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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 23 aprile 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    nell'ordinamento italiano le vittime dei reati violenti non sono garantite quanto in altri Paesi europei, sia in relazione ai diritti processuali delle stesse, sia – in particolare – rispetto al risarcimento dei danni;
    la forte sensibilità sul tema in Europa si manifesta più di 30 anni fa, a partire dalla Convenzione sul risarcimento alle vittime di reati violenti, firmata a Strasburgo in data 24 novembre 1983 ed entrata in vigore il 1o febbraio 1988, che prevede un meccanismo di risarcimento per le vittime di reati violenti che abbiano causato gravi lesioni o il decesso, alla quale lo Stato italiano, come noto, non ha mai aderito;
    in seguito è intervenuta la decisione quadro 2001/220/GAI del 15 marzo 2001, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale, che prevede diverse e specifiche norme a favore delle vittime di reati violenti, che gli Stati aderenti avrebbero dovuto recepire in gran parte entro il 22 marzo 2002; anche in questo caso, l'Italia non si è mai messa in regola;
    risale a 10 anni fa la direttiva 2004/80/CE del 29 aprile 2004, che impegnava gli Stati aderenti ad adottare leggi atte ad indennizzare le vittime di reati violenti (tutto ciò entro il 1o luglio 2005);
    l'inadempienza italiana sul punto ha trovato riscontro in condanne da parte degli organismi dell'Unione europea. Nelle stesse si evidenzia la mancata adozione nella legislazione italiana di norme che prevedano il diritto delle vittime di reati intenzionali violenti di essere indennizzate in modo «equo e adeguato», come indicato nella citata direttiva 2004/80/CE: «l'Italia non dispone di alcun sistema generale di indennizzo per tali reati: la sua legislazione prevede soltanto l'indennizzo delle vittime di alcuni reati intenzionali violenti, quali il terrorismo o la criminalità organizzata, ma non di altri»; «Alcune vittime di reati intenzionali violenti potrebbero non avere accesso all'indennizzo cui avrebbero diritto»;
    il percorso di attuazione della direttiva 2004/80/CE, ad oggi, è ancora a metà: la soluzione italiana individuata con il decreto legislativo n. 204 del 2007 attiene, infatti, quasi esclusivamente ad aspetti formali della procedura e dimentica, peraltro, una parte delle vittime, quali quelle che hanno subito violenza sessuale, o più di recente, quelle riconducibili al fenomeno del cosiddetto femminicidio;
    i princìpi di un moderno Stato di diritto non possono non esplicitare i diritti e le facoltà delle vittime e la lacuna stride profondamente, specialmente se relativa alle vittime dei reati violenti;
    di recente è intervenuta la direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012, che sostituisce la decisione quadro del 15 marzo 2001, e alla quale l'Italia non si è (ancora) attenuta, che va recepita dagli Stati dell'Unione europea entro il 16 novembre 2015, un testo molto più articolato rispetto alla decisione quadro del 2001, che si applica ai reati commessi e ai procedimenti penali che si svolgono nell'Unione europea, conferendo un livello minimo di diritti alle vittime di reati extraterritoriali;
    ai sensi della citata direttiva, che sancisce una protezione «rafforzata» delle vittime nello spazio dell'Unione europea, gli Stati sono, dunque, tenuti a garantire in modo effettivo i diritti delle vittime di reato, anche dopo la conclusione dei procedimenti penali, con una particolare attenzione alle persone vulnerabili – che devono essere individuate sulla base di una specifica valutazione – e alle vittime di violenza familiare e di genere. Si prevede, altresì, una tutela a largo raggio della vittima, con la possibilità, nei casi in cui subisca un reato in uno Stato diverso da quello della residenza, di denunciarlo nel proprio Paese, se non ha potuto farlo nel primo Stato o se non voglia farlo in caso di gravi reati;
    sul riconoscimento di diritti e garanzie delle vittime dei reati è ormai improcrastinabile un decisivo passo in avanti del nostro Paese,

impegna il Governo:

   a sottoscrivere la Convenzione europea sul risarcimento alle vittime di reati violenti, firmata a Strasburgo in data 24 novembre 1983 ed entrata in vigore il 1o febbraio 1988, e a promuoverne la ratifica;
   ad assumere iniziative normative volte a introdurre nella Costituzione il riconoscimento dei diritti e le facoltà delle vittime di reato, tema rispetto al quale sono, peraltro, già depositate diverse proposte di legge da diversi gruppi parlamentari;
   fermo restando che, rispetto alle vittime, la prima delle garanzie non può che essere quella di assicurare una durata ragionevole dei processi, ad intervenire per una maggiore celerità dei processi, prevedendo un rafforzamento degli stanziamenti per personale e mezzi, oggi carenti;
   ad assumere iniziative per prevedere adeguate tutele per le vittime dei reati, quali quelle relative alla posizione della vittima nel procedimento penale, già individuate nella decisione quadro 2001/220/GAI del 15 marzo 2001 e, da ultimo, nella direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio.
(1-00438) «Daniele Farina, Migliore, Sannicandro, Di Salvo, Aiello, Airaudo, Boccadutri, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Fava, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Lacquaniti, Lavagno, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nardi, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piazzoni, Pilozzi, Piras, Placido, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zan, Zaratti».


   La Camera,
   premesso che:
    dal 18 ottobre 2013 il Governo italiano ha avviato una missione militare – umanitaria per gestire l'emergenza determinata dagli sbarchi dei clandestini sulle nostre coste, denominata Mare Nostrum;
    alla presentazione dell'operazione Mare Nostrum e delle sue finalità, il Ministro dell'interno Angelino Alfano affermò che «la somma del pattugliamento e dell'azione della polizia giudiziaria e della magistratura avrà un effetto deterrente molto significativo per chi pensa impunemente di fare traffico di esseri umani»;
    sempre a quel tempo il Ministro della difesa pro-tempore, Mario Mauro, ribadì che «ci muoviamo per primi e al limite delle nostre possibilità nell'ambito di Eurosur, finalmente varato, che consentirà di controllare le frontiere all'interno di Frontex per dare un esempio chiaro e forte», venne sottolineato altresì: «non ci sarà bisogno di altri fondi, ma basteranno i soldi dei Ministeri», stimando tale costo «al momento attorno al milione e mezzo di euro al mese»;
    proprio il giorno dopo l'abrogazione del reato di immigrazione clandestina, il Ministro dell'interno ha reso noto che sarebbero ben 600.000 le persone sulle coste dell'Africa in attesa di imbarcarsi per arrivare via mare in Italia;
    se lo scorso anno gli sbarchi sono stati 42.925, solo dall'inizio di quest'anno gli arrivi hanno già superato quota 20.000 e il Viminale ha fatto sapere che il dato è di oltre dieci volte maggiore a quello registrato nello stesso periodo del 2013, un vero e proprio record;
    nel gennaio 2014, senza alcun coinvolgimento degli enti locali interessati, il Ministero dell'interno ha inviato un'informativa a tutti i prefetti affinché rendano disponibili, nei, rispettivi territori di competenza, altre strutture per l'accoglienza e nei giorni scorsi ha provveduto ad un primo trasferimento di clandestini nelle regioni del Nord;
    avvicinandosi l'estate, con il miglioramento delle condizioni del mare, è prevedibile che le partenze aumentino ulteriormente, ed in misura considerevole, soprattutto quelle dalla Libia;
    contestualmente agli sbarchi stanno crescendo anche le fughe dai centri di prima accoglienza, anche di minori, di cui si perdono le tracce;
    la circostanza è motivo di allarme per i partner europei del nostro Paese, che potrebbero anche considerare, come accaduto già nel 2011, di interrompere più o meno temporaneamente l'applicazione degli accordi di Schengen, con effetti negativi sulla libertà di movimento in Europa dei cittadini della Repubblica;
    i dati sopracitati dimostrano che l'operazione Mare Nostrum anziché avere «un effetto deterrente molto significativo per chi pensa impunemente di fare traffico di esseri umani» non ha svolto alcuna funzione dissuasiva, ma ha piuttosto agevolato l'attività degli scafisti, poiché la consapevolezza di giungere più facilmente alle coste italiane, anche grazie alle navi della Marina militare e delle forze di polizia, sta spingendo un numero sempre maggiore di aspiranti clandestini a pagare ingenti somme per tentare la traversata del Canale di Sicilia;
    in assenza di dati ufficiali, a parte quelli concernenti le fasi iniziali dell'operazione, i costi di Mare Nostrum sono stati calcolati pari a non meno di 300.000 euro al giorno dalla stampa specializzata, che li ha desunti dalla somma degli oneri di funzionamento dei mezzi impiegati;
    a quanto è dato di leggere su queste fonti, infatti, l'attività di una fregata classe Maestrale costa all'incirca 60.000 euro al giorno, quella di una San Marco 45.000, mentre quella dei pattugliatori pare essere di poco inferiore ai 15.000;
    a tali costi, vanno poi aggiunti quelli di esercizio degli aeromobili, gli elicotteri AB-212 ed i droni, che si aggirano sui 4.000 euro ad ora di volo, mentre per gli EH-101 ed il Breguet Atlantic si va dai 7.000 ai 13.000);
    se si sommano altresì le indennità spettanti al personale ed i costi della manutenzione necessaria per l'uso straordinario dei mezzi, la spesa finale per Mare Nostrum dovrebbe attestarsi tra i 10 ed i 14 milioni di euro al mese;
    i costi di Mare Nostrum incidono esclusivamente sull'economia italiana e risultano ben più gravosi degli esborsi stanziati per i normali pattugliamenti che precedevano l'avvio dell'operazione;
    secondo la circolare dell'8 gennaio 2014 del Ministero dell'interno – Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione recante «Afflusso di cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale. Individuazione di strutture di accoglienza», a qualunque clandestino che sbarchi in Italia e semplicemente presenti richiesta di protezione internazionale, anche se fittizia, deve essere garantito vitto e alloggio per un importo di euro 30 oltre IVA, un pocket money di euro 2,5 al giorno e una tessera/ricarica telefonica di euro 15 all'ingresso delle strutture di accoglienza, nonché assistenza e cure sanitarie;
    se i clandestini arrivati in Italia dall'inizio di quest'anno presentassero domanda di protezione internazionale per ottenere i benefici sopramenzionati, i costi calcolati, solo al giorno, sarebbero di 225.000 euro per le ricariche telefoniche, 37.500 euro inpocket money e 450.000 euro di vitto e alloggio, oltre agli oneri per le cure sanitarie;
    su 11 centri di identificazione ed espulsione, sei sono stati chiusi l'anno scorso per lavori di ristrutturazione, causati dai danneggiamenti dei clandestini ospitati, tra cui quello di Lampedusa, e perciò risulta che centinaia di clandestini, in questi giorni trasferiti nelle regioni del Nord, vengano alloggiati anche in alberghi a 4 stelle, come ad esempio al Riz di San Genesio, in provincia di Pavia, dove il pernottamento a notte costa dai 120 ai 140 euro;
    secondo quanto riferito dal Ministro degli affari esteri Federica Mogherini in un'audizione davanti al Comitato Schengen: «nel 2013 l'Italia è diventata il secondo Paese Schengen per numero di visti concessi, con 2.125.490 visti rilasciati. Siamo secondi solo alla Francia (2.471.220 visti) e per la prima volta abbiamo superato la Germania (poco più di 2 milioni). Le nostre 172 sedi abilitate hanno rilasciato un visto ogni 15 secondi. In 8 anni, dal 2005, il numero è raddoppiato»;
    in Europa, gli altri Paesi stanno apprestando misure sempre più restrittive per contrastare il fenomeno dell'immigrazione clandestina, addirittura avviando piani per il rimpatrio dei cittadini comunitari disoccupati, come ad esempio in Germania e Gran Bretagna, soprattutto per evitare il collasso del sistema del welfare;
    l'articolo 17, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2013/33/UE, «3. Gli Stati membri possono subordinare la concessione di tutte le condizioni materiali d'accoglienza e dell'assistenza sanitaria, o di parte delle stesse, alla condizione che i richiedenti asilo non dispongano di mezzi sufficienti a garantire loro una qualità della vita adeguata per la loro salute, nonché ad assicurare il loro sostentamento. 4. Gli Stati membri possono obbligare i richiedenti asilo a sostenere o a contribuire a sostenere i costi delle condizioni materiali di accoglienza e dell'assistenza sanitaria previsti nella presente direttiva, ai sensi del paragrafo 3, qualora i richiedenti asilo dispongano di sufficienti risorse, ad esempio qualora siano stati occupati per un ragionevole lasso di tempo. Qualora emerga che un richiedente asilo disponeva di mezzi sufficienti ad assicurarsi le condizioni materiali di accoglienza e l'assistenza sanitaria all'epoca in cui tali esigenze essenziali sono state soddisfatte, gli Stati membri possono chiedere al richiedente asilo un rimborso.»;
    ai sensi dell'articolo 9, paragrafo 9, della nuova direttiva accoglienza 2013/33/UE: «9. Gli Stati membri possono esigere un rimborso integrale o parziale delle spese sostenute, allorché vi sia stato un considerevole miglioramento delle condizioni finanziarie del richiedente o se la decisione di accordare tali prestazioni è stata adottata in base a informazioni false fornite dal richiedente»;
    vi sono rischi sanitari a cui vengono esposti i cittadini e gli operatori nell'ambito dell'operazione Mare Nostrum, anche alla luce della gravissima epidemia di Ebola che si sta diffondendo con preoccupazione dalla Guinea in tutta l'Africa e che ha già spinto altri Paesi europei a varare una serie di misure restrittive all'ingresso nel proprio territorio;
    vanno considerati i gravissimi disagi, i problemi di ordine pubblico e i danni anche in termini economici, in particolare per gli abitanti delle zone in prossimità degli sbarchi che, avvicinandosi l'estate, con il miglioramento delle condizioni del mare, aumenteranno ulteriormente ed in misura considerevole,

impegna il Governo:

   a sospendere immediatamente l'operazione Mare Nostrum e a rafforzare i controlli alle frontiere, in particolare marittime;
   a completare il piano di accordi bilaterali elaborato al principio della XVI legislatura al fine di impedire le partenze dai Paesi costieri dell'Africa e in particolare dalla Libia, e ad investire eventualmente forze e parte delle risorse impiegate attualmente nell'accoglienza per collaborare all'attività di contrasto concordata con i Paesi controparte;
   ad adottare le più opportune misure di sicurezza, inclusa la predisposizione di un piano sanitario d'emergenza, al fine di tutelare la salute dei cittadini, degli uomini delle forze dell'ordine nonché del personale finora impiegato nell'operazione Mare Nostrum, anche alla luce della gravissima epidemia di Ebola che si sta diffondendo con preoccupazione dalla Guinea in tutta l'Africa;
   a riferire trimestralmente al Parlamento in merito agli esiti delle domande di protezione internazionale presentate, alle concessioni dello status di rifugiato da parte delle diverse commissioni territoriali, alle domande rigettate, ai controlli effettuati nei confronti dei soggetti titolari dello status di rifugiato, o comunque del diritto ad una protezione sussidiaria o umanitaria, in merito all'effettiva sussistenza dei requisiti per continuare a beneficiare delle forme di tutela sopra richiamate, in particolare relativamente ai rientri in patria, ed infine in merito al numero e alla tipologia dei visti rilasciati;
   ad adottare misure idonee al fine di ottenere i rimborsi, garanzie o contributi previsti ai sensi del paragrafo 9 dell'articolo 9 e dei paragrafi 3 e 4 dell'articolo 17 della nuova direttiva 2013/33/UE recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale;
   ad avviare durante il semestre italiano di presidenza delle istituzioni comunitarie tutte le più opportune iniziative al fine di rafforzare il controllo dei confini terrestri italiani ed in particolare marittimi, a promuovere una revisione della Convenzione di Dublino II e ad attuare il principio del burden sharing così come previsto dalla direttiva 2001/55/CE.
(1-00439) «Giancarlo Giorgetti, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».


   La Camera,
   premesso che:
    il 28 aprile è la giornata internazionale in memoria delle vittime causate dall'amianto;
    ventidue anni fa nel nostro Paese, l'amianto è stato dichiarato fuorilegge. Fino al 2004, in Italia, sono stati 9.166 i casi di mesotelioma maligno (MM) riportati nel registro nazionale dei mesoteliomi ReNaM (III rapporto 2010);
    ancora oggi, nel nostro Paese, le stime parlano di 800/1.000 persone morte ogni anno per patologie asbesto-correlate. Persone esposte in passato nei siti produttivi, perché le malattie asbesto-correlate hanno periodi di latenza assai lunghi, (in letteratura scientifica fino 40 anni);
    il picco di patologie, per il principale tumore causato dall'esposizione alla fibra killer, il mesotelioma pleurico, è previsto entro il 2020-2025;
    i principali soggetti a rischio, e potenziali vittime dell'asbesto, sono stati evidentemente i lavoratori che sono stati a contatto con le fibre nell'attività estrattiva con l'amianto grezzo, nella produzione di manufatti, nella manutenzione degli impianti e nel settore edile. Ma ancora oggi, molti lavoratori continuano ad essere ad elevato rischio, laddove – disattendendo le previste norme di prevenzione – si opera nella filiera delle bonifiche e dello smaltimento dell'amianto;
    va peraltro evidenziato l'alto rischio connesso a fibre di amianto disperse nell'ambiente, che producono esposizioni anche di natura non professionale;
    l'asbesto è stato, ed è, un fattore di rischio oltre che per i lavoratori anche per i loro familiari, che potevano respirare le fibre portate a casa con gli abiti da lavoro. Secondo il Registro nazionale italiano dei mesoteliomi (ReNaM) oltre l'8 per cento dei casi è risultato esposto per motivi ambientali (luogo di residenza) o per motivi familiari (la convivenza con familiari professionalmente esposti);
    la legge 27 marzo 1992 n. 257 non consente più in Italia l'estrazione, l'importazione, il commercio e l'esportazione di amianto e materiali contenenti amianto, ma poco si è fatto per la rimozione e le bonifiche;
    i risultati delle azioni di messa in sicurezza e di bonifica dell'amianto condotti fino ad oggi mostrano come, malgrado la legge n. 257 del 1992, siano possibili ancora oggi numerose occasioni di esposizione a causa della presenza dell'amianto negli ambienti di lavoro e di vita, a causa del fatto che le attività di risanamento ambientale non sono state sistematiche e complete. In alcune regioni italiane non si conoscono ancora i dati relativi alla mappatura;
    la legge finanziaria 2008 ha provveduto a istituire un Fondo presso l'Inail che eroga una prestazione aggiuntiva agli altri benefici già riconosciuti per legge, per le vittime dell'amianto che hanno contratto patologie asbesto-correlate e per esposizione alla fibra «fiberfrax». Tale norma prevede, in caso di premorte del lavoratore, risarcimenti in favore degli eredi. Il finanziamento del fondo è a carico delle imprese per un quarto e del bilancio dello Stato per gli altri tre quarti. L'onere a carico dello Stato dall'anno 2010 è determinato in 22 milioni di euro l'anno, mentre ai suddetti oneri a carico delle imprese si provvede con una addizionale sui premi assicurativi relativi ai settori delle attività lavorative comportanti esposizione all'amianto;
    con decreto ministeriale 12 gennaio 2011 n. 30, si è provveduto a definire le modalità di organizzazione e finanziamento del Fondo, nonché le procedure di erogazione delle prestazioni;
    è importante un intervento di miglioramento a favore del citato Fondo vittime amianto, detto Fondo deve essere corretto con la destinazione finale anche alle vittime civili, ossia ai cittadini che non hanno la copertura assicurativa professionale obbligatoria dei lavoratori;
    il CNR ha valutato in circa 32 milioni le tonnellate di cemento-amianto da bonificare in relazione a 2,5 miliardi di metri quadri di coperture in cemento-amianto presenti sul territorio nazionale. Grandi quantità di amianto che si presentano in diverse forme: dalle coperture di edifici pubblici e privati, canne fumarie, cisterne per l'acqua, tubazioni e condutture, ma anche in componenti che entrano in processi produttivi. Senza contare alcuni milioni, di tonnellate di amianto filabile che tutt'oggi continuano a inquinare il territorio nazionale;
    a rendere fallimentari le bonifiche dell'amianto ci sono anche gli elevati costi dello smaltimento e la totale o quasi mancanza di discariche sul territorio nazionale, che fa sì che solo il 40 per cento venga smaltito in Italia, mentre il restante 60 per cento viene smaltito all'estero; inoltre non si è avviato nessuna sperimentazione dei processi di inertizzazione, salvo piccole pratiche sperimentali condotte nella regione Sardegna;
    i rischi dovuti all'elevata presenza di materiali contaminati su tutto il territorio nazionale sono acuiti dal clamoroso ritardo sugli interventi di risanamento e bonifica delle strutture in cui è presente la fibra killer;
    si dovrebbero completare i censimenti e le bonifiche su tutto il territorio nazionale e in tutti i luoghi di lavoro, anche con il finanziamento da parte di coloro che hanno inquinato, fatto ammalare e morire cittadini e lavoratori innocenti;
    il piano nazionale amianto (PNA), definito nella Conferenza governativa di Venezia (novembre 2012) e varato dal Governo Monti nel marzo 2013, elenca una serie di obiettivi suddivisi in tre aree; tutela della salute, tutela dell'ambiente, aspetti di sicurezza del lavoro e previdenziali;
    dopo più di un anno, il piano nazionale amianto deve ancora passare al vaglio della Conferenza Stato-regioni;
    è ormai improcrastinabile avviare la realizzazione del citato piano nazionale amianto, e provvedere al conseguente finanziamento per delineare un efficace piano di intervento finalizzato a sviluppare: adeguata sorveglianza sanitaria, puntuali censimenti regionali, bonifiche delle aree contaminate, adeguate misure di benefici previdenziali ivi compresa la revisione dell'ultima riforma pensionistica (riforma Fornero);
    solo alcune regioni hanno individuato precisi obiettivi per l'eliminazione e lo smaltimento dell'amianto dal proprio territorio. Nelle regioni in generale manca un censimento preciso e una mappatura completa dei siti contenenti amianto;
    la legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria 2008), aveva istituito il «Fondo nazionale per il risanamento degli edifici pubblici» con uno stanziamento di 5 milioni di euro per il 2008, per finanziarie gli interventi diretti ad eliminare i rischi per la salute pubblica derivanti dalla presenza di amianto negli edifici pubblici, dando priorità alla messa in sicurezza degli edifici scolastici ed universitari, delle strutture ospedaliere, delle caserme, degli uffici aperti al pubblico. Detto Fondo, istituito dal Governo Prodi, in realtà non è mai stato reso operativo in quanto i 5 milioni che aveva in dotazione, sono stati azzerati dall'ultimo Governo Berlusconi, con il decreto-legge n. 93 del 2008,

impegna il Governo:

   ad approvare definitivamente il Piano nazionale amianto, prevedendo i finanziamenti necessari alla sua completa attuazione;
   ad attivarsi per quanto di competenza, in accordo con le regioni, affinché entro un anno sia concluso il programma dettagliato di censimento, bonifica e smaltimento dei materiali contaminati anche tramite i piani regionali amianto;
   ad assumere iniziative per incrementare le risorse assegnate al Fondo per le vittime dell'amianto, istituito dalla legge finanziaria 2008, e rivedere l'attuale legge pensionistica, per garantire benefici ai lavoratori colpiti da patologie asbesto-correlate;
   ad assumere iniziative per prevedere la possibilità di estendere le prestazioni del Fondo non solo a coloro che abbiano contratto una patologia asbesto-correlata per esposizione professionale all'amianto ma anche ai familiari delle vittime o a coloro che comunque pur non lavorando direttamente con l'amianto siano stati comunque esposti avendo poi contratto tali patologie;
   a prevedere opportune iniziative volte a salvaguardare i lavoratori che operano nella filiera delle bonifiche dello smaltimento dell'amianto;
   a garantire, per quanto di competenza, un'adeguata sorveglianza sanitaria per gli ex-esposti all'amianto;
   ad assumere iniziative per escludere dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno le spese per gli interventi di messa in sicurezza e bonifica dell'amianto;
   ad attivarsi in sede europea affinché vengano scorporati dai saldi di finanza pubblica relativi al rispetto del patto di stabilità e crescita, le risorse stanziate per gli interventi di messa in sicurezza e bonifica dell'amianto;
   ad assumere iniziative per la messa a regime delle detrazioni fiscali attualmente previste per gli interventi di bonifica dei manufatti contenenti amianto dagli edifici, valutando l'opportunità di incrementare le vigenti percentuali di detraibilità;
   ad assumere iniziative per finanziare adeguatamente il Fondo nazionale per il risanamento degli edifici pubblici, istituito dalla legge finanziaria 2008, e mai reso operativo per mancanza di risorse, dando priorità alla messa in sicurezza e bonifica degli edifici scolastici ed universitari, delle strutture ospedaliere, delle caserme, degli uffici aperti al pubblico.
(1-00440) «Migliore, Di Salvo, Zan, Nicchi, Airaudo, Zaratti, Piazzoni, Pellegrino, Aiello, Lavagno».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, il Ministro della difesa, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   le uniche recenti occasioni in cui la civiltà romana e le vestigia archeologiche dell'antica Roma sono state sfiorate da carri armati sono quelle delle sfilate delle Forze armate in occasione delle feste nazionali;
   carri armati su gomma, per evitare danneggiamenti alle strade asfaltate o storiche;
   compendi come Pompei non hanno, invece, mai avuto la possibilità di essere
attraversati da carri armati ne gommati ne cingolati;
   è facile immaginare quali vibrate reazioni e proteste interverrebbero, né a livello nazionale che internazionale, se solo si osasse posizionare cannoni e missili dinnanzi al Colosseo o alle vestigia di Pompei;
   a Teulada, in Sardegna, invece, sorso dispiegati centinaia di carri armati, quelli più moderni e più devastanti;
   carri armati veri e propri che sparano, da terra e da mare, segnando in modo indelebile un compendio ambientale di straordinaria unicità con una devastazione che non ha precedenti;
   sparano ovunque, lasciando segni eloquenti del loro passaggio;
   Teulada è un compendio naturalistico di primaria importanza, considerato che tutte le prescrizioni ambientali regionali, nazionali ed europee hanno circoscritto quel territorio con la massima tutela ambientale e naturalistica;
   la maggior parte del territorio dei SIC è di proprietà militare, quindi interdetta, in esso è presente una base militare NATO, in funzione. Le esercitazioni militari si svolgono per un periodo compreso tra il mese di settembre e il mese di maggio di ogni anno e comprendono azioni militari a terra, aeree e a mare;
   Capo Teulada è un promontorio calcareo collegato alla terra ferma da uno strettissimo istmo sabbioso che forma, ad ovest la spiaggia di «Cala Piombo» e ad est quella di «Porto Zafferano». La costa dell'area SIC è costituita in prevalenza da ciglioni alti e a picco sul mare che si susseguono in profonde insenature separate da alti speroni calcarei;
   è caratterizzata dall'alternanza di dure rocce granitiche e friabili rocce scistose dove piccole spiagge, formate da dune di fine sabbia bianca sono circondate da una vegetazione a prevalenza di ginepri;
   il Sito ha inoltre importanza per la presenza in esso di 22 habitat di interesse comunitario, di cui 5 prioritari (cod. 1120, 2250, 6220, 2270, 3170); di 3 specie di uccelli prioritari, due dei quali in esso riproducentesi (cod.: A181, A392) e 35 specie floristiche di importanza conservazionistica;
   le esercitazioni militari e il conseguente rilascio di ordigni bellici, causano gravi danni sia sull'ambiente marino che su quello dunale e retrodunale (inquinamento, frammentazione degli habitat, erosione del suolo, eccessivo calpestio);
   a causa delle numerose esercitazioni militari e della presenza di rifiuti combustibili nell'area, il rischio di incendi è elevato;
   il poligono permanente per esercitazioni terra-aria-mare affidato all'Esercito e messo a disposizione della Nato, la stessa organizzazione che interviene in gran parte del mondo a tutelare i beni archeologici a rischio di conflitti;
   è il secondo poligono d'Italia per estensione, 7.200 ettari di terreno, cui si sommano i 75.000 ettari delle «zone di restrizione dello spazio aereo e le zone interdette alla navigazione» sono normalmente impiegate per le esercitazioni di tiro contro costa e tiro terra-mare;
   una parte del poligono e dell'area a mare è permanentemente interdetta anche agli stessi militari per motivi di sicurezza;
   fra le attività la simulazione d'interventi operativi e la sperimentazione di nuovi armamenti;
   negli ultimi anni, per adeguare il poligono alle nuove esigenze addestrativi sono stati costruiti gli «scenari reali» confacenti alle guerre moderne;
   la fondazione di Teulada si perde nella notte dei tempi, probabilmente agli inizi dell'epoca nuragica, come sembrano testimoniare i molti nuraghi sparsi un po’ in tutto il territorio comunale, ed i resti di una fortificazione sull'isola Rossa;
   i fenici e i punici più tardi si stabilirono sulla costa come testimoniato dai resti del tophet punico a Malfatano, nell'isolotto davanti a Tuerredda e il porto di Melqart (ora sommerso), sempre a Malfatano;
   la prima ubicazione dell'abitato va ipotizzata alle spalle dell'antico kersonesus (Chersonesum Promontorium), ovvero l'istmo dell'odierno Capo Teulada, dove sembra sia esistito un insediamento militare romano a presidio delle due baie di Cala Piombo e Porto Zafferano. È probabile che tale ubicazione sia resistita fino all'epoca romana, quando il paese prende il nome di Tegula, che probabilmente documenta la produzione di terracotta in epoca romana. Poi, secoli dopo, probabilmente a causa delle incursioni dal mare, il paese è raccolto attorno alla chiesa di Sant'Isidoro, nella piana di Tuerra, in una zona più interna;
   in quel contesto va inquadrata anche una presenza che riguarda il Prenuragico;
   la mancanza di altri dati sulle culture prenuragiche nel territorio di Teulada – del resto variamente e riccamente distribuite in tutta l'isola – va attribuita alle lacune della ricerca scientifica, tanto più gravi quando si pensa all'azione molto più spedita e sicuramente dannosa dei «cercatori di tesori»;
   che l'habitat teuladino fosse congeniale all'insediamento umano preistorico è dimostrato dalla congrua presenza di numerosi nuraghi nel territorio. Un calcolo sulla densità ci da una cifra compresa tra 0.1 e 0.35 per chilometro quadrato. È una cifra che, per quanto approssimativa, ci può dare alcune utili informazioni;
   la disposizione delle torri nuragiche – essendo queste torri di difesa – segue la morfologia dei territorio ed è chiaramente volta a proteggere le vie naturali di penetrazione verso l'interno;
   sembra di vedere una catena difensiva che corre poco più a 0 dell'attuale confine orientale del comune, volta a difendere fa vallata che dal valico di Nuraxi de Mesu porta all'attuale paese. Simile è il sistema difensivo occidentale a difesa delle vie di penetrazione dal Sulcis;
   è altrettanto interessante la disposizione dei nuraghi che stanno a Nord del Porto di Teulada e che proteggono la via che, seguendo il corso del Rio Launaxiu, porta verso l'interno. Tra questi, doveva avere una funzione di avamposto il nuraghe S. Isidoro, ormai quasi completamente distrutto: un nuraghe complesso costruito con tecnica veramente «ciclopica»;
   nella regione di Malfatano – già identificato dal Lamarmora come il «Portus Herculis» degli antichi – sono state trovate le tracce di un centro abitato suddiviso nelle sue due parti essenziali: una zona commerciale col porto (da identificare con l'insenatura occidentale) e i ruderi di un tempio; una zona sacra (il «tophet») che, ripetendo la stessa situazione verificata per Bithia nell'isola di Su Cardulinu, fu costruito nella prospiciente isola di Tuerredda;
   più a Ovest sono state ritrovate, in località Piscinnì, delle cave puniche per l'estrazione di materiale da costruzione;
   altre rovine sono state localizzate a S. Isidoro pertinenti ad un abitato fenicio-punico. In questa località, ricca di testimonianze che vanno dal periodo nuragico fino a quello pisano, alcuni vi hanno voluto riconoscere il sito dell'antica Tegulae;
   le tracce della civiltà punica proseguono ancora nel Capo Teulada (antico «Chersonesus») e nella regione di Zafferano;
   nel pressi della torre di Porto Scudo sono appena evidenti i resti di una fortezza punica costruita con grossi blocchi, in posizione dominante rispetto al porto ed alla plana di Zafferano. Per questa fortezza è stata proposta una datazione intorno al VI sec. a.C;
   tutto questo è noto ma ignorato, scritto ma eluso, documentato ma violato;
   quel che, invece, emerge solo con l'utilizzo di strumenti satellitari, visto il divieto di accesso, è che lo Stato Italiano, con la complicità della Nato e delle Forze Armate di mezzo mondo bombardano, sparano e devastano un'area nuragica di straordinaria rilevanza, sia per il numero dei nuraghi individuati sia per la dislocazione degli stessi nello scenario costiero;
   in qualsiasi parte del mondo una civiltà di oltre 3.500 anni di vita sarebbe protetta, salvaguardata e valorizzata;
   in questo scenario e in questa terra violentata dallo Stato con la complicità storica di certa silente classe dirigente si assiste silenziosamente alla distruzione di un compendio archeologico paesaggistico senza precedenti;
   nella sola delimitazione del poligono di Teulada, secondo gli atti e i documenti in possesso dell'interrogante e riscontrabili nel sito Nurnet siamo dinanzi ad un vero e proprio attentato alla civiltà nuragica con la distruzione di luoghi e compendi archeologici che avrebbero necessitato di protezione e recupero;
   in particolar modo risultano inglobati nella base militare i seguenti nuraghi catalogati da carte militari e topografiche, da rilievi aerofotogrammetrici e satellitari e censiti dalia rete Nurnet:
    1) Nuraghe Maxinas I – Comune Teulada località lat: 38.92193200458267, lon: 8.66831210120662;
    2) Nuraghe Maxinas II – Comune Teulada località lat: 38.916644004582324, lon: 8.664962001206213;
    3) Nuraghe de Carrogu – Comune Teulada – località NURAGHE DE CARROGU lat 38.916925004582495, lon: 8.66106000120563;
    4) Nuraghe Brallisteris – Comune Teulada – località lat: 38.9175330045825, lon: 8.661448401205645;
    5) Nuraghe s'Uracheddu Piudu – Comune Teulada – località lat: 8.90471200458135, lon: 8.641161001202907;
    6) Nuraghe Don Antiogu – Comune Teulada località lat: 38.90735400458154, lon: 8.650137501204105;
    7) Nuraghe Turritta – Comune Teulada – località lat: 38.90684900458174, lon: 8.610368301198532;
    8) Nuraghe Mannu – Comune Teulada – località lat: 38.973001004586486, lon: 8.647734201203802;
    9) Nuraghe de Crabili – Comune Teulada – località NURAGHE DE CRABILI lat; 38.973399004586305, lon: 8.648087001203834;
    10) Nuraghe Di Monte Arbus – Comune Teulada località lat: 38.97321600458627, lon: 8.694009001210237;
    11) Nuraghe Campu Santeddu – Comune Teulada – località lat: 38.94840700458489, lon: 8.712561801212825;
    12)  Nuraghe Merareddu – Comune Teulada – località MERAREDDU lat; 38.94799600458443, lon: 8.70878500121228;
    13)  Nuraghe Monte Idu Comune Teulada – località lat: 38.946134004584195, lon: 8.715556501213165;
    14) Nuraghe Maledetta – Comtine Teulada – località lat: 38.990119004587484, lon; 8.665096201206193;
    15) Nuraghe Barussa – Comune Teulada – località lat: 38.995854004587976, lon: 8.641093101202852;
    16) Nuraghe – Comune Teulada località lat: 38.972919004586316, lon: 8.650665001204146.
   tali compendi nuragici sono inaccessibili;
   dalla sovrapposizione dei tracciati del transito dei carri armati cingolati con le coordinate dei siti nuragici si evince che gli stessi risultano coincidenti in numerosi casi e in altri decisamente contigui;
   appare evidente che si tratta di una violazione grave di tutte le regole internazionali, nazionali e regionali di tutela non solo ambientali e naturalistiche ma anche e soprattutto di quelle riguardanti beni archeologici di una civiltà di oltre 3.500 anni fa;
   il patrimonio archeologico della Sardegna è talmente rilevante e unico nel suo genere che richiederebbe un sistema di tutela sia nei confronti delle scoperte e del ritrovamenti fino ad oggi rivelati, sia dei siti archeologici nuragici dei quali si ha la presunzione di una presenza in determinati compendi areali;
   l'articolo 733 del codice penale tutela l'interesse collettivo a poter usufruire e godere della testimonianza passata dalle propria civiltà, delle espressioni culturali delle epoche passate e delle testimonianze storiche largamente diffuse sui territorio nazionale;
   ai fini della configurazione del reato di danno grave si rinvengono tutti i requisiti pari o superiori a quelli dei beni citati in premessa;
   la Carta costituzionale ha elevato tale interesse a bene archeologico costituzionalmente riconosciuto e tutelato tramite dell'articolo 9 Costituzione che assegna valenza costituzionale, alla tutela, già riconosciuta dal Codice Rocco, delle testimonianze della cultura e della storia che abbiamo ereditato dal passato;
   la Costituzione conferisce alla cultura la qualifica di valore nazionale «dinamico» perché, attraverso il patrimonio archeologico, artistico e storico già presente e accertato, ne promuove l'evoluzione verso nuove produzioni quale testimonianza futura per i posteri;
   è lecito affermare che, nel corso degli anni, si è passati da una concezione puramente statico-conservativa della tutela dei beni culturali a una concezione dinamica orientata al loro pubblico godimento, in quanto naturalmente destinati alla pubblica fruizione e alla valorizzazione, come strumenti di crescita culturale della società;
   la configurazione del reato de quo è evidente proprio per l'effettiva lesione al patrimonio archeologico nuragico atteso che tale nocumento costituisce una condizione obiettiva di punibilità;
   a confermare che si tratta di una grave lesione del patrimonio archeologico dell'umanità sono le convenzioni internazionali in materia: la Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, sottoscritta all'Aja il 14 maggio 1954 (e ratificata in Italia con legge 7 febbraio 1958, n. 279); la Convenzione per la protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale (c.d. Unesco), stipulata il 23 novembre 1972 (e ratificata in Italia con legge 6 aprile 1977, n. 184);
   la Convenzione dell'Aja del 1954, parte dal presupposto che i danni arrecati ai beni culturali, quale che ne sia il Paese di appartenenza, costituiscono danno al patrimonio culturale dell'umanità intera;
   da ciò facendo conseguire il divieto del cosiddetto diritto di preda, e l'impegno delle parti in conflitto a proibire qualsiasi atto lesivo di beni culturali ai danni dei beni dei paesi nemici nonché l'obbligo della potenza occupante a collaborare con l'autorità del luogo per salvaguardare i beni culturali situati sul territorio di quest'ultimi;
   la convenzione Unesco dei 1972 afferma il principio che tutti i popoli del mondo sono interessati alla conservazione dei beni culturali, avendone in comune i valori di civiltà, per cui gli Stati aderenti si obbligano ad astenersi deliberatamente da ogni provvedimento –:
   se non ritenga di dover intervenire con somma urgenza per fermare in tutti i modi possibili fa devastazione della civiltà nuragica nel compendio ricadente nel poligono militare di Teulada;
   se non ritengano di dover segnalare il caso alle autorità competenti per accertare chi abbia consentito questo grave disastro archeologico, ambientale e naturalistico;
   se non intendano valutare la violazione delle norme in materia di tutela e salvaguardia del patrimonio archeologico, ambientale naturalistico per ogni eventuale adempimento di competenza;
   se non intendano provvedere ad un piano nazionale di risanamento del sito medesimo assumendo iniziative per lo stanziamento delle risorse necessarie (a parere degli interpellanti non meno di un miliardo di euro) compresi i risarcimenti alle popolazioni e ai comuni;
   se non intendano assumere iniziative per interdire l'uso dell'area a qualsiasi scopo militare al fine di restituirlo alle popolazioni per un naturale sviluppo armonico con le valenze territoriali.
(2-00517) «Pili, Pisicchio».

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   la Cassa depositi e prestiti s.p.a. (chiamata anche CDP s.p.a.) è una società per azioni finanziaria italiana, partecipata per l'80,1 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze, per il 18,4 per cento da diverse fondazioni bancarie ed il restante 1,5 per cento in azioni proprie;
   tra le attività della Cassa depositi e prestiti rientra anche quella di supportare le politiche di sviluppo del Paese attraverso la gestione di strumenti per il sostegno dell'economia, anche con il finanziamento di operazioni legate alla internazionalizzazione delle imprese italiane, attraverso il sistema «Export Banca»;
   nell'ambito del sistema Export Banca, in data 3 luglio 2013 è stata sottoscritta la nuova convenzione che regola le operazioni a sostegno dell'internazionalizzazione e delle esportazioni delle imprese italiane e prevede il supporto finanziario di Cassa depositi e prestiti, la garanzia di SACE (società partecipata al 100 per cento da Cassa depositi e prestiti), il pieno coinvolgimento del sistema bancario (ABI), e l'intervento di stabilizzazione del tasso d'interesse di SIMEST (la Società italiana per le imprese all'estero s.p.a. posseduta al 76 per cento da Cassa depositi e prestiti);
   con tale convenzione la Cassa depositi e prestiti si rende, quindi, disponibile a fornire provvista vincolata per la quota di finanziamento garantita al 100 per cento da SACE per le operazioni di credito all'esportazione, di internazionalizzazione e per le operazioni che attengano a settori di interesse strategico per l'economia italiana sotto il profilo dell'internazionalizzazione;
   durante la trasmissione televisiva «La Gabbia» condotta da Pierluigi Paragone, il 6 aprile 2014, una inchiesta giornalistica ha denunciato che mediante il finanziamento di Cassa depositi e prestiti ed il relativo coinvolgimento delle società controllate dalla stessa Cassa depositi e prestiti, e quindi le risorse derivanti dai risparmi dei libretti postali, sono finanziate le delocalizzazioni all'estero delle attività produttive di società italiane che a loro volta licenziano o avviano procedure di cassa integrazione dei loro dipendenti che vengono pagate, come noto, sempre con fondi pubblici;
   tra le società che avrebbero goduto di tali finanziamenti, secondo la citata inchiesta, spiccherebbero anche quelle amministrate da Federica Guidi precedentemente alla nomina a Ministro dello sviluppo economico e quelle amministrate da Emma Marcegaglia, ex presidente di Confindustria Marcegaglia, ed oggi chiamata, ad avviso degli interroganti in contrasto con qualsiasi principio di conflitto di interessi, a ricoprire la carica dei presidente di ENI (che rientra insieme a Terna e SNAM tra le principali società partecipate dalla Cassa depositi e prestiti);
   secondo quanto previsto dall'articolo 1, comma 12, del decreto-legge n. 35 del 2005, recante «Disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico sociale e territoriale», convertito, con modificazioni, dalla legge n. 80 del 2005, la Sace spa può assumere in garanzia le operazioni di spostamento all'estero delle attività produttive;
   la condizione prevista dalla legge affinché le imprese possano investire all'estero, accedendo alla copertura assicurativa garantita da SACE spa, è che si preveda sul territorio nazionale il mantenimento dell'attività di ricerca, sviluppo, direzione commerciale, nonché una «parte sostanziale» delle attività produttive: criterio che, con tutta evidenza, può dare adito a controversie interpretative sul piano meramente applicativo;
   in particolare, per il rispetto di tale condizione la SACE spa, per quanto risulta agli interroganti, ha sino ad oggi richiesto unicamente una dichiarazione da parte dell'assicurato senza eseguire alcun tipo di accertamento, assumendo, di fatto, e nonostante si tratti di una società a capitale interamente pubblico, il medesimo comportamento di una semplice società privata;
   inoltre, facendo leva su quanto previsto dal citato decreto-legge n. 35 del 2005, nel nostro Paese, sono state avviate numerosissime procedure di delocalizzazione di importanti attività produttive che fanno capo anche ad aziende, quali, ad esempio, la Fiat, che lo Stato italiano ha sempre generosamente contribuito a sostenere, intervenendo puntualmente attraverso l'erogazione di ingenti risorse pubbliche ogni qualvolta si erano presentate situazioni di difficoltà;
   a ciò si aggiunge la gravissima anomalia che ne è conseguita: mentre lo Stato continua a stanziare risorse per consentire la cassa integrazione dei lavoratori, non si è deciso di fare nulla per combattere la disoccupazione che deriva proprio dalle delocalizzazioni;
   piuttosto, ad avviso degli interroganti, si rimane inermi di fronte all'evoluzione di questa inaccettabile situazione ed, anzi, la si continua ad avallare, grazie, non solo a SACE spa, ma anche il coinvolgimento di cassa depositi e prestiti, nonché SIMEST spa e, sempre e comunque, attraverso l'impiego di fondi pubblici;
   si ricorda che nel 2011, solo qualche mese dopo la vittoria del «si» al referendum sul nuovo modello contrattuale avvenuto il 15 gennaio 2011, nonostante l'amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne, avesse festeggiato tale vittoria come una «svolta storica» ed avesse rassicurato i lavoratori sull'inviolabilità dei loro diritti, promettendo il rilancio degli stabilimenti Fiat in Italia, la FIAT cercava di assicurarsi in Sace spa la delocalizzazione dei propri investimenti all'estero, ottenendo la garanzia per il progetto di ammodernamento ed ampliamento di un impianto esistente in Serbia, operante dal 1950 che avrebbe, di fatto, sostituito quello di Termini Imerese, nonché ospitato la produzione del segmento compact della gamma Fiat di Mirafiori; conseguentemente la produzione del suddetto segmento si sarebbe svolta in Serbia e non più a Mirafiori;
   in data 19 aprile 2011, la Sace spa ha approvato la concessione della garanzia per la copertura del rischio del credito di tale operazione nella misura del 100 per cento, con un impegno assicurativo pari a ben 230 milioni di euro;
   ciò che rileva, in particolare, è che nello stesso mese di aprile 2011, qualora la Sace avesse concesso la garanzia, la Fiat avrebbe sospeso la produzione di Mirafiori constatato il calo delle vendite e avrebbe chiesto la collocazione degli operai in cassa integrazione;
   in buona sostanza la Fiat, con il sostanziale appoggio dello Stato e, quindi, attraverso il supporto di Sace spa, oggi controllata interamente dalla Cassa depositi e prestiti, ha ad avviso degli interroganti sfruttato delle risorse pubbliche sia per favorire il processo di delocalizzazione della propria attività sia per mettere in cassa integrazione i propri operai;
   non caso, nell'ambito della mozione presentata da SEL (n. 1-00186) approvata dall'Assemblea della Camera dei deputati il 18 settembre 2013, cui per altro, per quanto risulta agli interroganti non è stato ancora dato ad oggi alcun seguito, si impegnava il Governo pro tempore «a monitorare con particolare attenzione l'attuazione dell'articolo 1, comma 12, del decreto-legge n. 35 del 2005, recante “Disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale”, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 80 del 2005, in forza del quale la Sace spa – ovvero l'agenzia di credito all'esportazione che assume in assicurazione e/o in riassicurazione i rischi a cui sono esposte le aziende italiane nelle loro transazioni internazionali e negli investimenti all'estero – può assumere in garanzia le operazioni di spostamento all'estero delle attività produttive, considerato che, facendo leva su quanto previsto dal citato decreto-legge n. 35 del 2005, nel nostro Paese, per quanto risulta ai firmatari del presente atto di indirizzo, sono state favorite numerosissime procedure di delocalizzazione di importanti attività produttive che fanno capo anche ad aziende, quali ad esempio la Fiat»; nonché «a porre in essere ogni iniziativa di competenza volta ad impedire la gravissima anomalia in forza della quale lo Stato potrebbe continuare a stanziare risorse per consentire la cassa integrazione dei lavoratori, senza preoccuparsi di verificare, se contestualmente, non vi siano stati casi di erogazione di fondi pubblici che hanno favorito, di fatto, le procedure di delocalizzazione all'estero delle attività produttive da cui la predetta disoccupazione deriva»;
   la citata denuncia della trasmissione televisiva «La Gabbia» del 6 aprile 2014 appare, con tutta evidenza, di eccezionale gravità;
   non esiste alcuna trasparenza sia nei confronti del Parlamento, sia nei confronti dei cittadini italiani su come Cassa depositi e prestiti, SACE spa e SIMEST spa sostengono operazioni economiche di particolare rilevanza che potrebbero risultare, idonee, a giudizio degli interpellanti contribuire ulteriormente al disastro occupazionale del nostro Paese attraverso lo strumento di una delocalizzazione, spacciata per attività di internazionalizzazione con conseguente esborso di rilevantissime risorse pubbliche da parte dello Stato;
   in forza della legge di stabilità 2014 (comma 60, dell'articolo 1, della legge n. 147 del 2013), la delocalizzazione di attività d'impresa in paesi extra-UE fa perdere il diritto ai contributi pubblici in conto capitale ricevuti al fine salvaguardare il mercato del lavoro e la produzione locale. Detta norma si applica alle aziende che delocalizzano le attività produttive apportando una riduzione del personale pari al 50 per cento;
   sarebbe, inoltre, necessario intraprendere urgenti iniziative legislative per impedire la delocalizzazione delle attività produttive delle imprese italiane anche alla stregua delle linee tracciate dalla cosiddetta «legge Flonrange» approvata recentemente in Francia ove si prevede che le aziende con almeno mille dipendenti non possano chiudere e delocalizzarsi, prima di avere trovato un acquirente per garantire la continuità aziendale e produttiva. Nel caso di mancato rispetto dell'obbligo, le aziende dovranno restituire gli aiuti pubblici ottenuti negli ultimi due anni e saranno multate fino al 2 per cento del fatturato;
   in Italia, centinaia di vertenze attendono ancora di essere risolte da tavoli aperti, ormai da troppo tempo, presso il dicastero dello sviluppo economico –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo, ivi compresa l'apertura di una procedura di verifica ministeriale, alla luce di quanto descritto dalla presente interpellanza al fine di appurare se l'asse «Cassa depositi e prestiti-SACE spa – SIMEST spa» votato al rilancio dell’export finance ed al riassetto delle politiche dell'internazionalizzazione delle imprese, non si stia traducendo, di fatto, in spregevoli operazioni di utilizzo di fondi postali dei cittadini per sostenere procedure di delocalizzazione all'estero di attività produttive, con contestuale prestazione di garanzia all'estero per le imprese che delocalizzano;
   se e come sia stato ad oggi dato seguito agli impegni contenuti nella mozione n. 1-00119 approvata dal Parlamento nel settembre 2013 e quali iniziative intenda assumere al fine modificare quanto disposto dal decreto legge n. 35 del 2005 in materia di delocalizzazione all'estero delle attività produttive;
   quali e quante siano ad oggi le operazioni di «internazionalizzazione» avviate dall'asse «Cassa depositi e prestiti – SACE spa – SIMEST spa» e, in particolare, quali e quante siano le operazioni garantite da SACE spa, dal 1o gennaio 2004 – anno in cui la SACE si trasforma da ente pubblico economico in spa – ad oggi, con indicazione dell'assicurato italiano, il Paese di destinazione, il valore complessivo dell'operazione, l'importo assicurato, i premi incassati e gli eventuali indennizzi pagati;
   se e quali iniziative, anche normative, intenda assumere il Governo affinché SACE spa informi con la massima chiarezza e precisione il Parlamento sulle operazioni di garanzia approvate, anche attraverso la presentazione di un'apposita relazione semestrale che SACE, sino a quando era ente pubblico economico, ha sempre presentato;
   se e quali iniziative, anche normative, intenda assumere il Governo per garantire la piena applicazione delle norme previste dall'ordinamento giuridico italiano in materia di trasparenza e di accesso agli atti amministrativi anche nei confronti di tutte le società partecipate o controllate direttamente dallo Stato;
   quali siano ad oggi gli effetti derivanti dall'applicazione della citata norma di cui alla legge di stabilità 2014 in materia di delocalizzazioni delle attività produttive;
   se e quali iniziative intenda assumere il Governo per impedire la delocalizzazione delle attività produttive delle imprese italiane, anche alla luce dei principi previsti dalla cosiddetta «legge Flonrange» approvata recentemente in Francia, ove si stabilisce che le aziende con almeno mille dipendenti non possano chiudere e delocalizzarsi, prima di avere trovato un acquirente per garantire la continuità aziendale e produttiva pena la restituzione degli aiuti pubblici ottenuti negli ultimi due anni e il versamento di una sanzione amministrativa fino al 2 per cento del fatturato.
(2-00516) «Airaudo, Paglia, Nicchi».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LOREFICE, SILVIA GIORDANO, GRILLO, DALL'OSSO, BARONI, CECCONI, DI VITA e MANTERO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro per gli affari regionali. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 210 del 1992 stabilisce il diritto a un indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati nelle strutture del sistema sanitario nazionale e, in base ai danni subiti, parte da un minimo di 540 euro mensili, da versare ogni bimestre;
   lo spartiacque in materia di indennizzi per le vittime del sangue infetto si ha nel 2001, quando, con la cosiddetta «devolution», le regioni divennero competenti in materia di indennizzi. Fino ad allora la competenza era stata del Ministero della salute. Pertanto, dal 2001, le domande per la richiesta d'indennizzo vengono inoltrate alle regioni e non più al Ministero della salute;
   il trasferimento di competenza dal Ministero della salute alle regioni avrebbe dovuto snellire il processo di liquidazione degli indennizzi e invece ha creato una situazione poco chiara poiché le regioni si trovano a pagare per un danno causato dallo Stato;
   con la manovra finanziaria del 2010-2011 il Ministro dell'economia e delle finanze pro tempore, Giulio Tremonti, bloccava i trasferimenti dei fondi ministeriali alle regioni, fondi che contenevano anche i trasferimenti in materia di indennizzo. Le regioni hanno dovuto attingere, pertanto, ai propri fondi, ma talune non hanno potuto per mancanza di risorse economiche; quindi molti danneggiati non ricevono l'indennizzo cui hanno diritto o lo ricevono con estremo ritardo e dopo ripetute sollecitazioni;
   nella medesima manovra si stabiliva che l'indennizzo non andasse rivalutato in base al tasso d'inflazione, ciò nonostante molti danneggiati fossero riusciti ad ottenere la rivalutazione grazie alle cause vinte nei tribunali;
   con il ricorso alla Corte costituzionale, nel 2012, si stabilì la liceità della rivalutazione integrativa dell'indennizzo che, pertanto, fu ripristinata, ma solo per gli indennizzi di competenza ministeriale e delle regioni in grado di attingere a proprie risorse;
   il 3 settembre 2013, la Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo ha condannato l'Italia per violazione dei diritti del malato e ha imposto allo Stato di stabilire un termine entro il quale sanare le posizioni degli aventi diritto alla rivalutazione integrativa a partire dal momento in cui è stata riconosciuta la loro condizione;
   il 14 novembre 2013, la Conferenza delle regioni aveva chiesto lo stanziamento di 172,8 milioni di euro per il triennio 2013-2015 in materia di emoindennizzi e di 60 milioni di euro per la corresponsione degli arretrati relativi alla rivalutazione. L'emendamento deliberato in Conferenza e che conteneva tali richieste non arrivò nella legge di stabilità, nella quale, invece, fu inserito un comma (comma 143) che doveva garantire il pagamento degli arretrati: 100 milioni di euro, da erogare in due anni, 2014 e 2015. Tale somma, però, fu prevista solo per sanare gli indennizzi di competenza del Ministero della salute (pratiche risalenti a prima del 2001) e delle regioni a statuto speciale;
   la situazione che si è venuta a creare a fronte del mancato finanziamento degli oneri per il pagamento degli indennizzi di cui alla legge n. 210 del 1992 è estremamente grave in quanto comporta disparità di trattamento tra i cittadini portatori dei medesimi diritti, e costituisce un onere finanziario che le regioni e le province autonome non sono in grado di sopportare. Pur in assenza del finanziamento statale, esse, hanno continuato, dal 2012 ad oggi, ad erogare il pagamento degli indennizzi alle persone interessate, maturando un credito nei confronti dello Stato che ammonta ad oltre 325 milioni di euro per gli anni 2012 e 2013;
   per il pagamento degli arretrati dovuti a titolo di rivalutazione dell'indennità integrativa speciale, il fabbisogno finanziario stimato dalle regioni ammonta a oltre 200 milioni di euro e a seguito della sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo del 3 settembre 2013 si dovrà garantire il pagamento di tali oneri entro il prossimo 3 giugno;
   la Conferenza delle regioni e delle province autonome riunitasi in data 10 aprile 2014 con ordine del giorno in merito al problema del mancato finanziamento da parte dello Stato degli oneri per garantire il pagamento degli indennizzi previsti dalla legge n. 201 del 1992, chiede la convocazione, entro il mese di maggio, di una riunione straordinaria della conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, monotematica su tale argomento, alla quale siano presenti tutti i Ministri competenti in materia per:
    a) definire e accentare le competenze dello Stato in relazione al finanziamento delle funzioni relative alla legge n. 210 del 1992;
    b) garantire a favore delle regioni e delle province autonome, il rimborso di tutti gli oneri sostenuti per gli anni 2012 e 2013, nonché il ripristino del finanziamento degli anni successivi;
    c) garantire il finanziamento degli oneri dovuti per il pagamento degli arretrati della rivalutazione dell'IIS, secondo modalità condivise tra regioni e province autonome e Ministeri competenti;
   in mancanza di un accordo con lo Stato, le regioni e province autonome disporranno l'interruzione del pagamento degli indennizzi a partire dal 1o luglio 2014 e provvederanno ad adire le vie legali per ottenere la restituzione delle somme anticipate a titolo di pagamento degli indennizzi, nonché al fine di far dichiarare l'esclusiva responsabilità statale in ordine a tutti gli oneri derivanti dalla legge n. 210 del 1992 –:
   se non si ritenga opportuno convocare urgentemente una riunione straordinaria della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, con la partecipazione di tutti gli altri Ministri competenti in materia, come richiesto dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome, riunitasi in data 10 aprile 2014;
   se non si ritenga opportuno fare chiarezza circa le competenze e responsabilità in materia di finanziamento dell'indennizzo previsto dalla legge n. 210 del 1992 e degli oneri dovuti a titolo di rivalutazione dell'indennità integrativa speciale. (5-02678)

