Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 24 aprile 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    nel corso degli ultimi anni, in considerazione del persistere e dell'intensificarsi di forti tensioni sui mercati finanziari, sono state adottate numerose misure di contenimento della spesa pubblica;
    particolarmente incisive sono state le misure di revisione della spesa adottate nel settore della difesa, che ha cominciato a subire un trend fortemente decrescente già dal 2005, peraltro in concomitanza con il processo di professionalizzazione delle Forze armate (e quindi correlati a maggiori costi per il personale) e con l'accresciuto impiego operativo;
    in tale contesto si pone il decreto-legge n. 78 del 2010, che, proprio in considerazione della «straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per il contenimento della spesa pubblica e per il contrasto all'evasione fiscale ai fini della stabilizzazione finanziaria, nonché per il rilancio della competitività economica» ha previsto l'esclusione, per l'intero triennio 2011-2013, delle retribuzioni del personale della pubblica amministrazione, tra cui rientra il personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, tanto dai meccanismi di adeguamento previsti per legge, quanto dall'applicazione degli aumenti retributivi (scatti e classi di stipendio) collegati all'anzianità di ruolo, nonché, addirittura, dal riconoscimento dei benefici economici correlati alle progressioni di carriera, senza possibilità successiva di recupero e senza possibilità di attivare comunque una procedura di concertazione;
    in particolare, il richiamato blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali ha pregiudicato la maturazione di alcuni istituti tipici specifici del comparto sicurezza, difesa e soccorso strettamente connessi alla valorizzazione dell'anzianità di servizio e alla correlata acquisizione di crescenti competenze professionali, nonché più impegnative responsabilità di servizio, quali l'omogeneizzazione, l'assegno funzionale e gli incrementi stipendiali parametrali non connessi a promozioni;
    tale norma ha altresì frenato gli adeguamenti annuali indicizzati (classi, scatti stipendiali ed effetti economici) delle progressioni di carriera, tra l'altro in grande parte legate a rigide procedure di selezione e avanzamento, assolutamente definite dalla normativa vigente per le varie categorie di personale;
    già nel corso della XVI legislatura era stata approvata in Commissione difesa della Camera la risoluzione n. 8-00151, a prima firma dell'Onorevole Cirielli, che impegnava il Governo pro tempore a escludere il Comparto sicurezza e difesa, per l'anno 2014, dalla possibilità di prorogare ulteriormente i tagli in questione, almeno con riferimento alla fattispecie del blocco degli effetti economici delle progressioni di carriera;
    in data 8 novembre 2011 la Commissione bilancio del Senato della Repubblica aveva poi approvato l'ordine del giorno G/2969/2/5 che impegnava il Governo, pur nell'ambito della difficile congiuntura economica e della finanza pubblica, a valutare l'opportunità di adottare con urgenza le opportune iniziative atte a «impegnare i relativi fondi iscritti nella tabella 8 per assicurare un'interpretazione dell'articolo 9, comma 21, del decreto-legge n. 78 del 2010, nel senso che al personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nel triennio 2012-2014, sia assicurata la corresponsione integrale dei trattamenti economici connessi con l'impiego (indennità operative, indennità pensionabile, indennità di trasferimento, assegno funzionale, assegno non pensionabile dirigenziale e indennità di missione), con l'effettiva presenza in servizio e con la maturazione dei requisiti di anzianità emerito»;
    nonostante ciò e nonostante le molteplici dichiarazioni pubbliche e gli impegni presi dai vari Governi in carica circa la necessità di garantire maggiore sicurezza del territorio e nel territorio, i provvedimenti adottati nel tempo si sono mostrati indifferenti rispetto alla drammatica e insostenibile situazione degli operatori della sicurezza: dal decreto-legge n. 95 del 2012 (cosiddetta spending review) che ha previsto una serie di ulteriori misure di contenimento della spesa nel settore della Difesa (dalla riduzione del personale militare in misura non inferiore al 10 per cento alla riduzione di spesa per l'acquisto di beni e servizi del Ministero della difesa pari a 148 milioni di euro, dalla riduzione dei contributi in favore dell'Agenzia industrie difesa alla riduzione delle spese per la professionalizzazione delle Forze armate) al decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 2013, n. 122, che, disattendendo ad avviso dei firmatari del presente atto gli impegni assunti dal Governo nella precedente legislatura, ha prorogato fino al 31 dicembre 2014 le disposizioni in materia di blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti;
    un settore, come quello della sicurezza, non può essere considerato in maniera meramente ragionieristica, ma deve essere visto come un investimento per il futuro;
    occorre infatti pensare alla sicurezza in termini di opportunità e quindi prevedere più risorse in questo settore delicato e strategico per consentire a tutto l'apparato della sicurezza di agire e operare nel migliore dei modi;
    in particolare, è necessario lavorare per la difesa della dignità professionale e della specificità funzionale degli operatori del settore e per la difesa del diritto dei cittadini ad un soccorso pubblico efficiente e qualificato, all'altezza di un Paese civile;
    da ultimo, preoccupa l'ultimo piano di riforma annunciato dal Governo Renzi che avrebbe chiesto al commissario Carlo Cottarelli tagli per miliardi di euro;
    anche in questa occasione, in un periodo di già forte tensione sociale, il comparto sicurezza farà la sua parte con un risparmio di almeno 700 milioni di euro grazie alla chiusura di centinaia di sedi, soppressione di interi reparti, trasferimento degli uffici in immobili demaniali,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per sospendere, a partire dal secondo semestre 2014, il blocco degli effetti economici delle progressioni di carriera e degli automatismi retributivi per il personale del comparto difesa e sicurezza e soccorso pubblico, a difesa della dignità professionale e della specificità funzionale degli operatori del settore.
(1-00441) «La Russa, Giorgia Meloni, Cirielli».


   La Camera,
   premesso che:
    dopo oltre due anni dal giorno del loro arresto, e nonostante le rassicurazioni dei vari Governi italiani nel frattempo succedutisi, non trova soluzione la vicenda dei due fucilieri del Reggimento «San Marco» della Marina Militare italiana arrestati in India perché accusati di aver ucciso, il 15 febbraio 2012, mentre erano in servizio antipirateria sulla nave commerciale Enrica Lexie, due pescatori locali;
    i due militari si sono sempre proclamati innocenti, ma la loro posizione, a tutt'oggi, rimane piuttosto delicata;
    come confermato più volte dalle stesse autorità civili e militari italiane, l'incidente è avvenuto in acque internazionali e precisamente a 32 miglia dalla costa indiana, una localizzazione che avrebbe dovuto sin dal principio fare venir meno la giurisdizione indiana a favore di quella italiana;
    ciononostante la Corte suprema indiana ha negato la giurisdizione dello Stato italiano e, senza adeguata motivazione, ha rivendicato l'esercizio dei diritti sovrani di giurisdizione dell'India, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo in palese violazione di una norma della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982, disponendo, inoltre, che il processo fosse affidato a un tribunale speciale da costituire a New Delhi;
    l'Italia, al contrario, ha rivendicato a più riprese la competenza giuridica sul caso, considerato che esso coinvolge organi dello Stato operanti nel contrasto alla pirateria sotto bandiera italiana e in acque internazionali;
    in tale vicenda ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo le autorità italiane hanno mostrato sin dall'inizio di non avere adeguata consapevolezza del caso diplomatico aperto con il Governo di Nuova Delhi;
    la mancanza di sostegno e solidarietà da parte degli alleati americani, europei e della Nato ha reso drammaticamente evidente lo scarso peso del nostro Paese nello scacchiere internazionale;
    nonostante ciò, l'Italia continua a mandare militari sulle navi private per difendere il traffico marittimo nell'Oceano indiano dalla pirateria, come le operazioni «Ocean Shield» o «Atalanta» e a partecipare a missioni internazionali, a tutto beneficio anche dell'India;
    notizie rassicuranti sembravano essere giunte dall'India quando il 24 febbraio 2014 la Corte suprema indiana, dopo aver escluso l'applicazione della legge antiterrorismo al caso, ha ammesso il ricorso italiano volto a impedire che la polizia dell'antiterrorismo (Nia, National Investigation Agency) prosegua le indagini e formuli i capi di accusa;
    la Corte suprema, però, ha rinviato per l'ennesima volta l'udienza, con il rischio concreto che il periodo feriale prolunghi di nuovo una decisione sulla vicenda;
    non favorevole a una soluzione veloce della vicenda processuale dei due marò è anche il clima pre-elettorale che si respira in India in questi mesi;
    le sorti dei due fucilieri potrebbero, infatti, aggravarsi in forza delle elezioni politiche, definite le più grandi della storia, che si concluderanno il 16 maggio 2014;
    sono di qualche giorno fa le preoccupanti dichiarazioni di Narendra Modi, leader dell'emergente partito dell'opposizione indù del Bjp, secondo il quale il Congresso avrebbe riservato un trattamento privilegiato ai due italiani che dal 18 gennaio 2013 si trovano in libertà provvisoria dietro cauzione nell'ambasciata d'Italia a New Delhi su ordine della stessa Corte Suprema;
    anche l'attivista degli «anti corrotti» Arvind Kejriwal ha strumentalizzato la vicenda dei due marò rivendicando il diritto dell'India a giudicare, in quanto, a suo dire, l'incidente è avvenuto in acque indiane: affermazioni totalmente infondate, ma che dimostrano come sia delicata la posizione di Latorre e Girone;
    i risultati delle elezioni in India si avranno il 16 maggio, un tempo sufficiente perché l'Italia avvii ogni possibile iniziativa per imporre, a chiunque vinca le elezioni indiane, il rispetto delle regole del diritto internazionale e la riconsegna ai due militari dell'immunità funzionale;
    dopo che ci si è a lungo impegnati per una soluzione amichevole della questione, le uniche strade da percorrere ad oggi rimangono l'arbitrato internazionale che continua invece a languire, nonostante precisi pronunciamenti di rappresentanti politici ed istituzionali e il ricorso al Consiglio di Sicurezza, anche in base all'articolo 33 del Trattato ONU, atteso che solo per merito della civiltà e della pacificità dell'Italia la vicenda non ha pregiudicato la sicurezza internazionale,

impegna il Governo:

   ad azionare il ricorso all'arbitrato internazionale previsto dall'annesso VII alla Convenzione del diritto del mare (UNCLOS), chiedendo nel frattempo al Tribunale internazionale del diritto del mare (Amburgo) una misura provvisoria volta al ritorno in patria di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone in attesa della decisione finale;
   a portare il caso all'attenzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite affinché provveda a rinforzare il principio di immunità funzionale che riguarda i militari impegnati in azioni di antipirateria.
(1-00442) «Giorgia Meloni, Cirielli».

Risoluzioni in Commissione:


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    le risorse comunitarie a sostegno del comparto primario rappresentano un prezioso contributo per tutti i cittadini europei nella misura in cui l'agricoltura non riguarda soltanto la produzione agroalimentare ma anche le comunità rurali, nonché lo spazio naturale e le sue ricchezze;
    i regimi di aiuto agli agricoltori previsti dalla politica agricola comune per il prossimo settennio, conformemente agli obiettivi principali della riforma, si articolano in diverse componenti attraverso le quali la Commissione europea intende erogare un sostegno adeguato a supportare la redditività delle aziende agricole, salvaguardando, al contempo, il lavoro dei tanti piccoli agricoltori che contribuiscono alla conservazione e alla vitalità delle zone rurali;
    i regolamenti approvati nel dicembre 2013 deferiscono gli elementi chiave della PAC 2014-2020 e demandano agli Stati membri, al fine di tenere conto della struttura delle diverse economie agricole, una serie di scelte riguardanti l'applicazione della riforma;
    nell'intento di superare le criticità che hanno caratterizzato le precedenti programmazioni, prima tra tutte la concessione di sostegni a soggetti che solo occasionalmente o marginalmente svolgono attività agricola, prioritaria attenzione è data alla definizione della figura di agricoltore attivo al fine di individuare nell'agricoltore che svolge attività agricola con obiettivi commerciali e il cui impatto in termini di occupazione e creazione di valore aggiunto è realmente significativo, il beneficiario effettivo dell'aiuto;
    l'articolo 9 del regolamento (UE) n. 1307/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme sui pagamenti diretti agli agricoltori, stabilisce una serie di requisiti comuni, consentendo agli Stati membri di determinare, anche in base alle caratteristiche regionali e nazionali, ulteriori elementi atti a ritenere in «attività» un agricoltore;
    la previsione di un sostegno accoppiato è estremamente importante posto che un sistema esclusivamente commisurato alla superficie agricola, quale è quello disaccoppiato, configura una impalcatura degli aiuti funzionale alla rendita e, come tale, del tutto estranea alle esigenze delle imprese agricole;
    l'articolo 52 del succitato regolamento prevede la facoltà per gli Stati membri di concedere, solo nella misura necessaria ad incentivare il mantenimento degli attuali livelli di produzione, un pagamento accoppiato a quei settori agricoli che rivestono particolare importanza per ragioni economiche, ambientali e sociali;
    al fine di migliorare la distribuzione degli aiuti diretti ed evitare che una ristretta percentuale di aziende riceva un ammontare di pagamenti estremamente consistente, si prevede un meccanismo di riduzione degli importi eccedenti i 150.000 euro;
    la creazione e lo sviluppo di nuove attività economiche nel settore agricolo ad opera di giovani agricoltori rappresenta una straordinaria opportunità per promuovere il ricambio generazionale e favorire l'insediamento di nuove aziende e il loro adeguamento strutturale;
    in considerazione della necessità di evitare oneri eccessivi dovuti alla gestione di pagamenti di piccole entità, il cui importo è spesso superiore all'aiuto e quindi tale da vanificare il beneficio ricevuto, non si concedono pagamenti diretti di importo inferiore a 100 euro o nel caso di superficie ammissibile inferiore ad un ettaro, fatta salva, in ragione della diversità delle strutture agricole dei diversi Stati membri, la possibilità di applicare ulteriori soglie minime,

impegna il Governo:

   in attuazione degli articoli 4, 9, 10, 11, 52 e 61 del regolamento (UE) n. 1307/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, recante norme sui pagamenti diretti agli agricoltori, ad assumere iniziative volte a:
    a) considerare «minima» l'attività di lavoro agricolo diretto svolta per almeno 900 ore l'anno;
    b) non concedere pagamenti diretti nel caso in cui l'importo totale degli stessi in un dato anno civile, prima dell'eventuale applicazione dell'articolo 63 del Regolamento n. 1307/2013, sia inferiore a 400 euro;
    c) non concedere pagamenti diretti nel caso in cui la superficie ammissibile dell'azienda per la quale sono richiesti, prima dell'eventuale applicazione dell'articolo 63 del regolamento n. 1307/2013, sia inferiore ad 1 ettaro;
    d) stabilire in 1000,00 euro l'importo massimo del pagamento diretto di cui al paragrafo 4 dell'articolo 9 del regolamento n. 1307/2013 e considerare quindi attivi, a prescindere da altre condizioni che non siano lo svolgimento dell'attività minima e il mantenimento della superficie in uno stato idoneo al pascolo e alla conservazione, le persone fisiche o giuridiche e loro associazioni, che nell'anno precedente abbiano ricevuto pagamenti diretti per un importo compreso tra 400 e 1000 euro;
    e) disporre che nell'applicazione della degressività di cui all'articolo 11, la riduzione sia calcolata sottraendo dal totale dei pagamenti diretti da concedere, gli importi di salari e stipendi effettivamente pagati e dichiarati dall'agricoltore nell'anno precedente, inclusi i contributi sociali e le tasse sul lavoro;
    f) attivare il pagamento accoppiato nella misura del 13 per cento del massimale nazionale annuo, fermo restando il soddisfacimento delle condizioni di cui all'articolo 53 del citato regolamento n. 1307/2013 e, al fine di evitare la concessione di contributi in settori nei quali l'impatto degli importi risulterebbe del tutto irrilevante, ad accordare il pagamento in parola ai seguenti comparti e colture, in considerazione della loro rilevanza in termini di occupazione, recupero delle aree abbandonate e ripristino delle sostanze organiche del terreno:
     1) al settore lattiero-caseario di montagna e al latte crudo proveniente da filiera corta;
     2) al settore degli ovicaprini al fine di incentivare la pastorizia e la zootecnia di montagna ed evitare l'ulteriore spopolamento delle aree rurali e la riduzione del presidio territoriale;
     3) al settore della carne bovina IGP;
     4) al settore degli oli di oliva DOP e IGP e biologici, per contribuire a sostenere i volumi produttivi di alcune delle eccellenze che rappresentano una significativa quota del prodotto interno lordo nazionale;
     5) a colture proteoleaginose e a culture miglioratrici;
     6) a colture arboree storiche e di pregio paesaggistico;
    g) attivare, nella misura massima del 2 per cento del massimale nazionale, il pagamento per i giovani agricoltori al fine di contrastare le dinamiche di abbandono del comparto primario e delle zone rurali e favorire il ricambio generazionale migliorando la qualità del capitale umano e la competitività delle imprese.
(7-00350) «Gallinella, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, L'Abbate, Lupo, Parentela».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    il fenomeno del pascolamento da parte di terzi ha registrato un notevole incremento nel corso degli ultimi anni, specie in alcune regioni quali l'Abruzzo, costituendo di fatto una elusione delle disposizioni stabilite dalla normativa comunitaria in materia di pagamenti diretti (Fondi PAC);
    la possibilità di considerare il pascolamento da parte di terzi ai fini dell'ammissibilità delle superfici dichiarate a pascolo magro, ha consentito infatti a soggetti che non svolgevano alcuna attività agricola l'assegnazione di premi a titolo PAC;
    il regolamento n. 1307/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme sui pagamenti diretti agli agricoltori nell'ambito dei regimi di sostegno previsti dalla politica agricola comune, dispone, all'articolo 9, che non sono concessi pagamenti diretti a soggetti che non svolgono sulle superfici eleggibili l'attività minima come stabilita dagli Stati membri;
    la proposta di regolamento delegato che integra il suddetto regolamento 1307/2013, attualmente all'esame delle preposte istituzioni comunitarie, precisa, con riferimento ad eventuali cambiamenti nella forma giuridica, che, ai fini dell'assegnazione dei diritti all'aiuto l'agricoltore deve mantenere il controllo dell'azienda in termini di gestione, utili e rischi finanziari;
    posto che sulle superfici a pascolo magro l'attività minima che può svolgersi è unicamente il pascolamento, il combinato disposto delle precedenti disposizioni esclude la possibilità di pascolamento da parte di terzi, anche in considerazione del fatto che, in tale caso, è il pastore, e non l'azienda a mantenere il controllo in termini gestione ed utili;
    sarebbe tuttavia opportuno stabilire una distanza territoriale massima tra la sede aziendale ed eventuali terreni locati al fine di impedire il caso di un agricoltore che, per poter beneficiare del premio a prescindere da qualsiasi interesse reale al pascolamento, collochi sulle superfici ammissibili greggi costituiti da pochissimi capi,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per prevedere che l'erogazione di contributi PAC in caso di locazione delle superfici da destinare a pascolo magro di proprietà dei comuni, sia condizionata al rispetto di una distanza territoriale congrua tra la sede dell'azienda interessata all'affitto e il territorio di appartenenza dei suddetti comuni.
(7-00351) «Gallinella, Gagnarli, Massimiliano Bernini, Parentela, L'Abbate, Lupo».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   MARCON, AIRAUDO, DURANTI, FERRARA e PIRAS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 aprile 2014 la professoressa Marta Dassù è stata nominata dal Consiglio dei ministri nel consiglio di amministrazione della società Finmeccanica, società per azioni;
   fino al 22 febbraio 2014 la professoressa Marta Dassù è stata Vice Ministro per gli affari esteri, con la delega, tra le altre, «alla politica estera e di sicurezza comune e alla politica europea di sicurezza e difesa»;
   la cosiddetta «legge Frattini» n. 215 del 2004, sul conflitto di interessi, all'articolo 2 recita testualmente, a proposito delle incompatibilità tra incarichi di Governo e in enti di diritto pubblico o anche economici: l'incompatibilità «perdura per dodici mesi dal termine della carica di governo nei confronti di enti di diritto pubblico, anche economici, nonché di società aventi fini di lucro che operino prevalentemente in settori connessi con la carica ricoperta»;
   è evidente come le deleghe assunte dalla professoressa Marta Dassù nel precedente Governo si intreccino con la mission e le attività del gruppo Finmeccanica;
   tra l'altro, come ricordato dal giornalista Giuseppe Falci sul sito on line pagina 99 il 18 aprile 2014: «pochi mesi fa si è per altro verificato un caso simile. Un caso che ha visto protagonista l'ex ammiraglio Giampaolo Di Paola, bloccato dall'Antitrust per una consulenza ricevuta da Finmeccanica. La nomina dell'ex Ministro della difesa è stata definita «incompatibile» con il precedente incarico di governo in base alla legge sul conflitto di interessi» –:
   se non ritenga che la nomina della professoressa Marta Dassù nel consiglio di amministrazione di Finmeccanica sia avvenuta in violazione dell'articolo 2 della legge n. 215 del 2004 e se non ritenga opportuno revocare immediatamente la sua nomina. (3-00785)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'AMBROSIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   gli enti strumentali, cioè le società cosiddetta «in house providing» (traduzione letterale «gestione in proprio») rappresentano quel modello di organizzazione e gestione di pubblici servizi (erogazione di servizi, forniture, lavori) che le pubbliche amministrazioni adottano attraverso propri organismi, cioè senza ricorrere al libero mercato;
   i predetti enti, nati con l'obiettivo di rendere più spedita ed efficace l'azione pubblica nell'attuazione delle proprie attività, oggi rappresentano un fenomeno sempre più noto alle cronache più per i propri «vizi» che per le proprie «virtù»;
   comune denominatore di tali enti sono alcune criticità ricorrenti: costi esorbitanti degli organi direttivi, gestioni non di rado clientelari del danaro pubblico, risultati di dubbia rilevanza ed utilità troppo spesso poco misurabili e percepibili dalla collettività, limitata trasparenza dei risultati prodotti;
   il combinato disposto di tali distorsioni fa sì che l'azione pubblica supportata da questi enti, contrariamente a quanto auspicato, troppo spesso diventa lenta, meno efficace e soprattutto più dispendiosa di quanto non costerebbe se affidata al libero mercato o, peggio, se realizzata all'interno delle strutture commissionarie;
   appare di tutta evidenza che tali frequenti distorsioni sono, troppo spesso, il risultato di responsabilità condivise con le stesse amministrazioni pubbliche responsabili del loro indirizzo e supervisione, con il risultato, ripetutamente evidenziato dalle cronache, di creare quelli che all'interrogante appaiono veri e propri cash-dispenser a servizio delle amministrazioni committenti;
   in un momento di ristrettezze, come quello che ormai da alcuni anni i cittadini italiani stanno attraversando, dove si impone l'assoluto rigore nell'uso del denaro pubblico, si ritiene sia doveroso accendere un riflettore su questo fenomeno attivando una azione ispettiva mirata ad accertare i seguenti aspetti:
    a) entità, qualificazione e finalità degli emolumenti percepiti a qualsiasi titolo dagli amministratori di tali organismi;
    b) consulenze e contratti di collaborazione, o altre forme di lavoro parasubordinate magari «invisibili» negli elenchi resi disponibili tramite la cosiddetta «trasparenza», con evidenza dei relativi importi, durata, output prodotti, nonché delle relative modalità di affidamento attivate;
    c) personale acquisito su «chiamata diretta», spesso riconducibile a relazioni di carattere parentale con i referenti delle amministrazioni pubbliche committenti;
    d) monitoraggio delle performance dei dirigenti pubblici di tali organismi rapportati agli effettivi risultati conseguiti –:
   se, ed in caso affermativo quando, si intenda avviare una siffatta attività di ricognizione e verifica. (4-04615)


