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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 26 maggio 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il complesso fenomeno dello spreco alimentare, la cui definizione univoca attualmente non è disponibile, rappresenta uno dei principali paradossi globali dell'epoca recente e, contemporaneamente, una sfida sempre più importante nell'attuale contesto di crisi economica globale e di nuovi problemi di povertà alimentare anche nei Paesi avanzati;
    numerose analisi effettuate da organizzazioni internazionali, come ad esempio la Fao, e specifici studi sull'articolata problematica hanno constatato come, nonostante la popolazione a livello mondiale sia pari a 7 miliardi, il cibo prodotto risulta essere per 12 miliardi di persone, ma ciononostante 842 milioni di individui soffrono la fame, ovvero una persona su otto;
    le molteplici cause, che derivano dalle perdite che si determinano sia a monte della filiera agroalimentare, principalmente in fase di semina, coltivazione, raccolta, trattamento, conservazione e prima trasformazione agricola, che durante la trasformazione industriale, distribuzione e consumo finale, a cui si aggiungono molto spesso le date di scadenza troppo ravvicinate indicate sulle etichette dei prodotti agroalimentari, inducono i Governi mondiali e le istituzioni internazionali ad un ripensamento delle politiche di sviluppo adottate e dei modelli di riorganizzazione su scala planetaria, per favorire nuove forme di solidarietà, di crescita economica e di redistribuzione delle risorse;
    una differenziazione delle dinamiche che caratterizzano lo spreco alimentare tra i Paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo risulta necessaria al fine di comprendere con maggiore efficacia il medesimo fenomeno socioeconomico su scala mondiale; se, infatti, l'arretratezza delle pratiche e delle tecniche agricole, che caratterizza la prima parte della filiera agroalimentare, o la mancanza di adeguate infrastrutture per il trasporto e l'immagazzinamento, rappresentano le principali cause di perdite e sprechi alimentari nei Paesi in via di sviluppo, in quelli industrializzati la quota maggiore degli sprechi avviene nelle fasi finali della filiera agroalimentare, ovvero il consumo domestico e la ristorazione in particolare;
    uno studio recente della Commissione europea ha rilevato che, nonostante circa 79 milioni di cittadini comunitari vivano al di sotto della soglia di povertà e 16 milioni di essi dipendano dagli aiuti alimentari, la quantità di cibo che viene sperperata annualmente ammonta a circa 89 milioni di tonnellate, pari a 180 chilogrammi pro capite;
    i numeri dello spreco alimentare nel nostro Paese, secondo i dati forniti dall'Osservatorio sullo spreco alimentare, Waste Watchers, e dall'Università di Bologna, sul rapporto 2013, resi noti nel mese di ottobre 2013, risultano di estrema gravità, in considerazione che ogni famiglia italiana spreca in media circa 200 grammi di cibo alla settimana, pari a circa 18,5 miliardi di euro (dati del 2011), ovvero l'1,19 per cento del prodotto interno lordo; il medesimo organismo di ricerca ha inoltre, rilevato ed evidenziato come sia lo spreco domestico ad incidere in modo considerevole sulla quota annuale del cibo sprecato, aggiungendo inoltre che, ove si praticassero differenti metodi, il risparmio complessivo possibile ammonterebbe a circa 8,7 miliardi di euro;
    secondo i monitoraggi effettuati dalla società di ricerca Last Minute Market si evidenzia, inoltre, che in un anno si potrebbero recuperare in Italia 1,2 milioni di tonnellate di derrate che rimangono sui campi, oltre 2 milioni di tonnellate di cibo dall'industria agro-alimentare e più di 300 mila tonnellate dalla distribuzione;
    i suindicati dati relativi a sprechi e perdite alimentari hanno determinato, nel corso degli ultimi anni, ed in particolare nell'attuale fase di profonda crisi economica tutt'altro che superata per il nostro Paese, evidenti impatti negativi ambientali ed economici e la loro esistenza solleva questioni che suscitano importanti interrogativi, dal punto di vista sociale, mostrando fra l'altro la scarsa consapevolezza dell'entità degli sprechi che ognuno produce, sia a livello nazionale che internazionale, se si valuta che dal rapporto della Fao emerge che un terzo della produzione agroalimentare mondiale si perda proprio negli sprechi;
    nell'ambito delle strategie volte a contrastare il grave fenomeno, la legislazione italiana, attraverso l'articolo 58 della legge n. 153 del 2012, ha previsto l'istituzione del fondo per il finanziamento dei programmi nazionali di distribuzione di derrate alimentari alle persone indigenti nel territorio della Repubblica italiana, gestito dall'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea) stabilendo, inoltre, che gli aiuti alimentari siano distribuiti agli indigenti mediante organizzazioni caritatevoli, conformemente alle modalità previste dal regolamento (CE) n. 1234/2007 del Consiglio del 22 ottobre 2007;
    il modello di distribuzione, individuato dal Governo, è quello contenuto nel programma di aiuti agli indigenti finanziato dall'Unione europea, in base al regolamento (UE) n. 807/2010 (recante modalità d'esecuzione delle forniture di derrate alimentari provenienti dalle scorte d'intervento a favore degli indigenti nell'Unione europea);
    il predetto fondo, rifinanziato con 10 milioni di euro individuati dall'articolo 1, comma 224, della legge di stabilità per l'anno 2014 (legge n. 147 del 2013), si è rivelato complessivamente insufficiente nel gestire le attuali gravissime esigenze provenienti da una fascia di popolazione rilevante, che si trova in evidenti difficoltà;
    nell'ambito della Politica agricola comune dell'Unione europea, il Programma europeo di aiuto alimentare agli indigenti è risultato uno strumento di sostegno pubblico rilevante ed apprezzato, nonostante le dimensioni complessive e le pratiche utilizzate evidenzino come la risoluzione del fenomeno permanga in maniera estremamente grave a livello sociale ed economico;
    occorre tuttavia rilevare che l'operatività del sopraddetto programma, che è stato gestito dall'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea), unitamente alla rete nazionale di enti e associazioni caritative presenti sul territorio nazionale, a partire dal 2014, sia stata tuttavia sospesa, in quanto per il medesimo strumento d'intervento non sono state più attribuite le necessarie risorse a causa della decisione di alcuni Stati membri dell'Unione europea di finanziare, attraverso la nuova Politica agricola comune, l'acquisto di generi alimentari per scopi sociali;
    a livello europeo, l'indicato programma è stato sostituito da un nuovo Fondo di aiuti europei agli indigenti (Fead), che tuttavia non sarà più inserito all'interno della Politica agricola comune, ma nel Fondo sociale europeo;
    la sfera d'intervento della nuova misura prevede maggiori margini decisionali per gli Stati membri, i quali ciononostante potrebbero decidere di non proseguire l'attuale programma con le medesime modalità, determinando possibili effetti negativi e penalizzanti, connessi al ridimensionamento o addirittura all'interruzione nella distribuzione di alimenti agli indigenti, per gli organismi istituzionali nazionali e locali ed un conseguente rischio d'incremento di tensioni sociali;
    le iniziative legislative avviate a livello nazionale e comunitario, volte a rivedere le norme relative alle scadenze riportate sulle etichette dei prodotti alimentari, per ridurre drasticamente lo spreco di cibo entro il 2025, nonché a promuovere nuove campagne di sensibilizzazione, per informare il pubblico su come evitare lo spreco alimentare, in considerazione dell'esiguità dei metodi utilizzati e della superficiale distinzione tra eccedenza e spreco e tra spreco e scarti, sebbene importanti e condivisibili, appaiono tuttavia non sufficienti ad invertire una tendenza del fenomeno, la cui impostazione errata, tuttora esistente, necessita di adeguate politiche e strategie di contrasto, attraverso una revisione di modelli e metodi utilizzati, per acquisire idonee informazioni anche nei confronti dei Paesi progrediti,

impegna il Governo:

   ad assumere in tempi rapidi iniziative di natura finanziaria, volte ad integrare il Fondo per la distribuzione di derrate alimentari alle persone indigenti, istituito presso l'Agenzia per le erogazioni in agricoltura, di cui all'articolo 58 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, e rifinanziato dal comma 224 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n.147 legge di stabilità per il 2014;
   ad intervenire in sede comunitaria al fine di modificare il regolamento (UE) n. 223/2014, relativo al Fondo di aiuti europei agli indigenti, affinché le risorse previste rientrino all'interno della Politica agricola comune, consentendo il proseguimento dell'erogazione da parte dell'Agenzia per le erogazioni in agricoltura in concorso con le organizzazioni caritative;
   a prevedere adeguate campagne educative, anche per il prossimo anno scolastico 2014-2015 (corrispondente al V anno di attuazione del programma «Frutta nelle scuole»), ad integrazione delle misure di accompagnamento previste, nonché campagne informative in occasione dell'esposizione universale Expo 2015, volte ad offrire suggerimenti su come ridurre gli sprechi alimentari;
   a sviluppare accordi di filiera tra agricoltori, produttori e distributori, anche attraverso l'istituzione di un tavolo di partenariato, per una programmazione più corretta dell'offerta alimentare;
   a prevedere programmi volti a definire politiche di investimento prima nel campo della riduzione delle perdite e degli sprechi alimentari e successivamente in quello del recupero;
   ad assumere iniziative per prevedere un sistema di premialità fiscale per le filiere che si occupano del recupero, della raccolta e della distribuzione, anche con sistemi di logistica dedicati, delle produzioni agroalimentari e della riduzione degli sprechi;
   a promuovere in sede europea un piano di armonizzazione fra gli Stati membri, finalizzato alla raccolta di dati statistici sul fenomeno degli sprechi alimentari, nonché a stabilire un significato univoco per i termini «food loss», ovvero le perdite che si determinano a monte della filiera agroalimentare, principalmente in fase di semina, coltivazione e raccolta, e «food waste», ovvero gli sprechi che avvengono durante la trasformazione industriale, la distribuzione e il consumo finale;
   per evitare gli sprechi, ad avviare iniziative di recupero degli alimenti non ancora entrati nel ciclo dei rifiuti, attraverso la distribuzione ad individui svantaggiati, l'impiego come mangime o, come ultima alternativa, la produzione di bioenergia.
(1-00472) «Faenzi, Catanoso, Fabrizio Di Stefano, Riccardo Gallo, Russo, Palese, Mottola».


   La Camera,
   premesso che:
    la moria delle api che si è verificata in questi ultimi anni in tutto il mondo ha raggiunto dimensioni tali da poter essere considerata un fattore che mette a repentaglio l'intera agricoltura mondiale. È stato stimato che circa il 35 per cento del cibo che l'uomo consuma dipende direttamente, attraverso l'impollinazione di frutta e colture vegetali in generale, o indirettamente, tramite l'impollinazione di campi coltivati a foraggio per il bestiame, dall'attività svolta dalle api. Sono questi i veri problemi dell'apicoltura alla quale oggi le istituzioni non sanno offrire risposte adeguate per tutelare un settore che in Italia conta 1,2 milioni di alveari per un giro d'affari di 60 milioni di euro. In Italia gli apicoltori sono 50.000, di cui 7.500 «professionisti» che totalizzano un fatturato di circa 25 milioni di euro. A ciò si aggiunge il fatto che le api concorrono per l'80 per cento al lavoro di impollinazione e l'alimentazione umana dipende per un terzo da coltivazioni impollinate attraverso il lavoro degli insetti. In più, il valore aggiunto totale per il servizio di impollinazione delle colture è stato stimato in 14,2 miliardi di euro. In tutto il mondo, invece, il valore economico totale dell'impollinazione svolta dalle api è stato pari a 153 miliardi di euro (Moritz et al., 2010);
    da un recente studio dell'Efsa, pubblicato nel marzo 2014, le api, soprattutto quelle allevate, svolgono un ruolo importante nell'impollinazione di una vasta gamma di colture e piante selvatiche. La produzione di circa l'80 per cento delle 264 specie coltivate nell'Unione europea dipende direttamente dagli insetti impollinatori, per la maggior parte api, e, secondo le stime, il valore monetario annuo globale dell'impollinazione ammonta a miliardi di dollari. Oltre a contribuire all'impollinazione, le api ci forniscono anche alimenti e servizi alimentari: miele, polline, larve, cera per la lavorazione di alimenti, propoli nella tecnologia alimentare e pappa reale come integratore alimentare e ingrediente di alimenti;
    dunque, un fatto è certo: l'importanza delle api allevate è oggigiorno sempre maggiore. Anche dagli Stati Uniti arrivano dati allarmanti sulla mortalità delle api. Qui le morie sono state attribuite a una sindrome sconosciuta, chiamata colony collapse disorder. Recenti studi suggeriscono che il colony collapse disorder sia causato dall'interazione fra patogeni e altri fattori di stress, fra i quali l'acaro parassita Varroa destructor (Anderson & Trueman), un pericoloso killer che succhia il sangue alle api e che sembra svolgere il ruolo più importante. Nel Vecchio Continente negli ultimi anni si sono verificate gravi perdite di alveari. Tuttavia, il fenomeno è stato poco documentato e ha perciò ricevuto un'attenzione inferiore rispetto a quanto verificatosi negli Stati Uniti (Potts et al., 2010). I trattamenti, ad oggi riconosciuti, in Italia, per combattere la Varroa, sono l’Api-Bioxal (a base di acido ossalico), Apiguard, ApilifeVar, ma sono ancora troppo pochi per far fronte all'emergenza. Non è certo un caso che gli apicoltori rivolgano grida d'aiuto al Ministero della salute per avere a disposizione armi autorizzate e più efficaci per far fronte all'emergenza. Si ricorda che il miele è un alimento e deve avere le stesse garanzie produttive che hanno a disposizione allevatori e agricoltori, perché le api sono un allevamento a tutti gli effetti. Ma a far morire le api è anche l'uso scriteriato dell'arsenale chimico tossico che viene impiegato in agricoltura. Praticamente si spara sulle colture con il cannone, quando basterebbe un modesto tiro di cerbottana. Quando entrano in scena i pesticidi, come i neonicotinoidi e altri che vengono utilizzati per contrastare i parassiti che colpiscono le piante, si parla di avvelenamento. Il fenomeno riguarda tutta la penisola. Le morie per avvelenamento, in genere, sono facilmente distinguibili in seguito al ritrovamento di fronte all'alveare di migliaia di api morte, sulle quali è normalmente possibile, attraverso test di laboratorio, rinvenire i residui dei prodotti responsabili dell'intossicazione acuta. Per ovviare a tale problema si possono adottare azioni appropriate, come, ad esempio, la sospensione dell'utilizzo degli agrofarmaci incriminati o la limitazione del loro uso (Moritz et al., 2010). La correlazione fra l'uso di neonicotinoidi e moria d'api trova letteratura non solo in ambito scientifico, ma anche nei tribunali. Nel 2011 il procuratore Raffaele Guariniello, in forza alla procura della Repubblica di Torino, ha condotto un'inchiesta sulle cause della strage delle api e l'ha chiusa inviando agli amministratori delegati di Bayer CropScience di Milano e di Syngenta Crop Protection Italia, l'avviso di conclusioni delle indagini per il reato di diffusione di malattie degli animali pericolose per il patrimonio zootecnico e per l'economia nazionale. Un reato, quello contestato da Guariniello ai due manager delle case farmaceutiche principali produttrici dei neonicotinoidi responsabili della moria delle api, per il quale è prevista una pena che va da uno a cinque anni di reclusione. Il procuratore Guariniello, grazie ad una sperimentazione sul campo, ha potuto evidenziare il rapporto di causa ed effetto fra la moria delle api e le sostanze incriminate. Le api, stando alle indagini del magistrato, non si intossicano all'atto dell'impollinazione, ma si impolverano con dosi letali del prodotto, volando vicino ai campi di mais durante la semina;
    nell'aprile 2014 l'associazione Greenpeace ha redatto e diffuso il dossier «Api, il bottino avvelenato», dal quale emerge come in 12 Paesi europei vi sia presenza di fungicidi intorno ai vigneti italiani. Oltre due terzi del polline raccolto dalle api nei campi europei, e portato negli alveari, è contaminato da un cocktail di pesticidi tossici. Secondo l'associazione ambientalista, le sostanze chimiche rilevate nei pollini comprendono insetticidi, acaricidi, fungicidi ed erbicidi, prodotti da aziende agrochimiche come Bayer, Syngenta e Basf. Per lo studio sono stati prelevati simultaneamente oltre 100 campioni provenienti da 12 Paesi, che hanno portato a individuare 53 diverse sostanze chimiche. Il rapporto evidenzia alte concentrazioni e un'ampia gamma di fungicidi presenti nel polline raccolto vicino ai vigneti in Italia; l'uso diffuso di insetticidi killer delle api in quello dei campi polacchi; la presenza di dde – un prodotto di degradazione del ddt – in Spagna, il ritrovamento frequente del neonicotinoide thiacloprid in molti campioni raccolti in Germania. «Le api, e non solo loro, sono potenzialmente esposte a veleni micidiali. Nel 2013, una drastica moria di insetti ha fatto schizzare i prezzi delle mandorle prodotte in California, provocando, sulla scia dell'effetto domino, l'aumento del costo anche di tutti gli altri prodotti legati alla coltura. Le perdite, in miliardi di euro o dollari, causate dalla scomparsa delle api non sono state determinate ancora nel loro complesso, ma ogni comparto agricolo esistente sulla faccia del pianeta sembra aver fatto i suoi conti: negli Stati Uniti si parla di 8-12 miliardi di dollari di danno, in Europa, nel 2008, l'Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale (Ispra) aveva parlato di 250 milioni di euro andati in fumo con i 200 mila alveari perduti l'anno precedente. Mantenere in vita le api, in sostanza, significa mantenere in vita l'agricoltura. Farle morire equivale a piegare un intero sistema economico. Vi è, inoltre, da evidenziare come nel rapporto nazionale “Pestidici nelle acque” del 2013, l'Ispra aveva già diffuso i dati secondo i quali metà delle acque italiane avevano subito una forte contaminazione, dimostrando come l'uso di tali sostanze fosse dannoso per la salute dell'uomo. Dal rapporto dell'Ispra, realizzato sulla base delle informazioni fornite dalle regioni e dalle agenzie regionali e provinciali per la protezione dell'ambiente, emerge che per la maggior parte si tratta di “residui di prodotti fitosanitari usati in agricoltura – solo in questo campo si utilizzano circa 350 sostanze diverse per un quantitativo superiore a 140.000 tonnellate impiegati in vari campi di attività”. L'Ispra avverte che, a causa dell'assenza di dati sperimentali sugli effetti combinati delle miscele e di adeguate metodologie di valutazione, esiste la possibilità che il rischio derivante dall'esposizione ai pesticidi sia attualmente sottostimato. Le sostanze concepite per combattere organismi nocivi, infatti, sono potenzialmente pericolose anche per l'uomo»;
    dal 1o dicembre 2013, tre insetticidi neonicotinoidi, il thiamethoxam (prodotto da Syngenta), l’imidacloprid e il clothianidin (prodotti da Bayer), sono parzialmente vietati per due anni nell'Unione europea per i comprovati effetti dannosi sulle api. È assolutamente necessario ricordare come l'Italia, mentre a marzo 2013 si era espressa favorevolmente per il bando dei neonicotinoidi, ha fatto una clamorosa retromarcia, votando contrariamente al bando nel maggio 2013 e non consentendo di raggiungere la maggioranza qualificata dei due terzi e il bando permanente di queste pericolosissime sostanze. Un voto, quello italiano, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, strumentalmente motivato dal fatto che il divieto avrebbe ricompreso anche gli alberi da frutto in prefioritura, per i quali sono invece ammessi altri prodotti di sintesi chimica come trattamenti protettivi;
    nel gennaio 2013, l'Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha pubblicato tre pareri sui rischi derivanti dall'esposizione ai tre neonicotinoidi. L'Efsa ha esaminato effetti letali e sub-letali sulle api mellifere, concludendo che questi insetticidi determinano effetti acuti sulle api. In particolare, ha identificato effetti acuti e cronici sulla sopravvivenza e sullo sviluppo delle colonie di api, effetti sulle larve dall'esposizione tramite le polveri, dal consumo di residui di pesticidi nel polline e nel nettare contaminato e tramite l'esposizione al fluido di guttazione (nel caso del mais). Sono stati verificati, inoltre, effetti sul comportamento delle api e rischi associati a dosi sub-letali. A seguito delle conclusioni dell'Efsa, il 24 maggio 2013 la Commissione europea, appoggiata dalla maggioranza dei Paesi membri, ha decretato il bando parziale dei tre pesticidi neonicotinoidi. Con l'implementazione del regolamento europeo n. 485/2013 si vieta l'uso di clothianidin, thiamethoxam e imidacloprid sulle colture che attraggono le api. Il regolamento ne vieta l'uso per la concia dei semi, per il trattamento del suolo o l'applicazione fogliare per le seguenti colture: mais, colza, soia, orzo, miglio, avena, riso, segale, sorgo e frumento. Dal 1o dicembre 2013 è vietata anche la vendita di semi trattati con i tre neonicotinoidi. Tuttavia, il regolamento comprende anche numerose eccezioni. Ad esempio, il bando non si applica nei sistemi chiusi come le serre, né per le colture considerate non attrattive per le api, quali i cereali invernali. Il regolamento europeo stabilisce che, nei due anni dall'entrata in vigore, la Commissione europea dovrà effettuare l'analisi delle nuove informazioni scientifiche ricevute sui pesticidi in questione. La Commissione europea deciderà poi se è più appropriato rimuovere il bando, prolungarlo temporaneamente o renderlo permanente;
    vale comunque la pena ricordare in questa sede che il 5 dicembre 2013 il Ministero della salute ha emesso con proprio decreto l'autorizzazione del prodotto fitosanitario Sonido contenente la sostanza attiva thiacloprid della Bayer CropScience secondo la procedura di «riconoscimento reciproco» con altro Stato membro (Francia). Trattasi di un neonicotinoide di tossicità di poco inferiore agli altri, ma potenzialmente nocivo;
    va, tuttavia, segnalato come il Collegio nazionale degli agrotecnici e degli agrotecnici laureati, nell'atto di impugnazione al tribunale amministrativo regionale del Lazio del Piano nazionale sui fitofarmaci, abbia evidenziato come oltre l'80 per cento delle aziende agricole sia priva dell'autorizzazione all'acquisto dei fitofarmaci, che evidentemente vengono reperiti attraverso canali non regolari e non tracciati, circostanza che rischia di vanificare qualunque disposizione prescrittiva sull'uso dei neonicotinoidi, posto che si applicherebbe solo sul 20 per cento delle aziende con regolare autorizzazione e per il restante 80 per cento delle aziende l'applicazione delle norme resterebbe affidata al buon senso delle stesse;
    con il regolamento (CE) n. 889/2008 sono state introdotte importanti novità in merito alla conduzione dell'apicoltura con il metodo biologico: circa l'origine degli animali, per le api si fa esplicito invito a privilegiare le sottospecie locali di apis mellifera. Per il rinnovo degli apiari, è ammesso il ricorso a regine e sciami non biologici nella misura massima del 10 per cento. L'ubicazione degli apiari, nei periodi di produzione, deve garantire che nel raggio di 3 chilometri vi siano fonti nettarifere e pollinifere biologiche o spontanee. Le pratiche di integrazione alimentare possono essere autorizzate solo impiegando miele, zucchero o sciroppo di zucchero biologici. Le colonie malate o infestate possono essere sottoposte a trattamenti con i medicinali veterinari autorizzati ai sensi delle vigenti normative nazionali e comunitarie. Gli alveari posti sotto controllo chimico debbono essere isolati in apposito apiario e la cera completamente sostituita. È ammesso l'impiego di tutti gli acidi organici (formico, lattico, acetico e ossalico) e dei cristalli evaporanti (mentolo, timolo, eucaliptolo, canfora). Sono ammessi apiari biologici e non biologici nell'ambito della stessa azienda. È consentito l'uso di cera non biologica, se si dimostra che essa è estranea alla presenza di residui non ammessi;
    è molto importante segnalare che molto recentemente, il 7 aprile 2014, la Commissione europea ha invitato ad una conferenza a Bruxelles sulla salute delle api (Better bee health conference) 400 esperti del settore apicoltura e benessere animale per discutere dei diversi possibili approcci al problema del declino del settore;
    il Commissario per la salute Borg ha aperto i lavori presentando il progetto dell'Unione europea Epilobee, attività questa senza precedenti, che dall'autunno 2012 ha prodotto il primo inventario ufficiale sulla mortalità delle api (causate da malattia) nell'Unione europea, eseguito in modo volontario dai veterinari di 17 Paesi membri;
    il tasso di mortalità accettabile in Europa è del 10 per cento, ma il dato emerso dallo studio è superato in 2/3 dei Paesi;
    il Commissario Borg ha anche lanciato l'allarme sullo stato di salute di tutti gli impollinatori che non sono sotto stretta sorveglianza;
    dall'ultimo rapporto dell'Agenzia europea dell'ambiente si evince che, per esempio, negli ultimi 20 anni il numero delle farfalle da prateria in Europa si è ridotto del 50 per cento (Piergiorgio Liberati, Apitalia, novembre 2013);
    in considerazione del fatto che solo un dialogo regolare e buone prassi potranno fornire un aiuto concreto agli apicoltori (salute non solo delle api, ma anche dell'apicoltore), nel Parlamento europeo il prossimo mandato contemplerà un gruppo dedicato all'apicoltura. Le nuove informazioni scientifiche hanno il potenziale di produrre nuove leggi e nuove prassi con un limite di quanto è facoltà della Commissione europea, ma devono stimolare importanti cambiamenti a livello locale;
    il valore dell'impollinazione in Europa si aggira sui 20 miliardi di euro e da qui nasce l'auspicio di aumentare i finanziamenti agli apicoltori, riconoscendo all'apicoltura il ruolo non solo di attività lucrativa, ma ecosociale;
    le api si devono anche considerare «animali sentinella» o «campanelli d'allarme» per la salute dell'uomo. Si rilevano ancora picchi di mortalità in certe regioni (30 per cento) dovuti a tossicità cronica da contaminazione delle cere o esposizione a prodotti concianti che producono una contaminazione costante e grave non solo per le api. L'agricoltura intensiva riduce la quantità di fiori in molte aree, favorendo il nomadismo e l'aumento di fattori stressanti per le api cui consegue un aumento della mortalità e dunque delle importazioni (anche di nuovi virus e parassiti);
    anche in considerazione del fatto che il 35 per cento dell'alimentazione umana dipende dalle api, vanno seriamente presi in considerazione i tre più importanti fattori di rischio per le api:
     a) pesticidi
     b) varroa;
     c) dieta;
    nonché, a seguire:
     d) la conduzione delle colonie;
     e) malattie;
     f) predatori;
     g) cambiamenti climatici;
     h) organismi geneticamente modificati;
    in generale ci si è anche chiesto in quale misura sia possibile l'uso di pesticidi in presenza di api, considerando che il sistema normativo dovrebbe essere più rigoroso per consentirne un uso sostenibile, vigilando sui requisiti tecnici e sui macchinari a garanzia di un livello elevato di salute animale e ambientale;
    andrebbe attentamente valutata la concessione di autorizzazione di agrofarmaci, in quanto se anche si dimostrano effetti trascurabili su api, si dovrebbero approfondire le analisi degli effetti delle sostanze su larve e comportamento degli adulti, valutando anche i rischi di residui su polline, nettare, acqua e nuvola di polvere;
    l'Associazione per l'agricoltura biodinamica promuove da anni un approccio di maggiore attenzione per le attitudini delle famiglie di api e i protocolli dell'allevamento biologico e biodinamico (Demeter), che sono particolarmente rispettosi, imponendo modifiche alle tecniche apistiche oggi in uso e un'alimentazione consona alla specie;
    non va dimenticato, infine, che sostanze come chlorpyriphos, cipermetrina e deltametrina sono riconosciute come dannosissime per le api, ma non sono incluse nel bando provvisorio attualmente in vigore. Inoltre, imidacloprid, thiamethoxam e clothianidin hanno una vasta gamma di applicazioni su differenti colture e solo un limitato numero di queste viene contemplato dal bando;
    un recente studio commissionato da Greenpeace Olanda e condotto dal centro di ricerca Centrum voor Landbouw en Milieu ha stimato che solo il 15 per cento dell'utilizzo complessivo di questi pericolosi pesticidi è stato vietato dal bando. La valutazione dell'Efsa è focalizzata sulle api mellifere, mentre non considera gli studi scientifici che evidenziano l'impatto dei tre pesticidi su altri importanti insetti impollinatori e invertebrati. Per esempio, i bombi che si nutrono del polline delle piante di patate, una coltura comunemente trattata con questi pesticidi,

impegna il Governo:

   a sostenere in sede europea il bando permanente e totale dei tre pesticidi neonicotinoidi, principale causa della moria delle api (evitando quanto accaduto nel maggio 2013 quando fu impedito il raggiungimento della prevista maggioranza qualificata dei due terzi per il bando permanente), assumendo iniziative per colmare alcune carenze con cui è stato concepito il provvedimento comunitario, in particolare integrando nel divieto anche le serre e le coltivazioni apparentemente non attrattive per le api quali i cereali invernali;
   ad assumere iniziative al fine di allargare l'estensione del bando a tutte le sostanze di sintesi chimica riconosciute dannose e letali per le api e gli insetti impollinatori, risultando insufficienti le restrizioni incluse nell'attuale divieto temporaneo di due anni che si applicano solo su una parte dei pesticidi tossici per le api attualmente in commercio in Europa;
   ad attivarsi per sostenere finanziariamente progetti specifici di sperimentazione e di biomonitoraggio con le api stesse, per trovare soluzioni terapeutiche che riducano l'utilizzo di fitofarmaci e prediligano un riequilibrio delle popolazioni di api andate perse, prendendo in considerazione, altresì, la necessità di finanziare ulteriori studi di ricerca per stabilire le correlazioni fra specifici fitofarmaci, pesticidi e diserbanti e le cause delle morie di api, già generalmente dimostrate da studi internazionali;
   a sostenere progetti di ricerca su apiari di dimensioni modificate, come già avviene sperimentalmente in tutta Europa dove sono state avviate tecniche apistiche tradizionali e alternative che prevalentemente utilizzano alveari con dimensioni diverse e maggiorate (metodo Perone), in cui l'alveare trova la «sua» dimensione di espansione, posto che questo migliora il processo di crescita della famiglia di api e ne rinforza la resistenza alla Varroa e alla tossicità nell'ambiente e ne migliora la genetica;
   ad accedere ai finanziamenti previsti per il settore dell'innovazione e della ricerca in agricoltura, con particolare riferimento all'apicoltura, tenuto conto che con il regolamento (UE) n. 1291/2013 dell'11 dicembre 2013, è stato istituito Horizon 2020, il principale programma dell'Unione europea per il finanziamento della ricerca e dell'innovazione, con oltre 77 miliardi di euro in sette anni, dal 2014 al 2020 (con un incremento di quasi il 33 per cento rispetto al periodo di programmazione finanziaria 2007-2013);
   ad assumere iniziative per modificare il Piano nazionale sui fitofarmaci emanato pochi mesi fa ed il decreto legislativo n. 150 del 2012, nel senso di valorizzare, come richiesto dalla direttiva 2009/128/CE, il ruolo dei tecnici agricoli liberi professionisti e addivenire ad un sistema certificato di vendita ed utilizzo dei fitofarmaci, basato su di una reale consulenza fitoiatrica e non, come accade attualmente, su disposizioni solo formali, incapaci di produrre un qualunque effetto diverso dalla moltiplicazione degli adempimenti burocratici;
   ad impegnarsi con maggior vigore per l'attuazione del regolamento (CE) n. 889/2008 sull'apicoltura biologica e a supportare le istanze dell'Associazione per l'agricoltura biodinamica, da sempre attenta al benessere degli insetti impollinatori;
   ad attivarsi affinché siano promossi, stante l'importanza che ha l'ape per l'ecosistema e per la sussistenza di ogni essere umano, finanziamenti di pascoli nettariferi diffusi con progetti dedicati (nel Piano di sviluppo rurale), come già avviene negli altri Stati membri;
   ad adoperarsi, infine, anche in base a quanto emerso nella Conferenza svoltasi presso la Commissione europea il 7 aprile 2014 a Bruxelles, affinché siano previsti adeguati incentivi istituzionali, anche in sede internazionale, per favorire quanti allevano le api con metodi rispettosi delle loro esigenze vitali.
(1-00473) «Zaccagnini, Pisicchio».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo le stime dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (Fao), delle 100 specie di colture che forniscono il 90 per cento di prodotti alimentari in tutto il mondo, 71 sono impollinate dalle api;
    nonostante la grande moria di alveari verificatasi dal 2008, l'Italia è al quarto posto in Europa con un patrimonio apistico di 1.300.000 alveari, 50.000 apicoltori, per un fatturato complessivo di 60 milioni di euro che arriva a 2,5 miliardi di euro se si considera l'incremento produttivo che le api generano in agricoltura attraverso l'impollinazione;
    l'esportazione di miele, supportata dai sistemi di certificazione che ne garantiscono la qualità come quello del biologico, della denominazione di origine protetta e dell'indicazione geografica protetta, contribuisce ad incrementare il valore dell'export agroalimentare italiano grazie ai circa 10 mila quintali venduti ogni anno in Europa, Stati Uniti, Giappone e Paesi Arabi;
    in Italia l'apicoltura, considerata «attività agricola», ai sensi dell'articolo 2135 del codice civile, costituisce, secondo la legge 24 dicembre 2004, n. 313, un settore di interesse nazionale utile per la conservazione dell'ambiente naturale, dell'ecosistema e dell'agricoltura in generale ed è finalizzata a garantire l'impollinazione naturale e la biodiversità di specie apistiche, con particolare riferimento alla salvaguardia della razza di ape italiana (apis mellifera ligustica spinola) e delle popolazioni di api autoctone tipiche o delle zone di confine;
    l'articolo 5 della legge n. 313 del 2004 prevede, in particolare, che il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali predisponga il «documento programmatico per il settore apistico» anche sulla base di quanto disposto dall'articolo 1 del regolamento (CE) n. 797/2004 del Consiglio del 26 aprile 2004 relativo alle azioni dirette a migliorare le condizioni della produzione e della commercializzazione dei prodotti dell'apicoltura;
    il documento programmatico per il settore apistico sottolinea come, per la salute degli alveari, non sia più possibile prescindere da una corretta gestione igienico-sanitaria basata su specifiche ed efficaci misure di profilassi;
    nonostante l'impegno delle regioni nel combattere la moria delle api attraverso i programmi apistici regionali, anche nel 2014, il servizio «spia» (squadra di pronto intervento apistico) del progetto di monitoraggio Beenet, sotto l'egida del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha ricevuto decine e decine di segnalazioni da tutta Italia;
    le api sono contemplate nella Strategia dell'Unione europea 2007-2013 per la salute degli animali e nella legislazione sulla certificazione sanitaria di salute animale, che prevede i requisiti per i movimenti di api fra gli Stati membri (direttiva 92/65/CEE);
    il regolamento (CE) 1107/2009 ha, inoltre, stabilito che un prodotto fitosanitario possa essere autorizzato soltanto se, alla luce di un'adeguata valutazione del rischio, fondata su orientamenti per l'esecuzione di test riconosciuti a livello comunitario o internazionale, sia stabilito che, nelle condizioni d'utilizzo proposte, tale prodotto comporti un'esposizione trascurabile per le api, o non abbia alcun effetto inaccettabile acuto o cronico per la sopravvivenza e lo sviluppo della colonia, tenendo conto degli effetti sulle larve e sul comportamento delle api;
    a maggio del 2012, nel contesto della propria strategia per combattere la diminuzione del numero di api, la Commissione europea ha stanziato 3,3 milioni di euro a sostegno di 17 Stati membri che stanno effettuando studi di sorveglianza volti a raccogliere ulteriori informazioni sulle perdite di colonie di api da miele;
    secondo una relazione dell'Efsa, pubblicata il 13 marzo 2014, sul lavoro di valutazione del rischio ambientale per le api svolto nell'Unione europea, occorre una cooperazione più intensa tra agenzie, Stati membri e ricercatori per una migliore comprensione di come i fattori multipli di stress danneggino la salute delle api;
    per limitare la moria delle api l'Efsa ha, pertanto, proposto la creazione di una rete che comprenda il «Gruppo interservizi per le api» della Commissione europea, il laboratorio europeo di riferimento per la salute delle api, organismi degli Stati membri, come l'Agenzia francese per la sicurezza alimentare Anses, altre agenzie dell'Unione europea, come l'Agenzia europea per i medicinali (Ema) e organizzazioni internazionali;
    secondo il rapporto «Api, il bottino avvelenato» di Greenpeace international, pubblicato il 16 aprile 2014, che riporta i dati del più vasto studio condotto a livello europeo su oltre 100 campioni prelevati contemporaneamente in 12 Paesi, due pallottoline su tre, del carico di ciascuna ape bottinatrice, è contaminato da un micidiale cocktail di molecole tossiche (insetticidi, acaricidi, fungicidi ed erbicidi);
    i risultati dell'indagine hanno evidenziato che una delle più rilevanti cause della moria di api sia da attribuirsi all'impiego dei neonicotinoidi nella concia delle sementi di mais; la sospensione cautelativa di tali prodotti predisposta dal Governo ha prodotto, infatti, effetti benefici e la stessa Unione europea ha approvato, il 25 maggio 2013, la messa al bando di tre pesticidi appartenenti alla famiglia dei neonicotinoidi;
    per descrivere il fenomeno della moria delle api, alcuni scienziati americani hanno studiato il colony collapse disorder, una sindrome dello spopolamento degli alveari caratterizzata dalla rapida perdita della popolazione di api operaie adulte, per la quale non è stata individuata un'unica causa, ma sono stati indicati diversi fattori concomitanti, che agiscono in combinazione fra loro o separatamente;
    fra i predetti fattori si annoverano, oltre ai noti effetti dell'agricoltura intensiva e dell'uso di pesticidi, la scarsa o del tutto insufficiente alimentazione delle api, i virus, tra i quali la peste americana, Nosema spp, Covata calcificata causata da Ascospherosi, gli attacchi di agenti patogeni e delle specie invasive, come, ad esempio, l'acaro varroa (Varroa destructor), la vespa asiatica (Vespa velutina), il piccolo scarabeo dell'alveare (Aethina tumida) e l'acaro Tropilaelaps, i vegetali geneticamente modificati e i cambiamenti ambientali, quali la frammentazione e perdita dell’habitat;
    a differenza degli altri animali non è la singola ape ad essere allevata ma il super organismo, comunemente definito «colonia», costituito dall'insieme degli insetti e da tutti gli elementi che solidalmente ne fanno parte (le differenti caste di api, la covata, i diversi tipi di favi, le riserve di miele, di polline, la propoli, l'arnia in cui è contenuta);
    per tali ragioni l'allevamento delle api comporta una notevole specializzazione da parte degli apicoltori in quanto l'accudimento si svolge principalmente sulla base di osservazioni effettuate durante la visita delle colonie; la conduzione delle colonie richiede, quindi, una grande abilità e un intervento professionale continuativo da parte dei veterinari pubblici e privati quando si verifichino patologie a carico dell'alveare; lo stesso sistema «spia», in maniera incomprensibile, non prevede la figura del medico veterinario per le api;
    per poter definire una politica sanitaria di profilassi e prevenzione è necessaria la diagnosi di infezione o infestione o inquinamento dell'alveare da parte del veterinario aziendale libero professionista, che rileva le manifestazioni cliniche o subcliniche e le indagine di laboratorio e le comunica al servizio veterinario pubblico;
    una politica pubblica di profilassi deve, dunque, prevedere la formazione degli apicoltori e delle altre figure professionali che collaborano con loro (responsabili veterinari specializzati, istituti di ricerca e tecnici specializzati) ed attuare politiche sanitarie con la piena collaborazione e l'aiuto delle associazioni apistiche;
    attualmente i veterinari dotati di conoscenze apistiche adeguate sono molto pochi, talvolta completamente mancanti, pertanto non disponibili a intraprendere ispezioni in campo su vasta scala, quali visite complete di tutti gli alveari prima di prescrivere un medicinale veterinario;
    l'obiettivo da perseguire è, dunque, quello di disporre di una rete geografica di sufficienti competenze veterinarie nell'ambito di ciascuna regione;
    le differenze tra le api e le altre specie allevate non permettono, infatti, l'utilizzazione di prodotti farmaceutici per trasposizione e i farmaci che molti allevatori utilizzano hanno una ricaduta negativa sulla salute umana, in quanto non prevedono tempi di sospensione adeguati ad impedire che tali farmaci finiscano nella catena alimentare umana;
    la mancanza di medicinali, preventivi e curativi, efficaci per la lotta contro le diverse malattie o parassiti, e la sottovalutazione dei rischi dei residui conseguente all'assenza di metabolizzazione delle molecole facilitano e incoraggiano l'utilizzazione diffusa di sostanze chimiche illegali;
    l'Unione europea vieta l'uso di farmaci, antibiotici e sulfamidici in apicoltura proprio perché non si calcolano i tempi di sospensione; in particolare, non sono determinati i tempi di lmr (livello massimo di residuo) e comunque, indipendentemente da questo, la presenza dell'antibiotico permarrebbe all'interno dell'alveare trattato e inquinerebbe in maniera permanente la matrice dell'alveare, sensibilizzando le api per più tempo, anche successivamente ai trattamenti antibiotici; inoltre, le api trattate con antibiotici potrebbero distribuirlo sulle piante e sui fiori che vanno ad impollinare, determinando un ulteriore inquinamento del territorio,

impegna il Governo:

