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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 29 aprile 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni VI e VIII,
   premesso che:
    il 28 aprile 2014 è stata la giornata mondiale dedicata alle vittime dell'amianto, e nonostante la legge 27 marzo 1992, n. 257, lo abbia messo al bando vietandone l'estrazione, l'importazione ed il commercio, poco si è realmente fatto per la rimozione dell'amianto attraverso le bonifiche dei manufatti e dei siti civili ed industriali;
    infatti nel nostro Paese ancora oggi ad oltre vent'anni di distanza, l'emergenza sanitaria correlata è alta: la fibra killer continua a mietere vittime al ritmo di 2.000 l'anno e secondo autorevoli studi scientifici ed epidemiologici nei prossimi decenni, stante il lungo periodo di latenza della malattia, che può insorgere anche dopo i 30-40 anni dalla prima esposizione, si avrà un ulteriore incremento dei decessi che raggiungerà l'apice tra il 2015 e il 2025;
    i principali soggetti a rischio, e potenziali vittime dell'asbesto, sono i cosiddetti ex lavoratori, coloro cioè che sono stati a contatto con le fibre nell'attività estrattiva con l'amianto grezzo, nella produzione di manufatti, nella manutenzione degli impianti e nel settore edile. Ma ancora oggi, molti lavoratori continuano ad essere ad elevato rischio, laddove – disattendendo le previste norme di prevenzione – si opera nella filiera delle bonifiche e dello smaltimento dell'amianto. Va peraltro evidenziato anche l'alto pericolo costituito dalla dispersione nell'ambiente delle fibre di amianto che espongono a rischi di natura non professionale. L'asbesto, infatti, è stato e continua ad essere un fattore di rischio oltre che per i lavoratori anche per i loro familiari costretti ad inalare le sue particelle trattenute dagli abiti da lavoro. Questi ultimi, secondo il registro nazionale italiano dei mesoteliomi (ReNaM), costituiscono oltre l'8 per cento del totale di persone risultato esposto sia per motivi ambientali (come il luogo di residenza), che per motivi familiari (come la convivenza con familiari professionalmente esposti);
    la presenza di questo materiale altamente nocivo, che nel nostro Paese aveva trovato fino al 1992 larghissimo impiego in moltissimi settori civili, in particolare nell'edilizia, industriali e militari, distribuita in percentuali più o meno simili sull'intero territorio nazionale, si continua a rinvenire anche manufatti ancora in opera, soprattutto in grandi impianti a servizio di processi produttivi, su navi e traghetti, oltre che negli ambienti di vita pubblica, come le scuole, gli ospedali e gli altri edifici aperti al pubblico;
    secondo una stima in difetto dell'Osservatorio nazionale amianto che fotografa la situazione drammatica in cui versano gli istituti scolastici, l'amianto sarebbe presente ancora in oltre 2.400 scuole italiane e sarebbero oltre 30 mila, tra ragazzi, docenti, bidelli ed amministrativi, le persone esposte al rischio di sviluppare una patologia incurabile mediata dall'asbesto;
    i suddetti rischi legati all'elevata presenza di materiali contaminati su tutto il territorio nazionale sono amplificati dal clamoroso ritardo degli interventi di risanamento e bonifica dei siti e delle strutture in cui è presente la fibra killer, ritardo a cui hanno senza dubbio contribuito, da una parte, gli elevati costi dello smaltimento e la quasi totale assenza di discariche sul territorio nazionale, che riesce a smaltire il solo il 40 per cento del materiale rimosso mentre il restante 60 per cento viene smaltito all'estero, e dall'altra il mancato avvio dei processi di inertizzazione, fatta eccezione per piccole pratiche sperimentali condotte nella regione Sardegna;
    tuttavia, anche siti come le discariche nei quali il rischio di dispersione dovrebbe essere pari a zero, si rivelano essere pericolose sorgenti di emissione: i pacchi danneggiati e frantumati possono infatti rilasciare fibre che si concentrano nell'aerodisperso. Le stesse fibre poi, a seguito della distruzione meccanica e del dilavamento, si possono disperdere nelle falde acquifere con rilevanti conseguenze sulla salubrità delle stesse;
    anche gli interventi di bonifica nelle scuole vanno a rilento, anche a causa delle esigue risorse su cui possono contare gli enti locali;
    nonostante il decreto ministeriale 18 marzo 2003, n. 101, emanato in attuazione dell'articolo 20, comma 2, della legge 23 marzo 2001, n. 93 («Censimento dell'amianto e interventi di bonifica»), perseguisse l'obiettivo della mappatura completa della presenza di amianto sul territorio, nonché dell'individuazione dei siti di discarica o delle modalità di trattamento del materiale rimosso, ancora oggi, a distanza di oltre tredici anni, per alcune regioni italiane non si conoscono i relativi dati; pertanto, solo alcune di esse hanno individuato precisi obiettivi per l'eliminazione e lo smaltimento dell'asbesto dal proprio territorio;
    il CNR ha valutato in circa 32 milioni le tonnellate di cemento-amianto da bonificare in relazione a 2,5 miliardi di metri quadri di coperture in cemento-amianto presenti sul territorio nazionale. Grandi quantità di amianto che si presentano in diverse forme: dalle coperture di edifici pubblici e privati, canne fumarie, cisterne per l'acqua, tubazioni e condutture, ma anche in componenti che entrano in processi produttivi. Senza contare alcuni milioni di tonnellate di amianto filabile che tutt'oggi continuano a inquinare il territorio nazionale;
    nonostante il piano nazionale amianto (PNA), definito nella Conferenza governativa di Venezia (novembre 2012), che elenca una serie di obiettivi suddivisi tra cui tutela della salute, tutela dell'ambiente, aspetti di sicurezza del lavoro e previdenziali, sia stato varato dal Governo Monti nel marzo 2013, dopo più di un anno, deve ancora passare al vaglio della Conferenza Stato-regioni;
    è ormai improcrastinabile avviare la realizzazione del citato piano nazionale amianto e provvedere al relativo finanziamento delineando un adeguato programma di interventi finalizzati a sviluppare: adeguata sorveglianza sanitaria, puntuali censimenti regionali, bonifiche delle aree contaminate ed adeguate misure di accesso e di trattamento previdenziale agevolato, per tutte le categorie di lavoratori, che comunque per motivi legati all'attività lavorativa sono direttamente esposti all'amianto;
    secondo il piano nazionale amianto pubblicato nel marzo 2014 dal Ministero della salute, in funzione dei finanziamenti disponibili, tra i circa 380 siti in classe di rischio 1 devono essere individuati quelli caratterizzati da più diffusa rilevanza sociale ed ambientale, come ad esempio scuole, caserme ed ospedali in contesto urbano. Sempre secondo lo stesso piano, per gli interventi di messa in sicurezza di emergenza si può stimare un fabbisogno immediato di alcune decine di milioni di euro;
    è necessario coinvolgere il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per mettere in atto e completare nell'arco temporale di tre-cinque anni, in modo omogeneo a livello nazionale, i necessari interventi di bonifica degli edifici scolastici, garantendo la prevenzione nei confronti della popolazione più giovane;
    la legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria 2008), aveva istituito il «Fondo nazionale per il risanamento degli edifici pubblici» con uno stanziamento di 5 milioni di euro per il 2008, per finanziarie gli interventi diretti ad eliminare i rischi per la salute pubblica derivanti dalla presenza di amianto negli edifici pubblici, dando priorità alla messa in sicurezza degli edifici scolastici ed universitari, delle strutture ospedaliere, delle caserme, degli uffici aperti al pubblico. Detto fondo, istituito dal Governo Prodi, in realtà non è mai stato reso operativo in quanto i 5 milioni di euro che aveva in dotazione, sono stati azzerati dall'ultimo Governo Berlusconi, con il decreto-legge n. 93 del 2008;
    il reperimento delle risorse finanziarie può essere coadiuvato anche da interventi di defiscalizzazione delle attività di bonifica, come ad esempio la sostituzione delle coperture con pannelli fotovoltaici, oppure dalla previsione della esclusione delle spese destinate alla bonifica dell'amianto dal saldo finanziario del «patto di stabilità»;
    la legge n. 147 del 2013, meglio nota come legge di stabilità 2014 ha concesso una nuova proroga, a tutto il 2014, del beneficio della detrazione fiscale del 50 per cento delle spese per interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici, compresi gli interventi di bonifica degli stessi da materiali nocivi come l'amianto;
    l'articolo 15 del decreto-legge n. 63 del 2013 contiene la previsione della definizione di misure ed incentivi selettivi di carattere strutturale finalizzati a favorire la realizzazione di interventi per il miglioramento, l'adeguamento antisismico, la messa in sicurezza degli edifici esistenti, nonché di interventi per promuovere la sostituzione delle coperture dell'amianto negli edifici,

impegnano il Governo:

   ad approvare definitivamente il piano nazionale amianto, prevedendo i finanziamenti necessari alla sua completa attuazione;
   ad attivarsi, per quanto di competenza e in accordo con le regioni, affinché entro un anno sia concluso il programma dettagliato di censimento, bonifica e smaltimento dei materiali contaminati, anche tramite i piani regionali amianto;
   ad assumere iniziative per incrementare le risorse assegnate al fondo per le vittime dell'amianto, istituito dalla legge finanziaria per il 2008, e rivedere l'attuale normativa pensionistica, per garantire benefici, oltre che ai lavoratori colpiti da patologie asbesto-correlate, anche a coloro che per motivi di servizio sono esposti direttamente all'agente patogeno;
   ad assumere iniziative per escludere dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno le spese per gli interventi di messa in sicurezza e bonifica dell'amianto;
   ad attivarsi in sede europea affinché vengano scorporati, dai saldi di finanza pubblica relativi al rispetto del patto di stabilità e crescita, le risorse stanziate per gli interventi di messa in sicurezza e bonifica dell'amianto;
   ad ottemperare al più presto a quanto stabilito dall'articolo 15 del decreto-legge n. 63 del 2013, assumendo iniziative per definire disposizioni di carattere strutturale al fine di stabilizzare il regime delle detrazioni fiscali attualmente previste per gli interventi di bonifica dei manufatti contenenti amianto dagli edifici, anche valutando l'opportunità di incrementarne le vigenti percentuali di detraibilità;
   ad assumere iniziative per finanziare adeguatamente il Fondo nazionale per il risanamento degli edifici pubblici, istituito dalla legge finanziaria per il 2008, e mai reso operativo per mancanza di risorse, dando priorità alla messa in sicurezza e bonifica degli edifici scolastici ed universitari, delle strutture ospedaliere, delle caserme, degli uffici aperti al pubblico;
   a procedere senza ulteriori rinvii ad assumere tutte le iniziative, anche normative, per la completa bonifica dall'amianto nelle scuole italiane, recuperando in tempi rapidi le risorse già stanziate ed i fondi europei già destinati, ed escludendo, ai fini del computo del saldo finanziario rilevante per la verifica del rispetto del patto di stabilità interno di cui agli articoli 31 e 32 della legge 12 novembre 2011, n. 183, le spese in conto capitale effettuate da regioni ed enti locali mediante utilizzo delle risorse proprie e delle risorse provenienti dallo Stato, necessarie per la realizzazione di opere immediatamente cantierabili finalizzate alla messa in sicurezza ed alla bonifica dell'amianto negli edifici scolastici.
(7-00354) «Lavagno, Zan, Paglia, Pellegrino, Zaratti, Nicchi, Aiello, Di Salvo, Airaudo, Placido, Duranti, Piras, Piazzoni».


   La VI Commissione,
   premesso che:
    il decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, all'articolo 15, comma 4, ha stabilito che a decorrere dai 1o gennaio 2014, «i soggetti che effettuano l'attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, sono tenuti ad accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di debito»;
    il termine del 1o gennaio è stato successivamente posticipato al 30 giugno dello stesso anno, dal comma 15-bis dell'articolo 9 del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150, recante «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative», «al fine di consentire alla platea degli interessati di adeguarsi all'obbligo di dotarsi di strumenti per i pagamenti mediante carta di debito (POS)»;
    il comma 5 del medesimo articolo 15 ha poi stabilito che con uno o più decreti del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, e sentita la Banca d'Italia, fossero «disciplinati gli eventuali importi minimi, le modalità e i termini, anche in relazione ai soggetti interessati, di attuazione della disposizione di cui al comma 4»;
    in attuazione del citato comma 5, il Ministero dello sviluppo economico ha emanato il decreto ministeriale 24 gennaio 2014, recante «Definizioni e ambito di applicazione dei pagamenti mediante carte di debito» motivandolo, tra l'altro con i supposti costi derivanti alla collettività dall'uso del contante, legati alla minore tracciabilità delle operazioni e al conseguente maggior rischio di elusione della normativa fiscale e antiriciclaggio, nonché con i costi anche per gli esercenti, legati sia alla gestione del contante sia all'incremento di rischio di essere vittime di reati;
    con riferimento all'ambito di applicazione delle norme previste dal decreto ministeriale è previsto che l'obbligo di accettare i pagamenti effettuati attraverso carte di debito si applichi a «tutti i pagamenti di importo superiore a trenta euro», contestualmente limitandolo, in sede di prima applicazione e fino al 30 giugno 2014, ai pagamenti effettuati in «favore dei soggetti per lo svolgimento di attività di vendita di prodotti e prestazione di servizi il cui fatturato dell'anno precedente a quello nel corso del quale è effettuato il pagamento sia superiore a duecentomila euro»;
    in seguito all'emanazione del decreto ministeriale il Consiglio nazionale degli architetti ha annunciato la propria intenzione di voler ricorrere contro di esso in sede di Tribunale amministrativo regionale e innanzi all'Autorità garante per la concorrenza, a suo dire mai interpellata sulla vicenda, definendola una «imposizione vessatoria volta a favorire il sistema bancario» mentre non porterebbe alcun vantaggio alla comunità dei cittadini;
    nelle premesse al decreto ministeriale si legge che le categorie di operatori nei confronti delle quali trova applicazione il decreto dovranno essere individuate secondo criteri di gradualità e sostenibilità, e il medesimo decreto ministeriale, all'articolo 3, prevede che con un decreto successivo, da emanarsi entro novanta giorni, possano essere individuate nuove soglie e nuovi limiti minimi di fatturato, di fatto, come lamentato dal Consiglio nazionale degli architetti, «ponendo le premesse per riapplicarlo a tutti»,

impegna il Governo

a non assumere iniziative finalizzate ad estendere l'obbligatorietà dei pagamenti mediante carta di debito per l'acquisto di prodotti o servizi resi da soggetti con un fatturato annuo inferiore a duecentomila euro, se del caso sostituendo tale previsione con la possibilità per l'acquirente di effettuare il pagamento esclusivamente attraverso strumenti, quali bonifici o assegni, che garantiscano comunque la tracciabilità degli stessi pagamenti.
(7-00353) «Maietta, Taglialatela».


   La VI Commissione,
   premesso che:
    il 5 giugno 2012 la Commissione paritetica Stato-regione prevista dall'articolo 43 dello statuto della regione siciliana ha esitato con parere positivo un elenco di 96 immobili da trasferire dallo Stato alla regione siciliana;
    la suddetta Commissione ha trasmesso al dipartimento per gli affari regionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri la relativa documentazione per il successivo prosieguo in vista della decisione finale presso il Consiglio dei ministri in ordine al citato trasferimento;
    fra i 96 stabili si annoverano edifici monumentali di altissimo valore storico-culturale quali l'ex Castello dei Gesuiti ed il Castello a mare e l'ex Palazzo delle Finanze di Palermo, nonché il Palazzo Bellomo di Siracusa;
    il decreto legislativo di attuazione dell'articolo 32 dello statuto della regione siciliana necessario per il trasferimento dei 96 beni immobili dallo Stato alla regione non è stato ancora emanato;
    con nota del 21 maggio 2013 la ragioneria generale della regione siciliana ha sollecitato l'assessorato regionale dell'economia ad intercedere presso il Governo nazionale per velocizzare l'emanazione del suddetto decreto legislativo,

impegna il Governo:

   ad assumere le iniziative di competenza per l'emanazione del decreto di attuazione dell'articolo 32 dello statuto della regione siciliana necessario per il trasferimento dei 96 immobili inseriti nel su ricordato elenco;
   ad intraprendere tutte le iniziative utili per velocizzare l’iter di trasferimento dei beni dallo Stato alla regione siciliana.
(7-00355) «Cancelleri, Di Benedetto, Nuti, Mannino, Lupo, Di Vita, Brescia, Luigi Gallo, Vacca, D'Uva, Battelli, Marzana, Simone Valente».