   SEGONI, MUCCI, DA VILLA, VALLASCAS e CRIPPA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto interministeriale 6 marzo 2008 è stato adottato il progetto di innovazione industriale «Nuove tecnologie per il Made in Italy»;
   nel 2010 viene istituita la società INVITALIA, ex SVILUPPO ITALIA, ovvero l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa, che agisce su mandato del Governo per accrescere la competitività del Paese, in particolare del Mezzogiorno, e per sostenere i settori strategici per lo sviluppo, i cui obiettivi prioritari sono:
    favorire l'attrazione di investimenti esteri;
    sostenere l'innovazione e la crescita del sistema produttivo;
    valorizzare le potenzialità dei territori;
   SVILUPPO ITALIA era stata già giudicata dall'opinione pubblica «ente inutile», tanto da passare all'onore delle cronache nelle puntate della trasmissione «Report» intitolate «cattivi consigli» (22 ottobre 2006) e più in particolare «buone vacanze» (29 aprile 2007) e tanto da paventarne prima la chiusura, poi l'accorpamento, poi la «razionalizzazione»;
   le inchieste giornalistiche citate hanno evidenziato un vasto sistema clientelare, gestito principalmente da alcuni esponenti politici provenienti da Forza Italia, ma senza escludere partecipazioni degli altri partiti. La stessa trasmissione ha evidenziato come SVILUPPO ITALIA fosse di fatto un sistema teso non tanto allo svolgimento della sua missione istituzionale, quanto piuttosto a favorire il sistema bancario attraverso la promessa di crediti poi mai concessi;  
   l'attuale presidente di INVITALIA è Giancarlo Innocenzi Botti, ex deputato di Forza Italia nella XII legislatura. L'amministratore delegato è Domenico Arcuri, ex manager di Deloitte, società di consulenza e revisione contabile e finanziaria che fra gli altri ha lavorato anche per SVILUPPO ITALIA. Il dottor Arcuri da organi di stampa appare aver firmato, in qualità di amministratore delegato di INVITALIA, alcuni contratti con la DELOITTE CONSULTING, società di consulenza di cui è stato partner fino al 2007;
   l'ufficio stampa di INVITALIA afferma, in risposta ad un articolo de Il Fatto Quotidiano, che l'attrazione degli investimenti esteri rappresenta, da sempre, soltanto una parte delle attività dell'Agenzia, che oggi gestisce la quasi totalità delle agevolazioni dello Stato alle imprese e ha notevolmente incrementato il supporto tecnico e operativo alla pubblica amministrazione. Tanto che solo l'attività di attrazione degli investimenti esteri ha un volume di ricavi pari al 3 per cento del totale del fatturato e solo il 2 per cento dell'attuale organico del gruppo Invitalia è impegnato in questo ambito. Si evidenzia pertanto come INVITALIA sia responsabile della verifica contabile e sostanziale dei progetti previsti dal progetto di innovazione industriale «made in Italy», con conseguente sblocco dei fondi necessari al rimborso delle spese sostenute dai vincitori della gara;
   a settembre del 2013, il Presidente del Consiglio pro tempore Enrico Letta, con il piano «Destinazione Italia» promette di iniziare il più volte annunciato percorso di privatizzazioni di cui si parla anche nella nota di aggiornamento del DEF 2013. L'ex Premier ha giustificato l'approvazione del piano con la penuria di investimenti in Italia: «Il nostro Paese ha un drammatico bisogno di investimenti diretti esteri. Abbiamo cifre troppo basse» in questo campo. Una «bocciatura» di fatto, benché indiretta, dei risultati ottenuti sul campo da Invitalia, l'Agenzia per l'attrazione degli investimenti controllata al 100 per cento, dallo Stato che a livello di gruppo tra il 2008 e il 2011 ha raddoppiato il rosso di bilancio portandolo da 2,89 a 5,9 milioni di euro; tuttavia, come la stessa INVITALIA ammette, il suo «core business» non è la promozione degli investimenti esteri quanto la gestione degli incentivi statali alle imprese;
   con il decreto del Ministro dello sviluppo economico 15 maggio 2012, relativo alla semplificazione delle procedure di gestione dei progetti già agevolati dei bandi «efficienza energetica», «modalità sostenibile» e «nuove tecnologie per il made in Italy», si intende agevolare gli adempimenti amministrativi dei partecipanti e si stabiliscono delle possibilità di proroga dei termini di scadenza inizialmente concessi;
   con il decreto ministeriale 29 marzo 2013 si concede un'ulteriore proroga di dodici mesi del termine di chiusura dei progetti «Industria 2015» agevolati a valere sui bandi «mobilità sostenibile», «efficienza energetica» e «nuove tecnologie per il Made in Italy»: lo scopo di tale provvedimento è quello di favorire la positiva conclusione del maggior numero possibile di progetti e di consentire ai proponenti di portare a termine le attività di sperimentazione e sviluppo. Detto provvedimento tuttavia non viene utilizzato da tutte le aziende partecipanti al bando di cui sopra, ma solo da quelle che non sono riuscite a completare i progetti nei tempi precedentemente indicati;
   il Ministero dello sviluppo economico ha ammesso ai finanziamenti 104 progetti di innovazione tecnologica, al termine della valutazione del bando del progetto di innovazione industriale «nuove tecnologie per il made in Italy»: il programma non prevedeva aiuti anticipati, ma solo il parziale finanziamento delle spese effettivamente e comprovatamente sostenute dai partecipanti al progetto. I 104 progetti vincitori hanno coinvolto 162 grandi imprese, 128 medie e 455 piccole e micro imprese, per un investimento complessivo di 638 milioni di euro;
   vi sono imprese che sono risultate vincitrici di tale bando, che non hanno usufruito delle proroghe di cui in precedenza, ma che a distanza di oltre un anno dall'aver consegnato i risultati e avendo dimostrato le spese delle varie fasi dei progetti da loro eseguiti sono in attesa del contributo ministeriale relativo alle spese sostenute da oltre 15 mesi. Tali imprese non riescono ad ottenere nemmeno notizie certe sul se e sul quando tale contributo verrà erogato;
   a causa della sfavorevole congiuntura economica, i potenziali acquirenti dei progetti risultati vincitori sono estremamente restii ad investire in innovazione;
   gli interessi passivi relativi ai finanziamenti ottenuti dai partecipanti al bando, sulla base dell'importanza del progetto, del suo relativo promettente sviluppo di mercato e della «garanzia» del contributo ministeriale (arrivando in certi casi a porre a garanzia i beni personali dei soci) stanno facendo rischiare il fallimento alle aziende vincitrici;
   la dinamica appena descritta si ravvisa in maniera eclatante nelle micro imprese, che avendo l'unica ricchezza nelle menti dei ricercatori risultano costrette per non perdere completamente i beni personali posti a garanzia, a cedere alle banche i diritti di utilizzazione dei risultati delle loro fruttuose ricerche, augurandosi che ciò sia sufficiente ad evitare la rovina;
   gli incentivi inizialmente stabiliti, da aiuto alla ricerca ed alle eccellenze italiane, rischiano di trasformarsi nell'ennesima forma di strozzinaggio legalizzato a danno delle piccole e piccolissime imprese, aggravando ulteriormente la già devastata condizione dell'imprenditoria italiana;
   quanto in premessa appare confermare il fatto che INVITALIA non sia tanto dedita all'attrazione di investimenti dall'estero, quanto a consolidare quello che appare agli interroganti un sistema clientelare di accesso agli incentivi statali, in una logica già propria della vecchia Cassa del Mezzogiorno e proseguita poi da SVILUPPO ITALIA, attraverso finanziamenti più o meno a pioggia e più o meno a fondo perduto;
   infine, ammesso e tutt'altro che concesso che le aziende vincitrici riescano a sopravvivere imprenditorialmente, ogni vantaggio aziendale che poteva derivare risulterà annullato dal costo dei ritardi nella corresponsione di quanto promesso, e chi ci avrà sicuramente guadagnato saranno, al solito, solo le banche –:
   se siano a conoscenza della situazione citata, con particolare riguardo ai ritardi con i quali vengono erogati i pagamenti;
   quali siano i costi per lo Stato dell'ente INVITALIA spa, e quali siano l'entità e la qualità dei benefici economici che tale ente ha apportato finora al bilancio dello Stato;
   se in un'ottica di risparmio e di efficientamento della pubblica amministrazione intendano o meno assumere iniziative per abolire INVITALIA ovvero accorparla ad altri enti;
   quali azioni intendano intraprendere per risolvere il problema riguardante i ritardi nei pagamenti alle aziende vincitrici dei bandi in premessa e quali tempi di attesa si prospettino alle imprese per ricevere quanto è in loro diritto. (4-04649)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GHIZZONI, COSCIA e GARAVINI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 17 aprile 2014, il Ministro degli affari esteri ha convocato al tavolo le organizzazioni sindacali per affrontare diverse questioni concernenti la situazione del personale scolastico all'estero (restituzioni a domanda e per fine mandato; criteri per la definizione del contingente in relazione all'anno scolastico 2014/2015; aggiornamento sulle nomine ex legge n. 125 del 2013);
   il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca non era presente al tavolo;
   fonti sindacali riferiscono dell'esito dell'incontro in termini deludenti, poiché l'amministrazione si sarebbe limitata a fornire mere informazioni preventive, quali il numero previsto di rientri in Italia (61, di cui 3 dirigenti scolastici) e la corrispondenza tra i rientri con il numero di posti decurtati dal contingente di docenti in servizio all'estero;
   in particolare, se tale ultima previsione trovasse conferma, detto contingente per il prossimo anno scolastico raggiungerebbe le 772 unità, di cui ben 117 posti vacanti. In tale contesto si supererebbero abbondantemente gli obiettivi di decurtazione dei posti fissati dalla cosiddetta spending review del Governo Monti: l'articolo 14, commi 11 e 12, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, modificando l'articolo 639 del decreto legislativo n. 297 del 1994, ha infatti disposto una riduzione di 400 unità del personale scolastico impegnato nelle scuole italiane all'estero, nelle scuole europee e nelle istituzioni scolastiche e universitarie estere, da operare in 5 anni, nella misura di 80 unità. Ma il personale di ruolo in servizio al 1o settembre 2014, sarà di 655 unità a fronte delle 624 da raggiungere nel 2016/2017 a norma del citato articolo 14 del decreto-legge n. 95;
   nel corso del medesimo incontro il Ministro degli affari esteri ha comunicato, seppur con approssimazione, che complessivamente le nomine da espletarsi per il prossimo anno scolastico, a norma della recente disposizione prevista dall'articolo 9 della legge n. 125 del 2013, sono solo 18;
   nella definizione del contingente delle nuove nomine occorre tener conto prioritariamente della tenuta del sistema e della qualità del servizio erogato, soprattutto alla luce delle dinamiche di rientro di personale in Italia nei prossimi anni;
   in particolare, per l'anno scolastico 2015/2016 saranno circa 200 le unità di personale a rientrare, determinando così un deciso superamento delle richieste della cosiddetta spending review, precedentemente richiamate, e un contraccolpo alla stabilità e solidità del sistema dell'insegnamento della lingua e della cultura italiana all'estero, che va progressivamente precarizzandosi –:
   quali siano le analisi effettuate dai Ministri interrogati e quali criteri siano stati definiti per individuare il numero di nomine da espletare per il prossimo anno scolastico;
   conseguentemente, come intendano procedere per dare piena attuazione alla disposizione della citata legge n. 125 del 2013, al fine di dare risposte chiare alle attese del personale scolastico rispetto al futuro delle scuole e delle istituzioni scolastiche all'estero. (5-02695)

Interrogazione a risposta scritta:


   LOCATELLI, DI LELLO, DI GIOIA e PASTORELLI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   la piattaforma d'azione adottata dalle Nazioni Unite nel 1995 in occasione della quarta conferenza mondiale sulle donne di Pechino (Cina), costituisce un programma per l’empowerment delle donne e offre un quadro politico definito e un piano di lavoro per raggiungere l'uguaglianza di genere e l'attuazione dei diritti delle donne;
   gli Stati membri delle Nazioni Unite hanno ripetutamente ribadito la sua forza normativa;
   nel settembre del 2015 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite celebrerà il 20o anniversario dell'adozione della piattaforma d'azione del 1995, ma il lavoro da fare per la sua attuazione è ancora molto e vanno coinvolti e mobilitati tutti i diversi attori affinché l'attuazione sia rapida ed efficace;
   UN Women ha un ruolo guida in questo processo per il raggiungimento dell'eguaglianza di genere e l'attuazione dei diritti delle donne;
   Pechino +20 avviene in un momento storico in cui convergono grandi sforzi internazionali volti a far progredire lo sviluppo umano e i diritti umani;
   la comunità internazionale sta intensificando i propri sforzi per realizzare gli obiettivi di sviluppo del millennio entro la loro scadenza (2015) e delineare l'agenda per lo sviluppo post-2015 come quadro di riferimento globale e valido per il futuro;
   nel 2015 la Commissione delle Nazioni Unite sullo status delle donne effettuerà una analisi e una valutazione dell'attuazione della dichiarazione e della piattaforma d'azione di Pechino e dei risultati della XXIII sessione speciale dell'Assemblea generale (2000);
   con la risoluzione E/RES/2013/18, il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite ha invitato tutti gli Stati a condurre, a livello nazionale, un'analisi completa dei progressi compiuti e delle sfide incontrate nell'attuazione della piattaforma d'azione di Pechino e degli esiti della XXIII sessione speciale dell'Assemblea generale;
   la stessa risoluzione invita le Commissioni regionali ad effettuare le proprie revisioni in modo da inserire i risultati dei processi inter-governativi regionali nel processo di elaborazione del post-2015;
   invita, inoltre, i Governi a continuare a sostenere il ruolo e il contributo della società civile, in particolare le organizzazioni non governative e le organizzazioni di donne, per l'attuazione della dichiarazione e della piattaforma d'azione di Pechino e i risultati della XXIII sessione speciale dell'Assemblea generale. In questo senso, invita quindi i Governi a collaborare con i vari attori del processo preparatorio per il 2015 per beneficiare, così, della loro esperienza e competenza;
   nella preparazione delle indagini nazionali che dovrebbero costituire opportunità di consultazione e sensibilizzazione, gli Stati membri sono incoraggiati a portare avanti un processo consultivo con tutte le parti in causa sia governative che non governative;
   gli Stati membri sono stati invitati a inviare i rapporti nazionali alle commissioni regionali rilevanti e a UN-Women entro il 1o maggio 2014 –:
   quali iniziative abbia assunto il Governo per assicurare l'adempimento a tale richiesta delle Nazioni Unite e per coinvolgere le organizzazioni della società civile, soprattutto quelle delle donne, nel processo preparatorio di Pechino + 20.
(4-04632)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la regione Calabria e, in particolare le provincie di Crotone e Catanzaro, rappresenta una delle zone del territorio italiano a più elevato rischio idrogeologico;
   lo stesso progetto IFFI (inventario dei fenomeni franosi in Italia), il cui obiettivo era quella di ottenere una conoscenza globale del territorio nazionale, cercando di uniformare il più possibile i criteri di interpretazione e di definizione dei fenomeni franosi, ha evidenziato la diffusa fragilità del territorio calabrese;
   l'ultimo evento, purtroppo solo in ordine cronologico, riportato dalla Gazzetta del Sud del 6 aprile 2014 evidenzia gravi movimenti franosi nella provincia di Catanzaro;
   in particolare, sono state registrate gravissime forme di dissesto idrogeologico che interessano l'area che va dalla frazione di Migliuso a Serrastretta;
   il sindaco di Serrastretta Molinaro ha chiesto e sollecitato l'intervento delle autorità competenti affinché possano essere adottati provvedimenti risolutivi e definitivi;
   è assolutamente prioritario definire una programmazione di lavori di consolidamento di quel territorio che ormai sembrano improcrastinabili;
   negli ultimi mesi il movimento franoso ha messo in evidenza preoccupanti peggioramenti con effetti derivanti da una evoluzione del movimento della terra che sembra non avere fine;
   la località interessata è popolata da numerosi nuclei familiari, molti dei quali direttamente interessati al dissesto; nell'area sono presenti fognature e un tratto della provinciale 84;
   copiosa e interessante documentazione è stata presentata presso la prefettura di Catanzaro al fine di illustrare la grave situazione e per cercare di prevenire una tragedia che risulta già annunciata;
   nel mese di novembre 2010 veniva sottoscritto dalla regione Calabria e dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un accordo di programma quadro finalizzato a fronteggiare il rischio idrogeologico, anche se pochissimi sono stati gli interventi eseguiti diversamente;
   la situazione risulta, pertanto, ancora molto critica. Nelle località suddette, tra l'altro, la precarietà del sistema stradale, continua a provocare forti disagi tra la popolazione;
   a tutt'oggi non è stata messa in campo nessuna delle iniziative richieste, lasciando presagire ipotesi di ulteriori gravi dissesti –:
   se il Governo intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per adottare un piano organico di prevenzione e messa in sicurezza dei territori colpiti dagli eccezionali eventi franosi che sostenga e favorisca gli enti locali, che godono di scarse risorse e mezzi limitati e non sono in grado di far fronte ai danni subiti dal territorio e dalla popolazione. (4-04638)


   VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio di Roma Capitale, l'impiantistica a supporto del trattamento dei rifiuti solidi urbani indifferenziati, si esaurisce in soli 4 impianti di trattamento meccanico biologico, di cui due, denominati Malagrotta 1 e Malagrotta 2 riconducibili al consorzio Co.La.Ri dell'avvocato Cerroni e due appartenenti ad Ama S.p.A. Oltre questi macchinari, a supporto del ciclo, seppure non rientrante in un metodo di trattamento dei rifiuti avallato dalla Unione europea, opera anche un impianto di trito vagliatura anch'esso riconducibile al gruppo Co.La.Ri;
   in data 9 gennaio 2014, l'avvocato Manlio Cerroni, veniva sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari per reati quali truffa, traffico illecito dei rifiuti, associazione per delinquere e frode;
   a quanto consta all'interrogante la prefettura di Roma, a riscontro della specifica richiesta inoltrata da Ama spa nell'ambito di apposite verifiche correlate ad una distinta procedura ad evidenza pubblica, con nota prot. 17327/area/bis O.S.P. del 27 gennaio 2014, trasmetteva alla società Ama il provvedimento n. 16519/area I bis del 24 gennaio 2014 con il quale informava la società, che nei confronti del consorzio Co.La.Ri nonché di alcune altre società ad esso riconducibili sussisteva apposita interdittiva ai sensi dell'articolo 91 del decreto legislativo n. 159 del 2011;
   con nota 40107/8/2014 del 19 febbraio 2014, il prefetto di Roma, dottor Giuseppe Pecoraro ribadiva ad Ama quanto previsto dal vigente codice antimafia (decreto legislativo n. 159 del 2011 e successive modificazioni e integrazioni) in ordine agli effetti della citata informativa;
   a sua volta Ama spa, rappresentava al sindaco Ignazio Marino lo scenario di severa criticità che si sarebbe determinato nella città di Roma, qualora non fosse stato possibile conferire parte dei rifiuti urbani negli impianti Co.La.Ri, arrivando a paventare incombenti emergenze di ordine sanitario e di igiene pubblica;
   in data 21 febbraio 2014 con ordinanza n. 37, ex articolo 50, comma 5, del decreto legislativo 267 del 2000, il sindaco di Roma, dottor Ignazio Marino, ordinava che la società Ama spa continuasse il conferimento dei rifiuti urbani indifferenziati, raccolti nella Capitale, anche presso i due impianti di trattamento meccanico biologico, nonché presso l'impianto di tritovagliatura di Rocca Cencia, riconducibili al gruppo Co.La.Ri ed inoltre che codesto Consorzio assicurasse la piena operatività di detti impianti;
   da organi di stampa, si apprendeva che il sindaco Marino, considerata la scadenza dell'ordinanza da lui emessa (21 maggio 2014), nel mese di aprile chiedeva al procuratore capo del tribunale di Roma, dottor Pignatone, una liberatoria che gli consentisse di continuare a conferire il pattume negli impianti di proprietà Co. La.Ri, nonostante l'interdittiva. Oltre a ciò il sindaco chiedeva espressamente aiuto anche al presidente della regione, Nicola Zingaretti, nonché al Ministro interrogato, per uscire dall'impasse;
   in quella che all'interrogante appare l'infinita ed oramai assurda querelle in materia rifiuti, il presidente della regione Lazio, rispondeva a mezzo stampa al sindaco Marino, sottolineando che «a Roma non c’è alcuna emergenza rifiuti, ma siamo in un vuoto giuridico»; in definitiva dalle parole degli amministratori locali sembrerebbe evincersi, ad avviso dell'interrogante, che regione e comune, vorrebbero che il Ministro nominasse un nuovo un commissario speciale ai rifiuti;
   dalle pagine del quotidiano online Corriere.it del 22 aprile 2014 si viene ora a conoscenza che: «il Ministro Galletti non intende nominare un nuovo commissario speciale ma apportare modifiche all'articolo 191 del decreto legislativo 152 del 2006 che già permette ai governatori, ai presidenti della Province ed ai sindaci “qualora si verifichino situazioni di eccezionale e urgente necessità di tutela della salute pubblica e dell'ambiente, e non si possa altrimenti provvedere, di emettere ordinanze contingibili ed urgenti per consentire il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti, anche in deroga alle disposizioni vigenti, garantendo un elevato livello di tutela della salute e dell'ambiente”. Questi provvedimenti “hanno efficacia per un periodo non superiore a sei mesi” e non possono essere reiterati per più di due volte. Con la variazione predisposta dal ministro ai poteri degli enti locali verrà aggiunto anche il potere di requisizione. Nel caso in cui la norma passasse, in caso di necessità Zingaretti o Marino potrebbero requisire i tre impianti in questione e affidarli a un soggetto (Ama ad esempio) che a quel punto dovrebbe provvedere alla gestione (pagare stipendi ai dipendenti e manutenzione) e liquidare un indennizzo ai titolari per l'uso, magari accantonando queste somme su un conto “blindato” in attesa che la giustizia – nella vicenda dell'inchiesta su Cerroni – faccia il suo corso. Sulla soluzione pende tuttavia la pronuncia del Tar, martedì 29 aprile: se il tribunale accettasse di concedere la sospensiva richiesta da Colari sia sull'interdittiva del prefetto Pecoraro che sull'ordinanza di Marino, tutto verrebbe rimesso in discussione»;
   dal bilancio AMA per l'esercizio chiuso al 31 dicembre 2012, si legge dell'esistenza a tutt'oggi di 2 arbitrati tra il consorzio COLARI e la stessa AMA; in particolare il documento evidenzia che per quanto attiene al primo arbitrato, AMA ha stipulato in data 26 gennaio 1996 con il COLARI un contratto concernente l'affidamento e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani presso la discarica di Malagrotta. Con atto di nomina di arbitro notificato in data 11 maggio 2001, e successive integrazioni, il COLARI ha predisposto un arbitrato contro AMA, formulando, tra gli altri, il seguente quesito: domanda di condanna di AMA al pagamento dei maggiori oneri sostenuti per la gestione post mortem della discarica, a seguito del prolungamento da 10 a 30 anni del periodo post gestione in base alla normativa comunitaria, implementata in Italia. Il collegio arbitrale ha accolto codesto quesito, condannando AMA al pagamento in favore del COLARI della somma di euro 76.391.533,29, oltre interessi come in motivazione;
   per quel che riguarda invece il secondo arbitrato, con domanda di arbitrato e contestuale nomina di arbitro, notificata ad AMA in data 19 novembre 2012, COLARI ha promosso un giudizio arbitrale, ai sensi dell'articolo 6 del contratto stipulato tra AMA e la medesima COLARI in data 30 giugno 2009, sottoponendo al vaglio del costituendo collegio la questione relativa alla stipula ed ai contenuti di un nuovo contratto avente ad oggetto il conferimento ed il trattamento dei rifiuti urbani indifferenziati prodotti nel territorio di Roma Capitale presso gli impianti di trattamento meccanico biologico denominati Malagrotta 1 e Malagrotta 2 –:
   se quanto riportato dal quotidiano online Corriere della sera.it, corrisponda alle reali intenzioni del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   se il Ministro – considerando i due arbitrati tra Ama e Colari, di cui uno riguardante il funzionamento ed il relativo pagamento dei due impianti di trattamento meccanico biologico di proprietà dell'Avvocato Cerroni – non ritenga possibile che la paventata modifica all'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006 possa dar luogo a possibili nuovi contenziosi che laddove venissero vinti dalla parte privata provocherebbero un ingente danno economico ai cittadini contribuenti. (4-04647)

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:


   BASILIO, ARTINI, RIZZO, CORDA, FRUSONE, PAOLO BERNINI e TOFALO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in base a quanto è emerso dalle bozze sui decreti discendenti della legge n. 244 del 2012 dove è presente la lista degli enti in chiusura/dislocazione/ristrutturazione) risulta che diversi enti dell'Aeronautica militare, tra i quali il 1o laboratorio tecnico di controllo, insistente nel sedime aeroportuale di Padova, in futuro potrebbero essere soggetti ad interventi da parte del Governo e dello Stato Maggiore dell'Aeronautica;
   ad oggi i controlli ambientali finalizzati alla salvaguardia della salute e della sicurezza dei lavoratori negli ambienti di lavoro previsti dal testo unico sulla sicurezza sono svolti dal 1o laboratorio tecnico di controllo di Padova e dal 2o laboratorio tecnico di controllo di Fiumicino, per gli enti Aeronautici sull'intero territorio nazionale;
   la missione nel campo dei controlli antinfortunistico/ambientale è stata espressamente conferita in via esclusiva dallo Stato Maggiore Aeronautica al 1o e 2o laboratorio tecnico di controllo, con la previsione di specifiche esigenze organiche in termini di: ufficiali laureati e diplomati in chimica e sottufficiali diplomati in chimica e elettronica;
   l'organizzazione dei laboratori che si occupano di controlli ambientali e stata ideata in principio su base territoriale (ex regioni aeree):
    a) 1o laboratorio tecnico di controllo di Padova – Nord Italia;
    b) 2o laboratorio tecnico di controllo di Fiumicino (Roma) – Centro Italia;
    c) 3o laboratorio tecnico di controllo di Mungivacca (Bari) – Sud Italia;
   i rimanenti 3 laboratori hanno da sempre mantenuto esclusivamente compiti legati al controllo dei carbolubrificanti, il 3o laboratorio non ha sviluppato le competenze previste in area antinfortunistica/ambientale per motivi organizzativi. Successivamente alla riorganizzazione della Forza armata di fine anni ’90, ognuno dei sei laboratori è stato indirizzato verso un ambito specifico, diversificando in tal modo l'attività l'uno dall'altro;
   ancorché il criterio territoriale sia stato da tempo superato, per quanto concerne i controlli ambientali/antinfortunistici si è osservata una ripartizione territoriale dei carichi di lavoro tra il 1o e il 2o laboratorio: il 1o laboratorio tecnico di Padova ha operato e opera in prevalenza nel centro-nord Italia mentre il 2o laboratorio tecnico di Fiumicino opera principalmente nel centro-sud;
   la necessità di mantenere due laboratori con competenze antinfortunistico/ambientali risulterebbe fondata a fronte di un incremento dell'attività dei medesimi, in grado anche di garantire sopralluoghi presso enti/reparti di piccole dimensioni, al fine di razionalizzare i tempi d'intervento e le spese sostenute;
   si precisa, altresì, che tutti i laboratori tecnici sopra indicati hanno sempre interagito con altre Forze armate e Corpi armati dello Stato limitatamente al settore del carbolubrificanti, e solo negli ultimi due anni si è assistito ad una minima cooperazione in ambito ambientale/antinfortunistico con soggetti diversi da enti aeronautici;
   la soppressione ovvero l'accentramento del 1o laboratorio tecnico di controllo di Padova appare paradossale considerando che la missione di tale ente non è per niente esaurita ed anzi si propone di essere il più grande ente dell'aeronautica militare in grado di svolgere controlli antinfortunistico/ambientali presso enti militari, ma anche garantire supporto ad altri enti pubblici a livello locale fortemente colpiti dalle restrizioni di bilancio (ad esempio l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente);
   un potenziamento dei due laboratori pianificando l'inserimento in contesti interforze da sviluppare sui rispettivi territori, coerentemente con quanto indicato all'articolo 2 della legge n. 244 del 2012, genererebbe invece consistenti risparmi di spesa, prevenendo esternalizzazioni che implicherebbero costi più elevati, scarsa flessibilità e tempi di risposta più lunghi. Si tratta di assumere una prospettiva logistica non più legata ad una singola Forza armata bensì volta a realizzare quella sinergia interforze delineata dal legislatore nel 2012;
   va considerato, infatti, che i medesimi servizi svolti a condizioni di libero mercato avrebbero costi senz'altro superiori, tanto più se si considera la specificità dei controlli da effettuare su sistemi d'arma e contesti lavorativi militari, che quindi esigono professionalità e conoscenze non facilmente reperibili di cui invece i due laboratori già dispongono –:
   se il Ministro non ritenga necessario assumere le opportune iniziative al fine di evitare che il 1o laboratorio tecnico di Padova venga accorpato al 2o laboratorio tecnico di Fiumicino (Roma), mantenendo in tal modo due presidi territoriali, uno al nord e uno al centro, con un adeguato potenziamento di risorse umane e finanziarie da reperire tra tutti i soggetti interessati;
   se il Ministro intenda valutare la possibilità di estendere il servizio erogato dal 1o laboratorio tecnico di controllo di Padova, composto da personale altamente qualificato e formato sui controlli antinfortunistico/ambientale, a tutte le Forze armate e Corpi armati dello Stato, assumendo in tal modo una prospettiva di natura interforze. (4-04619)


   CHIARELLI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la città di Taranto da oltre cento anni è sede di diversi importanti insediamenti della Marina militare italiana, quali un arsenale militare, una base navale di recente realizzazione, una scuola sottufficiali, un centro addestramento, nonché sede del comando in capo del dipartimento marittimo dello Jonio e del Canale d'Otranto;
   il territorio, come è noto per essere stato assunto alla attenzione del Governo, vive un momento di particolare crisi economica che vede attive una serie di vertenze, dalla nota vicenda Ilva, all'abbandono del territorio da parte di importanti realtà produttive come la multinazionale Vestas, il gruppo Marcegaglia, il gruppo Natuzzi, Miroglio, e tante altre realtà produttive di piccole e medie dimensioni;
   in questo quadro di grave emergenza occupazionale si inserisce un'ulteriore nuova pesantissima novità che vede la Marina militare abbandonare di fatto il territorio. Da notizie ufficiose, ma insistenti, infatti, si apprende del possibile esubero di ben 500 unità tra il personale civile della Difesa, del declassamento del comando in capo, del trasferimento delle attività di addestramento, e, ultimo smacco, la chiusura di interi servizi con il trasferimento di maestranze civili a Trieste e in altre realtà molto distanti da Taranto;
   l'ufficio stampa locale della Marina Militare ha diffuso una nota con cui ridimensiona le voci di stampa;
   cionondimeno sul piano fattuale si assiste ad una serie di provvedimenti che stanno producendo esiti nefasti sul piano economico ed occupazionale;
   tra questi, di particolare rilievo la chiusura di alcuni servizi che determina l'esubero di un numero significativo di addetti per le pulizie e mense della Marina militare;
   in questi giorni sono state inviate lettere ai dipendenti delle aziende impegnate in tali servizi che annunciano il loro trasferimento, immediato, in località distanti centinaia di chilometri da Taranto, come ad esempio Trieste;
   sulla questione, in verità, l'interrogante ha già presentato una interrogazione, senza ottenere riscontro alcuno –:
   se sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se come intenda intervenire al fine di bloccare il trasferimento dei lavoratori e avviare una urgente verifica per individuare soluzioni alternative che, pur rispondendo alla necessità di riorganizzazione, salvaguardino i livelli occupazionali in un territorio già gravemente interessato da una crisi senza precedenti. (4-04629)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Studiare Sviluppo s.r.l. è una società a capitale interamente pubblico costituita nel 2003, la cui missione è offrire supporto ad amministrazioni centrali nella progettazione ed implementazione di attività e progetti che, per la loro complessità e rilevanza strategica, richiedano un qualificato contributo specialistico sul piano operativo e/o consulenziale;
   in quanto soggetto strumentale di amministrazioni centrali, la società non opera sul mercato e le sue attività sono rivolte esclusivamente alle amministrazioni di riferimento;
   tali contributi consulenziali non paiono all'interrogante indispensabili ed anzi, talvolta risultano essere l'ennesimo esempio di eccesso di soggetti pubblici con le stesse competenze, dato che le funzioni a Studiare Sviluppo s.r.l. assegnate possono essere esplicate da enti anche costituzionalmente riconosciuti –:
   se si ritenga indispensabile l'esistenza di tale società (4-04623)


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel fondo unico giustizia confluiscono le somme di denaro e i proventi sequestrati e/o confiscati, anche alla criminalità organizzata. Con l'articolo 2 del decreto-legge n. 143 del 2008, la gestione del fondo unico giustizia è stata attribuita a Equitalia Giustizia;
   su un articolo del 16 aprile 2014 apparso su «Il fatto quotidiano», il neo Sindacato di polizia «Sicurezza e diritti» stima che nel fondo unico di giustizia, vi siano due miliardi di euro di beni confiscati, un miliardo di euro in contanti e di un altro miliardo in titoli, non ancora esigiti dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   a tali risorse, il Ministero disporrebbe di circa undicimila strutture. Si tratta di immobili confiscati che, a norma di Legge, il Ministero dell'economia e delle finanze dovrebbe vendere dopo 180 giorni dal provvedimento giudiziario e dopo aver verificato la possibilità che vengano utilizzati dalle regioni e dallo Stato;
   gli edifici confiscati, figurano come non destinati all'uso pubblico, motivo per cui non vengono utilizzati come sedi per apparati istituzionali, quando basterebbe decidere di destinarli a tale uso;
   un considerevole numero di uffici pubblici, compresi i commissariati italiani, è collocato in edifici privati per i quali si esborsano milioni di euro per il pagamento dell'affitto –:
   quali iniziative si intendano porre in essere per rendere più rapido il procedimento per il riutilizzo a finalità sociale o, più in generale, pubblica dei beni confiscati. (4-04624)


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del 21 marzo 2013 del Ministro dell'economia e delle finanze recante «Adeguamento del sistema tariffario da corrispondere all'Automobile Club d'Italia – ACI per le attività relative alla tenuta del Pubblico Registro Automobilistico (PRA)» ha previsto un aumento delle tariffe e degli emolumenti da corrispondere all'ACI per il rilascio dei certificati, per le visure e le ispezioni presso il pubblico registro automobilistico;
   le nuove tariffe prevedono aumenti di circa il 30 per cento che colpiscono chi compra un veicolo o un rimorchio, chi deve radiarlo e chi effettua altre pratiche: il costo per la prima iscrizione, il rinnovo dell'iscrizione e il passaggio di proprietà passa da 20,92 a 27 euro;
   il forte incremento delle tariffe è stato motivato con l'esigenza di garantire risorse sufficienti a coprire i costi del pubblico registro automobilistico, una struttura rimasta sostanzialmente invariata a fronte di minori adempimenti e incassi per immatricolazioni conseguenti al crollo del mercato automobilistico;
   i rincari, in un periodo di così marcata crisi del mercato auto e dei relativi servizi, pesano su tutti i cittadini ma sono particolarmente gravosi per le imprese che effettuano migliaia di pratiche l'anno;
   in particolare, la tassa automobilistica, dovuta per il solo possesso dell'automobile grava in modo pesante sui cittadini automobilisti, che già, in quanto proprietari di un'auto, contribuiscono all'economia nazionale pagando il carburante, l'assicurazione, i costi di manutenzione e revisione, i passaggi di proprietà nonché la demolizione dell'auto;
   la tassa automobilistica sembra particolarmente iniqua in quanto basata principalmente sulla potenza del motore, il che comporta nei fatti, che il proprietario di un'automobile da 300cv del 1995 che viene pagata 10.000 euro paga il triplo del bollo che paga il proprietario di un'auto da 40.000 euro ma con 150cv;
   negli altri Paesi europei non esiste un pubblico registro automobilistico per la registrazione dei veicoli, ma esistono archivi in cui sono registrati i dati tecnici e di proprietà, così come esiste in Italia l'archivio nazionale veicoli, istituito ai sensi degli articoli 225 e 226 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, che tiene nota di tutte le variazioni di proprietà, le revisioni, le informazioni sui proprietari, gli incidenti. In Italia però, i proprietari dei veicoli già registrati all'archivio nazionale, devono nuovamente fare una registrazione del mezzo presso il pubblico registro automobilistico;
   nella maggior parte dei Paesi europei non esiste il bollo auto o comunque ha una modalità di riscossione basata sulla vetustà dell'auto e non sui cavalli e questo fa sì che molti preferiscano immatricolare la propria vettura all'estero;
   il 13 febbraio 2012 è stata presentata un'interrogazione al Parlamento europeo in materia «tassazione delle autovetture nell'UE e il bollo auto italiano». Tra le altre cose, è stato chiesto alla Commissione europea di avviare uno studio per fotografare l'attuale situazione della tassazione delle autovetture e del mercato automobilistico europeo negli Stati membri, quindi di verificare la compatibilità del bollo auto italiano con il mercato automobilistico europeo;
   la risposta, pervenuta il 20 marzo 2012, ha specificato che, fatto salvo il rispetto dei principi generali del diritto dell'Unione, i regimi fiscali nazionali in materia di tassazione delle autovetture sono a discrezione degli Stati membri. Nello specifico, perciò, il bollo auto italiano è di competenza delle autorità nazionali –:
   se, in ragione della perdurante crisi economica che attanaglia il nostro Paese e che ha colpito gravemente anche il settore automobilistico, il Governo non ritenga opportuno mettere in atto iniziative tese a sostenere tale comparto e ad incentivare l'acquisto e il mantenimento delle vetture da parte dei cittadini, anche eliminando la tassa automobilistica che risulta oggi particolarmente anacronistica. (4-04630)


   BARUFFI, PAGANI, PETITTI, MONTRONI e DE MARIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, all'articolo 51, disciplina al comma 5 l'istituto della trasferta e al comma 6 quello del trasfertismo;
   a tal proposito, si distingue la figura della trasferta, che implica un mutamento del luogo in cui il lavoratore è tenuto a prestare l'attività dedotta nel contratto di lavoro, da quella del trasfertista, che è colui che contrattualmente si obbliga verso il datore di lavoro ad eseguire la propria attività in luoghi sempre diversi;
   dalla qualificazione delle due posizioni discendono regimi fiscali distinti: il comma 5 dell'articolo 51 del TUIR prevede una totale esenzione entro determinati limiti giornalieri, nelle ipotesi di trasferte al di fuori dell'ambito comunale ed una totale imponibilità per le trasferte effettuate entro il territorio comunale; il comma 6 dell'articolo 51 del TUIR prevede l'imponibilità al 50 per cento per le indennità liquidate ai trasfertisti, ovvero per coloro i quali sono tenuti per contratto all'espletamento delle attività lavorative in luoghi sempre variabili;
   nella norma regolatrice del trasfertista si rimanda ad un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per l'individuazione delle categorie dei lavoratori interessati e alle condizioni di applicabilità;
   nelle more dell'emanazione di tale decreto, le uniche distinzioni tra i due istituti si rilevano dalle circolari dalla Agenzia delle entrate (326/E del 23 dicembre 1997), del Ministero del lavoro e della previdenza sociale (nota n. 8287 del 20 giugno 2008) e dell'INPS (messaggio 27271 del 5 dicembre 2008);
   la problematica in questione si è presentata negli ultimi anni in particolar modo per i lavoratori delle aziende del settore metalmeccanico (aziende di impiantistica ed edilizia) i quali, sebbene svolgano per contratto l'attività di lavoro in luoghi sempre diversi (ossia presso i vari cantieri indicati dall'azienda), sono assoggettati dalle rispettive aziende al regime contributivo previsto per i lavoratori in trasferta (comma 5 dell'articolo 51 del TUIR);
   in assenza di uno specifico provvedimento che dirima ogni dubbio circa la categoria di lavoratori da considerare trasfertisti, ai fini dell'applicabilità del regime contributivo di cui al comma 6 dell'articolo 51 del T.U.I.R., è necessaria la sussistenza di tutte le condizioni previste dall'amministrazione finanziaria con la circolare n. 326/E del 23 dicembre 1997 –:
   se i Ministri interrogati, non ritengano di dover promuovere iniziative normative urgenti al fine di definire la questione adottando il decreto, previsto dall'articolo 51, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, volto ad individuare le categorie dei lavoratori interessati e le relative condizioni di applicabilità della disciplina, nonché un regime transitorio, in modo da mettere al riparo le imprese da indebite richieste contributive. (4-04637)