   al fine di consentire una corretta diagnosi del fenomeno della mortalità delle api, a promuovere un'indagine epidemiologica sulla presenza di malattie infettive e parassitarie delle api effettuata dai veterinari aziendali libero professionali, in collaborazione con i veterinari pubblici dipendenti e con la rete del sistema sanitario nazionale, servizio profilassi;
   a ribadire il divieto dell'uso di antibiotici e di sulfamidici nell'allevamento delle api, in linea con quanto stabilito dalla normativa europea e italiana che ne vieta l'utilizzo in considerazione del fatto che non è possibile determinare i tempi di lmr (livello massimo di residuo) e che la presenza dell'antibiotico permane all'interno dell'alveare a tempo indeterminato, sensibilizzando le api per più tempo anche in assenza di trattamenti antibiotici che riassumono il farmaco dalla matrice dell'alveare stesso;
   ad attuare una politica pubblica di profilassi e di prevenzione per affrontare le problematiche conseguenti alle patologie degli alveari, con lo scopo di impostare una medicina preventiva sulle api, attraverso l'aiuto e la piena collaborazione tra le associazioni apistiche e i veterinari pubblici e libero professionisti per favorire forme adeguate di tutela della salute delle api e di controllo sulla salubrità dei prodotti apistici;
   ad attuare, anche all'interno del piano di azioni per l'agroalimentare «Campolibero» promosso dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, un piano di assistenza tecnica volto a rafforzare le attività di supporto agli apicoltori (formazione, addestramento, informazione) per migliorare la conoscenza della salute dell'ape e la profilassi diretta in apiario ad opera di personale veterinario specializzato, personale ad oggi non previsto nei progetti «spia» e Beenet;
   ad assumere iniziative per migliorare, per quanto riguarda i veterinari, la conoscenza dell'ape e la formazione in patologia apistica, implementando lo sviluppo di formazione specifica in apicoltura negli studi universitari di medicina veterinaria e creando una rete di esperti in grado di fornire supporto ai veterinari per le visite di campo;
   ad assumere iniziative per sviluppare laboratori in grado di coprire l'intera gamma di analisi necessarie alla diagnostica delle problematiche dell'apicoltura, anche al fine di valutare gli effetti dei pesticidi sugli impollinatori e ridurne l'utilizzo, di stimolare ricerca e sviluppo di tecniche non inquinanti per la gestione dei parassiti e di promuovere la diffusione di pratiche agricole ecologiche;
   ad aumentare il monitoraggio e i controlli per evitare l'introduzione di parassiti emergenti e a implementare azioni per contribuire a contrastare l'attuale presenza e un'ulteriore diffusione della vespa velutina, fornendo linee guida alle associazioni degli apicoltori sulle azioni da intraprendere in caso di rinvenimento di nuove parassitosi e patologie;
   a sostenere lo sviluppo di una rete di centri tecnici di riferimento diffusi in ogni regione, in grado di adottare misure per aumentare la diversità floreale mellifera e pollinifera, al fine di assicurare alle api un'alimentazione di qualità;
   a limitare il carico di burocrazia sulla professione di apicoltore e a gestire le patologie entro limiti che non presentino rischi per gli allevatori, definendo metodiche chiare e semplici da seguire e diffondere nel mondo apistico.
(1-00474) «Cova, Oliverio, Lenzi, Luciano Agostini, Antezza, Anzaldi, Carra, Cenni, Covello, Dal Moro, Ferrari, Fiorio, Marrocu, Mongiello, Palma, Taricco, Tentori, Terrosi, Valiante, Venittelli, Zanin, Amato, Argentin, Beni, Bossa, Paola Bragantini, Burtone, Capone, Carnevali, Casati, D'Incecco, Fossati, Gelli, Grassi, Iori, Miotto, Murer, Patriarca, Piccione, Sbrollini, Scuvera».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo il rapporto della Fao Global food losses and food waste del 2011 (perdita e spreco di cibo a livello mondiale), un terzo del cibo prodotto in tutto il mondo viene sprecato; ogni anno nei Paesi ricchi viene persa una quantità di cibo equivalente a quella prodotta nell'Africa subsahariana (222 milioni di tonnellate contro 230); negli Stati Uniti il 30 per cento del cibo prodotto ogni anno viene gettato via; l'ammontare di cibo che va perduto o sprecato ogni anno è equivalente a più di metà dell'intera produzione annuale mondiale di cereali (2,3 miliardi di tonnellate nel 2009/2010). In Europa e in Nord America lo spreco pro capite è calcolato intorno ai 100 chilogrammi all'anno, mentre in Africa subsahariana e nel sud-est asiatico ammonta a circa 10 chilogrammi l'anno;
    in Italia, lo spreco alimentare annuo ammonta a 6,5 milioni di tonnellate, pari a 108 chilogrammi pro capite, una cifra inferiore rispetto alla media europea, ma pur sempre preoccupante;
    il problema dello spreco alimentare è molto serio e non riguarda solo il nostro Paese ma anche una fetta importante dell'intero pianeta. Con l'aumento dei consumi cresce anche la quantità di cibo che viene quotidianamente sprecato;
    molti dei prodotti alimentari destinati alle mense scolastiche non sono ottenuti dalle materie prime originarie dei territori in cui sono consumati, né sono riferibili alle tradizioni alimentari dei territori medesimi;
    le attuali politiche di approvvigionamento di prodotti alimentari destinati alla refezione scolastica tendono, nel loro complesso, a contribuire al processo di progressivo indebolimento della componente agricola all'interno delle filiere agroalimentari e a generare costi a carico dell'acquirente finale che, nel caso specifico, è, in primo luogo, identificabile nel contribuente o, in ogni caso, nei soggetti che si fanno materialmente carico di sopportare gli oneri relativi al consumo di pasti nelle mense scolastiche;
    il consumo di prodotti alimentari di qualità (denominazione di origine protetta, indicazione geografica protetta, attestazioni di specificità e prodotti biologici) e, più, in genere, di prodotti tipici e di territorio, è riconosciuto come funzionale al mantenimento di un buono stato di salute ed è, pertanto, particolarmente indicato per i bambini, ai fini, di una corretta educazione alimentare, volta anche a limitare la diffusione di stati patologici, quali l'obesità che, con crescente e preoccupante frequenza, interessa le fasce di età più giovani della popolazione;
    il consumo di prodotti tipici e di qualità concorre, altresì, al mantenimento di forme di agricoltura ancorate al territorio e, quindi, anche alla tutela ed allo sviluppo dei valori economici, sociali e culturali che sono propri dei territori di cui gli stessi prodotti sono espressione;
    le regioni e province possono garantire un'alimentazione sana, varia e completa, dalle carni ai formaggi, dal riso agli ortaggi, dalle uova alla frutta. Assicurare una dieta equilibrata e corretta educa i bambini a mangiare secondo la stagionalità e la territorialità dei prodotti e sostiene le filiere locali tenendo sempre presente però le necessità di salute, di religione o esigenze particolari;
    adottare nelle scuole una dieta alimentare somministrando ai bambini prodotti provenienti sia dal territorio della provincia che della regione in cui è situata la scuola, nonché prodotti italiani, lasciando comunque uno spazio nei menù ai prodotti provenienti anche dall'Unione europea o da altre parti del mondo, significa educare i giovani ad una sana e corretta alimentazione, facendogli anche comprendere l'importanza della problematica dello spreco alimentare e, inoltre, promuove le specificità del territorio;
    così si rilancerebbe la filiera locale di produzione che significa, prima di tutto, prodotti sempre freschi e genuini, con dei costi molto contenuti e con un'attenzione anche all'ambiente;
    essendo prodotti provenienti dal territorio, si ridurrebbero al minimo le emissioni di anidride carbonica derivati dal trasporto e, altresì, si incentiverebbe anche la conoscenza dei prodotti tipici locali all'interno delle scuole, prodotti apprezzati e invidiati in tutto il mondo;
    complice la crisi economica, oggi appena il 36 per cento degli italiani dichiara di attenersi rigorosamente alla data di scadenza dei prodotti riservandosi di valutare personalmente la qualità dei prodotti scaduti prima di buttarli. Solo il 54 per cento degli italiani controlla quotidianamente il frigorifero e il 65 per cento controlla almeno una volta al mese la dispensa;
    con la crisi si registra, peraltro, un'inversione di tendenza e quasi tre italiani su quattro (73 per cento) hanno tagliato gli sprechi a tavola nel 2013, anche per effetto della necessità di risparmiare e di ottimizzare la spesa dallo scaffale alla tavola;
    la tendenza al contenimento degli sprechi è forse l'unico aspetto positivo della crisi in una situazione in cui ogni persona in Italia ha comunque buttato nel bidone della spazzatura ben 76 chili di prodotti alimentari durante l'anno;
    l'Unione europea si sta apprestando a rivedere le norme sulle etichette di scadenza dei prodotti alimentari per far sparire le scritte «da consumarsi preferibilmente entro» dalle confezioni di prodotti di pasta, riso, tè, caffè e formaggi duri, quindi estendere ai prodotti secchi la lista dei prodotti per i quali attualmente non è prevista una scadenza, come sale e aceto;
    questa modifica era all'ordine del giorno della riunione del 19 maggio 2014 del Consiglio Agricoltura e Pesca, dove i Ministri hanno affrontato le proposte delle delegazioni di Olanda e Svezia, sostenute da Austria, Germania, Danimarca e Lussemburgo, che intendevano in questo modo richiamare l'attenzione sul problema degli sprechi alimentari in Europa;
    la giustificazione di questa proposta era incentrata sul fatto che spesso i cibi vengono buttati via ancora integri a causa dell'insicurezza nei consumatori perché portati a confondere, e quindi allarmati dalle possibili conseguenze sulla salute, la data di scadenza vera e propria – «da consumarsi entro» – con i termini minimi di conservazione (tmc) – «da consumarsi preferibilmente entro» – che è stato introdotto a garanzia dei consumatori;
    la data di scadenza indica il termine entro il quale il prodotto deve essere consumato ed anche oltre il quale un alimento non può più essere posto in commercio ed è prevista per tutti i generi deperibili come latte, yogurt, ricotta, uova, pasta fresca ed altri. Il termine minimo di conservazione, invece, indica la data fino alla quale il prodotto alimentare conserva le sue proprietà specifiche in adeguate condizioni di conservazione. Tanto più ci si allontana dalla data di superamento del termine minimo di conservazione, tanto più vengono a mancare le caratteristiche organolettiche e gustative, o nutrizionali, di un alimento;
    il Commissario europeo per la salute e la politica dei consumatori, Tonio Borg, al termine dei lavori del Consiglio europeo, ha dichiarato che verso la metà di giugno 2014 presenterà insieme al collega all'ambiente, Janez Potocnik, una comunicazione sull'alimentazione sostenibile dove si parlerà anche della data limite di consumo di alcuni alimenti. La comunicazione, che non è una proposta legislativa, sarà discussa sotto il semestre di presidenza italiana dell'Unione europea e, quindi, sarà proprio l'Italia che potrà dare un primo orientamento al dibattito in attesa di una proposta;
    le nuove forme di spreco alimentare non riguardano solo i cibi ma anche l'utilizzo non corretto di prodotti destinati all'alimentazione umana e animale, come l'uso del mais o dei foraggi nei digestori per produrre energia,

impegna il Governo:

   ad adottare, al fine di ridurre gli sprechi alimentari, tutte le iniziative necessarie affinché, anche attraverso il potenziamento degli strumenti normativi esistenti, l'approvvigionamento di prodotti alimentari destinati ai servizi di mensa scolastica provenga dal territorio, dalla provincia, dalla regione e dall'Italia, da reperire, principalmente, attraverso modalità finalizzate a favorire l'avvicinamento tra la fase produttiva agricola e quella di consumo;
   a rendere partecipe il Parlamento su quale sarà la posizione del Governo, durante il semestre di presidenza europeo, circa le modifiche proposte che sono state illustrate in sede di Consiglio Agricoltura e Pesca del mese di maggio 2014 in merito alle norme sulle etichette di scadenza dei prodotti alimentari.
(1-00475) «Caon, Giancarlo Giorgetti, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».


   La Camera,
   premesso che:
    l'ape (apis mellifera L.) è una specie di insetto sociale dell'ordine degli imenotteri, della famiglia degli apidi, suddivisa in 24 sottospecie riunite in tre gruppi (Mediterraneo occidentale, Mediterraneo orientale ed Africa tropicale), che ha la caratteristica di poter essere allevata dall'uomo ed è diffusa pressoché in tutti i continenti, quindi anche in Italia, dove si segnala, tra l'altro, il maggior numero di sottospecie selvatiche d'Europa;
    l'ape è un insetto pronubo che svolge un importantissimo ruolo ecologico ed ambientale per il mantenimento della biodiversità vegetale tra le piante spontanee e coltivate. Per queste ultime, i pronubi assolvono ad un compito essenziale, garantendo la produttività di un'ampia gamma di colture europee di importanza economica ed il miglioramento della qualità del prodotto;
    in Europa gli insetti impollinatori come l'ape contribuiscono alla produzione agricola di 150 colture (84 per cento) che dipendono parzialmente o interamente dagli insetti per l'impollinazione e il raccolto, per un valore commerciale che si aggira intorno ai 22 miliardi di euro all'anno. Tra le principali colture che beneficiano dell'impollinazione entomofila si annoverano:
     a) frutta: melo, arancio, pero, pesco, melone e anguria, limone, fragola, lampone, susino, albicocco, ciliegio, kiwi, mango e ribes;
     b) ortaggi: pomodoro, carota, patata, cipolla, peperone, zucca, fava, zucchina, fagiolo, melanzana e cetriolo;
     c) colture industriali: cotone, colza, girasole, senape, soia e grano saraceno;
     d) frutta secca: mandorlo, noce e castagno;
     e) piante aromatiche: basilico, salvia, rosmarino, timo, coriandolo, cumino e aneto;
     f) foraggio per gli animali: erba medica, trifoglio e meliloto;
     g) piante officinali: camomilla, lavanda ed enotera;
    la sottospecie mellifera più diffusa al mondo è l'ape ligustica o ape italiana (apis mellifera ligustica Spinola, 1806), molto apprezzata tra gli apicoltori, data la sua adattabilità alla maggior parte dei climi, dal subtropicale al temperato;
    il continuo contatto con l'ambiente che caratterizza l'operato delle api, che svolgono attività bottinatrice, favorisce l'accumulo, all'interno dell'alveare, delle sostanze con le quali questi insetti entrano in contatto, rendendo l'arnia una preziosa fonte di informazioni circa la presenza di sostanze inquinanti nell'ambiente;
    per le ragioni sopra riportate, l'apicoltura, inquadrabile nell'ambito della zootecnia, assolve, oltre alla funzione produttiva, anche a quella ecologico-ambientale e di sviluppo rurale, rientrando perciò a pieno titolo nell'ambito delle attività agricole multifunzionali;
    di recente, la Fai (Federazione italiana apicoltori) ha dichiarato che vi sono molti motivi per ritenere che l'ape italiana sia a rischio di estinzione, così come le altre sottospecie di ape mellifera, visto che è in corso una moria estremamente preoccupante data dal fatto che il numero di api nate non supera quello delle api morte;
    sempre secondo la Fai, numerose sono le ragioni di questa moria, tra le quali l'introduzione di nuove specie «spurie» ed i trattamenti insetticidi a base di imidacloprid, prodotto già bandito in Francia dal 2002;
    in un recente ed allarmante rapporto di Greenpeace, si evidenzia come il polline con il quale entrano in contatto le api è altamente inquinato da un «pesante cocktail di pesticidi tossici», molti dei quali neonicotinoidi, e per questo l'associazione ambientalista ha invitato la Commissione europea e i Governi nazionali a vietarne completamente l'utilizzo. Infatti, i pesticidi neonicotinoidi clothianidin, imidacloprid, thiamethoxam e fipronil sono attualmente sottoposti solo ad un divieto temporaneo ed altri pesticidi non neonicotinoidi dannosi per le api e per gli altri impollinatori, come il clorpirifos, cipermetrina e deltametrina, non risultano ancora essere banditi;
    negli ultimi decenni si è verificata in Europa una drammatica diminuzione del numero di api mellifere allevate e di pronubi selvatici, perdendo una media del 16 per cento delle arnie (dal 1985 al 2005), riscontrabile prevalentemente in Inghilterra, Germania, Repubblica Ceca e Svezia, anche a causa della rarefazione di spazi aperti ricchi di fiori;
    la Commissione europea nel maggio 2013 (regolamento di esecuzione (UE) n. 485/2013 della Commissione del 24 maggio 2013) ha dato il via alla moratoria contro i tre insetticidi considerati più dannosi per le api europee (moratoria entrata in vigore nel successivo mese di dicembre 2013, per la durata di 2 anni). Trattasi del clotianidin, dell’imidacloprid e del tiametoxam (della famiglia dei neonicotinoidi), destinati alla concia delle sementi, all'applicazione al suolo (granuli) ed ai trattamenti fogliari su piante e cereali (ad eccezione dei cereali vernini);
    la Commissione europea stabilisce, inoltre, che i restanti usi autorizzati sono a disposizione dei soli professionisti e le eccezioni saranno limitate alla possibilità di trattare coltivazioni che attraggono le api in serre e in campi all'aperto solo dopo la fine della fioritura;
    l'Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha pubblicato le nuove linee guida per la valutazione del rischio da pesticidi per la sopravvivenza delle api, che rappresenta un netto miglioramento per quel che riguarda la valutazione del pericolo rispetto a quanto proposto in precedenza dall'Organizzazione europea e mediterranea per la protezione delle piante;
    la rete nazionale di monitoraggio degli alveari (progetto Beenet attivo dal 2011, che sostituisce il monitoraggio Apenet, approntato nel 2008 a seguito dei gravi casi di moria), ha comunque segnalato gravi fenomeni di apicidio (2012-2013), nelle seguenti regioni italiane:
     a) in Basilicata, in conseguenza di trattamenti primaverili di fruttiferi in fioritura;
     b) in Emilia Romagna, probabilmente a seguito di approvvigionamento da parte delle api di acqua per fertirrigazione contenente insetticidi impiegati sulla coltura di pomodoro;
     c) nelle Marche e in altre regioni vocate alla coltura del girasole, a causa dell'utilizzo di un diserbante per il quale non è stata effettuata la valutazione del rischio per gli impollinatori;
     d) in Sicilia, per trattamenti di colture intensive di agrumeti in presenza di forte essudazione di melata che in ambienti con scarsa disponibilità di piante nettarifere, è utilizzata dalle api per la produzione del miele;
    l'Unaapi (Unione nazionale associazioni apicoltori italiani) ha segnalato durante questa primavera (2014) nuovi, estesi e reiterati fenomeni di avvelenamenti, moria e spopolamenti d'interi apiari, soprattutto in concomitanza con l'epoca delle semine del mais, dal Friuli Venezia Giulia (dove sono stati spopolati migliaia di alveari) al Veneto, alla Lombardia, all'Emilia Romagna e al Piemonte e analoghi fenomeni sui fruttiferi e sulle colture di cereali della Lombardia e della Campania;
    l'Unaapi afferma, sebbene non ci sia certezza sulle molecole che hanno provocato tali conseguenze che, oltre ai neonicotinoidi, è assai probabile che si sia accentuato un uso pervasivo e irresponsabile di altre molecole neurotossiche, come il piretroide deltametrina o il famigerato insetticida clorpirifos, o il fungicida tebuconazolo, che esplica effetti nocivi sulle popolazioni di api, non previsti e non valutati, o che vengano comunque utilizzati illegalmente neonicotinoidi;
    un'altra minaccia incombe sull'apicoltura europea ed italiana ed è quella della vespa velutina o calabrone asiatico (vespa velutina lepeletier), importato accidentalmente dalla Cina, in grado di predare le api e di distruggere gli alveari e di arrecare danno a tutta l'entomofauna utile;
    negli ultimi otto anni il calabrone asiatico è stato in grado di colonizzare quasi tutto l'intero territorio francese, con la scomparsa del 50 per cento degli alveari, arrivando a varcare i confini con il Belgio, la Spagna, il Portogallo e l'Italia, dov’è stata ufficialmente rinvenuta in provincia di Imperia e Cuneo;
    secondo l'Osservatorio nazionale del miele, il mercato dei prodotti apistici è caratterizzato da circa 12.000 produttori e da quasi 40.000 apicoltori con attività apistica per autoconsumo e da 1.157.196 alveari censiti, che nel 2012 ha fatto registrare una produzione di 23.320 quintali di miele (26.384 nel 2010), il cui giro d'affari legato alla produzione di questo prodotto, della cera, del polline e degli altri prodotti apistici, ammonta circa ai 65 milioni di euro annui;
    l'Italia, grazie alla sua varietà climatico-vegetazionale e alla professionalità degli apicoltori che hanno sviluppato raffinatissime ed impegnative tecniche di nomadismo, può contare su un patrimonio di mieli unico al mondo, oltre ad una infinità di millefiori, e annovera anche oltre trenta monoflora classificati e numerosi i prodotti apistici di qualità (denominazione di origine protetta e indicazione geografica protetta);
    la particolarità del settore non permette di estendere ad esso i criteri utilizzati per definire le «organizzazioni di produttori», primo fra tutti la mancanza e la non necessità di avere una concentrazione della commercializzazione del prodotto, che rende, però, necessario garantire qualificati organismi rappresentativi del settore, per poter, con equilibrata partecipazione, elaborare programmi di settore e utilizzare in modo ottimale le risorse destinate all'apicoltura;
    la presenza di un numero considerevole di apicoltori «non professionisti» costituisce allo stesso tempo una risorsa e un aspetto problematico, quest'ultimo rappresentato dall'influenza negativa sullo stato sanitario delle api, qualora tali attività siano svolte al di fuori di ogni contesto associativo;
    ad aggravare quanto riportato al punto precedente, le emergenze sanitarie alla base della moria delle api sono aggravate dall'assenza di un adeguato quadro regolatorio internazionale, per cui gli apicoltori riscontrano evidenti difficoltà in considerazione della mancanza di un adeguato supporto da parte dei servizi veterinari;
    in ambito comunitario, la Commissione europea, a seguito delle conclusioni del rapporto sul settore dell'apicoltura destinato al Parlamento europeo e al Consiglio predisposto dal Commissario all'agricoltura Dacian Ciolos, ha ribadito l'intenzione di sostenere l'apicoltura europea, attraverso l'introduzione di nuove misure di sviluppo rurale finalizzate a favorire i giovani agricoltori nell'ammodernamento delle aziende e ad interventi agroambientali per rafforzare la presenza di piante mellifere per il sostentamento delle colonie di api;
    la sezione VI (articoli 105-110) del regolamento (CE) n. 22 ottobre 2007, n. 1234/2007 del Consiglio contiene disposizioni speciali relative al settore dell'apicoltura e, in particolare, prevede un contributo finanziario dell'Unione europea per l'applicazione di talune azioni dirette a migliorare le condizioni della produzione e della commercializzazione dei prodotti dell'apicoltura, attraverso la predisposizione ogni tre anni di un programma nazionale (attualmente è in atto quello relativo al triennio 2014-2016), incentrato su una o più azioni di:
     a) assistenza tecnica ad apicoltori e loro associazioni;
     b) lotta contro la varroasi;
     c) razionalizzazione della transumanza;
     d) misure di sostegno ai laboratori di analisi delle caratteristiche fisico-chimiche del miele;
     e) misure di sostegno per il ripopolamento del patrimonio apistico;
     f) collaborazione con organismi specializzati nella ricerca applicata nel settore apistico;
    a seguito della legge 24 dicembre 2004, n. 313, che ha riconosciuto l'apicoltura come attività di interesse nazionale, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha provveduto ad elaborare uno specifico documento programmatico con le linee strategiche a sostegno dell'apicoltura attraverso finanziamenti, l'informazione, la valorizzazione delle produzioni, la tutela della salute dei consumatori e l'educazione alimentare, oltre che per lo sviluppo dei programmi di ricerca e di sperimentazione d'intesa con le organizzazioni apistiche,

impegna il Governo:

   in accordo con le regioni e con le province autonome di Trento e Bolzano, a promuovere, nei programmi aziendali pluriennali di miglioramento agricolo ambientale, tutte le azioni che favoriscano i pronubi, riportate nell'ambito del progetto europeo Step (Stato attuale e tendenze dei pronubi europei, n. 244090-STEP-CP-FP), finalizzato alla conservazione degli organismi pronubi e del loro servizio di impollinazione, tra le quali la creazione o il mantenimento di habitat specifici, come le aiuole incolte per le fioriture spontanee, la gestione e l'utilizzo di agrofarmaci in modo da tutelare l'entomofauna, la riduzione dell'uso di diserbanti per salvaguardare le piante che offrono fioriture e la semina e la coltivazione di specie che producano fioriture abbondanti (ad esempio, colza, trifoglio e fava), inserendole nelle rotazioni;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza in relazione ai trattamenti antiparassitari con prodotti fitosanitari ed erbicidi tossici per le api, al fine di salvaguardarne l'azione pronuba;
   ad agire in sede nazionale ed europea per un divieto definitivo, e non solo parziale e temporaneo, dei neonicotinoidi e di altri insetticidi sistemici dannosi per i pronubi, finanziando, altresì, la ricerca scientifica per l'individuazione di nuove procedure e test per l'accertamento delle conseguenze per le api e per gli altri impollinatori, dovute allo spandimento di molecole e dei loro preparati, dando priorità alla valutazione degli effetti dovuti ai piretrodi (in particolar modo alla deltametrina), all'insetticida clorpirifos ed al fungicida tebuconazolo;
   in accordo con le regioni e con le province autonome di Trento e Bolzano, a promuovere una capillare azione di controllo e vigilanza per la repressione dell'uso, durante i trattamenti chimici in agricoltura, di fitofarmaci e principi attivi vietati o non autorizzati a livello nazionale ed europeo, perché pericolosi per i pronubi;
   ad intraprendere tutte le iniziative normative affinché il prodotto apistico denominato «pappa reale» o «gelatina reale», prodotto agricolo de facto, venga annoverato tra i prodotti agricoli della parte I della tabella A del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto), attribuendo allo stesso un'aliquota di compensazione ai fini IVA, correggendo in questo modo l'anacronistica situazione che penalizza gli apicoltori che si dedicano a questa produzione che possiede interessanti prospettive di mercato;
   a favorire le produzioni di qualità, garantendo il consumatore e tutelando i produttori italiani da pesanti fenomeni di concorrenza estera, assumendo iniziative per estendere a tutti i prodotti alimentari apistici (nello specifico pappa reale e polline) l'obbligo, attualmente in vigore per il miele, di indicare in etichetta il Paese d'origine del prodotto confezionato e per tutte le categorie di prodotti la provenienza dei pollini utilizzati, fermo restando quanto previsto dal regolamento UE n. 1169/2011 (relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori);
   ad individuare rappresentanze qualificate degli operatori del settore apistico, utilizzando anche i criteri presenti nel decreto del 16 febbraio 2010 (criteri di assegnazione dei contributi ai sensi del decreto-legge n. 112 del 2008 per il settore apistico), atti a favorire una migliore gestione della programmazione nazionale di settore e per permettere corrette e adeguate politiche di sviluppo, coordinamento e gestione in ambito regionale, anche in considerazione di quanto previsto agli articoli dal 56 al 60 del regolamento UE n. 1308/2013 (ex regolamento UE n. 1234/2007), che obbliga gli Stati membri all'elaborazione di programmi apistici nazionali a favore dello sviluppo dell'apicoltura, in piena e fattiva collaborazione con le organizzazioni rappresentative del settore;
   data la peculiarità del settore apistico ampiamente esposta nella premessa, ad intraprendere tutte le iniziative normative necessarie a sburocratizzare il settore attraverso una semplificazione per la vendita diretta e per la cessione al dettaglio dei prodotti che l'apicoltore effettua presso la sede aziendale (abitazione, laboratorio di smielatura ed altro), come già previsto per i produttori agricoli che cedono in campo i propri prodotti, ciò anche ai sensi del regolamento UE n. 852/2004 (sull'igiene dei prodotti alimentari) che definisce l'attività dell'apicoltore ai fini sanitari, di tipo primario, compreso l'invasettamento ed il confezionamento del prodotto, estendendo, quindi, all'apicoltore tutte le semplificazioni che sono proprie del produttore primario, anche in riferimento alla commercializzazione, come:
    a) l'esonero dell'apicoltore dalla dichiarazione/segnalazione di inizio attività;
    b) la vendita diretta dei prodotti agricoli senza cambio di destinazione d'uso dei locali ove questa si svolge;
    c) l'autorizzazione all'uso temporaneo, senza che sia necessario il cambio di destinazione d'uso e a prescindere dalla destinazione urbanistica della zona in cui questi sono ubicati, di locali per l'attività di smielatura/confezionamento del miele per piccole produzioni;
   ad assumere iniziative per integrare l'elenco delle «attività agricole connesse» – di cui all'articolo 32, comma 2, del testo unico delle imposte sui redditi e dell'articolo 2135, comma 3, del codice civile, in relazione alla corretta valutazione del reddito ascrivibile ad un'azienda apistica, ricomprendendo, oltre alla lavorazione e al confezionamento del miele (già compresa nell'elenco), anche tutti gli altri prodotti dell'apicoltura come elencati nella legge n. 313 del 2004 (Disciplina dell'apicoltura), all'articolo 2, comma 2: la cera d'api, la pappa reale o gelatina reale, il polline, il propoli, il veleno d'api, le api e le api regine, l'idromele e l'aceto di miele;
   ad attivare immediatamente un tavolo tecnico coinvolgendo le associazioni di apicoltori riconosciute a livello nazionale, l'Ispra, gli enti di ricerca universitari ed istituzionali e l'Efsa, per individuare lo «stato dell'arte» e le linee guida per l'eradicazione della vespa velutina e degli altri patogeni e parassiti che minacciano le api e per la formazione degli apicoltori, al fine dell'individuazione e dell'ubicazione dei nidi e degli esemplari di calabrone asiatico.
(1-00476) «Massimiliano Bernini, Gagnarli, L'Abbate, Benedetti, Gallinella, Parentela, Lupo, Grande, Frusone, Daga».


   La Camera,
   premesso che:
    l'apicoltura è considerata a tutti gli effetti un'attività agricola, è un'attività del settore agricolo-zootenico di rilevanza economica fortemente radicata nella tradizione e nei luoghi in cui viene esercitata. L'apicoltura è creatività, l'apicoltore s'ingegna per trovare delle soluzioni ai problemi pratici dell'allevamento, prove, esperienze, risultati che rimangono nell'esperienza del singolo;
    l'apicoltura è l'allevamento di api allo scopo di sfruttare i prodotti dell'alveare, dove per tale si intenda un'arnia popolata da una famiglia di api. Malgrado le specie allevate siano diverse, per la sua produttività ha netta predominanza l’apis mellifera;
    il mestiere dell'apicoltore consiste sostanzialmente nel procurare alle api ricovero e cure e vegliare sul loro sviluppo; in cambio egli raccoglie una quota discreta del loro prodotto, consistente in: miele, polline, cera d'api, pappa reale, propoli, veleno;
    l'apicoltura può essere assai significativa anche ai fini del controllo ambientale, essendo l'ape un animale molto sensibile alla qualità dell'ambiente in cui vive e, inoltre, per la natura stessa della sua attività, una sorta di «campionatore biologico» assai funzionale, almeno d'estate, in quanto le api ispezionano una vasta area attorno all'alveare, venendo a contatto con suolo, vegetazione, aria e acqua;
    l'apicoltura, un tempo ingiustamente considerata la «cenerentola» dell'agricoltura, oggi è riconosciuta, dalla legge n. 313 del 2004, come «attività di interesse nazionale»;
    la ricchezza culturale dell'apicoltura, le ampie disponibilità di risorse nettarifere, che da sempre caratterizzano il territorio italiano, la varietà e la selezione negli anni di un ceppo di api universalmente riconosciute come le migliori del mondo hanno portato il nostro Paese ad importanti traguardi sul piano interno ed internazionale: per numero di addetti, per tipologia qualitativa delle produzioni e per diffusione dell'allevamento sul territorio;
    qualsiasi prodotto nazionale o europeo che si fregi di una denominazione/indicazione protetta ha un disciplinare ovvero la prescrizione che disciplina l'ottenimento di un prodotto agricolo o alimentare, più precisamente è la norma di legge che definisce i requisiti produttivi e commerciali di un prodotto a denominazione di origine protetta e indicazione geografica protetta o qualifiche equivalenti. I consorzi di tutela sovrintendono alla nascita e gestione del disciplinare di riferimento;
    l’iter per elaborare, presentare, approvare, pubblicare un disciplinare (e la relativa denominazione/indicazione) è piuttosto complesso e, comunque, deve essere svolto in sede comunitaria;
    la denominazione di origine protetta (dop) individua il nome di una zona determinata, di una regione e, talvolta, anche di un singolo Paese che designa un prodotto agricolo o alimentare come originario di tale territorio, ove avviene la produzione e/o la trasformazione, le cui qualità sono da rinvenirsi esclusivamente in quel determinato ambiente geografico;
    la procedura per il riconoscimento della denominazione di origine protetta è disciplinata dal regolamento (CE) n. 510/2006, il quale prevede che per beneficiare di una denominazione d'origine protetta, un prodotto agricolo o alimentare deve essere conforme ad un disciplinare, che la domanda di registrazione può essere presentata esclusivamente da un'associazione ovvero qualsiasi organizzazione, a prescindere dalla sua forma giuridica o dalla sua composizione, di produttori o di trasformatori che trattano il medesimo prodotto agricolo o il medesimo prodotto alimentare. L'associazione può presentare la domanda di registrazione solo per i prodotti agricoli o alimentari che essa stessa produce od elabora. La domanda di registrazione della denominazione di origine protetta è inviata allo Stato membro sul cui territorio è situata la zona geografica. Lo Stato membro esamina la domanda di registrazione per stabilire se sia giustificata e soddisfi le condizioni previste dal regolamento. Qualora si ritenga che i requisiti del regolamento siano soddisfatti, lo Stato adotta una decisione favorevole e trasmette alla Commissione europea la documentazione per la decisione definitiva che sarà poi pubblicata sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea, che ne determina così il riconoscimento europeo della denominazione;
    il miele italiano sta raggiungendo e consolidando il traguardo della qualità. Negli ultimi anni dal miele varesino – un prodotto di grande importanza per la nostra agricoltura prealpina, che ha finalmente ottenuto un traguardo ambito e meritato – al miele delle Dolomiti bellunesi – un prodotto di eccellenza delle nostre montagne, che sono state proclamate Patrimonio dell'Umanità – hanno avuto il riconoscimento della denominazione di origine protetta dopo una lunga e difficile procedura per entrare nell'olimpo della qualità europea. Questi riconoscimenti hanno una ricaduta positiva sul comparto produttivo apicolo, che è divenuto l'ennesimo punto d'orgoglio per l'agricoltura del nostro Paese;
    sono circa 1.300.000 alveari nel nostro Paese e 70 mila gli apicoltori italiani, per un fatturato di circa 60 milioni di euro che aumenta se si pensa che la produzione agricola trae incremento produttivo anche dal prezioso ed insostituibile servizio di impollinazione delle api sulle colture ortofrutticole e sementiere;
    la quantità di miele prodotta varia in base all'habitat in cui sono collocati gli alveari, ma la media è di 40-50 chilogrammi l'uno. Nell'arco di un'intera stagione un'azienda apistica di media dimensione, che detiene 300 alveari, riesce a fare 150 quintali di miele o più, con ricavi superiori a 100 mila euro;
    l'apicoltura è tra le attività che più si presta alla conduzione familiare, infatti è perfettamente compatibile con le esigenze e gli stili di vita dei giovani di oggi. Un'attività a contatto con la natura, che collabora a fini produttivi con l'ambiente senza sfruttarlo, che lascia anche lo spazio per la vita sociale dell'imprenditore, può rappresentare una valida alternativa alle attività tradizionali. Insomma, l'apicoltura, un universo tutto da scoprire che, forse, può dare risposte, semplici ma concrete, utili alla società moderna;
    occorre ricordare che il nostro Paese non è autosufficiente per quello che riguarda la produzione di miele; infatti, circa il 50 per cento del consumo è sostenuto da prodotto di importazione. Il che significa spazi d'impresa e nuove opportunità di lavoro per chi vuole diventare un apicoltore;
    la maggior parte del miele importato proviene da Paesi extraeuropei e i prodotti provenienti da questi Paesi arrivano sul mercato italiano ad un prezzo che è di molto inferiore, possedendo una qualità sicuramente inferiore. Si importano, soprattutto, mieli millefiori dall'America latina, dall'Est europeo e dalla Cina; tra i mieli uniflorali il più importato è sicuramente quello di robinia (acacia), proveniente da Ungheria, Romania e Cina, ma per chi apprezza veramente il miele, la grande variabilità del prodotto nostrano è proprio la caratteristica di maggior pregio;
    ad aggravare le condizioni di difficoltà del settore è sopravvenuto il diffondersi, all'inizio degli anni ’80; di un dannosissimo parassita degli alveari, l'acaro Varroa Jacobsoni Oudemans, nonché della vespa asiatica «vespa velutina», che ha prodotto diffuse mortalità degli alveari, abbandonati da parte di numerosi operatori e, quindi, un graduale ridimensionamento della consistenza complessiva della produzione;
    è necessario sostenere una rinnovata attenzione verso l'apicoltura osservata anche come diversificazione produttiva all'interno dell'azienda agricola, secondo i caratteri di multifunzionalità che essa può assumere soprattutto alle aree difficili, nonché come fonte di reddito per i giovani alla ricerca di nuova occupazione;
    è fondamentale, infine, richiamare l'attenzione sull'importanza anche nutrizionale e terapeutica dei prodotti dell'alveare,

impegna il Governo:

   ad adottare provvedimenti volti al sostegno del settore apistico, fonte di creazione di nuova occupazione con livelli di investimento sostenibili, al fine di sviluppare e proteggere l'apicoltura, nicchia dell'economia agricola, migliorando la qualità e la commercializzazione del miele e dei suoi derivati;
   ad assumere iniziative che favoriscano la nascita di aziende nel settore apistico, condotte da giovani, che, contribuendo alla biodiversità ed al mantenimento degli equilibri ambientali, che sono gli elementi che caratterizzano il comparto apistico, siano un tipo di modello ideale di impresa agricola del futuro;
   a valorizzare l'esperienza produttiva dell'apicoltore, che attraverso i disciplinari di produzione si orienta verso una produzione di qualità;
   ad affidare alle regioni specifiche competenze in materia di monitoraggio e controllo al fine di evitare l'espansione di parassiti e specie dannose per l'apicoltura e di selezione e salvaguardia della purezza dell’apis mellifera ligustica S., da realizzare anche attraverso l'istituzione di parchi naturali per la conservazione in purezza del patrimonio genetico di questa razza, riconosciuta sul piano internazionale come la migliore in assoluto;
   a prevedere regole che siano più chiare e semplici, al fine di una generale semplificazione della burocrazia in agricoltura, affinché i giovani che vogliono avviare l'attività di apicoltore, siano più incentivati a farlo, anche dal punto di vista burocratico.
(1-00477) «Caon, Giancarlo Giorgetti, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».


   La Camera,
   premesso che:
    il settore apicolo costituisce un'attività di interesse nazionale, è parte integrante dell'agricoltura europea ed è fonte di reddito primario o aggiuntivo per oltre 600 mila cittadini dell'Unione europea;
    contribuisce in modo determinante all'evoluzione ed allo sviluppo dell'agricoltura, alla conservazione dell'ambiente naturale e dell'ecosistema e alla tutela della biodiversità;
    in effetti, si stima che circa l'84 per cento delle specie vegetali ed il 76 per cento della produzione alimentare in Europa dipendano dall'opera di impollinazione effettuata dalle api;
    il valore economico di tale attività supera di gran lunga lo stesso valore del miele prodotto ed è valutato nell'Unione europea in 15 miliardi di euro annui;
    l'apicoltura, sul piano economico-sociale, svolge un importantissimo ruolo nello sviluppo sostenibile delle zone rurali, crea opportunità d'impresa e favorisce, quindi, l'occupazione;
    nel nostro Paese gli apicoltori sono circa 50 mila; inoltre, i produttori apistici, gli agricoltori che svolgono attività a fini economici e ricavano un reddito rilevante da tale attività sono circa 7 mila e cinquecento; gli alveari sono circa 1.100.000; le api in attività nel territorio nazionale si stima ammontino ad oltre 55 miliardi;
    nel nostro Paese si producono annualmente circa 8-11 mila tonnellate di miele a seconda dell'andamento stagionale e meteorologico. Il valore economico derivante da tale produzione è di circa 20,6 milioni di euro, mentre quello che proviene dall'indotto ammonta ad oltre 57-62 milioni di euro;
    per quanto riguarda l'Unione europea, la produzione di miele registrata nel 2011 è stata pari a 217.366 tonnellate. La produzione europea ha registrato un lieve aumento negli ultimi 10 anni (+ 6 per cento dal 2010) con variazioni annuali positive e negative, sempre a seconda delle condizioni atmosferiche;
    nel mondo intero, da qualche tempo, si sta verificando una riduzione del numero delle colonie di api: infatti, la salute delle comunità e dei singoli viene influenzata da numerosi fattori letali e sub-letali, molti dei quali tra loro interconnessi;
    numerosi studi e valutazioni di esperti attribuiscono tale fenomeno all'uso dei pesticidi, ai mutamenti delle condizioni climatiche e ambientali, ai cambiamenti dell'uso del suolo e a pratiche apicole gestite scorrettamente;
    in relazione a tale fenomeno, nel nostro Paese il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha avviato, a partire dal 2008, un monitoraggio nazionale denominato «Rete per il monitoraggio dei fenomeni di spopolamento e mortalità degli alveari» che fornisce strumenti scientifici e operativi per il monitoraggio dei fenomeni di spopolamento e mortalità degli alveari;
    tale studio ha dimostrato come sia da attribuire precipuamente all'uso dei pesticidi la causa più probabile della moria delle api;
    per contrastare il preoccupante fenomeno, la Commissione europea ha previsto una serie di adeguate misure per contrastare il fenomeno e favorire un corretto e vantaggioso sviluppo del settore;
    in questo ambito sono state stanziate risorse per lo sviluppo rurale, per favorire l'impegno nel settore di giovani agricoltori, per l'ammodernamento delle aziende, per interventi agro-ambientali, per intensificare la presenza di piante mellifere al fine di sostenere e favorire lo sviluppo delle colonie di api;
    la Commissione europea ha inteso elencare e spiegare il significato di tali misure nelle conclusioni del rapporto sul settore dell'apicoltura destinato al Parlamento europeo e al Consiglio. Il rapporto sottolinea che le misure in vigore nell'Unione europea hanno aiutato i produttori del continente a «mantenere una produzione di miele di alta qualità, pur in un contesto difficile, con l'aumento dei costi di produzione, le minacce alla sopravvivenza delle api e la feroce concorrenza internazionale da importazione di miele da Paesi terzi»;
    in considerazione delle valutazioni effettuate dagli esperti che hanno studiato il fenomeno, appaiono indispensabili una forte politica di profilassi ed un sostegno anche di carattere culturale agli operatori del settore, favorendo l'intervento di personale veterinario, di centri di riferimento specializzati e di informazioni e protocolli che possano consentire una corretta e adeguata gestione di un settore così vitale e significativo per l'intera Europa,

impegna il Governo:

   ad adottare una politica pubblica di profilassi che preveda necessariamente e diffusamente una seria formazione degli apicoltori ed il loro accompagnamento ad opera di personale veterinario specializzato;
   a favorire, per una loro giusta attuazione, lo sviluppo di adeguate politiche sanitarie a livello nazionale, con la piena collaborazione delle associazioni apistiche;
   a definire metodiche efficaci, chiare e semplici da diffondere nell'intero comparto apistico e a considerare che l'unità epidemiologica non è generalmente costituita dal singolo alveare o apiario, bensì dall'insieme del patrimonio zootecnico dell'apicoltore;
   a favorire corsi di aggiornamento per veterinari, allo scopo di fornire loro le adeguate e specifiche conoscenze per fronteggiare le patologie delle api;
   a promuovere una rete geografica di adeguate competenze veterinarie nell'ambito di ciascuna regione.
(1-00478) «Dorina Bianchi».