   La VI Commissione,
   premesso che:
    l'edificio denominato ex palazzo delle Finanze di Palermo, immobile di carattere storico nonché di notevole, pregio architettonico e culturale, così come dichiarato ai sensi dell'articolo 10 del decreto legislativo n. 42 del 2004, è una struttura ottocentesca di notevoli dimensioni costruita sui resti delle antiche carceri della Vicaria;
    l'edificio, di proprietà del Ministero dell'economia e delle finanze ed appartenente al patrimonio indisponibile dello Stato, è chiuso da quando gli uffici dell'Intendenza furono trasferiti in altra sede e versa oggi in uno stato di abbandono pressoché totale;
    l'immobile risulta attualmente inagibile per le gravi condizioni di degrado che hanno determinato effetti anche sulla stabilità del palazzo;
    parte della cancellata storica è stata divelta o asportata, lasciando possibilità di accesso indisturbato; non a caso gli interni sono stati saccheggiati e gravemente danneggiati: oltre al «classico» furto di cavi e impianti elettrici infatti, sono stati asportati pezzi anche di notevoli dimensioni dei fregi decorativi ed è stata rubata una statua di grandi dimensioni raffigurante una Vittoria alata, opera di Antonio Ugo;
    nel mese di maggio 2013 il Nucleo tutela del patrimonio artistico della polizia municipale ha disposto il sequestro dell'edificio, mettendo l'immobile a disposizione dell'autorità giudiziaria che dovrà accertare le responsabilità dell'abbandono. Intanto, la custodia è stata affidata al dirigente dell'Agenzia del demanio;
    con nota prot. n. 49461 del 23 settembre 2010, il segretario generale della Corte dei Conti di Palermo, ha rappresentato l'esigenza di trasferire i propri uffici, attualmente dislocati in immobili condotti in locazione, negli edifici dell'ex Palazzo delle Finanze, di proprietà dello Stato;
    la direzione dell'Agenzia del demanio ha manifestato la propria disponibilità a trasferire l'immobile in questione alla regione siciliana, previo impegno finanziario, per i lavori di ripristino consolidamento e messa in sicurezza dell'ex Palazzo delle Finanze per gli usi governativi;
    con delibera n. 83 del 23 marzo 2011, la giunta regionale ha disposto di procedere all'acquisizione al patrimonio indisponibile della regione siciliana del suddetto edificio quale sito unico della magistratura contabile dando mandato alla ragioneria generale della regione per l'individuazione delle risorse finanziarie necessarie pari ad euro 20.000.000,00 per la riqualificazione dell'immobile;
    la Commissione paritetica Stato-regione ha esitato un elenco dal quale si evince che sono ben 96 gli immobili che lo Stato dovrebbe trasferire alla regione siciliana, tra i quali l'ex Palazzo delle Finanze;
    il 5 giugno 2012 la stessa ha espresso parere favorevole al trasferimento dallo Stato alla regione siciliana dell'immobile denominato ex Palazzo delle Finanze destinato a sede di tutti gli uffici della Corte dei Conti;
    l'allocazione del polo giustizia nell'ex Palazzo delle Finanze comporterebbe nel tempo il risparmio dei canoni di locazione attualmente corrisposti per un importo totale di euro 1.720.875,00 annuo;
    con decreto dell'assessorato generale dell'economia del 25 luglio 2012 è stato istituito un tavolo operativo per l'avvio delle procedure finalizzate alla progettazione, al finanziamento e all'affidamento dei lavori di ristrutturazione dell'immobile denominato ex Palazzo delle Finanze;
    l’iter di trasferimento al patrimonio della regione siciliana risulta ad oggi fermo, atteso che a seguito del suindicato parere favorevole della commissione paritetica Stato-regione al trasferimento nessun altro atto è stato compiuto, anche a causa del fatto che la nuova Commissione paritetica non è ancora operativa,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per riavviare immediatamente l’iter di trasferimento dallo Stato alla regione del Palazzo delle Finanze di Palermo, provvedendo a conferire i poteri necessari alla Commissione paritetica perché questa possa completare l'azione di trasferimento intrapresa.
(7-00356) «Cancelleri, Di Benedetto, Nuti, Mannino, Lupo, Di Vita, Brescia, Luigi Gallo, Vacca, D'Uva, Battelli, Marzana, Simone Valente».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   l'articolo 23 della legge 23 agosto 1988, n. 400, ha attribuito ad un apposito ufficio i compiti concernenti il coordinamento dell'iniziativa legislativa e dell'attività normativa del Governo; vista la particolare natura delle funzioni del suddetto ufficio, che richiedono una competenza giuridica al massimo livello e specifiche competenze tecniche in materia di redazione e interpretazione degli atti normativi, il medesimo articolo 23, al comma 7, ha previsto che all'ufficio sia preposto un magistrato delle giurisdizioni superiori, ordinaria o amministrativa, ovvero un dirigente generale dello Stato o un avvocato dello Stato o un professore universitario di ruolo di discipline giuridiche;
   il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, in attuazione della legge delega n. 59 del 1997, ha ulteriormente disciplinato l'ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri, integrando la legge n. 400 del 1988; il medesimo decreto legislativo n. 303 del 1999 ha comunque provveduto al coordinamento delle norme risultanti dalle due discipline, attraverso l'abrogazione espressa di tutte le disposizioni della legge n. 400 non più in vigore in quanto incompatibili. Per quanto concerne l'articolo 23 della legge n. 400 del 1988, la nuova disciplina si è limitata ad abrogare il comma 1, lasciando vigenti le altre norme, tra cui quella di cui al comma 7 sui requisiti del capo del coordinamento dell'attività normativa;
   l'articolo 6 del decreto legislativo n. 303 del 1999 ha provveduto ad organizzare le funzioni relative al coordinamento dell'attività normativa del Governo in un apposito «Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi» (DAGL). Si tratta di una disposizione che mira ad un nuovo tipo di organizzazione degli uffici, e che attribuisce al dipartimento, nel suo complesso, le funzioni attribuite all'ufficio di cui all'articolo 23 della legge n. 400 del 1988, non incidendo sui requisiti prescritti dalla medesima norma, che, a questo punto, non possono che intendersi riferiti al capo del dipartimento, come pacificamente interpretato sin dall'entrata in vigore del decreto legislativo n. 303 del 1999;
   tutto ciò premesso, si rileva che il 4 aprile 2014 il Presidente del Consiglio interpellato avrebbe ufficializzato la nomina a capo del dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della dottoressa Antonella Manzione, già comandante della polizia municipale di Firenze, e poi direttore di Palazzo Vecchio, manifestamente non in possesso dei necessari requisiti di cui all'articolo 23, comma 7, della legge n. 400 del 1988; tra l'altro, la Corte dei Conti si sarebbe già espressa sul punto, rilevando la «mancanza di requisiti per l'incarico» della dottoressa Manzione –:
   se sia vero che dal 1o aprile 2014, giorno delle dimissioni del precedente capo del dipartimento per gli affari giuridici e amministrativi, lo stesso dipartimento sia rimasto privo di un titolare;
   chi abbia svolto in questo periodo le fondamentali funzioni di coordinamento dell'attività normativa del Governo e di interlocuzione con la Presidenza della Repubblica spettanti al DAGL e richiamate in premessa, in mancanza del titolare del dipartimento;
   se sia vero che insiste nel proporre la nomina della dottoressa Manzione a capo del DAGL, nonostante l'avviso contrario già manifestato dalla Corte dei Conti, e sebbene la stessa dottoressa Manzione non sia chiaramente in possesso dei requisiti formali previsti dall'articolo 23, comma 7, della legge n. 400 del 1988 richiamati in premessa, né abbia, come si evince dal suo curriculum vitae, la necessaria esperienza e professionalità richieste per l'espletamento dell'incarico in questione, non avendo mai svolto funzioni riconducibili all'attività normativa del Governo.
(2-00519) «Brunetta».

AFFARI REGIONALI E AUTONOMIE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   il Palazzo delle Finanze di Palermo, edificio di carattere storico nonché di notevole pregio architettonico e culturale, così come dichiarato ai sensi dell'articolo 10 del decreto legislativo n. 42 del 2004, è una grandissima struttura ottocentesca costruita sui resti delle antiche carceri della Vicaria;
   l'edificio, di proprietà del Ministero dell'economia e delle finanze ed appartenente al patrimonio indisponibile dello Stato, è chiuso da quando gli uffici dell'intendenza furono trasferiti in altra sede e versa oggi in uno stato di abbandono pressoché totale;
   l'immobile risulta attualmente inagibile per le gravi condizioni di degrado che hanno determinato effetti anche sulla stabilità del palazzo; intanto, la custodia è stata affidata al dirigente dell'Agenzia del demanio;
   con nota prot. n. 49461 del 23 settembre 2010, il segretario generale della Corte dei conti di Palermo ha rappresentato l'esigenza di trasferire i propri uffici, attualmente dislocati in immobili condotti in locazione, negli edifici dell'ex Palazzo delle Finanze, di proprietà dello Stato;
   la direzione dell'Agenzia del demanio ha manifestato la propria disponibilità a trasferire l'immobile in questione alla regione siciliana, previo impegno finanziario, per i lavori di ripristino, consolidamento e messa in sicurezza dell'ex Palazzo delle Finanze per gli usi governativi;
   con delibera n. 83 del 23 marzo 2011, la giunta regionale ha disposto di procedere all'acquisizione al patrimonio indisponibile della regione siciliana del suddetto edificio quale sito unico della magistratura contabile dando mandato alla ragioneria generale della regione per l'individuazione delle risorse finanziarie necessarie, pari ad euro 20.000.000,00, per la riqualificazione dell'immobile;
   la Cassa depositi e prestiti, società per azioni controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze che detiene l'80,1 per cento del suo patrimonio azionario, ha manifestato la disponibilità ad erogare il finanziamento attraverso l'accensione di un mutuo per l'importo corrispondente;
   l’iter si trova in una situazione di stallo dovuto alla circostanza che la gestione dell'operazione di trasferimento spetta ad una Commissione paritetica Stato-regione che deve essere nominata, o almeno riconfermata nei suoi componenti, ad ogni cambio di compagine governativa;
   tuttavia, a seguito dell'ultimo avvicendamento alla guida dell'Esecutivo, il nuovo Ministro per gli affari regionali e le autonomie, a quanto consta agli interpellanti, non ha provveduto ad emanare il decreto di nomina o riconferma dei componenti della Commissione;
   a fronte di tale mancato adempimento, si sottolinea che il Ministro ha già provveduto ad emanare i decreti relativi alle commissioni paritetiche per il Trentino Alto Adige e per il Friuli Venezia Giulia;
   in mancanza di tale decreto, il trasferimento dell'immobile in questione è al momento bloccato;
   la Commissione paritetica Stato-regione precedente ha esitato un elenco dal quale si evince che sono ben 96 gli immobili che lo Stato dovrebbe trasferire alla regione siciliana, tra i quali l'ex Palazzo delle Finanze;
   il 5 giugno 2012 la stessa ha espresso parere favorevole al trasferimento dallo Stato alla regione siciliana dell'immobile denominato ex Palazzo delle Finanze destinato a sede di tutti gli uffici della Corte dei conti;
   con decreto dell'assessorato generale dell'economia del 25 luglio 2012 è stato istituito un tavolo operativo per l'avvio delle procedure finalizzate alla progettazione, finanziamento e affidamento dei lavori di ristrutturazione dello stesso;
   l’iter di trasferimento al patrimonio della regione siciliana risulta ad oggi fermo, atteso che a seguito del suindicato parere favorevole della precedente Commissione paritetica Stato-regione al trasferimento nessun altro atto è stato compiuto, a causa della mancata emanazione del decreto di nomina sopra ricordato –:
   quali siano le ragioni del ritardo nella emanazione del decreto relativo alla Commissione paritetica Stato-regioni per la Sicilia, considerata anche la circostanza che le commissioni per il Trentino Alto Adige e per il Friuli Venezia Giulia sono già state nominate;
   quali siano i tempi previsti per la emanazione del decreto;
   se la preventiva disponibilità manifesta dalla Cassa depositi e prestiti all'erogazione del mutuo di 20.000.000 euro persista e, nel caso affermativo, quali siano i tempi per l'avvio e la conclusione dell’iter di concessione dello stesso.
(2-00518) «Di Benedetto, Nuti, Mannino, Lupo, Di Vita, Villarosa, Cancelleri, Brescia, Luigi Gallo, Vacca, D'Uva, Battelli, Marzana, Simone Valente».