   VILLAROSA, PESCO e D'UVA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il giornale messinese Gazzetta del Sud giorno 16 aprile 2014 pubblica un articolo, a firma di Leonardo Orlando, dal quale si può apprendere la notizia che l'Agenzia delle entrate di Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, occuperebbe lo stabile adibito a sede territoriale della stessa Agenzia delle entrate, senza alcun contratto da ben 13 anni;
   si legge sempre nello stesso articolo, che l'edificio situato in una zona periferica della cittadina sarebbe anche sprovvisto della necessaria agibilità dei locali e si intuisce che la relativa certificazione molto difficilmente potrà essere ottenuta in quanto la scala esterna di emergenza poggerebbe sul solaio del piano seminterrato con conseguente elevato rischio di crollo in caso di evento sismico;
   nel momento storico in cui si vive apprendere questo tipo di notizia lascia decisamente sconcertati; un'agenzia pubblica, controllata dal Ministero dell'economia e finanze per ben 13 anni esercita la sua fondamentale funzione in un edificio senza regolare contratto d'affitto, sottovalutando tutte le gravi conseguenze che ne possono derivare, con l'ulteriore aggravante che, almeno attualmente, l'edificio risulta privo del fondamentale certificato di agibilità –:
   se sia a conoscenza dei fatti elencati nella presente interrogazione e se, eventualmente, non ritenga sia il caso di avviare immediatamente una approfondita verifica per accertare l'effettivo mancato rispetto, per quanto riguarda la sede dell'Agenzia delle entrate di Barcellona Pozzo di Gotto, della normativa vigente in ambito di contratti di locazione con privati e certificati di agibilità;
   se intenda assumere, in tempi molto brevi, tutte le misure necessarie per garantire la sicurezza degli utenti e del personale impiegato negli edifici di Barcellona Pozzo di Gotto senza penalizzare chi utilizza giornalmente questa struttura pubblica;
   se intenda valutare l'eventualità di estendere una verifica di questo tipo anche per tutte le altre sedi territoriali dell'Agenzia delle entrate dislocate su tutto il territorio nazionale. (4-04640)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TINO IANNUZZI, BONAVITACOLA, CAPOZZOLO e VALIANTE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con precedenti atti di sindacato ispettivo n. 5-00952 del 6 settembre 2013 e n.5-01029 del 18 settembre 2013, gli interroganti – in relazione all'accorpamento del tribunale di Sala Consilina con quello di Lagonegro in attuazione della riforma della geografia giudiziaria – hanno evidenziato che: «per consentire tale accorpamento sono stati previsti, con fondi della regione Basilicata, lavori di ristrutturazione e di adeguamento dell'immobile, già sede del municipio di Lagonegro; tale edificio è stato realizzato in epoca antecedente al novembre 1980 e sarebbe, come tale, assoggettato alla normativa antisismica;
   detta normativa, introdotta dall'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 3274/2003 e successivo decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri dipartimento della protezione civile 21 ottobre 2003, obbliga ad effettuare le verifiche sismiche sui seguenti edifici:
    a) edifici di interesse strategico e opere infrastrutturali, la cui funzionalità durante gli eventi sismici assume rilievo fondamentale per le finalità di protezione civile;
    b) edifici e opere infrastrutturali che possono assumere rilevanza in caso di eventuale «collasso»;
   concretamente, tali edifici sono individuati a livello statale, nell'allegato 1 (elenchi A e B) al citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 ottobre 2003; ai sensi dell'articolo 2, comma 3, della citata ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 3274 del 2003 è fatto obbligo di procedere a verifica, da effettuarsi a cura dei rispettivi proprietari, sia degli edifici di interesse strategico e delle opere infrastrutturali la cui funzionalità durante gli eventi sismici assume rilievo fondamentale per le finalità di protezione civile, sia degli edifici e delle opere infrastrutturali che possono assumere rilevanza in relazione alle conseguenze di un eventuale «collasso»;
   nell'allegato 1 al citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 ottobre 2003 sono indicati nell'elenco B le categorie di edifici ed opere infrastrutturali di competenza statale che possono assumere rilevanza in relazione alle conseguenze di un eventuale «collasso»; al punto 1 dell'elenco B sono indicati gli edifici pubblici o comunque destinati allo svolgimento di funzioni pubbliche nell'ambito dei quali siano normalmente presenti comunità di dimensioni significative, nonché edifici e strutture aperti al pubblico suscettibili di grande affollamento, il cui collasso può comportare gravi conseguenze in termini di perdite di vite umane; non vi è dubbio che all'interno di tale categoria debbano farsi rientrare gli edifici adibiti ad uffici giudiziari»;
   con le stesse interrogazioni, alla luce di questi dati normativi, si sollecitavano «i controlli e le ispezioni indispensabili per accertare l'osservanza della normativa sulla sicurezza nelle zone sismiche», nelle quali ricade il territorio di Lagonegro; allo stato tali richieste degli interroganti risultano ancora inevase;
   fra l'altro, la commissione di manutenzione del tribunale di Lagonegro, nella seduta convocata in via straordinaria e d'urgenza su richiesta avanzata dal sindaco di Sala Consilina e condivisa dal presidente del tribunale di Lagonegro non ha dissipato i gravi interrogativi, innanzi citati, in ordine al rispetto della normativa antisismica per i locali adibiti alla nuova sede del tribunale di Lagonegro, come si evince verbale della stessa commissione in data 16 settembre 2013;
   la descritta situazione è ancora più grave perché il tribunale di Lagonegro non ha richiesto al Ministero della giustizia l'utilizzazione per alcuni anni, ai sensi dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 188 del 2011, degli immobili attualmente sede del tribunale di Sala Consilina per lo svolgimento delle attività processuali;
   decisione questa che gli interroganti non condividono e che considerano assolutamente sbagliata e destinata a determinare conseguenze fortemente negative nel funzionamento della giustizia in quel territorio, come già sta accadendo dal mese di settembre 2013;
   allo stato la nuova sede del tribunale di Lagonegro non garantisce l'adeguato funzionamento del servizio giustizia, complessivamente considerato;
   il sottosegretario di Stato alla giustizia, Cosimo Ferri, nella risposta alle predette interrogazioni nel corso della seduta della Commissione II in data 10 ottobre 2013, ha evidenziato che «la verifica», relativa al rischio sismico con riferimento all'edificio adibito a nuova sede del tribunale di Lagonegro «compete all'ente proprietario dell'immobile, vale a dire il Comune di Lagonegro. Infatti gli adeguamenti alle normative di sicurezza degli edifici di proprietà comunale utilizzati dagli uffici giudiziari sono di competenza delle Amministrazioni comunali...»;
   nella stessa risposta, il Ministro ha precisato che «il Dipartimento dell'Organizzazione giudiziaria di questo Ministero, pur essendo privo di poteri ispettivi nei riguardi dei comuni, si è comunque attivato per verificare il rispetto della normativa riservandosi, all'esito degli accertamenti ancora in corso, di sollecitare il Comune per gli adempimenti di competenza»;
   alla luce di informazioni assunte, fra le molteplici e pesanti disfunzioni, che quotidianamente si registrano nella nuova sede del tribunale di Lagonegro, rientra anche l'ubicazione dell'archivio giudiziario in un'area, priva di servizi di sicurezza e di adeguata vigilanza, sita al primo piano di un edificio adibito a parcheggio pubblico;
   è questa la ulteriore conferma del funzionamento – insoddisfacente e con tanti limiti e carenze registrati nella nuova sede di Lagonegro – delle attività giudiziarie, così notevolmente accresciute proprio a seguito dell'accorpamento con il tribunale di sala Consilina;
   gli interroganti ribadiscono anche in questa sede la motivata contrarietà alla soppressione del Tribunale di sala Consilina ed al conseguente accorpamento con il tribunale di Lagonegro, peraltro di più ridotte dimensioni, benché trattasi di uffici giudiziari ricadenti in due province, in due regioni ed in due corti di appello differenti;
   la conservazione del tribunale di Sala Consilina è ancora più utile per il funzionamento del servizio giustizia, avendo il Ministero della giustizia autorizzato proprio in quel tribunale l'attivazione del processo civile telematico, una innovazione molto positiva e significativa –:
   se il Ministro intenda assumere le iniziative di competenza affinché siano effettuati, come motivatamente ritengono gli interroganti, gli urgenti accertamenti e i necessari interventi in relazione al rispetto della normativa di tutela antisismica in tema di sicurezza degli edifici pubblici, suscettibili di grande affollamento (punto 1 dell'Elenco B dell'allegato 1 al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 ottobre 2003), dando così corso alla volontà già manifestata dal Sottosegretario alla giustizia Cosimo Ferri, nella seduta della Commissione II del 10 ottobre 2013, di attivarsi per sollecitare il comune a provvedere agli adempimenti di sua competenza, nonché per verificare le condizioni di funzionamento del servizio giustizia nella nuova sede del tribunale di Lagonegro. (5-02693)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GULLO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'attività dei tribunali è essenziale sia quale presidio di legalità che come ufficio all'esercizio della collettività per lo svolgimento delle attività connesse previste dalla legge;
   la recente soppressione di alcune sedi giudiziarie non è ancora metabolizzata dagli uffici e permangono difficoltà e disagi in diverse sedi giudiziarie;
   dalla suddetta riforma è derivato l'accorpamento al tribunale ordinario di Patti della sede staccata di Sant'Agata di Militello e del tribunale ordinario di Mistretta;
   precedentemente alla suddetta riforma era già evidente la carenza di personale presso le suddette sedi;
   i pensionamenti avvenuti negli ultimi anni non sono stati integrati con nuovo personale;
   organi giudiziari, sindacati, amministratori locali e cittadini hanno più volte sollecitato interventi volti alla copertura dei posti vacanti relativi al personale amministrativo non dirigenziale;
   specificamente, la carenza di organico riguarda 20 unità su 62 e in particolare: risultano scoperti 7 posti di funzionari giudiziario su 13, un posto di cancelliere su 14, 5 posti di assistente giudiziario su 12, 2 posti di operatore giudiziario su 6, 2 posti di conducente di automezzi su 3, 3 posti di ausiliario su 9;
   bisogna altresì considerare i programmati pensionamenti, nonché i possibili trasferimenti;
   ciò determina un notevole aggravio di oneri lavorativi per il personale presente;
   una possibile soluzione, suggerita da alcuni sindacati, potrebbe tener conto dell'applicazione del personale amministrativo in servizio presso gli uffici del giudice di pace del circondario che attualmente si trovano in posizione soprannumeraria nonché dell'utilizzo del personale degli uffici dei giudici di pace del circondario che a breve dovrebbero essere soppressi –:
   quali iniziative urgenti di competenza si intendano intraprendere per:
    a) intervenire rapidamente al fine di consentire una più efficace attività del tribunale ordinario di Patti;
    b) evitare disagi per i cittadini, gli operatori del settore ed i dipendenti;
    c) coprire le carenze d'organico. (4-04618)


   NARDI e DANIELE FARINA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   all'articolo 80 della legge 26 luglio del 1975, n. 354 (riforma dell'ordinamento penitenziario) si prevede la figura dell'esperto carcerario per adempiere a compiti peculiari e istituzionali dell'osservazione e trattamento dei detenuti;
   con successive modifiche e integrazioni alla suddetta legge, la figura professionale degli esperti carcerari psicologi e criminologi ha assunto il compito fondamentale della valutazione dei «nuovi giunti» che comprende l'osservazione scientifica della personalità, la prevenzione del rischio autolesivo e suicidano del detenuto;
   tale figura professionale fa parte dell’équipe multidisciplinare che redige parte integrante della relazione richiesta dalla magistratura ai fini della concessione o meno della misura alternativa;
   è evidente che la figura dell'esperto carcerario concorre alla realizzazione degli obiettivi delineati dall'articolo 27 della Costituzione italiana in tema di rieducazione del condannato, ha un ruolo cardine nella concessione di misure alternative e liberazione anticipata speciale ai detenuti che abbiano dato prova di partecipazione attiva all'opera di rieducazione;
   gli esperti carcerari sono legati all'amministrazione penitenziaria da un rapporto di lavoro libero professionale rinnovabile di anno in anno; conseguentemente, le competenze fondamentali loro riconnesse, quali l'osservazione e il trattamento dei detenuti «nuovi giunti», ivi compresa la loro rieducazione, sono inquadrate in una posizione di precarietà professionale e lavorativa;
   con circolare n. 3645/6095 dell'11 giugno 2013 il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha stabilito le regole del «nuovo» contratto di convenzione tra gli istituti dell'amministrazione penitenziaria e gli esperti di psicologia e criminologia clinica, con la previsione di un incarico non rinnovabile per più di quattro anni dalla data della sua sottoscrizione, con ciò facendo venir meno la preziosa attività offerta da tempo da numerosissimi esperti qualificati, con l'effetto di rendere frammentario e depotenziato l'intervento di rieducazione;
   tra le conseguenze vi è anche quella del consistente aumento del carico di lavoro per tutti quei professionisti coinvolti nei procedimenti nei quali viene richiesto l'affidamento in prova al servizio sociale;
   è dunque necessario valorizzare e riconoscere la professionalità maturata dagli esperti psicologi e criminologi nelle procedure di valutazione dell'imputato e/o detenuto in funzione del perseguimento degli obiettivi di rieducazione –:
   se il Ministro ritenga di intervenire, e in quali tempi, con idonee iniziative normative al fine di assicurare la continuità lavorativa degli esperti psicologi e criminologi ex articolo 80 della legge 26 luglio del 1975, n. 354, sull'ordinamento penitenziario, riconoscendone la professionalità e l'esperienza maturata e valutando la possibilità di prorogare le convenzioni stipulate nel 2013, anche in funzione della realizzazione degli obiettivi delineati dal provvedimento in questione e dall'articolo 27 della Costituzione in tema di rieducazione e inserimento sociale dell'imputato e/o detenuto;
   se si intendano assumere iniziative per sospendere l'efficacia o ritirare la circolare del DAP n. 3645/6095 dell'11 giugno 2013 in quanto a giudizio degli interroganti lesiva del principio costituzionale di rieducazione del condannato e degli standard di salute e benessere dei detenuti;
   quali iniziative concrete e urgenti intenda adottare – anche in termini di disciplina del rapporto di lavoro e/o di investimento di maggiori risorse finanziarie – per valorizzare il ruolo e l'apporto degli esperti psicologi anche in funzione della realizzazione degli obiettivi previsti dall'articolo 27 della Carta costituzionale in tema di rieducazione e salute del detenuto, così come previsto dalla legislazione vigente, dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e dalla normativa europea. (4-04622)


   DANIELE FARINA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   le organizzazioni sindacali della casa circondariale di Lodi ufficialmente, in data 20 gennaio 2014, hanno comunicato l'avvio di una vertenza sindacale al provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria per la Lombardia, al prefetto di Lodi, al questore di Lodi, nonché al comune di Lodi;
   in data 22 gennaio 2014, il segretario generale del sindacato S.A.P.Pe., dottor Donato Capece, ha inviato una relazione al vice capo vicario del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, nella quale ha chiesto un avvicendamento della direttrice della casa circondariale di Lodi, dottoressa Stefania Mussio, annunciando lo stato di agitazione permanente, a causa della mancanza di riscontri alle note, nonché mancato rispetto delle prerogative sindacali contrattualmente previste; mancanza di informazione ed esame sulle tematiche relative all'organizzazione del lavoro; mancata sottoscrizione del protocollo di intesa locale (PIL); nonostante l'intimazione della commissione arbitrale regionale (CAR) a definirlo entro il 31 dicembre 2012; mancanza di qualsiasi forma di contrattazione prevista dal protocollo di intesa regionale (PIR) e dall'accordo quadro nazionale (AQN), circa orari di lavoro, mobilità interna, riposi compensativi, programmazione lavoro straordinario, organizzazione del lavoro e altro; mancato rispetto della delibera della commissione arbitrale regionale n. 19 del 9 luglio 2013 che, nell'accertare la violazione dell'istituzione dei turni di servizio della sezione «Olmo», senza esame congiunto con le organizzazioni sindacali, ha disposto la prosecuzione delle trattative in materia di organizzazione del lavoro;
   a tali rilievi e problemi – quali, inoltre, la mancanza di un regolamento interno, nonché la disorganizzazione nella gestione del personale e dell'Istituto – si aggiungono quelli relativi ai carichi di lavoro e responsabilità che superano qualsiasi soglia di tollerabilità per la polizia penitenziaria, con risvolti anche preoccupanti per la gestione della sicurezza;
   peraltro, la drammatica situazione è aggravata anche da carenze igieniche nella sezione «Olmo» dell'istituto per la presenza nelle ore diurne – e spesso anche in quelle notturne – di alcuni cani donati alla struttura che, non avendo assistenza, non vengono portati fuori dalla struttura per i propri bisogni, con tutte le intuibili conseguenze;
   il personale di polizia penitenziaria impiegato nel servizio a turno ha quindi chiesto un incontro con il comandante per le difficoltà operative riscontrate e per cercare di individuare insieme delle soluzioni per riorganizzare le attività dell'istituto nel migliore dei modi. Tuttavia, oltre a non esservi stato alcun incontro, sono stati emanati ulteriori ordini di servizio che aggravano le già critiche condizioni lavorative del personale, cui peraltro non sarebbe stato pagato nemmeno il lavoro straordinario effettuato in occasione dell'evasione avvenuta nel luglio del 2012;
   anche sul piano della formazione e aggiornamento della polizia penitenziaria vi sono forti inadempienze: al direttore è stato proposto un corso di aggiornamento sugli «atti di polizia giudiziaria», nonché un corso di formazione sulla «vigilanza dinamica» che non è stato effettuato in quanto, come avrebbe affermato il direttore «non è la Direzione di Lodi che organizza la formazione, ma i Superiori Uffici»;
   le difficoltà e i problemi dell'istituto attengono anche il sovraffollamento, nonché la «gestione» dello stesso, con ripercussioni negative sull'efficacia dei servizi istituzionali a cui sono demandati gli agenti;
   l'istituto di Lodi, alla data del 31 dicembre 2013, è risultato l'ottavo in Italia per affollamento con un indice del 98,2 per cento;
   in particolare, nelle celle da 1 e 2 posti regolamentari vivono rispettivamente 3 e 6 detenuti, con uno spazio ridottissimo a disposizione, con tutte le intuibili difficoltà nella vigilanza e nei movimenti operativi della polizia penitenziaria;
   da qualche tempo, peraltro, il direttore del carcere ha allontanato l'Associazione «LOSCARCERE» che da sempre era attiva in istituto organizzando attività, nonché curando e offrendo attenzione alla popolazione detenuta, con effetti negativi sul percorso di reinserimento della stessa, come anche sulla efficace gestione delle tensioni da parte della polizia penitenziaria, chiaramente oberata;
   sono evidenti, dunque, i problemi e le gravi difficoltà che caratterizzano l'istituto di pena ove, in particolare, e in primis, non si interviene in relazione alle terribili condizioni lavorative del personale e, come da notizia giunta all'interrogante, «abusando dell'uso del mezzo disciplinare»;
   va inoltre segnalato che da alcuni anni è attiva una produzione di dolciumi preparati nella cucina detenuti, e venduti, a nome della casa circondariale di Lodi, dai ristretti in articolo 21 O.P. in occasione del mercato settimanale cittadino, presso il palazzo della provincia, negli incontri dell'Ordine degli avvocati, nonché in tutti gli eventi interni o esterni all'istituto, o feste cittadine, con incassi di svariate migliaia di euro l'anno. Ad oggi non è chiara la titolarità dell'associazione di volontariato che gestisce tali introiti e per quali finalità vengano impiegati, come anche se sia autorizzata l'automobile di servizio (regolarmente impiegata) per il trasporto dei dolciumi e della bancarella per il raggiungimento dei siti di vendita;
   nel mese di febbraio 2014 ha avuto luogo un'ispezione del provveditore regionale, tradottasi in una relazione e una proposta destinate al capo del dipartimento amministrazione penitenziaria –:
   quali misure urgenti intenda adottare il Ministro interrogato affinché il personale di polizia penitenziaria sospenda lo stato di agitazione;
   quale sia l'esito della relazione seguita all'ispezione del provveditore regionale del dipartimento di polizia penitenziaria. (4-04643)


   RAMPELLI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il tribunale di Grosseto ha recentemente emesso una sentenza con la quale impone al comune del capoluogo maremmano di accogliere la richiesta di due uomini che avevano contratto matrimonio a New York di trascrivere la loro unione sui registri di stato civile;
   i due uomini, sposatisi nel 2012, alla richiesta della registrazione del proprio matrimonio all'ufficiale di stato civile si erano sentiti rispondere che non era possibile perché «la normativa italiana non consente che persone dello stesso sesso possano contrarre matrimonio»;
   la sentenza del tribunale grossetano costituisce il primo caso in Italia essendo andati finora a vuoto molti altri tentativi del genere che, anzi, sono stati rigettati da diversi tribunali in varie istanze di primo e secondo grado –:
   se il Governo intenda acquisire elementi sulla vicenda, al fine di esercitare ogni iniziativa, anche normativa, di competenza. (4-04650)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   D'OTTAVIO, PAOLA BRAGANTINI e BOCCUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   Torino, si sa, è una città che nel corso degli anni ha accolto, per motivi di lavoro, tantissimi italiani provenienti dalle regioni meridionali del Paese;
   per molti di loro il treno è sempre stato il mezzo migliore per tornare nei luoghi di origine durante le vacanze estive;
   oggi quei treni a lunga percorrenza non ci sono più. Per raggiungere, per esempio la Sicilia, è necessario cambiare uno o più treni rendendo complicato il viaggio. Anche per questo molti rinunciano, soprattutto i più anziani –:
   se sia a conoscenza della questione e se ritenga per quanto di competenza di assumere iniziative per il ripristino, almeno per il periodo estivo, delle linee dirette che da Torino permettano di raggiungere la Sicilia senza obbligare a faticosi cambi di treno. (5-02694)


