Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 17 aprile 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    la Corte dei conti è un organo di rilievo costituzionale al quale sono affidati compiti di vigilanza sulla corretta gestione delle risorse pubbliche, sul rispetto degli equilibri finanziari complessivi nonché sulla regolarità, efficacia ed efficienza dell'azione amministrativa;
    la Corte dei conti, ai sensi dell'articolo 103, comma 2, della Costituzione, esercita la funzione giurisdizionale «nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge»;
    al di fuori delle materie di contabilità pubblica, occorre, quindi, che la giurisdizione della Corte dei conti trovi il suo fondamento in una specifica disposizione di legge;
    per quanto riguarda la responsabilità amministrativo-contabile, il contenuto ed i limiti della giurisdizione della Corte dei conti trovano la loro base normativa innanzitutto nel regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, articolo 13, ai sensi del quale la Corte giudica sulla responsabilità per danni arrecati all'erario da pubblici funzionari nell'esercizio delle loro funzioni;
    la responsabilità amministrativo-contabile può essere definita come una fattispecie di responsabilità del pubblico dipendente, o di un soggetto altrimenti legato alla pubblica amministrazione, il quale, attraverso una sua condotta (dolosa o gravemente colposa), cagioni alla propria amministrazione o ad altro soggetto comunque pubblico un danno patrimoniale (cosiddetto danno erariale);
    i limiti alla giurisdizione della magistratura contabile sono stati in seguito ampliati dalla legge 14 gennaio 1994, n. 20, articoli 1, comma 4, che ha esteso il potere di giudicare della Corte dei conti alla responsabilità dell'amministratori e dipendenti pubblici anche per danni cagionati ad amministrazioni o enti pubblici diversi da quelli di appartenenza (pertanto si tratta di ipotesi non solo di responsabilità contrattuale dell'agente, ma anche extracontrattuale);
    in più occasioni la giurisprudenza della Corte costituzionale ha affermato che rientra «nella discrezionalità del potere legislativo valutare se e quali siano le soluzioni più idonee alla salvaguardia dei pubblici interessi» (Corte Costituzionale 241/1984, 189/1984, 641/1987, 773/1988); di conseguenza l'ambito della giurisdizione contabile è stata poi progressivamente ampliato, in sede legislativa, dai dipendenti statali a quelli degli enti pubblici, a quelli regionali e, ad esempio, a quelli di altri enti pubblici;
    partendo da questo dato normativo, in passato i limiti esterni della giurisdizione della Corte dei conti erano ben più agevoli da tracciare in considerazione della più netta distinzione tra l'area del pubblico e quella del privato;
    la più recente evoluzione dell'ordinamento ha reso questi confini assai meno chiari a partire dalle cosiddette privatizzazioni: da un lato le finalità della pubblica amministrazione vengono sempre più spesso perseguite attraverso strumenti tipicamente privatistici, dall'altro la realizzazione di finalità una volta ritenute di carattere pubblico, vengono affidate, con sempre più frequenza, a soggetti privati;
    in questo contesto, ed in assenza di una espressa previsione di legge (in quanto l'unica normativa in materia è infatti rappresentata dal decreto-legge 25 febbraio 1995, n. 47 che non è stato poi convertito in legge) la giurisprudenza della Corte dei conti e della Corte di cassazione, hanno dovuto affrontare le questioni attinenti al riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e contabile nelle ipotesi di danno cagionato da amministratori e dipendenti di enti pubblici economici e da società a partecipazione pubblica;
    si tratta di aspetti di importanza fondamentale in considerazione dell'enorme differenza tra i due tipi di giurisdizione, poiché l'azione dei procuratore contabile è governata da presupposti e caratteristiche completamente diverse rispetto alle azioni di responsabilità sociale e dei creditori sociali di cui al codice civile: basti ricordare, oltre al differente grado di colpa richiesto in materia di danno erariale (colpa grave), che la prima è obbligatoria mentre le seconde sono puramente discrezionali e rimesse alla scelta del soggetto danneggiato;
    ciò assume un rilievo particolare laddove si consideri che gli amministratori di enti pubblici economici e di società a partecipazione pubblica, per quanto è dato sapere, non sono stati in pratica mai convenuti in giudizio innanzi all'ago da parte dei vertici degli enti danneggiati; di conseguenza i danni ed i costi di mala gestio degli enti e società pubbliche vengono sistematicamente accollati in capo alla collettività;
    per quanto riguarda gli enti pubblici economici – a fronte di un iniziale orientamento contrario all'affermazione della giurisdizione della Corte dei conti in materia di danni prodotti dagli amministratori agli enti stessi – a partire dalla sentenza n. 19667/2003 delle Sezioni unite della Cassazione che la giurisdizione contabile su amministratori e dipendenti di enti pubblici economici – per i fatti successivi all'entrata in vigore della legge n. 20/1994 – spetta alla Corte dei conti «poiché, nell'attuale assetto normativo, il dato essenziale che radica la giurisdizione contabile è rappresentato dall'evento dannoso verificatosi a carico di una pubblica amministrazione e non più dal quadro di riferimento – pubblico o privato – nel quale si colloca la condotta produttiva del danno»;