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


   REALACCI e BRAGA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 22 ottobre 2008, Interventi necessari per la realizzazione dell'EXPO Milano 2015, all'allegato 2 inserisce tra le opere «connesse» all'evento, con «priorità 1», l'autostrada Pedemontana Lombarda, opera che all'epoca veniva stimata di costo pari a 4.559 milioni di euro, cifra corrispondente al 52 per cento del montante complessivo dei costi delle opere viarie connesse all'evento, e all'85 per cento dei costi delle opere viarie in priorità 1, prevedendo dunque uno sforzo rilevantissimo per il reperimento di finanziamenti pubblici e privati;
   dell'intera opera, sviluppata per 67 chilometri autostradali lungo l'asse principale, frazionato nei lotti A, B1, B2, C, D, oltre alle tangenziali di Como e Varese (a loro volta frazionate in due lotti ciascuna) ad oggi, risulta in avanzato stato di cantierizzazione il solo lotto A (unitamente ai primi lotti delle tangenziali di Como e Varese), di cui è prevista la consegna entro luglio 2014. Detto primo lotto, di 15 chilometri, duplica il collegamento tra A8 a Cassano Magnago, e A9 a Lomazzo, realizzando quella una bretella di connessione diretta tra i due rami autostradali 10 chilometri a nord del bivio Lainate, con effetti marginali sul duplice asse autostradale di competenza Autostrade per l'Italia che, da nord, già offre accesso diretto al sito espositivo. Non si ravvisa quindi in questo segmento di opera, di incipiente completamento, alcun effetto in termini di miglior accessibilità al sito Expo, che è e resta connesso ai tronchi autostradali preesistenti, già tributari del traffico proveniente e diretto allo scalo aeroportuale di Malpensa, nonché alla A4 tratta Milano-Torino, per gli accessi da est e ovest, e alla tangenziale ovest per il traffico da sud;
   da alcune settimane è stata avviata la cantierizzazione del lotto B1, lungo solo 7 chilometri di collegamento tra lo svincolo Lomazzo della A9 e l'innesto della SS35 a Lentate S/S, il cui completamento (nonostante rilevantissime criticità di natura idrogeologica cagionate dalla realizzazione in trincea profonda con deviazioni di importanti deflussi superficiali) il ministro Lupi ha annunciato entro il mese di aprile 2015, e dunque appena in tempo per l'apertura dell'esposizione universale prevista a maggio 2015. È doveroso sottolineare che in verità non sussiste alcuna esigenza prioritaria e funzionale all'accesso al sito espositivo per quanto riguarda questo raccordo, dal momento che la strada statale 35 non offre né offrirà, da qui al 2015, alcuna connessione diretta al sito Expo. L'unico collegamento efficace tra strada statale 35 ed Expo, comunque non vantaggioso per il quadrante considerato rispetto al collegamento diretto via A8/A9, è rappresentato dalla strada Rho-Monza, attualmente a singola corsia per senso di marcia nella tratta svincolo Paderno Dugnano (SS35)-Rho Fiera, e come tale inappropriata a farsi carico di quote di traffico ulteriori. Sebbene anche la riqualifica autostradale della Rho-Monza venga indicata, non senza fondamento, tra le opere necessarie per l'accessibilità di Expo 2015 in priorità 1, è ormai chiaro che i ritardi accumulati nella progettazione e nell'apertura cantieri di questa direttrice, non ancora intervenuta, siano ormai del tutto incompatibili con una sua fattibilità in tempo utile per la scadenza Expo, talché nessun miglioramento di accessibilità via SS35 ad Expo risulta realisticamente praticabile;
   il lotto B1 potrebbe intercettare una modesta quota di traffico, di provenienza subregionale, ipoteticamente diretto ad Expo (e comunque all'immissione in A9), corrispondente al traffico proveniente da Nord-Est (alta Brianza comasca e lecchese, Lario Orientale e Valtellina) attraverso la direttrice Novedratese, che attualmente presenta una rilevante strozzatura a ridosso dell'intersezione con SS35. Paradossalmente però proprio questa strozzatura non verrà risolta dal progetto della tratta, che proprio per riuscire ad assicurare l'apertura in tempo utile per Expo, rinvierà ad una fase successiva la realizzazione di svincoli e opere complementari, tra cui proprio lo svincolo per l'immissione della strada Novedratese, con enorme preoccupazione delle amministrazioni e delle comunità locali;
   per quanto riguarda il lotto B2, 10 chilometri da Lentate a Cesano M., consistente in una riqualifica autostradale dell'attuale strada statale 35, già oggi tra le strade più congestionate d'Italia e quindi incapace di accogliere ulteriori quote di traffico, sussistono problemi gravi e tutt'ora non affrontati, emersi dopo l'approvazione del progetto definitivo di Pedemontana, nella prima campagna di indagine sui suoli interessati da una contaminazione storica, ovvero il fall-out della nube tossica sprigionatasi nel 1976 dallo stabilimento ICMESA di Meda e contenente elevate concentrazioni di TCDD-tetraclorodibenzo-p-diossina;
   tali suoli, interessati dalle cantierizzazioni previste nei comuni di Meda, Seveso, Cesano Maderno e Bovisio Masciago (ma anche Desio per quanto riguarda la successiva tratta C), sono tutt'oggi gravati da elevate concentrazioni (superiori alle CSC per zone industriali) di questa sostanza ad alta tossicità, al punto da richiedere un piano di caratterizzazione su un'area molto vasta, a cui deve seguire la bonifica su tutte le aree destinate alla cantierizzazione, onde prevenire la generazione di una situazione di elevata criticità sanitaria per il sollevamento e la dispersione del contaminante, le cui molecole sono intimamente fissate alla matrice suolo; stime realistiche indicano un costo supplementare, legato a tale criticità, di almeno 40-60 milioni di euro, somme che ad oggi non sono preventivate nel progetto dell'infrastruttura;
   circa il quadro delle coperture finanziarie dell'opera, esso è previsto attraverso la finanza di progetto per circa 3/4 dei costi complessivi, inclusivi di oneri e stimati in 5.200 milioni di euro, a fronte di un investimento diretto complessivo pari a 4.118 milioni. Questo impegno, oltre agli oneri accessori connessi, è coperto tramite contributo pubblico per 1.245 milioni di euro, equity per 536 milioni di euro e debito bancario per 1.810 milioni di euro tutt'ora da reperire sui mercati finanziari al fine di realizzare l'opera ad esclusione della tratta D, che la società concessionaria prevede di realizzare tramite autofinanziamento generato dai flussi di cassa positivi conseguiti dall'entrata in esercizio delle altre tratte. A fronte di tali previsioni, il capitale sociale attualmente versato è di circa 268 milioni, a cui si aggiunge un prestito ponte di 200 milioni di euro ed un prestito del socio Milano Serravalle-Milano Tangenziali spa pari a circa 32 milioni di euro, di recente deliberato. La stessa società, titolare del controllo su Pedemontana con una quota azionaria del 74 per cento, si è impegnata a versare un'ulteriore quota di 268 milioni di capitale sociale, necessari alla copertura della equity, ma la situazione di indebitamento di Serravalle spa ha finora costretto a desistere da questo impegno assunto fin dal 2011. Nel 2013, è stato ottenuto da CAL spa, Concessioni autostradali lombarde, l'aumento dell'intensità di erogazione del contributo pubblico sulla tratta in costruzione (tratta A e primi lotti delle tangenziali di Como e Varese) dal 35,74 per cento all'80 per cento, con l'inevitabile conseguenza della esclusione di gran parte del restante tracciato dall'erogazione di contributi pubblici. Emerge inoltre sempre più chiaramente una forte sopravvalutazione del volume d'utenza di Pedemontana, alla luce di stime di traffico non favorevoli e ad un quadro di congestione nell'area nord milanese che deriva sostanzialmente da necessità di spostamenti di breve o brevissimo raggio per la componente commerciale, e di spostamenti in direzione di Milano per la componente pendolare: tale quadro risulta assai poco favorevole all'utilizzo intensivo di una nuova autostrada a pedaggio (mentre lo sarebbe assai di più per una ordinaria viabilità speciale), e ciò probabilmente spiega la forte ritrosia all'esposizione finanziaria degli investitori privati che dovrebbero sostenere gran parte dei costi dell'opera;
   a fronte di una situazione critica come quella fin qui tratteggiata, recentemente il ministro Lupi ha più volte annunciato, a mezzo di dichiarazioni ampiamente riprese da agenzie e stampa quotidiana, la volontà di sottoporre al CIPE la decisione di defiscalizzare l'opera, per un valore stimato in 480 milioni di euro, di cui potrebbe avvantaggiarsi l'operatore vincitore del bando per l'assegnazione della progettazione esecutiva e la realizzazione delle opere sulle tratte B1, B2, C e D, ovvero la società austriaca di engineering Strabag. Voci insistenti, di cui ha dato spazio la stampa economica, rivelano il possibile interesse di Strabag stessa a subentrare nel controllo azionario della società concessionaria Pedemontana, stante la impossibilità di Serravalle di assicurare la copertura di così rilevanti investimenti. È di tutta evidenza il profilo altamente critico del finanziamento dell'infrastruttura, rispetto a cui la misura dell'esenzione fiscale fin qui ventilata e di imminente discussione presso il CIPE servirebbe a «incentivare» gli investitori che non vedono margini di rientro di una loro esposizione, producendo tuttavia una minor gettito equivalente ad un trasferimento diretto, non preventivato in sede di definizione del piano finanziario;
   dal quadro fin qui descritto emerge una sostanziale estraneità funzionale e cronologica tra il progetto di Autostrada Pedemontana Lombarda e Expo 2015. Appare pacifica l'inesistenza di significativa relazione funzionale tra il progetto di Pedemontana e le esigenze di accessibilità al sito Expo 2015, il che dovrebbe consentire di riprogrammarne l'esecuzione in modo svincolato dalla gestione dei previsti flussi di visitatori dell'Esposizione nel periodo maggio-ottobre 2015 e di rivederne le modalità esecutive al fine di rendere il progetto maggiormente congruente con i bisogni del territorio e con un quadro finanziario aggiornato, senza sacrificare la qualità della progettazione e la realizzazione di tutti gli interventi connessi alla viabilità principale necessari a garantire la funzionalità e la accettabilità locale dell'opera –:
   quali siano gli studi di traffico, con quale livello di aggiornamento, e di conseguenza quali siano i dati di previsione di utilizzo su cui si basa il dimensionamento esecutivo dell'autostrada Pedemontana Lombarda nelle sue diverse tratte;
   quale sia l'effettivo contributo di Pedemontana alla risoluzione puntuale di problematiche di accesso di visitatori ad Expo 2015 e in che misura sia giustificato un vincolo di destinazione di risorse a beneficio di Pedemontana a fronte di altre e prevalenti limitazioni di accessibilità del sito, in particolare sul versante del trasporto di massa, che risulta essere quello maggiormente strategico nell'aspettativa di rilevanti afflussi di visitatori da lunga o lunghissima distanza;
   se possa essere esclusa, nell'ipotesi che il CIPE autorizzi il regime di esenzione fiscale a beneficio della realizzazione dell'opera, la fattispecie dell'aiuto di Stato, e come si intenda far fronte all'esposizione finanziaria pubblica non programmata e coincidente con il mancato gettito;
   quali siano gli interventi già programmati per la bonifica dei suoli e la sicurezza dei cantieri, e quale sia l'impegno economico conseguente, a fronte degli scenari di contaminazione riscontrati nei suoli destinati ad ospitare i cantieri di Pedemontana nei comuni di Meda, Seveso, Cesano Maderno, Bovisio Masciago e Desio;
   quali garanzie di mantenimento degli impegni assunti in sede di progettazione definitiva dell'opera sussistano da parte di Pedemontana, in relazione alla realizzazione delle opere connesse e funzionali al raccordo alla viabilità locale, agli interventi di compensazione e mitigazione ambientale, al corretto inserimento paesaggistico dell'opera, così come previsto dalle prescrizioni contenute nella delibera CIPE di approvazione del progetto definitivo, in particolare per la tratta B1;
   quale sia il parere del NARS, «Nucleo di consulenza per l'Attuazione e Regolazione dei Servizi di pubblica utilità» presso il Cipe, in riferimento all'Autostrada Pedemontana Lombarda, che reca prescrizioni sulla redazione dello schema di atto aggiuntivo n. 2 alla Convenzione vigente tra il concedente, Concessioni autostradali Lombarde S.p.A., società mista ANAS – regione Lombardia, e il concessionario, Autostrada Pedemontana Lombarda S.p.A., ed indica uno specifico iter procedurale per la presentazione di un nuovo Piano economico finanziario, avendo il predetto comitato già dato mandato al Ministero delle infrastrutture e i trasporti di richiedere al concedente l'atto aggiuntivo adeguato alle prescrizioni del NARS da sottoporre a nuova approvazione del CIPE. (4-04667)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta immediata:


   PIZZOLANTE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 27 febbraio 2014 si è verificato il crollo di una porzione di parete rocciosa sul versante nord-est della rupe su cui sorge la città di San Leo, in provincia di Rimini. La massa è stata stimata pari a circa 450.000 metri cubi;
   San Leo è un paese situato su di una rocca in posizione panoramica a 532 metri di altitudine, noto per aver ospitato personaggi storici quali San Francesco d'Assisi e Dante Alighieri ed il cui forte, risalente al XV secolo, venne fatto costruire da Federico da Montefeltro;
   già nel 2006 e nel 2008 alcuni crolli avevano richiesto interventi urgenti di ripristino per un totale di 1 milione e mezzo di euro: somma oggi ben più alta in considerazione dei nuovi crolli avvenuti nel mese di febbraio 2014;
   la situazione che si è venuta a creare pregiudica seriamente il settore turistico-alberghiero della zona, dal momento che i crolli hanno portato ad una diminuzione della capacità di accoglienza all'interno della Fortezza –:
   alla luce di quanto denunciato in premessa, se sia stato già previsto un piano di intervento per salvaguardare l'inestimabile patrimonio socio-culturale di San Leo, per mettere in sicurezza i luoghi minacciati dai crolli e dagli smottamenti del territorio e per consentire alla popolazione di continuare a svolgere la propria attività lavorativa, seriamente danneggiata dai crolli del 27 febbraio 2014.
(3-00787)