   NARDUOLO e ZARDINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la linea ferroviaria interregionale Mantova-Legnago-Monselice attraversa tre province (Mantova, Verona e Padova) ed è un collegamento vitale per delle zone distanti da realtà urbane (Verona e Padova) dove sono collocate aziende, scuole ed università e dove lavorano e studiano migliaia di dipendenti e studenti che arrivano alle loro destinazioni con il treno;
   su tale linea si ripetono molto spesso pesanti ritardi e anche cancellazioni improvvise delle corse, che creano non pochi disagi ai pendolari, costretti ad attendere per ore sulle banchine delle stazioni senza nemmeno poter usufruire di una sala d'aspetto;
   la situazione si è complicata ulteriormente a partire dal 15 dicembre 2013, giorno in cui è entrato in vigore il nuovo orario regionale cadenzato, concordato fra Trenitalia e Regione Veneto, che ha visto la cancellazione di tredici treni regionali diretti che collegavano Padova con Legnago e Mantova, via Monselice, e viceversa. I nuovi regionali effettuano servizio soltanto sull'asse Mantova-Legnago-Monselice e, quindi, anche i pendolari che devono recarsi a Padova devono per forza trasbordare a Monselice e utilizzare i treni regionali veloci, provenienti da Bologna o quelli, già classificati lenti, in arrivo da Ferrara e da Rovigo, che molto spesso arrivano a Monselice già sovraffollati;
   a partire rispettivamente dai giorni 7 giugno 2014 e 9 giugno 2014, le corse R20490 (in partenza da Monselice alle 19.38 in direzione Legnago) e VE708 (bus sostitutivo in partenza da Monselice alle 20.38 sempre in direzione Legnago) verranno sospese fino al 7 settembre 2014, rendendo impossibile raggiungere le stazioni coperte dalla linea Monselice-Legnago per tutto il periodo estivo. Si tratta nello specifico delle corse previste dal nuovo orario cadenzato in coincidenza con i treni in partenza da Padova rispettivamente alle 19,10 (RV2247) e alle 20,10 (RV2249);
   ad oggi, non sono stati previsti servizi sostitutivi, perciò l'ultimo treno utile per le stazioni della linea Monselice-Mantova diventerà il treno R20487 che parte da Padova in direzione Mantova alle 18.16: da quel momento in poi nessun altro viaggio è messo in programma fino al giorno successivo (treno R20460 in partenza da Monselice per Mantova alle 6,38). Chi viaggia da Venezia, invece, per poter prendere l'ultimo treno disponibile dovrà partire non oltre le 17,35;
   le informazioni relative alle sospensioni delle corse dei treni possono essere ricavate dalle tabelle orarie affisse in stazione e dal sito di Trenitalia, mentre non sono state date indicazioni a voce, tramite altoparlanti, o in altri modi (se non chiedendo espressamente agli addetti degli uffici biglietteria delle stazioni);
   i tabelloni indicano che l'orario è valido da dicembre 2013 a dicembre 2014, quindi gli orari sembrerebbero definitivi, considerato che vi è indicata anche la ripresa delle corse in questione da settembre fino a dicembre 2014;
   inoltre, la sospensione di tali corse è già avvenuta anche nel periodo delle festività natalizie, oltre che nei giorni 17 e 18 aprile 2014. L'assenza di informazioni di alcun tipo ha comportato che il giorno 17 aprile circa una quarantina di persone sia arrivata in stazione e non abbia trovato alcun treno per tornare a casa;
   alcuni gruppi e comitati di pendolari della linea Monselice-Legnago-Mantova hanno iniziato a mobilitarsi, attivando una raccolta firme da inviare alla regione Veneto e a Trenitalia, per rappresentare le difficoltà di chi lavora e studia a Padova e si troverà senza un servizio essenziale, in molti casi avendo già pagato un abbonamento semestrale o annuale –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e quali strumenti abbia a disposizione per quanto di competenza, per cercare di mitigare il grande disagio in cui si troveranno migliaia di pendolari che si trovano a viaggiare anche attraverso più regioni. (5-02697)


   MURA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 18 luglio 2012 il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha stipulato con la Compagnia italiana di navigazione – CIN – soggetto aggiudicatario del ramo d'azienda Tirrenia navigazione spa, apposita convenzione con termine il 1o luglio 2020, che disciplina obblighi e diritti derivanti dall'esercizio di servizi di collegamento marittimo (passeggeri e merci) in regime di servizio pubblico da e per la Sardegna, nonché nelle tratte Napoli/Palermo, Ravenna/Catania, Termoli/Isole Tremiti;
   è riconosciuto a CIN un corrispettivo di euro 72.685.642,00 per ciascuno degli 8 anni di durata della convenzione affinché sia garantito il rispetto degli obblighi di servizio pubblico, imposti in condizione di complessivo equilibrio economico-finanziario della gestione, senza cioè che da ciò possano determinarsi sovra-compensazioni, in linea con quanto previsto dalla normativa comunitaria in materia di compensazione di oneri di servizio pubblico;
   la convenzione stabilisce gli assetti cui deve uniformarsi la gestione del servizio stesso da parte della società relativamente alle tratte, alla frequenza dei collegamenti, alla qualità, al limite massimo delle tariffe da applicare agli utenti, alle modalità stesse della gestione contabile e finanziaria che devono salvaguardare l'equilibrio economico-finanziario di cui alla delibera CIPE n. 111 del 2007;
   rispetto alla gestione contabile e finanziaria, è previsto che CIN adotti un sistema di contabilità analitica da cui emergano con chiarezza i centri di costo e di ricavo relativamente a ciascuno dei collegamenti in regime di servizio pubblico. Le risultanze della contabilità analitica così definite, vengono trasmesse, entro 60 giorni dall'approvazione del bilancio di esercizio, ai Ministeri delle infrastrutture e dei trasporti e dell'economia e delle finanze ai fini del controllo circa la correttezza dell'imputazioni relative ai servizi di collegamento in regime di continuità territoriale;
   l'articolo 9 della convenzione prevede una clausola di salvaguardia che stabilisce che in caso di scostamenti, in eccesso o difetto, dei ricavi e dei costi (al netto di quelli per carburante) da attività superiori al 3 per cento rispetto a quelli previsti nell'Allegato B alla convenzione, le parti possono proporre istanza per la verifica delle condizioni di equilibrio economico-finanziario e addivenire a nuovi accordi che le ripristinino ai sensi della delibera CIPE 111/2007;
   con risoluzione (atto Camera n. 8/00007) approvata dalla Commissione trasporti il 1o agosto 2013, il Governo pro tempore si è impegnato, fra le altre cose, ad avviare, non appena disponibili i necessari dati contabili, la verifica delle condizioni di equilibrio economico-finanziario di cui all'articolo 9 della convenzione rispetto a ciascuna delle tratte in regime di continuità, al fine di verificare l'intervento di eventuali scostamenti e addivenire, nel caso, alla stipulazione di nuovi accordi che le ripristinino ai sensi della delibera CIPE 111/2007;
   da fonti giornalistiche (Unione sarda del 22 e 23 aprile 2014) si apprende la notizia (confermata dalla regione Sardegna), che Cin Tirrenia sarebbe in procinto di richiedere, avvalendosi delle citate prerogative previste dalla convenzione, l'incremento della sovvenzione pubblica prevista in convenzione, adducendo perdite tali (30 milioni di euro l'anno sulle tratte convenzionate) da vedersi costretta a proporre, senza l'incremento medesimo, il taglio/ridimensionamento dei servizi attualmente erogati ovvero ad aumentare le tariffe –:
   quali siano i centri di costo e quali i centri di ricavo relativamente a ciascuna delle tratte in regime di servizio pubblico (di seguito elencate) e per l'esatto periodo di tempo in cui vige il medesimo: relativamente al trasporto passeggeri, Genova-Olbia-Arbatax, Napoli-Cagliari, Cagliari-Palermo, Cagliari-Trapani, Civitavecchia-Cagliari-Arbatax, Termoli-Isole Tremiti, Genova-Porto Torres, Civitavecchia-Olbia e Napoli-Palermo; relativamente al trasporto merci, Ravenna-Catania, Napoli-Cagliari e Livorno-Cagliari;
   quali siano gli eventuali scostamenti, in eccesso o difetto dei ricavi e dei costi (al netto di quelli per il carburante), rispetto a ciascuna delle tratte in regime di servizio pubblico (elencate in precedenza) e per l'esatto periodo in cui vige il medesimo. (5-02699)


   TENTORI e FRAGOMELI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la strada statale 36 del lago di Como e dello Spluga è la principale arteria di collegamento tra Lecco e la Valtellina ed è attraversata ogni giorno da migliaia di veicoli (lavoratori, pendolari, autotrasportatori, turisti, e altro);
   nella mattinata del 23 aprile 2014 è stata chiusa in entrambe le direzioni di marcia la strada statale 36 nel tratto tra Lecco e Abbadia Lariana in seguito ad una frana che si è staccata dal monte San Martino;
   si apprende dagli organi di stampa che la chiusura della strada statale 36 è avvenuta in via precauzionale dopo i sopralluoghi di ANAS, polizia, polizia locale e vigili del fuoco;
   si apprende altresì che la situazione della viabilità è risultata critica, con traffico bloccato e code di mezzi nell'intero territorio lariano, oltre al rischio per interi comuni rivieraschi, per la Valtellina e l'intera provincia di Sondrio di restare pressoché isolati;
   periodicamente e sempre più frequentemente si presentano emergenze che conducono al blocco parziale o totale del traffico sulla, strada statale 36 con conseguenti ingenti disagi ai comuni attraversati, ai cittadini che li abitano e alle imprese, con fortissimi ritardi al traffico commerciale, rallentamento dei trasporti merce e logistica in tilt;
   con l'atto n. 5-00137 del 16 maggio 2013 l'interrogante aveva già denunciato la chiusura della strada statale 36 del lago di Como e dello Spluga conseguente al blocco della galleria Monte Piazzo avvenuto nel mese di maggio 2013 per problemi strutturali legati al dissesto del versante montuoso;
   sebbene siano ancora in corso gli accertamenti dei geologi sul tratto di versante interessato dalla frana, è noto il problema legato al rischio idrogeologico del versante montuoso adiacente la strada statale 36 e del Monte San Martino;
   il fatto in questione riporta all'attenzione l'esigenza di un adeguamento della rete viaria e l'intero sistema della mobilità del territorio lariano, con particolare riferimento alla strada statale 36, che diventa di pregnante necessità se si pensa alle ricadute economiche sulle imprese del territorio, sul turismo, sui lavoratori e sui pendolari, soprattutto in vista dell'imminente appuntamento di Expo2015;
   la durata semestrale di tale esposizione universale impone che sia messa in campo una strategia atta a garantire in maniera stabile, per tutto il periodo interessato, l'efficienza dell'intera rete di trasporto regionale, in particolare della zona lacuale (considerando anche la possibilità di prevedere specifiche corse per il servizio Autotraghetto verso le città capoluogo di Lecco e Como) e della Valtellina, che per i notevoli punti di interesse turistico, culturale ed enogastronomico potrà essere raggiunta e visitata da un sempre maggior numero di visitatori –:
   se non ritenga di intervenire per quanto di competenza, anche di concerto con ANAS s.p.a., al fine di affrontare in maniera definitiva la messa in sicurezza del territorio nel tratto di interesse della strada statale 36 e con particolare attenzione al Monte San Martino, per garantire la viabilità ed evitare situazioni emergenziali che si ripetono ormai da troppi anni in maniera ciclica. (5-02701)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCARDO GALLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 2 febbraio 2013, lungo la stradale statale 115, che collega i comuni di Ribera e Sciacca, in provincia di Agrigento, il crollo di un viadotto sul fiume «Verdura» ha provocato l'interruzione al transito dell'arteria stradale, crocevia fondamentale dell'assetto viario della Sicilia centro-meridionale;
   da pochi mesi un transito alternativo e precario, frutto di installazioni provvisorie, ha tamponato alla meno peggio l'emergenza derivante dal blocco stradale, nonostante l'Anas avesse già predisposto un progetto finanziato per 11 milioni di euro per costruire il nuovo tratto del viadotto crollato;
   l'interrogante evidenzia che attualmente, nonostante sia trascorso un anno dal cedimento del viadotto in precedenza indicato, l'avvio dei lavori per la realizzazione dell'opera infrastrutturale fondamentale per la viabilità stradale dei suindicati comuni, risulti gravemente in ritardo, con inevitabili ripercussioni sulle comunità interessate, che affrontano una serie di disagi, sia nel raggiungimento dei comuni in precedenza indicati, sia nello spostamento di mezzi di trasporto utilizzati per l'attività lavorativa –:
   se sia a conoscenza dei ritardi della realizzazione del viadotto esposto in premessa e, in caso affermativo quali iniziative il Ministro intenda attivare nei confronti dell'Anas per verificare quanto sta accadendo in relazione ai ritardi delle opere infrastrutturali e fornire garanzie sulla tempistica al fine di risolvere la condizione di stallo che danneggia, tra l'altro, l'ampio indotto economico, tra il commerciale e il ricettivo-turistico, legato alla percorribilità agevole della strada statale 115 Sciacca-Gela. (4-04620)


   NASTRI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta da un articolo pubblicato dal quotidiano Il Sole 24 Ore il 19 aprile 2014, le prossime scadenze stabilite a livello europeo, per la distribuzione dei cofinanziamenti per le reti di trasporto, evidenziano un possibile inadempimento da parte della Francia, relativi ai fondi pari a 2,2 miliardi di euro pattuiti con l'Italia, che sarebbero dovuti essere accantonati per il completamento della linea ferroviaria alta velocità alta capacità Torino-Lione;
   la suesposta segnalazione risulta provenire dal Comitato francese Transalpine che al pari del Comitato italiano Transpadana, riunisce tutti i soggetti coinvolti e interessati alla realizzazione della Tav Torino-Lione per sostenere l'alta velocità;
   a seguito dell'approvazione dell'accordo intergovernativo del 30 gennaio 2012, la prossima scadenza fondamentale, risulterà il bando che a settembre l'Unione europea indirizzerà ai 28 Paesi membri per stabilire quali opere di trasporto ferroviario, abbiano i requisiti per ottenere un co-finanziamento pari al 40 per cento dei costi complessivi;
   entro febbraio 2015, prosegue il suindicato articolo, sarà necessario replicare alle indicazioni della Commissione europea e, nel caso in cui la Francia non avesse le coperture necessarie, il rischio che si configurerebbe è di una prevedibile confusione, dagli esiti incerti con riferimento al compimento definitivo dell'opera ferroviaria;
   l'Italia dopo la necessaria revisione dei progetti, imposta dalla popolazione locale, sta finalmente accelerando la fase realizzatrice dell'opera infrastrutturale ferroviaria, continua l'articolo de Il Sole 24 Ore, in considerazione che nel dicembre del 2012 il Governo Monti, con la legge di stabilità per il 2013, ha stanziato circa 2,9 miliardi di euro per la Tav Torino- Lione, di cui 840 milioni di euro a valere sul triennio 2013-2015 e il resto reso disponibile in tranche di 150 milioni di euro l'anno per il periodo 2016-2019;
   la Francia al contrario, nell'ambito delle coperture finanziarie necessarie per la realizzazione dell'opera, pari a 2,2 miliardi di euro, avrebbe dovuto garantire tale impegno finanziario, attraverso i proventi eco-tasse sui messi pesanti, il cui tributo è stato tuttavia sospeso senza che sia stata indicata una data precisa per la reintroduzione del pagamento della tassa, oppure la sostituzione con un altro tributo;
   il Governo francese non sembra aver chiarito i dubbi a tal proposito, nel reperire i fondi suindicati almeno fino al 2017, secondo quanto rileva il vicepresidente di Transalpine, sostenendo che il prossimo 15 maggio a Parigi ci sarà un incontro presso l'ambasciata italiana, al fine di coordinare una serie di iniziative volte a definire il quadro generale sia dal punto di vista del proseguimento dei lavori, che sotto l'aspetto finanziario, coinvolgendo eventualmente anche il partenariato pubblico-privato;
   ulteriore ostacolo da definire sarà la stipula di un ulteriore trattato tra i due Paesi, che servirà a prendere atto in via definitiva del promotore pubblico e conterrà la certificazione dell'impegno finanziario a carico dei singoli Paesi, a valle del cofinanziamento europeo;
   la suesposta vicenda, a giudizio dell'interrogante, ove fosse confermata, necessita una serie di chiarimenti da parte dei Ministri interrogati, sia con riferimento all'eventualità che la mancanza dei fondi inizialmente previsti da parte della Francia, possa determinare un rallentamento dei lavori per la realizzazione dell'opera ferroviaria, Torino – Lione, che nell'ambito delle altre forme di finanziamento anche private, previste all'interno dell'impianto giuridico – finanziario italiano che risulta essere differente rispetto a quello francese –:
   se trovi conferma quanto pubblicato dal quotidiano Il Sole 24 Ore secondo cui nell'ambito della realizzazione dell'opera ferroviaria, Tav Torino-Lione, risulta non essere in regola da parte francese la distribuzione dei cofinanziamenti alle reti di trasporto pari a 2,2 miliardi di euro come riportato in premessa;
   in caso affermativo, se tale inadempimento rischi di determinare rallentamenti nella fase degli scavi nella realizzazione dei tunnel previsti, con inevitabili ripercussioni sulle scadenze del cronoprogramma pattuito nel recente passato tra l'Italia e la Francia;
   se siano infine a conoscenza di ulteriori informazioni, oltre a quelle pubblicate dal suindicato quotidiano, e, in caso affermativo, se non intendano fornire ogni utile chiarimento al riguardo. (4-04627)


