normativa vigente sembrerebbe che solo i soggetti iscritti ed abilitati secondo quanto prescritto nell'elenco di cui al decreto n. 60 del 2009 istituito presso il Ministero per i beni e le attività culturali possono svolgere incarichi di archeologia preventiva laddove invece la recente legge n. 4 del 2013 in tema di professioni non regolamentate conferisce alle associazioni professionali iscritte nell'elenco pubblicato presso il Ministero dello sviluppo economico la qualificazione e la certificazione di conformità UNI del professionista;
   la creazione di due elenchi (uno istituito presso il Ministero per i beni e le attività culturali ai sensi dell'articolo 95 del decreto legislativo n. 163 del 2006 e del conseguente Decreto ministeriale n. 60 del 2009 e l'altro istituito presso il Ministero per lo sviluppo economico ai sensi dell'articolo 2 della legge n. 4 del 2013) è fonte di incertezza non solo per gli archeologi il cui ruolo e la cui professionalità è fondamentale per la tutela dei nostri numerosissimi beni archeologici ma anche per gli utenti e, in particolare, i soggetti appaltanti (pubblici e privati) che si avvalgono e ricercano tali professionisti ai fini del conferimento di incarichi per l'esecuzione delle cosiddette indagini preliminari archeologiche. Infatti nell'elenco istituito presso il Ministero per i beni e le attività culturali al professionista archeologo sono richiesti determinati requisiti previsti dall'articolo 95 decreto legislativo n. 163 del 2006 laddove la legge n. 4 del 2013 affida alle associazioni professionali iscritte nell'elenco tenuto dal Ministero per lo sviluppo economico la qualificazione e la certificazione della preparazione del professionista;
   l'incertezza e l'ambiguità normativa descritta potrebbe configurare un danno al riconoscimento del ruolo e della professionalità di tutti gli archeologi dal momento che sono le figure professionalmente deputate al delicato compito della partecipazione alla procedure per la verifica preventiva dell'interesse archeologico;
   l'esistenza di due elenchi genera margini di incertezza sulla natura ricognitiva o vincolante dell'elenco degli archeologi iscritti presso l'elenco tenuto dal Ministero per i beni e le attività culturali e a quali archeologi e con quali requisiti spetta la facoltà di eseguire relazioni di indagine archeologica preventiva. Tale situazione necessiterebbe di chiarimenti da parte degli organi interessati;
   a ciò si aggiunga che la recente legge n. 4 del 2013 sulle professioni non regolamentate introduce una procedura di certificazione della professionalità e qualificazione del professionista archeologo basato in buona sostanza su un sistema di certificazione della qualità da parte di organismi di natura privatistica tale da generare il rischio che la procedura di certificazione per l'attività si traduca in un balzello a carico dei professionisti laddove – di fatto – i professionisti archeologi svolgono una funzione fondamentale direttamente connessa a un interesse pubblico costituzionalmente garantito, ovvero la tutela del patrimonio archeologico –:
   se intendano assumere iniziative di tipo normativo/regolamentare per eliminare la descritta incertezza in ordine alla natura dell'iscrizione del professionista nell'elenco di cui all'articolo 95 del decreto legislativo n. 163 del 2006 ai fini dell'assegnazione di incarichi di indagine archeologica preventiva anche alla luce della legge n. 4 del 2013;
   quali iniziative di tipo normativo/regolamentare intendano adottare per rafforzare e normare in maniera chiara il ruolo e la figura dell'archeologo quale professionista che svolge funzioni direttamente connesse a un interesse costituzionalmente garantito e che è chiamato a svolgere la valutazione del rischio di impatto archeologico nella realizzazione di opere pubbliche o private;
   se il Ministro intende chiarire se il professionista non iscritto ad alcuna associazione debba procedere ad una certificazione UNI ai sensi della legge n. 4 del 2013. (4-01300)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, con il quale l'interrogante chiede, in primo luogo, quali iniziative di tipo normativo o regolamentare questa amministrazione intenda adottare per eliminare l'incertezza in ordine a quale elenco un archeologo debba iscriversi per poter eseguire relazioni di indagine archeologica preventiva e poi, in secondo luogo, quali ulteriori iniziative si intendano assumere per rafforzare e normare il ruolo e la figura dell'archeologo e, infine, se si intenda chiarire se il professionista, non iscritto ad alcuna associazione, debba procedere ad una certificazione UNI ai sensi della legge 14 gennaio 2013, n. 4, si comunica quanto segue.
  Si deve riscontrare che la legge 14 gennaio 2013, n. 4, dettante disposizioni generali in materia di professioni non organizzate, non fa riferimento, nello specifico, a quanto normato, esclusivamente per la cosiddetta «archeologia preventiva», dall'articolo 95, comma 2, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, che ha previsto, presso questo Ministero, l'istituzione di un elenco degli istituti e dei dipartimenti archeologici universitari nonché dei soggetti in possesso della necessaria qualificazione per lo svolgimento delle attività di indagine archeologica preliminare («verifica preventiva dell'interesse archeologico di aree ed immobili»).
  Con decreto ministeriale 20 marzo 2009, n. 60, è stato emanato il regolamento attuativo della disciplina normata e sono stati fissati i criteri e i requisiti per l'iscrizione a detto elenco, demandandone la tenuta alla direzione generale per le antichità.
  In tale decreto, peraltro, in particolare all'articolo 10, comma 2, viene riconosciuto alla predetta direzione generale il compito di verifica del possesso dei requisiti dichiarati dagli interessati che presentano domanda di iscrizione all'elenco, fornendo alla struttura, al comma 3 dello stesso articolo, la facoltà di adottare, nei confronti del richiedente, un motivato provvedimento di rifiuto all'iscrizione in caso di accertata carenza dei requisiti.
  Il medesimo ufficio, inoltre, nella circolare n. 10 del 15 giugno 2012, ha ribadito, al punto 2.1, che la documentazione archeologica, da allegare al progetto preliminare nei casi riguardanti l'archeologia preventiva, deve essere redatta dai soggetti in possesso dei requisiti di cui all'articolo 95, comma 1, del citato decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, come dettagliatamente analizzati dal successivo decreto ministeriale 20 marzo 2009, n. 60.
  È evidente che tale elenco, come peraltro ben evidenziato nel sito
https://www. archeologiapreventiva.beniculturali.it, non mira in nessun caso ad individuare le persone abilitate ad esercitare, in generale, la professione di archeologo, ma solo a fornire un elenco dei soggetti già accreditati per l'affidamento di attività di ricognizione, raccolta e valutazione dei dati archeologici relativi alle aree in cui si collocano i progetti ricadenti nelle previsioni del già menzionato articolo 95 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.
  La legge 14 gennaio 2013, n. 4, all'articolo 2, comma 7, prevede semplicemente che sia pubblicato dal Ministero dello sviluppo economico, sul proprio sito internet, l'elenco delle associazioni professionali e delle forme aggregative da esse formate (articolo 3), alle quali viene riconosciuta la valutazione e il rilascio dei sistemi di qualificazione e competenza professionali per i propri iscritti.
  Come giustamente fatto notare dall'interrogante, le attività concernenti l'archeologia preventiva, effettuate da parte degli archeologi, riguardano una funzione fondamentale direttamente connessa all'interesse pubblico, costituzionalmente garantito, relativo alla tutela del patrimonio archeologico.
  Sembrerebbe per tale motivo che, saggiamente, il legislatore abbia affidato a questo Ministero la verifica dei requisiti occorrenti per esercitare la professione dell'archeologo nell'ambito dell'archeologia preventiva senza che, per questo, la normativa introdotta dalla legge 14 gennaio 2013, n. 4, appaia essere con essa in conflitto, tanto più che l'articolo 7, comma 2, espressamente ricorda che le attestazioni rilasciate dalle associazioni professionali: «non rappresentano requisito necessario per l'esercizio dell'attività professionale».
  Si tratta, dunque, di due diverse disposizioni normative emanate per diversi fini e, pertanto, non confliggenti, atteso che, per le ragioni sopra esposte, non vi è alcun dubbio che l'assegnazione di incarichi di archeologia preventiva, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, possa avvenire a favore di professionisti inseriti nell'elenco previsto dal decreto legislativo 12 aprile 2005, n. 163, e tenuto dalla direzione generale per le antichità di questo Ministero.

Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismoDario Franceschini.


   CIRIELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   è di qualche giorno fa la notizia, riportata su quotidiani locali e nazionali, che l'importantissima strada statale 163 «Amalfitana» resterà chiusa, senza nessuna certezza sui tempi di riapertura;
   la principale arteria di collegamento tra la Costiera, Salerno e la Penisola Sorrentina, era stata interdetta alla circolazione lo scorso 14 gennaio 2014, a seguito di una caduta massi di notevoli dimensioni;
   successivamente, dopo circa dieci giorni, la proprietà del costone avrebbe eseguito un primo intervento di bonifica della zona interessata dal crollo e sulla quale sarebbero state riscontrate altre fratture da sanare con interventi di difesa del suolo;
   quella della roccia in questione era una situazione già nota alle autorità competenti, tanto che per quel tratto è stata prevista un'imponente azione di mitigazione del rischio frane, in una prospettiva di medio-lungo periodo;
   la progettazione che prevede la messa in sicurezza di molti costoni sovrastanti la statale (ci sarebbe un finanziamento di 6 milioni) sarebbe però ancora in una fase preliminare, nonostante entro giugno dovrebbe avviarsi quella definitiva;
   nell'immediato, quello che era necessario fare sembrerebbe essere stato fatto ed è per questo che non si comprende la mancata riapertura della strada;
   il nodo da sciogliere sembrerebbe essere quello delle condizioni di sicurezza che al momento, secondo quanto riportato nella perizia geologica presentata dai proprietari del costone, non sussisterebbero;
   tale relazione vincolerebbe l'apertura della strada statale 163 a un nuovo approfondimento in quanto «permangono situazioni visibili a distanza di instabilità di blocchi che meritano maggior dettaglio prevedibilmente con opere di difesa»;
   in particolare, come si legge nella perizia di parte, «dette situazioni di rischio impongono uno studio diretto di maggior dettaglio delle condizioni del costone con cui sarà possibile individuare gli interventi di sistemazione, di difesa e di mitigazione del rischio di distacchi»;
   questi interventi sarebbero, però, già previsti nell'ambito degli accordi di programma quadro della difesa suolo, appaltabili entro giugno;
   non appare chiaro se il problema riapertura sia legato alla situazione complessiva dell'intero costone oppure alla sola area di distacco lungo la quale sono stati eseguiti, in ottemperanza all'ordinanza del sindaco di Conca, alcuni interventi di scerbatura e di disgaggio dei massi pericolanti;
   alla luce dei contenuti della perizia geologica e delle ulteriori indagini tecniche circa i confini delle rispettive proprietà, l'Anas avrebbe deciso di prendere tempo, senza alcuna certezza sul ripristino della circolazione stradale;
   tale situazione sta creando inevitabilmente malcontento e polemiche tra quanti invocano giustamente certezza sui tempi di riapertura dell'importantissima arteria;
   la chiusura della Statale tra Positano e Praiano ha, infatti, paralizzato la Costiera Amalfitana, con notevoli disagi per i cittadini costretti a fare salti mortali per spostarsi e raggiungere scuole, uffici e ospedale;
   il perdurare della chiusura della strada statale Amalfitana sta causando danni incalcolabili anche alle aziende, già in seria sofferenza a seguito dell'attuale recessione;
   come denunciato dallo stesso presidente della Confederazione italiana esercenti commercianti (CIDEC) di Salerno, Giacomo La Marca, in un momento particolare per le attività commerciali di qualsiasi settore, con la chiusura della statale amalfitana, gli esercenti della costiera, hanno avvertito un forte calo di presenze;
   tale grave situazione richiede un intervento urgente e definitivo, soprattutto se si considera che già negli anni scorsi, sempre nello stesso tratto, trascorsero diversi mesi prima che la strada fosse riaperta al traffico veicolare, con la conseguenza di numerose attività che furono costrette a chiudere bottega –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità e urgenza degli stessi, quali provvedimenti intenda adottare per agevolare l'apertura di un tavolo tecnico a garanzia dell'immediata apertura della strada statale 163 «Amalfitana», strategica via di collegamento tra la Costiera, Salerno e la Penisola Sorrentina. (4-03668)

  Risposta. — Nel mese di gennaio 2014, come è noto, su disposizione del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, il transito sulla strada statale 163 «Amalfitana», al km 26+500, presso il comune di Conca dei Marini (Salerno) è stato interdetto alla circolazione a seguito della caduta di massi dal versante sovrastante la statale.
  Al riguardo, ANAS ha riferito che sebbene l'area interessata dall'evento ricadesse in proprietà privata, a fronte dell'inerzia prolungata della stessa proprietà e al fine di scongiurare il protrarsi della situazione di pericolo ha provveduto, tramite l'intervento di una ditta specializzata, all'ispezione, alla bonifica del versante roccioso a monte della statale, al disgaggio dei massi in posizione instabile nonché alla pulizia dalla vegetazione spontanea della superficie interessata dal crollo.
  Lo scorso 18 febbraio, al termine dei citati interventi, la strada statale è stata riaperta al traffico.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 27 dicembre 2013 è stata diffusa la notizia della nomina del commissario straordinario della Casa Divina Provvidenza (CDP) di Bisceglie (BT), in Puglia, sede principale delle opere di Don Pasquale Uva, fondata nel 1922, con Unità Alzheimer, Centri di riabilitazione, residenze sanitarie e istituti ortofrenici;
   il decreto del Ministero dello sviluppo economico n. 60 del 10 aprile 2013, di concerto con il Ministero della giustizia, ha adottato il «Regolamento recante determinazione dei requisiti di professionalità ed onorabilità dei commissari giudiziali e straordinari delle grandi imprese»;
   il predetto decreto ministeriale all'articolo 2, secondo comma, prevede che: «I commissari straordinari sono scelti, secondo criteri di professionalità e di competenza, tra:
    a) persone iscritte da almeno cinque anni negli albi degli avvocati che hanno esercitato per uguale periodo l'attività professionale, maturando una specifica competenza nel settore delle procedure concorsuali, ovvero della programmazione, ristrutturazione o risanamento aziendale;
    b) persone in possesso di diploma di laurea in materie giuridiche che hanno maturato una esperienza complessiva di almeno cinque anni nell'esercizio di:
     1) funzione di amministrazione o di direzione presso imprese pubbliche o private aventi dimensioni comparabili con quelle dell'impresa insolvente;
     2) funzioni dirigenziali presso enti pubblici o pubbliche amministrazioni aventi attinenza con il settore di attività dell'impresa insolvente e che comportano la gestione di rilevanti risorse economico-finanziarie;
     3) funzioni di curatore, commissario giudiziale, commissario liquidatore o commissario straordinario di procedure concorsuali che hanno comportato la gestione di imprese di dimensioni comparabili con quelle dell'impresa insolvente –:
   quale sia il metodo utilizzato dal Ministero per predisporre la «rosa di candidati» ed i requisiti per i quali è stato scelto l'attuale commissario straordinario della Casa Divina Provvidenza di Bisceglie (BT). (4-03134)

  Risposta. — Con decreto ministeriale in data 23 dicembre 2013, la Congregazione Ancelle della Divina Provvidenza è stata ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria di cui al decreto-legge n. 347 del 2003 (cosiddetta Legge Marzano), ed è stato nominato commissario straordinario l'avvocato Bartolomeo Cozzoli.
  Quanto ai criteri per la nomina del commissario, oggetto della richiesta dell'interrogazione in esame, si fa presente che l'articolo 38 del decreto legislativo n. 270 del 1999 (cosiddetta legge Prodi
bis), espressamente richiamato dal citato decreto-legge n. 347 del 2003, attribuisce il potere di nomina al Ministro dell'industria (oggi dello sviluppo economico), mentre il successivo articolo 39 demanda a un regolamento di questo Ministero di concerto con il Ministro della giustizia la definizione dei requisiti di professionalità e di onorabilità dei commissari giudiziali e dei commissari straordinari.
  Con decreto in data 10 aprile 2013 n. 60, è stato adottato il predetto regolamento, il quale prevede all'articolo 2, comma 2, che i commissari straordinari siano scelti secondo criteri di professionalità e di competenza, tra gli altri, tra «
omissis: a) persone iscritte da almeno cinque anni negli albi degli avvocati, dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali che hanno esercitato per eguale periodo l'attività professionale, maturando una specifica competenza nel settore delle procedure concorsuali, ovvero della programmazione, ristrutturazione o risanamento aziendale...».
  La nomina del commissario straordinario, dunque, si configura come conferimento di un incarico, di natura fiduciaria, a professionalità in possesso dei requisiti definiti dal regolamento sopra citato.
  Nel caso di specie, l'avvocato Cozzoli, come risulta dal
curriculum agli atti e come auto-certificato nell'atto di accettazione dell'incarico redatto ai sensi dell'articolo 6 del citato decreto ministeriale 10 aprile 2013, è stato ritenuto dal Ministro pro tempore, in possesso dei requisiti per la nomina a commissario straordinario, atteso che lo stesso, iscritto all'albo degli avvocati dall'anno 2000, ha svolto, nell'ambito dell'attività dello studio professionale di cui è socio, fra l'altro, assistenza nell'attività di negoziazione di accordi di ristrutturazione e di consolidamento del debito nonché in operazioni di project financing; inoltre, ha assistito clienti interessati a rilevare aziende o beni nel contesto di procedure di liquidazione degli atti derivanti da procedure concorsuali; ha collaborato in alcune procedure concorsuali e liquidatori.
Il Ministro dello sviluppo economicoFederica Guidi.


   DA VILLA, CRIPPA, PRODANI, COZZOLINO, SPESSOTTO, LOREFICE, DE LORENZIS, GALLINELLA e SIMONE VALENTE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1 del trattato sull'Unione europea stabilisce che le decisioni dell'Unione europea sono prese nel modo più trasparente e vicino possibile ai cittadini;
   risulta agli interroganti che a maggio 2013 siano iniziati i negoziati sugli accordi di libero scambio tra USA e EU, la cosiddetta Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP);
   tra il 10 e il 15 novembre 2013 si è tenuto a Bruxelles il secondo round di negoziazioni tra la delegazione europea e quella statunitense;
   si apprende dal sito internet della Commissione europea che il 15 novembre 2013 si è tenuto un incontro tra le delegazioni per discutere la regolamentazione dei servizi finanziari;
   si apprende altresì da un briefing del parlamento britannico che il 3 dicembre 2013 il Consiglio affari esteri dell'Unione europea si è riunito per discutere temi legati al commercio;
   sempre dal citato briefing del Parlamento britannico risulta come il prossimo round di negoziati sia in programma a partire dal 16 dicembre 2013, e che a gennaio 2014 il commissario al commercio Karel de Gucht e il suo omologo statunitense Michael B. Froman si incontreranno per prendere atto dei risultati delle negoziazioni;
   la Commissione europea difende la segretezza dei negoziati con un unico argomento: è necessario un certo grado di riservatezza; in caso contrario, sarebbe come mostrare all'altro giocatore le proprie carte (question & answers pubblicate sul sito della Commissione);
   nel caso concreto pare che il giocatore USA conosca benissimo le carte del giocatore Europa, come è chiaramente emerso dalle notizie pubblicate sulla stampa di tutto il mondo nell'ambito dello scandalo Prism/Datagate: non c’è quindi a parere degli interroganti alcuna ragione per continuare a non informare puntualmente i cittadini europei sullo stato delle negoziazioni;
   persino sul «riservatissimo» mandato del Consiglio ai negoziatori europei sono facilmente rinvenibili notizie su internet;
   ai sensi dell'articolo 207 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), un comitato i cui membri sono designati dagli Stati membri affianca la delegazione negoziale dell'Unione europea;
   se il TTIP riguarderà anche materie di non esclusiva competenza dell'Unione europea, dovrà essere ratificato anche dal Parlamento italiano: è pertanto necessario che il Parlamento italiano sia tempestivamente informato circa gli sviluppi delle negoziazioni in corso, e che tutti i documenti connessi a tali negoziazioni siano al più presto resi accessibili ai parlamentari –:
   se il Governo ritenga che un negoziato segreto sia il modo più trasparente e vicino possibile ai cittadini per sviluppare la politica commerciale dell'Unione europea;
   chi sia il componente designato dall'Italia del Comitato che affianca i negoziatori ai sensi dell'articolo 207 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, con che criteri è stato individuato, che mandato gli è stato affidato e con che modalità riferisce al Governo;
   quali contenuti siano stati discussi il 27 novembre 2013 nell'ambito delle negoziazioni sulla regolamentazione finanziaria;
   se, in che modo e con quali obiettivi l'Italia abbia contribuito a definire tali contenuti;
   quali contenuti siano stati discussi il 3 dicembre nell'ambito del Consiglio affari esteri sul commercio;
   se, in che modo e con quali obiettivi l'Italia abbia contribuito a definire tali contenuti;
   quali siano le ragioni per cui il Governo non ha sin qui riferito tempestivamente al Parlamento circa i progressi delle negoziazioni, e se intenda mettere a disposizione la documentazione in proprio possesso;
   quali siano la tempistica e le modalità con le quali il Governo intenda riferire tempestivamente circa i progressi delle negoziazioni e mettere a disposizione la documentazione rilevante, in vista del prossimo round di negoziati in programma a partire dal 16 dicembre 2013;
   quali siano le ragioni per cui il Governo non ha sin qui avviato un'azione di informazione e divulgazione sul tema a favore della cittadinanza italiana.
(4-03033)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame concernente il negoziato per l'Accordo di libero scambio tra l'Unione europea e Stati uniti (partenariato transatlantico su commercio ed investimenti (transatlantic trade and investment partnership ttip) si rappresenta quanto segue.
  Il lancio del negoziato
ttip è stato sostenuto da tutti gli Stati membri dell'Unione europea e, dopo l'annuncio formale delle trattative da parte del Presidente degli Usa Obama nel febbraio 2013, i Paesi europei hanno proceduto a valutare le opportunità economiche offerte dal partenariato transatlantico. Nel considerare tale opportunità, da parte italiana si è fatto ricorso ad una valutazione d'impatto sulle risultanze economiche che da esso sarebbero derivate per l'Italia. Lo studio commissionato a Prometeia spa ha confermato quanto già indicato da altri altrettanto autorevoli centri studi internazionali, aditi dalla Commissione europea e da altri Stati membri dell'Unione europea, evidenziando i benefici economici per l'Unione europea e per il nostro Paese. In particolare, tale studio ha rimarcato che l'Italia sarebbe tra i Paesi dell'Unione europea che maggiormente guadagnerebbero, in termini industriali, dal buon esito delle negoziazioni ttip, con effetti molto positivi per l'industria dei mezzi di trasporto, cioè per le produzioni automotive nel loro insieme, ma soprattutto, per i principali settori di specializzazione del nostro Paese nel commercio mondiale: meccanica, sistema moda, agroalimentare e bevande.
  Inoltre, come è sempre avvenuto anche per altri negoziati commerciali, la prassi adottata dal Ministero dello sviluppo economico per valutare la rispondenza del negoziato
ttip agli interessi nazionali è stata quella del massimo coinvolgimento di tutti i principali stakeholder del sistema produttivo italiano e delle altre amministrazioni tecniche, sia nella fase preliminare all'avvio delle trattative, che nel corso delle stesse. Questo obiettivo viene perseguito attraverso l'organizzazione di riunioni periodiche, d'intesa anche con il Ministro degli affari esteri. Nello specifico, nel corso degli ultimi due anni si sono tenute numerose riunioni di coordinamento con gli enti associativi e gli esponenti della società civile, ai fini di un tempestivo confronto in materia; tali riunioni proseguiranno anche nel corso del 2014 per accompagnare le fasi salienti delle negoziazioni.
  L'azione del Governo, verso l'ipotesi di scelta negoziale con gli Usa, è stata ampiamente sostenuta, in ogni occasione, dal sistema produttivo italiano, che, nel suo complesso, eccezion fatta per il settore audiovisivo (escluso dal negoziato), ha sempre guardato con grande interesse a tali trattative.
  Il continuo raccordo con le altre amministrazioni competenti ed il sistema Italia è stato sempre finalizzato ad individuare ed indicare le specifiche sensibilità del nostro sistema produttivo, non solo in chiave difensiva ma anche offensiva, al fine di cogliere tutte le opportunità che possono derivare dalla finalizzazione dei negoziati commerciali (e in particolare del
ttip) per la nostra economia, anche grazie ad un migliore accesso ai mercati esteri da parte dei prodotti italiani.
  In merito alla richiesta dell'interrogante sulle esigenze di trasparenza, va evidenziato come la documentazione negoziale del negoziato
ttip, sia oggi una massa documentale riservata, che vincola gli Stati membri alla non divulgazione e al riserbo assoluto circa il contenuto della stessa, non solo in ragione della sua classificazione – imposta dalla Commissione europea – ma anche per tutelare gli interessi dell'Unione europea e per non pregiudicare le possibilità di un esito positivo del negoziato stesso. Al riguardo, si sottolinea l'importanza che il Governo italiano ha sempre dato alla trasparenza nella condotta dei negoziati da parte della Commissione, nel caso del ttip, questa deve essere coniugata con l'esigenza di riservatezza posta dalla gestione di un negoziato di tale importanza. Peraltro, va sottolineato che neppure gli Stati membri hanno accesso a tutta la documentazione inerente il ttip: ad esempio, per il momento non è stata ancora resa possibile la visione dei documenti presentati dagli Stati Uniti e si sta valutando l'ipotesi di una specifica reading room a Bruxelles che consenta la sola lettura di tali testi.
  Ad ogni modo, proprio per assicurare massima trasparenza al funzionamento delle istituzioni europee anche nell'ambito della politica commerciale, materia di specifica competenza comunitaria, senza mettere a rischio le esigenze di riservatezza, il Ministero dello sviluppo economico ha sempre garantito la massima informazione possibile sul processo di negoziazione degli accordi di libero scambio, attraverso l'indizione di riunioni di coordinamento con il sistema Paese (che hanno visto la partecipazione anche dei rappresentanti del Senato, della Camera dei deputati e di altre componenti della società civile).
  Per quanto attiene ai rapporti con il Parlamento, il Ministero dello sviluppo economico non ha mai mancato di rendere noto alle due Camere, nelle opportune sedi, l'evolversi delle diverse trattative, dando contezza della sostanza negoziale nel rispetto delle esigenze di riservatezza precedentemente esposte.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoCarlo Calenda.