   BRUNO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il fondo unico per lo spettacolo (fus) sin dalla sua istituzione è stato utilizzato per regolare l'intervento pubblico nei settori del mondo dello spettacolo, fornire sostegno finanziario ad enti, istituzioni, associazioni, organismi e imprese operanti in cinema, musica, danza, teatro, circo e spettacolo viaggiante, nonché promuovere e sostenere manifestazioni e iniziative di carattere e rilevanza nazionale in Italia o all'estero;
   il volume di risorse stanziate, a prezzi correnti, nel 1985 risulta pari a 357,48 milioni euro e raggiunge il valore più alto nel 2001, superando i 530 milioni. Nel 2009 e nel 2010 torna di nuovo sotto i 400 milioni di euro e negli ultimi due anni arriva a circa 410 milioni di euro. Considerando il valore reale delle risorse stanziate, calcolato a prezzi costanti, in modo da eliminare l'effetto distorsivo dell'inflazione, il valore del 2012 è il più basso di sempre e la variazione rispetto al 1985 è di -53,02 per cento;
   nel 2011 la percentuale più alta di risorse è destinata alle fondazioni lirico-sinfoniche, il 47 per cento, e, a seguire, alle attività cinematografiche, il 18,6 per cento;
   per il settore teatrale i contributi più elevati, 3.267.092 euro, sono andati alla Fondazione ente autonomo Piccolo Teatro di Milano; per le attività musicali il contributo più alto è andato alla fondazione emiliana «Arturo Toscanini»; per il settore cinematografico i contributi più elevati sono i 7 milioni di euro per La Biennale di Venezia, i 10,3 milioni di euro per la Fondazione Centro sperimentale di cinematografia e i 6,9 milioni di euro per Istituto Luce Cinecittà;
   a livello della distribuzione territoriale si registra, sempre nel 2011, che al Centro Italia va il 30 per cento circa del totale delle risorse, tra Nord Ovest e Nord Est viene assorbito il 48,6 per cento delle risorse, al Sud rimane il 13,8 per cento e alle Isole il 6,8 per cento;
   giova ribadire che il Sud in termine di popolazioni vale il 36,5 per cento del Paese o, se si vuole un altro dato di raffronto, circa il 25 per cento del prodotto interno lordo nazionale;
   l'evidente squilibrio viene confermato se si guardano i dati regione per regione: nel 2012, come per il triennio precedente, Lazio, Lombardia e Veneto superano singolarmente la soglia del 10 per cento di risorse. In dieci regioni il numero dei contributi assegnati non supera il 3 per cento del totale e Basilicata, Calabria, Molise, Valle d'Aosta si attestano al di sotto dell'1 per cento;
   il contributo per abitante è di 0,88 euro per un calabrese, di 20,75 euro per un abitante della regione Lazio, per un lombardo 5,39 euro, per un toscano 8,30 euro;
   il numero dei soggetti beneficiari in alcune regioni è maggiore, ma confrontandolo con le risorse destinate in alcune regioni si riscontra una forbice positiva, cioè una percentuale più alta di risorse a fronte di una percentuale più bassa di soggetti beneficiari, in altre regioni, tra cui la Calabria, la forbice è negativa;
   in Calabria poi si verifica un'ulteriore caso anomalo: alla provincia di Vibo Valentia viene sostanzialmente destinato lo 0,0 per cento di contributi, dato riscontrabile solo ad Isernia e a Medio Campidano;
   in particolare, nelle cinque province della Calabria, nel 2011, il capoluogo di regione assorbe il 20,1 per cento delle risorse del fondo unico per lo spettacolo, Reggio Calabria consegue un intervento di 434.000 euro pari al 23 per cento del contributo regionale, Cosenza, prima provincia per numero di abitanti (733 mila) e di soggetti (36,4 per cento), ottiene il 14 per cento dei contributi, di Vibo Valentia si è già detto. Crotone ottiene il 43 per cento di risorse, pari ad un intervento pro capite di 4,7 euro per circa 173.000 abitanti;
   un solo soggetto con sede nella provincia di Crotone, ma, sembrerebbe, operante in prevalenza in altra regione d'Italia, ottiene un contributo superiore a quello delle intere province di Cosenza, Reggio Calabria e Vibo Valentia;
   in termini di intervento pro capite in Calabria si registra in tre casi su cinque un livello inferiore alla soglia di 1 euro: 0,77 di Reggio Calabria, 0,36 di Cosenza e prossima allo zero, appunto, Vibo Valentia;
   inoltre, per il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo esiste la possibilità di finanziare dei «progetti speciali» come «iniziative straordinarie di particolare rilevanza per le quali sia stata presentata domanda di contributo da soggetti esterni anche su invito dell'amministrazione». Anche in questo caso sembrerebbe che nessuno intervento sia stato effettuato in Calabria nei progetti speciali finanziati nel 2012;
   oltre al fondo unico per lo spettacolo, il settore culturale viene finanziato con dei fondi detti «extra fus», cioè, per esempio, il gioco del lotto o il 5 per mille, ma anche per i fondi «extra fus» dal 2004 al 2011 si nota una forte concentrazione delle risorse su poche iniziative, concentrate in aree geografiche limitate; si segnala, in particolare, la totale assenza della Calabria;
   negli anni fondi «extra fus» sono stati destinati a Cinecittà Luce s.p.a., all'Accademia nazionale di danza, alla Biennale di Venezia; in misura minore fondi «extra fus» sono andati anche all'Accademia nazionale di arte drammatica «Silvio D'Amico», alla Fondazione Centro sperimentale di cinematografia e all'Istituto nazionale per il dramma antico;
   se si guarda la distribuzione per settore e per territorio dei fondi «extra fus» si nota che anche nell'ambito delle fondazioni lirico-sinfoniche sono state finanziati il Teatro regio di Torino, il Teatro Carlo Felice di Genova, le Fondazioni Teatro alla Scala di Milano, Teatro lirico Giuseppe Verdi di Trieste, Teatro La Fenice di Venezia, Arena di Verona, Teatro comunale di Bologna, Accademia nazionale di Santa Cecilia, Teatro dell'Opera di Roma, Teatro Maggio musicale fiorentino, Teatro San Carlo di Napoli, Petruzzelli e Teatri di Bari, il Teatro Massimo di Palermo e il Teatro lirico di Cagliari;
   dal 2002 al 2012 alla Calabria è toccato lo 0,6 per cento circa del fondo unico per lo spettacolo. Estendendo e proiettando tale percentuale negli altri anni, si riscontra che, a fronte di un'erogazione di circa 10,2 miliardi di euro, alla Calabria è stata destinata una cifra inferiore ai 70 milioni di euro. Si tratta, quindi, di una percentuale in linea con il dato precedente: lo 0,68 per cento del totale nel corso di 29 anni. Esattamente 34,7 euro per abitante. Praticamente per ogni calabrese è stato speso poco più di un euro all'anno;
   in 29 anni il fondo unico per lo spettacolo ha destinato al Nord oltre quattro miliardi di euro (4.637.699,648), al Centro oltre tre miliardi (3.715.697,150), al Sud e alle Isole meno di due miliardi (1.888.541,507);
   secondo gli ultimi dati statistici in Calabria la povertà relativa ha un'intensità del 22,1 per cento ogni 100 famiglie;
   dal 1990 al 2010 la Calabria è stata la regione che ha evidenziato le migliori performance degli indicatori turistici, con una forte crescita delle presenze;
   tale situazione ha contribuito di fatto, durante gli anni, alla chiusura o alla crisi di importanti strutture artistiche operanti in Calabria –:
   in relazione a quanto riportato in premessa quali siano le valutazioni di merito del Ministro interrogato e se non ritenga opportuno avviare un'azione, d'intesa con regioni ed enti locali, per un intervento perequativo che riduca tali differenze, anche stabilendo una soglia minima da destinare ad ogni territorio provinciale. (3-00788)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ZARDINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Negrar (Verona), al centro della Valpolicella, esiste una rete di sentieri storici che nell'anno 2006 è stata tracciata, recuperata, ripulita, tabellata e descritta/raccontata in una pubblicazione, il tutto a cura e spese del comune, della provincia e della regione;
   tali sentieri sono tutti regolarmente descritti nelle carte CAI e per una parte importante si identificano e si intrecciano con il cosiddetto sentiero europeo E5, uno del percorsi escursionistici più conosciuti e apprezzati in Europa, che unisce il Lago di Costanza all'Adriatico;
   negli ultimi tre-quattro anni la manutenzione della rete di sentieri è stata trascurata e ora essa versa in uno stato di abbandono e degrado;
   la rete dei sentieri storici costituisce un rilevante valore aggiunto per l'economia della zona, e, specialmente in un momento di grande difficoltà come l'attuale, rappresenta un elemento insostituibile perché possa crescere e consolidarsi un turismo di qualità, come è negli obiettivi dichiarati di tutta l'attività di pianificazione territoriale anche dell'attuale amministrazione comunale;
   uno dei sentieri più rinomati, denominato «traverso del Fontesan», è stato di recente oggetto di una richiesta di cancellazione dell'uso pubblico da parte dei proprietari del terreno;
   la mancata cancellazione dell'uso pubblico è stata sin qui determinata dalla considerazione che il sentiero ha una storia plurisecolare, collocandosi sulla tratta che gli antichi abitanti della zona percorrevano per raggiungere dal Nord la piana di Verona, tramite un percorso naturalistico di notevole rilevanza;
   dal sentiero del Fontesan si gode tra l'altro di una vista mozzafiato sulla pianura Padana, sulla città di Verona, su tutta la Valpolicella e su gran parte del lago di Garda;
   il sentiero del Fontesan è anche l'unico percorso che consente di raggiungere il sito archeologico del Monte Roccolo, sulla cui sommità gli antichi abitanti dell'età dei metalli, secondo gli studiosi, avevano collocato uno dei loro luoghi di culto più importanti;
   il consiglio comunale di Negrar, nella seduta del 19 giugno 2013, ha cancellato l'uso pubblico del sentiero, nonostante nella precedente seduta la delibera fosse stata ritirata e fosse stato deciso dai consiglieri di formare una commissione sui percorsi e sentieri storici, con il compito di riesaminare la situazione complessiva dei sentieri presenti sul territorio comunale e di intraprendere un percorso di valorizzazione e salvaguardia;
   la cancellazione dell'uso pubblico è avvenuta nonostante tutti i frontisti e i vicini abbiano formalmente espresso la loro totale contrarietà all'iniziativa e nonostante l'iniziativa di denuncia, convocata nella frazione di Montecchio domenica 9 giugno 2013, da parte di numerosi gruppi escursionistici e ambientalisti della zona: Colline Veronesi, CTG, CAI, Comitato Gruppi alpinistici, Gruppo escursionistico El Capel, Emozioni in movimento, Piromacogno, Il Carpino, Legambiente Verona, WWF Verona, WWF sud-ovest veronese, Ambiente Lessinia Archeologia, Valpolicella 2000, Fumane futura;
   risulta quindi incomprensibile ai cittadini di Negrar una decisione assunta contro la volontà manifesta di molti di loro e che rappresenta un danno alla collettività senza alcuna compensazione nota –:
   di quali elementi disponga il Ministro in ordine a quanto esposto in premessa, se la cancellazione dell'uso pubblico del sentiero pregiudichi la fruizione del sito archeologico del Monte Roccolo e quali eventuali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per salvaguardare beni pubblici di rilevante valore storico, paesaggistico e turistico come quelli sopra indicati. (5-02709)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   RUOCCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Banca europea per gli investimenti (BEI) eroga prestiti a condizioni vantaggiose per finanziare progetti in sintonia con gli obiettivi delle politiche dell'Unione europea. I finanziamenti. della BEI sono concessi per la realizzazione di progetti sotto il profilo economico, tecnico e finanziario-creditizio. Circa il 90 per cento dei prestiti è destinato a programmi e progetti all'interno dell'Unione europea;
   la Banca europea per gli investimenti persegue sei obiettivi prioritari, stabiliti nel piano aziendale della Banca tra cui il sostegno alle piccole e medie imprese. In Italia i prestiti globali della Banca europea per gli investimenti sono veicolati tramite 27 istituti di credito che si occupano delle richieste di finanziamento di progetti inferiori a 25 milioni di euro;
   secondo quanto riportato dal quotidiano Il Sole 24 ore del 4 maggio 2013, tra il 2011 ed il 2012 tali istituti di credito hanno ricevuto circa 250 miliardi di euro al tasso dell'1 per cento in base alle nuove regole volute dall'Unione europea per contrastare il credit crunch. Si tratta di miliardi che sono finiti ad acquistare titoli di Stato e obbligazioni. Si legge infatti che «in pancia le banche italiane hanno 390 miliardi di bond governativi. E se si da una lettura ai bilanci bancari, si scopre che l'unica voce di rialzo è quella delle commissioni di negoziazioni sui titoli. Il trading finanziario ha tenuto sui ricavi delle banche, affossate per il resto dalle perdite sulle sofferenze ai loro massimi storici. In fondo è più numerativo investire in titoli di debito che finanziare le imprese»;
   le banche quindi atterrite dal debito pari a 127 miliardi di euro di crediti a rischio non hanno agevolato il percorso di finanziamento alle piccole e media imprese le quali secondo l'ottavo rapporto della Banca centrale europea sull'accesso alla finanza da parte delle piccole e medie imprese dell'area eurozona, hanno assistito, tra l'ottobre 2012 e marzo 2013, a «un aumento delle necessità di finanziamento abbinato a un peggioramento delle disponibilità di prestiti bancari» e nelle posizioni peggiori si trovano le piccole e medie imprese di Italia e Spagna;
   sempre secondo la stessa Banca centrale europea, nel mese di aprile 2013 il credito nei confronti delle società non finanziarie è sceso dell'1,9 per cento rispetto all'1,3 per cento registrato nel precedente marzo 2013 rispetto alla situazione complessiva del 2012, cifre che riflettono la debolezza economica dell'Eurozona nel quadro del primo trimestre del 2013, con la discesa del prodotto interno lordo dello 0,2 per cento;
   ciò che produce la stretta creditizia sulle piccole e medie imprese in Italia è rappresentato dal divario dei tassi applicati dalle banche. Per i prestiti fino ad un milione di euro, ad esempio il tasso sale al 4,4 per cento e per durate da 1 a 5 anni si sale al 6 per cento. L'80 per cento del tessuto produttivo italiano così finisce per cadere sui tassi al 6 per cento;
   nel mese di luglio 2013, la Banca centrale europea ha registrato una diminuzione dei prestiti del 3,7 per cento, superiore al -3,1 per cento di maggio e al 3,2 per cento di giugno. A riguardo dei prestiti fino a 12 mesi, i più richiesti dalle aziende dati i tempi di rimborso, il calo è vertiginoso, bruscamente e terribilmente negativo, dal -1,4 per cento in maggio, al -1,8 per cento in giugno al -4 per cento in luglio, ma va ancora peggio per i prestiti da 12 mesi a 5 anni con il -5,5 per cento e per i finanziamenti oltre i 5 anni, con il -3 per cento;
   secondo i dati della CGIA di Mestre, nonostante le maxi erogazioni della Banca centrale europea, i prestiti bancari alle famiglie e alle imprese italiane sono addirittura ulteriormente diminuiti di 9,2 miliardi di euro, mentre le banche italiane hanno incrementato l'acquistato dei titoli di Stato di 92,89 miliardi di euro;
   non essendoci attualmente alcuna normativa o «obbligo di legge» ma solo un ovvio obbligo morale, le banche Italiane, potendo scegliere hanno scelto l'acquisto di titoli di Stato (BTP, BOT, CCT e altro), dai buoni rendimenti a bassissimo rischio, rispetto all'interruzione dei «credit crunch» per tornare a finanziare l'economia reale tramite finanziamenti alle imprese, mutuo e/o prestiti personali alle famiglie;
   la CGIA di Mestre ha affermato spesso che buona parte dei prestiti della Banca centrale europea non è andata a famiglie e imprese, ma è stata investita in bot, cct e btp, difatti i prestiti, che la Banca centrale europea concede alle banche sono al bassissimo tasso dell'1 per cento (recentemente portato allo 0,75 per cento);
   sembrerebbe che la concessione o meno di tali fondi, sotto forma di prestiti e finanziamenti a famiglie e imprese è a discrezione della singola banca e che gli istituti bancari che aderiscono all'utilizzo dei fondi della Banca europea per gli investimenti non pubblicizzino né incentivino l'accesso delle piccole e medie imprese a tale linea di credito;
   i tassi di interesse sul credito vanno dal 4 al 9 per cento e vengono richieste garanzie eccessive. Ad oggi sembrerebbe non esistere un data bank pubblico che mostri ai cittadini se e come sono stati finora impiegati i fondi erogati dalla Banca centrale europea agli istituti bancari aderenti e che dimostri che i prestiti erogati finora a tasso vincolato Euribor non sono derivati da fondi della Banca europea per gli investimenti ottenuti dalla banca all'1 per cento –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, si intendano mettere in atto al fine di verificare in che maniera i fondi descritti in premessa sono stati fino ad ora gestiti, compresi gli interessi attivi che maturano sul capitale;
   se si intenda provvedere al più presto assumendo una specifica iniziativa normativa per vincolare l'accesso da parte delle banche ai fondi a tasso agevolato con l'obbligo di erogazione, a tasso variabile agganciabile al tasso della Banca centrale europea e con fase di preammortamento come previsto dalle norme della stessa Banca centrale europea, alle piccole e medie imprese che ne facciano apposita richiesta;
   se, ai fini della trasparenza, sussistano i presupposti normativi e di fatto per creare un data bank pubblico che elenchi i beneficiari dei prestiti ottenuti con fondi della Banca europea per gli investimenti ed i dettagli del prestito erogato e del progetto/attività finanziata;
   in quale modo si intenda provvedere affinché venga fornita ai soggetti interessati l'adeguata pubblicità circa l'esistenza dei finanziamenti della Banca europea per gli investimenti, indicando le categorie che possono accedere al credito e i tipi di attività finanziabili;
   se si intendano assumere iniziative per tassare la plusvalenza fatta lucrando sui titoli di Stato con fondi di provenienza BCE, in maniera che le banche vengano effettivamente dissuase a tale forma di investimento poco stimolante per il ciclo economico. (4-04665)


   PAGANO e BERNARDO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la procura della Repubblica di Reggio Calabria in data 11 aprile 2011 ha affidato incarico ai signori dottor Giovanni Logoteto, dottor Roberto Rizzi e dottor Vito Tatò in qualità di consulenti, di eseguire una perizia amministrativo – contabile sul comune di Reggio Calabria per gli anni 2008/2010;
   l'attività dei periti si è conclusa in data 14 giugno 2011;
   ultimata detta perizia, sempre in data 14 giugno 2011, i suddetti signori, dottor Giovanni Logoteto e dottor Vito Tatò, per incarico dei servizi ispettivi di finanza pubblica presso il dipartimento della ragioneria generale dello Stato del Ministero dell'economia e delle finanze, hanno eseguito una verifica amministrativo-contabile al comune di Reggio Calabria;
   in data 19 agosto 2011 è stata depositata anche la relazione finale sulla suddetta verifica;
   la consulenza tecnica redatta dai medesimi soggetti cui è stato affidato il compito di eseguire la verifica, costituisce il fondamento di vari procedimenti penali tutt'ora pendenti;
   dalla verifica amministrativa sono emerse una serie di criticità nella gestione del suddetto ente locale;
   a dette criticità l'amministrazione pro tempore si è adeguata in sede di approvazione del bilancio consuntivo 2010 che ha evidenziato, pertanto, un disavanzo di circa 118.000.000 di euro, nonché nella redazione dei bilanci successivi;
   su alcuni dei rilievi contenuti nella relazione di cui alla verifica e controdedotti dal comune di Reggio Calabria la valutazione di ulteriore documentazione che, a quanto consta agli interroganti, non sarebbe stata esaminata dagli ispettori, potrebbe far emergere delle risultanze diverse da quelle assunte;
   ancora, nella stessa relazione sono emerse circostanze che fanno risalire nel tempo e ad amministrazioni precedenti a far data già dall'anno 1999, le cause dello stato finale accertato;
   in particolare, vanno segnalati:
    a) la enorme mole di debiti fuori bilancio riconosciuti dalle amministrazioni susseguitesi dall'anno 2002 in avanti relative a posizioni debitorie riconducibili agli anni precedenti che, ovviamente, non trovavano allocazione alcuna nei bilanci redatti dell'ente sino all'anno 2001 e che hanno inciso per oltre 35.000.000 euro sulle capacità finanziarie degli anni seguenti;
    b) la erogazione ai dipendenti di alcune indennità;
   ove tali elementi fossero confermati ben diversa sarebbe la responsabilità dei comportamenti e degli effetti che hanno condotto l'ente al riconoscimento, in sede di approvazione del bilancio dell'anno 2010, di un disavanzo pari ad euro 118.000.000,00 circa secondo la fotografia emergente dalla relazione di verifica –:
   se il Ministro interrogato intenda disporre un approfondimento, anche in contraddittorio con l'amministrazione comunale, in ordine alle osservazioni all'atto di accertamento che risultano avanzate dall'ente comunale e non ancora oggetto di una definitiva valutazione sul piano amministrativo-contabile da parte del Ministero;
   se il Ministro abbia intenzione di disporre un supplemento di ispezione teso ad accertare quanto sopra esposto in ordine alla esistenza di un imponente disavanzo già presente alla data del 31 dicembre 2001. (4-04670)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta immediata:


   TIDEI, CARELLA, VERINI, AMODDIO, BAZOLI, BIFFONI, CAMPANA, ERMINI, GIULIANI, GRECO, LEVA, MAGORNO, MARRONI, MARZANO, MATTIELLO, MORANI, MORETTI, GIUDITTA PINI, ROSSOMANDO, ROSTAN, TARTAGLIONE, VAZIO, MARTELLA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità per il 2014, all'articolo 1, comma 344, prevede che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e della giustizia, sia stabilita la ripartizione in quote delle risorse confluite nel capitolo del Ministero della giustizia in cui è versato il maggior gettito derivante dall'aumento del contributo unificato per essere destinate: oltre che all'assunzione di personale di magistratura ordinaria, anche, e per il solo 2014, per consentire lo svolgimento di un periodo di perfezionamento, da completare entro il 31 dicembre 2014, a coloro che hanno completato il tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari. Si tratterebbe, secondo quanto previsto dall'articolo 1, comma 25, della legge n. 228 del 2013 (legge di stabilità per il 2013), di lavoratori cassintegrati, in mobilità, socialmente utili e disoccupati;
   l'onere di spesa, dalla richiamata legge di stabilità per il 2014, per consentire lo svolgimento del periodo di perfezionamento, è stato fissato in 15 milioni di euro. La suddetta legge ha, altresì, stabilito che la titolarità del predetto progetto formativo spetta al Ministro della giustizia;
   la legge di stabilità per il 2014, allo stesso articolo 1, comma 344, prevede che, a decorrere dall'anno 2015, una quota di 7,5 milioni di euro dell'importo destinato ai sopra citati progetti formativi del 2014, ovvero 15 milioni di euro, deve essere destinata all'incentivazione del personale amministrativo;
   ad oggi i tirocinanti della giustizia in Italia sono poco meno di tremila. Essi hanno ormai acquisito un ragguardevole bagaglio di competenza e di professionalità, che se venisse disperso inciderebbe negativamente sul livello di efficienza degli uffici giudiziari –:
   se il Governo non ritenga opportuno ed urgente adottare, di concerto con i Ministri interessati, il provvedimento di cui in premessa, affinché l'intera somma dei 15 milioni di euro vada al progetto formativo, come previsto dalla legge n. 147 del 2013, all'articolo 1, comma 344, se non ritenga di valutare la possibilità di un ulteriore finanziamento come risulta dall'ordine del giorno 9/1865-A/268, approvato in data 20 dicembre 2013, e, in ultimo, se non ritenga necessario valutare, per gli ambiti di propria competenza, la possibilità di una regolarizzazione contrattuale a partire da gennaio 2015, nel rispetto della normativa vigente in materia di lavoro, dei suddetti tirocinanti al termine del periodo di perfezionamento da completarsi, come sopra ricordato, entro il 31 dicembre 2014. (3-00789)


