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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 15 maggio 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il 3 maggio 2014 una violenta alluvione si è abbattuta sulle Marche. Precipitazioni a carattere torrenziale, molto intense e persistenti hanno travolto gran parte della provincia di Ancona, investendo i comuni di Ostra Vetere, Ostra, Montemarciano, Corinaldo, Chiaravalle e in particolare la zona del Senigalliese, la più colpita dalla calamità a causa dell'esondazione del Fiume Misa;
    l'esondazione del Misa, straripato intorno alle ore nove e trenta del mattino, ha trovato impreparata l'amministrazione, la protezione civile e la cittadinanza. Nessun allarme era scattato nelle ore precedenti la tragedia, infatti, le scuole erano aperte regolarmente, con la conseguenza che alcuni studenti delle scuole superiori sono stati messi in salvo nella mattinata dai vigili del fuoco, mentre nella scuola primaria, Leopardi, i bambini hanno potuto tornare nelle loro case solo alle ore diciassette;
    a causa dell'alluvione, purtroppo tre persone hanno perso la vita. Ingenti sono i danni che l'evento disastroso ha procurato ad abitazioni, attività commerciali, aziende, scuole, agricoltura e strutture alberghiere e in particolare: sono 2.670 le abitazioni, con 5.510 occupanti, interessate dall'alluvione che ha colpito Senigallia e 7.736 i residenti totali nell'area dell'alluvione. Inoltre sono decine gli uffici e studi privati, 335 i negozi, 50 le aziende e 56 gli alberghi e le pensioni, colpiti, secondo le prime stime elaborate dal comune nei giorni successivi l'evento;
    critica è stata anche la situazione della rete elettrica, con il distacco di oltre 10.000 utenze per tre giorni consecutivi, assente anche la linea telefonica. Viabilità interrotta in molti punti e ancora oggi non ripristinata del tutto, creando disagi nella circolazione stradale, a causa dell'interruzione di alcune tratte;
    a Senigallia, come in diverse zone del nostro Paese, ancora una volta, la pioggia, con la grave responsabilità dell'uomo, ha fatto danni incalcolabili. Due giorni di pioggia intensa, anticipati da 5 giorni di rovesci non consistenti, hanno messo in luce il grave dissesto idrogeologico del territorio delle Marche;
    nell'arco di circa 12 ore sono state registrate, a Senigallia, precipitazioni superiori a 450 millimetri, il valore medio annuo è pari a circa 1.000 millimetri;
    l'evento alluvionale, eccezionale per intensità, ha provocato esondazioni diffuse, allagamenti, rottura di argini e il collasso del sistema idrogeologico e idraulico;
    la regione Marche e l'intero paese sono stati abusati da decenni di cementificazione selvaggia, urbanizzazione dissennata e speculazione edilizia, cui si sono aggiunte la mancanza d'interventi di manutenzione del territorio, l'insufficiente pulizia ordinaria e straordinaria dei fiumi e dei fossi;
    non si deve attribuire la gravità degli eventi come quello di Senigallia alla sola, eccezionalità delle piogge, ma soprattutto ai cambiamenti climatici causati dalle scellerate opere per mano dell'uomo;
    è di fondamentale importanza prendere consapevolezza che il nostro Paese è stato reso fragile da chi ha speculato e continua a speculare, ciò anche a causa dei vergognosi condoni edilizi messi in atto dai Governi precedenti;
    i geologi italiani denunciano a gran voce il forte degrado idrogeologico del nostro Paese ma gli appelli finiscono sempre inascoltati e le precipitazioni definite «anomale» non possono dare l'alibi a un'inesistente pianificazione e programmazione territoriale, assenza di cui oggi si pagano gli altissimi costi;
    il nostro Paese piange spesso decessi dovuti alle calamità e deve mettere mano ai Fondi sull'emergenza, perché episodi come quelli avvenuti nelle Marche il tre maggio scorso, fanno emergere la grave condizione di degrado dovuta a un processo di urbanizzazione e d'impermeabilizzazione del suolo;
    la politica deve agire e mettere a disposizione risorse per prevenire il dissesto idrogeologico, avviando sistemi per la riduzione di emissioni di gas serra, in modo da contenere nel lungo termine l'impatto del cambiamento climatico in atto;
    certamente il disastro dei giorni scorsi è stato occasione di grande solidarietà tra concittadini, tanti giovani, chiamati «angeli del fango» che spontaneamente hanno prestato il loro aiuto, la tempestiva assistenza dell'intervento delle unità della protezione civile e di vari corpi confluiti su Senigallia, ma il volontariato non può e non deve sostituirsi alla politica;
    il Governo è stato impegnato, ad adottare iniziative normative, per quanto di propria competenza, volte ad apportare le modifiche al quadro normativo vigente nella logica unitaria della difesa idrogeologica, della gestione integrata dell'acqua e del governo delle risorse idriche, e a portare a definitiva e rapida approvazione tutti i piani di gestione dei distretti idrografici e i relativi programmi di azione, ai fini del raggiungimento degli obiettivi previsti della direttiva sulle acque n. 2000/60/CE;
    «al momento – ha dichiarato il sindaco di Senigallia, Maurizio Mangialardi –, non sarebbe serio dare una stima approssimativa dei danni procurati dall'alluvione. In ogni caso l'alluvione di Senigallia è un'occasione per questo governo che le cose si possono fare, e si possono fare in modo diverso dal passato»; anche i firmatari della presente mozione concordano con quanto espresso dal primo cittadino di Senigallia, poiché le stime potrebbero aumentare con il bilancio definitivo degli ingenti danni procurati;
    il presidente della regione Marche, Gianmarco Spacca, ha tempestivamente chiesto la dichiarazione dello stato di emergenza ai sensi dell'articolo 5 della legge n. 225 del 1992, per far fronte ai danni procurati dall'alluvione;
    all'indomani dell'alluvione, le dichiarazioni del Governo e della regione erano volte ad azioni atte ad aiutare le famiglie colpite e a potenziare gli interventi per la ripresa economica e salvaguardare tutti i settori che rappresentano il cuore pulsante dell'economia della regione Marche e in particolare il comune di Senigallia, città a forte vocazione turistica;
    la ripresa dei settori dipende direttamente da quanto il Governo e gli enti saranno in grado di supportarli,

impegna il Governo:

   a intervenire tempestivamente per rispettare nella loro totalità gli impegni assunti all'indomani dell'alluvione dal Presidente del Consiglio, assumendo iniziative per garantire i fondi necessari alla ripresa e per allentare i vincoli di bilancio dei comuni colpiti svincolandoli dal patto di stabilità;
   a disporre, d'intesa con la regione Marche, una ricognizione per valutare le singole criticità delle famiglie e dei settori colpiti nei vari comuni al fine di garantire gli aiuti necessari e la ripresa economica delle zone colpite;
   a favorire la qualità e l'efficacia degli interventi di prevenzione e di mitigazione del rischio idrogeologico;
   a riproporre con forza i temi della manutenzione del territorio, della pianificazione territoriale come strumento di prevenzione e di contrasto del rischio idrogeologico, delle politiche di sostegno dei residenti nelle comunità colpite dall'alluvione, quale elemento fondamentale dell'azione di contrasto dei fenomeni di abbandono e di degrado del territorio;
   ad assumere iniziative per rivedere la legislazione in materia di difesa del suolo e del riordino del relativo sistema di competenze e di responsabilità, impegnandosi a contrastare ogni iniziativa d'indebolimento della pianificazione in passato pesantemente compromessa da indiscriminati interventi di condono edilizio;
   a favorire la logica della prevenzione rispetto a quella di gestione dell'emergenza, anche nella destinazione delle risorse economiche che devono essere rese stabili, utilizzabili in tempi certi e ricondotte a una gestione ordinaria delle procedure, in primo luogo salvaguardando e sbloccando le risorse previste dagli accordi di programma già sottoscritti con le regioni per gli interventi prioritari di prevenzione dal rischio idrogeologico;
   ad assumere iniziative per prevedere un sistema d'incentivi fiscali, simili a quelli per le ristrutturazioni o gli adeguamenti energetici, e un regime di IVA agevolata, per chi investe nella sicurezza del territorio, delle infrastrutture o degli edifici;
   ad assumere iniziative per stanziare ed erogare, nell'immediato, congrue risorse per gli interventi necessari alla messa in sicurezza del territorio colpito;
   a mettere in campo con il dipartimento della protezione civile, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la regione Marche, d'intesa con gli enti locali e le associazioni imprenditoriali azioni per affrontare la situazione d'emergenza nel suo complesso, individuando i siti a rischio dissesto idrogeologico e a favorire le azioni necessarie per mettere in sicurezza le aree residenziali, le aziende agricole, le cantine, i magazzini, le attività produttive, i centri sanitari, le scuole, gli esercizi commerciali e le attività ricettive;
   ad assumere, in tempi rapidi, iniziative, anche normative, per la concessione di contributi per la riparazione, il ripristino degli immobili di edilizia abitativa e a uso produttivo delle zone colpite, in relazione al danno effettivamente subito, anche in misura sufficiente a coprire integralmente le spese occorrenti per la riparazione, il ripristino e la ricostruzione degli immobili danneggiati, sia abitativi, sia destinati a uso agricolo, produttivo, che degli impianti, che per la ricostituzione e il riacquisto, fino alla misura massima del 100 per cento del costo ammesso e riconosciuto;
   per quanto riguarda le attività produttive, a prevedere che i soggetti destinatari dei contributi siano i titolari di reddito d'impresa, e i titolari di reddito di lavoro autonomo e gli esercenti attività commerciali, turistiche, agricole e di allevamento, per i danni subiti agli immobili, agli impianti, ai magazzini, e che una perizia attesti, oltre ai danni accertati, anche l'entità della riduzione del reddito conseguente alla sospensione dell'attività;
   ad assumere iniziative per sospendere i pagamenti dei tributi, dei contributi previdenziali e d'assistenza e dei premi per l'assicurazione obbligatoria per i suddetti soggetti con scadenza dal tre maggio 2014 sino a dicembre 2014;
   ad assumere iniziative affinché il pagamento degli adempimenti tributari e non tributari dopo la sospensione dei termini, sia effettuato in forma rateale, senza applicazione di sanzioni e interessi;
   a promuovere, anche mediante protocollo d'intesa con l'Associazione bancaria italiana, la possibilità per la popolazione colpita dall'alluvione, di accedere a finanziamenti agevolati assistiti dalla garanzia dello Stato per il pagamento dei tributi, dei contributi e premi da compiere dopo la sospensione dei termini e la possibilità di accedere al Fondo di cui all'articolo 2, comma 475, di cui alla legge 24 dicembre 2007, n. 244.
   ad assumere iniziative per attribuire anche alle imprese, agricole, artigiane e commerciali, ovvero a lavoratori autonomi, con sede legale o operativa, alla data del 3 maggio 2014 nei territori delle Marche, colpiti dagli eventi alluvionali, che non beneficiano dei contributi ai fini del risarcimento del danno, ma che possano dimostrare di aver subito un danno economico indiretto, quale diminuzione del volume d'affari, ricorso a strumenti di sostegno al reddito dei lavoratori per fronteggiare il calo di attività, caduta della domanda conseguente agli eventi alluvionali, un contributo pari al costo sostenuto per la ricostruzione, il ripristino o la sostituzione di beni d'impresa o di lavoro autonomo o per la riduzione, documentata, dell'attività produttiva, agricola, di fornitura, di servizio, commerciale o turistico;
   ad assumere iniziative per attribuire a singoli cittadini, a imprese, artigiani, commercianti e strutture ricettive, ovvero a lavoratori autonomi, con sede legale o operativa, alla data del 3 maggio 2014, nei territori colpiti dagli eventi alluvionali, contributi ai fini del risarcimento del danno – diretto o indiretto – e contributi pari al costo sostenuto per interventi di riduzione del rischio idrogeologico e per la messa in sicurezza del territorio in cui sono residenti o è localizzata l'attività;
   ad avviare, in tempi rapidi, con priorità per le zone alluvionate e per l'intero territorio nazionale, un piano ambientale per gli investimenti necessari al riassetto idraulico e idrogeologico e alla prevenzione di eventi alluvionali integralmente finanziato con risorse escluse dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno;
   a prevedere le necessarie misure di snellimento per le procedure burocratiche per le opere di ricostruzione, e per quelle di mitigazione e prevenzione del rischio idrogeologico;
   a disporre l'utilizzo di una quota rilevante dei fondi strutturali per il 2014-2015 anche per programmi ambientali per la messa in sicurezza delle aree a rischio, disponendo l'immediata riprogrammazione delle risorse non spese del Quadro comunitario di sostegno 2007-2013 per destinarle con priorità alla messa in sicurezza e alla difesa del suolo delle aree alluvionate;
   ad assumere iniziative dirette a stanziare risorse per il riassetto idraulico, per le casse di espansione, per l'innalzamento delle dighe e il rafforzamento degli argini, per la manutenzione della rete idraulica, per il drenaggio efficiente di fiumi, fossi e canali del Paese;
   ad assumere iniziative volte a garantire congrue risorse per il Fondo Protezione civile per alluvioni di cui alla legge n. 228 del 2012, articolo 1, comma 290;
   ad avviare iniziative, di formazione, per quanto di competenza, con la collaborazione delle associazioni imprenditoriali e artigiane, di disoccupati e inoccupati anche beneficiari di cassa integrazione o di altre forme di sostegno al reddito, per l'immediato impiego di tali soggetti in iniziative e interventi sul territorio per la difesa del suolo, per opere d'ingegneria idraulica e di consolidamento e ripristino delle reti di servizi e della mobilità al fine di favorire la ripresa economica e l'occupazione in particolare a Senigallia;
   ad attivarsi immediatamente per accedere ai finanziamenti del Fondo di solidarietà per le grandi calamità dell'Unione europea (FSUE), evitando di fare scadere i termini presso la Commissione europea, al fine di richiedere una contribuzione straordinaria per affrontare i terribili danni prodotti dall'alluvione che ha colpito la regione Marche;
   ad assumere iniziative dirette a prevedere il fermo della riscossione o almeno delle azioni coattive di Equitalia a partire dal tre maggio 2014 nelle zone colpite dal nubifragio per l'anno 2014;
   ad adottare iniziative per sospendere i termini di pagamento e gli adempimenti tributari in scadenza tra il 3 maggio 2014 sino al 31 dicembre 2014 per i contribuenti residenti nelle aree gravemente colpite, e la sospensione del pagamento delle rate di adempimenti contrattuali, compresi mutui e prestiti;
   a predisporre un programma di prevenzione ambientale di medio e lungo termine per rendere il territorio nazionale idoneo a fronteggiare in futuro situazioni di maltempo anche di forte entità e ad avviare un serio programma nazionale di ripristino e messa in sicurezza del territorio.
(1-00465) «Vezzali, Andrea Romano, Balduzzi, D'Agostino, Librandi, Molea, Monchiero, Rabino, Vargiu».


   La Camera,
   premesso che:
    l'operazione Mare Nostrum è stata avviata il 18 ottobre 2013 dal Governo Letta a seguito dei fatti drammatici in cui persero la vita, nelle acque di Lampedusa, 366 migranti;
    l'operazione è, dunque, nata con l'intento di scongiurare il ripetersi di tali sciagure e di disporre, come dichiarato dal Ministro della difesa nel corso dello svolgimento dell'interrogazione a risposta immediata in Assemblea presso la Camera dei deputati in data 7 maggio 2014, «un dispositivo navale in grado di operare contestualmente sia in attività di assistenza umanitaria che di sicurezza marittima»;
    secondo i dati forniti dal Governo, dall'avvio dell'operazione sarebbero state soccorse dalla Marina militare 27.790 persone, di cui 3.034 minori, mentre sarebbero stati arrestati e denunciati all'autorità 207 «scafisti»;
    per quanto concerne gli oneri dell'operazione, sempre secondo fonti del Governo, sarebbero state mediamente sostenute spese mensili pari a circa 9,3 milioni di euro, coperte con le ordinarie disponibilità iscritte al bilancio del Ministero della difesa. Nello specifico, circa 7 milioni di euro sarebbero stati destinati al funzionamento e alla manutenzione dei mezzi e il restante per gli oneri connessi alle indennità del personale impiegato nelle attività di pattugliamento e soccorso;
    dall'avvio dell'operazione, le navi impiegate hanno funzionato come mezzi di raccolta dei migranti, immediatamente dopo selezionati e trasferiti a terra nel porto di Augusta, in provincia di Siracusa e poi a Pozzallo, in provincia di Ragusa, dove esiste un centro di primo soccorso ed accoglienza cronicamente al collasso, o, in alternativa, a seconda della destinazione, in altro porto;
    la tragedia che si è consumata, in data 12 maggio 2014, ha evidenziato tutti i limiti dell'operazione Mare Nostrum, che si è dimostrata insufficiente ad evitare la morte di un numero ancora non precisato di persone, benché tale incidente sia avvenuto distante dalle coste italiane e in uno specchio di mare in cui si erano già portate avanti, in passato, altre operazioni di soccorso;
    Mare Nostrum costituisce una risposta emergenziale ad una questione strutturale, quale è quella relativa ai flussi migratori. Inadeguata e insufficiente e che, in ogni caso, non previene in alcun modo l'esposizione dei potenziali rifugiati ai rischi delle traversate per mare e che, se pure ha permesso di fermare molti dei cosiddetti scafisti, certo non è in grado di intervenire sull'emergenza della tratta di esseri umani che ha luogo in Libia e che vede negli scafisti solo l'ultimo anello della catena;
    le navi dell'operazione Mare Nostrum, se, da un lato, svolgono un'importante opera di pattugliamento e di soccorso, come prescritto dalle convenzioni internazionali in vigore, dall'altro, tuttavia, rappresentano veri e propri centri di accoglienza galleggianti, nei quali è stato imbarcato anche personale del Ministero dell'interno e probabilmente, come anche confermato da notizie di stampa indipendente, interpreti inviati dai consolati dei Paesi di provenienza;
    le navi, di fatto, sono state trasformate in veri e propri uffici di polizia, nelle quali vengono effettuate le «preidentificazioni» ed il rilievo delle impronte digitali;
    ai sensi dell'articolo 18 del «regolamento Eurodac», gli Stati, prima di procedere al prelievo delle impronte digitali, sono tenuti ad informare la persona sull'identità del responsabile del trattamento ed eventualmente del suo rappresentante, delle finalità per cui i dati saranno trattati nell'ambito dell'Eurodac, dei destinatari dei dati, dell'esistenza di un eventuale obbligo per rilevare le impronte digitali, dell'esistenza di un diritto di accesso ai dati che la riguardano e di un diritto di rettifica di tali dati;
    il rilievo delle impronte digitali assume un'importanza particolare alla luce del regolamento cosiddetto Dublino III, che prescrive che il migrante sia «preso in carico» dal Paese di primo accesso. Essendo l'Italia un Paese di transito per la maggior parte dei migranti e vista la diffusione delle notizie sulla lentezza delle procedure del nostro Paese nell'evasione delle richieste d'asilo e sulle limitazioni – pur se illegittime – poste alla libera circolazione in territorio europeo anche successivamente al riconoscimento dello status di rifugiato, sono molti i migranti che si oppongono al rilevamento;
    la diffusione delle informazioni sul collasso del sistema di accoglienza italiano e sulle conseguenze giuridiche del rilevamento delle impronte potrebbe, poi, portare le imbarcazioni su rotte meno intercettabili e più pericolose, proprio al fine di evitare la fotosegnalazione a bordo da parte delle autorità italiane;
    il regolamento (UE) n. 604/2013, cosiddetto Dublino III, nato per contrastare il fenomeno del cosiddetto asylum shopping (la presentazione della richiesta di protezione in più Paesi), appare del tutto inadeguato a gestire i flussi migratori attuali, impedisce, di fatto, la necessaria solidarietà europea nella gestione delle domande di protezione e incentiva fenomeni di fughe collettive dai centri di prima accoglienza e, quindi, di «clandestinizzazione» dei migranti;
    occorre segnalare, inoltre, come non sia stato organizzato nel nostro Paese un sistema di prima accoglienza idoneo alla portata del fenomeno delle migrazioni e, in particolare con riferimento ai richiedenti asilo, siano state utilizzate strutture di accoglienza del tutto improprie e al limite della dignità umana;
    negli ultimi anni per fronteggiare situazione di emergenza si è assistito al moltiplicarsi dei cosiddetti «centri informali», centri di prima accoglienza attivati dai prefetti ai sensi del decreto-legge n. 451 del 1995, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 563 del 1995 (cosiddetta legge Puglia), in luoghi spesso non idonei a ricevere ed ospitare degnamente e per periodi medio-lunghi un numero consistente di persone, come palestre e palasport. Lo stesso vale nel caso in cui i centri siano allestiti, sempre su indicazione dei prefetti, in locali privati altrettanto inidonei allo scopo e sulla base di procedure emergenziali, che non consentono di valutare la congruità delle spese di affitto o dei canoni di requisizione. In tali centri i migranti attendono anche oltre due mesi per formalizzare la propria richiesta d'asilo in assenza delle più basilari attività di supporto legale e psicologico;
    particolarmente drammatica è, poi, la situazione dei centri di prima accoglienza per minori non accompagnati, che pure hanno diritto a particolari garanzie internazionali che trovano giustificazione nella loro vulnerabilità: sempre più spesso i minori vengono tradotti in strutture di prima accoglienza al collasso e impreparate ad un sostegno specifico. I tempi di trasferimento in comunità idonee ad accogliere i minori sono lunghi e le fughe dai centri di accoglienza per minori sono state ampiamente documentate anche da fonti giornalistiche. Di fatto, il nostro Paese perde le tracce della gran parte dei minori che sbarcano sulle coste;
    la salvaguardia della vita umana in mare è un principio giuridico fondamentale e inderogabile ed è alla base del diritto internazionale del mare operante anche nelle attività di contrasto di eventuali natanti che trasportino migranti a fini di sfruttamento o favoreggiamento dell'immigrazione irregolare;
    tra le diverse convenzioni operanti nel diritto internazionale vi è anche il protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale per combattere il traffico di migranti via terra, via mare e via aria, firmato a Palermo il 15 dicembre 2000, ratificato e reso esecutivo con legge 16 marzo 2006, n. 146, che prevede, tra l'altro, l'obbligo di assicurare l'incolumità e il trattamento umano delle persone a bordo di un'imbarcazione sospettata di trasportare migranti in condizioni irregolari (articoli 9, paragrafo 1(a), e 18, paragrafo 5) e l'obbligo di proteggere e assistere le vittime di traffico, in particolare donne e bambini (articolo 16);
    anche l'articolo 7 del decreto del Ministero dell'interno del 14 luglio 2003 prevede che l'azione di contrasto debba essere sempre improntata alla salvaguardia della vita umana ed al rispetto della dignità della persona. In ogni caso lo stesso articolo 7 prevede che la visita a bordo di mercantili sospettati di essere coinvolti nel traffico di migranti deve avvenire in una cornice di massima sicurezza, onde salvaguardare l'incolumità del team ispettivo e dei migranti stessi, e che, qualora si renda necessario l'uso della forza, l'intensità, la durata e l'estensione della risposta devono essere proporzionate all'intensità dell'offesa, all'attualità e all'effettività della minaccia;
    nello specifico, sui richiedenti asilo, che rappresentano la grande maggioranza dei migranti, la decisione assunta dal Ministero dell'interno, con circolare del 19 marzo 2014, di distribuire nel territorio nazionale, a cura delle prefetture, i richiedenti asilo, ben lungi dall'essere una misura straordinaria necessitata dalla saturazione dei posti di accoglienza dovuta ad arrivi massicci ed imprevedibili, è ancora una volta conseguenza diretta della mancata riforma di norme confuse e non coordinate tra loro e della conseguente pluriennale mancanza di un piano nazionale di accoglienza dei richiedenti asilo e di integrazione sociale dei titolari di protezione;
    la Libia, Paese di partenza della maggior parte dei migranti diretti in Italia, vive un momento di gravissima crisi politica. Il Governo del Paese non ha una sovranità certa sul territorio e specialmente nella fascia costiera sono ampiamente documentate lesioni collettive gravissime ai diritti dei profughi. Il Paese non ha mai sottoscritto la Convenzione di Ginevra del 1951. Si hanno notizie certe di fenomeni di schiavizzazione, reclusioni all'interno di strutture lager, stupri di massa. Ogni atto teso esclusivamente a scoraggiare i rifugiati presenti in Libia a prendere il mare significherebbe, quindi, esclusivamente esporli a rischi gravissimi per la loro incolumità fisica e psicologica;
    è evidente che non esiste una correlazione tra le scelte interne di politica migratoria dei singoli Stati europei. L'inasprimento delle normative, o il suo contrario, non hanno avuto effetti su flussi che dipendono esclusivamente da ragioni politiche e sociali nel continente africano. Sarebbe necessaria una politica comune dell'Unione europea per gestire in maniera unitaria il fenomeno delle migrazioni che sia improntata all'accoglienza e alla necessità di un rilancio della cooperazione internazionale, tesa alla promozione dei diritti e delle tutele, quale unica via per contrastare gli esodi di massa,

impegna il Governo:

   a sbloccare immediatamente i fondi per il finanziamento dei programmi di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati, portando il sistema Sprar alla sua piena operatività e trasferendo in tempi brevi in detti programmi i richiedenti asilo attualmente accolti presso strutture provvisorie;
   ad attuare centri di accoglienza decentrata di dimensioni medio-piccole, finanziati dallo Stato e gestiti dai comuni con le professionalità richieste anche dalle direttive dell'Unione europea, e a disporre la chiusura immediata dei centri provvisori di prima accoglienza gestiti dalle prefetture, in cui la libertà personale è stata sottoposta ad evidenti limitazioni, anche oltre 48-96 ore, in assenza di un provvedimento amministrativo formale e della doverosa convalida da parte dell'autorità giudiziaria, in conformità a quanto previsto dall'articolo 13 della Costituzione;
   a prevedere la progressiva fuoriuscita dall'emergenza, adeguando il sistema d'accoglienza italiano a quanto previsto dalla normativa interna ed internazionale;
   a implementare con la massima priorità il sistema di accoglienza dei minori non accompagnati, impedendo che tali soggetti possano essere posti, anche temporaneamente, in «centri informali» di grandi dimensioni e, dall'altro, garantendo loro una rete di protezione che preveda tutele particolari riconosciute ai minori a garanzia della loro particolare vulnerabilità;
   a farsi promotore di un'iniziativa tesa a sospendere l'applicazione del regolamento cosiddetto Dublino III e a stabilire con gli Stati aderenti a tale accordo nuove regole che permettano ai richiedenti asilo di raggiungere in condizioni di sicurezza il Paese in cui intendono fare richiesta d'asilo;
   a porre in sede europea il tema della garanzia della libera circolazione dei rifugiati negli Stati dell'Unione europea, estendendo a tali soggetti i diritti previsti per i cittadini europei dal trattato di Schengen, permettendo così un'allocazione libera, e dunque più razionale, dei flussi migratori;
   a rivedere al più presto gli accordi bilaterali vigenti con l'Egitto, la Nigeria e la Tunisia, che consentono il rimpatrio immediato anche prima che possa essere depositata un'istanza di protezione internazionale, sulla quale dovrebbe decidere l'apposita commissione territoriale e non l'autorità di polizia in frontiera;
   a farsi portatore in sede europea di un'iniziativa che porti al definitivo superamento del sistema Frontex, affinché quelle risorse e professionalità siano finalizzate in primis ad organizzare un efficiente sistema di monitoraggio e soccorso;
   a porre in sede europea la questione dell'indifferibilità dell'apertura di canali di «accesso protetto», che tramite corridoi umanitari garantiscano la possibilità ai migranti di fare richiesta di asilo direttamente nei Paesi di transito, come l'Egitto, per poi poter entrare in Europa in sicurezza.
(1-00466) «Palazzotto, Migliore, Fratoianni, Duranti, Di Salvo, Piazzoni, Piras, Scotto, Fava, Marcon, Pannarale, Ricciatti».