   La Camera,
   premesso che:
    la Fao ritiene che agricoltura, allevamento e pesca producano una volta e mezzo la quantità di cibo necessaria a sfamare gli abitanti della terra con una dieta adeguata e nutriente. Nel corso degli ultimi 50 anni, metodi sempre più efficaci di produzione agricola hanno notevolmente aumentato la resa dei terreni, l'efficienza degli allevamenti e, complessivamente, la produzione alimentare;
    questa enorme disponibilità, le modalità con cui le industrie alimentari si approvvigionano, lavorano e presentano ai consumatori gli alimenti, hanno favorito nel mondo occidentale una percezione errata sul valore del cibo e sull'enorme lavoro che c’è dietro ogni prodotto commestibile. D'altro canto, l'agricoltura, la pesca e la zootecnia industriali non hanno come principale obiettivo quello di rispondere alle esigenze delle comunità locali, bensì lo scopo di realizzare il maggior profitto possibile vendendo i prodotti sui mercati più redditizi;
    il dato che l'alimentazione influisca per una percentuale inferiore al 20 per cento sui bilanci delle famiglie occidentali genera nei consumatori la sensazione che si tratti di un bene sempre accessibile e di valore relativo; ben diversa è la situazione nei Paesi non caratterizzati dall'economia di mercato, quali ad esempio i Paesi dell'altra sponda del Mediterraneo, dove l'alimentazione influisce per circa il 60 per cento sui bilanci delle famiglie;
    sul mercato internazionale, inoltre, i principali beni alimentari sono trattati come commodity, termine con cui si definiscono i beni per i quali c’è una domanda scarsamente comprimibile, offerti senza differenze qualitative sul mercato e che sono fungibili: come il petrolio, il gas o l'oro e anche il grano, il mais, la soia, il riso, lo zucchero e il caffè. Le commodity, inoltre, possono costituire un'attività sottostante per vari tipi di strumenti finanziari derivati, in particolare per i futures (che sono scommesse sul prezzo futuro dei beni) e, quindi, sono oggetto di speculazione; da tempo taluni Stati dell'Unione europea chiedono di escludere i beni alimentari dal mercato dei derivati, per gli effetti moltiplicativi sui prezzi in caso di diminuzione dei raccolti;
    i numerosi dati diffusi sullo spreco alimentare nel nostro Paese sono sovente sovrastimati e scontano un'impostazione ideologica volta quasi a colpevolizzare i cittadini (gli sprechi di tutta la filiera, ad esempio, sono imputati pro capite); peraltro, molte delle soluzioni redistributive avanzate non tengono sufficientemente conto dei costi di recupero e redistribuzione dei cosiddetti sprechi di cibo: solo una quota di quel che avanza può essere recuperata senza costi superiori ai benefici;
    correttamente gli esperti in materia (in particolare quanti studiano tali problematiche presso il Politecnico di Milano) distinguono tra «eccedenza» e «spreco alimentare»: l'eccedenza è la quantità di cibo prodotto, perfettamente commestibile e che, per vari motivi, non arriva al consumatore attraverso i canali di distribuzione tradizionali. Dunque, è un «di più» rispetto alla domanda di consumo. Il punto è far sì che questa eccedenza venga recuperata a scopo alimentare, cioè donata a chi ne ha bisogno e non gettata in discarica o utilizzata come fonte energetica;
    ciò premesso, la ricerca del Politecnico di Milano (primavera 2012), realizzata dopo avere intervistato 10 esperti, analizzato 124 studi sul problema e consultato un panel di 6.000 nuclei familiari e alcune food bank impegnate nella raccolta delle eccedenze alimentari, ha stimato, con riferimento a tutta la filiera alimentare, che ogni anno in Italia vengono prodotti 6 milioni di tonnellate di eccedenze alimentari: 2,5 milioni da parte dei consumatori, 2,3 milioni dai produttori primari (gli agricoltori e allevatori) e il resto nella fase di trasformazione (0,18 milioni), distribuzione (0,77 milioni) e ristorazione (0,2 milioni);
    valutando quanto valgono in percentuale queste eccedenze, rispetto alla quantità totale di cibo gestita in ogni stadio della filiera, si scopre così che le eccedenze generate nei campi sono il 2,9 per cento della produzione agricola totale, mentre quelle generate nella fase di distribuzione rappresentano il 2,5 per cento di tutte le merci mobilitate. Nelle aziende di trasformazione le eccedenze sono pari allo 0,4 per cento, mentre sono maggiori gli impatti nella ristorazione (6,3 per cento) e tra i consumatori (8 per cento);
    altro elemento contraddittorio e preoccupante è lo sperpero di tali beni, se si considera che ogni anno vengono sprecate ben 5,5 milioni di tonnellate di cibo per un valore di 12,3 miliardi di euro e solo mezzo milione di tonnellate di quanto prodotto in più viene recuperato a scopo alimentare e donato a fini solidaristici;
    ripercorrendo i vari stadi della filiera, il dato più virtuoso è di nuovo quello della trasformazione, che recupera il 55 per cento delle sue eccedenze. Seguono la produzione primaria, che recupera il 12 per cento, la ristorazione (9 per cento) e la distribuzione (8 per cento). I consumatori invece sprecano praticamente il 100 per cento delle loro eccedenze, per un valore di circa 5,7 miliardi di euro l'anno. Si tratta, inoltre, di un notevole impatto ambientale se si considera che una sola tonnellata di rifiuti alimentari genera fino a 4,2 tonnellate di anidride carbonica. Finiscono nella spazzatura il 19 per cento del pane, il 4 per cento della pasta, il 39 per cento dei prodotti freschi (latticini, uova, carne e preparati) e il 17 per cento di frutta e verdura;
    il rapporto del Politecnico è riferito a dati del 2011, ma queste valutazioni sono in linea di massima confermate dal Rapporto 2013 di Knowledge for Expo e Waste Watchers, da cui emerge che gli italiani sprecano, nel modo al quale si è accennato, ogni settimana dai 4,81 ai 13 euro per famiglia, per un totale di 8,7 miliardi di euro di spesa. Lo spreco domestico è valutato attorno all'8 per cento dei costi sostenuti;
    più elevati sono i valori calcolati (aprile 2014) dalla Confederazione italiana agricoltori, secondo la quale ogni famiglia italiana in un anno spende mediamente 515 euro in alimenti che poi non consumerà, sprecando circa il 10 per cento della spesa mensile; si tratta di oltre 4.000 tonnellate di cibo acquistate dai consumatori e buttate in discarica ogni giorno, pari a 6 milioni di tonnellate in un anno;
    ciò avviene nonostante gli italiani siano tra i più virtuosi nell'ambito dell'Unione europea: in Gran Bretagna ogni anno vanno persi 6,7 milioni di tonnellate di alimenti per un valore di 10 miliardi di sterline. In Svezia ogni famiglia getta nella spazzatura il 25 per cento del cibo comprato, mentre in Cina tale valore si attesta al 16 per cento. Si è, comunque, ben distanti dal dato clamoroso degli Stati Uniti, che nel complesso non utilizzano il 40 per cento della spesa alimentare; enormi risorse sono utilizzate per la produzione di cibo non consumato negli Usa: il 30 per cento di fertilizzante, il 31 per cento delle terre coltivate, il 25 per cento del consumo totale di acqua dolce e il 2 per cento del consumo totale di energia;
    dalle valutazioni effettuate nel 2011 dalla Commissione europea (Consumer Empowerment in the EU – SEC(2011) 469), i rifiuti alimentari nei 27 Stati membri ammonterebbero a circa 89 milioni di tonnellate, che aumenteranno, sempre secondo attendibili stime, a 126 milioni di tonnellate nel 2020 (ossia 179 chilogrammi pro capite l'anno, di cui 108 in Italia) che potrebbero aumentare fino a 238: questo senza contare gli sprechi a livello di produzione agricola o ittica (le catture di pesce rigettate in mare);
    sulla base di questi dati, il 19 gennaio 2012 il Parlamento europeo ha approvato la risoluzione (2011/2175(INI)) sullo spreco di alimenti nella quale si cerca di individuare le strategie per migliorare l'efficienza della catena alimentare nell'Unione europea al fine di ridurre gli sprechi alimentari del 50 per cento entro il 2025, anche in considerazione del fatto che nell'Unione europea 79 milioni di persone (il 15 per cento) vivono ancora al di sotto della soglia di povertà (cioè con un reddito inferiore al 60 per cento del reddito medio del Paese di residenza) e che, di questi, circa 16 milioni hanno ricevuto aiuti alimentari attraverso enti di beneficenza;
    la risoluzione del Parlamento europeo rileva che lo spreco alimentare ha origine per diversi motivi: la sovra-produzione, l'errata individuazione del target del prodotto (forma o dimensioni inadatte), il deterioramento del prodotto o dell'imballaggio, le norme di commercializzazione (problemi di aspetto o imballaggio difettoso), oppure l'inadeguatezza della gestione delle scorte e delle strategie di marketing; infine, l'errata valutazione negli acquisti da parte dei consumatori;
    quanto alle soluzioni, la risoluzione del Parlamento europeo insiste sulla necessità di adottare una strategia coordinata al fine di evitare gli sprechi alimentari e di migliorare l'efficienza della catena agroalimentare: a) promuovendo relazioni dirette fra i produttori e i consumatori; b) accorciando la catena dell'approvvigionamento alimentare; c) invitando tutti gli attori coinvolti a proseguire sulla strada della condivisione delle responsabilità; d) potenziando il coordinamento per migliorare ulteriormente la logistica, il trasporto, la gestione delle scorte e gli imballaggi;
    invita, pertanto, la Commissione europea ad introdurre misure atte a ridurre gli sprechi alimentari a monte, come, ad esempio, l'etichettatura con doppia scadenza (commerciale e di consumo) e le vendite scontate di prodotti in scadenza o danneggiati;
    nel mese di aprile del 2014, la Spagna ha deciso di abolire la data di scadenza su alcuni prodotti, conservando solo la data più appropriata per il consumo. Inoltre, i rivenditori non saranno più obbligati a ritirare la merce dagli scaffali da uno a tre giorni prima della data di scadenza: un fatto che potrebbe davvero contribuire in modo significativo a ridurre lo spreco, soprattutto se i supermercati offriranno gli alimenti vicini alla scadenza a prezzi vantaggiosi; analogamente diversi Stati membri (in prima fila ci sono Olanda e Svezia) starebbero spingendo per ampliare l'elenco dei prodotti alimentari il cui termine minimo di conservazione non deve essere specificato in base al diritto comunitario. In concreto: la dicitura «da consumarsi preferibilmente entro» potrebbe presto sparire dalle confezioni di pasta, riso, tè, caffè e formaggio duro. Già oggi non è obbligatoria per prodotti quali zucchero, sale o aceto;
    quanto al sostegno agli indigenti, va ricordato il Programma europeo di aiuto alimentare agli indigenti (Pead), nato nel 1987 nell'ambito della Politica agricola comune (Pac), al fine di consentire che le eccedenze della produzione agricola europea potessero essere utilizzate anziché distrutte. Nel 2013 l'Italia ha ricevuto da questo programma circa 98 milioni di euro; con riferimento alla programmazione pluriennale dell'Unione europea per il periodo 2014-2020, si prevede che il Programma europeo di aiuto alimentare agli indigenti sia coperto con i fondi del Fondo sociale europeo, prevedendo 2,5 miliardi di euro per i sette anni della nuova programmazione finanziaria comunitaria;
    l'articolo 58 del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, ha istituito il Fondo per la distribuzione delle derrate alimentari alle persone indigenti, gestito dall'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea), con lo scopo di raccogliere le derrate alimentari eccedenti, che gli operatori della filiera o le imprese di trasformazione volontariamente donano a titolo liberale o come eccedenza di produzione; il fondo provvede alla redistribuzione agli indigenti sul territorio nazionale mediante organizzazioni caritatevoli. L'articolo 1, comma 224, della legge di stabilità per l'anno 2014, ha rifinanziato il fondo con 10 milioni di euro;
    il nostro Paese sta allestendo Expo 2015, un evento di eccezionale importanza e una straordinaria occasione per il rilancio economico e turistico dell'Italia intera; il tema della manifestazione «Nutrire il Pianeta. Energia per la vita» riguarda, tra l'altro, le risorse alimentari del pianeta e la loro distribuzione ottimale,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per aumentare la dotazione del Fondo per la distribuzione di derrate alimentari alle persone indigenti, di cui all'articolo 58 del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012;
   ad adottare periodiche campagne al fine di sensibilizzare i consumatori circa la riduzione dei rifiuti alimentari e le migliori tecniche di conservazione dei cibi in casa ed a favorire le donazioni dirette di derrate alimentari da distribuire agli indigenti o alle organizzazione dedicate a questo scopo (banchi alimentari), oltre che al fine di coinvolgere le scuole di ogni livello e grado, allo scopo di evitare gli sprechi di cibo all'interno di mense e caffetterie e per favorire l'adozione di diete sane ed equilibrate;
   a riconsiderare lo scarto alimentare come rifiuto, differenziando invece la raccolta per categorie di prodotti e, in tale ambito, a consentire, mediante modifica delle norme vigenti, il ritiro diretto del pane prodotto in eccedenza dai forni da parte delle organizzazioni caritatevoli, al fine della distribuzione gratuita;
   ad istituire un programma nazionale di ricerca per identificare la quantità e le cause strutturali delle eccedenze degli sprechi di alimenti, al fine di individuare, a livello nazionale, gli obiettivi e i metodi di riduzione;
   a valutare, in seno all'evento di Expo 2015, la possibilità di affrontare in sede internazionale il problema dello spreco alimentare, definendo orientamenti e strategie globali per migliorare l'efficienza della catena agroalimentare;
   ad avviare un processo di standardizzazione delle etichette sui prodotti alimentari al fine di aiutare i consumatori circa la scelta e l'uso dei prodotti, favorendo, così, la riduzione degli sprechi e ad assumere iniziative per apportare modifiche alle normative sulla commercializzazione e la vendita dei prodotti agroalimentari, introducendo una doppia scadenza, oltre alla data di produzione, con le indicazioni anche organolettiche del prodotto (con la dicitura «preferibilmente entro» – data di scadenza commerciale), essendo comunque indispensabile e necessario indicare la data di scadenza vera e propria, con la dicitura «da consumarsi entro», posto che essa è relativa alla salubrità del prodotto alimentare;
   ad assumere iniziative normative che, in relazione al processo di aggiudicazione di appalti pubblici, conferiscano dei vantaggi alle imprese che concretamente si adoperano per combattere gli sprechi alimentari, favorendo l'utilizzo di prodotti locali e la tutela della qualità dei prodotti medesimi;
   a tutelare e sostenere modelli di organizzazione in grado di recuperare la totalità delle tipologie di prodotti, che possano essere incluse nelle categorie «freschi» e «freschissimi»;
   ad assumere iniziative dirette ad adottare misure anche fiscali volte a favorire lo sviluppo della filiera corta alimentare;
   ad impegnarsi in sede comunitaria al fine di intraprendere un'azione congiunta, volta ad impedire speculazioni finanziarie sulle commodity alimentari, quali grano, mais, soia, riso e zucchero.
(1-00479) «Dorina Bianchi».


   La Camera,
   premesso che:
    la legge 1o aprile 1981, n. 121, ha rappresentato nella storia del nostro Paese un momento di crescita e di ammodernamento delle istituzioni repubblicane in quanto ha introdotto, nell'amministrazione della pubblica sicurezza, quelle innovazioni necessarie a favorire la stabilità del sistema politico e a rendere più efficienti gli organi di polizia. Il processo di riforma avviato con la sua entrata in vigore è, tuttavia, rimasto incompiuto – soprattutto per quel che concerne il coordinamento tra le forze di polizia, l'allestimento di centrali operative comuni, la rivisitazione dei percorsi formativi del personale – e a distanza di oltre 30 anni la legge n. 121 del 1981 richiede un aggiornamento, una revisione che consenta di migliorare alcuni suoi aspetti tecnici e quelle criticità che hanno prodotto conseguenze negative anche sotto il profilo economico. Col passare del tempo, infatti, il proliferare di Forze di polizia con competenze analoghe se non addirittura identiche, ha dato vita ad una realtà frammentata di servizi e specialità nonché ad inevitabili sovrapposizioni funzionali, con un enorme spreco di risorse organizzative, economiche ed umane, che di fatto incide negativamente sullo stato d'animo di migliaia di uomini e donne in divisa e grava sulla sicurezza dei cittadini;
    con la conversione del decreto-legge 6 giugno 2012, n. 95, è stato approvato un ambizioso progetto di «Spending review» che impone alle pubbliche amministrazioni l'adozione di strumenti idonei a migliorare l'efficienza e l'efficacia della macchina statale nella gestione e nel contenimento della spesa pubblica. Da allora anche l'amministrazione dell'interno è impegnata in un piano di riassetto e revisione delle proprie strutture, dando attuazione – per le parti di propria competenza – ad un programma di ottimizzazione delle risorse disponibili e alla ricerca di nuove soluzioni non solo per contenere la spesa corrente, ma anche per impiegare in modo più razionale i fondi assegnati. Con decreto del Ministro dell'interno del 28 giugno 2011 è stata, infatti, istituita una Commissione con l'incarico di procedere allo studio ed alla analisi delle norme di cui alla legge n. 121 del 1981 nonché di formulare ipotesi progettuali di modifica normativa. L'obiettivo prioritario, in una ottica di revisione dell'amministrazione della pubblica sicurezza, è quello di:
     a) verificare lo stato della sicurezza sul territorio nazionale e di rispondenza tra i livelli di responsabilità attribuiti all'interno del Comparto e i poteri conferiti;
     b) verificare l'adeguatezza degli attuali assetti di responsabilità dell'amministrazione della pubblica sicurezza alle esigenze del contesto sociale di riferimento;
     c) individuare le nuove sfide per la sicurezza e i problemi emergenti;
     d) accertare l'efficienza dei meccanismi di coordinamento delle Forze di polizia e l'efficacia dei Piani coordinati di controllo del territorio;
     e) valorizzare il rapporto con gli enti territoriali di Governo, con particolare riferimento alle politiche integrate per la sicurezza, e verificare l'efficacia dei patti per la sicurezza e degli attuali meccanismi di sicurezza partecipata;
     f) razionalizzare e ottimizzare il dispositivo attraverso una ridistribuzione sul territorio dei presidi di polizia;
     g) riorganizzare i comparti di specializzazione, distribuendo in modo più netto e preciso le competenze, allo scopo di assicurare e valorizzare le singole specificità di ciascuna forza di polizia, in un contesto di differenziazione degli ambiti operativi;
    è sempre più urgente adottare misure che favoriscano la condivisione delle risorse umane, professionali, organizzative, formative e tecniche interne all'apparato pubblico con un fattivo scambio di conoscenze tra corpi di polizia nazionali e locali, nonché procedere ad un acquisto comune di attrezzature, vestiario e beni di consumo al fine di ottimizzare e rendere più trasparente ogni voce di spesa, orientata al razionale risparmio dei costi di gestione. Si pensi, ad esempio, all'esperienza positiva della scuola di perfezionamento delle Forze di polizia prevista dall'articolo 22 della legge n. 121 del 1981: in un'ottica di razionalizzazione, questo modello dovrà essere esteso a tutte le scuole di formazione esistenti sul territorio, al fine di evitare dispendiosi periodi di missione fuori regione per l'espletamento di corsi di aggiornamento o di formazione, e garantire percorsi formativi comuni per quanto concerne il normale e comune servizio di polizia, e periodi di stage mirati nelle sedi operative per le specializzazioni del servizio. Ed ancora: l'utilità del numero unico delle emergenze è oramai cosa nota in tutta Europa e per questo ci si dovrà orientare su centrali operative interforze distribuite seguendo criteri commisurati alle esigenze logistiche e funzionali del territorio (città metropolitane, provinciali, regionali e/o interregionali);
    la razionalizzazione del sistema della pubblica sicurezza dovrà necessariamente iniziare dalle centrali operative interforze, dai servizi radiomobili e/o delle emergenze, dalla polizia di prossimità, dalle scuole di formazione ed aggiornamento interforze e dalle specialità in seno ad ogni forza di polizia. Queste misure di riorganizzazione e ottimizzazione delle risorse porteranno un naturale ridispiegamento delle Forze dell'ordine sul territorio, a presidio ed a garanzia della sicurezza del cittadino e della collettività, nonché un imponente risparmio di risorse economiche,

impegna il Governo:

   ad avviare una razionalizzazione del sistema della pubblica sicurezza, per definire un percorso formativo/organizzativo/logistico ed operativo comune per tutte le Forze di polizia italiane – nazionali e locali – senza contrapposizioni o sovrapposizioni spesso dannose nella lotta al crimine e nella gestione dell'ordine pubblico, eliminando inutili sprechi di risorse umane, strumentali ed economiche;
   a fissare i criteri in base ai quali i presidi delle forze di polizia a competenza generale verranno ripartiti sul territorio nazionale tenendo conto che, nella medesima località – fatta eccezione per la capitale, i capoluoghi di regione e di provincia nonché alcune aree con specifiche esigenze di ordine e sicurezza pubblica – potrà essere presente un solo ufficio della polizia di Stato o comando dei carabinieri, e conseguentemente a definire gli interventi necessari per una più razionale dislocazione delle compagnie dell'Arma dei carabinieri e dei reparti speciali;
   a stabilire in base al criterio della specificità per materia le competenze dei diversi comparti presenti all'interno di ciascuna forza di polizia, tenuto conto delle pregresse esperienze;
   a riordinare le prefetture prevedendo, nelle aree metropolitane, specifiche strutture permanenti destinate al coordinamento provinciale delle Forze di polizia e nelle altre a rafforzare le competenze del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica;
   ad assumere iniziative per prevedere che le risorse finanziarie recuperate siano destinate:
    a) allo sviluppo di progetti di edilizia abitativa per la realizzazione di alloggi per le famiglie del personale;
    b) all'apertura di asili nido all'interno o nei pressi degli alloggi di servizio del personale;
    c) alla creazione di centri medici specialistici per il personale e i rispettivi familiari.
(1-00480) «Dambruoso, Andrea Romano, Rabino, Capua, Catania, Causin, Antimo Cesaro, Cimmino, Galgano, Matarrese, Mazziotti Di Celso, Monchiero, Quintarelli, Tinagli, Vargiu, Vecchio».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, per sapere – premesso che:
   il presidente della regione Calabria, Giuseppe Scopelliti, il 27 marzo 2014 è stato condannato in primo grado a 6 anni di reclusione con l'interdizione perpetua dai pubblici uffici per abuso d'ufficio e falso per la sua attività da sindaco di Reggio Calabria nell'ambito del cosiddetto processo «Fallara»;
   nelle ore immediatamente successive al diffondersi della notizia della condanna inflittagli da parte del Tribunale di Reggio Calabria, Scopelliti ha annunciato la sua volontà di dimettersi in numerose interviste agli organi di informazione;
   nonostante l'annuncio, le dimissioni di Scopelliti sono state effettivamente presentate solo un mese dopo, il 29 aprile, e non ancora discusse, ad oggi, in consiglio regionale, mentre il presidente ha continuato nel frattempo ad esercitare le sue funzioni;
   in data 30 luglio 2010 Scopelliti è stato anche nominato dal Governo dell'epoca, e riconfermato dai successivi governi, commissario straordinario per il rientro dal deficit sanitario della regione Calabria, funzione dalla quale non risulta essersi dimesso né sostituito da parte del Governo;
   Giuseppe Scopelliti si è candidato alle prossime elezioni europee nelle liste del NCD-UDC per l'Italia meridionale;
   il consiglio regionale della Calabria, che avrebbe dovuto sciogliersi a seguito delle dimissioni del presidente e consentire l'immediato ritorno alle urne da parte dei cittadini, è impegnato a prolungare con ogni mezzo la sua esistenza ed attività anche attraverso discutibili «pareri giuridici»;
   il testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità (cosiddetta legge Severino) all'articolo 8 «Sospensione e decadenza di diritto per incandidabilità alle cariche regionali» al comma 1, recita testualmente: «Sono sospesi di diritto dalle cariche indicate al comma 1 dell'articolo 7: a) coloro che hanno riportato una condanna non definitiva per uno dei delitti indicati all'articolo 10, comma 1, lettera a), b) e c)» e al comma 4: «A cura della cancelleria del tribunale o della segreteria del pubblico ministero i provvedimenti giudiziari che comportano la sospensione ai sensi del comma 1 sono comunicati al prefetto del capoluogo della regione che ne dà immediata comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri il quale, sentiti il Ministro per gli affari regionali e il Ministro dell'interno, adotta il provvedimento che accerta la sospensione. Tale provvedimento è notificato, a cura del prefetto del capoluogo della regione, al competente consiglio regionale per l'adozione dei conseguenti adempimenti di legge»;
   dall'insediamento di Scopelliti alla presidenza della regione Calabria nel 2010 sono stati arrestati il consigliere regionale Antonio Rappoccio eletto nella lista PRI – Scopelliti presidente per voto di scambio e truffa, il consigliere regionale Santi Zappalà eletto nella lista del PDL, e condannato, il 15 giugno 2011 dal gup di Reggio a quattro anni di reclusione per corruzione elettorale aggravata dalle modalità mafiose, il consigliere regionale Francesco Morelli eletto nelle liste del PDL nell'ambito di un'inchiesta della Dda di Milano per presunti rapporti con la cosca della ’ndrangheta Lampada-Valle;
   numerosi altri consiglieri e candidati nelle liste a sostegno di Scopelliti sono indagati o sono stati arrestati per reati altrettanto gravi negli ultimi tre anni e mezzo –:
   se il Governo non ritenga urgente ed indispensabile assumere le iniziative di competenza per la rimozione di Scopelliti da commissario straordinario per il rientro del deficit sanitario, procedendo alla sua immediata sostituzione;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare per garantire il pieno rispetto delle norme e, come previsto dalla legge, il ritorno al voto.
(2-00549) «Migliore, Fava, Costantino».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, SEGONI, TERZONI, ZOLEZZI, CANCELLERI, CURRÒ, DI BENEDETTO, D'UVA, DI VITA, GRILLO, LOREFICE, LUPO, MARZANA, NUTI, RIZZO e VILLAROSA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nell'ottobre del 2013, in seguito a diverse segnalazioni riguardanti la colorazione anomala delle acque alla foce del fiume Nocella – in corrispondenza con la confluenza tra detto fiume e il torrente Puddastri – l'ARPA Sicilia ha condotto delle analisi e ha informato dei risultati i sindaci dei comuni di Borgetto, Giardinello, Montelepre, Partinico e Terrasini (provincia di Palermo), sottolineando che «Dall'esame dei parametri si rileva in tutti i campioni una significativa presenza di Escherichia Coli derivante, ovviamente, dallo scarico di acque reflue urbane da impianti di depurazione non strutturati per l'idoneo abbattimento della carica batterica. A ciò occorre aggiungere che i corpi idrici in questione hanno una portata naturale limitata rispetto a quella degli scarichi ricevuti, talché la loro capacità auto depurativa risulta notevolmente compromessa»;
   i tratti di mare e di costa ubicati nei comuni di Terrasini e di Trappeto, in particolare in corrispondenza della foce del fiume Nocella, sono stati censiti tra quelli permanentemente non balneabili dal piano di tutela delle acque in Sicilia approvato con ordinanza n. 333 del 24 dicembre 2008 del commissario delegato per l'emergenza bonifiche e la tutela delle acque in Sicilia;
   il fiume Nocella e il bacino idrografico omonimo si immettono nel mare in corrispondenza del golfo di Castellammare che, in particolar modo, nel tratto che va da Castellammare a Terrasini presenta processi di eutrofizzazione, persistente torbidità delle acque e alti indici di inquinamento causati, tra gli altri, proprio dagli scarichi civili e industriali condotti al mare dallo stesso fiume Nocella;
   il suindicato corso d'acqua attraversa i territori confinanti con il perimetro del sito d'interesse comunitario ITA 020021 «Montagna Longa, Pizzo Montanello» ai sensi della direttiva 92/43/CEE «Habitat», nonché di quello identificato con il codice ITA010015 – «Complesso Monti di Castellammare del Golfo», terminando così la propria corsa verso il mare nel Golfo di Castellammare presso la spiaggia di San Cataldo, in prossimità del SIC ITA 020009 «Cala Rossa e Capo Rama»;
   ai sensi dell'articolo 2 della direttiva «Habitat – Rete Natura 2000», gli Stati membri sono obbligati a contribuire a salvaguardare la biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali, nonché della flora e della fauna selvatiche nel territorio europeo;
   a tal uopo gli Stati membri hanno un obbligo di risultato e devono adottare le opportune misure per evitare nelle zone speciali di conservazione il degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie, nonché la perturbazione delle specie per cui le zone sono state designate, nella misura in cui tale perturbazione potrebbe avere conseguenze significative per quanto riguarda gli obiettivi della direttiva;
   a tutt'oggi, i Siti di importanza comunitaria siciliani non sono stati ancora designati come Zone speciali di conservazione (ZSC), al fine di assicurare – in base a quanto stabilito dalla direttiva habitat la connessione e la creazione della rete ecologica europea, nonché il ripristino o il mantenimento degli habitat naturali e delle specie di interesse comunitario in uno stato di conservazione soddisfacente;
   né risulta che la regione siciliana abbia posto in essere opportune misure regolamentari, amministrative o contrattuali, che in assenza di piani di gestione ad hoc possano raggiungere il risultato richiesto;
   ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 2, della medesima direttiva, sarebbero dovute essere adottate le opportune misure per evitare nelle zone speciali di conservazione il «degrado» degli habitat naturali e degli habitat di specie, nonché la «perturbazione» delle specie per cui le zone sono state designate, nella misura in cui tale perturbazione potrebbe avere conseguenze significative per quanto riguarda gli obiettivi indicati nella direttiva;
   non v’è chi non veda l'evidenza della probabilità dell'esistenza della «perturbazione» significativa dei siti d'interesse comunitario contigui al passaggio e alla terminazione del fiume Nocella, con conseguente obbligo di porre in essere misure correttive idonee, laddove risulta acclarata l'importante compromissione delle acque dello stesso, causata dal copioso sversamento in esso dei reflui industriali ed urbani che raggiungo assieme alle acque fluviali il golfo di Castellammare e il vicinissimo SIC di Cala Rossa e Capo Rama;
   a ciò si aggiunga l'assenza di informazioni riguardo l'eventuale «degrado» dei siti d'interesse comunitario adiacenti ed interessati indirettamente dal corso del fiume Nocella, valutato secondo la stabilità o l'estensione dinamica dell'area di ripartizione naturale dei siti d'interesse comunitario e delle loro superfici;
   ciò si sarebbe dovuto accertare con il monitoraggio sullo stato di conservazione degli habitat e delle specie in essi presenti, rispetto alla coerenza ecologica della rete, sia sotto il profilo dello stato iniziale al momento della trasmissione delle informazioni fornite alla Commissione europea, nei formulari standard Natura 2000, nei casi di stato di conservazione soddisfacente, altrimenti rispetto alla finalità di migliorare lo stato di conservazione dichiarato al momento della costituzione della rete;
   l'inquinamento del fiume Nocella avrebbe dovuto essere oggetto di uno studio analitico mirato a comprendere se le strutture dei SIC suindicati, pur non ricomprendendo direttamente il passaggio del corso d'acqua, nonché le funzioni specifiche, necessarie al loro mantenimento a lungo termine, fossero presenti e potessero «continuare ad esistere in un futuro prevedibile», dovendo considerare «degrado» qualsiasi alterazione negativa dei fattori necessari per il mantenimento a lungo termine degli habitat;
   allo stato, non risulta che sia stato rispettato l'obbligo, stabilito dall'articolo 11 della direttiva Habitat, sorveglianza dello stato di conservazione delle specie e degli habitat presenti nei siti coinvolti;
   a conferma della gravità della situazione ambientale, nel 2003, il Golfo Castellammare è stato identificato tra le undici aree sensibili a rischio di eutrofizzazione, rispetto alle quali la Commissione della Comunità europea [parere motivato n.c. (2003)2435], ha aperto una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia per non aver provveduto – in violazione dell'articolo 5 della Direttiva 91/271/CEE – alla designazione delle aree sensibili e all'individuazione dei bacini drenanti;
   in relazione alla procedura di infrazione citata nel punto precedente, e per adempiere a quanto previsto dalla direttiva comunitaria 91/271/CEE nei tempi ristretti assegnati allora dalla Commissione, l'allora vice commissario per l'attuazione degli interventi diretti a fronteggiare la situazione di emergenza in materia di tutela delle acque superficiali e sotterranee e dei cicli di depurazione nell'intero territorio della regione Siciliana, Felice Crosta – con l'Ordinanza n. 65 TCI del 16 settembre 2003 – ha designato il Golfo di Castellammare quale area sensibile ai sensi del Titolo III all. 6 del decreto legislativo n. 152 del 1999;
   con la stessa ordinanza, il vice-commissario ha approvato il programma degli interventi da realizzare, tra gli altri, nei citati comuni di Borgetto, Partinico, per la riqualificazione dei corpi idrici ricettori nell'area sensibile, stabilendo che lo stesso programma dovesse essere aggiornato annualmente in relazione ai dati del monitoraggio dei corpi idrici;
   successivamente, nel 2007, la Commissione è tornata a chiedere all'Italia informazioni dettagliate riguardanti l'attuazione della Direttiva 91/271/CEE che – come è noto – ha come obiettivo quello di assicurare il trattamento appropriato delle acque reflue urbane al fine di prevenire conseguenze negative sull'ambiente e sulla salute dei cittadini dell'Unione europea;
   in seguito, sulla base dei dati trasmessi dalle autorità italiane, il 26 giugno 2009, la Commissione ha indirizzato al Governo italiano una lettera di costituzione in mora (rif. SG Greffe (2009)D/3700) per cattiva applicazione degli articoli nn. 3, 4, 5 e 10 della Direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane, in un numero significativo di agglomerati con più di 10.000 a.e. che scaricano in aree sensibili o loro bacini drenanti, e successivamente, il 20 marzo del 2011, ha emesso un parere motivato invitando le autorità nazionali ad adottare, entro i due mesi successivi, i provvedimenti necessari ad ottemperare agli obblighi previsti;
   negli allegati dello stesso parere motivato, si elencavano 159 agglomerati – tra i quali sono compresi quelli di Cinisi, Partinico, Terrasini e Trappeto bagnati dal citato fiume Nocella oltre che quello di Castellammare che si affaccia sul golfo omonimo – che, sulla base delle informazioni trasmesse dalle autorità italiane, continuavano a scaricare le acque reflue urbane in aree sensibili, senza rispettare le prescrizioni fissate dalla direttiva 91/271/CEE, e dunque ben oltre la scadenza del termine del 31 dicembre 1998 stabilito dalla stessa direttiva;
   alla luce delle informazioni trasmesse dal Governo italiano in riscontro al parere motivato citato sopra, il 23 gennaio 2014, la Commissione ha ritenuto che per 50 dei 159 agglomerati elencati nello stesso parere motivato ci fossero gli elementi sufficienti per chiedere alla Corte di giustizia europea di dichiarare l'Italia inadempiente rispetto agli obblighi fissati dalla Direttiva 91/271 concernenti la raccolta e il trattamento delle acque reflue urbane scaricate in aree sensibili;
   ad esito del ricorso promosso dalla Commissione, ed alla luce degli ulteriori elementi emersi durante il contenzioso, il 10 aprile 2014, la Corte di giustizia europea ha dichiarato che la Repubblica Italiana «è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell'articolo 3 e/o dell'articolo 4 e/o dell'articolo 5 nonché dell'articolo 10 della direttiva 91/271, come modificato dal regolamento n. 1137/2008»;
   la predetta statuizione è motivata dalla stessa Corte attraverso l'individuazione degli agglomerati con un numero di abitanti equivalenti superiori a 10 mila abitanti equivalenti rispetto ai quali la Repubblica Italiana ha omesso di assumere le disposizioni necessarie affinché venisse assicurato il rispetto delle disposizioni della direttiva citata;
   tra gli agglomerati elencati nel dispositivo della sentenza della Corte europea di giustizia, sono compresi quelli di:
    a) Castellammare del Golfo I, Cinisi, Terrasini perché le acque reflue urbane provenienti da agglomerati con più di diecimila abitanti equivalenti confluenti in reti fognarie non vengono sottoposte, prima dello scarico, ad un trattamento secondario o ad uno equivalente, in violazione dell'articolo 4 della direttiva 91/271;
    b) Castellammare del Golfo I, Cinisi, Partinico, Terrasini e Trappeto perché le acque reflue urbane provenienti da agglomerati con più di diecimila abitanti equivalenti e scaricanti in acque recipienti considerate «aree sensibili» non vengono sottoposte, prima dello scarico, ad un trattamento più spinto di quello secondario o ad uno equivalente, in violazione dell'articolo 5 della Direttiva 91/271;
    c) Castellammare del Golfo I, Cinisi, Partinico, Terrasini e Trappeto perché la progettazione, la costruzione e la manutenzione degli impianti di trattamento delle acque reflue non sono state condotte in modo da assicurare prestazioni sufficienti in condizioni climatiche locali normali e perché la progettazione degli stessi impianti non tiene conto delle variazioni stagionali di carico, in violazione degli articoli da 4 a 7 della direttiva 91/271;
   con riferimento alla questione della tutela delle acque superficiali e sotterranee e dei cicli di depurazione – rispetto alla quale vanno correttamente inquadrate le informazioni riportate sopra – con l'ordinanza del Ministro dell'interno, delegato per il coordinamento della protezione civile, n. 2983 del 31 maggio 1999, successivamente modificata ed integrata, è stato dichiarato lo stato di emergenza nel territorio della regione Sicilia nel settore dello smaltimento dei rifiuti urbani, speciali e speciali pericolosi, della bonifica e del risanamento ambientale dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinanti, nonché della tutela delle acque superficiali e sotterranee e dei cicli di depurazione;
   con la successiva ordinanza del Ministero dell'interno delegato per il coordinamento della protezione civile del 25 maggio 2001, n. 3136, recante ulteriori disposizioni per fronteggiare l'emergenza soprarichiamata, è stato altresì stabilito che «Il commissario delegato – presidente della Regione siciliana predispone ed approva il piano di tutela delle acque di cui all'articolo 44 del decreto legislativo 11 maggio n. 152, per l'intero territorio regionale»;
   nel Piano di tutela delle acque – predisposto e approvato in forza della disposizione citata al punto precedente con la citata ordinanza del commissario delegato n. 333 del 24 dicembre 2008 – tra le altre cose sono stati individuati (All. E.I. Elenco degli interventi per il miglioramento dei bacini idrografici) gli interventi da realizzare per la riqualificazione del bacino idrografico del Nocella e dei bacini minori tra Nocella e Jato con riferimento ai comuni di Borgetto, Giardinello, Montelepre, Partinico e Trappeto;
   con l'ordinanza del capo dipartimento della protezione civile n. 44 del 29 gennaio 2013 – in merito alla quale si intendono richiamati le premesse ed i quesiti dell'interrogazione a risposta scritta 4-02858 – dopo la scadenza dello stato di emergenza, è stato regolato il subentro della regione siciliana al commissario delegato per il completamento degli interventi da eseguirsi in materia di bonifica e risanamento ambientale dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinati nonché in materia di tutela delle acque superficiali e sotterranee dei cicli di depurazione;
   tra gli agglomerati per i quali l'Italia è stata nuovamente condannata dalla Corte europea di giustizia, dunque, sono compresi quelli di Castellammare del Golfo I, Cinisi, Partinico, Terrasini e Trappeto nei quali l'esercizio delle competenze in materia di tutela delle acque superficiali e sotterranee e dei cicli di depurazione è stato delegato a una struttura commissariale – in forza della dichiarazione dello stato di emergenza prorogato per più di un decennio, e con poteri appositamente definiti da successive ordinanze di protezione civile – e successivamente, allo scadere dello stato di emergenza, alla regione siciliana, con le modalità previste dalla citata ordinanza n. 44 del 2013 –:
   se e quali azioni intenda intraprendere, alla luce dell'elevato grado di inquinamento del fiume Nocella, affinché vengano tempestivamente adottate tutte le misure necessarie a garantire il rispetto della normativa comunitaria in ordine all'obbligo di conservazione dei siti d'interesse comunitario individuati dalla direttiva 43/92/CEE «Habitat – Rete Natura 2000» e identificati come ITA 020021 «Montagna Longa, Pizzo Montanello», ITA010015 – «Complesso Monti di Castellammare del Golfo», nonché ITA 020009 «Cala Rossa e Capo Rama» anche al fine che venga scongiurato un evidente pericolo di apertura di un'ulteriore procedura d'infrazione nei confronti dell'Italia;
   quali azioni intenda altresì intraprendere per quanto di competenza al fine di garantire uno stato di conservazione soddisfacente dei tipi di habitat naturale e di specie presenti nei suindicati siti d'interesse comunitario, e scongiurare così il rischio che siano colpiti da degrado dell'habitat e perturbazione delle specie, a causa del comprovato elevato grado di inquinamento del fiume Nocella e del torrente Puddastri, nonché garantire senza ulteriore indugio il riconoscimento e la istituzione delle Zone di Conservazione Speciale in quell'area come imposto dalla Direttiva 92/43/ CEE;
   quali azioni intenda intraprendere in ossequio alle disposizioni di cui all'articolo 11 direttiva 92/43/ CEE che impone l'obbligo allo Stato membro di garantire lo stato di conservazione delle specie e degli habitat di cui all'articolo 2 della medesima direttiva, tenendo particolare conto dei tipi di habitat naturali e delle specie prioritarie;
   se nelle relazioni trasmesse, rispettivamente, in base ai commi 3 e 6 dell'articolo 1 della citata ordinanza n. 44/2013, il Presidente della regione commissario delegato pro tempore e il dirigente generale del dipartimento dell'acqua e dei rifiuti dell'assessorato regionale dell'energia e dei servizi di pubblica utilità abbiano dato conto della corretta attuazione, tra le altre cose:
    a) del programma di azione per la riqualificazione dei corpi idrici ricettori nell'area sensibile «Golfo di Castellammare» di cui all'ordinanza del vice commissario n. 65/TCI del 16 settembre 2003, e dei successivi aggiornamenti;
    b) degli interventi per il miglioramento del bacino idrografico Nocella e dei bacini minori tra Nocella e Jato elencati nel Piano di tutela delle acque in Sicilia, di cui all'ordinanza del commissario delegato n. 333 del 24 dicembre 2008;
   se nelle relazioni inviate dal dirigente generale del dipartimento dell'acqua e dei rifiuti – che in base alla citata ordinanza n. 44/2013 è il soggetto al quale è stata intestata la contabilità speciale e che è stato individuato quale responsabile delle iniziative finalizzate al definitivo subentro della regione alla struttura commissariale – siano state fornite informazioni aggiornate e circostanziate in merito agli interventi realizzati, in corso di realizzazione e da realizzare per la riqualificazione del bacino idrografico del Nocella e dell'area sensibile «Golfo di Castellammare»;
   se il direttore generale del dipartimento dell'acqua e dei rifiuti dell'assessorato dell'energia e dei servizi di pubblica utilità della regione siciliana – entro il termine previsto dall'articolo 1 comma 12 dell'Ordinanza n. 44/2013 – abbia provveduto a chiudere la contabilità speciale e a trasmettere al dipartimento della protezione civile una relazione conclusiva sulle attività svolte;
   se nella relazione di chiusura della contabilità speciale, di cui al punto precedente, sia stata evidenziata la presenza di fondi residui utilizzabili per realizzazione degli interventi necessari ad assicurare, negli agglomerati di Castellammare del Golfo I, Cinisi, Partinico, Terrasini e Trappeto il pieno rispetto delle disposizioni della direttiva 914/271, per violazione delle quali l'Italia è stata condannata dalla Corte europea di giustizia;
   se lo stesso commissario delegato abbia provveduto a predisporre e a trasmettere il rendiconto, con l'indicazione di tutte le entrate e tutte le spese riguardanti l'intervento delegato – come prescritto dall'articolo 5 comma 5-bis della legge n. 225 del 1992 – e non solo quelle relative all'ultimo esercizio finanziario;
   se non ritengano necessario valutare ove, come nel caso in questione, dal mancato completamento degli interventi necessari al superamento dello stato di emergenza sussistono i presupposti per una condanna da parte della Corte europea di giustizia ai danni dell'Italia – se esercitare i poteri sostitutivi nelle forme previste dall'articolo 5 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e dall'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131. (5-02874)


   MANLIO DI STEFANO, DELLA VALLE, SPADONI, SIBILIA, DI BATTISTA, SCAGLIUSI, DEL GROSSO e GRANDE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   nel dicembre 2013 la famiglia Selini, in merito al blocco imposto dal Governo kirghiso sul sistema delle adozioni internazionali, ha pubblicato online la seguente lettera aperta:
    «Nel giugno del 2012 siamo volati in Kirghizistan per incontrare nostro figlio Vladimir. Con lui abbiamo trascorso una settimana indimenticabile nella quale siamo diventati una famiglia. Come indicava la procedura, dopo sette giorni, siamo ripartiti lasciando il nostro bambino in orfanotrofio fino a quello che doveva essere il «secondo viaggio», quello che avrebbe permesso alla nostra famiglia di accogliere Vladimir in Italia e di iniziare una nuova meravigliosa avventura di vita insieme. A causa di uno gravissimo scandalo sulle adozioni internazionali in Kirghizistan, all'inizio del 2013, abbiamo ricevuto la notizia ufficiale che il Paese era stato «chiuso» dalla Commissione per le Adozioni Internazionali e che soprattutto il nostro Vladimir non sarebbe mai potuto diventare ufficialmente nostro figlio.
    Di lui, del suo destino, della sua vita non sappiamo più nulla da quel momento. Le istituzioni non hanno mai più comunicato alla nostra famiglia nessuna notizia sul destino di quello che sentiremo sempre come nostro figlio.
    Per quello che ci è dato sapere (ci piacerebbe tanto essere smentiti) lo Stato italiano non ha messo in atto alcuna azione volta a sincerarsi delle condizioni di Vladimir successivamente alla «chiusura» del Paese. La nostra famiglia ha chiesto alle istituzioni di aprire un canale di comunicazione con il Kirghizistan volto a comprendere la situazione di Vladimir.
    Per ora non abbiamo ottenuto alcuna risposta. Eppure non vogliamo cedere all'idea che nulla venga fatto, che uno Stato che si dichiara «civile» come il nostro si disinteressi del destino di quel bambino. Non vi è alcuna vena polemica in queste nostre parole, vogliamo solo provare a capire.
    Sappiamo, ci siamo rassegnati al fatto, che Vladimir non diventerà mai nostro figlio (e ancora oggi scrivere questo concetto ci strappa il cuore), ma riteniamo assolutamente necessario che lo Stato italiano agisca al fine di permetterci di sapere le attuali condizioni di vita del bambino e se sarà possibile, aiutarci a creare una collaborazione con lo stato Kirghiso e con le organizzazioni umanitarie, volta a sostenere a distanza quel figlio che sentiamo e sentiremo sempre nostro.
    Lo Stato italiano ci aiuti ad aiutare Vladimir !
    Fam. Selini» –:
   come il Governo intenda intervenire per dare una risposta a questa e alle altre famiglie coinvolte in questa triste vicenda;
   quali iniziative diplomatiche intenda mettere in atto per riprendere i contatti con le autorità kirghise al fine di conoscere le attuali condizioni dei minori coinvolti e, laddove necessario, di prevedere un «sostegno a distanza» per gli stessi.
(5-02875)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RONDINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   le cronache quotidianamente riportano di incidenti stradali dove sono coinvolte persone che guidano sotto l'effetto di alcol e stupefacenti;
   si riportano anche episodi dove gli automobilisti dopo gli eventi non soccorrono le vittime, dandosi alla fuga;
   la zona est di Milano è tra le più colpite da questi eventi drammatici, basti ricordare l'ultimo incidente che ha coinvolto il giovane Donato di Nicola di Melzo e come dimenticare la giovanissima Beatrice Papetti di Gorgonzola;
   da tempo le associazioni delle vittime della strada chiedono una normativa ad hoc che permetta pene certe e più severe per scoraggiare comportamenti irresponsabili alla guida;
   il Presidente del Consiglio Renzi, nei suoi discorsi al Parlamento, ha espresso chiaramente la volontà sua e del Governo di intervenire;
   numerose proposte risultano depositate nei due rami del Parlamento –:
   se il Presidente del Consiglio ed il Ministro della giustizia, essendo a conoscenza della situazione, non intendano intervenire predisponendo le misure necessarie per il contenimento del fenomeno e a tutela delle vittime, soprattutto assumere iniziative per introdurre la figura dell'omicidio stradale e misure di restrizione della libertà certe anche in attesa di giudizio. (4-04940)