    il ragionamento posto alla base della predetta sentenza si fonda sui seguenti argomenti: si evidenzia come la pronuncia della Corte costituzionale 466/1993, abbia sostenuto il permanere del controllo contabile di cui alla legge 21 marzo 1958, n. 259 sulle società per azioni derivanti dalla trasformazione di enti pubblici economici; si valorizza la nozione di organismo pubblico come teorizzata all'interno del diritto dell'Unione europea e come recepita a livello nazionale (codice dei contratti pubblici) che prescinde dalla qualifica formale, pubblicistica o privatistica dell'organismo, e dà rilievo a parametri oggettivi quali lo scopo perseguito (ossia l'interesse generale) e la derivazione pubblica delle risorse destinate a tali fini; si sottolinea come l'articolo 7 della legge n. 97 del 2001 abbia stabilito che la sentenza irrevocabile di condanna, per delitti contro la pubblica amministrazione, pronunciata nei confronti dei dipendenti di amministrazioni o enti pubblici o di enti a prevalente partecipazione pubblica, è comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti affinché promuova entro 30 giorni l'eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale;
    tali argomentazioni sono state in seguito sviluppate, ad opera sia della magistratura contabile che della Cassazione, nel senso dell'affermazione della giurisdizione della Corte dei conti anche per i danni subiti dalle società a partecipazione pubblica (sia pur minoritaria ed indiretta), privilegiando un approccio più «sostanzialistico», facendo leva sulla natura pubblica delle funzioni espletate e delle risorse finanziarie utilizzate per perseguire interessi generali e prescindendo dagli aspetti formali con i quali si esplica l'attività della pubblica amministrazione (ad esempio attraverso strumenti di diritto privato);
    alle stesse conclusioni, in ordine ad una concezione oggettiva e sostanzialistica di pubblica amministrazione, sono giunti anche altri giudici come la cassazione in sede penale (sentenza n. 10027/2000) o come il Consiglio di Stato il quale ha escluso che la semplice veste formale di società per azioni sia idonea a trasformare la natura pubblicistica di soggetti che, in mano al controllo (maggioritario o meno) dell'azionista pubblico, continuano ad essere affidatari di rilevanti interessi di tipo pubblicistico;
    gli approdi giurisprudenziali appena esposti sono stati, però, innanzitutto ridimensionati dalla modifica legislativa di cui all'articolo 16-bis della legge 28 febbraio 2008 n. 31 il quale stabilisce infatti che «per le società con azioni quotate in mercati regolamentati, con partecipazione anche indiretta dello Stato o di altre amministrazioni o di enti pubblici, inferiore al 50 per cento, nonché per le loro controllate, la responsabilità degli amministratori e dei dipendenti è regolata dalle norme del diritto civile e le relative controversie sono devolute esclusivamente alla giurisdizione del giudice ordinario»;
    infine l'ampliamento della giurisdizione della Corte dei conti, come delineata dagli indirizzi appena enunciati, ha trovato una definitiva battuta d'arresto in alcune pronunce della Corte di cassazione a sezioni unite che, a partire dalla sentenza 26806 del 2009, rispetto alle valutazioni di tipo sostanzialistico menzionate in precedenza, hanno maggiormente valorizzato il dato formale delle società partecipate da un ente pubblico le quali sono, in ogni caso, disciplinate solo e soltanto dal diritto privato;
    da un lato, la giurisprudenza regolatrice della giurisdizione, ha affermato che, pur in presenza di disposizioni che il codice civile dedica alla società per azioni a partecipazione pubblica (articolo 2449 del codice civile in punto di nomina degli amministratori da parte dello Stato e degli enti pubblici), ciò non varrebbe a configurare uno statuto speciale per dette società; di conseguenza «la scelta della pubblica amministrazione di acquisire partecipazioni in società private implica il suo assoggettamento alle regole proprie della forma giuridica prescelta» così che non si può «prescindere dalla distinzione tra la posizione della società partecipata ... e quella personale degli amministratori (nonché dei sindaci o degli organi di controllo della stessa società)»;
    dall'altro lato, però, è la stessa suprema Corte di cassazione a paventare la sussistenza della giurisdizione della Corte dei conti, in ordine a condotte degli organi delle società a partecipazione pubblica, dalle quali sia scaturito un danno per il socio pubblico, proprio partendo dal dato normativo di cui all'articolo 16-bis, della citata legge n. 31 del 2008, il quale «lascia chiaramente intendere che, in ordine alla responsabilità di amministratori e dipendenti di società a partecipazione pubblica, vi sia una naturale area di competenza giurisdizionale diversa da quella ordinaria anche se resta da verificare entro quali limiti»;
    in assenza di una espressa disposizione legislativa che estenda, eventualmente, la giurisdizione della Corte dei conti anche nelle ipotesi di danno subito dalle società con partecipazione pubblica, e fermo restando che bisogna necessariamente prendere atto dell'indirizzo giurisprudenziale ora prevalente, si evidenzia che il socio pubblico dovrebbe, ed anzi deve, tutelare la società e la partecipazione pubblica mediante l'esperimento di azioni risarcitorie in sede ordinaria;
    per quanto è dato sapere, non risulta che il Ministero dell'economia e delle finanze o le altre amministrazioni proprietarie di azioni abbiano agito in sede civile, nella qualità di soci, nei confronti dei componenti dei consigli di amministratori delle società partecipate;
    per comprendere quale sia l'impatto delle declaratorie di carenza di giurisdizione della magistratura contabile – soprattutto per le casse dello Stato ed anche degli enti locali – si riportano, in questa sede, solo alcune delle pronunce dove la procura contabile o addirittura la Corte dei conti stessa, anche in grado di appello, avevano chiesto l'accertamento o avevano accertato danni per l'erario, e dunque per la collettività, per milioni di euro;