   La Camera,
   premesso che:
    il 18 ottobre 2013, a seguito dell'ennesima grave tragedia avvenuta pochi giorni prima, con il naufragio e la morte di quasi 200 migranti, in gran parte eritrei e somali, è stata avviata da parte dell'Italia un'importante operazione militare ed umanitaria nel Mar Mediterraneo meridionale, denominata Mare Nostrum, allo scopo, da un lato, di assicurare la salvaguardia delle vite dei migranti in mare, anche alla luce delle numerose vittime tra donne e bambini, e, dall'altro, di sottrarre gli stessi migranti alla rete di traffici illeciti nella quale restano invischiati nel tentativo disperato di giungere in Italia;
    dall'ottobre 2013 sono state tratte in salvo più di diciannove mila persone e, qualora non vi fosse stato un così imponente sforzo da parte dell'Italia, probabilmente si sarebbe assistito in questi mesi a tragedie e numeri di morti ancora più imponenti di quelli che, purtroppo, si sono comunque verificati, come testimoniato anche dalle notizie giunte il 14 maggio 2014 sull'ennesima strage avvenuta alle porte del nostro Paese;
    tuttavia, il costo stimato dell'operazione Mare Nostrum, pari a circa 9 milioni di euro al mese interamente a carico del nostro Paese, ha messo in evidenza come la risposta a tale fenomeno non possa più essere data adeguatamente a livello nazionale, ma richiede un deciso e complessivo intervento a livello dell'Unione europea;
    va, altresì, sottolineato che i profondi cambiamenti politici e sociali avvenuti nei Paesi della sponda sud del Mediterraneo hanno contribuito a determinare un profondo cambiamento nella qualità dei flussi migratori, sempre più caratterizzati da migranti in fuga da guerre e persecuzioni e aventi titolo al riconoscimento dello status di rifugiato internazionale, e sempre meno caratterizzati da migranti meramente economici, in cerca di un'opportunità di vita migliore;
    l'impossibilità per molti di loro di potersi trasferire liberamente in altri Paesi dell'Unione europea, ove spesso risiedono familiari e parenti già da tempo integrati ed insediati, ha portato all'ulteriore conseguenza per la quale molti potenziali beneficiari di protezione internazionale rifiutano di farsi riconoscere una volta giunti in Italia nella speranza di potere, magari di nuovo clandestinamente, raggiungere i propri familiari nei Paesi del nord Europa, come sta avvenendo proprio in questi giorni con i profughi siriani accampati nella stazione di Milano;
    al fine di ridurre i numeri di questa silenziosa strage in mare, nonché quelli di chi illecitamente lucra sul traffico di esseri umani, potrebbe essere di cruciale importanza l'apertura di presidi dell'Unione europea nei Paesi di origine o di transito dei migranti, al fine di raccogliere le eventuali richieste di protezione internazionale prima del loro imbarco clandestino;
    occorre, dunque, un vero cambio di passo anche a livello europeo, sulla base della considerazione che le vite soccorse in mare rappresentano un valore assoluto, che ai beneficiari di protezione internazionale vada riconosciuto il diritto di circolare e soggiornare all'interno dell'Unione europea e che, se l'Italia costituisce la frontiera a sud dell'Unione europea, un'efficace risposta a questo fenomeno non può che essere data politicamente ed economicamente a livello europeo;
    del resto, lo stesso direttore dell'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali, Morten Kjaerum, durante la sua audizione alle Commissioni riunite affari costituzionali, giustizia e politiche dell'Unione europea della Camera dei deputati e politiche dell'Unione europea del Senato della Repubblica, tenutasi nella giornata di martedì 13 maggio 2013, ha affermato che «sul tema della condivisione degli oneri derivanti dal fenomeno migratorio da parte di tutti i Paesi Ue, non ci sono ancora soluzioni», ma servono certamente interventi «sostenibili e di lungo periodo»;
    in questo quadro, è auspicabile un deciso rafforzamento delle strategie di partenariato con i Paesi di origine e con quelli di transito dei flussi migratori, nonché il potenziamento dei programmi di protezione regionali esistenti, condotti in collaborazione e d'intesa con l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, anche al fine di approntare standard adeguati di assistenza, in linea con quelli europei, relativi alle persone bisognose di protezione internazionale,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni iniziativa utile, nelle opportune sedi europee, volta a trasformare l'operazione Mare Nostrum in un'operazione dell'Unione europea, sulla base della consapevolezza che le vite salvate in mare aperto sono un valore assoluto, e a promuovere un più stretto coordinamento delle attività di pattugliamento del Mediterraneo con le attività di cooperazione operativa con i Paesi di origine e di transito dei flussi;
   ad adottare ogni iniziativa utile nelle opportune sedi internazionali ed europee, volta a modificare i criteri enunciati nel regolamento (UE) n. 604/2013 (cosiddetto Dublino III), al fine di favorire un ampliamento delle possibilità di ricongiungimento dei richiedenti protezione internazionale ad altri familiari, oltre alle ipotesi già previste dal capo III del predetto regolamento;
   a perseguire il progetto di reciproco riconoscimento dello status di protezione internazionale rilasciato da uno Stato membro da parte di tutti gli altri partner europei, in modo da permettere la libertà di stabilimento del beneficiario in ogni Stato dell'Unione europea;
   a sostenere, in accordo con gli altri partner dell'Unione europea, l'opportunità di un trasferimento della sede di Frontex in un'area geograficamente collocata al centro del Mediterraneo;
   ad adottare ogni iniziativa utile, d'intesa con i partner europei, al fine di valutare la possibilità che nei Paesi di origine o di transito siano istituiti presidi dell'Unione europea per un preventivo screening delle domande dei richiedenti protezione internazionale, anche al fine di evitare che i migranti possano diventare merce per i trafficanti di esseri umani;
   a compiere ogni sforzo, anche sul piano bilaterale, per stipulare accordi di cooperazione con i Paesi terzi da cui provengono, o attraverso i quali transitano, i migranti diretti in Europa;
   ad adottare ogni iniziativa utile nelle opportune sedi europee volta a predisporre un piano integrato delle misure di accoglienza a livello europeo – anche in attuazione dell'articolo 80 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, laddove sancisce che i principi della solidarietà e dell'equa ripartizione della responsabilità non sono limitati al solo piano finanziario – nonché ad incrementare le misure di accoglienza riservate ai richiedenti asilo non abbienti, dotando di adeguate risorse finanziarie gli strumenti normativi deputati a trasporre nell'ordinamento italiano le due direttive europee contenute nel disegno di legge «Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea – Legge di delegazione europea 2013 – secondo semestre» (A.C. 1836), relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale e all'esame delle relative domande.
(1-00467) «Fiano, Andrea Romano, Roberta Agostini, Bersani, Bindi, Cuperlo, D'Attorre, Marco Di Maio, Fabbri, Famiglietti, Gasparini, Giorgis, Gullo, Lattuca, Lauricella, Marco Meloni, Naccarato, Piccione, Pollastrini, Richetti, Rosato, Francesco Sanna, Beni, Moscatt, Chaouki».


   La Camera,
   premesso che:
    l'operazione militare ed umanitaria nel Mar Mediterraneo meridionale, denominata Mare Nostrum, è iniziata il 18 ottobre 2013 al fine di fronteggiare lo stato di emergenza umanitaria in corso nello stretto di Sicilia, determinato dall'eccezionale afflusso di migranti. L'operazione Mare Nostrum ha un duplice obiettivo: a) quello di garantire la salvaguardia della vita in mare; b) quello di assicurare alla giustizia tutti coloro i quali lucrano sul traffico illegale di migranti. Per assolvere a questi compiti, essa prevede il rafforzamento delle attività correlate con il controllo del flusso migratorio ed il potenziamento dell'attuale dispositivo militare di sorveglianza aeromarittima;
    in una recente audizione effettuata il 29 aprile 2014 nelle Commissioni parlamentari affari esteri e difesa del Senato della Repubblica, il direttore centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere presso il Ministero dell'interno ha fornito alcuni dati che evidenziano come nel nostro Paese siano giunte circa 25 mila persone, con un forte aumento rispetto al 2013 ed in linea con i dati del 2011, in cui si era registrato un picco degli arrivi in conseguenza del fenomeno delle cosiddette «primavere arabe». Lo stesso direttore ha espresso la preoccupazione che il numero dei migranti possa ulteriormente aumentare con l'arrivo dell'estate, anche perché, secondo le informazioni raccolte, in Nord Africa ci sarebbero tra le 600 e le 800 mila persone potenzialmente intenzionate ad affrontare la traversata del Mediterraneo;
    il problema dell'immigrazione è particolarmente complesso e delicato e riguarda soprattutto, in questo momento storico, la grave instabilità politica dei Paesi africani del Mediterraneo e di quelli dell'Africa sub sahariana. Infatti, la ciclicità delle crisi che attraversano quei Paesi, dovuta alla fragilità degli equilibri politici interni e dei loro apparati statuali, fanno si che il fenomeno dell'immigrazione abbia natura strutturale e non emergenziale e sia dovuto a problemi non solo economici, ma anche e soprattutto a motivazioni politiche. Ciò cambia il profilo dei flussi migratori che, inizialmente originati dal desiderio o dalla necessità di fuggire da luoghi devastati da guerra e persecuzione, sono oggi determinati in larga parte dalla richiesta di diritto d'asilo;
    i cosiddetti «viaggi della speranza» partono da Eritrea, Mali, Siria, Gambia, Somalia, Senegal, Pakistan, Nigeria ed Egitto dove sono in corso guerre e persecuzioni;
    è vero che il fenomeno dell'immigrazione desta particolare preoccupazione, ma è anche vero che, a partire dall'eccezionale ondata migratoria, le misure approntate hanno ampliato la possibilità di fronteggiare in modo sicuro il fenomeno. Infatti, il dispositivo di sorveglianza delle frontiere e di soccorso in mare per il controllo dei flussi migratori che riguardano il canale di Sicilia, costituito proprio dall'operazione Mare Nostrum allo scopo di impedire naufragi e morti, ha funzionato e sta funzionando bene se è vero che, a partire dal 18 ottobre 2014, oltre 19 mila persone sono state tratte in salvo;
    è da considerare, comunque, che l'attuazione dell'operazione Mare Nostrum comporta una spesa di oltre 9 milioni di euro al mese ed è chiaro che, senza l'intervento della comunità internazionale, il nostro Paese non può reggere una pressione migratoria così forte;
    è, quindi, essenziale che l'Unione europea si faccia carico dei problemi legati all'immigrazione sia rafforzando il ruolo di Frontex, sia sollecitando gli Stati membri dell'Unione europea ad assumersi un impegno più diretto nelle operazioni gestite dall'Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea e volte al controllo della frontiera marittima;
    è necessario, quindi, che Frontex assuma il coordinamento non solo delle attività di pattugliamento del Mediterraneo, ma anche delle attività di cooperazione operativa con i Paesi di origine e di transito dei flussi, anche al fine di garantire il controllo delle frontiere e la lotta all'immigrazione illegale;
    in questo quadro, pur tenendo conto dell’ instabilità della gran parte dei Paesi del Nord Africa, un elemento significativo ed utile potrebbe risultare quello legato alle strategie di partenariato con i Paesi di origine ed anche con quelli di transito dei flussi migratori;
    è necessario, altresì, per affrontare il problema migratorio alle sue radici, l'intervento diretto dell'Unione europea direttamente nelle aree di origine del fenomeno, potenziando i programmi di protezione regionali esistenti, condotti in collaborazione e d'intesa con l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. È opportuno, quindi, che nei Paesi da cui nascono i maggiori movimenti migratori vengano approntati standard adeguati di assistenza, in linea con quelli europei che riguardano le persone bisognose di protezione internazionale;
    è necessario, peraltro, accrescere i mezzi finanziari che alimentano tali programmi. Un maggiore intervento in questa direzione non può, inoltre, prescindere dalla disponibilità degli Stati membri a mettere a disposizione risorse finanziarie più consistenti in modo da collegare il fenomeno migratorio a nuove opportunità di sviluppo che aiutino i Paesi destinatari delle forme di assistenza tecnica ad acquisire livelli crescenti di autosufficienza ed autonomia;
    le politiche di cooperazione devono mirare non solo all'assistenza nel luogo di origine, ma anche a migliorare le capacità dei migranti, con il duplice obiettivo di incrementare la possibilità per gli stessi di essere inseriti con maggiore preparazione e competenza nel mondo del lavoro. Vanno in questo senso gli accordi europei in materia di lavoro, che riguardano i Paesi di origine dei flussi verso l'Italia. Si ricordano, in proposito, gli accordi conclusi con l'Egitto, l'Albania, la Moldavia e lo Sri Lanka;
    occorre, altresì, intervenire per modificare il regolamento (UE) n. 604/2013, cosiddetto Dublino III, sul diritto di asilo. Infatti, secondo le norme vigenti, attualmente lo Stato membro responsabile dell'esame dell'istanza è quello in cui è avvenuto l'ingresso, regolare o meno, del richiedente asilo. Tutto ciò ha determinato difficoltà di accertamento dell'identità di migranti in arrivo. Se vengono identificati in Italia e viene loro riconosciuto lo status di richiedenti asilo non possono più muoversi sul suolo europeo, mentre spesso cercano di ricongiungersi a parenti o comunità che risiedono in centro o nord Europa con ogni mezzo;
    superare il regolamento (UE) n. 604/2013, cosiddetto Dublino III, significherebbe consentire il trasferimento legale di queste persone. Infatti, fin quando non si permetterà al richiedente asilo o al rifugiato di spostarsi all'interno dell'Europa secondo la propria volontà, continueranno a sussistere condizioni generali di estrema e difficile complessità, come l'aumento di flussi incontrollati verso altri Stati membri ed onerosi ri-trasferimenti nel nostro Paese. È, quindi, di importanza fondamentale che nei Paesi vengano istituiti presidi dell'Unione europea per consentire di raccogliere da subito le intenzioni del migrante. Infatti, i dati acquisiti dimostrano come l'intenzione dei migranti non sia quella di rimanere nel nostro Paese, ma di raggiungere un'altra destinazione in Europa;
    la necessità di rendere più efficace il sistema di accoglienza presuppone la velocizzazione dell'esame della decisione delle istanze di protezione internazionale. Il Governo ha risposto in modo idoneo a queste domande, incrementando le commissioni territoriali che sono destinate a questo importante compito. Occorre, comunque, che una volta adottata la richiesta, la persona che ottiene il diritto di asilo non debba necessariamente restare in Italia, ma che l'asilo debba essere sviluppato in termini di diritto in tutta l'Unione europea,

impegna il Governo:

   nel corso del prossimo semestre di Presidenza dell'Unione europea, che andrà ad iniziare il 1o luglio 2014, a porre con forza sul tavolo del Consiglio europeo la questione della diversità della pressione migratoria che l'Italia subisce rispetto agli altri partner europei nello spirito dell'articolo 80 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, il quale sancisce che i principi della solidarietà e dell'equa ripartizione della responsabilità non sono limitati al solo piano finanziario;
   a sottolineare l'alto valore umano rappresentato dall'operazione Mare Nostrum posta in essere dal nostro Paese richiedendo, per tale motivo, ai partner europei una partecipazione attiva alla medesima;
   a proporre modifiche ai criteri enunciati nel regolamento (UE) n. 604/2013 (cosiddetto Dublino III) in modo da favorire il ricongiungimento dei richiedenti protezione internazionale ad altri parenti, oltre a quelli enunciati nel capo III del predetto regolamento;
   a perseguire il progetto di reciproco riconoscimento dello status di protezione internazionale rilasciato da uno Stato membro da parte di tutti gli altri partner europei, in modo da permettere la libertà di stabilimento del beneficiario in ogni Stato dell'Unione europea;
   ad incentivare il ruolo di Frontex in modo da assumere la regia ed il coordinamento non solo delle attività di pattugliamento del Mediterraneo, ma anche delle attività di cooperazione operativa con i Paesi di origine e di transito dei flussi;
   a sostenere, rispetto ai partner europei, come ha sostenuto in Parlamento il Ministro dell'interno, Angelino Alfano, l'opportunità «di portare la sede di Frontex al centro del Mediterraneo, dove è in corso la partita cruciale dell'immigrazione»;
   ad esplorare, con i partner europei, la possibilità che, nei Paesi di origine o di transito dei richiedenti protezione, possano essere aperti presidi dell'Unione europea per un preventivo screening delle domande e per evitare che essi possano cadere nelle mani dei «mercanti di uomini»;
   a compiere ogni sforzo, anche sul piano bilaterale, per stringere accordi di cooperazione con i Paesi terzi da cui provengono o attraverso cui transitano i migranti diretti in Europa;
   ad incrementare le misure di accoglienza riservate ai richiedenti asilo non abbienti, dotando di adeguate misure di copertura finanziaria gli strumenti normativi deputati a trasporre nell'ordinamento le due direttive europee – attualmente contenute nel disegno di legge «Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea – Legge di delegazione europea 2013 – secondo semestre» (A.C. 1836) – relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale e all'esame delle relative domande, in modo da ottenere un sistema più rapido per la selezione degli aventi diritto e più efficiente per adempiere gli obblighi internazionali ai quali comunque l'Italia è sottoposta.
(1-00468) «Dorina Bianchi, Leone».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni VIII e X,
   premesso che:
    in Italia sono presenti più di 1000 pozzi produttivi di idrocarburi, di cui 615 onshore e 395 offshore;
    di questi, 777 pozzi producono gas mentre i restanti 233 sono mineralizzati ad olio;
    le produzioni annuali di gas (8 GSm3) ed olio (5 Mton) coprono rispettivamente il 10 per cento ed il 7 per cento del fabbisogno energetico nazionale;
    il permesso di ricerca di idrocarburi liquidi/gassosi è rilasciato alla compagnia petrolifera, a seguito di un procedimento unico che inizia con la selezione dei progetti effettuata dal Ministero dello sviluppo economico, sentito il parere dell'organo consultivo CIRM, nell'ambito della quale sono rappresentate le amministrazioni statali competenti (Ministero dello sviluppo economico, Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ISPRA, Avvocatura dello Stato) oltre che i rappresentanti regionali;
    per i permessi offshore sono coinvolti anche il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e quello delle politiche agricole, alimentari e forestali;
    si può notare che mentre i permessi in terraferma vengono rilasciati dal Ministero d'intesa con le regioni interessate, i progetti offshore sono sottoposti alla procedura di assoggettabilità ambientale e/o all'espressione del giudizio di compatibilità ambientale da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, o della regione interessata ma non è richiesta «l'intesa» con la regione stessa;
    l'attuale procedura autorizzativa non prevede pertanto un adeguato coinvolgimento delle comunità locali, a cui, in molti casi, viene richiesto esclusivamente un parere sulla realizzazione degli impianti;
    l'attività di esplorazione finalizzata alla scoperta di idrocarburi comporta anche per sua natura operazioni invasive dei fondali e degli ambienti marini;
    il Mar Mediterraneo è un mare piccolo e semichiuso con caratteristiche esclusive che rappresenta uno straordinario patrimonio dell'intera umanità e che, con una dimensione inferiore all'1 per cento dei mari del Mondo, è gravato dal transito del 25 per cento del traffico mondiale di idrocarburi, di cui solamente un terzo destinato ad approdi e consumi mediterranei;
    la consapevolezza dei gravissimi pericoli connessi alle attività di estrazione offshore nel Mar Mediterraneo induce a guardare con grande attenzione all'impatto del decreto del 27 dicembre 2012, recante «Ampliamento della zona «C», aperta alla ricerca e alla coltivazione degli idrocarburi in mare»;
    gli eventi sismici che hanno interessato il territorio nazionale negli ultimi anni attestano l'imprevedibilità dell'attività tellurica e vulcanica sotto la crosta terrestre, in mare e sulla terraferma, rimanendo sempre sospesa la minaccia che un terremoto possa danneggiare le piattaforme utilizzate per le attività di ricerca e di estrazione con episodi di inquinamento difficili da controllare, che sortirebbero effetti deleteri sulle attività economiche realizzate in mare e sulle coste nazionali;
    da queste considerazioni deriva l'assoluta inopportunità a proseguire o ad autorizzare nuove trivellazioni, poiché ogni altra attività legata a prospettive di estrazione di idrocarburi in mare e in terraferma, ancorché meramente esplorativa, intaccherebbe l'integrità dei siti, marini e terrestri e l'immagine ad alto valore naturalistico che sempre più si va imponendo all'attenzione del turismo internazionale;
    per quanto riguarda le tecniche di estrazione di idrocarburi grande perplessità lascia la fratturazione idraulica (Fracking) con la quale si intende una modalità di estrazione di idrocarburi, come petrolio (Shale Oil) e gas naturale (Shale Gas), dalle rocce mediante l'iniezione ad alta pressione di acqua ed altri reagenti chimici nel sottosuolo fratturando violentemente le rocce di scisto sottostanti incrementando in tal modo la liberazione e la migrazione in superficie dei fluidi contenenti idrocarburi liquidi o gassosi per il successivo immagazzinamento;
    tale procedura può determinare effetti dannosi anche di tipo ambientale in quanto, modificando la struttura e le caratteristiche fisiche di trasmissività del sottosuolo, si può determinare la messa in comunicazione di falde con differenti qualità delle acque utilizzate nel processo di fratturazione idraulica (spesso addizionate a diverse sostanze pericolose, tra le quali naftalene, benzene, toluene, xylene, etilbenzene, piombo, diesel, formaldeide, acido solforico, tiourea, cloruro di benzile, acido nitrilotriacetico, acrilamide, ossido di propilene, ossido di etilene, acetaldeide, ftalati, cromo, cobalto, iodio, zirconio, potassio, lanthanio, rubidio, scandio, iridio, krypton, zinco, xenon e manganese);
    la tecnica della fatturazione idraulica, che è molto utilizzata negli Stati Uniti dove è dimostrato che stia creando notevoli danni ambientali, in Europa è impraticabile (come ha affermato Leonardo Maugeri, ex direttore strategie e sviluppo di Eni, durante la puntata del programma d'inchiesta «Report» del 12 maggio 2014) per la densità della popolazione e le inevitabili proteste;
    in Italia il «Fracking» è tecnicamente vietato ma ufficialmente non esiste alcuna norma che lo bandisca;
    è urgente avviare, anche nelle sedi internazionali e comunitarie idonee iniziative politiche, normative ed amministrative al fine di definire più severe regolamentazioni, strumenti e capacità di intervento a fronte dei rischi connessi alle attività di ricerca, coltivazione e trasporto via mare di idrocarburi;
    considerato che nel corso della XVI Legislatura, il 15 giugno 2011, la 13a Commissione permanente del Senato, in sede di esame dell'affare assegnato relativo alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo ed al Consiglio «Affrontare la sfida della sicurezza delle attività offshore nel settore degli idrocarburi» (COM (2010) 560 DEF), approvò una risoluzione con la quale si impegnava il Governo, tra l'altro, ad avviare tutte le procedure necessarie per la ratifica del protocollo per la protezione del Mediterraneo contro l'inquinamento derivante dall'esplorazione e dallo sfruttamento della piattaforma continentale, del fondale marino e del relativo sottosuolo (Protocollo offshore) e ad operare per far sì che l'attuazione del protocollo medesimo sia riconosciuta come priorità nell'attività della Convenzione di Barcellona per il biennio 2012-2013 e ad attivarsi nelle diverse sedi internazionali, comunitarie e nazionali per la modifica del regime giuridico delle responsabilità per gli sversamenti inquinanti in mare prodotti da trasporti marittimi di idrocarburi ed altre sostanze inquinanti, mediante l'espressa corresponsabilizzazione delle società, delle imprese e dei soggetti destinatari di detti trasporti, al fine di espandere il novero dei responsabili tenuti a risarcire i danni anche ambientali, così da conseguire una maggiore attenzione anche da parte dei medesimi destinatari ai requisiti di modernità, di efficienza e di sicurezza delle navi da utilizzare per il trasporto via mare di sostanze inquinanti o pericolose,

impegna il Governo:

   ad assumere ogni iniziativa, anche normativa, volta a prevedere il divieto della tecnica della fratturazione idraulica;
   ad includere nella valutazione di impatto ambientale (VIA) le operazioni relative alle esplorazioni, alle ricerche e all'estrazione del gas da scisto;
   ad assumere iniziative atte a modificare, al fine di ripristinare il divieto, la disciplina recata dall'articolo 6 comma 17 del decreto legislativo n. 152 del 2006 – come modificato dall'articolo 35 del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012 – nella parte in cui sono fatti salvi i procedimenti concessori di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge n. 9 del 1991 in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128 ed i procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi, e quindi a rivedere e nel caso ad annullare l'efficacia dei titoli abilitativi già rilasciati alla medesima data, che non siano in linea con la disciplina giuridica anche ai fini della esecuzione delle attività di ricerca, sviluppo e coltivazione da autorizzare nell'ambito dei titoli stessi, delle eventuali relative proroghe e dei procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi, nell'ambito di un disegno di legge di iniziativa governativa o parlamentare di riordino delle procedure autorizzative;
   alla luce delle considerazioni di cui in premessa, ad assumere iniziative normative atte a modificare e rivedere il decreto del Ministro dello sviluppo economico del 27 dicembre 2012, che ha ampliato la zona marina «C» e conseguentemente, a rivedere il complesso delle autorizzazioni per la ricerca, le prospezioni e le perforazioni in mare rilasciate a seguito di esso;
   a prevedere, in maniera chiara ed univoca, che il parere degli enti locali sulle installazioni da assoggettare a valutazione di impatto ambientale (VIA) sia acquisito e vagliato nell'ambito dello stesso procedimento di valutazione d'impatto ambientale, al fine di assicurare la previsione e la conseguente valutazione del parere degli enti locali in relazione alle istanze di rilascio di titoli minerari in mare;
   a valutare quale sia l'effettiva produttività dei giacimenti in esercizio e ad assicurare che le imprese responsabili reperiscano le risorse necessarie a finanziare le attività di decommissioning delle piattaforme da avviare a dismissione e ad assicurare la soddisfazione delle richieste di risarcimento a cui sono tenute le compagnie petrolifere per i danni ambientali cagionati, attraverso l'innalzamento delle royalty sulle attività estrattive e sulle concessioni di coltivazione in mare;
   a prevedere che l'istruttoria per le perforazioni in mare e in terraferma – i cui oneri sono posti a carico dei soggetti che inoltrano l'istanza – sia effettuata mediante il contributo di istituti di livello nazionale in possesso delle professionalità tecniche e delle competenze specialistiche, quali l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale o il Consiglio nazionale delle ricerche, che devono essere coinvolti, in via ordinaria, nelle procedure finalizzate a tale tipologia di valutazioni;
   a promuovere con la massima tempestività la ratifica degli accordi e delle convenzioni internazionali, a cui l'Italia aderisce – ed in particolar modo del Protocollo offshore della Convenzione di Barcellona – che in ogni modo mirino a prevenire o a minimizzare gli impatti prodotti dalle attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi che si svolgono lungo le coste, unitamente a tutte le convenzioni concernenti la prevenzione o minimizzazione degli impatti prodotti dal trasporto di idrocarburi e sostanze pericolose via mare o comunque relative all'inquinamento marino;
   a promuovere in tutte le sedi opportune iniziative volte a definire una comune strategia con tutti gli altri Paesi del Mediterraneo per una severa regolazione dello sfruttamento di giacimenti sottomarini di idrocarburi nell'intero bacino;
   a promuovere un innalzamento del quadro regolatorio in materia di sicurezza anche nei Paesi del Mar Mediterraneo attraverso l'attivazione degli opportuni canali diplomatici e la promozione di una conferenza dei Paesi rivieraschi;
   a verificare la compatibilità di attività eventualmente in corso da parte di Stati mediterranei in acque internazionali o di loro competenza con gli accordi internazionali in essere e con le discipline regolative concernenti lo sfruttamento della piattaforma continentale e comunque, ove ritenga, ad attivare una stretta interlocuzione con gli stessi Stati per sollecitare il fermo di iniziative che, data la particolare contiguità e vicinanza con la regione marina e con le coste italiane, potrebbero metterne a rischio l'integrità e in virtù di ciò predisporre l'elenco esatto delle autorizzazioni rilasciate ed ancor oggi in vigore e con riferimento alle acque territoriali italiane e, al di fuori di esse, alla piattaforma continentale ed altresì di ogni altro nulla osta rilasciato anche con riferimento ad iniziative di stessa natura ove lo Stato italiano sia partecipe;
   ad assicurare il recepimento della direttiva 2013/30/UE, prestando particolare attenzione alla valutazione delle capacità tecnico-economiche del richiedente, anche per far fronte a eventuali misure di compensazione di danni ambientali, al coinvolgimento dei territori e ai compiti della autorità competente;
   ad indire una moratoria per le nuove attività di coltivazione di idrocarburi nel mare territoriale e in terraferma, nelle more del recepimento della direttiva 2013/30/UE, del 12 giugno 2013;
   ad assicurare che gli introiti erariali previsti dall'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 siano integralmente assegnati, ad inizio dell'anno finanziario successivo, appositi capitoli istituiti nello stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministero dello sviluppo economico, per assicurare il pieno svolgimento rispettivamente delle azioni di monitoraggio e contrasto dell'inquinamento marino e delle attività di vigilanza e controllo della sicurezza anche ambientale degli impianti di ricerca e coltivazione in mare;
   ad incrementare le condizioni di sicurezza del trasporto marittimo con particolare riferimento al Mare Adriatico;
   a prevedere la sospensione delle attività in zone a rischio sismico, vulcanico, tettonico così come indicato da indagini scientifiche preventive di supporto effettuate dagli enti di ricerca INGV, ISPRA e CNR;
   a prevedere il blocco delle attività in corso e del rilascio di future autorizzazioni previste in zone di particolare ripopolamento ittico, così come opportunamente indicato da indagini scientifiche preventive di supporto, effettuate dagli enti di ricerca INGV, ISPRA e CNR;
   ad effettuare un'analisi preventiva dei costi e dei benefici in relazione a future attività esplorative da autorizzare in zone di particolare pregio turistico ed economico;
   a prevedere un'analisi epidemiologica effettuata dell'istituto superiore di sanità, sui rischi della salute umana che andrebbe ad analizzare l'attività di ricerca, esplorazione e coltivazione idrocarburi e a disporre il blocco e il rilascio di future autorizzazioni qualora siano comprovati i rischi;
   a porre in essere ogni atto di competenza, anche di carattere normativo, finalizzato ad adeguare i livelli di rilascio di idrogeno solforato attualmente previsti, secondo l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), di 0,005 parti per milione (ppm);
   ad adottare ogni opportuna iniziativa, anche normativa, tesa a salvaguardare la salute delle popolazioni residenti nelle aree esposte alle emissioni di idrogeno solforato ed ove sussistono attività estrattive, di lavorazione e di stoccaggio di prodotti petroliferi;
   ad estendere quanto previsto dall'articolo 35 del decreto-legge 22 giugno 2012 n.83 anche per quanto riguarda gli «scogli affioranti» e per le aree marittime e costiere protette in fase di attuazione o costituzione;
   a normare il sistema di smaltimento previsto dalla normativa vigente per «fanghi e fluidi perforanti» che si generano per raggiungere i giacimenti petroliferi anche per gli impianti offshore al fine di impedire la prassi secondo cui questi fanghi nelle fasi di estrazione marittima vengono dispersi nelle acque;
   ad estendere la autorizzazione alla VIA anche per le fasi di manutenzione ordinaria che sono la causa dell'80 per cento degli sversamenti in mare, che nello specifico disperdono in mare ben 90.000 tonnellate l'anno di sostanze inquinanti;
   a far adottare agli impianti autorizzati o in fase di autorizzazione quanto previsto dalla direttiva europea 2010/75/UE in termini di emissioni industriali per il quale lo Stato può avviare ed imporre le clausole di salvaguardia;
   ad assumere iniziative per prevedere che gli impianti di ricerca, sviluppo e coltivazione di idrocarburi siano sottoposti a controllo annuale da parte dell'ISPRA con i costi di verifica a carico delle società concessionarie.
(7-00372) «Mannino, Crippa, De Rosa, Busto, Daga, Micillo, Segoni, Terzoni, Zolezzi».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    un sistema di trasporto pubblico ferroviario efficiente rappresenta un obiettivo prioritario per la costruzione di politiche volte alla promozione di uno sviluppo sostenibile, nonché per supportare strategie di crescita economica e di progresso sociale;
    le inefficienze del trasporto pubblico, anche sotto il profilo della ripartizione modale, si ripercuotono sul reddito disponibile delle famiglie, costrette a sostenere spese per la mobilità più elevate rispetto a quelle a carico di nuclei familiari residenti in altri Paesi europei;
    la politica di investimenti infrastrutturali in ambito ferroviario negli ultimi vent'anni si è concentrata sulle reti ad alta velocità, mentre non sono stati effettuati adeguati investimenti per rendere più moderna ed efficiente la rete tradizionale, che per larghe parti risulta ormai inadeguata e carente; considerazioni analoghe possono essere effettuate anche con riferimento al materiale rotabile utilizzato e al livello dei servizi;
    sul piano normativo, gli interventi di potenziamento, ammodernamento tecnologico e sviluppo delle linee e degli impianti ferroviari, così come il mantenimento in efficienza delle linee e delle infrastrutture ferroviarie, sono affidati al gestore dell'infrastruttura ferroviaria, RFI, sulla base di un contratto di programma stipulato con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di durata quinquennale, e di accordi di programma stipulati da RFI con le singole regioni;
    per quanto concerne i servizi, il decreto legislativo 422 del 1997 ha assegnato alle singole regioni la competenza dei servizi di trasporto ferroviario regionali, affidando loro la programmazione del servizio, attraverso contratti di servizio con i concessionari, mentre per il funzionamento del servizio ferroviario regionale le risorse sono garantite principalmente da finanziamenti statali;
   la sensibile riduzione dei finanziamenti statali in questi anni, con una diminuzione delle risorse nazionali stanziate nell'ultimo triennio (2010-2012) pari al 22 per cento rispetto al triennio precedente, affiancata da una generale scarsità delle risorse regionali, ha determinato un progressivo peggioramento dell'offerta di trasporto ferroviario;
    occorre peraltro rilevare che, a fronte di un'entità molto rilevante di risorse pubbliche che continuano ad essere trasferite al gruppo Ferrovie dello Stato italiane, tale gruppo ha privilegiato il settore più redditizio dell'alta velocità, non dedicando invece, sotto i profili della gestione dell'infrastruttura, della qualità del materiale rotabile e del livello dei servizi, altrettanto impegno ai servizi di trasporto pubblico sulle tratte regionali;
    i diversi fattori qui rapidamente richiamati, concernenti la riduzione delle risorse, le scelte aziendali di Ferrovie dello Stato italiane, le difficoltà di programmazione nella gestione dell'infrastruttura e dei servizi a livello regionale, hanno determinato una situazione generale di inadeguatezza del trasporto pubblico ferroviario e di bassa qualità del servizio offerto, che emergono con assoluta evidenza dalle continue lamentele e proteste dell'utenza pendolare;
    si tratta di tre milioni di cittadini che quotidianamente prendono il treno per raggiungere il posto di lavoro o di studio, e che sono costretti a subire variazioni nella programmazione del servizio, a sopportare continui ritardi, a viaggiare su convogli vetusti e sovraffollati, con improvvise e frequenti soppressioni di corse;
    la necessità di assicurare una quota adeguata di risorse e un forte impegno al potenziamento del trasporto pubblico ferroviario, da parte non soltanto dei soggetti istituzionali, ma anche del gestore dell'infrastruttura e dei gestori dei servizi, è ulteriormente accentuata dal fatto che negli ultimi anni, anche per effetto della crisi economica, si è registrato uno spostamento della domanda verso il trasporto collettivo, in particolare ferroviario; quest'ultimo non si è tuttavia mostrato in grado di rispondere adeguatamente alle esigenze degli utenti, in termini di qualità, puntualità e affidabilità del servizio;
   l'amministratore delegato di Ferrovie dello Stato italiane ha fatto presente, nell'ambito della presentazione del nuovo piano Industriale della società per gli anni 2014-2017, che Ferrovie dello Stato ha stanziato 3 miliardi rispetto ad un totale di 6 miliardi di investimenti necessari per il rinnovo completo del materiale rotabile destinato al trasporto pendolare; dei 3 miliardi indicati, 2 miliardi e 150 milioni risultando già contrattualizzati e 700 milioni non sono stati ancora contrattualizzati per l'assenza di certezza in ordine al rinnovo dei contratti di servizio ferroviario tra le regioni e Trenitalia; occorre peraltro, da un lato, considerare la difficoltà di reperimento di ulteriori risorse da parte dello Stato e delle regioni e, dall'altro, assicurare che le risorse effettivamente disponibili si traducano in interventi capaci di migliorare il livello del servizio di trasporto pubblico ferroviario;
    il Governo e, in particolare, il Ministro delle infrastrutture e trasporti ha più volte, da ultimo nell'audizione svolta presso la Commissione in data 2 aprile 2014, dichiarato la volontà di potenziare il sistema di trasporto pubblico locale e, per quanto concerne specificamente il trasporto ferroviario di passeggeri, ha evidenziato di aver rivolto ai vertici aziendali di Ferrovie dello Stato italiane il preciso indirizzo di porre in essere, per quanto di propria competenza, tutte le azioni necessarie per assicurare livelli adeguati di servizio pubblico;
    l'aumento della domanda di trasporto collettivo da parte dei cittadini italiani rappresenta per l'Italia un'opportunità da non perdere per affermare un nuovo stile di vita e un cambio delle abitudini di trasporto, con evidenti vantaggi in termini economici, ambientali e sociali, come sottolineato da ultimo dallo studio sul trasporto pubblico locale effettuato nel novembre dello scorso anno dalla Cassa depositi e prestiti;
    il Paese soffre inoltre di una scarsa integrazione tra le diverse modalità di trasporto che potrebbe essere superata attraverso un più intenso ricorso ai sistemi intelligenti di trasporto; tali sistemi, che nascono dall'applicazione ai trasporti delle tecnologie informatiche e di comunicazione, potrebbero facilitare la gestione del traffico e della mobilità, agevolare la diffusione il pagamento elettronico dei biglietti, fornire informazioni all'utenza in tempo reale, consentire un controllo avanzato dei veicoli anche al fine della velocizzazione dei mezzi, gestire le emergenze e gli incidenti sulla rete;
    il rilancio del trasporto pubblico ferroviario richiede pertanto, oltre a risorse adeguate, una migliore programmazione degli interventi sulla rete, che coinvolga il Governo nazionale, le regioni e il gestore dell'infrastruttura e la capacità di adottare scelte innovative per migliorare l'utilizzo dell'infrastruttura stessa;
    un confronto approfondito tra il Governo nazionale, le regioni e RFI permetterebbe di individuare e superare i punti di maggiore cri dell'infrastruttura che, nei singoli territori regionali, ostacolano la prestazione di un adeguato livello del servizio di trasporto pubblico ferroviario;
    sotto questo profilo si segnala la situazione del trasporto pubblico ferroviario nella regione Toscana, e, in particolare, la tratta Viareggio-Firenze, che serve un territorio con due milioni di residenti, pari al 40 per cento della popolazione regionale, è utilizzata ogni giorno da decine di migliaia di passeggeri, e da tempo necessita di interventi di ammodernamento e potenziamento;
   la regione, anche in ragione della forte urbanizzazione e della presenza di numerosi distretti industriali nelle province di Lucca, Pistoia, Prato e Firenze, ha individuato il raddoppio della linea Viareggio-Firenze, nel tratto fino a Pistoia, come prioritario per la mobilità nell'area della Toscana nord-occidentale;
    il mancato potenziamento della tratta costituisce un forte ostacolo allo sviluppo economico dell'area, sia dal punto di vista industriale che turistico; un miglior collegamento della Toscana centrale con la città di Firenze e il suo aeroporto, infatti, oltre a rendere più moderno ed efficiente un servizio essenziale per i cittadini, i pendolari, i lavoratori, le imprese, rafforzerebbe la centralità all'interno del sistema turistico toscano del territorio servito dalla tratta, agevolando le possibilità, per i turisti che arrivano a Firenze, di estendere il loro raggio d'azione e visitare l'intera Toscana;
   oltre a costituire un grave danno alla mobilità dei cittadini, il mancato intervento sulla Viareggio-Firenze rappresenta di fatto un incentivo al trasporto su gomma, con i conseguenti costi sociali e ambientali dovuti all'aumento della congestione e dell'inquinamento;
    sulla base di un'iniziativa promossa dai sindaci di Pistoia e di Lucca, l'8 febbraio scorso 39 sindaci del territorio hanno sottoscritto un ordine del giorno per sostenere e sollecitare il raddoppio della linea ferroviaria Viareggio-Firenze, oggetto di discussione dal molti anni, senza risultati;
    il documento, che impegna gli amministratori a promuovere sui propri territori momenti di approfondimento e mobilitazione a sostegno del raddoppio della tratta, vuole essere la base di una rete istituzionale, aperta a cittadini, comitati e rappresentanti del mondo economico e sociale, che dovrà attivarsi a favore del progetto già a partire dalle prossime settimane;
    nell'ambito di tale impegno istituzionale è prevista la richiesta ufficiale di un incontro al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per ottenere impegni concreti, volti alla realizzazione del raddoppio;
    il potenziamento della tratta Lucca-Viareggio, così come il raddoppio della Pistoia-Montecatini e la velocizzazione della tratta tra Montecatini e Lucca sono inseriti nel Piano regionale integrato delle infrastrutture, cui bisognerebbe dare pronta attuazione, anche consentendo l'utilizzo di risorse già stanziate anche per lotti diversi a quelli per i quali erano state destinate, purché immediatamente cantierabili;
    in prospettiva, l'attuale linea ferroviaria dovrebbe configurarsi come il collegamento metropolitano di superficie del territorio settentrionale della Toscana,