   DI LELLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   come è noto, stante le numerose polemiche che ha determinato tale decisione, il comune di Pomezia ha proposto, attraverso uno specifico capitolato d'appalto, due menù per i bambini, uno leggermente più caro, per le famiglie che possono permetterselo, ed uno più economico per gli altri, ma, in questo caso, senza il dolce;
   tale scelta ha provocato una forte preoccupazione nell'opinione pubblica e negli stessi operatori della scuola che hanno intravisto in ciò un episodio con una forte connotazione discriminatoria capace di creare problemi negli alunni;
   è facilmente comprensibile il disagio degli alunni più «poveri» che si troverebbero a vivere una incredibile situazione di disuguaglianza proprio nella scuola che dovrebbe rappresentare il primo luogo in cui si insegna solidarietà e uguaglianza ai bambini;
   appare del tutto inadeguata la spiegazione fornita dal sindaco e dalla giunta della città secondo la quale tale scelta sarebbe stata operata in accordo con i rappresentanti dei genitori, perché con tale comportamento si sono allargate, la discriminazione e la divisione anche tra i genitori con quelli più «poveri» che si sentiranno colpevolizzati dal fatto di non riuscire a pagare per un pranzo completo;
   oltretutto, non si comprende come questa avvilente discriminazione sul dolce, possa risanare le casse del bilancio comunale; conseguentemente è facilmente deducibile la volontà politica e il messaggio che l'amministrazione comunale di Pomezia intende lanciare e cioè che i servizi essenziali per la cittadinanza non sono più a disposizione di tutti ma solo di chi ha i soldi per permetterseli annullando ogni forma di convivenza civile;
   quanto accaduto ad avviso dell'interrogante va al di là dei limiti dell'autonomia scolastica e rientra, piuttosto, in una preoccupante «svolta» che alcune forze politiche intendono determinare nel nostro Paese andando a ledere alcuni principi fondamentali sanciti dallo stesso dettato costituzionale –:
   quali iniziative di competenza, ferma restando l'autonomia degli istituti, il Ministro interrogato intenda assumere a sostegno dei nuclei familiari meno abbienti, anche mediante la destinazione di specifiche risorse, stante il fatto innegabile che i diritti dei bambini, oltretutto all'interno di una struttura scolastica pubblica, non possono essere violati e che nessuno, in nome, dell'autonomia scolastica, può fare vivere loro inaccettabili e avvilenti situazioni di discriminazione sociale. (4-04945)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   BRUNETTA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 208 del decreto legislativo del 3 aprile 2006 n. 152 regolamenta il rilascio della autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti; la citata disposizione disciplina in modo chiaro e tassativo l'intero iter procedurale per l'ottenimento della suddetta autorizzazione, e individua le condizioni e le prescrizioni necessarie per garantire l'attuazione dei principi di cui all'articolo 178 del medesimo testo unificato ambiente;
   a norma dell'articolo 208, l'autorizzazione contiene almeno i seguenti elementi: tipi e quantitativi di rifiuti da smaltire o da recuperare; i requisiti tecnici con particolare riferimento alla compatibilità del sito, alle attrezzature utilizzate, ai tipi ed ai quantitativi massimi di rifiuti ed alla conformità dell'impianto al progetto approvato; le misure precauzionali e di sicurezza da adottare; la localizzazione dell'impianto da autorizzare; il metodo di trattamento e di recupero; le disposizioni relative alla chiusura e agli interventi ad essa successivi che si rivelino necessarie; le garanzie finanziarie richieste per l'avvio e per la gestione dell'impianto; la data di scadenza dell'autorizzazione; i limiti di emissione in atmosfera per i processi di trattamento termico dei rifiuti, anche accompagnati da recupero energetico;
   l'articolo 178 stabilisce che la gestione dei rifiuti è effettuata conformemente ai principi di precauzione, di prevenzione, di sostenibilità, di proporzionalità, di responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell'utilizzo e nel consumo di beni da cui originano i rifiuti, nonché del principio chi inquina paga. A tale fine la gestione dei rifiuti è effettuata secondo criteri di efficacia, efficienza, economicità, trasparenza, fattibilità tecnica ed economica, nonché nel rispetto delle norme vigenti in materia di partecipazione e di accesso alle informazioni ambientali;
   nella gestione dei rifiuti è necessario assicurare un'elevata protezione dell'ambiente e controlli efficaci, tenendo conto della specificità dei rifiuti pericolosi; i rifiuti devono essere recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all'ambiente e, in particolare: senza determinare rischi per l'acqua, l'aria, il suolo, nonché per la fauna e la flora; senza causare inconvenienti da rumori o odori; senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse, tutelati in base alla normativa vigente;
   la direttiva europea 2008/98/CE del Parlamento europeo del 19 novembre 2008 stabilisce un quadro giuridico per il trattamento dei rifiuti all'interno dell'Unione. Essa mira a proteggere l'ambiente e la salute umana attraverso la prevenzione degli effetti nefasti della produzione e della gestione dei rifiuti;
   si fa riferimento a quanto disposto dalle determinazioni rilasciate alla società Adrastea srl con sede legale in Roma alla piazza Benedetto Cairoli 2, e con sede operativa e discarica in Roma località Porta Medaglia alla via Giovanni Canestrini: B 4993 del 23 dicembre 2008; B 0528 del 23 febbraio 2009; B 3697 del 13 agosto 2009; B 6133 del 27 novembre 2009; B 6278 del 4 dicembre 2009; B 09240 del 3 dicembre 2012; B 03571 del 14 giugno 2012 (di rigetto); B 05175 del 20 giugno 2013;
   risale all'8 luglio 2013 il progetto di aggiornamento dell'autorizzazione integrata ambientale relativa al complesso impiantistico per il trattamento dei rifiuti e recupero volumetrico dell'annessa discarica;
   anche in base ad un esposto redatto da alcuni cittadini residenti nella suddetta località e trasmesso ai competenti uffici amministrativi, allegando una dettagliata documentazione in merito, sembrerebbe che la sopracitata società abbia avviato le lavorazioni per la realizzazione di una nuova vasca di collegamento tra le vasche già autorizzate –:
   se le suddette lavorazioni siano state autorizzate dai competenti enti amministrativi, e se siano dotate del necessario e preliminare parere paesaggistico del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (in particolare per quanto previsto dal cosiddetto decreto Bondi);
   se risulti se nell'esecuzione delle suddette lavorazioni le terre di sbancamento nella realizzazione della vasca di congiunzione siano state stoccate sedime di discarica e del confine di proprietà;
   se per le suddette lavorazioni siano state osservate le quote altimetriche autorizzate;
   se le acque di percolazione della discarica siano gestite in modo conforme alle autorizzazioni, e non sversate nel fosso limitrofo con conseguente inquinamento dei terreni e delle falde –:
   conclusivamente se i Ministri interrogati abbiano elementi tali da garantire, con assoluta certezza, che nella discarica in esame siano state ottenute e rispettate tutte le autorizzazioni previste dalla normativa vigente;
   se i Ministri siano a conoscenza delle osservazioni critiche e preoccupanti riportate in premessa, e quali siano le iniziative che intendano porre in essere per verificare e chiarire la situazione, accertando, per quanto di competenza e anche per il tramite del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, il rispetto e l'osservanza delle autorizzazioni rilasciate sia in termini di volumetria che di tipologia e trattamento degli stessi rifiuti;
   quali opportune iniziative i Ministri intendano adottare al fine di garantire alla città di Roma che in nessun caso sarà consentito un trattamento dei rifiuti anche inerti non perfettamente rispondente alle normative europee e nazionali;
   se intendano acquisire e pubblicare le immagini attuali e storiche, da satellite e da aerofotorilevazioni, del sito in questione. (3-00838)

Interrogazione a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   già ne primi anni Duemila il dipartimento di epidemiologia dell'Asl RM/E, nel corso di un'analisi volta ad accertare lo stato di contaminazione causato dai rifiuti tossici degli insediamenti industriali esistenti nella Valle del Sacco, verificò che almeno cinquecento cittadini residenti a ridosso del fiume Sacco, tra le province di Roma e Frosinone, presentavano livelli nel sangue di beta esaclorocicloesano di molto superiori alla media. Delle 440 persone individuate e contattate, secondo le stime del tempo, il 55 per cento dei casi risultava contaminato in maniera praticamente irreversibile;
   il beta esaclorocicloesano (β-HCH) è un prodotto di sintesi del lindano, un fitofarmaco bandito nel 2001 perché potenzialmente nocivo per la salute umana e animale e altamente inquinante. Il β-HCH ha una vita lunga, è solubile nei grassi e non può essere metabolizzato dal corpo umano. Pare che nelle donne possa venire espulso ma solo durante l'allattamento mettendo a rischio la salute del bambino. Un'acuta esposizione al β-HCH sia negli uomini che negli animali può provocare gravi danni al sistema nervoso centrale e molti studi correlano l'esposizione a questa sostanza tossica all'insorgere di diabete, di problemi funzionali alla tiroide e all'apparato riproduttivo. Lo stesso dipartimento dell'Asl RM/E rilevò allora un aumento del tasso dei tumori per quei lavoratori dell'area industriale di Colleferro, esposti a sostanze tossiche quali prodotti chimici e amianto;
   quella che emerse nella Valle del Sacco fu una vera e propria emergenza ambientale. Da qui, nel 2006, fu dichiarato lo «stato di emergenza socio-economico-ambientale» per la Valle del Sacco, e, in  particolare, per  i  comuni  di Colleferro, Gavignano, Segni, Paliano, Anagni, Sgurgola, Morolo, Supino, Ferentino, poi prorogato a più riprese fino ad oggi;
   il dato più preoccupante che emerge dallo studio citato è che la contaminazione non riguarda più solo le popolazioni che vivono a ridosso del fiume, si pensa che ancora avvenga anche attraverso la catena alimentare (carni, latte, verdure, formaggi), facendo temere così, a distanza di anni, un notevole aumento della popolazione contagiata o a rischio di contagio;
   fin dai primi del Novecento la zona della Valle del Sacco ha avuto uno sviluppo industriale non adeguatamente controllato, aiutato a partire dagli anni ’50 dal suo inserimento nelle aree finanziate dalla Cassa per il Mezzogiorno. Il grande afflusso di capitali e finanziamenti verso quelle aree indusse molte imprese chimiche e farmaceutiche a costruire impianti in quella zona. Già prima un'antica industria nazionale, la Snia Bdp, aveva lì il proprio stabilimento dove si mescolavano al fine di produrre esplosivi per le guerre mondali, pesticidi e altro, sostanze chimiche molto dannose e amianto. Nel 1990 la procura di Velletri ordinò la perimetrazione e il sequestro dell'area industriale ex Bpd di Colleferro, scoprendo centinaia di fusti tossici interrati nelle discariche Arpa 1, Arpa 2 e Cava di Pozzolana. Nel 1992 inizia il processo a carico della Bpd Difesa e Spazio e della Chimica del Friuli con l'accusa di «stoccaggio e smaltimento non autorizzato di rifiuti speciali», unito al timore che le sostanze tossiche interrate potessero aver contaminato la falda acquifera. Il procedimento si concluse con la condanna alla bonifica della zona. Dopo la chiusura della Snia Bpd, diverse altre industrie catalogate come pericolose sulla base della direttiva europea Seveso 2 hanno continuato ad operare nella zona;
   una testimonianza interessante fu quella di Luigi Mattei, operaio della zona di Colleferro dal 1962 al 1981, che raccontò come rifiuti di ogni tipo venivano condotti nelle discariche Arpa 1 e 2. Ricorda di avere lui stesso portato alle discariche fusti contenenti materiali liquidi tossici – fusti non sigillati, in molti casi arrugginiti e lesionati che venivano usati come semplici contenitori al solo scopo di trasportare i rifiuti di lavorazione – ma anche amianto, piombo, rame, zinco e resina. Il tutto veniva poi coperto da terreno preso dalle colline circostanti. Ricorda inoltre che molti rifiuti interrati venivano anche da altre fabbriche. Il signor Mattei sostiene, inoltre, che almeno fino al 1981 accanto ad ogni reparto di produzione (ad esempio, il reparto insetticida, agricolo, delle resine, dell'amianto) esistevano piccole discariche a cielo aperto dove venivano buttati i rifiuti di quella singola produzione. Oggi pare che quelle aree siano state coperte da nuove costruzioni, ma il signor Mattei, intervistato, non si sente di escludere che lì sotto possano trovarsi ancora resti di quei materiali tossici;
   sono numerosi, inoltre, i fattori di pressione antropica sull'importante via d'acqua rappresentata dal fiume Sacco. Sono 52 i comuni che consegnano i loro scarichi nel fiume Sacco o in qualche suo affluente, 27 completamente ed i restanti solo per una parte. Ed è subito evidente come sia fortissimo, eccessivo, il carico inquinante industriale: sul corpo idrico principale sono ben 88 gli scarichi industriali non trattati su un totale di 163 comprendendo quelli civili, oltre la metà quindi. È il più alto numero in assoluto per i 38 macro-bacini individuati dal recente piano di tutela delle acque della regione Lazio, con 663.458 gli abitanti equivalenti (AE) trattati da scarichi industriali, per un refluo annuo di oltre 17 milioni di metri cubi. Un altro primato del Sacco è quello relativo ai fondi necessari per l'ammodernamento degli impianti industriali: oltre 100 milioni di euro, la cifra più alta a livello regionale;
   a questi dati si aggiungono quelli relativi agli scarichi urbani e civili: sono 75 gli scarichi, 251.076 gli abitanti equivalenti, scarsamente depurati, visto che il 32,15 per cento della popolazione scarica direttamente nel fiume senza trattamento, e solo il 74,28 per cento della popolazione è servita da fognature. Visti questi dati non c’è da stupirsi nel trovare che in quattro stazioni sulle cinque monitorate i livelli degli indici di qualità delle acque siano davvero pessimi: l'IBE (indice biotico esteso), il LIM (livello inquinamento espresso da macrodescrittori) e il SECA (stato ecologico corsi acqua) sono sempre a valori elevatissimi, tra 4 e 5 che è il valore massimo;
   inquietanti sono anche i metri di schiuma bianca che più volte gli operatori dei telegiornali nazionali e regionali hanno filmato, anche nelle scorse settimane, nel fiume Sacco e che riportano alla mente i gravissimi fatti di inquinamento che hanno pesantemente colpito i cittadini, gli agricoltori e gli allevatori di quell'area, sin dal 2005;
   la prima segnalazione recente della presenza quest'anno di schiuma bianca sul fiume Sacco nella città di Ceccano risale al 23 marzo 2014, con il letto del fiume ricoperto da uno strato esteso di schiuma biancastra, che nel tratto del «Ponte Berardi» verso valle appariva ancora più visibile e compatto, tanto da nascondere quasi completamente il fluire dell'acqua del fiume. Da allora, nel mese di aprile e maggio 2014, quasi tutti i fine settimana si riscontra uno stato oleoso che galleggia sul fiume, con odori nauseabondi, l'ultima volta domenica, 18 maggio 2014. I sopralluoghi, le segnalazioni e gli esposti non sono riusciti fino ad ora a fermare il fenomeno, che sarebbe connesso direttamente, così come hanno accertato anche gli agenti della polizia municipale, a sversamenti industriali che si ripetono puntualmente nella notte tra sabato e domenica. Sono stati peraltro coinvolti gli agenti della municipale, che si sono attivati allertando l'Arpa, la polizia provinciale, la forestale ed i carabinieri;
   appartenente all'acquifero del sistema dei monti Lepini – gruppo dei monti Simbruini, Ernici, Cairo e delle Mainarde – acquifero minore del fiume Sacco, il bacino presenta un significativo indice di vulnerabilità dal punto di vista idrogeologico: il 29 per cento è infatti a vulnerabilità molto elevata, ponendo così il Sacco tra i primi 10 bacini maggiormente vulnerabili sui 38 complessi individuati, per il 16 per cento l'indice è elevato, per l'1 per cento alto, per il 31 per cento medio, per l'8 per cento basso e per il 15 per cento molto basso. Sono 157 le sorgenti presenti, con una portata abbastanza interessante: 32 maggiori di 20 litri/secondo, 108 minori di 20 litri/secondo, 17 senza dati, sono 46 le captazioni di pozzi ad uso idropotabile e 9 le captazioni di sorgenti ad uso idropotabile, per quanto riguarda i prelievi idrici acque sotterranee. Ma anche 28 le aree destinate ad attività estrattive, le cave, nel bacino;
   dai risultati di una passata indagine svolta dall'ARPA Lazio, nell'ambito di un monitoraggio nazionale sul latte, si apprende che sui suoli agricoli lungo tutta l'asta del fiume Sacco e in particolare nei comuni di Colleferro, Segni, Gavignano, in provincia di Roma, Paliano, Anagni, Ferentino, Sgurgola, Morolo e Supino, in quella di Frosinone, fu trovato β-HCH. In particolare, una concentrazione altissima fu rilevata in una zona del comune di Ceccano la quale, stranamente, aumenta man mano che ci si allontana dalle sponde del fiume Sacco – contrariamente a quanto avviene nelle altre zone interessate dall'indagine – e ci si avvicina a un'area sbancata ai tempi dei lavori della TAV. Pare infatti che la movimentazione dei terreni per la costruzione della linea ferroviaria veloce Roma-Napoli abbia comportato la movimentazione di grandi quantità di terreno disperdendo nell'aria le sostanze tossiche custodite nel terreno;
   molte sono le testimonianze riguardo alla pericolosità dei terreni movimentati durante la costruzione della Tav. Ad esempio il coltivatore Paolo Speziali ricorda: «Ci hanno chiesto se potevano darci terreno vegetale per un rinterro. Io ho chiesto alla Tav di fare delle analisi per controllare che non ci fossero sostanze inquinanti». Le analisi effettuate dalla Tecnoprogetti srl mostravano che la terra era non contaminata. «La Tav aveva incaricato un laboratorio privato – continua a spiegare Paolo Speziali – che ha analizzato i campioni di terra presa dai cantieri. Mi hanno portato la terra assieme alle analisi negative, e invece c'era il β-HCH»;
   è utile ricordare anche il noto episodio del 2005 che ha riguardato la morte di mucche a causa di arsenico presente in uno degli affluenti del fiume Sacco. A seguito di tale accadimento è stato dichiarato lo stato di emergenza socio-economico-ambientale, con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 19 maggio 2005, per il territorio che comprende i comuni di Colleferro, Segni e Gavignano in provincia di Roma, e i comuni di Paliano, Anagni, Ferentino, Sgurgola, Morolo e Supino, in provincia di Frosinone. Di questo territorio si è occupato l'ufficio commissariale per l'emergenza nel territorio del bacino del fiume Sacco tra le province di Roma e Frosinone, commissario lo stesso presidente della regione Lazio, con tutte le azioni necessarie: caratterizzazione siti, eradicazione allevamenti e coltivazioni, avvio bonifica;
   nel dicembre del 2005 l'area della Valle del Sacco colpita dall'emergenza venne inserita nel piano delle bonifiche di interesse nazionale (SIN). In quell'occasione venne anche nominato un commissario straordinario per la Valle del Sacco. In seguito in forza del decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, datato 11 gennaio 2013, le bonifiche della Valle del Sacco sono passate di competenza regionale, trasferendo l'azione ai comuni interessati dalla precedente perimetrazione;
   con il decreto 31 gennaio 2008 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, «Perimetrazione del sito di interesse nazionale del bacino del fiume Sacco», pubblicato Gazzetta Ufficiale n. 100 del 29 aprile 2008, si definì una perimetrazione provvisoria del sito di bonifica di interesse nazionale del «Territorio del bacino del fiume Sacco» (diverso dal precedente). Nello stesso decreto si stabiliva che entro 120 giorni dalla pubblicazione del decreto, l'ARPA Lazio «valida le aree all'interno del perimetro provvisorio di cui al precedente punto 1 da sottoporre ad interventi di messa in sicurezza d'emergenza, caratterizzazione, bonifica e ripristino ambientale, riguardanti: le aree inserite nel piano regionale di bonifica articolo 199 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 “Norme in materia ambientale”, le aree oggetto di attività potenzialmente inquinanti, individuate nell'allegato 1 del decreto ministeriale 16 maggio 1989, le aree oggetto di notifiche ai sensi della normativa in materia di bonifiche, le aree interessate da rilasci incidentali o dolosi di sostanze pericolose, le aree industriali dismesse, le aree, anche a destinazione agricola, interessate da spandimento non autorizzato di fanghi e residui pericolosi, nonché le aree oggetto di contaminazione passiva causata da ricaduta atmosferica di inquinanti, ruscellamento di acque contaminate, abbandono o seppellimento di rifiuti, in relazione all'inquinamento comportante, tra l'altro, potenziali conseguenze ambientali per le quali è oltremodo urgente e indifferibile procedere ai necessari accertamenti al fine di porre in essere i citati adeguati interventi delle aree inquinate interessate, così come risultanti dalle documentazioni pervenute da ogni singolo comune. Inoltre, sulla base dei medesimi criteri e negli stessi termini l'ARPA Lazio individua le aree da sottoporre ad interventi di messa in sicurezza d'emergenza, caratterizzazione, bonifica e ripristino ambientale per i comuni di Arcinazzo Romano, Artena, Carpineto Romano, Cave, Ceccano, Genazzano, Gorga, Labico, Olevano Romano, Pastena, Piglio, Rocca Massima, Rocca Priora, Torrice e Valmontone, che non hanno fornito alcun riscontro alle richieste delle citate Conferenze di Servizi sull'argomento»;
   attualmente sono 117.084 gli ettari da bonificare nel sito della Valle del Sacco: un azione ancora in corso che vede da parte della regione Lazio un nuovo stanziamento di fondi per estendere il programma di sorveglianza sanitaria ed epidemiologica ad un ulteriore campione di 600 residenti nell'area di Colleferro e Ceccano. Allarmati dal perdurare di questa situazione di emergenza, liberi cittadini hanno promosso una raccolta firme affinché «il sito inquinato della valle del Sacco» torni ad essere SIN «sito di interesse nazionale»;
   l'area della Valle del Sacco dal 2006 ha poi cambiato nome, diventando Valle dei Latini. Lo scopo della delibera sul fondo unico di investimento approvata dalla giunta regionale del Lazio è di riqualificare l'area attraverso il rilancio e lo sviluppo della filiera agroenergetica. L'intento è quello di unire sostenibilità ambientale e sviluppo ecocompatibile dando nuovo vigore a un luogo devastato dalla mancanza di controlli;
   la Valle dei Latini, infatti, ha una fortissima vocazione agricola e zootecnica, come dimostrano i dati: con ben 60.411 ettari di superficie agricola utilizzata (SAU), il 39,4 per cento su un totale di 153.459 ettari di superficie totale, il bacino del fiume Sacco è secondo solo al medio corso del Tevere per numero di ettari dedicati all'agricoltura e alla zootecnia;
   nell'ambito delle attività di bonifica occorrerebbe, tra l'altro, verificare il funzionamento del depuratore di Anagni sequestrato nel gennaio 2014 dai carabinieri del NOE, posto che la situazione della depurazione nella Valle del Sacco è tuttora insoddisfacente;
   da ultimo sarebbe opportuno concentrare le risorse sul consolidamento delle misure previste dalla creazione del distretto rurale e agroindustriale puntando sullo sviluppo ecocompatibile della Valle del Sacco e sulla costruzione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili in modo da riqualificare il territorio e renderlo competitivo a livello nazionale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della vicenda e se, per quanto di competenza e per il tramite del Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente e delle agenzie territoriali specializzate afferenti al suo dicastero, non intenda verificare l'attuale stato del livello di inquinamento della Valle del Sacco, inclusi gli sversamenti di inquinanti filmati in «schiuma bianca» dalla stampa recente;
   se il Ministro non intenda poi acquisire elementi sui risultati ottenuti dalle procedure di bonifica fino ad oggi e monitorare come siano state investite le risorse ad essa destinate e se non intenda valutare l'opportunità di reinserire la Valle del Sacco nei siti inquinati di interesse nazionale; se risulti che si sia proceduto alla completa rimozione dei fusti interrati illegalmente e del terreno contaminato che la gestione commissariale avrebbe dovuto avviare da subito per limitare i gravi danni alla salute dei cittadini e all'ambiente che il dipartimento di epidemiologia dell'Asl RM/E ha rilevato delle ultime settimane;
   se non si intenda altresì avviare immediatamente nuove indagini epidemiologiche in quei comuni prospicienti il fiume Sacco che continuano a praticare attività agricole e di allevamento;
   se non si intenda avviare, per quanto di competenza, un capillare monitoraggio dell'impatto dei molti fattori antropici sul territorio della Valle del Sacco, operando controlli sulle imprese ivi esistenti e sugli scarichi, ben 88, che attualmente si riversano nel fiume Sacco, reprimendo gli abusi. (4-04943)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GHIZZONI e PICCOLI NARDELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   gli istituti archivistici svolgono l'importante funzione di tutela, conservazione e fruizione del patrimonio documentario; ad essi, pertanto, è anche affidato un ruolo irrinunciabile nella valorizzazione e promozione della storia, della cultura e dell'identità sia locale sia nazionale;
   a fronte di tale funzione dal rilievo costituzionale, dal mondo archivistico – segnatamente da ARCH.I.M. Archivisti in Movimento – arriva l'appello urgente affinché adeguate risorse siano assegnate ai fabbisogni di detti istituti dato che, ad oggi, i finanziamenti costringono a gestioni inadeguate dal punto di vista culturale, scientifico, didattico o addirittura a chiusure (con grave danno per la tutela del patrimonio), mentre in molti comuni ed altri enti pubblici, gli archivi, storici e correnti, versano in condizioni di degrado e senza personale, strutturato o a contratto, adeguato a trattare documenti ai quali, oltre all'interesse ed al valore storico-patrimoniale, è affidata la certezza dei diritti delle comunità locali;
   gli ambiti di investimento negli archivi pubblici, che offrirebbero significative opportunità di lavoro di medio-lungo periodo per professionisti qualificati, dovrebbero riguardare: il recupero del gap strutturale in termini di lavori specialistici (catalogazioni, ordinamenti e inventari di migliaia di archivi, redazione di altri strumenti di corredo, incremento delle attività di digitalizzazione e pubblicazioni scientifiche); implementare le banche dati disponibili sui siti internet (degli istituti; incrementare la dotazione strumentale ordinaria (attrezzature informatiche e strumenti per la digitalizzazione, acquisto di software dedicati già tarati su standard descrittivi internazionali); ampliare il numero dei collegamenti al Sistema archivistico nazionale; restaurare e/o consolidare le sedi storiche degli istituti di conservazione; ammodernare impianti, sale di consultazione e depositi di conservazione, nonché attivare coperture wireless; internazionalizzare l'offerta culturale con una diffusa rete di servizi attivi direttamente attraverso la rete internet; promuovere l'attività di valorizzazione, didattica, espositiva;
   l'incremento dei servizi archivistici può concorrere significativamente ad innalzare l'attrattività turistico-culturale del Paese e tradursi in un indotto economico per il territorio e introdurre, in maniera sistematica, il concetto di turismo di studio che in Paesi, come la Germania e l'Inghilterra, è una voce economica importante;
   una concreta opportunità per dare seguito a quanto espresso in premessa potrebbe arrivare dall'imminente programmazione del PON Cultura 2014-2020 –:
   se il Ministro interrogato valuti, nell'ambito della programmazione del PON cultura 2014-2020, l'opportunità di riconoscere agli archivi la dignità di attrattori culturali e come tali indicarli tra i beneficiari dei Fondi dell'Unione europea e destinare così a questo settore, riconosciuto come patrimonio culturale pubblico, risorse adeguate. (5-02866)


   ZOLEZZI, DE ROSA, DAGA, TERZONI, MICILLO, SEGONI e BUSTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale ha pubblicato gli atti del Convegno del 5 febbraio 2013 sul consumo di suolo nel territorio italiano; la regione Lazio risulta uno dei territori che ha il maggior grado di urbanizzazione con conseguente consumo di suolo. Invero nell'arco di 18 anni il territorio laziale è stato urbanizzato per una superficie complessiva di 53.118 ettari;
   «La strategia tematica per la protezione del suolo (COM(2006) 231) della Commissione europea e l'ultima relazione sullo stato dell'ambiente europeo a cura dell'Agenzia europea dell'ambiente (AEA, 2010b) considerano l'impermeabilizzazione come uno dei maggiori processi di degrado del suolo. La portata e la crescita del fenomeno sono significativi. L'impermeabilizzazione del suolo ha effetti sui servizi ecosistemici essenziali (ad esempio, produzione alimentare, assorbimento idrico, capacità di filtraggio e tamponamento del suolo), nonché sulla biodiversità (...) Una volta distrutto o gravemente degradato, le generazioni future non vedranno ripristinato un suolo sano nel corso della loro vita» (documento di lavoro dei servizi della Commissione europea SWD(2012) 101 final/2 – Bruxelles, 15 maggio 2012);
   nonostante ciò ancora si tenta di stabilire un primato lucrativo attraverso la speculazione edilizia in deroga a qualunque forma di tutela, salvaguardia e conservazione del patrimonio artistico, paesaggistico e ambientale del territorio. Forme di impatto antropico si sviluppano in maggior evidenza nelle amministrazioni limitrofe ai grandi centri abitati dando avvio a quel principio di «periferia» tipico delle aree dipendenti dalle economie di maggiore scala;
   il territorio del comune di Marino, direttamente collegato alla capitale per la sua ubicazione di confine, si espone al pericolo di divenire appendice ideale della città di Roma. Difatti, con delibere del consiglio comunale nn. 35, 36, 37, 39 del 3 agosto 2011, il comune, ha adottato il programma integrato di intervento in località Divino Amore, in variante al piano regolatore generale, della società Ecovillage S.r.l. Tale provvedimento, garantito anche con un protocollo di intesa con la regione Lazio, prevede un intervento su un'area complessiva di circa 240 ettari, erigendo oltre 1 milione di metri cubi di edificato residenziale e non residenziale;
   stime approssimative indicano, con la realizzazione del nuovo comparto urbanistico, un incremento della popolazione del comune di Marino di circa 14.000 mila abitanti. Tale incremento risulta eccessivo in rapporto ai dati censiti dall'ISTAT in cui risulta che il comune di Marino ha tollerato un aumento della popolazione, nell'arco di nove anni (2002 – 2011), di soli 4.600 abitanti. L'impatto antropico previsto dalla amministrazione comunale non sembra considerare l'approvvigionamento idrico necessario alla sopravvivenza del nuovo quartiere che porterà, logicamente, alla realizzazione di nuovi scavi per il soddisfacimento delle nuove utenze con il ragionevole rischio di inquinare le attuali falde, oltre a defalcare un'importante risorsa agricola, patrimonio e ultima testimonianza rurale della comunità di Marino;
   geograficamente l'intervento si localizza su un versante dell'Appia Nuova in cui il forte abusivismo e la «deregulation» urbana degli ultimi anni ha definito ambiti territoriali e periurbani tali da manifestare una continuità ideale con la periferia Romana. Proprio il territorio in località del Divino Amore determina una soluzione di continuità alla disastrosa condizione del tessuto Urbano sull'asse dell'Appia nuova;
   infatti, la zona dell'intervento essendo confinante con il parco regionale dell'Appia antica, è il suo naturale coronamento. Essa contiene tutti gli elementi tipici dell'agro romano con un bassissimo grado di antropizzazione urbana e una attitudine storica ai seminativi e altre colture erbacee come indicato nello IUTI del 2008 (inventario dell'uso delle terre d'Italia). L'area si contraddistingue anche per la presenza di alcuni ritrovamenti archeologici in loco segnalati dal ponderoso studio topografico di G.M. De Rossi. Così nella lettera inviata dal Soprintendente dei beni archeologici del Lazio del 15 ottobre 2007 (prot. MBAC-LAZ n. 9642) per il ritrovamento, all'altezza della «Cantina il Gotto d'Oro» sulla SP del Divino Amore, si evince «la messa in luce, durante lavori di scavo funzionali alla realizzazione di un collettore fognario a servizio di impianto di depurazione intercomunale, di un tracciato stradale basolato di età romana (...) parallelo alla via moderna. Tale tracciato, ottimamente conservato nei tratti rimessi in luce, è stato su indicazione di questo ufficio, risarcito nelle parti danneggiate, documentato e protetto con idonei accorgimenti, prima di essere ricoperto con intervento assolutamente reversibile (...) Questo ufficio è altresì a conoscenza di ulteriori presenze archeologiche esistenti in zona, (...) ma sinora la caratteristica di dispersione e la rilevanza non definibile in difetto di indagine mirate non hanno consentito di apporre su di esse vincoli puntuali, né tanto meno, estesi all'intera zona, come auspicabile in presenza di piani di edificazione che ne snaturerebbero effettivamente vocazione agricola e connessi pregi paesistico ambientali»;
   inoltre, la zona in questione rientra tra le aree dichiarate di notevole interesse pubblico dell'ambito meridionale dell'agro romano, con decreto ministeriale, ai sensi degli articoli 140 e 141, comma 2, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.42;
   questo nuovo impianto urbanistico andrebbe, secondo gli interroganti, a distruggere lo skyline naturale del Divino Amore: da quanto stabilito dal TAR Puglia (Bari, Sez. III – 28 maggio 2009, n. 1274), la valutazione dell'incidenza sull'ambiente e sul paesaggio di ogni opera di urbanizzazione primaria non può essere limitata esclusivamente all'area su cui ricade l'intervento, ma deve essere necessariamente riferita al complessivo contesto ambientale (ivi compreso lo skyline) entro cui l'opera si inserisce;
   per le ragioni esposte il complesso paesaggistico del Divino Amore per le sue caratteristiche rurali e archeologiche si presenta idoneo ad essere oggetto di verifica di interesse culturale, ai sensi degli articoli 10,12 e 13 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 –:
   se, alla luce delle numerose criticità riportate in premessa, i Ministri, ognuno per le proprie competenze, non ritengano opportuno, sentiti gli enti coinvolti, avviare il procedimento per la dichiarazione dell'importante interesse culturale del sito, attraverso l'apposizione del vincolo diretto, ai sensi degli articoli 12 e seguenti del decreto legislativo n. 42 del 2004, e prescrizioni di tutela indiretta al fine di evitare che sia compromessa l'integrità del bene, «ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro» (articolo 45 del decreto legislativo n. 42 del 2004).
(5-02868)

Interrogazione a risposta scritta:


   GALLINELLA, LUPO, L'ABBATE, MASSIMILIANO BERNINI, D'UVA e DI BENEDETTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   a maggio 2014 è stata diffusa la classifica dei musei più visitati del mondo nell'anno 2013 e, come accade ormai da diversi anni, in testa alla classifica si trova il museo parigino del Louvre, con 9,7 milioni di turisti (nonostante abbia registrato un grosso calo di visitatori);
   nei primi 10 posti della classifica non compare nessuna struttura italiana: quattro musei londinesi (British museum, Natural History Museum, National Gallery e Tate Modern), tre strutture parigine (Louvrem musee d'Orsay e Centre Pompidou), il Metropolitan Museum of Art di New York, i Musei Vaticani e il National Palace Museum di Taipei;
   il primo museo italiano in classifica è la Galleria degli Uffizi di Firenze, al 26esimo posto, con 1,8 milioni di visitatori;
   le altre strutture italiane in classifica sono Palazzo Ducale di Venezia, le Gallerie dell'Accademia di Firenze, Castel Sant'Angelo a Roma e Palazzo Pitti a Firenze;
   il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Dario Franceschini, ha comunque ribadito la difficoltà di paragonare strutture tanto diverse, a cominciare proprio dalle dimensioni;
   nonostante il nostro Paese detenga un numero impressionante di siti di interesse ed una storia senz'altro più imponente rispetto ad altri Stati, non riesce ad attirare i visitatori, che evidentemente preferiscono Louvre o Moma rispetto ai piccoli capolavori italiani;
   una valorizzazione delle strutture museali nazionali nonché una maggiore sensibilizzazione della stessa popolazione italiana ad avvicinarsi alla cultura artistica e quindi una politica maggiormente attenta alle esigenze e alle caratteristiche dei cittadini, a parere degli interroganti, potrebbero senz'altro dare una sterzata positiva al settore –:
   quali siano le ragioni, oltre le già citate dimensioni strutturali, dell'assenza dei musei italiani tra i primi 10 più visitati nel mondo;
   se non ritenga opportuno avviare delle iniziative di valorizzazione del settore museale italiano, anche corredate da eventuali politiche sostegno e agevolazione, per avvicinare gli italiani e di conseguenza anche i turisti stranieri, alla cultura museale italiana che non ha nulla da invidiare a quella estera. (4-04942)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SOTTANELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 34 (regime speciale per i produttori agricoli), comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 (istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto), i produttori agricoli che nell'anno solare precedente hanno realizzato o, in caso di inizio di attività, prevedono di realizzare un volume d'affari non superiore a 7.000 euro, costituito per almeno due terzi da cessioni di prodotti agricoli e ittici, sono esonerati dal versamento dell'iva e da tutti gli obblighi documentali e contabili, compresa la dichiarazione annuale, fermo restando l'obbligo di numerare e conservare le fatture e le bollette doganali. Tali disposizioni cessano comunque di avere applicazione a partire dall'anno solare successivo a quello in cui è stato superato il limite di 7.000 euro a condizione che non sia superato il limite di un terzo delle cessioni di altri beni;
   l'articolo 36, comma 8-bis, del decreto-legge n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012, dispone che, al fine di rendere più efficienti le attività di controllo relative alla rintracciabilità dei prodotti agricoli e alimentari ai sensi dell'articolo 18 del regolamento (CE) n. 178 del 2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2002, sulla sicurezza alimentare, i produttori agricoli di cui all'articolo 34, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, esonerati dalla dichiarazione iva, sono invece tenuti alla comunicazione annuale delle operazioni rilevanti ai fini dell'imposta sul valore aggiunto di cui all'articolo 21 del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010 (cosiddetto «spesometro»);
   nel corso dell'esame del disegno di legge di stabilità per il 2014 è stata soppressa presso la Commissione bilancio della Camera la norma (inizialmente inserita nel testo approvato dal Senato) che conteneva l'abrogazione del citato comma 8-bis dell'articolo 36 del decreto-legge n. 179 del 2012;
   l'abrogazione di questo comma rappresentava, a giudizio dell'interrogante, una mera ed utile semplificazione che sarebbe stata accolta positivamente dal mondo agricolo;
   infatti, l'obbligo di comunicazione all'amministrazione finanziaria, da parte dei produttori agricoli esonerati dalla dichiarazione IVA, delle operazioni rilevanti a fini IVA costituisce un ulteriore onere burocratico per tali contribuenti, senza alcun vantaggio diretto né per l'imprenditore né per il consumatore; peraltro, le disposizioni di cui al comma 8-bis dell'articolo 36 del decreto-legge n. 179 del 2012 di fatto annullano le esenzioni di cui all'articolo 34, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972;
   con riferimento all'eliminazione di tale obbligo comunicativo, l'Agenzia delle entrate già in passato si era espressa in maniera favorevole in considerazione delle esigenze legate a motivi di semplificazione, nonostante ritenesse anche che tale soppressione potrebbe collidere con le esigenze connesse alla tracciabilità dei prodotti agricoli e alimentari, finalizzata alla prevenzione delle frodi nel settore agro-alimentare;
   sebbene l'imposizione di tale adempimento risponda all'esigenza di garantire questa tracciabilità, va sottolineato come le transazioni di importo inferiore ad una certa soglia siano comunque escluse dalla comunicazione e come pertanto il predetto obbligo non sia in grado di assicurare la tracciabilità di tutti i prodotti;
   si ricorda altresì che i contribuenti «minimi» (commercianti, artigiani, professionisti) con volume d'affari inferiore a 30.000 euro sono esonerati dall'obbligo dello spesometro, mentre per assurdo gli agricoltori con volume di affari inferiore a 7.000 euro ne sono obbligati –:
   se, ai fini dell'esigenza di semplificazione degli adempimenti, non ritenga opportuno assumere iniziative volte ad abrogare al più presto la norma contenuta nel comma 8-bis dell'articolo 36 del decreto-legge n. 179 del 2012, eliminando questo obbligo di comunicazione a fini IVA (il cosiddetto «spesometro») che rappresenta solo un ulteriore onere burocratico per i produttori agricoli cui si applica il regime IVA semplificato. (5-02867)


   CATALANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 19 maggio 2014 è andata in onda, nel corso del programma «Report», un'inchiesta giornalistica dal titolo «La centrale rischi»;
   oggetto di tale inchiesta era la CRIF spa, società di consulenza che svolge, altresì, attività di centrale rischi privata e, in particolare, l'individuazione dei proprietari della stessa;
   risulta all'interrogante che non sia possibile risalire tramite visura alle persone fisiche che controllano CRIF, in ragione di una schermatura societaria;
   risulta all'interrogante che, oltre a CRIF, siano attive in Italia altre centrali rischi private, fra le quali CTC (Consorzio tutela credito), Experian spa, Cerved spa e la banca dati centrale rischi di Assilea;
   risulta all'interrogante che, malgrado la rilevanza per il sistema creditizio dell'attività di tali soggetti, l'unica regolamentazione del settore sia un «codice di deontologia e buona condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di crediti al consumo, affidabilità e puntualità nei pagamenti» –:
   se quanto in premessa corrisponda al vero;
   se il Governo sia a conoscenza del nome e della nazionalità delle persone fisiche che, direttamente o indirettamente, controllano la società CRIF spa;
   se il Governo non ritenga opportuno che l'attività delle centrali rischi private sia disciplinata da un'apposita e più completa normativa avente forza di legge e se intenda assumere iniziative in tal senso.
(5-02877)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