    per quanto riguarda, ad esempio, ENEL Spa – oggi partecipata al 31,24 per cento dal MEF – con la sentenza della Corte di cassazione a sezioni unite n. 26806 del 19 dicembre 2009, citata in precedenza, veniva dichiarato il difetto di giurisdizione della Corte dei conti che, in primo ed in secondo grado, aveva accolto, seppur parzialmente, la domanda della procura contabile di condanna dell'amministratore delegato di Enel Power spa, dell'amministratore delegato di Enel distribuzione spa, del vicepresidente di Enel Power spa di un dipendente di Enel spa, alla somma complessiva di euro 62.442.681,01 (in relazione a molteplici condotte illecite consistenti nell'avere concordato ed accettato indebite dazioni di denaro al fine di favorire le imprese costruttrici nell'aggiudicazione e successiva gestione di appalti di società pubbliche);
    in merito ad Eni spa con l'ordinanza della Corte di cassazione, sezioni unite, n. 519 del 15 gennaio 2010, la Suprema Corte era chiamata a regolare la giurisdizione in un giudizio avente ad oggetto l'accertamento della responsabilità per danno erariale di un dirigente di Eni Power (controllata dalla Eni spa a sua volta partecipata dallo Stato) per aver ricevuto tangenti al fine di favorire una società nella gara di aggiudicazione di forniture in violazione delle regole di evidenza pubblica poste dall'ordinamento nazionale e comunitario a tutela della concorrenza e del mercato con danno subito dalla Enipower e, indirettamente, dai controllanti Eni spa e Ministero dell'economia e delle finanze, pari alla tangente di euro 150.000,00 concordata per ottenere gli appalti e all'utile di impresa pari al 10 per cento) del valore contrattuale, ossia euro 1.952.162,50;
    anche Poste italiane spa partecipata al 100 per cento dallo Stato, è stata oggetto di una pronuncia della Corte dei conti III sezione giurisdizionale centrale d'appello, che con sentenza n. 529/2012, ha dichiarato la carenza di giurisdizione della Corte dei conti in merito alla seguente questione: il procuratore regionale ha chiamato in giudizio Massimo Catasta, Fabio Todeschini e Maurizia Squinzi, in qualità di responsabili del settore finanza di Poste italiane (P.I.) nei rispettivi periodi di carica i primi due (fino al 28 settembre 2001 Todeschini, e dopo Catasta), e di responsabile della Direzione centrale «chief financial officier», gerarchicamente sovraordinata al settore finanza, la dottoressa Squinzi, per richiedere la condanna al pagamento, in favore dell'Erario, della somma complessiva di euro 76.890.700,69 in relazione al danno conseguito ad anomale iniziative assunte nella gestione del portafoglio titoli dal responsabile del settore finanza, all'epoca dei fatti, 2001-2004, con utilizzo improprio dei derivati finanziari ad alto rischio per finalità estranee a quelle istituzionali;
    infine, per quanto concerne Ferrovie dello stato spa, partecipata al 100 per cento dallo Stato, si possono portare l'esempio di due pronunce delle magistratura contabile e di legittimità;
    il primo provvedimento è della Corte dei conti, III sezione giurisdizionale centrale d'appello, n. 548 del 7 agosto 2013, la sezione territoriale della Corte aveva condannato, a titolo di responsabilità amministrativo-contabile, il professor avvocato Franco Gaetano Scoca, il professor Mario Sebastiani, l'avvocato Roberto Ulissi, nella loro qualità di componenti del consiglio di amministrazione di Ferrovie dello Stato spa per aver attribuito illegittimamente, all'allora amministratore delegato Giancarlo Cimoli la somma di euro 4.564.139,00 a titolo di «trattamento economico liquidatorio» (elargizione ritenuta del tutto «inutile e immotivata, non ricorrendone i presupposti giuridico-economici»);
    l'altro provvedimento che riguarda Ferrovie dello Stato spa è un'ordinanza della Corte di cassazione a sezioni unite n. 71 del 7 gennaio 2014, con la quale è stato dichiarato il difetto di giurisdizione della magistratura contabile in ordine ad una ipotesi di danno erariale che la procura della Corte dei conti aveva chiesto di accertare per un importo pari ad euro 3.480.000,00, somma corrispondente all'ammontare della cosiddetta bonus-entry, che doveva ritenersi erogata senza titolo, calcolata in base ad una documentazione fornita dall'ingegner C. e approvata da lui insieme al presidente della commissione compensi, professor P., e al direttore generale del personale, dottor F. i quali con atti di disposizione hanno sottratto del denaro al bilancio statale in favore della società;
    le pronunce della giurisprudenza appena menzionate, a fronte della trascuratezza delle azioni in sede civile da parte di chi avrebbe dovuto far valere i diritti della pubblica amministrazione, hanno portato ad una costante impunità di tali tipologie di danno, con conseguente pesante depotenziamento della sfera d'azione della Corte dei conti in un settore, invero, di fondamentale importanza, come quello della mala gestio di amministratori e dipendenti di società partecipate con capitale pubblico;
    nonostante la materia necessiti di un urgente intervento da parte del Parlamento, allo stato attuale non è accettabile che tali fattispecie di danno alle società partecipate e, di riflesso, all'erario restino impunite,

impegna il Governo:

   ad instaurare azioni finalizzate ad ottenere l'accertamento della responsabilità degli amministratori delle società sulle quali lo Stato esercita il controllo in ragione della partecipazione al capitale sociale, ed il conseguente diritto al risarcimento, per i danni arrecati alle società stesse, nelle ipotesi in cui sia stato dichiarato il difetto di giurisdizione della Corte dei conti in favore del giudice ordinario;
   a porre in essere, attraverso i Ministeri competenti, tutte le forme di controllo e vigilanza, nei confronti delle predette società previste dall'ordinamento.
(1-00435) «Di Battista, Sarti, Manlio Di Stefano, Sibilia, Del Grosso, Businarolo, Agostinelli, Ferraresi, Fraccaro, Rizzo, Grillo, Colletti, Spadoni».