   DADONE, NUTI, FRACCARO, TONINELLI, COZZOLINO, DIENI, LOMBARDI, D'AMBROSIO, BUSTO, DE ROSA, TERZONI, DAGA, MANNINO, SEGONI, ZOLEZZI e MICILLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il 9 aprile 2014 Romilda Rizzo, Antonio Martone e Alessandro Natalini, rispettivamente ex presidente e componenti dell'Autorità nazionale anti corruzione e per la valutazione e la trasparenza delle Amministrazioni pubbliche, ex Civit, oggi ANAC, hanno trasmesso una serie di considerazioni, contenute nel documento «Problemi aperti in materia di prevenzione della corruzione, trasparenza e performance e proposte di semplificazione», all'indirizzo del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione;
   in particolare il documento segnalava alcune problematiche in materia di corruzione e trasparenza che i tre alti funzionari hanno inteso sottoporre all'attenzione del Ministro affinché quest'ultimo si adoperasse per risolverli;
   in primo luogo si specifica come, con il decreto legislativo n. 39 del 2013 convertito dalla legge n. 98 del 2013 che trasferisce funzioni consultive dall'Autorità al Ministero stesso, quest'ultimo debba ancora fronteggiare e risolvere con direttive o circolari ministeriali le «numerose questioni sollevate da pubbliche amministrazioni ed enti in ordine all'applicazione dell'articolo 3 in tema di inconferibilità di incarichi in caso di condanna per reati contro la pubblica amministrazione»;
   segue la rilevazione, peraltro già presente nel «Rapporto sul primo anno di attuazione della legge n. 190 del 2012», della opportunità di intervenire legislativamente per risolvere «l'asimmetria tra le situazioni di inconferibilità e incompatibilità previste per i dirigenti statali e quelli di amministrazioni regionali e locali di società in controllo pubblico presenti del decreto legislativo n. 39 del 2013»;
   secondo i tre alti funzionari «in generale, vanno chiariti i profili di applicazione della legge n. 190 del 2012, stante la genericità delle previsioni normative al riguardo, e i continui tentativi, promossi da più parti, per rimanere al di fuori dell'ambito di applicazione» e si riporta il caso esemplare della SEA spa che in un ricorso avrebbe richiesto l'annullamento del piano nazionale anticorruzione;
   secondo quanto riportato nel documento in questione, l'Autorità avrebbe segnalato inoltre le preoccupazioni relative all'ambito di riferimento degli enti economici e delle società controllate e partecipate per il quale sussistono interpretazioni (come quelle riportate nella circolare ministeriale n. 1/2014) che limitano «l'ambito soggettivo di applicazione delle norme sulla trasparenza a un settore che, come testimoniato anche da recenti fatti di cronaca, dovrebbe essere, invece, oggetto di particolare attenzione nelle politiche di prevenzione»;
   la stessa Autorità avrebbe quindi deciso, di fronte a interpretazioni dello stesso Ministero, risultate essere difformi o limitative dell'applicazione della normativa, di sospendere i riscontri e i controlli in merito agli obblighi di trasparenza da parte delle società partecipate al fine di «non ingenerare ulteriori incertezze applicative»;
   circolare, quella succitata, che peraltro l'Autorità avrebbe conosciuto solo attraverso la pubblicazione on line sul sito del Ministero dimostrando quindi una evidente mancanza di quel necessario coordinamento che dovrebbe sussistere tra le attività dello stesso Ministero e quelle dell'ANAC. Coordinamento che dall'Autorità ritengono fondamentale non solo per «l'efficace attuazione della normativa anticorruzione» e per «evitare condizioni di incertezza» ma soprattutto per «facilitare i flussi informativi senza pregiudicare l'attività di vigilanza»;
   il nuovo presidente dell'Autorità, Raffaele Cantone, dichiarava in una intervista a La Repubblica, il 20 aprile 2014, che «l'obiettivo dell’Authority non è quello di combattere la corruzione già avvenuta, ma di provare a prevenirla. Questa è la grande scommessa della legge del 2012», corroborando quanto ritenuto di importanza fondamentale da chi lo ha preceduto e sostenendo quindi la necessità di risolvere le condizioni di debolezza e inefficacia insite nella normativa vigente e nel dna dell'ANAC;
   l'8 maggio un blitz della Guardia di finanza e della direzione investigativa antimafia ha scoperchiato quella che è stata definita dagli inquirenti una vera e propria «cupola degli appalti» che avrebbe gestito il sistema delle attività e degli affidamenti dei lavori relativi all'Expo 2015 di Milano. A seguito della notizia del coinvolgimento trasversale di alcune figure della politica locale e nazionale, attuale e della cosiddetta Prima Repubblica come Primo Greganti, ex Pci, Pds e Ds, già implicato nelle indagini di Tangentopoli; Gianstefano Frigerio e Angelo Paris, entrambi ex Forza Italia; Luigi Grillo, ex Dc; Sergio Cattozzo, ex Udc; il Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, ha annunciato l'11 maggio la formazione di una non meglio definita task force anticorruzione ad hoc per l'Expo. A ventiquattro ore di distanza, la stessa task force ad hoc sembra essere stata inglobata nella già esistente Authority guidata da Raffaele Cantone, affidata allo stesso presidente ANAC;
   oggi l'ANAC è costituita di fatto dal solo presidente, Raffaele Cantone, poiché a seguito delle dimissioni degli ultimi quattro componenti, non risulta alcun sostituto in carica; essa rappresenta di fatto al momento una Autorità monca sotto il profilo organizzativo;
   la decisione, apparentemente coerente, di riportare sotto la guida del presidente Cantone e dell'ANAC il controllo e la prevenzione di casi di corruzione nell'Expo avviene in una condizione quindi di estrema debolezza, per i motivi di cui sopra, in cui versa l'Autorità e, in generale, per il complesso normativo in cui la stessa Authority deve muoversi –:
   se il Governo sia a conoscenza delle problematiche illustrate;
   se il Governo abbia cognizione della debolezza intrinseca dell'Anac, stante quanto riportato dagli stessi dirigenti della Authority e l'assenza dei componenti ad esclusione del presidente Cantone;
   se e come il Governo intenda affrontare le problematiche di ordine interpretativo, regolamentare e applicativo illustrate dai dirigenti dell'Autorità nazionale anti corruzione;
   se e come il Governo intenda rafforzare l'Autorità anticorruzione alla luce dell'incarico che dovrebbe esser conferito al Presidente Cantone dallo stesso Presidente del Consiglio dei ministri alla luce delle indagini e degli arresti relativi agli appalti per l'Expo 2015 di Milano.
(4-04852)

  Risposta. — Il Governo è consapevole dei problemi illustrati dall'interrogante e, come dimostrato dalle recenti iniziative del Presidente del Consiglio dei ministri, è fortemente impegnato sul fronte della lotta alla corruzione. Il documento relativo alle questioni aperte in materia di trasparenza e di prevenzione della corruzione, menzionato dall'interrogante, è stato consegnato dai componenti dell'Anac, recentemente dimessisi, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione e allo stesso nuovo Presidente Cantone, con un atteggiamento pienamente collaborativo che merita apprezzamento. Ulteriori segnalazioni, relative a possibili interventi di riforma, sono state formulate dallo stesso Presidente Cantone.
  Le proposte in esame riguardano un ampio ventaglio di problemi relativi alla prevenzione della corruzione, alla disciplina della trasparenza e alla valutazione della
performance nelle pubbliche amministrazioni: tra le altre questioni sollevate, vi sono la disciplina dei pareri in materia di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi, gli obblighi che tale disciplina impone ai dirigenti statali e a quelli regionali e locali, gli obblighi che gli organismi privati ma finanziati o controllati da pubbliche amministrazioni sono tenuti a rispettare.
  Il Governo è dunque impegnato nella valutazione dell'attuale disciplina e delle attuali dotazioni dell'Anac. Sono allo studio possibili correttivi in ordine alle competenze dell'Autorità, ai suoi poteri e alla sua organizzazione. Non è escluso che alcuni di questi correttivi trovino spazio nell'ambito della riforma del 13 giugno 2014. È infatti cruciale, per prevenire la corruzione, che i soggetti istituzionali impegnati dispongano, da un lato, degli strumenti migliori e, dall'altro, di un quadro normativo chiaro e di agile interpretazione.
  Aggiungo che il Governo ha ben presente l'esigenza di consentire all'Autorità anticorruzione di operare rapidamente nella sua piena composizione, con la nomina di componenti di indiscusso prestigio e distaccati dalle parti politiche. Come è noto, il Governo ha ritenuto di sollecitare manifestazioni di interesse per la nomina a componente dell'Anac e di pubblicare i nomi di chi le ha presentate. Su questa base, il Governo intende indicare in tempi brevissimi i nuovi componenti, sperando di ottenere, attraverso la designazione di persone di indiscutibile serietà e competenza, lo stesso risultato ottenuto con Raffaele Cantone: la conferma all'unanimità da parte delle commissioni parlamentari di Camera e Senato.
  Su questa base, verrà proseguita la collaborazione con l'Autorità, che si svolgerà sui binari del rispetto delle reciproche competenze e del raggiungimento degli obiettivi di interesse generale. Siamo certi che questa collaborazione consentirà un buon coordinamento tra Ministro e Autorità e, di conseguenza, il superamento delle difficoltà interpretative alle quali l'interrogazione ha fatto riferimento.

Il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazioneMaria Anna Madia.


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la provincia di Monza e della Brianza è stata istituita con legge n. 146 del 2004 dell'11 giugno 2004, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 138 del 15 giugno 2004 con il titolo «Istituzione della provincia di Monza e della Brianza»;
   tale provincia è composta da 55 comuni e si estende su una superficie di 405,49 chilometri quadrati; la popolazione residente è di circa 854.000 abitanti;
   questa provincia è tra le più densamente popolate del Paese ed in essa operano migliaia di grandi, medie e piccole industrie;
   a quasi 10 anni dall'istituzione, nonostante ripetuti solleciti da parte delle amministrazioni del territorio, non è ancora stato costituito il comando provinciale dei vigili del fuoco;
   infatti, ad oggi, la provincia di Monza e della Brianza dipende ancora dal comando provinciale dei vigili del fuoco di Milano –:
   perché non sia ancora stato istituito il comando provinciale dei vigili del fuoco di Monza e della Brianza;
   quali azioni il Ministro intenda intraprendere affinché si operi celermente per colmare questa importante mancanza.
(4-02265)

  Risposta. — L'organizzazione territoriale del dispositivo di soccorso tecnico urgente, nell'area cui fa riferimento l'interrogante, è attualmente affidata al comando provinciale dei vigili del fuoco di Milano.
  Nel comune di Monza e Brianza, invece, è attivo un distaccamento permanente dei vigili del fuoco, classificato nella categoria D2, a cui sono assegnate 36 unità operative, distribuite nelle qualifiche di vigile permanente, capo squadra e capo reparto.
  A seguito dell'emanazione della legge 146 del 2004 e della conseguente istituzione della nuova provincia di Monza e Brianza, il Ministero dell'interno ha elaborato diverse ipotesi volte ad individuare risorse necessarie per l'attivazione della nuova sede.
  Dapprima, infatti, con i decreti del Presidente del consiglio dei ministri del 23 gennaio 2006 e del 30 marzo 2007 sono stati finanziati i lavori per la realizzazione di una nuova palazzina destinata unicamente ad uso uffici amministrativi.
  Con apposita convenzione, il commissario governativo incaricato di curare gli adempimenti connessi all'istituzione della nuova provincia ha affidato al Ministero dell'interno la funzione di stazione appaltante per la realizzazione della struttura.
  I relativi lavori sono stati ultimati e, in data 16 settembre 2013, l'immobile è stato consegnato al comando provinciale di Milano per la successiva assegnazione.
  Si precisa che l'edificio di proprietà dell'amministrazione provinciale – già sede del distaccamento dei Vigili del fuoco di Monza – ospiterà le funzioni operative e logistiche ma necessita, per la piena operatività, di ulteriori opere di ristrutturazione e messa a norma degli impianti, unitamente all'esecuzione di interventi di adeguamento e raccordo funzionale con la struttura di nuova costruzione.
  A tal fine è stato predisposto in data 8 novembre 2011, un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di rimodulazione del fabbisogno finanziario, che a tutt'oggi, però, non risulta ancora perfezionato.
  Si soggiunge che sono attualmente in corso di definizione le procedure per l'acquisizione della struttura dall'amministrazione provinciale e di un'area di proprietà dell'azienda ospedaliera «San Gerardo» di Monza per la realizzazione delle autorimesse da adibire a ricovero dei mezzi del comando.
  Da ultimo, in data 3 marzo 2014, a seguito dell'incontro con il prefetto della provincia, sono state avviate le procedure di progettazione per la ristrutturazione e l'adeguamento della sede, nelle more del richiesto finanziamento. Si provvederà, pertanto, a bandire la gara di appalto per l'affidamento dei lavori in argomento, non appena acquisita la necessaria copertura finanziaria.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   TINO IANNUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il collegamento stradale Salerno-Avellino, nel tratto fra Mercato San Severino e Salerno, svolge una funzione di indubbia valenza nazionale; infatti, tale arteria collega le autostrade A30 Caserta ed A3 Salerno-Reggio Calabria, fungendo, quindi, da raccordo autostradale;
   di conseguenza, questa rete stradale è interessata da un enorme volume di traffico che, spesso, determina veri e propri ingorghi con code chilometriche di veicoli che paralizzano per ore la circolazione e che rappresentano un pericolo per gli utenti; il potenziamento e l'adeguamento di tale strada sono necessari per alleggerire e per rendere scorrevoli il traffico e le comunicazioni verso il Sud e dal Sud, attraverso il collegamento fra le autostrade A30 e A3;
   il raccordo Salerno-Avellino, allo stato, presenta condizioni di sicurezza assolutamente inadeguate, proprio per la ristrettezza e l'insufficienza della sede stradale — due sole corsie per ogni senso di marcia — e per l'elevato livello del traffico;
   il potenziamento del raccordo è una priorità assoluta nella politica infrastrutturale del Paese, essendo parte integrante dell'asse autostradale Roma-Caserta-Salerno-Reggio Calabria;
   dopo anni di discussioni in merito alla soluzione progettuale più idonea, l'Anas, ha indetto nel 2002 una gara pubblica per la progettazione dell'adeguamento dell'attuale tracciato stradale, ampliando da due a tre corsie per ogni direzione di marcia, oltre alla striscia dell'emergenza ed alla messa in sicurezza dell'intero raccordo;
   l'incarico di progettazione è stato aggiudicato alla società Bonifici Core di Roma, per il tratto da Salerno fino alla galleria di Solfora, e ad un libero professionista per il tratto ulteriore fino ad Avellino;
   da tempo la società Bonifica ha consegnato gli elaborati del progetto preliminare, unitamente alla valutazione di impatto ambientale;
   l'accelerazione dell’iter progettuale è indispensabile, attesa la rilevanza straordinaria dell'opera;
   il finanziamento del primo lotto del raccordo «Mercato San Severino-Fratte», il cui costo complessivo è stato stimato in 246 milioni di euro, venne inserito dal Governo Prodi nel piano regionale della mobilità 2007-2013 per l'importo di 190 milioni di euro; la quota residua di 56 milioni di euro avrebbe dovuto ricadere sulle risorse della legge obiettivo;
   tale finanziamento è stato tuttavia revocato e cancellato dal Governo Berlusconi con il decreto-legge n. 112 del 2008 promosso dal Ministro pro tempore Tremonti. Il Cipe, solamente nella seduta del 3 agosto 2011, ha riassegnato parzialmente il finanziamento del 1° lotto, destinando all'ammodernamento del tratto Salerno-Fratte-Mercato San Severino 123 milioni di euro; in seguito nessuna ulteriore risorsa è stata assegnata a questa opera di tanta rilevanza strategica per l'intero sistema autostradale italiano; né il Governo ha provveduto a completare il finanziamento del 1° lotto di questa infrastruttura;
   il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, in risposta ad un precedente atto ispettivo dell'interrogante n. 5-00059, nella seduta della VIII Commissione del 30 luglio 2013, ha sollecitato la regione Campania ad attivarsi per la sottoscrizione dell'Accordo di programma quadro (APQ), necessario per la utilizzazione in concreto del predetto finanziamento di 123 milioni di euro che, in caso contrario, potrebbe essere revocato;
   è necessario garantire la conservazione e la utilizzazione di questi fondi, considerando la valenza strategica di assoluto respiro nazionale del raccordo nel tratto Salerno-Fratte-Mercato San Severino;
   è indispensabile una immediata attivazione della regione Campania, senza altri negativi e dannosi ritardi e rinvii;
   occorre, quindi, una intesa urgente fra il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e la regione Campania, per sbloccare questa assurda ed ingiustificata situazione che rischia di produrre, con la revoca del finanziamento, un pregiudizio pesantissimo alle comunità interessate, come più volte evidenziato dall'interrogante in questi mesi;
   è indispensabile, anzi, completare tale finanziamento, tenuto conto che il progetto può e deve essere realizzato in fasi e stadi diversi e graduali, iniziando proprio dal tratto di massima rilevanza nazionale Mercato San Severino-Fratte, la cosiddetta «barriera»;
   è prioritario adeguare il raccordo per garantire che il traffico veicolare dalle tre corsie della A30 raggiunga la A3 con tre corsie nel tratto salernitano, attraverso un collegamento Mercato San Severino-Salerno anche esso dotato delle necessarie tre corsie ed in regola con una moderna e funzionale messa in sicurezza –:
   quali iniziative il Ministero, nel rapporto istituzionale con la regione Campania, intenda assumere con urgenza per la concreta utilizzazione del finanziamento già erogato di 123 milioni di euro per l'ammodernamento e la messa in sicurezza del 1° lotto Salerno-Fratte-Mercato San Severino del Raccordo Salerno-Avellino, che costituisce una sorta di «lotto zero», di «porta di accesso» all'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria, assolvendo alla funzione, così essenziale, di raccordare le autostrade A30 ed A3; in quanto tale, il raccordo è parte integrante del sistema autostradale italiano e provvede a collegare il Nord ed il Centro con il Sud del Paese;
   se il Ministero e l'ANAS intendano autorizzare, come è assolutamente necessario ed urgente, la immediata utilizzazione dei 123 milioni di euro, già assegnati, per appaltare, senza ulteriori e dannosi rinvii e ritardi, i lavori relativi ad una parte, ad un primo stralcio del 1° lotto del raccordo «Mercato San Severino-Fratte». (4-04819)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si ribadisce innanzi tutto il ruolo strategico del raccordo autostradale Salerno-Avellino, inserito nel programma delle infrastrutture strategiche della legge n. 443 del 2001 (legge obiettivo).
  Il tratto del raccordo autostradale da Fratte a Mercato San Severino Fratte è nel quadro degli interventi «
core network» del programma delle reti TEN-T, cioè nel quadro delle infrastrutture strategiche che in modo organico caratterizzano l'offerta infrastrutturale comunitaria.
  Nel 2008 l'ANAS ha avviato le procedure di legge obiettivo relative al progetto preliminare dell'ammodernamento del suddetto raccordo autostradale, attualmente in fase di svolgimento, per l'approvazione del progetto e il finanziamento dell'opera, trasmettendo il progetto preliminare al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e agli altri enti competenti.
  Il progetto prevede l'adeguamento ad autostrada dell'infrastruttura esistente, in conformità alle norme tecniche vigenti, mediante la realizzazione di tre corsie da Fratte a Mercato San Severino e di due tra Mercato San Severino e Avellino, con un costo complessivo pari a 874 milioni di euro. Peraltro l'assenza di risorse ha portato nel 2009 alla identificazione di un primo stralcio funzionale, da Fratte (innesto su A3) a Mercato San Severino (innesto su A30), con un costo complessivo di 239 milioni di euro.
  Il CIPE, con la delibera n. 62 del 2011 «Piano per il Sud», aveva assegnato una prima
tranche di 123 milioni di euro.
  Successivamente il CIPE stesso, con le delibere n. 60 del 2012 (articolo 4), n. 14 del 2013 e n. 94 del 2013 (articolo 1), ha stabilito che le risorse assegnate con il piano per il sud, non impegnate entro il 30 giugno 2014, attraverso obbligazioni giuridicamente vincolanti (aggiudicazione dell'appalto dei lavori), vengano revocate, su proposta del dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica del Ministero per lo sviluppo economico.
  La regione Campania, non essendo riuscita a rispettare i tempi previsti dalla delibera del CIPE n. 62 del 3 agosto del 2011 ed avendo preso atto che lo stato attuale del procedimento, relativo al collegamento Salerno Avellino, non consente di rispettare il termine stabilito del 30 giugno 2014, con delibera giunta regionale n. 39 del 24 febbraio 2014 ha riprogrammato il finanziamento dell'intervento, stabilendo:
   di proporre al CIPE lo stralcio dell'ammodernamento della strada Salerno-Avellino dal piano per il sud;
   di disporre l'assegnazione di euro 84.834.009,94 per l'ammodernamento del collegamento Salerno-Avellino (di cui euro 54.904.466,87 a valere su fondi FAS dell'APQ «Infrastrutture per la viabilità regionale» ed euro 29.929.543,07 a valere su rinvenienze POR 2000-2006 rese disponibili).
  Questa amministrazione ha in programma di condividere in sede CIPE la proposta della regione Campania e sottoporre, entro l'anno in corso, allo stesso comitato interministeriale, il progetto preliminare dell'intero intervento con la richiesta di approvazione di un primo lotto funzionale; detto lotto, dovendo rispondere alle esigenze della intera rete nazionale, dovrà comprendere il tratto Mercato San Severino-Fratte Salerno che funge da cerniera tra le autostrade A30 Caserta-Roma ed A3 Salerno-Reggio Calabria.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   LATTUCA e MOLEA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il sistema televisivo italiano è stato per anni prevalentemente trasmesso via etere e con l'avvento del sistema digitale si è passati ad uno scambio dati basato su codici binari al pari dei computer, di internet e della telefonia mobile, al fine di ottenere un maggior numero di canali disponibili, una migliore qualità audiovisiva e la possibilità di accedere a informazioni aggiuntive;
   dal 2009 è stato avviato il progressivo spegnimento dei tradizionali segnali televisivi analogici e il passaggio delle trasmissioni al solo sistema digitale (switch off). Questo passaggio è stato realizzato in più fasi e si è concluso nel 2012;
   nello specifico il sistema digitale è stato introdotto in forma esclusiva obbligando i residenti all'acquisto del decoder per la televisione digitale o di un nuovo televisore con decoder incorporato;
   a distanza di diversi mesi dalla conclusione della fase di transizione da un sistema all'altro, si registrano ripetute problematiche di ricezione nel territorio del comune di Bagno di Romagna(FC) e in altri comuni della Valle del Savio, a cui hanno fatto seguito ripetute e pronte sollecitazioni da parte dell'amministrazione comunale per denunciare il cattivo servizio erogato dalla televisione pubblica, a fronte del puntuale pagamento del canone da parte degli utenti abbonati;
   queste problematiche di ricezione non consentirebbero un'ottimale visione della programmazione televisiva principalmente delle reti dell'emittente pubblica e talvolta anche delle reti commerciali nazionali, in quanto le trasmissioni televisive sarebbero interrotte continuamente da perdite del segnale (veri e propri black out durati fino ad alcuni giorni) e da ricezioni non corrette del segnale (con la visualizzazione in video di pixel monocromatici di grandi dimensioni e il ricevimento di un audio distorto) –:
   se al Ministro risulti che via siano ancora delle difficoltà nella ricezione del segnale in alcune aree del Paese ed in particolar modo nel territorio del comune di Bagno di Romagna;
   quali iniziative intenda attivare al fine di migliorare la ricezione dei canali digitali in dette zone. (4-03021)

  Risposta. — Con riferimento alle difficoltà di ricezione dei canali digitali riscontrate nel territorio del comune di Bagno di Romagna si rappresenta quanto segue.
  Dalle misurazioni effettuate dal competente ispettorato territoriale per l'Emilia Romagna, avviate per verificare lo stato di ricezione dei mux Rai, nelle località di Verghereto (Forlì-Cesena), Bagno di Romagna (Forlì-Cesena), San Piero in Bagno (Forlì-Cesena), Sarsina (Forlì-Cesena), Mercato Saraceno (Forlì-Cesena), è emerso che i programmi del mux Rai, sono ricevibili in tutti i punti di misura con buona qualità.
  Ciò posto, per la ricezione e ritrasmissione degli altri programmi radiofonici e televisivi, locali e nazionali, i comuni interessati possono richiedere al Ministero dello sviluppo economico, ai sensi dell'articolo 30 del decreto legislativo n. 177 del 2005, e successive modificazioni e integrazioni, l'attivazione e la gestione di appositi impianti ripetitori.
  Si evidenzia, infine, la possibilità per i singoli utenti di usufruire, previa installazione di parabola e
decoder satellitare, della ricezione dell'intera offerta digitale mediante l'utilizzo della nuova piattaforma satellitare gratuita tivù sat che replica sul satellite, l'intera programmazione del servizio pubblico e di altri canali nazionali ed esteri.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonello Giacomelli.


   MAURI, MARANTELLI, RAMPI, GADDA, SENALDI, CIMBRO, SCALFAROTTO, MARZANO, META, CARNEVALI, GIUSEPPE GUERINI, FRAGOMELI, LAFORGIA, COVA, VILLECCO CALIPARI, CASATI, GASPARINI, MALPEZZI, POLLASTRINI, BERLINGHIERI, QUARTAPELLE PROCOPIO, GUERRA, LORENZO GUERINI, GIAMPAOLO GALLI e MOSCA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   si rincorrono da settimane notizie tra i lavoratori interessati e sugli organi di informazione su un presunto piano di smantellamento di Sea Handling che prevedrebbe il taglio di 739 dipendenti sugli attuali 2.392 a tempo pieno, la nascita di una newco, la rinegoziazione al ribasso del 10 per cento dei contratti di lavoro per i riassorbiti, la riduzione dei servizi forniti e la vendita della stessa attraverso trattativa in esclusiva senza alcun bando pubblico;
   va considerata la connessione di questa situazione con il possibile rigetto da parte della Commissione europea della richiesta di sospensiva e il conseguente obbligo di dare corso alla restituzione a Sea spa dei 359 milioni 644 mila euro più interessi ricevuti tra il 2002 e il 2010 con il preannunciato fallimento del ramo handler:
   si auspica che il Governo dispieghi in sede comunitaria tutte le ulteriori iniziative possibili per un esito positivo della situazione, anche d'intesa con gli altri livelli istituzionali territoriali interessati –:
   quali siano le informazioni in possesso del Governo e le strategie per scongiurare un epilogo drammatico sul piano strategico e occupazionale. (4-00130)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, cui si risponde per delega della Presidenza del Consiglio dei ministri del 13 giugno 2013, occorre premettere che questo Ministero, pur non avendo competenza diretta, ha da sempre seguito con il massimo interesse gli sviluppi della vicenda SEA Handling per le possibili conseguenze in termini occupazionali, di mobilità, di regolarità del trasporto aereo ed infine in relazione alle possibili ricadute socio-economiche sul territorio.
  La questione specifica della verifica e del recupero di presunti «aiuti di Stato», dichiarati dalla Commissione europea con decisione del 19 dicembre 2012 quale conseguenza degli interventi di ripianamento del capitale sociale effettuati da SEA spa nel periodo 2002-2010, si colloca, come è noto, all'interno di un mercato di riferimento che continua ad essere caratterizzato da bassi margini di redditività e da un elevato grado di concorrenza.
  Al riguardo, non può che confermarsi l'impegno, già assunto dal Governo, a ricercare ogni possibile soluzione che possa assicurare la piena regolarità dei servizi offerti negli aeroporti milanesi, anche in termini di qualità e quantità del servizio erogato, e che possa, al contempo, salvaguardare i livelli occupazionali nel mercato di riferimento ed evitare pregiudizi per i passeggeri, per i vettori e per l'indotto economico regionale e nazionale.
  Pertanto, in linea con gli strumenti previsti dalla giurisprudenza comunitaria e attraverso i necessari contatti con i competenti servizi della Commissione europea avviati dalle amministrazioni interessate e coordinati dal dipartimento per le politiche europee, si sta mettendo a punto una soluzione che consenta di porre fine alla presunta distorsione concorrenziale, senza ricorrere al recupero monetario dell'aiuto, al fine di evitare le pesanti ricadute sia sul piano economico che occupazionale, di difficile gestione ed elevato impatto sociale.
  In altri termini, si sta delineando una modalità di esecuzione della decisione alternativa al pagamento in denaro e alla messa in liquidazione concorsuale della società, che possa essere ritenuta dalla suddetta Commissione altrettanto idonea a garantire il ripristino delle normali condizioni di concorrenza nel mercato di riferimento.
  Tale soluzione consentirebbe di assicurare per gli scali milanesi il regolare ed efficace svolgimento dei servizi di assistenza attraverso una società operante in piena discontinuità con SEA Handling: pertanto sono allo studio tutte le soluzioni atte a consentire la migliore gestione del processo di transizione, al fine di ottemperare alle richieste della Commissione europea e, al contempo, tutelare i servizi e l'occupazione.
  Infine circa la tutela occupazionale, da notizie assunte presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, risulta che per la società SEA Handling è stato emesso in data 14 aprile 2014 il decreto direttoriale n. 80650 di approvazione di un programma di cassa integrazione per crisi aziendale per cessazione di attività.
  Contestualmente all'approvazione di detto programma, è stata autorizzata la concessione del trattamento di integrazione salariale in favore di un numero massimo di 1.657 lavoratori della sede di Somma Lombarda e di 62 dipendenti della sede di Segrate.
  Il Ministero del lavoro ha altresì evidenziato che per la società per azioni esercizi aeroportuali (SEA) è stato emesso il decreto direttoriale n. 80686 del 14 aprile 2014 di autorizzazione al trattamento di integrazione salariale per un numero di 432 lavoratori coinvolti dalla riduzione oraria disposta con la stipula di un contratto di solidarietà.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   MELILLA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   a Pescara è in corso uno sciopero della fame di un gruppo di residenti del colle di San Silvestro ove sono localizzati illegalmente impianti per la diffusione radio televisiva che dovrebbero essere già stati trasferiti in un altro dei siti alternativi individuati a livello regionale;
   ciò al fine di evitare l'attuale situazione di grave danno alla salute dei residenti a San Silvestro di Pescara per il grave inquinamento elettromagnetico –:
   quali siano le ragioni del colpevole ritardo delle autorità statali competenti e se non intendano finalmente emanare il decreto per la delocalizzazione degli impianti da San Silvestro in uno dei siti individuati in Abruzzo per non compromettere ulteriormente la salute dei cittadini interessati mettendo fine ad una storia che si trascina penosamente da decenni. (4-01280)

  Risposta. — In via preliminare si fa presente che nel 1994 l'allora Ministero delle comunicazioni (oggi Ministero dello sviluppo economico), ai sensi della legge 6 agosto 1990, n. 223, aveva rilasciato alle emittenti i titoli concessori, sulla base del censimento del 1990, «fotografando» l'ubicazione degli impianti a quella data. Successivamente si è proceduto, secondo legge, a proroghe dell'esercizio fino al passaggio alle trasmissioni in tecnica digitale. Le delibere AGCOM in base alle quali sono state assegnate le frequenze televisive digitali consentivano l'esercizio per la stessa area di servizio e con gli stessi impianti eserciti in tecnica analogica oggetto di autorizzazione o concessione.
  Pertanto, il diritto d'uso definitivo rilasciato agli operatori di rete della regione Abruzzo presupponeva atti di concessione precedenti con le stesse reti ed aree di servizio autorizzate e censite nel 1990.
  Per quanto concerne la delocalizzazione occorre precisare che, le ordinanze del presidente della regione Abruzzo del 24 giugno 2008 e del 1o luglio 2008, che disponevano la delocalizzazione degli impianti di radiodiffusione sonora e televisiva siti nella località di San Silvestro, hanno interessato il Ministero, in prima fase, solo per quanto riguarda le valutazioni tecniche sulla delocalizzazione stessa e non sulla pratica attuazione della delocalizzazione tramite emanazione di provvedimenti di modifica degli atti concessori o autorizzativi.
  Quindi, in nessun caso l'ordinanza richiedeva la disattivazione degli impianti, ma solo che il Ministero dello sviluppo economico esprimesse un parere sulla idoneità del sito individuato.
  Infatti, in data 11 dicembre 2009 lo stesso Ministero provvide a relazionare alla regione Abruzzo circa l'idoneità del sito Bussi sul Tirino, proposto per la delocalizzazione, estendendo l'analisi anche al sito di Colonnella che, poteva essere preso in esame come aggiuntivo e non sostitutivo del primo. Tale parere era basato su considerazioni di carattere tecnico, limitate agli aspetti di competenza del Ministero stesso, vale a dire: 1) la necessità di garantire che tutti gli utenti potessero continuare a ricevere i segnali televisivi senza interruzione del servizio; 2) minimizzare l'impatto sui cittadini in termini di riadattamento dei sistemi riceventi.
  Inoltre il parere non teneva in alcun conto, né poteva farlo, degli interessi di tutela della salute dei cittadini sia perché già ampiamente valutati dalla regione e sia perché gli aspetti connessi con tale valutazione sono di natura che esula dalle competenze del Ministero dello sviluppo economico. In ogni caso lo stesso Ministero diede la massima disponibilità a collaborare nella delocalizzazione indicando le procedure necessarie, tra cui l'idoneità dei siti proposti per quanto riguarda le autorizzazioni urbanistiche. Risulta poi che la regione abbandonò l'ipotesi di utilizzo dei siti di Bussi sul Tirino e Colonnella perché vi era una forte opposizione della popolazione locale a ricevere gli impianti siti in San Silvestro.
  Nel mese di febbraio 2011, a seguito della richiesta della giunta regionale dell'Abruzzo, contenuta nella deliberazione n. 694 del 13 settembre 2010, in relazione allo studio di fattibilità della delocalizzazione degli impianti radio televisivi da San Silvestro ad una piattaforma
off-shore prospiciente la costa abruzzese all'altezza di Pescara, il Ministero dello sviluppo economico rispose (nota del 23 febbraio 2011) che risultava una sostanziale equivalenza delle aree di servizio di San Silvestro con quelle ottenute con gli impianti posti sulla piattaforma off-shore. La condivisione di tale parere è stata comunicata dalla regione Abruzzo con nota del 30 marzo 2011.
  Nel mese di aprile 2012 la regione ha istituito un gruppo di lavoro tecnico istruttorio, cui hanno partecipato anche rappresentanti del Ministero dello sviluppo economico, per la valutazione delle problematiche connesse all'ipotesi di migrazione verso la piattaforma marina delle antenne, non operativa, e l'indicazione di siti terrestri alternativi.
  Nelle more delle attività del gruppo di lavoro, secondo il calendario nazionale di transizione al digitale, ha avuto luogo lo
switch off in Abruzzo (7 maggio 2012) e le emittenti televisive sono state autorizzate dal Ministero dello sviluppo economico, a trasmettere ancora temporaneamente dal sito di San Silvestro, per le motivazioni indicate nelle premesse del diritto d'uso rilasciato il 4 maggio 2012, di seguito riportate:
  «VISTA la delibera n. 93/12/CONS del 22 febbraio 2012, recante “Piano di assegnazione delle frequenze per il servizio televisivo digitale terrestre delle regioni Abruzzo, Molise, Basilicata, Puglia, Calabria e Sicilia (aree tecniche nn. 11, 14 e 15);
  CONSIDERATO che in detto Piano si ritiene idonea per la copertura dell'area di Pescara e della costa limitrofa, la piattaforma marina denominata “Francavilla”, indicata dalla Regione Abruzzo come sito alternativo al sito di San Silvestro di Pescara;
  CONSIDERATO, tuttavia che la delibera 93/12/CONS evidenzia come il sito predetto non risulti, allo stato, operativo e che pertanto laddove il medesimo non sia utilizzabile al momento dello switch-off della Regione Abruzzo, potrebbe non essere assicurata una adeguata copertura di servizio degli operatori nazionali (ivi incluso il servizio pubblico) e locali, nella provincia di Pescara in particolar modo qualora non siano stati utilizzati, per il progetto di rete delle emittenti, siti alternativi a quello di San Silvestro Colle;
  CONSIDERATO pertanto, come indicato dalla citata delibera n. 93/12/CONS, necessario che l'operazione di delocalizzazione del sito di San Silvestro Colle, prevista dalla Regione Abruzzo, venga attuata in collaborazione con tutti i soggetti coinvolti, concordando un piano di migrazione che tenga in debito conto l'esigenza di assicurare la continuità del servizio esercito dagli operatori televisivi, con riferimento in particolare al servizio pubblico;
  VISTO il verbale della riunione svoltasi presso la Regione Abruzzo in data 24 aprile 2012 in cui tutti i soggetti coinvolti hanno concordato di costituire un Gruppo di lavoro operativo con il compito di realizzare una attività tecnica istruttoria per la valutazione delle problematiche connesse all'ipotesi di migrazione sulla piattaforma marina e l'indicazione di siti terrestri alternativi;
  CONSIDERATO che i lavori di detto Gruppo di lavoro avranno inizio intorno alla metà di maggio 2012 e dovranno concludersi entro i sei mesi successivi;
  VISTA pertanto, alla data del passaggio al digitale in Abruzzo (7 maggio 2012), la non operatività del sito della piattaforma marina e l'assenza dell'individuazione di siti alternativi equivalenti a San Silvestro;
  RITENUTO peraltro imprescindibile assicurare in favore degli utenti coinvolti nella provincia di Pescara la continuità del servizio esercito dagli operatori televisivi, con riferimento in particolare al servizio pubblico, tramite la prosecuzione del servizio da San Silvestro esclusivamente per un periodo limitato, necessario per la messa in opera della piattaforma marina o di siti alternativi equivalenti».