impegna il Governo:

   ad adottare le opportune iniziative per quanto di propria competenza, per favorire una maggiore efficienza del servizio di trasporto ferroviario regionale esercitato sulla rete tradizionale, superando le criticità che lo caratterizzano in termini di carenze della rete, inefficienza del servizio e vetustà del materiale rotabile;
   a promuovere in ciascuna regione un confronto tra la regione medesima, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la società RFI volto ad individuare gli interventi infrastrutturali prioritari per potenziare e rendere più efficiente la rete ferroviaria tradizionale, prevedendo adeguate forme di finanziamento, anche attraverso la verifica della possibilità di impiegare fondi dell'Unione europea;
   a promuovere uno scambio di informazioni tra RFI ed enti locali, volto a permettere a questi ultimi di conoscere pienamente lo stato di avanzamento delle opere nei propri territori, le risorse impegnate e quelle effettivamente spese, anche attraverso banche dati aperte;
   a prevedere la possibilità che le risorse disponibili possano essere utilizzate per le opere immediatamente cantierabili, anche se appartenenti a lotti diversi da quelli cui erano originariamente destinate;
   ad estendere il confronto anche al gestore del servizio, al fine di promuovere l'ammodernamento del materiale rotabile, il ricorso a tecnologie avanzate di controllo della movimentazione dei treni e la migliore integrazione tra le diverse modalità di trasporto pubblico;
   per quanto concerne, in particolare, la regione Toscana, ad inserire il potenziamento della tratta Viareggio-Firenze nell'ambito del contratto di programma, parte investimenti, stipulato tra il Ministero delle infrastrutture e i trasporti e la società RFI, in modo da pervenire entro giugno 2014 all'approvazione del progetto definitivo per quanto concerne il raddoppio della tratta Pistoia-Montecatini e per quanto concerne la velocizzazione della tratta Montecatini-Lucca e a stanziare le risorse necessarie alla realizzazione delle opere immediatamente cantierabili di carattere propedeutico al raddoppio e alla velocizzazione della linea, con particolare riferimento al miglioramento dell'efficienza dell'utilizzo dell'infrastruttura, all'eliminazione dei passaggi a livello e alla riqualificazione e ammodernamento delle stazioni ferroviarie;
   a portare entro la fine dell'anno a progettazione definitiva tutti i successivi lotti, stabilendo con certezza i tempi e le risorse disponibili per assicurare la piena realizzazione del raddoppio della linea Viareggio-Firenze nel tratto fino a Pistoia.
(7-00371) «Pierdomenico Martino, Mariani, Bini, Fanucci, Rigoni, Parrini, Albini, Cenni, Dallai».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    in data 20 dicembre 2013 sono stati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea i quattro regolamenti che riformano la politica agricola comune post-2014, aventi ad oggetto: norme sui pagamenti diretti agli agricoltori (regolamento (UE) n. 1307/2013); sostegno allo sviluppo rurale (regolamento (UE) n. 1305/2013); organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli (regolamento (UE) n. 1308/2013); finanziamento, gestione e monitoraggio della politica agricola comune (regolamento (UE) n. 1306/2013);
    la politica agricola comune (PAC), che negli ultimi vent'anni è stata caratterizzata da un lungo percorso di riforma, attiverà nel prossimo periodo di programmazione risorse finanziarie per un importo superiore ai 363 miliardi di euro (rubrica 2 del bilancio dell'Unione europea), di cui circa 265 miliardi di euro a valere sui pagamenti diretti e le misure di mercato;
    per l'Italia, le risorse finanziarie disponibili ammonteranno dal 2014 al 2020 a circa 52 miliardi di euro, di cui 27 miliardi per i pagamenti diretti, 20,9 miliardi per lo sviluppo rurale (che comprendono anche 10,45 miliardi di cofinanziamento nazionale) e 4,2 miliardi per le organizzazioni comuni di mercato;
    i quattro regolamenti della nuova PAC introducono una serie di modifiche e novità sia rispetto all'attuale sistema di regole sia rispetto all'impianto originariamente proposto dalla Commissione europea nell'autunno 2011, con l'obiettivo di rimettere al centro della prossima politica agricola europea le imprese, il lavoro e, in generale, la sostenibilità economica del tessuto agricolo europeo, salvaguardano e valorizzando, al tempo stesso, la sostenibilità ambientale e i territori rurali;
    in particolare, dal confronto con la proposta del 2011, il regolamento (UE) n. 1307/2013, recante norme sui pagamenti diretti:
     consente un passaggio al nuovo sistema di aiuti diretti (convergenza interna) graduale e con limitati impatti economici. L'orientamento del Governo propende, infatti, per il «modello irlandese», prendendo in considerazione l'Italia come regione unica ed applicando il greening a livello individuale. In questo modo i titoli il cui valore unitario si colloca al di sotto della media potranno crescere uniformemente fino a raggiungere nel 2019 il valore unitario del 60 per cento della media nazionale. Allo stesso modo, i titoli sopra la media non potranno scendere oltre il limite del 30 per cento;
     include una definizione di agricoltore attivo semplificata e adattabile alle diverse situazioni degli Stati membri, con l'obbligo di escludere una lista di soggetti giuridici che non svolgono attività agricola se non in modo marginale (aeroporti, campi da golf, compagnie assicurative eccetera) e con la possibilità di integrare la stessa lista con nuovi soggetti giuridici;
     delinea una componente ambientale (greening) meno burocratica e più flessibile attraverso l'esclusione delle aziende medio-piccole, la rivisitazione degli impegni e la valorizzazione del ruolo ambientale delle colture mediterranee (ulivi, frutteti e vigneti) e delle colture sommerse;
     conferma l'obbligatorietà del regime per i giovani agricoltori, includendo alcune modifiche soprattutto nell'ambito delle modalità di calcolo, tra cui la possibilità di integrare il pagamento di base accordato ai giovani agricoltori (di età inferiore a 40 anni) al loro primo insediamento da un ulteriore 25 per cento per i primi cinque anni di attività;
     aumenta l'incentivo facoltativo per i «piccoli agricoltori» il cui valore sarà compreso fra 500 e 1.250 euro (il limite massimo nella proposta della Commissione era di 1000 euro);
    riguardo alle future misure di mercato, il regolamento (UE) n. 1308/2013:
     ha rivisto nel loro funzionamento (rendendoli più reattivi, efficaci ed efficienti) i sistemi vigenti di intervento pubblico (reintroducendo anche il grano duro tra i prodotti beneficiari dell'aiuto) e di aiuto all'ammasso privato;
     ha modificato il funzionamento, gli obiettivi e le misure degli aiuti per l'olio di oliva (programmi triennali gestiti dalle organizzazioni di produttori e dall'interprofessione);
     nell'ambito degli aiuti per il settore ortofrutticolo, ha prodotto il rafforzamento del ruolo delle associazioni di organizzazioni di produttori che potranno gestire fondi di esercizio, nell'ambito dell'attuazione di parziali programmi operativi, con la possibilità di portare l'aiuto finanziario dell'Unione (nell'ambito della gestione delle crisi di mercato) fino al 4,75 per cento del valore della produzione commercializzata;
     ha consentito una definizione più efficace dei programmi di sostegno nel settore vitivinicolo, sia negli obiettivi sia nelle attività. Tra le misure viene inclusa «l'innovazione nel settore vinicolo», mentre la misura della promozione potrà essere rivolta o al mercato extra-UE o al mercato interno (seppur limitatamente ad azioni informative sul consumo responsabile di vino e sul sistema europeo delle denominazioni di origine e indicazioni geografiche);
     ha reintrodotto il Paese di origine in etichetta tra le condizioni obbligatorie di commercializzazione per i prodotti ortofrutticoli venduti come freschi;
     ha introdotto lo strumento di gestione e programmazione dell'offerta produttiva per i prosciutti certificati DOP e IGP;
     ha introdotto il rafforzamento del ruolo, maggiori certezze di funzionamento e un miglioramento dell'efficacia delle organizzazioni di produttori e delle organizzazioni interprofessionali;
     ha previsto per gli agricoltori la possibilità di negoziare collettivamente i contratti per la fornitura di olio d'oliva, carni bovine, cereali e altri seminativi, a determinate condizioni e garanzie;
    con i quattro regolamenti sulla nuova PAC è stata «costruita» l'architettura legislativa al cui interno le differenti agricolture europee dovranno identificarsi e svilupparsi;
    è fondamentale che queste scelte siano coerenti con una politica tesa a rafforzare la vocazione del sistema agroalimentare italiano nella direzione di una produzione di elevata qualità correttamente inserita nel contesto ambientale;
    quello nazionale è un contesto in cui la superficie agricola utilizzata (SAU) è scarsa e in progressiva contrazione e la distribuzione di reddito e di potere contrattuale lungo la filiera tende ad essere poco equilibrata nei confronti degli agricoltori;
    i cambiamenti climatici in corso stanno eliminando il carattere di eccezionalità dei fenomeni atmosferici estremi, che vanno dall'eccesso di precipitazioni concentrate in brevi periodi alternati a lunghe fasi siccitose, con incidenze fortemente negative sul reddito degli agricoltori: in questa ottica appare sempre più necessario l'avvio di un rinnovato programma assicurativo di gestione del rischio, mentre al tempo stesso si rende indispensabile un adeguato piano di gestione delle risorse idriche;
    in questa fase storica è necessario che la maggior parte delle risorse economiche disponibili attraverso la PAC sia convogliata verso le imprese agricole e quindi verso chi davvero coltiva la terra e alleva animali, assicurando in tal modo la produzione di alimenti sani e sicuri e al contempo la vitalità delle zone rurali e la salvaguardia e il presidio del territorio;
    occorre altresì considerare che vi sono settori dell'agricoltura italiana che attualmente faticano a competere sui mercati internazionali nonché aree particolarmente svantaggiate che necessitano di misure speciali di sostegno;
    la riforma della PAC lascia ampi margini di manovra ai singoli Stati membri nell'applicazione delle nuove regole. In tale ambito, una serie di scelte importanti – sia obbligatorie sia facoltative – dovrà essere compiuta entro la fine di luglio 2014, per dar modo agli agricoltori di prepararsi tempestivamente al nuovo regime in vigore dal 2015;
    la scelta del criterio di regionalizzazione (regione unica-Italia, regioni amministrative, regioni omogenee) e del modello di ripartizione dei nuovi aiuti su scala nazionale (convergenza interna); la ripartizione settoriale della componente di sostegno «accoppiata» alla produzione; la definizione dei destinatari delle prossime risorse (agricoltore attivo); le dotazioni finanziarie (fino al 2 per cento del totale) e le modalità di calcolo per l'aiuto ai giovani agricoltori; l'eventuale attivazione degli aiuti facoltativi per le aree svantaggiate e i piccoli agricoltori, rappresentano alcune tra le più importanti scelte e decisioni che l'Italia dovrà prendere nelle prossime settimane e mesi;
    la nuova PAC, che costituisce una delle politiche più impattanti dell'Unione, deve tener conto del contesto in cui interviene – un contesto oggi caratterizzato dall'instabilità dei mercati, dalla volatilità dei prezzi e da un crescente disequilibrio tra domanda e offerta – e deve poter essere eventualmente rimodulata; è pertanto necessario che entro il 2016 si possa procedere ad una verifica analitica dell'impatto a livello settoriale e territoriale delle scelte compiute;
    le linee generali per l'attuazione della riforma a livello nazionale sono state delineate dal Governo nel documento di proposta presentato dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali alle regioni e alle province autonome nella riunione dell'8 maggio 2014, dopo un articolato confronto con le stesse e con le categorie interessate;
    la Commissione ha già formulato gli indirizzi con riferimento alla politica di sviluppo rurale e all'accordo di partenariato per l'impiego dei fondi strutturali e di investimento europei nel periodo di programmazione 2014-2020,

impegna il Governo:

   a definire l'attuazione a livello nazionale della riforma della politica agricola comune (PAC), per il periodo 2014-2020, conformemente ai seguenti orientamenti:
    a) definire, nell'ambito delle opzioni previste dal quadro regolamentare sui nuovi pagamenti diretti (Titolo III, Capo 1), un accordo sul sistema di regionalizzazione e sul modello di convergenza interna che non penalizzi i settori e le aree geografiche che sono particolarmente esposti al rischio di una riduzione dei margini reddituali imprenditoriali e alle conseguenti ricadute negative in termini di impatti sociali e occupazionali; perseguire a tal fine il modello di convergenza cosiddetto «irlandese», come in premessa illustrato, considerando l'Italia come regione unica e applicando la componente greening a livello individuale;
    b) individuare una definizione di agricoltore attivo (articolo 9 del regolamento (UE) n. 1307/2013) che sia espressione del mondo produttivo nazionale, che premi i soggetti realmente impegnati nell'attività agricola e che, al tempo stesso, possa concorrere all'alleggerimento del carico burocratico e amministrativo degli operatori, prevedendo, comunque, la possibilità di requisiti diversificati a livello territoriale per le zone svantaggiate e montuose, in presenza dei quali l'agricoltore è considerato comunque attivo (pagamenti non superiori a euro 5.000 per tali zone e a euro 1.250 per le altre); valutare in tale ambito, anche la possibilità di revisionare le soglie di esenzione entro i limiti di cui all'articolo 10, paragrafi 1 e 2, del citato regolamento (UE) n. 1307/2013 e prevedendo quale limite minimo dei pagamenti diretti l'attribuzione di 250 euro nel primo anno e 300 euro annui a partire dal 2017;
    c) integrare la lista dei soggetti ai quali non sono concessi pagamenti diretti, con particolare riferimento a quelli operanti nei settori dell'intermediazione creditizia, finanziaria e commerciale e delle assicurazioni nonché alle pubbliche amministrazioni, fatta eccezione per gli enti che effettuano formazione o sperimentazione in campo agricolo, e in tale contesto valutare l'opportunità di attivare una clausola di elusione di cui all'articolo 60 del regolamento (CE) n. 1306/2010;
    d) definire un accordo sulle risorse finanziarie disponibili per il sostegno accoppiato (titolo IV del regolamento (UE) n. 1307/2013) che sia efficace in termini di valorizzazione settoriale e che possa, così come stabilito dai criteri di concessione dell'aiuto, salvaguardare i settori produttivi che si trovano in particolari condizioni di difficoltà e sono particolarmente esposti alla volatilità dei mercati nonché le produzioni ad elevato impatto economico ed occupazionale;
    e) nel quadro delle scelte sugli aiuti accoppiati proposto dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali nel documento di proposta dell'8 maggio 2014, considerare in particolar modo i seguenti settori:
     1) zootecnia bovina da carne, in particolare quella di tipo estensivo e delle zone di montagna, mediante un sostegno connesso alla nascita di vitelli (vitello nato) e non alla sola presenza in azienda di vacche nutrici o di vacche da latte, evitando, in ogni caso, la possibilità di fruire del sostegno accoppiato per quei vitelli che ricevono un contributo in altre nazioni europee o nella stessa Italia nello stesso anno;
     2) settore ovicaprino, applicando il sostegno a tutta la filiera produttiva prevedendo un premio minimo di base per tutti e uno più elevato per le produzioni di qualità IGP e DOP;
     3) settore olivicolo, prevedendo un adeguato sostegno da assegnare con riferimento alla superficie coltivata ad uliveto;
    f) valutare la possibilità di sostenere lo sviluppo delle colture proteiche e proteaginose con l'obiettivo di diminuire l'importazione di tali materie prime dall'estero a favore di un piano proteico OGM free strettamente collegato alle produzioni zootecniche di qualità, valutando la possibilità di concedere il sostegno a fronte della effettiva produzione, al fine di evitare abusi e frodi;
    g) applicare la componente ambientale relativa ai nuovi pagamenti diretti (greening) (Titolo III, Capo 3, del regolamento (UE) n. 1307/2013) perseguendo gli obiettivi di semplificazione amministrativa e burocratica, adattandone le caratteristiche alla realtà nazionale al fine di rendere tale innovazione il più possibile compatibile con l'agricoltura mediterranea;
    h) definire un accordo nell'ambito del pagamento per i giovani agricoltori (Titolo III, Capo 5, del regolamento (UE) n. 1307/2013) che sia ambizioso in termini di risorse attivabili, con l'obiettivo di rendere in ogni caso disponibile, per quanto possibile, l'intero plafond del 2 per cento e utilizzando se necessario la riserva nazionale; al tempo stesso, prevedere che tale sostegno sia integrato con le misure previste nel quadro dei programmi di sviluppo rurale;
    i) riservare la massima attenzione alle zone soggette a vincoli naturali (Titolo III, Capo IV, del regolamento (UE) n. 1307/2013) e valutare le eventuali opportunità derivanti dalle possibili scelte che riguardano sia l'adozione del pagamento redistributivo (Titolo II, Capo 2, del regolamento (UE) n. 1307/2013) sia l'adozione del regime per i piccoli agricoltori (Titolo V del regolamento (UE) n. 1307/2013), valutando le potenzialità e il valore strategico dell'agricoltura contadina ai fini del presidio del territorio e del ruolo multifunzionale ed eco sistemico dell'agricoltura;
    j) intraprendere, non appena vi sarà la disponibilità dei dati effettivi relativi alle superfici agricole interessate e al numero dei beneficiari dei pagamenti, un percorso di stretta condivisione e cooperazione con le Commissioni parlamentari di merito per il monitoraggio dell'applicazione della riforma, per la valutazione dell'impatto a livello settoriale e territoriale degli schemi applicati e per l'impostazione di eventuali interventi di modifica degli stessi;
   ad attivare opportune politiche in sede europea e nazionale al fine di:
    a) perseguire la realizzazione di un modello agricolo economicamente e ambientalmente sostenibile, valorizzando le produzioni di qualità, sostenendo in tutte le forme consentite la ulteriore crescita dell'agricoltura biologica ed evitando altresì che terreni o derrate agricole vengano sottratte alla filiera alimentare e destinate alla produzione di energia, dovendosi viceversa concentrare tale fenomeno nelle sole aree marginali o inutilizzabili;
    b) definire un'organica politica di sostegno per le aree montane e le zone svantaggiate, come attualmente individuate dalla normativa vigente, utilizzando tutti gli strumenti previsti dalla regolamentazione europea, con l'obiettivo di assicurare una remunerativa prosecuzione dell'attività agricola in tali aree, tenendo conto anche dei fondamentali effetti ambientali e socio-culturali che l'agricoltura garantisce in tali contesti;
    c) rafforzare la posizione negoziale degli agricoltori all'interno della catena agroalimentare, individuando e definendo, in stretta condivisione con il Parlamento, gli strumenti legislativi necessari (inclusa la revisione dell'attuale quadro normativo nazionale) all'applicazione delle nuove regole di funzionamento delle organizzazioni di produttori (e loro associazioni) e degli organismi interprofessionali;
    d) applicare efficacemente le regole di commercializzazione riformate con il regolamento (UE) n. 1308/2013 e in tale ambito, promuovere una nuova e incisiva azione di sensibilizzazione in sede europea della tematica relativa all'indicazione di origine nell'etichetta dei prodotti agroalimentari;
    e) adottare tutte le misure necessarie a migliorare l'operatività delle strutture che intervengono nei processi di concessione ed erogazione dei benefici connessi alla PAC e trovare soluzione all'annoso problema dell'accesso al credito per le imprese agricole, al fine di assicurare il regolare finanziamento dell'attività agricola;
    f) sostenere il settore della frutta a guscio adoperandosi nelle opportune sedi europee per inserire il castagno tra le superfici a frutta a guscio e riservando una adeguata attenzione ai produttori di castagne e di frutta in guscio in generale nella fase di definizione delle scelte nazionali di applicazione della nuova PAC;
    g) utilizzare efficacemente gli strumenti d'intervento pubblico e ammasso privato secondo le novità introdotte dal regolamento (UE) n. 1308/2013 e in stretta condivisione con il Parlamento e, in particolare, con le Commissioni parlamentari di merito;
    h) individuare e definire gli strumenti legislativi appropriati e con il coinvolgimento del Parlamento, per implementare le nuove regole contenute nel regolamento (UE) n. 1308/2013, con riferimento agli aiuti previsti nei settori olivicolo, ortofrutticolo e vitivinicolo;
    i) applicare, in comune intesa con il Parlamento e le Commissioni parlamentari di merito, il nuovo sistema di autorizzazioni nel settore vinicolo (sostitutivo dell'attuale regime dei diritti d'impianto), salvaguardando la possibilità di decidere la conversione dell'attuale regime nelle nuove autorizzazioni entro il 31 dicembre 2020 (articolo 68 del regolamento (UE) n. 1308/2013) e quindi mantenere, fino a detta data, l'intero funzionamento dei diritti d'impianto, ivi inclusa la previsione di trasferibilità degli stessi diritti;
    j) individuare, insieme al Parlamento nazionale e alle istituzioni comunitarie, un percorso e soluzioni efficaci che possano «accompagnare» e rilanciare il settore lattiero oltre il 2015, anno in cui cesserà il regime di contingentamento della produzione (quote latte);
    k) intraprendere inoltre, nell'ambito dei dettami del nuovo regolamento sull'organizzazione comune dei mercati, una politica di salvaguardia sociale e di valorizzazione del settore bieticolo-saccarifero nazionale, anche in vista della cessazione delle quote produttive (post-2017);
    l) applicare in modo efficace e funzionale lo strumento di gestione e programmazione dell'offerta produttiva dei prosciutti a denominazione di origine protetta introdotto nell'ambito del regolamento (UE) n. 1308/2013.
(7-00373) «Sani, Lupo, Oliverio, Catania, Franco Bordo, Schullian, Luciano Agostini, Antezza, Anzaldi, Benedetti, Massimiliano Bernini, Carra, Cenni, Cova, Covello, Ferrari, Fiorio, Gagnarli, Gallinella, L'Abbate, Marrocu, Mongiello, Palma, Parentela, Taricco, Tentori, Terrosi, Valiante, Zanin».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   CARRA. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   la legge 27 dicembre 2013, n. 147, «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» (Legge di stabilità 2014) prevede una serie di misure finalizzate all'impiantistica sportiva;
   i riferimenti normativi, sono rinvenibili all'articolo 1, commi 303 (Risorse per il Fondo di garanzia per i mutui per impianti sportivi), 304 e 305 che introducono, invece, una nuova procedura per la realizzazione e l'ammodernamento di impianti sportivi (non necessariamente stadi di calcio);
   il Fondo di cui al comma 303 è stato integrato di 10 milioni per il 2014, di 15 milioni per l'anno 2015, di 20 milioni per l'anno 2016:
   si ricorda che il Fondo di garanzia è stato istituito con la legge n. 289 del 2002 (articolo 90, comma 12) e riguarda tutti i mutui relativi alla costruzione, all'ampliamento, all'attrezzatura, al miglioramento o all'acquisto di impianti sportivi, ivi compresa l'acquisizione delle relative aree da parte di società o associazioni sportive, nonché di ogni altro soggetto pubblico o privato che persegua anche indirettamente finalità sportive;
   la novità introdotta dalla legge di stabilità 2014 è nella gestione del Fondo, in quanto si prevede che i nuovi criteri saranno adottati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri o Ministro da lui delegato, sentiti i Ministri dell'interno e delle infrastrutture previo parere della Conferenza Stato-regioni e della Conferenza Stato-città ma senza coinvolgimento del Coni;
   il comma 305, inoltre, precisa che gli interventi, laddove possibile, sono realizzati prioritariamente con l'obiettivo del recupero di impianti esistenti o relativamente ad impianti localizzati in aree già edificate (viene esclusa la realizzazione di nuovi complessi residenziali, niente cementificazione selvaggia per evitare azioni speculative);
   la nuova procedura prevede: a) studio di fattibilità; b) conferenza di servizi preliminare; c) progetto definitivo (in caso di esito positivo della fase preliminare); d) conferenza di servizi decisoria; e) eventuali interventi sostitutivi per rispetto termini; f) eventuale gara;
   nel caso di impianti da 500 posti coperti, al massimo di 2.000 scoperti, è possibile, nel caso di mancato rispetto dei termini una volta approvato il progetto, che il presidente della regione interessata possa procedere alla nomina di un commissario;
   nel caso di impianti con posti pari o superiori a 4.000 coperti e 20 mila scoperti e il Consiglio dei ministri (al quale è invitato il presidente della regione interessata) ad intervenire adottando i provvedimenti necessari nel caso di mancato rispetto dei termini, una volta concessa ulteriore proroga di trenta giorni;
   si tratta di misure importanti che possono consentire l'ammodernamento o la realizzazione di impianti sportivi con innegabili conseguenze positive sia per l'occupazione sia per la promozione sportiva;
   diventa quindi di prioritaria importanza la emanazione del citato decreto per la individuazione dei nuovi criteri che consentirebbe l'immediato sblocco delle risorse messe a disposizione dalla legge di stabilità 2014 –:
   entro quanto tempo il Governo intenda adottare il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri o Ministro da lui delegato, sentiti i Ministri dell'interno e delle infrastrutture, previo parere della Conferenza Stato-regioni e della Conferenza Stato-città, per definire i nuovi criteri e la conseguente possibilità di procedere nell'ammodernamento o nella realizzazione di nuovi impianti sportivi che consentirebbe ai territori di procedere ad azioni di riqualificazione, anche urbanistica, e al potenziamento dell'offerta per l'attività sportiva in particolare per i giovani. (3-00831)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TULLO, BASSO, CAROCCI, GIACOBBE, PASTORINO, VAZIO, BENI, FOSSATI, MARIANI e QUARANTA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni sono molte le notizie di carattere giudiziario che riguardano l'ex onorevole Claudio Scajola in riferimento ad un'indagine che ha portato all'arresto dello stesso;
   il quotidiano «Secolo XIX» riporta a pagina 3 dell'edizione di giovedì 15 maggio 2014 la notizia che tra il materiale sequestrato nella casa imperiese dell'ex Ministro dell'interno all'epoca del G8 di Genova del 2001, documenti, dossier relativi al summit, materiale che risulterebbe inedito dalla fase dell'organizzazione al cosiddetto «documento finale», che ricostruirebbe quasi ora per ora, cosa accadde nelle strade di Genova in quei giorni drammatici, che portarono tra l'altro ad azioni devastatrici, all'uccisione di Carlo Giuliani, e alle orribili violenze nella scuola Diaz e nella Caserma di Bolzaneto;
   il materiale rinvenuto sarebbe molto più corposo e dettagliato di quanto ad oggi le fonti ufficiali dispongono;
   il lavoro prezioso della magistratura di questi anni, non ha potuto ricostruire completamente il quadro che si determinò in quei giorni a Genova, ciò ancora fa chiedere alla città, e non solo, verità giustizia, per comprendere eventuali responsabilità, complicità politiche o degli apparati dello Stato –:
   se sono a conoscenza del materiale documentato;
   quali iniziative il Governo intenda assumere per contribuire a far luce su una delle pagine più buie della nostra recente storia repubblicana, consapevoli che quella voglia di verità e giustizia sia dovuta al Paese, alla città di Genova, alle decine di migliaia, in particolare di giovani, che animarono pacificamente quelle giornate e agli stessi uomini e donne delle forze dell'ordine. (5-02839)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LOCATELLI, DI LELLO, DI GIOIA e PASTORELLI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di aprile 2014 è stata pubblicata la notizia da parte di tutti i principali organi di informazione che in Italia una coppia è in attesa di due gemelli geneticamente non suoi;
   ciò è accaduto a causa di uno scambio di embrioni nel corso del trattamento di fecondazione medicalmente assistita da parte dell'ospedale Sandro Pertini di Roma;
   sempre dagli organi di informazione, si è appreso della nomina di una commissione interistituzionale per far luce sulla vicenda e di un'ispezione disposta dal Ministero della salute;
   i test del DNA disposti dalla commissione interistituzionale hanno permesso di rintracciare i genitori genetici che risultano essere una coppia sottopostasi al trattamento di fecondazione medicalmente assistita presso il medesimo ospedale Sandro Pertini negli stessi giorni 4 e 6 dicembre 2013;
   per questa seconda coppia il transfert non ha invece avuto successo;
   occorre un intervento normativo che regoli il rapporto di filiazione non essendo certo applicabili nel caso di specie le presunzioni stabilite in materia dal codice civile, le quali generano una soluzione formale in evidente in contrasto con la verità genetica (di cui si hanno già le evidenze probatorie);
   in particolare, non è applicabile quanto stabilito dall'articolo 269 del codice civile, secondo cui la madre è la partoriente, e dall'articolo 231 del codice civile, ai sensi del quale il marito della partoriente è il padre del figlio concepito o nato durante il matrimonio;
   dette presunzioni discendono dal fatto che il legislatore del 1942, così come quelli che hanno successivamente messo mano al codice civile, hanno dato per scontato che colei che ha un legame genetico con il bambino sia altresì colei che lo partorisce; oggi, invece, gli sviluppi della scienza medica hanno condotto a una separazione tra la nozione di madre genetica e quella di gestante;
   in siffatta situazione nello specifico è da ritenersi che la maternità e la paternità, così come lo stato dei nascituri, che a causa di un errore di trasferimento in utero di donna diversa da colei che aveva avuto accesso ad una tecnica omologa, debbano riportarsi a chi ha concorso alla fecondazione e, quindi, alla creazione degli embrioni nei quali è racchiuso tutto il patrimonio genetico dell'individuo;
   i gemelli attualmente in gestazione dovrebbero, quindi, alla nascita essere considerati figli dei genitori genetici –:
   se il Governo reputi di dover intervenire, anche attraverso iniziative normative urgenti, stabilendo i princìpi da applicare in materia di filiazione alla fine della gravidanza con nascita, nel caso dello scambio di embrioni, come avvenuto all'ospedale Sandro Pertini di Roma sopra descritto, e in analoghi casi che dovessero verificarsi in futuro, e ciò anche a tutela del diritto dei nascituri. (4-04821)


