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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 20 maggio 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    in nessun altro Stato al mondo ci sono tante auto blu quante in Italia. Il nostro Paese è primo nella classifica mondiale delle auto «statali» con oltre 600 mila vetture;
    senza contare il primato che ha il nostro Paese anche in numero di automobili di servizio in dotazione alle aziende sanitarie locali (ASL) e alle aziende sanitarie ospedaliere (ASO) nonché agli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS);
    un numero tutt'altro che in stallo, infatti nel primo trimestre del 2010 il numero delle auto è cresciuto dello 0,6 per cento, raggiungendo il tetto record di 629.120 unità, mentre nel 2009 erano 607.918, nel 2007 erano 574.000 e nel 2005 erano 198.596;
    cifre da record considerando che, come emerge dalle proiezioni effettuate della KRLS Network of Business Ethics per conto dell'Associazione contribuenti italiani, c’è un netto distacco con gli altri Stati del mondo;
    infatti, negli Stati Uniti le auto blu sono 73.000; in Francia 65.000; in Gran Bretagna sono 55.000; in Germania 54.000; in Spagna 44.000; in Giappone 35.000; in Grecia 34.000 e in Portogallo 23.000;
    secondo quanto affermato dall'Associazione dei contribuenti, in Italia, sommando gli stipendi degli autisti, i rifornimenti di carburante e i pedaggi autostradali delle auto di proprietà delle amministrazioni, quelle in leasing, in noleggio operativo e noleggio a lungo termine, in carico a Stato, regioni, province, comuni, municipalità, asl, comunità montane, enti pubblici, enti pubblici non economici, società misto pubblico-private e società per azioni a totale partecipazione pubblica, la spesa annua legata a questo «privilegio su quattro ruote» supera i 21 miliardi di euro;
    risultati più dettagliati vengono anche forniti attraverso un comunicato stampa della polizia penitenziaria, la quale riporta che al 31 dicembre 2012 (e questi sono i dati più aggiornati che si hanno a disposizione, elaborati dal Formez e forniti dalla presidenza del Consiglio dei ministri nel luglio 2013), infatti, il numero delle autovetture a disposizione ammonta a circa 60.000, per l'esattezza a 59.670, di cui 7.174 «blu» e 52.496 «grigie», a livello di amministrazione centrale; secondo il Formez, il «parco auto» considerato è al 73 per cento, in quanto si è in attesa di ulteriori dati;
    uno scandalo che «consiste nella spesa che si sostiene annualmente per il loro mantenimento, circa un miliardo di euro (ma in totale la somma potrebbe salire fino a 1 miliardo e 200 milioni, compreso il 23 per cento mancante) sempre rapportato a quel 73 per cento complessivo senza contare autisti e addetti facenti parte ai corpi di sicurezza pubblica, vale a dire Ministero della difesa (militari), Ministero dell'interno (polizia), Ministero della giustizia (la parte che riguarda la polizia penitenziaria) e Ministero delle finanze (Guardia di finanza)», stando a quanto riportato dal Formez;
    la spese per la manutenzione delle auto pubbliche è così rappresentata: a) spesa per il personale addetto, 645.697.000; b) spesa di manutenzione auto 72.681.251; c) spese per consumi (carburanti) 146.749.768; d) auto acquistate nel 2012 18.304.154; alle quali va ad aggiungersi la somma di 56.480.948 euro per noleggio di altre auto stimate in altre 12.000 vetture, con costo medio annuo di 4.600 euro;
    la cosiddetta spending review (disposizioni urgenti per la riduzione della spesa pubblica a servizi invariati) pare abbia avviato una costante e sensibile riduzione del numero delle auto di rappresentanza o di servizio, ma nulla ancora di consistente, che possa portare ad iniziative di rilievo;
    studi e analisi del Formez indicano che il parco auto di servizio a disposizione delle aziende sanitarie locali e delle aziende sanitarie ospedaliere non diminuisce, nonostante i tagli e le strette più volte annunciati;
    un parco auto di tutto rispetto è, quello delle automobili di servizio nel Servizio sanitario nazionale: 2.073 automobili «blu» vere e proprie e altre 16.505 «grigie», cioè di servizio, per un totale di 19.208 automobili, che rappresentano una quota pari a un terzo dell'intero parco di automobili dei servizi pubblici; le asl hanno in dote 1.739 auto «blu» e 15.357 «grigie», le aziende ospedaliere 290 «blu» e 1.105 «grigie», gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico rispettivamente 30 e 24, i policlinici universitari 14 e 19. Di tutto il «parco macchine» sanitario sono di proprietà di asl e ospedali 12.192 vetture, mentre 6.048 sono a noleggio, 350 in leasing e 77 in comodato;
    infatti, sono oltre 9.700 le automobili utilizzate dai dirigenti e dal personale delle aziende sanitarie locali e delle aziende sanitarie ospedaliere che continuano a riempire i garage e si consideri che le aziende sanitarie locali e le aziende sanitarie ospedaliere che hanno risposto al censimento del Formez sono state solo 149 su 245;
    nel dettaglio, si registrano 950 vetture a disposizione delle aziende sanitarie ospedaliere, 8.694 a disposizione delle aziende sanitarie locali e 58 in uso agli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico; ed ancora nello specifico vi sono in media circa 100 automobili «blu» per presidenti, dirigenti e altri, ed automobili «grigie» per gli uffici;
    peraltro, anche questi dati sono forse sottostimati perché non vi è l'assoluta certezza della veridicità delle risposte fornite dalle amministrazioni, in quanto i dirigenti non adempienti non sono perseguibili in caso di risposte incomplete o infedeli;
    da cronache di stampa giungono notizie sempre più sconcertanti; come da ultimo il direttore generale dell'asl di Seriate, accusato di peculato d'uso per aver utilizzato per due estati l'autista e le auto «blu» per Seriate-Croazia, ovvero quattromila chilometri di strada solo per firmare a suo dire alcune delibere,

impegna il Governo:

   ad assumere immediate iniziative che obblighino l'intera pubblica amministrazione alla riduzione del 50 per cento del numero «eccessivo» di auto «blu» e «grigie», in sei mesi;
   ad assumere iniziative per prevedere l'istituzione di aziende pubbliche che utilizzino l'eccedenza di auto, offrendo un servizio di pubblica utilità e sociale e creando contemporaneamente posti di lavoro, ovvero, che facciano noleggio di auto con o senza conducente, offrendo un servizio di car-sharing solo per alcune tratte;
   ad inviare una relazione alle competenti Commissioni parlamentari per fare chiarezza sulla reale spesa annuale sostenuta dalle amministrazioni pubbliche statali e locali per il mantenimento delle auto di servizio;
   ad aprire un tavolo di confronto in sede di Conferenza unificata, per valutare la riduzione del parco di auto presso gli enti locali, province, regioni e ASL, e prevedere anche alla luce del taglio di fondi alla sanità, nell'ambito della riduzione delle risorse per finanziare il servizio sanitario nazionale, che si incida maggiormente sulla questione evidenziata in premessa.
(1-00470) «Grillo, Mantero, Silvia Giordano, Lorefice, Dall'Osso, Cecconi, Di Vita, Simone Valente, Cominardi, Alberti».


   La Camera
   premesso che:
    l'uranio impoverito è ottenuto come scarto del procedimento di arricchimento dell'uranio e la miscela di 235U e 238U, con arricchimento maggiore in 235U della concentrazione naturale (0,7110 per cento), costituisce l'uranio arricchito utilizzato come combustibile nelle centrali nucleari e come principale elemento detonante nelle armi nucleari;
    l'uranio impoverito è conservato sotto forma di esafluoruro di uranio (UF6), in cilindri stoccati all'aperto, per evitare il pericolo di accumulo di acido fluoridrico in caso di incidenti;
    durante la guerra nei Balcani, il contingente militare alleato ovvero italiano si è trovato più volte a contatto con questa sostanza;
    la «sindrome dei Balcani», con cui si intende quella lunga serie di malattie – per lo più linfomi di Hodgkin e altre forme di cancro – che hanno colpito i soldati italiani al ritorno dalle missioni di pace internazionale continua a mietere vittime a tutt'oggi;
    i primi casi segnalati in Italia risalgono al 1999 quando un soldato cagliaritano (Salvatore Vacca) morì di leucemia al ritorno della missione militare in Bosnia-Erzegovina e da allora le vittime sono state 45 e circa 500 i soldati malati;
    un rapporto di causa effetto tra l'esposizione all'uranio impoverito e queste malattie non è ancora stato dimostrato, ma i numeri sono palesi ed inconfutabili;
    con sentenza pronunciata in data 19 dicembre 2008 il tribunale di Firenze, accogliendo la domanda di parte attrice, ha ritenuto la responsabilità del Ministero della difesa per patologie contratte da militare in servizio in conseguenza di esposizione all'uranio impoverito, nel caso specifico si trattava della missione Ibis in Somalia;
    al fine di identificare eventuali responsabilità dei vertici militari italiani e della NATO è stata istituita una Commissione d'inchiesta al Senato per far luce sulla vicenda, i cui lavori si sono conclusi nel marzo del 2006;
    tra le varie e numerose ipotesi per spiegare la sindrome dei Balcani e la sindrome della guerra del Golfo vi sono studi che indicano nanopolveri inorganiche (non necessariamente contenenti uranio), indipendentemente dalla loro tossicità, come possibili cause delle patologie;
    recentemente è salito alle cronache il caso dell'archeologo Fabio Maniscalco, che ha lavorato nei Balcani come ufficiale tra gli anni 1995 e 1998, e si è ammalato di una forma rara ed anomala di tumore del pancreas, probabilmente dipendente dall'uranio impoverito e da nanopolveri;
    il 1o marzo 2010 il Consiglio dei ministri pro tempore ha espresso il consenso agli indennizzi ai soldati impiegati nelle missioni di pace, nei poligoni, nei siti di stoccaggio, quelli, in poche parole, che abbiano contratto malattie dovute all'uranio impoverito;
    tra i casi di morte dei militari italiani che sono al vaglio degli inquirenti per possibili collegamenti con intossicazione da uranio impoverito, si veda ad esempio il caso di Paolo Mucelli, deceduto a Cagliari il 28 marzo 2011 con diagnosi di leucemia fulminante,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per garantire il riconoscimento dell'invalidità, al pari dei lavoratori entrati in contatto con l'amianto, a tutto il personale militare e civile che abbia riportato danni evidenti e comprovati al rientro dalla missione nei Balcani;
    a garantire le cure gratuite al personale militare e civile in forze durante la guerra nei Balcani che abbia riportato danni evidenti e comprovati di rientro dalla missione stessa;
    a dare avvio alla procedura di riconoscimento dei danni e delle invalidità già dal 1o settembre 2014 nelle situazioni sopra indicate.
(1-00471) «Dall'Osso, Cecconi, Grillo, Busto, Dieni, Mucci, Di Battista, Luigi Gallo, Nesci, Tripiedi, Cominardi, Agostinelli, Businarolo, Corda, Paolo Bernini, Alberti, Marzana, D'Incà, Manlio Di Stefano, Nuti».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   tra il 20 ed il 29 maggio del 2012 l'Emilia Romagna è stata colpita da due scosse magnitudo 5,9 che hanno causato 7 morti, 50 feriti, quasi 5.000 sfollati ed oltre 10 miliardi di euro di danni;
   oltre ad aver reso inagibili centinaia di abitazioni, la violenza del sisma ha colpito in particolare il tessuto produttivo dell'area: circa il 70 per cento delle aziende del distretto biomedicale, ad esempio, ha subito danni importanti e comuni come Mirandola sono da mesi in attesa di interventi concreti a supporto delle attività commerciali e produttive che ad oggi versano in uno stato di seria difficoltà economica;
   nel 2012 è stato decretato lo stato d'emergenza ed il presidente della regione Vasco Errani è stato nominato commissario responsabile della gestione dei fondi per la ricostruzione post sisma;
   con il decreto-legge n. 74 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2012, è stato istituito il «Fondo per la Ricostruzione delle aree colpite da sisma del 20-29 maggio 2012» con un budget di quasi 10 miliardi di euro, ma dopo quasi due anni secondo le stime dell'Osservatorio sfinge del distretto biomedicale solo l'8,5 per cento dei danni è stato risarcito;
   per sei mesi sono stati sospesi sia il pagamento delle imposte che delle utenze, ma una volta scaduto il semestre, le vittime del terremoto hanno dovuto ripagare i debiti maturati in quell'arco di tempo;
   a rendere la situazione ancor più tragica, nel mese di gennaio 2014 è stata la rottura dell'argine del fiume Secchia che ha causato l'allagamento di migliaia di ettari di terreni agricoli, distruggendo case ed aziende;
   a quattro mesi dall'alluvione il Governo ha emanato il decreto per le zone colpite (decreto-legge 12 maggio 2014, n. 74), essenzialmente riutilizzando il testo del decreto emanato per gli interventi post-terremoto (decreto-legge n. 74 del 2012), attribuendo nuovamente ad Errani la gestione dei fondi che ammontano a 210 milioni di euro da poter utilizzare in due anni (2014-2015);
   l'articolo 3 del decreto-legge n. 4 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 50 del 2014, prevede la sospensione dei versamenti tributari e contributivi scadenti nel periodo compreso tra il 17 gennaio 2014 e il 31 ottobre 2014 e la possibilità di sospendere fino al 31 dicembre 2014 i pagamenti dei mutui in essere su richiesta delle vittime di danni patrimoniali;
   quanto previsto dal suddetto decreto non implica tuttavia alcuna forma di reale alleggerimento fiscale nei confronti delle aziende e della popolazione vittime del territorio e dell'alluvione, ma solo un mero rinvio che si riverserà comunque sui cittadini dell'area interessata (persone, famiglie ed imprenditori che finora hanno sostenuto ingenti somme per ricostruire le proprie attività) –:
   se il Governo non intenda chiarire le modalità di utilizzo dei fondi stanziati, anche distinguendo dettagliatamente l'ammontare delle risorse impiegate per interventi di ricostruzione da quelle utilizzate per il risarcimento di danni diretti ed indiretti;
   se non si ritenga opportuno valutare la possibilità di un sostanziale alleggerimento fiscale a favore delle persone colpite dal terremoto e dall'alluvione, inclusa l'ipotesi dell'esenzione totale per un determinato periodo di tempo, e non semplicemente un mero rinvio come previsto dal decreto-legge n. 4 del 2014;
   se il Governo non consideri opportuno assumere iniziative affinché l'Associazione bancaria italiana – ABI monitori l'applicazione della disposizione di sospensione di tutte le rate dei mutui sulle abitazioni e sulle imprese rese inagibili dal terremoto e dall'alluvione da parte di tutte le banche facenti parte dell'Associazione ed operanti nell'area in questione.
(2-00546) «Tinagli, Andrea Romano».

Interrogazione a risposta orale:


   BURTONE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   a seguito del comunicato ufficiale del Consiglio dei ministri del 16 maggio 2014 si legge testualmente: «È stato deciso dal Consiglio di prorogare di centottanta giorni la durata degli stati di emergenza già dichiarati in conseguenza degli eccezionali eventi meteorologici verificatisi il 7 ed 8 ottobre 2013 nei comuni di Ginosa, Castellaneta, Palagianello e Laterza in provincia di Taranto, il 20, 21 e 24 ottobre 2013 nel territorio della Regione Toscana e nel mese di novembre 2013 nel territorio della Regione Sardegna, al fine di consentire il completamento delle attività poste in essere per il superamento delle criticità causate dai medesimi eventi»;
   per quanto riguarda gli eventi meteorologici del 7 e 8 ottobre 2013 furono interessati altri comuni oltre quelli citati nel comunicato stampa, per i quali è stata prevista una proroga di 180 giorni dello stato di emergenza;
   si tratta dei comuni di Bernalda, Montescaglioso, Scanzano Jonico e Pisticci, tutti in provincia di Matera per i quali a seguito della medesima alluvione avevano visto riconosciuto lo stato di emergenza il 10 gennaio 2014 –:
   perché i comuni lucani sopra citati non risultino menzionati nel comunicato stampa del 16 maggio 2014 come beneficiari della proroga di ulteriori 180 giorni dello stato di emergenza per gli eventi climatici del 7/8 ottobre 2013. (3-00834)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MANTERO, GRILLO, DI VITA, CECCONI, LOREFICE, SILVIA GIORDANO e BARONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   notizie allarmanti sono arrivate da associazioni di categoria, dalla Greenpeace e dal WWF riguardo all'assurda tenuta strutturale del relitto della Costa Concordia;
   in particolare, si discute se sia possibile o meno la rimozione della stessa, dopo aver interpellato, senza alcuna risposta, il commissario per le operazioni di smaltimento e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   si assiste ad una mancanza di responsabilità, davanti alla quale le associazioni fanno notare come non vi sia stato alcun ripensamento tecnico, come invece era stato annunciato a seguito del «distacco» del «cassone galleggiante» avvenuto qualche settimane fa, questo almeno è quanto si è appreso da alcuni articoli di stampa;
   inutile dire quanto sia forte la preoccupazione della Greenpeace e del WWF;
   nessuno parla di ciò che sarebbe successo se il cassone si fosse staccato durante la fase di traino della Concordia;
   la nave sarebbe inesorabilmente affondata a profondità irraggiungibili, in quanto per le isole del Giglio e d'Elba, i fondali hanno una profondità di quasi mille metri, e dopo l'isola di Capraia, superano addirittura i cinquemila metri di profondità;
   il totale disinteresse che si sta mostrando, al riguardo, provoca angoscia; come ha affermato il WWF «non si può giocare con la sicurezza ambientale, mettendo a rischio il mare del Giglio, in pieno Santuario dei Cetacei, appare indispensabile aspirare dal relitto della Costa Concordia le oltre 100 tonnellate di carburanti rimasti così come è necessario verificare se la Concordia sia in grado di reggere un traino che, alla velocità di 1,5 nodi, impiegherebbe oltre quattro giorni per portarla a Genova, assurdo è continuare a contare sulla resistenza strutturale del relitto pochi giorni dopo il distacco del serbatoio», senza contare la sottovalutazione del rischio ambientale;
   da alcune cronache di giornale, si rileva altresì che il commissario dell'Osservatorio – del quale fanno parte tutti i rappresentanti delle istituzioni interessate, a cominciare dai tecnici del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti – chiede un'ispezione ROV, ritenendo necessario verificare subito la tenuta strutturale del relitto, mentre i rappresentanti della Costa «non riscontrano alcuna necessità di intervento» –:
   se il Governo ritenga opportuno assumere iniziative affinché il commissario succitato proceda con urgenza ad una approfondita valutazione delle condizioni del relitto e provveda il prima possibile alla rimozione del carburante;
   quali siano le motivazioni che ad oggi impediscono il risarcimento del danno ambientale (valutato prudenzialmente da ISPRA in oltre 13 milioni di euro) come concordato nella conferenza servizi decisoria del 15 maggio 2012, e che, a detta della Greenpeace e del WWF, è bloccato a causa della resistenze del gruppo Costa. (5-02860)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIORGIA MELONI, RAMPELLI, CIRIELLI, CORSARO, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel marzo 2011, con la decisione C (2012) 1843, la Commissione europea ha approvato la modifica del programma operativo della regione Campania per il quinquennio 2007-2013 a valere sul fondo europeo per lo sviluppo regionale, con l'aggiornamento dell'elenco dei grandi progetti e grandi programmi;
   in tale ambito la giunta regionale campana ha individuato tra i grandi progetti quello denominato «Centro storico di Napoli, valorizzazione del sito UNESCO», affidando ad una struttura di missione (l'unità operativa grandi progetti) le funzioni di coordinamento dei processi di avanzamento delle programmazioni;
   il centro storico di Napoli racchiude ventisette secoli di storia e risulta essere il più vasto d'Europa estendendosi su una superficie di 1700 ettari, circa il 14,5 per cento dell'intera superficie urbana, e la sua unicità sta nella conservazione quasi totale e nell'uso dell'antico tracciato viario greco;
   per questi motivi è stato dichiarato patrimonio dell'umanità dall'UNESCO ed è stato inserito nella lista dei beni da tutelare già dal 1995;
   l'importo previsto a carico del FESR per la realizzazione del grande progetto «Centro storico di Napoli, valorizzazione del sito UNESCO» è pari a cento milioni di euro, settanta dei quali destinati ad interventi su edifici e trenta ad interventi di superficie quali strade, sottoservizi, e reti wireless;
   la regione ha individuato il comune di Napoli come soggetto beneficiario ed esso pertanto ha la responsabilità relativa alla predisposizione dei progetti per andare in gara;
   nonostante siano trascorsi oltre tre anni dall'avvio delle procedure, le gare bandite sino ad oggi sono pari ad appena sette milioni di euro, vale a dire neanche il dieci per cento della somma disponibile;
   l'Unione europea prevede, pena la perdita dei fondi, che la spesa debba essere rendicontata entro il 31 dicembre 2015 –:
   quali urgenti iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere, al fine di non far disperdere i fondi europei di cui in premessa e di garantire la realizzazione delle opere di conservazione e recupero dell'importante patrimonio culturale rappresentato dal centro storico di Napoli. (4-04903)