  Il citato gruppo ha concluso i suoi lavori nel mese di marzo 2013 stabilendo che la delocalizzazione delle antenne televisive sulla piattaforma off-shore di Francavilla a mare è tecnicamente fattibile come da studio realizzato dall'università di L'Aquila.
  Con delibera della giunta regionale Abruzzo dell'8 luglio 2013 la regione Abruzzo ha fatto proprie le risultanze del gruppo di lavoro riconfermando la decisione di inserire il sito
off-shore di Francavilla nel piano nazionale di assegnazione delle frequenze televisive per la delocalizzazione degli impianti presenti in località San Silvestro di Pescara.
  Contestualmente, con ordinanze del 24 settembre 2012 il sindaco di Pescara provvedeva a emanare atti di disattivazione degli impianti trasmissivi siti in San Silvestro, motivati con la mancata presentazione di un piano di risanamento da parte delle emittenti, e per il fatto di aver continuato le trasmissioni dal sito S. Silvestro, nonostante le ordinanze regionali di delocalizzazione e la inidoneità della zona ad ospitare l'impianto di trasmissione, non essendo lo stesso contemplato dell'elenco AGCOM 2012. Il Tar Abruzzo, sezione staccata di Pescara, con sentenza del 25 luglio 2013 ha però annullato gli atti menzionati accogliendo i ricorsi proposti dalle emittenti contro il provvedimento di disattivazione del comune di Pescara.
  I giudici del TAR hanno, infatti, ritenuto che: «La ritenuta fattibilità della piattaforma marina “Francavilla” (nota regione Abruzzo 3.5.2013 prot. n. RA/115464), rappresenta allo stato una prospettiva, non essendo effettivamente pronta ed operativa; in quanto tale, non può essere considerata un valido sito alternativo a S. Silvestro.
  Nel periodo di attesa, per il principio di equivalenza tra tutti i siti operativi, San Silvestro resta utilizzabile al fine di dare continuità al servizio audio-video, sempre nel rispetto dei valori di attenzione (6 V/m) e dei limiti di esposizione (20 V/m), di cui alla legge n. 36/2001 e decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8.7.2003, che non risultano affatto superati (relazione tecnica Arta 2012)».
  Nelle sentenze, i giudici del tribunale regionale si esprimono anche in merito al paventato inquinamento elettromagnetico, sottolineando che il comune di Pescara non ha tenuto conto della relazione tecnica 2012 dell'ARTA (l'agenzia regionale per la protezione dell'ambiente), che attesta il rispetto dei limiti e dei valori di emissione. Per completezza di informazione si segnala che il comune di Pescara ha presentato ricorso in appello al Consiglio di Stato avverso la predetta sentenza del TAR Abruzzo.
  Il Ministero conferma, comunque, l'impegno per le verifiche di propria competenza sulla compatibilità radioelettrica non appena sarà operativa la piattaforma
off-shore o individuato un altro sito operativo dagli organi competenti.
  Si fa, infine, presente che il Ministero dello sviluppo economico attraverso la collaborazione della Fondazione Ugo Bordoni si è reso disponibile con il comune di Pescara a proseguire gli studi inerenti alla dislocazione degli impianti radiotelevisivi attualmente presenti a San Silvestro.

Il Ministro dello sviluppo economicoFederica Guidi.


   MISURACA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la notte del 6 gennaio 2014 ha ceduto un muro di contenimento sulla ss 643 che collega il comune di Polizzi Generosa a quello di Castellana Sicula e alla strada statale n. 120, entrambe in provincia di Palermo. Il muro ha invaso metà carteggiata, ma a scopo preventivo è stata disposta la chiusura totale della strada, con notevoli disagi ed inconvenienti;
   la SS 643, è l'unica via di accesso che collega i paesi delle Alte Madonie ai presidi sanitari, in particolare all'ospedale di Petralia Sottana, alle scuole, ai posti di lavoro; diverse imprese hanno dovuto cessare o ridurre fortemente l'attività in quanto dipendenti e imprenditori sono impossibilitati a raggiungere il proprio posto di lavoro, con evidenti danni economici;
   sono stati effettuati diversi sopralluoghi, cui hanno partecipato vigili del fuoco, Protezione civile, Anas e tecnici comunali e sono stati ravvisati ulteriori pericoli di crollo di un altro muro, attiguo al precedente, che dovrà essere messo in sicurezza;
   i tavoli tecnici non hanno portato ad alcuna soluzione operativa, destinata al rapido ripristino della viabilità; nessuno vuole assumersi le responsabilità e l'onere di avviare i lavori; è stata aperta una strada-trazzera, non asfaltata, in forte pendenza, sprovvista di ogni protezione e già difficile da percorrere con il buon tempo, che diviene impercorribile durante le piogge;
   la conseguenza è che un territorio montano abitato, da circa 4200 persone è di fatto isolato. Gravi difficoltà si registrano nel rifornimento delle merci, che cominciano a scarseggiare. Anche funzioni elementari, come il rifornimento di carburante sono divenute complesse: l'unico distributore di Polizzi in funzione è al di la del muro di contenimento che ha ceduto, come pure il distributore di Castellana Sicula; di conseguenza il più vicino punto di rifornimento si trova a Buonfornello a 50 chilometri;
   la popolazione, che peraltro aveva da tempo segnalato le crepe del muro ed il rischio crollo, è in stato di agitazione e ha già effettuato un'assemblea cittadina, avviando successivamente un sit-in permanente dinanzi al comune –:
   se non ritenga opportuno attivare immediatamente l'ANAS per il ripristino della circolazione su almeno metà della carreggiata della strada statale 643, interessata da un crollo nei pressi del comuni di Polizzi Generosa (PA);
   se non ritenga opportuno farsi promotore del concerto di tutti gli enti pubblici coinvolti, a cominciare dalla regione siciliana, ai fini della messa in sicurezza e del ripristino della normale circolazione sulla strada statale 643, individuando le risorse necessarie allo scopo. (4-03245)

  Risposta. — La strada statale 643 «di Polizzi» è una strada a carreggiata unica, della larghezza media di 5 metri con una sola corsia per senso di marcia. Ha origine al chilometro 51 della strada statale 120 «dell'Etna e delle Madonie» nel comune di Castellana Sicula (Palermo) al cosiddetto bivio di Donalegge e, dopo aver superato il centro abitato di Polizzi Generosa (Palermo) attraversa il Parco delle Madonie raggiungendo la A19 Palermo-Catania alla progressiva chilometrica 22+350 nei pressi del centro abitato di Scillato (Palermo).
  Il tratto di statale compreso tra chilometri 3+680 e 5+680, a norma dell'articolo 5 del regolamento al codice della strada, è considerato «traversa interna» al comune di Polizzi Generosa (trattandosi di un comune inferiore a 10.000 abitanti) e per tale motivo non rientra nelle competenze della società ANAS bensì dell'amministrazione periferica.
  Il muro di contenimento oggetto del crollo, citato dall'interrogante, sovrastava la strada statale 643 in corrispondenza del chilometro 3+940, dunque, all'interno della traversa comunale distante oltre 10 metri dalla strada statale.
  Il cedimento del manufatto è avvenuto intorno alle ore 3,00 del 6 gennaio 2014 e l'ANAS ha provveduto alla chiusura della Statale 643 per motivi di sicurezza. Nei giorni successivi sono stati effettuati specifici sopralluoghi tecnici, al termine dei quali si sono svolte numerose riunioni con la partecipazione dei rappresentanti comunali, della medesima ANAS, del genio civile e della protezione civile. In particolare, nell'incontro del 13 gennaio 2014, dopo che la protezione civile e l'ufficio tecnico comunale hanno fornito rassicurazioni sulla stabilità degli edifici presenti nell'area interessata, si è concordato quanto segue:
   il genio civile ha assunto l'impegno di avviare le procedure per l'esecuzione dei lavori di somma urgenza, finalizzati alla definitiva messa in sicurezza degli edifici e dell'area sovrastante la zona del crollo;
   il comune di Polizzi Generosa ha garantito la tempestiva esecuzione dei lavori di messa in sicurezza dell'area compresa tra la statale e le opere realizzate dallo stesso genio civile.

  Al termine delle operazioni di verifica e messa in sicurezza della zona da parte degli organi competenti sopra specificati potrà procedersi alla riapertura della strada statale 643.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   NUTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 16 febbraio 2011 veniva firmato a Roma l'Accordo di programma tra il Ministro dello sviluppo economico e la regione siciliana per la disciplina degli interventi di riqualificazione e reindustrializzazione del polo industriale di Termini Imerese, sottoscritto oltre che dal Ministro citato e dalla regione siciliana, anche dalla provincia di Palermo, dal comune di Termini Imerese, dal consorzio ASI di Palermo, dall'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimento e lo sviluppo d'impresa s.p.a. e dal gruppo FIAT;
   la finalità primaria di tale accordo era la promozione di nuovi investimenti produttivi in grado di assicurare la salvaguardia della presenza industriale e dell'occupazione del polo industriale di Termini Imerese, con l'intento di mantenere la vocazione produttiva nel settore automobilistico, senza però escludere l'inserimento di ulteriori imprese operanti in settori diversi;
   l'Accordo evidenziava la necessità di sviluppare gli interventi con una tempistica congruente con le esigenze di rioccupazione della manodopera, stabilendo un tempo massimo per dare completezza agli investimenti di 36 mesi;
   l'ammontare degli investimenti programmati era stimato in più di un miliardo di euro per il triennio 2011-2013: di questi, 450 milioni di euro sarebbero stati forniti dalle finanze pubbliche, in particolare 100 milioni di euro direttamente dal Ministero dello sviluppo economico e 350 milioni di euro dalla regione Sicilia di cui 150 per finanziamento di opere infrastrutturali e 200 a titolo di cofinanziamento delle risorse nazionali;
   la vigilanza sull'esecuzione dell'Accordo era stata posta in capo al Ministro dello sviluppo economico e dal presidente della regione siciliana, supportati dal cosiddetto Gruppo di coordinamento, di cui fanno parte anche rappresentanti degli altri firmatari;
   dopo che il gruppo FIAT ha deciso di chiudere lo stabilimento di Termini Imerese, l'Accordo costituisce per questa città l'unica possibilità per poter uscire dallo stato di crisi in cui versa;
   il termine originariamente stabilito in 36 mesi è stato già raggiunto e superato ma, ad oggi, non abbiamo alcuna notizia in merito all'utilizzo dei fondi stanziati sia a livello nazionale che a livello regionale: dunque, una verifica sullo stato di attuazione dell'Accordo e dell'utilizzo dei fondi è assolutamente inderogabile, anche al fine di procedere alla destinazione di risorse eventualmente non utilizzate per la ripresa economica e sociale di Termini Imerese;
   agli interroganti risulta inoltre che, l'Assemblea regionale siciliana stia, proprio in questi giorni, esaminando il testo della cosiddetta «legge finanziaria-bis», un disegno di legge regionale il cui testo è stato prodotto a seguito della bocciatura di alcune parti da parte del commissario dello Stato per la Sicilia della legge regionale 28 gennaio 2014, n. 5, legge di stabilità regionale siciliana per il 2014: nel testo attualmente in esame si prevede la destinazione di 140 milioni di euro per la reindustrializzazione del polo industriale di Termini Imerese, di cui 90 a titolo di cofinanziamento e 50 a titolo di fondo di garanzia, utilizzando parte delle risorse del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione assegnate alla Sicilia;
   nell'interrogazione a risposta scritta n. 4-02313 era stato già interrogato il Ministro dello sviluppo economico e il Ministro dell'economia e delle finanze, suggerendo la possibilità di riconvertire completamente o parzialmente l'area del polo industriale per il rilancio del settore turistico;
   agli interroganti non risultano esservi adeguate informazioni sull'utilizzo dei fondi previsti dall'Accordo citato siglato nel febbraio del 2011; in mancanza di dette informazioni risulta ostacolata ogni attività politica e parlamentare in merito alla ricerca di soluzioni per la crisi economica e sociale di Termini Imerese –:
   se, in quale misura e per quali fini i fondi stanziati all'interno dell'accordo citato in premessa, siglato nel febbraio 2011 tra Ministro dello sviluppo economico e regione Sicilia, siano stati utilizzati e se e in quale modo, secondo le informazioni in suo possesso, gli stessi siano collegati con gli stanziamenti previsti nel testo della cosiddetta «finanziaria bis» in esame all'Assemblea della regione siciliana. (4-04267)

  Risposta. — Per la riqualificazione del polo industriale di Termini Imerese, erano stati proposti quattro progetti industriali riuniti in una short list da Invitalia. In seguito ad un'analisi più approfondita da parte di Invitalia, condivisa al tavolo costituito presso il Ministero dello sviluppo economico che ha visto la partecipazione anche delle parti sociali e delle istituzioni locali, l'istruttoria di questi progetti si è conclusa negativamente a causa di insufficienze di carattere industriale o finanziario. Fin dalla metà del 2012 si è proceduto pertanto a cercare di individuare nuovi interlocutori. Le proposte più recenti, riassunte nel tavolo presso il Ministero dello sviluppo economico il 14 aprile 2014, prevedono tre nuovi progetti che presentano maggiore solidità sul piano industriale e delle garanzie finanziarie. Sono progetti ancora in fase di definizione, ma si ritiene vi siano fondati motivi che possano offrire reali prospettive al polo industriale di Termini Imerese. Si tratta, in particolare, di due progetti che riguardano il settore automotive: il primo relativo alla produzione di un veicolo ibrido elettrico-benzina; il secondo riguarda invece la componentistica. I due progetti avrebbero un impatto molto significativo dal punto di vista occupazionale, soprattutto per i lavoratori in attesa di essere ricollocati, e sull'indotto perché riattiverebbero il tradizionale settore automotive di Termini Imerese. Il terzo progetto riguarda una bioraffineria di seconda generazione. Al riguardo l'Italia si è battuta in sede di Consiglio europeo per obiettivi più ambiziosi relativamente allo sviluppo di biocarburanti di seconda generazione.
  Atteso che non si sono potute utilizzare le somme del vecchio accordo di programma del 2011, il Ministero dello sviluppo economico sottolinea che è in via di definizione un nuovo accordo di programma per Termini Imerese che fa leva su un analogo ammontare di risorse pubbliche sia nazionali sia regionali, a valere sul ciclo di programmazione 2014-2020, come convenuto al tavolo svoltosi il 14 aprile 2014 presso il Ministero dello sviluppo economico.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   PAGANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il neo presidente dell'Unione petrolifera, Alessandro Gilotti, nel corso dell'Assemblea annuale dell'UP, ha detto che la raffinazione italiana ha vissuto un 2012 pessimo e si rischia la chiusura di altri due impianti entro il 2014. In Europa negli ultimi 5 anni hanno chiuso 15 raffinerie per un totale di 1,7 milioni b/g, l'8 per cento del totale. Il 70 per cento di tali chiusure è avvenuto in Nord Europa, ma in prospettiva tale processo interesserà anche il Mediterraneo dove ci sono altri 10 impianti a rischio nei prossimi anni e che qualcuna sparirà anche in Italia: una o due entro quest'anno o il prossimo;
   nel 2012 la capacità di raffinazione installata in Italia è stata pari a 103 milioni di tonnellate a fronte di lavorazioni per circa 80,5 milioni, pari ad un tasso di utilizzo del 78 per cento che scende al 70 per cento se rapportato ai soli consumi interni. L'eccesso di capacità produttiva del sistema, infatti, è dell'ordine di 15-20 milioni di tonnellate l'anno;
   la crisi del settore della raffinazione è stata certificata nei mesi scorsi dai sindacati, che avevano stimato come «reale e quasi imminente» il rischio di lasciare a casa tra gli 7 e i 10 mila addetti di un settore che impiega, a livello nazionale, tra le 18 e le 20 mila persone (40 mila con l'indotto); secondo l'Unione italiana lavoratori chimica energia manifatturiero (UILCEM) sono a rischio nei prossimi anni 40 mila posti di lavoro tra diretto e indotto;
   quanto all'ENI, nel primo trimestre 2013, secondo i dati ufficiali recentemente resi, il margine di raffinazione nell'area del Mediterraneo ha registrato un parziale recupero rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente (3,97 dollari/barile il margine medio di raffinazione sul Brent nel Mediterraneo, +36 per cento rispetto al primo trimestre 2012), pur rimanendo su valori non remunerativi a causa della perdurante debolezza della domanda, elevato costo della carica petrolifera e strutturale eccesso di capacità;
   nel primo trimestre 2013 le vendite ENI di prodotti petroliferi nel mercato rete Italia hanno registrato una flessione dell'8,8 per cento a causa del calo dei consumi di carburanti su cui ha pesato la recessione e dell'intensificarsi della pressione competitiva. La quota di mercato è pari al 29,1 per cento nel primo trimestre 2013, in calo di 1,3 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente (30,4 per cento). In calo (-5,6 per cento) le vendite rete nei mercati europei del primo trimestre 2013, principalmente nell'Europa occidentale;
   in Italia la domanda di energia è tornata indietro di 20 anni. I consumi nel 2012 sono stati, infatti, pari a 177,8 milioni di Tep (tonnellate di petrolio equivalenti), contro i 179,6 milioni del 1998 e i 171,5 del 1995. Particolarmente pesante è stato il calo del petrolio, che con 63,6 milioni di Tep (-8,1 per cento) «è tornato ad un livello di consumi di fine Anni 60», anche complice il crollo delle vendite di auto;
   la causa della crisi non dipende solo dai consumi in picchiata. C’è anche la concorrenza dei Paesi asiatici (il 30 per cento della produzione mondiale), che operano in condizioni di maggiore efficienza grazie a costi (soprattutto ambientali e del lavoro) molto inferiori a quelli che devono sostenere le aziende in Europa. Non a caso negli ultimi anni i profitti delle aziende che operano nel downstream (raffinazione e distribuzione) si sono ridotti del 60-90 per cento;
   sotto il profilo della raffinazione per ENI i risultati peggiori, ad avviso degli interroganti, vengono dagli stabilimenti di Gela (temporaneamente chiuso nel 2012) e Taranto dove nel corso degli anni non vi è stato alcun miglioramento e si sono registrati upset impiantistici (guasti incendi e l'ultimo blocco generale con sversamento idrocarburi a mare dello scorso 8 luglio), non ultimo lo sversamento di idrocarburi in mare verificatosi anche a Gela nei primi di giugno; si sono verificati guasti anche nella raffineria di Sannazzaro (Pavia) che è considerato un gioiello tecnologico (ulteriore blocco generale); i 73 arresti dell'11 giugno per una truffa sui carburanti nella raffineria ENI di Taranto, vicenda che ha coinvolto anche dei funzionari interni all'impianto, dimostrano uno scarso controllo interno (arresti avvenuti anche nel deposito Petroven controllato da Eni a Venezia);
   talune fonti stimano in prospettiva in 600-700 milioni di euro nel 2013 le perdite ENI nel comparto raffinazione, con una complessiva perdita di circa 2 miliardi negli ultimi quattro anni (1,2 miliardi di euro nel triennio 2010-2012); l'amministratore delegato Scaroni ha però negato la possibilità di chiusura di impianti di raffinazione nel 2013 e nel 2014, tuttavia la stampa specializzata ha correttamente osservato come l'Ente non reagisca con la necessaria determinazione in un settore che dovrebbe essere determinante per quel che riguarda l'integrazione verticale delle attività aziendali;
   Eni ha presentato un importante progetto di investimenti a Gela che rafforza l'idea di continuare a credere nella raffinazione –:
   quali orientamenti il Ministro interrogato abbia sulle questioni esposte in premessa;
   quale attività intenda esercitare nei confronti dell'ENI, in qualità di azionista, al fine di salvaguardare le attività industriali e il lavoro nel comparto raffinazione;
   se il Progetto Gela, che continua però a mantenere in essere una centrale termoelettrica a coke da petrolio, così come concepita da Mattei quando c'era una forte richiesta elettrica da parte di un petrolchimico con 15.000 dipendenti, possa rappresentare quella discontinuità che serve per far tornare i conti in ordine nel petrolchimico;
   se l'energia elettrica prodotta in eccesso dallo stabilimento di Gela potrà essere collocata sul mercato, e, se sì, potrà essere competitiva con le energie rinnovabili prodotte in Sicilia;
   quante centrali termoelettriche a pet coke esistano oggi in Europa;
   se sia noto come cambieranno gli inquinanti immessi in atmosfera a progetto Gela concluso rispetto alla media degli ultimi 4 anni e in particolare l'immissione in atmosfera di particolato sottile (contenente metalli pesanti quali nichel, vanadio, ferro e altro che si trovano nel coke di petrolio);
   se sia noto quante delle perdite registrate dalle raffineria di Gela siano di sistema (afferenti lo scenario sfavorevole) e quante invece dovute ai numerosi blackout impiantistici;
   quali scelte industriali siano state attuate nella raffineria di Taranto che continua ad essere costantemente in negativo per riportare il risultato in utile;
   quali scelte industriali si siano fatte a Taranto per aumentare l'affidabilità degli impianti;
   come si collochi il risultato industriale della raffinazione rispetto ai petrolieri privati ed ai concorrenti europei di dimensioni analoghe ad Eni. (4-01267)

  Risposta. — Al riguardo si evidenzia in primo luogo che il settore dell'industria della raffinazione nazionale ed europea attraversa una fase di grave crisi tanto che a livello nazionale la X Commissione della Camera dei deputati nel corso del 2012 ha svolto un'indagine sulla crisi del settore della raffinazione dalla quale è emerso un eccesso di capacità produttiva nell'ordine di 15-20 milioni di tonnellate all'anno.
  Pertanto, permane il rischio di chiusura di altre raffinerie oltre a quelle registrate negli anni scorsi e si rende necessario in futuro una riconversione degli impianti più obsoleti e con minore efficienza.
  Il tema è seguito direttamente dal Ministero dello sviluppo economico che ha dato avvio a una serie di iniziative centrate sulla problematica della crisi della raffinazione ed ha istituito un tavolo sulla raffinazione con la partecipazione di unione petrolifera e delle compagnie petrolifere, esteso poi anche alle parti sociali (CISL, CGIL, Uil, chimici e confindustria energia).
  Tale amministrazione, inoltre, si è fatta carico di portare all'attenzione del dibattito europeo le necessità, i problemi e le aspettative del mondo della raffinazione e di guidare in ambito europeo un gruppo di paesi più sensibili a tali problematiche. La consapevolezza condivisa dell'impatto fortemente negativo che regole ambientali e non, sempre più restrittive rispetto alla concorrenza asiatica e dei paesi emergenti avrebbero sul settore, hanno fatto sì che si siano registrati alcuni risultati positivi.
  In particolare il forum UE della raffinazione tra Commissione europea, industria della raffinazione, sindacati e altri soggetti interessati, dovrà verificare a breve l'impatto della legislazione comunitaria, in preparazione sull'industria della raffinazione, evidenziandone l'onere normativo, cioè le influenze negative sulla competitività dell'industria europea nei confronti dell'industria straniera. È il cosiddetto «fitness check» applicato alla raffinazione, un nuovo strumento appena deciso che dovrà valutare l'impatto della legislazione europea sul settore della raffinazione, consentendo di rivedere le norme che impattano negativamente sul settore della raffinazione europea.
  Lo scopo di tale strumento, quindi, è di individuare gli eccessivi oneri amministrativi, sovrapposizioni, lacune, incoerenze e/o misure obsolete che possono essersi cumulate nel corso del tempo, così come di aiutare a identificare l'impatto cumulativo della legislazione in esame. I loro risultati serviranno come base per trarre conclusioni politiche sul futuro del quadro normativo di riferimento e l'amministrazione svolgerà una vigilanza affinché la Commissione europea lo applichi fino in fondo al settore della raffinazione.
  Circa poi le informazioni richieste relativamente ai progetti di investimento Eni in corso per la raffineria di Gela, si evidenzia che questi indicano una scelta imprenditoriale di perseguire investimenti che riportino una maggiore competitività all'industria nazionale della raffinazione, anche con l'introduzione di nuove tecnologie e un miglior orientamento alle esigenze del mercato. L'opzione industriale fondamentale è la massimizzazione della produzione di diesel che soppianterà quella di benzine e polietilene, senza alcun impatto sull'occupazione e verrà realizzato il primo sistema Eni «zero waste» per la produzione di energia da rifiuti industriali e sarà proseguita l'attività di ricerca e sviluppo per la produzione di biocarburanti di terza generazione dalle alghe.
  Al riguardo si aggiunge, inoltre, che da informazioni assunte tramite l'ENI spa sono risultati i seguenti elementi.
  Il progetto di ristrutturazione della raffineria di Gela, con un investimento di 700 milioni di euro da effettuare nel periodo 2013-2017, è volto a un riorientamento della raffineria verso la produzione di gasolio e alla fermata produttiva della linea benzine entro il primo semestre 2014, e del polietilene entro il 2013.
  Nella raffineria di Gela a regime verranno occupate n. 670 risorse e le nuove iniziative ne occuperanno ulteriori n. 100. Per il personale eccedente è stato individuato un percorso per la sua gestione nell'arco del progetto con il reimpiego nel circuito Eni, sulla base di un accordo raggiunto nello scorso mese di luglio tra Eni, organizzazioni sindacali territoriali di Gela e la rappresentanza sindacale della raffineria.
  Il «Progetto Gela», questo mira a recuperare sostenibilità economica della raffineria attraverso il superamento delle debolezze strutturali della raffineria stessa e il suo rilancio sopratutto in termini di sostenibilità ambientale. Sono previsti interventi di inserimento di nuovi impianti tecnologicamente all'avanguardia e la razionalizzazione di asset non più strategicamente e tecnologicamente di interesse.
  Tra il primo gruppo vanno annoverati:
   il nuovo impianto di Hydrocracking full size (a conversione totale) per la produzione di gasoli a elevate specifiche qualitative (basso contenuto di zolfo e di composti aromatici);
   i due nuovi impianti di produzione idrogeno tipo «steam reformer» utilizzanti metano;
   le due nuove caldaie a pet coke di ultima generazione.

  Tali nuove realizzazioni consentiranno di mutare significativamente l'assetto produttivo della raffineria permettendo la fermata di una serie di impianti, alcuni dei quali di tecnologia non recente, di seguito citati:
   ciclo benzine aromatiche (reformer);
   ciclo benzine da cracking (FCC);
   frazionamento aria e impianto Texaco per la produzione di idrogeno;
   caldaie a pet coke e convenzionali a olio e gas di vecchia concezione.