Risoluzioni in Commissione:


   La III Commissione,
   premesso che:
    Camp Ashraf, situato in Iraq, nella provincia nord orientale di Diyala, a circa sessanta chilometri a nord della capitale Baghdad e ad ottanta dal confine iraniano, è stata la base dell'Organizzazione dei muijadin del Popolo iraniano (OMPI), movimento di opposizione al regime iraniano presente in Iraq sin dagli anni Ottanta del secolo scorso;
    sin dal 2003 la coalizione internazionale intervenuta in Iraq ha riconosciuto agli appartenenti all'OMPI di Camp Ashraf, che nel frattempo ha cessato ogni attività militare e rinunciato alle armi con impegno sottoscritto da ciascuno dei suoi membri, lo status di protected person ai sensi della quarta convenzione di Ginevra;
    dal 1o gennaio 2009 il controllo di Camp Ashraf è formalmente passato dall'esercito Usa – che lo aveva acquisito nel giugno 2003 nel corso della seconda guerra del Golfo – al Governo iracheno, impegnatosi ad assicurare il trattamento di tutti i residenti secondo le leggi nazionali;
    negli anni, però, il Governo iracheno ha ripetutamente minacciato di espellere i circa 3.400 residenti di Camp Ashraf, senza mai articolare un piano concreto di dislocamento degli esuli e limitandosi, invece, a sostenere di non avere la forza per rimuovere gli iraniani;
    i ripetuti attacchi contro Camp Ashraf, ben sei, e le modalità con cui sono stati condotti sembrano tuttavia smentire l'ipotesi del deficit di forza lamentato dalle autorità di Baghdad, con un bilancio che ammonterebbe a 116 morti, tutti residenti disarmati, e 1.357 feriti;
    da ultimo, la mattina dell'8 aprile 2011 la regione iraniana è stata teatro di un'operazione condotta dall'esercito iracheno che ha causato trentaquattro vittime, oltre a moltissimi feriti (380 secondo il Consiglio nazionale della resistenza iraniana);
    secondo fonti militari statunitensi, dopo l'attacco sarebbe stato vietato l'accesso al campo anche per portare assistenza umanitaria;
    la «letale operazione irachena» è stata condannata (15 aprile 2011) dall'Alto Commissario Onu per i diritti Umani, Navi Pillay, che ha stigmatizzato l'elevato numero di vittime e chiesto lo svolgimento di un'inchiesta per individuare e punire i responsabili di un tale uso eccessivo della forza;
    in tale occasione Pillay ha altresì invitato i Governi a contribuire all'individuazione di una soluzione di lungo termine per i residenti di Camp Ashraf;
    la soluzione auspicabile sarebbe il reinsediamento degli iraniani in esilio in Paesi terzi, ipotesi che i governi sono stati invitati a prendere in considerazione come questione urgente;
    nel 1997 l'amministrazione Clinton aveva inserito l'OMPI, su pressione iraniana, nella lista delle organizzazioni terroristiche straniere FTO (Foreign Terroristic Organisation) redatta dal dipartimento di Stato, con la prospettiva della normalizzazione, poi non conseguita, delle relazioni con l'allora presidente Mohammed Khatami, considerato un leader «moderato»;
    l'amministrazione Bush, però, non ha rimosso l'organizzazione dalla lista delle organizzazioni terroristiche, nonostante il Regno Unito nel 2008 e l'Unione europea nel 2009 lo abbiano rimosso dalle rispettive liste delle organizzazioni proscritte;
    tale classificazione è utilizzata innanzitutto dall'Iran come pretesto per torture ed esecuzioni sommarie di membri dell'OMPI e da Iran e Iraq come giustificazione per le aggressioni ai residenti di Camp Ashraf;
    su Camp Ashraf il Parlamento europeo ha approvato una serie di risoluzioni, tra cui, in particolare, la risoluzione P6–TA(2009)0311 del 24 aprile 2009, specificamente incentrata sulla situazione umanitaria dei residenti di Camp Ashraf e che esorta il primo ministro iracheno ad assicurare che le autorità non adottino alcuna azione in violazione dei diritti umani dei residenti di Camp Ashraf, in particolare, a non dislocarli, deportarli, espellerli o rimpatriarli con la forza in violazione del principio di non respingimento;
    secondo lo stesso Parlamento i residenti di Camp Ashraf potrebbero essere a rischio di gravi violazioni dei diritti umani se rimpatriati contro la loro volontà in Iran;
    una delegazione del Parlamento europeo in visita in Iraq (26-29 aprile 2011), dove il Governo iracheno ha negato l'accesso a Camp Ashraf, ha formulato una proposta di soluzione che prevede, in particolare, il possibile trasferimento dei residenti di Ashraf in altri Paesi (USA, Canada, gli Stati membri dell'Unione europea, la Svizzera, la Norvegia e l'Australia), come soluzione di lungo termine;
    da allora solo meno del 10 per cento dei residenti di Camp Ashraf risultano essere stati trasferiti: 240 in Albania, circa 90 in Germania, una ventina in Scandinavia; appena 15 in Italia (secondo i dati della Resistenza Iraniana);
    la profonda preoccupazione sentita da gran parte della comunità internazionale per i residenti di Camp Ashraf e ora per tuffi coloro che sono stati trasferiti a Camp Liberty è sempre stata condivisa dall'Italia;
    in particolare, il Governo italiano ha lavorato in tre direzioni: la prima per semplificare e rendere più efficiente il processo di valutazione delle persone che possono essere ospitate in Italia, la seconda direzione, umanitaria, è legata alla gravità della situazione sanitaria (il nostro Paese è stato il primo a dare il benvenuto alle persone ferite di Camp Ashraf, per curarle); la terza linea di azione, condotta dal Ministro degli affari esteri pro tempore, Giulio Terzi, è stata quella di sollevare la questione al Consiglio affari esteri a Bruxelles affinché tutti i diritti dei residenti, la loro sicurezza e dignità, fossero concretamente rispettati;
    la questione deve essere priorità costante dei Consigli ministeriali degli affari esteri, in quanto la protezione dei richiedenti asilo politico, dei rifugiati e di quanti risiedono in aree sotto protezione internazionale come Camp Ashraf e Camp Liberty, dove molti di questi profughi sono stati trasferiti e vivono in condizioni a dir poco disumane, va ben al di là di obblighi giuridici sanciti da norme internazionali: è un imperativo morale per una generazione, la nostra generazione, che ha sperimentato genocidi e massacri che avrebbero potuto essere evitati se solo la comunità internazionale se ne fosse occupata per tempo e vi avesse riservato la giusta attenzione;
    nonostante i numerosi appelli all'ONU, a Baghdad e a Washington, nessuna misura è stata ancora presa per proteggere Camp Ashraf e Camp Liberty;
    gli atti di violenza all'interno di Camp Ashraf continuano davanti all'indifferenza del mondo e appena pochi mesi fa, il 1o settembre 2013, hanno causato la morte di almeno 47 persone;
    anche Camp Liberty è stato attaccato nel corso del 2013, con decine di feriti e oltre 10 morti in due attacchi avvenuti il 9 febbraio e il 15 giugno e rivendicati dall'Esercito del mukhtar, una milizia sciita;
    è di fondamentale importanza trasferire quanto prima il maggior numero possibile di residenti di Camp Liberty in Paesi sicuri e, insieme ad altri Paesi che si sono impegnati in Iraq, l'Italia ha il dovere di contribuire a salvare queste persone,

impegna il Governo

a collaborare con l'Alto Commissariato per le Nazione Unite per i rifugiati e con le altre Agenzie specializzate delle Nazioni Unite per trovare una soluzione duratura e soddisfacente alla situazione delle persone attualmente ospitate presso Camp Ashraf e Camp Liberty nonché a fare quanto in suo potere per accogliere in tempi rapidi i profughi o i richiedenti asilo iraniani che corrano il rischio di subire persecuzioni.