   LUIGI DI MAIO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel documento che il Presidente del Consiglio Matteo Renzi e il Ministro della semplificazione e pubblica amministrazione Marianna Madia hanno lanciato lo scorso 30 aprile sul sito web del Governo italiano dal titolo «Riforma PA: vogliamo fare sul serio», il punto 30) prevede «accorpamento delle sovrintendenze e gestione manageriale dei poli museali»;
   secondo alcune autorevoli segnalazioni giunte al deputato interrogante e ribadite nel corso del convegno «Finanziare la cultura. Le risorse pubbliche necessarie, le risorse private possibili» organizzato dall'Associazione «Priorità Cultura» a Milano nella giornata di lunedì 12 maggio 2014 alla presenza del Ministro interrogato Franceschini e del Viceministro Casero, a causa del blocco totale del turn over, il Ministero per i beni e le attività culturali negli ultimi dieci anni ha perso oltre un terzo dei suoi impiegati (10.000 su 28.000 circa) e, al momento, non sono previste assunzioni;
   sempre secondo le medesime segnalazioni, l'età media dei dipendenti «superstiti» è 57 anni e ciò significa che nel giro di pochi anni il numero dei dipendenti continuerà a diminuire drasticamente;
   occorre, peraltro, sottolineare come nel corso degli ultimi anni le innovazioni normative hanno notevolmente aumentato i compiti delle soprintendenze, in concomitanza di un costante e inesorabile calo dei fondi nelle disponibilità del Ministero –:
   che cosa intendano il Presidente del Consiglio e i Ministri interrogati per «gestione manageriale» dei poli museali, visto il pauroso calo dei dipendenti e dei fondi destinati al Ministero per i beni e le attività culturali al quale abbiamo assistito negli ultimi anni;
   se il Presidente del Consiglio e i Ministri interrogati non ritengano che l'ulteriore accorpamento delle soprintendenze, anche alla luce dell'incremento delle loro competenze e dei tagli finanziari subiti negli ultimi anni, non renda ancora più difficoltosa l'attività di un Ministero che gestisce il patrimonio artistico più importante dell'umanità. (4-04832)


   ZAN. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   come evidenziato anche da notizie apparse su Italia Oggi e poi riprese dall'agenzia di stampa del CONI, i tagli contenuti nel cosiddetto decreto IRPEF (decreto-legge n. 66 del 2014) comprendono anche una riduzione della franchigia IRPEF da 7.500 a 2.000 euro sui rimborsi forfetari previsti per gli sportivi dilettanti, e per di più con effetto retroattivo al 1o gennaio 2014;
   ciò costituirebbe un grave colpo per le società dilettantistiche, in particolare quelle non calcistiche, e di conseguenza per tutto il mondo dello sport;
   tra le spese fiscali tagliate vi sarebbe anche la soglia fissata dall'articolo 69, comma 2, del TUIR, che stabilisce, come indennità di trasferta, rimborsi forfetari, premi e compensi erogati per attività sportiva dilettantistica;
   in quest'ultimo caso, si colpirebbero soprattutto gli atleti, e in generale tutti gli arbitri, gli istruttori, i collaboratori sportivi di associazioni sportive dilettantistiche i quali, con riferimento alle proprie prestazioni, non regolate da un rapporto di lavoro dipendente, percepiscono compensi inquadrati dal fisco come redditi diversi; essi si vedrebbero così decurtati i rimborsi spese di una ritenuta IRPEF a titolo d'imposta di circa il 23 per cento per importi superiori a 2.000 euro su base annua;
   questa manovra metterebbe ancor più in ginocchio lo sport di base, spesso costretto ad autofinanziarsi senza più la possibilità di ricorrere a sponsor che lo sostengano, a causa della crisi –:
   se quanto enunciato in premessa, sia stato compiutamente preso in considerazione dal Governo e quali iniziative il Governo intenda adottare per imprimere al mondo dello sport dilettantistico una svolta positiva che gli consenta di continuare a esercitare la propria attività senza gravami e onerosità che metterebbero in seria difficoltà la sopravvivenza di molte società sportive di piccole e medie dimensioni, già piegate dalla crisi. (4-04840)


   BIANCONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   recentemente, con gli arresti relativi alla questione EXPO di Milano, è emerso che fra i faccendieri in servizio c'era (c’è) Primo Greganti, il silente Compagno G della stagione di Mani Pulite;
   è altresì emerso che le attività di Greganti erano esclusivamente rivolte a favorire le lucrose attività delle potentissime cooperative rosse, storicamente cuore pulsante delle attività economiche, patrimoniali, sociali e di consenso del maggior partito della sinistra;
   è inoltre emerso che costui settimanalmente entrava in Senato, verosimilmente con passi autorizzato da senatori in carica;
   presidente di questo massiccio mondo in orbita Pd, era Poletti (già PCI, pds) ministro Pd del Governo oggi in carica, mondo rappresentativo di interessi omologhi, anzi coincidenti con quelli tutelati e promossi illecitamente da Primo Greganti –:
   per tali evidenti ragioni se non ritenga opportuno chiedere al Ministro Poletti di lasciare senza ritardo il suo Governo. (4-04841)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   la situazione politica in Ucraina non accenna purtroppo a migliorare, ma tende anzi a peggiorare, anche a causa della scelta del governo di Kiev di intervenire militarmente e con milizie irregolari nelle regioni orientali, recentemente interessate da un esercizio democratico di autodeterminazione, utilizzando anche elicotteri che recano abusivamente le insegne dell'ONU;
   scontri hanno interessato anche città meridionali dell'Ucraina, come Odessa, dove numerosi dimostranti ostili al governo di Kiev sono rimasti uccisi nell'incendio del palazzo in cui si erano asserragliati;
   suscita preoccupazioni il fatto che il nuovo Governo ucraino sorto dalle dimostrazioni di Euromajdan sia attualmente sorretto anche da movimenti di estrema destra, che rivendicano esplicitamente l'eredità nazifascista dei movimenti antisovietici degli anni quaranta e spingono l'esecutivo ad inasprire il confronto in atto;
   pur assumendo un atteggiamento improntato alla moderazione ed avendo puntato sul coinvolgimento dell'OSCE, organizzazione paneuropea di sicurezza di cui sono Stati-membri anche la Federazione Russa e diversi Paesi suoi alleati appartenenti alla Comunità degli Stati Indipendenti, il Governo italiano non ha ancora chiarito se sia o meno pronto a sostenere politicamente la trasformazione dell'Ucraina in una repubblica federale, ancorché abbia raccomandato alle autorità di Kiev di riformare le loro istituzioni seguendo una logica di inclusività –:
   quali misure il Governo italiano intenda assumere nel contesto dei fori multilaterali di cui è parte per favorire il raffreddamento del confronto in atto in Ucraina;
   se, in particolare, il Governo abbia considerato o meno anche la possibilità di vincolare il sostegno del nostro Paese al proseguimento dell'avvicinamento di Kiev all'Unione europea al rispetto di alcune condizioni e valori essenziali, in particolare il riconoscimento del diritto di tutti gli ucraini ad autodeterminarsi senza il condizionamento rappresentato dal ricorso alla forza armata. (4-04822)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta scritta:


   SIMONE VALENTE, DIENI, BATTELLI, MARZANA, D'UVA, LUIGI GALLO, DALL'OSSO, PARENTELA e NESCI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria, istituito per volontà dell'archeologo Paolo Orsi e inaugurato nel 1959, rappresenta uno dei musei più prestigiosi d'Italia per la quantità delle testimonianze della Magna Grecia presenti al suo interno;
   la struttura, divisa in sei sezioni disposte in quattro piani, possiede collezioni archeologiche che contengono preziosi reperti provenienti dalla Calabria, dalla Basilicata e dalla Sicilia e rivelano l'arte e la storia non solo della Magna Grecia (ottavo secolo a.C.) ma anche del periodo preistorico, protostorico, romano e bizantino;
   in particolare, il Museo de quo è noto in tutto il mondo per custodire da oltre trent'anni i celebri Bronzi di Riace (ossia le due statue rinvenute il 16 agosto 1972 nei pressi di Riace, in provincia di Reggio Calabria) considerati tra i capolavori scultorei più significativi dell'arte greca nonché tra le testimonianze dirette dei grandi maestri scultori dell'età classica;
   nel corso degli anni il museo è stato oggetto di trasformazioni di grossa portata e alla fine del 2009 sono iniziati i grandi lavori di restauro dell'intero edificio;
   dopo quattro anni di lavori andati a rilento e di 33 milioni di euro spesi per portare a compimento la ristrutturazione, nei depositi dello storico edificio restano ancora centinaia di reperti che attendono un'adeguata collocazione; il museo doveva essere pronto per le celebrazioni dei 150 anni dell'Unità d'Italia, ossia il 17 marzo 2011, ma è stato riaperto solo nel dicembre 2013;
   ad oggi, nonostante i lavori di restauro già eseguiti, risultano aperte al pubblico soltanto le due sale contenenti le meravigliose sculture e le restanti sale risultano completamente vuote pur essendovi una collezione archeologica tra le più importanti e ricche d'Europa che però rimane chiusa nei depositi per mancanza di impianti climatici degli spazi rimanenti adeguati a garantire la giusta conservazione ed esposizione dei reperti;
   a seguito della riapertura dell'edificio, solo nel mese di marzo sono stati quasi quindicimila i visitatori dei Bronzi di Riace tornati a dicembre nelle sale del museo; un boom di presenze che verrebbe senza dubbio incrementato qualora venissero esposti anche gli altri preziosi reperti storici chiusi nei depositi, in attesa di una stabile collocazione e ragionevole visibilità;
   sulla triste vicenda legata alle lungaggini burocratiche si affiancano anche quelle giudiziarie in ragione di un ricorso presentato al Tar Calabria da parte di una società che contesta l'esito della gara per i lavori di ristrutturazione;
   i lavori di completamento sono fermi in attesa della pronuncia da parte dell'organo giudiziario che ha fissato l'udienza a luglio, ben oltre il termine stabilito per la completa riapertura inizialmente prevista per giugno 2014 –:
   quali ragioni abbiano causato il ritardo e il considerevole aumento di costi per il restauro della struttura museale;
   quali iniziative di competenza intenda attivare il Ministro interrogato al fine di arginare il problema delle lungaggini burocratiche;
   come intenda garantire lo stato di conservazione e di tutela dei reperti non ancora esposti, in attesa del definitivo restauro dei locali. (4-04823)


   GIANCARLO GIORGETTI, PRATAVIERA, MATTEO BRAGANTINI, BUSIN, CAON e MARCOLIN. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la maestosa villa dei nobili Pisani, la più grandiosa villa della Riviera, la Villa Pisani di Strà (Venezia), detta anche la Nazionale, rappresenta certamente uno dei più celebri esempi di Villa veneta della Riviera del Brenta: sorge a Strà, in provincia di Venezia, ed occupa un'intera ansa del naviglio del Brenta, estendendosi su una superficie di 11 ettari ed un perimetro esterno di circa 1.500 metri; venne costruita a partire dal 1721 su progetto di Gerolamo Frigimelica (cui si deve anche il progetto del Palazzo Pisani in campo Francesco Morosini o Santo Stefano a Venezia, attuale sede del conservatorio) e Francesco Maria Preti per la nobile famiglia veneziana dei Pisani di Santo Stefano; al suo interno sono conservate opere di Giambattista Tiepolo (l'Apoteosi della famiglia Pisani), Giambattista Crosato, Giuseppe Zais, Jacopo Guarana, Giovanni Carlo Bevilacqua, Francesco Simonini, Jacopo Amigoni e Andrea Urbani; all'epoca della costruzione la Villa contava 114 stanze (ora 168), in omaggio al 114o doge di Venezia Alvise Pisani;
   i Pisani di Santo Stefano, cui si deve la costruzione della villa, costituivano un importante ramo del casato Pisani, antica famiglia patrizia veneziana; arricchitisi nel corso del Trecento grazie ai traffici commerciali e alle rendite immobiliari, nel Quattrocento divennero proprietari di un ampio feudo nella bassa padovana e successivamente arrivarono a ricoprire le più alte cariche della Repubblica di Venezia: Alvise Pisani (1664 - 1741) fu ambasciatore alla corte del Re Sole, il quale fu padrino di uno dei suoi figli, e venne poi eletto doge nel 1735; il crollo della Repubblica (1797) costrinse i Pisani a vendere la villa a Napoleone Bonaparte che era diventato re d'Italia nel 1805, l'11 gennaio 1807, per 1.901.000 di lire venete; la villa venne donata dall'imperatore Bonaparte al figliastro Eugenio di Beauharnais, viceré d'Italia; Eugenio, raffinato mecenate, commissionò una serie di lavori di ammodernamento che cambiarono l'aspetto di molte sale della residenza e del parco. Nel 1814 le sorti dell'Europa, decise a Waterloo, portarono a villa Pisani la famiglia imperiale asburgica, ora divenuta signora del regno Lombardo-Veneto; la dimora divenne così luogo di villeggiatura prediletto dall'imperatrice d'Austria Marianna Carolina e ospitò l'intero gotha dell'aristocrazia europea, dal re di Spagna Carlo IV (1815) allo zar di Russia Alessandro I (1822), dal re di Napoli Ferdinando II (1837) al re di Grecia Ottone (1837) e molti altri; la brillante atmosfera di vita di corte ebbe termine nel 1866, quando il Veneto venne annesso al regno d'Italia; la villa non entrò a far parte dei beni della corona di casa Savoia ma divenne invece proprietà di Stato, perdendo così la sua funzione di rappresentanza; non più abitata, divenne museo nel 1884 e fu meta di visita di personaggi quali Wagner, D'Annunzio (che vi ambientò una scena fondamentale del suo romanzo Il Fuoco), Mussolini e Hitler (il cui primo incontro ufficiale avvenne qui, nel 1934);
   a destra e a sinistra della villa due scenografiche cancellate in ferro battuto introducono al parco; non lontano dalla cancellata di destra, fra le siepi, si scorge la statua marmorea raffigurante «Apollo» eseguita intorno al 1718 da Giovanni Bonazza; nel parco, al centro di un monticello, si trova la «casa dei freschi» cioè la ghiacciaia studiata dal Frigimelica; il parco annesso è la realizzazione di un progetto basato sull'incrocio di assi ottici: in fondo le scuderie per i cavalli create come finta facciata, come palcoscenico di sfondo per una società teatrale del 1700 dove Carlo Goldoni inscenava le sue commedie; Villa Pisani è famosa inoltre per il suo labirinto di siepi di bosso, uno dei tre labirinti in siepe sopravvissuti fino ad oggi in Italia; la presenza di una preziosa raccolta di agrumi, delle serre con piante e fiori, di alberi secolari e di alcune specie vegetali esotiche determina l'importanza del parco anche dal punto di vista botanico;
   il codice dei beni culturali (decreto legislativo n. 42 del 2004), all'articolo 101, comma 2, lettera f), individua tra gli istituti e i luoghi di cultura i «complessi monumentali» formati da una «pluralità di fabbricati anche di epoche diverse, che col tempo hanno acquisito, come insieme, un'autonoma rilevanza artistica, storica o etnoantropologica»: il complesso monumentale Villa Pisani museo nazionale, di proprietà demaniale, appartiene a tale categoria di beni ed è in consegna alla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Venezia, Belluno, Padova e Treviso, che ne cura la gestione con il finanziamento del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   nonostante il rilievo storico di tale bene, oggi lo stato manutentivo dei locali interni è estremamente lacunoso: stanze chiuse, scarse note didascaliche, pochi oggetti e mobilio esposto (nonostante risulti agli interpellanti che i magazzini ospitino molti oggetti che testimoniano la storia della Villa), guano di piccione nei davanzali, tendaggi strappati, spazi e stanze che risultano restaurate ma chiuse;
   gli spazi esterni poi risultano non gestiti in maniera ottimale o inagibili (parte del giardino, alcune torri di osservazione panoramiche, la coffee house, le mura perimetrali in alcuni tratti a pericolo di cedimento, l'illuminazione esterna e la segnalazione della villa assolutamente inadatte all'importanza storico-architettonica della struttura, e altro);
   nonostante un glorioso passato, poche sono ancora le occasioni importanti di richiamo turistico, e le mostre allestite accolgono un pubblico troppo di nicchia rispetto alle potenzialità di accoglienza della Villa;
   non esiste inoltre alcun incentivo alla fruizione della Villa per i residenti –:
   quali siano gli elementi contabili del bilancio di tale poco attenta gestione della Villa, i costi di manutenzione, compreso il personale, e le entrate da biglietti e/o da trasferimenti pubblici;
    alla luce della pesante situazione suesposta, se la Soprintendenza competente abbia programmato urgenti interventi o, in caso negativo, se il Ministro non intenda intervenire per adottare i provvedimenti più urgenti, nonché per prevedere un progetto di specifica valorizzazione della Villa che coinvolga più opportunamente il comune di Strà (Venezia) e la regione Veneto. (4-04833)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CARRA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la caserma del comando compagnia dei carabinieri di Gonzaga (Mantova) è strategica per tutto il territorio del destra Secchia e del suzzarese, territorio che ricomprende più di venti comuni;
   all'inizio dell'estate 2011 era stata addirittura individuata la zona in cui sarebbe dovuta sorgere la nuova caserma, ma sia la crisi, sia il terremoto del maggio 2012 hanno determinato l'accantonamento del progetto;
   tuttavia, l'attuale plesso che ospita i militari necessita di interventi di ristrutturazione e riqualificazione per rendere più agevole la funzionalità degli uffici;
   per tali interventi occorrerebbero circa 700/800 mila euro e queste risorse diventano fondamentali anche per consentire alla città di Gonzaga di mantenere il comando di compagnia, quale priorità per tutto il comprensorio –:
   se e quali iniziative il Governo intenda assumere per consentire i necessari interventi di riqualificazione della caserma dell'Arma dei carabinieri di Gonzaga al fine di migliorarne la funzionalità e agevolare il lavoro dei militari in organico presso la compagnia. (5-02827)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MAZZOLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le proprietà collettive delle terre riguardano lo sfruttamento di pascoli e boschi, specie in ambito montano, da parte di comunità o villaggi e l'utilizzazione di appezzamenti di terreno o aziende da parte delle università agrarie;
   vengono denominate comunioni familiari montane, comunalie, consorzi di utenti, beni sociali, vicinie, regole, comunelle, partecipanze agrarie, università agrarie, società di antichi originari, Jus, consorterie, ademprivi, ASUC, ASBUC, frazioni e altro e ricoprono un'area di circa il 6 per cento della SAU (superficie utilizzata in coltivazioni propriamente agricole) e il 9 per cento della SAT (superficie complessiva dei terreni dell'azienda agricola);
   sin dal periodo medioevale una pluralità di soggetti è titolata a gestire collettivamente tali proprietà attraverso antichi codici che preservano il godimento dei beni alle future generazioni di utenti. L'ordinamento delle proprietà collettive, infatti, preesiste a quello attuale e rispetta i princìpi sanciti successivamente dalla Costituzione (articoli 2-9-42-43), quali la tutela del paesaggio e del lavoro;
   oggi si pongono come strumenti primari atti ad assicurare la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale nazionale, creando indotti anche nella manifattura artigianale e nella filiera dell'energia delle risorse rinnovabili;
   il decreto legislativo 22 gennaio 2004, 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) ha inserito tra i beni paesistici tutelati per legge quelle assegnate alle università agrarie e le zone gravate da usi civici;
   le proprietà collettive rappresentano una forma di proprietà totalmente distinta da quella privata, per cui non riconducibile allo schema della comproprietà nella quale ogni soggetto può azionare il diritto unilaterale allo scioglimento, divenendo proprietario esclusivo della frazione del bene;
   gli specifici e rigidi vincoli di utilizzabilità del loro patrimonio, come l'inalienabilità, l'inusucapibilità, l'indivisibilità, l'inespropriabilità e l'immutabilità della destinazione agro-silvo-pastorale, non ne consentono la vendita a terzi. Di qui l'incompatibilità tra le proprietà collettive e l'imposta patrimoniale IMU, le cui ragioni si fondano proprio nel possesso di un bene in grado di produrre reddito, ossia nel valore capitalizzato che il proprietario potrebbe realizzare attraverso la vendita. I soggetti responsabili delle proprietà si configurano, in base all'intestazione catastale, come proprietari ma sono, di fatto, solo un ente gestore privo di capacità contributiva;
   le modifiche alla normativa dell'IMU, apportate dal decreto-legge n. 16 del 2012, hanno condotto all'esenzione dall'imposta per gli enti no-profìt e alla riduzione al 50 per cento della base imponibile sugli edifici di carattere storico-artistico. Appare dunque palesemente contraddittoria tale disparità di regime, dato che la proprietà collettiva è del tutto indisponibile e onera i titolari di maggiori vincoli di custodia rispetto alle altre realtà;
   attualmente risultano soggette all'IMU le partecipanze agrarie emiliane, le università agrarie del Lazio, gli Antichi Beni originari di Grignano Polesine e il Consorzio degli Uomini di Massenzatica. Queste producono un gettito complessivo quantificato in circa 1.470.000 euro al netto delle addizionali comunali, quindi un modesto incremento al bilancio delle entrate fiscali dello Stato;
   il pagamento dell'imposta patrimoniale annulla quel meccanismo virtuoso di produzione e distribuzione di reddito, mettendo inoltre lo Stato nella condizione di sopperire con i propri mezzi alle finalità pubbliche perseguite delle proprietà stesse;
   ciò comporta non solo un alto rischio di sopravvivenza per le citate istituzioni secolari ma anche inevitabili danni in materia ambientale nonché la perdita irreversibile di capitale sociale –:
   se il Governo contempli un riordino della disciplina fiscale che regola le proprietà collettive affinché assolvano, senza l'ingiusto aggravio, l'insostituibile compito di sviluppo sociale ed economico;
   se il Ministro interrogato intenda pertanto assumere iniziative per esentare dal pagamento dell'imposta IMU le proprietà collettive, riconoscendo in tal modo la loro funzione di servizio ambientale nell'unico interesse della comunità.
(5-02826)