  Relativamente alle informazioni richieste circa la centrale termoelettrica sita all'interno della raffineria, «il progetto Gela» prefigura ancora l'utilizzo di pet coke per la produzione di vapore ed energia elettrica.
  La ratio dell'utilizzo di tale combustibile, a parte la tipicità del ciclo produttivo di Gela nato espressamente per la lavorazione dei greggi locali particolarmente pesanti, è finalizzata a incentivare il recupero dei residui del processo di raffinazione per i propri consumi e, conseguentemente, a beneficio dell'ambiente.
  Le
utilities prodotte, indispensabili al funzionamento dell'intero complesso principalmente per motivi di stabilità di marcia e sicurezza impiantistica, verranno ridotte rispetto all'attuale scenario (riduzione della produzione di energia elettrica stimata in circa il 50 per cento e con un numero di caldaie inferiori e più efficienti delle attuali (dalle n. 5 caldaie attualmente installate si passerà a n. 3 di cui due in esercizio continuo).
  L'eventuale
surplus di energia elettrica, fisiologicamente risultante dall'ottimizzazione energetica del sistema centrale elettrica in dipendenza delle richieste di vapore tecnologico necessarie al funzionamento stabile e sicuro della fabbrica, sarà immesso sul mercato.
  Relativamente all'esatta valutazione comparativa degli inquinanti che saranno emessi in atmosfera a ristrutturazione conclusa, all'azienda, non risulta ancora possibile fornire un riscontro definitivo, in quanto le complesse valutazioni del quadro emissivo
post operam sono attualmente in fase di ingegnerizzazione.
  L'azienda comunque anticipa che la riduzione della produzione di vapore che verrà operata con il nuovo assetto, l'incremento sostanziale di efficienza delle nuove apparecchiature e dei nuovi processi tecnologici previsti, che andranno a sostituire gli attuali, l'utilizzo nei forni di processo di fuel gas in sostituzione dell'olio combustibile, gli interventi di
upgrading previsti all'impianto di trattamento fumi della centrale (SNOx-BAT di settore), porteranno sicuramente una sostanziale riduzione degli inquinanti emessi, comprese polveri sottili e metalli pesanti che comunque, già oggi si assestano su valori inferiori rispetto alla normativa tecnica vigente.
  Per quanto riguarda le centrali termoelettriche a pet coke, si fa presente che ve ne sono molte in Europa che bruciano coke, ma solo poche che hanno un sistema di depurazione fumi come quello di Gela, che per tecnologia è il più elevato sia in investimento che in costi di gestione, rispetto ad altre tecnologie, e capace di trasformare l'S02 recuperato in prodotto nobile quale l'acido solforico, poi utilizzato in industria, per la produzione di fertilizzanti, anziché essere degradato a solfato di calcio, poco utilizzato e spesso inviato in discarica.
  Infine, per quanto concerne le perdite economiche registrate negli ultimi anni, l'azienda ritiene di addebitare circa il 70 per cento allo scenario di crisi internazionale sfavorevole al comparto raffinazione e il restante alla circostanza della configurazione tecnologica della raffineria di Gela, che è stato un impianto particolarmente energivoro, finalizzato alla produzione di benzine.
  L'ENI ritiene infine che il percorso di ammodernamento delle tecnologie, tracciato con gli investimenti programmati nella raffineria di Gela, consentirà di disporre di un impianto il cui consumo di energia sia in linea con gli indici di risparmio energetico delle raffinerie più competitive.
  A regime, nel 2017, la raffineria – secondo quanto riferito da Eni – sarà capace di generare utili con produzioni più adeguate alle esigenze di mercato recuperando nel contempo affidabilità, flessibilità ed efficienza operativa.
  Per quanto riguarda l'impianto di Taranto, le scelte industriali operate dalla citata società per la tale raffineria, sono state indirizzate a ottenere la massima flessibilità dagli asset esistenti, in funzione delle variate esigenze di mercato. Nello specifico è stato progettato un «assetto di marcia reversibile e alternativo» dell'impianto di conversione catalitica RHU/HDC finalizzato a massimizzare la produzione di diesel a scapito di quella di olio combustibile. In particolare l'assetto sopra riferito, sarà reso operativo durante la prossima fermata programmata dell'impianto e assicurerà, a partire dalla seconda metà dell'anno 2014, di incrementare la redditività dell'impianto stesso.
  Inoltre, la raffineria di Taranto adotta uno specifico piano operativo di affidabilità che ha consentito di ottenere un continuo miglioramento dell'affidabilità impianti, sancita anche dalla validazione del rapporto di sicurezza ottenuta nel mese di marzo del 2012.
  L'affidabilità elettrica della raffineria è legata a quella dell'annessa centrale termoelettrica e del collegamento con la rete di trasmissione nazionale. Al fine di incrementare l'affidabilità e la continuità di erogazione di energia elettrica da parte della rete di trasmissione nazionale, anche in occasione di avverse condizioni meteorologiche, è stato progettato, a seguito di un sopralluogo del Ministero dopo il
blackout dello scorso luglio, un collegamento tra la stessa rete di trasmissione nazionale e la centrale termoelettrica del tipo «entra esci», in sostituzione dell'attuale, a «T rigido», che minimizza la possibilità di ripetersi di simili eventi.
  La fase attuativa prevede un programma della durata di 20 mesi, a decorrere dall'ottenimento delle necessarie autorizzazioni.
  Infine, circa le vicende inerenti alle truffe sui carburanti verificatesi presso l'impianto ENI di Taranto, l'ENI medesima, ha segnalato che il proprio sistema di controllo, grazie ad uno strutturato ed efficace processo comunicativo interno all'azienda e a una cresciuta sensibilità verso la normazione dei processi, ha consentito una sinergica e trasparente azione di contrasto alle truffe.
  Un'efficace e spesso preveniva azione disciplinare nei confronti dei dipendenti colpevoli di infedeltà aziendale ha contribuito, inoltre, a fornire elementi utili all'azione della magistratura che sta effettuando delle indagini al riguardo.

Il Ministro dello sviluppo economicoFederica Guidi.


   PANNARALE, QUARANTA, NARDI, AIRAUDO, DI SALVO e PLACIDO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel 2004 il gruppo Telecom Italia spa conferisce, con una cessione di ramo, 433 lavoratori addetti alle attività di facility management all'azienda Manutencoop private sector solution spa (MPSS) ed una relativa commessa con contratto di servizi di 7 anni, prorogata nel 2011 di ulteriori 2 anni, con scadenza al 31 ottobre 2013;
   l'azienda MPSS, che ha come socio unico Manutencoop facility management spa gruppo leader nazionale della gestione dei servizi per immobili, ha aperto, in data 26 settembre 2013, una procedura di licenziamento collettivo per riduzione di personale ex legge n. 223 del 1991 per 133 unità su tutto il territorio nazionale, pari oggi all'intero complesso dei lavoratori operanti sulle citate attività per Telecom Italia;
   i 133 lavoratori colpiti dalle procedure di licenziamento costituiscono la parte «superstite» degli originari 433 già dipendenti di MPSS che nel tempo o sono stati utilizzati su altre commesse o sono usciti dall'azienda dopo varie operazioni di riorganizzazione aziendale sostenute dagli ammortizzatori sociali previsti dalla legge;
   l'apertura della procedura di licenziamento da parte di MPSS, in anticipo rispetto alla conclusione della gara di rinnovo indetta da Telecom Italia per il 31 ottobre 2013, manifesta palese la volontà di MPSS di disfarsi dell'intero perimetro aziendale di lavoratori a prescindere dall'esito della gara;
   il 31 ottobre 2013, a nove anni dalla cessione, Telecom ridimensiona di circa l'80 per cento la commessa assegnata ad MPSS sia per volumi che per regioni, in tal modo determinando i presupposti per una crisi occupazionale gravissima che rischia di mettere definitivamente la parola fine alla sciagurata cessione del 2004;
   le organizzazioni sindacali (SLC-CGIL, FISTel-CISL, UILCOM-UIL) nell'aprile 2013, allo scadere di 24 mesi di cassa integrazione guadagni straordinaria per riorganizzazione aziendale, avevano sottoscritto con MPSS un accordo per contratti di solidarietà con scadenza dicembre 2013 che di fatto esaurisce la strumentazione di ammortizzatori disponibili;
   anche alla luce dell'impossibilità di ricorrere ad ulteriori ammortizzatori di legge, le suddette organizzazioni sindacali, fortemente preoccupate, chiedono il 14 ottobre 2013 al Ministero dello sviluppo economico, dipartimento per l'impresa e l'internazionalizzazione, divisione VII – crisi di impresa, di indire un tavolo urgente di crisi cui convocare le società MPSS e Telecom Italia;
   il 5 novembre 2013 al tavolo indetto dal Ministero, cui partecipano le organizzazioni sindacali, Telecom Italia e MPPS, quest'ultima ha confermato ancora una volta l'intenzione di procedere al licenziamento di tutti i 133 lavoratori impegnati sulla commessa Telecom fino al 31 ottobre scorso, dichiarando per essi non vi sarebbero attività da svolgere nell'ambito del contratto, che pure la stessa azienda MPSS si è aggiudicata con Telecom per un valore di circa 28 milioni di euro. Dal canto suo, Telecom Italia si è dichiarata completamente libera da qualsiasi «obbligo» che non sia una generica disponibilità a facilitare l'assorbimento del personale nelle nuove aggiudicatarie, cui ad oggi non ha fatto seguito alcuna azione concreta, salvo un paio di offerte, al di sotto delle professionalità dei lavoratori, neppure in quelle regioni dove Telecom Italia ha tolto completamente l'appalto a Manutencoop, e quindi ai suoi ex dipendenti;
   dal 2004 in poi, a seguito dei ricorsi legali presentati dai lavoratori, oltre l'80 per cento dei casi di cessione di ramo d'azienda da parte di Telecom Italia è stato giudicato illegittimo con almeno 30 sentenze di corte d'appello di varie sedi d'Italia (Milano, Roma, Venezia, Napoli, Ancona, L'Aquila, Bari eccetera) e con una sentenza di Corte di cassazione;
   la compagnia spagnola Telefonica ha recentemente rilevato il controllo di Telco, la holding che detiene il 22,5 per cento di Telecom e che è una società partecipata da Telefonica con il 46,18 per cento, da Intesa Sanpaolo e Mediobanca con l'11,62 per cento ciascuna e da Generali con il 30,58 per cento –:
   quali iniziative urgenti intenda assumere il Governo alla luce di quanto descritto dalla presente interrogazione e quali elementi intenda fornire in merito alle vicende esposte in premessa, con particolare riguardo agli esiti cui è pervenuto l'incontro svoltosi il 5 novembre 2013 presso il Ministero dello sviluppo economico, a cui hanno preso parte le organizzazioni sindacali, Telecom Italia e MPPS;
   se non ritenga opportuno attivare quanto prima un tavolo permanente di trattativa tra le parti al fine di pervenire ad una soluzione che garantisca la salvaguardia occupazionale e la piena tutela di tutti i diritti dei lavoratori della società Mpss;
   quali iniziative di competenza intenda porre in essere a garanzia delle commesse a Mpss e dei diritti dei lavoratori addetti, considerate le rassicurazioni manifestate da parte del presidente di Telefonica Cesar Alierta in occasione dell'incontro svoltosi con il Presidente del Consiglio dei ministri Enrico Letta lo scorso 29 ottobre 2013, circa la piena tutela e valorizzazione dell'occupazione e del patrimonio di conoscenze e competenze di Telecom Italia. (4-02683)

  Risposta. — Nel 2004, Telecom Italia ha effettuato uno scorporo delle attività di facility management cedendo 437 risorse a Manutencoop private sectorsolutions (Mpss) e a ex Pirelli real estate-facility management, società confluita a fine 2008 nel gruppo Manutencoop, con un trasferimento di ramo d'azienda accompagnato da un contratto di appalto di 6 anni prorogabile altri 3 anni.
  A seguito di processi di mobilità volontaria e di spostamenti su altre commesse o società del gruppo, le risorse cedute da Telecom a
Mpss si sono ridotte alle attuali 133 unità.
  I quattro contratti di servizio in appalto relativi alla commessa Telecom Italia affidata al gruppo Manutencoop sono scaduti il 31 ottobre 2013 e nel frattempo sono stati utilizzati gli ammortizzatori sociali applicabili, quali Cigs, già scaduta, e contratti di solidarietà, in corso fino a dicembre 2013.
  Nei mesi scorsi si è conclusa una gara d'appalto per l'assegnazione delle attività di
facility management alla quale hanno partecipato 89 imprese tra cui Mpss che si è aggiudicata una quota rilevante di tali attività, seppure ridotta rispetto ai contratti precedenti sia nel volume complessivo (27 milioni di euro) che nell'estensione territoriale della commessa.
  Le sedi in cui la nuova commessa triennale, consistente in attività di manutenzione ovvero pulizie e/o facchinaggio, è stata assegnata a Mpss sono Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Marche-Umbria, Lazio, Abruzzo-Molise, Sardegna e Campania, ove risultano applicate 88 delle 133 risorse sopracitate.
  Il 26 settembre 2013, Mpss ha avviato una procedura di mobilità collettiva non volontaria per 133 unità, pari all'intero organico che opera sulla gestione operativa della commessa Telecom rispetto ad un organico complessivo di Mpss di 381 risorse.
  Inoltre, Mpss ha aperto una procedura di cessione di ramo d'azienda per trasferire all'altra società del gruppo Manutencoop, Mfm, le commesse Auchan e British Telecom con i rispettivi organici (120 e 10 risorse).
  Il giorno 8 ottobre 2013, si è tenuto un incontro tra Telecom Italia e le organizzazioni sindacali Slc, Fistel e Uilcom nel corso del quale sono stati forniti riscontri dettagliati sulla situazione della commessa Telecom e sull'esito della gara d'appalto. Tali elementi, oltre che alle organizzazioni sindacali firmatarie, sono stati successivamente forniti anche ad Ugl telecomunicazioni.
  Il 5 novembre 2013 si è tenuto un incontro presso il Ministero dello sviluppo economico cui hanno partecipato i rappresentanti della società Telecom Italia, della Mpss, e le organizzazioni sindacali nazionali e territoriali di categoria. In tale sede, il rappresentante di Manutencoop ha chiarito che la decisione di operare la riduzione nell'organico è stata presa a seguito di risultati derivanti dalla crisi e sebbene la commessa Telecom Italia sia in valori assoluti, molto ingente, per l'azienda essa non è comunque sufficiente a risolvere il problema.
  Il rappresentante della società Telecom ha ribadito che le esternalizzazioni delle attività di
facility management avvenute nel 2004 sono state effettuate nel rispetto delle legittime procedure di cessione di rami d'azienda e secondo le linee guida riportate nell'accordo quadro sottoscritto dalle stesse organizzazioni sindacali.
  La commessa del valore di 27 milioni di euro assegnata a Mpss è, secondo Telecom, potenzialmente idonea a garantire il mantenimento dei 133 lavoratori interessati dalla procedura di mobilità avviata da Mpss e pertanto la soluzione alla vertenza occupazionale verificatasi in Mpss andrebbe ricercata all'interno del gruppo Manutencoop, anche ricorrendo ad interventi di riorganizzazione ovvero a percorsi di formazione e riconversione del personale coinvolto. In tale sede Telecom Italia ha comunque garantito il proprio appoggio per favorire la ricollocazione di un certo numero di lavoratori attraverso una verifica sulle aziende di subappalto.
  La fase amministrativa della citata procedura di mobilità, tenutasi presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, si è conclusa l'8 gennaio 2014 con un verbale di accordo tra la Mpss e le rispettive organizzazioni sindacali che sancisce il ricorso agli ammortizzatori sociali e il piano di risanamento.
  Nel corso di tale fase, Telecom, invitata a partecipare dal Ministero stesso, ha dichiarato la propria disponibilità a porre in essere azioni volte a favorire l'assorbimento, presso le altre aziende risultate assegnatarie dei nuovi contratti di appalto, dei 43 lavoratori di Mpss applicati nelle sedi ove quest'ultima non è aggiudicataria della commessa.
  Il Ministero dello sviluppo economico continuerà a seguire la vicenda favorendo la ricerca di soluzioni positive per i lavoratori coinvolti rendendosi disponibile, altresì, a convocare il tavolo per eventuali verifiche qualora le parti ne facciano richiesta.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   PINNA, DI BATTISTA, TERZONI, ROSTELLATO, LUIGI GALLO, RIZZETTO e PRODANI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 6 dicembre 2013 è stato pubblicato il decreto direttoriale concernente l'avvio di una procedura concorsuale pubblica per la selezione di cinquecento giovani laureati da formare, per la durata di dodici mesi, nelle attività di inventariazione e di digitalizzazione del patrimonio culturale italiano, presso gli istituti e i luoghi della cultura statali;
   il progetto, denominato «500 giovani per la cultura», rientra nelle azioni previste dalla legge n. 112 del 2013 «Disposizioni urgenti per la tutela, valorizzazione e rilancio dei beni, attività culturali e turismo»;
   l'articolo 6 del bando stabilisce il compenso (definito «indennità di partecipazione») per i cinquecento giovani che dovranno catalogare lo sterminato patrimonio culturale italiano: cinquemila euro lordi all'anno, per minimo trenta ore settimanali (significa tre euro e venti centesimi l'ora) e comprensivi della quota relativa alla copertura assicurativa. Inoltre, per i candidati selezionati non sono previste ferie e la retribuzione è decurtata in caso di assenze non giustificate;
   al termine della prestazione è rilasciato a coloro che abbiano concluso il programma formativo un apposito attestato di partecipazione, che tuttavia non comporta alcun obbligo di assunzione da parte del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, come da articolo 5, comma 5, del sopracitato bando;
   i destinatari sono giovani, con meno di 35 anni, laureati (con votazione minima 110 su 110) o diplomati presso scuole di archivistica, paleografia e diplomatica (con voto minimo 150/150) e in possesso della certificazione internazionale delle competenze linguistiche di livello B2 di lingua inglese;
   si tratta di un programma formativo ma parrebbe più che altro un lavoro subordinato (nonostante l'articolo 5, comma 3, del bando specifichi il contrario) e mal retribuito. La discrasia fra promesse e fatti è palese. I pubblici proclami, «rilanciamo l'occupazione e ripartiamo dai giovani» «fermiamo la fuga di cervelli», sono smentiti dagli interventi concreti che approfittano dello smarrimento di brillanti neo-laureati e giovani specializzati italiani, i quali avrebbero tutte le carte in regola per accedere al mondo del lavoro ed invece sono sfruttati con una sorta di occupazione di ben 12 mesi con «retribuzione» mensile di circa 300 euro, che ne svaluta le professionalità e tecnicità acquisite con anni di studio;
   la scelta del «programma formativo» a discapito della regolamentata categoria dei tirocini ad avviso degli interroganti non appare in linea con le linee guida stabilite, il 24 gennaio di questo anno, dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano. In tal modo si crea un grave precedente che consente a ogni pubblica amministrazione di esercitare una inaccettabile discrezionalità nelle materie del lavoro e dei tirocini;
   tuttavia, dal momento che all'articolo 7 si rinvia alla normativa vigente in materia di tirocinio formativo e orientamento per quanto non espressamente previsto dal bando stesso, ci si domanda perché tutto il progetto non sia disciplinato da tale normativa –:
   quali siano le ragioni che hanno indotto alla scelta della categoria «programma formativo», per cui non sono previste linee guida nazionali;
   se ritenga equilibrato il rapporto fra requisiti necessari per la partecipazione alla selezione (meno di 35 anni di età; laurea con voto minimo 110/110 o diploma specialistico con voto minimo 150/150; attestato di conoscenza della lingua inglese: livello B2) e modalità di svolgimento e indennità di partecipazione al programma formativo previsto (durata 12 mesi; cinquemila euro lordi all'anno, per minimo trenta ore settimanali, e comprensivi della quota relativa alla copertura assicurativa; assenza di ferie e retribuzione decurtata in caso di assenze non giustificate). (4-02954)

  Risposta. — Si riscontra l'interrogazione in esame, con il quale l'interrogante chiede se si ritenga equilibrato il rapporto fra requisiti necessari per la partecipazione alla selezione prevista dal bando di selezione di 500 giovani per la cultura e indennità di partecipazione al programma formativo, e quali siano le ragioni che hanno indotto alla scelta del «programma formativo» per cui non sono previste linee guida nazionali.
  Al riguardo, si specifica quanto segue.
  Ai sensi dell'articolo 2 del decreto legge 8 agosto 2013, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 ottobre 2013, n. 122, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo «attua un programma straordinario finalizzato alla prosecuzione e allo sviluppo delle attività di inventariazione, catalogazione e digitalizzazione del patrimonio culturale, anche al fine di incrementare e facilitare l'accesso e la fruizione da parte del pubblico, anche attraverso l'utilizzo di appositi portali e dispositivi mobili intelligenti. Per la realizzazione del programma è autorizzata la spesa di 2,5 milioni di euro per l'anno 2014, integrata anche con eventuali finanziamenti europei. Il programma si conforma ai criteri e alle linee direttive elaborati, anche in attuazione dell'articolo 17 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante il codice dei beni culturali e del paesaggio, dall'Istituto centrale per il catalogo e la documentazione, dall'Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche e dall'Istituto centrale per gli archivi del Ministero».
  Sin dall'approvazione, in data 8 agosto 2013, da parte del Consiglio dei Ministri del decreto-legge n. 91 e, poi, della legge di conversione n. 122 del 2013 da parte del Parlamento, il programma in argomento – da attuare presso gli istituti e i luoghi della cultura statali, previa selezione, attraverso una procedura concorsuale pubblica da attivarsi entro 60 giorni dalla approvazione della legge di conversione (quindi entro il 7 dicembre 2013), di cinquecento giovani, che non abbiano compiuto trentacinque anni alla data di entrata in vigore del decreto legge, laureati nelle discipline afferenti al programma o in possesso del titolo rilasciato dalle scuole di archivistica, paleografia e diplomatica di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 settembre 1963, n. 1409 – ha assunto la connotazione di un percorso formativo da svolgersi, per la durata di dodici mesi, nelle attività di inventariazione e di digitalizzazione presso gli istituti e i luoghi della cultura statali.
  L'obiettivo che il Governo e il Parlamento si sono posti, attraverso la citata disposizione normativa, è quello di favorire processi di formazione dei giovani laureati, della durata di 12 mesi, nei settori afferenti alle attività di inventariazione, catalogazione e digitalizzazione del patrimonio culturale.
  La specificità e la specialità del percorso formativo in argomento è, peraltro, evidenziata anche dall'ultimo periodo del comma 2 dell'articolo 2 del citato decreto-legge, introdotto dalla legge di conversione n. 122 del 2013, il quale ha previsto che, al termine del programma, sia rilasciato a coloro che lo abbiano concluso un apposito attestato di partecipazione, valutabile ai fini di eventuali, successive procedure selettive del Ministero e degli Istituti da esso vigilati.
  Ciò premesso, in data 6 dicembre 2013, in linea con la citata disposizione normativa e con il programma formativo adottato con decreto del Segretario generale del Ministero in data 6 dicembre 2013, è stato emanato l'avviso, pubblicato il giorno successivo sul sito istituzionale del Ministero.
  Al riguardo, con riferimento al merito delle singole disposizioni, si evidenzia che ai fini della predisposizione dell'avviso di selezione del 6 dicembre 2013:
   
a) relativamente alla ripartizione dei contingenti regionali dei giovani da formare, si è tenuto conto delle attività specifiche oggetto del programma formativo e dell'esigenza di decentrare il più possibile su tutto il territorio nazionale la realizzazione del medesimo progetto formativo;
   
b) relativamente ai requisiti per la partecipazione alla selezione, si è tenuto conto, in linea con quanto previsto dalla disposizione normativa in argomento sopra citata, delle direttive impartite dagli organi di vertice politico-amministrativo, finalizzate alla selezione dei giovani laureati con il massimo dei voti e in possesso di competenze linguistiche (nello specifico relative alla lingua inglese) e dell'esigenza di contenere, al massimo, i costi di selezione;
   
c) relativamente alle classi di laurea ammesse ai fini della selezione, si è tenuto conto della specificità del programma formativo;
   
d) relativamente alle modalità di svolgimento del programma formativo e alla durata dello stesso, si è tenuto conto sia di quanto previsto dall'articolo 2 del decreto-legge n. 91 del 2013, sia di quanto disposto dal programma formativo che prevede una formazione articolata in 3 fasi (2 mesi di formazione teorica, 6 mesi di formazione applicata, 4 mesi di training), sia, infine, di quanto previsto in casi analoghi da altre amministrazioni pubbliche. Si precisa, sul punto, che, a tutela del giovane da formare, data la specificità della disposizione normativa di cui all'articolo 2 del decreto-legge in questione, è stata rilevata l'esigenza di delineare una apposita disciplina normativa, prevedendo nell'avviso pubblico del 6 dicembre 2013:
    a. in analogia con quanto fatto da altre amministrazioni pubbliche in tema di tirocini, un impegno settimanale orario non inferiore alle 30 ore e non superiore alle 35 ore settimanali;
    b. n. 20 giorni di assenza retribuita al 100 per cento;
    c. n. 4 giorni di permessi retribuiti al 100 per cento;
    d. n. 30 giorni di assenza per malattia retribuiti al 100 per cento;
    e. n. 30 giorni di assenza per malattia retribuiti con una lieve decurtazione;
    f. la sospensione in caso di infortunio o di maternità del programma formativo con possibilità di riprenderlo successivamente;
    g. il divieto di impiegare i giovani da formare nel corso delle festività o in attività cosiddette istituzionali e di ufficio;
   
e) relativamente all'indennità di partecipazione – fissata dall'articolo 6 dell'avviso di selezione in 5 mila euro annui, comprensiva della copertura assicurativa – si è tenuto conto delle risorse finanziarie a disposizione, posto quanto disposto dall'articolo 2, comma 1, del decreto-legge n. 91 del 2013;
   
f) relativamente al rinvio, per quanto non previsto dall'avviso di selezione, alla normativa vigente in tema di tirocini, lo stesso è stato effettuato nei limiti consentiti dalla specificità e dalla specialità delle disposizioni in esame.

  Successivamente, in data 16 dicembre 2013, sono state apportate talune modifiche all'avviso di selezione del 6 dicembre 2013, al fine di consentire la maggiore partecipazione possibile dei giovani candidati.
  In particolare, con il decreto direttoriale 16 dicembre 2013 è stato ampliato il bacino di accesso dei potenziali laureati interessati a partecipare al programma di formazione, portando il requisito di voto minimo per accedere alla selezione da 110 a 100 ed eliminando l'obbligo, ai fini dell'accesso alla selezione, di certificare il possesso di un determinato livello (B2) di competenza linguistica per l'inglese.
  È stata, poi, introdotta, in aggiunta ai casi già previsti dall'avviso di selezione del 6 dicembre 2013, la possibilità di un periodo di assenza di 15 giorni per motivi di studio.
  Un'ulteriore modifica apportata all'avviso del 6 dicembre 2013 dal decreto direttoriale 16 dicembre 2013 riguarda l'eventualità per i partecipanti, nel caso di impegni di studio più lunghi, di sospendere il programma formativo fino a 3 mesi. Infine, è stato eliminato il riferimento all'impegno orario settimanale ed è stato fissato a 600 ore annue l'impegno dei partecipanti per le attività di formazione.
  Premesso quanto sopra, non si può che ribadire quanto già riferito in diverse audizioni parlamentari e cioè che la procedura selettiva in parola intende essere un'occasione per aprire una prospettiva di lavoro con il completamento di un percorso formativo nell'ambito di un'attività di collaborazione retribuita.
  In conclusione, con riferimento ai rilievi critici mossi dall'interrogante, va ricordato che lo scrivente Ministro, in sede di dichiarazioni programmatiche rese alla settima Commissione permanente del Senato lo scorso 23 aprile, ha testualmente dichiarato: «Quanto all'impiego di 500 giovani per la digitalizzazione del patrimonio culturale, avrei preferito una diversa soluzione, perché retribuire con poche centinaia di euro al mese delle professionalità di grande competenza e con grandi attese non mi sembra molto congruo, ciò premesso, la norma c’è già, il bando è stato già definito e le relative procedure sono in corso e quindi non intendo tornare indietro sulle decisioni già prese, se mai il tema riguarda la possibilità per il futuro di individuare risorse aggiuntive».

Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismoDario Franceschini.