   MATARRESE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 maggio 2014, la Puglia è stata colpita da intense precipitazioni, forti venti e grandine che hanno causato ingenti danni alle colture cerasicole che nelle graduatorie relative al settore ortofrutticolo pugliese sono al primo posto con il 39,8 per cento del totale della produzione nazionale di ciliegie;
   in particolare, la graduatoria dei prodotti agricoli pugliesi nel contesto nazionale vede al primo posto proprio le ciliegie con una media di 529.802 quintali per una superficie di oltre 16.600 ettari, di cui 16.188 della sola provincia di Bari, la quale copre il 97,7 per cento della superficie investita ed il 96,6 per cento dei quantitativi prodotti rispetto al totale regionale;
   secondo quanto si evince dagli organi di stampa, pare che le anomale temperature registratesi nel mese di maggio 2014 rischino di far precipitare l'andamento del settore ortofrutticolo pugliese, già in seria difficoltà per le temperature anomale che hanno caratterizzato la stagione primaverile. La produzione delle ciliegie sta pagando lo scotto più alto causato da un anomalo andamento climatico;
   la stampa riporta notizie relative al maltempo che ha interessato le aree a più intensa produzione cerasicola della provincia di Bari; in particolare, il maltempo sembrerebbe aver colpito «... interi campi di ciliegie della tipologia Bigarreau, Moreau e Burlat, e Giorgia. Anche per le coltivazioni di ciliegie del tipo Ferrovia, che hanno rispetto alle altre specie un fisiologico ritardo di maturazione e che si trovano più a monte e nell'agro di Turi e Casamassima hanno subito danni che ne pregiudicano la qualità finale sul mercato. Al Centro provinciale di cerasicoltura (il campo sperimentale, gestito dalla provincia di Bari, che ospita 100 diverse coltivazioni di ciliegio) di via Mola, a Conversano, i dati relativi ai danni confermano la difficile situazione determinatasi. Sono stati constatati danni certi alle produzioni di Burlat e Moreau, le cui drupe hanno sofferto soprattutto per l'eccessiva umidità, causa principale del cracking. Anche le produzioni di Forlì, ciliegie destinate all'industria ma apprezzate anche per il consumo da tavola, hanno subito notevoli danni...»;
   a rendere la situazione ancor più grave e complessa vi è l'importazione di ciliegie dalla Spagna e dalla Turchia che mette a serio rischio il lavoro dei produttori pugliesi. Infatti, sono prodotti, questi, caratterizzati da qualità e da prezzi concorrenziali dovuti al minor costo della mano d'opera;
   sul fronte opposto invece, i prezzi delle ciliegie prodotte in Puglia sono già in forte calo e produrranno un minor guadagno per i produttori che sono già costretti, in queste ore, a dover sostenere i danni causati dal maltempo;
   secondo quanto affermato dal Presidente della Confederazione italiana agricoltori di Bari sugli organi di stampa, pare sussista anche il rischio «... di un'invasione di prodotto estero ... commercializzato come italiano...», situazione, questa, che gli organi competenti sarebbero tenuti a monitorare;
   uno dei problemi che rende ancor più difficile la situazione è il mancato riconoscimento dei danni per quei produttori che non hanno attivato le polizze assicurative e ai quali andrebbero riconosciuti i danni attraverso contributi a valere sulle provvidenze previste dal decreto legislativo n. 102 del 2004, in materia di «Interventi finanziari a sostegno delle imprese agricole, a norma dell'articolo 1, comma 2, lettera i), della legge 7 marzo 2003, n. 38»;
   secondo quanto si evince dagli  organi di stampa, pare che nella zona del sud-est barese sia andato distrutto il 50 per cento delle colture cerasicole e che le prime stime sui danni economici dovrebbero aggirarsi intorno ai 5 milioni di euro;
   da quanto riportato dalla stampa, sembrerebbe che l'allarme sia «... scattato soprattutto per le ciliegie di Casamassima, Turi, Castellana, Sammichele, Acquaviva, Gioia, Putignano e Conversano, dove è già tempo di raccolta e le ciliegie non sono state risparmiate dal cracking. Tra i comuni interessati (quelli in cui si produce il 70 per cento delle ciliegie pugliesi) Conversano e Turi hanno patito le conseguenze peggiori del maltempo...»;
   di grande importanza per i produttori di ciliegie baresi è l'aspetto occupazionale: secondo le prime stime, sembrerebbero migliaia i nuclei familiari cui la produzione delle ciliegie offre una consistente fonte di reddito. Il fabbisogno di lavoro per ettaro di ciliegeto specializzato, infatti, è pari a circa 600 ore, di cui l'85 per cento riguarda le operazioni di raccolta. Pertanto, in poche ore, pare sia stato distrutto il lavoro di tante persone –:
   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero e, in caso affermativo, se il Governo non intenda assumere iniziative per attivare misure specifiche dirette ad indennizzare gli agricoltori che hanno subito la distruzione delle colture;
   se non si intenda dichiarare lo stato di calamità naturale per i terreni agricoli pugliesi colpiti dai violenti nubifragi di questi giorni;
   se non si intendano assumere iniziative per concedere, ai sensi della normativa vigente, a favore delle aziende agricole danneggiate i seguenti aiuti: contributi in conto capitale fino all'80 per cento del danno sulla produzione lorda vendibile ordinaria; prestiti ad ammortamento quinquennale per le maggiori esigenze di conduzione aziendale nell'anno in cui si è verificato l'evento ed in quello successivo; proroga delle rate delle operazioni di credito in scadenza nell'anno in cui si è verificato l'evento atmosferico calamitoso. (4-04909)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BRAGA e MARIANI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il comma 111 dell'articolo unico della legge n. 147 del 2013, al fine di permettere il rapido avvio nel 2014 di interventi di messa in sicurezza del territorio, ha destinato ai progetti immediatamente cantierabili, in base a specifiche priorità, le risorse esistenti sulle contabilità speciali relative al dissesto idrogeologico, non impegnate alla data del 31 dicembre 2013, nel limite massimo complessivo di 600 milioni di euro, nonché le risorse finalizzate allo scopo dalle delibere CIPE n. 6 e n. 8 del 2012 pari complessivamente a 804,7 milioni di euro, rispettivamente 130 milioni e 674,7 milioni di euro;
   le risorse finanziarie, nel limite massimo precedentemente fissato, devono essere prioritariamente destinate a interventi integrati finalizzati alla riduzione del rischio, alla tutela e al recupero degli ecosistemi e della biodiversità e che integrino gli obiettivi della direttiva 2000/60/CE, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque, e della direttiva 2007/60/CE, relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni;
   per le finalità di cui al comma 111 viene, altresì, autorizzata la spesa complessiva di 180 milioni di euro per il triennio 2014-2016, così ripartita: 30 milioni per il 2014; 50 milioni per il 2015 e 100 milioni per il 2016;
   il comma 111 contiene una specifica procedura alla quale sono associate precise scadenze temporali, in particolare entro la data del 30 marzo 2014 la verifica, da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, della compatibilità degli accordi di programma e dei connessi cronoprogrammi ed eventuale proposta, da parte del Ministero medesimo, alle regioni delle integrazioni e degli aggiornamenti necessari;
   entro la data del 30 aprile 2014 è prevista la finalizzazione, da parte dei soggetti titolari, delle risorse disponibili sulle contabilità speciali concernenti gli interventi contro il dissesto idrogeologico, agli interventi immediatamente cantierabili contenuti nell'accordo; i citati soggetti titolari delle contabilità speciali, attraverso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, devono presentare una specifica informativa al CIPE indicando il relativo cronoprogramma e lo stato di attuazione degli interventi già avviati;
   la necessità di assicurare il rapido avvio degli interventi di messa in sicurezza ha determinato la scelta del Governo di istituire presso la Presidenza del Consiglio dei ministri una specifica struttura di missione –:
   quale sia il quadro alla data del 30 aprile 2014 delle risorse disponibili sulle contabilità speciali concernenti gli interventi contro il dissesto idrogeologico, destinate agli interventi immediatamente cantierabili contenuti negli accordi di programma. (5-02857)


   CARRESCIA, ARLOTTI, ZARDINI e COMINELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 2011 n. 157 attua il regolamento (CE) N. 166/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 gennaio 2006 relativo all'istituzione di un registro europeo delle emissioni e dei trasferimenti di sostanze inquinanti e che modifica le direttive 91/689/CEE e 96/61/CE del Consiglio;
   ai sensi del citato regolamento, molte imprese devono dichiarare annualmente l'emissione nell'aria, nell'acqua e nel suolo, il trasferimento fuori sito di inquinanti nelle acque reflue e il trasferimento fuori sito di rifiuti per quantitativi superiori al valore di soglia di cui all'allegato II contenente le linee guida e il questionario per la relativa dichiarazione PRTR (Pollutant Release and Transfer Register);
   tale dichiarazione costituisce, nel suo complesso, un registro integrato di emissioni e trasferimenti di inquinanti per informare il pubblico sulle emissioni più significative di inquinanti e sul trasferimento di rifiuti;
   tra i soggetti obbligati alla dichiarazione PRTR ci sono anche i gestori degli impianti di smaltimento e recupero di cui all'allegato I del regolamento 166/2006/Ce, qualora l'attività comporti emissioni di sostanze inquinanti in aria, acqua e suolo, che superano i valori soglia stabiliti nelle tabelle 1.6.2 e 1.6.3 riportate nell'allegato I del decreto ministeriale 23 novembre 2001;
   a titolo esemplificativo, rientrano nella predetta fattispecie i gestori di attività di recupero di rifiuti pericolosi al di sopra della 10 t/die o di smaltimento dei rifiuti non pericolosi al di sopra delle 50 t/die;
   il decreto del Presidente della Repubblica n. 157/2011 indica nel Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che si avvale dell'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), l'autorità competente per la valutazione delle dichiarazioni PRTR, fissa al 30 aprile di ogni anno il termine per la presentazione della dichiarazione e fornisce le «linee guida» per la dichiarazione;
   la dichiarazione E-PRTR si effettua online tramite il portale (www.dichiarazioneines.it), ma nell'anno in corso l'ISPRA non ha attivato in tempo utile il portale medesimo, per la presentazione della dichiarazione E-PRTR 2013, a causa di problemi tecnico-amministrativi e le aziende soggette all'obbligo di dichiarazione non hanno potuto accedere all'area riservata del portale stesso;
   le principali associazioni del settore – (Fise e Confindustria) sono intervenute nei confronti di ISPRA e del Ministero dell'ambiente per segnalare il problema del mancato funzionamento del portale e le difficoltà di molte imprese nel rispettare il termine del 30 aprile previsto dalla legge;
   le imprese che non sono riuscite ad ottenere nei termini l'accesso al sito, hanno comunque provveduto nei primi giorni del mese di maggio, ma ora rischiano pesanti sanzioni amministrative;
   il decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 46, infatti, ha introdotto una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 45.000 euro per il gestore che ometta di effettuare nei termini previsti la comunicazione in questione, e da 5.000 a 26.000 euro per il gestore che ometta di rettificare eventuali inesattezze nella comunicazione –:
   se ritenga opportuno – viste le criticità che hanno riscontrato molte imprese nel presentare entro il 30 aprile 2014 la dichiarazione E-PRTR 2013 – adottare iniziative urgenti volte a rendere non sanzionabile la ritardata presentazione di detta dichiarazione. (5-02861)

Interrogazione a risposta scritta:


   PILOZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il fiume Sacco nasce dai Monti Prenestini e attraversa il territorio delle province di Roma e Frosinone prima di confluire, dopo circa 87 chilometri, nel fiume Liri;
   come ben noto, il fiume Sacco è stato, ed è ancora purtroppo, al centro di un disastro ambientale che ha colpito il territorio della Valle del Sacco e che ha spinto le autorità nazionali ad inserire una vastissima area nell'ambito dei siti di interesse nazionale (SIN) ai fini della bonifica ambientale, prima che un decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 2013 declassasse il sito a sito di interesse regionale;
   nelle ultime settimane, aldilà dei problemi di bonifica delle aree inquinate, ancora sostanzialmente irrisolti con l'Ente commissariale praticamente immobile da diversi anni, il fiume è tornato all'onore delle cronache locali nelle ultime settimane a causa di gravissimi episodi di inquinamento che hanno colpito il fiume nel territorio compreso tra i comuni di Patrica e Ceccano;
   in particolare, le cronache locali raccontano che, da circa due mesi, soprattutto nei fine settimana, il fiume viene invaso da una intensa e densa schiuma bianca emanando altresì odori nauseabondi che stanno arrecando notevoli disagi ai cittadini http://www.frosinone.net;
   molti cittadini allarmati hanno chiesto l'intervento delle autorità ma, a quanto risulta all'interrogante, ancora nessun provvedimento concreto è stato preso ne risultano essere stati individuati eventuali responsabili;
   la situazione, a leggere le ricostruzioni, ha raggiunto livelli di insostenibilità tanto che nel territorio del comune di Ceccano, lo scorso fine settimana è stato praticamente impossibile per chiunque soggiornare nei pressi del fiume;
   secondo le cronache di stampa, i vigili urbani del comune di Ceccano sono risaliti lungo il corso del fiume senza però individuare eventuali responsabili dell'accaduto mentre l'ARPA Lazio ha effettuato i prelievi necessari a comprendere la natura e i contenuti delle sostanze inquinanti –:
   se non ritenga necessario promuovere verifiche approfondite tramite il Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente (NOE), al fine di supportare le autorità locali nel difficile compito di individuare le cause dell'inquinamento ambientale occorso nelle ultime settimane;
   se non ritenga opportuno convocare un tavolo istituzionale sulla valle del sacco, coinvolgendo tutte le autorità regionali e locali coinvolte, alla luce della situazione in cui versa quel territorio così martoriato sotto il profilo ambientale, e sociale.
(4-04916)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   DE MITA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 12 marzo 2014 l'interrogante, con atto di sindacato ispettivo n. 3-683, richiedeva al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare delucidazioni in merito alla progettazione e messa in opera di una linea elettrica di 150 kW a cavallo tra le province di Avellino e Salerno, passando tra i territori dei comuni di Sant'Angelo dei Lombardi, Lioni, Teora, Conza della Campania, Castelnuovo di Conza;
   con nota del direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici della Campania, che fa a sua volta riferimento alla nota prot. n. 5154 del 16 aprile 2014 della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Avellino e Salerno, si rende nota la presa visione della dichiarazione di emanazione illegittima del DDR 440/2011, in quanto emanato in assenza di parere favorevole della Soprintendenza;
   l'opera in questione, si noti, è da ubicarsi nelle strette prossimità di un tesoro architettonico quale è il complesso monumentale del Goleto, centro di grande importanza storica e culturale, essendo stato fondato nel dodicesimo secolo da San Guglielmo da Vercelli, il quale ivi volle edificare un cenobio per sacre vergini, che acquisì progressivamente sempre maggiore splendore, fino alla sua soppressione avvenuta sotto la dominazione napoleonica;
   tale elettrodotto comporta certamente una sostanziale modificazione di un bene fondamentale per le comunità interessate, quale è quello del paesaggio, che, secondo l'interrogante, risulta essere una infrastruttura del territorio, la cui difesa non è caratterizzata da uno spirito conservatore antimoderno, bensì animata dalla consapevolezza dell'importanza anche economica del bene;
   il suddetto bene è tutelato a livello costituzionale dall'articolo 9, secondo comma, nell'ambito dei principi fondamentali dell'ordinamento, ed è pertanto un bene la cui tutela dovrebbe caratterizzare profondamente l'azione politica in senso lato, nonché l'operato amministrativo in particolare;
   la migliore dottrina in materia ha provveduto inoltre a ravvisare che tale disposizione costituzionale, visto il mutamento storico-costituzionale apprezzabile nel secondo dopoguerra, non va a creare la tutela di un diritto afferente al singolo nella sua individualità, bensì è da inquadrarsi nell'ambito della tutela di beni che rilevano nell'orbita della persona in quanto essere relazionale, legata alla propria comunità e, per l'appunto, al paesaggio circostante;
   tale tutela è stata confermata recentemente attraverso la codificazione delle norme in materia ambientale, avutasi con il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, (cosiddetto codice ambientale), modificato successivamente più volte –:
   in particolare, quali urgenti iniziative, non soltanto di natura normativa, intenda il Ministro porre in essere alla luce delle inottemperanze segnalate in premessa in merito al DDR n. 440 del 2011;
   in via generale, quali urgenti iniziative, anche di natura normativa, intenda il Ministro porre in essere al fine di garantire la tutela di un bene annoverato tra i principi fondamentali della Costituzione, quale è il paesaggio, che per le comunità interessate è peraltro una vera e propria infrastruttura del territorio, capace di fungere da volano per un'economia che tanto patisce i duri colpi inferti dalla presente crisi. (4-04898)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 30 maggio 2005, a causa di un incidente di volo occorso nei pressi di Tallil al ritorno da Kuwait City, dove vi aveva condotto un collega colpito da un grave lutto familiare, allo scopo di permettergli di raggiungere rapidamente il nostro Paese, moriva il maggiore pilota Marco Briganti, insieme all'equipaggio dell'aeromobile dell'aviazione dell'Esercito in cui si trovava;
   al contrario di quanto accaduto in altre circostanze precedenti, la salma del maggiore pilota Marco Briganti non venne accolta all'arrivo nel nostro Paese con tutti gli oneri che dovrebbero essere tributati in tali circostanze, né venne disposta in suo favore alcuna speciale cerimonia per la celebrazione delle esequie;
   ad avviso dell'interrogante si stabilì in questo modo un precedente, in base al quale i caduti all'estero valgono di più o di meno a seconda delle circostanze in cui trovano la morte;
   il maggiore pilota Briganti era alla sua seconda missione in Iraq ed al termine della prima, svoltasi nel 2004, si era meritato un encomio solenne che lo definiva «fulgido esempio di elette virtù militari» avendo «contribuito ad aumentare il prestigio del contingente e di tutte le forze della coalizione»;
   ai familiari del maggiore pilota scomparso non è stato concesso alcun particolare riconoscimento e, in particolare, è stata negata la Croce d'Onore, in quanto deceduto per cause non direttamente collegate al combattimento o ad azioni terroristiche;
   la memoria del maggiore Briganti è invece già onorata da autorità locali, privati ed amici –:
   quali ragioni impediscano al Governo di assumere le iniziative di competenza per la concessione di un'onorificenza alla memoria del maggiore pilota Marco Briganti, facendo appello alla condotta tenuta nel corso delle sue due missioni in Iraq e tenendo conto delle particolari circostanze in cui è accaduto l'incidente di volo costatogli la vita. (4-04920)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MORETTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 343, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006) istituisce un fondo, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, a decorrere dall'anno 2006, per indennizzare i risparmiatori che, investendo sul mercato finanziario, sono rimasti vittime di frodi finanziarie e che hanno sofferto un danno ingiusto non altrimenti risarcito;
   il Fondo è alimentato, previo versamento al bilancio dello Stato, dall'importo dei conti correnti e dei rapporti bancari definiti come dormienti all'interno del sistema bancario nonché del comparto assicurativo e finanziario, definiti con regolamento adottato su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze;
   con decreto del Presidente della Repubblica del 22 giugno 2007, n. 116, è stato emanato il regolamento di attuazione con il quale si stabiliscono i criteri per la definizione dei conti cosiddetti dormienti e le modalità di rilevazione dei predetti conti e rapporti;
   a seguito di ulteriore modifica alla disciplina di riferimento, l'articolo 3, del decreto-legge 28 agosto 2008, n. 134, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 ottobre 2008, n. 166, ha previsto che nel fondo di garanzia per le vittime di frodi finanziarie sopra citato, confluiscano, oltre ai rapporti definiti come dormienti, anche gli importi degli assegni circolari non riscossi entro il termine di prescrizione, gli importi delle polizze assicurative prescritte e gli importi dovuti ai beneficiari di buoni postali fruttiferi, emessi dopo il 14 aprile 2001 e non reclamati entro il termine di prescrizione del relativo diritto;
   una parte di tali rapporti è ancora a disposizione degli aventi diritto poiché non ancora prescritta, mentre un'altra parte è costituita da rapporti prescritti sin dal momento in cui sono divenuti «dormienti» ed anche da rapporti «dormienti» successivamente prescritti in quanto decorso il termine utile per reclamarli;
   il fondo destinato al risarcimento delle vittime di frodi finanziarie è stato negli ultimi anni utilizzato per scopi estranei alla originaria finalità quali ad esempio il finanziamento della cosiddetta social card, la stabilizzazione dei precari della pubblica amministrazione e il finanziamento del fondo esuberi di Alitalia;
   ai sensi dell'articolo 8 del decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, è istituito presso la Consob il fondo di garanzia per i risparmiatori e gli investitori, destinato all'indennizzo dei danni patrimoniali causati ai clienti a seguito dei dissesti degli intermediari cui si sono rivolti;
   detto fondo, a distanza di anni dalla sua istituzione, non è ancora operativo a causa della insufficiente dotazione finanziaria, essendo il fondo finanziato esclusivamente con il versamento della metà degli importi delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate per la violazione delle norme che disciplinano le attività degli intermediari;
   per migliorare il coordinamento e la gestione dei due citati fondi sarebbe auspicabile rafforzare il fondo di garanzia istituito presso la Consob, consentendone finalmente l'attivazione, anche prevedendo la possibilità di far confluire nel fondo di garanzia le disponibilità dei «rapporti dormienti» e ampliandone l'operatività al fine di indennizzare anche i risparmiatori vittime di frodi finanziarie –:
   a quanto ammontino complessivamente le risorse provenienti dai conti «dormienti» versate dagli intermediari al Ministero dell'economia e delle finanze e quante risorse del fondo siano attualmente disponibili;
   quali iniziative, anche normative, intenda adottare per migliorare il coordinamento e la gestione dei due citati fondi a tal fine prevedendo una adeguata integrazione delle dotazioni finanziarie necessaria al funzionamento ovvero l'accorpamento dei due fondi in modo da poter disporre concretamente delle risorse necessarie agli scopi previsti dalla legge.
(5-02863)

Interrogazione a risposta scritta:


   RUOCCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo le stime dell'Istat nel primo trimestre di quest'anno il prodotto interno lordo è diminuito dello 0,3 per cento rispetto al trimestre precedente e del 2,3 per cento rispetto allo stesso periodo del 2013;
   per quest'anno, inoltre, l'istituto di statistica stima un calo acquisito dell'1,5 per cento. Peggio, quindi, di quanto stimato dal documento di economia e finanza che ha previsto il calo del prodotto interno lordo per il 2013 a 1,3 per cento e delle stime del Centro studi di Confindustria che nel dicembre 2013 ha previsto un -1,1 per cento;
   secondo un articolo del Sole 24 ore del 17 Maggio «c’è un tesoro di decimali di Pil nascosto negli uffici ministeriali. Pagamenti della Pa promessi ma ancora non sbloccati, ma anche semplificazioni mancate, agevolazioni (e quindi risorse) varate ma ancora senza coperture, leggi che il Governo dovrebbe presentare ogni anno ma non sbocciano mai»;
   infatti, i ritardi di attuazione costano alla crescita. La risposta di possibili impatti la si legge nel documento di economia e finanze che ha rivisto al ribasso gli effetti macroeconomici di un pacchetto di riforme che risale al 2012: liberalizzazioni e semplificazioni, decreto «crescita 1» e decreto «crescita 2.0», riforma del lavoro. In considerazione del fatto che il processo è in corso e alcuni decreti applicativi devono essere ancora adottati, il documento di economia e finanza ha ritoccato gli effetti sul prodotto interno lordo al ribasso dello 0,3 per cento nel 2015, circa 4,7 miliardi di mancata crescita, e dello 0,6 per cento nel 2020;
   nell'articolo del Sole 24 ore si legge inoltre: «il Def stima nello 0,1 per cento nel 2014 e nello 0,3 per cento nel 2015 la crescita del Pil riconducibile a provvedimenti anti-burocrazia messi in atto o avviati dai precedenti governi, i decreti crescItalia e semplifica-Italia di Monti e il ddl semplificazioni fermo al Senato. Anche in questo caso la piena attuazione avrebbe potuto già aiutare la crescita. Sono circa 150 i provvedimenti dello Sviluppo economico ancora da sbloccare»;
   con il decreto 35 del 2013 «Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali», e con il decreto 102 del 2013 «Disposizioni urgenti in materia di IMU, di altra fiscalità immobiliare, di sostegno alle politiche abitative e di finanza locale, nonché di cassa integrazione guadagni e di trattamenti pensionistici», ad esempio sono stati stanziati 47 miliardi di euro per il 2013 e il 2014. Circa 27 miliardi relativi al 2013 sono stati erogati, ma è ancora in corso l'erogazione dei 20 miliardi del 2014. Tra anticipi di liquidità il Governo ha pianificato un intervento di 13 miliardi di euro. Probabilmente nel 2014 secondo la relazione tecnica potranno essere pagati solo 5 miliardi. Anche qui i tempi di attuazione saranno decisivi;
   i soli ritardi relativi ai provvedimenti del Governo Monti e alle semplificazioni del Governo Letta valgono oltre 5 miliardi di euro –:
   se non si ritenga urgente ridurre i tempi di attuazione dei provvedimenti al fine di dare una spinta alla crescita e di rispettare le stime di impatto macroeconomico. (4-04913)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta orale:


   BARGERO, ROBERTA AGOSTINI, FABBRI, FIORIO, PAOLA BRAGANTINI, LAURICELLA, MANZI, COLANINNO, COMINELLI, BARUFFI, MAURI e BRUNO BOSSIO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con sentenza del 16 agosto 2011, confermata in grado di appello e quindi in Cassazione, il tribunale per i minorenni di Torino ha dichiarato lo stato di adottabilità di una bambina avente all'epoca poco più di un anno, disponendone l'immediata collocazione in famiglia affidataria;
   con sentenza del 22 ottobre 2012 (v.g. 1030/2011), la corte d'appello di Torino, nel respingere l'appello proposto dai genitori naturali, disponeva inoltre l'immediata sospensione degli incontri periodici, in condizioni protette, degli stessi appellanti con la bambina;
   risulta all'interrogante che il procedimento di volontaria giurisdizione ex articoli 333-336 codice civile – poi sfociato nella dichiarazione dello stato di adottabilità della minore – sia iniziato soltanto 9 giorni dopo la sua nascita, con ricorso del pubblico ministero teso a richiedere in via di urgenza la permanenza della bambina in ospedale sino alla conclusione degli accertamenti sull'idoneità dei genitori alla loro funzione;
   il ricorso del pubblico ministero si basava in particolare – oltre che su informazioni sui genitori acquisite, nel ambito di altro procedimento, ai fini della valutazione dell'idoneità all'adozione internazionale – su «caratteristiche personali evidenziate pur dopo la nascita della bambina» e dunque in quei pochissimi giorni, «consistenti in distanza emotiva, resistenza ad indagare su di sé, rifiuto degli aiuti proposti; una difficoltà di accudimento riferita dagli operatori ospedalieri»;
   poco più di un mese dopo la nascita, la bambina, una volta uscita dall'ospedale su autorizzazione del tribunale, veniva allontanata dai genitori a seguito di un episodio che aveva dato origine a un procedimento penale per abbandono di minore, conclusosi con la sentenza di proscioglimento perché il fatto non costituisce reato, non essendosi riscontrati né il dolo né tantomeno la situazione di pericolo per il minore presupposti dalla fattispecie;
   la conferma del provvedimento di allontanamento della minore, collocata presso una famiglia (di parenti) in affidamento e la definitiva dichiarazione del suo stato di adottabilità sono stati motivati, in primo grado e quindi in appello, essenzialmente in base alla ritenuta inidoneità dei genitori a svolgere la loro funzione, non per la sussistenza di particolari disagi o patologie psichiche (non riscontrate in sede di consulenza tecnica d'ufficio), ma per l'incapacità di entrambi i coniugi «di
attivare una relazione primaria, capace di promuovere un holding adeguato, l'interazione e la comunicazione con la bimba, minando fin dall'origine le capacità genitoriali», rilevando come la bambina fosse «figlia di un bisogno narcisistico (...) e di un desiderio onnipotente che nel tempo si è andato vieppiù disancorando dai dati di realtà e dal legame col mondo esterno delle emozioni»;
   tali rilievi hanno consentito al tribunale prima e alla corte d'appello poi di superare finanche l'obiezione della difesa, tesa a dimostrare la difficoltà per due persone divenute genitori da così poco tempo, di instaurare un rapporto pienamente ottimale con la bambina in un lasso di tempo – quale quello, di 18 giorni, compreso tra la nascita e il collocamento della bimba presso la famiglia affidataria – indubbiamente breve;
   a prescindere dalla sua correttezza sotto il profilo formale, la decisione dell'allontanamento di una bimba di soli 18 giorni dai propri genitori naturali, in ragione della loro mera inadeguatezza a instaurare con la figlia un'interazione proficua, ma in assenza – parrebbe – di comprovate condotte pregiudizievoli per il suo benessere e comunque prima del decorso di un lasso tempo sufficiente a valutare, in maniera ponderata, l'effettiva capacità della coppia di assolvere alla propria funzione genitoriale, solleva talune perplessità;
   non meno scevro da criticità appare l'avvio di un procedimento di volontaria giurisdizione ex articolo 333 codice civile a soli 9 giorni dalla nascita di una bambina e sulla base di presupposti – distanza emotiva dei genitori, difficoltà di accudimento della bimba e altro – che non appaiono gravi al punto da giustificare tale scelta;
   per quanto in alcuni casi simile intervento possa essere, proprio perché tempestivo, particolarmente risolutivo e determinante, in ipotesi quali quella in esame, nella quale la maggiore difficoltà dei genitori sembrerebbe risiedere nell'adeguarsi pienamente e concretamente al loro nuovo ruolo, l'intervento di un organo e di una supervisione esterni può invece rischiare di aggravare tale difficoltà;
   il caso in esame, a prescindere dalle peculiarità che lo caratterizzano e dagli aspetti processuali, dimostra l'opportunità di una riflessione in ordine ai presupposti, alle condizioni e alle garanzie da osservarsi per l'attivazione del procedimento di volontaria giurisdizione ex articolo 333 codice civile;
   in tal senso potrebbe essere utile anche la previsione di una più dettagliata articolazione delle modalità da seguire in relazione alle diverse fattispecie che possano verificarsi, tenendo conto peraltro dell'esigenza di assicurare ai genitori, almeno in casi non particolarmente problematici, un lasso di tempo sufficiente ad adeguarsi alla funzione genitoriale;
   se non si reputi opportuno avviare una riflessione sulla disciplina del procedimento ex articolo 333 codice civile, tale da renderlo maggiormente conforme alle varie peculiarità che possono caratterizzare quelle condotte «pregiudizievoli ai figli» disciplinate dalla norma;
   se non ritenga opportuno approfondire anche la disciplina di cui all'articolo 403 codice civile, in particolare al fine di specificare meglio i presupposti e le condizioni per l'intervento dell'autorità pubblica a favore dei minori e la relativa procedura;
   se non ritenga meritevole di ulteriori precisazioni – anche sotto il profilo procedurale e dell'onere motivazionale in sentenza – la disciplina della dichiarazione di adottabilità del minore di cui al Capo II della legge n. 184 del 1983. (3-00836)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro della giustizia, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   sulla strada statale  n. 7 nei pressi della rampa di entrata dalla città di Matera, intorno alle ore 17 del 16 maggio  2014, si è registrato un terribile incidente nel quale sono state coinvolte due auto e un camion;
   ad avere la peggio è stata la Renault Clio sulla quale viaggiavano tre ragazzi tra cui la giovane Gabriella Cipriani di 22 anni di Molfetta;
   la Cipriani, come gli altri due passeggeri della Renault Clio, e anche dell'altra autovettura coinvolta, erano musicisti ed erano diretti verso Craco, paese della provincia di Matera per tenere un concerto;
   secondo le prime ricostruzioni sembra che il camion procedesse ad elevata velocità in direzione Matera occupando però la corsia opposta;
   all'autista del mezzo pesante, di nazionalità polacca, è stato riscontrato un tasso alcolemico superiore a quello consentito dalla legge; allo stesso autista, come riportano gli organi di stampa, sarebbe stata ritirata la patente;
   tuttavia, per l'autista del camion non è scattato l'arresto ma risulterebbe essere indagato per omicidio colposo –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se non intenda valutare l'opportunità di assumere iniziative per l'introduzione del reato di omicidio stradale, campagna che Isoradio, canale di informazione sulle strade, del servizio pubblico, sta portando avanti da tempo. (5-02865)

Interrogazione a risposta scritta:


   GRILLO, MANTERO, DI VITA, SILVIA GIORDANO, CECCONI, DALL'OSSO e LOREFICE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   Alfonso Sabella, vicecapo della organizzazione giudiziaria del Ministero della giustizia, precedentemente pm e con due esperienze al Dap (dipartimento di amministrazione penitenziaria), ha avviato un'indagine sulla gestione di appalti per 470 milioni di euro collegata proprio al piano carceri, presentato nell'ottobre 2013 da Angelo Sinesio, stretto collaboratore del Ministro pro tempore Anna Maria Cancellieri;
   da quanto riportato da un articolo dell'11 febbraio 2014 di Repubblica.it, Sinesio è l'uomo di fiducia che si occupa dei penitenziari, prefetto di carriera, da sempre legato al Ministro pro tempore Cancellieri, tanto da essere stato il suo vice a Catania quando la stessa ne rivestiva il ruolo di prefetto, ed era il capo della sua segreteria tecnica quando l'attuale Guardasigilli era al Viminale;
   la procura della Repubblica di Roma ha aperto un fascicolo di indagine preliminare, con riferimento al rapporto presentato da Alfonso Sabella, per indicare situazioni di criticità e anomalie nel piano carceri;
   il rapporto del dottor Sabella solleva alla magistratura il dubbio che il piano carceri sia frutto di «un'appropriazione indebita», poiché fa propri gli interventi fatti dal dipartimento di amministrazione penitenziaria e dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, come ad esempio, i nuovi padiglioni di Modena, Terni, S. Maria Capua Vetere, Livorno, Catanzaro, Nuoro;
   altresì, il piano carceri si appropria di opere progettate, realizzate e pagate dal dipartimento di amministrazione penitenziaria e dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, «aumentando virtualmente il numero dei posti che avrebbe realizzato il commissario»;
   come risulta da articoli di giornale, Sabella, con una lettera inviata al direttore del dipartimenti di amministrazione penitenziaria Giovanni Tamburino, denunciò immediatamente l'utilizzo di «dati non corretti e circostanze non veritiere», e un «non fruttuoso impiego di risorse pubbliche» contenute nel piano carceri che era stato predisposto da Sinesio e presentato alla Camera il 22 ottobre 2013, perché egli propose un piano da 200 milioni di euro per recuperare 70 mila posti, contro invece un piano che, inizialmente proposto ne prevedeva una spesa di 696,5 milioni di euro per incrementare la capienza delle strutture di 9.050 unità, per arrivate poi a parlare di 12 mila posti con 470 milioni;
   dunque, un'incongruenza, una serie di dati non corretti relativi ad appalti ben più cari e redditizi delle ristrutturazioni necessarie;
   senza contare la fittizia «pubblica selezione» per la nomina a responsabile della struttura amministrativo-finanziaria, per la gestione della cassa da 500 milioni di euro, il cui avviso è stato pubblicato non sulla Gazzetta ufficiale, bensì solo nel sito del piano carceri;
   un bando difficile se non impossibile da trovare, perché bisognava cliccare su «trasparenza», poi «atti», poi «decreti commissariali», poi «decreti vari», poi «avviso pubblico di selezione»; procedura contorta per riuscire a presentare domanda entro sette giorni, tranne che per gli autori, e comunque seppur si riusciva ad arrivare al link definitivo, si sarebbe finiti davanti a un indirizzo e-mail sbagliato: pianocerceri@interpec.it, con una «e» al posto della «a»;
   alla fine, la nomina è ricaduta su Fiordalisa Bozzetti, stipendio da 10 mila euro al mese, commercialista di Firenze, moglie di Mauro Draghi, architetto in servizio al dipartimento di amministrazione penitenziaria e responsabile del gruppo tecnico, scelto dall'ex commissario Franco Ionta come coordinatore di tutte le progettazioni;
   da ultimo, come se tanto non bastasse, invece di prendere esclusivamente ditte affidabili del dipartimenti di amministrazione penitenziaria per la gara d'appalto, sono state invitate 10 imprese di cui solo tre nella lista del dipartimento di amministrazione penitenziaria, come ha spiegato Sabella, e comunque, nella maggior parte dei casi, si è trattato di gare non pubbliche ma di affidamenti individuali, con appalti suddivisi in due parti, con costi raddoppiati e violazione delle norme antimafia –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa e non ritenga opportuno ritirare il piano carceri presentato;
   se ritenga il Ministro sussistere un evidente caso di conflitto di interessi riguardo alla nomina di Fiordalisa Bozzetti e dunque se non ritenga necessario ripresentare un nuovo avviso pubblico basato sul principio di trasparenza;
   se ci siano e quali siano oggi i cantieri avviati e se siano state affidate le direzioni lavori, in quanto, essendo decorsi quattro anni dalla dichiarazione dello stato di emergenza e due dalla nomina di Sinesio, al momento sembra avviato un solo padiglione a fronte di oltre 450 milioni di euro immobilizzati nella contabilità speciale;
   quali decisioni intenda assumere riguardo a tale sconcertante questione per evitare l'ennesimo scandalo, che appare agli interroganti, un manifesto furto a scapito degli italiani. (4-04918)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta scritta:


   GIORGIA MELONI, RAMPELLI, CIRIELLI, CORSARO, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Valle d'Aosta versa in una condizione di grave inadeguatezza infrastrutturale;
   le risorse infrastrutturali sono alla base di ogni sistema che individua nel turismo un elemento fondamentale delle proprie possibilità di sviluppo socio economico e, conseguentemente, considera la comunicazione ed il trasporto come fattori essenziali al raggiungimento di obiettivi coerenti con questa missione;
   il servizio di trasporto su rotaia è obsoleto, disorganizzato e inefficiente, ed è assente qualunque collegamento veloce che attraversi la valle;
   l'aeroporto di Aosta è diventato un'area degradata e fantasma, è ormai chiuso da anni e ha visto anche il fallimento dell'azienda che ne stava costruendo il nuovo terminal;
   la gara d'appalto europea per la tratta Aosta-Roma vinta dalla compagnia aerea elvetica Darwin Airlines è stata annullata dall'Ente nazionale per l'aviazione civile, perché vinta da un'azienda svizzera e quindi extracomunitaria, con la conseguenza che l'aeroporto più vicino per gli abitanti della Valle è diventato Torino;
   l'autostrada che attraversa la Valle con il suo costo di ventidue centesimi di euro al chilometro è la più cara d'Italia –:
   quali urgenti iniziative di competenza intenda assumere al fine di garantire un adeguamento delle infrastrutture sul territorio valdostano, affinché queste possano sia garantire un servizio efficiente ai cittadini della Valle, sia sostenere lo sviluppo turistico del territorio. (4-04907)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SPESSOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 11 del decreto legislativo 23 ottobre 1998, n. 410, poi trasfuso nell'articolo 154 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (testo unico sugli enti locali) ha istituito, presso il Ministero dell'interno, l'Osservatorio sulla finanza e la contabilità degli enti locali, organismo di impulso, di garanzia e monitoraggio sulla vita finanziaria degli enti locali;
   tale Osservatorio, incardinato nell'ambito della direzione centrale per la finanza locale e per i servizi finanziari dell'amministrazione civile del Ministero dell'interno, ha il compito di promuovere la corretta gestione, da parte delle amministrazioni locali, delle risorse finanziarie, strumentali e umane;
   ai sensi dell'articolo 154, comma 3, del Testo unico degli enti locali, l'Osservatorio presenta al Ministro dell'interno «almeno una relazione annuale sullo stato di applicazione delle norme, con proposte di integrazione normativa e di principi contabili di generale applicazione»;
   risulta agli interroganti che l'Osservatorio abbia presentato ad oggi, al Ministro dell'interno, solamente un'unica relazione, peraltro quinquennale, sull'attività svolta dallo stesso Osservatorio per gli anni 1999-2004, mentre non è stato possibile rinvenire le successive relazioni che parimenti non sono pubblicate nell'apposita sezione del sito del Ministero dell'interno, dedicata all'Osservatorio (cfr. http://osservatorio.interno.it/); come noto, l'articolo 3-bis del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, in materia di armonizzazione dei sistemi contabili degli enti locali, ha istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze, la Commissione per l'armonizzazione degli enti territoriali; tale Commissione, che si avvale delle strutture e dell'organizzazione del dipartimento della ragioneria generale dello Stato, agisce in reciproco accordo proprio con l'Osservatorio sulla finanza e la contabilità degli enti locali –:
   se il Ministro sia a conoscenza del grave stato di inadempienza in cui versa attualmente l'Osservatorio, sulla finanza e la contabilità degli enti locali, in merito al rispetto dei tempi di emanazione dei rapporti annuali, ex articolo 154, comma 3, del Testo unico degli enti locali e se possa chiarire i motivi che sottendono a tale inottemperanza della legge;
   se e quali iniziative il Ministro intenda intraprendere, per le parti di propria competenza, al fine di velocizzare le procedure di emanazione dei previsti rapporti annuali che l'Osservatorio sulla finanza e la contabilità degli enti locali è chiamato ad emanare con periodicità annuale, anche in riferimento alla collaborazione tra il suddetto Osservatorio e la Commissione per l'armonizzazione degli enti territoriali. (5-02859)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Governo sta inviando a Como numerosi immigrati clandestini, presunti profughi, accolti e introdotti recentemente nel nostro Paese attraverso la fallimentare operazione militare Mare Nostrum, costata ai cittadini italiani sino ad ora circa 300 mila euro al giorno, pari ad oltre 9 milioni di euro al mese;
   ad ogni immigrato clandestino vengono riconosciuti vitto e alloggio per un importo di 30 euro più iva al giorno, 15 euro di ricariche telefoniche, 2,5 euro di pocket money principalmente per l'acquisto di sigarette, l'assistenza sanitaria, la fornitura di indumenti e vestiario, nonché servizi di pulizia;
   dopo i 70 accolti nelle scorse settimane, il 12 maggio 2014 sono giunti a Como altri 15 presunti profughi, potenziali immigrati clandestini, in taluni casi ammessi ad importanti benefici per quanto consta all'interrogante senza previo adeguato accertamento del possesso dei requisiti previsti dalla legge;
   è annunciato l'invio a Como di ulteriori 120 immigrati clandestini nel prossimo futuro;
   la circostanza è motivo di allarme per la cittadinanza comasca e per il territorio tutto per evidenti motivi di natura sociale, sanitaria e di sicurezza e ordine pubblico –:
   quanti immigrati il Governo abbia pianificato di destinare al territorio della provincia di Como ed in base a quale calcolo sia stata stimata la capacità della realtà comasca di assorbirli. (4-04896)


   RAMPI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in diversi comuni italiani si è presentato un solo candidato sindaco ed una sola lista di candidati consiglieri comunali, ed in alcuni addirittura nessuno –:
   se si sia a conoscenza di quello che all'interrogante appare un preoccupante fenomeno e quale ne sia l'entità; se esistano e quali siano i raffronti statistici negli anni e se si possa dedurre una linea di tendenza;
   quali siano gli orientamenti in merito e se i diversi carichi negativi appostati agli amministratori locali (costi della politica a loro carico, discredito sociale, rischi personali sul piano amministrativo e penale spesso indipendentemente dalle loro condotte, incertezze delle risorse e degli strumenti per amministrare) si ritenga possano aver inciso su questo fenomeno;
   quali contromisure, per quanto di competenza, si intendano intraprendere.
(4-04899)


   NACCARATO, NARDUOLO e MIOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 16 maggio 2014 la squadra mobile di Venezia ha eseguito un arresto in flagranza di reato e sedici ordinanze di custodia cautelari in carcere per rapina, detenzione di armi, furto, ricettazione e altri reati minori: tra gli arrestati nove veneziani, sette padovani e un rodigino a cui la procura della Repubblica ha contestato sessantacinque capi d'imputazione;
   tra i nomi degli arrestati compare Costante Carraro, 65 anni, nato a Fosso, residente a Vigonovo, esponente di spicco della nota banda criminale di Felice Maniero detta «mala del Brenta»;
   insieme allo storico rapinatore sono finiti in carcere anche il nipote Marco Carraro, 40 anni, di Fosso, Michele Gelain, 47 anni, di Marghera, Luca Cavalletto, 49 anni, di Piove di Sacco e Delfino Fincato, 58 anni, di Codevigo, per lunghi anni autista dei cosiddetti «colonnelli» di Maniero come «Marietto» Pandolfo;
   le indagini hanno consentito di accertare che il gruppo aveva la disponibilità di armi comuni e da guerra, con relativo munizionamento, di giubbotti antiproiettile, di auto rubate, lampeggianti e palette delle forze dell'ordine e maschere in lattice e potevano usare luoghi dove nascondere materiali e refurtiva;
   nella sola abitazione di Cavalletto sono stati sequestrati quattro kalashnikov, un fucile mitragliatore, una pistola semiautomatica Glok, una pistola semiautomatica Beretta, caricatori a mezza luna ed un migliaio di cartucce, pettorine della guardia di finanza, palette delle forze dell'ordine, lampeggianti blu, mentre un altro kalashnikov e delle maschere sono stati trovati nel garage di Gelain;
   il gruppo era inoltre in possesso di sofisticate apparecchiature per effettuare la bonifica dei veicoli e dei luoghi dagli stessi utilizzati, per scoprire l'eventuale installazione di microspie per intercettazioni ambientali o sistemi di gps utilizzati dalla polizia;
   grazie alla brillante operazione, in questi mesi, la squadra mobile è riuscita a sventare diversi colpi e in alcuni casi ha fatto allontanare le vittime e messo fuori uso le armi che il gruppo aveva intenzione di usare;
   l'operazione portata a termine con grande professionalità dalle forze dell'ordine ha portato alla luce una vera e propria banda di malviventi organizzati per colpire in modo seriale diversi obbiettivi con modalità che ricordano la «mala del Brenta» di Felice Maniero;
   gli interroganti ricordano che, in diverse occasioni, attraverso precedenti interrogazioni avevano avvertito del pericolo che nel territorio delle province di Padova e Venezia vi fosse il tentativo di ricostruire bande criminali –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro intenda adottare per prevenire e contrastare il ripetersi di simili episodi, garantendo la sicurezza dei cittadini. (4-04902)


   GIORGIA MELONI, RAMPELLI, CIRIELLI, CORSARO, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi mesi le coste italiane hanno visto l'aumento degli sbarchi di immigrati irregolari, certificando che ogni operazione messa in campo dal Governo a partire da Mare Nostrum risulti essere un semplice accompagnamento in sicurezza sulle coste italiane, con un costante aggravio di costi per la collettività;
   tra i molti clandestini irregolari vi sono alcuni rifugiati, per lo più siriani, che appena si vedono riconosciuto lo status di rifugiati abbandonano i centri di accoglienza, riversandosi nelle città metropolitane;
   ad oggi comuni come Milano hanno accolto e assistito nei propri centri di prima accoglienza e in stazione centrale 5.600 persone, un quarto dei quali sono bambini, alcuni di pochi mesi, e l'ottanta per cento del totale sono uomini e donne sotto i 35 anni di età;
   la situazione a Milano si è fatta insostenibile con bivacchi in più punti della città a cominciare dalla stazione centrale;
   alle spese ingenti dell'operazione Mare Nostrum vanno sommate tutte quelle sostenute dai comuni per l'accoglienza e la profilassi medica;
   ad oggi non esiste alcun coordinamento per la gestione di questa emergenza, e le amministrazioni locali sono costrette ad investire risorse proprie per tamponare le insufficienze della politica di accoglienza messa in atto dal Governo –:
   quanti siano complessivamente i fondi destinati alla gestione dell'emergenza immigrazione da parte delle amministrazioni centrali;
   quanti richiedenti asilo abbiano chiesto la presa in carico della loro domanda ad altro Paese, come previsto dal nuovo regolamento cosiddetto Dublino III;
   quante malattie endemiche siano state riscontrate dall'inizio del 2013 ad oggi negli sbarchi di clandestini nelle coste italiane;
   quale sia la previsione di spesa fatta dal Governo per affrontare l’«invasione» costante delle coste italiane. (4-04905)