(7-00346) «Cirielli».


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    ci troviamo di fronte all'approssimarsi dell'estate, quindi quella attuale è una stagione decisiva per l'adozione di alcuni fondamentali provvedimenti atti alla prevenzione degli incendi e per dotare il sistema degli strumenti necessari all'efficace intervento di spegnimento dei medesimi;
    la Sardegna annovera purtroppo, anche nella sua storia recente, numerosi episodi di devastanti roghi che producono annualmente un numero elevato di vittime (oltre 70 negli ultimi 50 anni) e danni inestimabili al patrimonio ambientale ed alle attività produttive;
    nel 2012 in Sardegna è andata bruciata il 41 per cento della superficie nazionale complessivamente interessata dagli incendi e solamente otto mesi fa, nell'agosto del 2013, le fiamme hanno prodotto un decesso, decine di feriti, migliaia di ettari andati in cenere, l'evacuazione di alcuni centri abitati. Ferite non ancora rimarginate, un dramma che rischia di ripetersi anche nel 2014 se non verranno presi provvedimenti urgenti;
    lo spopolamento del territorio sardo, gli apici termici che si raggiungono nel periodo estivo, i forti venti che spazzano l'isola, la scarsa antropizzazione delle campagne e – quindi – le vaste aree di terreni abbandonate, incolte e lasciate nell'incuria, costituiscono alcune delle condizioni di favore al propagarsi degli incendi ed al loro rapido diffondersi per superfici amplissime;
    le esigue risorse in dotazione ai comuni – prevalentemente al di sotto dei 5 mila abitanti – a causa del combinato disposto fra tagli alla spesa pubblica e patto di stabilità, rendono nei fatti impraticabile per essi assolvere alle attività preventive nell'agro previste a loro carico dalla normativa vigente;
    l'intreccio degli interessi speculativi diviene la miccia ed il detonatore di una tragedia che annualmente si abbatte su molte regioni e con particolare drammaticità in quelle del Meridione d'Italia;
    l'osservatorio incendi boschivi pubblica regolarmente tabelle aggiornate consultabili sul proprio sito in cui si evidenziano, ad una lettura comparata, le distribuzioni territoriali degli incendi che, purtroppo, colpiscono quasi tutte le regioni italiane da nord a sud. I danni che si registrano sono diversi per differenza di territorio, ma anche per differenza di mezzi di contrasto e controllo delle aree boschive;
    il caso sardo e gli eventi del 2013 sono paradigmatici. Tuttavia la questione non andrebbe limitata alla sola Sardegna. Regioni come la Calabria, la Campania, la Sicilia e la Liguria ad esempio hanno subito, anche nell'ultimo decennio, ondate successive di incendi che hanno dilapidato un patrimonio ambientale inestimabile. Tutto ciò a conferma che nel nostro Paese le attività di contrasto degli incendi sono insufficienti e scarsamente curate, a differenza di quanto accade altrove;
    a queste considerazioni si aggiungano altri decisivi elementi:
     a) la riduzione dei mezzi antincendio dovuta alla cosiddetta spending review del 2012 che ha ridimensionato in maniera drastica ad esempio la flotta dei Canadair operativi;
     b) un'organizzazione del servizio di intervento – a voler essere cortesi – a dir poco lenta e macchinosa, che prolunga il lasso di tempo che intercorre fra segnalazione dell'incendio e operatività in loco dei mezzi;
     c) condizioni minime di sicurezza sistematicamente violate in alcune aree, anche a forte vocazione turistica;
    un breve elenco, certamente non esaustivo, di problematiche facilmente verificabili se confrontati con l'opinione di esperti e delle associazioni di volontariato operanti nel settore;
    in risposta ad una interpellanza del deputato Michele Piras alla Camera sul tema, il Governo Letta riconobbe la validità delle argomentazioni addotte e si impegnò a dare seguito ad esse adottando gli interventi più opportuni per potenziare il servizio antincendio;
    da allora tuttavia nulla è cambiato. E nulla è cambiato nemmeno in conseguenza dei tragici fatti dell'agosto 2013 sopra ricordati;
    è ferma convinzione degli addetti ai lavori che gli investimenti in questo settore costituiscano la miglior forma di risparmio di spesa pubblica operabile;
    da ultimo nel febbraio del 2014, registrata l'inerzia delle Istituzioni nazionali, attraverso la forma della lettera aperta sono stati sollecitati interventi strutturali ed investimenti nel comparto della lotta agli incendi; anche a questa iniziativa è seguito il silenzio,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative dirette a prevedere maggiori risorse finanziarie anche allargando l'incremento delle risorse annualmente assegnate alla legge sugli incendi boschivi;
   a incrementare i mezzi antincendio di stanza nell'isola e negli altri territori a rischio nella stagione estiva;
   a dotare i comuni di una quota adeguata di risorse vincolate alle opere di pulizia del territorio, prevenzione, vigilanza, mitigazione del rischio e primo intervento;
   a escludere dal computo dei saldi al fine del rispetto del patto di stabilità interno delle spese previste dalla legge quadro sul contrasto degli incendi boschivi n. 353 del 2000;
   ad adottare nuove tecnologie di contrasto agli incendi;
   a revisionare i modelli organizzativi anche mediante il confronto con le organizzazioni del volontariato partecipanti alla Protezione civile, a partire da una semplificazione e razionalizzazione della catena di comando delle operazioni;
   a un attenta verifica dei mezzi antincendio disponibili sul mercato, spesso decisamente meno costosi dei Canadair ed altrettanto funzionali ed efficaci.