   GIANCARLO GIORGETTI, MOLTENI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'11 giugno 2005 a Besano (Varese), per aver tentato di sedare una rissa davanti al proprio bar, venne accoltellato e ucciso Claudio Meggiorin, un giovane di soli 23 anni, per mano di Vladimir Mnela, cittadino albanese che si trovava sul suolo italiano clandestinamente e già con precedenti penali per prostituzione e porto abusivo di armi;
   il tribunale di Varese, con sentenza n. 252 del 4 agosto 2006, ha riconosciuto colpevole Vladimir Mnela dei reati di cui agli articolo 110, 112, 575 e 577, n. 4 ,e 61 del codice penale, nonché della contravvenzione di cui all'articolo 4, comma 2, della legge n. 110 del 1975, condannandolo, inoltre, al risarcimento del danno non patrimoniale, quantificato in euro 475.000,00, a favore dei familiari del giovane barbaramente ucciso;
   la citata sentenza è stata parzialmente confermata dalla corte di assise di appello di Milano con sentenza del 17 ottobre 2007, in quanto è stata esclusa la circostanza aggravante prevista dall'articolo 112, n. 4, del codice penale;
   successivamente la Corte di cassazione, con sentenza n. 889 del 25 giugno 2008, ha confermato la pronuncia della corte di assise di appello di Milano;
   nonostante le pronunce sopra riportate, pare che l'autorità giudiziaria, pur ritenendo Vladimir Mnela colpevole dell'omicidio del signor Claudio Meggiorin, non avesse comunque disposto nei suoi confronti la misura di sicurezza dell'espulsione;
   come da consolidata giurisprudenza costituzionale, la regolamentazione dell'ingresso e del soggiorno degli stranieri nel territorio dello Stato è, difatti, «collegata alla ponderazione di svariati interessi pubblici, quali, ad esempio, la sicurezza e la sanità pubblica, l'ordine pubblico» (sentenze nn. 148 del 2008, 206 del 2006 e 62 del 1994 della Corte costituzionale), e, pertanto, il potere e dovere di disciplinare l'immigrazione rappresenta una prerogativa essenziale dello Stato in quanto espressione del controllo del territorio;
   per dettato normativo nazionale e comunitario, lo Stato è, dunque, tenuto a garantire il controllo delle proprie frontiere e del proprio territorio, mediante l'identificazione dei soggetti ivi presenti non solo in occasione di fatti criminosi ma anche in relazione alla circostanza che il cittadino clandestino sia effettivamente e nel più breve tempo possibile allontanato dal suolo nazionale;
   alla luce delle considerazioni sopra esposte ad avviso degli interroganti discende necessariamente che, anche sotto il profilo del nesso di causalità, se in generale lo Stato non può essere ritenuto responsabile per i singoli fatti illeciti commessi da singoli soggetti, salvo che questi ultimi abbiano operato per conto dello Stato o non sussistano altri specifici rapporti causali, tuttavia per fatti illeciti commessi da soggetti che non si sarebbero dovuti trovare sul territorio nazionale lo Stato deve sicuramente ritenersi responsabile;
   è evidente, dunque, che a parere degli interroganti lo Stato deve ritenersi responsabile nella causazione della morte del signor Claudio Meggiorin per non aver impedito l'ingresso del signor. Mnela e per non aver provveduto all'espulsione di quest'ultimo, nonostante fosse stato precedentemente già denunciato per altri reati, ed altresì, nel caso, per mancata adozione della misura di sicurezza dell'espulsione da parte dell'autorità giudiziaria, ai sensi di quanto disposto anche dalla legge n. 117 del 1988;
   è onere dello Stato garantire non soltanto la sicurezza dei cittadini, ma anche l'effettiva e celere giustizia nei confronti delle vittime di reato e dei loro familiari;
   pertanto, anche alla signora Elisabetta Garruti, alla signora Alessandra Meggiorin e al signor Giampaolo Meggiorin, rispettivamente madre, sorella e padre della giovane vittima, Claudio Meggiorin, va garantita giustizia per il crimine subito e il risarcimento del danno non patrimoniale, così come disposto dalle sentenze indicate in premessa ma mai corrisposto effettivamente;
   dell'elevato numero di clandestini presenti sul territorio italiano, il cui ingresso nel nostro Paese è agevolato dalle iniziative della maggioranza parlamentare e del Governo degli ultimi due anni in materia di immigrazione e sicurezza, tra cui l'abrogazione del reato di immigrazione clandestina di cui all'articolo 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, l'operazione Mare nostrum, la chiusura di sei centri di identificazione ed espulsione, la mancata applicazione della normativa in materia di espulsione dei cittadini comunitari ed extracomunitari irregolari –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei tragici fatti sopra rappresentati, se, alla luce delle considerazioni sopra esposte, ritenga di dover procedere al risarcimento dei danni a favore della famiglia di Claudio Meggiorin e se intenda avviare un'ispezione ministeriale in relazione ai fatti esposti in premessa.
(3-00790)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BUSINAROLO, BENEDETTI, SILVIA GIORDANO, TOFALO, SARTI e COZZOLINO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 39, entrato in vigore dal 6 aprile 2014 ed attuativo della direttiva 2011/93/UE relativa alla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, prevede anche l'introduzione dell'articolo 25-bis al decreto del Presidente della Repubblica n. 313 del 2002 («Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti»);
   la norma stabilisce che il datore di lavoro che intenda assumere una persona per lo svolgimento di attività professionali o attività volontarie organizzate che comportino contatti diretti e regolari con minori, deve richiedere il certificato penale del casellario giudiziale del medesimo, prima della stipula del contratto, al fine di verificare l'esistenza di condanne per taluno dei reati di cui agli articoli 600-bis («prostituzione minorile»), 600-ter («pornografia minorile»), 600-quater («detenzione di materiale pedo-pornografico»), 600-quinquies («iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile») e al 609-undecies del codice penale, ovvero l'irrogazione di sanzioni interdittive all'esercizio di attività che comportino contatti diretti e regolari con minori;
   l'eventuale violazione di tale obbligo comporterà, per il datore di lavoro, l'irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria avente un importo variabile da 10.000 a 15.000 euro;
   sono emerse parecchie perplessità da parte di presidi e dirigenti scolastici in merito ai tempi e al costo della certificazione ed avevano anche messo in allarme i responsabili di molte organizzazioni del terzo settore che temevano di andare incontro a spese eccessive o alle sanzioni previste dal decreto legislativo n. 39;
   in una nota interpretativa al decreto legislativo del 4 marzo 2014, n. 39, il Ministero della giustizia ha chiarito che l'obbligo del datore di lavoro di richiedere il certificato penale del casellario giudiziale per tali persone sorge nel momento in cui inizia il rapporto di lavoro ed è proprio in riferimento all'atto di assunzione che trova applicazione, in caso di inadempimento, la sanzione pecuniaria dovuta, avrà un importo variabile da 10.000 a 15.000 euro. Inoltre, nella nota si chiarisce che l'articolo 2 del decreto legislativo n. 39 del 2014 non contiene alcuna previsione di retroattività, né può applicarsi retroattivamente la relativa sanzione amministrativa, nel rispetto del principio indicato dall'articolo 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689. Per questo motivo, la disposizione «non si riferisce ai rapporti di lavoro conclusi in epoca anteriore alla entrata in vigore della norma»;
   l'obbligo non sorge ove invece l'associazione si avvalga di forme di collaborazione che non si strutturino all'interno di un definito rapporto di lavoro. I tanti volontari che operano a titolo gratuito presso parrocchie, onlus, associazioni culturali, società e associazioni sportive, e dunque non sono titolari di un vero e proprio contratto di lavoro, non sono soggetti all'accertamento;
   la norma non si applica quindi ad associazioni di volontariato relativamente ai volontari, associazioni sportive dilettantistiche relativamente agli istruttori sportivi in collaborazione (la maggior parte degli istruttori di bambini), associazioni culturali relativamente a collaboratori anche stabili ma non assunti (la maggior parte di coloro che danno lezioni di musica, d'arte o di teatro ai bambini), insegnanti supplenti, esperti esterni ammessi nelle scuole, collaboratori di cooperative. A titolo esemplificativo, in ambito sportivo, nulla dovrà essere richiesto ai soggetti che svolgono attività di mero volontariato né a coloro i quali percepiscono i compensi di cui all'articolo 67, comma 1, lettera m), del TUIR (cosiddetti collaboratori sportivi ex «legge Pescante»);
   con una seconda nota interpretativa, l'ufficio legislativo del Ministero della giustizia ha chiarito che, nei casi in cui la certificazione sia obbligatoria, nelle more del rilascio del certificato regolarmente richiesto da parte del casellario, si potrà procedere all'utilizzo dei lavoratori addetti ai minori previa acquisizione di atto di notorietà avente il medesimo contenuto della dichiarazione sostitutiva di certificazione;
   il certificato penale contiene tutte le sentenze penali passate in giudicato, esclusi però tutti quei procedimenti ancora in corso, denominati «carichi pendenti», che sono indicati invece nel «certificato dei carichi pendenti» emesso dalla Procura della Repubblica;
   in base all'articolo 24 del decreto del Presidente della Repubblica n. 313 del 2002, sono escluse nel certificato alcune tipologie di iscrizioni esistenti nel casellario giudiziale, elencate nel comma 1 del citato articolo, tra cui le condanne emesse dal giudice di pace o condanne emesse da un altro giudice ma di competenza del giudice di pace, le condanne relative ai reati estinti e quelle per contravvenzioni punibili tramite la sola ammenda, e nemmeno tutte le iscrizioni di materia penale attribuite e presenti nel casellario giudiziale, indicate invece nel certificato penale totale, disponibile però solo su richiesta del diretto interessato e delle autorità giudiziarie –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa;
   se il Ministro ritenga che prevedere l'obbligo di acquisire il certificato penale solo in caso di rapporto di lavoro, con conseguente esclusione di tanti volontari che operano a titolo gratuito nelle diverse associazioni, sia sufficiente per raggiungere lo scopo di tutela dei minori che si prefigge la disposizione contenuta nel decreto legislativo n. 39 del 2014;
   se il Ministro ritenga che le informazioni contenute nel «certificato penale», che escludono una serie di iscrizioni esistenti nel casellario giudiziale indicate da comma 1 dell'articolo 24 del decreto del Presidente della Repubblica n. 313 del 2002, siano sufficienti per tutelare i minori;
   se il Ministro ritenga che, dato il costo del certificato, sia opportuno prevedere l'esenzione dal pagamento del bollo nei casi in cui il certificato sia richiesto per motivi di lavoro o di volontariato.
(5-02710)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta immediata:


   SQUERI, BERGAMINI e PALESE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'amministratore delegato della compagnia di Abu Dhabi Etihad, James Hogan, ritiene che la nostra compagnia di bandiera Alitalia possa tornare alla redditività e riprendere slancio grazie ad un'iniezione di 300 milioni di euro e all'acquisto di una quota tra il 40 e il 49,9 per cento da parte della compagnia araba;
   l'Italia è considerata il terzo mercato europeo per il traffico in uscita e ciò la rende attraente per la compagnia araba che avrebbe la possibilità di potenziare la propria rete nel Sud Europa a completamento dei rapporti con Air Berlin, ampliando l'alleanza commerciale di code sharing con Air France-Klm, già legata ad Alitalia e che forse potrebbe ripensarci dopo la mancata sottoscrizione della ricapitalizzazione e la riduzione della partecipazione dal 25 al 7 per cento;
   Carlo Messina, l'amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, la banca principale azionista di Alitalia (20,59 per cento), nonché principale creditore, si augura che la trattativa tra le due compagnie aeree si concluda e, a fronte della richiesta della compagnia araba di una ristrutturazione del debito di Alitalia, insieme alle altre banche creditrici, ha concesso un ulteriore finanziamento per circa 165 milioni di euro e un allungamento, fino a giugno 2015, delle linee di credito in essere;
   la due diligence posta in essere dalla Etihad avrebbe, tuttavia, dovuto già essere conclusa ed è, invece, stata procrastinata per valutare la possibilità per la compagnia italiana di ristrutturare il pesante debito (di circa 550 milioni di euro) che la stessa ha con le principali banche azioniste, (Intesa Sanpaolo e Unicredit), realizzando un abbattimento dello stesso per almeno 400 milioni di euro;
   dalle ultime dichiarazioni dell'amministratore delegato di Etihad non appare, tuttavia, scontato che la due diligence debba necessariamente avere un esito positivo, visto che il top manager ha quantificato al 50 per cento la possibilità che il matrimonio tra le due compagnie venga celebrato;
   la compagnia Etihad non sta valutando soltanto il pesante debito di Alitalia verso le banche, ma anche il costo del lavoro e della burocrazia in Italia. Secondo Hogan, Alitalia dovrebbe ottenere economie per 128 milioni di euro e focalizzarsi sui voli intercontinentali piuttosto che su quelli – meno remunerativi – a medio raggio, con conseguenti ricadute in termini di tagli al personale;
   la compagnia araba chiede, inoltre, garanzie rispetto al fatto che i pregressi contenziosi penali e fiscali che pendono sulla compagnia italiana, e che potrebbero trasformarsi in ulteriori esborsi futuri, non ricadano sui nuovi soci;
   la compagnia tedesca Lufthansa ha attaccato il progetto di alleanza tra Etihad e Alitalia in quanto lo reputa un aiuto di Stato mascherato, che comporta un aggiramento delle regole europee della concorrenza e, dal momento che Etihad non intende comprare azioni dai soci attuali, ma sottoscrivere un aumento di capitale, nell'acquisto di quest'ultimo dovrebbe rispettare il tetto azionario del 50 per cento stabilito per le compagnie extraeuropee. Si ventila anche un tentativo della compagnia franco-olandese Air France-Klm di frenare l'accordo;
   da ultimo è slittato il consiglio di amministrazione di Alitalia previsto per il 14 aprile 2014 a Milano, riunione che era stata convocata dal presidente Roberto Colaninno dopo le assicurazioni del Governo all'indomani dell'incontro del 10 aprile 2014 tra il Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, e l'amministratore delegato di Etihad, James Hogan;
   il consiglio di amministrazione ha, dunque, esaminato le condizioni base del negoziato finale che la compagnia degli Emirati Arabi Uniti ha reso note soltanto il 17 aprile 2014 e sulle quali, secondo fonti governative e a detta del Ministro interrogato, ci si aspetta un rigido controllo del Governo per quanto riguarda il piano industriale, lo sviluppo strategico e il piano occupazionale; dopo tale riunione si è in attesa della risposta della compagnia araba;
   tuttavia, sembra che la compagnia di Abu Dhabi abbia frenato sull'accordo in cantiere, sottolineando la perdurante assenza delle garanzie richieste sulla rinegoziazione del debito bancario dell’Alitalia, sui nodi finanziari e legali del passato e sulla gestione degli esuberi; a più di due mesi dall'apertura formale della due diligence, annunciata il 2 febbraio 2014, rimangono irrisolti i punti chiave, le condizioni e i paletti posti da Etihad:
    a) la riduzione del debito per 400 milioni di euro che le banche dovrebbero convertire in capitale e una garanzia sulle passività e pendenze legali e finanziarie del passato di Cai, in particolare per il contenzioso con l'ex proprietario di Air One, Carlo Toto, originato da una multa fiscale di 40 milioni di euro che Alitalia vuole ribaltare su Toto, il quale si oppone;
    b) il taglio del costo del lavoro con circa 3.000 esuberi definitivi (e non in cassa integrazione guadagni straordinaria temporanea o con contratti di solidarietà);
    c) il riassetto regolamentare negli aeroporti con l'ampliamento dei voli di Linate, la riduzione degli spazi per le compagnie low cost e delle autorizzazioni alle compagnie extraeuropee a fare voli intercontinentali in libertà, di cui sono un esempio quella concessa a Emirates per il volo Malpensa-New York (autorizzazione bocciata pochi giorni fa dal tribunale amministrativo regionale del Lazio, ma la decisione non è esecutiva);
    d) l'arrivo dell'alta velocità ferroviaria negli aeroporti, in particolare in quello di Fiumicino;
   non è, infatti, un mistero che Etihad voglia forzare la limitazione dell'uso degli slot (fasce orarie) a Linate per poter sostituire i voli Milano-Roma con rotte europee e forse anche extraeuropee, più utili alla compagnia araba per servire i propri hub (scali principali);
   la Commissione europea ha acceso un faro sulla trattativa in corso tra Alitalia e Etihad, chiedendo alle autorità italiane di «vigilare» sull'operazione perché sia in regola con le norme dell'Unione europea relative alla proprietà e al controllo delle compagnie aeree;
   al momento Bruxelles sta esaminando le partecipazioni di vari gruppi extraeuropei in compagnie aeree europee. In particolare, sono sotto indagine la partecipazione di Etihad in Air Berlin, la quota di Delta Air Lines in Virgin Atlantic, la quota dei cinesi di Hnca in Cargolux del Lussemburgo e la partecipazione di Korean Air nella compagnia di bandiera ceca Czech Airlines;
   la Commissione europea ha chiesto agli Stati membri, dove le compagnie sono registrate, i dettagli su come questi investimenti rispettino le regole europee in materia di proprietà e controllo delle compagnie aeree, dal momento che le regole dell'Unione europea prevedono che una quota superiore al 50 per cento di ciascuna compagnia aerea europea debba essere in capo a Stati o aziende dell'Unione europea, che devono, inoltre, dimostrare di avere un reale controllo sulla compagnia –:
   quale sia la reale situazione delle risorse della compagnia aerea Alitalia per evitare la dichiarazione di fallimento e, in senso più ampio, se il Governo abbia intenzione di attivarsi per controllare che l'accordo con Etihad non comporti una situazione di disagio per la gestione degli aeroporti italiani e garantisca la tutela delle rotte nazionali, oltre che il piano industriale della società. (3-00786)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PARENTELA, NESCI, DIENI e TOFALO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi del Regolamento dighe, con voto n. 352 del 28 giugno 1979 della IV Sezione del Consiglio superiore dei lavori pubblici e con delibera n. 4818 del 19 dicembre 1979 dalla Cassa del Mezzogiorno per un importo di 71.270 milioni di lire pari a 36,8 milioni di euro venne approvato il progetto esecutivo per un invaso nella valle del fiume Esaro, nella provincia di Cosenza;
   il progetto era finalizzato all'utilizzazione delle acque dei bacini dei fiumi Esaro ed Abatemarco per il potenziamento e la razionalizzazione degli schemi acquedottistici a servizio di un'ampia parte del territorio della provincia di Cosenza;
   l'utilizzo a pieno regime dell'invaso avrebbe garantito una produzione idroelettrica di 30 gigawatt anno, ad un uso potabile di 750 l/s e ad un utilizzo irriguo di 1.300 l/s;
   la consegna dei lavori all'ATI aggiudicataria Lodigiani-Del Favero-Italstrade è avvenuta il 6 settembre 1983 con un tempo di esecuzione determinato in 1.720 giorni;
   a seguito del prolungarsi delle procedure di esproprio e di una serie di perizie di variante, le lavorazioni sono iniziate solo nel 1986 per essere sospese il 17 dicembre 1987 a seguito di una frana verificatasi nell'area della spalla sinistra della diga;
   nel 1989 è stata approvata la cosiddetta 8a perizia, con la quale è stato rideterminato, in 112,3 milioni di euro, il fabbisogno finanziario necessario per completare l'opera e consolidare la frana;
   a seguito dell'intervenuta liquidazione dell'Agensud e di un lungo contenzioso con l'appaltatore, culminato con la risoluzione del contratto nel dicembre 1992, la competenza della realizzazione dell'intervento è stata trasferita alla regione Calabria che, nelle more dell'esecuzione dell'intera opera, ha approvato con decreto n. 498 del 17 gennaio 2002 il progetto «Diga Alto Esaro a Cameli e collegamento Abatemarco per Cosenza – stralcio funzionale dell'8a perizia PS 26/3100/A – Messa in sicurezza dell'opera» per un importo complessivo di 55,2 milioni di euro;
   dopo l'affidamento effettuato nel 2002 da parte della stazione appaltante Sorical spa (gestore del servizio idrico regionale) all'impresa Torno Internazionale spa, si sono succedute 3 perizie di variante ed il subentro, come impresa appaltatrice principale, della Impresa spa che ha acquisito il cantiere della Torno;
   nel 2005 la regione Calabria stanzia ulteriori 78 milioni di euro per vedere finalmente completata l'opera. Dall'82, al 2005, sono già stati spesi oltre 350 milioni di euro, per un'opera che non vede neanche il 20 per cento dei lavori in corso. Nonostante questo ulteriore finanziamento pubblico, nel 2006, a causa di un contenzioso fra appaltatore ed amministrazione, 70 operai vengono licenziati dalla ditta Torno, società addetta alla costruzione della diga dell'Esaro;
   ad oggi risultano sostanzialmente conclusi i lavori relativi alla messa in sicurezza del sito (consolidamento fondazione diga e spalle) e quelli delle opere accessorie di valle (vasca di dissipazione, soglie del canale di restituzione, strada di collegamento spalla sinistra-fondovalle);
   con deliberazione 62/2011 «Individuazione ed assegnazione di risorse ad interventi di rilievo nazionale ed interregionale e di rilevanza strategica regionale per l'attuazione del piano nazionale per il Sud», il CIPE ha finanziato con un importo di 122 milioni di euro l'intervento descritto come «Sistema Esaro: Costruzione corpo diga»;
   nella seduta dell'8 agosto 2013 il Cipe ha approvato la riprogrammazione di risorse assegnate alla regione Calabria nell'ambito del Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) con la delibera n. 62/2011, per assicurare copertura finanziaria alle esigenze della società Ferrovie della Calabria s.r.l. per 65 milioni di euro e il completamento della diga del Menta con 12 milioni di euro, togliendo di fatto i finanziamenti per il completamento della diga dell'alto Esaro;
   per far spazio al cantiere della diga è stata sventrata un'intera valle, sono state espropriate 160 abitazioni e diversi terreni ad uso agricolo, ma ad oltre 30 anni dall'inizio dei lavori la diga non è mai entrata in funzione;
   la diga sull'Esaro sarebbe potuta diventare la più grande diga d'Europa con una portata, a pieno regime, di 120 milioni di metri cubi di acqua;
   sarebbe opportuno ad avviso degli interroganti approntare strumenti di controllo della salubrità ambientale e dell'impatto sull'ambiente relativo alla presenza di presidi d'opera, macchinari ed infrastrutture industriali ormai in disuso che rappresentano una seria minaccia per l'incolumità dell'ecosistema della zona –:
   se non ritengano opportuno, per quanto di propria competenza, attivarsi per garantire i fondi economici necessari al completamento dell'opera;
   se non ritengano necessario, per quanto di competenza, far luce su quanto avvenuto nella realizzazione del progetto di cui in premessa e quantificare i fondi statali complessivamente spesi ad avviso degli interroganti in modo non proficuo. (4-04664)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dopo un susseguirsi di indiscrezioni sugli organi di stampa nelle ultime settimane, il commissario dell'autorità portuale di Napoli, ammiraglio Felicio Angrisano, dopo aver svolto una meritoria opera, ha annunciato ai dipendenti dell'autorità stessa di aver fatto pervenire alcuni giorni fa una lettera di dimissioni dal proprio incarico al Ministro interrogato;
   sempre secondo quanto si apprende da fonti di stampa, il successore più accreditato sarebbe Giovanni Guglielmi, ex soprintendente alle opere pubbliche della Campania e sotto processo a L'Aquila per presunte irregolarità negli appalti nella ricostruzione successiva al terremoto del 2009. Secondo l'accusa, il costo dei certificati delle scuole dell'Aquila – effettuati pochi mesi dopo il sisma – furono gonfiati, quasi del 300 per cento, per avere alcune aziende «vicine» all'allora provveditore alle opere pubbliche dell'Abruzzo, del Lazio e del Molise, Giovanni Guglielmi; proprio a Guglielmi, nell'ottobre 2012 fu notificato l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria nel comune di Roma, essendogli contestati i reati di turbativa d'asta, falso, abuso d'ufficio e appalto non autorizzato;
   nelle ultime settimane, sempre secondo quanto si apprende da fonti di stampa, Guglielmi si sarebbe recato ripetutamente presso la sede dell'autorità portuale, anche in compagnia del capo di gabinetto del Ministro interrogato, Giacomo Aiello. In tali occasioni avrebbe svolto incontri con i responsabili dei procedimenti (RUP) incaricati di seguire l’iter del grande progetto per lo scalo marittimo napoletano;
   in assenza di una nomina esplicita, risulta del tutto irrituale e anomalo che Guglielmi si sia recato presso l'autorità a svolgere incontri, addirittura accompagnato in una occasione da un alto dirigente del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   secondo altre indiscrezioni di stampa, sarebbe in lizza per l'importante nomina anche il presidente in scadenza dell'autorità portuale di Gioia Tauro, Giovanni Grimaldi;
   per i prossimi giorni si attende l'imminente decisione del TAR Campania sul ricorso cautelare presentato dal senatore Riccardo Villari, il quale chiede che il tribunale amministrativo ordini al Ministro interrogato di nominarlo definitivamente quale presidente dell'autorità portuale –:
   quali siano i criteri con cui il Ministro interrogato stia procedendo in queste settimane per l'ineludibile e ormai improcrastinabile individuazione di un nuovo presidente dell'autorità portuale di Napoli;
   a quale titolo e con quale finalità Giovanni Guglielmi si sarebbe recato presso l'autorità per incontrare alcuni funzionari dell'autorità medesima;
   se corrispondano al vero le indiscrezioni secondo cui il Ministro sarebbe intenzionato ad avviare l’iter per la nomina di Guglielmi;
   qualora ciò dovesse corrispondere al vero, quale sia – nell'opinione del Ministro – l'opportunità di una simile nomina visti i procedimenti giudiziari che riguardano Guglielmi e anche quali siano i criteri curriculari che condurrebbero il Ministro a tale scelta, anche alla luce della importante e recente giurisprudenza del Consiglio di Stato (sentenza dello scorso 26 settembre 2013 sul cosiddetto «caso Massidda») e qualora ciò non dovesse corrispondere al vero, quali siano le reali intenzioni del Ministro per porre fine ad una condizione commissariale che si protrae da troppo tempo. (4-04669)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta immediata:


   GIANCARLO GIORDANO, COSTANTINO, FRATOIANNI, ZAN, PELLEGRINO, ZARATTI, MIGLIORE, DI SALVO, PIAZZONI e BOCCADUTRI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   le norme approvate nel corso della XVII legislatura in materia di edilizia scolastica vanno a sommarsi ad un lungo elenco di disposizioni normative approvate nel corso dell'ultimo decennio. La mancanza di una legislazione unitaria ha dato luogo al sovrapporsi di diversi filoni di interventi di edilizia scolastica ed ha spinto il Parlamento, in sede di conversione del decreto-legge n. 104 del 2013 ad inserire una disposizione volta ad imporre ai Ministeri competenti (vale a dire quelli dell'economia e delle finanze, delle infrastrutture e dei trasporti e dell'istruzione, dell'università e della ricerca) l'obbligo di relazionare annualmente alle Camere sullo stato di avanzamento dei lavori e sull'andamento della spesa destinata ai medesimi interventi: 1) dalle disposizioni emanate nel corso della XVII legislatura (comma 1 dell'articolo 10 del decreto-legge n. 104 del 2013 e articolo 18 del decreto-legge n. 69 del 2013); dal fondo unico per l'edilizia scolastica, nel quale l'articolo 11, comma 4-sexies, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, ha fatto confluire tutte le risorse iscritte nel bilancio dello Stato comunque destinate a finanziare interventi di edilizia scolastica; e infine, da ulteriori stanziamenti destinati alle medesime finalità nel bilancio dello Stato ai sensi della normativa vigente;
   nell'ambito della legge di stabilità per il 2014, legge n. 147 del 2013, è stata, inoltre, approvata una norma (articolo 1, comma 206) che introduce, tra le finalità cui possono essere destinate le risorse della quota di competenza statale dell'8 per mille del gettito irpef, gli interventi straordinari relativi a ristrutturazione, miglioramento, messa in sicurezza, adeguamento antisismico ed efficientamento energetico degli immobili di proprietà pubblica adibiti all'istruzione scolastica;
   l'attuale Governo e, in particolare, il Presidente del Consiglio dei ministri avevano annunciato, sin dai primissimi giorni successivi all'insediamento, un piano straordinario per la messa in sicurezza delle scuole italiane che avrebbe previsto il finanziamento di 3,5 miliardi di euro, tra i fondi già disponibili e le risorse recuperate dall'allentamento del patto di stabilità interno, oltre che l'istituzione di una cabina di regia per la gestione degli interventi;
   sono passati due mesi da tale annuncio; pur tuttavia, l'unico provvedimento varato sino ad oggi che interviene in modo puntuale sulle risorse relative all'edilizia scolastica è rappresentato dal decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, recante «Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale», che, all'articolo 48, prevede in concreto solo 244 milioni di euro per il biennio 2014-2015 ai fini dell'esclusione dal patto di stabilità interno. Inoltre, il medesimo articolo 48, con riferimento agli interventi di cui all'articolo 18, comma 8-ter, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98 (il cosiddetto decreto del fare), recante disposizioni in materia di riqualificazione e di messa in sicurezza delle istituzioni scolastiche statali, con particolare riguardo a quelle in cui è stata censita la presenza di amianto, prevede un intervento di assegnazione di risorse del Cipe, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, nell'ambito della programmazione nazionale del fondo per lo sviluppo e la coesione relativa al periodo 2014-2020, fino all'importo massimo di soli 300 milioni di euro, previa verifica, peraltro, dell'utilizzo delle risorse assegnate nell'ambito della programmazione 2007-2013 del fondo medesimo e di quelle assegnate a valere sugli stanziamenti relativi al programma delle infrastrutture strategiche per l'attuazione di piani stralcio del programma di messa in sicurezza degli edifici scolastici;
   l'annunciato finanziamento da parte dell'Esecutivo pari a 3,5 miliardi di euro non ha trovato alcun riscontro nell'ambito di tutti provvedimenti varati sino ad oggi;
   solo la scorsa settimana il Ministro interrogato, al termine di un'audizione svoltasi alla Camera dei deputati, ha dichiarato, come pure si evince dalla stampa nazionale, di aver concordato un incontro con il Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, per capire effettivamente quali siano le possibilità economiche «perché si programma quando ci sono fondi certi»;
   per quanto risulta agli interroganti, risulterebbero circa 4.500 scuole che hanno già inoltrato le loro richieste per l'apertura dei cantieri –:
   quali elementi il Governo intenda fornire al Parlamento, per quanto di competenza, sulla certezza delle risorse che il Governo intende concretamente destinare al finanziamento dell'edilizia scolastica alla luce di quanto descritto in premessa.
(3-00792)


   SANTERINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   si registrano ritardi nel cronoprogramma dei decreti attuativi del decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104, recante «Misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca», convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2013, n. 128;
   allo stato risulterebbero emanati, nei tempi previsti dal provvedimento, solo alcuni decreti: quello relativo al bando nazionale per i progetti delle scuole contro la dispersione scolastica, emanato il 7 febbraio 2014, quello per finanziamenti agli istituti per le reti wireless, emanato il 9 ottobre 2013, ed il decreto relativo all'assunzione dei docenti su posto di sostegno del 6 febbraio 2014;
   mancherebbero all'appello quello relativo all'assegnazione delle risorse alle scuole per l'acquisto di libri e tablet (il cui termine era il 20 ottobre 2013) e quello per l'attribuzione di contributi e benefici agli studenti delle medie e delle superiori, che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze e d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, avrebbe dovuto attuare entro il 2 dicembre 2013, cui sarebbero dovuti seguire i bandi regionali;
   entro il 10 febbraio 2014 doveva partire il monitoraggio per valutare i sistemi di istruzione professionale, tecnica e liceale per poi concludersi entro un anno, ma manca il finanziamento;
   a maggio 2014 dovrebbero essere adottati: il codice di autoregolamentazione da parte di mass media e produttori sui contenuti dei messaggi pubblicitari sulle sigarette elettroniche ed il regolamento sulle modifiche alla durata del permesso di soggiorno per stranieri per la frequenza di corsi di studio e per formazione;
   entro il 2014 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca dovrebbe, infine, definire come integrare le anagrafi degli studenti, misura particolarmente importante per prevenire la dispersione scolastica;
   vi sono poi altri provvedimenti attuativi per i quali non è stata definita una scadenza, né i relativi finanziamenti, come i programmi di educazione alimentare, le linee guida per una corretta alimentazione e la sperimentazione per il triennio 2014-2016 di periodi di formazione in azienda degli studenti degli ultimi due anni delle superiori –:
   se non ritenga di procedere senza ulteriori ritardi all'adozione dei decreti attuativi relativi al decreto-legge citato in premessa e di verificare, in particolare, se sia stata rispettata l'equa distribuzione dei posti di sostegno stabilizzati tra tutte le regioni, come prescriveva l'articolo 15, comma 2-bis, del citato decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2013, n. 128, atteso che risulta che la percentuale degli insegnanti stabilizzati non sia uguale in tutte le regioni, ma che la metà delle regioni ha valori più alti.
(3-00793)


   MOLEA, CAPUA e VEZZALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la scuola è afflitta da una «piaga»: quella del precariato;
   le legittime aspettative di generazioni di maestri e professori si sono trasformate in un'ingiusta «guerra tra poveri»: precari e abilitati a seguito del tirocinio formativo attivo, docenti in ruolo e supplenti, idonei e inidonei, visibili e invisibili. Ciascuno portavoce di legittime rivendicazioni;
   come il Ministro interrogato ha ricordato, nell'illustrazione delle linee programmatiche presso la Commissione cultura, scienza e istruzione della Camera dei deputati, «alcuni aspettano qualche anno, altri un decennio, altri ancora erano precari quando hanno iscritto un figlio alla prima elementare e continuano ad esserlo ancora, quando lo stesso figlio si diploma alla fine del liceo»;
   i numeri parlano chiaro: per il personale amministrativo, tecnico e ausiliario, si hanno poco meno di 50 mila persone che svolgono – ormai «stabilmente» – un lavoro precario nelle scuole;
   per i docenti:
    a) poco meno di 170 mila sono inseriti nelle cosiddette graduatorie ad esaurimento di I, II, III fascia e IV fascia aggiuntiva, che costituiscono il cosiddetto precariato storico;
    b) più di 460 mila sono inseriti nelle graduatorie di istituto e utilizzati per le supplenze annuali e fino al termine delle lezioni, di cui 168 mila iscritti nelle graduatorie ad esaurimento;
    c) oltre 10 mila abilitati a seguito del tirocinio formativo attivo;
    d) quasi 70 mila hanno maturato titoli di servizio utili all'abilitazione grazie ad un percorso abilitante speciale;
    e) 55.000 diplomati magistrali;
    f) 40.000 idonei di vecchi concorsi;
   il precariato, alla luce di questi numeri, è un problema rilevante sotto il profilo quantitativo, drammatico per le vite di molte persone e di molte famiglie;
   non si può ignorarlo nella speranza che scompaia;
   più volte il Ministro interrogato ha ribadito l'esigenza di scegliere: soccombere all'emergenza o programmare, avvitarci nella contingenza o lavorare ad aggiustamenti strutturali;
   ebbene, il bivio più importante di tutti da affrontare è proprio questo, ossia se continuare ad approcciarsi al tema del precariato della scuola in termini emergenziali o darsi una prospettiva lungimirante che miri a risolvere la problematica strutturalmente –:
   come intenda affrontare la questione del reclutamento ai fini di contemperare l'esigenza di garantire una nuova classe di insegnati e allo stesso tempo soddisfare le legittime aspettative di chi come precario ha permesso sino ad oggi al sistema scolastico di non collassare, se intenda indire un nuovo concorso e come intenda corrispondere alle aspettative di tanti giovani laureati e non abilitati al fine di una loro partecipazione al concorso. (3-00794)


   RAMPELLI, LA RUSSA, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nei moduli per l'iscrizione ad istituti scolastici e prescolastici per il prossimo anno in alcune aree territoriali le diciture «padre» e «madre» sono state sostituite dalle diciture «genitore 1» e «genitore 2»;
   le nuove diciture mortificano profondamente tutti quei genitori che vivono con normalità ma anche con orgoglio la propria genitorialità, tanto che il caso di una madre milanese, che ha cancellato «genitore 1» sostituendolo con «mamma», sta raccogliendo migliaia di consensi sul web;
   definire un padre ed una madre semplicemente come «genitore 1» e «genitore 2» significa svilire quel concetto di famiglia, i cui diritti sono espressamente riconosciuti dalla Costituzione –:
   sulla base di quali normative o istruzioni ministeriali sia stato disposto il cambio delle denominazioni sui moduli per l'iscrizione degli alunni di cui in premessa e se non lo ritenga lesivo della dignità di tutti quei genitori che sono semplicemente «papà» e «mamma». (3-00795)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   GAGNARLI, MASSIMILIANO BERNINI, GALLINELLA, L'ABBATE, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'indicazione dell'origine sull'etichetta per le carni bovine ed i prodotti a base di carni bovine all'interno dell'Unione europea è obbligatoria dal 1o gennaio 2002, come conseguenza della crisi dell'encefalopatia spongiforme bovina (ESB);
   i dati presenti in etichetta per le carni bovine ed i prodotti a base di carni bovine hanno aumentato le aspettative dei consumatori per quanto riguarda le informazioni sull'origine di altri tipi di carni largamente consumate nell'Unione, ad esempio quelle suine, ovine, caprine;
   il Parlamento europeo, infatti, ha adottato una proposta di risoluzione sul regolamento di esecuzione (UE) n. 1337/2013 della Commissione, che fissa le modalità di applicazione del regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda l'origine obbligatoria per le etichette delle carni fresche, refrigerate o congelate di animali della specie suina, ovina, caprina e di volatili;
   la proposta di risoluzione del Parlamento europeo invita la Commissione a ritirare il regolamento di esecuzione (UE) n. 1337/2013 e a predisporre una versione modificata che preveda l'indicazione obbligatoria in etichetta del luogo di nascita, dei luoghi di allevamento e di macellazione dell'animale per le carni non trasformate di animali della specie suina, ovina, caprina e di volatili, in conformità alla legislazione vigente in materia di etichettatura di origine delle carni bovine. La Commissione viene inoltre invitata ad eliminare le deroghe previste per le carni macinate e le rifilature;
   anche in Italia, a tutela del consumatore e dell'elevato profilo qualitativo della produzione italiana sul mercato nazionale ed estero, in data 1o aprile 2014 in Commissione agricoltura alla Camera è stata approvata una risoluzione (n. 8-00048 Gagnarli e altri) con la quale il Governo si è impegnato, tra le altre cose, ad intervenire con urgenza presso le competenti istituzioni europee, affinché sia introdotto l'obbligo di etichettatura di origine anche per le carni di coniglio e per i prodotti trasformati a base di coniglio, sia intero che porzionato, al fine di garantire una maggior certezza giuridica a tutti gli operatori della filiera e una corretta informazione ai consumatori;
   a parere degli interroganti, nonostante il regolamento di esecuzione (UE) n. 1337/2013, l'attuale impostazione normativa dell'Unione europea non rispecchia i princìpi di salvaguardia del made in Italy; piuttosto avvantaggia i gruppi industriali dell'alimentazione sfavorendo le peculiarità tipiche territoriali del nostro Paese;
   l'elevata qualità del prodotto alimentare italiano non è solo legata alla maestria e professionalità utilizzate in fase di trasformazione, ma è insita nelle materie prime del nostro Paese. Di conseguenza, i tratti distintivi del made in Italy andrebbero utilizzati allorquando l'intera filiera di produzione e trasformazione sia italiana;
   il richiamo EU Pilot (anticamera di una procedura d'infrazione, 5938/12/SNCO) evidenzia il contrasto della legislazione italiana, ed in particolare della legge n. 4 del 2011 sull'etichettatura, rispetto alla normativa europea, soprattutto nei riguardi del regolamento (UE) n. 1169/2011 e dell'articolo 24 del codice doganale dell'Unione europea;
   il regolamento (UE) n. 1169/2011, infatti, pur introducendo princìpi migliorativi e semplificativi per la protezione e l'informazione dei cittadini europei in termini di leggibilità e chiarezza delle etichette, prevede l'indicazione obbligatoria solo nel caso in cui la sua omissione possa indurre il consumatore in errore circa l'effettiva provenienza del prodotto alimentare. Mentre l'articolo 4, comma 2, della legge n. 4 del 2011 prevede che per i prodotti alimentari non trasformati, l'indicazione del luogo di origine o di provenienza riguardi il Paese di produzione dei prodotti, mentre per i prodotti alimentari trasformati, l'indicazione riguardi il luogo in cui è avvenuta l'ultima trasformazione sostanziale e il luogo di coltivazione e allevamento della materia prima agricola prevalente;
   la Commissione europea contesta questa doppia indicazione del Paese di trasformazione e del Paese di origine della materia prima agricola, ritenendo (articolo 39 del regolamento n. 1169) la prima obbligatoria e la seconda necessaria solo in caso di induzione all'errore del consumatore;
   ulteriori contestazioni della Commissione europea riguardano la mancanza di notifica da parte dello Stato italiano dei provvedimenti normativi in merito alla materia e ai decreti ministeriali, così come previsti all'articolo 4, comma 3, della legge n. 4 del 2011, che non sono stati emessi nonostante il termine dei 60 giorni dalla data di entrata in vigore;
   a parere degli interroganti, tuttavia, l'attuale normativa italiana, rappresentata dall'articolo 4, comma 49-ter e seguenti, della legge n. 350 del 2003, modificata dal decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, contestata dalla Commissione europea, pur necessitando di una migliore ed inequivocabile organicità, è uno strumento fondamentale per la lotta alla contraffazione;
   in data 14 gennaio 2014 la Camera dei deputati ha approvato all'unanimità la mozione n. 1-00311 sull'etichettatura dei prodotti agroalimentari chiedendo di dare attuazione alla legge n. 4 del 2011, attraverso l'emanazione dei decreti ministeriali, ed impegnando il Governo ad intraprendere le necessarie iniziative per una maggiore tutela della provenienza di origine della produzione agroalimentare proprio andando a completare le disposizioni del regolamento (UE) n. 1169/2011;
   la Commissione europea, all'interno del richiamo EU Pilot 5938/12/SNCO, si è detta preoccupata dell'adozione di tale mozione –:
   quali azioni intenda promuovere in ambito comunitario, anche nel contesto della presidenza del semestre europeo, per garantire una maggiore tutela del made in Italy e dei consumatori e per sollecitare la Commissione europea a considerare la proposta di risoluzione del Parlamento europeo di modifica del regolamento di esecuzione (UE) n. 1337/2013, circa le indicazioni obbligatorie in etichetta per le carni non trasformate di animali della specie suina, ovina, caprina e di volatili, nonché le indicazioni contenute nella risoluzione n. 8-00048 della Commissione agricoltura della Camera circa l'introduzione dell'obbligo di etichettatura di origine anche per le carni di coniglio e per i prodotti trasformati a base di coniglio;
   quali siano le iniziative che il Governo intenda adottare in relazione all'attuazione degli indirizzi di cui alla mozione n. 1-00311 approvata dal Camera dei deputati il 14 gennaio 2014 in materia di etichettatura dei prodotti agroalimentari. (4-04666)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COLLETTI e VACCA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 29 dicembre 2010 la asl n. 1 di Avezzano-Sulmona-L'Aquila, con la delibera n. 2142 si propone di acquistare un sistema complesso «MrgFUS» di RM 3T con ultrasuoni focalizzati comprensivo di 1 sistema discovery MR750 3.0T (risonanza magnetica 3Tesla) e di 1 sistema ExAblate 2100 comprensivo di modulo di ricerca clinica terapia metastasi ossee conformazionale;
   tale delibera richiede l'acquisto di un bene, dichiarato infungibile, attraverso una procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara attraverso un accordo con le ditte GE Medical Systems Italia Spa e Promedica Bioelectronics;
   in precedenza tale acquisto era stato già richiesto dal professor Carlo Masciocchi, dall'ingegner Fabrizio Andreassi e dal dottor Paolo Spaziani, incaricati dalla dottoressa Franca Milani, direttore del dipartimento economico finanziario dell'ente, per la verifica;
   in totale il costo per l'ente per l'acquisto dell'attrezzatura risulta essere di ben 3.660.000,00 euro iva compresa;
   in data 23 settembre 2011 il Ministero della salute, con nota n. 0038927, rifiuta l'acquisto da parte della Asl n. 1 poiché tali macchinari possono essere acquistati solo dai centri previsti dall'articolo 4, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 542 del 1994 ovvero «grandi complessi di ricerca e studio ad alto livello scientifico» quali IRCSS o università;
   la risonanza magnetica da 3 Tesla è impiegata molto poco per scopi clinici di routine poiché risulta essere una risonanza esclusivamente per scopi di ricerca;
   visto il diniego del Ministero della salute la Asl n. 1 stipula una convenzione con due delibere, la n. 1709/2013 e la n. 218/2014 con il DISCAB, ovvero il dipartimento di scienze cliniche applicate e biotecnologiche dell'università de L'Aquila il quale non risulta essere un ente con personalità giuridica;
   l'unico requisito e progetto della citata convenzione sembra essere l'uso della risonanza magnetica a 3 Tesla;
   dal testo della deliberazione n. 1709/2013 risulta inoltre che la Asl n. 1 abbia già acquistato la RM a 3 Tesla nonostante il diniego del Ministero della salute;
   tale acquisto risulta agli atti anche della delibera n. 710 del 18 aprile 2014 ove è dato atto dell'acquisto di un bene ancora da consegnare ed installare, ad un prezzo indicato di euro 1.750.000,00 senza specificare se sia prezzo comprensivo di iva;
   a parere degli interroganti tale convenzione finisce di fatto per sviare la normativa in questione; ed il diniego del Ministero della salute;
   risulta inoltre agli interroganti che esistano dei macchinari alternativi alla RM 3 Tesla quali ad esempio alcuni forniti dalla Siemens o dalla Philips ovvero dall'Hifu, con centraggio e focalizzazione ultrasuoni, già installata ed utilizzato presso lo IEO di Milano –:
   se il Ministro della salute sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa;
   se i Ministri interrogati riconoscano la infungibilità della risonanza magnetica da 3 Tesla ovvero se nelle procedure Consip vi siano altre ditte che offrono il medesimo bene/servizio ed a che prezzo, quali ad esempio Hifu, Siemens o Philips;
   se il Ministro della salute a seguito della Convenzione tra Asl e Dicab, abbia poi autorizzato l'acquisto della risonanza magnetica 3 Tesla in contrasto con la nota n. 38927 del 2011 e se non ritenga più aderente alla legge che l'acquisto dovesse essere fatto dalla Dicab e non dalla Asl n. 1 come poi effettivamente avvenuto e se la stessa DICAB rispetti i requisiti di cui all'articolo 4, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 542 del 1994;
   se il Ministro della salute ritenga tale acquisto legittimo alla luce delle disposizioni vigenti ovvero, qualora illegittimo, se intenda segnalare il fatto alla Corte dei conti. (5-02711)

Interrogazione a risposta scritta:


   BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con atto n. 4-03905 si interrogava il Ministro della salute in merito alle incongruenze dei dati, riscontrabili confrontando il database ministeriale dei prodotti fitosanitari con il progetto FAS Veneto 2012 (fitosanitari-ambiente-salute – piano regionale di controllo ufficiale sul commercio e impiego dei prodotti fitosanitari) e le schede di sicurezza autoprodotte delle aziende chimiche e dagli enti e istituzioni internazionali (SdS);
   le incongruenze emerse dal lavoro di analisi effettuato dall'associazione WWF AltaMarca, riguardano soprattutto le classi di rischio;
   gli sviluppatori del progetto FAS-2012 hanno assegnato classe di rischio «nc» (non classificato) oppure «mcp» (maneggiare con prudenza) a fitosanitari classificati N dal Ministero e cioè nocivi o tossici anche nel lungo periodo per l'ambiente acquatico;
   su 699 voci di fitosanitari registrate nel progetto FAS-2012 sulla base dell'analisi fatta dagli interroganti risultano: n. 28 schede senza la classe di rischio nel database ministeriale; n. 7 schede senza la classe di rischio e l'etichetta nel database ministeriale; n. 428 schede senza corrispondenza tra le classi di rischio assegnate nel database ministeriale e le classi di rischio assegnate ai principi attivi, nelle schede sicurezza, autoprodotte dalle aziende chimiche o nei database dei principi attivi, aggiornati e gestiti da enti e istituzioni universitarie europee; in diversi casi si riscontrano discordanze tra la classe di rischio assegnata nel database ministeriale rispetto all'etichetta ministeriale;
   con atto n 4-04523 si interrogava in merito ad alcuni fitosanitari revocati dal Ministero e che sarebbero stati venduti nell'anno 2012 nelle aree ULSS 7 e ULSS 8 della provincia di Treviso; anche in questo caso il confronto fu tra il progetto FAS Veneto 2012, il database dei prodotti fitosanitari del Ministero della salute e la banca dati degli agrofarmaci «Fitogest» –:
   se le stesse incongruenze siano riscontrabili anche in altre regioni d'Italia e come si intenda ovviare al problema affinché vi sia una corrispondenza di dati certi e corretti in tutti gli strumenti informativi messi a disposizione del cittadino in tutto il territorio nazionale;
   se il Ministro non ritenga, a tutela dei cittadini, di dover effettuare tutte le verifiche necessarie sul commercio e impiego dei prodotti fitosanitari, di tutte le regioni italiane. (4-04668)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta immediata:


   GALLINELLA, DAGA, LUPO, BUSTO, MASSIMILIANO BERNINI, DE ROSA, BENEDETTI, TERZONI, GAGNARLI, MANNINO, L'ABBATE, SEGONI, PARENTELA, ZOLEZZI e MICILLO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dal mese di luglio 2013 è ufficialmente in corso il negoziato tra Unione europea e Stati Uniti per la conclusione dell'accordo di partenariato economico-finanziario noto come Transatlantic trade and investment partnership o Ttip;
   la creazione di una zona euro-americana di libero scambio, priva di frontiere interne, ha conseguenze estremamente significative per il quadro normativo globale in materia di commercio ed investimenti ed impone un'attenta riflessione che evidenzi tutte le implicazioni di un'iniziativa che, oltre ai benefici economici, ha anche rilevanti finalità politiche;
   le condizioni per la creazione della Transatlantic trade and investment partnership vennero poste nel 2007 con l'istituzione di un Consiglio economico transatlantico, formato da rappresentanti dell'Unione europea e del Governo statunitense, ed è poi proseguita grazie ai lavori di una commissione tecnica mista costituita nel 2011, i cui componenti, salvo il Commissario per il commercio dell'Unione europea, non sono mai stati resi noti dalla Commissione europea, nonostante i ripetuti richiami alle norme comunitarie sul diritto all'informazione, operati da varie organizzazioni della società civile interessate a conoscerne i nomi;
   sebbene i fautori dell'accordo sostengano la straordinarietà dell'iniziativa destinata ad aumentare lo scambio delle merci attraverso l'eliminazione di dazi e barriere commerciali, non è difficile individuare nelle potenti multinazionali americane ed europee i veri promotori del Transatlantic trade and investment partnership; riuniti in gruppi di pressione esse esercitano ormaida decenni una fortissima influenza, mediante gli strumenti del lobbying, sugli organismi regolatori siano essi l'Unione europea o gli Stati nazionali, come dimostra la presenza di alcune grandi aziende americane nel consiglio direttivo dell'associazione americana che opera per indirizzare le trattative del Transatlantic trade and investment partnership;
   un'iniziativa di tale portata, destinata ad incidere su ogni aspetto della vita sociale europea, dato che investe tutti i settori economici per assoggettarli al principio dell'abolizione di ogni barriera regolamentativa, avrebbe dovuto coinvolgere maggiormente i Parlamenti e le parti sociali ai fini di un esame pubblico prima dell'approvazione del mandato negoziale e di un costante monitoraggio dopo l'entrata in vigore dell'accordo, anche in virtù delle conseguenze sui livelli occupazionali, sul rispetto dei diritti fondamentali dei lavoratori e sul generale impatto sociale ed ecologico;
   l'abolizione di ogni barriera tariffaria – e non – rischia di incidere negativamente sugli strumenti a garanzia del consumatore, quali, ad esempio, i controlli, l'etichettatura, le certificazioni, ovvero tutte quelle barriere indirette a tutela della sicurezza e della qualità; l'esempio più ricorrente è in materia di organismi geneticamente modificati, la cui introduzione nell'agricoltura europea è stata fino ad oggi rallentata da una serie di regole comunitarie che, con l'entrata in vigore del Transatlantic trade and investment partnership, diverrebbero illegittime, consentendo ai grandi gruppi della genetica agricola di commercializzare liberamente i loro prodotti;
   sul piano strettamente economico-commerciale giova, inoltre, rilevare che, mentre il mercato unico è il risultato di un'omogeneità di regolamentazione senza precedenti, volta ad assicurare ai cittadini europei uguali condizioni di partenza per l'esercizio dell'attività imprenditoriale, quello statunitense è frutto di anni di deregulation e gli operatori economici europei si troveranno a competere con concorrenti americani in un quadro caratterizzato dalla compresenza di assetti legislativi molto differenti –:
   se e quando il Governo intenda rendere noti gli ultimi sviluppi dell'iniziativa citata in premessa, posto che un simile accordo, lungi dal restare riservato, dovrebbe essere reso quanto più pubblico ai cittadini europei sui quali ricadono le principali conseguenze, e quali azioni intenda intraprendere, presso le competenti sedi comunitarie, affinché il partenariato si articoli su assetti legislativi omogenei, preveda forti tutele per l'agricoltura comunitaria ed adeguate salvaguardie per gli interessi produttivi e i livelli occupazionali del nostro Paese. (3-00791)

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Iori n. 1-00427, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 206 del 7 aprile 2014.

   La Camera,
   premesso che:
    a 25 anni dalla Convenzione ONU sui Diritti dell'infanzia, approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, ratificata in Italia con legge n. 176 del 27 maggio 1991, il problema del maltrattamento e dell'abuso sui minori è un dramma che continua ad affligge non solo i Paesi del «Sud del mondo», ma anche quelli con un elevato sviluppo socio-economico come l'Italia;
    la legge 4 maggio 2009, n. 41, ha istituito il 5 maggio come giornata nazionale contro la pedofilia e la pedopornografia, quale momento di riflessione per la lotta contro gli abusi sui minori;
    il monitoraggio del fenomeno a livello nazionale, nonché la conoscenza dello stesso nelle sue multiformi tipologie, è il primo e fondamentale passo per l'adozione di politiche di prevenzione e protezione adeguate, di fatto, in assenza di un sistema informativo istituzionalizzato ed omogeneo, i dati sul problema si dimostrano non esaustivi e solo settoriali;
    la necessaria e improcrastinabile adozione di un adeguato sistema di monitoraggio è evidenziata non solo dallo stato dei fatti, ma è manifestata anche dal Comitato ONU per la CRC, Convention on the Right of the Child (CRC/C/ITA/CO/3-4), nel quale si sollecita lo Stato «a garantire che il sistema informativo nazionale sull'assistenza e la tutela dei minori e delle loro famiglie raggiunga la piena operatività e disponga delle necessarie risorse umane, tecniche e finanziarie per essere efficace nella raccolta delle informazioni pertinenti in tutto il Paese, rafforzando così la capacità dello Stato parte di promuovere e tutelare i diritti dei minori»;
    le associazioni Terre des Hommes e CISMAI hanno elaborato un progetto pilota di indagine qualitativa e quantitativa rivolta ai Servizi Sociali dei Comuni italiani sul maltrattamento a danno dei bambini, coinvolgendo dal primo semestre del 2012 al primo trimestre 2013 quasi 5 milioni di cittadini ed oltre 750.000 minorenni. I dati raccolti dal campione di studio appaiono allarmanti: 1 minore su 100 fra la popolazione residente risulta vittima di maltrattamento, ben il 6,36 per cento dei minori residenti in Italia viene assistito dai Servizi sociali dei Comuni, fra questi lo 0,98 per cento, ossia 1 su 6, è seguito a causa di violenza ed abusi. L'incidenza appare maggiore nei confronti di bambine e ragazze e si attua nel 52,7 per cento dei casi in trascuratezza materiale e affettiva, nel 16,6 per cento in violenza assistita consumata in ambito familiare, nel 12,8 per cento in maltrattamento psicologico, nel 6,7 per cento in abuso sessuale, nel 6,1 per cento in patologie delle cure, quali incuria, ipercura e discuria, ed infine nel 4,8 per cento in maltrattamento fisico;
    nel marzo 2014 Telefono Azzurro ha reso noti i dati ricavati dalle richieste di aiuto di bambini ed adolescenti pervenute all'Associazione negli ultimi cinque anni. La relazione rileva più di 17.000 appelli per via telefonica e chat dedicata, con una media di quattro episodi di violenza al giorno; il 53,1 per cento delle vittime risulta essere di sesso femminile, dato che aumenta al 68,1 per cento per quanto riguarda la violenza sessuale. L'Associazione rileva altresì un'incidenza crescente di denunce relative alla diffusione (minacciata o attuata) di foto e video «intimi» tramite le tecnologie informatiche ed i social network;
    all'interno della generica definizione di maltrattamento, una considerazione a parte e più specifica pare inevitabile in tema di abuso sessuale del minore, stante la gravità e l'incidenza in aumento del fenomeno, oltre alle conseguenze psicopatologiche spesso insanabili;
    l'associazione Terre del Hommes ha presentato nel settembre 2013 uno studio sull'incidenza della violenza sessuale nei confronti dei minori grazie ai dati forniti dalle Forze di Polizia. In un solo anno in Italia sono triplicati i reati sessuali accertati contro i minorenni, passando da 166 (nel 2011) a 505 (nel 2012), con un'incidenza del 78 per cento nei confronti delle femmine. Nello stesso arco temporale i casi di pornografia minorile sono passati da 23 a 108;
    l'incidenza inferiore rispetto ai dati registrati in altri Paesi europei (2815 casi segnalati in Francia nel 2010 e 2200 in Germania nel 2009) fa poi ragionevolmente supporre che in Italia molti abusi non vengano denunciati e rimangano sommersi, è dunque immaginabile uno scenario ben più grave di quello fotografato da Polizia ed Autorità Giudiziaria;
    rilevante sul tema appare altresì lo studio effettuato in occasione del Safer Internet Day dell'11 febbraio 2014 (giornata per la sensibilizzazione all'utilizzo sicuro della rete ad iniziativa della Commissione Europea) da Ipsos per Save The Children, volto a documentare, per la prima volta, le percezioni che gli adulti hanno sui rapporti intrattenuti con i minori, nonché sul ruolo di internet come strumento di incontro a sfondo sessuale;
    dalla ricerca emerge che l'81 per cento degli italiani fra i 25 e i 65 anni ritiene l'incontro sessuale tra giovani ed adulti, iniziato in rete, un fenomeno diffuso. Il 28 per cento degli adulti tra i 45 e i 65 anni risulta avere fra i propri contatti telematici giovani che non conosce ed il 38 per cento degli intervistati si dichiara poi favorevole alle relazioni sessuali fra adulti e minori;
    l'adescamento e l'abuso tramite la rete internet è principalmente attuato con minacce, intimidazioni e pressioni psicologiche, come già affermato dalla Corte di cassazione sezione penale (sentenza n. 37076 del 26 settembre 2012); per predisporre una adeguata condotta preventiva e repressiva è necessario integrare il reato previsto dall'articolo 609-bis c.p. affinché esso comprenda anche la violenza sessuale commessa «a distanza» tramite strumenti telefonici o telematici;
    è necessario rendere maggiormente incisivi gli strumenti investigativi dedicati, nell'ambito dell'attività di contrasto svolta dalla forze dell'ordine, ed in particolar modo dalla polizia postale, estendendo al reato di adescamento di minorenni di cui all'articolo 609-undecies c.p. la possibilità di effettuare attività sotto copertura (articolo 9 della legge n. 146 del 2006 e articoli 600-bis, 600-ter e 600-quinquies dalla legge n. 3 agosto 1998, n. 269);
    oltre al rafforzamento dell'attività repressiva è altrettanto fondamentale prevenire il fenomeno e dotare i soggetti che hanno regolari contatti con bambini e ragazzi (nei settori dell'istruzione, della sanità, della protezione sociale, della giustizia, della sicurezza e della cultura) di una adeguata conoscenza dell'abuso sessuale in danno ai minori, nonché dei mezzi per individuarlo e segnalarlo, come previsto all'articolo 5 della convenzione di Lanzarote;
    appare ugualmente fondamentale provvedere affinché i condannati per reati sessuali in danno a minori, o per adescamento, siano interdetti dallo svolgimento di qualunque tipo di attività tale da comportare contatti diretti e regolari con bambini e ragazzi, come previsto dall'articolo 10 della direttiva 2011/93/UE relativa alla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile e che sostituisce la decisione quadro 2004/68/GAI;
    il DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) classifica la pedofilia quale disturbo mentale. E dunque importante fornire assistenza e garantire percorsi riabilitativi e terapeutici, facilmente individuabili, per coloro che presentano impulsi sessuali nei confronti di infanti, al fine di prevenire ed evitare abusi o reiterazioni. In tal senso è possibile fare riferimento al progetto Dunkelfeld attivo in Germania costituito da campagne mediatiche volte a pubblicizzare servizi di cura per persone che si auto definiscono pedofili e sentono il bisogno di aiuto. Nel Regno Unito il NSPCC (National Society for the Prevention of Cruelty to Children) ha predisposto un servizio di assistenza telefonica ed intervento immediato per coloro che temono di poter compiere un reato sessuale nei confronti di un bambino. In Danimarca è stato realizzato un sito web rivolto ad adulti che riconoscono di avere un interesse sessuale nei confronti di bambini, invitandoli a cercare aiuto psicologico prima di commettere abusi, anche tramite una linea telefonica dedicata,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative immediate, legislative o di altra natura, affinché i principi sanciti nella Convenzione del Consiglio d'Europa, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007 non vengano disattesi, per contrastare il crescente fenomeno della violenza nei confronti dei minori, dell'abuso sessuale e dell'adescamento tramite la rete internet, in particolare attribuendo specifica rilevanza penale alla condotta di violenza sessuale a distanza;
   a potenziare gli strumenti investigativi in dotazione alle forze dell'ordine per il contrasto all'abuso sessuale in danno a minorenni, assumendo iniziative per estendere al reato di adescamento, previsto all'articolo 609-undecies c.p., la possibilità di svolgere indagini sotto copertura;
   a dedicare particolare attenzione all'attuazione dell'articolo 5 della suddetta Convenzione in tema di reclutamento, formazione e sensibilizzazione delle persone che lavorano a contatto con i minori;
   ad assumere iniziative per istituire e pubblicizzare servizi di cura e di intervento per persone che riconoscono di avere un interesse sessuale nei confronti di bambini, anche utilizzando gli strumenti economici che l'Unione europea mette a disposizione;
   a predisporre un sistema di raccolta dati e monitoraggio del fenomeno della violenza sui minori, dell'abuso sessuale e dell'adescamento tramite la rete internet, in eventuale connessione con i servizi sociali dei Comuni ed altre realtà associative che già operano in tale settore;
   ad attivare una campagna informativa per sensibilizzare l'opinione pubblica e incentivare l'emersione di un fenomeno di violenza domestica e di abusi non denunciati che, nel nostro Paese, rimangono ancora in gran parte sommersi.
(1-00427)
«Iori, Zampa, Albanella, Amoddio, Antezza, Beni, Brandolin, Capone, Capozzolo, Casati, Censore, Chaouki, Coccia, D'Incecco, Dal Moro, Dallai, De Menech, Donati, Ermini, Fedi, Gadda, Carlo Galli, Galperti, Gasparini, Giuliani, Gullo, Iacono, Tino Iannuzzi, La Marca, Manzi, Marantelli, Marchi, Marzano, Miotto, Mongiello, Patriarca, Piccoli Nardelli, Ribaudo, Rocchi, Sbrollini, Senaldi, Tartaglione, Tidei, Tullo, Venittelli, Villecco Calipari, Zanin, Zardini».

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta in Commissione De Rosa n. 5-01764 del 20 dicembre 2013.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta scritta D'Uva n. 4-04288 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 203 del 2 aprile 2014. Alla pagina 11738, seconda colonna, dalla riga prima alla riga quarta, deve leggersi: «a fronte di 10.000 laureati per anno nei vari corsi di area medica, negli anni passati, solamente il 50 per cento di essi riusciva ad accedere al secondo livello di formazione,» e non come stampato.