   GAGNARLI, GALLINELLA e DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   lo stato del servizio di trasporto ferroviario, salvo l'alta velocità sulla quale convergono le maggiori attenzioni del gestore, soprattutto negli ultimi anni non si è contraddistinto per efficienza e qualità, a riprova del fatto, sono state depositate numerose interrogazioni sul tema dei frequenti ritardi, della soppressione degli intercity facenti parte del servizio a mercato, sui livelli di sicurezza dei convogli e nelle stazioni e sulle modifiche dei regolamenti ANSF;
   in merito ai regolamenti ANSF, si sottolinea in particolare l'interrogazione a risposta scritta n. 4-03633, non ancora conclusa, nella quale gli interroganti lamentano una riduzione del livello globale di sicurezza dei convogli, dovuto alla denaturazione del sistema di controlli incrociati fra agente di condotta e capotreno, ed ai risparmi sulla formazione professionale delle due figure, a partire dall'entrata in vigore dei DEIF n. 41.2 e 42.2, il 31 marzo 2014;
   si apprende da alcune testate on-line, sempre riguardo alle condizioni di sicurezza ed alla qualità del servizio di trasporto ferroviario passeggeri, che poco più di un mese fa Trenitalia avrebbe diramato una circolare interna in vigore dal 15 aprile 2014, che recepisce delle raccomandazione dell'ANSF, la quale ridetermina la gestione delle condizioni di affollamento e sovraffollamento delle carrozze e che pongono l'azienda con le spalle ben coperte dal ritrovarsi treni normativamente sovraffollati;
   in base alle nuove disposizioni, ad esempio, una normale carrozza Intercity si definisce «sovraffollata» solo quando ospita più di 156 persone per carrozza, quindi più di 90 in piedi, oltre alle 66 che occupano i posti a sedere; Mentre si definisce «affollata» invece, la carrozza intercity che ospita più di 126 passeggeri, quindi più di 60 in piedi oltre ai 66 passeggeri seduti; La condizione di affollamento, per giunta, non farebbe scattare le conseguenti operazioni di sicurezza previste per il raggiungimento della condizione di sovraffollamento;
   tra le misure di sicurezza previste per una carrozza sovraffollata è previsto lo spostamento dei passeggeri su altri treni, autobus sostitutivi, o l'aggiunta di altre carrozze, eventualità quest'ultima poco probabile vista la scarsa disponibilità di convogli di sostituzione operativi nelle stazioni;
   in merito a questo regolamento, il comitato Pendolari Roma-Firenze ha già scritto al Ministro ed agli assessori ai trasporti di Umbria e Toscana –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei contenuti della circolare citata in premessa e non ritenga che le modifiche intervenute possano essere lesive del livello minimo di sicurezza dei passeggeri e quali iniziative intenda eventualmente porre in essere in veste di garante della sicurezza globale dei convogli passeggeri in movimento. (3-00837)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FIORIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'inadeguatezza diffusa delle opere di difesa sul reticolato idrografico minore, la carenza di manutenzione sulle opere di difesa e sugli alvei, la riduzione delle sezioni di piena per la presenza di barre fluviali in alveo e per l'occupazione progressiva delle aree golenali e la creazione di ostacoli al deflusso rappresentano un elemento di forte criticità nelle fasi di piena dei fumi;
   in particolare, il tratto nella città di Asti del torrente Borbore, prima ampiamente insufficiente per le portate di riferimento, è stato oggetto d'interventi di ampliamento della sezione di deflusso e di realizzazione di difese spondali ed arginali. In particolare, l'ultimo tratto fino alla foce in Tanaro, è stato oggetto, contemporaneamente alla costruzione delle nuove arginature, di un notevole ampliamento della sezione di deflusso al fine di abbattere gli elevati livelli idrici, non compatibili con le infrastrutture presenti in zona;
   gli andamenti climatici irregolari degli ultimi anni hanno ridotto la certezza sui «tempi di ritorno» degli eventi; esiste, pertanto, un oggettivo rischio costituito dal torrente Borbore che nel 1948, ormai oltre 50 anni fa, causò i danni in città drammaticamente conosciuti, anche per le vittime registrate;
   il ponte ferroviario sul Borbore al chilometro 54+797 della linea Torino-Genova nel quartiere di corso Alba continua, per la presenza di alcuni pilastri in alveo, continua a rappresentare un elemento di forte criticità per la sicurezza dei cittadini in caso di piena: la presenza dei piloni nell'alveo e la loro posizione trasversale rispetto alla linea di scorrimento delle acque potrebbero infatti determinare un effetto diga. Le sue arcate, anche in presenza di tronchi d'albero ed altri detriti, potrebbero impedire il regolare deflusso delle acque anche alla luce di quanto accaduto nell'alluvione del 1994;
   Aipo (Agenzia interregionale per il fiume Po) ha dichiarato di aver segnalato tale problematica del ponte, fin dal 2006, sia a Rfi (Rete ferroviaria italiana) che all'Autorità di bacino del fiume Po;
   nel 2006 Rfi, nell'esporre in un convegno dell'Autorità di bacino uno studio redatto con il dipartimento di ingegneria strutturale e geotecnica dell'università di Genova sulla capacità portante dei ponti ad arco in muratura, aveva presentato, l'adeguamento del collegamento sul Borbore, prevedendone la demolizione con successiva ricostruzione;
   tale l'intervento prevedeva la realizzazione di un'opera con due sole pile nell'alveo del torrente e l'innalzamento della quota di intradosso; la soluzione studiata complessa, soprattutto per le numerose fasi previste, consentiva di rispettare i numerosi vincoli: mantenimento dell'esercizio ferroviario durante i lavori, almeno sui due binari della linea Torino-Genova, mantenimento della distanza minima tra binari e intradosso del cavalcavia a poca distanza, presenza di numerose costruzioni di abitazioni civili a ridosso del rilevato ferroviario –:
   se sia stato ad oggi eseguito l'eventuale progetto di modifica o di rifacimento del ponte in questione, con la relativa stima dei costi e, nel caso in cui il piano sia stato definito, quali iniziative siano state avviate per la ricerca dei finanziamenti e l'inserimento dell'opera nella programmazione dei lavori;
   quali misure, a partire dal 2006, RFI e Autorità di bacino del fiume Po abbiano adottato per mettere in sicurezza il bacino del Borbore;
   se sia stata compiuta un'analisi puntuale dell'impatto del ponte in condizione di piena tenuto conto delle seguenti condizioni:
    a) la presenza dei piloni nell'alveo e il loro posizionamento trasversale rispetto alla linea di scorrimento del torrente;
    b) l'area a monte del ponte in questi anni notevolmente urbanizzata.
(5-02871)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIORGIA MELONI, RAMPELLI, CIRIELLI, CORSARO, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Pedemontana Abruzzo Marche è la strada statale più lunga d'Abruzzo, strategica per il collegamento mare monti visto che collega l'Abruzzo con le Marche ed il Molise;
   già con atto di convenzione stipulato in data 01/06/99 tra ANAS spa e provincia di Chieti si stabilì che detti Enti avrebbero proceduto al cofinanziamento del progetto per la super strada 81;
   tale Convenzione quantificava il contributo ANAS spa a favore dell'amministrazione provinciale di Chieti in misura del quaranta per cento della somma totale delle spese per la progettazione;
   nel 2001, in attuazione della legge Obiettivo, legge n. 443 del 2001, il CIPE con deliberazione n. 121 del 21/12/2001 ha individuato l'opera quale intervento strategico di preminente interesse nazionale;
   in data 20 dicembre 2002 è stata sottoscritta tra il Presidente del Consiglio, il Ministro delle infrastrutture e trasporti, il Ministro dell'ambiente, il Ministro degli affari regionali ed il Presidente della Regione Abruzzo l'Intesa generale quadro che definisce il programma di infrastrutture del sistema regionale per le quali concorreva l'interesse nazionale;
   in tale intesa era ricompresa, fra le infrastrutture dichiarate di «preminente interesse nazionale», la realizzazione della dorsale collinare «Pedemontana Abruzzo-Marche» come percorso alternativo o complementare a quello costiero, attraverso il miglioramento della strada statale 81 Piceno Aprutina (Ascoli Piceno-Val Tronto-Area Vestina-Casoli-Molise);
   ad oggi, tuttavia, non risultano ancora essere disponibili i finanziamenti per la realizzazione dell'opera –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere al fine di permettere la realizzazione dell'opera, visto il suo carattere preminente nell'ambito del sistema infrastrutturale della regione Abruzzo. (4-04924)


   OLIVERIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Gazzetta del Sud del 28 aprile 2014 riporta l'ennesimo episodio di incidente stradale, avvenuto durante la notte, sulla strada statale 107 che ha coinvolto tre persone che sono rimaste gravemente ferite;
   all'arrivo sul posto dove è avvenuto l'incidente dei vigili del fuoco la situazione che si presentava era molto critica: tre autovetture risultavano essere capovolte sulla statale, mentre i conducenti venivano portati con urgenza al vicino ospedale di Crotone;
   la strada statale 107 Silana-Crotonese è una delle strade più pericolose d'Italia, dove da anni si verificano spaventosi e drammatici incidenti;
   la strada statale 107, inserita da ormai cinque anni nella «top ten» dell'ACI e dell'Istat della strade più pericolose d'Italia, versa in condizioni di estrema precarietà a causa della scarsa manutenzione, pur essendo questa arteria sempre più trafficata e di valore strategico, considerato che agevola i collegamenti tra le province di Cosenza e Crotone e tra l'Altopiano Silano e il Medio-Alto Tirreno cosentino;
   se si vuole interrompere questa lunga serie di incidenti, alcune volte anche mortali, sono necessari e non più rinviabili i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria per mettere in sicurezza la strada statale 107 –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle informazioni diffuse sulla Gazzetta del Sud e quali iniziative di competenza intenda intraprendere per una tempestiva soluzione delle criticità di cui in premessa, avviando, se possibile, un tavolo di concertazione che coinvolga anche la regione Calabria. (4-04930)


   VARGIU. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 17-septies, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni della legge n. 134 del 2012, recante misure urgenti per la crescita del Paese, contiene una serie di disposizioni conformi ad omologhe normative dei Paesi dell'Unione europea per la definizione del Piano nazionale infrastrutturale per la ricerca dei veicoli alimentati ad energia elettrica che tengano conto del fabbisogno presente nelle diverse realtà territoriali, valutato sulla base dei concorrenti profili della congestione di traffico veicolare privato, della criticità dell'inquinamento atmosferico e dello sviluppo della rete stradale urbana ed extraurbana e di quella autostradale;
   il comma 5 del citato articolo riconosce al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il ruolo di promozione per la stipulazione di appositi accordi di programma, previa deliberazione del CIPE, d'intesa con la conferenza unificata Stato-regioni e autonomie locali al fine di concentrare gli interventi e di valorizzare la partecipazione di soggetti pubblici e privati;
   il comma 6 riconosce allo sviluppo della mobilità sostenibile una valenza strategica nazionale e promuove l'associazione di comuni e province per una migliore realizzazione dei programmi integrati;
   al capo IV-bis – Disposizioni per favorire lo sviluppo della mobilità mediante veicoli a basse emissioni complessive della legge summenzionata, l'articolo 17-bis, comma 2, ricomprende nel piano di finanziamento del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti solo una parte dei veicoli a basso impatto ambientale (veicoli alimentati ad energia elettrica, a trazione ibrida, a GPL, a metano, a biometano, a biocombustibili e a idrogeno) ed esclude i cicloveicoli, sia quelli a propulsione «muscolare» che quelli a propulsione elettrica (biciclette a pedalata assistita);
   tale esclusione sarebbe motivata da un mero criterio tecnologico, in quanto gli impianti di ricarica per gli autoveicoli ed i motoveicoli elettrici sono difficilmente utilizzabili anche per la ricarica delle biciclette a pedalata assistita per le quali il sistema è molto più semplice e facilmente integrabile, essendo sufficienti le normali prese di corrente;
   tale esclusione, inoltre, non appare coerente con le indicazioni recate dal libro bianco sui trasporti – COM (2011) 144 DEF approvato dalla Commissione europea il 28 marzo 2011, nel quale si afferma che lo sviluppo della mobilità urbana sostenibile, la riduzione della dipendenza dal petrolio, delle emissioni di gas serra e dell'inquinamento atmosferico e acustico non devono esaurirsi solo con la graduale eliminazione dall'ambiente urbano dei veicoli «alimentati con carburanti convenzionali», ma anche con l'adozione di misure concrete per facilitare gli spostamenti a piedi e in bicicletta e con una reale offerta di servizi come il «park and drive» (articoli 27, 30 e 31);
   il 17 dicembre 2013 l'impegno contenuto nel libro bianco sui trasporti viene confermato e rilanciato nell'ambito della Comunicazione della Commissione europea: «Insieme verso una mobilità urbana competitiva» (COM(2013) 913 final) al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, allorché si afferma che:
    a) le autorità locali in ambito Unione europea stanno sempre più diffondendo nuove metodologie di pianificazione della mobilità urbana attraverso il superamento degli approcci frammentati del passato e l'elaborazione di strategie in grado di stimolare il passaggio a modi di trasporto più puliti e sostenibili, come gli spostamenti a piedi e in bicicletta, l'uso dei trasporti pubblici e modalità innovative d'uso e proprietà dei veicoli;
    b) gli Stati membri si impegnano a garantire l'attuazione dei Piani urbani di mobilità sostenibile – PUMS, elaborando un approccio che garantisca interventi coordinati e integrati a livello nazionale, regionale e locale per i quali la Commissione garantisce promozione e finanziamenti;
    c) la maggiore diffusione degli spostamenti a piedi o in bicicletta riduce in modo considerevole gli aspetti negativi dei trasporti e della mobilità urbana, e presenta il valore aggiunto di promuovere uno stile di vita più attivo, con i conseguenti benefici per la salute e l'invecchiamento attivo;
   dal 16 al 22 settembre prossimi si celebrerà la settimana europea della mobilità sostenibile alla quale ha aderito, come ogni anno, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare chiamato a svolgere un ruolo di coordinamento nazionale e di supporto delle iniziative e degli eventi attuati da comuni e associazioni e a promuovere la partecipazione attiva dei cittadini a specifiche azioni a carattere nazionale;
   lo scorso 19 maggio 2014 presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, si è tenuto il «Tavolo tecnico MISTEG esteso» ad Anci, Upi, Conferenza delle regioni e Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per la definizione del Piano nazionale infrastrutturale per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica (PNire), durante il quale le regioni hanno sostenuto l'opportunità di estendere l'intervento finanziario previsto dalla legge n. 134 del 2012 anche alle biciclette a pedalata assistita e di assegnare una premialità in favore di quelle realtà territoriali ove si è concretamente operato in chiave di mobilità sostenibile;
   incentivare la mobilità elettrica rappresenta solo un aspetto, seppur rilevante, della più generale politica di incentivi della mobilità sostenibile –:
   quali misure, per quanto di rispettiva competenza e anche alla luce delle indicazioni della Commissione europea, intendano tempestivamente adottare, al fine di:
    a) estendere l'ambito di applicazione dei finanziamenti di cui all'articolo 17-bis, comma 2, della legge 7 agosto 2012, n. 134, anche ai mezzi a bassissimo o nullo impatto ambientale, quali i cicloveicoli a propulsione «muscolare» e a propulsione elettrica, in particolare dedicando ai medesimi quota parte (tra l'otto ed il dieci per cento) delle risorse di cui all'articolo 17-decies della legge citata;
    b) riconoscere, nell'ambito dell'assegnazione dei finanziamenti di cui sopra, una premialità e una priorità a favore di quei comuni che abbiano già definito progetti nel campo della mobilità sostenibile e destinato investimenti a favore della pedonalità e ciclabilità (corsie preferenziali, semafori intelligenti, punti di bike sharing e car sharing, zone 30, servizi di «park and drive», e altro). (4-04938)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BRUNO BOSSIO, BATTAGLIA, STUMPO e OLIVERIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 3 settembre 2013 è stato presentato alla prefettura di Reggio Calabria un articolato esposto, corredato da ampia documentazione, in relazione ad una iniziativa della giunta del comune di Polistena finalizzata alla costituzione di vere e proprie «liste di collocamento» comunali, denominate «short list», alle quali si sono iscritti più di 700 giovani, indotti dalla prospettiva di trovare lavoro nell'ambito dei servizi comunali;
   l'esposto evidenzia, in particolare, che a tale scopo sono state costituite due cooperative sociali che hanno avuto in affidamento diretto la gestione di alcuni servizi comunali;
   in tale esposto è stato denunciato il fatto che il funzionario responsabile dell'ufficio gare e contratti, è stato sostituito con una laureata in giurisprudenza selezionata nonostante non risultasse in possesso dei requisiti richiesti: infatti, l'incaricata non possiede neanche il titolo obbligatoriamente richiesto della iscrizione all'Albo degli Avvocati;
   l'esposto sostiene che le procedure concorsuali per l'affidamento della gestione dei servizi si siano svolte in maniera irregolare e che da quattro anni vengono aggiudicate alle due cooperative che attingono dalla «short list» il personale da occupare;
   nell'esposto è stato, inoltre, evidenziato che la stessa amministrazione comunale ha reinsediato la commissione edilizia con la partecipazione delle rappresentanze politiche in violazione della normativa vigente –:
   quale iniziativa il prefetto di Reggio Calabria abbia adottato o intenda adottare in relazione a quanto descritto nel citato esposto presentato alla prefettura di Reggio Calabria, ove sono state denunciate possibili irregolarità e illegittimità di atti amministrativi. (5-02869)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FEDI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 22, lettera i), della legge 15 luglio 2009, n. 94, subordina il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo al superamento di un test di conoscenza della lingua italiana;
   le modalità di svolgimento della prova sono determinate con decreto del Ministro dell'interno di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   il Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha emanato il decreto 4 giugno 2010 contenente le modalità di svolgimento del test di conoscenza della lingua italiana, previsto dall'articolo 9 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, introdotto dall'articolo 1, comma 22, lettera i) della legge n. 94 del 2009;
   il test di lingua italiana si può non effettuare nelle forme previste dall'articolo 4, comma 1, del decreto 4 giugno 2010 nel caso in cui lo straniero sia in possesso di:
    a) attestati o titoli che certifichino la conoscenza della lingua italiana ad un livello non inferiore al livello A2 del quadro comune di riferimento europeo per la conoscenza delle lingue approvato dal Consiglio d'Europa, rilasciato dagli enti certificatori riconosciuti dal Ministero degli affari esteri e da quello dell'istruzione, dell'università e della ricerca: università degli Studi Roma TRE, università per stranieri di Perugia, università per stranieri di Siena, Società Dante Alighieri; b) titolo attestante il raggiungimento di un livello di conoscenza della lingua italiana non inferiore al livello A2, rilasciato a seguito della frequenza di un corso di lingua italiana presso i centri territoriali permanenti (CTP); c) riconoscimento del livello di conoscenza della lingua italiana non inferiore al livello A2 nell'ambito dei crediti maturati per raccordo di integrazione; d) titoli di studio o titoli professionali (diploma di scuola secondaria italiano di primo o secondo grado, oppure certificati di frequenza relativi a corsi universitari, master o dottorati); e) attestazione che l'ingresso in Italia è avvenuto ai sensi dell'articolo 27, comma 1, lettere a), c), d) e q) del T.U. immigrazione;
   in molti Paesi del Nord Africa, tra cui la Tunisia, molti giovani si prefiggono di proseguire gli studi in Italia, in alternativa alla Francia;
   l'Italia riconosce tre certificazioni: il CISL, adottato dalle ambasciate, il PLIDA, dalla Società Dante Alighieri ed il CELI, dall'università di Perugia –:
   se non si ritenga necessario ed urgente arrivare ad una certificazione unica tra i soggetti abilitati, monitorando inoltre l'attuazione del regolamento sopra citato;
   se non si ritenga necessario e urgente assicurare che all'estero, nei Paesi da cui provengono i flussi di studio, lavoro o immigrazione verso l'Italia, particolarmente dal Nord Africa e dalla Tunisia, la certificazione venga affidata unicamente agli istituti di cultura e alla società Dante Alighieri, potenziando inoltre le dotazioni finanziarie per i corsi e gli esami finalizzati a tale scopo;
   se non si ritenga prioritario affidare in ogni caso i compiti di formazione linguistica e culturale finalizzata al conseguimento della certificazione unicamente ad organizzazioni preposte a tale compito, per statuto o prassi consolidata, come gli istituti italiani di cultura e le società Dante Alighieri. (4-04928)


   GIORGIA MELONI, RAMPELLI, CIRIELLI, CORSARO, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a seguito di un'analisi effettuata dall'Agenzia europea che coordina il pattugliamento delle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione Europea, emerge un quadro allarmante relativamente agli arrivi sulle coste italiane di cittadini extracomunitari;
   i dati forniti indicano un aumento dell'823 per cento, stante lo sbarco di oltre 26 mila migranti nei primi 4 mesi dell'anno, a fronte di 2.780 dello stesso periodo dello scorso anno;
   il dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, nell'ambito del Programma SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), ha pubblicato un bando destinato agli enti locali per accedere al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo;
   per il triennio 2014/2016, nel quadro dell'accordo tra Ministero dell'interno e Anci, si prevede una capacità ricettiva di 16 mila posti su tutto il territorio nazionale, garantendo interventi di «accoglienza integrata» ai richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale;
   in particolare la città di Roma, comune capofila, ha partecipato al bando fornendo la disponibilità di un lungo elenco di strutture da destinare a centri di prima accoglienza, aggiudicandosi, in tal modo, l'assegnazione di 2581 posti, cui se ne aggiungono 516 da mettere eventualmente a disposizione;
   attraverso una lettura della graduatoria recentemente pubblicata si stimano i costi di tale operazione: 35 milioni 732 mila euro all'anno, dal 2014 al 2016 stanziati a livello governativo, di cui 7 milioni 234 mila ogni anno, in quota di Roma Capitale, con un dispendio economico rilevante, nonostante il deficit strutturale record abbia già provocato il taglio di servizi fondamentali per i cittadini romani;
   tra i servizi minimi garantiti dal Programma sono annoverabili voci che dovrebbero facilitare l'integrazione dei migranti, come l'erogazione del vitto, la fornitura di vestiario e biancheria per la casa, prodotti per l'igiene personale, l'erogazione di un pocket money, l'accesso ai servizi della città e all'assistenza sanitaria, l'inserimento scolastico dei minori e misure in favore dell'istruzione degli adulti, interventi di orientamento ai servizi per l'impiego presenti sul territorio e tutta un'altra serie di interventi, il cui costo pro capite si aggirerebbe attorno ai 30 euro al giorno;
   le strutture in cui destinare suddetti centri di accoglienza sono state individuate in zone periferiche della città, in particolare nel quadrante Est, già afflitte da annose problematiche e fortemente disagiate nei servizi e nelle strutture, quindi a forte rischio di tensione sociale;
   sono da definirsi alquanto dubbie le modalità attraverso le quali si è pervenuti alla individuazione, da parte dell'amministrazione, di associazioni o cooperative per l'allestimento e la gestione delle strutture, determinate in base ai tipi di servizi territoriali offerti rispetto alle competenze fornite –:
   se sia informato di quanto esposto in premessa, e quali misure intenda adottare al fine di sostenere la città di Roma nello sforzo finanziario necessario alla gestione dell'emergenza immigrazione. (4-04935)


   LUPO, NUTI, MASSIMILIANO BERNINI, CANCELLERI, DI BENEDETTO, D'UVA, DI VITA, GALLINELLA, L'ABBATE, LOREFICE, MARZANA e VILLAROSA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   al personale tecnico dirigente del Corpo forestale della regione siciliana, istituito con legge regionale n. 24 del 5 aprile 1972, Corpo al quale sono attribuite le stesse competenze, ruoli e qualifiche del Corpo forestale dello Stato, vengono riconosciute le qualifiche di ufficiale di polizia giudiziaria e di agente di pubblica sicurezza e viene rilasciato, all'atto della nomina in ruolo, un tesserino di riconoscimento personale attestante le qualifiche suddette;
   la legge regionale n. 10 del 15 maggio 2000 dispone che i dirigenti del Corpo forestale della regione siciliana fuoriescano dai ruoli del Corpo per transitare nel ruolo unico della dirigenza della regione, ruolo unico articolato in modo da garantire la necessaria specificità tecnica e professionalità, anche ai fini dell'attribuzione degli incarichi in relazione alle peculiarità delle strutture;
   con legge regionale n. 4 del 27 febbraio 2007 sono stati istituiti i nuovi ruoli del personale del Corpo forestale della regione siciliana nei quali transita il personale con qualifiche di ufficiale di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza, mentre i dirigenti, in assenza di una specifica previsione normativa, restano nel ruolo unico della dirigenza della regione; 
   dal 29 maggio 2007 al 22 giugno 2011, con appositi provvedimenti pubblicati nella gazzetta ufficiale della regione siciliana, la dirigenza regionale ha ottenuto la proroga per l'utilizzo dei vecchi tesserini;
   la dirigenza del Corpo forestale della regione siciliana, a differenza del personale presente presso le sezioni di polizia giudiziaria, può stipulare contratti di tipo privatistico con la giunta regionale di Governo per l'attribuzione di compensi o conferimento di incarichi presso enti o amministrazioni controllate dalla regione, ed è pertanto evidente, ad avviso degli interroganti, l'ambiguità funzionale e l'incompatibilità delle qualifiche di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza in seno ad un Corpo di polizia quale il Corpo forestale della regione siciliana, come peraltro sancito dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 40/2007;
   i suddetti dirigenti pertanto non risultano più nei ruoli del Corpo forestale della regione siciliana, essendo transitati, quali ex dirigenti forestali, nel ruolo unico della dirigenza regionale –:
   se nelle banca dati degli operatori di polizia che rivestono le qualifiche di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza o presso le prefetture siano indicati i dirigenti regionali ex dirigenti del Corpo forestale della regione siciliana;
   se siano stati rilasciati a codesti dirigenti tesserini connessi ai ruoli della polizia giudiziaria o della pubblica sicurezza;
   se non ritenga, ove fossero stati rilasciati tali tesserini, che l'ingresso della dirigenza forestale nel ruolo unico della dirigenza regionale comporti la decadenza delle qualifiche in questione e quindi il ritiro dei suddetti tesserini;
   se l'istituto poligrafico dello Stato, di cui il Ministero dell'economia e delle finanze è azionista unico, abbia effettivamente provveduto a stampare e rilasciare ai dirigenti del Corpo forestale della regione siciliana transitati nel ruolo unico della dirigenza della regione siciliana, tesserini attestanti la qualifica di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza;
   in caso affermativo, se non ritenga opportuno assumere iniziative nei confronti dell'istituto poligrafico dello Stato al fine di verificare eventuali responsabilità. (4-04941)


   DORINA BIANCHI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il bando di concorso per l'ammissione a frequentare il quinto corso-concorso selettivo di formazione per il conseguimento dell'abilitazione ai fini dell'iscrizione di 200 segretari comunali nella fascia iniziale dell'albo dei segretari comunali e provinciali è stato pubblicato sulla GURI n. 86 del 6 novembre 2009; le prove scritte si sono tenute in data 22, 23 e 24 marzo 2011, gli orali si sono svolti nel periodo ottobre-dicembre 2013 e la graduatoria finale è stata approvata il 23 dicembre 2013 e pubblicata sulla GURI n. 3 del 10 gennaio 2014;
   il consiglio direttivo a marzo 2013 ha approvato le direttive per le attività formative e nella medesima seduta è stata deliberata la programmazione dei corsi SPES e SEFA 2013 e ribadita la necessità di predisporre gli atti necessari per il previsto avvio del COA 5 da tenersi nel 2014;
   all'inizio di gennaio 2014 è stato richiesto agli ammessi di confermare, entro un ristretto termine, e a mezzo fax, l'impegno formale a partecipare al quinto corso–concorso;
   numerosi candidati hanno nel frattempo rinunciato a svolgere altre attività lavorative e/o formative in vista dell'imminente avvio del corso;
   in data 14 aprile 2014 si è tenuto un incontro tra il Ministero e le organizzazioni sindacali in vista del consiglio direttivo del 15 aprile 2014 con all'ordine del giorno la programmazione dell'attività di formazione e di aggiornamento professionale relativa all'anno 2014;
   dai comunicati delle organizzazioni sindacali è emersa la volontà dell'amministrazione di procedere alla pubblicazione nel mese di maggio 2014 dei nuovi bandi per i corsi SPES e SEFA 2014, da tenersi rispettivamente nei mesi di settembre e ottobre 2014;
   in occasione del medesimo incontro è altresì emersa la volontà di posticipare l'inizio presunto del COA 5 addirittura a dicembre 2014, ovvero un anno dopo l'approvazione della graduatoria definitiva e dopo 5 anni dalla pubblicazione del bando di concorso, nonostante il consiglio direttivo avesse contezza della necessità del suo celere avvio già nelle adunanze del marzo 2013, ben prima della programmazione dei corsi SPES e SEFA 2014;
   la partecipazione al corso–concorso presuppone, per chi presta attività lavorativa dipendente, la necessità di conoscere per tempo il calendario e la strutturazione del corso, al fine di richiedere al proprio datore di lavoro eventuali aspettative, permessi o part time, dovendo rispettare il preavviso previsto dalla legge o dai vari contratti collettivi di lavoro;
   il legittimo interesse deve essere considerato per i 260 candidati già ammessi al corso, con l'approvazione della graduatoria a dicembre 2013 e in attesa da ben 5 anni di partecipare al corso per portare a termine un già troppo lungo e faticoso percorso concorsuale;
   la conclusione del corso–concorso, così come accaduto per i precedenti COA, non coincide con una contestuale iscrizione all'albo e, conseguentemente, c’è il rischio che con un inizio posticipato del corso a dicembre 2014, o oltre, l'iscrizione dei COA 5 possa essere deliberata solo nella primavera 2016, sette anni dopo l'avvio della procedura concorsuale;
   le recentissime ipotesi di riforma della pubblica amministrazione introducono ulteriori elementi di incertezza in merito al futuro professionale della categoria dei segretari comunali e provinciali;
   l'Unione nazionale segretari comunali e provinciali, in considerazione della proposta di abolizione della figura del segretario contenuta nella lettera del Governo ai dipendenti pubblici, ha proclamato lo stato di agitazione sindacale in quanto le proposte del Governo hanno «lasciato amareggiati le migliaia di Segretari che sono da anni, con dedizione e lealtà verso le Istituzioni, in servizio in tutta Italia, e privi di ogni certezza e le centinaia di giovani Segretari che attendono di entrare in servizio in questi mesi e che costituiscono una ricchezza proprio nell'ottica del ricambio generazionale tanto auspicato da tutti» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se intenda attivarsi con la massima sollecitazione affinché il consiglio direttivo formalizzi l'avvio del corso–concorso COA 5, da tenersi comunque entro il 2014, come già preventivato nelle adunanze di marzo 2013;
   se il Ministro interrogato intenda attivarsi affinché sia pubblicato congiuntamente alla pubblicazione dei bandi SPES e SEFA 2014, prevista per maggio 2014, anche il calendario del corso-concorso COA 5 con la relativa strutturazione interna, scongiurando definitivamente il rischio di eventuali, ulteriori slittamenti; 
   se il Ministro interrogato intenda avviare per tempo tutte le iniziative necessarie per garantire una rapida iscrizione degli ammessi al quinto corso-concorso all'albo dei segretari comunali e provinciali entro l'inizio del 2016, anche in considerazione del fatto che molti sedi di fascia C risulteranno essere vacanti, per la tornata elettorale amministrativa prevista nella primavera 2016 e per l'abilitazione di numerosi segretari alla fascia B. (4-04944)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   a Vibo Valentia, presso il liceo artistico D. Colao risultano ancora interdette alle attività scolastiche, a causa di importanti problemi strutturali, alcune aule operative, creando notevoli disagi sia agli studenti che ai professori;
   la notizia è stata resa nota dalla Gazzetta del Sud del 26 aprile 2014, riportando che, nonostante le notevoli sollecitazioni da parte del dirigente scolastico, a tutt'oggi nessun provvedimento è stato adottato;
   l'importante istituto si prefigge come obiettivo la formazione culturale dei giovani in un contesto estremamente diversificato, dove coesistono a breve distanza le attività turistiche e industriali collegate con il mare, unitamente a quelle derivanti dalle peculiarità gastronomiche dell'altopiano del Poro;
   l'istituto si inserisce in un difficile contesto sociale caratterizzato da problemi socioeconomici derivanti essenzialmente da una profonda crisi occupazionale, da pesanti fenomeni legati alla criminalità e, non ultimo, dalla forte dispersione scolastica;
   da anni si attende che i locali, attualmente inagibili, vengano ristrutturati rendendoli idonei allo svolgimento delle attività scolastiche che per alcune materie, laboratorio di informatica, cottura delle ceramiche, diventano assolutamente indispensabili;
   a parere dell'interrogante è opportuno richiamare l'attenzione sulla questione al fine di ridurre al minimo i disagi di chi vuole vivere la scuola come momento di formazione, aggregazione e confronto per crescere ed operare insieme –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e di quali elementi disponga in merito all'adeguatezza del servizio scolastico fornito dal liceo artistico D. Colao che, nonostante l'efficienza e la dedizione del personale scolastico, potrebbe essere compromesso e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per mettere la sede dell'istituto nelle migliori condizioni di operare, per ridare qualità al servizio scolastico e scongiurare ulteriori disagi agli studenti e al personale docente.
(4-04929)


   FANTINATI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge 2 agosto 1999, n. 264 regola gli accessi ai corsi di medicina e chirurgia, in medicina veterinaria, in odontoiatria e protesi dentaria, in architettura e ai corsi di laurea in scienza della formazione primaria e alle scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario e «ai corsi universitari di nuova istituzione o attivazione, su proposta delle università e nell'ambito della programmazione del sistema universitario, per un numero di anni corrispondente alla durata legale del corso»;
   sono invece programmati dalle singole università gli accessi a quei corsi in cui si prevede «l'utilizzazione di laboratori ad alta specializzazione, di sistemi informatici e tecnologici o comunque di posti-studio» o «l'obbligo di tirocinio come parte integrante del percorso formativo, da svolgere presso strutture diverse dall'ateneo»;
   il 5 febbraio 2014 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca scientifica ha pubblicato il decreto che fissa modalità e posti per il test del prossimo 8 aprile per l'accesso alla facoltà di medicina anno accademico 2014-2015;
   il decreto prevede un taglio del 23 per cento dei posti disponibili nella facoltà di medicina, 2.239 in meno rispetto ad un anno fa;
   stesso discorso per veterinaria, con 632 accessi contro gli 825 del 2013; e odontoiatria il cui taglio si riduce al 20 per cento: 787 posti invece dei 984 del 2013;
   nel 2013, annus horribilis per il lavoro nel nostro Paese, tra le poche professioni dove si sono creati nuovi posti – 1.200 circa – c’è quella medica. In Lombardia, dove la sanità pubblica e quella privata, nonostante i gravi scandali e le inchieste della magistratura, restano un'eccellenza mancano circa 5 mila medici;
   «l'esercito» di medici laureati negli anni Ottanta, quando nelle università non esisteva il numero chiuso, si sta assottigliando perché vanno in pensione. È prevedibile che nel 2020, in Italia, mancheranno circa 50 mila medici;
   il «numero programmato», benché introdotto in Italia per conformarsi al quadro normativo comunitario e sulla scia di «raccomandazioni dell'Unione europea che determinano standard formativi tali da richiedere il possesso di specifici requisiti» aventi quale primo obiettivo la garanzia della qualità della formazione in taluni ambiti scientifici (tra i quali, ricordiamo, medicina, veterinaria, odontoiatria, architettura) denota, però, per il Paese che adotta tale metodo di selezione dei futuri professionisti, un approccio semplicistico nonché conservatore ad un tale obiettivo – la qualità della formazione – che semmai dovrebbe essere patrimonio di tutta la formazione accademica;
   la prevista metodologia di selezione degli ammessi, inoltre, tende a diffondere tra i giovani una cultura dello studio perlopiù nozionistica dal momento che il superamento delle prove di ammissione è, di fatto, determinato dal tempo di «allenamento» dedicato (proprio come in una palestra, appunto), come anche dimostrano i metodi full immersion messi in campo da note scuole private che nel frattempo hanno ideato il mercato parallelo della preparazione ai test di accesso;
   il «numero programmato» stabilito annualmente dal ministero competente «tenendo anche conto del fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo», risulta essere oggi decisamente superato in quanto il mercato professionale di riferimento non può più essere considerato unicamente quello italiano ma deve essere l'intero mercato del lavoro europeo (nel Nord Europa, ad esempio, vi è un'alta richiesta di medici, così come di tecnici nel Centro Europa), se non addirittura, in un trend di marcata globalizzazione come l'attuale, l'intero mercato del lavoro mondiale, e le cronache di questi ultimi anni, anche a causa della pressante crisi economica che stringe il nostro Paese, riferiscono sempre più di una forte propensione dei nostri giovani laureati a lavorare all'estero;
   i costi da sostenere per l'iscrizione ai test di ammissione aumentano di anno in anno ed hanno raggiunto ormai cifre spropositate: questo rappresenta, nel già pesante quadro economico nazionale, un ulteriore aggravio per le famiglie italiane che hanno speso nel 2013 circa 14 milioni di euro solo per garantire ai propri figli l'iscrizione ai test di accesso (Il Sole 24 Ore del 23 settembre 2013);
   i costi da sostenere per la preparazione ai test variano da qualche centinaio di euro per il mero acquisto dei testi di studio, nel caso della preparazione «fai da te», fino a cifre proibitive per corsi più o meno intensivi presso scuole private (una rinomata scuola privata, ad esempio, chiede 12.000 euro per un pacchetto preconfezionato di corsi intensivi) che, oltretutto, non danno garanzia alcuna di risultato: l'impressione, quindi, è che si stia nuovamente prefigurando (come già negli anni prima del boom economico, ma almeno in quel caso il titolo accademico garantiva il lavoro e la laurea, in qualche misura, funzionava da ascensore sociale) una università d’élite, ovvero destinata a coloro che hanno maggiori disponibilità economiche e possono, quindi, assicurarsi le migliori opportunità che il mercato della preparazione ai test di accesso offre; da non trascurare, poi, il business delle università all'estero (come nel caso di medicina ed odontoiatria) a cui possono accedere, per i costi proibitivi previsti, ancora una volta solo i giovani delle famiglie più abbienti;
   per far comprendere l'entità del fenomeno, è stata di recente istituita una succursale della facoltà di medicina dell'università di Sofia presso la città di Chiasso in Svizzera (subito dopo il confine italiano, quindi), con lo specifico fine di intercettare proprio gli aspiranti studenti che non riescono a superare in Italia i test di accesso a Medicina. Va, in ultimo, riportato che, nell'ipotesi più fortunata dell'ammissione di un giovane ad un corso di laurea a numero programmato, vista la graduatoria nazionale introdotta unitamente ai test di accesso, il 90 per cento delle famiglie di questi giovani sono costrette a sostenere (sempre che se lo possano permettere) il gravoso onere economico del mantenimento dei figli-studenti fuori sede. È noto che anche altre categorie professionali (non ultime gli avvocati, ad esempio) chiedono da tempo di seguire lo stesso sistema di accesso programmato ai corsi di laurea: se non si pone in fretta un decisivo freno a tale pericolosa tendenza vi è il serio rischio della riproposizione del modello di università per pochi eletti tipica del dopoguerra, facendo, oltretutto, sprofondare il nostro Paese agli ultimi posti per numero di laureati tra i Paesi industrializzati;
   vi è il pieno convincimento che un test di ingresso, così disposto non possa garantire la preparazione di un buon medico o un buon dentista o un buon architetto: troppe sono le variabili che un'unica prova selettiva di accesso, di poche ore, porta con sé (non ultimo l'emozione che provoca il sostenere la «prova della vita», nonché lo stato di tensione generato dalla pressoché sovrapposizione del test di accesso con la preparazione all'esame di maturità);
   il numero di laureati nel nostro Paese è già oggi tra i più bassi tra i Paesi OCSE, e una siffatta politica restrittiva non fa altro che aumentare ulteriormente il divario con gli altri Paesi avanzati; risulta, poi, ancor più irragionevole e paradossale per uno Stato come il nostro in cui il fenomeno della dispersione scolastica in generale è tale da raggiungere oramai livelli di guardia, essere capaci di allontanare dallo studio quei giovani che in un siffatto contesto socio-economico, non certo incoraggiante, hanno ancora voglia di «investire nello studio»;
   da non sottacere, inoltre, che tale scellerato sistema sta «parcheggiando» migliaia di giovani studenti non ammessi ai corsi che, nella speranza di riuscire nel tentativo di superare il test l'anno successivo, ritardano inopportunamente di due se non tre anni il loro ingresso nel mondo del lavoro –:
   se non si ritenga, in attesa di una opportuna e più ampia rivisitazione della materia che preveda anche l'abolizione del numero programmato, porre mano, con immediati interventi correttivi, all'attuale sistema degli accessi universitari programmati, intervenendo sul metodo di selezione, ammettendo tutti gli studenti che ne facciano richiesta al primo anno di corso di laurea, durante il quale è marginale l'attività di laboratorio (un idoneo rapporto studenti-laboratorio è tra le principali motivazioni addotte per il ricorso al numero programmato) e rinviando la selezione vera e propria alla fine del primo anno di corso, quando, cioè la previsione di criteri ben definiti (numero di esami da sostenere) renderebbe possibile la valutazione dei curricula maturati per l'iscrizione al secondo anno, criterio questo certamente più meritocratico di quello ora vigente. (4-04937)


   PIAZZONI, SCUVERA, PILOZZI, BOCCADUTRI, COSTANTINO e ZARATTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con recente bando di gara l'amministrazione comunale di Pomezia (Roma), guidata dal Movimento cinque stelle, ha aperto la procedura per il rinnovo dell'affidamento del servizio di ristorazione scolastica per gli alunni delle scuole dell'infanzia e primarie, per il periodo settembre 2014-luglio 2017;
   all'articolo 1 del capitolato speciale di appalto viene specificato il prezzo posto a base di gara per quello che viene definito «menu completo», pari a euro 4,44 e il prezzo posto a base di gara per quello che viene invece definito «menu ridotto», pari a euro 4,00;
   negli articoli 35 e 38 dello stesso viene precisato il contenuto diverso dei due menu: il menu completo comprende il dolce, mentre il menu ridotto ne risulta privo. L'assenza del dolce dal pasto giustifica così la diversità di prezzo dei due diversi menu;
   tale differenziazione del servizio di ristorazione, determinata sulla base di quanto una famiglia possa permettersi di pagare il servizio, appare assolutamente inaccettabile e discriminatoria;
   si verrebbe a creare così, all'interno della scuola pubblica dell'infanzia e primaria – luoghi ove si dovrebbe inderogabilmente garantire il principio di uguaglianza, nonché condizioni culturali, relazionali, didattiche e organizzative capaci di promuovere lo sviluppo e la crescita personale degli alunni, indipendentemente dalle loro condizioni personali e sociali – un'odiosa differenziazione di trattamento basata sul censo e sulla capacità economica delle famiglie;
   agli interroganti appare discriminatorio, per le ragioni citate in premessa, il bando di gara emanato dall'amministrazione comunale di Pomezia –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione alla vicenda di cui in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere al fine di sostenere i nuclei familiari economicamente svantaggiati, anche mediante la destinazione di specifiche risorse, in modo da favorire l'uguaglianza e la parità di trattamento degli alunni, evitando casi come quello di Pomezia. (4-04947)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROSTELLATO, RIZZETTO, BALDASSARRE, COMINARDI, BECHIS e CIPRINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con circolare Inps n. 150 del 25 ottobre 2013, viene definitivamente chiarito che deve ritenersi anticipata al 31 dicembre 2012 la scadenza dei benefici connessi a rapporti agevolati, instaurati prima del 2013 con lavoratori iscritti nelle liste di mobilità a seguito di licenziamento individuale;
   infatti con la circolare 13/2013 viene chiarito che non è possibile riconoscere le agevolazioni per le assunzioni, effettuate nel 2013, di lavoratori licenziati nel 2013, riservandosi di fornire indicazioni sulle altre fattispecie;
   a seguito successivamente dei chiarimenti forniti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali si evince che non è possibile riconoscere le agevolazioni per le assunzioni, effettuate nel 2013, di lavoratori licenziati prima del 2013;
   non è possibile riconoscere le agevolazioni per le proroghe e le trasformazioni a tempo indeterminato, effettuate nel 2013, di rapporti agevolati instaurati prima del 2013; in via cautelare deve ritenersi anticipata al 31 dicembre 2012 la scadenza dei benefici connessi a rapporti agevolati, instaurati prima del 2013 con lavoratori iscritti nelle liste di mobilità a seguito di licenziamento individuale;
   questa notizia ha destato allarme per le aziende che hanno usufruito degli incentivi per le assunzioni di lavoratori in «piccola mobilità» effettuate nel 2012;
   in buona sostanza, l'azienda che ha assunto il lavoratore nel 2012 e che ha fatto valere lo sgravio contributivo per i mesi 2013 dovrà a questo punto provvedere a versare all'Inps la differenza tra i contributi versati e quelli (ora) dovuti, più gli interessi maturati, né potrà disporre del nuovo bonus non essendo stata effettuata l'assunzione nel 2013;
   con il messaggio 17941/2013, facendo seguito alle istruzioni fornite con circolare 150 citata in precedenza, le sedi territoriali venivano invitate a riprendere l'attività di verifica sulla spettanza dei benefici riguardanti i lavoratori iscritti nelle liste di mobilità ed a chiedere ai datori di lavoro di regolarizzare quanto percepito indebitamente per l'agevolazione;
   fino ad arrivare all'ultimo messaggio n. 18639, con il quale ad integrazione delle indicazioni già fornite, si precisa che al momento, in considerazione della circostanza che l'istituto è ancora in attesa dei definitivi chiarimenti ministeriali non dovrà essere richiesto ai datori di lavoro il rimborso dei benefici eventualmente fruiti –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali ulteriori iniziative di competenza si intendano assumere al riguardo;
   se i Ministri interrogati non intendano al più presto provvedere a definire tale situazione di indeterminatezza in cui vertono le piccole e medie aziende, in particolare quelle artigiane;
   se non si intenda intervenire urgentemente al fine di preservare migliaia di aziende da un esborso decisamente fuori luogo e per di più incomprensibile, data la piena violazione del principio di irretroattività dei provvedimenti esposti in premessa. (5-02870)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BECHIS, ROSTELLATO, BALDASSARRE, CURRÒ e RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il congedo matrimoniale spetta a tutti i lavoratori il cui rapporto di lavoro dura da almeno una settimana, si tratta di un periodo non frazionabile quindi va fruito, per i giorni stabiliti nel CCNL di cui si ha diritto, in maniera consecutiva e non è né computato in conto ferie né considerato quale periodo di preavviso di licenziamento;
   il congedo matrimoniale per i lavoratori omosessuali, che stipulano il vincolo matrimoniale all'estero, è stato introdotto, tramite contrattazione di secondo livello, nei contratti di alcune importanti realtà private;
   l'articolo 21 della legge n. 183 del 2010 contenente misure atte a garantire pari opportunità, benessere di chi lavora e assenza di discriminazioni nelle amministrazioni pubbliche, afferma di voler «realizzare la migliore utilizzazione delle risorse umane nelle pubbliche amministrazioni, assicurando la formazione e lo sviluppo professionale dei dipendenti, applicando condizioni uniformi rispetto a quelle del lavoro privato, garantendo pari opportunità alle lavoratrici ed ai lavoratori nonché l'assenza di qualunque forma di discriminazione» ed ancora «le pubbliche amministrazioni garantiscono parità e pari opportunità tra uomini e donne e l'assenza di ogni forma di discriminazione, diretta e indiretta, relativa al genere, all'età, all'orientamento sessuale, alla razza, all'origine etnica, alla disabilità, alla religione o alla lingua, nell'accesso al lavoro, nel trattamento e nelle condizioni di lavoro, nella formazione professionale, nelle promozioni e nella sicurezza sul lavoro»;
   una recente sentenza n. 1328/2011 della Corte di cassazione, afferma che la nozione di «coniuge», prevista dall'articolo 2 decreto legislativo n. 30 del 2007, deve essere determinata alla luce dell'ordinamento straniero in cui il vincolo matrimoniale è stato stipulato;
   l'introduzione del congedo matrimoniale per tutti i lavoratori della pubblica amministrazione, compresi i coniugi dello stesso sesso, è un passo importante verso la piena realizzazione dei principi costituzionali espressi nell'articolo 3 della Costituzione oltre a rappresentare un esempio positivo da emulare nelle contrattazioni tra privati –:
   se il Ministro interrogato ritenga di adottare ogni più opportuna iniziativa, anche di carattere normativo, al fine di permettere l'accesso al congedo matrimoniale anche alle coppie di lavoratori pubblici dello stesso sesso che acquisiscano lo status di coniuge contraendo vincolo matrimoniale all'estero. (4-04923)


   GRIMOLDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   i contributi previdenziali, detti anche comunemente oneri sociali, sono «imposte» destinate al finanziamento del sistema pensionistico;
   è indubbio che i contributi previdenziali concorrono in modo preponderante nell'incidenza del cuneo fiscale e della pressione fiscale dello Stato sui datori di lavoro e lavoratori –:
   se non ritenga che gli oneri previdenziali a carico dei lavoratori e delle imprese in questo periodo di crisi siano eccessivi e quali iniziative intenda assumere al riguardo. (4-04932)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GALLINELLA, GAGNARLI, L'ABBATE e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel settore agroalimentare, l’export rappresenta un aspetto determinante per la crescita e la tenuta economica, in particolare nel 2012 ha toccato i 24,8 miliardi di euro e un'incidenza sul fatturato totale dell'industria alimentare del 19 per cento;
   l'esportazione alimentare risente però di barriere non tariffarie e indipendenti dagli andamenti del mercato, che spesso rappresentano un ostacolo insormontabile, in particolare, per il settore delle carni e dei prodotti a base di carne suina;
   il patrimonio suinicolo nazionale è costituito da circa 9 milioni di capi, di questi una piccola percentuale si trova in aree non indenni da due patologie animali che rappresentano l'ostacolo principale all'esportazione verso i paesi terzi delle carni suine non lavorate, fresche o a breve stagionatura;
   infatti, la MVS (malattia vescicolare del suino) e la PSA (peste suina africana) non sono state ancora debellate in alcune regioni italiane, nonostante le segnalazioni e le richieste di intervento di associazioni di categoria che riconoscono in questo impedimento «non tariffario» una perdita per la filiera suinicola di circa 250 milioni di euro l'anno per mancate esportazioni (200 milioni circa derivanti dall'esportazione di carni e prodotti freschi, 50 milioni dai salumi);
   le regioni interessate dalla presenza di queste due patologie sono per la MVS Calabria, Campania, e più recentemente anche Basilicata e per la PSA la regione Sardegna;
   in Europa vige il principio di regionalizzazione che permette la circolazione di carni e prodotti a base di carne suina (dietro specifiche condizioni) provenienti dalle suddette regioni;
   lo stesso principio di regionalizzazione non è però adottato in uguale forma nei paesi extra Unione europea che in molti casi richiedono che i prodotti esportati dall'Italia subiscano specifici trattamenti idonei a garantire la sicurezza degli stessi sul piano della sanità animale. Ad esempio, solo dal 28 maggio 2013 si è aperta la strada per i prodotti a breve stagionatura verso gli USA (che hanno riconosciuto l'indennità dalla MVS di alcune regioni italiane dalle quali importare prodotti suinicoli), un passo straordinario – si legge in una nota dall'ASSICA, Associazione industriali delle carni e dei salumi – ma che ancora non basta a potenziare il mercato dei maggiori (potenziali) clienti extra Unione europea;
   debellare le due patologie succitate – che pur interessando una percentuale molto bassa di capi influenzano in maniera rilevante gli introiti di tutto l’export delle carni e dei salumi italiani, a parere degli interroganti – sarebbe doveroso da parte dello Stato e darebbe una sterzata positiva all'intero mercato agroalimentare nazionale;
   si apprende, inoltre, che è in atto un tavolo tecnico tra i ministeri interrogati, l'agenzia delle dogane e le associazioni di categoria per giungere presto ad una soluzione del problema –:
   se, in base a quanto esposto in premessa e di concerto con gli altri ministeri competenti, stia elaborando una strategia atta a debellare le due patologie animali dal territorio nazionale affinché non sia compromesso in maniera rilevante l'intero settore dell’export, specie verso i paesi extra Unione europea, di carni suine e salumi nazionali. (5-02873)


   ZOLEZZI, LUPO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, SEGONI, TERZONI, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, GALLINELLA, L'ABBATE e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il carniccio è un prodotto di scarto ottenuto dalla concia delle pelli (la concia al cromo è il tipo di concia di gran lunga più diffuso) delle pelli; viene ricavato dalla fase di scarnatura che consiste nella separazione della pelle grezza dallo strato sottocutaneo costituito essenzialmente da collagene; successivamente lo stesso carniccio viene sottoposto ad un processo di trasformazione con l'ottenimento di grassi e proteine (il cosiddetto idrolizzato proteico);
   da un articolo apparso sul Corriere Fiorentino.it del 26 settembre 2008 si legge: «il cromo esavalente è un metallo pesante altamente tossico, tanto che negli ultimi anni una direttiva europea ne ha limitato l'uso nella conciatura delle pelli in quantità minime, considerate al di sotto della soglia di rischio. I parametri europei prevedono l'uso di questa sostanza in misura minima, spiega il direttore generale dell'Associazione nazionale calzaturifici italiani (Anci), Leonardo Soana. Il cromo esavalente – aggiunge – è una sostanza necessaria alla conciatura, ma va utilizzata in dosi molto contenute»;
   la pubblicazione del dipartimento di medicina del lavoro – Centro ricerche Parma CERT – del 2008 riporta «L'apparato respiratorio rappresenta il principale bersaglio dell'azione tossica e cancerogena del Cromo esavalente; l'esposizione professionale, acuta e cronica, avviene soprattutto per assorbimento mediante inalazione. È stato inoltre dimostrato che l'esposizione a Cromo esavalente è una delle possibili cause di tumore al polmone...». È cancerogeno di tipo 1 secondo lo IARC (International Agency of Research on Cancer);
   in un articolo apparso sulla Gazzetta di Mantova del 14 marzo 2014 si denuncia come «l'impianto biogas di Buscoldo, frazione del comune di Curtatone (MN) introdurrà l'uso del prodotto da conceria per il funzionamento della centrale, (...) La Provincia alla fine dello scorso anno ha autorizzato la società che gestisce la centrale alla variazione del mix che alimenta l'impianto, che finora ha funzionato con mais e triticale (ibrido tra la segale e il grano tenero), con uso di altre sostanze tra le quali l'idrobios, formata da scarto di conceria, la pelle degli animali destinati alla macellazione, con l'obiettivo di ridurre la quantità di biomasse vegetali (...). La normativa in materia è ancora incerta. A livello europeo si sta discutendo dell'idrolizzato proteico animale come matrice degli impianti a biogas. I test preliminari svolti dalla Commissione europea si oppongono a questa pratica, visto che in realtà il fine è smaltire reflui di conceria, difficilmente gestibili a prezzi bassi e che l'idrolizzato è ricchissimo di Cromo, che si potrebbe liberare in atmosfera e depositarsi al suolo e finire nella catena alimentare»;
   con decreto del Capo dipartimento Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali del 6 dicembre 2013, (Prot. 3134), visto il decreto ministeriale 19723/7742/08 del 21 dicembre 2008, registrato dall'ufficio centrale del bilancio in data 30 gennaio 2009, visto n. 3012 con il quale è stato concesso al C.R.A. – Consiglio per la ricerca e sperimentazione in agricoltura, ente di diritto pubblico, posto sotto la vigilanza del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, un contributo di euro 217.800,00, pari al 99 per cento della spesa ammessa di euro 220.000,00, per lo svolgimento del progetto di ricerca «Innocuità ed efficienza di proteine idrolizzate per la concimazione azotata in agricoltura biologica PROIDRO»; all'articolo 1 si riporta che «sulla base di quanto indicato nelle premesse è disposto a favore del C.R.A. – Consiglio per la ricerca e sperimentazione in agricoltura, il pagamento dell'importo di euro 89.195,07 a titolo di liquidazione finale del contributo concesso per lo svolgimento del progetto “Innocuità ed efficienza di proteine idrolizzate per la concimazione azotata in agricoltura biologica PROIDRO”»;
   PROIDRO è un «progetto, che verte sull'accertamento delle caratteristiche di innocuità ed efficienza delle proteine idrolizzate di origine animale (fra cui gli scarti di conceria), per il loro uso quali fertilizzanti in agricoltura biologica». Tale progetto «poneva quale obiettivo principale nel breve termine di raccogliere informazioni utili alla stesura di un rapporto tecnico-scientifico a supporto per il dibattito in sede comunitaria relativamente al possibile inserimento di questi prodotti nell'elenco dei fertilizzanti ammessi in agricoltura biologica»;
   l'8 aprile 2014 la Commissione Unione europea ha pubblicato il Regolamento di esecuzione n. 354/2014, nel quale vengono apportate le modifiche agli allegati I, II, V e VI e all'articolo 24 del regolamento (CE) n. 889/2008. Il regolamento recepisce alcune richieste provenienti dal mondo produttivo italiano e supportate dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali con la collaborazione degli esperti scientifici del CRA. Nello specifico si autorizza l'uso delle proteine idrolizzate, che non abbiano presenza «rilevabile» di cromo esavalente, nell'agricoltura biologica;
   nel sito del CRA – RPS (Centro di ricerca per lo studio delle relazioni fra pianta e suolo) è stato pubblicato una dichiarazione dei risultati provenienti dallo studio PROIDRO. In questo studio si attesta la non pericolosità delle proteine idrolizzate di origine animale derivate dal processo di concia che si applica per la ripulitura delle pelli che presentano residui organici. Ma la lettura della sintesi riporta solamente la composizione dei risultati evitando la definizione dei dati che compongono tale risultato. Infatti il testo di sintesi di chiusura dello studio riporta nello specifico: «Relativamente alla valutazione dell'innocuità degli idrolizzati proteici di origine animale nei confronti della salute umana, animale e dell'ambiente, nonché delle proprietà nutrizionali e biostimolanti nei confronti delle colture mediante l'uso di biondicatori nessun prodotto analizzato presenta comportamenti di fito e genotossicità»;
   pertanto la genericità con cui sono stati edotti i dati scientifici non possono essere di riferimento per una approfondita comprensione della reale consistenza dello studio specifico riportato in oggetto;
   l'agricoltura, e l'agricoltura biologica in particolare, è una delle eccellenze italiane con incrementi importanti dei fatturati dal 2010, con un sempre maggiore interesse della popolazione in questo settore. Il possibile deposito di sostanze alcaline e cromo da reflui di concia sui terreni o comunque di metalloidi, potrebbe compromettere la qualità dei prodotti biologici italiani (ed europei), portando anche a un disastroso effetto di abbandono dei prodotti italiani biologici e non, allontanandoci anche dalla sovranità alimentare; importiamo già circa il 50 per cento dei cereali e il 59 per cento dei pomodori rossi; va considerato inoltre lo spandimento diretto dei reflui della concia e anche dell'eventuale spandimento degli stessi reflui dopo il trattamento anaerobico in impianti di trattamento rifiuti (biogas da rifiuti speciali, impropriamente autorizzati in provincia di Mantova, vedi risposta ad interrogazione Zolezzi n. 5-02653) –:
   se alla luce di quanto riportato, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali non ritenga necessario approfondire le questioni evidenziate in premessa, verificando i dati in possesso del CRA RPS sulle caratteristiche di innocuità ed efficienza delle proteine idrolizzate di origine animale ottenute dalla lavorazione del prodotto di conceria e, in linea con i dettami della convenzione di Aarhus, rendere pubblico tutto il materiale concernente la ricerca effettuata dall'ente del CRA riguardanti lo studio PROIDRO, in merito alla verosimile compromissione della catena alimentare in tutto il settore agroalimentare italiano;
   se i Ministri interrogati non ritengano necessario avviare una studio specifico, anche in applicazione del principio di precauzione di cui all'articolo 174, paragrafo 2, del Trattato CE, per verificare quali impatti possano avere sulla salute dei cittadini l'uso del cosiddetto «carniccio» come prodotto organico per il funzionamento degli impianti di biogas, essendo stato chiarito, come da richiamata risposta del Governo all'interrogazione a risposta in commissione n. 5-02653 che «Gli scarti della macellazione e della lavorazione conciaria delle pelli [...] essendo matrici a base proteica, si configurano più come concimi azotati che come ammendanti...» e «...devono essere conferite all'impianto di digestione anaerobica come rifiuti...» e che «...per quanto riguarda il digestato prodotto da tali impianti, si deve rilevare che lo stesso deve essere qualificato come rifiuto...». (5-02878)


   CENNI, FIORIO, TENTORI, DAL MORO, COVA, LUCIANO AGOSTINI, CARRA e ANTEZZA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'agricoltura rappresenta uno dei settori di maggior rilevanza per l'intera l'economia italiana e per l'occupazione nazionale (soprattutto per quanto riguarda le nuove generazioni) anche nei periodi di crisi: sono state infatti create 117 mila nuove aziende negli ultimi tre anni (è agricola 1 impresa su 10 di quelle nate dal 2010), il 15 per cento condotta da giovani under 30, mentre l’export agricolo e agroalimentare ha registrato un aumento del 4,8 per cento nel 2013 rispetto all'anno precedente;
   tale comparto assume oggi un ruolo decisivo anche alla luce dei prossimi appuntamenti nello scenario internazionale come la presidenza italiana del Semestre europeo, l'Expo 2015 di Milano dedicato alla sovranità alimentare, la nuova stagione di fondi europei attraverso la nuova Pac e lo sviluppo rurale, la sfida del contrasto ai mutamenti climatici;
   uno degli enti pubblici a sostegno del settore primario è l'istituto nazionale di economia agraria (Inea): organismo di ricerca nel campo strutturale e socio-economico del settore agro-industriale, forestale e della pesca, fondato nel 1928 e sottoposto, per competenza, alla vigilanza del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;
   Inea ha svolto, nel corso degli anni, indagini e studi di economia agraria e forestale, conformando la propria attività alle esigenze e trasformazioni del sistema agroindustriale italiano, concorrendo in modo determinante alla formazione di una cultura della contabilità agraria in Italia, in quanto ente di collegamento tra lo Stato italiano e la Commissione Europea;
   i compiti svolti dall'lnea rispondono quindi, in misura crescente, ad una domanda sempre maggiore e diversificata di supporto tecnico e metodologico con il mondo della ricerca e degli operatori. Tale domanda origina da una molteplicità di soggetti istituzionali pubblici (comunitari, nazionali e regionali) e, nel tempo, è andata intensificandosi per il crescente ruolo svolto dalle politiche comunitarie, sulle quali linea ha sviluppato e consolidato una competenza specifica;
   l'Inea, conta di una struttura territoriale con 20 sedi regionali ed una sede centrale a Roma, ha sviluppato numerose collaborazioni con le regioni e con le associazioni agricole, è dotato di autonomia scientifica, statutaria, organizzativa, amministrativa e finanziaria;
   l'Inea ha recentemente messo a punto approfondimenti nel campo dello sviluppo sostenibile del comparto agricolo, alimentare e forestale, della competitività delle aziende. Si è occupato della promozione dell'innovazione, dalla sicurezza alimentare all'incentivazione del ruolo dei giovani e delle donne; dalla semplificazione burocratica alla efficace attuazione delle risorse comunitarie; dallo sviluppo della «bioeconomia» all'implemento della funzione sociale dell'agricoltura;
   risulta evidente il ruolo centrale di un ente agricolo di ricerca pubblico ed indipendente per sostenere e supportare l'innovazione dell'intero settore agricolo nazionale soprattutto in una realtà, come quella italiana, a diffusa vocazione territoriale e comprovata tradizione qualitativa;
   è noto che linea sta attraversando un periodo di consistente difficoltà, ragione per la quale è stato commissariato nel mese di gennaio 2014;
   nelle scorse settimane sono state numerose ed evidenti le occasioni di mobilitazione dei lavoratori per la salvaguardia dell'ente e per il mantenimento delle professionalità e competenze impiegate (circa 380 unità lavorative con varie tipologie contrattuali, con una età media intorno ai 40 anni) proprio per il valore strategico, già ampiamente ricordato, che Inea assume per il settore agroalimentare nazionale e per la qualità dei profili professionali presenti;
   è utile ricordare che in ogni Paese europeo esistono enti economici di ricerca: in Francia (Institut national de la recherche agronomique – Inra), in Spagna (Instituto nacional de investigación y tecnologia agraria y alimentaria – Inia), in Olanda (Agricultural economisc, research institute – Lei), in Germania (dove gli istituti di «agricoltura economisc» sono addirittura quattro);
   negli ultimi anni, le strutture della ricerca nel settore dell'agricoltura hanno già subito una profonda e continua opera di revisione, accorpamento e soppressione al fine di raggiungere una più efficiente organizzazione e realizzare gli obiettivi di risparmio stabiliti a livello nazionale. Va anche ricordato che alcune scelte dei precedenti governi hanno visto accorpamenti poi rimessi successivamente in discussione (Ense/Ente Risi), anche a dimostrazione di quanto il tema sia complesso e delicato;
   una complessiva, razionale ed efficace riorganizzazione del sistema degli enti vigilati dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali è, come il Ministro ha in più occasioni tenuto a sottolineare, assolutamente necessaria. Sul tema da tempo è aperto un dibattito ed esistono apposite proposte di legge presentate in Parlamento nell'attuale e nella precedente legislatura;
   da parte di alcune organizzazioni sindacali si è in più occasioni avanzato la proposta di una diversa organizzazione di tutti gli enti di ricerca operanti nei vari settori;
   anche nel piano di azioni per l'agroalimentare italiano denominato «Campolibero» annunciato dal Governo e dal Ministro competente, nei giorni scorsi, sono i presenti interventi che riguardano la riorganizzazione delle «Società vigilate dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali» –:
   quali siano gli indirizzi di Governo e Ministeri competenti sul futuro della ricerca in agricoltura ed in particolare dell'Inea, in relazione al ruolo strategico che tale ente ha svolto fino ad oggi a sostegno del settore agroalimentare nazionale e come verranno attuati;
   se non ritenga conseguentemente necessario, nel quadro dell'efficientamento della spesa pubblica e della razionalizzazione in atto, garantire comunque la sostenibilità economica ed operativa e l'alta professionalità di molti operatori, di un ente pubblico ed indipendente di ricerca nel settore agroalimentare, quale strumento indifferibile per sostenere, anche in ambito comunitario e globale, uno dei comparti economici ed occupazionali di maggiore rilievo del panorama nazionale quale il settore agricolo. (5-02879)

Interrogazioni a risposta scritta:


   OLIVERIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi il maltempo si è, ancora una volta, accanito sulla nostra penisola, colpendo ancora soprattutto le regioni del Sud. In provincia di Vibo Valentia, in particolare nel comune di Fabrizia una violenta grandinata ha danneggiato le abitazioni locali che sono, tra l'altro, rimaste isolate a causa di un blocco totale dell'energia elettrica;
   sono stati duramente colpiti interi campi di fiori, arrivando a distruggere l'intero possibile raccolto estivo;
   si è trattato di un fenomeno dall'effetto devastante. I chicchi di grandine, infatti, sono risultati particolarmente consistenti e di elevata intensità e la pioggia è stata abbondante;
   l'inattesa e violenta calamità atmosferica ha determinato ingenti danni in un settore già alle prese con una crisi generale di cui non si vede ancora la via d'uscita;
   gli agricoltori stanno ora verificando gli importanti danni subiti, nella speranza che qualche coltura sia riuscita a rimanere indenne;
   la popolazione locale, interessata dal grave evento atmosferico, riterrebbe opportuno che venga attivata la procedura per la dichiarazione dello stato di emergenza e la conseguente assegnazione di adeguati mezzi finanziari per intervenire nei territori colpiti a sostegno del reddito degli agricoltori –:
   se il Ministro interrogato, in considerazione della gravità dell'accaduto, ritenga opportuno assumere iniziative per proclamare in tempi rapidi lo stato di calamità naturale nei territori maggiormente colpiti e permettere l'invio di risorse straordinarie per fronteggiare la situazione di emergenza provocata dalla straordinaria grandinata;
   se il Ministro interrogato, al di là della situazione di emergenza, non intenda affrontare i problemi strutturali del settore agricolo calabrese attivandosi per promuovere un tavolo di concertazione che coinvolga tutte le rappresentanze degli operatori del territorio interessato anche in considerazione delle gravi ripercussioni economiche sui comparti agricoli e dei comprensori interessati che già soffrono le conseguenze del difficile periodo di crisi che il nostro Paese sta attraversando. (4-04931)


   GIORGIA MELONI, RAMPELLI, CIRIELLI, CORSARO, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 169 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea riconosce il diritto all'informazione al fine di promuovere la qualità della conoscenza per una scelta consapevole d'acquisto da parte dei cittadini e, più in generale, sottolinea l'esigenza di garantire una più adeguata promozione degli interessi economici dei consumatori, del loro diritto all'educazione e all'organizzazione per la salvaguardia dei propri interessi;
   lo stesso articolo sottolinea, inoltre, che è l'Unione europea a dover garantire un alto livello di protezione dei consumatori nella definizione e nell'attuazione di ogni sua politica;
   il 1o aprile 2011, è entrata in vigore la nuova normativa europea secondo la quale l'olio extra vergine di oliva non potrà contenere più di 75 mg/kg di alchil esteri e metil esteri, in pratica alcuni scarti di lavorazione che, causati da una lavorazione non accurata delle olive, provocano un abbassamento della qualità dell'olio specie per le qualità organolettiche, sovente corrette con l'uso di sostanze deodoranti;
   negli extravergine di qualità la soglia è sempre stata considerata di 15 mg/kg e, quindi, si comprende come tale aumento vertiginoso (in percentuale 5 volte maggiore) possa portare alla diffusione di oli definitivi extravergini di qualità nettamente inferiore con il rischio di deprezzare il settore e gettare in confusione il consumatore;
   appare chiaro come questa politica dell'Unione europea abbia l'intento di far rientrare negli «extravergini» quanti più oli possibili, a totale scapito dell'Italia, tra i maggiori Paesi produttori di extravergine (fino agli anni ’80 detentore del primato assoluto di principale produttore) e, soprattutto, del meridione e delle sue regioni a carattere prettamente olivicolo;
   da sempre, la gestione del mercato comune agricolo ha originato penalizzazioni per le produzioni mediterranee (olivo, vino, ortofrutta) e perdita di potere di acquisto per i nostri produttori, a vantaggio delle produzioni continentali (cereali e semi oleosi, latte e carne) prodotte dai tedeschi, francesi, olandesi e inglesi;
   a causa dell'assenza del suo negoziatore, l'Italia ha perso, l'opportunità di imporre per i prodotti mediterranei una tutela analoga a quella dei prodotti continentali, attraverso un preciso patto di scambio, in quanto i governi italiani si sono sempre ripromessi di mettere mano allo «squilibrio» della Pac tra agricoltura mediterranea e continentale, ma non si è mai andato oltre alle buone intenzioni;
   può considerarsi assolutamente fallimentare una politica che considera il cibo solo merce di scambio e sottovaluta la salubrità degli alimenti, la salute dei consumatori, l'impatto di alimenti sani sul bilancio sanitario pubblico, la sicurezza degli approvvigionamenti, la protezione dell'ambiente, lo sviluppo rurale;
   la sicurezza degli approvvigionamenti, pur risultando una priorità per il legislatore europeo, non è riuscita a tradursi in norme chiare e trasparenti per i consumatori europei tali da rendere le loro scelte consapevoli;
   la nostra agricoltura sana e di qualità è da troppo tempo sottovalutata e trascurata, forse anche per la certezza da parte dell'Europa di potersi approvvigionare comunque sui mercati mondiali a prezzi inferiori;
   è, oramai, consapevolezza diffusa che l'economia reale del nostro Paese potrà ripartire se riparte l'economia agricola, specie attraverso la valorizzazione dei suoi prodotti d'eccellenza, qual è l'olio d'oliva extravergine italiano;
   la politica agricola, pur essendo stata pietra miliare dell'edificio europeo, ha trasformato l'Italia semplicemente in un contributore netto, trascurando il reddito dei nostri produttori e di territori a prevalente vocazione agricola, così, mentre l'Italia dà un contributo importante al bilancio dell'Europa riceve in cambio molto meno –:
   se si intenda assumere iniziative dirette a porre un limite all'utilizzo della dicitura «extravergine» anche per quegli oli costruiti con l'aggiunta di oli «deodorati», cioè quegli oli non di uso alimentare, resi inodori e insapori;
   se e a quali strategie si intenda dare priorità per proteggere il marchio «made in Italy», che dà, al prodotto italiano, garanzia di eccellenza;
   per quale motivo in materia di controlli del prodotto, si sia assistito a sovrapposizioni di competenze, scarso coordinamento tra i tanti organismi e scarsità di fondi, che ne hanno limitato l'efficacia. (4-04936)


   BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, GALLINELLA, L'ABBATE, LUPO, PARENTELA, BUSTO e SILVIA GIORDANO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da alcuni anni la direzione generale igiene e sicurezza degli alimenti e nutrizione del Ministero della salute autorizza alcuni prodotti fitosanitari in virtù dell'articolo 53 del regolamento (CE) 1107/2009;
   nonostante l'ampia gamma di prodotti a disposizione dell'agricoltura l'aumento, negli ultimi anni, di questa procedura di autorizzazione speciale in Italia è stato esponenziale;
   secondo quanto indicato sul sito del Ministero della salute sono 17 le istanze di «autorizzazioni eccezionali»; in alcuni casi, comunque, si vedono reiterare le stesse richieste per gli stessi prodotti e le stesse colture;
   la maggior parte di queste sostanze attive non sono più o non sono ancora autorizzate dall'Unione europea (dicloropropene, cloropicrina, propanile), e questo meccanismo consente di non effettuare l’iter previsto dal sistema autorizzativo e la verifica dell'impatto (ambientale e sulla salute) non essendo, le richieste, corredate della documentazione necessaria a tali scopi;
   il PAN (piano di azione nazionale per l'utilizzo sostenibile dei prodotti fitosanitari), entrato in vigore il 13 febbraio 2014, all'articolo 5.6.1 «utilizzo prodotti fitosanitari ad azione erbicida» indica che in caso di deroga non si può ricorrere comunque all'uso di prodotti fitosanitari che riportano in etichetta le seguenti frasi di rischio: da R20 a R28; R36, R37 R38, R42, R43, R40, R41, R45, R48, R60, R61, R62, R63, R64, R68;
   all'articolo 5.6.2 «utilizzo dei prodotti fitosanitari ad azione fungicida, insetticida o acaricida» indica che in ogni caso è comunque escluso l'utilizzo di prodotti fitosanitari classificati tossici e molto tossici o che riportano in etichetta le seguenti frasi di rischio: da R20 a R28; R36, R37 R38, R42, R43, R40, R41, R48, R60, R61, R62, R63, R64, R68;
   queste sigle della classe di rischio si trovano nelle schede di sicurezza, e solo raramente si trovano nell'etichetta del prodotto, riportandone solo alcune per esteso;
   le autorizzazioni eccezionali si rivolgono specialmente a fitosanitari che nelle schede di sicurezza hanno principi attivi con classi di rischio nocive e tossiche per l'uomo e l'ambiente, invece le etichette approvate con i decreti dirigenziali tendono a ridimensionare queste classi di rischio;
   il prodotto LYGERA è autorizzato con decreto dirigenziale del 5 marzo 2012; nella scheda di sicurezza autoprodotta dalla NUFARM ITALIA, nella sez. 3-miscele, indica il principio attivo FLUAZINAM in quantità pari al 40 per cento ed assegna le seguenti classi di rischio: Xn; R20 R63; Xi: R41 R43; l'etichetta di autorizzazione dirigenziale assegna la classe di rischio Xi = irritante per l'uomo; molte industrie chimiche e l'università inglese di Hertfordshire, al principio attivo FLUAZINAM assegnano la classe di rischio T: R23 = tossico per inalazione;
   risulta così autorizzato un fitosanitario T:R23 «tossico per inalazione», Xn «nocivo», R63 «possibile rischio di danni ai bambini non ancora nati», spacciandolo per Xi,N «irritante per l'uomo e nocivo per l'ambiente»;
   il prodotto LYGERA risulta quindi essere proibito dal piano di azione NAZIONALE per l'utilizzo sostenibile dei prodotti fitosanitari per due motivi: per la classe di rischio T e per le frasi di rischio proibite, elencate nel PAN-2014;
   con decreto 11 novembre 2013 la direzione generale del Ministero della salute autorizza l'immissione in commercio del prodotto fitosanitario Mesurol 500 FS (Bayer CropScience), con scadenza 30 novembre 2017; nella scheda di sicurezza autoprodotta dall'azienda chimica produttrice, assegna frase di rischio T; R25 «tossico per ingestione» secondo la direttiva 67/548/CEE, mentre, secondo il regolamento 1272/2008/CE, assegna la frase H300 «letale se ingerito», che corrisponde alla frase di rischio R28 della direttiva 67/548/CEE «molto tossico per ingestione» = T+; pertanto secondo il regolamento 1272/2008/CE, la classe di rischio assegnata corrisponde a T+ «molto tossico per ingestione» e non solo a T, come assegnato in precedenza dall'azienda produttrice;
   nell'etichetta emessa dalla Bayer CropScience il MESUROL 500 FS riporta, nelle prescrizioni supplementari, la tossicità per le api, dovuta alla presenza del principio attivo Methiocarb;
   il PAN-2014 proibisce l'uso dei fitosanitari con classe di rischio T+ e T ed in ogni caso tutti quelli che riportano le frasi di rischio precedentemente elencate, tra le quali anche R25 e R28; il prodotto MESUROL 500 FS è dunque vietato dal PAN-2014 per due motivi: per la classe di rischio T/T+ e per le frasi di rischio proibite, elencate nel PAN-2014;
   il fitosanitario SONIDO, autorizzato con decreto del 5 dicembre 2013 e con scadenza il 30 aprile 2017, è proibito dal PAN-2014 per le frasi di rischio che lo accompagnano; è classificato nella scheda di sicurezza nocivo per l'uomo e pericoloso per l'ambiente (Xn,N); il principio attivo Thiacloprid è tossico per le api e tossico per l'uomo con frase di rischio R25 «tossico per ingestione», R20 «nocivo per inalazione» e R40 cancerogeno cat. 3 cioè «possibilità di effetti cancerogeni - prove insufficienti»;
   anche in questo caso il prodotto fitosanitario è stato declassificato, con decreto dirigenziale, nella pagina del database del Ministero della salute, da «T» a «Xn»;
   la scheda di sicurezza SONIDO autoprodotta dalla Bayer CropScience, riporta chiaramente nella sezione 3, la frase di rischio T; R25 che significa Tossico per ingestione mentre l'etichetta dirigenziale riporta nelle frasi di rischio: Nocivo per inalazione e ingestione, che corrispondono alle frasi R20 e R22, tralasciando di indicare Tossico per ingestione, come scritto nella Scheda di Sicurezza;
   il fitosanitario TELONE II 2014 è il formulato di Dow AgroSciences che è stato autorizzato per l'impiego nella stagione 2014; il 24 e il 28 marzo scorso il Ministero della salute ha infatti firmato i decreti di autorizzazione degli usi di emergenza i quali ne consentiranno l'impiego durante la campagna corrente;
   il suo principio attivo 1,3 dichloropropene non è approvato nell’«EU – Pesticides database”» che ne indica la tossicità; le frasi di rischio segnalate sono le seguenti: T; R24/25 «tossico a contatto con la pelle e per ingestione», Xn; R20 «nocivo per inalazione» e Xn; R65 «può causare danni ai polmoni in caso di ingestione» – la tossicità del 1,3 Dichloropropene è confermata anche dall'università di Hertfordshire;
   dal controllo effettuato dall'associazione WWF AltaMarca emergerebbe che dal 2009, ogni anno si ripropongono con decreto dirigenziale le medesime autorizzazioni in deroga per l'utilizzo di 7 formulati contenenti il principio attivo 1,3 diclorpropene;
   le ultime autorizzazioni in deroga del 24 e 28 marzo 2014, sono state emesse quando il Pan era già in vigore, dal 13 febbraio 2014; al punto a.5.6.2 il PAN vieta l'utilizzo dei prodotti tossici e molto tossici, e la famiglia dei TELONE è tossica anche per il Ministero;
   anche in questo caso il fitosanitario Telone II 2014 è proibito dal PAN per 2 motivi: per la classe di rischio assegnata (T = tossico) e per le frasi di rischio assegnate, che rientrano nei casi proibiti dal PAN;
   i decreti non appaiono quindi conformi alla legge n. 150 del 2012 ed il PAN-2014, che proibisce l'utilizzo dei prodotti T+ (molto tossici), T (tossici) e quelli con le frasi di rischio precedentemente elencate;
   il regolamento (CE) n. 1107/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 ottobre 2009 all'articolo 30, comma 1, del regolamento indica che «uno Stato Membro può dare un'autorizzazione provvisoria se la Commissione non è giunta a una decisione entro 30 mesi dalla accettazione del applicazione – L'autorizzazione provvisoria ha validità per tre anni»;
   a giudizio degli interroganti l'articolo 30 del regolamento (CE) n. 1107/2009 è stato di fatto stravolto, visto che le autorizzazioni speciali si sono perpetuate ben oltre i 3 anni previsti;
   appare agli interroganti scorretto il reiterarsi annuale dell'emergenza che, diventando prassi, perde di fatto la sua caratteristica fondante, come pure rischia di diventare un abuso il ricorso, anno dopo anno, all'articolo 53 del regolamento (CE) n. 1107/2009, relativo a «situazioni di emergenza sanitaria» –:
   se non intenda interrompere immediatamente le autorizzazioni eccezionali dei prodotti fitosanitari vietati dal Pan;
   se non intenda riconsiderare le classi di rischio assegnate alle etichette, autorizzate con decreto dirigenziale, adeguandole alle classi di rischio indicate dalle schede di sicurezza;
   se non ritenga eccessivo il carico di responsabilità attribuito al singolo dirigente che autorizza i prodotti attraverso i decreti dirigenziali e se non ritenga che tali autorizzazioni debbano essere concesse passando per una più forte assunzione di responsabilità politica;
   quali controlli vengano fatti e con quali criteri, al fine di verificare la fondatezza delle situazioni di emergenza sanitaria. (4-04948)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VALIANTE e FIORONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   all'attenzione degli interroganti pervengono da parte di alcune organizzazioni sindacali notizie in merito a presunte nuove disposizioni organizzative nel presidio ospedaliero di Sapri che prevedrebbero la volontà dell'amministrazione sanitaria di dare seguito ad un piano di riduzione delle prestazioni e dei servizi offerti dal presidio con operatività immediata e senza nemmeno aspettare l'approvazione da parte dell'amministrazione regionale campana;
   il presidio già vive una situazione di grande difficoltà organizzativa in quanto molti reparti e unità operative pur riuscendo a garantire degli ottimi standard prestazionali, soffrono per carenza di personale e di risorse, per mancanza delle quali alcune unità non operano a regime o non sono attivate pur se formalmente previste;
   il tutto, se confermato, diminuendo i livelli di prestazione sanitaria da erogare, graverebbe fortemente sul diritto alla salute dei cittadini residenti in zona e dei tanti turisti che affolleranno l'area turistica del Cilento durante la stagione estiva che sta per partire, in una zona già fortemente gravata da problematiche di natura logistica e di collegamento viario con le principali direttrici stradali regionali, con tempi di percorrenza che soprattutto nella stagione estiva incrementeranno notevolmente ed eluderebbero qualsiasi possibilità di stabilire un efficiente e rapido servizio di pronto intervento sanitario da fornire ai cittadini, considerando che per raggiungere il più vicino presidio ospedaliero di Vallo della Lucania si impiegherebbe almeno un'ora –:
   se sia a conoscenza della problematica sopra esposta e quali iniziative di competenza intenda assumere, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, per evitare la compromissione dei livelli essenziali di assistenza nella città di Sapri e nel relativo comprensorio. (5-02872)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DI VITA, GRILLO, MANTERO, DALL'OSSO, CECCONI, SILVIA GIORDANO e LOREFICE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con la locuzione «disfunzione dell'ATM» viene genericamente indicata una patologia a carico dell'articolazione temporo-mandibolare determinata dalla perdita dei naturali rapporti anatomici esistenti tra i capi articolari, quello della mandibola (condilo), quello dell'osso temporale (fossa glenoide) e il menisco articolare tra loro interposto allo scopo di rendere congrue le superfici articolari;
   tale si caratterizza per una serie di disturbi clinici quali: cefalea, mal di schiena, vertigini, nausea, acufeni, rumori articolari (click), limitazione dei movimenti mandibolari, algie facciali, cervicalgia, riduzione dell'udito, dolori irradiati all'orecchio, agli zigomi, fischi o ronzii all'udito, capogiri, torcicollo, bruxismo, parestesia alle spalle, agli arti superiori, alle mani, fastidio o dolore alla deglutizione, blocco articolare acuto o cronico (limitazione di apertura, fino al blocco in apertura e chiusura della bocca), sindromi simil-trigeminali (dolori trafittivi o a scossa elettrica in zona cranio-facciale), malocclusione, asimmetria di crescita cranio-facciale, respirazione orale, traumi diretti o indiretti cranio-cervico-mandibolari, vizi di postura, patologie ortopediche e/o fisiatriche, con coinvolgimento della postura cranio-cervicale, ansie e stress, attacchi di panico, aperture esagerate della bocca, parafunzioni (digrignare o serrare i denti, masticare gomme, mordicchiare unghie e/o oggetti), lassità legamentosa (ipermobilità articolare, frequente nelle donne), parestesie agli arti inferiori, disturbi della fonazione, eccetera; condizioni, queste, che possono presentarsi singolarmente, oppure variamente sovrapposte;
   le forme di dolore cronico possono arrivare a determinare una compromissione delle interazioni di lavoro o sociali, con conseguente riduzione della qualità di vita generale della persona;
   il campo delle disfunzioni dell'articolazione temporo-mandibolare è salito alla ribalta proprio perché sono in aumento i pazienti che lamentano tale tipo di disturbi. Studi epidemiologici rivelano infatti che le disfunzioni temporo-mandibolari colpiscono almeno il 70 per cento della popolazione, in maggioranza le donne con un rapporto di 1 a 4, evidenziando i disturbi maggiormente tra i 15-45 anni; tuttavia, già dal 2000 uno studio condotto dall'università di Perugia ne documentava la gravità e l'incidenza sulla popolazione;
   in letteratura, tuttavia, sono diverse e controverse le definizioni riconducibili ai suddetti disturbi: disfunzione temporomandibolare (DTM), sindrome dolorosa miofasciale mandibolare, disturbo delle articolazioni temporomandibolari, o anche disordine cranio-cervico-mandibolare (DCCM);
   negli ultimi anni sono altresì moltiplicati gli studi riguardanti le possibili correlazioni tra malocclusioni dentali, alterazioni del rachide cervicale e alcune forme di cefalee facciali. Nonostante gli sforzi della ricerca, tuttavia, il campo delle disfunzioni temporo mandibolari presenta ancor oggi molte zone d'ombra;
   anche se l'articolazione temporo-mandibolare risulta essere una delle strutture del corpo umano più importanti, per le peculiarità che presenta e per la sua complessa anatomia, è soltanto recentemente, infatti, che alcuni studiosi hanno messo in evidenza le relazioni che legano questa articolazione con il sistema muscolare e i meccanismi neurologici di controllo. Infatti, diversi specialisti, tra cui odontoiatri, ortopedici, ortodontisti, otorinolaringoiatri, fisiatri, neurologi si sono ritrovati a studiare, dal loro punto di vista, i complessi rapporti esistenti tra l'apparato stomatognatico e il resto dell'organismo, facendo ricorso esclusivo alle proprie conoscenze mediche pregresse, preso atto della mancanza di protocolli terapeutici o indicazioni univoche da parte delle istituzioni e/o della medicina ufficiale;
   in Italia i professionisti implicati e, dunque, consultati nel controllo e nella cura dell'apparato masticatorio sono prevalentemente gli odontoiatri, più di recente, gli gnatologi; in presenza dei sintomi acuti sopra descritti, il loro approccio «terapeutico» (se così può essere definito, atteso che non esiste una terapia che curi questa «condizione umana») prevede essenzialmente l'utilizzo di farmaci antinfiammatori e miorilassanti per alcuni giorni, cui si accompagna la valutazione dell'utilizzo di un dispositivo mobile da interporre tra le arcate dentali tipo bite-plane, allo scopo di ripristinare l'equilibrio occlusale e, conseguentemente, di tutto il corpo;
   è opportuno evidenziare, però, che quelli dell'articolazione temporo-mandibolare si caratterizzano come i classici disturbi di confine poiché generalmente essi non si presentano con una sintomatologia evidente: ciò che si verifica pressoché nella maggioranza dei casi, infatti, è che i pazienti che accusano uno o più sintomi si rivolgono per una valutazione, appunto, del sintomo e dei più sintomi accusati, ad un numero variabile di specialisti quali, solo per citarne alcuni, i dentisti, gli odontoiatri, gli gnatologi, gli otorinolaringoiatri, i neurologi, gli ortopedici-fisiatri o lo stesso medico generico, con il risultato pressoché ordinario, dato il quadro sintomatologico spesso di difficile interpretazione diagnostica, di analisi molto costose dall'interpretazione opinabile e/o di prescrizioni di lunghi, inutili o, peggio ancora, errati e potenzialmente dannosi, trattamenti sintomatici, anche a base di psicofarmaci; ciò al netto di una descritta vasta sintomatologia che rende altamente complessa, e non senza ripercussioni per la salute del paziente, l'attività di diagnosi da parte del medico specialista che, nella quasi totalità dei casi, non riconduce la stessa sintomatologia ad una disfunzione dell'articolazione temporo-mandibolare, se non in ultima istanza;
   è evidente che le disfunzioni temporo mandibolari versano ancora nell'incertezza più totale dal punto di vista medico e ciò emerge chiaramente nella recente letteratura scientifica: l'Announcement of New Science Information Statement on TMDS, approvato nel marzo del 2010 dall’American Association for Dental Research (AADR), dal titolo «Management of Patients with TMDs: A New «Standard of Care», evidenzia sostanzialmente che ancora non sono state trovate terapie efficaci; la European Academy of Craniomandibular Disorders con le sue «Recommendations for examinations, diagnosis, management of patients with temporomandibular disorders ad orofacial pain by the general dental practitioner», in particolare nel paragrafo relativo alle terapie praticabili, afferma che non è possibile trovare una terapia basata sull'eziologia poiché questa non è ancora ben conosciuta; viene altresì evidenziato che solamente pochissimi studi hanno approfondito i risultati terapeutici dovuti a una sola terapia occlusale. In entrambi gli studi citati, in conclusione, si afferma che non vi sono certezze al riguardo, ma, soprattutto, che non si possiedono basi scientifiche certe e che le terapie risultano efficaci o meno variabilmente a seconda del paziente;
   nelle raccomandazioni del Ministero della salute in odontostomatologia del 2014, alla pagina 155, si legge: «Nonostante i fattori eziologici dei vari disordini temporomandibolari non siano ancora completamente chiariti, non vi sono correnti evidenze che malocclusioni, perdita di denti, interferenze occlusali causino in maniera diretta disordini temporomandibolari». Vi si legge subito dopo circa le terapie praticabili: «dispositivi intraorali (placche occlusali: non esiste un disegno di placca che si sia dimostrato chiaramente superiore ad altri; è sempre consigliabile una costruzione individuale accompagnata da istruzioni personalizzate e seguita da attento monitoraggio)». A pagina 216 , poi, con riferimento alle «problematiche verticali» viene solo timidamente asserito che «Ancora discusso è il ruolo del deep bite nella patogenesi dei disordini cranio-mandibolari»;
   anche le linee guida emanate dal Ministero della salute in materia (quaderno della salute n. 7 Gen-Feb 2011) presentano confusione nei dati in questo campo. Alla pagina 81, infatti, a giudizio degli interroganti in contraddizione con quanto apoditticamente prescritto nelle pagine precedenti, si legge: «Nei pazienti con disordini posturali, in base ai dati forniti dalla letteratura, non è possibile l'attuazione di terapia odontoiatriche volte alla correzione degli stessi. Allo stato attuale mancano ancora prove scientifiche certe e, quindi, le relative evidenze che dimostrino la natura delle relazioni tra occlusione, disfunzioni temporo-mandibolari e postura. È comunque il caso di segnalare che, nell'evidenza clinica, vi sono riscontri di pazienti con sintomatologie riferibili a disordini posturali che hanno confermato il miglioramento della sintomatologia successivamente al riequilibrio occlusale. La spiegazione di tali eventi è tuttora nel campo delle ipotesi e nessun dato scientifico ne è a supporto»;
   è una circostanza paradossale che, nonostante l'altissima incidenza di questa «condizione» nella popolazione e i fortissimi disagi che essa provoca, l'assistenza odontoiatrica pubblica nell'ambito di tale patologia risulti del tutto carente; ciò può ritenersi in parte frutto dell'applicazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 novembre 2001, il quale stabilisce che le cure odontoiatriche pubbliche siano rivolte soltanto ad alcune categorie di persone, mentre per tutte le restanti non resta altra soluzione che rivolgersi ai liberi professionisti privati;
   con particolare riferimento, poi, alla locuzione del disordine cranio-cervico-mandibolare (DCCM), spesso distintamente utilizzata nella letteratura scientifica, si constata che ancora oggi essa non risulta presente nell'elenco delle patologie croniche riconosciute dal Ministero della salute; tale circostanza alimenta ancor più il dubbio che le istituzioni non abbiano ancora provveduto a classificare nettamente la «condizione» come una patologia propriamente detta;
   dal 2002, con l'introduzione dei Lea (livelli essenziali di assistenza) le cure odontoiatriche sono a carico della regione, che ha l'obbligo di garantire la prevenzione (per la fascia d'età 0-14) e di assistere i malati gravi. Nessun tipo di assistenza, servizio o professionalità è però prevista per i pazienti affetti da disordine cranio-cervico-mandibolare, nonostante sul sistema sanitario regionale siano intervenuti prima il Ministero della salute e poi  una Commissione parlamentare d'inchiesta (presieduta dall'attuale sindaco di Roma, Ignazio Marino) che hanno stabilito come invece la sanità pubblica deve (o dovrebbe) garantire l'accesso alle cure;
   la comunità scientifica sembra dunque non essere ancora giunta a creare un protocollo terapeutico definitivo per il contrasto specifico del disordine cranio-cervico-mandibolare, pertanto non esisterebbe ancora una vera e propria cura, così come la gnatologia non ha approfondito del tutto i nessi causali tra la disfunzione e l'ampio spettro di sintomi che causa –:
   se intenda illustrare quale sia lo stato dell'arte nei riconoscimenti scientifici ufficiali per patologie complesse come la sindrome algico disfunzionale e, più in generale, per la disfunzione cranio cervico mandibolare, quali siano le relative cure e terapie fornite dal servizio sanitario nazionale e quale sia lo stato attuale della ricerca;
   se esista una definizione ufficiale di disordine cranio-cervico-mandibolare, se essa sia classificata come «patologia umana» e, in tal caso, come venga effettuata la diagnosi e perché risulti ancora dunque così difficile per dentisti e gnatologi procedere ad una diagnosi certa nonché, soprattutto, documentata di tale patologia, e perché non esistano atti ufficiali del Ministero che ne forniscono una definizione univoca;
   se esista una distinzione chiara tra disordine cranio-cervico-mandibolare, disturbi dell'articolazione temporo-mandibolare, sindrome algico-disfunzionale, tutte definizioni, queste, che sembrano riferirsi alla stessa patologia ma che rivelano le grandi controversie in materia esistenti tuttora in questo campo;
   se sia mai stata condotta una specifica sperimentazione scientifica;
   se esistano, e quali siano, le terapie ufficialmente riconosciute che hanno portato a risultati sicuri, quindi sperimentati;
   se non si ritenga di dover avviare una ricerca mirata in questo campo vista la quasi totale mancanza nella letteratura scientifica, anche internazionale, della stessa definizione di disordine cranio-cervico-mandibolare, di cure e terapie, dal momento che «disordini dell'articolazione temporo-mandibolare» si dimostra essere una definizione troppo generica, considerato che non si è certi della correlazione tra sintomi e patologia;
   se la problematica sia almeno oggetto di ricerca degli Istituti di ricerca e cura a carattere scientifico o, in caso contrario, se intenda includerla urgentemente visto che la percentuale della popolazione colpita da questi disturbi ammonta a circa il 70-80 per cento della popolazione di cui il 35 per cento sintomatici, spesso invalidanti;
   se sia a conoscenza del fatto che spesso le persone affette da disordine cranio-cervico-mandibolare, non riuscendo a reperire uno specialista che diagnostichi chiaramente tale patologia e, non potendo, nei casi più gravi, svolgere gli atti quotidiani della vita, si ritrovano oltretutto nell'impossibilità di richiedere il riconoscimento dell'invalidità civile, e cosa intenda fare al riguardo;
   se sia stata condotta una ricognizione dei pazienti che in Italia soffrono di questi disturbi e che risultano tuttora senza cura, a fronte del fatto che nei casi di disordine cranio-cervico-mandibolare il servizio sanitario nazionale non fornisce alcuna assistenza odontoiatrica, non risultando essa nemmeno compresa nei Lea, e se non ritenga opportuno avviarla al più presto, considerato il fatto che le prime cure cui gli italiani rinunciano in periodi di crisi sono proprio quelle dentistiche, perché più costose;
   se sia a conoscenza del fatto che molti pazienti, come accennato in premessa, spesso dopo lunghi e inutili esami e accertamenti che abbracciano numerose discipline, vengono addirittura curati attraverso la prescrizione di psicofarmaci;
   se non ritenga doveroso e urgente assumere iniziative per disporre a carico dei professionisti sanitari che offrono le proprie cure e terapie per questa patologia, un generale obbligo di informazione del paziente sul reale stato dell'arte;
   se il Ministero disponga di dati in relazione all'efficacia, ai benefici e agli eventuali effetti pregiudiziali delle terapie prescritte dagli studi odontoiatrici privati contro tali disturbi, e se intenda promuovere iniziative al fine di verificare se i pazienti in cura traggano effettivamente benefici o se, al contrario, vengano ulteriormente danneggiati, come molti purtroppo lamentano;
   a che titolo gli odontoiatri forniscono cure, terapie e dispositivi ortotici se il Ministero stesso non ha riconosciuto alcuna terapia ufficiale;
   se sia consapevole del fatto che il mancato riconoscimento di una terapia ufficiale consente agli specialisti di fare delle vere e proprie sperimentazioni sui pazienti tramite l'uso di bite e ortotici costruiti solo sulla base di conoscenze ed esperienza personali del medico, senza nessuna evidenza scientifica al riguardo e, spesso, senza informarne il paziente;
   se abbia contezza delle numerose segnalazioni, inoltrate in questi anni, dei cittadini che denunciano questa problematica, se abbia già risposto loro, e come si sia eventualmente attivato per farvi fronte;
   come venga realmente inquadrata la branca della gnatologia che, non essendo una disciplina medica a tutti gli effetti, non prevede nemmeno una scuola di specializzazione pubblica in Italia;
   se sia a conoscenza delle molte difficoltà che i pazienti affetti da tali disturbi incontrano nel tentativo di individuare cure o terapie adeguate alla propria condizione, tra le numerose, anche contrastanti, offerte e rese facilmente accessibili sul web da numerosi dentisti, e non per forza gnatologi, i quali omettono spesso di avvisare e informare esplicitamente gli utenti del fatto che ad oggi non esiste ancora alcuna terapia scientificamente riconosciuta, e cosa intenda fare al riguardo;
   se il problema sia oggetto di studio del gruppo tecnico sull'odontoiatria, da poco rinnovato dallo stesso Ministero, o se, in caso contrario, non ritenga doveroso sottoporlo a tale gruppo al più presto;
   se non sia il caso di prendere urgentemente in considerazione l'avvio di una ricerca ad hoc sul campo coinvolgendo, oltre le diverse figure professionali interessate, data la interdisciplinarità della problematica, che investe gnatologi, posturologi, osteopati, odontoiatri, fisioterapisti, farmacologi, ricercatori, anche esperti di branche scientifiche complementari qual è, ad esempio, l'ingegneria biomedica, o discipline affini che possano comunque integrare e ausiliare la ricerca nella individuazione esatta delle cause e, quindi, di una cura specifica, nonché pazienti con anni di esperienza alle spalle, che possano fornire la propria testimonianza. (4-04922)