   PRODANI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la legge 7 aprile 2014, n. 56, relativa a disposizioni su città metropolitane, province, unioni e fusioni di comuni ha ridisegnato confini e competenze dell'amministrazione locale, in attesa riforma del Titolo V della Costituzione annunciata dal Governo, ultimo passo per l'abolizione delle province;
   queste ultime non sono state ancora eliminate ma trasformate in enti territoriali di area vasta, quindi di secondo grado, non più elettive e con compiti ridefiniti;
   la provincia di Trieste, ovviamente inclusa nel riassetto degli enti territoriali, sembra vivere un paradosso legato alla mancanza di atti giuridici costitutivi, successivi al secondo conflitto mondiale;
   la sua esistenza giuridica è comprovata da atti risalenti al fascismo, per il periodo di tempo compreso tra il 1922 e il 1947 quando, in forza del Trattato di pace, l'attuale capoluogo giuliano diventò «territorio libero» con la cessione della sovranità italiana;
   i territori dell'ex provincia di Trieste compresi nei confini italiani vennero aggregati alla vicina provincia di Gorizia, come previsto dal decreto legislativo del Capo Provvisorio dello Stato n. 1485 del 26 dicembre 1947;
   nel 1954, a seguito del memorandum d'intesa che ha trasmesso al Governo italiano l'amministrazione civile della «Zona A» del Territorio Libero, quindi di Trieste, le autorità italiane avrebbero ripristinato in modo arbitrario e senza nessun atto giuridico adeguato la provincia in questione;
   questa circostanza sembra essere suffragata dallo statuto della regione autonoma Friuli Venezia Giulia legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, le successive modifiche e integrazioni – il cui articolo 2 recita: «La Regione comprende i territori delle attuali province di Gorizia e di Udine e dei comuni di Trieste, Duino-Aurisina, Monrupino, Muggia, San Dorlìgo della Valle e Sgònico». In pratica, la provincia Trieste non è citata, mentre lo sono solo i comuni che ne fanno parte;
   il 28 marzo 2014 l'interrogante ha inviato una missiva al Ministero dell'interno per chiedere chiarimenti sulla vicenda summenzionata, ma, dopo numerose sollecitazioni telefoniche e l'ulteriore invio a mezzo fax della lettera all'ufficio di Gabinetto del 6 maggio 2014, non ha ancora ricevuto una risposta –:
   se il Ministro interrogato intenda fornire ogni elemento utile a chiarire urgentemente se e con quali atti successivi al secondo conflitto mondiale sia stata istituita la provincia di Trieste per la quale, in assenza di tali documenti, si prefigurerebbe una situazione paradossale in vista della sua trasformazione ai sensi della legge n. 56 del 2014. (4-04908)


   CIVATI, MATTIELLO, PASTORINO, TENTORI, LORENZO GUERINI, FASSINA e GANDOLFI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   sugli organi d'informazione del 16 maggio 2014 (Huffington Post, Repubblica e il Manifesto) si dà notizia di una ricerca dell'onlus InMigrazione, sul lavoro agricolo in provincia di Latina, dal titolo «2014 – Doparsi per poter lavorare»;
   il dossier
di InMigrazione – un'associazione senza scopo di lucro nata nel 2012 con sede a Roma – fa seguito a un precedente report del gennaio 2013, sempre in tema di lavoro agricolo della numerosa comunità sikh in provincia di Latina, e riporta la situazione drammatica dei lavoratori del settore ortofrutticolo del Basso Lazio. Essi – in grande maggioranza di origine o cittadinanza indiana – sono sfruttati in modo intensivo e incivile, a livelli sostanzialmente schiavili;
   secondo il dossier, essi sarebbero reclutati secondo un meccanismo di caporalato e pagati con pochi euro al giorno;
   poiché essi sarebbero costretti a lavorare chini a terra dalle 12 alle 15 ore al giorno, avvertirebbero in varie parti del corpo dolore e fatica, dovuti sia alla stanchezza fisica, sia al calore del sole, sia alla presenza dei pesticidi nei prodotti raccolti e maneggiati;
   per ovviare a questa situazione i braccianti farebbero uso di sostanze stupefacenti, sia sciolte nel tè sia masticate;
   il traffico delle sostanze assunte sarebbe gestito, secondo il dossier, da gruppi organizzati senza scrupoli;
   vicende di questo tipo sono evidentemente intollerabili, sia sul piano umano sia sul piano economico, giacché la riduzione in schiavitù è un reato che lede la dignità della persona e ha anche gravi ripercussioni sul tessuto civico ed economico di una comunità –:
   se siano state avviate indagini sulla vendita di stupefacenti in provincia di Latina alla comunità sikh;
   se risulti che nella gestione del lavoro agricolo in provincia di Latina siano coinvolte organizzazioni di tipo mafioso.
(4-04911)


   AIELLO, CARBONE, COSTANTINO, FAVA e LACQUANITI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella tarda serata del 18 maggio 2014 l'auto del padre di Rosario Rocca, sindaco di Benestare, in provincia di Reggio Calabria, è stata incendiata da ignoti. Il primo cittadino, che si è ricandidato alla guida del comune, stava tenendo un comizio elettorale, in contrada Belloro, mentre persone ignote hanno appiccato il fuoco all'automobile del genitore;
   non è la prima volta che il sindaco Rocca e la sua famiglia sono oggetto di intimidazioni. A febbraio 2013, infatti, la sorella del primo cittadino subiva l'incendio della propria auto. Mentre lo scorso ottobre fu proprio il sindaco a subire un'intimidazione analoga, in seguito alla quale presentò le proprie dimissioni dall'incarico, denunciando la situazione di totale abbandono in cui era costretto ad amministrare, salvo poi decidere, una quindicina di giorni dopo, di ritirare coraggiosamente le proprie dimissioni e proseguire nel cammino amministrativo;
   nella notte tra il 13 e il 14 maggio 2014, a Marano Marchesato, in provincia di Cosenza, le autovetture del sindaco Eduardo Vivacqua e dell’ assessore Domenico Carbone sono state incendiate, sotto le rispettive abitazioni. All'interno sono state rinvenute anche due buste chiuse con proiettili e fiori. Lo stesso contenuto è stato trovato anche all'interno di un plico collocato sul parabrezza dell'auto del vicesindaco Giuseppe Belmonte. Le indagini condotte dai carabinieri hanno permesso di individuare tre sospettati che sono stati accompagnati nella caserma di Cosenza;
   negli ultimi tre anni gli atti d'intimidazione ai danni di amministratori si sono moltiplicati, con un incremento del 66 per cento che ha colpito soprattutto i sindaci della Calabria –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato affinché agli amministratori di Benestare e di Marano Marchesato venga garantita la necessaria serenità per proseguire l'impegno amministrativo;
   quali misure intenda adottare per assicurare una doverosa protezione a tali amministratori, che hanno subito pesanti intimidazioni;
   quali siano le modalità con le quali il Ministro intenda monitorare la situazione, contribuendo con ogni iniziativa di competenza a fare al più presto la dovuta chiarezza sulla natura e l'origine dei sopra descritti atti intimidatori. (4-04915)


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da quanto si apprende dagli organi di stampa emergerebbe da un dossier del Ministero dell'interno, segretato e non reso pubblico, una serie di illeciti e irregolarità in merito alla gestione complessiva delle persone extracomunitarie richiedenti asilo politico;
   la testata giornalistica Repubblica che ha reso noto quanto scritto nel dossier riservato ha ammesso di essere riuscita a venire a conoscenza della suddetta documentazione senza specificare in che modo e con quali mezzi e se per ottenere il documento si siano avvalsi della collaborazione del personale interno al Ministero;
   nell'inchiesta condotta da Repubblica si legge: «migliaia di persone costrette a vivere anche per due anni dentro un Centro di accoglienza – il tempo effettivo per l'esame della richiesta d'asilo contro i 35 giorni previsti dalla legge – senza poter avere neanche una bacinella e il sapone per fare il bucato. Perché il capitolato d'appalto del ministero prevede una serie di servizi come la lavanderia e la barbieria, che spesso sono disattesi dagli enti gestori. Profughi segregati a chilometri di distanza dalle città, senza mezzi di trasporto, e dunque costretti a fare anche cinque chilometri a piedi su strade pericolose per raggiungere il primo centro abitato. Giovani rifugiati che alla fine del lungo periodo passato nei Cara, ne escono senza possibilità di inclusione sociale perché non hanno neanche imparato l'italiano. I corsi di lingua, quando ci sono, sono scarsi o mal strutturati»;
   l'inchiesta giornalistica denuncia il grande business che si cela dietro le organizzazioni e le cooperative che gestiscono per conto dello Stato, aggiudicandosi appalti pubblici, l'accoglienza delle persone immigrate richiedenti asilo politico;
   sotto il profilo della gestione, menta attenzione quanto è scritto sul centro di accoglienza di Sant'Anna di Isola Capo Rizzuto, vicino a Crotone, e a quanto rilevato dagli operatori del progetto Praesidium presenti all'interno del Cara lo scorso settembre circa «l'erogazione del pocket money (il pocket money è la quota di due euro e cinquanta centesimi che spetta al migrante sull'importo giornaliero pagato per ogni ospite dallo Stato ai gestori dei centri). Il migrante, da quanto emerge dalla lettura dell'articolo pubblicato sulla Repubblica, non ha la possibilità di acquistare nessun altro bene né gli viene fornita una chiavetta elettronica o una carta moneta per poter spendere l'importo rimanente. Da settembre 2011 a maggio 2013, gli ospiti riferiscono che il buono economico non è stato erogato»;
   nel caso di Isola Capo Rizzuto, la cifra complessiva erogata è pari a circa 21 euro, con i quali devono essere garantiti tutti i servizi. Il centro ha una capienza ufficiale di 729 posti, ma come gli altri Cara è solitamente sovraffollato. Al momento del monitoraggio, erano presenti 1497 persone, oltre il doppio dei posti disponibili. Facendo un calcolo approssimativo di 2,50 euro per una media di 1500 persone, si arriva alla somma di 3.750 euro al giorno che moltiplicato per 21 mesi, cioè 630 giorni, fa oltre due milioni di euro. Anche con un numero di ospiti pari alla capienza, si raggiunge una cifra a sei zeri che, dall'inchiesta condotta da Repubblica che riporta i dati del documento del Ministero dell'interno, sembra non sia stata erogata ai suoi legittimi destinatari, cioè i richiedenti asilo ospitati nel Cara calabrese;
   il centro è gestito da dieci anni dalla confraternita della Misericordia fondata dal parroco di Isola Capo Rizzuto, don Edoardo Scordio e da Leonardo Sacco, attuale vicepresidente delle Misericordie d'Italia. L'ultima gara d'appalto triennale vinta dalle Misericordie (nel 2012 contratto valido fino al 2015) è stata di 28.021.050 euro, iva esclusa;
   il rapporto, pubblicato, evidenzia problemi nella gestione del pocket money anche nel Cara di Restinco, a Brindisi, gestito dal consorzio Connecting People di Castelvetrano. I vertici del Consorzio sono stati coinvolti in un'inchiesta della magistratura su fatture gonfiate in un altro Cara, quello di Gradisca d'Isonzo. Sono tredici i rinviati a giudizio dal tribunale di Gorizia, di cui 11 del consorzio trapanese, fra cui Giuseppe Scozzari, ex presidente del consiglio di amministrazione, per associazione per delinquere, truffa e frode in pubbliche forniture, e due funzionari della prefettura tra cui un vice prefetto, per falso in atti pubblici. Il consorzio si è difeso affermando che esiste una relazione della prefettura di Gorizia che attesta la correttezza delle fatturazioni. L'inizio del processo è previsto per giugno 2014.
   a Restinco, rileva il dossier, reso noto dall'inchiesta giornalistica, «l'ammontare giornaliero di 2,50 euro del pocket money può essere speso dagli ospiti nell'acquisto di beni presenti al corner shop o nell'acquisto di bibite/snack/bevande calde nei distributori automatici presenti nel centro. Gli ospiti non possono accumulare l'importo giornaliero del pocket money e devono consumarlo nel giro di due giorni, pena la cancellazione dell'importo residuo non speso». Non è specificato però che fine fanno le somme cancellate. Nel Cara brindisino: «Non sono presenti mediatori che coprano tutte le lingue parlate dagli ospiti. L'ente gestore non organizza nessuna attività ludico-ricreativa. L'ambulatorio medico del centro presenta gravi condizioni di precarietà igienica»;
   infine, emerge sempre dall'articolo inchiesta, pubblicato da Repubblica che stando alla documentazione del Ministero dell'interno a Bari, in un centro che ospita 1400 richiedenti/asilo, pari al doppio della capienza, gestito dalla cooperativa Auxilium «è stata riscontrata la presenza di scarafaggi in tutti i moduli visitati» e anche qui «l'ente gestore non organizza nessuna attività ludico-ricreativa ad eccezione di partite di calcio. L'attesa per l'inserimento dei migranti nei corsi è molto lunga e la durata degli stessi è scarsa»;
   se da un lato appare fuorviante soltanto ipotizzare che l'aumento esponenziale del flusso migratorio verso il nostro Paese sia in qualche modo legato anche all'enorme giro d'affari che in questa inchiesta giornalistica viene tracciato con chiarezza e dovizia di particolari, dall'altro lato la palese mancanza di controlli da parte dello Stato nei confronti degli enti gestori delle procedure di accoglienza è ingiustificabile –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, se risponda al vero che le informazioni pubblicate dalla Repubblica erano contenute in un dossier segretato del Ministero dell'interno, per quali ragioni il dossier non sia mai stato reso pubblico, se non ritenga opportuno avviare una verifica per far luce sulle modalità che hanno permesso alla testata giornalistica di impossessarsi dei dati; se, considerata la facilità con la quale la testata giornalistica è entrata in possesso della suddetta documentazione, non ravvisi una fragilità nei sistemi di protezione dei documenti sensibili;
   qualora le notizie pubblicate dalla testata giornalista la Repubblica dovessero essere considerate attendibili, quali iniziative il Ministro abbia avviato o intenda avviare per contrastare gli illeciti e le irregolarità denunciate. (4-04919)


   GIORGIA MELONI, RAMPELLI, CIRIELLI, CORSARO, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sul territorio della città di Roma sono presenti ben 105 immobili occupati dai cosiddetti «Movimenti per la casa» e da centri sociali, di cui il 70 per cento pubblici e il restante 30 per cento privati, che portano ad un costo per i romani, in base agli ultimi studi forniti ad aprile 2013 dalla Commissione Sicurezza di Roma Capitale, di 60 milioni di euro. Spesso gli edifici occupati versano in condizioni precarie e risultano essere privi dei certificati di abitabilità previsti per legge;
   gli stabili occupati vengono gestiti da quelle che appaiono talora vere e proprie associazioni a delinquere facenti capo ai suddetti Movimenti, costituite da un sottobosco metropolitano gestito da pochi leader che raccolgono masse di disperati senza un tetto sulla testa, in gran parte immigrati, quasi sempre irregolari sul territorio italiano;
   tali movimenti si distinguono in tre grandi blocchi: Blocchi precari metropolitani, Coordinamento cittadino di lotta per la casa e il movimento Action. All'interno di questi tre grandi blocchi si sviluppano altri sottogruppi come Ram, Rete abitativa metropolitana, Abitare nella crisi, Cagne sciolte, Disobbedienti romani e Acrobax;
   sono circa 60 a Roma i procedimenti penali e civili a carico dei soggetti autori delle occupazioni gestite dai Movimenti per il diritto all'abitare. «Associazione a delinquere» ed «estorsione» sono i reati ipotizzati a carico di alcuni esponenti del Comitato popolare di lotta per la casa. Negli anni le indagini hanno portato a scoprire che proprio all'interno di alcune strutture occupate, è anche possibile reperire documenti e permessi di soggiorno falsi per «regolarizzare» la presenza in Italia di soggetti illegalmente presenti sul territorio;
   in questi casi gli immigrati, in attesa di regolare permesso, vengono «gestiti» da loro connazionali, nel frattempo divenuti attivisti dei vari Movimenti per la casa (occupando talvolta anche ruoli di spicco). Si verificano, infatti, casi in cui nelle manifestazioni organizzate per il diritto alla casa, siano presenti in maggioranza extracomunitari in attesa di soggiorno, in realtà «convocati» sotto ricatto da connazionali senza scrupolo già inseriti nelle realtà cosiddette «antagoniste». Un modus operandi questo, che approfitta del disagio sociale per cercare, e ottenere, numeri utili da portare in piazza e contrapporre alle forze dell'ordine. Altrettanto accade nei confronti dei cittadini italiani «reclutati» attraverso le occupazioni abusive, ai quali gli organizzatori del Movimento chiedono soldi per l'affitto e prestazioni come la partecipazione a presidi, cortei, banchetti, picchetti, oltre che il voto per i candidati prescelti alle elezioni;
   negli ultimi anni, per acquisire più visibilità, i Movimenti hanno lanciato l'iniziativa denominata «Tsunami tour», ovvero giornate dedicate alle occupazioni che vengono effettuate contemporaneamente in vari punti della città. Questa strategia, è tesa a disorientare le forze di polizia impegnate nel garantire l'ordine pubblico e a creare forti disagi in termini di traffico e incolumità pubblica lungo le arterie principali della Capitale, dando così maggior risalto alle iniziative intraprese;
   nel VII Municipio esiste uno sportello sociale (Agenzia dei Diritti), che dal 2008 fornisce consulenza ai cittadini in difficoltà abitativa. Il servizio sussiste grazie a un contributo del Municipio pari a 170mila euro annue, ottenuto attraverso un bando a invito, ed è gestito, ufficialmente, da quattro cooperative: Stand Up, Arancia, Spheafresia e Bastiani. In realtà, in maniera nemmeno troppo nascosta, l'Agenzia è gestita da Action. A testimoniarlo c’è una pagina sul sito del movimento. L'Agenzia dei Diritti, gestisce anche i servizi nel residence comunale di via Campo Farnia a Roma. Tale edificio ex Inpdap, acquistato nel 2005 dalla Cogeim Spa, fu occupato abusivamente nello stesso anno da Action. Grazie alla trattativa politica condotta dall'ex Presidente dell'allora X Municipio, la situazione venne «sanata», facendo diventare Campo Farnia un residence comunale a tutti gli effetti. Motivo per cui il Campidoglio paga circa 2 milioni di euro l'anno a Cogeim;
   l'attuale Amministrazione capitolina di fatto appare connivente ai Movimenti per la casa, non chiedendo quasi mai lo sgombero degli edifici occupati, e anzi attivandosi in senso contrario quando per intervento della magistratura la forza pubblica è chiamata a intervenire;
   il 21 marzo 2014, nell'ambito dell'indagine che ha portato allo sgombero degli edifici occupati in via delle Acacie, del cosiddetto ex Hertz e dell'Angelo Mai e ad iscrivere al registro degli indagati 39 persone, di cui 15 per associazione a delinquere, veniva intercettata la telefonata del vicesindaco di Roma Capitale Luigi Nieri, eletto con Sel, con Giorgina Pilozzi (una portavoce degli occupanti), nella quale il vicesindaco si impegnava ad evitare lo sgombero dell'Angelo Mai concordando le mosse con gli occupanti dello stabile, promettendo che avrebbe «forzato la mano» al tribunale di Roma;
   nell'ambito della suddetta indagine veniva intercettata anche un'altra conversazione di un'altra leader dei movimenti, Pina Vitale, che minacciava ritorsioni nei confronti dell'assessore alla casa e al patrimonio di Roma Capitale, Daniele Ozzimo, qualora fosse venuto meno l'impegno preso dal comune rispetto alla difesa dell'Angelo Mai e delle altre occupazioni dai paventati sgomberi. In altre intercettazioni tra i leader del «movimento» si fanno riferimenti espliciti alla strategia «entrista» degli estremisti, che si preoccupano di garantirsi l'agibilità politica e istituzionale promuovendo il tesseramento nei partiti di sinistra per assumere il controllo o comunque condizionare la linea delle loro articolazioni territoriali. Sono di pubblico dominio le iniziative elettorali a sostegno dei candidati della sinistra all'interno del circuito delle occupazioni abusive, nel corso delle quali in cambio dei voti veniva promessa la tutela e la tolleranza delle attività illegali e abusive. Questa vicinanza è emersa in maniera ancora più evidente con la candidatura e la successiva elezione al Consiglio comunale di Roma di due leader dei «Movimenti» (Nunzio D'Erme e Andrea Alzetta), l'ultimo dei quali è stato eletto nel 2008 e rieletto nel 2013 nelle liste di Sel, e solo grazie all'entrata in vigore della cosiddetta legge Severino dichiarato ineleggibile perché pregiudicato per reati contro il patrimonio;
   il vice del Sindaco Marino si fa dunque sostanzialmente garante nei confronti del Coordinamento per la Lotta alla Casa, un'organizzazione senza scrupoli che gestiva a proprio piacimento alloggi e mense, che imponeva agli occupanti, molti dei quali extracomunitari irregolari, non solo degli affitti mensili, ma anche la partecipazione attiva a manifestazioni e cortei, pena l'espulsione dalle strutture;
   ad avviso degli interroganti quanto sopra conduce a ritenere che l'amministrazione Marino sia fortemente compromessa con i movimenti estremisti e che sia promotrice di una politica che ha sempre premiato l'illegalità e favorito l'abuso, in particolare su temi importanti come quello della casa dove ai loro «compagni», che occupano immobili, vengono riservate corsie preferenziali e punteggi altissimi per garantire assegnazioni di case popolari, scavalcando, di fatto, gli aventi diritto, le persone oneste e rispettose della legge;
   in questo quadro di connivenza e sudditanza da parte dell'Amministrazione capitolina rispetto a tale contesto, figura anche la Regione Lazio che ha predisposto un nuovo bando (Determinazione Dirigenziale del 31 dicembre 2012 ai sensi dell'articolo 1 del Regolamento Regionale del Lazio n. 2 del 30 settembre 2000), per assegnare in locazione gli alloggi di edilizia residenziale pubblica di proprietà, o comunque nella disponibilità, di Roma Capitale. Nel bando, non vi sono requisiti tali da garantire preferenza a coloro che sono legittimamente in graduatoria rispetto ai soggetti che occupano illegalmente gli alloggi. Una pratica, questa, che per quanto risulta agli interroganti le giunte Veltroni e Rutelli hanno sempre promosso, garantendo di fatto l'assegnazione di alloggi, a soggetti già riconosciuti come occupanti abusivi;
   dalle indagini svolte e dalle intercettazioni pubblicate, emerge un quadro che dimostra come l'attuale maggioranza che governa il Campidoglio e la Regione, sia ad avviso degli interroganti di fatto complice e connivente di queste vere e proprie associazioni a delinquere, dalle quali riceve sostegno, elettorale e politico in cambio della copertura istituzionale e della protezione loro accordata, o quantomeno sia intimidita e ricattata nelle persone di assessori e consiglieri che vengono minacciati nella loro incolumità personale qualora agiscano contro l'interesse privato dei loro associati –:
   se sia al corrente dei fatti descritti, e, in caso positivo, quali misure intenda adottare;
   se non ritenga doveroso chiedere al prefetto di Roma di procedere all'immediato sgombero di tutti gli immobili occupati illegalmente;
   se non ritenga necessario procedere, in base alla normativa vigente, ove ne siano verificati i presupposti, allo scioglimento del Consiglio comunale di Roma Capitale, essendo evidenti i collegamenti diretti e indiretti di alcuni amministratori locali con queste organizzazioni, e lo stato di condizionamento, se non di complicità e correità, dell'amministrazione comunale da parte di una vera e propria associazione a delinquere, capace di dettare legge alle istituzioni, un'associazione a delinquere che usa i metodi e assume le caratteristiche delle associazioni di stampo mafioso: l'uso organizzato della violenza, il racket dei posti letto, il voto di scambio con partiti e singoli candidati, il sostituirsi allo Stato nel gestire e speculare sulle condizioni di bisogno degli strati più poveri e marginali della popolazione, la minaccia e l'intimidazione verso le istituzioni e gli avversari politici. (4-04921)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CHIMIENTI, MARZANA, VACCA, LUIGI GALLO, SIMONE VALENTE, BATTELLI, DI BENEDETTO, D'UVA e BRESCIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto direttoriale 5 luglio 2012 n. 391/Ric. «Avviso per la presentazione di idee progettuali per Smart Cities and Communities and Social Innovation» attivava una misura destinata a sostenere interventi finalizzati ad introdurre innovazioni attraverso progetti di ricerca industriale fortemente innovativi, in ambiti predeterminati dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca stanziando risorse a valere sul fondo agevolazione ricerca (FAR) pari a 655,5 milioni di euro, di cui 170 milioni di euro come contributo alle spese e 485,5 come credito agevolato e, di cui una quota di 25 milioni riservata al sostegno «Progetti di Innovazioni Sociali» orientati a soluzioni tecnologicamente innovativi per giovani con meno di 30 anni;
   a quanto si apprende dal quotidiano La Repubblica in data 29 aprile 2014, l'ammontare delle risorse stanziate dal bando sarebbe stato decurtato di 300 milioni di euro;
   ad oggi, nonostante quanto statuito dal decreto direttoriale 5 luglio 2012 n. 391/Ric «Avviso per la presentazione di idee progettuali per Smart Cities and Communities and Social Innovation», i vincitori non hanno ancora ricevuto i finanziamenti, fondamentali per l'avvio dei progetti che devono essere conclusi entro il 30 dicembre 2015, pena la decadenza dei fondi;
   tali progetti, vista la loro natura innovativa, rischiano di diventare obsoleti o di essere copiati durante l'attesa dei fondi –:
   per quale motivo i fondi stanziati risultino ad oggi ancora non ricevuti dai vincitori;
   quali siano le ragioni della decurtazione dei fondi stanziati inizialmente dal decreto direttoriale;
   quali iniziative intenda porre in essere il Ministro affinché i fondi vengano finalmente erogati ai vincitori;
   se la scadenza del 30 dicembre 2015 per la conclusione dei progetti potrà essere differita, computando il ritardo accumulato ad oggi. (5-02858)


   COCCIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'alfabetizzazione motoria, come descritto dal sito del CONI, è un progetto rivolto a tutti gli alunni e gli insegnanti della scuola primaria, attuato congiuntamente dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dal CONI con l'obiettivo di promuovere e trasmettere il valore della pratica sportiva nel tessuto sociale, quale fattore di benessere individuale, coesione e sviluppo culturale ed economico;
   l'insegnante titolare è affiancato da un consulente esperto qualificato che in orario curriculare propone attività didattiche diversificate per ciascuna classe;
   le attività sono finalizzate all'acquisizione delle competenze motorie e di stili di vita attivi, nel rispetto delle indicazioni ministeriali per il curricolo;
   l'educazione motoria diviene l'occasione per promuovere esperienze cognitive, sociali, culturali ed affettive;
   la proposta didattica, sempre da quanto si evince dal sito del CONI, è organizzata e realizzata secondo le indicazioni ministeriali per il curricolo, mediante una programmazione articolata in moduli che favoriscono il raggiungimento dei traguardi per lo sviluppo delle competenze attraverso un percorso che tiene in considerazione gli obiettivi di apprendimento indicati;
   l'alfabetizzazione motoria è stata attuata nella forma di progetto pilota dall'anno scolastico 2010-2011 su di un campione ristretto, interessando solo un piccolo numero di province;
   in data 4 dicembre 2013 è stato sottoscritto il nuovo protocollo d'intesa tra il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e CONI per l'avvio di uno nuova fase di realizzazione del progetto «alfabetizzazione motoria» nella scuola primaria;
   nel protocollo si fa cenno all'auspicio che gli enti territoriali possano partecipare finanziariamente per ampliare il progetto ad altri plessi;
   per l'anno scolastico 2013/2014 è stato previsto il coinvolgimento di 3061 plessi scolastici, per un totale di 15.305 classi e l'impiego di 150 tutor;
   le commissioni paritetiche regionali avrebbero dovuto valutare i progetti affidati ai «team operativi provinciali», di cui fanno parte il coordinatore territoriale di educazione fisica e sportiva ed il coordinatore tecnico del CONI, dando priorità ad istituzioni scolastiche situate in aree a rischio disagio sociale ed istituzioni che non hanno mai preso parte al progetto di alfabetizzazione motoria nell'ambito dell'accordo PCM – Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca – CONI (2009-2013);
   non si fa alcun accenno al trattamento economico spettante all'esperto, salvo un rimando alla stipula di un contratto di prestazione d'opera con il presidente del comitato regionale del CONI competente per territorio, a cui è demandata anche la definizione della retribuzione;
   in data 6 maggio 2014 il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Stefania Giannini, intervenuta nel salone d'onore alla presentazione del programma della nazionale femminile di pallacanestro in vista di Euro 2015, ha ufficializzato la copertura finanziaria del Governo a sostegno dei progetti CONI legati alla pratica sportiva nella scuola;
   in tal senso, ha affermato di aver siglato una convenzione con il presidente Malagò che riguarda il progetto CONI per lo sport a scuola, l'alfabetizzazione motoria e tutte le attività che servono a sensibilizzare –:
   quanti fondi siano stati stanziati complessivamente per il progetto, sia per l'anno in corso, che per i seguenti, dettagliando l'importo per singole istituzioni impegnate finanziariamente;
   quale sia l'obiettivo per i prossimi anni e se si stia lavorando al progetto di inserire gradualmente la figura del docente di educazione motoria, visto che in Italia, i bambini dai sei agli undici anni sono avviati allo sport nelle società sportive, contrariamente a quanto avviene negli altri Paesi europei dove invece lo sport viene praticato all'interno della scuola con i propri insegnanti;
   quali iniziative intenda attuare il Ministro per garantire i diritti dei lavoratori impegnati nel progetto ad oggi gravemente penalizzati. (5-02862)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LIUZZI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia spaziale italiana è un ente pubblico nazionale, fondato nel 1988, avente il compito di promuovere, sviluppare e diffondere la ricerca scientifica e tecnologica applicata al campo spaziale e aerospaziale nonché lo sviluppo di servizi innovativi, perseguendo obiettivi di eccellenza, coordinando e gestendo i progetti nazionali e la partecipazione italiana a progetti europei ed internazionali, nel quadro del coordinamento delle relazioni internazionali assicurato dal Ministero degli affari esteri, avendo attenzione al mantenimento della competitività del comparto industriale italiano;
   il decreto legislativo n. 128 del 2003 riguardante il riordino dell'ASI, prevede: «L'A.S.I. è ente pubblico nazionale con il compito di promuovere e, sviluppare e diffondere, attraverso attività di agenzia, la ricerca scientifica e tecnologica applicata al campo spaziale e aerospaziale...»;
   Cosmo-SkyMed (CSK) è una missione spaziale di grande rilevanza realizzata dall'ASI nel campo delle osservazioni della Terra e vede in orbita quattro satelliti equipaggiati con radar ad apertura sintetica (SAR);
   il sistema è stato realizzato dalla Thales Alenia Space (TASI) del gruppo FINMECCANICA ed è costato al contribuente italiano fino ad ora 1,2 miliardi di euro circa. La TASI è partecipata per i due terzi dalla ditta francese THALES e di conseguenza, potrebbe essere considerata a tutti gli effetti di proprietà non più nazionale ma straniera;
   il sistema è di tipo duale (di impiego civile e militare) e beneficia di un co-finanziamento minoritario da parte del Ministero della difesa. Tale sistema ha l'ambizione di coprire obiettivi operativo/applicativi e solo marginalmente ha visto il coinvolgimento e prodotto benefici per la comunità scientifica nazionale;
   la commercializzazione dei dati, delle immagini CSK e lo sviluppo di applicazioni è stata affidata ad e-GEOS, una ditta di Telespazio spa, anch'essa parte del gruppo TASI-Finmeccanica, partecipata al 25 per cento dalla stessa Agenzia spaziale italiana;
   tre anni fa è stato costituito dall'ASI presso il centro di geodesia spaziale di Matera il Centro di interpretazione dati delle osservazioni della Terra (CIDOT) sulla spinta di un accordo stipulato con la regione Basilicata. Fra gli obiettivi dell'accordo vi era l'impegno di creare un distretto industriale aero-spaziale costituito da aziende Finmeccanica e piccole e medie imprese sorte e sviluppatesi nel comprensorio appulo-lucano grazie al centro ASI di Matera, CIDOT/ASI;
   la procura della Repubblica di Roma ha aperto nel mese di febbraio 2014 un fascicolo di inchiesta su alcuni dirigenti dell'Agenzia, disponendo sette iscrizioni nel registro degli indagati per corruzione e concussione, tra le quali figura lo stesso presidente dell'ASI, Enrico Saggese che si è dimesso il 7 febbraio 2014 dalla carica di presidente e diversi suoi stretti collaboratori;
   gli elementi emersi dalle indagini della procura e trapelati da articoli di stampa (Il sole 24 ore del 25 febbraio, Il fatto quotidiano del 6 febbraio 2014) evidenziano un quadro grave e preoccupante per il buon nome dell'Agenzia spaziale italiana circa la sua professionalità e credibilità a livello europeo e nazionale;
   attualmente si sta pensando di realizzare una seconda generazione di satelliti CSK composto da soli due satelliti e dal costo complessivo dimezzato rispetto alla prima. Il CSK di II generazione sta partendo senza aver prima realmente verificato i reali impatti scientifici, sociali e commerciali del primo programma, né è chiaro il valore aggiunto tecnologico che introduce;
   viste le ristrettezze economiche, sta avvenendo che tutti i finanziamenti destinati all'ASI siano stati incentrati per finanziare TASI che dovrà realizzare CSK II generazione penalizzando tutte le altre attività strategiche spaziali di respiro nazionale ed internazionale nel settore delle scienze dell'universo e della fisica fondamentale (e.g. GMES eGALILEO) e dei lanciatori spaziali per le quali l'Agenzia spaziale europea (ESA) e l'Unione europea metteranno a disposizione ingenti finanziamenti nell'ambito del programma HORIZON 2020 –:
   se sia a conoscenza dei fatti sopra citati e se essi trovino conferma;
   se intenda intervenire per orientare l'ASI, in virtù del decreto legislativo n. 128 del 2003 e del suo stesso statuto (articolo 2.2, comma a)); affinché si «sviluppi attività di ricerca scientifica e tecnologica nel settore spaziale» al fine di rafforzare il ruolo ed i compiti istituzionali dell'ASI medesima;
   dati i fatti sopra citati e le indagini sulla dirigenza, se intenda assumere iniziative affinché l'ASI  svolga per ogni commissione esterna gare ad evidenza pubblica, compresa la commercializzazione dei dati;
   se ritenga opportuno assumere iniziative per l'istituzione di un collegio ispettivo al fine di accertare se i dati CSK, ritenuti sensibili, siano stati gestiti in modo trasparente da parte del CIDOT/ASI di Matera. (4-04897)


   CARDINALE e BURTONE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   a seguito del bando di trasferimento per il personale docente dell'anno 2014/2015, così come avvenuto per gli anni precedenti, l'ufficio scolastico provinciale di Palermo, a quanto consta agli interroganti, ritiene di non applicare le norme contenute nella legge n. 104 del 1992, in contrasto con il principio di inderogabilità che scaturisce da norma di legge sulla base della contrattazione collettiva integrativa che pone i beneficiari dell'articolo 21 della citata legge in terza battuta, dopo i perdenti posto nell'ambito della città e della provincia;
   l'articolo 21, comma 1, della legge n. 104 del 1992 recita testualmente: «la persona handicappata con un grado di invalidità superiore a 2/3 (...) assunta presso gli enti pubblici ha diritto di scelta prioritaria tra le sedi disponibili» e al comma 2 «i soggetti di cui al comma 1 hanno la precedenza in sede di trasferimento a domanda»;
   la violazione del principio di inderogabilità è sanzionata dall'ordinamento con la nullità della norma difforme, perché in contrasto con disposizione di legge come esplicitato da numerose sentenze;
   l'articolo 21 comma 2, è disposizione imperativa che non può essere stravolta da previsioni contrattuali e si configura quale lex specialis; quindi, il beneficiario ha un diritto soggettivo alla scelta del posto condizionato, solamente, all'esistenza del posto vacante nella sede di destinazione richiesta;
   i beneficiari della legge n. 104 del 1992, in sede di trasferimento, hanno la precedenza assoluta anche in contrasto con quanto dettato in sede di contrattazione collettiva integrativa;
   secondo gli interroganti una disposizione contenuta nel contratto collettivo integrativo e nello specifico riguardante il trasferimento del personale docente che contrasti con la legge n. 104 del 1992 non può annullare gli effetti che dovrebbe produrre una lex specialis ed in particolare, i benefici scaturenti dall'articolo 21 della citata legge –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare per ristabilire l'ordine nel rispetto e nell'applicazione corretta della norma contenuta nella legge n. 104 del 1992 considerato quanto stabilito, erroneamente, dalla contrattazione collettiva che regolamenta le fasi dei trasferimenti;
   quali iniziative intenda porre in essere nel più breve tempo possibile e prima della pubblicazione dei trasferimenti concessi;
   come si intenda operare per l'applicazione corretta delle disposizioni contenute nell'articolo 21 che concede, senza indugio, la precedenza assoluta e prioritaria nei trasferimenti a chi ha esibito certificazioni comprovanti i requisiti necessari;
   come si intenda procedere per ristabilire ordine e concedere ai beneficiari dell'articolo 21 i trasferimenti richiesti scaturenti da una specifica norma di legge che non lascia spazio ad alcuna interpretazione;
   quali iniziative si adotteranno, anche a seguito della pubblicazione dei trasferimenti autorizzati facenti parte della prima e seconda fase come disciplinato dal bando della contrattazione collettiva integrativa, per evitare contenziosi legali, posto che già numerose sentenze si sono pronunciate sulla nullità della norma del contratto collettivo integrativo in quanto contrastante con disposizione di legge.
(4-04900)


   GALATI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296 del 27 dicembre 2006) ha disposto la trasformazione delle graduatorie permanenti di cui all'articolo 1 del decreto-legge n. 97 del 7 aprile 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 143 del 2004, in graduatorie ad esaurimento;
   con decreto-legge n. 137 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 169 del 2008, è stata però prescritta l'iscrizione dei docenti in possesso di determinati requisiti, ed in particolare:
    a) che abbiano frequentato i corsi del IX ciclo presso le scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario (SSIS), o che abbiano frequentato i corsi biennali abilitanti di secondo livello ad indirizzo scolastico (COBASILD), attivati nell'anno accademico 2007/2008;
    b) che abbiano conseguito il titolo abilitante, alla predette graduatorie, con collocazione nella posizione spettante in base ai punteggi attribuiti ai titoli posseduti;
   la medesima disposizione (l'articolo 5-bis) ha previsto l'iscrizione, a domanda, nelle predette graduatorie, con collocazione nella posizione spettante in base ai punteggi attribuiti ai titoli posseduti, dei docenti che hanno frequentato il primo corso biennale di secondo livello finalizzato alla formazione dei docenti di educazione musicale, di determinate classi di concorso, oltre che ai docenti di strumento musicale nella scuola media di una determinata classe di concorso che abbiano conseguito la relativa abilitazione e di coloro che si sono iscritti al corso di laurea in scienze della formazione primaria ed ai corsi quadriennali di didattica della musica;
   con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 44 del 12 maggio 2011 è stato disposto un ulteriore aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento, escludendo gli abilitanti e gli abilitati che dal 2008 hanno frequentato i corsi attivati dal Ministero medesimo;
   tale previsione ha prodotto l'esclusione di una fascia di iscritti ai corsi universitari a numero chiuso pari a 15.000 unità di docenti (per le annualità 2008, 2009 e 2010) che sono di fatto esclusi dalla possibilità di accedere alle graduatorie;
   la questione è stata già affrontata in sede parlamentare, essendo stata oggetto di numerose sollecitazioni al Governo, nelle forme previste dai regolamenti (interrogazioni, emendamenti, ordini del giorno) ma sebbene in ambito ministeriale sia stato in passato dichiarato di aver preso atto della situazione e di voler intervenire al fine di rimuovere le iniquità e disparità di trattamento determinate, anche attraverso un intervento legislativo strutturale e diretto al riordino e razionalizzazione della disciplina, ad oggi la problematica rimane irrisolta e – secondo quanto risulta all'interrogante – le categorie di cittadini interessate da tale discrasia non dispongono di informazioni in merito allo stato di avanzamento dei processi di riforma legislativa che si è dichiarato di voler introdurre;
   si tratta di una mancanza di informazione che appare all'interrogante contraria ai principi di trasparenza e pubblicità che dovrebbero orientare l'azione amministrativa, in specie in presenza di anomalie provocate da una disciplina iniqua ed atta a produrre ingiuste disparità di trattamento tra soggetti appartenenti alle medesime categorie soggettive;
   il Governo in carica ha inoltre più volte dichiarato di voler avviare strategie politiche dirette alla valorizzazione e tutela del comparto scolastico, ragion per cui appare ancora più opportuna, anche per motivi di coerenza tra le mere dichiarazioni rese pubblicamente e la reale attuazione degli annunciati programmi di Governo, una celere soluzione di questa importante questione, produttrice di gravi disagi posti a carico delle categorie soggettive direttamente interessate dagli effetti negativi di tali interventi normativi –:
   quali siano le iniziative eventualmente già avviate, al fine di garantire parità di trattamento e pari possibilità di accesso alle graduatorie del personale docente a tutti i soggetti appartenenti alla categoria professionale interessata dalle anomalie prodotte dai processi nominativi sopraesposti;
   quali siano i tempi previsti per la presentazione in sede parlamentare delle iniziative normative atte a risolvere l'annosa questione. (4-04917)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dell'interno, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   il quotidiano Latina Oggi, sulla pagina web del 16 maggio 2014, riporta la notizia per cui nell'ambito del lavoro ortofrutticolo si registrerebbero «operai dopati» per sopportare il lavoro nei campi;
   sarebbe questo il risultato di uno sconcertante dossier realizzato dal sociologo Marco Omizzolo per l'associazione InMigrazione;
   sarebbero molti i Sikh costretti nelle campagne tra Latina, Sabaudia e Terracina ad assumere metanfetamine per resistere a oltre 15 ore di durissimo lavoro sotto le asfissianti serre chiuse e imbottite di pesticidi;
   i braccianti – per lo più di nazionalità indiana e molto numerosi nell'agro pontino – avrebbero spesso la tosse e dolori in varie parti del corpo per la posizione scorretta cui sono costretti a stare per molte ore;
   il quotidiano osserva altresì che i lavoratori fanno una fatica immensa per, pochi spiccioli e a fine giornata andrebbero via in bicicletta: qualcuno verrebbe rapinato, altri investiti dalle automobili;
   sempre secondo la cronaca di Latina Oggi, «chi torna a casa non sa più come andare avanti e così, al mattino, prende un ovetto di metanfetamine oppure bulbi di papavero essiccati. Sostanze, a quanto sembra, cedute agli operai dai caporali; per farli resistere, per farli lavorare – qualora fosse possibile – ancora di più. Le forze dell'ordine che operano nella zona, negli ultimi tempi, hanno sequestrato chili e chili di droga. Tutto, purtroppo, sembra confermare questo terribile sospetto»;
   la cronaca appena riportata fa riferimento a sequestri di droga che sarebbero avvenuti di recente;
   la zona del basso Lazio, purtroppo e da molti anni, è anche oggetto di documentate infiltrazioni della camorra, con speciale riguardo al mercato di Fondi –:
   se siano a conoscenza di quanto descritto in premessa;
   se risultino effettivamente indagini in corso su episodi di intermediazione illecita di manodopera o altre fattispecie penali relative allo sfruttamento del lavoro;
   se risultino altresì in corso indagini per traffico di stupefacenti, eventualmente connesse a inchieste per reati di criminalità organizzata.
(2-00547) «Bossa, Ginefra, Epifani, Colaninno, Grassi, Amato, Marzano, Mognato, Boccuzzi, Cardinale, Bruno Bossio, Albini, Paolucci, Ginoble, Garofani, Bindi, Tartaglione, Gnecchi, Lenzi, Malpezzi, Michele Bordo, Carbone, Vaccaro, Ghizzoni, Amendola, Giuliani, Greco, Rossomando, Benamati, De Maria, Gullo, Mariano».