(7-00347) «Zaratti, Piras, Zan, Pellegrino».

ATTI DI CONTROLLO

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   all'inizio di marzo 2014 la penisola di Crimea, area particolarmente strategica sotto il profilo geopolitico, è diventata lo scenario di crisi e di confronto tra l'Ucraina e la Russia, inevitabile punto di approdo dei disordini in Ucraina che hanno avuto inizio il 21 novembre 2013, subito dopo la sospensione, da parte del Governo ucraino, di un accordo di associazione tra l'Ucraina e l'Unione europea;
   nei primi giorni di marzo 2014 sono stati registrati spostamenti di truppe russe in Crimea e il blocco del porto di Sebastopoli ai movimenti delle navi ucraine: dispiegamento di truppe approvato dal Parlamento russo con l'obiettivo di proteggere la popolazione di etnia russa in Crimea;
   la composizione etnica della Repubblica autonoma di Crimea è russa per il 58,5 per cento e ucraina per 24,4 per cento ma nella penisola sono presenti anche altre minoranze, tra cui quella tartara e quella italiana, discendente da un flusso migratorio iniziato nell'Ottocento e che ha conosciuto le deportazioni staliniane;
   oggi la comunità di origine italiana, impegnata soprattutto nel settore agricolo e della cantieristica navale, è formata da un gruppo di circa 300 persone, tutti anziani e ormai di nazionalità ucraina, a seguito della perdita di cittadinanza sotto l'Unione sovietica;
   malgrado le numerose richieste, il Governo ucraino non ha ancora riconosciuto ai nostri concittadini lo status di popolo deportato, che oltre a costituire un riconoscimento morale, garantirebbe loro alcune agevolazioni;
   tale riconoscimento è stato concesso dal Governo ucraino ai Tartari, ai Tedeschi, ai Greci e ad altre popolazioni deportate dalla Crimea, su interessamento dei vari Stati di origine;
   da anni gli italiani di Kerch chiedono altresì al Governo italiano di riavere la cittadinanza, loro tolta con la violenza e la distruzione di ogni documento personale, che li tutelerebbe in una situazione di guerra e pericolo imminente, come quella che la Crimea sta vivendo in questi mesi;
   nella stessa direzione sono intervenuti anche la Grecia e la Germania, che hanno agito tempestivamente per ridare la cittadinanza ai loro concittadini di Crimea, che avevano una storia simile a quella degli italiani, tutelandoli;
   come emerso dagli organi di stampa nazionali, il crescendo delle tensioni ha allarmato gli italiani residenti in Crimea, che, oltre alla volontà di non aderire alla Russia, per mezzo di Giulia Giacchetti Boico, presidente dell'associazione «C.E.R.K.I.O.» (Comunità degli emigrati in regione di Krimea – italiani di origine), hanno espresso il sentito timore di una guerra civile e quello di «essere abbandonati» dalle autorità;
   l'11 marzo 2014, con 4 giorni di anticipo rispetto al referendum indetto, il Parlamento della Crimea ha votato per l'autonomia della Crimea dall'Ucraina con 78 voti favorevoli su 81 votanti;
   la vittoria dei referendari filo-russi e l'annessione alla Repubblica russa crea un'evoluzione le cui ripercussioni per la comunità italiana di Kerch sono ancora un'incognita –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative ritenga opportuno intraprendere, in ragione del clima di tensione e di criticità che sta vivendo la penisola di Crimea, al fine di tutelare e salvaguardare i diritti degli italiani residenti in Crimea e i loro discendenti;
   se intenda assumere iniziative, qualora ne sussistano le condizioni, per il riconoscimento dello status di popolo deportato e per l'ottenimento della cittadinanza italiana da parte dei nostri concittadini di Crimea. (4-04545)


   FEDI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il trattamento stipendiale del personale a contratto del Ministero degli affari esteri in servizio presso le rappresentanze diplomatiche e gli uffici consolari all'estero e i relativi adeguamenti sono fissati – ai sensi dell'articolo 157 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967 – dal contratto individuale di lavoro sulla base dei parametri previsti nella stessa disposizione di legge: le condizioni del mercato del lavoro locale, il costo della vita nella sede di servizio, le retribuzioni corrisposte dalle rappresentanze diplomatiche e consolari estere all'analogo personale, la congruità e l'uniformità del trattamento retributivo corrisposto per Paese e per mansioni omogenee, le indicazioni fornite dalle organizzazioni sindacali;
   i dati raccolti vengono esaminati dall'amministrazione del Ministero degli affari esteri per venire successivamente sottoposti al vaglio degli organi di controllo (UCB);
   il Ministero degli affari esteri valuta, sulla base delle informazioni prodotte dalla rete diplomatica nel mondo, la decisione circa l'opportunità di rivalutare i trattamenti economici, nonché l'entità dei relativi importi;
   in numerose realtà estere, a fronte dei consistenti aumenti del costo della vita ed alla crisi economica a cui si è accompagnata la svalutazione dell'euro nei confronti di alcune valute, si registrano difficoltà pratiche per il sostentamento quotidiano delle famiglie del personale a contratto impiegato dal Ministero degli affari esteri;
   il blocco previsto dal decreto-legge n. 95 del 2012 è stato superato;
   per il personale a contratto locale impiegato presso la rete diplomatico-consolare in Nuova Zelanda non vi sono stati aumenti retributivi da otto anni –:
   quali urgenti iniziative si intendano adottare per rivalutare i trattamenti economici del personale a contratto delle rete diplomatico consolare in Nuova Zelanda;