   DI GIOIA. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si sono concluse, finalmente, dopo anni, le indagini in merito ai decessi di sette ex operai dello stabilimento «Ansaldo Caldaie» di Gioia del Colle (Bari), avvenuti tra il 1994 e il 2013 e causati, secondo le conclusioni della procura di Bari, dalla presenza di polveri di amianto sui luoghi di lavoro;
   la stessa procura ha fatto notificare, ad 11 indagati, tutti ex legali rappresentanti dell'azienda ed ex responsabili dello stabilimento pugliese, l'avviso di conclusione delle indagini preliminari per i reati di omicidio colposo e disastro colposo;
   secondo le indagini, affidate alla sezione di polizia giudiziaria dei carabinieri e coordinate dal procuratore aggiunto Anna Maria Tosto, nello stabilimento sono state violate per decenni norme su gestione di polveri e materiali contenenti amianto, che venivano lavorati;
   gli operai, dipendenti dello stabilimento fin dagli anni Settanta, sono deceduti per mesotelioma pleurico e adenocarcinoma;
   gli accertamenti si sono avvalsi di consulenze ingegneristiche e di medicina del lavoro. L'esito di queste consulenze tecniche conferma, secondo la pubblica accusa, l'esistenza del nesso di causalità fra l'esposizione all'amianto e l'insorgenza delle patologie;
   la caparbietà dei familiari degli operai deceduti ha portato a questo importante risultato e adesso sarà la procura ha decidere se chiedere o meno il rinvio a giudizio per gli indagati;
   resta l'amara costatazione che, per oltre venti anni, in un importante gruppo industriale italiano, nonostante le informazione ormai note sui danni prodotti dall'amianto, si sia continuato a violare, come risulta dall'inchiesta, le norme sulla gestione delle polveri e dei materiali contenenti amianto –:
   al di là dell'inchiesta giudiziaria in corso che, si spera, possa fare piena luce sulla tragica fine dei sette operai dell'Ansaldo caldaie rendendo giustizia ai familiari che da tanti anni la richiedono, se non si ritenga necessario incrementare i controlli, su tutto il territorio nazionale, sul pieno rispetto delle norme sulla gestione delle polveri e dei materiali contenenti amianto affinché si interrompa questa lunga scia di morti prodotti dall'irresponsabilità di aziende che non sentono, come necessità primaria, quella della messa in sicurezza dei propri dipendenti. (4-04933)


   OLIVERIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la stampa locale calabrese riporta i continui disagi che da tempo si registrano presso l'ospedale di Soverato, in particolare nel reparto di pediatria;
   con ravvicinarsi dell'estate questo essenziale servizio deve essere implementato, soprattutto perché in questo periodo ai residenti si aggiungono tantissimi turisti che potrebbero creare ulteriori gravi rallentamenti all'ordinario svolgimento del servizio;
   nel reparto di pediatria risultano, sempre da quanto riportato dal Quotidiano della Calabria del 30 aprile 2014, soltanto due pediatri costretti ad alternarsi per fornire ai pazienti la necessaria assistenza;
   questi disagi oggettivi, a cui si aggiunge l'aumento delle nascite, potrebbero portare, se non intervengono soluzioni efficaci, alla paralisi dell'intero reparto di pediatria;
   il protrarsi di questo stato di cose arrecherà ai degenti grave nocumento e un peggioramento anche delle condizioni di salute;
   l'impossibilità di garantire una congrua turnazione tra i sanitari dell'unità operativa del reparto di pediatria potrebbe determinare forti limitazioni all'assistenza ospedaliera dei bambini del territorio, non garantendo i livelli minimi assistenziali;
   la carenza di organico, che comunque rappresenta un problema grave che necessita assolutamente di immediate soluzioni per continuare a fornire un servizio eccellente alla comunità, non risulta essere l'unico disagio al quale l'ospedale deve far fronte;
   il mancato pagamento degli stipendi del personale del mese di aprile sta mettendo in difficoltà le famiglie che non possono adempiere al pagamento delle loro scadenze;
   queste problematiche vanno ad inserirsi all'interno di un contesto sociale, quello calabrese, già profondamente provato da una crisi economica e sociale che sta coinvolgendo tutti i settori;
   a parere dell'interrogante sono necessarie risposte adeguate e finalizzate a risolvere la pesante situazione delle urgenze venutesi a creare presso il reparto di pediatria –:
   se il Ministro interrogato, anche per il tramite del Commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dei disavanzi sanitari regionali, sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di garantire l'effettiva erogazione dei livelli essenziali di assistenza a difesa del diritto alla salute dei cittadini, a partire dai più piccoli. (4-04934)


   DI GIOIA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel febbraio 2008 veniva annunciato, con grande risalto, nei mezzi di informazione che era stata installata, presso il reparto di radiologia dell'ospedale «Lastaria» di Lucera (in provincia di Foggia), una nuova TAC a 16 strati;
   la ASL di competenza, nell'occasione, dichiarò «Con la nuova T.A.C. i tempi di esecuzione degli esami e le liste d'attesa saranno ulteriormente ridotte, offrendo nel contempo le più ampie e tempestive risposte nella diagnostica per immagini per pazienti oncologici e chirurgici, in Neurologia, Gastroenterologia, Cardiologia, Ortopedia e nel supporto alla Odontoiatria implantologica»;
   il sub commissario della ASL di Foggia, aggiunse: «Una nuova dotazione che si inquadra in un contesto di grande attenzione, nei confronti dell'ospedale “Lastaria”, da parte della direzione strategica dell'Azienda»;
   con tale strumentazione si sarebbe dovuta dare una risposta non solo alle esigenze del territorio ma anche alle altre regioni del Sud;
   a pochi anni di distanza si sta assistendo al graduale smantellamento dell'ospedale «Lastaria», che prima è diventato un plesso del «Masselli-Mascia» di San Severo e adesso sta subendo ulteriori sottrazioni, ultima delle quali è stata la sospensione degli esami della tanto reclamata TAC che è stata successivamente smontata e portata via;
   ciò sta costringendo l'utenza del territorio a lunghi spostamenti nella provincia, ove necessitino indagini con la tomografia assiale computerizzata, con i disagi facilmente immaginabili;
   tutto ciò appare un'ulteriore conferma del disinteresse, da parte delle istituzioni, per una realtà territoriale che nel tempo si è vista sottrarre uffici postali, tribunale e che adesso rischia di perdere anche la struttura ospedaliera o quantomeno di vederla fortemente ridimensionata –:
   se non si ritenga, per quanto di competenza, necessario verificare quanto sta accadendo al fine di accertare che non vi sia stato un inutile spreco di denaro pubblico e garantire che la soppressione di un servizio fondamentale per la popolazione locale non comporti una compromissione dei livelli essenziali di assistenza. (4-04946)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PELUFFO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dalla stampa nazionale e locale (ad es. articolo su «Il Giorno» Ed. Sud Milano di lunedì 19 maggio 2014 e articolo su Il Fatto Quotidiano di lunedì 19 maggio 2014) quanto segue:
    Ericsson, società multinazionale con sede in Svezia che si situa tra i leader mondiali nel campo dell'elettronica, possiede una divisione Ricerca e Sviluppo specializzata in ricerca su prodotti a microonde, con sede a Vimodrone, in provincia di Milano. Tale divisione impiega attualmente 140 dipendenti, molti dei quali ingegneri e tecnici di elevatissimo profilo professionale;
    tale divisione si situa in un'area che risulta essere uno dei poli di eccellenza nel settore della ricerca e sviluppo in Italia, tanto da essere denominato «Silicon Valley lombarda», attualmente già colpito dalla crisi e dal disimpegno di importanti società del settore dell'elettronica come Alcatel Lucent, Micron Technology e Carrier;
    all'inizio del mese di maggio 2014 i vertici societari di Ericsson hanno annunciato di voler trasferire il ramo d'azienda alla filiale italiana della società indiana Hcl, denominata Hcl Italy Srl;
    le società non hanno presentato un piano aziendale né chiarito quali programmi intendano adottare né dal punto di vista della tipologia di attività svolte, né dal punto di vista del mantenimento degli attuali livelli occupazionali. Segnatamente, secondo quanto dichiarato dalle Rappresentanze Sindacali Unitarie aziendali, parrebbe che Ericsson abbia dichiarato che, per i primi tempi, 120 dei 140 dipendenti attualmente impiegati nel ramo d'azienda continueranno ad occuparsi di commesse Ericsson per poi essere progressivamente trasferiti ad attività di Hcl. Sempre secondo i delegati sindacali questa comunicazione è stata fatta oralmente, senza che la società prendesse nessun impegno scritto;
    allo stato attuale i dipendenti sono in agitazione e hanno intrapreso una serie di iniziative, tra cui scioperi, presidi e blocco degli straordinari, perché non è stata ancora ottenuta alcuna rassicurazione concreta sul mantenimento dei posti di lavoro, neppure a seguito di un incontro tenutosi in data 19 maggio nella sede di Assolombarda a Milano, durante il quale i sindacati hanno discusso della vertenza con i rappresentanti delle due aziende;
    stando ai comunicati sindacali, una delle maggiori fonti di preoccupazione è data dal fatto che la Società Hcl Italy ha un capitale sociale di 10mila euro: i sindacati hanno chiesto che sia aumentato per dare maggiori garanzie economiche ai dipendenti. Sempre da parte sindacale è giunta la richiesta che la nuova società passi dal settore del commercio a quello dell'industria, in modo da potere usufruire, in caso di stato di crisi, degli ammortizzatori sociali –:
   se si sia a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   se in detta vicenda siano stati rispettati i vincoli contrattuali, sindacali e di legge;
   quali iniziative si intendano intraprendere al fine di prevenire e contenere il depauperamento del settore industriale locale, con le conseguenti inevitabili ricadute sociali e occupazionali. (5-02876)


   CATALANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'ingegnere Massimo Sarmi, dal 2002 alla guida di Poste italiane spa non è stato riconfermato amministratore delegato di Poste italiane, e il Governo ha nominato, in sua sostituzione, Francesco Caio;
   come si evince da numerosi organi di stampa (Il Fatto Quotidiano del 14 aprile 2014, Il Giornale del 17 maggio 2014, il Corriere della Sera del 14 maggio 2014), si pone la questione dell'entità della somma da riconoscersi all'ingegner Sarmi in conseguenza della cessazione del rapporto;
   secondo l'ultima delle fonti citate, tale somma potrebbe raggiungere i sei milioni di euro;
   durante la gestione dell'ingegner Sarmi, Poste italiane ha perseguito la strada, invero già in parte intrapresa dal suo predecessore, della diversificazione delle attività, sviluppando, in particolare, servizi in campo bancario e della telefonia mobile;
   risulta all'interrogante che, anche in ragione di tale sviluppo, la società abbia conti stabili e in utile;
   tuttavia, con numerose interrogazioni (ex pluribus, 4-04662, 4-04077, 4-04064, 4-03950, 4-02495, 4), rimaste, invero, tuttora prive di risposta, sono state denunciate gravi situazioni verificatesi all'interno di Poste italiane spa, durante il periodo nel quale l'ingegner Sarmi ricopriva la carica di amministratore delegato;
   in particolare, è stata denunciata la gestione delle strutture di tutela aziendale e dell'Atta Sud 1 affidate, rispettivamente, a Stefano Grassi e Salvatore Malerba;
   sono stati, altresì, denunciati gravi fenomeni di riciclaggio di denaro attraverso il circuito bancario della società, fenomeni oggetto di importanti inchieste giudiziarie quali l’operazione Lost Pay e l’operazione Tibet;
   è stata denunciata, infine, una gestione delle risorse umane priva di trasparenza, che porta a sollevare dubbi non manifestamente infondati, laddove si apprende di assunzioni e promozioni di familiari di politici (qual è il caso dell'assunzione di Alessandro Alfano), o di personaggi coinvolti nelle inchieste relative alla cosiddetta P4 (qual è l'ex ufficiale della Guardia di finanza Stefano Grassi);
   al di là di qualsiasi valutazione giudiziaria, che non compete a questa istituzione, e indipendentemente dall'esito delle inchieste coinvolgenti personale, anche dirigenziale, di Poste italiane, l'amministratore delegato, in ragione delle proprie funzioni apicali, deve assumersi la responsabilità di garantire il buon andamento della società;
   non si pretende, certamente, di affermare la responsabilità dell'amministratore delegato per ogni singolo fatto pregiudizievole alla società accaduto nella sua gestione;
   si pretende, invece, che l'amministratore delegato vigili sul generale andamento della gestione e compia tutte le operazioni necessarie ad impedire fatti pregiudizievoli, ovvero ad eliminare o ridurne le conseguenze dannose;
   anche in ragione della reiterata, mancata risposta ai rilievi via via sollevati, l'interrogante ritiene necessario che la gestione dell'ingegner Sarmi venga attentamente valutata, a livello pubblico e politico, in riferimento a tutte le criticità verificatesi –:
   se quanto rappresentato corrisponda al vero;
   quali disposizioni contrattuali regolino l'entità e la spettanza delle somme eventualmente da corrispondere a Massimo Sarmi in conseguenza della cessazione del rapporto;
   se il Governo ritenga di avere a disposizione tutti gli elementi necessari a valutare la passata gestione di Poste italiane spa;
   quale sia, in caso affermativo, la motivata valutazione del Governo sull'operato del cessato amministratore delegato;
   se esistano dei criteri certi per valutare l'operato dei dirigenti di società pubbliche;
   se detti criteri siano formalizzati in qualche atto normativo o regolamentare;
   se il Governo, infine, ritenga opportuno un intervento normativo finalizzato a delineare i criteri di valutazione dell'operato dei dirigenti in questione. (5-02880)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIORGIA MELONI, RAMPELLI, CIRIELLI, CORSARO, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in vari comprensori dell'Umbria, oltre alle contingenti difficoltà di natura economico-sociale determinate dalla grave situazione nazionale, insistono anche altre situazioni, di eguale gravità, di aree macroindustriali nei cui siti operano imprese di storica tradizione industriale e multinazionali;
   anche altri comprensori dell'Umbria attraversano difficoltà strutturali determinate dalla chiusura di micro-imprese e senza l’«ammortizzatore» rappresentato da una forte presenza di impiego pubblico;
   in particolare, l'area dell'Appennino eugubino-gualdese, del perugino e del ternano rappresentano un contesto di così pesante criticità da assurgere a simbolo della caduta dei parametri economico-sociali dell'Umbria;
   detti parametri, al contrario di quanto avveniva fino ai primi anni duemila, si posizionano ormai stabilmente al di sotto della media nazionale, con numeri prossimi alle regioni del Mezzogiorno;
   anche l'utilizzo dei fondi europei, di cui le giunte regionali umbre succedutesi nel tempo si sono vantate di erogare quasi completamente, non hanno arrestato questo declino;
   dette crisi industriali hanno determinato sia una perdita assoluta di posti di lavoro, sia un contesto di precarietà costante per i lavoratori ancora inseriti nell'ambito produttivo –:
   quali misure intenda assumere al fine di salvaguardare non solo il tessuto socio-economico dell'Umbria, se del caso istituendo un tavolo di confronto con le realtà produttive locali, ma anche le famiglie dei lavoratori. (4-04925)


   GIORGIA MELONI, RAMPELLI, CIRIELLI, CORSARO, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la posizione geografica della regione Marche la espone in molti settori alla concorrenza da parte dei Paesi dell'est Europa che aderiscono alla Unione europea, e per voce delle diverse associazioni di categoria ha denunciato a più riprese come questa spesso si manifesti in modo sleale;
   lo scorso anno vi è stata una forte mobilitazione delle associazioni dell'autotrasporto che segnalavano i fenomeni distorsivi del mercato del lavoro rappresentati dalla presenza di veicoli con targa straniera che dovrebbero fare solo tre viaggi nel territorio italiano per poi rientrare nel Paese di provenienza, e che invece rimangono nel territorio per mesi, in violazione di qualunque regola europea;
   secondo le associazioni, nel 2013 il 66 per cento delle 3.179 imprese artigiane dell'autotrasporto marchigiano, ha subito una riduzione del proprio volume d'attività e, conseguentemente, del proprio fatturato, e negli ultimi cinque anni l'autotrasporto marchigiano ha perso 451 imprese ed oltre duemila occupati;
   anche il settore manifatturiero soffre una forte concorrenza dai Paesi siti sull'altro lato dell'Adriatico, soprattutto a causa del basso costo della manodopera, e tra le maggiori cause di difficoltà degli artigiani che producono per conto terzi i fenomeni di delocalizzazione hanno assunto recentemente proporzioni rilevanti e, in prospettiva, preoccupanti;
   la delocalizzazione interessa alcune tra le principali attività manifatturiere della regione e, in particolare, le produzioni calzaturiere e del tessile abbigliamento;
   a causa di questo fenomeno, un vasto tessuto produttivo vive forti difficoltà non perché è inefficiente e arretrato ma perché esiste un aggregato vasto e crescente di Paesi in cui ai bassi costi della manodopera si aggiungono talvolta condizioni di lavoro arretrate e non tutelate –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere, anche in ambito europeo, al fine di tutelare i segmenti produttivi e professionali marchigiani e nazionali maggiormente esposti ai fenomeni di concorrenza sleale in ambito comunitario. (4-04926)


   GIORGIA MELONI, RAMPELLI, CIRIELLI, CORSARO, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 29 aprile 2014 la giunta regionale del Molise Frattura ha deliberato di inoltrare al Governo la richiesta per il riconoscimento dell'area di crisi per i distretti produttivi Bojano-Campochiaro e Isernia-Venafro;
   la richiesta per l'intervento straordinario allo Stato deriva dalla grave situazione di crisi che sta vivendo il comparto industriale e che sta mettendo a rischio la prosecuzione delle attività di alcune delle maggiori imprese del settore, con conseguenze pesantissime anche sulle aziende dell'indotto e sull'intero tessuto occupazionale della regione;
   in particolare, le vertenze riguardanti la Gam e l'Ittierre S.p.a e le incertezze relative all'indotto del metalmeccanico non possono essere risolte attraverso l'esclusivo ricorso a risorse e strumenti di sola competenza regionale –:
   se intenda accogliere la richiesta di cui in premessa e quali urgenti iniziative intenda assumere con riferimento alla crisi del settore industriale molisano.
(4-04927)


   RIZZETTO, MUCCI e PRODANI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Sorgenia spa è uno dei principali operatori del mercato libero dell'energia elettrica, con circa 500.000 clienti su tutto il territorio nazionale;
   nel tempo, in seguito a numerose segnalazioni dei consumatori nonché di operatori concorrenti, le pratiche commerciali della predetta società sono state oggetto d'indagine dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, poiché ritenute scorrette, ossia in contrasto con il principio della diligenza professionale, false o comunque idonee a falsare il comportamento economico del consumatore al quale sono dirette, violando le norme in materia previste dal Codice del consumo (d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206);
   infatti, già con provvedimento n. 20364 del 7 ottobre 2009, l’Antitrust ha sanzionato la società in questione per pratiche commerciali scorrette ai sensi degli articoli 20, 21, comma 1, lettere b) ed f), 24, 25, lettera d), e 26, lettera f), del Codice del Consumo, vietandone l'ulteriore diffusione;
   nello specifico, con due distinte multe per un importo complessivo di 350.000 euro, Sorgenia spa è stata sanzionata per avere attivato servizi di fornitura in assenza di contratti sottoscritti o in base a contratti con firme non riconosciute come proprie dagli utenti;
   addirittura, la società pur di procurarsi dei contratti sottoscritti, tramite i propri agenti commerciali, ha fornito informazioni ingannevoli ai potenziali clienti, in occasione delle attività di promozione, come l'appartenenza al gruppo Enel e presunti vantaggi economici conseguenti alla scelta di Sorgenia quale nuovo fornitore, come il rimborso di quanto fatturato dal precedente fornitore. L’Antitrust ha inoltre accertato che Sorgenia spa, pur nella consapevolezza dei comportamenti scorretti degli agenti, non ha posto in essere un sistema di controllo dell'operato di questi ultimi, idoneo ad escludere simili condotte scorrette;
   ad oggi, Sorgenia spa continua a porre in essere offerte commerciali scorrette e ingannevoli attraverso i propri operatori commerciali;
   lo stesso interrogante, in data 21 maggio 2014, ha ricevuto al proprio domicilio un'offerta commerciale telefonica, da parte di un operatore di Sorgenia, che si ritiene assolutamente scorretta e contraria ai più elementari principi di diligenza professionale. Al riguardo, l'operatore nel proporre il passaggio a Sorgenia spa, ha affermato che il mio nominativo era stato estratto per ottenere uno sconto in bolletta e pertanto, per ottenere tale vantaggio, era necessario trasmettere i propri dati per procedere al cambio di operatore;
   tali dichiarazioni appaiono volere raggirare il potenziale cliente, a cui vengono chiesti i dati in bolletta ipotizzando uno sconto, grazie ad una fantomatica estrazione a sorte, che non è dato sapere quando sia avvenuta ed in base a quali criteri;
   il predetto caso è aggravato dal fatto che il recapito telefonico dell'interrogante non è pubblico e nel richiedere all'operatore come avesse ottenuto tale numero, lo stesso ha affermato che aveva fatto riferimento a delle presunte liste sul web. L'interrogante ha, dunque, proceduto in data 22 maggio 2014 ad inoltrare un esposto all’Antitrust per denunciare la menzionata offerta commerciale scorretta;
   ebbene, si ritiene che troppo spesso i consumatori, soprattutto quelli anziani, siano vittime di offerte commerciali illegittime perpetrate dai professionisti, ciò anche a danno di quelle società che sul mercato sono invece virtuose nel promuovere i propri servizi;
   inoltre, si evidenzia che, anche qualora intervengano le sanzioni dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, come nel caso predetto di Sorgenia spa, le società non sembrano scoraggiate nel reiterare condotte illegittime. Pertanto, si deve ritenere che le sanzioni applicate non siano idonee, poiché tali operatori ottengono un vantaggio economico tale attraverso le pratiche commerciali scorrette che, addirittura, si assumono il rischio di essere sanzionate –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato sui fatti esposti in premessa;
   se e quali iniziative anche normative, di contrasto alle pratiche commerciali scorrette e ingannevoli, intenda adottare a tutela dei consumatori nonché dei professionisti che sul mercato pongono in essere condotte commerciali legittime;
   in particolare, se e quali iniziative intenda promuovere affinché le società siano dotate di un efficace sistema di controllo dei propri agenti e operatori, che possa escludere frodi nei confronti dei consumatori, attraverso pratiche commerciali che violano il codice del consumo.
(4-04939)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Bergamini e altri n. 1-00426, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 aprile 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Mottola.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Chaouki e Miccoli n. 4-04876, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 maggio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Murer, La Marca, Beni, Albanella, Marzano, Santerini, Tidei, Cimbro, Villecco Calipari, Garavini, Pinna.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Mantero e altri n. 5-02860, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 maggio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Simone Valente, Battelli.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Fiorio Massimo n. 1-00052, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 23 del 27 maggio 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    lo spreco alimentare ha assunto una dimensione tale da essere considerato un problema su scala mondiale; i dati più gravi riguardano gli Stati Uniti, ma anche l'Europa ed il nostro Paese registrano una dimensione molto grave;
    numerosi rapporti di carattere internazionale riferiscono che metà del cibo prodotto nel mondo non arriva mai ad essere consumato e, quindi, lo spreco alimentare rappresenta uno scandaloso paradosso dei nostri tempi: mentre, come ricorda la Fao, il numero di persone denutrite sulla terra sfiora il miliardo, la quantità di cibo sprecato nei Paesi industrializzati ammonta a 222 milioni di tonnellate, più o meno pari alla produzione alimentare disponibile nell'Africa subsahariana (230 milioni di tonnellate);
    gli sprechi alimentari gravano, inoltre, sul clima, sulle risorse idriche, sul suolo e sulla biodiversità. La decomposizione dei rifiuti alimentari produce metano, gas ed effetti serra; ogni chilogrammo di cibo prodotto comporta oltre 4,5 chilogrammi di anidride carbonica equivalente;
    il grave fenomeno degli sprechi alimentari rende evidente la profonda distorsione derivante da un modello di sviluppo sbagliato fondato sull'eccessivo consumo di risorse non rigenerabili. C’è, quindi, una relazione profonda tra la crisi che si sta vivendo ed un modello di consumo massificato, standardizzato, veloce e quantitativo piuttosto che qualitativo, sul quale occorre intervenire per evitare di continuare a produrre diseguaglianza, che è tanto più grave quando si tratta di accesso al cibo e ad una sana e buona alimentazione;
    istituzioni e letteratura specializzata definiscono gli sprechi alimentari in modi diversi; tuttavia, non esiste una definizione univoca di sprechi alimentari né a livello istituzionale, né tanto meno nella letteratura scientifica specializzata. In uno studio condotto dallo Swedish institute for food and biotechnology (SIK), commissionato dalla Fao, è stata proposta la distinzione tra food loss e food waste. I food loss sono «le perdite alimentari che si riscontrano durante le fasi di produzione agricola, post-raccolto e trasformazione degli alimenti», mentre i food waste sono «gli sprechi di cibo che si verificano nell'ultima parte della catena alimentare (distribuzione, vendita e consumo finale)»: i primi dipendono da limiti logistici e infrastrutturali, i secondi da fattori comportamentali;
    la definizione di «spreco alimentare» varia a seconda dei Paesi. In Europa non esiste ancora un'unica definizione, ma, a partire dal 2011, in seno alla Commissione europea (agricoltura e sviluppo rurale), lo si è considerato come «l'insieme dei prodotti scartati dalla catena agroalimentare, che – per ragioni economiche, estetiche o per la prossimità della scadenza di consumo, seppure ancora commestibili e quindi potenzialmente destinabili al consumo umano –, in assenza di un possibile uso alternativo, sono destinati ad essere eliminati e smaltiti, producendo effetti negativi dal punto di vista ambientale, costi economici e mancati guadagni per le imprese»;
    come già detto, lo spreco alimentare riguarda tutti i passaggi che portano gli alimenti dal campo alla tavola. Nei Paesi in via di sviluppo si localizza a monte della filiera agroalimentare, e in quelli sviluppati si localizza a valle della filiera;
    uno studio del 2011 della Commissione europea sullo spreco di cibo indica che gli sprechi a livello domestico sono i più rilevanti: corrispondono al 42 per cento del totale (25 per cento della spesa alimentare per peso) e ammontano a circa 76 chilogrammi pro capite/anno (di cui il 60 per cento potrebbe essere evitato); sono piuttosto consistenti anche la parte relativa ai processi di trasformazione degli alimenti (39 per cento) e in quella riguardante i servizi di ristorazione e catering (14 per cento). Sono più contenuti, invece, gli sprechi a livello distributivo (8 chilogrammi pro capite/anno) anche se, in alcuni casi, la distribuzione è indirettamente responsabile di una parte degli sprechi che avvengono più all'inizio o più a valle della filiera alimentare; secondo il suddetto studio della Commissione europea, che indica come media i 180 chilogrammi pro capite di cibo sprecato, la situazione nell'Unione europea passa dai 579 chilogrammi pro capite dell'Olanda ai 44 chilogrammi pro capite della Grecia, con l'Italia a 149 chilogrammi pro capite, valore sopra la media mondiale, indicata dalla Fao in 95-115 chilogrammi pro capite;
    il rapporto della Fao «Food Wastage footprint: Impact on Natural Resource» del settembre 2013 stima in 750 miliardi di dollari l'anno i costi economici diretti dello spreco alimentare, che ammonta a circa 1,3 miliardi di tonnellate di cibo, pari a circa un terzo (il 33 per cento) della produzione totale di cibo destinato al consumo umano. Per produrre il cibo che viene sprecato sono utilizzati 250 chilometri cubi di acqua e 1,4 miliardi di ettari di terreno e immessi in atmosfera all'anno 3,3 miliardi di tonnellate di gas serra; circa il 54 per cento dello spreco avviene durante la fase di produzione, lavorazione post-raccolto e stoccaggio, mentre il 46 per cento occorre nelle fasi di lavorazione, distribuzione e consumo;
    in Italia i dati raccolti hanno evidenziato come solo la frutta e gli ortaggi gettati via nei punti vendita abbiano comportato il consumo di più di 73 milioni di metri cubi d'acqua (water footprint) in un anno, l'utilizzo di risorse ambientali pari a quasi 400 metri cubi equivalenti (ecological footprint) e l'emissione in atmosfera di più di 8 milioni di chilogrammi di anidride carbonica equivalente (carbon footprint);
    secondo alcune prime stime dell'Osservatorio sullo spreco alimentare, Waste Watchers, in Italia, nel 2011 lo spreco di cibo a livello domestico è costato a famiglia poco meno di 1.600 euro all'anno; in generale «Il libro nero dello spreco in Italia: il cibo», (Segrè e Falasconi 2011) ha quantificato in 20 milioni di tonnellate lo spreco alimentare lungo tutta la filiera nazionale; più di recente, esperti del settore hanno chiarito che «in Italia se le perdite della filiera alimentare (agricola, trasformazione e distribuzione) valgono 0,2 punti del Pil, lo spreco domestico rappresenta mezzo punto del Pil, ossia tra 8 e 9 miliardi di euro»;
    secondo la Società italiana di nutrizione umana (Sinu), la disponibilità calorica giornaliera per ogni italiano è di circa 3700 chilocalorie, ossia oltre una volta e mezzo il fabbisogno energetico quotidiano, per cui il surplus di 1700 chilocalorie che ne deriva o provoca sovralimentazione o viene sprecato;
    nei Paesi sviluppati, ma talvolta anche in quelli in via di sviluppo, sono rilevanti le motivazioni di carattere regolamentare ed economico che sono alla base dello spreco. C’è decisamente ancora molto da fare per comprendere le cause delle perdite nella parte iniziale della filiera. Nelle fasi di prima trasformazione del prodotto agricolo e dei semilavorati, le cause che determinano gli sprechi sono individuabili principalmente in malfunzionamenti tecnici e inefficienze nei processi produttivi: normalmente si parla di «scarti di produzione»;
    nella distribuzione e vendita (sia essa all'ingrosso che al dettaglio) gli sprechi dipendono da molteplici cause, tra cui ordinazioni inappropriate e previsioni errate della domanda;
    gli sprechi domestici nascono: dalla difficoltà del consumatore di interpretare correttamente l'etichettatura degli alimenti; perché vengono preparate porzioni troppo abbondanti (tanto nei ristoranti quanto a casa); a causa degli errori commessi in fase di pianificazione degli acquisti (spesso indotti da offerte promozionali); quando gli alimenti non vengono conservati in modo adeguato;
    in particolare, nella filiera ortofrutticola, sugli sprechi incide la possibilità di ritirare parte della produzione per evitare il crollo dei prezzi. Il prodotto ritirato, infatti, è destinato solo in parte alla distribuzione gratuita (alle fasce deboli della popolazione, a scuole e a istituti di pena), mentre per la maggior parte è destinato alla distillazione alcolica (36 per cento), al compostaggio e biodegradazione (55 per cento) e all'alimentazione animale (4 per cento). Questi impieghi sono da considerarsi come sprechi, in quanto implicano la destinazione del prodotto a un uso differente dall'alimentazione umana per cui era stato coltivato;
    nell'industria agroalimentare lo spreco medio ammonta al 2,6 per cento del totale, pari a circa 1,9 milioni di tonnellate di cibo (escludendo l'industria delle bevande). I prodotti scartati sono tendenzialmente gestiti come rifiuti o utilizzati per la produzione di mangimi e non destinati, invece, alla ridistribuzione alle fasce deboli della popolazione. La maggior parte degli sprechi di cibo è riscontrabile nell'industria lattiero-casearia e nella lavorazione e conservazione di frutta e ortaggi;
    per quanto riguarda la fase della distribuzione, l'attività di ricerca condotta dall'Osservatorio sullo spreco alimentare, Waste Watchers, offre stime sulla quantità di cibo «gettato via» da parte dei mercati all'ingrosso (centri alimentari e mercati ortofrutticoli) e della moderna distribuzione. Al riguardo, emerge che nel 2009 in Italia sono state sprecate 263.645 tonnellate di prodotti alimentari (per un totale di 900 milioni di euro), il 40 per cento delle quali è costituito da prodotti ortofrutticoli;
    un discorso a parte merita lo spreco alimentare nella ristorazione collettiva che, in massima parte, deriva da un'errata impostazione dei menù, da grammature scorrette e da capitolati di gara spesso mal impostati; soprattutto nella ristorazione ospedaliera, le organizzazioni di settore rilevano che le inefficienze previste all'interno dei capitolati degli appalti fanno registrare sprechi nel vassoio che si aggirano intorno al 20-25 per cento, con picchi del 40 per cento in alcune strutture ospedaliere;
    alcune ricerche dell'Osservatorio ristorazione collettiva e nutrizione evidenziano, inoltre, come nella ristorazione scolastica si possono osservare le seguenti percentuali di spreco (ciò che resta sul piatto): 15-17 per cento primi piatti; 20-25 per cento carne; 35-40 per cento ortofrutta;
    infine, per quel che riguarda la ristorazione aziendale, gli sprechi derivano dal cosiddetto fine linea, i cibi che, da bando, devono essere comunque garantiti a fine turno in quantità corrispondente a quella iniziale;
    per ridurre il tema degli sprechi della ristorazione collettiva occorrerebbe intervenire a monte, rivisitando le modalità che portano alla predisposizione dei bandi per evitare che siano inseriti prodotti di grande richiamo ma che poi non vengono mangiati, rivedendo le grammature all'interno dei capitolati, non per limitare il cibo, ma per ponderarlo in base alle caratteristiche dell'utente, lavorando sul triangolo «cibo-famiglia-scuola», prevedendo percorsi di educazione alimentare nelle scuole rivolti non solo a bambini ma, soprattutto, a insegnanti e genitori;
    il 19 gennaio 2012, il Parlamento europeo ha approvato in seduta plenaria la risoluzione su come «evitare lo spreco di alimenti: strategie per migliorare l'efficienza della catena alimentare nell'Unione europea», in cui definisce lo «spreco alimentare» e si pone l'obiettivo di ridurre del 50 per cento gli sprechi alimentari entro il 2015 e di dedicare il 2014 come anno europeo contro lo spreco alimentare, attraverso una strategia per migliorare l'efficienza della catena alimentare degli Stati membri;
    per raggiungere gli obiettivi della sopradetta risoluzione sono state coinvolte le autonomie locali in progetti contro lo spreco e, in particolare, sono stati organizzati eventi per favorire la massima adesione dei sindaci al progetto «Carta per una rete di amministrazioni a spreco zero», per ridurre progressivamente gli sprechi attraverso il controllo e la prevenzione di tutte le attività pubbliche e private, che implichino la gestione di cibo, acqua, energia, rifiuti, mobilità e comunicazione;
    la Commissione europea, nella comunicazione «Partecipazione dell'UE all'Expo 2015 di Milano» Nutrire il pianeta: Energia per la vita del 3 maggio 2013 ha ribadito che «La sicurezza alimentare è diventata negli ultimi quindici anni un elemento centrale delle politiche dell'UE in questo settore e costituisce la base di un vero e proprio modello per il resto del mondo; l'approccio al cibo nell'UE è allo stesso tempo un prerequisito per salvaguardare la salute di cittadini e consumatori e la pietra miliare su cui si basa la reputazione e il successo dell'industria alimentare europea in tutto il mondo. La sostenibilità assume un'importanza sempre più decisiva per i cittadini europei e a livello mondiale, giacché è sempre più importante utilizzare le risorse in modo più razionale, al fine di garantire la prosperità alle generazioni future e di limitare l'impatto sull'ambiente, preservando le risorse naturali già limitate. Considerando tutto ciò, la partecipazione dell'UE dovrebbe avere anche un fine educativo, non solo sensibilizzando i visitatori, ma anche prospettando loro approcci concreti nel settore dell'alimentazione e della sostenibilità, in modo da permettere ai cittadini di cambiare in positivo i propri stili di vita riducendo, ad esempio, lo spreco di cibo e adottando scelte alimentari più sane»;
    a livello nazionale, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha già avviato, nei mesi scorsi, una strategia nazionale e ha adottato, il 7 ottobre 2013, il Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti, che affronta in modo organico il problema degli sprechi alimentari in Italia, in sintonia con quanto indicato dalla Commissione europea nella tabella di marcia verso un'Europa efficiente nell'impiego delle risorse. In tale contesto, è stato istituito il Piano nazionale di prevenzione dello spreco alimentare (Pinpas) ed è stata proclamata, il 5 febbraio 2014, la prima Giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare in Italia; il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intende raggiungere entro il 2020 una riduzione del 5 per cento, dei rifiuti per unità di prodotto interno lordo, dei rifiuti urbani, del 10 per cento di quelli pericolosi e del 5 per cento di quelli speciali;
    l'Expo 2015, il cui tema è appunto «Nutrire il Pianeta. Energia per la vita», rappresenta un'opportunità per affrontare il tema degli sprechi alimentari e per studiare soluzioni innovative a livello globale in considerazione della prevista partecipazione di oltre 140 Paesi all'evento; in quest'occasione si potrebbe arrivare alla definizione di una piattaforma di idee in grado di stimolare nuove azioni per ridurre lo spreco alimentare;
    in tale contesto va senza dubbio evidenziato il ruolo dell'educazione come parte integrante della soluzione globale, soprattutto in relazione ai bambini a cui bisogna trasmettere il valore del cibo in quanto risorsa, per influenzarne i futuri comportamenti; allo stesso modo è importante educare la gente a riutilizzare e riciclare il cibo invece di gettarlo via, tanto a livello domestico che a livello di ristorazione collettiva, come in ospedali, mense e ristoranti,

impegna il Governo:

   ad affrontare, con urgenza, il problema dello spreco alimentare lungo tutta la catena dell'approvvigionamento e del consumo, definendo orientamenti e sostenendo strategie per migliorare l'efficienza della catena agroalimentare e promuovendo il confronto con tutte le organizzazioni e le categorie coinvolte, tenendo conto delle iniziative già presenti a livello nazionale;
   a sostenere l'affermazione di modelli agricoli sostenibili e la trasformazione e il riutilizzo alimentare delle eccedenze alimentari nazionali (ad esempio, in zuppe, succhi di frutta, marmellate, gelati e altro) e la loro distribuzione a enti di aiuto alimentare;
   ad incoraggiare l'adozione di misure atte a ridurre gli sprechi alimentari come, ad esempio, l'etichettatura con doppia scadenza (commerciale e di consumo), o le vendite scontate di prodotti in scadenza o danneggiati, e ad incentivare modalità di packaging differenziato tra prodotti freschi e non;
   a prevedere, in sede di aggiudicazione di appalti pubblici, norme di vantaggio per le imprese che adottano misure per ridurre gli sprechi alimentari anche mediante il ricorso ad approvvigionamenti in ambito locale e territoriale che salvaguardino la qualità e la tracciabilità dei prodotti, garantendo inoltre una programmazione adeguata ai consumi effettivi;
   a promuovere presso tutti gli enti pubblici azioni per evitare lo spreco alla fonte mediante nuove modalità di impostazione dei capitolati di gara nella ristorazione collettiva, che favoriscano le elaborazioni di menù su scala regionale, anziché a livello di singola struttura e, laddove non necessario, ad esempio nelle strutture ospedaliere, che prevedano una rotazione dei menù stagionale e non settimanale, evitando inoltre che vengano inseriti nel capitolato prodotti di grande richiamo ma che poi non vengono mangiati e prevedendo le giuste grammature, ponderate in base alle caratteristiche dell'utente;
   a favorire e a promuovere accordi con le maggiori catene distributive e le industrie alimentari nazionali e straniere, al fine di ridurre gli sprechi alimentari, intervenendo sul packaging (con l'obiettivo di ridurre del 10 per cento l'impatto in termini di emissioni di anidride carbonica), sui comportamenti di consumo domestico (con l'obiettivo di ridurre gli sprechi domestici di alimenti e bevande) e sugli sprechi lungo l'intera filiera distributiva (con l'obiettivo di ridurre lo spreco di prodotti e cibo);
   a realizzare iniziative e campagne informative sui prodotti freschi per indicare ai clienti il modo migliore di conservare più a lungo gli alimenti a casa, così da ridurre lo spreco alimentare;
   a sostenere, per quanto di competenza, i progetti dei comuni, delle province e delle regioni volti a consolidare metodi di lavoro che permettano di attivare in maniera progressiva il sistema di donazioni/ritiri, tenendo sotto controllo gli aspetti nutrizionali, igienico-sanitari, logistici e fiscali;
   ad incentivare e a promuovere modelli logistico-organizzativi che permettano di recuperare in totale sicurezza tutte le tipologie di prodotti, inclusi quelli che rientrano nelle categorie dei «freschi» e «freschissimi»;
   a promuovere progetti educativi e di sensibilizzazione, nelle scuole di tutti i livelli e gradi, sulle quantità di cibo sprecato nelle mense e nelle caffetterie delle scuole per consentire l'adozione di diete equilibrate, apprezzando il legame tra agricoltura, alimentazione, ambiente e salute e valorizzando anche competenze ed esperienze degli operatori della ristorazione collettiva;
   ad attivare un coordinamento tra i Ministeri competenti in materia – quali il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero della salute e il Ministero dello sviluppo economico – e la Conferenza Stato-regioni per la riduzione degli sprechi con l'obiettivo di: monitorare e analizzare la dimensione del fenomeno nel nostro Paese; sostenere le azioni per l'utilizzo di alimenti non consumati nella rete del commercio e della ristorazione; minimizzare tutte le perdite e le inefficienze della filiera agroalimentare, favorendo la relazione diretta tra produttori e consumatori e coinvolgendo tutti i soggetti interessati con l'obiettivo di rendere più eco-efficienti la logistica, il trasporto, la gestione delle scorte e gli imballaggi;
   ad adoperarsi in sede comunitaria al fine di sostenere il 2014, quale «anno europeo della lotta allo spreco alimentare», come percorso avviato dall'Italia per sensibilizzare i cittadini e richiamare l'attenzione delle istituzioni su questo importante tema al fine di ridurre lo spreco alimentare.
(1-00052)
(Nuova formulazione) «Fiorio, Cenni, Oliverio, Luciano Agostini, Antezza, Anzaldi, Carra, Cova, Covello, Dal Moro, Ferrari, Marrocu, Mongiello, Palma, Sani, Taricco, Tentori, Terrosi, Valiante, Venittelli, Zanin, Speranza, Martella, Narduolo, Quartapelle Procopio».