Interrogazioni a risposta scritta:


   TAGLIALATELA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il dottor Nicola Favia, dipendente della Presidenza del Consiglio dei ministri, è stato tra il 2013 ed il marzo 2014 componente del Consiglio di amministrazione della società Promuovi Italia, sulla quale il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MiBACT) esercita le funzioni di controllo;
   la nomina del dottor Favia nel CdA di Promuovi Italia venne deliberata dall'Assemblea del Socio unico ENIT il 10 luglio 2013, su indicazione del capo di gabinetto pro tempore del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, cui fece seguito la formale designazione del dipartimento affari rionali, turismo e sport (DARTS), struttura della Presidenza del Consiglio dei ministri alla quale lo statuto della società assegnava tale responsabilità;
   si precisa che il dottor Nicola Favia, alla data del 10 luglio 2013, ricopriva un incarico dirigenziale presso l'ufficio per le politiche del turismo, facente parte del succitato Dipartimento DARTS, ed era stato nominato Consigliere di amministrazione di Promuovi Italia spa in sostituzione del dimissionario dottor Calogero Mauceri;
   il dottor Favia ha accettato tale incarico solo in data 7 maggio 2012 dopo aver chiesto e ricevuto il «nulla osta» della Presidenza del Consiglio dei ministri (partecipando come «uditore» alle riunioni del Consiglio di Amministrazione nel frattempo tenutesi), nonostante il capo dipartimento competente abbia rilegato che – in base alle disposizioni contenute dall'articolo 60 del CCNL del personale dirigente dell'area VIII – non si ravvisasse la necessità di alcuna autorizzazione preventiva, come da nota DiPRUS-PCM prot. 43764 del 9 agosto 2013;
   durante lo svolgimento del consiglio di amministrazione di Promuovi Italia del 4 marzo 2014, il dottor Favia (che vi partecipava in teleconferenza) ha comunicato le proprie dimissioni e poco dopo, mediante e-mail, ha inviato la sua lettera di dimissioni su carta intestata della Presidenza del Consiglio dei ministri;
   tale lettera di dimissioni era tuttavia datata 19 novembre 2013 ed era stata protocollata il successivo 22 novembre 2013 presso la Presidenza del Consiglio dei ministri (prot. DiPRUS n. 0060886 A-3.1.9), amministrazione di appartenenza del dottor Favia;
   secondo quanto risulta all'interrogante il dottor Favia avrebbe motivato le proprie dimissioni a decorrere dal 21 ottobre 2013 dal suo incarico di Dirigente del servizio XIV dell'Ufficio per le politiche del turismo del DARTS-PCM (Dipartimento per gli Affari Regionali, il Turismo e lo Sport della Presidenza del Consiglio dei Ministri) con l'accettazione di un altro incarico alla Presidenza del Consiglio dei Ministri che rendeva impossibile la continuazione del lavoro nel Consiglio di amministrazione di Promuovitalia. Sempre secondo quanto risulta all'interrogante le dimissioni dal Consiglio di amministrazione di Promuovitalia avrebbe avuto decorrenza dalla ricezione della lettera in Promuovitalia e comunque in data non successiva al 30 novembre 2013, dando così modo a chi di dovere di adempiere all'individuazione e nomina di un dirigente MIBACT (Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo) che possa garantire l'esercizio del controllo analogo nella società;
   le dimissioni del dottor Favia sono state, secondo l'interrogante, in realtà un atto dovuto, in quanto lo stesso Favia dal 22 ottobre 2013 non aveva più alcuna responsabilità in seno alla struttura amministrativa del Ministero dei beni e attività culturali e del turismo, e purtuttavia rese note in gravissimo ritardo;
   quindi, a partire dal 22 ottobre 2013, il dottor Favia avrebbe dovuto astenersi da qualsiasi atto o adempimento connesso ad incarichi che non aveva più titolo a ricoprire, tanto più che nel Consiglio di amministrazione della società Promuovi Italia il rappresentante del Ministero dei beni e attività culturali e del turismo concorre ad esercitare, ai sensi di Statuto, le funzioni di «controllo analogo»;
   tra i tanti aspetti discutibili che emergono in tale situazione, il primo è certamente che il dottor Favia abbia protocollato alla Presidenza del Consiglio dei ministri la lettera di dimissioni dal Consiglio di amministrazione di Promuovi Italia un mese dopo la cessazione delle sue competenze e funzioni presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e, soprattutto, che le abbia comunicate alla società addirittura dopo 4 mesi e 10 giorni; tutto ciò continuando a ricoprire e ad esercitare le funzioni di una carica – consigliere di amministrazione di Promuovi Italia spa – rispetto alla quale non possedeva secondo l'interrogante più alcun titolo legittimante;
   il dottor Favia avrebbe inoltre sulla base di proprie ed autonome valutazioni e metodi di calcolo, richiesto alla società di versare parte dei relativi compensi su un proprio conto corrente personale;
   un altro aspetto che suscita interrogativi è che il dottor Favia abbia chiesto, pur non avendone più titolo, copia di documentazione aziendale, nonché abbia compiuto atti in qualità di amministratore della società e assunto posizioni formali;
   tuttavia, pur in un contesto che avrebbe meritato particolare scrupolo per le implicazioni di ordine amministrativo e gestionale aziendale, il direttore generale alle politiche del turismo del Ministero dei beni e attività culturali e del turismo ha sottoscritto note ufficiali sulla base di atti e comportamenti posti in essere dal dottor Favia, attestando per di più come lo stesso funzionario della Presidenza del Consiglio dei ministri rappresentasse a tutti gli effetti il Ministero dei beni e attività culturali e del turismo, anche dopo che specifici provvedimenti amministrativi avevano escluso il dottor Favia dal contingente di personale transitato al Ministero dei beni e le attività culturali e del turismo e il medesimo non avesse più niente a che fare con il Ministero dei beni e attività culturali e del turismo;
   considerate le funzioni di controllo esercitate sulla società Promuovi Italia dal direttore generale alle politiche del turismo del Ministero dei beni e attività culturali e del turismo, destano preoccupazione anche le notizie riportate dalla stampa circa l'ipotesi che la titolarità dell'anzidetto incarico ministeriale possa essere viziata da illegittimità;
   paradossalmente, se tutto ciò che è stato rilevato in premessa fosse accertato, si sarebbe creata una situazione per cui gli atti illegittimi posti in essere da un funzionario pubblico sarebbero avallati ed in qualche modo sanati dagli atti di altro funzionario pubblico, la cui titolarità all'incarico sarebbe anch'essa illegittima –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se con riferimento agli stessi intenda adottare gli opportuni provvedimenti di sua competenza, al fine di chiarire completamente i contorni della succitata vicenda, valutando gli effetti che si sono determinati sull'azienda, compresi i danni effettivi e potenziali cagionati da eventuali comportamenti illegittimi, omissivi o commissivi, dei funzionari competenti;
   quali iniziative intenda assumere al fine di sanare la situazione determinatesi per effetto della posizione non conforme del dottor Favia;
   se risponda a verità che la società Promuovi Italia abbia nel frattempo, a tutela dell'Amministrazione e dell'azienda, inviato la documentazione alle competenti autorità. (4-04605)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia del demanio insieme ad Invitalia ha predisposto un progetto denominato Valore Paese;
   si tratta di un progetto che dovrebbe puntare alla valorizzazione e gestione del patrimonio immobiliare dello Stato e degli enti locali e che coinvolge immobili spesso non utilizzati o sottoutilizzati su tutto il territorio nazionale;
   l'iniziativa, secondo quanto declinano i proponenti, si avvale di un mix di vecchi e nuovi strumenti normativi, si articola in due diversi brand, distinti per tipologie di immobili, in base alle loro caratteristiche e alla loro location;
   tra i progetti presentati risulta essercene uno denominato ValorePaese-Dimore – Sardegna – dedicato secondo quanto si legge alla valorizzazione di beni di pregio storico-artistico con l'obiettivo di creare un network di strutture turistico-ricettive e culturali, grazie allo strumento della concessione di valorizzazione fino a 50 anni;
   tale progetto ad avviso dell'interrogante ignora totalmente le normative vigenti e si presenta in contrasto con qualsiasi disposizione in materia;
   si tratta di un piano grossolano che evidenzia una gestione superficiale del patrimonio proprio perché ignora la norma fondamentale che regola il rapporto Stato-regione, lo statuto autonomo della Sardegna;
   l'articolo 14 dello statuto speciale per la Sardegna (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 9 marzo 1948, n. 58), infatti, dispone:
    1) la regione, nell'ambito del suo territorio, succede nei beni e diritti patrimoniali dello Stato di natura immobiliare e in quelli demaniali, escluso il demanio marittimo;
    2) i beni e diritti connessi a servizi di competenza statale ed a monopoli fiscali restano allo Stato, finché duri tale condizione. I beni immobili situati nella regione, che non sono di proprietà di alcuno, spettano al patrimonio della regione;
   la Corte costituzionale con sentenza n. 383 del 1991, in merito al ricorso proposto da altra regione a statuto speciale, la regione Valle d'Aosta, aveva sostenuto l'automatico passaggio dei beni alla stessa regione anche in virtù del seguente esplicito riferimento alla regione Sardegna: «Del resto l'articolo 14 dello statuto speciale per la Sardegna (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3) mentre stabilisce, al primo comma, che la regione, nell'ambito del suo territorio, succede allo Stato nei beni demaniali e, al secondo comma, che restano allo Stato i beni e diritti connessi a servizi di competenza statale, dà rilievo alla sopravvenienza, in quanto prevede che la detta causa di esclusione possa cessare, con l'effetto in tal caso che la successione si realizza, in un momento posteriore all'entrata in vigore dello statuto»;
   la Corte costituzionale nella stessa sentenza, per il bene militare le cui funzioni di difesa erano venute meno proprio dall'intenzione dello Stato di vendere il compendio, disponeva: «Va dunque dichiarato che non spetta allo Stato porre in vendita a privati, con l'impugnato avviso d'asta, l'immobile in questione, appartenendo questo al demanio della regione Valle d'Aosta»;
   le disposizioni contenute nei primi due commi dell'articolo 14 dello statuto della regione Sardegna di rango costituzionale dispongono che la regione succeda, nell'ambito del suo territorio, nei beni e nei diritti patrimoniali dello Stato di natura immobiliare, regola generale esplicitata nel primo comma;
   il secondo comma del citato articolo 14 introduce un'eccezione: la successione non avviene e i beni restano di proprietà dello Stato quando sono utilizzati (connessi) per servizi di pertinenza statale;
   l'eccezione, però, ha un limite ben preciso: l'utilizzazione deve essere attuale, di guisa che se tale utilizzo viene a cessare cade il presupposto della medesima eccezione ed i beni non più utilizzati ricadono nella regola generale e seguono la sorte degli altri beni statali e, cioè, la loro proprietà è trasferita «ope legis» alla regione;
   la chiara e univoca statuizione dell'articolo 14, secondo cui «i diritti patrimoniali connessi a servizi di competenza statale restano allo Stato “finché duri tale condizione”» non può dare luogo a dubbi interpretativi;
   la congiunzione temporale «finché» attribuisce, infatti, un sicuro valore dinamico allo norma. Nel senso che transitano nel patrimonio regionale non solo i beni che, alla data di entrata in vigore dello statuto speciale, non erano più connessi a servizi statali, ma anche quelli la cui connessione sia venuta meno successivamente;
   l'applicazione di tale disposto si rileva nella nota n. 2/20680/10-1-20-20/89 dell'aprile 1989, quando il Ministro della difesa pro tempore, Zanone, comunicava al presidente della regione di aver impartito disposizioni agli organi tecnici della difesa, per l'avvio della procedura prevista per la cessione all'Amministrazione finanziaria dei beni demaniali non più necessari alle Forze armate;
   il significato proprio dato dal legislatore alla norma porta sicuramente a dare rilievo alla sopravvenienza e, cioè, al sopravvenuto venir meno della connessione del bene con il servizio statale;
   tale sopravvenienza rappresenta il limite all'eccezione di cui al secondo comma dell'articolo 14 e fa, quindi, rivivere la regola generale della successione della regione Sardegna nella proprietà dei beni dello Stato;
   la cessazione della connessione dei beni immobili ai fini statali, come dispone la richiamata sentenza della Corte costituzionale, si è verificata proprio nel momento in cui l'amministrazione dello Stato ha posto in vendita o attivato forme di concessione e comodato a soggetti privati o pubblici del bene stesso;
   con riferimento alla regione Sardegna non esiste nessuna disposizione normativa che possa configurarsi come ostativa al trasferimento dei beni statali alla regione stessa, quando la «dismissione» avvenga in data successiva all'entrata in vigore dello statuto sardo;
   il Consiglio di Stato in sede consultiva con il parere della terza sezione del
12  febbraio 1985, n. 158, ha espresso formale parere su richiesta del Ministero della difesa proprio sull'applicazione dello statuto sardo;
   l'organo consultivo in quel parere, – in estrema sintesi – si è pronunziato nel senso che l'articolo 14, secondo comma, dello statuto sardo stabilisce che i beni immobili connessi a servizi di competenza statale restano allo Stato soltanto finché duri tale condizione, riconoscendo, così, allo Stato la funzione di uso e non anche di disposizione degli immobili stessi;
   i beni oggetto del documento sono i seguenti:
    1.  semaforo, alloggio e terreni – Domus de Maria (Cagliari);
    2. batteria militare di Capo d'Orso – Palau (Olbia-Tempio Pausania);
    3. faro di capo comino – Siniscola (Nuoro);
   si tratta di beni che vengono così descritti nel piano predisposto:
  1) semaforo, alloggio e terreni – Domus de Maria (Cagliari):
   situato nella costa sud della Sardegna, sorge sul promontorio denominato Capo Spartivento a circa 80 metri sul livello del mare. Quest'ultimo, straordinario per bellezza ed integrità, è caratterizzato da una serie ininterrotta di insenature e promontori che precedono il Capo Teulada, estrema propaggine dell'isola verso meridione. Il bene è composto da un'area molto estesa che comprende un edificio principale (ex alloggi semaforisti) realizzato all'inizio del ’900 e in parte diroccato e da un piccolo fabbricato (semaforo). L'immobile che ospitava gli alloggi dei semaforisti è composto da un volume ad un pianto fuori terra con andamento pianimetrico ad «U» ed un'area cortilizia interna, sopraelevata di alcuni gradini dal piano di campagna, sulla quale insistono i ruderi di un forno e due cisterne. I prospetti sono caratterizzati da bucature regolari (in passato chiuse da infissi in legno) e segnati da una cornice marcapiano. Le pareti sono intonacate. La struttura è in muratura portante. La copertura è a falda unica ricoperta da tegole mentre l'orditura strutturale di quest'ultima è il legno. L'intero complesso è in stato di abbandono. L'intera zona riveste grande importanza turistica anche oltre che per le bellezze di Capo Spartivento anche per la vicinanza delle spiagge di Chia, dell'antica città di Nora nonché per le montagne granitiche dell'entroterra;
   dati dimensionali: superficie territoriale metri quadrati 238.490 – superficie coperta metri quadrati 495; superficie scoperta metri quadrati 237.995 – superficie lorda metri quadrati 495 – Volume metri cubi 2.390;

  2) Batteria militare di Capo d'Orso – Palau (Olbia-Tempio Pausania):
   bene situato nel tratto di costa settentrionale prospiciente l'arcipelago de «La Maddalena» e in posizione suburbana; comprende una serie di fabbricati (in parte interrati) che insistono sopra un vasto appezzamento di terreno, per lo più discosceso ed in parte delimitato da muro a secco che, a partire dalla costa, si estende sino ad occupare gran parte del promontorio di Capo d'Orso. Si tratta di un'area dall'eccezionale valore paesistico-ambientale; la morfologia del terreno presenta caratteristiche tipiche del luogo con vegetazione mediterranea e superficie rocciosa principalmente di natura granitica. L'accesso è possibile dalla strada panoramica che, dal centro di Palau, porta alla «Roccia dell'Orso» distante circa 4 chilometri dal centro urbano. La parte dei fabbricati situata a monte fu edificata negli anni antecedenti la Prima Guerra Mondiale. La Fortezza, delimitata da un imponente muro di cinta realizzato con sassi di granito, presenta un ingresso con un ponticello di assi di legno e travi in ferro ed è costituita da numerosi fabbricati (caserma, fabbricati di servizio e depositi). Dalla parte più a monte, ove è ubicata la terrazza superiore che ospitava le postazioni per i cannoni, si gode un'ampia visuale del Golfo di «La Maddalena». A valle, al di fuori della Fortezza, sorgono altri fabbricati (alloggi truppa, Comando e servizi annessi) realizzati agli inizi della Seconda Guerra Mondiale e collegati internamente;
   dati dimensionali: superficie territoriale metri quadrati 386.000 – superficie coperta metri quadrati 2.900; superficie scoperta metri quadrati 383.100 – volume metri cubi 12.800;