   D'AMBROSIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 350 del 2003 (legge Finanziaria 2004) ha istituito l'autorità portuale di Manfredonia, aggiungendo detto porto all'elenco di cui all'articolo 6, comma 1, della legge 84 del 1994;
   il porto di Manfredonia (FG) comprende il porto vecchio, con funzione prevalente di porto peschereccio, ed il porto industriale, ubicato a circa 2 chilometri di distanza dal primo;
   l'autorità portuale non avendo una propria dotazione organica, si avvale della collaborazione della locale capitaneria di porto e di due esperti con contratti di collaborazione;
   sul portale web www.autoritaportualemanfredonia.com, la sezione «trasparenza», risulta in fase di elaborazione. Questo non rende possibile la visualizzazione di informazioni concernenti l'organizzazione e l'attività dell'autorità portuale di Manfredonia e quindi non favorisce il controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche, così come stabilisce il decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33;
   in data 14 aprile 2014, il direttore responsabile della testata giornalistica ManfredoniaNews.it, ha inoltrato a mezzo PEC, agli organi competenti, la denuncia di mancata trasparenza dell'autorità portuale di Manfredonia, non solo per l'assenza di dati nella relativa sezione del sito, ma anche per il mancato riscontro alla richiesta di accesso agli atti;
   alla denuncia diffusa sui mezzi di comunicazione, seguiva, attraverso gli stessi mezzi, risposta, che non si può ritenere soddisfacente, dell'autorità portuale di Manfredonia –:
   se si intenda per quanto di competenza, intervenire nella vicenda, al fine di verificare le motivazioni che sottendono a questa lacuna amministrativa. (4-04631)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   LAFORGIA e GIUSEPPE GUERINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel 2013 il centro di identificazione ed espulsione di via Corelli a Milano è stato teatro di alcune rivolte violente che hanno causato danneggiamenti alle strutture, in particolare i settori C ed E, riducendo la disponibilità di posti disponibili;
   la Croce rossa italiana nel dicembre 2013 ha deciso di non gestire più il centro di identificazione ed espulsione, terminando il suo lavoro ad ottobre 2013, alla scadenza naturale della convenzione stipulata con la prefettura di Milano;
   l'assessore alle politiche sociali e cultura della salute del comune di Milano, Pierfrancesco Majorino, il 31 gennaio 2014 ha richiesto pubblicamente che il centro di identificazione ed espulsione non venisse riaperto e si trasformasse in un centro di accoglienza a disposizione del terzo settore, dove poter ospitare persone in difficoltà e realizzare progetti di integrazione;
   è notizia di questi giorni che il centro di identificazione ed espulsione, dopo essere stato ristrutturato, verrà riaperto, dopo la realizzazione di un nuovo bando di gara, al termine del quale il prefetto di Milano Paolo Tronca ha firmato l'incarico al raggruppamento temporaneo d'impresa costituito dalla Gepsa, società francese di Gdf Suez, e dall'associazione culturale di Agrigento Acuarinto, dopo che le altre due concorrenti (la Ghirlandina di Modena e la 120 Servizi di Siracusa) erano state escluse per inadempienze, nonostante avessero un miglior punteggio;
   la struttura venne costruita nel 1998, quando il periodo massimo di permanenza era ancora di 30 giorni e non gli attuali 18 mesi;
   è necessario oggi discutere del superamento dei centri di identificazione ed espulsione, per ricondurre l'istituto del trattenimento al limitato e temporaneo scopo dell'identificazione dello straniero, e diverse proposte di legge in materia sono attualmente all'esame del Parlamento –:
   se il Ministro si sia confrontato con il comune di Milano prima di prendere la decisione di riaprire il centro di identificazione ed espulsione;
   se iI Ministro abbia intenzione di valutare la possibilità di sospendere la riapertura del centro di identificazione ed espulsione, aprendo un tavolo di confronto con il comune di Milano per individuare la destinazione migliore per quegli spazi.
(3-00784)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ZAMPA. – Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 6 novembre 2013 il centro di identificazione ed espulsione di Gradisca di Isonzo (Gorizia) – considerato uno tra i peggiori d'Italia – per disposizione del dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno è stato svuotato, con il trasferimento delle persone trattenute, e temporaneamente chiuso, come ripetutamente chiesto negli ultimi mesi anche da parte di parlamentari e amministratori del territorio e dopo mesi di rivolte e proteste da parte dei migranti che ne denunciavano le condizioni inumane di trattenimento, benché il numero dei trattenuti fosse ormai stato da tempo ridotto a un terzo della capienza massima, stimata in 200 posti;
   a riprova delle scandalose condizioni all'interno del centro di identificazione ed espulsione, in data 31 marzo 2014 il tribunale di Gorizia revocava la misura di custodia cautelare in carcere applicata ad uno degli artefici dei danni operati alla struttura nei mesi di ottobre e novembre 2013, ordinandone la scarcerazione, in quanto venivano riconosciute le condizioni di vita disumane a cui erano sottoposti i trattenuti presso il centro di identificazione ed espulsione e che nell'ordinanza applicativa della misura andava tenuto conto «del contesto sociale nel quale il reato è stato commesso»;
   sulle modalità di gestione del centro di identificazione ed espulsione nel territorio isontino si era già espresso il Consiglio regionale con una mozione che impegnava la regione ad agire nei confronti di prefettura, questura ed ente gestore affinché garantissero i diritti minimi di comunicazione e quelli di accesso da parte dei consiglieri, evocando la chiusura qualora le condizioni di vita all'interno del centro continuassero ad essere deplorevoli. Anche la provincia di Gorizia, con un comunicato di giunta si era espressa chiedendo la chiusura immediata del centro, così come lo stesso comune di Gradisca;
   «già nel settembre 2013 una delegazione della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato si era recata in visita al centro di identificazione e di espulsione (CIE) di Gradisca d'Isonzo (Gorizia), riscontrando numerose criticità, condizioni di vita disumane, tensione altissima;
   ancora il 13 agosto 2013 l'Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione evidenziava in un comunicato che: «l'articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica n. 394/199 e la Direttiva generale in materia di centri di permanenza temporanea ed assistenza del Ministero dell'interno sull'organizzazione dei CIE prevedono che gli stessi vadano concepiti e concretamente gestiti «in modo tale che gli stessi pur garantendo il non allontanamento degli stranieri, non comportino alcun ulteriore affievolimento dei diritti della persona trattenuta»;
   diversamente, i trattenuti nel centro di identificazione ed espulsione di Gradisca si trovavano da lunghissimo tempo in una condizione di totale privazione nell'accesso ad alcuni diritti fondamentali. Solo tra gli aspetti più evidenti si ricorda che all'interno del centro: era vietato l'uso di cellulari; nel centro non era possibile svolgere nessuna attività ricreativa o di socializzazione, neanche all'aperto; non risultava possibile usare il piccolo campo da calcio da oltre un anno; la mensa, pure agibile, era chiusa; non era consentito neppure tenere libri e giornali; mancavano le lenzuola;
   in queste condizioni di degradazione della dignità umana i trattenuti passavano il loro tempo, spesso molti mesi, in una condizione di totale vuoto e spaesamento, con evidenti ripercussioni sulla loro salute psico-fisica. Ampio, infatti, è risultato l'uso di psicofarmaci come già evidenziato nel rapporto di Medici per i diritti umani e in altri rapporti;
   sulla base dalle reiterate denunce, è stata avviata un'inchiesta giudiziaria sugli appalti e sulla gestione del centro di identificazione ed espulsione di Gradisca conclusasi alla fine del mese di marzo 2013 con 13 richieste di rinvio a giudizio tra cui il viceprefetto Gloria Sandra Allegretto e il ragioniere capo della prefettura Telesio Colafati accusati di falso materiale e ideologico in atti pubblici. Al vice prefetto Allegretto e al funzionario della prefettura viene contestato il fatto di non aver verificato la congruità delle fatture presentate e di averle vistate autorizzandone il pagamento. I vertici di Connecting people, il consorzio siciliano che gestisce dal 2008 il centro di Gradisca, unitamente a quello di Trapani, sono imputati per associazione a delinquere finalizzata alla truffa ai danni dello Stato e ad i inadempienze di pubbliche forniture: da quanto viene reso noto, il Consorzio avrebbe intascato i persino i soldi, che in base al capitolato d'appalto, erano destinati per l'acquisto di carte telefoniche e acqua destinate ai trattenuti nel Centro;
   dalle indagini è emerso che i vertici del consorzio avrebbero ottenuto somme ben più alte di quelle dovute sulla gestione degli immigrati. Avrebbero presentato fatture dove era stato gonfiato il numero di immigrati presenti al Centro di accoglienza per richiedenti asilo e al centro di identificazione ed espulsione. Il Giudice dell'udienza preliminare ha fissato per 2 luglio 2013 l'udienza preliminare per i tredici imputati;
   l'indagine riguarda gli anni di gestione dal 2008 al 2011, i tre anni in cui Connecting people ha gestito il centro di via Udine dopo aver vinto l'appalto. La gestione è poi proseguita ed è tuttora affidata al consorzio siciliano perché la gara d'appalto lo scorso anno non è stata aggiudicata per un vizio formale che aveva escluso l'altro ente concorrente;
   a quanto reso noto da una dichiarazione del viceministro dell'interno, Bubbico, il ministero ha attivato una verifica di natura amministrativa e lo stesso viceministro ha dichiarato «Mi sento di dire che dall'attività di verifica effettuata non emergerebbero rilievi di natura amministrativa. Poi l'attività della magistratura ci dirà il resto...Dalle indagini interne non risulterebbero maggiori pagamenti effettuati nei confronti dell'ente gestore. Questo risulta in maniera abbastanza chiara, peraltro noi, come avviene in queste circostanze, abbiamo attivato la procedura per chiedere all'avvocatura dello Stato circa l'opportunità di costituirci in giudizio e in questo specifico caso l'avvocatura ci ha segnalato che non ravvisandosi, nelle ipotesi accusatorie, elementi di colpevolezza dei funzionari coinvolti non sussistessero gli estremi»;
   l'interrogante, nel mese di dicembre 2013 ha presentato la mozione n. 1-00156 in cui venivano richiamate le conclusioni della Commissione De Mistura, istituita nel luglio 2006 con decreto del Ministro dell'interno pro tempore, Giuliano Amato ed il cui rapporto sulla situazione dei centri di identificazione ed espulsione fu depositato il 31 gennaio 2007. Tale rapporto, dopo avere analizzato tutte le criticità presenti nei luoghi di detenzione amministrativa, concludeva per la necessità di prevedere il «superamento» degli allora centri di permanenza temporanea ed assistenza attraverso il loro «svuotamento». E tuttavia, le conclusioni della commissione De Mistura non trovarono attuazione –:
   una volta fatta piena luce sulla vicenda, quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato affinché in futuro non si ripetano situazioni di scarsa trasparenza nella gestione dei centri di identificazione ed espulsione;
   quali iniziative intenda adottare per garantire il periodico monitoraggio da parte delle prefetture delle reali condizioni di vita nei centri, verificando la congruenza dei servizi offerti con le convenzioni in essere, e uniformare ed armonizzare i regolamenti e le convenzioni su tutto il territorio nazionale, così da assicurare unità di trattamento nei centri di identificazione ed espulsione;
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover assumere iniziative per riformare l'intera disciplina dell'ingresso, del soggiorno e dell'allontanamento dei cittadini stranieri, riducendo a misura eccezionale, o comunque del tutto residuale, il trattenimento dello straniero ai fini del suo rimpatrio, nonché per rivedere la disciplina di permanenza, al fine di evitare il trattenimento nei centri di identificazione ed espulsione di coloro che hanno bisogno di protezione, come le vittime di tratta, i minori, i richiedenti asilo;
   se la vicenda giudiziaria in atto non confermi la necessità di adottare i suggerimenti proposti dal rapporto della Commissione De Mistura del 2006 che prevedevano il superamento dei centri di identificazione ed espulsione ripensando gli attuali strumenti di gestione dell'immigrazione irregolare che risultano inefficaci e un abbattimento dei tempi di permanenza nei centri di identificazione ed espulsione, oggi inaccettabili per durata ed inutili, oltre il periodo iniziale, all'effettiva identificazione delle persone trattenute.
(5-02700)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella giornata della domenica di Pasqua, il 20 aprile 2014, nel reparto C2 della IV sezione del carcere circondariale di Lecce nell'ambito dell'incontro conviviale è scoppiata una rissa, come riportato dalla stampa, tra detenuti ed agenti di polizia penitenziaria;
   nove agenti si sono dovuti recare in infermeria a causa delle ferite subite;
   il carcere di Lecce è notoriamente uno dei più sovraffollati, tanto che da tempo i sindacati denunciano una popolazione carceraria di circa milleduecento detenuti a fronte di una capienza ordinaria di 650 persone;
   nonostante i dirigenti assicurino che la sicurezza è sotto controllo, il personale è comunque sottodimensionato di circa cento unità;
   la situazione è stata più volte posta all'attenzione del Ministro, anche da parte dei numerosi parlamentari che hanno avuto modo di constatare la condizione di invivibilità di numerose celle di tre letti prive di alcuno spazio vitale;
   alle carenze strutturali hanno fin qui supplito con lodevole buona volontà sia il personale dirigente che gli agenti di custodia;
   l'ultimo episodio, tuttavia, non può lasciare indifferenti, anche in ragione delle prescrizioni europee sinora regolarmente disattese –:
   quali iniziative intenda assumere con riferimento alla situazione del carcere di Lecce, come esposta in premessa, sia al fine di garantire ai detenuti di poter vivere in condizioni dignitose, sia al fine di garantire la sicurezza degli stessi detenuti e di tutto il personale in servizio presso la struttura. (4-04616)


   LOREFICE, GRILLO, DI VITA, CECCONI, BARONI, DALL'OSSO, SILVIA GIORDANO e MANTERO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 16 aprile 2014, in contrada Rocciola a Modica, due ignoti a volto coperto sorprendevano alle spalle il signor Paolo Borrometi all'interno di una proprietà di famiglia, mentre era intento ad accudire il suo cane, e lo malmenavano brutalmente lasciandolo a terra dolorante; Borrometi non ha perso conoscenza ed è riuscito a chiamare i soccorsi; trasportato in ospedale sono stati esclusi danni gravi, così che dopo qualche ora, e le dovute cure, è stato dimesso; sul caso indaga la polizia;
   i motivi dell'aggressione sono al momento sconosciuti, ma appare lecito il collegamento con l'attività lavorativa di Borrometi, 31 anni, laureato in giurisprudenza, giornalista pubblicista, corrispondente dell'agenzia AGI e direttore di una testata online locale; spesso si è occupato di temi scottanti riguardanti il territorio ragusano e ai quali la stampa non ha mai dato risalto, dalle amministrazioni locali poco trasparenti all'omicidio irrisolto del giovane Ivano Inglese, impiegato incensurato di Vittoria assassinato con diversi colpi di pistola la sera del 20 settembre 2012; recentemente Paolo Borrometi è stato ospite della trasmissione televisiva «I fatti vostri» assieme alla madre di Ivano Inglese per lanciare un appello affinché venisse abbattuto quel muro di omertà e di indifferenza che sembra circondare l'omicidio del giovane vittoriese; in quell'occasione il giornalista rivolse parole dure e di sfida verso gli autori del delitto;
   già in passato Borrometi ha subito atti vandalici sulla propria autovettura e continua ancora oggi a ricevere minacce tramite telefonate anonime;
   la Costituzione italiana, all'articolo 4, tutela il diritto al lavoro e definisce come dovere di ogni cittadino lo svolgimento di un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società; sempre la Costituzione, all'articolo 21, tutela la libertà di stampa e la protegge da qualsiasi censura, da intendersi inclusa anche quella di tipo mafioso;
   in data 8 agosto 2013 con l'interrogazione a risposta scritta n. 4-01653 veniva segnalata la situazione deficitaria a livello di personale e risorse nella polizia della provincia di Ragusa, chiedendo di ovviare a questa carenza che ha portato ad un minore presidio sul territorio, e quindi al moltiplicarsi di delitti contro la persona o il patrimonio;
   in data 26 settembre 2013 con l'interrogazione a risposta scritta n. 4-01972 si segnalava l'esplosione della criminalità nella provincia di Ragusa chiedendo di intensificare l'attività di prevenzione e repressione dei fenomeni criminali –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   quali azioni intenda porre in atto per contrastare la criminalità in provincia di Ragusa e se intenda destinare maggiori risorse e personale alla polizia al fine di assicurare un continuo ed efficace presidio del territorio ragusano;
   quali misure di sicurezza generali e specifiche intenda porre in atto per garantire l'incolumità del signor Paolo Borrometi e la continuità del suo lavoro, prezioso per la società siciliana ma anche per quella nazionale. (4-04625)


   NACCARATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 23 aprile 2014, i carabinieri di Cittadella, in collaborazione con i colleghi di Camposampiero, hanno arrestato Nerio Corò, 45 anni, di Noventa di Piave (Venezia), libero professionista, e Stefano Costa, 36 anni, di Bassano (Vicenza), disoccupato ed esponente del Movimento Cinque Stelle;
   il provvedimento è stato eseguito, dopo mesi di indagini, su ordinanza di custodia cautelare emessa dal tribunale di Vicenza per i reati di rapina aggravata, porto abusivo di armi, tentata estorsione, sequestro di persona a scopo di estorsione;
   i fatti risalgono al mese di novembre 2013, quando Corò aveva contattato un imprenditore cinquantaseienne di Camposampiero, titolare di una serigrafia, facendo credere di essere intenzionato a concludere un affare e aveva fissato un appuntamento nel comune di Bassano;
   al momento dell'incontro l'imprenditore è stato accolto da Costa che, a volto coperto, si era presentato come appartenente alla Guardia di finanza e aveva inscenato un arresto;
   immobilizzato l'imprenditore, Costa lo aveva sequestrato e tratto in auto in un luogo non meglio precisato, dove avrebbe rivelato di essere affiliato alla ’ndrangheta chiedendo 200 mila euro in cambio della sua liberazione;
   dopo il sequestro lampo, la vittima aveva denunciato l'episodio ai carabinieri, spiegando che conosceva Corò poiché aveva gestito fino a qualche anno fa una piccola ditta di serigrafia, ora fallita e per questa ragione aveva accettato di incontrarlo a Bassano;
   i militari dell'Arma hanno subito iniziato le indagini, raccogliendo con grande professionalità elementi utili a identificare i responsabili e, al contempo, assicurando una stretta sorveglianza a favore dell'imprenditore per garantire la sua sicurezza personale sia a casa che in azienda;
   nel frattempo, Costa e Corò avevano continuato a intimidire l'imprenditore, anche nei mesi seguenti al sequestro, sino al momento dell'arresto;
   la vicenda ha sollevato allarme nelle comunità locali e ha destato forti preoccupazioni nelle istituzioni per la particolare modalità del sequestro e per il timore che simili gesti possano ripetersi, mettendo a repentaglio l'incolumità dei cittadini –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   quali iniziative di competenza intenda adottare, anche attraverso gli uffici territoriali del Governo, per prevenire e contrastare simili episodi e garantire la sicurezza dei cittadini. (4-04644)


   DI GIOIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in base alla legge 12 luglio 1991, n. 203, sono stati emessi, nel corso degli ultimi anni, atti di escomio nei confronti dei signori Antenozio Luigi, Fontanas Antonio e Melino Pierangelo, affinché rilasciassero gli alloggi di edilizia sovvenzionata, siti in Foggia, le cui assegnazioni erano state revocate con decreti prefettizi;
   tutte le persone coinvolte hanno presentato circostanziate e documentate relazioni sia alla prefettura che all'amministrazione comunale, con le quali si rendeva noto che per ragioni di salute (in alcuni casi con riconosciuta invalidità al 100 per cento a causa di malattie per causa di servizio) e per altrettante motivate ragioni di difficoltà economiche gli stessi erano impossibilitati a lasciare gli alloggi non avendo altra alternativa che la strada;
   la prefettura di Foggia ha fatto presente che, stante la normativa attualmente vigente, le richieste di sospensione non potevano essere accolte;
   la prefettura ha fatto esplicito riferimento alla delibera CIPE del 20 dicembre 2001, precisando che la decadenza dell'assegnazione avviene automaticamente alla data di cessazione dell'incarico di servizio che ha determinato l'assegnazione dell'alloggio;
   in una nota ad uno degli interessati la prefettura ha comunicato che, ai primi del mese di maggio 2014, qualora l'alloggio fosse ancora occupato procederà, con l'assistenza della forza pubblica, al rientro in possesso;
   tale comunicazione è avvenuta nonostante che, con nota prot. 17499 in data 24 febbraio 2014, lo stesso sindaco di Foggia, Gianni Mongelli, avesse richiesto la sospensione del provvedimento di revoca alloggio per i VV. Ff. Antenozio Luigi, Fontanas Antonio e Melino Pierangelo, in base alle certificate e serie motivazioni di salute nonché circostanziate ragioni di natura economica;
   nella stessa comunicazione, il sindaco faceva presente che, al momento, da parte dell'ente locale, non vi era possibilità di trovare un'altra idonea sistemazione –:
   se non si ritenga necessario e urgente sospendere i procedimenti di cui alle premesse al fine di trovare soluzioni alternative e decorose per i signori Antenozio, Fontanas e Melino che hanno svolto con coscienza la loro professione al servizio dei cittadini;
   se non si ritenga, in ogni caso, incivile per il nostro Paese pensare di sfrattare delle persone, da un alloggio oltretutto pubblico, riconosciute invalide al 100 per cento ignorando che le stesse hanno contratto una malattia per cause di servizio o che si trovino in documentate difficoltà economiche;
   se s'intenda, di conseguenza, promuovere una revisione delle norme in questione al fine di riconoscere, in determinati e documentati casi, come quelli all'esame, che alle persone interessate sia data la possibilità di continuare a usufruire dell'alloggio assegnato, restituendo loro la dignità e i diritti che si sono conquistati con un lavoro al servizio dell'intera comunità. (4-04648)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   non accenna a trovare soluzione la annosa questione dei ricercatori in attesa di presa di servizio (RAP) più noti come «ricercatori fantasma», vale a dire vincitori di concorsi per la specializzazione medica che si sono visti poi rifiutare l'assunzione;
   questi ricercatori hanno vinto dei regolari concorsi, banditi da università «virtuose», vale a dire quelle università che non hanno superato la soglia del 90 per cento nel rapporto tra la spesa per gli assegni fissi e il fondo di finanziamento ordinario, alle quali è stata riconosciuta la facoltà di effettuare assunzioni;
   tuttavia, in alcuni casi, tra l'emanazione del bando e l'espletamento del concorso è trascorso troppo tempo, in molti casi addirittura due anni, e nel frattempo l'università è diventata «non virtuosa» e non può procedere all'assunzione del vincitore del concorso, salvo che torni a rispettare i parametri di virtuosità;
   nel frattempo, nella realtà spesso accade che il ricercatore non assunto, a fronte di un compenso trascurabile, svolga regolarmente le lezioni e gli appelli d'esame, segua le tesi di laurea e faccia ricerca nel tempo che rimane disponibile, di fatto contribuendo al funzionamento dell'università;
   gli atenei più colpiti, dal punto di vista numerico, da questo triste fenomeno sono Bari e Trieste, nei quali risultano rispettivamente 32 e 28, e a Bari esiste addirittura il caso di un ricercatore il cui concorso è stato bandito nel 2005, il quale, dopo una lunga serie di problematiche che ne hanno ritardato l'assunzione, si è ritrovato sotto la «tagliola» della legge che consente le assunzioni solo agli atenei virtuosi;
   è opportuno precisare che non tutti i ricercatori in attesa di presa di servizio sono uguali: esistono quelli di I tipo, che «possono» essere assunti (nel senso che la legge non lo vieta: sono i vincitori di posti cofinanziati o interamente finanziati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, e quelli di II tipo, che «non possono» essere assunti (per via della famosa legge n. 1 del 2009);
   l'assunzione dei ricercatori in attesa di presa di servizio di I tipo è a discrezione dei rettori, e nella maggior parte dei casi, essi sono stati assunti, spesso «scavalcando» i ricercatori in attesa di presa di servizio di II tipo, i quali avevano vinto il concorso ben prima di loro –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di consentire l'assunzione di questi ricercatori, ingiustamente penalizzati da lungaggini burocratiche, riconoscendo il loro diritto al lavoro in forza della regolarità della procedura con la quale essi hanno vinto il proprio concorso. (4-04617)