Interrogazione a risposta scritta:


   GIORGIA MELONI, RAMPELLI, CIRIELLI, CORSARO, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Calabria sta vivendo una crisi dell'occupazione particolarmente significativa, con un'emorragia costante di posti di lavoro, che condanna la regione al record europeo di disoccupazione giovanile;
   i dati ufficiali dicono, infatti, che nella regione il 65 per cento dei giovani sotto i 25 anni non trova lavoro, contro la media nazionale del 26,2 per cento, ed europea del 17 per cento, che il tasso di disoccupazione femminile è al 41 per cento, mentre il dato relativo alla disoccupazione totale è pari al 17,3 per cento, con un incremento annuo di quasi il sei per cento;
   la regione Calabria detiene anche il triste record del lavoro nero e irregolare, che sfiora il ventotto per cento;
   la crisi economica ha colpito la Calabria in maniera più dura rispetto ad altre realtà regionali anche a causa delle particolarità del suo territorio, pesantemente infiltrato dalla criminalità, con un tessuto occupazionale più debole, e con una finanza regionale dissestata;
   a questi elementi si aggiunge un tasso di abbandono scolastico particolarmente elevato, che si attesta quasi al nove per cento dei bambini e ragazzi in età scolare;
   le risorse destinate dallo Stato e dall'Unione europea al contrasto della disoccupazione nella regione devono essere soggette ad un attento monitoraggio, al fine di verificare che esse siano effettivamente impiegate per i fini previsti e non siano disperse;
   occorre, inoltre, valorizzare le risorse naturali della regione, impedendo la cementificazione selvaggia delle coste, al fine di rilanciare il turismo e la produzione ed il commercio dei prodotti tipici –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di garantire il rilancio occupazionale della regione.
(4-04901)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO, PIAZZONI e NICCHI. — Al Ministro della salute. — Per sapere, premesso che:
   tutti i farmaci, per essere immessi in commercio, necessitano che sia loro attribuito un prezzo ed una classe di rimborsabilità, con cui si stabilisce se il farmaco è a carico del servizio sanitario nazionale (medicinale di classe A e H) o del cittadino (medicinale classe C);
   la classe di rimborsabilità viene individuata durante la procedura di autorizzazione all'immissione in commercio;
   per i medicinali rimborsati dal servizio sanitario nazionale (classe A e H) i prezzi sono determinati mediante contrattazione tra AIFA e aziende farmaceutiche, secondo le modalità e i criteri indicati nella deliberazione CIPE del 1o febbraio 2001, n. 3 («Individuazione dei criteri per la contrattazione del prezzo dei farmaci»);
   per i farmaci senza obbligo di prescrizione (SOP) il prezzo è stabilito liberamente dall'azienda farmaceutica produttrice;
   per questi farmaci l'AIFA vigila affinché si rispettino le seguenti condizioni: il prezzo del medicinale non può essere aumentato che negli anni dispari (quindi ogni due anni) e l'incremento non può superare l'inflazione programmata;
   il prezzo al pubblico di un farmaco, comprensivo di I.V.A., include il valore ex factory (prezzo ricavo industria) e le quote di spettanza del grossista e del farmacista;
   tale metodologia di regolazione dei prezzi dei farmaci lascia, proprio relativamente a quei medicinali il cui costo ricade pienamente sulle spalle della cittadinanza, la possibilità per le aziende farmaceutiche di stabilirne il prezzo senza limitazioni serie e sufficienti;
   questa situazione porta ad eccessi clamorosi, cosa che emerge notevolmente si confrontano i prezzi dei farmaci nelle regioni italiane con il loro costo nel resto d'Europa;
   per fare un esempio l’«Aerius», antistaminico molto usato anche per la cura di bambini, viene venduto in Campania (regione in cui, anche a causa del drammatico inquinamento sono in esponenziale aumento le patologie allergiche) in boccette da 100 millilitri al costo di 15,95 euro ed è stato tolto dall'elenco delle medicine prescrivibili, quindi non è rimborsabile, mentre a Parigi, capitale francese, è disponibile in confezioni da 150 millilitri a 6,21 euro;
   ciò significa che mentre in Campania l’«Aerius» costa 0,15 euro al millilitro, in Francia è acquistabile a 0,04: in pratica nella terra dei fuochi questo antistaminico costa quattro volte più che a Parigi;
   eppure non risulta che il livello di salari tra Francia ed Italia sia dello stesso livello, né che vi sia la stessa qualità ed efficienza nel servizio sanitario nazionale di entrambi i Paesi;
   questa differenza di prezzi è abissale ed ingiustificabile, considerato che si tratta di un prodotto distribuito dalla stessa casa farmaceutica in tutta Europa –:
   se il Ministro sia consapevole della situazione;
   se non ritenga doveroso ed urgente assumere immediatamente iniziative per la ridefinizione delle modalità di regolazione dei prezzi dei farmaci di classe C, al fine di eliminare eccessi così gravi ed evidenti.   (4-04906)


   DAGA, BUSTO, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, SEGONI, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da parecchi decenni le acque minerali naturali vengono utilizzate al posto delle acque di rubinetto perché, grazie alla pubblicità martellante dei mezzi di comunicazione di massa, nell'immaginario collettivo sono considerate più controllate e quindi più sicure: in altri termini migliori delle acque di rubinetto;
   l'articolo 1 del decreto legislativo n. 105 del 1992, legge che regolamentava le acque minerali fino al 2011, diventato articolo 2 del decreto legislativo n. 176 del 2011, che le regolamenta oggi, definisce le caratteristiche per le quali un'acqua si considera «minerale»;
   a differenza di un'acqua potabile che per definizione può essere bevuta senza causare danni alla salute; un'acqua minerale per definizione ha caratteristiche igieniche particolari e proprietà favorevoli alla salute. In altri termini le acque minerali sono da considerarsi delle acque terapeutiche. Infatti, prima con l'articolo 5 del decreto ministeriale n. 542 del 1992 ed ora con l'articolo 1 del decreto ministeriale 29 dicembre 2003, per una serie di sostanze saline non si impone nessun limite;
   questa condizione fa sì che ogni acqua minerale andrebbe bevuta da alcune soggetti e non da altri; ogni acqua minerale dovrebbe essere bevuta secondo la patologia che si vuole curare;
   è possibile fare l'esempio del sodio, un elemento controindicato per gli ipertesi. Le acque di rubinetto, proprio perché potabili cioè bevibili da qualsiasi soggetto senza controindicazioni, non possono contenere il sodio in concentrazione superiore a 200 mg/l (decreto legislativo n. 31 del 2001 allegato 1 parte c). Per le acque minerali prima con l'articolo 5 del decreto ministeriale n. 542 del 1992 ed ora con l'articolo 1 del decreto ministeriale 29 dicembre 2003 non c’è nessun limite per tale concentrazione. Un iperteso può bere inconsapevolmente un'acqua minerale ricca di sodio dannosa per la sua salute perché sulle etichette non sono indicate le eventuali controindicazioni nel bere quel tipo di acqua minerale;
   con il decreto ministeriale 29 dicembre 2003 in attuazione della direttiva 2003/40/CE della Commissione, sembrò che i limiti per una serie di sostanze tossiche elencate nel decreto ministeriale 542 e sue modifiche diventassero più rigorosi eguagliando i limiti validi per le acque di rubinetto a tutto vantaggio dei cittadini. Ma purtroppo non è così, perché anche se nominalmente il valore di concentrazione limite di una sostanza tossica è lo stesso sia per le acque di rubinetto che per quelle minerali, per le minerali e solo per queste è valida la circolare n. 19 del 12 maggio 1993;
   il decreto legislativo n. 176 del 2011, all'articolo 12, comma 1, lettera c), recita testualmente che sulle etichette fra le altre cose si deve mettere «l'indicazione della composizione analitica, risultante dalle analisi effettuate, con i componenti caratteristici»;
   la Commissione europea avviò una procedura di infrazione nei confronti dello Stato italiano, procedura che portò il Ministro della salute pro tempore dott. Veronesi ad emanare il decreto ministeriale 31 maggio 2001, con cui si abbassarono tutti i limiti massimi ammissibili delle sostanze tossiche/cancerogene eventualmente presenti nelle acque minerali ed elencate nell'articolo 6 del decreto ministeriale n. 542 del 1992;
   il Ministro pro tempore Veronesi, conformemente a quanto prevedeva il citato decreto legislativo n. 105 del 1992, stabilì che un'acqua per essere considerata minerale doveva essere pura e priva di inquinamento antropico; perciò col decreto ministeriale 31 maggio 2001 formalizzò che tutte le sostanze tossiche/cancerogene di origine antropica dovevano essere assenti al limite di rilevabilità del metodo secondo i metodi pubblicati nell'ultima edizione degli «Standard methods for the examination of water and wastewater dell'American Public Health Association». In altri termini un'acqua per essere considerata minerale doveva essere esente da inquinamento antropico (pesticidi, tensioattivi e altro);
   con l'entrata in vigore del citato decreto a molte sorgenti di acque minerali venne ritirato il permesso di commercializzarle perché fuori legge, ed alcune sorgenti restituirono la concessione di acque minerali chiedendo di pari passo la concessione alla commercializzazione delle stesse come acqua di sorgente, una tipologia di acqua potabile, non più terapeutica, sottoposta a meno restrizioni legislative, che poteva essere trattata al meglio al fine di riportare i parametri nei limiti della potabilità;
   tutto stava ritornando nei giusti alvei, con la differenziazione in quantità ed uso fra acque terapeutiche (minerali) e acque potabili o di sorgente, fino a quando, col decreto ministeriale 29 dicembre 2003, di modifica del decreto ministeriale 12 novembre 1992, n. 542, si reintrodusse la possibilità che nelle acque minerali vi potessero essere in certe concentrazioni sostanze tossiche/cancerogene di origine antropica;
   nel decreto ministeriale 29 dicembre 2003 sono stati indicati, per le sostanze tossiche/cancerogene eventualmente presenti nelle acque minerali, come concentrazioni massime ammissibili i valori dei livelli di quantificazione (level of quantitation – LOQ) che sono dieci volte superiori ai corrispondenti valori dei livelli di rilevamento dello strumento, livelli, quest'ultimi, da utilizzare secondo il decreto ministeriale 31 maggio 2001 (instrument detection level – IDL – che servono per rilevare la presenza o meno delle sostanze in esame con l'eliminazione di tutti i rumori di fondo dello strumento);
   la differenza fra livello di rilevamento strumentale (IDL) e livello di quantificazione (LOQ) è che il primo serve per rilevare qualitativamente la presenza della sostanze ricercata e il secondo indica il valore minimo dell'intervallo di concentrazione nel quale il metodo di analisi quantitativa scelto è applicabile;
   per esempio gli agenti tensioattivi, sostanze tossiche di origine antropica, che secondo il decreto ministeriale 29 dicembre 2003 devono avere il limite minimo di rendimento richiesto ai metodi analitici – LMRR – (è il contenuto minimo in un campione che deve essere rilevato e confermato) pari a 50 microgrammi/litro (come LAS). Considerando che lo Standard Methods, per agenti tensioattivi, ha come concentrazione minima di rilevazione analitica quantitativa 25 microgrammi/litro, e secondo l'IRSA (Istituto di ricerca sulle acque) tecnicamente (utilizzando celle con cammino ottico di 5 centimetri) si può arrivare ad una concentrazione minima di rilevazione analitica quantitativa pari a 5 microgrammi/litro, si capisce bene che il valore di 50 microgrammi litro non è certo il valore di rilevamento strumentale (IDL) per un'analisi qualitativa che riveli o meno la presenza della sostanza, ma si trova abbondantemente dentro l'intervallo di concentrazione per la determinazione quantitativa dei tensioattivi. Quindi, il valore di 50 microgrammi/l indicato per gli agenti tensioattivi dal decreto ministeriale 29 dicembre 2003 non è certo il valore di rilevamento strumentale, al di sotto del quale non si ha la sicurezza della presenza o meno di tensioattivi nell'acqua minerale, ma è un valore abbondantemente dentro l'intervallo di concentrazione per la sua determinazione analitica; e tutto questo senza considerare la tolleranza del +/- 75 per cento che può essere applicata dall'analista sempre ai sensi della circolare 19 del maggio 1993;
   ad avviso degli interroganti dall'ottobre 2011 le etichette delle acque minerali avrebbero dovuto cambiare dicitura invece di continuare ad attenersi alla circolare n. 19 del 1993 che, ad oggi, non ha più ragione di essere –:
   se non ritenga opportuno informare i cittadini sulle effettive caratteristiche dell'acqua minerale – che la normativa non inserisce tra le «acque potabili», ma nella più ampia categoria di acque destinate all'uso umano – e provvedere affinché per ogni tipo di acqua minerale sulle etichette siano esplicitate le eventuali controindicazioni;
   se non ritenga che le acque minerali vadano chiaramente definite non come potabili, ma come terapeutiche, visto che possono contenere sostanze tossico/cancerogene in concentrazioni superiori a quanto ammesso nelle acque di rubinetto;
   se non intenda, alla luce della scarsa trasparenza delle informazioni contenute nelle etichette delle acque minerali, dare piena applicazione al decreto legislativo n. 176 del 2011, di attuazione della direttiva 2009/54/CE, sull'utilizzazione e la commercializzazione delle acque minerali naturali. (4-04914)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanze:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro degli affari esteri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   ad oggi, una moltitudine di piccole e medie imprese italiane versa in una situazione di gravissimo disagio finanziario, a causa del mancato pagamento di crediti maturati a vario titolo, in Libia per forniture di beni e servizi effettuate nei confronti di amministrazioni ed enti libici; al riguardo, sussistono due flussi di crediti rimasti insoluti, ossia quelli conseguenti alla sospensione dei pagamenti da parte della Libia con l'approvazione dell'embargo entrato in vigore il 5 aprile 1992, ratificato anche dal Governo italiano, nonché quelli antecedenti alla crisi politico-istituzionale che ha colpito la Libia nel febbraio 2011;
   per quanto concerne il primo flusso di crediti, ossia quelli sorti in periodo precedente al 1992, si rileva che, nell'anno 2002, è stata istituita una commissione mista italo-libica, formata da rappresentanti della Banca Ubae e da funzionari del Ministero delle finanze libico, incaricata di verificare e certificare tali crediti delle società italiane;
   nel mese di novembre dello stesso anno, le imprese hanno consegnato la documentazione comprovante i crediti, affinché la commissione Ubae predetta potesse effettuarne l'accertamento; nel mese di febbraio 2003, alla presenza del Ministro degli affari esteri, dei rappresentanti dell'Ubae, del Ministero del tesoro libico e dell'Ali (Associazione libico italiana) sono stati illustrati i risultati raggiunti dalla procedura di verifica dei crediti;
   nel mese di aprile 2003, è stato richiesto agli enti libici di confermare i crediti esaminati, nonché di comunicare eventuali posizioni debitorie delle aziende italiane nei confronti degli enti libici medesimi, al fine di valutare la possibilità di eventuali compensazioni, ma, sebbene siano pervenute le dichiarazioni di riconoscimento di debito da parte degli enti libici, il contenzioso è rimasto irrisolto in quanto le promesse di pagamento avanzate non hanno avuto alcun seguito; nell'agosto del 2008, è stato siglato il noto Trattato di amicizia tra l'Italia e la Libia, poi recepito con legge dello Stato italiano, ma, inspiegabilmente, con lo stesso non è stato previsto un accordo risolutorio della questione relativa al pagamento dei crediti delle imprese italiane; nel tempo, alcuni crediti sono stati estinti attraverso delle transazioni, sia direttamente che indirettamente, mediante indennizzi del Sace e, peraltro, è stata a suo tempo avanzata una proposta delle autorità libiche di transigere definitivamente il contenzioso in oggetto attraverso un pagamento parziale al Governo italiano, il quale, tuttavia, non ritenne di doversi surrogare alle imprese creditrici per il timore di dovere fronteggiare richieste giudiziali di risarcimento danni da parte di alcune società non aderenti all'accordo transattivo;
   è stato allestito un tavolo tra i due Paesi per la risoluzione finale dei crediti pregressi, che ha comportato anche la visita di una missione libica in Italia, alla quale doveva ripetersi un ulteriore e definitivo incontro a Tripoli, tuttavia, quest'ultimo in seguito non è stato più convocato dalle autorità libiche;
   attualmente, dedotti i crediti estinti, sono circa sessanta le imprese che non hanno ancora ottenuto la liquidazione dei crediti sorti in periodo precedente all'embargo del 1992, per un importo complessivo di circa 350.000.000 di euro, rispetto al recupero dei quali l'intervento della recente crisi politico istituzionale libica ha interrotto le trattative pendenti;
   come già premesso, tale crisi che ha colpito la Libia nel febbraio 2011, oltre ad avere arrestato le trattative in corso per la riscossione dei crediti precedenti al 1992, ha determinato il blocco dei pagamenti anche di un secondo flusso di crediti, mettendo in grave difficoltà circa 132 imprese italiane che hanno operato per amministrazioni ed enti libici;
   a riguardo di queste imprese presenti in Libia, solo due erano assicurate con SACE, posto che, tutte le altre imprese operavano nella convinzione di essere tutelate dal Trattato di amicizia tra Italia e Libia per quanto concerne il rispetto dei reciproci patti;
   sebbene non sia stato possibile acquisire i crediti legittimamente maturati, gli stessi sono stati già iscritti a bilancio per l'adempimento degli obblighi civilistici e fiscali, pertanto, di fronte alla grave crisi economico-finanziaria, il danno alle imprese coinvolte è aggravato dall'impossibilità di dar corso al pagamento delle imposte, con il rischio di vedersi irrogare sanzioni anche di tipo penale; per un importo complessivo di circa 650.000.000 di euro, attualmente, sono circa cento le imprese che devono ancora riscuotere i propri crediti antecedenti alla crisi del 2011, dei quali il Ministro degli affari esteri è in possesso della documentazione giustificativa ottenuta con due censimenti effettuati, rispettivamente, degli anni 2011 e 2012;
   nel mese di aprile del 2011, la III Commissione (Affari esteri) ha approvato una risoluzione relativa ai problemi delle imprese che operavano nei Paesi del Mediterraneo in crisi, e, successivamente, nel maggio 2011, è stata presentata una proposta di legge, la n. 4394, non esaminata, a tutela delle imprese italiane coinvolte nella crisi socio-politica sviluppatasi in Libia, Tunisia ed Egitto; il 2 agosto 2011, sono stati presentati quattro ordini del giorno (Compagnon, UdC – 4551-19; Gidoni, LN – 4551-1; Gottardo, PdL – 4551-20; Rosato, PD – 4551-23) relativi ai crediti maturati ed alla sospensione delle imposte, accettati dal Governo Berlusconi ma che non risulta siano stati attuati;
   al Parlamento europeo, le risposte ad alcune interrogazioni (Angelilli, Cancian ed altri E-008353/2011 risposta 14 novembre 2011; Serracchiani E-007827/2011 risposta del 25 ottobre 2011; Oreste Rossi risposta del 4 gennaio 2012) presentate al Consiglio europeo affermavano la possibilità di autorizzare la liquidazione dei crediti maturati mediante l'impiego dei fondi libici congelati, in particolare, a quelle imprese che operavano con enti pubblici o ad essi equiparabili; il Governo Monti ha accettato l'ordine del giorno presentato il 16 dicembre 2011 (Gidoni 9/4829-A/194) e non ancora attuato, con il quale veniva impegnato «ad avvalersi della facoltà prevista dal citato articolo 9 della citata legge n. 212 del 2000 che autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze a differire con proprio decreto i termini per il pagamento dei tributi (...)», nonché «a valutare l'opportunità di concedere indennizzi o anticipi sui crediti maturati in Libia, per la quota non riconosciuta da coperture assicurative, a favore delle imprese italiane, sia persone fisiche sia persone giuridiche, che dimostrino, mediante idonea documentazione, di essere state operanti in Libia alla data del 17 febbraio 2011»;
   per quanto concerne i crediti connessi agli eventi rivoluzionari del 2011, negli ultimi mesi del medesimo anno, su forti e continue pressioni da parte della Confindustria, Assafrica e della Camera di Commercio italolibica, è stato istituito un tavolo presso la Farnesina al quale parteciparono, oltre a tali soggetti, banca Ubae, Unicredit, e i rappresentanti dei Ministeri delle finanze, dello sviluppo economico e degli affari esteri;
   nella predetta sede, si svolsero due riunioni durante le quali la Camera di commercio italo-libica propose la costituzione di un fondo di garanzia a tutela delle imprese coinvolte, iniziativa che avrebbe evitato il tracollo di alcune aziende (eventi in seguito accaduti); tale richiesta nacque per contrastare le manifeste e forti resistenze del Ministero dell'economia e finanze rispetto alla adozione di temporanei strumenti di sospensione degli oneri fiscali e contributivi, proposta con l'intento di alleviare la situazione delle imprese coinvolte sino alla concreta liquidazione dei crediti;
   sebbene si raggiunse un accordo volto a dare seguito alla costituzione del fondo, vista anche la disponibilità da parte del sistema bancario presente a supportare detta iniziativa, il Ministero degli affari esteri, successivamente, non si è più adoperato per raggiungere tale obiettivo; nel mese di gennaio 2012, è stata sottoscritta la dichiarazione di Tripoli dall'allora Presidente del Consiglio dei ministri, Mario Monti, e il Capo del Governo provvisorio libico Abdel Rahim Al Kib, con l'obiettivo di determinare una nuova concezione dei rapporti rispetto al trattato di amicizia firmato nel 2008 e, da un punto di vista operativo, ha definito un accordo – seppure labile – fra i due Governi sul recupero dei crediti legittimi fra i rispettivi enti e imprese;
   in data 2 febbraio 2012, ha avuto risposta un'interpellanza parlamentare urgente (Gottardo – 2-01336) da parte di Staffan de Mistura, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri, il quale ha confermato che i fondi libici congelati sono stati sbloccati a seguito della fine del conflitto e, di conseguenza, non sarebbero stati più disponibili per far fronte al risarcimento delle imprese; ad ogni modo, il Sottosegretario di Stato, in riscontro alla predetta interpellanza, dava conto dell'impegno del Governo a risolvere, in brevi tempi, le questioni della riscossione dei crediti e della sospensione delle imposte;
   nel tempo, si sono susseguite ulteriori azioni con l'obiettivo di indurre il Governo ad adottare concreti provvedimenti per una definitiva risoluzione della questione, ma, ad oggi, le imprese risultano di fatto «abbandonate» e molte di queste non hanno ancora ottenuto la certificazione dei legittimi crediti maturati e la sospensione delle imposte in applicazione dell'articolo 9 della legge 27 luglio 2000, n. 212;
   la Camera di commercio italo-libica è da sempre impegnata per favorire una soluzione delle complesse problematiche, procedurali e finanziarie, per la liquidazione dei crediti delle imprese italiane maturati in Libia, sia quelli precedenti all'embargo del 1992 che alla crisi politico-istituzionale del 2011, tuttavia, tali sforzi sono risultati vani di fronte all'immobilità delle istituzioni; è urgente ed improrogabile il concreto supporto alle società che hanno operato in Libia, anche considerando che si tratta di piccole e medie imprese che sono un fondamentale patrimonio per lo sviluppo economico dell'Italia, posto che hanno investito risorse finanziarie ed umane per creare nuovi orizzonti produttivi, economici ed imprenditoriali;
   è indispensabile consentire alle stesse il rilancio della propria produttività, al fine di salvaguardare i livelli occupazionali e mantenere le attività lavorative, nonché i connessi contratti che erano in corso, allontanando il rischio di essere sostituite da società straniere pronte ad approfittare della crisi finanziaria in cui versano ingiustamente tali realtà;
   negli ultimi anni, già molte di tali imprese sono fallite a causa della sofferenza finanziaria e dei danni economici patiti, pertanto, non si può rischiare l'estinzione di ulteriori realtà imprenditoriali, indispensabili per il nostro Paese poiché strategiche per uscire dalla attuale crisi economica; si ritiene inaccettabile che i Governi che si sono succeduti, nonostante gli impegni assunti, non si siano adoperati concretamente per sostenere le imprese creditrici, che non solo non hanno ottenuto la soddisfazione delle legittime pretese creditorie, ma neanche delle agevolazioni efficaci, tali da consentire alle stesse di potere resistere alle gravi difficoltà economiche sino alla riscossione delle somme dovute;
   è indispensabile che il Governo italiano proceda alla certificazione dei crediti non ancora vidimati e promuova una trattativa dura ed efficace con le competenti autorità libiche, per indurle a saldare i debiti pregressi, costituendo all'uopo un fondo le cui risorse economiche siano attribuite alle imprese italiane operanti in Libia a soddisfazione dei crediti accertati, consentendo alle stesse di sottrarsi al fallimento e riprendere le attività che avevano in corso nel territorio libico –:
   se e quali, immediate e definitive, iniziative intendano adottare i Ministri interpellati, per quanto di loro competenza, per ottenere la liquidazione dei crediti maturati dalle imprese operanti in Libia e che hanno presentati la relativa documentazione comprovante il titolo;
   se e quali iniziative intendano intraprendere i Ministri per costituire, nuovamente, un tavolo di concertazione tra gli stessi (Ministro dello sviluppo economico, il Ministro degli affari esteri e il Ministro dell'economia e finanze), nonché i competenti enti di rappresentanza, quali camera di commercio italo-libica, Confindustria e Assafrica, al fine di raggiungere un'intesa per la risoluzione del contenzioso in questione e per l'immediata istituzione di un fondo patrimoniale destinato a liquidare i crediti maturati dalle imprese italiane in Libia;
   se e quali urgenti iniziative, anche normative, intendano adottare i Ministri, al fine di disporre la sospensione delle imposte, prevedendo la posticipazione delle scadenze ad una data successiva alla liquidazione dei crediti maturati in Libia.
(2-00545) «Rizzetto, Prodani, Bechis, Baldassarre, Rostellato, Cominardi, Chimienti, Grande, Pinna, Mucci, Gigli, Tripiedi».