   se si intenda procedere ad una precisa e puntuale verifica degli importi corrisposti in euro al personale a contratto localmente impiegato ed il livello delle remunerazioni, assunte a riferimento, per le altre reti diplomatiche in Nuova Zelanda. (4-04550)


   MANLIO DI STEFANO, SPADONI, SIBILIA, GRANDE, SCAGLIUSI, DI BATTISTA e DEL GROSSO. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, prevede al suo articolo 4, comma 3, che la pubblica amministrazione non può procedere all'avvio di un nuovo concorso pubblico se prima non abbia verificato che quanti hanno superato un concorso pubblico, qualificandosi quindi come idonei, vengano prioritariamente assunti, e solo successivamente si procede a un nuovo bando;
   ciò per una duplice ragione: da un lato l'esigenza di razionalizzare la spesa pubblica, atteso che l'avvio di nuove procedure selettive comporta un esborso di danaro pubblico; dall'altro, l'esigenza di tutelare la posizione giuridica di quegli idonei che, dopo aver superato un regolare concorso pubblico, hanno più volte assistito alla frustrazione delle proprie aspettative;
   la nuova disposizione novella e risolve l'annosa questione relativa all'alternativa tra scorrimento delle graduatorie e indizione di un nuovo concorso, su cui più volte la giurisprudenza ha mutato orientamento. Con la nota adunanza plenaria n. 14/2011, il Consiglio di Stato aveva già affermato un generico favor per l'utilizzo delle graduatorie, vera e propria «regola», essendo invece l'avvio di un nuovo concorso qualificabile come «eccezione». Tuttavia, individuava alcune categorie di concorsi che potevano essere esentate dallo scorrimento, permanendo un margine di discrezionalità in capo all'amministrazione;
   come detto, la questione è stata risolta dal legislatore stesso, che ha inteso eliminare ogni margine di discrezionalità in capo all'amministrazione, imponendo il previo scorrimento delle graduatorie vigenti. Tale obbligo, che configura una vera e propria attività vincolata della pubblica amministrazione, è esteso, per espressa previsione di legge, a tutte le amministrazioni dello Stato, anche a ordinamento autonomo. Che non vi siano eccezioni è facilmente desumibile sia dal testo della normativa sia dalla circolare esplicativa alla stessa, segnatamente al quadro sinottico «C»;
   gli obblighi del citato decreto-legge possono recedere, quindi, soltanto di fronte a norme speciali di settore che risultino incompatibili con lo scorrimento delle graduatorie. Esse non sussistono nel caso del concorso per segretario di legazione in prova della carriera diplomatica, il cui regolamento rinvia anzi alle norme generali;
   nel caso della carriera diplomatica esiste solamente una legge di autorizzazione all'avvio del concorso per il quinquennio 2010-2014 (articolo 4, comma 3, del decreto-legge 1o gennaio 2010 n. 1), che non fissa un numero esatto di posti da porre a concorso. Che tale legge sia compatibile con lo scorrimento della graduatoria è dimostrato pacificamente dall'avvenuto scorrimento dell'anno 2010, già vigendo la legge di autorizzazione, quando sei idonei in graduatoria venivano assorbiti e il contingente di unità per il concorso 2011 veniva ridotto;
   nel 2010 il Ministero degli affari esteri provvedeva allo scorrimento della graduatoria pur non essendovi tenuto, ma secondo la propria discrezionalità, dimostrando così l'assenza di norme ostative allo stesso scorrimento. In presenza delle stesse, infatti, tale avvenimento sarebbe risultato impossibile. Gli idonei assorbiti non hanno avuto alcun problema di progressione di carriera;
   in data 11 aprile 2014 il Ministero degli affari esteri ha provveduto all'indizione di una nuova procedura selettiva per 35 posti di segretario di legazione in prova della carriera diplomatica, senza provvedere al previo scorrimento delle graduatorie;
   nel bando di concorso non si fa il minimo riferimento alla novella normativa, e si fa anzi riferimento a provvedimenti giurisdizionali (TAR Lazio n. 03558/2014 del 1o aprile 2014 e il parere consultivo 526/2014 del Consiglio di Stato dell'8 gennaio 2014) riferiti a contesti normativi in cui la nuova legge comportante l'obbligo di scorrimento non esisteva, neppure. Tali provvedimenti escludono l'obbligo di scorrimento proprio perché non esisteva, al tempo, alcuna legge che lo imponeva, vigendo ancora il regime di discrezionalità che oggi, pacificamente, risulta esaurito;
   il concorso bandito è assolutamente identico, per quanto riguarda le prove d'esame, compresa la prova attitudinale, a quello conclusosi appena sei mesi prima;
   con tutta probabilità il nuovo bando di concorso verrà impugnato innanzi al giudice amministrativo per violazione di legge, instaurando l'ennesimo contenzioso al riguardo, con le prevedibili conseguenze in punto di esborso di danaro pubblico e di lentezza della giustizia per la pluralità dei ricorsi pendenti;
   l'impugnazione del bando di concorso potrebbe tradursi, in caso di accoglimento in fase cautelare, nella sospensione della procedura selettiva, con conseguente impossibilità di provvedere all'urgente e tempestivo invio di personale in previsione degli impegni in sede di Unione europea e in relazione all'EXPO descritti nel bando. Sotto questo profilo, lo scorrimento della graduatoria, a norma di legge, sarebbe stato assai più idoneo allo scopo –:
   se non si ritenga di procedere allo scorrimento della graduatoria vigente, ovviando alla lesione dei diritti soggettivi provocati dall'emissione del nuovo bando viziato, ad avviso degli interroganti, da chiara illegittimità, anche a tutela della trasparenza e dal buon andamento dell'azione amministrativa, e del rispetto delle posizioni giuridiche coinvolte;