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la direzione energia della Commissione dell'Unione europea ha indetto una consultazione pubblica, iniziata il 20 giugno 2012 e conclusa il 4 ottobre dello stesso anno, sulla lista dei potenziali Progetti di interesse comunitario nell'ambito della proposta di regolamento sugli orientamenti per le reti transeuropee di infrastrutture energetiche;
   nella lista è presente il progetto dalla Gas Natural per un impianto di rigassificazione del metano liquido (GNL) a Zaule, nel porto di Trieste;
   il 28 marzo 2013 WWF Friuli Venezia Giulia e Legambiente Trieste hanno inviato all'organo comunitario, sebbene la procedura di consultazione fosse già conclusa, una documentazione per chiedere lo stralcio dall'elenco del rigassificatore di Zaule;
   le associazioni ambientaliste hanno sottolineato alcuni aspetti che non sarebbero stati menzionati nelle informative del Governo italiano. In particolare, sono state segnalate cinque criticità:
    a) il progetto presentato da Gas Natural è incompleto, perché manca il collegamento via gasdotto del terminale di rigassificazione del GNL con la rete dei metanodotti;
    b) il terminale GNL di Zaule fa parte di un complesso di progetti di infrastrutture energetiche che insistono sulla medesima area geografica (la porzione settentrionale del Golfo di Trieste) e che sono strettamente interconnessi tra loro, ma sono stati sottoposti separatamente ed indipendentemente alla procedura di valutazione di impatto ambientale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in assenza di una pianificazione energetica complessiva e quindi senza nessuna valutazione ambientale strategica ai sensi della direttiva 2001/42/CE;
    c) la procedura di valutazione di impatto ambientale è stata viziata da numerose gravi irregolarità, compiute sia dalla società proponente, sia dagli organi ministeriali competenti;
    d) il ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare italiano ha avviato, alla fine di dicembre 2012, un «supplemento istruttorio» sulla e della tutela del territorio e del mare relativa al progetto di Zaule, riconoscendo quindi l'inadeguatezza della valutazione effettuata allora. Tale supplemento istruttorio è tuttora in corso;
    e) ai numerosi rilievi sull'incompletezza degli studi ambientali presentati dalla società proponente del progetto, già formulati in occasione delle osservazioni nell'ambito della procedura valutazione di impatto ambientale, si sono aggiunti ulteriori elementi di criticità ambientale, emersi dall'esame del progetto definitivo del terminale GNL, il quale presenta rilevanti modifiche rispetto a quello sottoposto alla procedura valutazione di impatto ambientale tanto da giustificare la richiesta di annullamento della valutazione di impatto ambientale del 2009;
   il 21 maggio 2013 Ion Codescu, direttore della sezione A1 della direzione affari legali e coesione della direzione generale ambiente della Commissione Ue, ha risposto alle associazioni facendo presente che la Commissione Ue continua a valutare tutte le informazioni sulla realizzazione di rigassificatore di Zaule, nell'ambito dell'indagine EU Pilot 755/09/ENVI, in via di ricezione sia dalle autorità nazionali che dai cittadini;
   Codescu ha fatto poi presente che «fino ad ora non è emersa nessuna prova di una violazione del diritto comunitario, perché tra l'altro nessuna autorizzazione è stata ancora concessa e la costruzione non è iniziata per nessuno dei progetti». Infine, il direttore ha concluso sostenendo che la Commissione terrà conto delle informazioni fornite nel quadro dell'inchiesta in corso, e che l'elenco dei progetti delle infrastrutture energetiche di interesse comunitario non è stato ancora approvato ed è quindi suscettibile di modifiche;
   le associazioni ambientaliste hanno inviato la stessa documentazione ai membri delle Commissioni ambiente ed energia del Parlamento europeo, auspicandosi che il Governo Letta non continui ad appoggiare il progetto del rigassificatore proposto da Gas Natural a Trieste;
   il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del Governo Monti, Corrado Clini, nel mese di aprile 2013 ha firmato un decreto che sospende per sei mesi l'efficacia della valutazione di impatto ambientale sull'oggetto presentato dalla Gas Natural. Il provvedimento ha accolto il parere contrario della Commissione di valutazione di impatto ambientale del dicastero che ha recepito a sua volta i pareri contrari del Comitato portuale di Trieste e dalla regione Friuli-Venezia Giulia. Il decreto, quindi, prende atto delle mutate situazioni del traffico marittimo triestino e delle prospettive di potenziamento previste dal piano regolatore portuale. Il rigassificatore, se realizzato con le modalità progettate dalla Gas Natural, non sarebbe compatibile con il traffico portuale attuale e con gli sviluppi futuri –:
   se il Governo intenda assumere iniziative per l'eliminazione del progetto del rigassificatore di Zaule dall'elenco delle possibili infrastrutture energetiche di interesse comunitario. (4-00914)

  Risposta. — Il progetto del terminale di Zaule, che risponde pienamente ai requisiti previsti per le infrastrutture strategiche previste dalla Sen – Strategia energetica nazionale – è stato incluso anche nella lista dei progetti di interesse comune delle Commissione europea, recentemente redatta secondo il nuovo regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 aprile 2013, recante gli orientamenti per le infrastrutture energetiche transeuropee.
  Tale elenco, fondamentalmente è stato composto dai piani decennali dei gestori delle reti energetiche e integrato, da richieste d'inserimento di progetti effettuate direttamente dagli investitori privati. Tali progetti sono stati vagliati da gruppi di esperti della Commissione in funzione dell'interesse transfrontaliero, requisito che ha ovviamente privilegiato le interconnessioni tra reti di Stati membri; nel caso di stoccaggi di gas e terminali di rigassificazione di Gnl, che per definizione non possono che essere collocati nel territorio di un solo Stato membro, sono stati mantenuti solo quelli per i quali le autorità di regolazione abbiano attestato il beneficio transfrontaliera, circostanza che si è verificata nel caso del terminale di Zaule, per l'intervento del regolatore austriaco.
  Ai sensi del citato regolamento, venne convocato, in data 6 giugno 2013, il cosiddetto
decisional body, costituito dagli Stati membri e dalla Commissione, nel corso del quale il progetto è stato mantenuto nelle liste dei progetti d'interesse prioritario europeo (i cosiddetti pci, i projects of common interest), redatte, nei mesi precedenti, dai gruppi regionali di cui fanno parte anche i regolatori nazionali e i gestori nazionali delle reti.
  Per i progetti presenti, nell'ambito del citato regolamento, sono previste procedure autorizzative semplificate e la possibilità di ottenere limitati finanziamenti comunitari. Il 24 luglio 2013 si è tenuta a Bruxelles la riunione del gruppo decisionale sui progetti di interesse comune, che ha definito la lista dei progetti energetici da sottoporre alla Commissione europea per l'adozione della lista definitiva con atto delegato. In tale lista, nonostante il parere sfavorevole della Slovenia, è rimasto il progetto con il nome
«onshore lng terminal in the northern Adriatic».
  A ogni buon fine, si comunica che proseguono i lavori del tavolo di coordinamento, a livello trilaterale (Italia, Slovenia, Croazia), di tutte le iniziative infrastrutturali nell'alto Adriatico, come proposto nella riunione del Comitato ministri di Italia e Slovenia nell'ottobre 2012, nel corso dei quali sono esaminati tutti i progetti infrastrutturali dell'area, tra cui, oltre a quelli d'interesse italiano, anche i progetti di terminali di rigassificazione in Slovenia, nel porto di Koper, e nell'isola di Krk, in Croazia. Si fa presente, inoltre, che nella succitata lista il progetto è denominato come «rigassificatore in terraferma nel nord Adriatico» proprio per tener conto di una sua possibile diversa localizzazione, ma sempre nell'area del nord Adriatico, come previsto dal decreto di sospensione della via, impugnato dalla società proponente al Tar Lazio.
  Questa delocalizzazione dell'impianto avrebbe potuto essere valutata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare alla scadenza del termine, 18 ottobre, fissato dal decreto, in funzione del verificarsi o meno di una delle due circostanze alternative previste nel decreto ministeriale, cioè lo spostamento dell'impianto in altra località da parte della società proponente o la revisione del piano regolatore portuale, per renderlo compatibile con la presenza dell'impianto.
  Successivamente, l'autorità portuale di Trieste ha deliberato in merito all'incompatibilità della localizzazione del terminale nell'area portuale; di conseguenza, dato che, alla data del 18 ottobre fissata dal decreto, nessuna delle due ipotesi presenti nel decreto ministeriale di sospensiva si è realizzata, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha avviato il procedimento di revoca, che potrà chiudersi con la revoca della valutazione di impatto ambientale positiva a suo tempo adottata.
  Conseguentemente, con l'emissione del decreto di revoca della via positiva, questo Ministero dovrà rigettare la domanda di autorizzazione alla costruzione dell'impianto.
  Si precisa, infine, come anche rilevato dalla commissione tecnica via-vas nel suo parere di supporto al decreto ministeriale di sospensiva, che non compete alle amministrazioni specificare i siti dove ubicare i terminali di rigassificazione, essendo queste infrastrutture realizzate in regime di mercato libero da operatori privati che presentano direttamente istanze di autorizzazione, sulle quali, poi, si pronunciano le amministrazioni competenti, locali e centrali, sulla base del rapporto ambientale e dei piani territoriali interessati.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di sua competenza, ha precisato che lo schema di decreto di revoca in questione, già firmato dal Ministro
pro tempore, Andrea Orlando, era stato inoltrato per la firma del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, in data 13 febbraio 2014, ma, essendo nel frattempo mutata la compagine governativa, lo stesso decreto è stato restituito dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ai fini dell'acquisizione della firma dei Ministri ora in carica.
  Lo schema di decreto è attualmente al vaglio del nuovo Gabinetto, in quanto il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare appena insediato sta procedendo ai controlli e agli approfondimenti procedurali e amministrativi di rito sulla questione prima della firma.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   RAMPI, PELUFFO, QUARTAPELLE PROCOPIO, MAURI e CIMBRO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nell'area ex Alfa di Arese, all'interno dell'ex stabilimento Alfa Romeo, vi è un museo dedicato ad automobili, locomotive, trattori, che ospita anche foto d'epoca e manifesti promozionali, raccolti dai Centro documentazione storica, racconta il passato di un territorio e la storia di un marchio che ha fatto grande l'Italia nel mondo e che ancora oggi gode di un prestigio che pochi altri nomi hanno;
   dall'inizio del 2011 il museo è stato chiuso al pubblico, mentre la volontà delle amministrazioni comunali è quella di ottenerne una riapertura, come confermano i comuni di Arese e Rho, anche a seguito di una serie di incontri avuti con i rappresentanti di Fiat, nel rispetto del vincolo della Sovrintendenza dei beni culturali sull'area a tutela del patrimonio e della sua localizzazione;
   in vista di Expo 2015 il museo potrebbe rappresentare la storia industriale della Lombardia e dell'Italia e sarebbe in grado, con una giusta riqualificazione, di diventare polo di attrazione turistica e di sviluppo per l'area interessata. La sua riapertura potrebbe essere una grande occasione per rilanciare la tradizione industriale del made in Italy, oltre a rappresentare il potenziale volano della riqualificazione dell'area ex Alfa Romeo, intorno alla quale ricostruire un nuovo e virtuoso sistema territoriale;
   Fiat si è dichiarata assolutamente disponibile e il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo sta valutando le prescrizioni in materia di rispetto delle caratteristiche storico-artistiche del sito –:
   quali iniziative di competenza i Ministri intendano intraprendere a sostegno di tale progetto, oltre a garantire che le relative procedure presso la soprintendenza possano essere portate al più presto a termine affinché si possa arrivare alla riapertura del museo in tempo utile per l'avvio di Expo 2015. (4-03279)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, con la quale l'interrogante chiede quali iniziative intenda intraprendere questo Ministero per la riapertura del museo ubicato all'interno dell'ex stabilimento Alfa Romeo, nell'area ex Alfa di Arese (Milano), si comunica quanto segue.
  Va, innanzitutto, premesso che il Ministero è pienamente consapevole dell'importanza non solo culturale, ma anche economica e sociale del marchio Alfa Romeo, nella convinzione che il futuro di tale glorioso marchio dell'industria italiana, celebre nel mondo, sia strettamente connesso alla tutela e alla valorizzazione della sua memoria storica.
  Va, poi, ricordato che il museo dell’
ex stabilimento Alfa Romeo – denominato museo storico Alfa Romeo, situato non nel comune di Arese ma all'interno del territorio comunale confinante di Rho (l'ambito dell’ex area industriale comprende, infatti, ben quattro comuni contermini, ovvero Arese, Garbagnate, Lainate e Rho), è compreso nel provvedimento di tutela denominato «Rho (Milano) – ex fabbrica di automobili Alfa Romeo di Arese. Porzione di compendio immobiliare denominata centro direzionale Alfa Romeo, porzione adibita a museo storico ed annessi, ovvero autofficina, centro documentazione – archivio storico, uffici direzionali, siti in viale Alfa Romeo, censito in catasto al foglio 1, mappali 11 parte del Comune di Rho. Museo storico Alfa Romeo e Archivio denominato centro documentazione – archivio storico Alfa Romeo».
  Il provvedimento di tutela è stato emanato, con decreto del direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici della Lombardia, in data 31 gennaio 2011, su istanza del comune di Arese. In forza di tale decreto, i suddetti beni sono stati dichiarati d'interesse storico particolarmente importante, ai sensi degli articoli 10, comma 3, lettere
b), d) ed e), 13 e 128 comma 3, del codice dei beni culturali e del paesaggio e, quindi, sottoposti a tutte le disposizioni di tutela previste dalla specifica normativa.
  In data 8 febbraio 2011, il gruppo Fiat, proprietario tanto degli immobili quanto dei beni storico-artistici e archivistici in essi contenuti, ha dovuto procedere alla chiusura del museo, segnalando la necessità di opere di manutenzione straordinaria.
  Nella primavera immediatamente successiva, il medesimo Gruppo ha presentato ricorso al Tar Lombardia avverso la dichiarazione di interesse culturale particolarmente importante emanata dal direttore regionale con il citato decreto del 31 gennaio 2011, per ottenerne l'annullamento.
  Negli ultimi tre anni, il gruppo proprietario ha intrapreso alcune operazioni di pronto intervento e ha presentato un progetto di riorganizzazione delle «raccolte museali» e della «documentazione archivistica», oltre ad un adeguamento impiantistico dell'edificio, su cui la Direzione regionale ha richiesto, con nota n. 3024 del 22 marzo 2012, alcuni chiarimenti ed integrazioni per poter procedere alla valutazione della proposta.
  Tengo a segnalare come il dialogo, invero non sempre facile, fra la proprietà, la direzione regionale del Ministero e le Amministrazioni locali abbia sempre mirato all'obiettivo di determinare gli strumenti di concertazione e di accordo utili per la valorizzazione del compendio tutelato, soprattutto in vista dell'evento Expo 2015 che si terrà a soli 7 chilometri di distanza.
  Nell'aprile 2013 il gruppo Fiat diventa
global partner di Expo 2015 e la direzione regionale si attiva per auspicare un coinvolgimento del museo storico Alfa Romeo nella sponsorizzazione del gruppo Fiat all'evento Expo 2015, scrivendo alla società Expo 2015 Spa e a tutti gli enti territoriali coinvolti, fra cui il comune di Rho, chiedendo di valutare la riapertura e la valorizzazione del museo, all'interno delle iniziative previste nel suddetto accordo. Successivamente il gruppo Fiat, nel luglio 2013, chiede l'attivazione, da parte di regione Lombardia, di un «tavolo di concertazione» con la direzione regionale, per la valorizzazione del compendio. In tale sede il gruppo Fiat ha proposto di attingere le risorse economiche necessarie alla realizzazione del progetto di riqualificazione del museo dall'alienazione di alcuni elementi della raccolta museale, che la società considera «doppioni» di modelli già presenti nella raccolta. Lo scopo della concertazione è apparso, pertanto, quello di pervenire ad una possibile revisione del provvedimento di tutela, sulla scorta della presentazione di un progetto di riqualificazione complessiva dell'area.
  La direzione regionale si è resa disponibile a valutare la proposta progettuale di riqualificazione dell’
ex centro direzionale Alfa Romeo presentata nel tavolo di concertazione e lo scorso gennaio 2014 è stato espresso un parere favorevole a un primo studio di fattibilità. Tale parere è, inoltre, corredato da una serie di suggerimenti per l'approfondimento progettuale della proposta, utili per una più veloce redazione degli elaborati, proprio in vista dell'approssimarsi dell'evento Expo 2015.
  Tutto ciò premesso, va segnalato che il Ministro ha sollecitato l'amministrazione a proseguire il percorso di concertazione con la proprietà e le amministrazioni locali e ad adottare i più opportuni provvedimenti che consentano di ottenere l'obiettivo, da tutti condiviso, della riqualificazione del prestigioso museo e della sua riapertura al pubblico in tempo per Expo 2015.

Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismoDario Franceschini.


   REALACCI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da un articolo pubblicato dal sito www.qualenergia.it, a firma di Giulio Meneghello, che «circa 160 milioni di euro di fondi pubblici che sarebbero dovuti servire a ridurre le emissioni di CO2 paradossalmente finiranno come rimborsi agli impianti inquinanti entrati in esercizio negli ultimi quattro anni. Oltre 51 milioni andranno alla sola centrale a carbone Enel di Torrevaldadiga Nord, a Civitavecchia, tra i maggiori emettitori di CO2 in Italia. All'Ilva di Taranto di milioni ne andranno oltre 3, e la lista comprende anche impianti meno impattanti, come i cicli combinati a gas: Sorgenia riceverà 25 milioni spalmati su 3 impianti, Ergosud 9 milioni, Eni Power quasi 7 milioni, Tirreno Power 4,4 milioni e decine di altre aziende con somme minori;
   gli importi, stabiliti con due delibere emesse dall'Autorità per l'energia il 25 luglio 2010, rispettivamente n. 333 e 334/2013/R/efr, si riferiscono ai rimborsi dovuti ai cosiddetti nuovi entranti italiani nel sistema ETS, il meccanismo europeo di scambio delle emissioni. Soldi che sono garantiti agli impianti entrati in esercizio negli ultimi anni nonostante la riserva loro destinata fosse esaurita. Grazie a un intervento del Governo Berlusconi del 2010, infatti, i fondi verranno presi dai proventi della vendita all'asta dei permessi ad emettere. Proventi che, come anticipato, in teoria dovrebbero essere destinati, oltre che a risanare le casse statali, a sostenere i necessari investimenti per ridurre la CO2;
   il già citato decreto-legge n. 72, del 20 maggio 2010, convertito con modificazioni, dalla legge 19 luglio 2010, n. 111 identifica un meccanismo di rimborso per le installazioni che non hanno ricevuto quote di emissione di CO2 a titolo gratuito a causa dell'esaurimento della riserva per i nuovi entranti. All'articolo 2, comma 3, del predetto provvedimento il rimborso comprensivo di interessi di quanto speso per acquistare i crediti – vengono presi dai proventi della vendita all'asta delle quote di CO2 non assegnate gratuitamente; da qui le delibere emanate nei giorni scorsi dall'Aeeg, che altro ruolo non ha se non stabilire gli importi in base alle emissioni degli impianti in questione e alle quotazioni della CO2 in quegli anni: 144 milioni di rimborsi relativi al 2012, 10,8 al 2011, 3,5 al 2010, circa un milione al 2009 e 41 mila euro al 2008 –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della vicenda e se essa corrisponda al vero e se ritenga di assumere iniziative normative per superare il meccanismo di cui al decreto-legge n. 72 del 20 maggio 2010 che appare peraltro non compatibile, nei risultati prodotti, con le linee di indirizzo programmatico del Ministero dello sviluppo economico e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in tema di riduzione delle emissioni inquinanti e di rispetto degli impegni internazionali per la tutela della salubrità dell'aria e dell'ambiente presi dal nostro Paese. (4-01549)

  Risposta. — L'interrogante fa riferimento al meccanismo di rimborso dovuto agli impianti nuovi entranti nel sistema Ets, in virtù del fatto che i medesimi impianti, nel periodo di scambio 2008-2012, non hanno ricevuto quote di emissione a titolo gratuito a causa dell'esaurimento della riserva per i nuovi entranti.
  Il decreto-legge n. 72 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2010, che introduce tale meccanismo di rimborso, prevede che a tal fine siano utilizzati i proventi derivanti dalla vendita all'asta dei permessi di emissione.
  L'interrogante evidenzia, inoltre, che detti proventi, ai sensi della direttiva 2003/87/Ce siano destinati, tra le altre cose a sostenere investimenti per la riduzione delle emissioni di C02, sottolineando che i citati rimborsi riguarderebbero invece impianti ad alto tasso di emissioni inquinanti.
  A tale proposito, si rappresenta quanto segue.
  Il rimborso agli operatori degli impianti «nuovi entranti» che non hanno avuto quote a titolo gratuito di C02 nella seconda fase di gestione del sistema Ets (2008-2012), a causa dell'esaurimento della riserva nazionale a tale scopo istituita, nasce dall'esigenza di non determinare effetti penalizzanti o effetti distorsivi sul mercato, a svantaggio solo di alcune imprese.
  Rispetto a una disciplina europea che prevede l'assegnazione delle quote a titolo gratuito da parte delle Autorità competenti di ciascun Paese, la mancata assegnazione di tali quote solo ad alcune tra le imprese interessate, senza un parallelo meccanismo di rimborso da parte del Governo, avrebbe determinato l'esposizione dell'impresa a un sicuro aggravio dei costi di esercizio, con effetti di disparità di trattamento rispetto alle imprese concorrenti, sia nazionali sia europee.
  Il diritto maturato dagli impianti «nuovi entranti» a ricevere un rimborso per la mancata assegnazione delle quote è stato pertanto sancito dall'articolo 2 del decreto-legge n. 72 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2010. In particolare, l'articolo 2, comma 3 del citato decreto-legge prevede che i crediti spettanti agli impianti nuovi entranti, comprensivi degli interessi maturati nella misura del tasso legale, siano liquidati agli aventi diritto a valere sui proventi derivanti dalla vendita all'asta delle quote di emissione di C02. Tale previsione è stata confermata dal decreto legislativo n. 30 del 2013, recante «Attuazione della direttiva 2009/29/Ce che modifica la direttiva 2003/87/Ce al fine di perfezionare ed estendere il sistema comunitario per lo scambio di quote di emissione di gas a effetto serra», segnatamente all'articolo 19, comma 5, lo stesso articolo stabilisce che i crediti, il cui ammontare complessivo è di circa 652 milioni di euro, verranno liquidati agli aventi diritto entro il 2015.
  Gli impianti destinatari dei rimborsi sono qualificati dall'Interrogante – con accezione negativa – come impianti «inquinanti». In realtà, tra gli aventi diritto al rimborso, ci sono imprese piccole e grandi, appartenenti a tutti i settori produttivi: termoelettrici a carbone, nuove centrali a ciclo combinato a gas ma anche vetrerie, cartiere, cementerie, eccetera), tutti accomunati dal fatto che, per il loro processo produttivo, hanno impianti di combustione che emettono C02 e che sono entrati in esercizio successivamente all'esaurimento delle quote da assegnare a titolo gratuito.
  Tali imprese hanno iscritto da tempo in bilancio i suddetti rimborsi e, soprattutto quelle di minori dimensioni, hanno interesse a ricevere in breve tempo il rimborso o a cedere il credito a istituti finanziari, oppure, a poter portare a garanzia i crediti vantati per nuovi investimenti.
  Si evidenzia, infine, che i costi per i suddetti rimborsi saranno coperti utilizzando la quota dei proventi derivanti dalla vendita all'asta delle quote di emissione di C02 destinata a ripianare il debito pubblico, dunque non vincolata alla realizzazione di progetti nei settori energia e ambiente. Il rimanente 50 per cento dei proventi, invece, rimane destinato alle attività previste dalla direttiva 2003/87/Ce, secondo una ripartizione 70 per cento Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e 30 per cento Ministero sviluppo economico.
  In questa direzione si è già mosso il Governo che, con la legge 90 del 2013, ha previsto ad esempio che una quota dei proventi alimenti il Fondo di garanzia finalizzato a sostenere gli investimenti in efficienza energetica degli edifici pubblici.

Il Ministro dello sviluppo economicoFederica Guidi.


   RICCIATTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   i vertici della Beta Spa, società proprietaria editrice dell'emittente televisiva marchigiana TVRS, hanno annunciato, sulla base di paventati e «prevedibili disavanzi futuri», di voler interrompere l'attività di produzione dei contenuti televisivi e di voler mantenere solo quella di operatore di rete, avviando l'11 maggio 2013 la procedura di mobilità per tutti i 21 dipendenti, dei quali 16 operatori tecnici e 5 giornalisti;
   tale ad avviso dell'interrogante inspiegabile decisione ha posto l'emittente al centro di roventi polemiche ed attacchi da parte dei sindacati, primo fra tutti il Sigim (Sindacato dei giornalisti marchigiani), oltreché dei rappresentanti delle istituzioni locali e del mondo politico;
   in passato il management dell'azienda aveva proposto un piano di ristrutturazione molto dettagliato che affidava la responsabilità dei canali 11 e 111, per poi ritirarlo frettolosamente e manifestare, nell'agosto del 2012, la volontà di voler continuare ad operare all'interno dei due canali non più come produttore di contenuti ma come operatore di rete, (un percorso peraltro in parte avviato), proponendo ai dipendenti un nuovo assetto aziendale che contemplasse la vendita agli stessi delle due frequenze che avrebbero potuto acquistare con gli emolumenti del trattamento di fine rapporto, per un valore pari a 240.000 euro per il canale 11 e 160.000 euro per il canale 111, oltre ad un canone mensile pari a 20.000 euro per la trasmissione dati;
   dopo una lunga trattativa nel settembre del 2012, con un ennesimo colpo di scena, la proposta, sollecitata dalla stessa proprietà e condivisa dai dipendenti, viene improvvisamente ritirata senza alcuna motivazione dagli stessi vertici aziendali che, nonostante il bilancio in utile, una invidiabile situazione patrimoniale ed una elevata liquidità, avviano la procedura di messa in mobilità del personale dipendente;
   la Beta Spa, dopo aver beneficiato per oltre trent'anni dei contributi statali per l'editoria, aveva di recente ricevuto, nell'ambito della ripartizione delle emittenze radiotelevisive e con il miglior punteggio della graduatoria regionale, la concessione dei canali Lcn 11 e 111, perché rispondente ai requisiti di legge in base ai quali è subordinata l'assegnazione stessa;
   infatti i suddetti contributi per la digitalizzazione degli impianti sono stati erogati sulla base di una graduatoria che prevedeva l'attribuzione di un punteggio con riferimento al numero dei dipendenti e dei giornalisti assunti;
   anche dalla regione Marche, con la quale ha stipulato una convenzione per la comunicazione istituzionale, l'emittente TVRS riceve contributi;
   le trasmissioni dell'emittente TVRS, una delle principali e storiche emittenti televisive della regione Marche, sono autoprodotte attraverso l'utilizzo di apparecchi per il montaggio di programmi televisivi, la sua programmazione prevede servizi sportivi, attualità, telepromozioni e telegiornali. Inoltre, grazie all'esperienza maturata in molti anni di attività nel settore, l'emittente televisiva TVRS si è guadagnata la concessione ministeriale per la diffusione televisiva, portandola al vertice nel panorama regionale;
   la decisione di conservare il solo status di operatore di rete, comporterà la modifica del piano editoriale che, insieme al numero di dipendenti, rappresentava il requisito fondamentale per l'assegnazione degli Lcn, facendo così decadere due importanti prerogative che dovrebbero appartenere ad un concessionario di frequenze –:
   se siano a conoscenza dei reali motivi che da una parte hanno spinto la società Beta spa a prendere una decisione così drastica che, a parere dell'interrogante, sembra invece nascondere ipotesi molto diverse dalle paventate difficoltà economiche, e dall'altra a rifiutare il ricorso nell'ultimo anno agli ammortizzatori sociali che gli avrebbe consentito di affrontare un'eventuale periodo di crisi economico-finanziaria;
   quali iniziative tempestive intendano intraprendere al fine di salvaguardare il futuro lavorativo dei 21 dipendenti della Beta spa;
   quali iniziative intendano intraprendere al fine di garantire la pluralità dell'informazione nell'ambito televisivo regionale, anche verificando la sussistenza in capo all'azienda delle condizioni che la legittimano ancora a trasmettere sulle frequenze Lcn 11 e 111;
   quali siano le motivazioni addotte dai vertici dell'azienda per giustificare il ritiro della proposta di vendita del ramo relativo ai contenuti al personale dipendente che, fortemente preoccupato per le proprie sorti lavorative, aveva in reiterate occasioni dato piena disponibilità all'acquisto. (4-01645)

  Risposta. — Dagli accertamenti effettuati dagli uffici competenti del Ministero dello sviluppo economico non risulta che il fornitore di servizi media audiovisivi Beta Spa, autorizzato per i marchi Tvrs e Tvrs Marche, a cui sono state attribuite le numerazioni Lcn 11 e 111, abbia cessato o abbia intenzione di cessare la propria attività di fornitura di servizi media audiovisivi.
  Dai controlli effettuati dai competenti Ispettorati territoriali emerge, infatti, che nelle province della regione Marche risulta diffusa la programmazione relativa ai marchi Tvrs con numerazione Lcn 11 e Tvrs Marche con la numerazione 111 sul canale Ch 43 Uhf.
  Si evidenzia, inoltre, che la delibera Agcom 353/11/Cons, all'articolo 3, comma 5, prevedeva che per poter rilasciare la autorizzazione per la fornitura di servizi
media audiovisivi bisognava essere in possesso, tra l'altro, del requisito di almeno «4 dipendenti in regola con le vigenti disposizioni di legge in materia previdenziale». Tale requisito è stato superato con l'entrata in vigore della delibera 350/12/Cons che nella circolare esplicativa allegata alla stessa ha chiarito come il predetto requisito trovasse applicazione «fino alla data stabilita dalla legge per la definitiva cessazione delle trasmissioni televisive in tecnica analogica». Pertanto, dalla data dello swich-off ovvero dal 4 luglio 2012 tale requisito è venuto meno.
  Alla luce di quanto stabilito dalla normativa citata, la società Beta Spa, anche in assenza di personale dipendente, risulterebbe, pertanto, legittimata a svolgere sia l'attività di fornitore di servizi media sia l'attività di operatore di rete.
  Per ciò che attiene, in particolare, alla assegnazione delle numerazioni Lcn, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, al riguardo, ha evidenziato che quest'ultime sono assegnate ai singoli fornitori di servizi di media audiovisivi cui è riconducibile la responsabilità editoriale della scelta del contenuto audiovisivo del servizio di media audiovisivo (persona fisica o giuridica a cui è riconducibile la responsabilità editoriale della scelta del contenuto audiovisivo del servizio e ne determina le modalità di organizzazione) e non agli operatori di rete (soggetto titolare del diritto di installazione, esercizio e fornitura di una rete di comunicazione elettronica su frequenze terrestri in tecnica digitale, e di impianti di messa in onda, multiplazione, distribuzione e diffusione delle risorse sequenziali che consentono la trasmissione dei programmi agli utenti). Conseguentemente nell'ipotesi di dismissione dell'attività di fornitore di servizi media audiovisivi, la relativa autorizzazione e l'attribuzione della numerazione assegnata decade a meno che la stessa autorizzazione per la fornitura di servizi di media non venga trasferita dalla società titolare (editore) ad un soggetto terzo, tramite regolare atto notarile.

Il Ministro dello sviluppo economicoFederica Guidi.


   RIZZETTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dal Messaggero Veneto del 9 febbraio 2014 che il Coordinamento provinciale delle associazioni dei disabili, con una lettera al Ministro Massimo Bray, denuncia la condotta di Giulia Picchione, soprintendente per i beni archeologici del Friuli Venezia Giulia, per non aver adottato alcun intervento per lo sviluppo del progetto di realizzazione di una nuova rampa, indispensabile per consentire l'accessibilità ai disabili al plateatico di piazza San Giacomo, la piazza più importante di Udine;
   è dal 2012 che, il comitato, che rappresenta gli interessi delle principali associazioni di persone con disabilità della provincia di Udine e che fa parte della consulta regionale delle associazioni delle persone disabili e delle loro famiglie Fvg Onlus, collabora con gli assessori comunali competenti in tema di accessibilità e lavori pubblici, nonché con i relativi tecnici per trovare una soluzione al dislivello, rappresentato da pochi gradini, che rialza la parte centrale di piazza San Giacomo al centro di Udine, in una zona interamente pedonale;
   la collaborazione del comitato con l'amministrazione comunale ha portato alla redazione di ben tre diversi progetti per la realizzazione della rampa, che renderebbe possibile l'accesso a tutti i cittadini, anziani, bambini e persone con disabilità, al plateatico della piazza;
   detti progetti, di cui il primo è del marzo 2012 e l'ultimo del maggio 2013, sono stati poi modificati rispetto alle osservazioni e indicazioni ricevute in forma non ufficiale da soggetti vicini agli uffici della Soprintendenza, al fine di presentare una soluzione definitiva e risolutoria;
   tuttavia, la soprintendente per i beni architettonici e ambientali del Friuli Venezia Giulia, a quanto consta all'interrogante, non si è concretamente attivata per risolvere tale rilevante questione, né ha provveduto a trasmettere un formale e motivato riscontro alle proposte avanzate;
   pertanto, ad oggi, non si è a conoscenza di quali siano le ragioni che hanno determinato tale disinteresse sotto il profilo tecnico nonché umano ed etico della problematica;
   appare, dunque, all'interrogante che la condotta della soprintendente Giulia Picchione, sia in contrasto con le norme nazionali che obbligano le pubbliche amministrazioni a fornire risposte chiare in tempi definiti, affinché il richiedente possa avere un riscontro univoco e motivato, per consentirgli di presentare e modificare le proprie istanze in modo conforme alle direttive dell'amministrazione –:
   se e quali iniziative di competenza intenda adottare il Ministro interrogato affinché si proceda all'adozione di un progetto che consenta l'accesso ai disabili nonché a tutti cittadini, bambini ed anziani, al plateatico di piazza San Giacomo poiché detto accesso, ad oggi, non è reso possibile a causa della presenza di un dislivello che rialza la parte centrale della piazza, come esposto in premessa;
   se e quali iniziative si intendano intraprendere nei confronti di Giulia Picchione, in qualità di soprintendente per i beni archeologici del Friuli Venezia Giulia, la cui condotta, nel caso di specie, appare all'interrogante negligente e non conforme alle norme nazionali in materia, come messo in evidenza in premessa. (4-03548)

  Risposta. — Preliminarmente, occorre sottolineare che il tema dell'accessibilità ai beni del patrimonio culturale e della compatibilità fra accessibilità e tutela è considerato da questo Ministero della massima rilevanza e costituisce un impegno prioritario. Ne è conferma la destinazione di una notevole percentuale di fondi (purtroppo limitati) di cui dispone la direzione generale per la valorizzazione proprio ai progetti per l'accessibilità, definiti d'intesa con le soprintendenze territoriali.
  Al riguardo, si può ricordare, per il suo carattere rappresentativo e l'ingente onere finanziario, il recentissimo progetto per un ascensore vetrato nel castello di Miramare a Trieste.
  Quanto alla specifica vicenda segnalata dall'interrogante, in primo luogo si precisa che non risulta essere stato presentato alla competente soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici del Friuli Venezia Giulia alcun progetto, da parte del comitato dell'associazione persone disabili della provincia di Udine, per «la realizzazione di una nuova rampa che permetta alle persone disabili di accedere senza aiuti al plateatico» di piazza San Giacomo a Udine.
  D'altro canto, appare opportuno chiarire che il soggetto titolato a chiedere qualsiasi autorizzazione su intervento ricadente su suolo demaniale comunale, quale è quello di piazza San Giacomo, è, ai sensi del decreto legislativo 42 del 2004, l'amministrazione comunale di Udine.
  Quest'ultima, in data 24 maggio 2013, ha effettivamente presentato alla citata soprintendenza una richiesta per «lavori di realizzazione rampa d'accesso ai disabili sul plateatico della piazza Matteotti (San Giacomo)».
  L'istruttoria condotta dalla citata soprintendenza ha, tuttavia, evidenziato che i lavori prospettati, per come erano stati progettati, non risultavano ammissibili in relazione al valore culturale della piazza storica, vincolata sia ai sensi di specifico decreto di vincolo del 27 agosto 1956, per quanto riguarda tutte le abitazioni che vi prospettano, sia
ope legis, ai sensi dell'articolo 10, comma 4, lettera g), del decreto legislativo 42 del 2004.
  Con nota del 27 giugno 2013, nei termini previsti dalla legge, la soprintendenza, pertanto, ha comunicato al comune le motivazioni della mancata approvazione del progetto, invitandolo a rivedere la soluzione denegata.
  Dal giugno 2013, nonostante i diversi incontri tenutisi in soprintendenza con il dirigente del servizio viabilità e sport del comune e con l'assessore competente, non è pervenuta alcuna nuova richiesta da parte dell'amministrazione comunale, unico soggetto titolato a richiedere l'autorizzazione, come chiarito sopra.
  Premesso quanto sopra, si rappresenta che la citata soprintendenza e gli altri uffici territoriali del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo hanno offerto la loro più ampia collaborazione al comune di Udine, al fine di individuare la soluzione progettuale più idonea a garantire la tutela del bene culturale e, al contempo, a superare le barriere architettoniche esistenti.
  Infine, si precisa che la competente soprintendenza, in relazione all'articolo di stampa apparso sul Messaggero Veneto del 9 febbraio 2014, menzionato dall'interrogante quale fonte di informazioni in merito alla vicenda oggetto dell'interrogazione, ha richiesto ed ottenuto la possibilità di svolgere il proprio diritto di replica, mediante pubblicazione di chiarimenti avvenuta sul medesimo quotidiano in data 22 febbraio 2014.

Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismoDario Franceschini.


   RUOCCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   gli esecutivi precedenti presieduti da Enrico Letta e Mario Monti, hanno lasciato in sospeso circa 513 decreti attuativi di cui 169 già scaduti (79 risalenti a Mario Monti e 70 risalenti ad Enrico Letta) ancora da adottare per rendere pienamente efficace le riforme fondamentali per il rilancio dell'economia e della crescita;
   un articolo del Sole 24 ore del 28 febbraio 2014 riporta i dati delle mancate attuazioni, tra i provvedimenti vengono elencati:
    decreto-legge n. 69 del 2013 convertito con modificazioni dalla legge n. 98 del 2013 per il quale mancano ancora 71 provvedimenti attuativi, di cui 2 già scaduti;
    decreto-legge n. 76 del 2013 convertito con modificazioni dalla legge n. 99 del 2013 per il quale mancano 17 provvedimenti attuativi, di cui 7 già scaduti;
    decreto-legge n. 91 del 2013 convertito con modificazioni dalla legge n. 11 del 2013, per il quale mancano 21 provvedimenti attuativi di cui 16 già scaduti;
    decreto-legge n. 101 del 2013 convertito con modificazioni dalla legge n. 125 del 2013, per il quale mancano 31 provvedimenti attuativi, di cui 6 già scaduti;
    decreto-legge n. 104 del 2013 convertito con modificazioni dalla legge n. 128 del 2013, per il quale mancano 32 provvedimenti attuativi, di cui 7 già scaduti;
    legge di stabilità 27 dicembre 2013, n. 147, per il quale mancano 84 provvedimenti attuativi, di cui 10 già scaduti;
   tra gli ultimi rientra il decreto-legge destinazione Italia, dove restano da fare 39 decreti attuativi, tra questi: il decreto per la rimodulazione degli incentivi alle rinnovabili, il decreto per l'operatività dell'apertura di un credito d'imposta per imprese che innovano, il decreto per decidere l'ammontare da destinare al cosiddetto «bonus librai» e un altro per le modalità attuative, e ancora, quello per individuare le modalità per compensare le cartelle esattoriali a favore delle imprese titolari di crediti della pubblica amministrazione;
   l'operatività di molte norme è subordinata all'elaborazione dei decreti ministeriali che in molti casi in passato non hanno rispettato i tempi di emanazione. In più la messa in campo di molte risorse economiche è subordinata all'approvazione da parte della Commissione Unione europea della proposta nazionale relativa alla programmazione dei fondi europei 2014-2020. È il caso dell'apertura di un credito di imposta (per un totale massimo di 600 milioni di euro per il triennio 2014-2016) a favore delle imprese che investono in attività di ricerca e sviluppo;
   servirà un decreto del Ministero dello sviluppo economico, inoltre, per adottare «le disposizioni applicative necessarie, comprese le modalità di iscrizione delle spese in bilancio, le modalità di verifica e controllo dell'effettività delle spese sostenute». Anche i finanziamenti a fondo perduto, tramite voucher, per favorire la digitalizzazione delle piccole e medie imprese sono subordinati all'approvazione della programmazione nazionale dei fondi europei e all'emanazione di un decreto del Ministero dell'economia e delle finanze che stabilisca l'ammontare dell'intervento per un massimo di 100 milioni di euro;
   stesso iter per il credito di imposta per aumentare la connettività digitale delle piccole e medie imprese (in questo caso il decreto lo dovrà emanare il Ministero dello sviluppo economico). Sono due i decreti necessari per attivare il «bonus librai», entrambi del Ministero dell'economia e delle finanze. Uno dovrà stabilire l'ammontare della misura (per un massimo di 50 milioni di euro e sempre dopo l'approvazione della programmazione 2014-2020), un altro le modalità per usufruire del credito d'imposta e per stabilire la decorrenza del bonus. Servirà un decreto ministeriale anche per una delle misure più apprezzate del decreto «destinazione Italia», cioè la compensazione delle cartelle esattoriali per imprese che vantano crediti nei confronti della pubblica amministrazione;
   è bloccato anche il piano nazionale delle zone a burocrazia zero, previsto dal cosiddetto «decreto del Fare» n. 69 del 2013, norma di difficile applicabilità vista la sua incompatibilità con il cosiddetto decreto-legge Sviluppo bis n. 179 del 2012 convertito con modificazioni dalla legge n. 221 del 2012, del Governo Monti, che stabiliva come paletto il rispetto del vincolo paesaggistico o del patrimonio artistico e storico –:
   quale iniziativa intenda assumere il Governo in merito alla mancata emanazione dei decreti attuativi per individuare in maniera prioritaria i decreti che possano immediatamente produrre effetti positivi e tangibili su famiglie ed imprese;
   quali iniziative di semplificazione delle procedure amministrative il Governo intenda intraprendere nell'ambito delle proprie competenze, dato il numero elevato dei decreti attuativi al fine di evitare le pesanti ripercussioni derivanti dal gap tra quelli emanati e quelli non ancora emanati. (4-04122)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione a risposta scritta n. 4/04122 presentata dall'interrogante, si forniscono i dati sui provvedimenti di attuazione riferiti ai governi presieduti dal senatore Monti e dall'onorevole Letta, aggiornati al 15 aprile 2014, in possesso dell'ufficio per il programma di Governo. Si precisa che le tabelle 1 e 2 riportano i dati complessivi relativi allo stato di attuazione delle disposizioni legislative dei due Governi, mentre la tabella 3 contiene i dati riguardanti i provvedimenti legislativi del Governo Letta, segnalati nell'interrogazione.

Immagine prelevata dal resoconto

  In relazione ai dati della tabella 2 si segnala che, nel complesso dei provvedimenti non adottati, sono ricompresi n. 71 provvedimenti non più adottabili, in quanto superati da successiva normativa.

Immagine prelevata dal resoconto

  In merito ai provvedimenti previsti dal decreto legge «destinazione Italia» del Governo Letta (decreto-legge 145 del 2013, convertito dalla legge 9 del 2014) ed ancora non adottati, espressamente citati nell'interrogazione, si specifica che alcuni di essi non hanno un termine fissato per la loro adozione (è il caso dei provvedimenti relativi all'apertura di un credito a favore delle imprese che investono in attività e ricerca ed alla definizione delle modalità applicative); che altri provvedimenti hanno un termine previsto per l'adozione che, ad oggi, non risulta ancora scaduto (è l'ipotesi dei provvedimenti attuativi delle disposizioni in materia di bonus librai e di quelle relative alla compensazione delle cartelle esattoriali per le imprese che vantano crediti nei confronti della pubblica amministrazione).
  Analogamente, non ha un termine previsto per l'adozione, il provvedimento contemplato dal decreto «del fare» (decreto-legge n. 69 del 2013, convertito dalla legge 98 del 2013) che deve definire il piano nazionale delle zone a burocrazia zero, al quale pure si fa riferimento nell'interrogazione parlamentare.
  Considerata la situazione sopra rappresentata, il Governo, al fine di assicurare la più rapida applicazione delle disposizioni legislative a favore di famiglie ed imprese, intende procedere incisivamente, da un lato attraverso azioni di sollecitazione e di stimolo nei confronti dei ministeri competenti all'emanazione dei decreti attuativi e, dall'altro, promuovendo la riduzione della normativa di secondo livello e dell'uso, ove possibile, di modalità applicative che appesantiscono e allungano i procedimenti attuativi.

Il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il ParlamentoMaria Elena Boschi.


   SEGONI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, TERZONI, TOFALO, ZOLEZZI, ARTINI, BALDASSARRE, BONAFEDE e GAGNARLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 23 febbraio 2006 il Ministro delle attività produttive, di concerto con quello dell'Ambiente e su istanza di una società privata, ha concesso per decreto l'autorizzazione a realizzare un impianto industriale offshore galleggiante di rigassificazione di GNL (gas naturale liquefatto), permanentemente ancorato al fondo marino e collegato tramite gasdotto alla rete di distribuzione in terraferma, localizzato in un «sito» al largo della costa toscana, tra Livorno e Pisa, al confine delle acque territoriali italiane. Nello specifico l'opera consiste in un'unità di stoccaggio e rigassificazione galleggiante FSRU (floating storage and regasification unit) ancorato a circa 12 miglia nautiche (22,5 chilometri) al largo della costa di Livorno, in acque di profondità di circa 120 metri, e collegata alla terraferma da una condotta sottomarina per il trasporto del gas. Il terminale galleggiante o FSRU è un vettore di gas naturale liquefatto (GNL) convertito, con quattro serbatoi di stoccaggio di tipo Moss con una capacità complessiva di 137.000 metri cubi di GNL. Il FSRU «Toscana» è un'opera di una tipologia unica, mai realizzata prima anche per la nota pericolosità delle operazioni di trasbordo in mare di combustibili infiammabili di questo tipo. Non esistono altri esemplari al mondo di terminali analoghi. Nel sito in oggetto, infatti, dovrebbero compiersi operazioni di allibo, ossia di travaso del gas raffreddato a 160° C da nave gasiera a nave rigassificatrice. Il rigassificatore in questione è quindi soggetto a particolari rischi mai prima valutati e sperimentati, a partire da quelli dovuti all'allibo, operazione altamente rischiosa, da tempo vietata in Italia e poi improvvisamente autorizzata con il decreto 6 febbraio 2006 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 23 febbraio 2006, ovvero lo stesso giorno in cui è stato autorizzato il rigassificatore OLT (offshore LNG Toscana);
   in altri Paesi, come gli USA, i pochissimi terminali GNL offshore esistenti o in progettazione sfruttano tecnologie di ben altro livello di sicurezza, quali la tecnologia energy bridge, che prevede la rigassificazione a bordo della stessa gasiera che ha trasportato il GNL, evitando così i rischi dell'allibo;
   il registro italiano navale (RINA) ha dichiarato che il sistema di ormeggio tramite il quale dovrebbe avvenire l'allibo è risultato essere conforme alle norme, sebbene ad oggi, tali standard utilizzati per la realizzazione non siano al momento conosciuti. Si è tentato in vari modi (azioni parlamentari, attività di diverse associazioni ambientaliste) di accedere alla relazione redatta dal gruppo di lavoro merci pericolose che parrebbe essere l'unico riferimento tecnico procedimentale a sostegno dell'autorizzazione ad un'attività così pericolosa, ma ad oggi non si è avuto modo di recepire tali documenti;
   nell'area del rigassificatore, in conformità a quanto stabilito dall'ordinanza n. 137 del 2013 della capitaneria di porto di Livorno, per motivi di sicurezza, sono stati posti vincoli di vario grado per la navigazione, con l'istituzione di tre aree – la zona di interdizione totale, quella di limitazione e quella di preavviso – in cui la navigazione, la sosta, l'ancoraggio, la pesca nonché qualunque altra attività di superficie o subacquea sono vietate, con conseguente danno per l'attività del porto, del turismo e dell'attività di pesca locale;
   non è altrettanto secondario lo stravolgimento e il probabile danno ambientale di tale area marina, infatti un impianto di tale tipologia versa nei fondali circa 550.000 metri cubi-giorno di acqua clorata (acqua e varichina – NaC1O) necessari a garantire la pulizia dello scambiatore di calore (un'area di 100x70 metri per un'altezza di 75 metri), tutto ciò non può che determinare importantissime modifiche all'ecosistema marino ed in particolare a quella zona di interesse naturale unico denominata «Il santuario dei cetacei»;
   il funzionamento del rigassificatore è notevolmente limitato dalla natura di quel tratto del mar Tirreno, peraltro soggetto a frequenti e forti mareggiate. A tal proposito, lo studio «Risultanze della Commissione tecnico-scientifica per la valutazione del rischio ambientale derivante dalla localizzazione dei depositi e dalla movimentazione di Gas di Petrolio Liquefatto (GPL) in alcune aree portuali italiane, istituita con decreto GAB/DEC//019/2001 del 13 febbraio 2001 – Roma, Febbraio-Maggio 2001», con riferimento alla zona di mare antistante il porto di Livorno, afferma che «i venti ed il moto ondoso sono tali da non poter garantire un sufficiente numero di giorni/anno con condizioni di operabilità in sicurezza»;
   il numero dei giorni in cui il rigassificatore non sarà in grado di operare sono inevitabilmente destinate ad aumentare, anche a causa dell'impatto dei cambiamenti climatici, considerato che – come si legge nella pubblicazione del 2007 «Il libeccio e Livorno – Un viaggio tra culto, storia e scienza» a cura dell'Istituto di biometereologia del CNR (IBIMET-CNR), Centro di biologia marina e monitoraggio ambientale del mediterraneo LaMMA – CoMMA-Med: «I dati mostrano un andamento crescente della frequenza del Libeccio negli ultimi decenni del XX secolo a partire dagli anni ’80, con un aumento di circa il 32 per cento nell'ultimo decennio (frequenza media = 12.3 per cento) rispetto alla media del trentennio precedente (frequenza media = 9.3 per cento)» e che «L'aumento della frequenza del Libeccio durante la seconda metà del XX secolo risulta ancor più significativo qualora si considerino solo gli eventi che hanno superato la velocità di 10.8 m/s (circa 40 km/h), corrispondente al valore soglia del grado 6 della scala Beaufort. In particolare, nell'ultimo decennio del XX secolo la percentuale media degli eventi di Libeccio con velocità uguale o superiore a 10.8 m/s, rispetto al numero totale di eventi, è del 10 per cento, rispetto al 3.9 per cento del trentennio precedente»;
   il «Rapporto finale sulla sicurezza OLT LNG Toscana» è stato oggetto di analisi, per conto della regione Toscana, da parte del gruppo di studio costituito da Jerry Havens, Ph.D., P.E., Ronald.P. Koopman, Ph.D., P.E. e Andrew Alderson, I., Eng. Gli studiosi evidenziano, in particolare, due aspetti che non vengono presi in considerazione dal rapporto regionale: il primo relativo alla possibilità di collisione di un'altra nave con il FSRU (che, secondo l'analisi dovrebbe essere scongiurato dalla presenza h24 di una nave guardiana) ed il secondo legato alla possibilità di attacchi terroristici. Inoltre i calcoli previsionali riportati nello studio, presuppongono che il GNL proveniente dai paesi produttori contenga una parte inferiore al 10-15 per cento di idrocarburi con peso molecolare maggiore rispetto al metano. Gli GLN, sigla con la quale s'intende normalmente una miscela di idrocarburi più pesanti del metano, quali etano, propano e butano, hanno un potere energetico maggiore del liquido da gas naturale. Questo fattore rende di gran lunga più pericoloso l'intero impianto, in quanto le probabilità di possibili incidenti, come le esplosioni sono di gran lunga più probabili con una miscela di gas come il metano, l'etano, il propano e il butano;
   il rigassificatore in questione risulta, tra l'altro, molto costoso e la sua gestione finanziaria è incompatibile con l'accesso regolato dei terzi. A tal proposito, la Commissione europea nel documento SG-Greffe (2009) D11105 afferma che: «La specifica natura del terminal lo rende molto costoso. Allo stesso modo la limitata capacità di stoccaggio e la sua posizione al largo, esposta alle differenti condizioni meteorologiche, risultano in condizioni logistiche più complesse di altri terminal GNL tradizionali. Pertanto, per essere finanziariamente sostenibile, il progetto deve funzionare secondo uno stretto programma logistico incompatibile con l'accesso regolato dei terzi»;
   il terminale in questione non è ancora oggetto di un contratto definito e a lungo termine per la fornitura di gas, anche perché è piuttosto evidente che nel Paese c’è una cospicua sovraccapacità di importazione di gas rispetto alla domanda, grazie anche alla crescita delle energie rinnovabili;
   infatti l'aumento della produzione da fonti energetiche rinnovabili e il consolidamento degli interventi in efficienza energetica rendono assolutamente privo di senso tornare ad investire sui combustibili fossili, e, in particolare, su un progetto come quello del terminale offshore OLT, le cui anomalie progettuali ed autorizzative erano evidenti sin dall'origine e che rischia di finire ancor peggio per le poco trasparenti procedure di sicurezza adottate, tenuto conto che non vi è stato alcuno specifico approfondimento e che di terminali come quello in esame al mondo non ne esistono altri;
   in un articolo del 14 gennaio 2013, pubblicato sul quotidiano on line Quale Energia, titolato «Quel regalo ai rigassificatori fatto coi soldi nostri», a firma di Alessandro Codegoni, si riferisce che con il sistema di incentivazione dei rigassificatori, chiamato «fattore di garanzia», varato dall'Autorità per l'energia elettrica ed il gas (Aeeg) nel 2005 (delibera Aeeg n. 178/05), in seguito all'emergenza gas di quell'inverno, «invece di garantire tariffe eque, in grado di rendere il gas di tutti competitivo, si promette ai gestori dei rigassificatori il rimborso del valore del gas (che poi i consumatori pagheranno in bolletta) fino all'80 per cento (ridotto poi al 71,5 per cento in una delibera del 2008) della capacità massima dell'impianto, nel caso, magari per un calo del mercato o per le troppo alte tariffe di trasporto, non si riuscisse a venderlo. Un guadagno garantito, scaricato sulle bollette di tutti, per la bellezza di 20 anni. (...) Forse anche per queste condizioni straordinariamente favorevoli, da quel momento sono in effetti fioccate in Italia le richieste per aprire rigassificatori, arrivando nel 2011 a un massimo di 15 domande per nuovi impianti sparpagliati per tutta la penisola (su un totale di 21 richieste in tutta Europa) che, se realizzati, avrebbero più che raddoppiato la nostra fornitura potenziale di gas, sommandosi anche, oltre che ai 4 gasdotti esistenti, anche al nuovo gasdotto dall'Algeria, il Galsi, in funzione dal 2014, e (forse) al gasdotto South Stream dai Balcani»;
   un successivo articolo pubblicato il 10 luglio 2013, sul sito «Energia felice», titolato «Ancora incentivi ai rigassificatori», a firma di Alessandro Codegoni, riferisce che la delibera Autorità per l'energia elettrica ed il gas (Aeeg) del 31 ottobre 2012 «escludeva il fattore di garanzia per tutti i futuri rigassificatori, e lo prevedeva per quelli recentemente approvati (quindi i rigassificatori di Rovigo e Livorno) solo se avessero aperto le porte a fornitori diversi dalla società proprietaria. Visto che sia Rovigo che Livorno sono gestiti in esclusiva, nessuno avrebbe goduto dell'incentivo. (...) Dopo la delibera del 31 ottobre 2012 la società OLT (Offshore LNG Toscana), controllata da E.On, che ha quasi ultimato il rigassificatore di Livorno, ha fatto ricorso al Tar della Lombardia, chiedendo che l'incentivo gli fosse conferito, anche se il suo impianto non è aperto a terzi. E il 7 luglio il Tar ha deciso in suo favore e la nave-rigassificatore di OLT, fino ad allora ferma a Dubai, si è immediatamente diretta a tutto gas (è proprio il caso di dirlo) verso le nostre coste. Così, a partire dalla fine dell'anno, (...) a tutti noi non resta che pregare che i suoi affari vadano a gonfie vele. Perché, se così non fosse, e nel 2014 vendesse meno del 71 per cento della sua capacità nominale di 3,75 miliardi di metri cubi di metano annui, la differenza gliela pagheremmo noi in bolletta»;
   secondo quanto riportato in un articolo pubblicato il 6 settembre 2013 sul sito on line de la Repubblica, a firma di Luca Pagni, titolato «Authority contro rigassificatore di Livorno. Troppi oneri sulle bollette dei cittadini», l'Autorità per l'energia e il gas ha presentato ricorso al Consiglio di Stato per contestare la decisione del Tar della Lombardia che ha dato ragione a OLT in primo grado contro la decisione della stessa Autorità che nel 2012 aveva eliminato il sistema di garanzie finanziarie in favore delle società che realizzano infrastrutture strategiche. Secondo l'Autorità, il peso del fattore di garanzia «va dai 110 ai 90 milioni all'anno per 20 anni (a decrescere) fino a pagamento dei 900 milioni dell'investimento»;
   il costo in bolletta di tale rimborso rappresenta dunque un ulteriore balzello a carico dei consumatori che sin dal 1992 pagano in bolletta una quota per lo sviluppo delle fonti di energia rinnovabile, che è stata invece indebitamente destinata a pagare l'energia prodotta dalla combustione di code pesanti di raffinazione e degli inceneritori;
   le numerose criticità relative alla legittimità dell'intero iter procedurale precedente e successivo all'autorizzazione alla realizzazione dell'impianto di rigassificazione e la necessità di garantire la tutela dell'ambiente e della salute della popolazione hanno indotto il senatore del M5S Gianni Pietro Girotto a presentare in data 26 settembre 2013 un esposto alla procura della Repubblica presso il tribunale di Livorno volto all'accertamento dei fatti sommariamente esposti e di qualsivoglia ipotesi di reato commissiva od omissiva –:
   se i Ministri intendano considerare l'ipotesi, acclarata la particolare fragilità e delicatezza ambientale del sito in questione e l'assoluta novità della soluzione tecnologica adottata, di sospendere l'efficacia dell'autorizzazione all'esercizio del terminale rigassificatore galleggiante FSRU Toscana e procedere ad un riesame dell'autorizzazione concessa;
   se non intendano rivedere il carattere strategico attribuito ad un impianto realizzato in un'area protetta, in assenza delle garanzie di sicurezza, con il chiaro intento di avvantaggiarsi del fattore di garanzia di cui si è detto in premessa e che non sarà in grado né di svincolare il nostro Paese dalle forniture via terra né tantomeno di contribuire a ridurre le bollette degli utenti;
   se sia stato redatto un piano d'emergenza della protezione civile per un impianto di tale portata e singolarità tipologica e se si intenda pubblico e fruibile da tutti i cittadini tale piano. (4-02173)