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   in data 10 aprile 2014, sulla rivista scientifica specializzata Science, in un articolo a firma di Edwin Cartlidge, si sono messi in evidenza i risultati della relazione della commissione tecnico-scientifica ICHESE (International Commission on Hydrocarbon Exploratlon and Seismicity in the Emilia Region) – istituita dal dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri su richiesta del presidente della regione Emilia – con il compito di valutare i possibili collegamenti tra la produzione di idrocarburi ed i terremoti del 20 e 29 maggio 2012. Dopo le indiscrezioni della rivista americana, la regione ha pubblicato, per intero, la relazione della commissione ICHESE sul terremoto ed ha disposto «la sospensione in tutta l'Emilia-Romagna di qualsiasi nuova attività di ricerca e coltivazione» di idrocarburi, come era stato già fatto nel «cratere» del sisma;
   la commissione internazionale ICHESE ha avviato i lavori nel maggio 2013 ed ha consegnato il rapporto al dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri il 13 febbraio 2014. Il 17 febbraio 2014 il dipartimento ha trasmesso il rapporto alla regione e, nella relazione conclusiva, si legge come: «...non si può escludere che le attività estrattive effettuate nel giacimento in località Cavone di Mirandola (Modena) possano avere innescato il sisma del 20 maggio 2012, il cui epicentro si trova a 20 chilometri di distanza, anche in relazione all'incremento delle attività estrattive nel pozzo a partire dall'aprile 2011. Variazioni di sforzi e pressioni all'interno della crosta terrestre, dovute sia all'estrazione di greggio che all'iniezione di fluidi pressurizzati per facilitarne l'uscita, possono non essere stati sufficienti a produrre un terremoto così violento, ma è possibile che la faglia responsabile dell'evento del 20 maggio 2012 si trovasse già vicina al punto di scivolamento, e che le variazioni prodotte dall'uomo nella crosta, benché estremamente piccole, siano state sufficienti per “innescare” il terremoto». A sua volta il sisma avrebbe prodotto le variazioni di stress che hanno poi innescato l'evento del 29 maggio 2014. Secondo tale commissione, composta da geologi italiani ed esteri, i «terremoti mortali che hanno colpito il Nord Italia nel 2012 potrebbero essere stati scatenati dall'estrazione di petrolio in un giacimento locale»;
   in data 18 aprile 2014 dal sito de Il Fatto Quotidiano in un articolo a firma di Annalisa Dall'Oca si rilevava come il giornalista di Science abbia ricevuto «pressioni per non pubblicare il rapporto» ed anche per non far pubblicare l'articolo, oltre a tentativi tendenti a screditare l'operato degli scienziati. Il giornalista della rivista americana Science, Edwin Cartlidge, è l'autore dell'articolo «Human Activity May Have Triggered Fatal Italian Earthquakes» (l'attività umana può aver scatenato il fatale terremoto italiano). Ed è lui a spiegare a «ilfattoquotidiano.it», di aver ricevuto richieste («Non dalle istituzioni politiche») di non procedere con la pubblicazione: «Mi sono sembrate argomentazioni sbagliate e ho pensato che l'argomento fosse di pubblico interesse. Per questo abbiamo deciso di andare avanti». Il rapporto della commissione ICHESE, anticipato dal febbraio 2014, era stato depositato sulle scrivanie della regione Emilia Romagna, ma è stato reso pubblico solo dopo l'articolo della rivista americana, considerata una delle più autorevoli nel mondo scientifico (insieme a Nature). Al giornalista è stato anche chiesto: «Le è capitato di occuparsi di casi simili a quello dell'Emilia Romagna ? E rispetto ad altri paesi, ritiene che in Italia prevalga la logica della prevenzione o quella del profitto ?» La sua risposta è stata che: «Già in passato si sono verificati terremoti che la scienza ha correlato all'attività umana, ad esempio legati alla costruzione di dighe, o all'attività mineraria. Per quanto riguarda gli idrocarburi, so che c’è stato un caso in Unione Sovietica, dove l'estrazione di gas e petrolio generò scosse sismiche molto forti, tanto da provocare una vittima. Se fosse provato che le attività di Cavone hanno causato i terremoti dell'Emilia, sarebbe molto grave, perché in questo caso i morti sono 27, quindi rappresenterebbe un precedente a livello internazionale. Per saperlo è necessario attendere l'opinione degli esperti. Guardando all'Italia è difficile dire se prevalga la logica della prevenzione o quella del profitto, certo a volte sembra che la prevenzione non sia una priorità, che gli italiani abbiano difficoltà ad applicare il principio di precauzione. Se questo sia avvenuto anche in relazione ai fenomeni sismici del maggio 2012 non posso dirlo, sicuramente il rapporto della commissione ICHESE è destinato a cambiare un po’ la situazione. Quindi forse questo significa che prima del 2012 non si prestava abbastanza attenzione a questo tema»;
   a seguito degli esiti dei lavori della commissione ICHESE è stato istituito il 27 febbraio 2014 presso il CIRM (Commissione per gli idrocarburi e le risorse minerarie del Ministero dello sviluppo economico), un nuovo gruppo di lavoro «per la definizione di indirizzi e linee guida per il monitoraggio della microsismicità, delle deformazioni del suolo e nella pressione di poro nell'ambito delle attività antropiche»;
   in data 15 aprile l'agenzia stampa ANSA batteva la seguente notizia: «La Regione ha deciso di estendere, sino all'acquisizione dei risultati delle azioni, la sospensione in tutta l'Emilia Romagna di qualsiasi nuova attività di ricerca e coltivazione come abbiamo fatto sin qui nel cratere». È una delle decisioni contenute nella relazione con cui l'assessore alla protezione civile Paola Gazzolo, ha illustrato all'assemblea legislativa il «rapporto Ichese» della commissione istituita per valutare possibili relazioni tra esplorazione per idrocarburi e sismicità. Alla luce di questa notizia il comitato dei cittadini «No Triv» per il Mar Mediterraneo ha invitato altre regioni, dove si è in presenza di attività di trivellazione sul proprio territorio, affinché si riuniscano immediatamente e votino una moratoria uguale a quella della regione Emilia: la tutela dell'ambiente deve essere garantita da tutti gli enti pubblici mediante una adeguata azione preventiva e della correzione, in via prioritaria, alla fonte»;
   il principio di precauzione, contenuto nel trattato sull'Unione europea (TUE), sancito il 7 febbraio del 1992 e ratificato a Maastricht, al Titolo XVI articolo 130 introduca l'importante concetto del «principio di precauzione», poi ripreso dall'articolo 174, comma 2, della versione consolidata del trattato e viene recepito «ufficialmente» dal legislatore italiano con l'approvazione del «codice dell'ambiente» (decreto legislativo n. 152 del 2006) e, precisamente attraverso l'articolo 301, recita: «In applicazione del principio di precauzione del Trattato CE, in caso di pericoli, anche solo potenziali, per la salute umana e per l'ambiente, deve essere assicurato un alto livello di protezione». Il concetto viene ulteriormente ribadito e sviscerato attraverso l'articolo 3-ter del decreto legislativo n. 4 del 2008 (integrativo del decreto legislativo n. 152 del 2006): «La tutela dell'ambiente e degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche o private, mediante una adeguata azione che sia impostata ai principi della precauzione e dell'azione preventiva». La Rete nazionale no geotermia elettrica speculativa e inquinante con una nota al Governo datata 28 aprile 2014 reitera con più forza la richiesta di un provvedimento di moratoria sospensivo di tutte le procedure in atto relative a permessi di sfruttamento geotermico sia di tipo binario (in modo specifico quelli definiti «pilota» in quanto autorizzati sulla base di conoscenze di bibliografia; con iter amministrativi semplificati; con incentivi doppi rispetto agli altri impianti binari), che utilizzanti tecnologia «flash» come quella per gli impianti di ENEL Green Power dell'Amiata –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti e quali iniziative intendano intraprendere;
   se non reputino opportuno, in attesa che siano noti gli esiti dell'attività del suddetto gruppo di lavoro Cirm, assumere iniziative per un provvedimento di moratoria sospensivo di tutte le procedure in atto relative a permessi di trivellazione sia relativi ad impianti petroliferi, che di gas, che di sfruttamento geotermico sia di tipo binario che utilizzanti tecnologia «flash» come quella per gli impianti di ENEL Green Power in Amiata;
   se non ritengano, sulla base delle determinazioni elaborate dal gruppo di lavoro Cirm istituito il 27 febbraio 2014, presso il Ministero dello sviluppo economico, di promuovere una nuova normativa nazionale per le attività di trivellazione nel sottosuolo, ivi compresa l'attività geotermica di cui al decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22 e al decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 e successive modificazioni e integrazioni;
   se non reputino opportuno fare proprie le richieste proposte dalle associazioni e dai comitati locali, come la Rete nazionale no geotermia elettrica ed il comitato No Triv;
   se non ritengano opportuno in ogni caso assumere iniziative per rivedere le modificazioni apportate al decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, che ha disposto, per gli impianti geotermici pilota di cui all'articolo 1, comma 3-bis, del decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22, l'esclusione dall'applicazione del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 (di recepimento della cosiddetta «direttiva Seveso» dell'Unione europea), concernente il controllo dei rischi da incidente rilevante che coinvolgano sostanze pericolose;
   se non ritengano necessario assumere iniziative ormai non più procrastinabili di riduzione/annullamento degli eccessivi incentivi alla geotermia elettrica di cui al decreto ministeriale 6 luglio 2012, allo scopo di «ripensare l'economicità del piano geotermico varato dal Governo Berlusconi, valutando le criticità e gli impatti delle varie tecnologie ed adeguando la normativa in modo conseguente, vagliando l'opportunità di mappare il territorio nazionale e decidendo le zone di esclusione dove gli impianti geotermici presentano rischi eccessivi o comunque si presentano fortemente impattanti e quindi non sostenibili, anche in riferimento alle già esistenti economie dei territori, come Alfina umbro-laziale e Val d'Orcia toscana, per fare due esempi, che stanno sollevando allarme nella pubblica opinione.
(2-00548) «Zaccagnini».

Interrogazione a risposta orale:


   RIZZETTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso che l'Enel ha inviato ai propri clienti, che hanno fatto richiesta di connessione alla rete del proprio impianto fotovoltaico, una lettera a mezzo della quale si comunica quanto segue: «con riferimento all'articolo 10.1 lettera b, dell'allegato A della Delibera 578/2013/R/eel, la informiamo che per connettere alla rete Enel Distribuzione S.p.a. il suo impianto di produzione, è necessario installare un gruppo di misura dedicato alla misurazione dell'energia prodotta dal proprio impianto di produzione»;
   nello specifico, la precitata delibera del 12 dicembre 2013, all'articolo 10 rubricato «Disposizioni relative all'erogazione del servizio di misura dell'energia elettrica prodotta, immessa, prelevata e consumata per un ASSPC», lettera b), comma 10.1, stabilisce la necessità di disporre «dei dati relativi all'energia elettrica immessa nella rete pubblica e prelevata dalla rete pubblica, nonché dei dati dell'energia elettrica prodotta dalle singole unità di produzione, in tutti gli altri casi»;
   dunque, in applicazione della delibera 578/2013/R/EEL dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas, per tutti gli impianti fotovoltaici entrati in esercizio a partire dal 1o gennaio 2014, l'Enel richiede l'installazione di un contatore per misurare l'energia prodotta;
   non sono esaustive le motivazioni per le quali venga imposto tale onere, soprattutto, allorquando si tratti di utenze domestiche; a riguardo, infatti non appare sufficiente affermare la mera necessità di raccogliere i dati relativi all'energia prodotta al fine di giustificare l'imposizione di un contatore e delle spese connesse, per il proprietario dell'impianto;
   tra l'altro, la delibera non specifica per gli altri impianti già attivati prima del 1o gennaio 2014 e, quindi, sprovvisti di tale contatore, se il Gestore di rete provvederà all'installazione;
   si ricorda che la normativa comunitaria e nazionale promuove lo sviluppo dell'energia da fonti rinnovabili prefiggendosi l'obiettivo di potenziare e razionalizzare il sistema per incrementare l'efficienza dell'energia alternativa, anche diminuendo gli oneri relativi alla realizzazione degli impianti da essa alimentati;
   a riguardo, la previsione di qualsiasi tipologia di onere nel settore deve essere conforme alla normativa in materia e specificamente giustificata;
   purtroppo, si riscontra che nell'ambito del settore delle energie rinnovabili, vengono adottati di frequente dei provvedimenti che invece di incentivare tali investimenti virtuosi, come prevede la normativa, li scoraggia o addirittura, determina un danno attraverso l'addebitando di costi/oneri retroattivi per coloro che hanno già provveduto ad investire in queste tecnologie;
   pertanto, si rileva che non solo l'installazione del contatore non sembra adeguatamente giustificata ma, altresì, appare un adempimento reso obbligatorio, al fine di disporre in futuro la tassazione dell'autoconsumo, che danneggerebbe gravemente il settore –:
   se e quali iniziative normative intenda adottare affinché sia esclusa la possibilità di futuri provvedimenti che possano imporre la tassazione dell'autoconsumo e per superare le contraddizioni, descritte in premessa, garantendo pienamente l'effettività dei benefici riconosciuti al settore. (3-00835)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CRIPPA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Michele Solbiati Sasil S.p.a., fondata nel 1874, era una delle più antiche industrie tessili italiane;
   da anni leader nel settore, negli ultimi anni era arrivata a produrre tessuti di fibre naturali destinati all'abbigliamento esterno maschile e femminile e all'arredamento in prevalenza di lino 100 per cento, di cui era leader mondiale, cotone 100 per cento, seta, lana e cashmere;
   la Solbiati esportava per il 69 per cento del totale della propria produzione in 23 differenti Paesi ed aveva filiali dirette a New York, Londra, Barcellona, Anversa, Monaco di Baviera, Düsseldorf, Parigi e Hong Kong;
   in totale poteva contare su più di 3.000 clienti nazionali e internazionali fra cui si possono citare Armani, Calvin Klein, Donna Karan, Versace, Kenzo, Ralph Lauren, Max Mara e Hugo Boss;
   la sede centrale e amministrativa della società era situata a Lonate Pozzolo e impiegava 450 dipendenti occupati in 7 stabilimenti situati a Lonate Pozzolo, Oleggio, Varano Borghi, Massalengo, Collegno e Borgosesia;
   la crisi della società inizia ad essere avvertita già nel 2008, anno in cui, a seguito di vari accordi sindacali, si fa ricorso prima alla cassa integrazione guadagni, poi alla cassa integrazione guadagni straordinaria e infine anche alla cassa integrazione in deroga;
   a fine 2012 la crisi si fa sentire maggiormente e viene scaricata quasi interamente sulle spalle dei lavoratori, come possono dimostrare i mancati pagamenti delle mensilità dovute ai dipendenti per i mesi dicembre 2012 e gennaio e febbraio 2013;
   pur considerando tutte le difficoltà del caso, i lavoratori capiscono le difficoltà dell'azienda e continuano a lavorare per questi mesi «pro bono»;
   il 28 febbraio 2013 l'azienda fa richiesta di concordato preventivo e di fatto vengono congelati stipendi, tredicesime e ferie ai lavoratori;
   in data 18 luglio 2013, a seguito di mesi di contrattazioni e accordi mediati dai sindacati di categoria, si sancisce l'affitto di ramo d'azienda (avvenuto poi effettivamente il 6 agosto 2013) e conseguente acquisto, entro 18 mesi, da parte di «Loro Piana», azienda italiana leader nel settore dei beni di lusso della multinazione del lusso «LVMH Louis Vuitton Moët Hennessy S.A.»;
   l'accordo che ha portato alla definizione dell'acquisizione prevedeva l'assunzione diretta di 41 dipendenti su 148, a condizione che tutti i 107 dipendenti rimanenti in Michele Solbiati Sasil avessero firmato il 19 luglio 2013 le conciliazioni in cui avrebbero rinunciato espressamente e formalmente a far valere nei confronti di Lino Newco S.r.l. (nuova società con a capo «Loro Piana») i diritti di cui all'articolo 2112 c.c. in capo a Lino Newco afferenti alla mancata prosecuzione del rapporto in favore della stessa;
   il 19 luglio hanno quindi firmato 105 lavoratori, con la consapevolezza che solo 41 persone avrebbero avuto la possibilità di mantenere un posto di lavoro;
   in cambio, ai 107 dipendenti rimanenti in capo a Solbiati verranno concessi 12 mesi di cassa integrazione straordinaria («CIGS») come da procedure concorsuali per concordato, successivamente ufficializzata con decreto del 14 marzo 2014, n. 79922, con la concreta possibilità, ventilata da parte della proprietà, dell'Univa (Unione industriali della provincia di Varese) e dei sindacati, di proroga della stessa di ulteriori 6 mesi, da verificarsi come da procedura in prossimità del termine dei primi 12 mesi;
   in data 19 settembre 2013, a seguito di nuovi accordi sindacali, viene inviata la richiesta dei 12 mesi di cassa, con decorrenza 15 luglio 2013-14 luglio 2014, oltre che accordi sulla mobilità volontaria nello stesso periodo;
   nel mese di marzo 2014, durante un incontro alla sede di Gallarate (Varese) dell'Unione degli industriale della provincia di Varese, viene comunicato ai lavoratori che non ci sono le condizioni per la proroga della cassa integrazione straordinaria di ulteriori 6 mesi, in quanto prima Lino Newco dovrebbe formalmente impegnarsi ad assumere entro il dicembre 2014 ulteriore personale ex Solbiati oltre alle 41 unità inizialmente previste e la cessione del ramo d'azienda dovrebbe avvenire al termine dell'anno di cassa integrazione guadagni straordinaria già concessa, cioè luglio 2014;
   tali condizioni risulterebbero incompatibili con i vincoli presenti negli accordi sottoscritti dai soggetti interessati (Michele Solbiati Sasil e Loro Piana) per l'affitto e conseguente alienazione del ramo d'azienda, di cui si verrà a conoscenza solo il 29 ottobre 2014 quando sarà resa nota la relazione depositata dal commissario giudiziale al tribunale di Busto Arsizio –:
   se e quali urgenti iniziative di competenza intendano attivare i Ministri interrogati al fine di valutare tutte le soluzioni percorribili per l'assorbimento del rimanente personale ex Solbiati in Loro Piana e la salvaguardia dei livelli occupazionali, con il coinvolgimento degli enti locali e delle regioni in cui l'azienda era presente;
   quali ulteriori interventi di competenza possano essere resi operativi dai Ministri interrogati nella fattispecie per tutelare i cittadini coinvolti che vivono tuttora una drammatica incertezza del proprio futuro. (5-02864)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIORGIA MELONI, RAMPELLI, CIRIELLI, CORSARO, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 19 maggio 2014 si è svolta una riunione presso il Ministero dello sviluppo economico del tavolo di confronto tra regione Sardegna e Governo sulla metanizzazione della Sardegna, preso atto della notizia dell'uscita della Sfirs, la finanziaria regionale, dal Consorzio Galsi, che deve ancora stabilire l'avvio dei lavori per la condotta tra Algeria e Italia, passando appunto attraverso la Sardegna;
   ad oggi la Sardegna è l'unica regione d'Italia e, insieme alla Corsica, l'unica regione europea, a non essere ancora metanizzata, mentre l'energia prodotta nell'isola non può essere stoccata e, quindi, utilizzata nei periodi di maggiore necessità, e viene venduta altrove, in particolare nel Centro-sud Italia;
   di conseguenza il costo dell'energia nell'isola, consumata nella maggior parte nel settore industriale, con il 53 per cento, rimane particolarmente elevato, soprattutto se confrontato con i prezzi che sopportano le altre regioni italiane per l'approvvigionamento energetico, risolvendosi in un fortissimo svantaggio competitivo per le imprese sarde e in un danno economico a carico di tutti gli utenti;
   l'unica fonte energetica presente nell'isola che può essere messa a confronto con il metano è il GPL, che, tuttavia, ha un costo superiore di ben quattro volte, al netto delle imposte, rispetto al gas naturale;
   il tavolo di confronto presso il Ministero dello sviluppo economico si è chiuso con l'incarico alla giunta regionale di stabilire, per mezzo di un advisor, quale delle tecnologie sul mercato possa essere utilizzata per portare il metano nell'isola, se un rigassificatore o, ad esempio, un deposito per gas compresso;
   nelle more della realizzazione di una modalità per l'approvvigionamento metanifero appare quanto mai necessario ed urgente introdurre misure finanziarie idonee a compensare i maggiori costi sopportati dagli utenti dell'isola, che potrebbe sere individuato in una compartecipazione dello Stato al costo del GPL nella regione –:
   quali iniziative intenda assumere nel senso di cui in premessa, al fine di sostenere, in particolare, il tessuto produttivo della regione, ma anche di agevolare i singoli utenti. (4-04904)


   GIORGIA MELONI, RAMPELLI, CIRIELLI, CORSARO, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   tra il 2010 e il 2012 l'indice dei prezzi al consumo per le famiglie genovesi è lievitato del 3,7 per cento medio annuo, contro il 2,5 per cento di Verona, il 2,7 per cento di Milano e il 3 per cento di Torino;
   la quota di mercato congiunta dei tre maggiori operatori della grande distribuzione nella regione Liguria, secondo Nielsen GNLC, è pari al 56,7 per cento, mentre in Veneto è pari al 46,7 per cento, in Lombardia al 43,1 per cento e in Piemonte al 42,3 per cento, un dato che indica fortemente la poca concorrenza che esiste sul mercato;
   la stessa spesa a La Spezia costa mediamente 124 euro e a Genova 146 euro, e Altroconsumo ha verificato che una famiglia genovese spende circa quattrocento euro in più all'anno;
   Adiconsum e Altroconsumo hanno verificato che nell'area dello spezzino i prezzi si sono abbassati del 17 per cento rispetto alla media ligure dopo che proprio a La Spezia ha aperto un altro competitore, ovvero proprio Esselunga, creando concorrenza;
   il consiglio comunale di Genova in data 13 maggio 2014 ha bocciato la mozione «Insediamento Esselunga»;
   il voto di cui sopra è giunto al termine di un lungo ciclo di tentativi di ingresso nel mercato genovese da parte di Esselunga, nonostante la stessa catena abbia già individuato ben tre siti diversi, sempre bocciati dalle giunte del capoluogo ligure che si sono susseguite negli anni;
   la mozione avrebbe impegnato sindaco e giunta a compiere ogni sforzo per consentire l'insediamento di Esselunga, anche attraverso l'individuazione di un ulteriore sito per garantire a Spazio Genova di poter esercitare la propria attività;
   ad oggi Genova conta solo un ipermercato, ed i consumatori non hanno possibilità di scelta fra i competitori –:
   quali iniziative intenda assumere, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di favorire un rafforzamento del tessuto produttivo e commerciale nella regione e promuovere una maggiore concorrenza a tutela dei consumatori.
(4-04910)