   DADONE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in occasione della seduta n. 195 della VI Commissione finanze, svoltasi in data 21 marzo 2014, la scrivente ha depositato l'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-02434 in merito alle dinamiche e alle condizioni relative alla Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo e ad alcuni componenti dei suoi organi decisionali e gestionali;
   ad oggi nessuna risposta è stata ricevuta dalla scrivente nonostante i termini fissati a norma degli articoli 131,132 e 133 del Regolamento della Camera dei deputati;
   il 25 marzo 2014, pochi giorni dopo l'annuncio dell'interrogazione n. 5-02434, l'Assemblea ordinaria dei soci della Banca regionale europea (Bre) di cui la Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo controlla il 25 per cento e Ubi Banca il 75 per cento, nomina il nuovo consiglio di amministrazione per il triennio 2014-2016, designando come presidente Luigi Rossi di Montelera e a vice presidente Pierfranco Risoli, già membro di Fondazione CRC con incarichi e partecipazioni in varie società con Gian Luigi Gola (si confronti l'interrogazione succitata);
   secondo le indiscrezioni e le ricostruzioni giornalistiche riportate da alcuni siti di informazione, in particolare alle pagine http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/ho-fatto-banchiere-cuneo-dopo-siena-mps-cuneo-spuntano-76537.htm, da http://www.cuneocronaca.it/news.asp ?id=37023 e da http://www.lospiffero.com/marciapiede/bre-banca-risoli-vice-di-montelera-15661.html, alla carica di presidente di Bre Banca aspirava l'attuale presidente della Fondazione CRC, Ezio Falco, che a norma di statuto non potrà godere di un ulteriore rinnovo;
   secondo quanto riportano i portali di cui sopra, la nomina di Rossi di Montelera a scapito delle aspettative di Falco, sarebbe avvenuta a seguito delle denunce e delle segnalazioni pervenute pubblicamente e trasmesse direttamente al Ministero dell'economia e delle finanze presenti nel libro edito da Donzelli e scritto da Carlo Benigni «Le mani sulla banca — il caso Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo» secondo cui nel 2010 Falco avrebbe silurato l'allora presidente di Bre Banca, Piero Bertolotto (citato nell'interrogazione di cui sopra) perché decise di chiudere i finanziamenti alla società in crisi Linearcomputer srl fondata dallo stesso Falco (e salvata, attraverso ricapitalizzazione, dalla Piemonte Advisor Building srl (Pab), società di proprietà al 13,04 per cento di Giuseppe Ferrero che, da lì a poco, vincerà la gara di appalto per l'affidamento dei lavori di ristrutturazione di un immobile della Fondazione CRC);
   la Pab srl è inoltre controllata al 17,39 per cento da Media sas, società di proprietà di Roberta Carrara, moglie di Gian Luigi Gola, e al 36,96 per cento da Laura Dompè dipendente fiduciaria dello stesso Gola;
   a sua volta la Media sas fino al 2010 vedeva Roberta Carrara come socio accomandatario e Gian Luigi Gola in veste di socio accomandante;
   si consideri, inoltre, che la stessa Media sas partecipa con il 16,57 per cento alla Polo Grafico spa della quale Dompè risulta essere consigliere di amministrazione dal 2004 e la stessa Carrara siederà dalla metà del 2010 nel consiglio di amministrazione della Polo Grafico spa;
   la Polo Grafico spa (tra i cui soci si annovera la già citata Media sas al 16,57 per cento e tra le figure interne si registrano quella di Roberta Carrara in qualità di consigliere di amministrazione, e quella di Laura Dompè come consigliere di amministrazione e membro del Comitato per il controllo sulla gestione) e la Newspaper Milano srl (il cui presidente del Consiglio di amministrazione è Pierfranco Risoli, revisore unico Laura Dompè) sono due società editrici che pubblicano testate già appartenenti al gruppo editoriale di Paolo Berlusconi, fratello del leader di Forza Italia. Testate come «Espansione» o «Il Giornale Nuovo del Piemonte», «La Bisalta» e altri;
   restando nell'ambito editoriale, secondo quanto riporta il sito www.dagospia.com, Gian Luigi Gola avrebbe quindi rilevato la redazione genovese de «Il Giornale» (che in mano a Paolo Berlusconi sembra fosse in condizioni disastrate) e in cambio quest'ultimo avrebbe accettato di aumentare la quota capitale di Polo Grafico spa, tra l'altro società finanziata da Ubi Banca, controllata anche da Fondazione CRC;
   l'altra ipotesi che i siti di informazione citati riportano per spiegare la mancata nomina di Ezio Falco alla presidenza di Bre Banca parrebbe essere proprio legata alla carriera e alle aspettative di Gian Luigi Gola che una volta salvato il collega di Fondazione CRC attraverso la ricapitalizzazione di Linearcomputer srl, avrebbe deciso di sostituirlo nella scalata alle cariche e al potere bancario, anche grazie a quella connessione con la famiglia Berlusconi che, secondo tali fonti, Gola avrebbe promosso e rafforzato nel corso di questi ultimi anni –:
   se il Ministro, alla luce delle nuove informazioni e delle ricostruzioni illustrate, nonché sulla base dell'interrogazione n. 5-02434 già presentata dall'interrogante lo scorso 21 marzo 2014, sia a conoscenza di quanto riportato;
   se il Ministro, qualora non l'avesse ancora fatto, intenda provvedere a svolgere per quanto di competenza verifiche e se non ritenga di dover intervenire tempestivamente sempre nei limiti delle proprie competenze al fine di dipanare l'intreccio affaristico, gestionale e finanziario che da più parti e sempre più ampiamente viene portato all'attenzione dei cittadini. (5-02837)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ROSTAN. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 156 del 2012 ha disposto, in attuazione della delega contenuta nella legge n. 148 del 2011, all'articolo 11, inizialmente, la soppressione di 667 uffici del giudice di pace su 846 uffici;
   secondo la disposizione iniziale contenuta nel testo di legge del 2012, sarebbero dovuti rimanere in funzione solo 178 uffici, di cui 134 presso sedi circondariali e 44 presso sedi non più facenti capo ad un circondario di tribunale;
   il personale degli uffici soppressi avrebbe dovuto, poi, essere riassegnato ad altro ufficio;
   quanto sopra, con l'obiettivo di riorganizzare la complessiva distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari e realizzare risparmi di spesa con conseguenti incrementi di efficienza, poi realizzati, sul piano operativo, proprio con il decreto legislativo n. 156 del 2012;
   l'articolo 3 del decreto legislativo ha previsto e disciplinato il procedimento di conservazione degli uffici, su istanza degli enti locali interessati e dichiaratisi disponibili a garantire la copertura finanziaria dei costi necessari per il mantenimento degli uffici stessi;
   nel procedimento di cui al sopra indicato articolo 3, è stata prevista la pubblicazione della tabella degli uffici del giudice di pace in procinto di soppressione, nonché delle richieste degli enti locali interessati alla loro conservazione;
   il procedimento delineato dalla norma ha previsto una pluralità di passaggi quali la pubblicazione delle tabelle indicative degli uffici da sopprimere e quelli per i quali fosse stata formalizzata istanza di conservazione da parte dei vari enti locali interessati, sul Bollettino Ufficiale e sul sito internet del Ministero della giustizia;
   conditio sine qua non per la conservazione degli uffici giudiziari era che venisse accordata la disponibilità degli enti locali a sostenere i costi di gestione delle strutture ospitanti il personale amministrativo ed onorario indispensabile per il prosieguo del funzionamento degli uffici del giudice di pace;
   la norma, tuttavia, pur in presenza di un procedimento complesso, non ha previsto la possibilità, per i comuni di grandi dimensioni, di conservare, benché fosse necessario in presenza di alcune condizioni, due uffici del giudice di pace su di un unico territorio;
   sul territorio della città di Napoli, prima dell'entrata in vigore della riforma della geografia giudiziaria, esistevano due sedi del giudice di pace, una al centro, in via Foria, allocata nella ex-caserma Garibaldi, l'altra nel quartiere Barra;
   nonostante la norma non prevedesse tale possibilità, sia l'amministrazione del comune di Napoli, nella persona del sindaco, con nota del 4 aprile 2014 indirizzata al Ministro della giustizia, che quella del comune di San Giorgio a Cremano, mediante delibera di giunta comunale, hanno formalmente richiesto al Ministero della giustizia di poter conservare l'ufficio del giudice di pace di Barra, ritenuto indispensabile per l'utenza residente nei territori serviti;
   il coordinatore dell'ufficio del giudice di pace di Napoli – al quale dovrebbe essere accorpata tutta la mole di lavoro di Barra – con nota del 28 marzo 2014, indirizzata al Ministero, ha evidenziato l'impossibilità oggettiva di tale accorpamento per incapacità della struttura dell'ex-caserma Garibaldi;
   secondo la relazione dell'architetto Lentini, responsabile della sicurezza e protezione dei luoghi di lavoro dello stesso ufficio del giudice di pace non vi sarebbero – presso la struttura dell'ex-caserma Garibaldi, le condizioni di staticità necessarie per operare l'accorpamento di cui sopra;
   contestualmente, la coordinatrice dell'ufficio del giudice pace di Barra, con nota del 28 marzo 2014, ha formalizzato le ragioni oggettive che rendono necessario il mantenimento dell'ufficio del giudice di pace di Barra;
   sussistono condizioni oggettive – direttamente connesse al carico di lavoro del giudice di pace di Barra che per tale mole è uno dei più sovraccarichi del Paese pur essendo sede secondaria – che giustificherebbero il mantenimento dell'ufficio del giudice di pace di Barra;
   l'eventuale mantenimento del giudice di pace di Barra non costituirebbe un pericoloso precedente per il Ministero, in quanto trattasi di un ufficio che, se conservato, servirebbe a garantire il corretto funzionamento della giustizia in una città metropolitana, e tanto in conformità con quanto previsto dall'articolo 2, comma 2, del decreto legislativo n. 156 del 2012 –:
   se il Governo sia a conoscenza della problematica descritta in premessa e quali non più procrastinabili iniziative intenda assumere per scongiurare l'accorpamento dell'ufficio del giudice di pace di Barra a quello di Napoli che, oltre a provocare notevoli disagi all'utenza, parrebbe non essere compatibile con l'esigenza di garantire minimali condizioni di sicurezza, funzionalità ed organizzazione interna delle struttura dell'ex-caserma Garibaldi;
   nell'ipotesi in cui tale accorpamento dovesse risultare inevitabile, se il Governo abbia verificato, tramite gli uffici competenti, la idoneità della struttura dell'ex-caserma Garibaldi di Napoli ad accogliere il carico di lavoro attualmente in essere presso l'ufficio del giudice di pace di Barra. (5-02824)


   ROSTAN. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148, ha conferito al Governo, tra le altre cose, la seguente delega: «...a) ridurre gli uffici giudiziari di primo grado, ferma la necessità di garantire la permanenza del tribunale ordinario nei circondari di comuni capoluogo di provincia alla data del 30 giugno 2011; b) ridefinire, anche mediante attribuzione di porzioni di territori a circondari limitrofi, l'assetto territoriale degli uffici giudiziari secondo criteri oggettivi e omogenei che tengano conto dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze, della specificità territoriale del bacino di utenza, anche con riguardo alla situazione infrastrutturale, e del tasso d'impatto della criminalità organizzata, nonché della necessità di razionalizzare il servizio giustizia nelle grandi aree metropolitane...»;
   con decreto legislativo del 7 settembre 2012, n. 155, per quanto concerne il tribunale di Napoli, è stata stabilita la soppressione della sezione distaccata di Casoria e l'assegnazione dei comuni di Casoria, Arzano e Casavatore al circondario del tribunale di Napoli Nord avente sede ad Aversa, in provincia di Caserta;
   il «servizio giustizia» fino al mese di settembre 2013 erogato dalle strutture di Casoria, si è rivolto ad un bacino di utenza di circa 180.000 abitanti, residenti su di un territorio confinante con comune di Napoli e da esso diviso in alcuni tratti da un semplice lembo di marciapiede;
   gli uffici giudiziari, dagli anni ’80, sono stati allocati in una struttura realizzata specificatamente per lo svolgimento di funzioni giurisdizionali, munita di aule d'udienza moderne, attrezzate con stenotipia, salette per testimonianze, celle;
   la struttura è perfino collegata da un corridoio sotterraneo alla vicina caserma dei carabinieri di Casoria ed è situata in un posto centralissimo, raggiungibile su gomma, con trasporto pubblico e privato e su rotaia, vista la vicina stazione FS di Casoria-Afragola;
   tale struttura, dal 14 settembre 2013, ha visto incrementare la propria attività, con l'istituzione di un'articolazione territoriale del tribunale di Napoli, in luogo della precedente «Sezione Distaccata», che attualmente ricomprende anche le vecchie sezioni distaccate di Afragola e Frattamaggiore, con la conseguenza che il bacino iniziale di 180.000 utenti è diventato di circa 450.000 utenti;
   secondo le disposizioni attuative della normativa di riforma della geografia giudiziaria, la struttura sopra descritta è destinata ad essere soppressa ed i comuni di Casoria, Arzano e Casavatore entreranno a far parte del circondario del tribunale di Napoli Nord, sito in altra provincia, quella di Caserta;
   è bene precisare che il tribunale di Napoli Nord si trova ad Aversa, ovvero a circa 20 chilometri dall'attuale posizione in cui è situata la struttura della sezione distaccata di Casoria;
   non vi è alcun collegamento di trasporto pubblico tra i comuni di Casoria, Arzano e Casavatore ed il comune di Aversa;
   la struttura che da poche settimane a questa parte ospita il tribunale di Napoli Nord è già di per sé satura e non sufficientemente in grado di poter assicurare un servizio adeguato per un bacino di utenza che, con i comuni di Casoria, Arzano e Casavatore è di poco inferiore al milione di abitanti;
   potrebbe essere opportuno, pertanto, non soltanto valutare l'ipotesi di modificare l'assegnazione dei comuni di Casoria, Arzano e Casavatore inserendoli nel circondario del tribunale di Napoli anziché quello di Napoli Nord, ma anche quella di conservare la funzionalità territoriale dell'attuale struttura sita in Casoria;
   tale ultima ipotesi è stata presa in considerazione anche dal presidente del tribunale di Napoli, il dottor Alemi, in un progetto che, sulla falsariga di quanto fatto con la sezione distaccata di Caserta (tribunale di Santa Maria Capua Vetere), ha previsto l'ipotesi della conservazione della struttura di Casoria;
   a ciò vi è da aggiungere che, quand'anche non si volesse conservare il funzionamento della struttura di Casoria, ricollocare i comuni di Casoria, Casavatore, Arzano nel circondario del tribunale di Napoli non comporterebbe in ogni caso alcun onere di spesa in quanto occorrerebbero solo pochi locali per la cancelleria e per le udienze, che sono ampiamente disponibili nella ampia struttura del tribunale di Napoli –:
   se il Governo sia a conoscenza delle problematiche di cui in premessa che tanto gravano e sempre più graveranno sull'avvocatura, sulla magistratura e sulla popolazione dei comuni di Casoria, Casavatore ed Arzano;
   se il Governo stai valutando l'ipotesi di operare, sulla falsariga di quanto fatto con il tribunale di Santa Maria Capua Vetere – sezione distaccata di Caserta, anche su Napoli, per conservare il funzionamento dell'articolazione territoriale del tribunale di Napoli a Casoria per l'area nord confinante con il capoluogo di regione;
   se l'ipotesi di cui al capo precedente non dovesse esse percorribile, quali siano le ragioni ostative che impediscono l'attuazione della predetta soluzione;
   se il Governo, a prescindere dal mantenimento o meno della struttura di Casoria, sia comunque intenzionato ad assumere iniziative per riportare i comuni di Casoria, Casavatore e Arzano nel circondario del tribunale di Napoli;
   se neanche tale ipotesi dovesse essere percorribile, quali iniziative il Governo intenda assumere per ridurre al minimo indispensabile il disagio delle popolazioni di Casoria, Arzano e Casavatore a seguito dell'assegnazione dei predetti comuni al circondario del tribunale di Napoli Nord, sia sul piano del necessario miglioramento dei collegamenti  che sul piano del funzionamento degli uffici giudiziari.
(5-02825)

Interrogazione a risposta scritta:


   PASTORELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
    nelle ultime settimane molti comuni italiani hanno espresso, ai sensi dell'articolo 3, comma 2 del decreto legislativo 156 del 7 settembre 2012, formale impegno al mantenimento di quelle sedi del giudice di pace, operanti nei loro territori e individuate dal decreto ministeriale del 7 marzo 2014;
   com’è noto, il decreto legislativo n. 156 del 2012 ha configurato la possibilità per gli enti locali di mantenere in funzione dette sedi, facendosi integralmente carico – così recita la norma – delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio giustizia nelle relative sedi, ivi incluso il fabbisogno di personale amministrativo;
   in forza dei termini decadenziali posti dal decreto citato, entro il prossimo 28 giugno 2014 gli enti locali interessati dovranno dare concretezza agli impegni presi, individuando i locali per svolgimento delle attività giudiziarie e il personale amministrativo qualificato, nonché deliberando l'impegno di spesa per far fronte al funzionamento di tali servizi di giustizia;
   un arco di soli due mesi per il compimento di tutti gli incombenti logistici e amministrativi connessi a tale impegno appare, però, oltremodo irragionevole e penalizzante, tanto più che per alcuni comuni interessati sono ormai prossime le elezioni per il rinnovo dei propri organi;
   d'altro canto la previsione di un termine così esiguo non appare giustificata da alcuna ragione pratica, mentre, al contrario, frustra l'impegno di alcuni enti locali per il mantenimento sul loro territorio di servizi essenziali per la cittadinanza –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere iniziative per una proroga del termine indicato nel decreto ministeriale del 7 marzo 2014, e corrispondente al 28 giugno 2014;
   se il Ministro interrogato non ritenga, peraltro, opportuna una modifica della disciplina attuativa del decreto legislativo n. 156 del 2012 nell'ambito della quale sia prevista una compartecipazione alle spese di tutti i comuni rientranti nelle circoscrizioni delle sedi mantenute in funzione, allorché la maggioranza di tali enti abbia espresso il proprio impegno in tal senso. (4-04830)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BATTAGLIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha proceduto a nominare, nei giorni scorsi, Giovanni Grimaldi, in qualità di commissario straordinario dell'autorità portuale di Gioia Tauro;
   l'incarico avrà durata di sei mesi;
   il commissario nominato aveva già guidato per due mandati consecutivi il porto di Gioia Tauro nelle vesti di presidente, l'ultimo dei quali scaduto lo scorso 23 aprile dopo la proroga;
   il commissariamento da parte del Governo sorprende anche in considerazione della rilevanza strategica della infrastruttura e la sua leadership nell'ambito del movimento containers nel Mediterraneo –:
   perché non si sia proceduto alla attivazione e conclusione delle normali procedure per la nomina del nuovo presidente in considerazione del mandato giunto a scadenza e quale sia il futuro dell'autorità portuale di Gioia Tauro in relazione alla straordinaria importanza della infrastruttura per la Calabria e tutto il Paese. (5-02823)


   SPESSOTTO, COZZOLINO, TOFALO e BUSINAROLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la regione Friuli Venezia Giulia ha acquistato nel 2011, dalla azienda spagnola Caf (Construcciones y Auxiliar de Ferrocarriles), otto nuovi elettrotreni, denominati Civity ETR 563, in sostituzione delle Ale 81, per un investimento complessivo di oltre 50 milioni di euro;
   come denunciato dalla stampa locale e dai comitati dei pendolari, i nuovi treni sono stati consegnati alla Regione nel marzo 2013 ma attualmente risultano fermi ed inutilizzabili in quanto privi della necessaria omologazione;
   l'entrata in servizio dei nuovi treni, secondo quanto riportato dagli organi di stampa questi giorni, potrebbe subire un ulteriore slittamento rispetto al crono programma concordato alcuni mesi fa tra la regione e gli enti interessati, e che prevedeva la messa in funzione dei convogli entro l'estate;
   in particolare, tale ritardo sarebbe condizionato dal mancato avvio, da parte dell'Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria (Ansf), delle prove in linea sui mezzi per l'omologazione e l'ammissione tecnica, con il conseguente mancato rilascio delle certificazioni necessarie all'utilizzo dei nuovi treni;
   a novembre 2013, a seguito di un incontro tenutosi a Roma con i rappresentanti della Ansf e della stessa azienda costruttrice spagnola, l'assessore regionale alle infrastrutture e mobilità, Mariagrazia Santoro, aveva ufficializzato la data di conclusione delle procedure per l'omologazione dei treni, previste per lo scorso marzo 2014, procedure che avrebbero consentito l'effettiva messa in esercizio dei nuovi mezzi a maggio 2014, quando anche l'addestramento del personale sarebbe stato concluso;
   nonostante gli ingegneri della società Caf avessero però dichiarato già nel marzo 2013 che i treni Civity Etr 563 avevano fatto oltre 3 mila chilometri di prove di linea, risulta agli interroganti che le prove di collaudo dei nuovi treni, che si svolgeranno sulla tratta Pisa – Viareggio della linea Genova – Pisa, non sono state ancora avviate e non si conosce ad oggi una data certa per la messa in funzione dei nuovi convogli –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e dei motivi sottostanti al perdurante ritardo fatto registrare nella effettiva messa in esercizio degli 8 convogli Civity ETR 563 acquistati dalla regione Friuli Venezia Giulia;
   se e quali iniziative il Ministro in indirizzo intenda intraprendere per velocizzare il procedimento burocratico relativo alla concessione dei certificati di omologazione da parte della Ansf al fine di consentire, nel minor tempo possibile, l'entrata in servizio dei treni ETR 563, a vantaggio della numerosissima utenza regionale, in buona parte pendolari, che fruisce quotidianamente del Tpl su ferro.
(5-02834)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   PRATAVIERA e MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da quanto si apprende dalle notizie riportate dagli organi di stampa il comune di Venezia ha autorizzato la limitazione nell'utilizzo di una propria piscina comunale ad entrambi i sessi in determinati giorni ed orari con la motivazione di venire incontro alle istanze della comunità musulmana;
   è noto infatti che i precetti religiosi islamici vietano alle donne di esporre il proprio corpo in pubblico se non interamente velato;
   negli ultimi 15 anni la componente straniera presente in Italia è triplicata. Se questo tasso di crescita dovesse mantenersi, la prospettiva è un raddoppio della popolazione straniera circa ogni tre anni; l'aumento esponenziale del fenomeno dell'immigrazione da Paesi di cultura islamica ha messo a dura prova le politiche di integrazione facendo emergere problematiche di diversa natura estremamente complicate e difficili da dirimere. Se, da un lato, è difatti connaturata nella storia democratica del nostro Paese una politica di integrazione e tolleranza, dall'altro lato non è più accettabile procrastinare interventi volti a garantire il rispetto della legalità da parte delle comunità musulmane presenti nel nostro territorio;
   nel nostro Paese gli uomini e le donne di fede musulmana sono circa 1 milione, poco più di 10.000 invece gli italiani convertiti all'Islam;
   è indispensabile promuovere l'uguaglianza dei diritti dell'uomo e della donna;
   la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1979, ratificata dall'Italia nel 1985, rappresenta uno degli strumenti di diritto internazionale più importanti in materia di tutela dei diritti umani delle donne. La Convenzione impegna gli Stati che l'hanno sottoscritta ad eliminare tutte le forme di discriminazione contro le donne, nell'esercizio dei diritti civili, politici, economici, sociali e culturali, indicando una serie di misure cui gli Stati devono attenersi per il raggiungimento di una piena e sostanziale uguaglianza fra donne e uomini;
   i diritti delle donne costituiscono parte integrante ed inalienabile di quel patrimonio di diritti universali in cui si riconoscono le moderne società democratiche;
   le cronache riportano con puntuale periodicità episodi di violenza commessi nei confronti di donne che rifiutano di sottoporsi ad irragionevoli dettami fanatico-religiosi;
   sempre più spesso, stando alle notizie pubblicate dagli organi d'informazione, si è dinnanzi a casi emblematici dove è facilmente riscontrabile, da un lato, il manifesto rifiuto da parte delle comunità musulmane presenti in Italia di rispettare le normative vigenti e di adeguarsi alla regole comportamentali e culturali del nostro Paese e, dall'altro lato, l'atteggiamento superficiale delle istituzioni che, non comprendendone i rischi, adottano semplicistiche soluzioni, mettendo conseguentemente in pericolo la sicurezza dei cittadini;
   è necessario quindi ribadire come non vi potrà mai essere integrazione senza la preventiva accettazione da parte di tutta la comunità islamica del principio fondamentale della separazione inequivocabile tra la sfera laica e quella religiosa e delle normative vigenti in materia di libertà individuale e di pensiero, di obbligo scolastico, di autodeterminazione e di uguaglianza formale di tutti i cittadini davanti alla legge, dello status giuridico o religioso delle donne, del rispetto del diritto di famiglia e dell'istituto del matrimonio, dei minori e dei non credenti e del trattamento degli animali;
   l'Islam si presenta fin dalle origini come un progetto globale che include tutti gli aspetti della vita. Include un modo di vivere, di comportarsi, di concepire il matrimonio, la famiglia, l'educazione dei figli, perfino l'alimentazione. In questo sistema di vita è compreso anche l'aspetto politico: come organizzare lo Stato, come agire con gli altri popoli, come rapportarsi in questioni di guerra e di pace, come relazionarsi agli stranieri e altro. Tutti questi aspetti sono stati codificati a partire dal Corano e dalla sunna e sono rimasti «congelati» nei secoli. La legge religiosa determina la legge civile e gestisce la vita privata e sociale di chiunque vive in un contesto musulmano e, se questa prospettiva è destinata a rimanere immutata, come è accaduto finora, la convivenza con chi non appartiene alla comunità islamica non può che risultare difficile;
   la legge islamica, rivolgendosi l'Islam a tutta l'umanità, è una legge personale e non dipende in nessun modo dall'elemento territoriale. La stessa nazionalità non è collegata, come avviene nella tradizione occidentale, allo ius sanguinis e allo ius loci, ma allo ius religionis, cioè all'appartenenza ad una comunità di credenti che non è legata all'esistenza di un entità statuale –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative alla luce di decisioni come quella presa dal comune di Venezia che gli interroganti giudicano discriminatoria e nei fatti apportatrice dell'accettazione di un precetto che vuole la donna sottomessa all'uomo, intenda assumere per promuovere una nuova politica di integrazione che metta al centro il rispetto e l'accettazione dei valori costituzionali disincentivando quelle pratiche che si pongano in contrasto con tali valori. (4-04824)


   D'ARIENZO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la società Mantovani spa è stata esclusa dall'appalto per i lavori della Piattaforma logistica del porto di Trieste in quanto, come si legge dalla stampa, «non ha più i requisiti di legge per concorrere per questi grandi appalti pubblici», così come previsto dall'articolo 38 del decreto legislativo n. 163 del 2006;
   pare che la mancanza dei requisiti sia legata alle indagini giudiziarie per associazione a delinquere finalizzata all'emissione di fatture per operazioni inesistenti e dichiarazione fraudolenta che hanno portato anche all'arresto dell'amministratore delegato della società, tale Piergiorgio Baita;
   dal settimanale L'Espresso dell'11 aprile 2014, inoltre, si legge che:
    il 5 settembre 2013 a Roma, presso la direzione centrale della polizia criminale, nel corso dell'aggiornamento sull'arresto, avvenuto qualche giorno prima, del vicequestore aggiunto Giovanni Preziosa, accusato di avere ceduto informazioni estratte dalle banche dati delle forze dell'ordine all'impresa di costruzioni Mantovani spa, nell'ordinanza di custodia cautelare che ha disposto l'arresto del vicequestore Preziosa, il giudice per le indagini preliminari definisce la Mantovani spa un «gruppo economico criminale»;
   il 6 settembre 2013 a Milano, presso la prefettura, nel comitato di coordinamento per l'alta sorveglianza sull'Expo vengono valutate le informazioni fornite dalla direzione nazionale antimafia (Dna) sulla Serenissima holding, ovvero la società della famiglia Chiarotto di Padova che è proprietaria della Mantovani spa e della Fip industriale spa, altra azienda del gruppo veneto impegnata nei cantieri per le infrastrutture viarie di Expo. Nell'occasione, il procuratore nazionale aggiunto della Direzione nazionale antimafia, Pier Luigi Dell'Osso, spiega che l'arresto del vicequestore Preziosa e quanto ha scritto il giudice nell'ordinanza di custodia cautelare mostrano comunque uno spaccato dell'attività della Mantovani spa. Per questa ragione, secondo il procuratore Dell'Osso, l'ordinanza potrà essere uno degli elementi su cui fondare importanti iniziative da intraprendere in tema di antimafia;
   con interrogazione n. 4-00440 del 14 maggio 2013, nell'ambito del quesito sulla legittimità degli atti posti in essere che l'interrogante ha presentato al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, ha reso noto il percorso che ha portato la società Mantovani nell'appalto per la tangenziale nord del comune di Verona, cosiddetto traforo delle Torricelle –:
   se il Ministro non ritenga urgente, attraverso l'Ufficio del Governo – prefettura di Verona, attivare un tavolo mirato alle attività della società Mantovani Spa e, anche in relazione alle informative già presenti al Ministero dell'interno, alle diverse e rilevanti informazioni emerse a seguito delle iniziative della procura della repubblica e della Direzione investigativa antimafia, valutare i requisiti della società per gli appalti pubblici nell'ambito del territorio della provincia di Verona presso i quali la medesima risulta impegnata al fine di corrispondere l'esigenza dettata dall'articolo 38 del decreto legislativo n. 163 del 2006. (4-04827)


   COMINARDI, TRIPIEDI, ALBERTI, BASILIO, TURCO, SORIAL, BONAFEDE, SARTI, CHIMIENTI, BALDASSARRE e BECHIS. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'ottica di razionalizzare risorse e presidi della polizia di Stato sul territorio italiano, il vice capo vicario della polizia Marangoni, nell'incontro del 4 marzo 2014, ha esposto le linee guida del progetto che il Ministero dell'interno intende perseguire in attuazione del piano nazionale per la spending review previsto dal commissario Carlo Cottarelli;
   sulla base delle notizie acquisite dal comunicato rilasciato dallo stesso Marangoni, il progetto prevede la chiusura di 261 presidi territoriali di polizia di cui 11 commissariati distaccati, 73 uffici di polizia ferroviaria, 73 sezioni di polizia postale, 27 sezioni-sotto sezioni polizia stradale, 4 nuclei artificieri, 11 squadre a cavallo, 4 sezioni sommozzatori, 50 squadre nautiche, oltre agli accorpamenti e alla rimodulazione delle competenze di alcuni compartimenti in ambito stradale, ferroviario e della zona di polizia di frontiera;
   secondo un articolo del quotidiano il Tempo, del 26 marzo 2014, il risparmio sulla spesa derivante dai tagli annunciati può essere così quantificato: 600 milioni di euro per l'anno 2014, 800 milioni di euro per l'anno 2015 e 1.700 milioni di euro per l'anno 2016;
   per la provincia di Brescia, che detiene il più alto tasso di incidentalità in Italia, sono a rischio chiusura il presidio della polizia stradale di Iseo (istituita nel dicembre 1960), il presidio della polizia stradale di Salò (istituita nel gennaio 1961) ed è a rischio declassamento anche il settore di polizia di frontiera presso Montechiari;
   si apprende da un articolo comparso sul quotidiano Corriere della Sera, dell'8 maggio 2014, che la polizia di Brescia e della provincia sarebbe ad un passo dal collasso, essendo funzionanti solamente 6 auto su 48;
   il piano di razionalizzazione dei presidi territoriali di polizia annunciato avrebbe evidenti ripercussioni sulla sicurezza dei cittadini, tenuto conto che già in questo momento i presidi citati sono carenti di mezzi e strumenti per poter assicurare un controllo ed una difesa dei cittadini su tutto il territorio bresciano –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle circostanze citate in premessa e se sia stato valutato l'impatto di tale processo di riorganizzazione in termini di sicurezza sociale e vite umane;
   se sia prevista, e per quando, la chiusura dei presidi della polizia stradale di Iseo e di Salò nonché il declassamento del settore di polizia di frontiera di Montichiari e quali siano i risparmi di spesa derivanti da tali operazioni;
   se il Ministro intenda precisare con quali forze e strumenti verrà garantito il controllo del territorio e la sicurezza dei cittadini in quei luoghi nei quali verranno soppressi i presidi;
   se il Ministro intenda accogliere le richieste di aiuto per mantenere e rifornire i presidi della provincia di Brescia di veicoli e di risorse finalizzate alla maggiore sicurezza dei cittadini. (4-04831)