  Risposta. — Il terminale galleggiante FSRU è stato progettato e realizzato in base alle normative e regole di classi vigenti sia nazionali che internazionali. Per quanto riguarda le normative di esercizio, il terminale opererà nel rispetto di un sistema internazionale (Ism code) e security (Isps code, cap. XI Solas), in base a quelle che sono le convenzioni internazionali Solas e Marpol, interamente recepite dalla legislazione italiana.
  Le operazioni di trasbordo in mare (allibo) tra navi o tra navi e galleggianti di oli minerali e di gas liquefatti sono regolate in Italia sin dal 1984. Infatti, il decreto del 3 maggio 1984 della marina mercantile, recante norme per gli allibi di oli minerali e di gas compressi, gas liquefatti, gas liquefatti refrigerati, gas disciolti sotto pressione e miscele di gas, è stato modificato con il decreto del 6 febbraio 2006 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per inserire tra i gas liquefatti, il metano liquefatto (Gnl) dopo aver espletato appropriata istruttoria presso il citato Ministero – Comando generale del Corpo delle capitanerie di porto – reparto VI – sicurezza alla navigazione, e in seguito aggiornato tramite decreto del 2 agosto 2007 del Ministero dei trasporti – Norme provvisorie per il trasporto marittimo alla rinfusa delle merci pericolose allo stato gassoso, norme per gli allibi e procedure amministrative per il rilascio dell'autorizzazione all'imbarco ed il nulla osta allo sbarco delle merci medesime (
Gazzetta Ufficiale n. 203 del 1o settembre 2007). Per quanto riguarda la peculiarità del progetto in questione, il Registro italiano navale (Rina) ha verificato sia il sistema di ormeggio tra terminale e nave, sia i sistemi per il travaso (nel caso bracci di carico) rilasciando apposita certificazione.
  In merito alla tecnologia utilizzata da terminali
offshore esistenti o in progettazione in Paesi esteri, deve evidenziarsi che la tecnologia «energy bridge» ha ormai lasciato il campo alla più adeguata e sicura tecnologia fsru (floating storage e rigassification unit), la stessa applicata per il terminale Olt.
  Per quanto concerne il punto riguardante i bracci di carico, anche essi sono certificati dal Rina (Registro italiano navale). Inoltre, tutte le operazioni saranno effettuate nel rispetto della normativa vigente, in particolare il Decreto del 2 agosto 2007. I bracci di carico presenti sul terminale, in special modo i sistemi di sicurezza ad essi relativi, sono analoghi a quelli utilizzati in numerosi terminali Gnl nel mondo e hanno una tecnologia testata da oltre 30 anni.
  Il sistema di ormeggio è uno
standard internazionale (ship to ship) riconosciuto da tutti gli organismi tecnici di bandiera internazionali; di conseguenza anche il Rina si è adeguato con una specifica dichiarazione di conformità, riconoscendo il sistema di ormeggio idoneo a essere connesso all'unità navale, come pure a mantenerla in posizione.
  Nel merito delle attività del porto, del turismo e della pesca, esse sono state oggetto di valutazione in fase di via con espressione di parere positivo da parte di tutti gli enti coinvolti.
  Inoltre, riguardo alla richiesta di considerare l'ipotesi della sospensione di efficacia dell'autorizzazione all'esercizio del terminale di rigassificazione, premesso che non ne sussistono i presupposti per le motivazioni anzidette, deve rilevarsi che la previsione di costruire terminali di rigassificazione di Gnl è già contenuta nella strategia energetica nazionale (sen), approvata nel marzo scorso dal precedente Governo e condivisa dall'attuale, poiché necessaria per accrescere il grado di sicurezza e diversificazione degli approvvigionamenti di gas e per giungere a uno stabile aggancio dei prezzi del gas italiani a quelli europei.
  La Sen include il terminale Olt tra quelli già installati nelle acque italiane e prevede anche la possibilità di assicurare una qualche forma di garanzia sugli investimenti a carico del sistema anche a un ulteriore nuovo terminale di rigassificazione da 8 miliardi di metri cubi annui (ne erano previsti addirittura due nuovi, oltre quello della Olt, nel caso in cui, per l'apertura del corridoio sud al fine di portare in Europa il gas dell'Azerbaijan, fosse stato scelto il progetto Nabucco invece del gasdotto Tap).
  Sembrerebbe pertanto conseguente riconoscere anche al terminale Olt il sistema di garanzia degli investimenti già previsto per ulteriori terminali e di cui già oggi godono non solo il terminale di rigassificazione di Panigaglia (che dal marzo 2013 non è più operativo, in quanto nessuna nave di Gnl è stata prevista in scarico dagli importatori di Gnl) ma anche, in forme diverse, la rete di trasporto del gas e il sistema degli stoccaggi di gas. Il fattore di garanzia è infatti uno strumento tipico delle infrastrutture che vengono realizzate in regime regolato, nel quale le Autorità di regolazione riconoscono ai gestori delle stesse infrastrutture una remunerazione minima anche in caso di loro sottoutilizzo, in quanto necessarie al sistema, sia per motivi di sicurezza e diversificazione, sia per mantenerne il funzionamento in previsione di una ripresa dei consumi.
  Soprattutto la strategicità di avere terminali di rigassificazione pronti all'esercizio è sotto gli occhi di tutti in conseguenza della attuale crisi tra Russia e Ucraina, attraverso la quale passano tutte le forniture di gas russo destinate all'Italia, e per le quali non si può escludere del tutto il ripetersi di fenomeni di interruzione quali quelli verificatisi nel 2009.
  Realizzare terminali di Gnl assicura il sistema nazionale del gas che, in previsione di una ripresa dei consumi e della possibilità che i prezzi italiani, anche per interventi da parte dei Paesi fornitori esteri, tornino a disallinearsi strutturalmente da quelli europei, riescano a mantenersi agganciati a quelli dei principali
hub europei: l'eliminazione della differenza di prezzi di mercato a breve termine tra Italia ed Europa, moltiplicata per il volume di gas scambiato in Italia, porterebbe a un risparmio complessivo in bolletta di circa 1,5 miliardi di euro all'anno, cifra molto superiore a quanto verrebbe al massimo garantito al terminale in questione, pari a 50 milioni annui, in caso di totale inutilizzo.
  Si fa inoltre presente che la operatività del terminale Olt ha consentito durante il trascorso periodo invernale, di ottenere un servizio di
peak shaving a beneficio del sistema, consistente nel tenere a disposizione un volume di GrtC nei propri serbatoi da rigassificare con breve preavviso nel caso di crisi del sistema, come una punta di freddo eccezionale o una interruzione di breve durata di un gasdotto di approvvigionamento dall'estero. Questo servizio, senza costi per il sistema, ha consentito al Mise di non adottare per l'inverno appena trascorso la consueta misura di contenimento dei consumi industriali, con un risparmio di circa 70 milioni di euro sulle bollette del gas pagate dagli utenti. Tale misura sarà replicabile anche nei prossimi inverni, laddove il terminale non risulti in pieno esercizio commerciale, per cui l'eventuale onere per il sistema derivante dal fattore di garanzia sarebbe compensato dal risparmio ottenuto dalla non adozione della precedente misura di sicurezza.
  Il Ministero, che è stato chiamato in causa dalla delibera dell'Autorità, che ha stabilito di riconoscere un fattore di garanzia a tale impianto, a condizione che il Ministero stesso lo dichiari strategico, sta ancora valutando la richiesta presentata dalla società per verificarne i presupposti (il cambio di mercato mondiale del Gnl nel frattempo intervenuto, il calo della domanda di gas, il conseguente aumentato rischio d'investimenti, la possibilità di utilizzare il terminale anche come infrastruttura utile a far fronte alla domanda di picco di gas durante punte di freddo invernale eccetera); in tale valutazione rientra, ovviamente, l'aspetto di minimizzare comunque i costi per il sistema del gas, tenendo anche conto dei meccanismi di remunerazione che dovranno comunque essere previsti per i nuovi terminali da realizzare cui sarà attribuito il carattere di strategicità secondo le disposizioni della Sen e dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 93 del 2011.
  Il fattore di garanzia, secondo quanto stabilito dalla stessa Autorità, verrebbe concesso in forma ridotta, rispetto agli altri terminali esistenti in Italia, proprio per tenere conto del fatto che la decisione di investire in detto terminale è stata presa dagli investitori in regime di tipo regolato e che quindi la remunerazione del capitale non deve godere dell'incentivo previsto dalla regolazione per facilitare la decisione di nuovi investimenti in regime regolato.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   TIDEI, FERRO, GREGORI e CARELLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   i pendolari che utilizzano quotidianamente il treno sulla linea FL5 Civitavecchia-Roma subiscono da anni notevoli disagi per il sovraffollamento delle vetture, per le carenti condizioni di pulizia, per i guasti agli impianti di riscaldamento delle carrozze, per l'assenza pressoché totale di servizi igienici;
   le precarie condizioni di viaggio diventano addirittura disastrose nel periodo maggio-ottobre quando migliaia di croceristi provenienti dal porto di Civitavecchia, spesso con al seguito pesanti valigie, raggiungono Roma in treno in orari già congestionati dalla presenza dei pendolari, trasformandoli in veri e proprie carri bestiame, privi delle più elementari norme di sicurezza;
   l'offerta di trasporto in direzione Roma, in particolare tra le 7.00 e le 9.00 del mattino, appare da anni del tutto insufficiente;
   Trenitalia non ha rispettato il programma di consegna del nuovo materiale rotabile previsto dal contratto di servizio in scadenza nel 2014; la consegna, nei giorni scorsi, di un unico Vivalto a sei carrozze è un primo segnale di attenzione, ma ancora largamente insufficiente;
   nonostante le proteste dei comitati pendolari, Trenitalia-Divisione passeggeri ha soppresso la fermata della stazione di Roma-Ostiense del Frecciabianca 9784 delle 18,29 da Roma Termini per Genova (già EC 9774 delle 18,07); ciò, nonostante la stazione Ostiense sia importante nodo di scambio servito dalla linea B della metropolitana e da numerosi autobus e la reintroduzione di detta fermata consentirebbe a un gran numero di pendolari che lavorano all'EUR e in zona Prati-S. Pietro-Trastevere di accedere al Frecciabianca 9784, tra l'altro alleggerendo l'affollamento sui treni regionali –:
   se il Ministro, per quanto di sua competenza, non reputi opportuno mettere in atto specifiche iniziative per invitare la società Trenitalia ad un miglioramento dell'offerta e delle condizioni di trasporto, anche attraverso l'attivazione di un tavolo di confronto con la stessa Trenitalia, la regione Lazio, i comuni interessati ed i comitati pendolari, che possa favorire una rapida e concertata soluzione delle problematiche proposte. (4-01496)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, occorre ricordare che in base alla normativa vigente (decreto legislativo 422 del 1997), la programmazione e la gestione dei servizi regionali competono alle singole regioni, nel caso specifico alla regione Lazio, i cui rapporti con Trenitalia sono disciplinati dai Contratti di servizio, nell'ambito dei quali vengono definiti, tra l'altro, il volume e le caratteristiche dei servizi da effettuare, sulla base delle risorse economiche rese disponibili dalle stesse regioni, nonché i relativi standard qualitativi e i meccanismi di penalità da applicare nei casi di eventuali difformità dai parametri contrattualmente stabiliti.
  Tuttavia, sulla base delle informazioni assunte presso Ferrovie dello Stato, si fa presente quanto segue.
  Il servizio regionale sulla linea Roma-Civitavecchia/Grosseto, caratterizzato da una circolazione ferroviaria particolarmente intensa, è costituito da un'offerta giornaliera feriale media di 83 collegamenti regionali dei quali: 69 di competenza della regione Lazio, per un totale di oltre 62.000 posti/giorno, e 14 della regione Toscana; la frequenza complessiva dei treni tra la capitale e Civitavecchia (e viceversa) è costituita da un treno ogni mezz'ora con rinforzi nelle fasce pendolari (3 treni/ora).
  In questi ultimi anni (sia con l'orario di dicembre 2012, che con quello di dicembre 2013), su indicazione della regione Lazio, Ferrovie dello Stato ha adottato specifici interventi per risolvere le varie problematiche segnalate dai Comitati pendolari della linea.
  In particolare, con l'orario 2013, sono stati istituiti 2 nuovi collegamenti regionali sulla tratta Roma-Ladispoli (e viceversa), nella fascia pendolare mattutina e velocizzati alcuni treni rimodulando le fermate in funzione dell'effettiva frequentazione.
  Inoltre, sono stati istituiti 4 nuovi collegamenti nella fascia pendolare pomeridiana sulla tratta Roma-Ladispoli e viceversa: il treno 7143 è stato reso originario da Civitavecchia alle ore 6,13, anziché da Ladispoli; sono stati velocizzati da Civitavecchia alcuni treni (per esempio il 12229 con 8 minuti in meno di percorrenza e il 3259 con 7 minuti in meno) e, infine, sono stati ridotti anche i tempi di percorrenza dei treni regionali veloci in fascia non pendolare (mediamente circa 4 minuti in meno).
  Altresì, per i croceristi provenienti dal porto di Civitavecchia, è stato istituito un treno mattutino diretto a Roma in partenza alle 9.20.
  Il gruppo Ferrovie dello Stato ha, inoltre, rappresentato che in collaborazione con la regione Lazio, l'autorità portuale, il comune di Civitavecchia sta lavorando per sviluppare nuove soluzioni di viaggio dedicate ai clienti delle navi da crociera.
  Per quanto riguarda, poi il materiale rotabile, il servizio sulla linea FL5 viene svolto per oltre il 90 per cento con i nuovi complessi a due piani «Vivalto» (l'ultimo dei quali è stato immesso in esercizio nel mese di gennaio 2014 e il prossimo è previsto a brevissima scadenza), che hanno consentito un sensibile incremento dei posti offerti, a cui si aggiungono anche convogli
Ale 801/940 con carrozze «media distanza»; peraltro, nell'ambito del piano di ammodernamento del materiale rotabile (contratto di servizio 2009-2014) è previsto un sostanziale rinnovamento del parco circolante a vantaggio di tutte le direttrici ferroviarie regionali, tra cui, ovviamente, anche della FL5. In particolare, sono stati programmati interventi per la ristrutturazione di 97 carrozze «media distanza» (di cui 73 già in esercizio) e l'acquisto di 26 locomotive E464 (di cui 15 già in esercizio) e di 130 carrozze «doppio piano», di cui 43 già in esercizio (diventeranno 48 nei prossimi giorni).
  Infine, circa la soppressione della fermata di Civitavecchia del treno
Frecciabianca 9784, in partenza da Roma Termini alle 18.29 per Genova, la società Trenitalia ha rappresentato che il suddetto treno, anche quando era diversamente classificato (EC 9772 e ES 9308), non ha mai effettuato fermata viaggiatori nella stazione di Roma Ostiense.
  Più in generale, in merito alla programmazione dei servizi da parte delle regioni, occorre evidenziare che con l'emanazione del citato decreto legislativo n. 422 del 1997 il settore è stato oggetto di una riforma che, ad oggi, purtroppo, non ha ancora prodotto gli effetti previsti; ciò, in quanto, le regioni, che avrebbero dovuto individuare, secondo criteri di efficienza e razionalità, i cosiddetti «servizi minimi» da garantire alla stregua di quelli essenziali, si sono limitate, per lo più, alla conservazione dei servizi storici e conseguentemente della spesa storica indicizzata, senza procedere all'adeguamento dinamico, sia quantitativo che modale, dell'offerta di servizi al mutare della domanda conseguente all'evolversi socio economico del paese. Si fa riferimento, ad esempio, alle numerose linee ferroviarie nate agli inizi del secolo scorso, in assenza di una rete viaria e di trasporto automobilistico, che continuano ad essere in esercizio, a fronte di una domanda ormai limitata che non giustifica più il costo pubblico di una modalità ferroviaria. Tale mancato adeguamento ha distratto le poche risorse finanziarie disponibili da quei servizi che, proprio in funzione dell'evoluzione economico sociale del paese, andavano incrementati qualitativamente e quantitativamente (ad esempio, i servizi per pendolari in prossimità dei medi e grandi centri urbani).
  Per ovviare a tale anomalia, nell'ambito del più complessivo processo di liberalizzazione dei servizi pubblici locali, è stato avviato un percorso normativo finalizzato all'efficientamento e alla razionalizzazione dei servizi di trasporto pubblico locale, che ha portato al varo della disciplina volta al riordino del settore, inserita all'interno della legge di stabilità per l'anno 2013.
  L'articolo 1, comma 301, della legge 28 dicembre 2012 n. 228, nel sostituire l'articolo 16-
bis del decreto legge n. 95 del 2012, ha previsto, infatti, a decorrere dal 2013, l'istituzione del fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario; tale norma ha lo scopo di incentivare le regioni a riprogrammare i servizi secondo criteri oggettivi ed uniformi a livello nazionale, di efficientamento e razionalizzazione, criteri questi definiti con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'11 marzo 2013, emanato ai sensi del comma 3 del citato articolo 16-bis.
  L'applicazione di tali criteri, superando la cristallizzazione dei servizi storici e della spesa storica, consentirà la progressiva rispondenza tra offerta e domanda di trasporto.
  Tale programmazione sarà diretta ad individuare e ridurre i servizi scarsamente utili e sovrapposti o prodotti con modalità eccessivamente onerosa in relazione alla domanda esistente, secondo i predetti criteri di cui all'articolo 16-
bis del decreto legge n. 95 del 2012.
  Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dal canto suo, avrà cura di verificare, anche per il tramite dell'osservatorio istituito ai sensi dell'articolo 1, comma 300, della legge 244 del 2007, che la regione stia procedendo, secondo i criteri indicati dal citato articolo 16-
bis, alla riprogrammazione dei servizi per ovviare alle criticità riscontrate dall'utenza.
  La verifica è diretta a ripartire tra le regioni a Statuto ordinario le somme stanziate sul fondo per il finanziamento del trasporto pubblico locale con la previsione, qualora la regione non esegua tale efficientamento e razionalizzazione, di una penalizzazione corrispondente ad una riduzione, nel limite massimo del 10 per cento, delle risorse ad essa destinate.
  Allo stato, la regione Lazio ha regolarmente prodotto la documentazione afferente la riprogrammazione: gli uffici competenti di questo dicastero provvederanno a verificare gli effetti di tale riprogrammazione nell'esercizio dell'anno 2014.
  Qualora gli obiettivi di miglioramento del rapporto ricavi-costi e del
load factor dei servizi in parola non fossero raggiunti, la Regione subirà la penalizzazione, nei termini sopra indicati, delle risorse ad essa destinate.
  Si fa presente, inoltre, che la legge di stabilità 2014, oltre alle risorse di cui al citato Fondo nazionale, ha disposto l'incremento del fondo per il miglioramento della mobilità dei pendolari, pari a 300 milioni di euro per l'anno 2014 e a 100 milioni di euro, per ciascuno degli anni 2015 e 2016, da destinare, tra l'altro, all'acquisto di materiale rotabile su gomma e al materiale rotabile ferroviario.
  Si comunica, infine, che questo Ministero continuerà a vigilare affinché vengano garantiti collegamenti adeguati ed efficienti: sono stati a tal fine già istituiti appositi tavoli tecnici con i soggetti interessati.
  Si evidenzia, da ultimo, che all'esito della conferenza unificata dello scorso 21 novembre convocata in seduta straordinaria proprio per discutere sulle iniziative da assumente nel settore del trasporto pubblico locale, il Governo, le regioni e le province autonome hanno concordato, tra l'altro, sulla necessità di pervenire rapidamente alla determinazione dei costi standard per il settore, che rappresenta un passaggio indispensabile alla razionalizzazione del settore stesso. Un gruppo di lavoro con la partecipazione di tutti i soggetti istituzionali interessati, appositamente costituito a questo fine, è tuttora all'opera.
  In proposito, si informa che presso i competenti uffici di questo Ministero è in via di predisposizione il decreto di cui all'articolo 1, comma 84, della citata legge di stabilità 2014 con il quale, previa intesa in sede di conferenza unificata, verranno definiti i costi
standard dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale nonché i criteri per l'aggiornamento e l'applicazione degli stessi. Il successivo comma 85 della legge prevede, altresì, che a partire dal 2014, al fine di garantire una più equa ed efficiente distribuzione delle risorse, una quota gradualmente crescente delle risorse statali per il trasporto pubblico locale è ripartita tra le regioni sulla base del costo standard di produzione dei servizi.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   TIDEI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con circa 4 milioni di passeggeri in transito ogni anno, di cui 2,5 milioni di crocieristi, il porto di Civitavecchia contende a quello di Barcellona il titolo di primo porto crocieristico del Mediterraneo. Oltre cento diverse navi da crociera attraccano in dodici mesi al porto di Civitavecchia, per un numero complessivo di circa mille attracchi l'anno, della durata media di oltre dieci ore ciascuno;
   poiché la produzione di energia elettrica a bordo è ottenuta da motori a combustione interna, alimentati da prodotti petroliferi, essa rilascia significativi quantitativi di sostanze inquinanti aeriformi;
   l'impatto ambientale dello stazionamento delle unità da crociera nel porto di Civitavecchia è quindi tutt'altro che trascurabile, e si somma agli analoghi impatti provocati dallo stazionamento dei traghetti, delle porta-container e delle altre imbarcazioni in ormeggio, nonché a quello di tutte le imbarcazioni in manovra, comprese le navi da crociera stesse nonché le carboniere in ormeggio lungo il molo della centrale ENEL Torre Valdaliga Nord;
   unitamente alla presenza di una delle centrali a carbone più grandi d'Europa, l'attracco dei cruise nel porto è di fatto una grave criticità ambientale e richiede di prendere in considerazione soluzioni drastiche;
   ad oggi grazie all'elettronica di potenza possono essere controllati i parametri di tensione e frequenza dell'energia elettrica anche per grandi potenze come quelle in gioco per l'alimentazione dei cruise e può essere quindi realizzata un'infrastruttura di elettrificazione delle banchine crocieristiche, finalizzata ad alimentare da terra i servizi di bordo delle navi in sosta. La pratica di fornire elettricità da terra è comune per le piccole imbarcazioni da diporto ed è già utilizzata in alcuni porti del mondo per navi di media taglia;
   la realizzazione di una tale infrastruttura presenterebbe ovviamente delle difficoltà, di natura logistica e infrastrutturale, di adeguamento di tecnologia a bordo delle navi e di costi dell'energia elettrica «esogena» rispetto a quella autoprodotta a bordo;
   tale investimento, già previsto, per una o due banchine pilota dall'autorità portuale di Civitavecchia nell'ambito della realizzazione, in corso, della nuova Darsena «Sant'Egidio», oltre ad abbattere drasticamente le emissioni inquinanti all'interno del porto di Civitavecchia, sarebbe pionieristico in vista di una futura elettrificazione generale delle banchine di tutti i porti crocieristici d'Italia e Mediterraneo, rilanciando con forza il tema dell'innovazione tecnologica in alternativa a modelli altamente inquinanti e già superabili con le attuali tecnologie –:
   se i Ministri interrogati, alla luce delle ragioni descritte in premessa non ritengano opportuno approfondire la fattibilità di tale opera di notevole beneficio ambientale oltreché di grande impatto sulla qualità del servizio crocieristico;
   se non ritengano plausibile prodigarsi a sostenerla ad esempio:
    a) supportando l'adeguamento del porto: con una regolamentazione specifica (ad esempio attraverso l'esenzione completa dalle tasse dell'energia elettrica fornita alle navi o con finanziamenti a fondo perduto);
    b) sostenendo gli investimenti necessari per l'adeguamento degli impianti di bordo delle navi da crociera, e, ove possibile, per le banchine;
    c) stabilendo un obbligo (opportunamente scaglionato negli anni futuri) per l'alimentazione da terra delle navi in sosta nei porti, almeno per le navi da crociera.
   (4-02138)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, per la parte di competenza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  In merito, l'Autorità portuale di Civitavecchia fa presente di aver condotto, fin dal 2006, diversi studi al fine di individuare le migliori tecnologie da applicare per ridurre le emissioni in atmosfera associate ai traffici marittimi ospitati nel porto, coinvolgendo sia istituzioni che imprese produttrici/distributrici di energia elettrica, compagnie di navigazione e porti.
  Da tali studi è emersa la mancanza di validi presupposti atti a giustificare i notevoli investimenti legati all'iniziativa, sia per la sua limitata efficacia sia per l'inaccettabile fattore di utilizzo, nonché per l'assenza della sostenibilità economica del progetto, come di seguito meglio specificato.
  La riduzione delle emissioni in atmosfera, derivante dalla fornitura di energia elettrica alle navi in sosta nel porto di Civitavecchia, si è dimostrata, infatti, assai limitata, considerato sia il ridotto numero di navi in grado di utilizzare l'energia elettrica prodotta a terra durante la sosta (solo 25 navi da crociera su un totale di 3.284 di cui 912 navi da crociera, 1.838 traghetti e 534 cargo), sia l'impossibilità di utilizzo, durante le fasi di atterraggio e partenza delle navi, in quanto la fornitura di energia elettrica alle navi in sosta prevede la connessione fisica del sistema elettrico di bordo a quello di terra, attraverso cavi.
  Pertanto, essa può avvenire solo dopo che la nave ha completato le manovre di atterraggio e di ormeggio, mentre la maggior quantità di emissioni, dovute al picco di fabbisogno energetico delle navi, si concentra nelle fasi di atterraggio e di partenza. Inoltre, gli studi hanno dimostrato che, durante la sosta in banchina, si continua a bruciare combustibile al fine di produrre energia termica.
  Lo standard 18/1254/FDIS (High Voltage Shore Connection – HVSC) emesso il 2 marzo 2012 da IEC/ISO/IEEE, relativamente alla fornitura di energia elettrica alle navi da crociera (allegato C, punto C.4.7), prevede che, per ognuna di esse, sia messa a disposizione una singola fornitura di almeno 16 MVA (preferibili 20 MVA) corrispondenti mediamente a 12.8 MWe. Considerato che, nella stagione estiva, si hanno all'ormeggio 4 navi da crociera, con punte di 10, la potenza da mettere a disposizione delle navi da crociera risulta essere pari a 51.2 MWe, che arriva a 128.0 MWe durante le giornate con 10 navi in sosta: vale a dire 5/13 volte la potenza attualmente impegnata da tutto il porto di Civitavecchia.
  In tali condizioni, il fattore di utilizzo di tali potenze risulta essere inaccettabile; infatti, posto che le navi in grado di utilizzare l'impianto effettuano circa 25 scali all'anno e sostano in banchina circa 12 ore, si ha un assorbimento elettrico di 3.840 MWh, vale a dire meno dell'1 per cento di quello disponibile 448.512 MWh. La società Enel distribuzione ha, peraltro, comunicato all'Autorità portuale di Civitavecchia che la fornitura di tali potenze necessita di un nuovo collegamento alla rete elettrica nazionale, poiché nel territorio di Civitavecchia esse non sono disponibili presso le esistenti sottostazioni elettriche.
  In tale contesto, l'Autorità portuale di Civitavecchia ha evidenziato, altresì, la mancanza di sostenibilità economica dell'impianto, il cui costo sarebbe annualmente superiore a euro 1.400.000,00 al netto dell'Iva e senza che venga erogato un solo kWh. Inoltre, il costo di acquisto dell'energia da erogare alle navi, in base alle tariffe applicate dai diversi gestori italiani, è già superiore a quello dell'autoproduzione a bordo della nave e, viste le stringenti normative comunitarie in materia di aiuti di Stato, non appare possibile l'erogazione di incentivi pubblici destinati alla riduzione di tale costo.
  L'Autorità portuale riferisce, inoltre, che non esiste nel bacino del Mediterraneo alcun impianto destinato alla fornitura di energia elettrica alle navi maggiori in sosta (come invece avviene per il diporto) e questa carenza di infrastrutture limita gli investimenti da parte degli armatori, che non investono in questa tecnologia (i costi di adeguamento di una nave in esercizio sono pari a circa euro 700 mila e per una nave di nuova costruzione a circa euro 25 mila).
  In relazione a quanto sopra detto, l'Autorità portuale evidenzia, come avviene per altri porti del Nord Europa, la maggiore utilità, per la riduzione delle emissioni navali, dell'utilizzo di gnl (gas naturale liquefatto) quale combustibile marino. Infatti dall'utilizzo di tale combustibile deriva una riduzione delle emissioni in atmosfera rispetto all'uso di combustibili marini tradizionali, stimata come segue:
   ossidi di zolfo >99 per cento;
   particolato (incluse polveri sottili) >99 per cento;
   ossidi di zolfo >80 per cento;
   gas serra (tutti) >5 per cento.