  3) faro di Capo Comino-Siniscola (Nuoro):
   situato sull'omonimo promontorio nella costa nord-orientale della Sardegna, il faro di Capo Comino rappresenta l'estremo orientale dell'isola, al termine del Golfo di Orosei. L'area è di grande interesse naturalistico e le spiagge, i fondali e l'acqua cristallina ne fanno una rinomata attrazione turistica, con il sistema dunale in perfetto stato di conservazione. La spiaggia di Capo Comino è famosa per la sabbia bianca e finissima, mentre più a sud il paesaggio cambia, presentando una costa rocciosa alla cui estremità è situato il faro. L'edificio, costruito nel 1903 e attivato dalla Regia Marina nel 1925, è di forma quadrangolare e si articola su tre piani, in cima ai quali si trova la lanterna. La struttura è alta complessivamente 20 metri e presenta facciate intonacate di bianco;

  dati dimensionali non disponibili –:
   se il Governo non ritenga di dover revocare qualsiasi iniziativa che leda lo statuto autonomo della Sardegna, con particolare riferimento all'articolo 14 dello Statuto;
   se il Governo non ritenga di dover formalmente dichiarare l'effettiva proprietà dei beni richiamati e, qualora fossero ancora iscritti nei beni dello Stato, a provvedere all'immediato trasferimento del bene alla regione Sardegna;
   se il Governo non ritenga necessario, con urgenza, comunicare l'elenco di tutti quei beni immobili la cui funzione dello Stato è cessata, ricadenti nel territorio della regione autonoma della Sardegna e non ancora iscritti negli elenchi delle cessioni;
   se il Governo non ritenga necessario avviare un'urgente e puntuale ricognizione dei beni ancora in capo alla Stato, e che non hanno più alcuna funzione connessa con quelle originarie, per procedere ad una rapida cessione degli stessi alla regione autonoma della Sardegna in base ai dettati dello Statuto autonomo della Sardegna, articolo 14, che si rammenta essere legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 9 marzo 1948, n. 58;
   se il Ministro dell'economia e delle finanze non ritenga di dover procedere con propria comunicazione perentoria e vincolante a tutti i soggetti, in particolar modo all'Agenzia del demanio, che dispongono del patrimonio statale a segnalare la necessità di dare attuazione all'articolo 14 dello statuto della regione autonoma della Sardegna;
   se non si intendano assumere iniziative per procedere all'immediata assegnazione degli stessi beni alla regione Sardegna e a regolarizzare la stessa proprietà dei beni, ai sensi dell'articolo 14 dello statuto della regione Sardegna. (4-04607)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   con decreto dell'11 novembre 2011, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, Serie Generale, n. 11 del 14 gennaio 2012, l'istituto italiano per l'Africa e l'Oriente è stato assoggettato alla liquidazione coatta amministrativa e commissario liquidatore l'ambasciatore Antonio Armellini;
   l'ISIAO, Istituto per l'africa e l'Oriente, era un ente pubblico non economico vigilato dal Ministero degli affari esteri, nato nel 1995 dalla fusione dell'Is.M.E.O. (Istituto italiano per il Medio ed Estremo Oriente, fondato nel 1933 da Giovanni Gentile) con 1'Istituto Italo-Africano (I.I.A.), e presieduto sin dalla sua costituzione dal professor Gherardo Gnoli con 18 dipendenti;
   secondo la relazione della Corte dei conti trasmessa alle Camere, nel 2010 i contributi all'istituto sono diminuiti del 44 per cento, passando da 2,5 a 1,4 milioni. Il disavanzo di amministrazione ha superato i 3 milioni e i 3,3 milioni nel 2011 e lo scoperto è arrivato a due milioni e che «Tale grave situazione di dissesto economico-finanziario – hanno sottolineato i giudici contabili – ha determinato l'insostenibilità e l'incapacità di assolvere alle funzioni dell'Istituto»;
   il 12 aprile 2012 il tribunale di Roma ha fatto richiesta di dichiarare lo stato di insolvenza e il 25 maggio successivo i 18 dipendenti sono stati trasferiti alla Farnesina, così come le stesse funzioni e competenze dell'istituto;
   l'Istituto doveva occuparsi di sviluppare i rapporti culturali, scientifici, la ricerca e la cooperazione fra l'Italia e i Paesi africani e asiatici, svolgendo anche programmi di studio e ricerca. Il glorioso Istituto è sempre stato una fucina di idee, di cultura, di incontri fra Europa, Africa e Asia;
   l'ISIAO possedeva, oltre alla sede centrale di Roma, 3 sezioni su territorio nazionale, a Milano, Ravenna e Fano, e 3 sezioni all'estero, Kyoto, Shangai e Saidu Sharif, quest'ultima operativa da oltre 50 anni nel settore archeologico. La Italian school of East Asian Studies (ISEAS) di Kyoto, istituita nel 1982, realizzava ricerche, convegni e pubblicazioni sul Giappone e sull'Asia orientale. La Sezione di Shanghai, istituita nel 2007 consolidava i legami con la Cina anche mediante progetti di cooperazione;
   come ha scritto il noto editorialista Sergio Romano, «con la liquidazione coatta amministrativa di questa istituzione culturale non faremo un risparmio. Butteremo via un investimento»;
   in questi ultimi anni sono state organizzate mostre e conferenze, patrocinato convegni e seminari specialistici, edito riviste e pubblicazioni di riconosciuto valore accademico, finanziato importanti campagne archeologiche, istituito corsi di lingue e culture africane e orientali rivolti a un ampio pubblico, sottoscritto convenzioni e gemellaggi con analoghi enti accademici sia italiani che stranieri. Questo importante lavoro di rapporti di amicizia e collaborazione è stato realizzato con il concorso dei suoi soci e di un gran numero di esperti e docenti di formazione africanistica e orientalistica;
   sin dagli anni 50 l'IsIAO ha avviato una intensa attività editoriale che ha prodotto più di 500 titoli tra monografie; edizioni critiche di manoscritti redatti in lingue orientali; rapporti di scavo; atti di convegni e riviste tra cui 63 numeri dal 1947 al 2008 di «Africa» (trimestrale in lingua italiana, francese ed inglese); 57 numeri dal 1950 al 2007 di «East and West» (trimestrale in lingua inglese) –:
   a che stadio sia la procedura di liquidazione dell'IsIAO, come sono state riorganizzate e a quali uffici siano state riattribuite le sue funzioni, quale sia la sorte del patrimonio di scritti, volumi, fotografie di proprietà dell'IsIAO. (5-02679)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE ROSA, ZOLEZZI, BUSTO, TERZONI, MANNINO, SEGONI e DAGA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nell'area tra le vie Roma, Morelli, Marzabotto/S.S. Sempione, superficie di metri quadrati 147.394,31 di proprietà della Chemisol Italia S.r.l., della Perstorp S.p.a., della Cefim S.r.l. e della Yukiko Immobiliare S.r.l, è ubicato il polo chimico ex-Montedison di Castellarla – Olgiate Olona (Varese);
   lo stabilimento è sorto all'inizio del 1900 avviando la produzione di acido solforico, mentre lo sviluppo massiccio delle attuali attività industriali chimiche si è avuto negli anni 60 del secolo scorso, in seguito all'acquisizione del sito da parte di Montedison;
   nel corso degli anni sono stati perforati 17 pozzi per prelievo di acque sotterranee per uso industriale nell'area dello stabilimento. Le principali anomalie evidenziate nel sottosuolo sono state rinvenute nelle aree Agrolinz Melamin Italia S.r.l e Perstorp Chemitec S.p.a. nella zona A. Si tratta di presenza di metalli pesanti imputabili alla presenza generalizzata in quest'area di uno strato di terreni di riporto costituiti da ceneri di pirite;
   già in data 29 marzo 2001, sotto la gestione della società Agrolinz Melamin Italia S.r.l. (AMI) (oggi Agrolinz Melamine International Italia S.r.l.), il direttore tecnico dello stesso stabilimento, Fabrizio Farisoglio, comunicava ai sensi dell'articolo 17, comma 13-bis, del decreto legislativo 22 del 1997 e dell'articolo 9, comma 3, del decreto ministeriale 471 del 1999, la presenza di una situazione di contaminazione del suolo e delle acque sotterranee, causata da pregresse attività industriali svolte nel medesimo sito ad opera di altri soggetti, con possibile superamento dei limiti di concentrazione accettabili per alcuni dei parametri di cui all'allegato 1 del decreto ministeriale 471 del 1999;
   i risultati delle analisi chimiche effettuate in stabilimento e dal laboratorio delle USSL hanno messo in evidenza una netta difformità tra i parametri delle acque della falda superiore, fino a 100 metri, riportanti preoccupanti livelli di manganese, arsenico e melammina, residuo fisso pari a circa 200 mg/l e durezza compresa fra 25 e 30° F e quelle della falda profonda caratterizzata da valori nettamente inferiori, ad esempio la durezza presenta valori compresi fra 10 e 15° F;
   la Perstorp S.p.a. aveva il suo depuratore fino al 2010, ma la presenza di aldeidi, solfati e altre sostanze nei reflui continuava a causare odori insopportabili. Il costo della messa a norma del depuratore sarebbe stato di 10 milioni di euro, quindi si è scelta la via più semplice che ha portato la Perstorp a concordare insieme alla provincia di Varese e ai comuni di Castellanza, di Olgiate Olona, di Marnate e la Società per la tutela ambientale, di scaricare in deroga nel depuratore di Olgiate Olona, oltre ad un'ulteriore deroga per lo scarico di aldeidi da 2 a 200 mg/l;
   gli odori insopportabili causati dalla presenza di aldeidi, solfati e altro, nei reflui si sono trasferiti nel depuratore di Olgiate e nell'Olona. Il problema non è stato risolto, vi è infatti una diminuzione della resa depurativa dipendente dalla presenza di aldeidi. Tuttora continuano ad arrivare segnalazioni di odori lungo il fiume Olona dal comune di Legnano;
   tale polo chimico si trova all'interno dei centri abitati dei comuni di Castellanza e Olgiate Olona e nel raggio di 500 metri dallo stabilimento sono presenti aree soggette a vincoli ed elementi territoriali sensibili. Risultano presenti una scuola elementare, una scuola materna, un oratorio, una chiesa, un pozzo per l'estrazione di acqua potabile, due elettrodotti ed una linea ferroviaria –:
   di quali elementi disponga il Governo circa lo stato di inquinamento dei luoghi di cui in premessa e se intenda attivare verifiche da parte del Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente;
   se il Governo non intenda assumere iniziative, anche normative, utili a ridurre i costi nella messa a norma dei depuratori e a incentivare la costruzione di nuovi impianti di depurazione. (5-02682)


   SPESSOTTO, LIUZZI, CRISTIAN IANNUZZI, MICILLO, COZZOLINO, BENEDETTI, TOFALO e D'UVA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 26 marzo 2014 si è tenuto al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti un incontro istituzionale che ha visto il coinvolgimento del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Maurizio Lupi, del presidente della regione Veneto Luca Zaia, della presidente della regione Friuli Venezia Giulia, Debora Seracchiani, del commissario straordinario per la linea Tav Venezia-Trieste Bortolo Mianardi e dell'amministratore delegato di Rete ferroviaria italiana Michele Mario Elia;
   nell'ambito di tale incontro, relativo alle prospettive future dell'AV/AC del Nordest, stando alle notizie riportate dai principali organi di stampa locali della regione Veneto, sarebbe stato deciso il definitivo abbandono del progetto dell'alta velocità ferroviaria presentato da Rete Ferroviaria Italiana (Rfi) nel 2010, conosciuto come tracciato cosiddetto «litoraneo», per cui sarebbero stati già spesi circa 14 milioni di euro;
   solo alcuni giorni fa, rispondendo ad un'interrogazione in Commissione trasporti alla Camera, il Sottosegretario alle infrastrutture De Caro aveva dichiarato che il progetto presentato dalla Rfi nel 2010 era l'unico in fase di analisi da parte della Commissione ministeriale di valutazione di impatto ambientale (Via);
   sarebbe invece attualmente allo studio del Ministero un non ben specificato progetto di ammodernamento per velocizzare la linea ferroviaria esistente, che prevedrebbe il potenziamento dei sue binari già presenti e per cui sarebbero stati stanziati 1,8 miliardi di euro (di cui solo 800 milioni per il tratto Mestre-Ronchi dei Legionari);
   parallelamente a questo progetto di potenziamento della linea esistente Venezia-Trieste, durante l'incontro sarebbe stato inoltre deciso di sbloccare la progettazione di un nuovo tracciato AV, in affiancamento ai binari attuali, la cui progettazione sarebbe stata affidata ad Rete ferroviaria italiana, e che, stando alle notizie di cronaca, consisterebbe nel quadruplicamento della linea esistente;
   di tale ultimo progetto di quadruplicamento, che interessa per 156 chilometri il territorio delle regioni del Veneto e del Friuli Venezia Giulia, non si conoscono, ad oggi, gli elementi di valutazione necessari in termini di impatto ambientale, né sono state rese note la tempistica afferente la realizzazione del progetto, né le modalità di attuazione, né tantomeno le previsioni di spesa, nonostante esso abbia un fortissimo impatto ambientale ed una altrettanto rilevante incidenza paesaggistica sulle zone agricole e le ampie aree lagunari interessate da entrambe le ipotesi di tracciato;
   si rileva inoltre che la linea già esistente a doppio binario Venezia-Trieste, della quale è previsto il quadruplicamento, è utilizzata ad oggi per circa il 40 per cento della sua capacità (dati ufficiali RFI) –:
   se il Ministro interrogato non ritenga doveroso, a fronte dei dati ufficiali di Rete ferroviaria italiana esposti in premessa che confermano uno sfruttamento della linea attuale pari oggi solo al 40 per cento delle sue potenzialità, concentrare le risorse a disposizione del Ministero su interventi di ammodernamento della linea esistente, che garantirebbero una velocità fino a 200 chilometri orari, con un rilevante risparmio in termini di spesa pubblica e un servizio a favore dei pendolari, e accantonare la nuova costosa progettazione di un tracciato AV/AC tra Venezia-Trieste che devasterebbe il territorio e che, se e quando dovesse essere realizzato, risulterà tecnologicamente obsoleto. (5-02685)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo le ultime notizie le armi chimiche siriane sequestrate al regime di Bashar al-Assad dovrebbero arrivare al porto di Gioia Tauro entro il mese di aprile 2014;
   i tempi sono stabiliti dall'OPAC, Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, che si sta occupando su mandato dell'ONU della questione, e le due navi – una norvegese e l'altra danese – con a bordo le armi dovrebbero ormai essere partite da Damasco, mentre dalla Virginia è partita la nave americana MV Cape Ray, destinata a prendere in consegna le armi per distruggerle in alto mare, secondo le regole internazionali per lo smaltimento delle sostanze di cui sono composte;
   in Calabria è, quindi, in arrivo una grande quantità di armi chimiche, pericolosissime per i cittadini e l'ambiente, dopo che l'Albania ha rifiutato che l'operazione potesse aver luogo nel suo territorio;
   le armi chimiche dovrebbero concludere il loro viaggio nei fondali del Mar Mediterraneo, nella zona di mare ad ovest di Creta, in base ad un accordo tra Italia, Grecia e Malta, concluso in spregio ad ogni rischio di un eventuale disastro ambientale che potrebbe occorrere durante la distruzione dell'arsenale chimico;
   le modalità di smaltimento non sono per niente chiare, e secondo le opinioni di diversi scienziati greci i rischi sarebbero davvero molto elevati e del tutto imprevedibili, sia per l'ambiente che per l'economia del Mediterraneo;
   la distruzione delle armi dovrebbe avvenire attraverso il metodo dell'idrolisi a mare aperto, vale a dire attraverso la scissione delle molecole pericolose e tossiche in due o più parti che, teoricamente, dovrebbero essere disattivate e quindi inoffensive;
   sembrerebbe, tuttavia, che il processo non sia poi così semplice, perché alle sostanze che si produrrebbero dallo stesso processo d'idrolisi, grandi quantità, di cloro e fluoro, già altamente tossici per l'ambiente marino, si aggiungerebbe una terza componente tossica che si forma direttamente nella acqua marina, e proprio per questo sarebbe stato scelto il Mediterraneo, in quanto mare chiuso in grado di contenere un eventuale disastro ambientale;
   la questione è molto sentita dalla maggioranza dei cittadini di tutto il comprensorio della Piana e specie nei comuni di San Ferdinando, Gioia Tauro, Rosarno e quello di Palmi, che rappresenta il più popoloso e il più esteso verso mare, posto che si temono danni ambientale ed economici incalcolabili che peseranno sia sulle generazioni attuali che su quelle future, e che difficilmente potranno essere compensati con forme di indennizzazione economica –:
   quali siano gli orientamenti in merito a quanto esposto in premessa;
   quali misure siano state adottate al fine di preservare la costa della Calabria e le popolazioni residenti da qualunque danno, sia esso di natura ambientale o economica, che potrebbe derivare dalle operazioni di cui in premessa. (4-04594)


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dal Quotidiano della Calabria del 23 marzo 2014 nel comune di Stalettì, in località Renzo Vecchio, a pochi passi dal mare, nel mezzo di un paradiso naturale, starebbe in atto il progetto di un parco eolico;
   Stalettì è un comune di 2.467 abitanti della provincia di Catanzaro, situato sul golfo di Squillace, vanta un panorama che abbraccia una visuale che va da Crotone a punta Stilo;
   le principali fonti di ricchezza sono costituite dall'agricoltura e dal turismo, settori entrambi strategici per l'economia del territorio. Secondo le prime notizie l'eventuale realizzazione del parco prevede la realizzazione di un impianto di potenza nominale di 850 WATT;
   se così fosse questo parco recherebbe danni anzitutto sull'aspetto generale del territorio, distruggendone il valore paesaggistico e panoramico, mettendo in crisi le vocazioni turistiche e compromettendo irrimediabilmente l'integrità territoriale per le imprese agricole, turistiche e agrituristiche;  
   queste notizie stanno generando forte preoccupazione non solo tra i cittadini ma in particolare tra gli imprenditori agricoli e turistici dell'area che vedono fortemente messa a rischio la qualità delle loro aziende;
   sarebbe opportuno valutare se la costruzione del parco eolico rispetti quanto sancito dalle linee guida relative alla realizzazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili: il luogo che dovrebbe ospitare l'impianto è soggetto a vincoli paesaggistici;
   è assolutamente doveroso considerare tutte le problematiche che un eolico sconsiderato potrebbe creare attraverso le molteplici implicazioni, sia paesaggistico ed ambientale che di strategia energetica;
   l'opposizione alla diffusione selvaggia dell'eolico in Calabria non deve intendersi come indifferenza nei confronti delle energie rinnovabili ma deve essere vista come una attenzione all'ambiente attraverso la diffusione equilibrata di altre forme di energie che valorizzino uno sviluppo sostenibile che rappresenta, ormai per una larghissima parte di cittadini, una scelta irrinunciabile –:
   se il Governo sia a conoscenza dei gravi problemi ambientali, paesaggistici e delle forti ripercussione che potrebbe avere il parco eolico sull'agricoltura e sulle attività turistiche, che rappresentano le principali attività a sostegno del reddito e quali iniziative intenda promuovere anche in considerazione dell'esigenza di assicurare l'applicazione delle linee guida del settore energetico. (4-04596)


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da recenti notizie di stampa riportate dalla «Gazzetta del Sud» del 13 aprile 2014 si apprende che presso il comune di Nocera Terinese, in provincia di Catanzaro, sono stati rinvenuti, nell'ambito dello smaltimento dei rifiuti provenienti dai lavori di sistemazione idraulica del Savuto e dalla successiva rimozione del materiale da asporto derivante da un ponte crollato diversi anni fa nello stesso corso d'acqua, materiali pericolosi ed inquinanti per l'ambiente;
   il comune di Nocera Terinese, antico centro della provincia di Catanzaro di circa 5.000 abitanti, è una importante meta turistica che può vantare antiche e ricche di tradizioni e una straordinaria bellezza del mare e delle sue spiagge;
   l'allarme, lanciato anche dal WWF, riporta che oltre a cemento e ferro è stato rinvenuto materiale catramoso derivante dal vecchio manto stradale che necessita di particolari siti di smaltimento in quanto il suo persistere nel terreno può causare gravi danni ambientali;
   la cittadinanza interessata evidenzia forti segnali di preoccupazione e sollecita le istituzioni ad intervenire per evitare danni che potrebbero essere irreversibili per l'ambiente, specialmente in una regione in cui i casi d'inquinamento e di danni alla popolazione sono diventati tristemente noti, colpendo anche una economia, quella calabrese, già fortemente penalizzata dalla grave crisi economica;
   a Nocera Terinese è urgente promuovere iniziative utili a tutelare l'ambiente e a valorizzare il paesaggio specialmente quello della fascia costiera circostante;
   anche altre organizzazioni ambientaliste si stanno muovendo affinché ci sia maggiore attenzione verso la tutela e l'integrità dell'alveo del Savuto e si intraprendano azioni per garantire la salute dei cittadini;
   la situazione del comune di Nocera Terinese appare decisamente delicata e la ricostruzione di una nuova e importante infrastruttura, come quella del ponte sul Savuto, deve necessariamente tenere conto dell'impatto ambientale che questo può avere nel territorio;
   i cittadini di Nocera Terinese chiedono l'intervento, prima di adire alle vie legali, delle istituzioni locali;
   sarebbe interessante conoscere quali saranno i piani di intervento previsti e le tempistiche per bonificare le aree in questione, anche in considerazione che il materiale di risulta può essere dannoso per la salute –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e quali iniziative intenda assumere, anche promuovendo verifiche da parte del Comando dei Carabinieri per la tutela dell'ambiente, per la difesa dell'ambiente e la tutela della salute dei cittadini. (4-04597)


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Calabria continua a vivere gravi problemi legati al dissesto idrogeologico e, in particolare per la provincia di Catanzaro, il Quotidiano della Calabria del 23 marzo 2014 mette in risalto la notizia della chiusura della strada provinciale 49, evidenziando ancora una volta la fragilità del territorio calabrese;
   a rendere più preoccupante la situazione si aggiungono le piogge, che negli ultimi tempi hanno dato luogo a situazioni molto critiche, come le frane che hanno colpito in questi giorni diversi comuni del catanzarese con gravi disagi per gli abitanti;
   in particolare, nel comune di Caraffa si sono registrati gravi problemi alla viabilità dovuti essenzialmente al manto stradale compromesso che ha costretto la popolazione ad allungare inevitabilmente il tempo per raggiungere il vicino capoluogo;
   richieste di urgente intervento sono stati presentate anche dal Movimento a difesa del cittadino che attraverso una comunicazione indirizzata al commissario straordinario della provincia di Catanzaro ha voluto sottolineare la necessità di interventi tempestivi;
   il manto stradale, più volte ripristinato, necessita di approfondite analisi e studi geologiche del terreno che risultano essere di fondamentale importanza per fornire la base per le scelte della pianificazione territoriale e per la gestione e salvaguardia delle risorse naturali e ambientali;
   la situazione appare molto critica e gli interventi da predisporre devono essere rapidi, proprio perché le continue carenze infrastrutturali limitano l'utilizzo della importante arteria;
   l'attuale situazione di emergenza crea disagi in tutta la popolazione, non solo in quella di Caraffa ma di tutto il comprensorio ed inoltre provoca gravi danni agli operatori economici, già penalizzati dall'attuale crisi;
   è importante attivare un adeguato intervento delle istituzioni locali, sollecitando gli organismi preposti ad effettuare le urgenti e indispensabili iniziative –:
   se il Governo intenda promuovere ogni utile iniziativa per ripristinare la completa percorribilità della strada provinciale 49 interessata dagli eventi franosi dell'ultimo periodo e quali risorse il Governo intenda impegnare per l'immediato ripristino e miglioramento delle infrastrutture viarie di quel territorio;
   se il Governo ritenga opportuno definire un piano organico di prevenzione delle calamità naturali, da affiancare a quello della regione Calabria, promuovendo anche un tavolo tecnico di concertazione con regione e enti locali al fine di affrontare nella maniera più efficace le emergenze alluvionali ed il rischio idrogeologico del territorio. (4-04606)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia in questi ultimi anni è sempre più esposta ad eventi meteorologici intensi che, data l'accresciuta vulnerabilità del nostro fragile territorio, hanno causato e stanno causando ingenti danni infrastrutturali, economici e perdita di vite umane;
   l'aumentata variabilità climatica è già particolarmente evidente sul bacino del Mediterraneo e almeno in parte, se non del tutto, è attribuibile cambiamento climatico indotto dalle attività umane;
   le simulazione climatiche per decenni futuri, recentemente rivalutate con l'uscita del 5oreport IPCC (2013), sono tutte concordi nell'indicare il Mediterraneo come una zona dove questi cambiamenti, peraltro già in atto, continueranno e saranno marcati, più forti anche di altre zone del globo, ponendoci in una situazione di svantaggio economico rispetto ad altre nazioni, per esempio quelle del centro e del nord-Europa, dove l'impatto probabilmente sarà minore;
   a fronte di un territorio da sempre prono a dissesti idrogeologici (il 70 per cento dei dissesti in Europa accadono in Italia), che allo stato attuale vede 82 per cento dei comuni italiani essere interessati da aree a rischio, e con le simulazioni che indicano ulteriore un aumento della frequenza degli eventi intensi, è logico aspettarsi che lo Stato impegni tutte le risorse necessarie per dotarsi di Piani di adattamento e prevenzione contro il dissesto, ma soprattutto che dia effettivamente seguito a questi piani;
   Piano di adattamento significa prima di tutto un piano con investimenti sulla messa in sicurezza del territorio, per rendere più resilienti le nostre città e i nostri paesi, che dal livello nazionale si dirami nelle varie realtà territoriali fino alla complessa e articolata dimensione comunale. Occorre potenziale le strutture territoriali che si occupano di manutenzione e presidio dei corsi d'acqua, oggi in parte depotenziati. Occorre porre grande attenzione ai nuovi sviluppi urbanistici evitando gli errori del passato che hanno portato a costruire, non solo abusivamente e anche quando non necessario, in zone a rischio idrogeologico. Non ultimo fra le azioni da svolgere, quella del potenziamento della ricerca e degli enti che si occupano di previsione e allertamento, visto che nel futuro ce ne sarà sempre più bisogno: attualmente la situazione della meteorologia, in Italia non è delle migliori e soffre di una indebolita comunità scientifica, comunità invece ben consolidata in università e centri di ricerca esteri dove sono presenti molti ricercatori italiani, ma soprattutto soffre della mancanza cronica di un servizio meteorologico nazionale;
   se da un lato lo Stato, per riempire questo vuoto, ha promosso tramite l'azione della Protezione civile nazionale la creazione di un sistema di allertamento decentrato, basato sulla rete dei centri funzionali, è evidente la mancanza di un forte coordinamento fra le varie strutture regionali che ne possa garantire una adeguata uniformità scientifica e modalità univoche di comunicazione verso i cittadini;
   il coordinamento degli attuali centri di previsione pubblici, siano essi centri previsionali in capo a enti regionali, il Servizio meteorologico dell'Aeronautica militare, la protezione civile e le istituzioni di ricerca e Misteri competenti dovrebbe essere appunto uno dei principali compiti di questo nuovo ente statale. A lungo invocato, l'idea dell'istituzione del Servizio meteorologico nazionale distribuito (SMND) prende le mosse dal decreto legislativo n. 112 del 1998, articolo 111. Ma detto Servizio meteorologico nazionale distribuito, ancora stenta a prendere piede nonostante le evidenti necessità. In particolare la sua creazione permetterebbe di:
    a) mettere a sistema i patrimoni meteorologici dello Stato e delle regioni selezionando quelli necessari alla operatività, quindi non rende necessarie nuove spese per investimenti aggiuntivi, ma al contrario sfrutta al massimo e protegge quelli già in essere;
    b) salvaguardare le competenze acquisite dagli operatori della meteorologia pubblica favorendo «sinergie» virtuose;
    c) evitare «sprechi» e duplicazioni, favorendo la crescita del personale;
    d) valorizzare la meteorologia pubblica attraverso una diffusione omogenea e controllata dell'informazione;
    e) aumentare la qualità della previsione meteorologica complessiva, consentendo il rafforzamento dell'evoluzione tecnologica nella sua complessità, dal monitoraggio alle infrastrutture ICT, aumentando il livello di know-how e di competenze anche attraverso percorsi condivisi e collaborativi;
   più recentemente il decreto-legge n. 59 del 2012, ha ribadito l'attuazione del Servizio meteorologico nazionale distribuito che, dovrà essere costituito senza costi aggiuntivi per lo Stato;
   infatti l'articolo 1, comma 1, lettera b-ter) del decreto legge 5 maggio 2012, n. 59, ha introdotto l'articolo 3-bis in materia di «Sistema di allerta nazionale per il rischio meteo-idrogeologico e idraulico» alla legge 225 del 1992 istitutiva del Servizio della protezione civile, disponendo, tra l'altro, che «Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione si provvede all'attuazione del Servizio meteorologico nazionale distribuito (SMND), nel rispetto della normativa vigente in materia per i diversi settori. I compiti del SMND sono stabiliti con decreto del Presidente della Repubblica»;
   a due anni dall'emanazione di questa legge, e ben oltre i tempi assegnati, ancora non si è proceduto all'emanazione del suddetto decreto istitutivo –:
   quali siano i motivi dell'insostenibile ritardo nell'emanazione del suddetto decreto istitutivo del Servizio meteorologico nazionale distribuito (SMND), e se non ritenga improcrastinabile la sua approvazione. (4-04611)


   VECCHIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nei comuni di Augusta, Priolo e Melilli in provincia di Siracusa, si trova il più grande complesso petrolchimico d'Europa. Questo territorio è stato classificato come sito di interesse nazionale a causa dell'emergenza causata dall'inquinamento delle falde acquifere e della contaminazione delle coste. In queste località, infatti, l'incidenza dei tumori è altissima;
   il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore Stefania Prestigiacomo aveva stipulato un contratto con le industrie responsabili dell'inquinamento che prevedeva il cofinanziamento di 770 milioni di euro da destinare alle bonifiche. Parte di questi fondi era di provenienza pubblica;
   il 22 aprile 2014, in occasione della giornata della Terra, è andata in onda su la7 un'inchiesta curata dal giornalista Antonio Condorelli, da cui si evinceva che la bonifica di Siracusa non è ancora iniziata. L'inchiesta mostrava inoltre come nella Penisola Magnisi, il più importante sito protostorico e archeologico della Sicilia orientale, siano ancora presenti discariche a cielo aperto di pirite, contenenti arsenico e metalli pesanti. Il Ministro pro tempore Prestigiacomo, intervistata dal giornalista, ha sostenuto che «i fondi del ministero dell'Ambiente non sono stati mai utilizzati e gli importi che i privati avevano destinato alla bonifica del territorio, a titolo di risarcimento del danno, sono finiti nel calderone del bilancio dello Stato e, attualmente, sono utilizzati per altri scopi» –:
   se i 770 milioni di euro destinati alla bonifica della provincia di Siracusa, siano stati utilizzati e a quale scopo; quali siano le iniziative assunte dal Governo per tutelare gli abitanti di Augusta, Priolo e Melilli, che continuano ad ammalarsi e a morire di tumore. (4-04612)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta scritta:


   OLIVERIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dalla Gazzetta del Sud del 14 aprile 2014 risulta che a Badolato, piccolo e grazioso borgo collinare della provincia di Catanzaro, la chiesa dell'Immacolata Concezione sta vivendo, dal punto di vista strutturale, uno dei suoi periodi peggiori;
   la chiesa sorge su un poggio situato a 250 metri di altitudine sopra la vallata del torrente Gallipari;
   dalla chiesa, che presenta al suo interno elementi decorativi composti da ornato di stucchi di indubbio valore artistico, si può osservare il golfo di Squillace sulla costa ionica calabrese;
   la chiesa dell'Immacolata rappresenta la prima costruzione che, avvicinandosi a Badolato superiore, cattura l'attenzione dei visitatori grazie ad una sontuosa e perenne illuminazione;
   ormai da diversi mesi la sua posizione strategica è diventata precaria a causa di pericolosi movimenti del terreno che ne stanno pregiudicando la stabilità;
   le continue sollecitazioni hanno determinato un preoccupante quadro che delinea importanti lesioni richiedenti l'intervento urgente delle istituzioni locali;
   fino ad oggi, solo grazie all'intervento spontaneamente offerto dalla Confraternita dell'immacolata Concezione, è stato possibile rimettere in moto l'interesse verso questo sito;
   è fondamentale ristabilire i parametri di sicurezza della struttura affinché possa essere possibile il ritorno dei visitatori all'interno di un luogo che è di importante valore artistico;
   lo stato di collasso della struttura appare sempre più evidente e sarebbero necessari finanziamenti finalizzati a restituire alla cittadinanza locale ed ai visitatori questa splendida chiesa;
   a quanto risulta all'interrogante nessun provvedimento è stato adottato per ripristinare e dare valorizzazione ad un patrimonio culturale nazionale –:
   quali urgenti iniziative per quanto di competenza, intenda promuovere il Ministro interrogato per la messa in sicurezza dell'edificio monumentale al fine di evitare nuove problematiche strutturali che potrebbero inficiare la pubblica incolumità. (4-04595)


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   Promuovi Italia spa è un'Agenzia che pare svolga attività di assistenza tecnica alla pubblica amministrazione quale ente strumentale dell'ENIT, con il bilancio in perdita;
   ultimamente l'assemblea avrebbe dovuto deliberare in merito all'azione di responsabilità nei confronti dell'ex direttore generale della società ed eventualmente di precedenti amministratori, ma il socio ENIT non si è presentato;
   la gestione di tale ente, finanziato con fondi pubblici, non pare essere stata esemplare se l'attuale presidente di Promuovi Italia spa ha fatto, come riportato da organi di informazione nazionale, segnalazioni formali alla Corte dei conti per possibile danno erariale e diverse denunce in sede penale;
   critiche sono state avanzate anche sulle modalità di assunzione e della assegnazione di incarichi, comunque proseguite anche nel 2014 –:
   se si intendano assumere iniziative per porre in liquidazione tale società verificando eventuali pregresse responsabilità inerenti alla gestione della stessa.
(4-04609)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CICU. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il poligono sperimentale e di addestramento interforze del Salto di Quirra è dotato di un sistema radar per il quale sono stati investiti svariati miliardi di euro;
   negli ultimi quaranta anni nell'area del poligono si è sviluppato il settore dei radio bersagli, tecnicamente assimilabile a quello degli aerei senza pilota, e, in particolare dal 2002, vi sono stati interventi significativi nel settore aerospaziale e dei velivoli a guida remota;
   il Poligono è oggetto di un'indagine giudiziaria per una parte di territorio che rappresenta solo il 7,5 per cento di tutta l'area da esso occupata che ammonta a ben 12 mila ettari;
   il territorio non sottoposto ad indagine giudiziaria era stato individuato dal Ministero della difesa come luogo ideale per la realizzazione di un distretto aerospaziale, nell'ottica della creazione di un polo dual use specializzato negli aerei a guida remota;
   da fonti giornalistiche risulta che il Governo abbia scelto la Puglia come probabile sede di sperimentazione per i velivoli commerciali senza pilota: tale scelta è, ad avviso dell'interrogante, del tutto irrazionale dal punto di vista tecnico e delle infrastrutture;
   il progetto di tale area di sperimentazione necessita di un impiego in larga scala di maestranze specializzate, che in Sardegna sono già disponibili, e prevede un investimento di quasi 40 miliardi di euro in dieci anni;
   la Sardegna è stata, ed è, penalizzata dalla presenza massiccia delle servitù militari che hanno pregiudicato possibili forme di sviluppo economico legate allo sfruttamento dei terreni per usi agricoli e di allevamento degli animali, dei mari per la pesca, di intere zone adatte al turismo –:
   quali considerazioni abbiano indotto il Governo a cambiare opinione circa la trasformazione del poligono sperimentale e di addestramento interforze del Salto di Quirra in polo dual use specializzato negli aerei a guida remota;
   se il Governo non intenda, molto più razionalmente dal punto di vista industriale, economico e sociale, riconsiderare tale intenzione anche al fine di ridare alla regione Sardegna la possibilità di sviluppare un'eccellenza altamente qualificata proprio nelle aree in cui le servitù militari hanno bloccato finora qualsiasi tipo di sviluppo alternativo. (5-02683)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 30 maggio 2013 è stata istituita la Investimenti immobiliari italiani Sgr spa, anche denominata INVIMIT, di cui il Ministero dell'economia e delle finanze è azionista unico;
   l'INVIMIT Sgr spa ha come finalità sociale, fra l'altro, il servizio di gestione collettiva del risparmio realizzato attraverso la promozione, l'istituzione, l'organizzazione e la gestione di fondi comuni d'investimenti chiusi, nonché ogni attività strettamente strumentale al perseguimento dell'oggetto sociale;
   l'INVIMIT costituisce un importante strumento per il processo di valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico;
   il Consiglio di amministrazione della società, nominato dal Ministro dell'economia e delle finanze, per il primo mandato è composto dai seguenti soggetti: Vincenzo Fortunato, Antimo Prosperi, Federico Merola, Elisabetta Spitz, Olga Cuccurullo;
   la Banca d'Italia ha autorizzato l'operatività di INVIMIT nel mese di ottobre 2013 e ha evidenziato che il consigliere indipendente Federico Merola si trova in condizione potenziale di interlocking ai sensi dell'articolo 36 del decreto-legge n. 201 del 2011 e che il consigliere indipendente si è impegnato ad esercitare l'opzione richiesta dall'istituto;
   in particolare, il consigliere Merola risulta:
    1) membro del Consiglio di amministrazione di ISPREDIL – Istituto promozionale per l'edilizia spa, società che svolge attività di consulenze per imprese e pubbliche amministrazioni, curando per queste ultime la redazione di piani strategici e studi di fattibilità;
    2) membro del Consiglio di amministrazione della Exit One spa che svolge servizi integrati di ingegneria e di consulenza per lo sviluppo, il governo ed il controllo dei processi di gestione dell'ambiente, servizi tecnici e amministrativi per la gestione immobiliare;
    3) Amministratore delegato della Arpinge spa, che svolge attività di investimento e sviluppo nel settore edilizio, delle infrastrutture e dell'immobiliare in genere nonché l'attività di consulenza strategica, e finanziaria nel settore delle infrastrutture e immobiliare nonché l'assunzione di partecipazioni – per conto degli enti previdenziali, soci di Arpinge – in società operanti nel settore immobiliare;
    4) Amministratore unico di Irfel srl, società di advisory finanziario –:
   se non ritenga che sussistano ragioni evidenti di conflitto di interessi e di incompatibilità tra la funzione di garanzia che il consigliere indipendente Federico Merola deve svolgere in una società totalmente pubblica quale la INVIMIT Sgr spa e la molteplicità di cariche in società private operanti negli stessi settori della medesima INVIMIT Sgr spa. (5-02688)


   CAUSI, DE MENECH, FRAGOMELI e RUBINATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con la circolare 36/E del 19 dicembre 2013, l'Amministrazione fiscale è intervenuta con documenti di prassi per chiarire come rilevano ai fini delle imposte dirette e dell'IVA gli incentivi erogati ai titolari di impianti di energia da fonti rinnovabili, e come sono inquadrati in ambito catastale gli impianti fotovoltaici;
   in particolare, per gli impianti fotovoltaici a terra, considerati beni immobili, è previsto l'accatastamento nella categoria D/1 «opifici». Se invece si tratta di strutture poste su edifici, lastrici solari o su aree di pertinenza di altri immobili, non si dovrà effettuare un autonomo accatastamento, ma procedere alla rideterminazione della rendita dell'immobile a cui i pannelli sono connessi;
   qualora la rendita aumenta di più del 15 per cento rispetto al valore originario, il proprietario è tenuto a comunicare la variazione all'agenzia del territorio. Se l'impianto è costruito in forza di diritto di superficie, va accatastato autonomamente e quindi dovrebbe assumere la categoria di opificio; infatti nella fattispecie il proprietario dell'impianto è diverso da quello dell'immobile sottostante. In ultimo la circolare considera in ogni caso come beni mobili, e dunque non meritevoli di accatastamento, gli impianti di «modesta entità»;
   in assoluto contrasto con il principio comunitario «chi inquina paga», molti cittadini sensibili alle questioni delle energie rinnovabili, come corrispettivo all'aumento della rendita, vedranno aumentare l'imposta unica comunale (Iuc), ovvero Imu, Tasi e Tari;
   molti cittadini che hanno scelto le rinnovabili dovranno rivolgersi a professionisti in grado di calcolare l'aggiornamento della rendita con ulteriori oneri di spesa;
   coloro che hanno installato sulla propria abitazione un impianto fotovoltaico superiore ai 3 cavalli vapore saranno costretti ad aggiornare la rendita catastale come avessero costruito dei nuovi vani, in relazione al valore del proprio impianto –:
   se non ritenga determinante verificare l'opportunità di assumere iniziative per rivedere la normativa recante l'accatastamento degli impianti fotovoltaici, al fine di non penalizzare i cittadini più sensibili ai temi ambientali che hanno scelto di effettuare un investimento a lungo termine, anche prevedendo l'innalzamento della quota riferita al valore dell'impianto fotovoltaico del 15 per cento rispetto al valore dell'immobile, quale soglia massima per l'obbligo di accatastamento, unitamente al mantenimento del 9 per cento quale valore percentuale di ammortamento annuo di un investimento riguardante un impianto di tipo fotovoltaico. (5-02689)


   PAGLIA e LAVAGNO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   sulla Gazzetta Ufficiale n. 75 del 31 marzo 2014 è stato pubblicato il decreto 14 febbraio 2014, n. 51 recante il «Regolamento sulle commissioni applicate alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento presso i gestori di carburante», e che entrerà in vigore decorsi 120 giorni dalla data della sua pubblicazione e cioè il 29 luglio 2014;
   il suddetto decreto cancella la gratuità, sia per l'acquirente che per il venditore, delle transazioni regolate con carte di pagamento (bancomat e carte di credito) presso gli impianti di distribuzione di carburanti, oltre a dettare le regole sulla pubblicità delle commissioni di interscambio, stabilendo che i gestori dei circuiti di carte di pagamento accettate in Italia devono pubblicare – ed aggiornare regolarmente – sul proprio sito internet, in maniera chiara, completa, trasparente e facilmente accessibile, le eventuali commissioni d'interscambio applicate alle operazioni di pagamento eseguite sul territorio italiano, con adeguata informativa degli eventuali provvedimenti adottati dalle Autorità europee e nazionali preposte alla tutela della concorrenza;
   pertanto, secondo il legislatore, il provvedimento persegue l'obiettivo di disegnare una regolamentazione unitaria della disciplina dei pagamenti effettuati a mezzo di strumenti elettronici armonizzandola con quella più ampia della trasparenza del costo delle commissioni, ponendo così fine ad una norma equivoca, molto spesso ignorata dagli istituti bancari o volutamente disattesa dagli stessi per trasferire sul sistema altri costi, come ad esempio quelle dei canoni per il noleggio dei cosiddetti POS;
   il regime di gratuità, infatti, aveva un limite temporale essendo vincolato all'applicazione dell'articolo 12, commi 9 e 10, del decreto legge n. 201 del 2011 (c.d. Salva Italia), che affidava all'Abi, insieme a Poste Italiane, al Consorzio bancomat, alle associazioni dei prestatori dei servizi di pagamento e alle imprese che gestiscono i circuiti di pagamento, la definizione delle regole per l'applicazione delle commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento, tenuto conto della necessità di assicurare trasparenza e chiarezza dei costi, nonché di promuovere l'efficienza economica nel rispetto delle regole di concorrenza;
   in verità, un ritorno all'applicazione delle commissioni sul rifornimento del carburante, disincentivando il pagamento a mezzo di moneta elettronica, riapre l'annosa questione di garantire la sicurezza per gestori esponendoli al rischio di rapine;
   d'altra parte i costi di commissione e quelli di gestione del cosiddetto POS, obbligatorio dal prossimo 30 giugno, si aggiungono ai recenti rincari delle accise su benzina e gasolio, ed in vigore fino al prossimo 31 dicembre 2014, riducendo in misura significativa il margine di guadagno dei gestori –:
   come pensi di conciliare l'esigenza di garantire maggiori margini di guadagno e maggiore sicurezza ai gestori di impianti di carburante, che con la loro attività, tra l'altro, svolgono un servizio di pubblica utilità, con l'esigenza di dettare norme di armonizzazione della disciplina dei pagamenti effettuati a mezzo di strumenti elettronici, anche valutando l'opportunità di iniziative normative che reintroducano la suddetta gratuità per le sole transazioni regolate presso gli impianti di distribuzione di carburanti. (5-02690)


   PISANO e BARBANTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito di procedure di cooperazione internazionale previste dalla Direttiva 77/799/CEE, l'Agenzia delle entrate ha acquisito la cosiddetta «Lista Falciani» contenente i nominativi di contribuenti italiani detentori di attività finanziare presso la HSBC PRIVATE BANK di Ginevra (Svizzera);
   sulla base dei dati e delle informazioni contenute nella lista l'Agenzia delle entrate ha eseguito verifiche fiscali nei confronti dei contribuenti ivi indicati, procedendo al recupero di redditi non dichiarati in materia di II.DD. e IVA;
   l'utilizzo ai fini fiscali dei dati contenuti nella lista è stato oggetto di contestazione in sede contenziosa innanzi alle commissioni tributarie –:
   quale sia l'esito del contenzioso tributario avente ad oggetto questioni relative all'utilizzabilità ai fini fiscali della lista Fabiani nonché le entrate derivate dall'accertamento delle imposte evase e delle sanzioni irrogate a seguito dell'acquisizione della detta lista, evidenziando inoltre lo stato delle trattative con la Svizzera per ottenere i dati bancari dei titolari dei conti correnti detenuti presso istituti bancari con sede in Svizzera. (5-02691)

Interrogazione a risposta scritta:


   BERGAMINI e PALMIZIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   come reso pubblico dalla regione Emilia-Romagna «Il Tecnopolo di Bologna si realizza sulla base dell'Accordo quadro Regione, Provincia e Comune di Bologna per la città metropolitana di Bologna del 1o agosto 2006 del Protocollo d'Intesa Regione, Provincia e Comune di Bologna del 13 luglio 2007 per la realizzazione di una infrastruttura dedicata in particolare all'insediamento e allo sviluppo di attività per la ricerca, il trasferimento tecnologico e per l'insediamento di nuove imprese innovative nell'area della Manifattura Tabacchi e del progetto Regione Emilia-Romagna per la realizzazione della Rete di tecnopoli con il programma POR-FESR 2007-2013»;
   il 7 agosto 2007 la «Commissione europea» ha approvato il «Programma operativo» per la regione Emilia-Romagna per il periodo 2007-2013 (CCI2007IT162PO002), «Competitività regionale ed occupazione» co-finanziato dal fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) con dotazione di bilancio per circa 347 milioni di euro;
   il sostegno recato dall'Unione europea attraverso il fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) ammonta a circa 128 milioni di euro;
   la partecipazione pubblica nazionale è prevista per circa 218 milioni di euro;
   l'autorità di gestione del programma risulta essere la regione Emilia-Romagna, direzione generale attività produttive, commercio e turismo, viale Aldo Moro, 44, Bologna;
   la regione Emilia-Romagna ha acquistato dalla società British American Tobacco Italia SpA (BAT), come da contratto preliminare di vendita trascritto il 19 dicembre 2008 in attuazione delle deliberazioni di giunta regionale nn. 1609/2008 e 1932/2008, il complesso immobiliare sito in Bologna, via della Manifattura n. 3, comunemente noto come area ex manifattura tabacchi;
   la regione Emilia-Romagna ha affidato alla finanziaria Bologna Metropolitana spa (soci: comune di Bologna, Provincia di Bologna, Camera di Commercio e regione Emilia-Romagna) l'incarico di definire le linee guida progettuali del Tecnopolo Bologna-1 Manifattura riguardante la trasformazione di una struttura a vocazione industriale progettata dal professore ingegnere Pier Luigi Nervi e vincolata dalla Soprintendenza per i beni architettonici e il paesaggio dell'Emilia, per una superficie complessiva di 100.000 metri quadri;
   la regione Emilia-Romagna ha comunicato che tale intervento di riconversione rientra nel primo obiettivo del programma per lo sviluppo economico regionale POR-FESR;
   tra gli effetti previsti dagli investimenti del «programma operativo regione Emilia-Romagna» cofinanziato dal Fondo europeo di sviluppo regionale FESR è stata stimata la creazione di 14.000 posti di lavoro;
   il consiglio d'amministrazione del 22 luglio 2008 della finanziaria Bologna Metropolitana spa ha approvato il regolamento per l'affidamento di incarichi per servizi di progettazione e altre attività tecniche;
   il 28 gennaio 2010 è stato sottoscritto un protocollo di intesa tra regione, provincia e comune per la realizzazione della struttura, sulla base del quale sono state definite le specifiche per la redazione del bando di un concorso internazionale di progettazione, svoltosi nel 2011 e terminato con l'individuazione dello studio tedesco «Gmp – Arkitekten von Gerkan, Marg und Partners» come progettista del complesso;
   la regione Emilia-Romagna ha accantonato 27 milioni di euro di finanziamenti (in parte europei) finalizzati alla realizzazione di una parte dell'opera, una prima parte della quale avrebbe dovuto essere realizzata entro il 2014;
   negli ultimi cinque anni i consiglieri regionali Sandro Mandini (Idv); Manes Bernardini (Lega Nord); Galeazzo Bignami (Pdl) e Giovanni Fava (Movimento Cinque Stelle) hanno presentato interrogazioni riguardanti la costruzione del Tecnopolo di Bologna;
   la procura della Repubblica presso il tribunale di Bologna nella persona del sostituto procuratore Antonello Gustapane apre un'inchiesta avente come oggetto l'acquisto da parte della regione Emilia-Romagna dell'area della «ex Manifattura Tabacchi» e il successivo licenziamento da parte della società BAT di 53 dipendenti;
   riguardo all'inchiesta della procura della Repubblica presso il tribunale di Bologna da notizie di stampa del 5 dicembre 2013 pubblicate dal quotidiano La Repubblica si apprende: «Il punto più eclatante della perizia è che “il progetto del Tecnopolo nell'area dell'ex Manifattura Tabacchi appare notevolmente più costoso e ambizioso di quanto previsto nello studio di fattibilità del 2008: da 71 milioni di euro si è passati a 198 milioni”. I costi sono lievitati mentre – registrano i periti – “all'interno dell'area non ci è alcun intervento edilizio in corso di attuazione l'unico è stato la demolizione di alcuni edifici”. Questo introduce al secondo aspetto stigmatizzato dai periti, per i quali appare “singolare” che si sia fatto un bando di progettazione internazionale “senza che vi sia stato a monte l'inserimento del rilevante intervento urbanistico nel Piano operativo comunale (Poc)”. La Regione avrebbe dato così “una rischiosa ed eccessiva accelerazione all’iter”»;
   da notizie di stampa si apprende che il 2 aprile 2014 la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Bologna ha rilasciato il nulla osta alla progettazione realizzata dallo studio Gerkan Marg di Amburgo e, conseguentemente, i soggetti interessati possono pubblicare i bandi di gara per il recupero dell'area in oggetto –:
   se quanto sopra riferito corrisponda al vero;
   considerando il valore artistico dello stabilimento industriale con annessi edifici accessori della «Manifattura Tabacchi» disegnata e realizzata dal professore ingegnere Pier Luigi Nervi, quale sia l'intendimento del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo dopo l'approvazione della regionale Soprintendenza per i beni architettonici;
   se, trattandosi di riconversione di un ex area industriale che ha ospitato uno storico e importante opificio, siano state effettuate analisi per verificare un potenziale inquinamento del sottosuolo dell'intera area;
   se la progettazione abbia tenuto conto dei vincoli di uso industriali e di progetti di pubblico interesse inseriti nella cessione del bene in questione, dal momento che, da notizie di stampa, si apprende che il progetto licenziato dalla Soprintendenza per i beni architettonici comprende anche la costruzione di «negozi e ristoranti». (4-04608)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   PALESE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 20 aprile 2014, giorno di Pasqua, presso il carcere di Lecce (Borgo San Nicola) ha avuto luogo un brutto episodio di violenza che ha coinvolto alcuni detenuti salentini ed altri baresi, generato da una lite per futili motivi;
   durante lo scontro, ben nove agenti sono rimasti feriti e diversi altri avrebbero riportato contusioni nel tentativo di ristabilire la calma nell'edificio; gli agenti hanno riportato ferite guaribili tra i sei e gli otto giorni;
   la rissa è scoppiata nel pomeriggio del 20 aprile nel reparto C2-quarta sezione della casa circondariale di Borgo San Nicola, durante la fruizione della socialità per la festività di Pasqua. Sembra che gli agenti della polizia penitenziaria abbiano faticato non poco per ristabilire la calma, e che, secondo quanto si apprende da notizie di stampa, un detenuto abbia tentato persino di impiccarsi, prima di essere salvato dalla polizia penitenziaria prontamente intervenuta;
   la situazione sembra al momento nuovamente tranquilla, ma la tensione resta alta, anche perché il carcere di Lecce continua ad essere uno degli istituti con il minore numero di personale rispetto alla popolazione detenuta; Leo Beneduci, segretario dell'Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria), riferisce che «da tempo ne l'amministrazione Centrale (come per il restante territorio nazionale) ne il Provveditore Regionale forniscono più alcun supporto operativo all'istituto»;
   attualmente il penitenziario leccese, che è un carcere di massima sicurezza dove sono rinchiusi anche malavitosi legati alla Sacra corona unita ed alla camorra napoletana, ospita circa 1.150 detenuti (di cui 59 donne), a fronte di 671 posti letto. Gli agenti di polizia penitenziaria, in base alla pianta organica, dovrebbero essere 770: risultano però in servizio solo 680 agenti;
   la grave situazione della casa circondariale di Borgo San Nicola che ha portato alla rissa di Pasqua è solo la «punta dell’iceberg»: il problema evidente del sovraffollamento carcerario in Italia, già sanzionato dalla Corte di Strasburgo, impone infatti di prendere provvedimenti al più presto;
   l'attuale condizione di affollamento delle carceri italiane – e la conseguente inevitabile negazione dei diritti individuali dei ristretti – ha assunto dimensioni senza eguali nella storia della Repubblica;
   la presenza di detenuti, rilevata al 14 ottobre 2013, è di 64.564 unità a fronte di capienza regolamentare di 47.599 posti; tra l'altro, a maggio 2014 scade l’ultimatum della Corte di Strasburgo all'Italia: bisogna garantire ad ogni persona rinchiusa in cella uno spazio minimo di 4 metri quadrati, sufficientemente illuminato e pulito; bisogna inoltre assicurare, tramite le attività sociali all'interno del carcere, che il detenuto passi un buon numero di ore fuori dalla cella; con una sentenza dell'8 gennaio 2013, la cosiddetta «sentenza Torreggiani», la Corte di Strasburgo ha infatti condannato l'Italia a pagare 100.000 euro di risarcimento a 7 detenuti che avevano fatto ricorso perché costretti a dormire in troppi in celle minuscole, nelle quali dovevano passare quasi 20 ore su 24 per mancanza di attività sociali nel carcere –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, e se intenda far luce su quanto accaduto presso il penitenziario di Borgo San Nicola, individuando le dinamiche e i responsabili degli scontri del 20 aprile 2014, e adottando gli opportuni provvedimenti di propria competenza;
   quali iniziative intenda adottare per garantire il funzionamento del penitenziario leccese, attraverso l'implementazione del personale addetto, nonché misure di adeguamento della struttura commisurate alle esigenze della popolazione carceraria, tenendo conto dell'effettiva pericolosità delle persone che vi sono ascritte, dei tempi medi di detenzione, della corretta e completa allocazione dei servizi essenziali di accoglienza e di trattamento dei detenuti, in linea con quanto stabilito dalla sentenza della Corte di Strasburgo in merito. (4-04598)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   i collegamenti aerei da e per la Sardegna sono oggetto di reiterate interruzioni, pur essendo il servizio in questione di primaria importanza, con grave violazione del diritto fondamentale alla mobilità delle persone e di pari trattamento tra cittadini italiani ed europei;
   la regione Sardegna, a seguito della sua condizione insulare, rientra tra quelle aree comunitarie dove il trasporto aereo è garantito dall'imposizione dell'onere del servizio pubblico e come tale risulta regolato da apposite disposizioni di legge e contrattuali;
   nelle giornate dal 14 al 26 aprile 2014 la già limitata possibilità di collegamento dalla Sardegna verso gli aeroporti di Roma e Milano risulta ulteriormente e gravemente interdetta a residenti e non residenti per la pressoché totale indisponibilità su qualsiasi fascia oraria di posti sulle rotte di linea, con particolare riferimento agli aeroporti di Cagliari, Olbia e Alghero con Roma e Milano;
   tale impossibilità è accertabile con opportune verifiche sia nei call center delle varie compagnie che nei sistemi di prenotazione online;
   risulterà evidente da più approfondite verifiche che questa situazione era palesemente prevedibile e riscontrabile anche attraverso verifiche oggettive;
   la mancanza, prevedibile e riscontrabile con congruo anticipo, di posti nelle rotte di collegamento dalla Sardegna verso gli aeroporti di Roma e Milano impedisce a qualsiasi cittadino-utente di poter lasciare l'isola precludendo il diritto alla mobilità riconosciuto come tale non solo nel diritto costituzionale ma anche nelle normative comunitarie;
   lo svolgimento del servizio pubblico di collegamento aereo non solo è disciplinato da norme di carattere generale ma, per quanto riguarda la Sardegna, rientra nella fattispecie dell'imposizione dell'onere del servizio pubblico di emanazione comunitaria;
   il regolamento (CE) n. 1008/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 settembre 2008 reca infatti norme comuni per la prestazione di servizi aerei nella Unione, in particolare all'articolo 16;
   l'articolo 36 della legge 17 maggio 1999, n. 144, assegna al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, la competenza di disporre con proprio decreto, in conformità alle disposizioni del regolamento (CEE) n. 2408/92, ora abrogato e sostituito dal regolamento (CE) n. 1008/2008 e alle conclusioni della conferenza di servizi prevista dal comma 2 dello stesso articolo, l'imposizione di oneri di servizio pubblico sui servizi aerei di linea effettuati tra gli scali aeroportuali della Sardegna ed i principali aeroporti nazionali;
   i decreti ministeriali aventi per oggetto «Imposizione di oneri di servizio pubblico impone disposizioni sullo svolgimento del servizio» acclarano, se ce ne fosse ulteriore bisogno, la funzione di servizio pubblico per quanto riguarda i collegamenti aerei richiamati;
   i decreti reiterati dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ribadiscono «la necessità di continuare a garantire la continuità territoriale tra la regione Sardegna e gli scali di Roma Fiumicino e Milano Linate attraverso la sola imposizione di oneri di servizio pubblico, senza procedere alla concessione del servizio aereo di linea in esclusiva e senza compensazione finanziaria»;
   nonostante i decreti e le stesse convenzioni prevedessero l'estensione e l'incremento del servizio di continuità territoriale aerea nei periodi dell'anno in cui si fosse reso necessario per una domanda superiore rispetto a quella precedentemente pianificata risulta all'interpellante che niente è stato fatto al fine di garantire una congrua estensione dei servizi stessi di continuità territoriale provocando una grave e reiterata violazione del diritto al servizio pubblico di continuità aerea;
   il servizio pubblico di continuità territoriale aerea è stato di fatto interrotto reiteratamente considerato che da tempo si conosceva il cosiddetto over booking sulle rotte tra la Sardegna e il resto del Paese –:
   se non ritenga di dover immediatamente intervenire per evitare questa continua compromissione di un servizio pubblico;
   se non ritenga necessario individuare le responsabilità del mancato svolgimento del servizio pubblico e della sua interruzione effettuando le conseguenti segnalazioni agli organi competenti;
   se non ritenga di dover immediatamente modificare l'atteggiamento ad avviso dell'interpellante troppo cedevole nei confronti delle compagnie aeree e assumere adeguate iniziative per una corretta e puntuale continuità territoriale.
(2-00515) «Pili».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   DE ROSA, TRIPIEDI, MANLIO DI STEFANO, ZOLEZZI, CASO, BASILIO, TONINELLI, CARINELLI, BUSTO, SEGONI, MANNINO, TERZONI e DAGA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nella recente audizione in VIII Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici, della Camera dei deputati, il Ministro Lupi ha dichiarato come il ricorso al project financing nelle opere pubbliche abbia un effettivo valore se il sostegno economico poggi effettivamente su risorse prevalentemente private e non si trovi invece a ricadere fatalmente sui fondi pubblici;
   la società Pedemontana Lombarda ha recentemente chiesto al Governo di approvare a breve, «nell'ambito di Expo2015», l'Esposizione universale che si dovrebbe aprire a Milano il 1° maggio del 2015, le misure legate alla «defiscalizzazione» delle grandi opere, includendo il progetto Pedemontana garantendo così un risparmio di circa 500 milioni di euro per la società stessa;
   la tratta B1 della Pedemontana, quella compresa tra Lomazzo e la già esistente superstrada Milano-Meda, non è in alcun modo collegata al sito Expo e non ha alcuna funzionalità rispetto all'Esposizione universale. Per tale motivo non può essere considerata «variante Expo», definizione che mai è apparsa precedentemente nelle carte ufficiali;
   una nota del consiglio di amministrazione di Pedemontana Lombarda specificava che i cantieri sarebbero stati chiusi se entro mercoledì 9 aprile 2014 non si fossero «verificate le seguenti condizioni: proroga del finanziamento ponte di 200 milioni al 30 giugno 2014, con conseguente erogazione dei contributi pubblici già deliberati e di quelli che verranno a maturazione entro tale data e finanziamento soci di 38 milioni, necessario per coprire le esigenze finanziarie fino al 30 giugno»;
   il consiglio di amministrazione del gruppo autostradale, secondo quanto riportato dall'agenzia Ansa, aggiungeva che «le Banche del pool hanno rifiutato di eseguire un project financing di 400 milioni di euro a favore di Pedemontana, finalizzato alla realizzazione della «variante Expo»;
   ad oggi non è stata ancora assicurata la provvista finanziaria di circa 170 milioni di euro necessaria, unitamente all'incremento del contributo pubblico dal 35 per cento all'80 per cento anche sulla tratta B1, come da lettera del 7 marzo 2014 della società Concessioni Autostradali Lombarde s.p.a (CAL), per ultimare la «Variante Expo» entro il 30 aprile 2015», un giorno prima della data in cui è prevista l'inaugurazione dell'Esposizione universale;
   non è la prima volta che si verifica la minaccia di chiusura dei cantieri da parte della società Pedemontana. Tale fatto si era già verificato nella primavera del 2013 e anche in quell'occasione fu «un prestito ponte» garantito dalle banche a permettere l'avanzamento dei lavori;
   mancava allora e manca a tutt'oggi il closing finanziario, ovvero l'individuazione di un gruppo di istituti di credito che «scommettano» sulla bontà del progetto nel lungo periodo, garantendo un finanziamento di lungo termine;
   la realizzazione completa dell'autostrada Pedemontana consumerà 550 ettari di suoli agricoli, naturali o verdi in cinque diverse province lombarde (Milano, Monza e Brianza, Como, Varese e Bergamo) –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo al fine di evitare sperpero di risorse pubbliche, anche a seguito di quelle che appaiono agli interroganti forzature di soggetti privati, per opere infrastrutturali che avrebbero dovuto essere finanziate in project financing e che risultano non avere sostenibilità finanziaria, i cui costi rischiano di ricadere completamente sulle casse pubbliche ed i ricavi su casse private. (5-02686)


   PASTORELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   sulla strada statale 79-bis Ternana che collega Rieti a Terni, vi è una galleria, denominata «Tescino», la quale, sin dalla sua costruzione, sta mettendo a repentaglio la salute di chi quotidianamente la attraversa;
   da alcune analisi commissionate dalla procura di Terni, sembrerebbe infatti che le acque di percolazione provenienti dalla sovrastante discarica della Acciai Speciali Terni s.p.a. non solo si siano infiltrate nella galleria «Tescino», ma presentino anche «tracce significative» di cromo esavalente, manganese, alluminio, nitrati ed altre sostanze tossiche;
   alla luce di tali risultanze, l'Agenzia regionale umbra per la protezione ambientale ha chiesto alla suddetta Società e all'Anas di mettere in sicurezza la galleria, senza però ottenere risposta sollecita e risolutiva;
   le contromisure prese dall'Anas, a quanto risulta, sono consistite nella semplice interdizione alle vetture delle aree di sosta posizionate lungo la Galleria. Mentre i lavori di bonifica, volti ad eliminare le infiltrazioni, stentano ad essere ultimati. Un quadro operativo, dunque, del tutto insoddisfacente rispetto alla pericolosità delle sostanze rinvenute in questa galleria;
   la gravità della situazione, in termini di pericolo per salute dei cittadini, e l'urgenza di una risposta adeguata da parte del Governo, sono testimoniate dagli ulteriori, e recentissimi, casi di sospetta contaminazione rilevati sui lavoratori che stanno intervenendo in questi giorni per bonifica del sito;
   al di là, dunque, dell'accertamento nel caso di specie di specifiche ipotesi di reato, di stretta competenza della magistratura, appare quanto mai necessaria da parte del Governo una decisa azione di bonifica, coordinata con tutti i livelli di governo insistenti sull'area in questione, essendo la tutela della salute dei cittadini e, nonché dei lavoratori del settore delle infrastrutture, un obbiettivo irrinunciabile e della massima priorità –:
   se non ritenga opportuno intraprendere, nell'ambito delle proprie competenze, azioni di verifica, gestione e coordinamento degli interventi di bonifica della galleria Tescino, al fine di una loro compiuta e sollecita realizzazione. (5-02687)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BERGAMINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a partire dalla metà degli anni ’90, lo Stato italiano ha affidato in concessione alle officine private la revisione periodica dei veicoli leggeri; all'uopo è stato definito il regolamento tecnico MCTC Net che norma, tra le altre cose, le funzioni dei software di gestione della revisione denominati «SW PCPrenotazione» e «SW PCStazione», le caratteristiche metrologiche e le procedure software delle attrezzature (analizzatori dei gas di scarico diesel/benzina, prova freni, prova fari, prova livello sonoro avvisatore acustico e scarico fumi, prove visive);
   una importante innovazione è costituita dal regolamento MCTC Net2, un'evoluzione del precedente regolamento che introduce, tra le altre, misure anti-frode (telecamera per fotografia e riconoscimento della targa a garanzia di presenza del veicolo nel centro di revisione) e cifratura dei dati misurati (a garanzia dell'autenticità delle misure);
   la data originaria per l'applicazione di MCTC Net 2 era fissata per il mese di maggio 2010 (cronoprogramma allegato alla circolare del Ministero dei trasporti, Prot. RU 79298 dell'11 agosto 2009, «Protocollo di comunicazione MCTCNet2»), ma, dopo più rinvii, il Ministero dei trasporti ha fissato le date definitive per l'entrata in vigore di MCTC Net 2: dal 1° ottobre 2013 al 31 marzo 2014 per «SW PCPrenotazione» e «SW PCStazione» e dal 1° aprile 2014 al 31 marzo 2015 per le attrezzature (circolare/Protocollo R.U. 9182 del 10 aprile 2013);
   nella seduta del 18 dicembre 2013, l'VIII Commissione lavori pubblici del Senato ha approvato una risoluzione con la quale si chiede al Governo di spostare la scadenza per l'entrata in vigore dell'aggiornamento software PCPrenotazione e PCStazione dal 31 marzo 2014 al 31 ottobre 2014;
   al fine di poter rispettare la data del 31 ottobre 2014, però, i costruttori di attrezzature e software, hanno bisogno di conoscere, al più tardi sei mesi prima della scadenza (ovvero entro la fine di aprile 2014), le chiavi di cifratura pubbliche dei SW PCPrenotazione e SW PCStazione;
   ulteriori ritardi nell'applicazione del regolamento MCTC Net2 non fanno che perpetuare il verificarsi di frodi ai danni della salute e della sicurezza degli utenti della strada come ciclicamente riportato dai media nazionali –:
   a che punto sia l’iter di rilascio ed attivazione delle chiavi di cifratura da parte del Ministero dei trasporti;
   se il Ministro interrogato non intenda porre in essere tutte le misure necessarie a garantire la sicurezza degli utenti della strada attraverso la definitiva introduzione di un sistema di revisione ampliamente concertato con tutte le parti in causa e la cui introduzione era originariamente prevista per il 2010. (5-02681)


   AIELLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge istitutiva delle autorità portuali in Italia (legge 28 gennaio 1994 n. 84), definisce le autorità portuali come enti «con personalità giuridica di diritto pubblico»;
   la natura giuridica delle autorità portuali, a seguito di ampio dibattito giurisprudenziale, è stata definita anche attraverso un'esplicita disposizione interpretativa del legislatore che con l'articolo 1, comma 993 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, che acclarava definitivamente la natura giuridica di enti pubblici (non economici) delle autorità portuali;
   la natura di «ente pubblico» implica l'obbligo di selezione pubblica per la selezione ai fini del reclutamento e l'assunzione del personale dipendente dell'Autorità a norma dell'articolo 97 della Costituzione;
   tale obbligo di «selezione pubblica» è determinato inequivocabilmente dalla legge e confermato da diverse sentenze del giudice amministrativo che hanno censurato qualsiasi iniziativa di senso contrario, posta in essere dalle autorità portuale (tra queste ...);
   nel corso degli anni diverse autorità portuali hanno proceduto alla selezione del personale attraverso selezioni pubbliche;
   nell'ambito dell'intero panorama nazionale, però, l'autorità portuale di Civitavecchia, Fiumicino e Gaeta, procedeva – dal 2004 ad oggi – a seguito di diversi ampliamenti della propria pianta organica, ad alcune decine di assunzioni a «chiamata diretta» sia all'interno della autorità portuale stessa che delle società da essa partecipate. Per tali assunzioni non si è espletata alcuna procedura «ad evidenza pubblica» che nel rispetto della legge, garantisse la pubblicità e la trasparenza;
   dal 2004 ad oggi la procedura di assunzione a chiamata diretta è stata utilizzata per il reclutamento di tutti i dipendenti dai dirigenti, ai quadri agli impiegati agli operai, nonostante i direttori della direzione generale porti, dottor Provinciali prima e dottor Caliendo poi, in occasione delle diverse autorizzazioni all'ampliamento della pianta organica avessero sempre raccomandato per la selezione del personale di espletare «procedure concorsuali selettive ad evidenza pubblica nel rispetto del principio della trasparenza e delle vigenti norme in materia»;
   tra coloro che «beneficiavano» di tale «chiamata diretta» risultavano anche l'attuale presidente dell'autorità portuale che veniva assunto come dirigente e alla luce del curriculum pubblicato sul sito dell'autorità portuale, non risulterebbe, ad avviso dell'interrogante, in possesso dell'esperienza quinquennale richiesta dalla legge per assumere incarichi dirigenziali;
   a seguito delle decine di assunzioni, dall'incremento degli inquadramenti contrattuali e dal ripetersi di indennità ad personam ed integrativi rispetto ai contratti nazionali di riferimento (tutti elementi già censurati, senza esito, dai servizi ispettivi della ragioneria generale dello Stato nel 2011), come confermato dalle relazioni annuali della Corte dei conti si evince il costo del personale dell'autorità portuale di Civitavecchia è di gran lunga superiore a quello delle altre autorità portuali italiane. A titolo esemplificativo si consideri che il costo medio unitario per dipendente è, a quanto consta all'interrogante, di 130.000 euro a Civitavecchia, di 82.000 a Genova. La media delle altre autorità risulta ancora inferiore;
   recentemente, dinnanzi a tali evidenze, l'onorevole Marietta Tidei ed altri trentasei deputati presentavano una specifica interpellanza;
   a seguito dell'interpellanza, la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica ha inviato una nota all'autorità portuale di Civitavecchia, ribadendo l'obbligo delle selezioni ad evidenza pubblica a norma dell'articolo 97 della Costituzione e del decreto legislativo n. 165 del 2001. Inoltre il dipartimento della funzione pubblica ha richiesto ai servizi ispettivi dell'ispettorato generale di finanza della ragioneria generale dello Stato di effettuare un'ispezione presso l'autorità portuale di Civitavecchia su tale questione;
   nell'ambito della corrispondenza intercorsa tra il dipartimento della funzione pubblica e l'autorità portuale quindi, va segnalata la nota del 9 gennaio 2014, nella quale il direttore dell'ufficio UORC, dottoressa Maria Barillà indica «[...] il richiamo (della Autorità Portuale di Civitavecchia, ndr) alla nota resa da questo dipartimento appare dunque fuorviante e pretestuoso [...]» ed ancora, conclude: «[...] Pertanto la previsione richiamata, contenuta nella nota aggiuntiva all'articolo 2 del CCNL delle Autorità portuali è illegittima, sia in quanto interviene su materia riservata alla legge, sia in quanto manca una norma legislativa che consente alle Autorità portuali di derogare al principio costituzionale dell'accesso al pubblico impiego tramite concorso. Dai principi sopra espressi le amministrazioni pubbliche, quali sono le Autorità portuali, non possono prescindere. [...]»;
   preso atto delle note della Funzione Pubblica, il capo di gabinetto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti in una nota inviata al dottor Caliendo, direttore generale porti, chiedeva di verificare la conformità alla normativa vigente delle procedure poste in essere, in merito alle modalità di reclutamento del personale, da parte di tutte le autorità portuali italiane;
   contemporaneamente, in data 21 febbraio 2014, il dipartimento della funzione pubblica, avendo ormai definito i contorni della grave irregolarità concretizzatasi a Civitavecchia, richiedeva ai Servizi ispettivi della ragioneria generale dello Stato di avviare specifica ispezione presso l'autorità portuale di Civitavecchia;
   negli ultimi giorni, nuovi e, se possibile, ancora più accese polemiche tornavano a investire l'autorità portuale di Civitavecchia in merito all'affidamento, con procedure assolutamente ignote, di decine di incarichi di assistenza al RUP (nel solo 2013) per la progettazione e realizzazione di opere infrastrutturali (viadotti, strade, banchine, e altro). In particolare, con pratiche non meglio definite, si registrava l'assegnazione di numerosi incarichi a soggetti strettamente legali (in alcuni casi, parenti) a politici e sindacalisti e dipendenti dell'ente stesso, ed in alcuni casi dipendenti e collaboratori di testate giornalistiche. A tal proposito si fa presente che il numero di tali incarichi risulta abnorme se si considera che l'autorità portuale dispone di un ufficio tecnico composto da 23 risorse –:
   quali siano gli orientamenti dei Ministri interpellati in merito ai fatti accaduti;
   quali siano i riscontri dell'ispezione, qualora già conclusa;
   quale sia l'esito della verifica effettuata dalla direzione generale porti sulle modalità di assunzione del personale di tutte le autorità portuali;
   se anche altre autorità portuali abbiano utilizzato la modalità della chiamata diretta per l'assunzione del personale, se tale modalità sia stata utilizzata solo per specifiche professionalità e non per tutto il personale come avvenuto a Civitavecchia dal 2004 ad oggi;
   perché il Ministero vigilante, nonostante la palese violazione dell'autorità portuale di Civitavecchia delle norme che regolano l'accesso all'impiego nella pubblica amministrazione e la contravvenzione alle raccomandazioni del direttore della direzione generale porti che, in occasione delle diverse autorizzazioni all'ampliamento della pianta organica avesse sempre raccomandato per la selezione del personale di espletare «procedure concorsuali selettive ad evidenza pubblica nel rispetto del principio della trasparenza e delle vigenti norme in materia», non sia mai intervenuto per censurare tale violazione;
   se i Ministri interpellati, non appena disponibili gli esiti della ispezione relativa alle procedure per la selezione ed il reclutamento del personale dipendente poste in essere dall'autorità portuale di Civitavecchia, Fiumicino e Gaeta, non ritengano opportuno:
    a) inoltrare esiti di tali verifiche alla procura regionale per il Lazio della Corte dei conti per poter accertare l'eventuale danno erariale in merito all'irregolare selezione e reclutamento del personale;
    b)  avviare un'indagine amministrativa interna per individuare i motivi ed i responsabili della condotta dell'autorità portuale di Civitavecchia, Fiumicino e Gaeta, informando dell'esito, ove necessario, le autorità competenti ed avviando i conseguenti procedimenti disciplinari nei confronti dei dirigenti di vertice della autorità;
    c) adoperarsi perché anche l'autorità portuale di Civitavecchia, Fiumicino e Gaeta bandisca selezioni pubbliche, conformi alla disciplina vigente in materia di reclutamento e selezione del personale dipendente. (5-02692)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   sono iniziati in questi giorni da parte di RFI i lavori per il ribassamento della galleria monzese sulla linea ferroviaria Chiasso-Milano;
   secondo informazioni raccolte presso tecnici RFI, questi lavori hanno lo scopo di consentire il passaggio dei nuovi carri merci con sagoma di carico UIC di 4 metri;
   è noto che la Chiasso-Milano vedrà, a partire dalla fine di quest'anno, un aumento dei treni merci in transito, affollamento che secondo fonti ferroviarie elvetiche aumenterà ulteriormente e in misura notevole dopo l'apertura della galleria svizzera del Gottardo (Alptransit) prevista per l'autunno del 2016 –:
   se corrisponda al vero la previsione secondo cui l'aumento dei treni merci e di altri convogli internazionali su linea ferroviaria Chiasso-Milano, già congestionata, comporti limitazioni allo sviluppo delle linee «S» regionali, fondamentali in un'area densamente abitata come quella ricompresa tra le province di Milano, Monza-Brianza, Como e Lecco, e quali iniziative si intendano mettere in atto per scongiurare queste limitazioni;
   se non ritenga opportuno intervenire con gli strumenti a propria disposizione affinché, contrariamente a quanto riferito da dirigenti RFI durante un'audizione in Commissione trasporti del consiglio regionale della Lombardia in dicembre, l'aumento del traffico merci non comporti un utilizzo della linea anche nelle ore notturne, anche in considerazione del fatto che nel Comune di Monza la linea Chiasso-Milano è tracciata in pieno centro abitato;
   se sia a conoscenza di previste opere di mitigazione del rumore e delle vibrazioni nel corso dei lavori sulla linea nel tratto di Monza, che interessano oltre la galleria anche altre parti dell'armamento e, in ogni caso, come si intenda provvedere affinché siano rispettati i limiti relativi al rumore e alle vibrazioni nel rispetto dei diritti dei cittadini monzesi che da anni lamentano disagi in tal senso. (4-04599)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   i giorni 12 e 13 aprile si è svolto uno sciopero nazionale dei ferrovieri per la revisione dei limiti pensionistici, fortemente peggiorati dal decreto-legge n. 201 del 2011 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011;
   si sono registrati picchi molto elevati di adesioni, ma sono state registrate una serie di anomalie riguardanti il personale utilizzato per scortare i treni Frecciarossa;
   secondo quanto segnalato al deputato interrogante, si sono in tale circostanza verificate gravi violazioni alla sicurezza;
   in particolare, occorre a questo proposito ricordare che il personale di accompagnamento, cioè capotreno/caposervizitreno, deve essere in regola rispetto al decreto n. 4 del 2012 dell'Agenzia Nazionale per la Sicurezza Ferroviaria (ANSF). Tale decreto prevede una serie di prescrizioni, tra cui si ricordano: dotarsi di strumenti necessari in relazione alla tipologia di servizio da svolgere; conoscere il ruolo e le relative responsabilità; muoversi in sicurezza nell'ambito degli spazi ferroviari; adottare i provvedimenti e le precauzioni previste nelle possibili situazioni di pericolo, derivanti dal degrado dell'infrastruttura ferroviaria e dei veicoli, dalle anormalità nella corsa dei treni, da situazioni di emergenza, al fine di garantire la sicurezza delle persone; eseguire le segnalazioni previste nei casi di anormalità occorse durante il viaggio; dare, in caso di necessità, le istruzioni per l'abbandono del treno ai viaggiatori presenti a bordo, anche in relazione alle disposizioni dettate dal gestore dell'infrastruttura; accertare la frenatura/sfrenatura dei veicoli e la continuità della condotta pneumatica; eseguire nei casi di degrado dell'infrastruttura o dei veicoli, la manovra dei deviatoi o di altri enti/meccanismi ad uso del personale del treno interessati dal percorso del treno;
   la Comunicazione organizzativa per il certificato di sicurezza (COCS 55) di Trenitalia acquisisce le prescrizioni del decreto ANSF n. 4 del 2012 e specifica che per mantenere le competenze succitate il personale di accompagnamento deve essere sottoposto a processi formativi continuativi. Inoltre, il personale prima di essere riutilizzato dopo periodi di inattività, deve: se il periodo di inattività è tra 6 e 12 mesi, essere sottoposto a verifica da parte di un istruttore; se il periodo di inattività è tra i 12 e 36 mesi, essere sottoposto a verifica da parte di esaminatore, affiancamento svolgimento attività, ripetizione di procedure per la conoscenza linee, impianti e veicoli; se il periodo di inattività è superiore ai 36 mesi, l'abilitazione viene revocata e il personale potrà essere riammesso al ruolo solo dopo la ripetizione del processo abilitativo;
   secondo quanto segnalato all'interrogante, alcuni agenti utilizzati nella giornata di sciopero, probabilmente non avevano i suddetti requisiti perché ricoprono altri profili professionali, altri, invece erano stati soggetti a lunghi periodi di inutilizzo da attività legate alla sicurezza;
   in particolare, si segnalavano, come ipotesi plausibile a giustificazione della circolazione dei treni; l'utilizzo di: capideposito ed ingegneri, peraltro già oggetto di numerosi ricorsi ex articolo 28 delle legge n. 300 del 1970 per comportamento antisindacale; ricorso a personale di condotta distaccato presso altre unità del gruppo non più legate all'effettuazione di treni commerciali (con passeggeri a bordo);
   ricorso a personale appartenente agli uffici della produzione e gestione del personale; ricorso a personale di bordo riferito a treni appartenenti ad altri segmenti del trasporto di Trenitalia, non adeguatamente formato rispetto la particolare circolazione dei treni Alta Velocità su linee dedicate; ricorso a prestazioni straordinarie eccedenti i limiti di legge oltre che contrattuali; mancata possibilità di identificazione del personale ai treni da parte della clientela in quanto privo del previsto vestiario di ordinanza;
   la conferma di quanto sopra dichiarato, si troverebbe anche nei piani di formazione programmati annualmente e divisi per categoria. Infatti, nel dettaglio per la linea Frecciarossa le categorie sono: personale di accompagnamento treni (PDA), personale di condotta (PDC), operatori sale operative Frecciarossa (personale d'ufficio); gestione equipaggi (personale dell'ufficio turni);
   peraltro, nei piani di formazione si fa notare come i programmi per il personale di accompagnamento e di condotta siano gli unici che prevedono giornate di formazione su argomenti che riguardano la sicurezza della circolazione ferroviaria così come previsto dalle Comunicazioni organizzative per il certificato di sicurezza (COCS);
   in particolare, per il personale di accompagnamento sono dedicate giornate di formazione e di aggiornamento per i seguenti argomenti: primo soccorso (conoscenza linee e impianti formazione obbligatoria secondo la comunicazione organizzativa per il certificato di sicurezza, COCS 55); aggiornamenti professionali (che riguardano le novità normative); dimestichezza operativa (il corso prevede principalmente attività di carattere pratico per la conoscenza del treno e per il supporto al personale di condotta); aggiornamento commerciale –:
   se il Ministro interrogato non intenda disporre un'indagine ministeriale finalizzata ad accertare se sia stata messa a rischio la sicurezza del servizio e l'incolumità dei viaggiatori;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno valutare la possibilità di predisporre un piano preventivo di soppressioni anche per le cosiddette «Frecce», in maniera tale da garantire al contempo sia il diritto di sciopero sancito dalla Costituzione, sia la sicurezza dei viaggiatori.
(4-04610)


   MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in esito alle operazioni di gara per l'affidamento dei lavori di «ammodernamento ed adeguamento al tipo 1/A della norma CNR 80, dal chilometro 153+400 al 173+900 dell'Autostrada SA/RC Macrolotto 3o parte 2 – Gara ASR 18/07 – affidamento a Contraente Generale, ai sensi della legge n. 443/01 e del D.Lgs. n. 163/2006 e s.m.i.», essendosi l'offerta presentata dalla costituenda ATI Tecnimont S.p.A. (mandataria)/Uniter Consorzio Stabile (mandante) collocata al primo posto della relativa graduatoria, l'ANAS con determinazione dell'11 giugno 2009 ha provveduto ad aggiudicare i lavori alla stessa ATI per un ribasso offerto del 21,58297 per cento e per un importo finale offerto pari a euro 400.101.899.58;
   dal sito dell'ANAS si apprende che successivamente, avendo Tecnimont comunicato alla stazione appaltante di volersi sciogliere da ogni vincolo con l'amministrazione aggiudicatrice, quest'ultima accettava, senza agire in via contenziosa avverso tale rinuncia, e con determinazione del 4 aprile 2011 annullava la prima aggiudicazione;
   da quanto di apprende dal sito contestualmente all'annullamento dell'aggiudicazione in favore della predetta costituenda ATI Tecnimont s.p.a./Uniter Consorzio Stabile – e senza tener conto dell'offerta della mandante Uniter di eseguire l'intero lavoro essendo in possesso dei requisiti richiesti in sede di gara per eseguire singolarmente i lavori – l'ANAS aggiudicava l'appalto in questione all'ATI C.M.B.-Ghella per un ribasso offerto del 16,451 per cento, per un importo finale offerto pari a euro 424,512 milioni, per un maggior esborso pubblico di circa 24,410 milioni di euro;
   risulta altresì dal sopraccitato sito dell'ANAS che avverso l'aggiudicazione a favore dell'ATI CMB-Ghella siano stati aperti ulteriori ricorsi innanzi alla giustizia amministrativa per ulteriori vizi di aggiudicazione;
   risulta all'interrogante che, ad oggi, l'ATI C.M.B.-Ghella non abbia ancora dato corso all'avvio dei lavori che – stando alla tempistica indicata nella gara – dovevano essere già stati avviati;
   l'affidamento della commessa ad un soggetto che ha presentato un'offerta più onerosa per l'ANAS, in assenza della escussione della cauzione fornita dal concorrente rinunciatario, ha già comportato un significativo aumento di spesa e risulta, ad avviso dell'interrogante, in netto contrasto con quelli che sono gli attuali obiettivi di riduzione e razionalizzazione della spesa pubblica nonché con i noti principi di buon andamento, ragionevolezza ed economicità dell'azione amministrativa –:
   se il Ministro intenda verificare, attraverso l'ANAS l'uso razionale delle risorse pubbliche per l'affidamento dei lavori dal chilometro 153+400 al 173+900 dell'autostrada SA/RC Macrolotto 3o parte 2;
   se risponda al vero la circostanza che ANAS sia in ritardo nell'avvio dei lavori sul macrolotto 3o parte 2;
   se tale ritardo sia connesso all'esigenza di risolvere problematiche progettuali già rese note all'ANAS ed oggetto di una controversia pendente innanzi al giudice amministrativo;
   quali cautele intenda assumere l'ANAS, nella fase di approvazione del progetto esecutivo, al fine di evitare che il maggior esborso derivante dalla aggiudicazione a favore dell'ATI CMB-Ghella, sia ulteriormente aggravato, facendo proprio un progetto che preveda un importo dei lavori superiore a quello proposto dal concorrente ATI CMB-Ghella in sede di gara. (4-04614)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   GUIDESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con apposita deliberazione, la giunta comunale di Crema ha avviato il 25 marzo 2014 un procedimento chiaramente finalizzato a realizzare una variante del piano di governo del territorio, avviando anche gli adempimenti connessi alla relativa valutazione ambientale strategica, con l'obiettivo di rendere possibile la realizzazione di un edificio da adibire al culto islamico;
   tutto ciò avviene a dispetto della forte perplessità della cittadinanza, manifestata anche dalla sottoscrizione in massa di petizioni contro la realizzazione di una moschea nel territorio comunale di Crema;
   non mancano episodi, in Italia ed all'estero, che comprovano la tendenza ad associare ai luoghi di culto islamico anche delle scuole coraniche, nelle quali trova spesso spazio la divulgazione di tesi radicali, di matrice jihadista o comunque collaterali al jihadismo –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere, in particolare sotto il profilo della vigilanza, per evitare il rischio che la moschea e le relative pertinenze possano diventare centri di propaganda jihadista o comunque di irradiazione dell'Islam politico radicale.
(4-04600)


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la popolazione e il territorio dell'Alto Friuli, a seguito della revisione della geografia giudiziaria italiana da parte del Governo, ha di recente dovuto subire la chiusura del tribunale circondariale di Tolmezzo con i conseguenti ed ovvi gravissimi contraccolpi negativi sia sociali che economici;
   tale operazione ha indubbiamente sguarnito un presidio giudiziario di prossimità di un territorio che, per le sue particolari caratteristiche di area geograficamente molto estesa e di essere di fatto una vera e propria porta aperta verso il centro e l'est Europa (porta aperta purtroppo anche e soprattutto per quanto riguarda traffici legati all'immigrazione clandestina, al riciclaggio, all'importazione di armi e di sostanze stupefacenti), rischia seriamente di essere osservato con particolare interesse dalla malavita organizzata;
   sempre in tale territorio insiste un carcere di massima sicurezza in regime di 41-bis, e sembrerebbe che tale tipologia di speciale detenzione dovrebbe essere ancor più rafforzata, elevando notevolmente il rischio di infiltrazioni malavitose nel già debole territorio dell'Alto Friuli;
   per il territorio dell'Alto Friuli si prospetta un ulteriore pesante sacrificio imposto dalla revisione dei costi in corso da parte dello Stato italiano, ovvero il trasferimento del 3° reggimento artiglieria da montagna di stanza a Tolmezzo presso la caserma «Cantore», verso la caserma «Spaccamela» di Udine o, in alternativa, la caserma «Lesa» di Remanzacco, avvenimento che aggiungerebbe danni economici e sociali ad un territorio già demograficamente fragile;
   in questi giorni, infine, si è appreso dalla stampa dell'intenzione del Ministero dell'interno di sopprimere alcuni uffici e commissariati della polizia di Stato sul territorio provinciale di Udine, tra i quali risulterebbe essere anche il commissariato di Tolmezzo, e che ciò dovrebbe avvenire in tempi molto brevi;
   pur nell'ambito della consapevolezza che è necessario ottimizzare le risorse, rimane fermo il convincimento che prima di tutto debba essere tutelata la sicurezza della popolazione montana, non privandola, inoltre, di ulteriori servizi che depaupererebbero oltre ogni ragionevole misura il territorio –:
   quali siano le indicazioni ministeriali in merito alla ridefinizione dei presidi di polizia di Stato in provincia di Udine;
   se non ritenga opportuno scongiurare la ventilata soppressione del commissariato di Tolmezzo, alla luce della già grave situazione economica, sociale e demografica del territorio dell'Alto Friuli. (4-04603)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   MONGIELLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito del settore della scuola, il reclutamento dei docenti avviene tramite l'utilizzo di tre diversi tipi di graduatoria:
    graduatoria ad esaurimento;
    graduatorie di merito;
    graduatorie d'istituto;
   i docenti per l'immissione in ruolo o per la stipula di un contratto a tempo indeterminato, nonché il conferimento per le supplenze per l'anno scolastico di riferimento, sono attinti annualmente, in base ai posti che si rendono disponibili sulle cattedre delle scuole statali, per il cinquanta per cento dalle graduatorie di merito e per l'altro cinquanta per cento dalle graduatorie ad esaurimento;
   nelle graduatorie ad esaurimento sono iscritti i docenti provvisti di abilitazione all'insegnamento. Le graduatorie sono strutturate su base provinciale e vengono aggiornate ogni tre anni per quanto riguarda i titoli e le posizioni degli iscritti ma sono chiuse all'inserimento di nuovi nominativi. Dal 2008 infatti non è più possibile iscriversi in queste graduatorie che sono pertanto destinate ad esaurirsi. L'aggiornamento di queste graduatorie avviene tramite un sistema online facente capo al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca scientifica;
   con il decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 235/2014, sono state emanate le disposizioni per l'aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento per il personale docente ed educativo valide per il triennio 2014-2017. Le domande di permanenza, di aggiornamento, di conferma dell'inclusione nelle graduatorie possono essere inviate solo tramite web a decorrere dal 10 aprile 2014 e fino alle ore 14.00 del 10 maggio 2014. Il mancato inoltro della domanda comporta la cancellazione definitiva dalle graduatorie;
   purtroppo, già dal 14 aprile 2014 il sito web del Ministero messo a disposizione per la presentazione delle predette domande, sembra aver manifestato parecchie problematiche, ma durante i giorni decorrenti dal 21 aprile, le criticità evidenziate dal sito si sono acuite a tal punto da vanificare i tentativi di immissione dei dati di gran parte dei docenti interessati, ciò ha riguardato soprattutto i supplenti, che hanno lamentato problemi insormontabili e ad ogni modo l'impossibilità di poter chiudere correttamente la compilazione dei moduli internet riportati dal sito web;
   i docenti interessati alla presentazione delle domande per la permanenza o l'aggiornamento delle graduatorie provinciali ad esaurimento sono oltre 177 mila, tra questi, i supplenti, sono quelli che stanno incontrando le maggiori difficoltà alla presentazione delle domande in quanto il sito web del ministero, una volta compilati i moduli, non permette l'invio dell'istanza oppure riproduce dati inesatti, incongruenze nel calcolo dei servizi, inesattezze nell'acquisizione delle dichiarazioni relative ai titoli oppure errate attribuzioni dei punteggi ed infine, una volta terminata la compilazione, si riscontrano stampe di moduli con dati differenti da quelli digitati tramite il computer;
   anche i sindacati della scuola hanno denunciato tali problematiche evidenziando come la piattaforma telematica stia dando gravissimi problemi agli oltre 177 mila inseriti negli elenchi provinciali ad esaurimento, specialmente ai supplenti, che devono aggiornare i punteggi ed i titoli ma che in tali circostanze rischiano di perdere il lavoro per tre anni –:
   se corrisponda al vero che il sito web dedicato alla presentazione delle domande costituite a livello provinciale per effettuare l'aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento in favore del personale docente ed educativo, stia manifestando gravi problemi di funzionamento a tal punto da compromettere la presentazione stessa delle domande e se, ad ogni modo, non intenda adottare con urgenza un provvedimento di proroga della scadenza per la presentazione della predette domande ad oltre il 10 maggio 2014. (3-00783)

Interrogazione a risposta scritta:


   ALBANELLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso marzo, dopo l'incontro avvenuto con i rappresentanti sindacali e l'università di Catania sono state chiarite le rispettive posizioni sulla questione della stabilizzazione del precariato e confermata, da parte del rettore, la volontà dell'amministrazione universitaria di procedere in tempi brevi all'utilizzazione dei diciotto punti organico già deliberati al fine di proseguire il percorso di stabilizzazione, già avviato da due anni, del personale tecnico-amministrativo;
   tra i precari dell'ateneo di Catania, la CGIL, come si apprende da recenti articoli di stampa locale (La Sicilia Catania del 4 e 5 aprile 2014), denuncia la posizione contrattuale ancora non risolta di due dirigenti dell'ateneo, per i quali con atto negoziale del 28 febbraio 2014 è stata comunicata una proroga dei contratti con scadenza rispettivamente ad aprile 2014 e a gennaio 2015;
   la posizione lavorativa dei suddetti dirigenti è di particolare importanza per l'attività dell'ateneo, attività già ampiamente avviate e in progressivo svolgimento, rispetto alle quali anche un semplice rallentamento, dovuto al verificarsi di un vuoto direzionale, rischierebbe di danneggiare profondamente l'andamento dell'azione amministrativa dell'ateneo stesso;
   infatti, le funzioni attribuite ai suddetti dirigenti sono delicate e riguardano obiettivi relativi alle misure di prevenzione della corruzione concernenti la «gestione del rischio», la «rotazione degli incarichi», le «attività formative», il monitoraggio sul «codice di comportamento e sui tempi procedimentali»;
   un articolo pubblicato il 6 aprile 2014 dal quotidiano la Sicilia di Catania, riporta, in merito alla stabilizzazione di tali dirigenti, la notizia che: «sulla scorta di un parere reso noto dall'avvocatura distrettuale dello Stato, la proroga dei contratti dei due dirigenti a tempo determinato è stata ritenuta, dal consiglio di amministrazione, priva del presupposto di legittimità, per come essa è stata realizzata, nonché in potenziale violazione di norme prescritte di legge (...) che rendono impossibile ipotizzare qualsiasi percorso di stabilizzazione di figure dirigenziali (...)»;
   come contestato dalla CGIL, la decisione da parte dell'amministrazione dell'ateneo di Catania della risoluzione del rapporto di lavoro delle suddette figure dirigenziali è contestabile giuridicamente, essendo stati tali contratti già prorogati per due anni e quindi il massimo consentito prima di un ulteriore rinnovo o di una definitiva stabilizzazione –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti descritti in premessa e, in ogni caso, non ravvedano l'urgenza di intervenire per tutelare i lavoratori coinvolti. (4-04601)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   ventuno dipendenti della provincia di Taranto sono stati destinatari di un provvedimento di licenziamento da parte dell'amministrazione al 31 dicembre 2012, anticipando di ben sedici mesi la scadenza naturale del loro contratto di collaborazione a titolo di «contratto di supporto agli organi di Governo», stipulato tra le parti nel novembre 2009;
   il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, e successive modifiche e integrazioni fissa i termini per la liquidazione del trattamento di fine rapporto, e nel caso dei precari della provincia di Taranto questo è fissato in ventiquattro mesi;
   la norma prevede, infatti, che «la prestazione non può essere liquidata e messa in pagamento prima di 24 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro», quando questa sia avvenuta per dimissioni volontarie del lavoratore o per recesso da parte del datore di lavoro (licenziamento o destituzione dall'impiego);
   in questi casi, quindi, l'istituto non può procedere alla liquidazione e al pagamento della prestazione, ovvero della prima rata di questa, prima che siano decorsi 24 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro e ha poi tre mesi di tempo per mettere in pagamento la prestazione, decorsi i quali dovrà corrispondere gli interessi;
   i precari licenziati, quindi, si trovano non solo nella tragica situazione di aver perso il proprio posto di lavoro ma dovranno attendere oltre due anni per vedersi riconosciuto quello che è un loro pieno diritto, vale a dire la corresponsione del TFR, con ciò subendo un ulteriore danno economico –:
   quali iniziative di tipo normativo intenda assumere al fine di correggere la previsione legislativa di cui in premessa, che colpisce ingiustamente, per la seconda volta, un lavoratore licenziato. (4-04602)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SPESSOTTO e MICILLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia regionale per la protezione ambientale del Friuli Venezia Giulia (ARPA) ha recentemente riscontrato, nell'area bersagli del poligono militare di Cellina-Meduna di Cordenons (PN) la presenza, oltre la soglia naturale, di torio 232, un metallo radioattivo che deriva dal decadimento dell'uranio e che raggiunge il massimo della tossicità 20-25 anni dopo il suo utilizzo;
   la presenza di tale materiale oltre la soglia consentita dalla legge, è stata riscontrata in quattro degli otto punti dove sono dislocate le carcasse di carri armati utilizzate per l'addestramento a fuoco e sarebbe legata ad attività di addestramento delle forze armate italiane e di altri paesi NATO, svoltesi nel corso dei decenni passati;
   a seguito della nota diramata a fine dicembre dal dipartimento provinciale dell'Arpa del Friuli Venezia Giulia e inviata alle autorità competenti, inclusi i Comuni di Cordenons, San Quirino, Vivaro e San Giorgio della Richinvelda, sui cui territori insiste il poligono, è in corso la verifica dei limiti dell'area contaminata e del livello di contaminazione, di cui però non sono stati comunicati, ad oggi, né i parametri né i risultati delle analisi;
   attualmente non risultano pertanto noti né i dati né le informazioni relativi al superamento della soglia limite di presenza nell'area bersagli del torio 232 che, come noto, può essere causa di malattie tumorali, oltre a rappresentare un serio motivo di preoccupazione per l'ambiente naturale circostante –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dell'esito, anche parziale, delle analisi e delle indagini geoambientali condotte dall'Arpa e del grado di radioattività da torio 232 presente nel suolo dell'area bersagli del poligono militare Cellina-Meduna, nonché della sua origine;
   se il Ministro non ritenga altresì opportuno informare tempestivamente le autorità locali e l'opinione pubblica sulle possibili conseguenze legate alla presenza del torio 232 nel suddetto sito ed assumere ogni idonea iniziativa, con l'urgenza che il caso richiede, atta ad evitare la contaminazione dalla sostanza radioattiva torio 232 della falda acquifera nell'area del poligono e rimuovere ogni forma di inquinamento da torio 232 presente nel sito. (5-02680)


   GULLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la tutela della salute costituisce principio fondamentale costituzionalmente garantito;
   dalla circolare del Ministero della salute del 4 aprile 2014 e da diversi articoli di stampa risulta essere in atto, in Guinea ed in altri Paesi dell'Africa occidentale «un'epidemia di grandi dimensioni» di malattia da virus Ebola (EVD);
   a ciclo continuo la Sicilia è punto di arrivo dei migranti provenienti dalle aree più diverse dell'Africa;
   l'isola è, pertanto, l'area del territorio nazionale più esposta ad un eventuale rischio contagio;
   l'arrivo dei migranti richiede adeguate azioni e misure di profilassi sia a tutela della loro salute che per esigenze di sanità pubblica;
   esistono centri di permanenza dei migranti in zone contigue di aree molto popolate della regione Sicilia;
   si è generalmente creato dell'allarme in merito al rischio contagio, nonostante le rassicurazione del Ministero della salute;
   nel comunicato ufficiale del Ministero della salute dell'11 aprile 2014 si evidenzia il costantemente aggiornamento del Ministero sull'evoluzione della situazione;
   «l'Organizzazione Mondiale della Sanità non raccomanda, al momento, restrizioni di viaggi e movimenti internazionali di persone, mezzi di trasporto e merci»;
   il rischio di infezione per i turisti, i viaggiatori in genere ed i residenti nelle zone colpite, è considerato molto basso se si seguono alcune precauzioni elementari;
   da tali comunicazioni emerge come il rischio di importazione dell'infezione è dal Ministero della salute considerato remoto;
   il Ministero della salute ha informato di aver dato per tempo disposizioni per il rafforzamento delle misure di sorveglianza nei punti di ingresso internazionali;
   non sempre i migranti passano attraverso i punti di ingresso oggetto di controlli;
   comunque, non sempre vengono intercettati e/o rimangono sotto il diretto controllo delle autorità sanitarie –:
   quali misure urgenti si intendano intraprendere per:
    a) fornire alla popolazione costanti e corrette informazioni sull'eventuale rischio sanitario al fine di evitare allarme tra i cittadini, se necessario, anche attraverso una campagna di informazione in ambito nazionale;
    b) effettuare ulteriori controlli e porre in essere adeguati accorgimenti per monitorare, comunque, ogni possibile rischio di infezione;
    c) informare i cittadini in merito ai sintomi della malattia da virus Ebola (EVD), in modo che, nell'eventualità remota di un contagio sappiano riconoscerli e possano dare immediata comunicazione alle autorità proposte;
    d) effettuare verifiche di controllo e monitoraggio continuo delle aree a maggiore rischio;
    e) eliminare qualsiasi rischio per la salute di cittadini. (5-02684)

Interrogazione a risposta scritta:


   RIZZETTO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. Per sapere – premesso che:
   si apprende da articoli di stampa tra i quali quello pubblicato in data 19 aprile 2014 sul Messaggero Veneto, intitolato «La mafia dietro la tratta dei cani dall'Est», che migliaia di cuccioli di cane vengono importati illegalmente dall'Ungheria all'Italia;
   per varcare la frontiera con l'Italia in Friuli Venezia Giulia, dopo oltre 7 ore di viaggio, i cuccioli vengono trasportati in condizioni igienico-sanitarie estreme, privi di acqua, cibo e vaccinazioni. Di frequente, tali animali non superano il viaggio e vengono rinvenuti privi di vita;
   negli ultimi anni sono migliaia i cuccioli sequestrati in Friuli, anche attraverso l'attività del Corpo forestale regionale, investito del compito di vigilanza sul benessere animale. Il maresciallo Claudia Comelli è artefice delle maggiori operazioni di sequestro e dichiara che le indagini hanno individuato nella città di Pécs, situata nel sud-ovest dell'Ungheria, il maggiore mercato di vendita illegale di cani, che si tiene ogni prima domenica del mese. È da tale mercato che provengono i cani che vengono poi trasportati illegalmente in Italia oltrepassando il confine con il Friuli, proseguendo verso il Veneto fino alle regioni del sud e, a volte, anche all'estero, attraverso navi e aerei. Gli animali vengono venduti in mancanza di microchip, certificazioni veterinarie e passaporto;
   il maresciallo Comelli dichiara, inoltre, che il contrasto al commercio illegale dei cuccioli di cane sarebbe più efficace se fosse possibile adottare azioni che colpiscono il fenomeno dal territorio da cui ha inizio la tratta, ma ciò è reso difficile dalla mancanza di una regolamentazione in materia in Ungheria –:
   se e quali urgenti iniziative anche normative, intendano adottare i Ministri interrogati, per quanto di loro competenza, per contrastare efficacemente l'importazione illegale in Italia di cuccioli di cane. (4-04604)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta scritta:


   GRASSI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Tributi Italia s.p.a. era una società di accertamento, liquidazione e riscossione tributi e imposte degli enti locali, iscritta all'albo dei concessionari istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze con decreto legislativo n. 446 del 1997, che gestiva circa 500 comuni in tutta Italia, con circa 1200 tra dipendenti e collaboratori ed un fatturato di svariati milioni di euro;
   alla fine del 2009 la Tributi Italia s.p.a. era gravata da una situazione debitoria rilevante verso gli enti gestiti in concessione, tanto che il Ministero dell'economia e delle finanze, in data 14 dicembre 2009, interveniva, decidendo di cancellare dall'albo dei riscossori la società, a seguito di mancati riversamenti delle somme riscosse dagli stessi enti locali;
   in data 15 marzo 2010, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali concedeva ai circa 600 dipendenti ancora in attività della società l'intervento della cassa integrazione guadagni in deroga prevista dall'articolo 1, comma 3, della legge 13 dicembre 2010 n. 220 (Legge di stabilità 2011). Di tali dipendenti, circa 80 venivano richiamati da cassa integrazione per lo svolgimento delle attività aziendali residuali;
   in forza dell'articolo 3, comma 3, del decreto-legge 25 marzo 2010 n. 40, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2010 n. 73, Tributi Italia veniva ammessa di diritto, a seguito di domanda di adesione, alle procedure di cui al decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004 n. 39 (cosiddetta «Legge Marzano»);
   il Ministero dello sviluppo economico, nella persona del Ministro pro tempore ad interim onorevole Silvio Berlusconi, ammetteva, quindi, con decreto del 18 giugno 2010 Tributi Italia spa all'amministrazione straordinaria e nominava commissario straordinario per la gestione della procedura il dottor Luca Voglino;
   il commissario, nel corso dell'amministrazione straordinaria, richiedeva ed otteneva dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali la concessione di proroghe del trattamento di cassa integrazione in deroga a zero ore senza rotazione dal 18 giugno 2010 al 31 dicembre 2013 e, nel contempo, richiamava per la prosecuzione delle attività aziendali, in collaborazione con l'amministrazione commissariale, circa 50 dipendenti a tempo pieno;
   a quanto consta all'interrogante, in occasione di ciascun richiamo dalla cassa integrazione guadagni in deroga dei suddetti dipendenti, il commissario, per il tramite della direzione risorse umane, avrebbe garantito la retribuzione per tutto il periodo di servizio. Risulterebbe che i dipendenti richiamati da cassa integrazione guadagni in deroga non abbiano percepito le provvidenze prescritte dalla legge;
   in data 8 gennaio 2014 Tributi Italia spa in amministrazione straordinaria cedeva un ramo d'azienda alla Serti s.p.a., società di riscossione tributi locali, conferendo alla stessa le concessioni attive rimaste. La stessa società Serti si impegnava ad assumere tutti i dipendenti ex Tributi Italia, per la quasi totalità in aspettativa non retribuita;
   Tributi Italia spa in AS, la Serti s.p.a. e le organizzazioni sindacali in data 30 dicembre 2013, stipulavano un accordo con il quale «Tributi Italia spa si impegna(va) a riconoscere spontaneamente, entro 15 gg. dalla cessione, i crediti maturati e vantati dai lavoratori durante la fase di Amministrazione Straordinaria». Ad oggi, decorsi abbondantemente i 15 giorni prescritti – essendo la cessione di ramo d'azienda stata sottoscritta l'8 gennaio 2014 – i dipendenti non hanno ricevuto il riconoscimento delle somme spettanti relative alle mensilità maturate nel corso del periodo lavorativo svolto su richiamo del commissario straordinario;
   a quanto consta all'interrogante i suddetti crediti maturati durante il periodo di gestione commissariale (dal 18 giugno 2010 al 12 febbraio 2014) ammontano a diverse mensilità, cui si aggiungono TFR e altre spettanze. I dipendenti hanno sostenuto per di più spese per raggiungere il posto di lavoro e hanno dovuto far ricorso a debiti e mutui per far fronte alle proprie necessità. Nella condizione, per la maggior parte, di «aspettativa non retribuita» non sono in possesso di risorsa alcuna attuale e pregressa –:
   quali iniziative intenda assumere a tutela dei dipendenti che hanno collaborato con il commissario straordinario, per il recupero dei crediti lavorativi dagli stessi maturati e garantiti anche dalla sostanziale corresponsabilità del Governo;
   quali determinazioni intenda, inoltre, assumere, nella sua qualità di controllore, in sede di riconoscimento delle posizioni debitorie dei dipendenti di cui sopra e di avallo delle decisioni commissariali.
(4-04613)

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Marcon n. 4-04353, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 03 aprile 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Costantino.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Vallascas n. 1-00343, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 174 del 14 febbraio 2014.

   La Camera,
   premesso che:
    con un assegno da 50 mila euro più Iva versato dal Governo è stata pagata la consulenza di due società di head hunting (cacciatori di teste), la Spencer & Stuart e la Korn Ferry, incaricate di selezionare i curricula per individuare i nuovi top manager pubblici fuori da logiche di lottizzazione politica, perché bisognava «cambiare verso»;
    ma viste le recenti nomine di ENI, POSTE ENEL, POSTE E FINMECCANICA non è cambiato nulla; anzi sono stati nominati amici intimi e finanziatori del Presidente del Consiglio Renzi, oltreché manager con un passato politico (l'ex europarlamentare Luisa Todini e l'ex deputato Udc Roberto Rao in Poste, l'ex viceministro Marta Dassù nel consiglio di amministrazione di Finmeccanica);
    da numerosi organi di stampa si apprende che il più vicino di tutti al Presidente del Consiglio è Alberto Bianchi, nominato nel consiglio di amministrazione dell'Enel. Bianchi è il suo avvocato di fiducia, nonché il presidente della Fondazione Open (dove siedono anche Carrai, la Ministra Maria Elena Boschi e il sottosegretario Luca Lotti) che per Renzi raccoglie i fondi da donatori privati. Tra quelli che hanno versato soldi a sostegno di Renzi, per le sue campagne alle primarie del Pd, c’è anche Fabrizio Landi, ex amministratore delegato di Esaote, azienda leader del biomedicale con sede a Firenze. Landi nel 2012 ha donato 10 mila euro a Renzi, ora si trova nominato nel consiglio di amministrazione di Finmeccanica. Marco Seracini, uno dei soci fondatori e presidente di un'altra associazione di fund raising (raccolta fondi) per Renzi, Noi Link, ha cessato le sue attività nel 2011, con un ottimo lavoro alle spalle: 750 mila euro raccolti per Renzi appena nominato nel collegio sindacale dell'ENI;
    inoltre si pone l'attenzione sulla nomina di Emma Mercegaglia, Presidente ENI che a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo ha evidente conflitto d'interesse visto che l'azienda di famiglia, il gruppo Marcegaglia, è un colosso mondiale dell'acciaio, con 5 milioni di tonnellate di produzione annua, 7 mila dipendenti in 43 stabilimenti su tutto il pianeta, per 4 miliardi di ricavi. Si occupa anche di costruzioni, turismo, real estate (ha appena rilevato la Gabetti) e, per l'appunto, energia. Della quale, naturalmente, è anche un consumatore inesauribile. E a conferma dei rapporti fitti, inevitabili, tra gruppo e produttori di energia c’è, nel 2008, un patteggiamento di 11 mesi concesso al fratello di Emma, l'amministratore delegato del gruppo Antonio Marcegaglia, per un'accusa di tangenti proprio a una società del Cane a sei zampe, l'Enipower;
    è evidente che la logica sulle nomine delle società pubbliche continua ad essere la stessa di sempre, lottizzazione della politica e dei gruppi di potere sostenitori del Governo;
   a conferma di ciò il gruppo M5S discusse un'interpellanza urgente n. 2-00458 del 18 marzo 2014 nella quale si chiedevano al Governo chiarimenti sullo stato di avanzamento della selezione dei manager pubblici e di anticipare al Parlamento le decisioni assunte dal Governo e l'applicazione rigorosa della direttiva Saccomanni;
    il sottosegretario alle infrastrutture e ai trasporti che rispose in nome e per conto del Ministero dell'economia e finanze e del Governo non solo secondo i firmatari del presente atto di indirizzo evase alcune delle domande ma si limitò a leggere una risposta preparata dagli uffici competenti ovviamente poco soddisfacente;
    si ricorda che i consigli di amministrazione di 14 società controllate dal Ministero dell'economia e finanze, più altri 35 consigli di società controllate indirettamente e anche i collegi sindacali di 10 controllate dirette e di 50 controllate indirette sono di imminente rinnovo. In tutto sono 49 consigli di amministrazione e sessanta collegi sindacali. A una media di 5-6 incarichi per ogni organo collegiale si arriva ai 600 incarichi totali da attribuire;
    fra le società i cui organi amministrativi e di controllo sono in scadenza, alcune (Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa; Arcus; Istituto Luce-Cinecittà; Italia Lavoro; Sogin; Sose e Studiare Sviluppo) appaiono ai firmatari del presente atto di indirizzo perfettamente inutili e improduttive; le loro funzioni, in un processo di logica razionalizzazione delle competenze, ottimizzazione dei processi decisionali e contenimento delle spese, potrebbero essere attribuite a esistenti strutture ministeriali;
    il Ministro dell'economia e delle finanze ha emanato una direttiva, in base alla mozione n. 1-00060 approvata al Senato il 19 giugno 2013;
    la direttiva dispone che per la valutazione delle candidature, si deve tener conto per i candidati, tra gli altri, dei seguenti elementi:
     a) non devono essere membri del Parlamento, del Parlamento europeo, del Consiglio di una regione o di enti locali con popolazione superiore a 15.000 abitanti;
     b) devono possedere comprovata professionalità ed esperienza in ambito giuridico, finanziario o industriale;
     c) non devono avere conflitti di interesse rispetto all'incarico da assegnare;
    inoltre si stabilisce come causa di ineleggibilità o decadenza dall'incarico l'aver subito una condanna, anche non definitiva, per delitti contro la pubblica amministrazione o per altri reati in materia bancaria, finanziaria, assicurativa. Le società partecipate dovranno modificare gli statuti tenendo conto delle disposizioni contenute nella direttiva. Le remunerazioni dei nominati devono essere stabilite sulla base delle performance aziendali ed ispirate a criteri di moderazione dei compensi;
    ma tale direttiva non contempla un limite ai mandati e all'età degli amministratori e non impedisce alla folta schiera dei politici non rieletti di aspirare a un posto di primo piano. Inoltre la parte della direttiva dove si parla della ineleggibilità legata a fatti giudiziari appare molto elastica e non disciplina chiaramente eventuali conflitti d'interesse;
    si prevede che il Ministro, prima di procedere alle nomine, acquisisca un parere positivo da parte di un Comitato di garanzia composto da Cesare Mirabelli, presidente emerito della Consulta, Vincenzo Desario, ex direttore generale della Banca d'Italia, e Maria Teresa Salvemini, consigliere Cnel. Tale Comitato costa cinquantamila euro l'anno;
    ma le recenti nomine sono secondo i firmatari del presente atto di indirizzo la dimostrazione palese che il Comitato di garanzia, la direttiva Saccomanni e le due società di head hunting (cacciatori di teste) non sono state efficaci e non hanno garantito i criteri di trasparenza, pubblicità, professionalità, onorabilità ed indipendenza che nomine di società partecipate dello Stato devono avere;
    questo è possibile solo attraverso un pieno coinvolgimento del Parlamento e la fissazione di tutti i criteri di nomina attraverso una norma di rango primario scevra da ogni interpretazione e deroghe capziose;
    come già espresso nella mozione 1-00301 tali grandi aziende costituiscono il tessuto connettivo dell'economia del Paese e sono tutte strategiche per la loro funzione attuale e per quella che potranno svolgere in futuro nella ristrutturazione ecologica, civile e tecnologica del sistema economico italiano. Esse sono state costruite con il lavoro e le tasse di 4 o 5 generazioni di italiani lungo il corso di oltre un secolo: i proprietari delle quote residue in mano allo Stato sono, dunque, i cittadini italiani che non possono essere espropriati della possibilità di decidere sul loro assetto attuale e futuro;
    le società pubbliche sono strategicamente rilevanti per il posizionamento dell'industria nazionale, in un quadro di definizione degli equilibri di mercato interno e internazionale; il bilancio dello Stato è positivamente ristorato dagli utili derivanti dalle profittevoli attività dei gruppi di imprese facenti capo alle sopracitate attività;
    bisogna porre fine ad una selezione dei componenti dei consigli d'amministrazione e dei collegi basata su umilianti logiche spartitorie e di appartenenza,

impegna il Governo:

   a fornire immediati chiarimenti sullo stato di avanzamento della selezione dei manager pubblici e ad anticipare al Parlamento le decisioni assunte dal Governo in materia di nomine pubbliche;
   a sospendere le nomine in quelle società definite in premessa inutili e improduttive e le cui funzioni, in un processo di logica razionalizzazione delle competenze, ottimizzazione dei processi decisionali e contenimento delle spese, potrebbero essere attribuite a esistenti strutture ministeriali;
   ad assumere urgentemente un'iniziativa normativa di rango primario volta a prevedere che le proposte governative di nomina dei membri dei consigli di amministrazione e dei collegi sindacali delle società a partecipazione pubblica totale o di controllo siano effettuate secondo i seguenti criteri e modalità, in aggiunta a quelli previsti dalla direttiva del Ministero dell'economia e delle finanze del 24 giugno 2013:
    a) che siano sottoposte al previo parere delle competenti Commissioni parlamentari al fine di verificare la professionalità, onorabilità, indipendenza e gli eventuali conflitti di interesse;
    b) che sia comunque prevista l'incompatibilità per coloro che:
     1. Abbiano un procedimento giudiziario in corso;
     2. Abbiano già ricoperto l'incarico per due mandati consecutivi;
     3. Abbiano superato i limiti di età di 66 anni;
     4. Pur essendo stati candidati, non siano stati eletti nel Parlamento, nel Parlamento europeo, nel Consiglio di una regione o di enti locali con popolazione superiore a 15 mila abitanti o abbiano ricoperto incarichi governativi negli ultimi cinque anni.
(1-00343)
«Vallascas, Prodani, Da Villa, Crippa, Petraroli, Fantinati, Rizzetto, Rostellato, Mucci, Della Valle».

  Si pubblica il testo riformulato della interpellanza Faenzi n. 2-00512, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 215 del 18 aprile 2014.

   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   la società per azioni Promomar, operante nel settore dell'edilizia e delle opere infrastrutturali marittime con sede a Scarlino, comune della provincia di Grosseto, gestisce da numerosi anni, in qualità di concessionario, le attività marittime ed i servizi portuali dello scalo marittimo della cittadina toscana;
   6 novembre 2008, la medesima società ha presentato all'ente locale, una formale richiesta, finalizzata al prolungamento della concessione demaniale marittima, per ulteriori cinquanta anni a seguito di maggiori costi quali: il miglioramento qualitativo delle opere realizzate, l'incremento della dimensione media delle imbarcazioni di ormeggio, la presenza di importanti reperti archeologici, l'intensificazione delle attività di dragaggio del bacino portuale, il ritrovamento di materiali contaminati, il rafforzamento dei sistemi di ormeggio, la predisposizione di posti barca per disabili e dall'aumento degli oneri di urbanizzazione da euro 10.705.633,00 a euro 36.615.000,00;
   la domanda di adeguamento della durata dell'atto di concessione n. 466 per costruire e gestire il porto turistico in località Puntone nel comune di Scarlino è stata stipulata presso la Capitaneria di Porto di Livorno in data 13 giugno 2001, ed in seguito concessa a seguito dell'approvazione con decreto del Ministero interrogato in data 21 settembre 2001;
   al fine dell'acquisizione dei pareri degli enti competenti relativamente alla domanda di adeguamento della durata dell'atto di concessione del 13 giugno 2001, presentata da parte del concessionario Promomar spa, l'ente procedente ha provveduto a convocare in data 10 dicembre 2008, la Conferenza dei servizi, il cui invito è stato esteso anche ai Ministeri interrogati, attraverso la Capitaneria di porto di Livorno, sezione demanio; l'Agenzia del demanio filiale di Firenze, l'Ufficio opere marittime Umbria, l'Agenzia delle dogane filiale di Livorno ed i rappresentanti della medesima società concessionaria;
   a seguito dell'esame della documentazione presentata, la Conferenza dei servizi, nonostante una serie di perplessità, ha tuttavia espresso parere favorevole sulle motivazioni addotte dal concessionario Promomar, ai sensi dell'articolo 24 del regolamento del Codice della navigazione, deliberando il prolungamento del rapporto concessorio di ulteriori quarantanni come in precedenza riportato, per l'occupazione e l'uso dell'area demaniale marittima già individuata nell'originale atto n. 466 del 2001, sebbene a determinate prescrizioni;
   in sede di Conferenza dei servizi, non priva di pareri negativi, sebbene siano stati espressi pareri favorevoli alla richiesta della suddetta società, dell'ulteriore prolungamento della concessione, sono emerse una serie di valutazioni negative e carenti dal punto di vista dell'osservanza del piano tariffario e del rispetto dei regolamenti demaniali marittimi;
   a tal fine l'interpellante evidenzia come risulti incomprensibile la decisione favorevole adottata dalla Conferenza dei servizi, atteso che l'articolo 7 dell'atto di concessione n. 446 dispone che il bene demaniale viene concesso nello stato in cui si trova, sia in superficie che in sottosuolo e soprassuolo, restando a cura e spese del concessionario l'esecuzione dei lavori che occorressero per una serie di determinate opere riportate nel medesimo articolo;
   la decisione amministrativa, ad esito della conferenza dei servizi citata, di prolungare ulteriormente di quarantanni la concessione cinquantennale, deliberata attraverso l'atto dirigenziale comunale n. 2797 del 30 giugno 2009, ha suscitato comprensibili dubbi e perplessità a livello locale, tali da rendere necessaria, da parte di alcuni consiglieri comunali, una interpellanza comunale sull'atto suppletivo relativo alla concessione demaniale marittima in precedenza esposta;
   i medesimi rappresentanti comunali, in data 31 maggio 2011, hanno chiesto al sindaco di Scarlino, attraverso una serie di articolate osservazioni, di conoscere le motivazioni giuridiche ed economiche, in base alle quali, è stato stabilito il rinnovo di ulteriori quarantanni della concessione marittima demaniale, alla Promomar che, secondo il precedente contratto, avrebbe dovuto terminare invece nel 2051;
   a giudizio dell'interpellante, l'iniziativa inoltrata dai consiglieri comunali risulta condivisibile, in quanto tale deliberazione non salvaguarda l'interesse economico e sociale della comunità in senso generale, ed esclude ogni possibilità di esperire una procedura di selezione pubblica alla scadenza originaria della concessione;
   in considerazione delle osservazioni esposte, il comune di Scarlino, titolare da diversi anni delle funzioni amministrative sull'area demaniale marittima del porto, ai sensi del quadro di riparto delle competenze, afferenti il demanio marittimo e il mare territoriale, a giudizio dell'interpellante, non si è mai interessato di supplire alle carenze esistenti ab origine, regolamentando le tariffe verso terzi, o integrando o ratificando il regolamento esistente; il prolungamento della concessione demaniale marittima, ha inoltre determinato l'allungamento dei tempi utili per il recupero degli investimenti iniziali;
   la suesposta vicenda nel complesso, ove fossero confermati i rilievi in precedenza riportati, desta sconcerto e stupore, e l'ulteriore prolungamento di quarantanni della concessione alla società Promomar senza alcuna evidenza pubblica, lascia supporre all'interpellante il mancato rispetto di quanto disposto dall'articolo 47 lettera e) del regolamento del Codice della Navigazione, in ordine alla decadenza della medesima: i presupposti per l'applicazione di tale disposizione erano infatti ad avviso dell'interpellante già più che evidenti –:
   se non sia necessaria una urgente rivisitazione del riparto di competenze sul demanio marittimo e quali iniziative intendano intraprendere, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di modificare l'attuale sistema normativo sul conferimento di funzioni e compiti amministrativi alle regioni ed agli enti locali afferenti il demanio marittimo ed il mare territoriale, anche alla luce di quanto esposto in premessa, che accresce dubbi interpretativi e criticità nell'ambito del riparto della potestà legislative tra Stato e regioni;
   se non ritengano urgente ed opportuno richiedere alla capitaneria di porto di Livorno, all'Agenzia del demanio di Firenze ed alle dogane di Livorno, sottoposte per legge alla vigilanza dei Ministeri interpellati, le motivazioni per le quali, sono state espresse valutazioni favorevoli in ordine all'affidamento delle attività di cantiere navale all'interno della concessione, con riferimento all'osservanza degli articoli 30 e 45-bis del Codice della navigazione che, risulterebbero esseri stati disapplicati;
   se non ritengano altresì necessario, in considerazione della molteplicità dei rilievi critici esposti nella premessa, accertare le motivazioni per le quali gli organi dello Stato abbiano espresso valutazioni favorevoli nell'ambito della conferenza dei servizi, per l'affidamento alla società Promomar dei servizi da essa proposti in considerazione del fatto che il successivo rilascio di una proroga concessoria per ulteriori quarantanni a costo zero, che potrebbe aver configurato un danno per le casse dello Stato.
(2-00512) «Faenzi».