   La Camera,
   premesso che:
    l'ape (apis mellifera L.) è una specie di insetto sociale dell'ordine degli imenotteri, della famiglia degli apidi, suddivisa in 24 sottospecie riunite in tre gruppi (Mediterraneo occidentale, Mediterraneo orientale ed Africa tropicale), che ha la caratteristica di poter essere allevata dall'uomo ed è diffusa pressoché in tutti i continenti, quindi anche in Italia, dove si segnala, tra l'altro, il maggior numero di sottospecie selvatiche d'Europa;
    l'ape è un insetto pronubo che svolge un importantissimo ruolo ecologico ed ambientale per il mantenimento della biodiversità vegetale tra le piante spontanee e coltivate. Per queste ultime, i pronubi assolvono ad un compito essenziale, garantendo la produttività di un'ampia gamma di colture europee di importanza economica ed il miglioramento della qualità del prodotto;
    in Europa gli insetti impollinatori come l'ape contribuiscono alla produzione agricola di 150 colture (84 per cento) che dipendono parzialmente o interamente dagli insetti per l'impollinazione e il raccolto, per un valore commerciale che si aggira intorno ai 22 miliardi di euro all'anno. Tra le principali colture che beneficiano dell'impollinazione entomofila si annoverano:
     a) frutta: melo, arancio, pero, pesco, melone e anguria, limone, fragola, lampone, susino, albicocco, ciliegio, kiwi, mango e ribes;
     b) ortaggi: pomodoro, carota, patata, cipolla, peperone, zucca, fava, zucchina, fagiolo, melanzana e cetriolo;
     c) colture industriali: cotone, colza, girasole, senape, soia e grano saraceno;
     d) frutta secca: mandorlo, noce e castagno;
     e) piante aromatiche: basilico, salvia, rosmarino, timo, coriandolo, cumino e aneto;
     f) foraggio per gli animali: erba medica, trifoglio e meliloto;
     g) piante officinali: camomilla, lavanda ed enotera;
    la sottospecie mellifera più diffusa al mondo è l'ape ligustica o ape italiana (apis mellifera ligustica Spinola, 1806), molto apprezzata tra gli apicoltori, data la sua adattabilità alla maggior parte dei climi, dal subtropicale al temperato;
    il continuo contatto con l'ambiente che caratterizza l'operato delle api, che svolgono attività bottinatrice, favorisce l'accumulo, all'interno dell'alveare, delle sostanze con le quali questi insetti entrano in contatto, rendendo l'arnia una preziosa fonte di informazioni circa la presenza di sostanze inquinanti nell'ambiente;
    per le ragioni sopra riportate, l'apicoltura, inquadrabile nell'ambito della zootecnia, assolve, oltre alla funzione produttiva, anche a quella ecologico-ambientale e di sviluppo rurale, rientrando perciò a pieno titolo nell'ambito delle attività agricole multifunzionali;
    di recente, la Fai (Federazione italiana apicoltori) ha dichiarato che vi sono molti motivi per ritenere che l'ape italiana sia a rischio di estinzione, così come le altre sottospecie di ape mellifera, visto che è in corso una moria estremamente preoccupante data dal fatto che il numero di api nate non supera quello delle api morte;
    sempre secondo la Fai, numerose sono le ragioni di questa moria, tra le quali l'introduzione di nuove specie «spurie» ed i trattamenti insetticidi a base di imidacloprid, prodotto già bandito in Francia dal 2002;
    in un recente ed allarmante rapporto di Greenpeace, si evidenzia come il polline con il quale entrano in contatto le api è altamente inquinato da un «pesante cocktail di pesticidi tossici», molti dei quali neonicotinoidi, e per questo l'associazione ambientalista ha invitato la Commissione europea e i Governi nazionali a vietarne completamente l'utilizzo. Infatti, i pesticidi neonicotinoidi clothianidin, imidacloprid, thiamethoxam e fipronil sono attualmente sottoposti solo ad un divieto temporaneo ed altri pesticidi non neonicotinoidi dannosi per le api e per gli altri impollinatori, come il clorpirifos, cipermetrina e deltametrina, non risultano ancora essere banditi;
    negli ultimi decenni si è verificata in Europa una drammatica diminuzione del numero di api mellifere allevate e di pronubi selvatici, perdendo una media del 16 per cento delle arnie (dal 1985 al 2005), riscontrabile prevalentemente in Inghilterra, Germania, Repubblica Ceca e Svezia, anche a causa della rarefazione di spazi aperti ricchi di fiori;
    la Commissione europea nel maggio 2013 (regolamento di esecuzione (UE) n. 485/2013 della Commissione del 24 maggio 2013) ha dato il via alla moratoria contro i tre insetticidi considerati più dannosi per le api europee (moratoria entrata in vigore nel successivo mese di dicembre 2013, per la durata di 2 anni). Trattasi del clotianidin, dell'imidacloprid e del tiametoxam (della famiglia dei neonicotinoidi), destinati alla concia delle sementi, all'applicazione al suolo (granuli) ed ai trattamenti fogliari su piante e cereali (ad eccezione dei cereali vernini);
    la Commissione europea stabilisce, inoltre, che i restanti usi autorizzati sono a disposizione dei soli professionisti e le eccezioni saranno limitate alla possibilità di trattare coltivazioni che attraggono le api in serre e in campi all'aperto solo dopo la fine della fioritura;
    l'Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha pubblicato le nuove linee guida per la valutazione del rischio da pesticidi per la sopravvivenza delle api, che rappresenta un netto miglioramento per quel che riguarda la valutazione del pericolo rispetto a quanto proposto in precedenza dall'Organizzazione europea e mediterranea per la protezione delle piante;
    la rete nazionale di monitoraggio degli alveari (progetto Beenet attivo dal 2011, che sostituisce il monitoraggio Apenet, approntato nel 2008 a seguito dei gravi casi di moria), ha comunque segnalato gravi fenomeni di apicidio (2012-2013), nelle seguenti regioni italiane:
     a) in Basilicata, in conseguenza di trattamenti primaverili di fruttiferi in fioritura;
     b) in Emilia Romagna, probabilmente a seguito di approvvigionamento da parte delle api di acqua per fertirrigazione contenente insetticidi impiegati sulla coltura di pomodoro;
     c) nelle Marche e in altre regioni vocate alla coltura del girasole, a causa dell'utilizzo di un diserbante per il quale non è state effettuata la valutazione del rischio per gli impollinatori;
     d) in Sicilia, per trattamenti di colture intensive di agrumeti in presenza di forte essudazione di melata che in ambienti con scarsa disponibilità di piante nettarifere, è utilizzata dalle api per la produzione del miele;
    l'Unaapi (Unione nazionale associazioni apicoltori italiani) ha segnalato durante questa primavera (2014) nuovi, estesi e reiterati fenomeni di avvelenamenti, moria e spopolamenti d'interi apiari, soprattutto in concomitanza con l'epoca delle semine del mais, dal Friuli Venezia Giulia (dove sono stati spopolati migliaia di alveari) al Veneto, alla Lombardia, all'Emilia Romagna e al Piemonte e analoghi fenomeni sui fruttiferi e sulle colture di cereali della Lombardia e della Campania;
    l'Unaapi afferma, sebbene non ci sia certezza sulle molecole che hanno provocato tali conseguenze che, oltre ai neonicotinoidi, è assai probabile che si sia accentuato un uso pervasivo e irresponsabile di altre molecole neurotossiche, come il piretroide deltametrina o il famigerato insetticida clorpirifos, o il fungicida tebuconazolo, che esplica effetti nocivi sulle popolazioni di api, non previsti e non valutati, o che vengano comunque utilizzati illegalmente neonicotinoidi;
    un'altra minaccia incombe sull'apicoltura europea ed italiana ed è quella della vespa velutina o calabrone asiatico (vespa velutina lepeletier), importato accidentalmente dalla Cina, in grado di predare le api e di distruggere gli alveari e di arrecare danno a tutta l'entomofauna utile;
    negli ultimi otto anni il calabrone asiatico è stato in grado di colonizzare quasi tutto l'intero territorio francese, con la scomparsa del 50 per cento degli alveari, arrivando a varcare i confini con il Belgio, la Spagna, il Portogallo e l'Italia, dov’è stata ufficialmente rinvenuta in provincia di Imperia e Cuneo;
    secondo l'Osservatorio nazionale del miele, il mercato dei prodotti apistici è caratterizzato da circa 12.000 produttori e da quasi 40.000 apicoltori con attività apistica per autoconsumo e da 1.157.196 alveari censiti, che nel 2012 ha fatto registrare una produzione di 23.320 quintali di miele (26.384 nel 2010), il cui giro d'affari legato alla produzione di questo prodotto, della cera, del polline e degli altri prodotti apistici, ammonta circa ai 65 milioni di euro annui;
    l'Italia, grazie alla sua varietà climatico-vegetazionale e alla professionalità degli apicoltori che hanno sviluppato raffinatissime ed impegnative tecniche di nomadismo, può contare su un patrimonio di mieli unico al mondo, oltre ad una infinità di millefiori, e annovera anche oltre trenta monoflora classificati e numerosi i prodotti apistici di qualità (denominazione di origine protetta e indicazione geografica protetta);
    la particolarità del settore non permette di estendere ad esso i criteri utilizzati per definire le «organizzazioni di produttori», primo fra tutti la mancanza e la non necessità di avere una concentrazione della commercializzazione del prodotto, che rende, però, necessario garantire qualificati organismi rappresentativi del settore, per poter, con equilibrata partecipazione, elaborare programmi di settore e utilizzare in modo ottimale le risorse destinate all'apicoltura;
    la presenza di un numero considerevole di apicoltori «non professionisti» costituisce allo stesso tempo una risorsa e un aspetto problematico, quest'ultimo rappresentato dall'influenza negativa sullo stato sanitario delle api, qualora tali attività siano svolte al di fuori di ogni contesto associativo;
    ad aggravare quanto riportato al punto precedente, le emergenze sanitarie alla base della moria delle api sono aggravate dall'assenza di un adeguato quadro regolatorio internazionale, per cui gli apicoltori riscontrano evidenti difficoltà in considerazione della mancanza di un adeguato supporto da parte dei servizi veterinari;
    in ambito comunitario, la Commissione europea, a seguito delle conclusioni del rapporto sul settore dell'apicoltura destinato al Parlamento europeo e al Consiglio predisposto dal Commissario all'agricoltura Dacian Ciolos, ha ribadito l'intenzione di sostenere l'apicoltura europea, attraverso l'introduzione di nuove misure di sviluppo rurale finalizzate a favorire i giovani agricoltori nell'ammodernamento delle aziende e ad interventi agroambientali per rafforzare la presenza di piante mellifere per il sostentamento delle colonie di api;
    la sezione VI (articoli 105-110) del regolamento (CE) n. 22 ottobre 2007, n. 1234/2007 del Consiglio contiene disposizioni speciali relative al settore dell'apicoltura e, in particolare, prevede un contributo finanziario dell'Unione europea per l'applicazione di talune azioni dirette a migliorare le condizioni della produzione e della commercializzazione dei prodotti dell'apicoltura, attraverso la predisposizione ogni tre anni di un programma nazionale (attualmente è in atto quello relativo al triennio 2014-2016), incentrato su una o più azioni di:
     a) assistenza tecnica ad apicoltori e loro associazioni;
     b) lotta contro la varroasi;
     c) razionalizzazione della transumanza;
     d) misure di sostegno ai laboratori di analisi delle caratteristiche fisico-chimiche del miele;
     e) misure di sostegno per il ripopolamento del patrimonio apistico;
     f) collaborazione con organismi specializzati nella ricerca applicata nel settore apistico;
    a seguito della legge 24 dicembre 2004, n. 313, che ha riconosciuto l'apicoltura come attività di interesse nazionale, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha provveduto ad elaborare uno specifico documento programmatico con le linee strategiche a sostegno dell'apicoltura attraverso finanziamenti, l'informazione, la valorizzazione delle produzioni, la tutela della salute dei consumatori e l'educazione alimentare, oltre che per lo sviluppo dei programmi di ricerca e di sperimentazione d'intesa con le organizzazioni apistiche,

impegna il Governo:

   in accordo con le regioni e con le province autonome di Trento e Bolzano, a promuovere, nei programmi aziendali pluriennali di miglioramento agricolo ambientale, tutte le azioni che favoriscano i pronubi, riportate nell'ambito del progetto europeo Step (Stato attuale e tendenze dei pronubi europei, n. 244090-STEP-CP-FP), finalizzato alla conservazione degli organismi pronubi e del loro servizio di impollinazione, tra le quali la creazione o il mantenimento di habitat specifici, come le aiuole incolte per le fioriture spontanee, la gestione e l'utilizzo di agrofarmaci in modo da tutelare l'entomofauna, la riduzione dell'uso di diserbanti per salvaguardare le piante che offrono fioriture e la semina e la coltivazione di specie che producano fioriture abbondanti (ad esempio, colza, trifoglio e fava), inserendole nelle rotazioni;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza in relazione ai trattamenti antiparassitari con prodotti fitosanitari ed erbicidi tossici per le api, al fine di salvaguardarne l'azione pronuba non solo durante il periodo di fioritura ma anche in quello di melata;
   ad agire in sede nazionale ed europea per un divieto definitivo, e non solo parziale e temporaneo, dei neonicotinoidi e di altri insetticidi sistemici dannosi per i pronubi, finanziando, altresì, la ricerca scientifica per l'individuazione di nuove procedure e test per l'accertamento delle conseguenze per le api e per gli altri impollinatori, dovute allo spandimento di molecole e dei loro preparati, dando priorità alla valutazione degli effetti dovuti ai piretrodi (in particolar modo alla deltametrina), all'insetticida clorpirifos ed al fungicida tebuconazolo;
   in accordo con le regioni e con le province autonome di Trento e Bolzano, a promuovere una capillare azione di controllo e vigilanza per la repressione dell'uso, durante i trattamenti chimici in agricoltura, di fitofarmaci e principi attivi vietati o non autorizzati a livello nazionale ed europeo, perché pericolosi per i pronubi;
   ad intraprendere tutte le iniziative normative affinché il prodotto apistico denominato «pappa reale» o «gelatina reale», prodotto agricolo de facto, venga annoverato tra i prodotti agricoli della parte I della tabella A del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto), attribuendo allo stesso un'aliquota di compensazione ai fini IVA, correggendo in questo modo l'anacronistica situazione che penalizza gli apicoltori che si dedicano a questa produzione che possiede interessanti prospettive di mercato;
   a favorire le produzioni di qualità, garantendo il consumatore e tutelando i produttori italiani da pesanti fenomeni di concorrenza estera, assumendo iniziative per estendere a tutti i prodotti alimentari apistici (nello specifico pappa reale e polline) l'obbligo, attualmente in vigore per il miele, di indicare in etichetta il Paese d'origine del prodotto confezionato e per tutte le categorie di prodotti la provenienza dei pollini utilizzati, fermo restando quanto previsto dal regolamento UE n. 1169/2011 (relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori);
   ad individuare rappresentanze qualificate degli operatori del settore apistico, utilizzando anche i criteri presenti nel decreto del 16 febbraio 2010 (criteri di assegnazione dei contributi ai sensi del decreto-legge n. 112 del 2008 per il settore apistico), atti a favorire una migliore gestione della programmazione nazionale di settore e per permettere corrette e adeguate politiche di sviluppo, coordinamento e gestione in ambito regionale, anche in considerazione di quanto previsto agli articoli dal 56 al 60 del regolamento UE n. 1308/2013 (ex regolamento UE n. 1234/2007), che obbliga gli Stati membri all'elaborazione di programmi apistici nazionali a favore dello sviluppo dell'apicoltura, in piena e fattiva collaborazione con le organizzazioni rappresentative del settore;
   data la peculiarità del settore apistico ampiamente esposta nella premessa, ad intraprendere tutte le iniziative normative necessarie a sburocratizzare il settore attraverso una semplificazione per la vendita diretta e per la cessione al dettaglio dei prodotti che l'apicoltore effettua presso la sede aziendale (abitazione, laboratorio di smielatura ed altro), come già previsto per i produttori agricoli che cedono in campo i propri prodotti, ciò anche ai sensi del regolamento UE n. 852/2004 (sull'igiene dei prodotti alimentari) che definisce l'attività dell'apicoltore ai fini sanitari, di tipo primario, compreso l'invasettamento ed il confezionamento del prodotto, estendendo, quindi, all'apicoltore tutte le semplificazioni che sono proprie del produttore primario, anche in riferimento alla commercializzazione, come:
    a) l'esonero dell'apicoltore dalla dichiarazione/segnalazione di inizio attività;
    b) la vendita diretta dei prodotti agricoli senza cambio di destinazione d'uso dei locali ove questa si svolge;
    c) l'autorizzazione all'uso temporaneo, senza che sia necessario il cambio di destinazione d'uso e a prescindere dalla destinazione urbanistica della zona in cui questi sono ubicati, di locali per l'attività di smielatura/confezionamento del miele per piccole produzioni;
   ad assumere iniziative per integrare l'elenco delle «attività agricole connesse» – di cui all'articolo 32, comma 2, del testo unico delle imposte sui redditi e dell'articolo 2135, comma 3, del codice civile, in relazione alla corretta valutazione del reddito ascrivibile ad un'azienda apistica, ricomprendendo, oltre alla lavorazione e al confezionamento del miele (già compresa nell'elenco), anche tutti gli altri prodotti dell'apicoltura come elencati nella legge n. 313 del 2004 (Disciplina dell'apicoltura), all'articolo 2, comma 2: la cera d'api, la pappa reale o gelatina reale, il polline, il propoli, il veleno d'api, le api e le api regine, l'idromele e l'aceto di miele;
   ad attivare immediatamente un tavolo tecnico coinvolgendo le associazioni di apicoltori riconosciute a livello nazionale, l'Ispra, gli enti di ricerca universitari ed istituzionali e l'Efsa, per individuare lo «stato dell'arte» e le linee guida per l'eradicazione della vespa velutina e degli altri patogeni e parassiti che minacciano le api e per la formazione degli apicoltori, al fine dell'individuazione e dell'ubicazione dei nidi e degli esemplari di calabrone asiatico.
(1-00476)
(Nuova formulazione) «Massimiliano Bernini, Gagnarli, L'Abbate, Benedetti, Gallinella, Parentela, Lupo, Grande, Frusone, Daga».

   La Camera,
   premesso che:
    il settore apicolo costituisce un'attività di interesse nazionale, è parte integrante dell'agricoltura europea ed è fonte di reddito primario o aggiuntivo per oltre 600 mila cittadini dell'Unione europea;
    contribuisce in modo determinante all'evoluzione ed allo sviluppo dell'agricoltura, alla conservazione dell'ambiente naturale e dell'ecosistema e alla tutela della biodiversità;
    in effetti, si stima che circa l'84 per cento delle specie vegetali ed il 76 per cento della produzione alimentare in Europa dipendano dall'opera di impollinazione effettuata dalle api;
    il valore economico di tale attività supera di gran lunga lo stesso valore del miele prodotto ed è valutato nell'Unione europea in 15 miliardi di euro annui;
    l'apicoltura, sul piano economico-sociale, svolge un importantissimo ruolo nello sviluppo sostenibile delle zone rurali, crea opportunità d'impresa e favorisce, quindi, l'occupazione;
    nel nostro Paese gli apicoltori sono circa 50 mila; inoltre, i produttori apistici, gli agricoltori che svolgono attività a fini economici e ricavano un reddito rilevante da tale attività sono circa 7 mila e cinquecento; gli alveari sono circa 1.100.000; le api in attività nel territorio nazionale si stima ammontino ad oltre 55 miliardi;
    nel nostro Paese si producono annualmente circa 8-11 mila tonnellate di miele a seconda dell'andamento stagionale e meteorologico. Il valore economico derivante da tale produzione è di circa 20,6 milioni di euro, mentre quello che proviene dall'indotto ammonta ad oltre 57-62 milioni di euro;
    per quanto riguarda l'Unione europea, la produzione di miele registrata nel 2011 è stata pari a 217.366 tonnellate. La produzione europea ha registrato un lieve aumento negli ultimi 10 anni (+ 6 per cento dal 2010) con variazioni annuali positive e negative, sempre a seconda delle condizioni atmosferiche;
    nel mondo intero, da qualche tempo, si sta verificando una riduzione del numero delle colonie di api: infatti, la salute delle comunità e dei singoli viene influenzata da numerosi fattori letali e sub-letali, molti dei quali tra loro interconnessi;
    numerosi studi e valutazioni di esperti attribuiscono tale fenomeno all'uso dei pesticidi, ai mutamenti delle condizioni climatiche e ambientali, ai cambiamenti dell'uso del suolo e a pratiche apicole gestite scorrettamente;
    in relazione a tale fenomeno, nel nostro Paese il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha avviato, a partire dal 2008, un monitoraggio nazionale denominato «Rete per il monitoraggio dei fenomeni di spopolamento e mortalità degli alveari» che fornisce strumenti scientifici e operativi per il monitoraggio dei fenomeni di spopolamento e mortalità degli alveari;
    tale studio ha dimostrato come sia da attribuire precipuamente all'uso dei pesticidi la causa più probabile della moria delle api;
    per contrastare il preoccupante fenomeno, la Commissione europea ha previsto una serie di adeguate misure per contrastare il fenomeno e favorire un corretto e vantaggioso sviluppo del settore;
    in questo ambito sono state stanziate risorse per lo sviluppo rurale, per favorire l'impegno nel settore di giovani agricoltori, per l'ammodernamento delle aziende, per interventi agro-ambientali, per intensificare la presenza di piante mellifere al fine di sostenere e favorire lo sviluppo delle colonie di api;
    la Commissione europea ha inteso elencare e spiegare il significato di tali misure nelle conclusioni del rapporto sul settore dell'apicoltura destinato al Parlamento europeo e al Consiglio. Il rapporto sottolinea che le misure in vigore nell'Unione europea hanno aiutato i produttori del continente a «mantenere una produzione di miele di alta qualità, pur in un contesto difficile, con l'aumento dei costi di produzione, le minacce alla sopravvivenza delle api e la feroce concorrenza internazionale da importazione di miele da Paesi terzi»;
    in considerazione delle valutazioni effettuate dagli esperti che hanno studiato il fenomeno, appaiono indispensabili una forte politica di profilassi ed un sostegno anche di carattere culturale agli operatori del settore, favorendo l'intervento di personale veterinario, di centri di riferimento specializzati e di informazioni e protocolli che possano consentire una corretta e adeguata gestione di un settore così vitale e significativo per l'intera Europa,

impegna il Governo:

   ad adottare una politica pubblica di profilassi che preveda necessariamente e diffusamente una seria formazione degli apicoltori ed il loro accompagnamento ad opera di personale veterinario specializzato;
   a favorire, per una loro giusta attuazione, lo sviluppo di adeguate politiche sanitarie a livello nazionale, con la piena collaborazione delle associazioni apistiche;
   a definire metodiche efficaci, chiare e semplici da diffondere nell'intero comparto apistico e a considerare che l'unità epidemiologica non è generalmente costituita dal singolo alveare o apiario, bensì dall'insieme del patrimonio zootecnico dell'apicoltore;
   a promuovere la ricerca scientifica, di cooperazione tra l'Italia e gli altri Stati produttori di miele e derivati, al fine di intraprendere un comune scambio di informazioni che rafforzi la lotta agli acari responsabili della moria delle api;
   a favorire corsi di aggiornamento per veterinari, allo scopo di fornire loro le adeguate e specifiche conoscenze per fronteggiare le patologie delle api;
   a promuovere una rete geografica di adeguate competenze veterinarie nell'ambito di ciascuna regione.
(1-00478)
(Nuova formulazione) «Dorina Bianchi».

   MANTERO, GRILLO, DI VITA, CECCONI, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, BARONI, SIMONE VALENTE e BATTELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   notizie allarmanti sono arrivate da associazioni di categoria, dalla Greenpeace e dal WWF riguardo all'assurda tenuta strutturale del relitto della Costa Concordia;
   in particolare, si discute se sia possibile o meno la rimozione della stessa, dopo aver interpellato, senza alcuna risposta, il commissario per le operazioni di smaltimento e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   si assiste ad una mancanza di responsabilità, davanti alla quale le associazioni fanno notare come non vi sia stato alcun ripensamento tecnico, come invece era stato annunciato a seguito del «distacco» del «cassone galleggiante» avvenuto qualche settimane fa, questo almeno è quanto si è appreso da alcuni articoli di stampa;
   inutile dire quanto sia forte la preoccupazione della Greenpeace e del WWF;
   nessuno parla di ciò che sarebbe successo se il cassone si fosse staccato durante la fase di traino della Concordia;
   la nave sarebbe inesorabilmente affondata a profondità irraggiungibili, in quanto per le isole del Giglio e d'Elba, i fondali hanno una profondità di quasi mille metri, e dopo l'isola di Capraia, superano addirittura i cinquemila metri di profondità;
   il totale disinteresse che si sta mostrando, al riguardo, provoca angoscia; come ha affermato il WWF «non si può giocare con la sicurezza ambientale, mettendo a rischio il mare del Giglio, in pieno Santuario dei Cetacei, appare indispensabile aspirare dal relitto della Costa Concordia le oltre 100 tonnellate di carburanti rimasti così come è necessario verificare se la Concordia sia in grado di reggere un traino che, alla velocità di 1,5 nodi, impiegherebbe oltre quattro giorni per portarla a Genova, assurdo è continuare a contare sulla resistenza strutturale del relitto pochi giorni dopo il distacco del serbatoio», senza contare la sottovalutazione del rischio ambientale;
   da alcune cronache di giornale, si rileva altresì che il commissario dell'Osservatorio del quale fanno parte tutti i rappresentanti delle istituzioni interessate, a cominciare dai tecnici del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti chiede un'ispezione ROV, ritenendo necessario verificare subito la tenuta strutturale del relitto, mentre i rappresentanti della Costa «non riscontrano alcuna necessità di intervento» –:
   se il Governo ritenga opportuno assumere iniziative affinché il commissario succitato proceda con urgenza ad una approfondita valutazione delle condizioni del relitto e provveda il prima possibile alla rimozione del carburante;
   quali siano le motivazioni che ad oggi impediscono il risarcimento del danno ambientale (valutato prudenzialmente da ISPRA in oltre 13 milioni di euro) come concordato nella conferenza servizi decisoria del 15 maggio 2012;
   se tale ritardo sia dovuto a causa della resistenze del gruppo Costa, come ritengono la Greenpeace e il WWF.
   (5-02860)

Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione n. 1-00088, già pubblicata nell'allegato B.

   La Camera,
   premesso che:
    tra gli squilibri più evidenti che caratterizzano la società quello alimentare è senz'altro il più grave ed assume i connotati di un vero e proprio paradosso: a fronte di oltre un miliardo di persone che soffrono per la mancanza di cibo, un numero equivalente si ammala per cause connesse ad eccessiva alimentazione, quali sovrappeso, diabete e malattie cardiovascolari;
    dati recenti evidenziano che solo il 10 per cento delle morti per fame è provocato da guerre e carestie, il resto è causato da malnutrizione cronica dovuta ad una complessità di elementi che vanno dai meccanismi del sistema economico globale fino agli effetti dei cambiamenti climatici;
    tra i dati registrati, quello riferito all'entità dello spreco alimentare mondiale è indubbiamente il più allarmante. Secondo i risultati dello Global food losses and food waste (perdita e spreco di cibo a livello mondiale), commissionato dalla Fao all'Istituto svedese per il cibo e la biotecnologia (SIK), nonostante la crisi, 1,3 miliardi di tonnellate di cibo viene sprecato ogni anno; lo spreco annuale dei Paesi ricchi, pari a circa 222 milioni di tonnellate, è pari all'intera produzione alimentare netta dell'area subsahariana e impone una riflessione non solo in considerazione dell'impatto economico ed ambientale, ma anche e soprattutto per la portata etica e sociale dei suoi effetti;
    una della questioni più rilevanti è lo squilibrio nella produzione e nella destinazione di cereali: nel mondo sono presenti circa tre miliardi di animali da allevamento e un terzo dell'intera produzione alimentare globale è riservata alla nutrizione zootecnica;
    una quota crescente di terreni agricoli è destinata alla produzione di biocarburanti e negli Stati Uniti addirittura il 45 per cento del consumo annuale di mais è destinato alla produzione di etanolo per carburanti, in competizione con le colture da cibo non solo per la destinazione del prodotto, ma anche per l'uso del terreno e dell'acqua usata per l'irrigazione;
    le cause di perdite e sprechi alimentari sono molteplici e si differenziano a seconda delle varie fasi della filiera agroalimentare; da un lato, il problema riguarda la filiera produttiva che non calcola picchi di produzione, conservazione e ottimizzazione, dall'altro, investe le abitudini alimentari dei Paesi industrializzati determinando un trend preciso di spreco, di poco rispetto per il cibo, per l'agricoltura e per i Paesi in via di sviluppo che soffrono per la fame, la denutrizione e la cattiva alimentazione;
    mentre nei Paesi in via di sviluppo le perdite più significative si concentrano nella prima fase della filiera, per limiti logistici e strutturali, nei Paesi industrializzati gli sprechi si concentrano sul consumo domestico e la ristorazione, principalmente per cause comportamentali;
    le perdite alimentari che si verificano nella fase di coltivazione e raccolto, nei Paesi in via di sviluppo, sono soprattutto il risultato di un'agricoltura poco efficiente, competenze tecniche limitate, pratiche arretrate e dotazioni infrastrutturali inadeguate, mentre nei Paesi a più alto reddito le motivazioni delle perdite in questa fase sono legate più al mancato rispetto di standard qualitativi ed estetici;
    le perdite che si verificano nella fase di trasformazione agricola ed industriale sono dovute soprattutto ad inefficienze dei processi produttivi che provocano danneggiamenti agli alimenti che per questo vengono scartati;
    le perdite nella fase di distribuzione e vendita sono soprattutto dovute ad un'errata previsione della domanda, ai limiti della tecnologia impiegata per la conservazione dei prodotti, agli standard di vendita che determinano l'esclusione di prodotti non conformi, alle strategie di marketing come il «3x2», che determinano sia una maggiore vendita dei prodotti, ma anche lo spostamento dello spreco alimentare al consumo finale;
    gli sprechi nella fase finale di consumo domestico e ristorazione sono dovuti, soprattutto, all'errata pianificazione degli acquisti, all'inadeguata conservazione del cibo, all'errata interpretazione delle etichette di scadenza degli alimenti e alla scarsa consapevolezza dell'impatto economico ed ambientale degli sprechi alimentari;
    per stimare l'impatto ambientale di un alimento andrebbe considerato il suo intero ciclo di vita, dalle emissioni di gas serra generate dai processi, all'utilizzo di risorse idriche; in base a questo si valuta che il cibo sprecato che incide maggiormente sull'ambiente è rappresentato dai prodotti di origine animale, principalmente latte e carne;
    le stime indicano che, a livello europeo, la quantità di cibo sprecato ogni anno ammonta a 89 milioni di tonnellate, 180 chilogrammi pro capite, il 42 per cento nell'uso domestico, il 39 per cento della fase di produzione, il 14 per cento nella fase di ristorazione, il 5 per cento nella fase di vendita all'ingrosso ed al dettaglio;
    secondo lo studio della Commissione europea, che indica come media i 180 chilogrammi pro capite di cibo sprecato, la situazione nell'Unione europea passa dai 579 chilogrammi pro capite dell'Olanda ai 44 chilogrammi pro capite della Grecia, con l'Italia a 149 chilogrammi pro capite – valore sopra la media mondiale indicata dalla Fao in 95-115 chilogrammi pro capite;
    nel nostro Paese, nonostante gli effetti della crisi economica ed il calo dei consumi alimentari, la Coldiretti stima che annualmente si spreca cibo per circa 37 miliardi di euro, sufficienti a nutrire 44 milioni di persone, quindi circa il 3 per cento del prodotto interno lordo finirebbe nella spazzatura;
    sulla base dei dati rilevati dall'Istat, la percentuale della produzione agricola rimasta nei campi ammonta al 3,25 per cento del totale, la percentuale più alta della produzione non raccolta è quella relativa ai cereali, mentre nella filiera ortofrutticola solo in parte il prodotto ritirato viene destinato alla distribuzione gratuita e alle fasce deboli della popolazione, in quanto in gran parte viene destinato alla distillazione alcolica, al compostaggio e all'alimentazione animale, impieghi da considerarsi sprechi in quanto non destinati al consumo umano per cui erano stati coltivati;
    nell'industria agroalimentare i prodotti scartati sono gestiti come rifiuti o utilizzati per la produzione di mangimi; maggiori sprechi sono quelli dell'industria lattiero-casearia e della lavorazione e conservazione di frutta e ortaggi;
    tra i prodotti alimentari che maggiormente vengono sprecati in Italia, rientra il pane. Secondo una recente inchiesta pubblicata dal quotidiano la Repubblica, sarebbero circa 13 mila i quintali di pane buttati ogni giorno, quasi il 25 per cento del pane prodotto destinato alla grande distribuzione. Il pane invenduto, secondo quanto disposto dalla normativa nazionale, deve essere smaltito come rifiuto e per poter essere donato alle popolazioni svantaggiate è necessario che le reti per la distribuzione agli istituti caritativi lo prelevino dai distributori prima che sia reso. Le reti italiane Caritas o laiche, da questo punto di vista, non risultano organizzate e spesso acquistano il pane per il proprio fabbisogno;
    a livello del consumatore finale, i dati indicano che ogni famiglia italiana spreca in media una quantità di cibo del valore di 454 euro l'anno, soprattutto di prodotti freschi (35 per cento), con il 19 per cento di pane e il 16 per cento di frutta e verdura;
    secondo i dati dell'Osservatorio sullo spreco alimentare, Waste Watchers, per produrre tutto il cibo che si spreca «si butta» fino a 1,226 milioni di metri cubi di acqua, pari all'acqua consumata ogni anno da 19 milioni di italiani e circa 24,5 milioni di tonnellate di anidride carbonica, pari a circa il 20 per cento delle emissioni di gas serra del settore dei trasporti. Inoltre, si getta via anche il 36 per cento dell'azoto da fertilizzanti, utilizzati inutilmente con tutti gli effetti e i costi ambientali che ne conseguono;
    nel gennaio 2012 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione per adottare misure urgenti per dimezzare, entro il 2025, gli sprechi alimentari nell'Unione europea e per migliorare l'accesso al cibo per i cittadini più vulnerabili, e, considerando che gli alimenti sono sprecati lungo tutta la catena – produttori, trasformatori, distributori, ristoratori e consumatori – ha chiesto l'attuazione di una strategia coordinata, che combini misure a livello europeo e nazionale per migliorare l'efficienza, comparto per comparto, dell'approvvigionamento alimentare e contrastare con urgenza lo spreco di cibo;
    il 7 ottobre 2013, proprio al fine di poter raggiungere gli obiettivi della sopraddetta risoluzione, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha adottato il Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti, all'interno del quale è stato inserito il Piano nazionale di prevenzione dello spreco alimentare (Pinpas). Il primo passo per la realizzazione del Piano è stata l'istituzione della prima giornata contro lo spreco alimentare;
    l'obiettivo, secondo quanto dichiarato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, è raggiungere, entro il 2020, una riduzione del 5 per cento dei rifiuti per unità di prodotto interno lordo dei rifiuti urbani, del 10 per cento di quelli pericolosi e del 5 per cento di quelli speciali,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di:
    a) aggiornare il Parlamento, entro la fine del 2014, «Anno europeo della lotta allo spreco alimentare», circa il percorso avviato per il raggiungimento degli obiettivi previsti dal Piano nazionale di prevenzione dello spreco alimentare (Pinpas), al fine di ridurre lo spreco alimentare in Italia;
    b) promuovere, anche in collaborazione con le scuole di ogni ordine e grado, programmi e corsi di educazione alimentare, di economia ed ecologia domestica, per rendere il consumatore consapevole degli sprechi di cibo, acqua ed energia e dei loro impatti ambientali ed economico-sociali, anche al fine di dimostrare come rendere più sostenibile l'acquisto, la conservazione, la preparazione e lo smaltimento finale degli alimenti e, allo stesso tempo, incentivare, per quanto di propria competenza, iniziative finalizzate alla corretta comunicazione da parte della grande e piccola distribuzione nazionale delle modalità di conservazione dei cibi acquistati;
    c) assumere iniziative per rivedere le regole che disciplinano gli appalti pubblici per i servizi di ristorazione e di ospitalità alberghiera, in modo da privilegiare, in sede di aggiudicazione, a parità di altre condizioni, le imprese che garantiscono la ridistribuzione gratuita a favore dei cittadini meno abbienti e che promuovono azioni concrete per la riduzione a monte degli sprechi, accordando la preferenza ad alimenti provenienti da filiere corte, locali e stagionali, prodotti il più vicino possibile al luogo di consumo;
    d) promuovere il potenziamento delle reti caritative nazionali al fine di poter recuperare il pane ogni giorno invenduto dalla grande distribuzione per destinarlo alle popolazioni svantaggiate accolte nei centri caritativi nella penisola;
    e) promuovere iniziative volte a contenere lo spreco alimentare nei luoghi di ristorazione, anche prevedendo la possibilità di asporto per il cibo non consumato;
    f) sostenere tutte le iniziative, sia pubbliche che private, finalizzate al recupero di alimenti rimasti invenduti e scartati lungo l'intera filiera agroalimentare per ridistribuirli gratuitamente alle categorie di cittadini meno abbienti;
    g) assumere iniziative per prevedere una diversa articolazione delle informazioni contenute nelle etichette dei prodotti alimentari, integrando la data prevista per la scadenza commerciale con una relativa al termine utile per il consumo dell'alimento.
(1-00088)
(Nuova formulazione) «Gagnarli, L'Abbate, Massimiliano Bernini, Benedetti, Gallinella, Parentela, Zaccagnini, Baldassarre, Lupo, Barbanti, Pesco, Zolezzi».

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta orale Antimo Cesaro n. 3-00832 del 16 maggio 2014.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta orale Di Vita e altri n. 3-00830 del 15 maggio 2014 in interrogazione a risposta scritta n. 4-04922.