   LUPO, L'ABBATE, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GALLINELLA, GAGNARLI, PARENTELA, SCAGLIUSI e DE LORENZIS. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel mattino del 19 maggio 2012 fuori dal comprensorio scolastico Falcone-Morvillo, a Brindisi, a seguito di un attentato dinamitardo perse la vita Melissa Bassi, e altre 9 persone, tra studenti e passanti, restarono ferite;
   il 16 settembre 2013 la corte di assise di Brindisi, ha condannato all'ergastolo Giovanni Vantaggiato, con la seguente motivazione: «Si deve concludere che Vantaggiato a differenza di quanto dichiarato avesse intenzione di proseguire la strategia criminale di tipo terroristico iniziando con l'attentato alla scuola Falcone-Morvillo collocando altri ordigni esplosivi micidiali al fine di colpire una o più vittime indeterminate scelte a caso in maniera indiscriminata e non prevedibile, con l'obiettivo altrettanto evidente di creare allarme nella gente destabilizzando i pubblici poteri»;
   la corte di assise di Brindisi oltre alla pena dell'ergastolo in comminato con 18 mesi di isolamento diurno per Giovanni Vantaggiato, ha stabilito un risarcimento danni di 400 mila euro ciascuno per i genitori di Melissa, di 200 mila euro ciascuno per le cinque ragazze ferite in modo più grave, 200 mila euro per la regione Puglia e 100 mila per una sesta ragazza ferita;
   il 6 agosto 2012 il quotidiano, «Il Sole 24 Ore», rendeva pubblica la notizia: «I segni permanenti che alcune ragazze della scuola Morvillo hanno subito per le ustioni riportate nell'attentato sono considerati dalla compagnia assicurativa dell'istituto soltanto ripercussioni di tipo estetico e quindi non risarcibili»;
   il 29 marzo 2014 il giornalista Franco Bechis riporta, on-line, la notizia che Vantaggiato possiede un ingente patrimonio con il quale potrebbe risarcire, almeno dal punto di vista materiale, le vittime dell'attentato, in un articolo del «La Gazzetta del Mezzogiorno» datato 30 marzo 2014 vengono esplicitate le proprietà di Vantaggiato tra cui yacht, immobili, 400 mila euro in titoli azionari e conti correnti;
   all'interno della stesso servizio si rende noto, come dichiarato dall'avvocato Resta, avvocato difensore di due delle vittime colpite il 19 maggio 2012, che il risarcimento danni se pur disposto dalla corte di assise di Brindisi non può essere riscosso;
   i beni di Vantaggiato, dopo il sequestro preventivo, sono stati confiscati dallo Stato, una parte dal Ministero dell'interno, che ha fatto scattare i provvedimenti previsti dalla legge sul terrorismo, la restante parte da Equitalia dopo un'accertata evasione fiscale;
   in alcun caso, a parere degli interroganti, la normativa in materia di pignoramento per evasione fiscale dovrebbe anteporsi al diritto di risarcimento delle vittime di attentati di stampo mafioso o terroristico –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se non ritenga doveroso, qualora non esista nell'assetto normativo di settore una possibilità di «deroga», apportare le dovute modifiche alla normativa vigente in materia di pignoramento fiscale, affinché a fronte di attentati, siano essi di stampo mafioso o terroristico, risulti sempre subordinato il diritto del pignoramento da parte del Fisco rispetto al risarcimento delle vittime. (4-04835)


   GUIDESI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i recenti episodi di protesta dei facchini dell'Ikea di Piacenza contro l'estromissione di 33 lavoratori della cooperativa San Martino, dei blocchi davanti i cancelli della Granarolo a Bologna contro il consorzio Sgb, ovvero le cooperative che lavorano in appalto alla Ctl (per Granarolo) e alla Cogefin dell'Interporto e dei picchetti dei dipendenti Coopservice davanti la biblioteca multimediale dell'Alma Mater a Bologna hanno sollecitato il Governo in merito alla problematica relativa alle cooperative di facchinaggio e logistica, ma soprattutto hanno creato preoccupazione e irritazione negli altri lavoratori, che in quei giorni non hanno potuto raggiungere il proprio posto di lavoro;
   la manifestazione dei dipendenti Coopservice di palazzo Paleotti, infatti, nel bloccare le porte della facoltà, ha impedito lo svolgimento di lezioni ed esami; il blocco ai cancelli ad opera dei manifestanti dipendenti della Cooperativa San Martino ha impedito l'accesso ai lavoratori dipendenti Ikea, portando la multinazionale alla decisione di sospendere l'attività dello stabilimento di Le Mose ed ora, come reazione, alla minaccia di chiuderlo completamente;
   Piacenza, cui è già sfuggita la possibilità della struttura per la vendita al pubblico, non può rischiare di perdere anche il deposito del Nord Italia di Ikea; peraltro, il clima di tensione creatosi ad Ikea, rischia di vanificare l'impegno profuso ai vari livelli per fare del polo logistico di Piacenza un centro di eccellenza;
   secondo quanto riportato dalle cronache di giornali, ai facchini e lavoratori dipendenti dalle Cooperative si sono affiancati nelle manifestazioni di protesta diversi giovani appartenenti a centri sociali locali, creando ancora più tensione anche con le forze dell'ordine;
   è inaccettabile, a parere dell'interrogante, che l'attività di un'azienda debba cessare perché «ostaggio» di quello che all'interrogante appare un gruppo di manifestanti di professione che, con il loro atteggiamento, stanno mettendo a repentaglio altri posti di lavoro, calpestando i diritti della maggioranza dei lavoratori –:
   se ed in che termini, nell'ambito delle proprie competenze, il Governo intenda intervenire per garantire ai dipendenti che intendono lavorare i propri diritti.
(4-04838)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   un gravissimo clima di tensione si è venuto a creare nel popoloso quartiere romano di Settecamini a causa del progettato insediamento in loco di un mega-centro di accoglienza per cittadini extracomunitari e/o rifugiati, attualmente oggetto di una sospensiva;
    la preoccupazione dei cittadini, già fortemente penalizzati dalla presenza nel quartiere di uno dei più grandi campi nomadi d'Europa, si è esplicitata in innumerevoli iniziative, sempre caratterizzate da alto senso civico, di contestazione dell'iniziativa che non può non turbare l'ordine e la tranquillità della zona, oltre a determinare un evidente deprezzamento del valore degli alloggi –:
   se il Governo intenda assumere ogni iniziativa, per quanto di competenza volta a favorire, anche alla luce dei risvolti di ordine pubblico, la revoca di quella che all'interrogante appare una assurda e inaccettabile decisione al fine di dare, una risposta urgente alle legittime richieste degli abitanti di Settecamini, evitando in tal modo il prevedibile susseguirsi di proteste e il logico innescarsi di sentimenti di insofferenza nei confronti dei provvedimenti delle competenti autorità. (4-04839)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CRIMÌ, LENZI, COSCIA, MIOTTO, COVA, MARIASTELLA BIANCHI, COPPOLA, CRIVELLARI e GHIZZONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   ogni anno più di 10.000 studenti si iscrivono alla facoltà di medici e chirurgia dopo aver superato un esame di ammissione molto selettivo;
   dopo la laurea e l'abilitazione all'esercizio della professione di medico-chirurgo, per avere diritto all'accesso ai ruoli del Servizio sanitario nazionale è necessario, ai sensi del decreto legislativo n. 368 del 1999 e successive modificazioni ed integrazioni, essere in possesso di un titolo di specialista in area medica, chirurgica, dei servizi clinici ovvero conseguire l'attestato di frequenza del corso di formazione specifica di medicina generale per accedere in regime di convenzionamento alla medicina generale;
   per il prossimo anno accademico le previsioni di contratti di formazione in medicina specialistica sono di circa 3.500 nazionali e 800 dalle regioni, quindi assolutamente inadeguati rispetto al fabbisogno di nuovi medici specialisti individuato dalla conferenza Stato-regioni;
   ogni anno le regioni emettono un bando di concorso per circa 900 borse della scuola di medicina generale;
   il divario tra neo-laureati e contratti di formazione specialistica è destinato ad aumentare ancor più, essendo i posti per l'ammissione al corso di laurea in medicina e chirurgia andati incontro ad un costante aumento negli ultimi anni accademici;
   da recenti indagini di settore il numero di specialisti in servizio presso il Sistema sanitario nazionale è in continua diminuzione mancando l'adeguato ricambio generazionale che dovrebbe essere garantito dal numero di contratti di formazione nelle scuole di specialità e di medicina generale;
   la diminuzione di medici specialisti, e comunque di medici, negli anni futuri potrebbe comportare un grave deterioramento dell'efficienza del Servizio sanitario nazionale, mettendo quindi a rischio la tutela della salute dei cittadini italiani;
   la data fissata per i concorsi regionali di accesso alla scuola di medicina generale è il 17 settembre 2014;
   il termine massimo di scorrimento delle graduatorie per il corso di medicina è di 10 giorni;
   da fonti giornalistiche si apprende che il concorso nazionale per le scuole di medicina specialistica dovrebbe tenersi a metà ottobre;
   numerosi medici si iscriveranno ad entrambi i concorsi di medicina generale e di medicina specialistica;
   i primi idonei della graduatoria in medicina generale non potrebbero scorrere nel caso i vincitori di entrambi i concorsi decidessero di abbandonare la scuola di medicina generale per iniziare il corso in medicina specialistica –:
   quali misure i Ministri interrogati intendano adottare per aumentare il numero di contratti di formazione;
   se i Ministri interrogati intendano posticipare la data del concorso in medicina generale ad un giorno prossimo al concorso nazionale delle scuole di medicina specialistica affinché sia possibile lo scorrimento delle graduatorie senza che, per un dettaglio burocratico, rimangano non assegnate delle borse nella carenza di contratti già precedentemente segnalata.
(5-02822)


   CARRA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il direttore dell'ufficio regionale scolastico e il dirigente dell'ufficio scolastico provinciale hanno comunicato all'istituto comprensivo di Sermide che non si costituirà per l'anno scolastico 2014/2015, presso la scuola di Felonica, né la prima classe, né tantomeno una pluriclasse;
   è evidente che la mancata costituzione di una prima classe significa condannare ad una sorta di eutanasia l'intero plesso scolastico di Felonica;
   l'amministrazione comunale in questi anni ha molto investito sulla scuola, in termini di sicurezza e dotazioni, e attualmente ospita 30 alunni per quanto riguarda la scuola per l'infanzia e 46 iscritti per la primaria;
   la soppressione della prima classe comporterebbe pertanto una interruzione del percorso scolastico dei bambini che stanno frequentando la scuola per l'infanzia e costituirebbe altresì un durissimo colpo per il futuro di questo piccolo comune;
   è del tutto evidente, infatti, che molte famiglie accettano di vivere in queste realtà solo se sono garantiti i servizi essenziali e la scuola per i propri figli lo è;
   le misure di razionalizzazione non possono, inoltre, prescindere dalla configurazione del territorio e della demografia, tant’è che la realtà di Felonica è caratterizzata da un vasto territorio e da una rilevante ruralità con molti cascinali –:
   se il Ministro non ritenga opportuno intervenire, al fine di scongiurare la soppressione della prima classe della scuola primaria presso il plesso scolastico di Felonica e assicurare la continuità educativa in una realtà che altresì andrebbe in grande difficoltà a scapito delle nuove generazioni. (5-02828)


   PALMIERI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 190 del 2012 e il decreto legislativo n. 33 del 2013 impongono a tutte le amministrazioni una serie di obblighi ed adempimenti volti a prevenire la corruzione nella pubblica amministrazione ed a favorire la trasparenza e la pubblicità delle informazioni. Ai sensi dell'articolo 1, comma 2, del (decreto legislativo n. 165 del 2001, le suddette disposizioni trovano applicazione anche per le istituzioni scolastiche;
   considerata la specificità del settore della scuola, mediante un quesito formulato è stata portata all'attenzione del Ministero per la pubblica amministrazione e la semplificazione e dell'ANAC (Autorità nazionale anticorruzione) la necessità di individuare misure opportune di adattamento della suddetta normativa alla complessa realtà delle istituzioni scolastiche;
   tale esigenza è stata condivisa dai soggetti interpellati e, nel corso di un incontro svoltosi antecedentemente al 29 gennaio 2014, con i rappresentanti del dipartimento della funzione pubblica e dell'ANAC si è concordato che tutte le indicazioni per l'applicazione delle norme sopra richiamate alle scuole fossero inserite in un apposito atto aggiuntivo al Piano nazionale anticorruzione, che, all'epoca, era in corso di definizione;
   con nota del Capo dipartimento istruzione dottor Chiappetta, del 29 gennaio 2014 indirizzata agli uffici scolastici regionali si informava di ciò e si richiedeva ai suddetti uffici, «nelle more della definitiva adozione del suddetto atto aggiuntivo da parte degli organismi competenti, di astenersi dall'adottare qualsiasi indicazione alle istituzioni scolastiche relativamente alle tematiche della trasparenza e dell'anticorruzione e di sospendere le iniziative eventualmente già avviate in merito», riservandosi di fornire ulteriori indicazioni non appena sarà concluso l’iter dell'atto aggiuntivo;
   a seguito di tale nota gli uffici scolastici regionali si sono trovati a non poter fornire alcun supporto tecnico-informativo agli istituti scolastici per i quali comunque non vi è stata alcuna sospensione in ambito normativo di applicazione della normativa citata in materia di trasparenza amministrativa;
   gli istituti scolastici sono stati di fatto lasciati in attesa di provvedimenti che, a quanto risulta, non sono ancora stati emanati e che comunque non garantirebbero lo spostamento dei termini previsti dalla normativa già vigente da oltre un anno –:
   quali siano le iniziative in corso per garantire agli istituti scolastici l'operatività nell'applicazione della normativa vigente;
   se il Ministero, nell'ottica della spending review della razionalizzazione dei sistemi informatici, abbia ipotizzato di fornire una soluzione centralizzata per l'inserimento delle informazioni obbligatorie così come sta facendo per la tematica della fatturazione elettronica in quanto è auspicabile un coordinamento informatico che vada ad evitare non solo inutili oneri per le istituzioni scolastiche ma allo stesso tempo che consenta ai dipendenti di poter operare nella certezza del diritto;
   se, e in che tempi, il Ministro intenda fornire indicazioni chiare alle istituzioni scolastiche, anche avvalendosi del supporto dell'ANAC, su quali obblighi di pubblicazione ricadono sulle medesime e quali invece sia onere raccogliere da parte del Ministero;
   se il Governo, tramite il Ministro, intenda intervenire in ambito normativo per alleggerire gli oneri in materia di trasparenza per gli istituti scolastici, organi periferici per cui non sono disponibili molto spesso le risorse economiche e tecniche per adempiere a tali incombenze. (5-02829)


   CAROCCI, TULLO, BASSO, GIACOBBE, PASTORINO, ASCANI e CARNEVALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'Accademia Ligustica nasce a Genova nel 1751 e da allora svolge un ruolo didattico di rilievo con un bacino di utenza che raccoglie studenti in Liguria e fino al basso Piemonte rilasciando titoli di alta formazione artistica e musicale;
   l'Accademia ha nel suo patrimonio un excursus completo della migliore arte ligure, dal medioevo fino agli impressionisti liguri, una ricca gipsoteca con calchi originali di Eugenio Baroni, per un totale di 300 dipinti, tremila incisioni, marmi e una collezione di maioliche;
   l'attività dell'Accademia è sostenuta in gran parte da trasferimenti degli enti locali, quali comune, provincia e regione; tali trasferimenti non sono sufficienti per coprire i costi dell'attività didattica dell'Accademia e i tagli ai trasferimenti che stanno caratterizzando questo periodo hanno reso la situazione ancora più insostenibile;
   la mancanza dei contributi statali ha dato avvio ad una situazione economica di crisi che è stata in parte risolta con la decisione, particolarmente dolorosa, di vendere parte del patrimonio di quadri giacenti nei depositi del Museo ad una Fondazione bancaria con l'obbligo di restaurarle e di renderle fruibili dalla cittadinanza genovese;
   la legge 508 del 1999 all'articolo 2, comma 8, lettera e) stabilisce la «possibilità di prevedere, contestualmente alla riorganizzazione delle strutture e dei corsi esistenti e, comunque, senza maggiori oneri per il bilancio dello Stato, una graduale statizzazione, su richiesta, degli attuali Istituti musicali pareggiati e delle Accademie di belle arti legalmente riconosciute, nonché istituzione di nuovi musei e riordino di musei esistenti, di collezioni e biblioteche, ivi comprese quelle musicali, degli archivi sonori, nonché delle strutture necessarie alla ricerca e alle produzioni artistiche. Nell'ambito della graduale statizzazione si terrà conto, in particolare nei capoluoghi sprovvisti di istituzioni statali, dell'esistenza di Istituti non statali e di Istituti pareggiati o legalmente riconosciuti che abbiano fatto domanda, rispettivamente, per il pareggiamento o il legale riconoscimento, ovvero per la statizzazione, possedendone i requisiti alla data di entrata in vigore della presente legge»;
   nel documento «Il Quadro dei Titoli Italiani» risalente al 20 gennaio 2011 ed emanato dal Ministero dell'istruzione, i titoli dell'alta formazione artistica musicale sono equiparati ai titoli rilasciati dalle università statali;
   il Ministero prevede già da molti anni un contributo a favore delle università non statali, valutate positivamente dal Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario (per quest'anno legge n. 495 del 21 novembre 2012);
   ai sensi dell'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica n. 212 del 2005 il Comitato di valutazione del sistema universitario ha espresso, nel dicembre 2010, parere positivo sugli standard e i requisiti dell'Accademia Ligustica rispondenti a quelli prescritti per gli istituti AFAM, con la conseguente emissione dei decreti ministeriali n. 74 del 13 giugno 2011, nn. 116 e 117 del 19 febbraio 2013 che autorizzano 1'Accademia Ligustica ad attivare corsi triennali ordinamentali e biennali sperimentali in ordine ad un'offerta formativa aderente a quella delle accademie statali;
   inoltre, a giugno 2013, l'ANVUR (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca) ha iniziato le valutazioni delle Accademie, con i criteri generali di base sui quali i nuclei di valutazione devono stendere le relazioni annuali sul funzionamento delle Istituzioni Afam. Il Nucleo di valutazione dell'accademia relaziona al Ministero già dal 2007;
   la legge 8 novembre 2013, n. 128 ha stabilito all'articolo 5-bis che: «al fine di rimediare alle gravi difficoltà finanziarie delle accademie di belle arti non statali che sono finanziate in misura prevalente dagli enti locali, è autorizzata per l'anno finanziario 2014 la spesa di 1 milione di euro». Inoltre, l'articolo 5-ter prevede che: «con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca si provvede a ripartire le risorse di cui al comma 5-bis, sulla base di criteri, definiti con lo stesso decreto, che tengano conto della spesa dell'ultimo triennio di ciascuna accademia e delle unità di personale assunte secondo le disposizioni del contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica.»;
   tuttavia, ad oggi — nonostante il chiaro dettato della norma — lo stanziamento previsto non è stato erogato;
   tale omissione sta determinando seri rischi per la sopravvivenza stessa dell'Accademia  –:
   quali iniziative urgenti intenda intraprendere affinché la somma autorizzata per l'anno finanziario 2014 venga erogata come previsto dalla legge. (5-02831)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VILLECCO CALIPARI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   sul territorio italiano insistono 5 sedi operative della NATO, nelle quali attualmente sono impiegai circa 250 dipendenti di nazionalità italiana, a statuto internazionale, ai sensi dell'articolo 8, lettera a) dell'Accordo di Parigi del 26 luglio 1961 tra il Governo italiano e il Comando supremo alleato in Europa;
   in altre basi europee sono impiegati altri 400 dipendenti di nazionalità italiana a statuto internazionale;
   per la totalità di questi lavoratori esiste un oggettivo interesse a maturare il diritto ad un trattamento pensionistico sulla base di un pieno riconoscimento della contribuzione corrisposta e della conseguente valorizzazione della stessa ai fini della misura delle prestazioni spettanti;
   per i lavoratori assunti prima del 2006 il disagio in questione è acuito dalla mancata esistenza di fondi pensionistici accumulati ed espressamente previsti per l'erogazione delle pensioni NATO, visto che il sistema consiste in una contribuzione annualmente deliberata ad hoc dagli Stati membri;
   non risultano, al momento definiti, tra INPS e NATO, né in regime di convenzione né sotto altra forma di accordo i procedimenti di ricongiunzione o di totalizzazione dei contribuiti né quindi la misura delle prestazioni ottenibili;
   uno specifico accordo potrebbe prevedere un «flusso bidirezionale» di capitali, a seconda della maggiore o minore contribuzione del singolo lavoratore a favore di uno dei due sistemi. Quello al quale si sia maggiormente contribuito potrebbe risultare di volta in volta il recettore dei contributi «giacenti» sull'altro fondo e, di conseguenza, l'erogatore della pensione;
   all'atto del pensionamento lo Stato italiano impone la tassazione IRPEF su quanto versato dalla NATO al suo dipendente, e ciò in difformità da quanto invece avviene in costanza di rapporto di lavoro, durante il quale, in attuazione dell'articolo VII, paragrafo 2, dell'accordo di Parigi del 1952, lo stipendio è esente da ogni imposta nazionale sul relativo reddito;
   tale ultima circostanza appare quanto meno contraddittoria, visto che, come è noto, la pensione costituisce «retribuzione differita» dell'opera lavorativa prestata, come da giurisprudenza costante, e quindi se non tassata durante gli anni di servizio attivo, a maggior ragione dovrebbe esserlo quando la persona affronta una fase più vulnerabile della propria esistenza. Ammissione di fatto suffragata dalla parziale compensazione (nella misura del 50 per cento) corrisposta al pensionato da parte della stessa NATO, dell'ammontare della tassazione applicata sulle pensioni;
   il sistema previdenziale italiano ha subito negli ultimi quindici anni una serie di modifiche che, al momento, non è chiaro, come interagiscano con la particolare situazione di questi lavoratori –:
   quali iniziative intenda adottare in relazione alla problematica indicata, fornendo, con ogni possibile tempestività un quadro dettagliato ed esauriente della situazione normativa in atto per quanto riguarda la raccolta contributiva, i meccanismi di accantonamento e di valorizzazione adottati e la misura delle prestazioni cui ha diritto il dipendente all'atto della cessazione del rapporto di lavoro per limite d'età o per altra causa. (5-02836)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LA MARCA e PORTA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   è prassi comune e consolidata dell'INPS negare l'integrazione al trattamento minimo pensionistico italiano ai titolari di pensione in convenzione con il Canada ed il Venezuela residenti in Italia i quali non fanno valere dieci anni di contribuzione effettiva nell'assicurazione obbligatoria generale italiana ancorché soddisfino tutte le altre condizioni di legge;
   in virtù dell'articolo 8 della legge n. 153 del 1969, i titolari di pensione in convenzione internazionale, e cioè di un pro-rata di pensione italiana acquisita tramite la totalizzazione dei periodi assicurativi e contributivi prevista da accordi o convenzioni internazionali in materia di sicurezza sociale, hanno diritto al trattamento minimo italiano a condizione che possano far valere in Italia almeno dieci anni di contribuzione effettiva (in costanza di rapporto di lavoro) e che, ovviamente, soddisfino i requisiti reddituali stabiliti dalla normativa italiana e che la somma del pro-rata italiano e quello eventuale estero non superi l'importo di tale trattamento minimo;
   tuttavia i pensionati in convenzione residenti in Italia in base a quanto disposto dai regolamenti dell'Unione europea in materia di sicurezza sociale e dalla maggioranza delle convenzioni bilaterali di sicurezza sociale stipulate dall'Italia, possono acquisire il diritto al trattamento minimo a prescindere dall'entità della contribuzione fatta valere in Italia; in sintesi, per questi ultimi sono sufficienti la titolarità di un pro-rata italiano, il soddisfacimento dei requisiti reddituali e la condizione che la somma del pro-rata estero e di quello italiano non superi l'importo del trattamento minimo italiano;
   esclusi da questo riconoscimento sono solo i pensionati residenti in Italia titolari di un pro-rata italiano acquisito tramite l'applicazione delle convenzioni bilaterali con il Canada e con il Venezuela: ciò perché queste due convenzioni, a causa di una svista o dimenticanza da parte del legislatore, non prevedono esplicitamente, a differenza di tutte le altre convenzioni bilaterali e multilaterali in materia di sicurezza sociale stipulate dall'Italia, la garanzia del trattamento minimo per i pensionati residenti in Italia (ma neanche la negano esplicitamente);
   infatti l'Inps applica in maniera restrittiva le due convenzioni e non concede il trattamento minimo anche se ne esistono i presupposti normativi; si tratta di una grave disparità di trattamento ai danni dei pensionati italiani residenti in Italia i quali hanno acquisito il diritto al pro-rata tramite l'applicazione delle convenzioni con il Canada e con il Venezuela, rispetto a tutti gli altri pensionati i quali, invece, hanno acquisito il diritto al pro-rata tramite l'applicazione di una qualsiasi altra convenzione in materia di sicurezza sociale stipulata dall'Italia;
   giova ricordare che è la stessa Costituzione che all'articolo 3 recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge...» e che all'articolo 38 recita: «I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria»;
   in conclusione, il diniego da parte dell'Inps della concessione dell'integrazione al trattamento minimo ai pensionati in convenzione con Canada e Venezuela residenti in Italia anche quando esistono i presupposti reddituali crea una situazione di grave disagio umano ed economico per cittadini pensionati ai quali non viene così garantito un minimo di sussistenza il cui diritto è sancito dalla nostra Costituzione –:

quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato per ristabilire la parità di trattamento di tutti i pensionati italiani in convenzione residenti in Italia, per correggere l'errore interpretativo e applicativo dell'Inps di norme internazionali e costituzionali, per sollecitare quindi l'istituto previdenziale italiano a concedere l'integrazione al trattamento minimo anche ai pensionati in convenzione con Canada e Venezuela i quali non fanno valere i dieci anni di contribuzione effettiva accreditata in Italia, come invece avviene per tutti gli altri pensionati in convenzione residenti in Italia ai quali ai fini dell'integrazione al minimo viene richiesta la sola titolarità di pensione a prescindere dal numero dei contributi versati, in modo tale che tutti i titolari di un pro-rata italiano acquisito con il meccanismo della totalizzazione dei contributi previsto da accordi o convenzioni in materia di sicurezza sociale, possano avere il diritto al trattamento minimo italiano se sono residenti in Italia e sa soddisfano i requisiti reddituali previsti dalla normativa italiana. (4-04825)


   PAGLIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in Italia opera dal 1977 il consorzio Garlasco del pomodoro, con sede nel cremonese e più di 300 imprese associate, con 600 dipendenti, 200 milioni euro di fatturato e 350 mila tonnellate di pomodoro lavorate;
   il consorzio si compone, oltre a magazzini e poli logistici, di tre unità produttive:
    la sede di Rivarolo del Re (Cremona, prima lavorazione del pomodoro, zuppe, sughi pronti, minestre, derivati del pomodoro);
    lo stabilimento di Fontanellato (Parma, prima lavorazione di pomodoro fresco, bevande in piccole quantità, minestre, zuppe per grandi gruppi commerciali);
    lo stabilimento di Felegara (Parma, the, succhi di frutta, latte di mandorla oltre alla rilavorazione del pomodoro);
   lo stabilimento di Felegara, in particolare, inizia la propria attività verso la metà del 1900 (lavorazione di pomodoro fresco, zuppe, brodi ecc), in proprietà della multinazionale statunitense Campbell’ Soup, per passare poi attraverso diverse trasformazioni e cambi di proprietà, fino alla Boschi Food & Beverage (Gruppo Parmalat);
   nel 2007 il gruppo Casalasco acquisisce la Boschi F&B dal crac Parmalat, mostrando particolare interesse verso il marchio POMÌ, che consentirebbe di rafforzare la commercializzazione in proprio godendo di un brand ben posizionato sul mercato;
   dal 1o gennaio 2012 il consorzio opta per la fusione per incorporazione di Boschi F&B;
   la fusione porta con sé importanti novità sul piano delle relazioni industriali;
   si pretende infatti di estendere agli stabilimenti parmensi, storicamente inseriti nel CCNL dell'industria alimentare e soggetti a regime previdenziale dell'industria, il modello cremonese, improntato sul più favorevole CCNL delle coop agricole e sulla previdenza agricola, come da legge n. 240 del 1984;
   tale atteggiamento porta ad una dura vertenza sindacale, data la consistente riduzione di diritti e salario per i lavoratori coinvolti, e ad accuse di dumping contrattuale, dato che tutte le altre aziende conserviere della provincia di Parma condividevano un più oneroso contratto nazionale e integrativo;
   la vertenza si conclude dopo un anno con la trasformazione del contratto aziendale in un contratto di gruppo, con una soluzione comunque favorevole al consorzio, al punto che il bilancio 2012 si chiude con un costo del lavoro in calo del 10 per cento a parità di numero di addetti, pari a 2,5 milioni di euro di minori oneri;
   dopo la fusione lo stabilimento di Felegara prosegue l'attività conto terzi per conto di importanti marchi a carattere nazionale e internazionale (fra questi Lipton, Lidi, Parmalat), stante l'assenza a livello di consorzio di brand propri nel segmento bevande;
   in questo modo si trova particolarmente esposto alla congiuntura di mercato, che diventa negativa per il settore beverage, e soffre la scelta operata nel 2013 da Parmalat di reinternalizzare le produzioni a marchio Santal;
   si giunge così alla decisione di chiusura dello stabilimento, che peraltro, alla luce delle scelte aziendali adottate, era probabilmente maturata all'atto stesso dell'acquisizione, come dimostra l'assenza di qualsiasi confronto sul piano industriale, pur sollecitato a più riprese dalle organizzazioni sindacali;
   oggi l'occupazione presente a Felegara è di 66 unità a tempo indeterminato, per il 40 per cento di genere femminile, a cui si aggiungono circa 70 stagionali avventizi agricoli, per il 75 per cento di genere femminile, con contratti di durata variabile in base alle professionalità fra 2 e 8 mesi;
   lo stabilimento di Felegara è inoltre uno dei pochi presidi industriali rimasti nel territorio pedemontano al quale fa riferimento, raccogliendo mano d'opera fino alle valli montane del Taro e del Ceno, in un contesto segnato da calanti opportunità occupazionali e impoverimento reddituale;
   l'azienda nel corso dell'incontro del 29 aprile 2014 ha comunicato la decisione di chiudere lo stabilimento prima dell'avvio della campagna produttiva del pomodoro del 2014, attraverso il ricorso agli ammortizzatori sociali, proponendo come sola alternativa il trasferimento dei lavoratori agli stabilimenti di Fontanellato e Rivarolo del Re, ovvero ad una distanza rispettivamente di 23 e 62 chilometri da Felegara, che si aggiungerebbero per la maggior parte a quelli già percorsi dalle valli del Taro e del Ceno;
   è inoltre necessario ricordare che il trasferimento ad altro sito delle unità a tempo indeterminato provocherebbe certamente un minore ricorso agli avventizi, con ricadute preoccupati sul piano sociale;
   in questo contesto le organizzazioni sindacali hanno chiesto al consorzio di non procedere allo spostamento degli impianti di Felegara su altri siti produttivi, di realizzare a Felegara le produzioni di campagna 2014, e di aprire simultaneamente un tavolo organico di confronto per ricercare le soluzioni da adottare;
   lo svolgimento della campagna 2014 in particolare è assolutamente necessaria per non privare molti lavoratori avventizi della possibilità di attivare la disoccupazione agricola, che richiede 102 giornate nel biennio e che rappresenta per loro l'unico ammortizzatore sociale disponibile;
   il consorzio ha sottoscritto a gennaio un accordo con ISA (Istituto di sviluppo agroalimentare, presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali), finalizzato ad ottenere una partecipazione al capitale sociale pari a 12 milioni di euro, da versarsi in due tranche di 6 milioni cadauna a gennaio 2014 e maggio 2015, nell'ambito di un progetto di sviluppo che, pur non prevedendo esplicitamente saldi occupazionali positivi, nemmeno allude a chiusure di stabilimenti;
   al termine dell'operazione ISA sarà di fatto il maggior partecipante al Consorzio, pur avendo diritto come da statuto solo al 10 per cento dei diritti di voto –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare per scongiurare un evento dannoso sul piano occupazionale, in un quadro già segnato da disoccupazione crescente e prevista al 12,7 per cento e su quello industriale, con la perdita di un presidio storico per il territorio parmense, anche alla luce della partecipazione diretta al capitale sociale da parte di un istituto pubblico;
   se non ritenga inadeguato sul piano dell'efficacia e dell'efficienza un sistema che preveda l'impiego di ingenti risorse pubbliche, senza che queste siano in alcun modo legate a obiettivi positivi sul piano occupazionale, a partire dal mantenimento dei posti di lavoro esistenti. (4-04826)


   LABRIOLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   da alcuni mesi la Dussmann Service ha prospettato una serie di licenziamenti dei lavoratori tarantini addetti ai servizi affidati in appalto dalla Marina Militare. Il probabile licenziamento degli addetti alle pulizie ed alla ristorazione presso la caserma Mariscuola di Taranto preoccupa fortemente tutta la comunità già molto provata da vicende note;
   la Dussmann Service srl presta servizio di ristorazione e sanificazione presso le caserme della marina militare di Taranto e provincia tra cui anche quello acquisito tramite appalto presso il sito della marina militare «Maricentro»;
   la società appaltatrice di cui sopra ha aperto due distinte procedure di licenziamento collettivo (legge n. 223 del 1991) per n. 20 unità impegnate nelle mense/ristorazione e n. 33 per le pulizie/sanificazione. Le motivazioni addotte nella prima procedura di licenziamento collettivo riguardano la chiusura «sine die» della mensa;
   non sono ufficialmente note le motivazioni che inducono la stazione appaltante a dismettere la mensa. Si parla di una ristrutturazione della mensa o di una riorganizzazione della stessa, ma già l'espressione «sine die» utilizzata dalla «Dussmenn Service srl» nella procedura di cui sopra, non pone alcun termine entro il quale le lavoratrici e i lavoratori torneranno a svolgere le loro mansioni lavorative. Eppure, ad una chiusura della mensa non corrisponde una diminuzione dei pasti da servire quotidianamente ai commensali della caserma «Maricentro – Taranto»;
   nella seconda procedura di licenziamento collettivo si assiste ancora una volta agli ennesimi tagli operati dalla stazione appaltante, con una conseguente riduzione di frequenze lavorative, che corrispondono drammaticamente alla decurtazione di ore di lavoro e reddito per i già sacrificati, in quanto part-time e già posti in cassa integrazione guadagni in deroga per effetto degli avvenuti precedenti tagli di risorse, degli anni scorsi, in addetti ai servizi di pulizie/sanificazione;
   da notizie di qualche giorno fa, riportata anche nella deliberazione del consiglio comunale di Taranto dell'11 aprile, si tratterebbe di ben 150 unità lavorative su un totale di 250 che si troverebbero prive di qualsiasi sostegno finanziario. Ciò avrebbe delle ripercussioni anche sulle famiglie. Il tutto sullo sfondo di un quadro sociale ed economico già di per sé allarmante;
   la Dussmann Service srl aveva anticipato il 23 ottobre 2013, alle organizzazioni sindacali, alla provincia di Taranto e per conoscenza alla regione Puglia, una lettera contenente un preavviso di licenziamento collettivo per riduzione del personale;
   si ricorda che il Ministero della difesa, nel corso di questi ultimi tre anni ha ridotto le risorse da destinare alla marina militare di Taranto per la pulizie delle caserme e delle aree di pertinenza nonché per i servizi di ristorazione;
   il 17 dicembre 2013, presso la direzione territoriale del lavoro di Taranto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, si è svolto un incontro in merito alle problematiche occupazionali relative ai lavoratori impegnati nell'appalto di servizi di mense e ristorazione presso «Marticentro» a Taranto e che ha visto partecipare la Dussmann Service srl, i sindacati e la Marina militare italiana;
   in ogni caso la Dussmann Service srl ha fatto sapere ai lavoratori che il 31 marzo 2014 cesseranno anche le attività di ristorazione svolte nella mensa di «Mariscuola» sempre su richiesta della marina militare a causa dell'internalizzazione del servizio, situazione che si traduce con il licenziamento –:
   quali iniziative i Ministri interrogati abbiano intenzione di porre in essere al fine di scongiurare i licenziamenti profilati in premessa;
   quali misure urgenti i Ministri interrogati intendano adottare per salvaguardare l'occupazione e il reddito dei dipendenti a rischio licenziamento e quali e quanti altri casi di rischio licenziamento si prefigurano a Taranto nel 2014 nei settori che prestano servizi per le forze armate. (4-04828)


   ZAN. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   Fita-Cna e Cgil-Trasporti di Padova hanno recentemente presentato un esposto all'ispettorato del lavoro di Padova e al Ministero del lavoro laddove denunciano un'anomala situazione contrattuale che riguarderebbe oltre mille autotrasportatori in città, assunti con normativa romena – pur essendo impegnati esclusivamente sul territorio italiano – e con il salario ridotto di 400 euro rispetto alle condizioni economiche stabilite nel contratto collettivo nazionale;
   secondo le sigle sindacali e Confartigianato trasporti, sarebbero in corso numerose vertenze contro le agenzie interinali che offrono tali contratti di lavoro subordinato e che avrebbero spostato le proprie sedi in Romania proprio per consentire di effettuare l'operazione;
   cosa ancor più sconcertante, i contributi previdenziali di dette contrattazioni sarebbero sottratti alle casse dello Stato, essendo gli autotrasportatori inquadrati all'interno del sistema lavorativo rumeno, che prevede meno contributi e meno tasse. In Romania, peraltro, l'azienda per ogni lavoratore paga al massimo 300 euro di contributi, quando in Italia questi ultimi, sommati alle imposte, superano spesso i 1.200 euro;
   secondo una stima, calcolata sul numero dei lavoratori dipendenti già coinvolti, lo Stato starebbe perdendo, per la sola provincia di Padova, almeno 1 milione di euro;
   nello specifico, infatti, gli autisti cosiddetti «rumenizzati» guadagnano 1.200-1.400 euro al mese anziché 1.700-1-900, somma che viene percepita invece dai colleghi assunti con un contratto regolato dalle normative italiane. Il salario mensile è così decurtato di 400-500 euro;
   la città di Padova è di fatto considerata la capitale indiscussa del Nordest nel settore dell'autotrasporto di merci, e il dilagare del fenomeno rende preoccupante l'intera gestione contrattuale della categoria degli autotrasportatori –:
   se i Ministri intendano fare luce sull'intera vicenda, per accertare la legittimità dell'operazione, nonché se analoga situazione sia già stata denunciata in altre province d'Italia;
   quali azioni e iniziative i Ministri, per quanto di relativa competenza, intendano porre in atto con urgenza per arginare il fenomeno, che rischia di espandersi esponenzialmente su tutto il territorio nazionale, con gravi perdite per le casse dello Stato e la seria messa a rischio dei diritti degli stessi lavoratori della categoria, spesso costretti dalla crisi ad accettare condizioni di lavoro vessatorie. (4-04829)


   FRUSONE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Frosinone Multiservizi spa è stata costituita nel 2005, con lo scopo di gestire i servizi pubblici essenziali (quali, manutenzione strade, cura del verde pubblico, servizi cimiteriali) ed ha come soci: la regione Lazio, attraverso Sviluppo Lazio, con una quota del 49 per cento, il comune di Frosinone con il 20 per cento, il comune di Alatri con l'11 per cento e la provincia di Frosinone con il 20 per cento;
   il Comitato di lotta per il lavoro della provincia di Frosinone sulla pagina web http://www.oltreloccidente.org/progetti/comitato-di-lotta, diffonde i seguenti dati e le notizie di seguito evidenziate:
    la Frosinone Multiservizi avrebbe beneficiato di un contributo statale pari a circa 9.000 euro per ciascun lavoratore assunto per complessivi 1.900.000,00 euro. In totale, ai fini della stabilizzazione dei lavoratori, sarebbero stati assegnati circa 3.8000,000 euro;
   dal 2006 al 2010 la Frosinone Multiservizi avrebbe stabilizzato i lavoratori provenienti dal bacino dei lavoratori socialmente utili (LSU);
   per effetto del decreto legislativo n. 468/1997 e della legge regionale n. 21/2002, la Frosinone Multiservizi avrebbe stabilizzato 213 lavoratori già in forza nel comune di Alatri, nel comune di Frosinone e nell’ amministrazione della provincia;
   nel 2009, a seguito di altri affidamenti da parte della Provincia, sarebbero state effettuate altre 84 assunzioni;
   tra il 2007 e il 2010 la società avrebbe assunto ulteriori 14 unità, non proveniente dal bacino dei lavori socialmente utili, senza alcuna selezione concorsuale;
   la Frosinone Multiservizi, pertanto, è arrivata ad impiegare 306 dipendenti;
   nelle relazioni di bilancio si rintraccerebbero criticità evidenti sotto il profilo dell'equilibrio economico nella gestione della società;
   la Frosinone Multiservizi sarebbe stata posta in liquidazione volontaria il 3 agosto 2011 con una perdita pari a 142.835,08 euro per il periodo antecedente la messa in liquidazione (dal 1 maggio 2011 al 03 agosto 2011) e di 1.208.348,47 euro nel periodo successivo (dal 9 agosto 2011 al 31 dicembre 2011) e i dipendenti posti in cassa integrazione guadagni;
   i comuni di Alatri e Frosinone, a seguito della delibera n. 50 del 28 dicembre 2011 e n. 78 del 29 dicembre 2011, hanno costituito una nuova società la Servizi Strumentali srl che avrebbe dovuto ereditare la gestione dei servizi che la Multiservizi spa svolgeva a favore dei suddetti enti locali;
   anche se la società non ha mai svolto attività, nomina comunque un amministratore, che la chiuderà nel 2014;
   il 9 marzo 2013, il comune di Frosinone avrebbe deciso di affidare esternamente i servizi della Frosinone Multiservizi spa ed ha pubblicato un avviso pubblico per la manifestazione di interesse da parte delle cooperative sociali di tipo B iscritte nell'elenco regionale per la durata di 5 mesi. I requisiti richiesti per lo svolgimento del servizio erano: 1) i partecipanti dovranno dimostrare di possedere una sede operativa nell'ambito di un territorio compreso nel raggio di 20 chilometri dal comune di Frosinone 2) la società dovrà impegnarsi ad assumere il personale necessario dal bacino dei lavori socialmente utili, confluito nella Società Frosinone Multiservizi spa in liquidazione;
   questo secondo criterio sarebbe stato disatteso;
   il 29 marzo 2013 con la determina n. 709 l’iter procedurale si è concluso con l'affidamento dei servizi alla cooperativa Nexus e ai consorzi Parsifal, Sol. Co. e Uno. I predetti enti avrebbero riassorbito solo una parte dei lavoratori della Frosinone Multiservizi e con contratti a tempo determinato della durata di 5 mesi;
   terminato il periodo di 5 mesi previsti dall'affidamento il 24 settembre 2013, il comune di Frosinone, con determinazione dirigenziale n. 2327, avrebbe affidato il servizio della cura del verde senza l'espletamento di una gara pubblica direttamente alla coop. Nexus per un totale di 240.000 euro e per la durata di un anno;
   il 30 giugno 2013 tutti i dipendenti della Frosinone Multiservizi sono stati licenziati ed, attualmente, dei 184 lavoratori disoccupati ben 90 non godono di alcun ammortizzatore sociale e sono sprovvisti di reddito o sostegno alcuno;
   ad oggi, i servizi pubblici che venivano svolti dai lavoratori già dipendenti dalla Frosinone Multiservizi, nella provincia di Frosinone risulterebbero sospesi, mentre i comuni di Frosinone e di Alatri li avrebbero affidati temporaneamente a società esterne;
    le parti sociali avrebbero redatto un dettagliato piano d'impresa che prevede la costituzione di un'unica società pubblica per l'erogazione di 20 servizi e con l'obiettivo generale di mantenere fermo il livello di occupazione dei lavoratori già dipendenti nella Frosinone Multiservizi, il recupero delle professionalità maturate e l'economia di scala;
   all'opposto, gli enti pubblici avrebbero predisposto solo una bozza generica di piano d'impresa che prevedrebbe, come unico obiettivo, l'individuazione di un numero di esuberi proporzionato alle quote previste in bilancio per servizi;
   con la delibera n. 122 del 13 marzo 2014, la regione Lazio ha deliberato la propria disponibilità a concorrere ai costi della liquidazione della società nei limiti della quota di competenza pari a 4.003.806,98 euro;
   secondo la relazione elaborata dalla direzione territoriale del lavoro di Frosinone, i dati della disoccupazione del 2013 della provincia di Frosinone evidenziano un progressivo quanto preoccupante aumento del numero degli iscritti presso i locali centri per l'impiego – inoccupati e disoccupati – passati dalle 96.751 unità dell'anno 2011 alle 111.476 unità dell'anno 2013. Nell'ultimo triennio la provincia in esame registra, inoltre, la perdita di oltre 10.000 posti di lavoro con un incremento del numero dei disoccupati pari a 1429 unità;
   la suddetta relazione evidenzia, inoltre, che nell'anno 2013 i dati di Unioncamere hanno registrato per la prima volta un saldo negativo tra nuove iscrizioni e cessazioni delle imprese (-233) che, seppure per valori estremamente contenuti, era risultato positivo sia nel 2011 (+244) che nel 2012 (+55). I saldi negativi si riscontrano pressoché in ogni comparto produttivo con maggiore rilevanza nel commercio e nelle costruzioni, settori trainanti nella provincia in oggetto, con numeri in tendenziale aumento, di anno in anno. La situazione di crisi appena descritta ha determinato un significativo aumento delle ore di cassa integrazione guadagni straordinaria, in particolare nel comparto industria ed edilizia;
   i dati che emergono sono indubbiamente un serio indicatore di crisi economica ed occupazionale che non accenna a trovare soluzione nel breve periodo;
   va da sé, dunque, la doverosa e non più procrastinabile adozione di azioni e provvedimenti a salvaguardia degli attuali livelli occupazionali –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per assicurare la salvaguardia dei livelli occupazionali in relazione alla vicenda della società Frosinone Multiservizi spa, anche promuovendo a tale scopo un tavolo tecnico. (4-04837)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, BENEDETTI, GALLINELLA, L'ABBATE, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   con decreto legislativo n. 31 dell'11 marzo 2014 «Indicazione dei terreni della regione Campania da sottoporre ad indagini dirette, ai sensi dell'articolo 1, comma 6 del decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 febbraio 2014, n. 6, nonché interdizione dalla commercializzazione di prodotti agricoli», all'articolo 1, comma 1, viene specificatamente assegnato al Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura il compito di stabilire le indagini dirette, anche relative alle acque di falda, ove necessario, da effettuare nei terreni di cui al comma 3, ai sensi dell'articolo 1, comma 6, del decreto-legge n. 136 del 2013;
   in una comunicazione del direttore generale ente Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura Marandola, n. di protocollo 0017775 del. 14 aprile 2014, destinata al direttore e ai ricercatori e ai tecnologi del CRA-RSP, si può leggere che «secondo quanto stabilito dal gruppo di lavoro “decreto-legge n. 136 del 2013”, al CRA-RPS sono state affidate le analisi dei suoli e delle acque, per i parametri individuati secondo le competenze tecniche dei diversi Enti coinvolti, da effettuarsi entro il termine di cui all'articolo 1, comma 6, terzo periodo, del medesimo “decreto-legge n. 136 del 2013/1”»;
   il centro di ricerca per lo studio delle relazioni tra pianta e suolo (CRA-RPS) sito a Roma in via della Navicella, è ubicato all'interno di un edificio storico ed è dotato di laboratori tematici per gli studi di scienza del suolo e nutrizione delle piante, di qualità dell'acqua, dell'aria e del suolo, di chimica, di biochimica, di biologia dei vegetali, di microbiologia, di fertilizzanti e biomasse organiche, e altro;
   ai sensi della normativa in materia di sicurezza e salute sul lavoro (decreto legislativo n. 81 del 9 aprile 2008 e successive modificazioni, anche noto come testo unico), in tutti i luoghi di lavoro, deve essere effettuata la valutazione dei rischi (specifici e non) e devono essere adottate tutte le misure tecniche, organizzative e procedurali, di prevenzione e protezione dei rischi nei confronti dei dipendenti;
   data la pericolosità dei campioni da analizzare ai sensi della precedente comunicazione che potrebbero esporre il personale tecnico dei laboratori a gravi rischi per la salute, si rende necessaria nelle strutture di ricerca e laboratoriali che si sviluppano su più livelli, la presenza di ascensori o montacarichi, atti a mettere in comunicazione i laboratori situati in piani differenti, condizione sine qua non per il trasporto in sicurezza dei campioni;
   data la pericolosità dei campioni da analizzare ai sensi della precedente comunicazione che potrebbero esporre il personale tecnico dei laboratori a gravi rischi per la salute, è doverosa la presenza di sistemi di ventilazione forzata, di cappe chimiche o a flusso laminare, di opportuni dispositivi di protezione individuale, di procedure di manutenzione periodica e straordinaria dei dispositivi di sicurezza, e altro, necessarie per un lavoro in sicurezza;
   osservando sul sito del CRA-RPS le specifiche del personale della ricerca e del personale tecnico del RPS, non sembra vi sia personale con pregressa esperienza riguardo all'analisi di materiali contaminati radioattivi;
   le Agenzie regionali protezione ambiente (ARPA) sono in possesso di tutti i requisiti di sicurezza necessari per poter effettuare le analisi dei suoli e delle acque inerenti agli scopi del decreto-legge n. 136 del 2013 –:
   quale sistema di accreditamento procedurale o tecnico è sia in vigore circa la tracciabilità interna dei campioni;
   quali siano le procedure di Good Laboratory Practice (GLP) e il protocollo interno per l'accettazione, lo stoccaggio, la lavorazione, la conservazione dei campioni nonché lo smaltimento in sicurezza;
   se intenda indicare l'elenco completo e lo stato di tutti i sistemi di sicurezza presenti all'interno dello stabile del CRA-RPS. (5-02832)


   GALLINELLA, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, LUPO, L'ABBATE, GAGNARLI e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   da diverse fonti stampa, nonché da molte dichiarazioni dei vertici di Coldiretti Impresapesca, si apprende che in queste settimane, a causa delle esercitazioni delle navi Nato, l'attività di pesca nelle acque del Tirreno, a largo di Liguria e Toscana, è bloccata;
   le esercitazioni dell'Alleanza Atlantica si stanno effettuando a causa della crisi in Ucraina, che non accenna ad arrestarsi e che sta facendo sentire il proprio peso anche nel nostro Paese, con ricadute particolarmente significative sul settore agroalimentare;
   il blocco dell'attività di pesca nelle acque che vanno da La Spezia all'isola d'Elba è previsto fino al prossimo 24 maggio 2014 e i pescatori hanno lanciato un vero e proprio allarme denunciando perdite ingenti;
   nel 2013, i consumi ittici in Italia, secondo i dati riportati da Coldiretti Impresapesca, sono scesi del 5 per cento ed è evidente che il settore sta già affrontando una crisi importante, che potrebbe aggravarsi in questo momento poiché una sospensione così lunga delle attività rischierebbe di far sparire il pesce italiano dalle tavole a favore del pesce estero;
   i pescatori e le associazioni di categoria ipotizzano la creazione di forme di sostegno economico per armatori e lavoratori del settore, con il duplice scopo di non arrestare la «produzione» di pesce del Tirreno ed incentivare le imprese ad uscire dallo stallo attuale di crisi;
   oltre alla pesca, la crisi in Ucraina si è fatta sentire anche sul settore del grano con il prezzo mondiale che è schizzato di circa il 30 per cento in soli tre mesi e ha superato il valore massimo da un anno ad oltre 7,3 dollari per bushel per le consegne a luglio al Chicago Board of Trade;
   secondo Coldiretti, a subire impennate sui prezzi – sui quali incidono fortemente le crisi politiche, sociali ed economiche internazionali – sono praticamente tutte le materie prime agricole, dal mais alla soia agricole per la produzione di pane, birra e anche mangimi per l'allevamento destinato a latte e carne, e sono inoltre diminuite del 6,6 per cento le esportazioni made in Italy in Russia;
    se, in base a quanto esposto in premessa e ai dati a sua disposizione sul settore della pesca italiano, ritenga fondate le preoccupazioni dei pescatori e delle associazioni di categoria, circa l'ingente perdita che il blocco causato dalle esercitazioni della Nato causerebbe al comparto ittico nazionale;
    se, in base a quanto esposto in premessa e alle reali perdite riscontrate, intenda elaborare delle soluzioni al fine di non danneggiare il settore italiano della pesca e scongiurare l'avvio dell'importazione di massa di un prodotto che rappresenta una delle eccellenze del made in Italy agroalimentare;
    se, relativamente alle ricadute della crisi ucraina su tutto il settore agroalimentare, abbia intenzione di predisporre una strategia per garantire la stabilità dei prezzi dei prodotti agricoli nazionali e una riduzione della dipendenza dalle produzioni estere, al fine di garantire l'autonomia del nostro Stato nel settore agroalimentare, e al contempo di valorizzare le nostre produzioni nazionali. (5-02835)


   MONGIELLO e OLIVERIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   stando a quanto riportato dalle agenzie stampa del 12 maggio 2014, in particolare l’«(AGI) Ce2/Lil 121045 MAG 14 (AGI) – Caserta, 12 mag.», sarebbero stati scoperti nuovi episodi di illeciti nel settore della produzione e della commercializzazione della mozzarella di bufala Campana DOP;
   invero è da tempo che nell'ambito della filiera della produzione della mozzarella di bufala campana DOP, determinati gruppi di allevatori e di produttori di mozzarella (artigianale) di mozzarella di bufala campana DOP, insieme alle principali organizzazioni professionali agricole regionali competenti, unitamente a determinati rappresentanti delle autorità sanitarie e degli enti locali interessati, continuano a denunciare il perdurare di condotte illecite a danno della qualità e della reputazione della predetta mozzarella di bufala campana DOP, i cui risvolti negativi si riverberano non solo sui consumatori che acquistano un prodotto di scarsa qualità se non addirittura insano, ma anche sui produttori di latte bufala dell'areale di produzione della stessa DOP i quali vengono sottoposti a ricatti da parte di quegli industriali del settore caseario che avendo a disposizione materia prima di origine estera e non conforme alla disciplina della DOP o ad ogni modo non idoneo per tale trasformazione e potendo imporre di non ritirare il latte di bufala relativo alla DOP, possono praticare ai relativi allevatori, prezzi di acquisto del loro latte di gran lunga più bassi dei costi effettivamente sostenuti per produrlo;
   la notizia riportata dall'agenzia in oggetto mette in luce un sistema organizzato e ben collaudato di illeciti che andrebbero dalle frodi in commercio, passando per le adulterazioni e sofisticazioni alimentari nelle fasi di produzione del latticino DOP, fino ai danni a carico dell'ambiente;
   il presunto caso delinquenziale sarebbe stato scoperto nell'ambito di una operazione che ha portato 13 persone agli arresti domiciliari, oltre al sequestro di una azienda e dei suoi sei punti vendita e riguarderebbe la mozzarella di bufala prodotta dal caseificio Cantile di Sparanise (Caserta), il quale si sarebbe reso artefice di una serie di adulterazioni alimentari commesse lungo l'intero ciclo produttivo dell'azienda. Plurimi prelievi effettuati dalla polizia giudiziaria sulla mozzarella di bufala Cantile, commercializzata con il marchio «mozzarella di bufala campana dop», avrebbero permesso di verificare che al latte di bufala veniva abitualmente miscelato latte vaccino;
   secondo le indagini, anche alcune importanti catene di distribuzione estere e, in particolare, francesi (Auchan e Monoprix), avrebbero lamentato una scarsa qualità della mozzarella di bufala campana dop prodotta dal caseificio sopra menzionato;
   il caseificio, inoltre, pur essendo tenuto ad acquistare materie prime di provenienza certa, sembra provvedesse, in maniera pressoché sistematica, all'acquisto anche all'estero di partite di latte e di cagliata, spesso molto scadenti, tramite società di comodo (soprattutto la Planet Group s.r.l.), in Francia, Polonia e Ungheria, che facevano risultare di provenienza italiana, alterandone i documenti di trasporto;
   il latte e le materie prime acquistati non sarebbero stati sottoposti ad autocontrollo sanitario grazie alla compiacenza di specifici dipendenti del caseificio e, ove tali materie prime adulterate fossero risultate in eccesso, sembra venissero rivendute tranquillamente a terzi;
   le autorità giudiziarie hanno accertato che campioni del latte giacente nei silos del caseificio avessero una carica batterica fino a oltre duemila volte più elevata di quella consentita dalla normativa vigente;
   sempre dalla fonte giornalistica sopra citata, si apprenderebbe che il signor Pasquale Cantile, intercettato al telefono, pensasse persino di utilizzare un concime chimico impiegato in agricoltura, l'urea, per far aumentare la carica proteica del latte e migliorarne così la resa, in modo, cioè da aumentare il quantitativo di prodotto realizzato con la medesima quantità di materia prima, benché sapesse che l'urea in mangimi somministrati alle bufale ne aveva provocato il decesso;
   l'impresa Cantile, infine, smaltiva i residui della lavorazione dei prodotti caseari (siero e fanghi), scaricandoli grazie a by-pass negli impianti fognari o nei condotti che conducono a fiumi vicini all'impianto di produzione. Nonostante vi fossero stati già in passato ripetuti sequestri, essi avrebbero ogni volta reiterato la condotta illecita;
   plastica, contenitori e altri rifiuti solidi venivano depositati in un'isola ecologica del comune di San Nicola La Strada destinata a ricevere esclusivamente rifiuti solidi urbani, in violazione delle norme recate dalla vigente legislazione ambientale e grazie a soggetti compiacenti addetti alla struttura;
   anche alcuni veterinari dell'Asl competenti per territorio sembra andassero ad effettuare ispezioni «annunciate», ovviamente con esito dei controlli sempre favorevole;
   di fronte a queste notizie e dopo gli arresti condotti dai carabinieri di Caserta nei confronti dei titolari dell'impresa di Sparanise, il consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana DOP ha immediatamente fatto sapere che nel 2012 il consiglio di amministrazione del Consorzio della mozzarella di bufala campana Dop, dopo segnalazioni, aveva già provveduto ad espellere la Cantile srl e che (AGI) Ce2/Lil 121459 MAG 14) «Il verbale della delibera fu inviato subito a Roma al Ministero delle politiche agricole, che avrebbe dovuto poi provvedere a vietare l'uso del marchio. Cosa che ad oggi non è ancora avvenuta. Per questo, onde evitare che si getti ombra su un settore così importante, auspichiamo una maggiore celerità del ministero su questo tipo di decisioni oppure fare in modo che il Consorzio possa avere anche il potere di togliere l'uso del marchio –:
   se sia a conoscenza dei fatti criminosi citati in premessa in merito ai casi di illecito alimentare commessi in seno alla produzione della mozzarella di bufala campana DOP dal caseificio Cantile;
   se corrisponda al vero che in passato il Ministero abbia ricevuto dal consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana DOP il verbale del relativo consiglio di amministrazione contenente la richiesta di interdizione dell'uso del marchio della stessa DOP da parte del caseificio Cantile ed in caso ciò fosse accertato, per quali motivi non abbia proceduto a renderla esecutiva;
   se non ritenga urgente adottare specifici provvedimenti operativi che siano in grado di assicurare controlli più incisivi nell'ambito della filiera produttiva della mozzarella di bufala campana DOP, se del caso prevedendo che le autorità di controllo attualmente incaricate ad effettuare i controlli su tale DOP ai sensi del decreto del 14 gennaio 2013, relativo alle disposizioni per la rilevazione della produzione di latte di bufala in attuazione dell'articolo 7 della legge 3 febbraio 2011, n. 4, effettuino mensilmente controlli e verifiche incrociate tra la produzione di latte di ciascuno allevamento bufalino dell'area DOP, rispetto alla effettiva trasformazione e resa quantitativa che di tale latte ottengono i caseifici che lo ritirano, sia per la produzione della mozzarella di bufala campana DOP e sia per la produzione mozzarella generica di latte bufala. (5-02838)

Interrogazione a risposta scritta:


   TACCONI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 7 maggio 2014 la trasmissione televisiva «Le Iene» ha mandato in onda un servizio sui rischi di sviluppo di tumori per consumo di prodotti con caseina, illustrando studi pubblicati dal libro «The China Study»;
   il dottor Andrea Ghiselli, ricercatore dell'INRAN, Centro di ricerca per gli alimenti e la nutrizione, istituto pubblico del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, responsabile per l'educazione e la comunicazione, ha molto duramente criticato tali studi scientifici attraverso, fra l'altro, un'intervista al sito wired.it;
   il dottor Andrea Ghiselli, è componente del comitato scientifico della Fondazione Danone;
   la Danone è uno dei più importanti produttori mondiali di prodotti con latte animale;
   l'interrogante non intende entrare nel merito delle considerazioni scientifiche svolte dal libro «The China Study» e nell'intervista rilasciata dal dottor Ghiselli –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro e quali conseguenti iniziative intenda adottare riguardo al doppio e contemporaneo ruolo del dottor Andrea Ghiselli, che, ad avviso dell'interrogante, è tale da determinare un chiaro conflitto d'interessi e da mettere evidentemente a rischio l'indipendenza dell'attività del dottor Ghiselli e, quindi, dell'Istituto di ricerca del Ministero. (4-04834)