   MELILLA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   120 lavoratori della Dialifluids di Canosa Sannitica, in provincia di Chieti, rischiano il posto di lavoro a seguito delle scelte del gruppo tedesco della Fresenius Medical Care;
   i lavoratori e i sindacati hanno promosso nei giorni scorsi una forte mobilitazione e vi è stato anche un incontro presso la prefettura di Chieti;
   sarebbe stato stabilito un incontro presso il Ministero dello sviluppo economico per il 20 maggio che preceda le imminenti decisioni della multinazionale tedesca circa i propri progetti industriali nella fabbrica di Canosa Sannitica –:
   quali siano le iniziative che intende promuovere il Governo, per quanto di competenza, nei confronti della Fresenius Medical Care per rilanciare la sua presenza produttiva in Abruzzo e garantire l'occupazione di 120 persone in un momento, peraltro, di grave crisi occupazionale. (4-04912)

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Gallinella e altri n. 4-04874, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 maggio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Baldassarre.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Migliore n. 1-00161, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 63 del 1o agosto 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    in Europa e in Nord America si stima che i consumatori buttino via tra i 95-115 chilogrammi pro capite di cibo l'anno, mentre nel Sud-Est asiatico e nell'Africa subsahariana il dato è di 6-11 chilogrammi pro capite;
    lo spreco alimentare ha assunto, e sta sempre più assumendo, una dimensione di portata mondiale, tant’è che metà del cibo prodotto nel mondo non arriva mai ad essere consumato. Il problema dello spreco alimentare è da ritenersi connesso alle politiche economiche e di marketing che, negli ultimi vent'anni, hanno prodotto fattori e azioni comportamentali altamente distorsivi della realtà fattuale e delle conseguenze effettuali che da tali modus comportandi e vivendi ne sono conseguite. Le politiche di marketing delle multinazionali e le normative sulla brevettazione dei prodotti agroalimentari hanno contribuito a generare comportamenti sociali tendenti a produrre sempre più «spreco» e «scarto» alimentare. La cultura del «riciclo» e del «riutilizzo» alimentare fatica non poco ad affermarsi rispetto al suo contrario. La sproporzione della produzione alimentare, senza che ciò abbia nel corso degli ultimi quattro lustri consentito di ridurre drasticamente il numero delle persone che nel mondo non hanno accesso alla nutrizione, ha, al contrario, polarizzato, ulteriormente, le fasce sociali del pianeta. Questa paradossale ipertrofia produttiva ha sull'ambiente impatti devastanti e, se non fermata per tempo, irreversibili. Nell'immaginario collettivo dei Paesi cosiddetti «ricchi» l'educazione alimentare, erroneamente, si traduce in «performanti» diete, o nuovi «costumi alimentari», che si rivelano dannosi per l'organismo umano con ricadute sulla spesa sanitaria che diventa crescente a fronte di nuove patologie connesse all'alimentazione. Il tema della «scarsità delle risorse naturali», che deve essere centrale nell'agenda politica di questo millennio, è vissuto, il più delle volte, come un mero esercizio percettivo. I dati sullo spreco di cibo nei Paesi industrializzati ammontano a 222 milioni di tonnellate, ossia il corrispettivo della produzione alimentare disponibile nell'Africa subsahariana che è di 230 milioni di tonnellate;
    a contribuire, ulteriormente, alla «cultura dello scarto alimentare» a valle, e nella produzione delle eccedenze a monte, è il disallineamento tra la domanda e l'offerta e la non conformità del prodotto agli standard di mercato: calibratura della frutta, aspetto della verdura che non deve presentare macchie o quant'altro possa far percepire all'acquirente la non salubrità del prodotto e le pratiche commerciali che incoraggiano i consumatori a comprare più cibo di quello di cui hanno effettivamente bisogno;
    un altro motivo dello spreco alimentare è da imputare alle etichette che indicano la data di scadenza. Sarebbe corretto porre in etichetta la doppia scadenza: il termine minimo di conservazione, che si riferisce alle caratteristiche qualitative del prodotto, «preferibilmente entro» (data di scadenza commerciale del prodotto) e la data di scadenza vera e propria, «da consumarsi entro», (relativa alla salubrità del prodotto alimentare), al fine di evitare confusione sulla commestibilità del cibo. Inoltre, gli imballaggi per alimenti dovrebbero essere offerti anche in confezioni monodose e progettate per la migliore conservazione possibile. Da ultimo, i cibi prossimi alla scadenza e i packaging danneggiati dei prodotti alimentari dovrebbero essere venduti a prezzi scontati, al fine di renderli economicamente più accessibili alle persone bisognose;
    il 19 gennaio 2012 il Parlamento europeo ha approvato, in seduta plenaria, una risoluzione su: «Come evitare lo spreco di alimenti: strategie per migliorare l'efficienza della catena alimentare nell'Unione europea», la quale si pone come obiettivo principale la riduzione degli sprechi alimentari del 50 per cento entro il 2025 e di dedicare il 2014 quale anno europeo contro lo spreco alimentare, attraverso una strategia per migliorare l'efficienza della catena alimentare degli Stati membri;
    dalla relazione (2011/2175(INI) preparatoria della risoluzione, si evince che, secondo uno studio della Commissione europea, la produzione annuale di rifiuti alimentari nei 27 Stati membri ammonterebbe a circa 90 milioni di tonnellate, ossia 179 chilogrammi pro capite, senza contare gli sprechi a livello di produzione agricola o le catture di pesce rigettate in mare, considerando che entro il 2020 il totale dei rifiuti alimentari aumenterà fino a circa 126 milioni di tonnellate, ovvero il 40 per cento in più dello stock attuale;
    da recenti studi è emerso che, per produrre un chilogrammo di cibo, si immettono in atmosfera in media 4,5 chilogrammi di anidride carbonica, che in Europa si producono 170 milioni di tonnellate di anidride carbonica equivalente/anno, ripartiti tra industria agroalimentare (59 milioni di tonnellate), consumo domestico (78 milioni di tonnellate) e prodotti non raccolti nei campi (34 milioni di tonnellate). Si pensi, ad esempio, che in Inghilterra il 30 per cento della produzione orticola non viene raccolta (corrisponde allo spreco di 550 milioni di metri cubi di acqua), percentuale che in Italia si attesta al 3,2 per cento;
    la concentrazione in atmosfera di anidride carbonica, a gennaio 2013, ha raggiunto il record di 395 parti per milione, avviando la temperatura globale – si consideri che il 2012 è stato il nono anno consecutivo più caldo dal 1880 – verso un aumento superiore di due gradi di media, con gravi danni irreversibili all'ambiente, all'agricoltura e, di conseguenza, all'alimentazione;
    la Fao stima che, a livello mondiale, la quantità di cibo che finisce tra i rifiuti ammonta a 1,3 miliardi di tonnellate e che 925 milioni di persone nel mondo sono a rischio di denutrizione e la popolazione mondiale ipernutrita è pari a quella sottonutrita e denutrita: questi dati allontanano, oggettivamente, il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio, incluso quello di dimezzare la fame e la povertà entro il 2015;
    sempre secondo dati della Fao, il previsto aumento da 7 miliardi a 9 miliardi della popolazione mondiale richiederà un incremento minimo del 70 per cento della produzione alimentare entro il 2050;
    Oliver De Schutter, relatore speciale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per il «diritto al cibo», nonché docente universitario di diritto all'Università Cattolica di Lovain-La Neuf (Belgio), nel marzo del 2012 ha presentato al Consiglio per i diritti umani, in conformità alla risoluzione 13/14, la sua relazione che analizza i nessi di causalità tra salute, malnutrizione e spreco alimentare. Relativamente al nesso che esiste tra salute e malnutrizione, il rapporto mette in evidenza che: «(...) l'urbanizzazione, «supermercatizzazione» e la diffusione globale degli stili di vita moderni hanno scosso le tradizioni alimentari. Il problema è di “sistema” e trova le sue cause nel commercio globale, nei cibi troppo elaborati, nelle politiche agricole attuali, nelle tecnologie con brevetto proprietario, nell'elaborare diete “disastrose” dei Paesi sviluppati e in quelli dalle economie emergenti (come il Messico, ad esempio). Il risultato è il disastro per la salute pubblica: 2,8 milioni di persone muoiono prima dei 60 anni a causa di malattie non trasmissibili, diabete e obesità collegate alla dieta, (saranno 5,1 milioni nel 2030, secondo l'Organizzazione mondiale della sanità) a cui aggiungere le ripercussioni economiche sulla spesa sanitaria pubblica (...)» E, inoltre, il, relatore ha denunciato, in termini generali, la sproporzione che esiste tra gli investimenti pubblicitari nel food, 8,5 miliardi di dollari negli Stati Uniti nel 2010, e i modesti budget per l'educazione alimentare pubblica, che nello stesso anno sono stati pari a 44 milioni di dollari per il programma federale «Nutrition Physical Activity and Obesity». Nel rapporto si evidenzia come la pubblicità di cibi «spazzatura» (junk food), rivolta ai bambini e non solo, contribuisce all'eccessivo consumo di snack nell'alimentazione quotidiana che ha snaturato la cultura del rispetto e della conservazione del cibo, che è stata falsata dalle multinazionali nella composizione dei valori nutrizionali come, per esempio, nell'alterazione del contenuto dei grassi, degli zuccheri e del sale, al fine di rendere il cibo «appetitoso» e maggiormente prossimo al consumo immediato e meno prossimo alla sua conservazione perché facilmente deteriorabile. Sempre secondo il rapporto il «cibo perso» nei Paesi in via di sviluppo – dove la carenza di infrastrutture e regole stringenti per la conservazione incide fino al 50 per cento sul deterioramento degli alimenti – comincia ad assumere dimensioni quasi vicine a quelle dei Paesi industrializzati;
    nell'Unione europea, oltre 79 milioni di persone vivono ancora al di sotto della soglia di povertà, mentre 18 milioni di persone dipendono dagli aiuti alimentari. Al contempo, le percentuali degli sprechi alimentari sono così ripartite: il 42 per cento dalle famiglie, il 39 per cento dai produttori, il 5 per cento dai rivenditori e il restante 14 per cento dal settore della ristorazione;
    secondo i dati dell'indagine realizzata nel 2012 dalla Fondazione per la sussidiarietà e dal Politecnico di Milano, in collaborazione con Nielsen Italia, lo spreco alimentare in Italia ammonta a 6 milioni di tonnellate, pari a un valore di 12,3 miliardi di euro (6,9 miliardi direttamente dai consumatori). Il cibo sprecato in Italia è di 108 chilogrammi pro capite, 450 euro a famiglia composta da un nucleo di 2,5 persone (famiglia media), 42 chilogrammi a persona di avanzi alimentari non riutilizzati ancora commestibili buttati da ogni italiano in un anno, 35 per cento la percentuale di prodotti freschi sprecati, 250 chilogrammi la quantità di cibo buttato dai 600 ipermercati italiani, 16 per cento la percentuale dello spreco che finisce direttamente nelle discariche per la cattiva gestione del frigorifero famigliare, mentre la parte di cibo recuperato e donato alle food bank e agli enti caritativi rappresenta poco più del 6 per cento del totale;
    sempre secondo l'indagine summenzionata emerge che quasi un miliardo di euro di cibo viene recuperato e l'obiettivo è quello di portare sulla tavola degli indigenti altri 6 miliardi di euro di cibo;
    infatti, non sempre i prodotti ritirati dagli scaffali che sono prossimi alla scadenza finiscono nella pattumiera. Il merito è da attribuire alle onlus come il Banco Alimentare, rete antispreco con oltre 1400 volontari. Obiettivo analogo a quello di Last Minute Market, spin-off dell'università di Bologna che unitamente a SWG ha creato un «Osservatorio sullo spreco alimentare», il cui nome è Waste Watchers (sentinelle dello spreco). Secondo le prime stime fatte da Waste Watchers, in Italia lo spreco alimentare rappresenta l'1,9 per cento del prodotto interno lordo (circa 18,5 miliardi riferiti al 2011) così ripartito: lo 0,23 per cento si colloca nella filiera di produzione (agricoltura), trasformazione (industria alimentare), distribuzione (grande e piccola) e ristorazione (collettiva), il restante valore percentuale, lo 0,96 per cento del prodotto interno lordo, è rappresentato dal livello domestico. La quantità di cibo sprecato potrebbe essere ridotta del 60 per cento con un'educazione più attenta ai consumi alimentari;
    Last Minute Market ha realizzato un documento denominato «Carta per una rete di amministrazioni a spreco zero», il quale viene continuamente arricchito e aggiornato grazie all'implementazione delle conoscenze, allo scambio delle buone pratiche fra amministrazioni e, di conseguenza, all'adozione di nuovi strumenti di analisi e di indirizzo che il documento propone;
    il documento «Carta per una rete di amministrazioni a spreco zero» è stato sottoscritto da oltre 700 sindaci europei e detta un decalogo comportamentale alimentare con cui poter avviare processi razionali al fine di ridurre drasticamente gli sprechi e le perdite alimentari;
    la legge n. 155 del 2003, detta anche legge del «buon samaritano», disciplina il recupero e la distribuzione di alimenti cotti e freschi da parte di organizzazioni non profit a fini sociali. Il principio finalistico della legge è quello di incentivare il riutilizzo di cibo ancora commestibile proveniente dai produttori o dalla grande distribuzione – non più vendibile per difetto di packaging o perché vicino alla scadenza – ma anche dalle mense aziendali e scolastiche. Unico vincolo della legge è l'attenzione da prestare al trasporto e al corretto stato di conservazione degli alimenti, equiparando, di fatto, gli enti non profit ai consumatori finali. Infatti, il recupero del cibo deve avvenire mantenendo «la catena del freddo». Grazie alla legge del «buon samaritano» è stato possibile avviare progetti di raccolta viveri, come il progetto «Siticibo» che in nove anni ha consentito di salvare dal cestino dei rifiuti 2,5 milioni di porzioni distribuendole nelle mense cittadine degli enti e delle organizzazioni caritative;
    la lotta allo spreco alimentare nei Paesi industrializzati è stato avviato alla fine degli anni Sessanta a Phoenix (Arizona, Stati Uniti), grazie a John Van Hengel, attraverso la distribuzione ai bisognosi di cibo non venduto e destinato alla distruzione. Questo strumento di «perequazione alimentare» ha assunto il nome di food bank, banco alimentare, che si è diffuso in Europa negli anni Ottanta e in Italia nasce nel 1989. Basato sul concetto di «dono e condivisione», il banco alimentare si estrinseca nella raccolta delle eccedenze di produzione alimentare agricola e industriale, specificatamente riso, olio d'oliva, pasta e latte. In Italia la raccolta delle eccedenze viene effettuata dal 1995 dall'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea), la quale ridistribuisce le eccedenze agli enti caritativi iscritti nel relativo albo istituito presso l'ente medesimo;
    il maggiore fornitore della rete che fa capo ai banchi alimentari d'Europa è stata l'Unione europea, attraverso il Programma europeo d'aiuto agli indigenti, Programma europeo di aiuto alimentare agli indigenti (Pead), nato nel 1987 all'interno della Politica agricola comune (Pac). Il programma d'aiuto è stato concepito come misura per evitare che le eccedenze della produzione agricola europea fossero distrutte. Oggi, queste eccedenze, grazie alle numerose revisioni della Politica agricola comune e al miglioramento delle pratiche tecniche di conservazione, si sono sempre più ridotte, portando l'Unione europea ad acquistare direttamente sul mercato le derrate da donare ai poveri che, in Europa, rappresentano 18 milioni di persone;
    il 14 novembre 2011, il Consiglio dei ministri dell'agricoltura dei 27 Stati membri riuniti a Bruxelles ha sbloccato i piani di assistenza, Programma europeo di aiuto alimentare agli indigenti (Pead), per gli anni 2012 e 2013 che prevedono lo stanziamento di 500 milioni di euro l'anno; all'Italia per l'anno 2013 sono stati assegnati 98 milioni di euro;
    il 31 dicembre 2013 si è concluso il Programma europeo di aiuto alimentare agli indigenti (Pead);
    la Commissione europea ha proposto che, nel Quadro finanziario pluriennale dell'Unione europea per il periodo 2014-2020, il programma d'aiuti alimentare debba essere coperto non più con i fondi della politica agricola, ma con quelli della coesione sociale, Fondo sociale europeo, prevedendo 2,5 miliardi di euro per i sette anni della nuova programmazione finanziaria comunitaria. Alcuni Paesi europei hanno sostenuto che il programma dovesse rientrare nell'ambito delle politiche sociali, di competenza quindi dei singoli Paesi, e non più con la cabina di regia dell'Unione europea, con il rischio di scatenare una guerra tra poveri;
    il 12 giugno 2013 il Parlamento europeo, in seduta plenaria, ha votato a favore della nuova proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, relativo al finanziamento del nuovo Fondo di aiuti europei agli indigenti (Fead), che andrà a sostituire il programma di distribuzione delle derrate alimentari Programma europeo di aiuto alimentare agli indigenti (Pead). Il di aiuti europei agli indigenti sarà costituito da una base obbligatoria di finanziamento di 2,5 miliardi di euro e gli Stati membri possono decidere di aumentare le proprie allocazioni di un ulteriore miliardo di euro su base volontaria;
    il Consiglio europeo del 27-28 giugno 2013 ha sollecitato la necessità di adottare in tempi rapidi tutti i dossier strettamente correlati al Quadro finanziario pluriennale dell'Unione europea e, pertanto, tutte le istituzioni hanno insistito per un rapido accordo anche sul «Fondo indigenti», affinché lo stesso diventi operativo tra la fine del 2013 e gli inizi del 2014;
    l'articolo 58 del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, ha istituito il «Fondo per la distribuzione delle derrate alimentari alle persone indigenti», gestito dall'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea), con lo scopo di raccogliere le derrate alimentari, a titolo di erogazioni liberali, dagli operatori della filiera agroalimentare e da organismi agricoli o imprese di trasformazione dell'Unione europea, al fine di far fronte alle eccedenze alimentari e consentire, conseguentemente, la redistribuzione sul territorio nazionale al fine di ridurre lo spreco alimentare;
    a fronte dei dati preoccupanti, relativi allo spreco alimentare in Europa, la Commissione europea ha deciso di avviare, recentemente, una «consultazione pubblica sul cibo» che si è conclusa il 1o ottobre 2013. L'obiettivo della Commissione europea è quello di individuare azioni efficaci per ridurre lo spreco alimentare e, in generale, di come assicurare che il sistema utilizzi le risorse in modo efficiente, secondo il principio della scarsità delle risorse. I risultati della consul- tazione costituiranno la base per una «Comunicazione sul cibo sostenibile»,

impegna il Governo:

   a promuovere, in sede comunitaria e nazionale, modelli di agricoltura sostenibile al fine di ridurre, drasticamente, a monte e a valle della filiera alimentare, gli sprechi che si producono a causa dei requisiti di qualità imposti dalla legislazione europea e nazionale, concernenti l'aspetto e la calibratura degli ortofrutticoli freschi che, nel tempo, si sono rivelati tra le principali cause di produzione di inutili scarti alimentari, nonché di cibo sprecato, e, susseguentemente, adottare opportune iniziative normative di settore con cui spiegare ai consumatori il valore nutritivo di prodotti agricoli che presentano forme o calibri imperfetti;
   ad agire, congiuntamente con gli altri partner europei in materia d'investimenti relativi alla promozione di programmi comunitari finanziati dall'Unione europea, al fine di introdurre specifiche iniziative «faro» sull'educazione alimentare, sull'ecologia domestica e di filiera;
   a farsi promotore in ambito europeo dell'istituzione della comunità della conoscenza e dell'innovazione per l'alimentazione, incentrata sulla prevenzione dello spreco di cibo e sull'educazione alimentare con cui, da un lato, fronteggiare lo spreco e, dall'altro, impedire che diete «dannose» per la salute distorcano le reali esigenze nutrizionali dell'organismo umano;
   ad adoperarsi in sede comunitaria al fine di far proclamare l'anno 2014 «anno contro lo spreco alimentare», con lo scopo di stimolare l'opinione pubblica ad assumere comportamenti maggiormente responsabili rispetto alla fruibilità sostenibile degli agroalimenti;
   ad introdurre, sin dal prossimo ciclo scolastico della scuola dell'obbligo, programmi di studio di «educazione alimentare e gestione ecosostenibile delle risorse naturali» che abbiano, quale punto di partenza, gli effetti negativi che lo spreco alimentare produce, facendo sì che tali programmi di studio tendano a strutturare, nell'immaginario delle future gene- razioni, un approccio meno utilitaristico e maggiormente eco-responsabile delle risorse naturali viste nella loro complessità sistemica;
   a valutare eventuali modifiche alle regole che disciplinano gli appalti pubblici per i servizi di ristorazione e di ospitalità alberghiera, in modo da privilegiare, in sede di aggiudicazione a parità di altre condizioni, quelle imprese che garantiscono la ridistribuzione gratuita di cibo eccedente a cittadini indigenti, attraverso enti non profit;
   ad introdurre modifiche normative sulla commercializzazione e la vendita dei prodotti agroalimentari, partendo dall'introduzione della doppia scadenza che indichi le caratteristiche qualitative del prodotto, «preferibilmente entro» (data di scadenza commerciale), e la data di scadenza vera e propria, «da consumarsi entro», relativa alla salubrità del prodotto alimentare, al fine di non generare confusione per il consumatore finale;
   ad introdurre in campo agricolo e agroenergetico misure normative volte alla valorizzazione degli alimenti non più commestibili, ma utili nella produzione di energia rinnovabile e di concimi organici;
   ad elaborare un testo unico di riordino della materia – alla luce di quanto esposto nel presente atto di indirizzo – che, ad oggi, appare regolata in modo non organico sia dalla legge n. 155 del 2003, sia dall'articolo 58 del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, che ha istituito il «Fondo per la distribuzione delle derrate alimentari alle persone indigenti» e, conseguentemente, a istituire un osservatorio nazionale sullo spreco alimentare, d'intesa con il sistema delle regioni e delle province autonome, al fine di conoscere in maniera più organica gli effetti delle esternalità negative sull'economia, sul sistema sanitario e sul sistema sociale che lo spreco alimentare genera;
   a tenere in debita considerazione, anche legislativa, quanto previsto dal documento «Carta per una rete di amministrazioni a spreco zero»;
   a valutare l'inserimento obbligatorio, a carico delle imprese che fanno pubblicità a prodotti destinati al consumo umano, nelle comunicazioni pubblicitarie, del messaggio «lo spreco alimentare è un problema per la salute e l'ambiente. Mangia sano e quanto basta. Per maggiori informazioni consulta un esperto medico», o altro messaggio equivalente.
(1-00161)
«Migliore, Franco Bordo, Palazzotto, Zan, Zaratti, Pellegrino».

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: risoluzione in commissione Prodani n. 7-00367 del 12 maggio 2014.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Rizzetto n. 4-03963 dell'11 marzo 2014 in interrogazione a risposta orale n. 3-00835.