  Inoltre, contrariamente alla fornitura di energia elettrica alle navi, tali riduzioni si possono avere anche durante le fasi di atterraggio, partenza, ormeggio/disormeggio e per la produzione di vapore. Altresì, i costi associati all'autoproduzione di energia attraverso l'uso di gnl sono, oggi, in Europa, paragonabili a quelli derivanti dall'uso di oli combustibili densi; pertanto, numerosi armatori prevedono di adeguare i generatori di bordo affinché possano essere alimentati con gnl, considerato che il suo utilizzo, in luogo dei distillati marini (al momento necessario per le navi sprovviste di dispositivi di abbattimento degli ossidi di zolfo quando esse si trovano all'interno di aree Sulphr Emission Control Area – SECA e durante la sosta in banchina), consente di ammortizzare gli investimenti in un periodo di 4/5 anni.
  Tale tecnologia è stata, tra l'altro, incentivata dall'Unione europea che ha già assegnato, nel corso del 2012, nell'ambito del programma TEN-T, aiuti per complessivi euro 106 milioni ed ha previsto un piano d'azione per lo sviluppo del gnl nel trasporto marittimo. La Commissione europea ha, infatti, proposto che vengano installate stazioni di rifornimento di gnl in tutti i 139 porti marittimi e interni della rete centrale trans-europea rispettivamente entro il 2010 e 2015.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (Mattm), interessato al riguardo, ha fatto presente che, nell'ambito dello svolgimento della propria attività di prevenzione e protezione dall'inquinamento atmosferico, la sua competenza concerne la disciplina e la regolamentazione dell'utilizzo dei combustibili per uso marittimo.
  In tale ambito, anche basandosi su quanto stabilito dalle direttive comunitarie vigenti in materia (direttiva 99/32/CE in relazione al tenore di zolfo dei combustibili per uso marittimo), compito del Mattm non è solo quello di garantire che sul territorio nazionale vengano utilizzati combustibili che rispettino le caratteristiche stabilite dalla citata direttiva, ma anche quello di favorire lo sviluppo e la diffusione di tecnologie e pratiche che limitino, o quantomeno riducano, l'impatto del settore marittimo sulle emissioni.
  In tale contesto il Mattm ha già da tempo sviluppato iniziative volte alla diffusione di sistemi di riduzione dell'impatto sull'atmosfera del settore marittimo, garantendo, al contempo, che venga perseguito anche un secondo obiettivo ovvero, la maggiore diffusione del trasporto marittimo delle merci in alternativa al trasporto delle merci su gomma. L'azione del Mattm, che ha abbracciato diversi comparti ed iniziative, si è concentrata anche sullo studio delle possibili azioni e tecnologie per la riduzione dell'impatto emissivo delle navi in stazionamento nei porti, quali ad esempio quella che contempla la connessione della nave alla rete elettrica nazionale di terra per erogare i servizi di bordo, spegnendo i generatori a gasolio (cosiddetto cold ironing).
  Nell'ambito di tali iniziative, il Mattm ha provveduto a sviluppare, tramite l'Enea, un apposito studio di approfondimento che ha consentito di indagare temi rilevanti, quali le tecnologie dei propulsori utilizzati sulle navi in navigazione nelle acque italiane ed in sosta nei porti e la qualità dei combustibili utilizzati ed ai rispettivi consumi: tutto ciò al fine di valutare le possibili strategie di intervento.
  Nel dettaglio, lo studio ha preso in considerazione le principali linee di navigazione nazionali (traghetti), le navi da crociera e le flotte trasporto merci dei principali armatori italiani al fine di individuare con maggiore accuratezza le potenzialità di riduzione delle emissioni dalle navi con interventi tecnologici sui propulsori (sostituzione, sistemi di post trattamento dei fumi, eccetera) e con interventi sui combustibili. A questo fine è stata svolta un'indagine parallela presso gli operatori petroliferi volti a meglio caratterizzare i combustibili utilizzati ed a valutare le possibili modificazioni: ad esempio, studio di fattibilità tecnica per l'utilizzo del già detto cold ironing sulla linea crocieristica tirrenica Livorno-Napoli-Palermo, in alternativa all'uso di combustibili a basso tenore di zolfo. Con questa tecnologia la potenza elettrica è fornita alla nave da terra, consentendole così di spegnere i suoi motori ausiliari in modo tale che tutti i motori potrebbero essere spenti in porto.
  Questa procedura riduce le emissioni nette, poiché la generazione di elettricità a terra è soggetta a standard di emissioni più rigorosi rispetto a quelli sui motori delle navi ed inoltre non obbliga al cambiamento di combustibile in porto (fuel shiff) né alla conseguente gestione di differenti combustibili. È stato poi realizzato un secondo studio su quattro porti nazionali di riferimento (Livorno, Gioia Tauro, Ravenna e Taranto), basato sulla diffusione di tecnologie di abbattimento degli inquinanti atmosferici e sulla loro efficacia nel trasporto marittimo.
  Inoltre, per completezza d'informazione il Mattm fa presente che oltre allo sviluppo degli studi a carattere di ricerca sopra esposti, nell'ambito del programma di finanziamenti per le esigenze di tutela ambientale connesse al miglioramento della qualità dell'aria e alla riduzione delle emissioni di materiale particolato in atmosfera nei centri urbani – decreto ministeriale 16 ottobre 2006, volto al cofinanziamento di interventi di risanamento della qualità dell'aria, nell'ambito dei piani elaborati dalle regioni e dalle province autonome, il medesimo Ministro ha provveduto a finanziare, due progetti sperimentali:
   accordo di programma Mattm – regione Liguria per la realizzazione di un progetto di fornitura di energia elettrica alle navi tramite collegamento alla rete di terra – prima fase riparazioni navali;
   accordo di programma Mattm – regione Toscana per la realizzazione dell'impianto per l'alimentazione elettrica alle navi attraccate alle calate Sgarallino e Punto Franco del Porto di Livorno.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   TIDEI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   con decreto-legge n. 101 del 2013 recante: «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni», convertito con modificazioni dalla legge n. 125/2013, il legislatore prevede che la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche (CIVIT), istituita con la legge n. 190 del 2012, assuma la denominazione di ANAC, ovvero Autorità nazionale anticorruzione e per la valutazione e la trasparenza delle pubbliche amministrazioni;
   al comma 5 dell'articolo summenzionato si stabilisce la composizione e la procedura di nomina dei componenti della nuova autorità. Per quanto riguarda la composizione, l'ANAC, organo collegiale, si compone del presidente e di quattro membri di notoria indipendenza e di comprovate esperienza e competenze, sia nel settore pubblico come in quello privato. Relativamente alla procedura di formazione di detto organo la legge stabilisce, oltre all'osservanza del principio delle pari opportunità di genere, che la nomina dei componenti sia effettuata con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, previo parere favorevole delle competenti Commissioni parlamentari, espresso alla maggioranza dei due terzi. Con riferimento alla proposta di nomina, si stabilisce, relativamente al presidente dell'autorità, che essa sia effettuata dal Ministro per la pubblica amministrazione di concerto con i Ministri dell'interno e della giustizia. Mentre, per quanto riguarda la nomina dei componenti essa avviene su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione;
   il successivo comma 7 del medesimo articolo sopra ricordato stabilisce che le proposte di nomina del presidente e dei componenti devono essere formulate entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto;
   la corruzione in Italia rappresenta un fenomeno dilagante con negative ripercussioni per lo sviluppo economico e sociale, così come per la piena e completa realizzazione della dignità dell'uomo;
   tra i fattori che rendono l'Italia poco attraente per gli investimenti, non solo esteri, vi è anche la ampia diffusione della corruzione e dei legami tra questa e le organizzazioni criminali. Ciò indebolisce seriamente le opportunità di crescita e di competitività del nostro Paese;
   il Rapporto anticorruzione 2014, elaborato dalla Commissione europea lo scorso 3 febbraio mette in luce la gravità e la radicata penetrazione della corruzione in Italia. Il Rapporto, che non si discosta dalle recenti valutazioni della Corte dei conti, quantifica l'impatto della corruzione sull'economia nazionale in 60 miliardi di euro, pari a circa il 4 per cento del Pil, incidendo drammaticamente su un tessuto economico già visibilmente sfibrato dalle conseguenze della grave crisi economica;
   sulla base di un sondaggio realizzato da Eurobarometro del 2013 sulla corruzione emerge che il 97 per cento dei rispondenti italiani (la seconda percentuale dell'Unione europea in ordine di grandezza) ritiene che la corruzione sia un fenomeno dilagante in Italia, contro una media dell'Unione europea del 76 per cento. Il 42 per cento dei rispondenti afferma di subire personalmente la corruzione nel quotidiano, contro una media dell'Unione europea del 26 per cento. Per quanto riguarda le imprese il 92 per cento di quelle che hanno partecipato al sondaggio ritiene che favoritismi e corruzione impediscano la libertà di concorrenza in Italia, contro una media UE del 73 per cento. Inoltre, secondo il Global Competitiveness Report 2013-2014 la distrazione di fondi pubblici dovuta alla corruzione, insieme con il favoritismo dei pubblici ufficiali e la perdita di credibilità etica della classe politica rappresentano agli occhi dei cittadini gli aspetti più dolenti della governance italiana –:
   se non ritenga opportuno, alla luce di quanto sopra esposto e noto da tempo, procedere con urgenza alla nomina del presidente dell'autorità, la cui proposta di nomina avrebbe dovuto essere formulata entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della summenzionata legge n. 125 del 2013 di conversione del decreto-legge n. 101 del 2013. (4-03808)

  Risposta. — Rispondo al quesito da Lei formulato in merito alla procedura di nomina del Presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione e per la valutazione e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche (Anac).
  Come è noto l'articolo 5, comma 5, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, nella legge 30 ottobre 2013, n. 125, prevede che il Presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione sia nominato su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, acquisito il concerto del Ministro della giustizia e del Ministro dell'interno, previa deliberazione del Consiglio dei ministri e parere favorevole delle Commissioni parlamentari competenti espresso a maggioranza dei due terzi dei componenti.
  Al riguardo segnalo che il Consiglio dei ministri del 12 marzo 2014, ha avviato la procedura di nomina del dottor Raffaele Cantone a Presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione; tale proposta ha già acquisito il parere favorevole, espresso all'unanimità, delle competenti commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato.
  In merito, poi, alla proposta di nomina degli altri quattro componenti dell'Autorità nazionale anticorruzione, è in corso la valutazione delle manifestazioni d'interesse, acquisite mediante l'apposita piattaforma informatica step-one, attiva fino al 14 aprile 2014 sul sito istituzionale del Dipartimento della funzione pubblica. Al fine di assicurare la trasparenza della procedura di selezione, sul medesimo sito è stato pubblicato l'elenco completo degli «aspiranti» candidati.
Il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazioneMaria Anna Madia.


   VACCA, LUIGI GALLO, MARZANA, CHIMIENTI, SIMONE VALENTE, DI BENEDETTO, BATTELLI, BRESCIA, D'UVA, GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da notizie apparse sugli organi di stampa, ed in particolare su Il Fatto Quotidiano del 18 marzo 2014, si apprende che l'attuale Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, professoressa Stefania Giannini, nel corso del mandato di rettore dell'università per stranieri di Perugia avrebbe sostenuto una spesa pari a 16.400,00 euro per un viaggio in aereo verso Bruxelles;
   la stessa professoressa Stefania Giannini ha preso parte al viaggio insieme ad ospiti;
   tale spesa appare esagerata e lontana da una ottica di contenimento della spesa pubblica;
   l'autonomia degli atenei comunque non esonera l'Università dal seguire i principi generali di trasparenza, imparzialità, economicità ed efficienza dell'azione amministrativa;
   dallo stesso articolo di stampa si apprende che due membri del collegio dei revisori dei conti dell'università per stranieri di Perugia hanno segnalato presunte anomalie alla Corte dei conti in merito ad altre attività dell'ateneo perugino;
   da notizie apparse su internet nel corso degli ultimi anni, risultano altri dubbi sulla gestione amministrativa dell'ex rettore dell'università per stranieri di Perugia;
   molti atenei italiani pubblicano i verbali del consiglio di amministrazione sul proprio portale e sono consultabili, mentre quelli dell'università per stranieri di Perugia non sono facilmente reperibili;
   l'articolo 2, comma 1, lettera a) della legge 30 dicembre 2010, n. 240 prevede che il collegio dei revisori dei conti è un organo dell'università;
   l'articolo 2, comma 1, lettera p), della legge 30 dicembre 2010, n. 240 prevede che nel collegio dei revisori dei conti siano presenti un componente effettivo e un supplente, designati dal Ministero dell'economia e delle finanze e uno effettivo ed un supplente designati dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca –:
   se il Governo ritenga opportuno verificare le spese sostenute dall'università per stranieri di Perugia, anche se deliberate dal consiglio di amministrazione, durante la gestione della professoressa Stefania Giannini;
   se il Governo non ritenga opportuno invitare ufficialmente tutti gli atenei statali a pubblicare, in chiaro, sul proprio portale istituzionale i verbali e la convocazione degli organi dell'ateneo, compresi il consiglio di amministrazione, il senato accademico, il collegio dei revisori dei conti e i consigli di dipartimento. (4-04158)

  Risposta. — L'articolo 33 della Costituzione riconosce alle università autonomia didattica, scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile. Esse si danno ordinamenti autonomi con propri statuti e regolamenti.
  Ai sensi della legge 9 maggio 1989, n. 168 e della legge 30 dicembre 2010 n. 240 queste devono, altresì, adeguarsi ai principi di semplificazione, efficienza, efficacia, trasparenza dell'attività amministrativa e accessibilità delle informazioni.
  Le decisioni assunte dagli organi dell'ateneo non sono, quindi, soggette al controllo diretto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca giacché tali funzioni spettano in via esclusiva al collegio dei revisori dei conti, uno dei sei organi di Ateneo, come previsto dall'articolo 2, comma 1, lettera
a) della legge n. 240.
  Il collegio dei revisori è responsabile della vigilanza sulla corretta gestione finanziaria, contabile e patrimoniale dell'università. Ora, per effetto dell'articolo 2, comma 1, lettera
p), della suddetta legge è stata prevista, tra l'altro, l'obbligatoria presenza di due componenti all'interno del collegio, uno effettivo ed uno supplente, designati rispettivamente dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dal Ministero dell'economia e delle finanze.
  Inoltre, dal 2013 è stato creato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca un apposito portale denominato «Portale del Revisore MIUR», costantemente monitorato, a cui hanno accesso tutti i revisori designati dal Ministero in seno ai collegi delle università con l'obiettivo di prevenire, supportare e segnalare eventuali criticità nella gestione. È stato anche creato un raccordo tra il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e gli atenei al fine di agevolare la corretta applicazione delle disposizioni che incidono sulla gestione amministrativa ed economico finanziaria.
  Il revisore del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca svolge, quindi, da una parte una funzione di «sentinella» a favore del Ministero, relativamente alla gestione amministrativa e contabile dei singoli atenei; dall'altra quella di supporto agli stessi, relativamente alle questioni inerenti la gestione amministrativo-contabile.
  L'articolo 13 dello Statuto (emanato con delibera rettorale n. 80 del 13 aprile 2012) e l'articolo 16 del regolamento generale dell'ateneo perugino (emanato con delibera rettorale n. 191 del 7 settembre 2012), nonché l'articolo 66 del regolamento di amministrazione e contabilità (emanato con delibera rettorale n. 257 del 21 novembre 2012), disciplinano la composizione e le modalità di nomina e durata in carica di questo organo di controllo e altresì ne stabiliscono compiti e modalità di funzionamento.
  Inoltre, l'articolo 64 del Regolamento di amministrazione e contabilità dell'Ateneo, secondo quanto enunciato nello Statuto, prevede che il sistema dei controlli venga affidato al nucleo di valutazione e al collegio dei revisori dei conti. L'amministrazione si dota inoltre di un sistema di
audit interno finalizzato a monitorare sistematicamente le attività effettuate dai diversi centri di gestione e prevenire possibili criticità legate alle stesse. Inoltre, il consiglio di amministrazione può decidere di avvalersi di società di revisione qualificate al fine di effettuare controlli.
  Non esiste, pertanto, un potere del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sulle decisioni autonomamente assunte dagli organi di governo dell'ateneo. Il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca acquisisce unicamente i bilanci in fase consuntiva, i cui dati vengono classificati secondo un sistema specifico di omogenea redazione e vengono poi trasmessi all'Istat, al Ministero dell'economia e delle finanze e alla Corte dei conti.
  Ad oggi, in ogni caso, non risulta a questo Ministero esista alcuna responsabilità conclamata di non regolare gestione amministrativa e contabile riferita all'ateneo in parola, per il periodo di cui all'atto di sindacato ispettivo in oggetto.
  Inoltre, il decreto legislativo n. 33 del 14 marzo 2013 ha riordinato gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni. Esso prevede numerosi oneri di pubblicazione.
  Questa incombenza, però, non comprende indistintamente tutti i provvedimenti adottati dagli organi di indirizzo politico e dai dirigenti e, in particolare, non si estende, genericamente, a tutte le delibere assunte dagli organi di governo delle università. Dal canto suo il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca non può imporre la pubblicità degli atti; tale compito, semmai, può essere inserito all'interno del regolamento di ateneo.
  L'università per stranieri di Perugia, già prevede da tempo all'articolo 45 del proprio Regolamento (emanato con delibera rettorale n. 191 del 7 settembre 2012) che «Fermo restando il principio generale della non pubblicità dei lavori dell'organo collegiale, sono comunque pubblici: gli atti scritti relativi agli avvisi di convocazione ed alle eventuali comunicazioni scritte; gli atti deliberativi adottati dal Collegio. Ciascun atto deliberativo deve essere trasmesso a cura della segreteria amministrativa dell'organo alla struttura organizzativa dell'Ateneo competente a dare attuazione alla decisione. I membri del Collegio possono chiedere di conoscere i modi e i tempi di attuazione delle deliberazioni adottate».
  Inoltre, sul sito internet del medesimo ateneo (
link: https://www.unistrapg.it/ateneo/amministrazione-trasparente) sono raccolte le informazioni di cui è prevista la pubblicazione secondo lo schema indicato dal succitato decreto e comune a tutte le PA.
  La sezione contiene, in aggiunta, le informazioni sulle misure assunte in attuazione della legge n. 190 del 6 novembre 2012 «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella Pubblica Amministrazione».
  Il decreto legislativo n. 150 del 2009 all'articolo 11, comma 8 ha previsto, ancora, l'obbligo per la pubbliche amministrazioni di diffondere nei propri siti istituzionali le tipologie di informazioni in esso elencate. In adempimento al suddetto onere, esiste sul sito dell'Ateneo un apposito
link a ciò dedicato: https://www.unistrapg.it/ateneo/trasparenza.
  In riferimento, poi, alle notizie di cui si chiede conto nell'interrogazione in esame, apparse su
Il Fatto Quotidiano del 18 marzo 2014, si precisa quanto segue.
  L'università per stranieri di Perugia, in occasione delle celebrazioni per i 150 anni dell'unità d'Italia, in collaborazione con la rappresentanza permanente d'Italia presso l'Unione europea, il Ministero degli affari esteri e il Parlamento europeo, ha organizzato un evento celebrativo per il giorno 9 novembre 2011 dedicato al tema «La lingua italiana quale fattore d'identità e unità nazionale» che si è svolto presso l'emiciclo del Parlamento europeo a Bruxelles, come risulta dalla nota della stessa rappresentanza protocollo N. 0010473 del 28 ottobre 2011.
  L'iniziativa è scaturita da una collaborazione tra diverse istituzioni le quali si sono impegnate nell'organizzazione e nella compartecipazione economica, come risulta dalla suddetta nota della rappresentanza permanente d'Italia presso l'Unione europea.
  Il programma dell'evento ha visto la partecipazione di autorevoli relatori, tra i quali l'artista Roberto Benigni.
  In particolare, l'attore, a titolo gratuito, ha concluso i lavori con una
Lectura Dantis del canto XXVI dell'Inferno.
  L'evento è stato inserito, come si è detto, nell'ambito delle celebrazioni per i 150 anni dell'unità d'Italia: infatti, la Presidenza del Consiglio dei ministri – segretario generale dell'unità di missione per le celebrazioni – ha concesso in uso il logo ufficiale per lo svolgimento della manifestazione, come si evince da nota protocollata al n. 0010476 del 28 ottobre 2011.
  Quindi, l'università per stranieri di Perugia, dovendo assolvere agli impegni presi con altre istituzioni, sia nazionali che comunitarie, ha decretato di partecipare all'evento stanziando un importo fino alla concorrenza massima di euro 17.500,00 come da delibera rettorale n. 301 dell'8 novembre 2011, sottoposto a ratifica del consiglio accademico e del consiglio di amministrazione, poi utilizzati per sostenere le spese di viaggio a Bruxelles dei relatori e della delegazione, mentre gli oneri dei soggiorno sono stati posti a carico degli altri organizzatori.
  L'iniziativa di alto significato culturale, quindi, si è collocata nell'ambito della missione istituzionale che l'università per stranieri di Perugia svolge a livello non solo nazionale ma anche europeo in considerazione del fatto che questo Ateneo, per sua natura, è contrassegnato da una vocazione internazionale di ambasciatore nel mondo del nostro Paese.

Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricercaStefania Giannini.


   VARGIU. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 9 agosto 2013 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 231 del 2 ottobre 2013 ha avviato il processo di trasmissione informatizzata dei dati relativi al rinnovo delle patenti;
   il successivo decreto del 15 novembre 2013 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 289 del 10 dicembre 2013 e la circolare esplicativa della motorizzazione civile del 17 dicembre 2013 diramavano le relative disposizioni procedurali e stabilivano che dal 9 gennaio 2014 fossero disponibili i sistemi informatici necessari alla trasmissione dell'estratto dei contenuti della relazione per l'accertamento dei requisiti di idoneità psico-fisica previsti per il rinnovo di validità della patente di guida;
   il relativo manuale operativo contenente le indicazioni tecniche da osservare da parte delle aziende sanitarie (ad esempio, l'acquisizione di foto e firma) è stato trasmesso in concomitanza con l'entrata in vigore della nuova procedura e solo trenta giorni prima della sua prevista obbligatorietà;
   dall'8 febbraio 2014 non sono più ammesse comunicazioni di rinnovo di validità della patente difformi da quelle previste dai provvedimenti ministeriali varati nel dicembre 2013;
   la perentorietà dell'entrata in vigore di tali procedure ha costretto numerose aziende sanitarie ad individuare velocemente i fabbisogni strumentali e ad acquistare nuove attrezzature elettroniche, al fine di ottemperare ai nuovi vincoli normativi;
   molte aziende sanitarie – già dotate di strumenti informatici per il trattamento dati – hanno chiesto al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti l'attivazione della cooperazione applicativa tra i propri sistemi informatici ed il programma proposto dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, ricevendo tuttavia inizialmente un diniego da parte del CED del Ministero, motivato dal fatto che la procedura realizzata non consente la cooperazione applicativa con altri sistemi informatici;
   dopo che alcune regioni hanno rilevato l'esistenza di un evidente contrasto tra la nuova normativa e gli obblighi previsti dal codice dell'amministrazione digitale, la direzione generale della motorizzazione è stata costretta a prevedere, con la citata circolare del 17 dicembre 2013, la possibilità di operare in modalità di cooperazione tra gli applicativi informatici delle amministrazioni coinvolte, esplicitando le modalità di avvio delle necessarie procedure di integrazione informatica;
   ad oggi, tuttavia, non risulta all'interrogante che la direzione della motorizzazione abbia fornito le credenziali e la documentazione necessarie per l'avvio della cooperazione applicativa, cosa che, se confermato, sarebbe in contrasto con gli obblighi previsti dagli articoli 41 e 68 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, in materia di procedimento e fascicolo informatico e di analisi comparativa delle soluzioni;
   il rispetto di quanto previsto dal codice dell'amministrazione digitale, oltre a rappresentare un obbligo e non una discrezione per qualsiasi amministrazione nazionale o regionale, consente alle amministrazioni sanitarie di operare secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità;
   le nuove modalità imposte dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti per l'acquisizione delle fotografie e della firme e di collegamento al portale web per l'immissione dei dati richiedono una ripetizione di operazioni manuali che inevitabilmente assorbe ulteriori risorse umane (medici o amministrativi) delle aziende sanitarie, già pesantemente limitate dalle indicazioni di spending review, rischiando di generare gravi disservizi e allungamenti delle liste di attesa;
   tale situazione è stata ulteriormente aggravata da frequenti blocchi del sistema informatico ministeriale. In particolare, non essendo prevista la possibilità di trasmissione dei dati con sistemi alternativi, risulterebbe che i pubblici operatori delle commissioni mediche locali (su indicazione di operatore ministeriale), in alcuni casi siano stati costretti ad utilizzare le proprie connessioni telematiche personali, pur di garantire i diritti dei cittadini, in quanto il portale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti non accettava la connessione con la casella pubblica della ASL;
   oltre a queste criticità di tipo organizzativo, la nuova normativa starebbe ingenerando il rischio di pratiche illegittime per ciò che attiene al trattamento dei dati personali, in quanto gli Uffici territoriali della motorizzazione civile hanno fornito, nella maggioranza dei casi, un unico codice d'accesso ed una unica password ad ogni commissione medica locale e un unico codice d'accesso ed una unica password per tutti i medici monocratici appartenenti alla stessa azienda sanitaria;
   le credenziali di accesso e lo stesso pin sono pertanto forzatamente condivisi da tutti gli operatori appartenenti alla medesima struttura, mentre il pin dovrebbe invece essere un personal identification number;
   appare evidente che un unico identificativo, password e pin, condiviso da più operatori amplifica la possibilità di autenticazioni non autorizzate, anche da parte di utenze estranee alle ASL, con alto rischio di falsificazioni nel rinnovo delle patenti di guida e costituisce comunque una pratica non conforme a quanto previsto dal codice in materia di protezione dei dati personali (articoli da 33 a 36 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196);
   gli operatori delle aziende sanitarie stanno faticosamente cercando di ovviare alle pesanti difficoltà operative e alle illegittimità venutesi a creare a seguito della nuova normativa sopra richiamata, nonché di adoperarsi per prevenire i notevoli disagi per l'utenza –:
   se non ritenga opportuno, al fine di evitare ulteriori disagi ai cittadini, assumere iniziative immediatamente per disporre la sospensione ed il successivo differimento del termine dell'8 febbraio 2014, avviando contemporaneamente un tavolo di lavoro con le regioni che:
    a) permetta di definire le modalità operative che consentano il pieno rispetto delle norme sul trattamento dei dati personali;
    b) garantisca la possibilità degli scambi informatici previsti dal codice dell'amministrazione digitale;
    c) dia tempo alle amministrazioni sanitarie di raggiungere la necessaria operatività organizzativa e strutturale. (4-03798)

  Risposta. — Con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 9 agosto 2013, recante «Disciplina dei contenuti e delle procedure della comunicazione del rinnovo di validità della patente», emanato ai sensi dell'articolo 21, comma 2, della legge n. 120 del 2010, è stata dettata una disciplina di primo livello alle disposizioni di cui all'articolo 126, comma 8, del codice della strada.
  Con successivo decreto del capo del dipartimento per i trasporti, la navigazione ed i sistemi informativi e statistici del 15 novembre 2013, «Disposizioni attuative in materia di nuove procedure di comunicazione del rinnovo di validità della patente di guida», sono state individuate le procedure necessarie affinché i medici autorizzati, le strutture mediche competenti e le commissioni mediche locali, in sede di rinnovo di validità di una patente di guida, procedano alla trasmissione telematica della comunicazione dei contenuti del certificato medico, della foto e della firma del titolare della patente stessa, ai sensi degli articoli 1 e 2 del sopra citato decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 9 agosto 2013, nonché alla stampa e consegna della ricevuta dell'avvenuta conferma di validità della patente di guida.
  Su entrambi i provvedimenti normativi è stato acquisito il parere favorevole del Ministero della salute.
  Nel merito delle problematiche segnalate dall'interrogante, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Sulla questione relativa ai tempi di applicazione della nuova normativa e della successiva distribuzione del manuale operativo si evidenzia che, a partire dall'agosto del 2013, le strutture sanitarie interessate, nonché i medici accertatori, sono stati posti nelle condizioni di avere piena conoscenza delle nuove procedure in materia di rinnovi di validità delle patenti di guida, poi attuate a febbraio del corrente anno. Si fa presente, inoltre, che nel periodo che ha preceduto l'entrata a regime del nuovo sistema di rinnovo di validità della patente, sono state emanate tre circolari esplicative e precisamente: n. 25556 del 16 ottobre 2013; n. 29042 del 27 novembre 2013; n. 30855 del 17 dicembre 2013, così da fornire ogni utile supporto ai medici certificatori.
  Per quanto riguarda poi la distribuzione del manuale operativo contenente indicazioni tecniche per gli operatori sanitari, si segnala che questa è avvenuta nei trenta giorni precedenti l'entrata a regime della nuova procedura, tempo che ragionevolmente può essere stimato sufficiente sia alla luce di quanto sopra esposto che in considerazione del fatto che si tratta di procedure web di facile applicazione.
  In ordine poi alla questione sollevata dall'interrogante concernente la cooperazione applicativa, la direzione generale per la motorizzazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha attivato, sin dal 20 febbraio 2014, la porta di dominio:
https://ministeroinfrastrutturetrasportimotorizzazione.spcoop.gov.it/ openspcoop/PA, con la quale fornisce anche servizi diversi da quelli in questione.
  Alla data odierna non risultano pervenute richieste di utilizzo di cooperazione applicativa ma soltanto richieste da parte di tre
software house, le quali stanno realizzando il software di integrazione con i programmi gestionali delle strutture sanitarie, che permette di utilizzare i servizi offerti (web services) senza l'utilizzo della suddetta modalità. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che l'utilizzo della porta di dominio richiede sia un know-how tecnico che di risorse in aggiunta allo sviluppo e rilascio in produzione dei web services classici e dell'interfaccia grafica che permette agli utenti di utilizzare le loro funzionalità.
  Tali modalità tecniche di integrazione, perfettamente rispondenti a quanto previsto dal codice dell'amministrazione digitale, sono state rese disponibili alle suddette
software house e a chi ne avesse fatto richiesta dal 31 gennaio 2014.
  In particolare, le credenziali di accesso vengono assegnate al medico o alla struttura in base a quanto richiesto dalla stessa. Per agevolare l'attività delle strutture sanitarie, dal 13 marzo 2014 sono state rilasciate alle strutture stesse ulteriori credenziali di accesso che consentono di svolgere il lavoro «amministrativo», propedeutico al rinnovo gestito esclusivamente dal medico e consistente nell'inserimento preventivo dei dati relativi alla patente da rinnovare, così da permettere al sanitario di avere già tutte le informazioni necessarie al rinnovo della patente di guida al momento dell'effettuazione della visita medica.
  Per quanto riguarda la funzionalità del sistema – fermo restando che nella fase iniziale si sono verificati alcuni mal funzionamenti peraltro circoscritti nel tempo – allo stato attuale il numero di rinnovi di validità delle patenti di guida emessi attraverso la certificazione medica via web è di circa 110.000 a settimana, cioè sostanzialmente pari a quello previgente con il sistema di trasmissione cartaceo dei certificati.
  È agevole pertanto rilevare che, a poco più di due mesi dall'entrata a regime del nuovo sistema, le procedure informatiche sono pienamente funzionanti e operative con indubbi vantaggi per l'utenza e per la pubblica amministrazione in termini di celerità, sicurezza e risparmio di risorse. A conferma di ciò si fa presente che le strutture sanitarie oggi operative sono 3881 a fronte di circa 30 strutture ancora in fase di attivazione.
  In ordine alla questione relativa alle credenziali di accesso al sistema informatico del CED della motorizzazione, si fa presente che l'attribuzione di un codice di accesso ed una
password unica per ogni commissione medica locale e per ogni azienda sanitaria trova giustificazione nella circostanza che, in tali ipotesi, il medico opera per conto ed in nome della struttura nella quale è incardinato (strutture sanitarie accreditate), essendo autorizzato a manifestare verso terzi la volontà dell'ente attraverso il potere certificatorio che gli è stato attribuito in virtù delle funzioni svolte al servizio dell'ente medesimo. Naturalmente il medico che opera in qualità di libero professionista potrà richiedere le credenziali d'accesso individuali e ciò anche nel caso in cui operi in intramoenia.
  Inoltre, la tutela del principio di assunzione di responsabilità è garantito dalla sottoscrizione apposta dal medico alla documentazione attestante l'avvenuto rinnovo di validità della patente di guida. Peraltro, si evidenzia che risulta sempre tracciato, attraverso la sottoscrizione apposta sulla ricevuta rilasciata dal sanitario certificatore all'utente, il procedimento di rinnovo della patente di guida. Al riguardo, si evidenzia che in precedenza la validità della certificazione emessa era garantita attraverso la sola sottoscrizione del medico, mentre la nuova procedura fornisce ulteriori e maggiori elementi di sicurezza attraverso le procedure informatiche di accreditamento.
  In considerazione dell'andamento positivo delle nuove procedure, non si ritiene dunque necessario prorogare il termine previsto dal citato decreto del 15 novembre 2013.
  Peraltro, l'eventuale proroga determinerebbe un notevole aggravio di costi dovendo l'amministrazione farsi carico della produzione e spedizione dei tagliandi di rinnovo per i quali dovrebbe essere prorogato il relativo contratto. Inoltre, la previsione di accordare una proroga comprometterebbe il venir meno degli impegni assunti formalmente in sede comunitaria in applicazione della direttiva 2006/126/CE, e successive modificazioni, che, nel disciplinare l'intero settore delle patenti di guida, fa espresso divieto di applicare sulla patente i tagliandi di rinnovo di validità, così come qualsiasi altro tipo di tagliando.
  Per quanto riguarda l'eventuale istituzione di un tavolo tecnico per la risoluzione di errori informatici o procedurali, si fa presente che i competenti uffici tecnici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti già da tempo interagiscono con gli operatori sanitari attraverso un
contact center dedicato, fornendo supporto per la risoluzione di eventuali problematiche insorte in fase di applicazione delle nuove procedure informatiche.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.