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


   DI VITA, GRILLO, MANTERO, DALL'OSSO, CECCONI, SILVIA GIORDANO e LOREFICE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con la locuzione «disfunzione dell'ATM» viene genericamente indicata una patologia a carico dell'articolazione temporo-mandibolare determinata dalla perdita dei naturali rapporti anatomici esistenti tra i capi articolari, quello della mandibola (condilo), quello dell'osso temporale (fossa glenoide) e il menisco articolare tra loro interposto allo scopo di rendere congrue le superfici articolari;
   tale si caratterizza per una serie di disturbi clinici quali: cefalea, mal di schiena, vertigini, nausea, acufeni, rumori articolari (click), limitazione dei movimenti mandibolari, algie facciali, cervicalgia, riduzione dell'udito, dolori irradiati all'orecchio, agli zigomi, fischi o ronzii all'udito, capogiri, torcicollo, bruxismo, parestesia alle spalle, agli arti superiori, alle mani, fastidio o dolore alla deglutizione, blocco articolare acuto o cronico (limitazione di apertura, fino al blocco in apertura e chiusura della bocca), sindromi simil-trigeminali (dolori trafittivi o a scossa elettrica in zona cranio-facciale), malocclusione, asimmetria di crescita cranio-facciale, respirazione orale, traumi diretti o indiretti cranio-cervico-mandibolari, vizi di postura, patologie ortopediche e/o fisiatriche, con coinvolgimento della postura cranio-cervicale, ansie e stress, attacchi di panico, aperture esagerate della bocca, parafunzioni (digrignare o serrare i denti, masticare gomme, mordicchiare unghie e/o oggetti), lassità legamentosa (ipermobilità articolare, frequente nelle donne), parestesie agli arti inferiori, disturbi della fonazione, eccetera; condizioni, queste, che possono presentarsi singolarmente, oppure variamente sovrapposte;
   le forme di dolore cronico possono arrivare a determinare una compromissione delle interazioni di lavoro o sociali, con conseguente riduzione della qualità di vita generale della persona;
   il campo delle disfunzioni dell'articolazione temporo-mandibolare è salito alla ribalta proprio perché sono in aumento i pazienti che lamentano tale tipo di disturbi. Studi epidemiologici rivelano infatti che le disfunzioni temporo-mandibolari colpiscono almeno il 70 per cento della popolazione, in maggioranza le donne con un rapporto di 1 a 4, evidenziando i disturbi maggiormente tra i 15-45 anni; tuttavia, già dal 2000 uno studio condotto dall'università di Perugia ne documentava la gravità e l'incidenza sulla popolazione;
   in letteratura, tuttavia, sono diverse e controverse le definizioni riconducibili ai suddetti disturbi: disfunzione temporomandibolare (DTM), sindrome dolorosa miofasciale mandibolare, disturbo delle articolazioni temporomandibolari, o anche disordine cranio-cervico-mandibolare (DCCM);
   negli ultimi anni sono altresì moltiplicati gli studi riguardanti le possibili correlazioni tra malocclusioni dentali, alterazioni del rachide cervicale e alcune forme di cefalee facciali. Nonostante gli sforzi della ricerca, tuttavia, il campo delle disfunzioni temporo mandibolari presenta ancor oggi molte zone d'ombra;
   anche se l'articolazione temporo-mandibolare risulta essere una delle strutture del corpo umano più importanti, per le peculiarità che presenta e per la sua complessa anatomia, è soltanto recentemente, infatti, che alcuni studiosi hanno messo in evidenza le relazioni che legano questa articolazione con il sistema muscolare e i meccanismi neurologici di controllo. Infatti, diversi specialisti, tra cui odontoiatri, ortopedici, ortodontisti, otorinolaringoiatri, fisiatri, neurologi si sono ritrovati a studiare, dal loro punto di vista, i complessi rapporti esistenti tra l'apparato stomatognatico e il resto dell'organismo, facendo ricorso esclusivo alle proprie conoscenze mediche pregresse, preso atto della mancanza di protocolli terapeutici o indicazioni univoche da parte delle istituzioni e/o della medicina ufficiale;
   in Italia i professionisti implicati e, dunque, consultati nel controllo e nella cura dell'apparato masticatorio sono prevalentemente gli odontoiatri, più di recente, gli gnatologi; in presenza dei sintomi acuti sopra descritti, il loro approccio «terapeutico» (se così può essere definito, atteso che non esiste una terapia che curi questa «condizione umana») prevede essenzialmente l'utilizzo di farmaci antinfiammatori e miorilassanti per alcuni giorni, cui si accompagna la valutazione dell'utilizzo di un dispositivo mobile da interporre tra le arcate dentali tipo bite-plane, allo scopo di ripristinare l'equilibrio occlusale e, conseguentemente, di tutto il corpo;
   è opportuno evidenziare, però, che quelli dell'articolazione temporo-mandibolare si caratterizzano come i classici disturbi di confine poiché generalmente essi non si presentano con una sintomatologia evidente: ciò che si verifica pressoché nella maggioranza dei casi, infatti, è che i pazienti che accusano uno o più sintomi si rivolgono per una valutazione, appunto, del sintomo e dei più sintomi accusati, ad un numero variabile di specialisti quali, solo per citarne alcuni, i dentisti, gli odontoiatri, gli gnatologi, gli otorinolaringoiatri, i neurologi, gli ortopedici-fisiatri o lo stesso medico generico, con il risultato pressoché ordinario, dato il quadro sintomatologico spesso di difficile interpretazione diagnostica, di analisi molto costose dall'interpretazione opinabile e/o di prescrizioni di lunghi, inutili o, peggio ancora, errati e potenzialmente dannosi, trattamenti sintomatici, anche a base di psicofarmaci; ciò al netto di una descritta vasta sintomatologia che rende altamente complessa, e non senza ripercussioni per la salute del paziente, l'attività di diagnosi da parte del medico specialista che, nella quasi totalità dei casi, non riconduce la stessa sintomatologia ad una disfunzione dell'articolazione temporo-mandibolare, se non in ultima istanza;
   è evidente che le disfunzioni temporo mandibolari versano ancora nell'incertezza più totale dal punto di vista medico e ciò emerge chiaramente nella recente letteratura scientifica: l'Announcement of New Science Information Statement on TMDS, approvato nel marzo del 2010 dall’American Association for Dental Research (AADR), dal titolo «Management of Patients with TMDs: A New «Standard of Care», evidenzia sostanzialmente che ancora non sono state trovate terapie efficaci; la European Academy of Craniomandibular Disorders con le sue «Recommendations for examinations, diagnosis, management of patients with temporomandibular disorders ad orofacial pain by the general dental practitioner», in particolare nel paragrafo relativo alle terapie praticabili, afferma che non è possibile trovare una terapia basata sull'eziologia poiché questa non è ancora ben conosciuta; viene altresì evidenziato che solamente pochissimi studi hanno approfondito i risultati terapeutici dovuti a una sola terapia occlusale. In entrambi gli studi citati, in conclusione, si afferma che non vi sono certezze al riguardo, ma, soprattutto, che non si possiedono basi scientifiche certe e che le terapie risultano efficaci o meno variabilmente a seconda del paziente;
   nelle raccomandazioni del Ministero della salute in odontostomatologia del 2014, alla pagina 155, si legge: «Nonostante i fattori eziologici dei vari disordini temporomandibolari non siano ancora completamente chiariti, non vi sono correnti evidenze che malocclusioni, perdita di denti, interferenze occlusali causino in maniera diretta disordini temporomandibolari». Vi si legge subito dopo circa le terapie praticabili: «dispositivi intraorali (placche occlusali: non esiste un disegno di placca che si sia dimostrato chiaramente superiore ad altri; è sempre consigliabile una costruzione individuale accompagnata da istruzioni personalizzate e seguita da attento monitoraggio)». A pagina 216 , poi, con riferimento alle «problematiche verticali» viene solo timidamente asserito che «Ancora discusso è il ruolo del deep bite nella patogenesi dei disordini cranio-mandibolari»;
   anche le linee guida emanate dal Ministero della salute in materia (quaderno della salute n. 7 Gen-Feb 2011) presentano confusione nei dati in questo campo. Alla pagina 81, infatti, a giudizio degli interroganti in contraddizione con quanto apoditticamente prescritto nelle pagine precedenti, si legge: «Nei pazienti con disordini posturali, in base ai dati forniti dalla letteratura, non è possibile l'attuazione di terapia odontoiatriche volte alla correzione degli stessi. Allo stato attuale mancano ancora prove scientifiche certe e, quindi, le relative evidenze che dimostrino la natura delle relazioni tra occlusione, disfunzioni temporo-mandibolari e postura. È comunque il caso di segnalare che, nell'evidenza clinica, vi sono riscontri di pazienti con sintomatologie riferibili a disordini posturali che hanno confermato il miglioramento della sintomatologia successivamente al riequilibrio occlusale. La spiegazione di tali eventi è tuttora nel campo delle ipotesi e nessun dato scientifico ne è a supporto»;
   è una circostanza paradossale che, nonostante l'altissima incidenza di questa «condizione» nella popolazione e i fortissimi disagi che essa provoca, l'assistenza odontoiatrica pubblica nell'ambito di tale patologia risulti del tutto carente; ciò può ritenersi in parte frutto dell'applicazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 novembre 2001, il quale stabilisce che le cure odontoiatriche pubbliche siano rivolte soltanto ad alcune categorie di persone, mentre per tutte le restanti non resta altra soluzione che rivolgersi ai liberi professionisti privati;
   con particolare riferimento, poi, alla locuzione del disordine cranio-cervico-mandibolare (DCCM), spesso distintamente utilizzata nella letteratura scientifica, si constata che ancora oggi essa non risulta presente nell'elenco delle patologie croniche riconosciute dal Ministero della salute; tale circostanza alimenta ancor più il dubbio che le istituzioni non abbiano ancora provveduto a classificare nettamente la «condizione» come una patologia propriamente detta;
   dal 2002, con l'introduzione dei Lea (livelli essenziali di assistenza) le cure odontoiatriche sono a carico della regione, che ha l'obbligo di garantire la prevenzione (per la fascia d'età 0-14) e di assistere i malati gravi. Nessun tipo di assistenza, servizio o professionalità è però prevista per i pazienti affetti da disordine cranio-cervico-mandibolare, nonostante sul sistema sanitario regionale siano intervenuti prima il Ministero della salute e poi  una Commissione parlamentare d'inchiesta (presieduta dall'attuale sindaco di Roma, Ignazio Marino) che hanno stabilito come invece la sanità pubblica deve (o dovrebbe) garantire l'accesso alle cure;
   la comunità scientifica sembra dunque non essere ancora giunta a creare un protocollo terapeutico definitivo per il contrasto specifico del disordine cranio-cervico-mandibolare, pertanto non esisterebbe ancora una vera e propria cura, così come la gnatologia non ha approfondito del tutto i nessi causali tra la disfunzione e l'ampio spettro di sintomi che causa –:
   se intenda illustrare quale sia lo stato dell'arte nei riconoscimenti scientifici ufficiali per patologie complesse come la sindrome algico disfunzionale e, più in generale, per la disfunzione cranio cervico mandibolare, quali siano le relative cure e terapie fornite dal servizio sanitario nazionale e quale sia lo stato attuale della ricerca;
   se esista una definizione ufficiale di disordine cranio-cervico-mandibolare, se essa sia classificata come «patologia umana» e, in tal caso, come venga effettuata la diagnosi e perché risulti ancora dunque così difficile per dentisti e gnatologi procedere ad una diagnosi certa nonché, soprattutto, documentata di tale patologia, e perché non esistano atti ufficiali del Ministero che ne forniscono una definizione univoca;
   se esista una distinzione chiara tra disordine cranio-cervico-mandibolare, disturbi dell'articolazione temporo-mandibolare, sindrome algico-disfunzionale, tutte definizioni, queste, che sembrano riferirsi alla stessa patologia ma che rivelano le grandi controversie in materia esistenti tuttora in questo campo;
   se sia mai stata condotta una specifica sperimentazione scientifica;
   se esistano, e quali siano, le terapie ufficialmente riconosciute che hanno portato a risultati sicuri, quindi sperimentati;
   se non si ritenga di dover avviare una ricerca mirata in questo campo vista la quasi totale mancanza nella letteratura scientifica, anche internazionale, della stessa definizione di disordine cranio-cervico-mandibolare, di cure e terapie, dal momento che «disordini dell'articolazione temporo-mandibolare» si dimostra essere una definizione troppo generica, considerato che non si è certi della correlazione tra sintomi e patologia;
   se la problematica sia almeno oggetto di ricerca degli Istituti di ricerca e cura a carattere scientifico o, in caso contrario, se intenda includerla urgentemente visto che la percentuale della popolazione colpita da questi disturbi ammonta a circa il 70-80 per cento della popolazione di cui il 35 per cento sintomatici, spesso invalidanti;
   se sia a conoscenza del fatto che spesso le persone affette da disordine cranio-cervico-mandibolare, non riuscendo a reperire uno specialista che diagnostichi chiaramente tale patologia e, non potendo, nei casi più gravi, svolgere gli atti quotidiani della vita, si ritrovano oltretutto nell'impossibilità di richiedere il riconoscimento dell'invalidità civile, e cosa intenda fare al riguardo;
   se sia stata condotta una ricognizione dei pazienti che in Italia soffrono di questi disturbi e che risultano tuttora senza cura, a fronte del fatto che nei casi di disordine cranio-cervico-mandibolare il servizio sanitario nazionale non fornisce alcuna assistenza odontoiatrica, non risultando essa nemmeno compresa nei Lea, e se non ritenga opportuno avviarla al più presto, considerato il fatto che le prime cure cui gli italiani rinunciano in periodi di crisi sono proprio quelle dentistiche, perché più costose;
   se sia a conoscenza del fatto che molti pazienti, come accennato in premessa, spesso dopo lunghi e inutili esami e accertamenti che abbracciano numerose discipline, vengono addirittura curati attraverso la prescrizione di psicofarmaci;
   se non ritenga doveroso e urgente assumere iniziative per disporre a carico dei professionisti sanitari che offrono le proprie cure e terapie per questa patologia, un generale obbligo di informazione del paziente sul reale stato dell'arte;
   se il Ministero disponga di dati in relazione all'efficacia, ai benefici e agli eventuali effetti pregiudiziali delle terapie prescritte dagli studi odontoiatrici privati contro tali disturbi, e se intenda promuovere iniziative al fine di verificare se i pazienti in cura traggano effettivamente benefici o se, al contrario, vengano ulteriormente danneggiati, come molti purtroppo lamentano;
   a che titolo gli odontoiatri forniscono cure, terapie e dispositivi ortotici se il Ministero stesso non ha riconosciuto alcuna terapia ufficiale;
   se sia consapevole del fatto che il mancato riconoscimento di una terapia ufficiale consente agli specialisti di fare delle vere e proprie sperimentazioni sui pazienti tramite l'uso di bite e ortotici costruiti solo sulla base di conoscenze ed esperienza personali del medico, senza nessuna evidenza scientifica al riguardo e, spesso, senza informarne il paziente;
   se abbia contezza delle numerose segnalazioni, inoltrate in questi anni, dei cittadini che denunciano questa problematica, se abbia già risposto loro, e come si sia eventualmente attivato per farvi fronte;
   come venga realmente inquadrata la branca della gnatologia che, non essendo una disciplina medica a tutti gli effetti, non prevede nemmeno una scuola di specializzazione pubblica in Italia;
   se sia a conoscenza delle molte difficoltà che i pazienti affetti da tali disturbi incontrano nel tentativo di individuare cure o terapie adeguate alla propria condizione, tra le numerose, anche contrastanti, offerte e rese facilmente accessibili sul web da numerosi dentisti, e non per forza gnatologi, i quali omettono spesso di avvisare e informare esplicitamente gli utenti del fatto che ad oggi non esiste ancora alcuna terapia scientificamente riconosciuta, e cosa intenda fare al riguardo;
   se il problema sia oggetto di studio del gruppo tecnico sull'odontoiatria, da poco rinnovato dallo stesso Ministero, o se, in caso contrario, non ritenga doveroso sottoporlo a tale gruppo al più presto;
   se non sia il caso di prendere urgentemente in considerazione l'avvio di una ricerca ad hoc sul campo coinvolgendo, oltre le diverse figure professionali interessate, data la interdisciplinarità della problematica, che investe gnatologi, posturologi, osteopati, odontoiatri, fisioterapisti, farmacologi, ricercatori, anche esperti di branche scientifiche complementari qual è, ad esempio, l'ingegneria biomedica, o discipline affini che possano comunque integrare e ausiliare la ricerca nella individuazione esatta delle cause e, quindi, di una cura specifica, nonché pazienti con anni di esperienza alle spalle, che possano fornire la propria testimonianza. (3-00830)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COLLETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il reparto di neurochirurgia dell'Ospedale civile di Pescara dispone di un'unica sala operatoria;
   nel luglio del 2013, all'esito di un'ispezione effettuata dal Nucleo antisofisticazioni e sanità (NAS), il coordinatore dei presidi ospedalieri della ASL di Pescara ha disposto la chiusura di tale sala operatoria in quanto non conforme alle norme vigenti in materia igienico-sanitaria;
   la procura della Repubblica di Pescara ha avviato un'indagine penale in seguito all'elevato numero di decessi ed infezioni contratte sul sito chirurgico in questione;
   risulta infatti che all'interno del reparto di neurochirurgia non vengano rispettate le elementari regole di condotta volte a prevenire l'insorgere di infezioni. Ad esempio, non viene osservato l'orario di visita e spesso viene lasciata aperta la porta di accesso al reparto. Non vi sono disposizioni sulla disinfezione né sono presenti stanze post-operatorie;
   risulta altresì che il responsabile del reparto abbia omesso la comunicazione di alcuni casi di infezioni avvenute nel sito chirurgico, contravvenendo a quanto disposto dalla delibera ASL n. 675 del 25 giugno 2012;
   il 17 febbraio 2014 l'interrogante ha già presentato una interrogazione a risposta in Commissione sulla vicenda;
   risulta all'interrogante che il Ministro abbia incaricato l'Agenzia sanitaria regionale di effettuare l'ispezione richiesta;
   a quanto consta all'interrogante l'Agenzia avrebbe delegato della ispezione un dirigente responsabile della medicina del lavoro della asl di Pescara e un dirigente responsabile dell'igiene ambientale;
   appare particolare, ove ciò fosse confermato, delegare dell'ispezione gli stessi dipendenti della asl di Pescara che potrebbero, in teoria, subire dei condizionamenti indiretti ed ambientali –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei gravi fatti esposti in premessa e se trovi conferma che l'ispezione avviata sia stata delegata all'Agenzia sanitaria regionale e che quest'ultima abbia delegato due dirigenti della stessa asl di Pescara;
   se l'ispezione riguardi anche la verifica del registro degli interventi di sterilizzazione e sanificazione effettuati nelle sale operatorie chiuse dove si presume sia partita la causa delle infezioni ripetute, nonché le verifiche della direzione sanitaria ed i riscontri della stessa direzione sanitaria sull'ambiente delle sale operatorie con le colture ed i tamponi per l'accertamento del mantenimento della carica batterica;
   se il Ministro possa comunicare le tempistiche per la chiusura di detta ispezione, considerato che la vicenda pare aver provocato la morte di 8 persone e l'infezione di altre 14 persone. (5-02833)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FAMIGLIETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nelle scorse settimane a Flumeri, in provincia di Avellino, Terna spa ha avviato i lavori per la realizzazione di un progetto di sistema di accumulo non convenzionale, che avrà una potenza di 12 megawatt e verrà utilizzato per immagazzinare energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili nel centro-sud;
   la natura sperimentale del progetto e la finora mancata informazione sullo stesso circa i possibili impatti sulla salute dei cittadini, nonché sull'ambiente e su di un territorio come quello di Flumeri, a vocazione agricola, suscita non poche preoccupazioni presso la comunità locale;
   risulterebbe inoltre, sulla base di quanto riportato anche a mezzo stampa da parte degli organi di informazione locale, che il 22 aprile 2014 durante i lavori portati avanti da Terna, sia stato rinvenuto materiale sospetto, si parla di amianto, nell'area del cantiere con conseguente grave allarme della popolazione e delle amministrazioni locali –:
   se innanzitutto siano state espletate regolarmente tutte le procedure autorizzative per il progetto in particolar modo quelle concernenti la sicurezza e la salute dei cittadini se vi siano evidenze circa gli effetti dell'impianto sull'ambiente, sulla salute e sulla sicurezza della popolazione, segnatamente di quella prossima all'opera, e quali misure e controlli siano e saranno posti in essere a loro tutela;
   se trovi conferma la notizia secondo cui nell'area sia stato rinvenuto dell'amianto, quali rischi per la salute dei cittadini e le produzioni agricole presenti nelle vicinanze ne derivano, e quali misure intenda adottare Terna Spa per garantire la massima sicurezza per la salute dei cittadini e per la tutela dell'ambiente nell'area impegnata dal progetto e conseguentemente quali misure si intenda porre in essere per la bonifica e la messa in sicurezza del territorio in questione.
(5-02830)

Interrogazione a risposta scritta:


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, SEGONI, TERZONI, ZOLEZZI e MICILLO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito dell'inchiesta sulla corruzione che ha colpito l'Expo 2015 la procura di Milano ha aperto un filone diretto verso gli appalti della SOGIN spa, la società costituita il 19 novembre 1999 in ottemperanza al decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 con il compito di disattivare e smantellare (decommissioning) gli impianti nucleari dismessi e gestire i rifiuti radioattivi, a seguito dell'esito dei referendum abrogativi del 1987;
   il 21 dicembre 2012, la cordata Maltauro-Saipem si è aggiudicata l'appalto bandito da Sogin per la realizzazione dell'impianto di condizionamento per cementazione delle soluzioni liquide radioattive (Cemex) del sito Eurex di Saluggia. La Maltauro, si aggiudicò l'affare grazie a un ribasso enorme, 98 milioni invece dei 135 iniziali, e secondo i pubblici ministeri milanesi anche questo incarico sarebbe stato assegnato in seguito all'intervento di persone ora finite in carcere per la vicenda Expo;
   Saluggia è un paese del Vercellese, dove, in un laboratorio costruito in un'ansa del fiume Dora, erano conservate parte delle barre d'uranio della vicina ex centrale di Trino Vercellese. Il combustibile è stato spostato nel 2008 nel vicino «Deposito Avogradro» di proprietà FIAT, ove ad oggi sono ancora custoditi all'interno della sua piscina, 63 elementi MOX irraggiati provenienti dalla centrale del Garigliano e 1 solo elemento irraggiato di Trino Vercellese. Grosse quantità di quei combustibili radioattivi sono stati già spediti in Francia e Gran Bretagna per essere trattati prima di ritornare in Italia;
   ma il problema più grave del centro di Saluggia sono i rifiuti radioattivi liquidi dell'impianto EUREX costruito dall'ENEA negli anni sessanta per condurre esperienze di ritrattamento a partire da combustibili irraggiati di tipologia diversa e utilizzando schemi chimici differenti. Tali rifiuti sono stoccati da ormai oltre 40 anni nei serbatoi dell'impianto EUREX di Saluggia e costituiscono, nell'ambito dei rifiuti radioattivi e a parte il combustibile irraggiato, l'inventario di radioattività più cospicuo dell'intero territorio nazionale. In particolare si tratta di elementi di combustibile provenienti da reattori MTR e CANDU sciolti in acido nitrico per un volume complessivo di circa 230 metri cubi, con un'attività complessiva di circa 5,5 1015 Bq. È significativa la presenza di radionuclidi transuranici a lunga vita emittenti alfa, con concentrazioni che arrivano fino ad un valore massimo di circa 2106 Bq/g;
   al fine di mettere in condizioni di sicurezza tali liquidi radioattivi è necessario provvedere alla loro solidificazione, come risulta da apposita prescrizione ministeriale emessa in primo luogo nel 1977 (insieme con la licenza di esercizio dell'impianto EUREX), che fissava il termine di tale operazione entro 5 anni (cioè entro il 1982). Tale scadenza, nel corso degli anni, e per motivazioni varie, è stata più volte prorogata;
   nel 2000, in seguito a una piena della Dora (l'impianto si trova in un avvallamento del terreno) il fiume arrivò a sfiorare i serbatoi. Il premio Nobel per la fisica Carlo Rubbia lanciò l'allarme per lo stato di conservazione delle scorie: disse che pochi centimetri di piena in più avrebbero provocato il travaso radioattivo nella Dora, con la conseguente contaminazione del fiume stesso, del Po di cui è affluente e di parte dell'Adriatico dove il Po sfocia;
   in seguito a quest'evento venne emanato il decreto del Ministero delle attività produttive del 7 dicembre 2000, che fissava come termine ultimo per la solidificazione dei rifiuti liquidi di EUREX la data del 31 dicembre 2005;
   nell'Agosto 2003 la licenza di esercizio dell'impianto è stata trasferita da ENEA a SOGIN, che, a conclusione di una valutazione comparativa delle possibili alternative di gestione dei rifiuti liquidi, decise di non portare avanti il sistema di solidificazione per vetrificazione progettato dall'ENEA (progetto «CORA»), attribuendo alle complessità delle scelte progettuali gli oltre 20 anni di ritardo accumulati per la messa in sicurezza di questi rifiuti. Nel 2005, l'allora commissario delegato per l'emergenza nucleare fece partire il progetto «CEMEX» per la solidificazione di questi rifiuti mediante cementazione; una tecnologia sicuramente meno raffinate, ma che sembrava potesse garantire tempi di realizzazione più veloci;
   parecchi anni dopo, (nel 2010), la Sogin, allora guidata dall'amministratore Giuseppe Nucci (ora indagato) si decise ad aprire una gara d'appalto per la cementificazione delle scorie liquide, il progetto Cemex;
   la gara, bandita in un primo tempo per 145 milioni e per la quale si era presentata Ansaldo Energia, società statale specializzata in impianti nucleari all'estero, venne annullata in «autotutela» da Sogin nel 2011. Il nuovo appalto scese a 135 milioni, esperito con urgenza (scadenza il 5 maggio, meno di due mesi dopo) e vinto da Maltauro e Saipem con un ribasso enorme, che portò il costo per la Sogin a soli 98 milioni contro i 145 della prima asta, poi cancellata;
   nel presentare il nuovo bando la Sogin ammetteva anche società che avessero eseguito progetti nel campo nucleare o equivalenti (esempio petrolchimico e altro);
   il progetto «CEMEX», nonostante sia ad oggi ritenuto da SOGIN uno dei progetti strategici di punta per i quali, nel corso della recente riorganizzazione aziendale condotta dal nuovo vertice, nell'ambito della «Divisione Waste Management e Decommissioning» è stata addirittura istituita una apposita unità di coordinamento, chiamata appunto «Progetti Strategici», registra ad oggi un notevole ritardo;
   si fa presente che non ci si trova di fronte a un appalto normale come quello per la costruzione di un edificio, ma a un appalto per la realizzazione di un impianto per la messa in sicurezza della situazione più pericolosa negli impianti nucleari esistenti oggi in Italia. Il solo sospetto che, l'appalto possa essere stato assegnato a seguito di malversazioni criminose, deve fare scattare immediatamente una serie di verifiche a tutela innanzitutto della salvaguardia dell'ambiente e della salute dei cittadini, nonché per la verifica del corretto utilizzo dei fondi pubblici;
   è poi una cosa estremamente grave che ciò sia potuto avvenire nel settore nucleare dove dovrebbero esserci sia controlli amministrativi, che controlli tecnici indipendenti e autorevoli che sarebbero dovuti intervenire al primo sentore di qualche anomalia. E qui di anomalie amministrative ce ne sono perché un numero impressionante di gare, durante la gestione Nucci, è stato annullato in «autotutela». Ci sono inoltre anomalie tecniche come l'affidamento di costruzione di un impianto nucleare a imprese di altri settori e risulta strano che l'autorità di controllo non abbia richiesto spiegazioni;
   oggi i cittadini di Saluggia e di Trino, ma anche quelli a loro prossimi e quelli degli oltre cento comuni che bevono l'acqua prelevata appena a valle degli impianti nucleari, hanno il sacrosanto diritto di pretendere che venga affidato anche a loro stessi il compito di vigilare sui pericoli del nucleare e sulle sospette omissioni e furberie degli esercenti, attraverso l'istituzione di un apposito «Osservatorio dei Cittadini sul Nucleare»;
   è pensiero dell'interrogante, in sintonia con le istanze giustamente preoccupate del territorio che sia il caso di istituire uno specifico Osservatorio per il nucleare nel Vercellese, che è di gran lunga (dati ufficiali alla mano) la zona più nuclearizzata d'Italia: cosa ben diversa rispetto all'Osservatorio che Sogin ha annunciato a livello nazionale e che dovrà occuparsi di come e dove realizzare il deposito nazionale –:
   se il Ministro non ritenga opportuno verificare la reale capacità e professionalità della cordata Maltauro-Saipem incaricate di effettuare i lavori per il Cemex di Saluggia al fine di garantire un corretto avanzamento delle attività di Sogin, nonché, la salvaguardia dell'ambiente e della salute dei cittadini;
   in particolare se si corra il rischio di un aumento dei tempi e dei costi e se, addirittura, vi siano rischi concreti per l'ambiente e la popolazione se l'impianto non venisse realizzato a regola d'arte;
   se intenda verificare l'adeguatezza delle procedure di controllo messe in atto dall'ente di controllo tecnico (ISPRA), cosa particolarmente importante oggi, perché si sta provvedendo all'istituzione della nuova autorità di controllo (ISIN) e l'individuazione di eventuali carenze è fondamentale;
   quale sia il piano di lavoro della cordata Maltauro-Saipem, o meglio, il cronoprogramma relativo alla specifica gara di appalto riguardante il CEMEX, con quali tempistiche sia prevista la chiusura dei lavori e a quale punto si trovino oggi i lavori;
   se intenda verificare il comportamento degli organismi di controllo amministrativi e per quali ragioni non abbiamo mosso rilievi o assunto iniziative a fronte del grande numero di appalti annullati in autotutela;
   se il Ministro non ritenga opportuno intervenire a livello normativo per istituire un vero e proprio Osservatorio per il nucleare nel vercellese che dia modo alla cittadinanza (ed a specifiche organizzazioni territoriali) di controllare e verificare lo stato dei lavori ed il livello di sicurezza dell'ambiente e della salute. (4-04836)

Apposizione di firme a interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in commissione Catalano n. 5-01359, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 31 ottobre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Labriola;

  L'interrogazione a risposta in commissione Catalano e altri n. 5-01787, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 dicembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Labriola;

  L'interrogazione a risposta in commissione Catalano e altri n. 5-01907, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 gennaio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Labriola;

  L'interrogazione a risposta in commissione Catalano 5-02289, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 marzo 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Labriola.

Cambio di presentatore di interrogazione a risposta immediata in Commissione.

  Interrogazione a risposta immediata in Commissione n. 5-02812, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 maggio 2014, è da intendersi presentata dall'onorevole Gelmini, già cofirmatario della stessa.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore:
   interpellanza urgente Giorgetti Giancarlo n. 2-00540 del 13 maggio 2014.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta in commissione Scuvera e Braga n. 5-02813 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 228 del 14 maggio 2014.
  Alla pagina 12992, prima colonna, dalla riga trentaquattresima alla riga trentacinquesima deve leggersi: «realizzazione degli interventi di mitigazione e compensazione ambientale e se intenda» e non «realizzazione degli interventi di istigazione e compensazione ambientale e si intenda», come stampato.