   D'UVA, VACCA e SILVIA GIORDANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in conformità con le disposizioni legislative in materia di accesso ai corsi di laurea a numero programmato, per l'anno accademico 2014-2015, l'ammissione dei candidati ai corsi di cui all'articolo 1, comma 1, lettera a) della legge 2 agosto 1999, n. 264, avviene a seguito di superamento di apposita prova sulla base delle disposizioni assunte con apposito decreto ministeriale;
   il decreto ministeriale del 5 febbraio 2014, n. 85, ha disciplinato, così come previsto dalla legge 2 agosto 1999, n. 264, le modalità e i contenuti delle prove di ammissione ai corsi di laurea e laurea magistrale a ciclo unico ad accesso programmato a livello nazionale per l'anno accademico 2014-2015;
   così come disposto dall'articolo 2 del citato decreto ministeriale «la prova di ammissione ai corsi di laurea magistrale in medicina e chirurgia e in odontoiatria e protesi dentaria, alla quale partecipano i candidati comunitari, i candidati non comunitari di cui all'articolo 26 della legge n. 189 del 2002 citata in premessa e i candidati non comunitari residenti all'estero, è unica per entrambi i corsi ed è di contenuto identico sul territorio nazionale»;
   l'articolo 12 del decreto ministeriale del 5 febbraio 2014, n. 85 prevede espressamente che i bandi di concorso delle università, emanati con decreto rettorale entro il giorno 7 febbraio 2014, devono prevedere disposizioni atte a garantire la trasparenza di tutte le fasi del procedimento, ai sensi della legge n. 241 del 1990 e successive modificazioni;
   per l'anno accademico 2014-2015 la prova di ammissione ai corsi di medicina e chirurgia, odontoiatria e protesi dentaria, è stata fissata, a norma dell'articolo 9 del decreto ministeriale del 5 febbraio 2014, n. 85, in data 8 aprile 2014, scadenza unica per tutto il territorio nazionale;
   il test di medicina e odontoiatria che si è svolto l'8 aprile 2014 su tutto il territorio nazionale è stato oggetto di diverse segnalazioni circa presunte irregolarità circa le procedure da adottare in tema di trasparenza, ma è presso l'università degli studi di Bari che si riscontra il fatto più grave in termini di violazione delle essenziali e inderogabili norme a garanzia della regolarità delle prove di ammissione;
   secondo quanto denunciato dalle più rilevanti testate giornalistiche nazionali e, in particolare, dalle associazioni studentesche «UDU» e «RETE», presso l'università di degli studi di Bari, è stata riscontrata una grave violazione del materiale ministeriale oggetto della prova di ammissione, con l'apertura di un plico prima dell'ingresso dei candidati all'interno dell'aula selezionata quale sede del test di accesso, e all'interno del quale sarebbero state rinvenute solamente 49 delle 50 buste contenute al suo interno;
   data l'assoluta gravità di tali fatti, e su espressa richiesta della commissione esaminatrice dell'università del capoluogo pugliese, la Digos ha celermente avviato un'inchiesta, con l'ipotesi di reato di furto finalizzato alla truffa, dal momento che, così come accertato nel corso delle prime indagini, il plico in oggetto mostrava un'evidente alterazione nelle modalità di chiusura;
   con propria nota, in data 11 aprile 2014, il Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca ha confermato che a seguito dei fatti avvenuti presso l'università degli studi di Bari, si è proceduto all'immediato approfondimento del caso, a tutela dell'interesse degli oltre 63.000 candidati che hanno effettuato la prova;
   dalle prime verifiche, nonché dalla relazione fornita dall'ateneo, è emerso come dall'analisi dei pacchi di materiale relativi alla prova di medicina, in custodia presso la stazione dei carabinieri locale fino al trasferimento nella facoltà con mezzo dell'Ateneo di Bari, la commissione ha potuto riscontrare che «uno dei pacchi presentava il sigillo integro ma il nastro da imballaggio scollato e ha chiesto l'intervento della Polizia di Stato per i dovuti controlli. Alla presenza degli studenti è stato verificato che il pacco conteneva 49 buste anziché 50 come previsto»;
   così come riportato dal quotidiano La Repubblica, in data 17 aprile 2014, sarebbe già pronta una «class action» al fine di ottenere l'annullamento del test di ammissione, e sottoscritta da oltre 500 candidati che avrebbero così già aderito al maxi ricorso –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere qualora le gravi irregolarità esposte in premessa venissero confermate al termine degli accertamenti della magistratura attualmente in essere;
   quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di impedire che tali violazioni possano verificarsi nel corso delle prove di ammissione ai corsi di laurea e laurea magistrale a ciclo unico ad accesso programmato a livello nazionale per gli anni successivi. (4-04645)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GEBHARD, ALFREIDER, PLANGGER, SCHULLIAN e OTTOBRE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Corte di giustizia europea, con la sentenza del 10 giugno 2010, riguardante le cause riunite C395/08 e C396/08, ha stabilito che la normativa italiana sul part-time di tipo verticale viola il divieto di discriminazione stabilito dalla direttiva 98/81/CE, in vigore dal 1997, in quanto esclude i periodi non lavorati dei lavoratori a tempo parziale di tipo verticale ciclico dal calcolo dell'anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione;
   la Corte di giustizia europea, pur riconoscendo l'applicabilità del principio pro rata temporis, ha affermato che tale principio non è applicabile alla determinazione della data di acquisizione del diritto alla pensione, in quanto questa dipende esclusivamente dall'anzianità contributiva maturata dal lavoratore e questa anzianità deve corrispondere alla durata effettiva del rapporto di lavoro e non alla quantità di lavoro fornita nel corso del rapporto stesso;
   l'Italia ha recepito la direttiva comunitaria con il decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61, prevedendo all'articolo 4 il divieto di discriminazione sopra citato; conseguentemente l'esclusione dei periodi non lavorati ai fini del calcolo pensionistico si risolve, in una disparità di trattamento tra i lavoratori a tempo parziale di tipo verticale ciclico e i lavoratori che hanno optato per quello di tipo orizzontale, i quali sarebbero posti in una situazione più vantaggiosa per una durata di lavoro che è però equivalente;
   il principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo parziale e lavoratori a tempo pieno, sancito dall'articolo 4 del decreto legislativo 61 del 2000 implica, quindi, che l'anzianità contributiva utile ai fini della determinazione della data di acquisizione del diritto alla pensione sia calcolata per il lavoratore a tempo parziale come se egli avesse occupato un posto a tempo pieno, prendendo integralmente in considerazione anche i periodi non lavorati;
   questo già avviene per i lavoratori del pubblico impiego, passati all'INPS dall'ex INPDAP, ai quali viene riconosciuto per intero, ai fini pensionistici, anche il part-time di tipo verticale ciclico, ai sensi dell'articolo 8, comma 2, della legge 29 dicembre 1988, n. 554, ma non per i lavoratori del settore privato –:
   si ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza per dare attuazione alla sentenza della Corte di giustizia europea del 10 giugno 2010, chiarendo che l'articolo 8, comma 2, della legge 29 dicembre 1988, n. 554, debba applicarsi a tutti i lavoratori e facendo si che l'INPS adotti i provvedimenti conseguenti.
(5-02696)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOSCATT. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con la legge di stabilità 2014, al fine di consentire di risolvere i problemi occupazionali connessi alla gestione dei servizi di pulizia e ausiliari delle istituzioni scolastiche ed educative statali e degli enti locali, è stata garantita la prima proroga dei contratti per l'acquisto di servizi di pulizia e di altri servizi ausiliari in quei territori in cui non è stata attivata la convenzione CONSIP;
   il decreto legge 6 marzo 2014, n. 16, recante «disposizioni urgenti in materia di finanza locale, nonché misure volte a garantire la funzionalità dei servizi svolti nelle istituzioni scolastiche, con l'articolo 9 proroga nuovamente detti contratti al 31 marzo al fine di individuare le giuste soluzioni per la continuazione del servizio e la salvaguardia dei tanti posti di lavoro;
   in data 28 marzo 2014 è stato sottoscritto un accordo tra il Governo, rappresentanti delle aziende e sindacati finalizzato a salvaguardare il servizio di pulizia nelle scuole e quindi il personale impegnato;
   l'interpretazione di tale accordo, in alcuni territori della Sicilia, sta creando disfunzioni nei servizi e serie problematiche ed incertezza per i lavoratori. Le aziende aggiudicatrici dell'appalto infatti garantiscono un numero di ore nettamente inferiore a quelle necessarie per la pulizia e i dirigenti scolastici manifestano serie difficoltà nell'organizzazione del servizio. Inoltre, poco chiare sono le informazioni rispetto al prosieguo del servizio e alle modalità in cui questo si sostanzierà e su come verranno realmente impegnati i lavoratori;
   la situazione rischia di compromettere il regolare svolgimento dell'attività didattica a causa delle precarie situazioni igieniche che si stanno creando in numerosi plessi scolastici e crea di certo preoccupazione ed allarmismi tra i lavoratori interessati –:
   quali interventi intenda intraprendere il Governo per garantire il perfetto rispetto dell'accordo nei territori interessati;
   se non si ritenga necessario avviare una verifica attraverso il tavolo di monitoraggio istituito nell'accordo del 28 marzo 2014;
   quali interventi si intendano porre in essere per esplicitare in maniera chiara ed univoca il programma di sviluppo previsto nell'accordo citato. (4-04621)


   GIULIETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, commi 1 e 2, della legge 4 novembre 2010, n. 183, tratta il tema dell'accesso anticipato al pensionamento per gli addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti;
   possono fruire di deroga rispetto alle normative vigenti in materia di previdenza, ed accedere alla pensione anticipata con requisiti agevolati i lavoratori che abbiano le seguenti condizioni:
    a) lavoratori a turni, di cui all'articolo 1, comma 2, lettera g), del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, che prestano la loro attività nel periodo notturno come definito alla lettera d) del predetto comma 2, per almeno 6 ore per un numero minimo di giorni lavorativi all'anno non inferiore a 78, per coloro che maturano i requisiti per l'accesso anticipato nel periodo compreso tra il 1o luglio 2008 e il 30 giugno 2009 e non inferiore a 64, per coloro che maturano i requisiti per l'accesso anticipato dal 1o luglio 2009;
    b) lavoratori che prestano la loro attività per almeno tre ore nell'intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino di cui all'articolo 1, comma 2, lettera d), del predetto decreto legislativo n. 66 del 2003, per periodi di lavoro di durata pari all'intero anno lavorativo;
   sia nell'applicazione della norma, che nella gestione pratica e concreta, i lavoratori impegnati in lavorazioni che richiedono la turnazione in 3 turni (mattino, pomeriggio, notte) a ciclo continuo compresi sabati e domeniche con riposi compensativi a scorrimento, sono fortemente penalizzati in quanto vi sono dei parametri assolutamente incompatibili con l'effettiva possibilità dei lavoratori di poter beneficiare delle agevolazioni di cui sopra ed infatti i lavoratori che effettuano tali lavorazioni hanno contrattualmente e legalmente il diritto a beneficiare di 4 settimane di ferie, 4 giorni di festività soppresse e 76 ore di riduzione di orario da CCNL e dei fermi relativi ai riposi compensativi, che riducono il numero di giornate effettivamente da lavorare; questo comporta che il lavoratore che lavora continuamente con i soli fermi dovuti ha un numero di giorni lavorativi che materialmente non consentono di raggiungere il III scaglione che prevede 78 notti, né il II scaglione che prevede 71 notti, mentre il I scaglione è raggiungibile solo a condizione che il lavoratore abbia la massima costanza al lavoro (assenza di malattie, infortuni, maternità, e altro);
   appare quindi evidente da quanto sopra illustrato che se la legge deve dare degli effettivi benefici a questi lavoratori, i parametri indicati, a meno che non si voglia che i lavoratori facciano turnazioni ed orari di lavoro non conformi alle norme vigenti e non previsti dal CCNL, devono essere rivisti al ribasso, calcolandoli cioè tenendo conto di quanto prescritto dalle leggi (pause di 11 ore tra un turno e l'altro e riposi settimanali) e su questi occorre determinare il beneficio anche graduale in relazione alle notti effettivamente fatte;
   un'altra incongruenza sta nella possibilità di accedere al beneficio quando un lavoratore ha effettuato negli ultimi dieci anni almeno 7 anni con uno dei requisiti e l'ultimo anno deve essere fatto interamente con i requisiti di cui sopra; allo stesso modo il diritto viene negato al lavoratore che magari per 40 anni ha sempre effettuato l'orario a ciclo continuo, raggiungendo sempre i requisiti previsti, e poi a causa di eventi esterni (infortunio, malattia, invalidità e altro) nell'ultimo anno non è riuscito a raggiungere i medesimi requisiti con ciò perdendo la possibilità del beneficio –:
   se e quali iniziative il Governo intenda assumere per chiarire e modificare la norma, tenendo conto del reale svolgersi di questo particolare regime di orario (turnazione in tre turni) molto gravoso per i lavoratori, e dare una adeguata risposta alle loro aspettative. (4-04633)


   MARANTELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 27 febbraio 2014 il commissario straordinario di Livingston SPA in a. s. ha richiesto la cassa integrazione guadagni straordinaria/mobilità – Vettori Aerei, nel quadro dell'accordo governativo previsto dal 1o ottobre 2012 al 31 settembre 2014, per il periodo della domanda 1 aprile 2014 – 30 settembre 2014, che ad oggi non risulta concessa –:
   quali ragioni stiano ritardando la firma del cassa integrazione guadagni straordinaria medesima. (4-04636)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MASSIMILIANO BERNINI, DELLA VALLE, VIGNAROLI, PETRAROLI, BENEDETTI, L'ABBATE, GAGNARLI e TOFALO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'ape è un insetto pronùbo che svolge un importantissimo ruolo riguardo il mantenimento della bio-diversità vegetale, sia tra le piante coltivate che quelle spontanee;
   il continuo contatto con l'ambiente che caratterizza l'operato delle api che svolgono attività bottinatrice, favorisce l'accumulo all'interno dell'alveare delle sostanze con le quali le api stesse entrano in contatto, rendendo l'alveare una preziosa fonte di informazioni circa la presenza di sostanze inquinanti;
   secondo un recente allarmante rapporto di Greenpeace, in tutta Europa il polline con il quale entrano in contatto le api è altamente inquinato da un «pesante cocktail di pesticidi tossici» tra i quali molti neonicotinoidi;
   alla luce di quanto riscontrato dal nuovo rapporto sulla contaminazione del polline, Greenpeace invita la Commissione europea e i Governi nazionali a vietare completamente l'utilizzo dei pesticidi clothianidin, imidacloprid, thiamethoxam e fipronil, attualmente sottoposti a un divieto temporaneo e a vietare gli altri pesticidi dannosi per api e altri impollinatori (compresi clorpirifos, cipermetrina e deltametrina);
   l'11 febbraio 2014, con primo firmatario deputato Bernini Massimiliano, è stata depositata una proposta di legge A.C. 2069 «concernente la disciplina dell'uso dei fitofarmaci nell'apicoltura» dove si vietano, in qualunque periodo dell'anno, i trattamenti antiparassitari condotti con l'utilizzo di prodotti fitosanitari ed erbicidi a base di neonicotinoidi –:
   se sia al corrente del rapporto pubblicato da Greenpeace e quali misure urgenti siano in programma per ovviare al pericolo ambientale provocato dall'utilizzo dei pesticidi. (5-02702)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GAGNARLI, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GALLINELLA, L'ABBATE, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 30 ottobre 2013 il Sottosegretario alle politiche agricole alimentari e forestali pro tempore, Giuseppe Castiglione, rispondendo all'interrogazione n. 5-00585 (Gagnarli e altri) confermava la necessità di emanazione del decreto interministeriale previsto dall'articolo 52, comma 2-bis, del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito dalla legge n. 134 del 2012, atto a stabilire le caratteristiche e le modalità di impiego del «digestato» (sottoprodotto derivante dalle centrali a biogas) come fertilizzante, nonché le relative modalità di classificazione delle operazioni di disidratazione, sedimentazione, chiarificazione, centrifugazione ed essiccatura;
   nella risposta si evidenzia che gli uffici competenti del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali avrebbero già elaborato una proposta condivisa, dal punto di vista tecnico, con le regioni e con le amministrazioni centrali coinvolte sui vari aspetti della problematica, sulla quale si è in attesa delle determinazioni del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, necessarie al fine della formalizzazione del concerto previsto per l'emanazione;  
   vengono altresì citati studi scientifici dai quali emergerebbe l'assenza di elementi pericolosi PTEs ed inquinanti POPs nel digestato ottenuto da sottoprodotti d'origine vegetale, derivanti dai processi di trasformazione dell'industria agroalimentare, a fronte di altri studi scientifici altrettanto autorevoli, citati nell'atto di sindacato ispettivo, in base ai quali, invece, vengono segnalati potenziali rischi igienico-sanitari legati all'uso di digestati come fertilizzanti, ad esempio alimentando i fermentatori a biogas con mais colpito da aflatossine;
   a fronte di tale discordanza tra diversi studi scientifici al riguardo, appare ancor più opportuna l'emanazione del decreto interministeriale che ne regoli le corrette modalità di impiego come fertilizzante/ammendante;
   il sottosegretario pro tempore, inoltre, esprimeva la volontà del Governo Letta di integrare le linee guida nazionali sulle fonti rinnovabili, introducendo ulteriori allegati tecnici riguardanti gli impianti alimentati da altre fonti rinnovabili, ivi compresi gli impianti a biogas; tali linee guida prevedono il monitoraggio sulla concreta applicazione in ambito regionale anche allo scopo di valutare le eventuali proposte degli enti territoriali rivolte all'implementazione della normativa stessa, sia per quanto riguarda gli aspetti amministrativi-procedimentali, sia per quanto riguarda la parte più tecnica;
   a parere degli interroganti il monitoraggio sulla normativa regionale è quanto mai necessario, posto che recentemente la Lombardia ha emanato delle linee guida (delibera di giunta del 18 aprile 2012, n. 9/3298) volte a favorire gli impianti che utilizzano biomasse agricole/reflui zootecnici, consentendo loro di impiegare per il funzionamento dei biodigestori anche altre biomasse, costituite da rifiuti, senza contestualmente imporre l'utilizzo di tutti i presidi impiantistici necessari ad evitare impatti negativi sull'ambiente come, viceversa, imposto dalla normativa vigente agli impianti che trattano esclusivamente biomasse costituite da rifiuti;
   nella fattispecie, con l'emanazione delle suddette linee guida, la regione Lombardia ha ammesso lo spandimento come fertilizzante del digestato ottenuto utilizzando anche parzialmente rifiuti quali la FORSU (frazione organica del rifiuto solido urbano) come operazione di recupero, richiamando impropriamente per lo spandimento le norme imposte dal decreto legislativo n. 99 del 1992, che non sono applicabili, in quanto riferite esclusivamente allo spandimento in agricoltura dei fanghi di depurazione –:
   se i Ministri interrogati, alla luce di quanto riportato in premessa, possano rendere noti i motivi del ritardo nella predisposizione ed emanazione del decreto interministeriale previsto dall'articolo 52, comma 2-bis, del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito dalla legge n. 134 del 2012, atto a stabilire le caratteristiche e le modalità di impiego del «digestato» come fertilizzante;
   quale sia lo stato di attuazione delle integrazioni alle linee guida nazionali sulle fonti rinnovabili, con particolare riferimento agli allegati integrativi riguardanti gli impianti a biogas, nonché il risultato ad oggi del monitoraggio che le linee guida nazionali prevedono sulle normative regionali, sia per quanto riguarda gli aspetti amministrativi-procedimentali, sia per quanto riguarda la parte più tecnica.
(4-04641)


   OLIVERIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Gazzetta del Sud del 31 marzo 2014 riporta che in località Trentacapilli, nel comune di Pizzo, territorio ad alta valenza agricola, i residenti da qualche settimana sono particolarmente preoccupati dalla presenza di branchi di cinghiali che si avvicinano fino alle zone periferiche dell'abitato che stanno causando ingenti danni alle colture agricole e agli allevamenti di animali da pascolo;
   terreni coltivati con grande cura sono fatti oggetto di una continua devastazione con grande sconforto dei proprietari, le cui lamentele e denunce sono cadute nel vuoto;
   molte sono state le segnalazioni inviate al dipartimento caccia e forestazione della provincia, anche se a tutt'oggi non risultano avere avuto effetti positivi;
   i danni arrecati all'agricoltura dalla fauna selvatica negli anni hanno raggiunto notevoli dimensioni impattando negativamente sulle attività economiche delle imprese agricole e zootecniche;
   la fauna selvatica, e in particolare i cinghiali, in queste comunità risulta notevolmente diffusa determinando un pericolo non solo per gli equilibri dell'ecosistema, ma anche per la popolazione che vede pregiudicata la propria tranquillità;
   l'adozione dei necessari ed adeguati provvedimenti eviterebbe anche la possibilità che si manifestino tra i proprietari episodi anche violenti guidati solo dalla rabbia –:
   se il Ministro interrogato, per quanto di competenza, intenda adottare al più presto adeguate iniziative anche normative volte a prevedere indennizzi per il danno subito dagli agricoltori e dagli allevatori in casi come quelli di cui in premessa, interessati da tale problematica, in considerazione anche del fatto che molte famiglie traggono la loro unica fonte di sostentamento dalla coltivazione dei terreni e dall'allevamento del bestiame;
   se i fatti esposti in premessa non consiglino l'opportunità di promuovere iniziative per quanto di competenza tese ad offrire garanzie di sicurezza ai cittadini e di salvaguardia delle attività economiche del settore agricolo e zootecnico, garantendo un giusto equilibrio tra la presenza della fauna selvatica protetta e quella degli allevatori che attraverso la loro opera sostengono le proprie famiglie e conservano e valorizzano il territorio. (4-04642)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   COVA. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a partire dall'anno 2002 l'Italia si è dotata di una banca dati nazionale certificata con tutti i dati dell'anagrafe nazionale bovina; tutti i bovini vengono identificati e tracciati;
   andando a vedere i dati riportati nella banca dati nazionale sui capi bovini e bufalini che sono stati oggetto di furti/smarrimenti in alcune regioni italiane e ripetute negli anni, l'interrogante ha rilevato che:
    in regione Calabria nell'anno 2002 sono stati oggetto di furti/smarrimenti 2.095 capi, nel 2004 3.739 capi, nel 2006 4.649 capi, nel 2008 11.624 capi, nel 2010  4.196 capi, nel 2012 4.691 capi e nel 2013 4.805 capi. Nella banca dati nazionale viene indicata una consistenza di circa 103.000 capi presenti all'anno in regione Calabria;
    in regione Campania nell'anno 2002 sono stati oggetto di furti/smarrimenti 845 capi bovini o bufalini, nel 2004 3.120 capi, nel 2006 2.531, nel 2008 3.590 capi, nel 2010 2.478 capi, nel 2012 2.660 capi e nel 2013 2.204 capi. Nella banca dati nazionale viene indicata una consistenza di circa 450.000 capi presenti all'anno in regione Campania;
    in regione Sicilia nell'anno 2002 sono stati oggetto di furti/smarrimento 6.291 capi bovini o bufalini, nel 2004 11.467 capi, nel 2006 13.284 capi, nel 2008 12.877 capi, nel 2010 9.826 capi, nel 2012 9.671 capi, nel 2013 10.451 capi. Nella banca dati nazionale viene indicata una consistenza di circa 340.000 capi presenti all'anno in regione Sicilia;
    in regione Lombardia nell'anno 2002 sono stati oggetto di furti/smarrimenti 47 capi bovini o bufalini, nel 2004 316 capi, nel 2006 563 capi, nel 2008 399 capi, nel 2010 392 capi, nel 2012 683 capi, nel 2013 521 capi. Nella banca dati nazionale viene indicata una consistenza di circa 1.480.000 capi presenti all'anno in regione Lombardia;
    in regione Puglia nell'anno 2002 sono stati oggetto di furti/smarrimenti 1.528 capi bovini o bufalini, nel 2004  2.890 capi, nel 2006 1.655 capi, nel 2008 2.399 capi, nel 2010 1.758 capi, nel 2012 2.254 capi, nel 2013 2.120 capi. Nella banca dati nazionale viene indicata una consistenza di circa 175.000 capi presenti all'anno in regione Puglia;
    in regione Emilia Romagna nell'anno 2002 sono stati oggetto di furti/smarrimenti 180 capi bovini o bufalini. Nel 2004 sono stati oggetto di furti/smarrimenti 527 capi, nel 2006 605 capi, nel 2008 503 capi, nel 2010 664 capi, nel 2012 314 capi, nel 2013 552 capi. Nel banca dati nazionale viene indicata una consistenza di circa 560.000 capi presenti all'anno in regione Emilia Romagna;
    in regione Veneto nell'anno 2002 sono stati oggetto di furti/smarrimento 203 capi bovini o bufalini, nel 2004 348 capi, nel 2006 672 capi, nel 2008 334 capi, nel 2010 126 capi, nel 2012 177 capi, nel 2013 209 capi. Nella banca dati nazionale viene indicata una consistenza di circa 750.000 capi presenti all'anno in regione Veneto;
   nel solo anno 2008 nelle regioni Calabria, Campania, Sicilia, Puglia sono stati rubati o smarriti circa 30.490 capi su un patrimonio di 1.068.000 capi. Mentre nello stesso anno nelle regioni Lombardia, Veneto, Emilia Romagna sono stati rubati o smarriti circa 1.236 capi su 2.790.000 capi. Appare evidente che esistano dei seri problemi in queste regioni di tracciabilità e identificazione degli animali;
   il furto/smarrimento di un consistente numero di capi bovini/bufalini in alcune regioni mette a rischio la sicurezza e anche la tracciabilità dei prodotti alimentari di origine animale non solo di quelle regioni ma di tutto il sistema alimentare italiano –:
   quali iniziative il Governo abbia messo in atto o intenda mettere in atto in relazione al furto/smarrimento di capi bovini/bufalini così consistente in alcune regioni (Calabria circa 5 per cento, Campania circa 1 per cento, Sicilia circa 3 per cento, Puglia circa 1,5 per cento) a fronte di altre regioni con un patrimonio bovino/bufalino più consistente ma con furti/smarrimenti nettamente più bassi (Lombardia circa 0,04 per cento, Veneto circa 0,03 per cento, Emilia Romagna circa 0,1 per cento);
   quali interventi si intendano mettere in atto per evitare che la filiera dalla carne perda una parte consistente della propria tracciabilità a garanzia della salubrità e sanità degli alimenti di origine bovina e bufalina;
   quali interventi siano stati messi in atto o verranno messi in atto per garantire «le buone pratiche» di gestione degli animali e dare attuazione alle norme sul benessere animale;
   se risulti quali interventi siano stati messi in atto negli allevamenti che ripetutamente hanno denunciato smarrimenti/furti;
   quali interventi siano stati messi in atto per prevenire le macellazioni abusive;
   quali azioni di verifica e controllo siano state messe in atto da parte dei competenti organi di fronte a casi così consistenti di danni al patrimonio zootecnico italiano e alla sanità e salubrità degli alimenti;
   se siano state fatte verifiche su pagamenti PAC e di contributi sulla produzione latte negli allevamenti che hanno dichiarato continui e costanti furti o smarrimenti;
   se le aziende interessate da questi furti o smarrimenti abbia la consistenza di capi per produrre la propria quota latte nonostante tali furti e smarrimenti;
   se le aziende interessate abbiano affittato o venduto parte della propria «quota latte» dal 2002 al 2013. (4-04626)


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 32 della Costituzione tutela il diritto alla salute come bene assoluto e diritto inviolabile;
   il legislatore con la legge istitutiva del sistema sanitario nazionale (legge n. 833 del 1978) ha previsto le modalità di attuazione da parte delle strutture pubbliche dei servizi sanitari diretti al soddisfacimento della richiesta da parte del cittadino;
   per garantire il fondamentale diritto alla salute, essenziale importanza riveste non soltanto la cura dei pazienti ma anche la prevenzione delle malattie e dei fattori di rischio di eventuali «ricadute» o cosiddette «recidive» attraverso gli strumenti dello screening preventivo e di controllo che devono avvenire in tempi ragionevoli con le liste di attesa presenti nelle strutture sanitarie;
   recentemente in Umbria sempre più spesso vengono denunciati sulla stampa locale criticità in merito ai tempi di erogazione delle prestazioni sanitarie (anche per visite di controllo di routine o per alcune visite specialistiche collegate a comuni patologie cardio-vascolari) e di accesso alle cure richieste dal cittadino-paziente (liste di attesa);
   il Giornale dell'Umbria del 16 aprile 2014 ha raccolto la denuncia di una donna perugina che, dopo aver ricevuto la comunicazione di una diagnosi di noduli al seno, si è rivolta al centro unico di prenotazione dell'Ausl di Perugia per richiedere una mammografia di controllo; alla stessa è stato detto che il primo posto disponibile è per l'agosto del 2015 a Castiglione del Lago (PG); per fare il medesimo esame a Perugia avrebbe dovuto attendere addirittura a dicembre 2015, circa un anno dopo il tempo massimo;
   anche il Corriere dell'Umbria del 16 aprile 2014 ha raccolto la denuncia di una lettrice perugina che chiesto la prenotazione di una visita sanitaria per un «ecocuore» (tecnicamente un ecocardiogramma) di controllo e ha ottenuto la visita per dicembre 2014 (tra ben otto mesi);
   la lettrice del Corriere conclude spiegando che «È naturale così che chi ha la possibilità economica si rivolge ai privati»;
   a tal proposito il recente atto di indirizzo approvato dalla giunta regionale umbra prevede che la Attività libero professionale intramuraria «non deve essere concorrenziale nei confronti del sistema sanitario nazionale» e «non può essere utilizzata come strumento per la riduzione delle liste d'attesa» (Corriere dell'Umbria del 16 aprile 2014);
   altre fonti giornalistiche (Il Messaggero Umbria del 13 febbraio 2014 e del 6 aprile 2014) riferiscono di liste di attesa, sia in ospedale che all'Usl Umbria 2, che vanno da sei mesi a un anno: si parla di liste bloccate e attese per una visita specialistica «che farebbero perdere la pazienza anche al biblico Giobbe con ripercussioni sempre più pesanti sui pazienti» (Il Messaggero Umbria del 6 aprile 2014);
   alcuni cittadini umbri si trovano nelle condizioni di doversi spostare per ottenere la prestazione sanitaria richiesta con aggravio di costi ovvero c’è il rischio concreto che alcuni cittadini addirittura rinuncino alla prestazione;
   il problema delle liste di attesa e di accesso alle cure in tempi ragionevoli è di particolare importanza non solo per garantire il diritto di cura del cittadino ma anche perché, con l'entrata in vigore del decreto legislativo di attuazione della direttiva europea n. 2011/24/UE, è possibile che si verifichino fenomeni di «mobilità sanitaria» verso Paesi dell'Unione europea da parte di cittadini italiani che non riescono ad ottenere i servizi sanitari richiesti, anche a causa delle lunghe liste di attesa con conseguente perdita di qualità del sistema sanitario italiano –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei dati aggiornati, sui tempi di attesa delle prestazioni sanitarie erogate dal sistema sanitario, in particolare con riferimento alla regione Umbria, prestazioni per le quali sono previsti tempi massimi operativi in relazione alle classi di priorità assegnate ed, in particolare, dei dati aggiornati sui tempi di attesa per gli esami di controllo e preventivi non classificati tra quelli d'urgenza e si intenda assumere iniziative per renderli pubblici;
   se il Ministro intenda effettuare un apposito monitoraggio delle liste di attesa, incluse quelle della regione Umbria, al fine del loro contenimento e quali iniziative abbia adottato o quali misure urgenti di competenza intenda adottare per ridurre le criticità delle liste di attesa a garanzia del sistema sanitario e del diritto di accesso alle cure in tempi ragionevoli.
(4-04628)


   SIBILIA, DE LORENZIS, DEL GROSSO, SCAGLIUSI, TERZONI e SEGONI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   dal 1982 al 1989 presso lo stabilimento dell'Isochimica di Avellino si scoibentavano carrozze ferroviarie quasi in pieno centro città senza gli opportuni sistemi di prevenzione e sicurezza, comportando forti rischi per la salute non solo dei lavoratori quasi tutti, ad oggi, affetti da patologie asbesto correlate ma anche dei residenti di una vasta zona, definita Borgo Ferrovia, mai sottoposta a bonifica;
   il 3 giugno 2013 un'inchiesta della procura della Repubblica presso il tribunale di Avellino ha portato al sequestro dello stabilimento, in cui sono custodite quasi 3000 tonnellate di amianto, e all'iscrizione nel registro degli indagati di 24 persone, fra cui molti amministratori dell'epoca, cui è contestato, tra gli altri, il reato di concorso in disastro ambientale doloso;
   la procura, diretta da Rosario Cantelmo, ha rilevato che 500 cubi di cemento-amianto contenuti nello stabilimento sono in pessimo stato di conservazione e inadatti a trattenere le fibre, esposte a facile dispersione nell'aria, provocando effetti nocivi per l'ambiente e la salute di un numero indeterminato di persone;
   il 12 novembre 2013, nel corso di un incontro presso l'ufficio territoriale del Governo ad Avellino alla presenza dell'allora prefetto Umberto Guidato, del presidente della commissione speciale per le bonifiche della regione Campania Antonio Amato, del sindaco di Avellino Paolo Foti, del direttore generale della azienda sanitaria locale Sergio Florio, di funzionari del Consorzio per l'area di sviluppo industriale della provincia di Avellino e dell'assessorato all'ambiente della regione Campania, fu deciso l'avvio di un testing medico-sanitario sulla popolazione residente e scolastica di Borgo Ferrovia;
   lo  screening avrebbe dovuto coinvolgere non meno di tremila persone, potenzialmente a rischio a causa delle fibre di amianto disperse nell'aria e nell'ambiente, e prevedere anche indagini radiologiche e di patologia clinica;
   il 18 marzo 2014 il procuratore Cantelmo è stato ascoltato dalla XII Commissione ambiente del Senato che sta svolgendo un'indagine conoscitiva per accertare le relazioni tra inquinamento ambientale e patologie, tumorali in Campania e gli atti dell'audizione sono stati secretati;
   il 14 aprile 2014, a seguito dell'incontro presso la prefettura di Avellino tra i dirigenti dell'ufficio territoriale di Governo e il Comitato cittadino per la bonifica, si è diffusa la notizia secondo cui non sarà avviato alcun monitoraggio sulla popolazione residente perché tale intervento non sarebbe mai stato previsto dal Ministero della salute e, anzi, l'area ex Isochimica addirittura non risulterebbe nell'elenco dei siti di interesse nazionale da bonificare;
   la suddetta informazione sarebbe contenuta in una nota che l'azienda sanitaria locale di Avellino avrebbe inviato il 18 marzo 2014 alla prefettura in palese contrasto con quanto emerso dal tavolo del 12 novembre 2013 e con le dichiarazioni rilasciate pubblicamente dai dirigenti dell'Asl, che più volte hanno annunciato l'avvio di una sorveglianza sanitaria passiva sugli abitanti adulti del quartiere, dopo aver effettuato il testing sulla popolazione infantile;
   l'annuncio del mancato monitoraggio ha suscitato una forte protesta da parte degli abitanti di Borgo Ferrovia che si dicono disorientati dall'aver ricevuto informazioni contraddittorie –:
   se il Governo sia a conoscenza del testing medico-sanitario da effettuare sulla popolazione adulta residente a Borgo Ferrovia e dell'inclusione o meno dell'area ex Isochimica tra i siti di interesse nazionale da bonificare e, in caso negativo, quali iniziative intendano assumere, per quanto di competenza, per assicurare controlli medici su quei cittadini avellinesi esposti all'aerodispersione di fibre di amianto letali per la salute dell'uomo, anche in vista della Giornata Mondiale delle vittime da asbesto del 28 aprile. (4-04634)


   MELILLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   ogni giorno in Italia vengono buttati 13 mila quintali di pane in quanto classificati come rifiuti dal Ministero della salute;
   in un Paese in cui ogni giorno si allarga l'area della povertà e si moltiplicano gli utenti delle mense della Caritas che non possono permettersi il costo di un pasto, questa notizia è sicuramente assurda e inaccettabile;
   il quotidiano La Repubblica, in una inchiesta, attribuisce la responsabilità di questa «offesa» alla povertà, a ostacoli normativi oltre che alle scelte della grande distribuzione e alle carenze organizzative delle reti di solidarietà –:
   quali iniziative intenda assumere per superare le suddette difficoltà normative e regolamentari da parte del Ministero della salute per consentire che l'ingente quantità di pane invenduto possa comunque essere donato alle strutture pubbliche e alle mense del volontariato sociale. (4-04635)


   PALAZZOTTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da un articolo di stampa pubblicato sul quotidiano La Repubblica si apprende come a Palermo, il presidente dell'Ordine dei medici, Salvatore Amato, abbia lanciato un corso in dieci lezioni sul bridge come «sport per tenere allenata la mente»;
   si apprende inoltre che tale corso varrebbe 35,8 punti, ovvero il 70 per cento del punteggio che devono accumulare in un anno i medici per tenersi aggiornati e addirittura sembrerebbe che l'Ordine dia a ciascun medico un contributo di 30 euro per favorire la partecipazione;
   a parere degli interroganti è inaccettabile che i medici si aggiornino giocando a bridge e che la partecipazione a tale corso sia remunerato e valga in termini di crediti di educazione continua in medicina pari alla partecipazione ad un congresso di alto valore formativo;
   nessuno mette in discussione che il bridge possa essere utile per tenere in esercizio la mente ma che di ben altra natura debbano essere i corsi di aggiornamento che un medico debba seguire –:
   di quali elementi disponga in relazione a quanto denunciato dalla stampa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere al riguardo;
   se non intenda adottare iniziative normative volte a evitare che attività di questo genere possano risultare valide ai fini dell'aggiornamento obbligatorio dei medici, e impedire così che in futuro possono essere riproposte in altre realtà. (4-04646)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   NICCHI, AIRAUDO, NARDI e FERRARA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel momento in cui si scrive questo atto di sindacato ispettivo mancano poche ore allo spegnimento dell'altoforno delle acciaierie Lucchini di Piombino. Il gigante siderurgico della Toscana andrà in «riposo forzato»;
   per un mese al massimo, sarà caricato solo con il coke e non con il minerale, passando a quello che è chiamato in gergo stato di «stand by», una procedura neutra che porterà l’«Afo», l'altoforno, verso la chiusura. Trascorsi 30 giorni, non sarà più possibile riattivarlo;
   la regione Toscana e gli enti locali nell'incontro avuto il 22 aprile 2014 al Ministero dello sviluppo economico con il viceministro De Vincenti per discutere ricordo di programma sulla riqualificazione e la riconversione del polo industriale di Piombino, chiedono fondi per la bonifica del polo siderurgico e le infrastrutture, di impiegare i lavoratori nell'attività di bonifica, di utilizzare il porto di Piombino per la rottamazione delle navi militari;
   la vertenza avviata al Ministero riguarda all'incirca 1.400 lavoratori: quelli dell'Afo e quelli dell'indotto, ma la chiusura dell'impianto riguarda circa 4.000 lavoratori. Per i primi il Ministero ha già autorizzato l'attivazione dei contratti di solidarietà per un anno, mentre per i secondi è prevista la cassa integrazione in deroga: ammortizzatori questi che saranno compresi nell'accordo di programma per la riconversione del polo da firmare nel giro di due settimane;
   la speranza di sindacati e lavoratori, infatti, è quella di arrivare al 30 maggio, scadenza della procedura per l'acquisizione del gruppo Lucchini, avendo trovato un acquirente;
   tramontata l'ipotesi dell'offerta araba della Smc, è stata prospettata l'ipotesi di acquisizione da parte della Jsw, società indiana che vorrebbe realizzare un forno elettrico;
   a parere degli interroganti, il Governo fino ad oggi ha preso tempo, senza offrire alcun suo effettivo contributo alla risoluzione della crisi. Infatti, la possibilità di attrarre un investitore straniero, è condizionata dal fatto che il Governo assicuri la copertura dei costi per realizzare le bonifiche. In caso contrario, è facile presumere che nessun acquirente formulerà un'offerta impegnativa;
   il Governo ha la responsabilità ineludibile di mantenere in vita la siderurgia italiana, punta di eccellenza dell'industria italiana e base di molti altri cicli produttivi, investendo sul tema più generale della siderurgia innovativa, rispettosa dell'ambiente, degli ecosistemi e della salute umana –:
   quali iniziative intenda mettere in campo il Governo affinché, nell'ambito dell'accordo di programma, si possano realizzare le condizioni minime necessarie ad attrarre un investitore che formuli una concreta e impegnativa offerta di acquisto. (5-02698)

Interrogazione a risposta scritta:


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa spa, meglio nota come Invitalia, ha chiuso il 2012 con una perdita consolidata di 4,527 milioni, di cui 1,98 di pertinenza della sola capogruppo;
   nonostante il lieve miglioramento rispetto al dato negativo per quasi 6 milioni del 2011, si tratta del quinto anno consecutivo in rosso per il gruppo pubblico, che ha portato le riserve in negativo per quasi 31 milioni di euro;
   l'Agenzia si è fondamentalmente concentrata sulla consulenza alla pubblica amministrazione per digitalizzazione e progetti comunitari, oltre che per l'assistenza a privati sulle pratiche per le concessioni di finanziamenti pubblici, con finanziamenti più o meno a pioggia e più o meno a fondo perduto;
   sul tema invece della promozione dell'Italia all'estero, ci sono poche tracce probabilmente poiché lo Stato, in tempi di austerity, non ha stanziato fondi a sufficienza;
   i bilanci di Invitalia sono stati attenzionati dalla Corte dei conti, la quale nella sua attività di controllo eseguito sulla gestione finanziaria del 2011 rileva che «l'appesantimento dell'organico è figlio dell'assorbimento di parte delle risorse umane della soppressa Ipi, attuato per legge»;
   il personale di Invitalia – 1.118 persone di cui 831 a tempo indeterminato, inclusi 226 quadri e 67 dirigenti – è costato complessivamente 73,533 milioni di euro nel 2012, quasi 10 in più del 2011, mentre il consiglio di amministrazione ha incassato 1,086 milioni;
   in particolare, si evidenzia che, a fronte di perdite di bilancio, i compensi di presidente e direttore generale sono aumentati –:
   quali iniziative si intendano adottare in relazione ad Invitalia. (4-04639)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Ottobre e altri n. 1-00291, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 dicembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato: Rostan.

Apposizione di firme ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in commissione Cinzia Maria Fontana e Peluffo n. 5-02643, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 aprile 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Braga, Carra, Gadda, Cova, Carnevali, Tentori, Fragomeli, Guerra, Gasparini, Sanga, Rampi, Cominelli, Galperti, Berlinghieri, Scuvera, Fiano, Mauri, Pollastrini, Giuseppe Guerini, Martelli, Laforgia, Lorenzo Guerini.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Boccadutri n. 1-00216, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 104 del 24 ottobre 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    la quantità di monete che ciascuno Stato può coniare è approvata dalla Banca centrale europea; spetta poi a ciascuno Stato provvedere al conio delle stesse;
    gli organi di stampa hanno di recente riportato notizie circa il costo del conio degli euro per l'Italia. In particolare, parrebbe che i costi di fabbricazione di ciascuna moneta da un centesimo ammonterebbero a 4,5 centesimi; quelli di ciascuna moneta da due centesimi a 5,2 cent; quelli di ciascuna moneta da 5 centesimi a 5,7; dall'introduzione dell'euro la Zecca avrebbe fuso oltre 2,8 miliardi di monete da un centesimo, 2,3 miliardi di monete da 2 cent e circa 2 miliardi di monete da 5 cent, per un costo complessivo di 362 milioni di euro, a fronte di un valore reale di 174 milioni;
    per tali ragioni alcuni Paesi europei, tra cui la Finlandia e i Paesi Bassi, hanno bloccato il conio delle suddette monete;
    negli ultimi anni, il Governo e il Parlamento hanno tentato di limitare lo spreco di risorse pubbliche, tagliando, attraverso la cosiddetta spending review, quei costi cui nel complesso è possibile rinunciare; l'utilità delle monete da 1 e 2 centesimi è molto limitata e assolutamente rinunciabile, se paragonata ai risparmi che ne deriverebbero allo Stato,

impegna il Governo

ad assumere iniziative perché vengano attuate delle politiche di contenimento della spesa, sospendendo il conio delle monete da 1 e 2 centesimi e monitorandone gli effetti.
(1-00216)
«Boccadutri, Rosato, Currò, Balduzzi, Di Lello, Causi, Coppola, Coscia, D'Attorre, Di Salvo, Daniele Farina, Ferrara, Fiano, Fratoianni, Giorgis, Grande, Marcon, Melilla, Migliore, Misiani, Paglia, Pannarale, Piras, Francesco Sanna, Sannicandro, Scotto, Scuvera, Stumpo, Pinna, Catalano, Rizzetto, Prodani».

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Massimiliano Bernini e altri n. 4-04579 del 18 aprile 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-02702.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta scritta Nicola Bianchi e Paolo Nicolò Romano n. 4-04186 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 198 del 26 marzo 2014. Alla pagina 11434, prima colonna, alla riga ventisettesima deve leggersi: «gravi condizioni di disagio dovute alla» e non «gravi condizioni di disagio dovuti alla», come stampato.