   se non si intenda ritirare o modificare il bando in autotutela al fine di garantire l'assunzione degli idonei, così da eliminare il contenzioso e soddisfare al contempo l'esigenza di efficienza e trasparenza dell'azione amministrativa;
   quali iniziative urgenti intendano assumere, nell'ambito delle rispettive competenze, per dare piena attuazione al decreto-legge n. 101 del 2013 in materia di scorrimento delle graduatorie, con riferimento al concorso diplomatico in atto, oltre che per le altre amministrazioni, atteso che la normativa non risulta essere ancora stata applicata da tutti i destinatari. (4-04551)


   DI BATTISTA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   la Direzione generale della cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri italiano (DGCS-MAE), come da delibera n. 172 del Comitato direzione per la cooperazione allo sviluppo del 22 novembre 2007, ha disposto il finanziamento del progetto denominato «Tanzania – Intervento sanitario di potenziamento della diagnosi e cura dell'infezione da Hiv/Aids, tubercolosi, malaria e patogeni emergenti» per un importo complessivo di euro 2.427.500,00, programma ordinario AID 8785;
   dal sito dell'Ambasciata dell'Italia in Tanzania risulta, invece, che l'importo deliberato per l'esecuzione del predetto progetto ammonterebbe ad euro 2.690.000;
   sempre dal sito dell'Ambasciata italiana si apprende che, nell'ambito del suddetto progetto, vi rientra anche la realizzazione, a partire dalla fine del 2008, di un laboratorio BSL-3 a Bagamoyo nonché altri interventi nei siti di Dodoma e di Iringa, con una durata di 24 mesi e come primo traguardo quello di «Arrestare entro il 2015, invertendo la tendenza, l'incidenza della malaria e delle altre principali malattie»;
   come risulta dal sito dell'Istituto nazionale per le malattie infettive (INMI) Spallanzani di Roma che collabora con la Direzione generale della cooperazione allo sviluppo dal 2005 nella conduzione di programmi di cooperazione sanitaria nella Repubblica Unita di Tanzania, emerge che a «Bagamoyo in collaborazione con le autorità locali e con Ifakara Health Institute, si è conclusa la fase preliminare di fattibilità e quella amministrativa per la realizzazione di un laboratorio di biosicurezza di livello BSL-3»;
   emerge inoltre che nel «periodo ottobre-dicembre 2008 è stata lanciata ed espletata la gara relativa alle attrezzature del BSL 3» e che, nel 2009, nel «sito di Bagamoyo sono stati acquistati i materiali e le attrezzature previste per l'implementazione del laboratorio di biosicurezza BSL-3 all'interno dell'Ospedale distrettuale di Bagamoyo»;
   dal medesimo sito internet risulta che «le procedure per la costruzione e l'impiantistica del laboratorio sono tutt'ora in corso con conclusione prevista entro la fine dell'anno 2010» quando, invece, dal sito internet dell'Ifakara Health Institute si apprende che il Laboratorio BSL-3 a Bagamoyo è stato inaugurato ufficialmente il 18 luglio 2013;
   nella risposta all'interrogazione n. 4-04927, presentata al Senato e pubblicata il 5 aprile 2011, il sottosegretario di Stato agli affari esteri Scotti affermava che «i costi per la realizzazione di tale struttura ammontano a 280.000 euro» e che, inoltre, «si è ricorso alla procedura negoziata senza pubblicazione di bando, inviando l'invito ad almeno cinque potenziali concorrenti»;
   in un laboratorio di biosicurezza di livello BSL-3 vengono coltivati e trattati agenti biologici di pericolosità 3 – come classificati nell'allegato XLVI del decreto legislativo n. 81 del 2008 – che possono causare malattie gravi in soggetti umani, che costituiscono un serio rischio per i lavoratori e che possono propagarsi nella comunità;
   come emerge dalla risposta al predetto atto di sindacato ispettivo n. 4-04927, tale laboratorio veniva istituito con finalità diagnostiche, è situato all'interno dell'ospedale distrettuale di Bagamoyo, ed è affidato in convenzione ad Ifakara health institute (IHI);
   per quanto risulta all'interrogante all'interno di un Laboratorio BSL-3 è necessario, ai fini della corretta conservazione degli agenti biologici, l'utilizzo di celle frigorifere con azoto liquido ad una temperatura di -80oC –:
   quale sia l'importo effettivamente stanziato da parte dello Stato italiano per l'intero progetto denominato «Tanzania – Intervento sanitario di potenziamento della diagnosi e cura dell'infezione da Hiv/Aids, tubercolosi, malaria e patogeni emergenti», atteso che i dati dell'Ambasciata italiana in Tanzania divergono da quelli della Direzione generale della cooperazione allo sviluppo e dell'INMI;
   quali siano gli importi effettivamente destinati e stanziati da parte dello Stato italiano per la costruzione, gestione e funzionamento del Laboratorio BSL-3 di Bagamoyo e delle strutture nei siti di Dodoma ed Iringa, che rientrano nel predetto progetto;
   se il Ministro interrogato confermi che la data di inaugurazione della struttura a Bagamoyo è quella del 18 luglio 2013, come riportato in premessa, invece di quella prevista dal progetto, vale a dire a 24 mesi dall'inizio che era stato alla fine del 2008 (dunque fine 2010) ed in caso di risposta affermativa, quali siano le ragioni di tale ritardo;
   se il Ministro interrogato sia in possesso dei collaudi del laboratorio di Bakamoyo e delle altre strutture realizzate in Tanzania in esecuzione del progetto di cooperazione e sviluppo;
   se il Ministro interrogato intenda fornire elementi in ordine al raggiungimento o meno del traguardo di «Arrestare entro il 2015, invertendo la tendenza, l'incidenza della malaria e delle altre principali malattie» cui è finalizzato il progetto di cooperazione;
   se il Ministro interrogato intenda fornire quali agenti patogeni sono coltivati e conservati all'interno di tali strutture; con quali finalità, da quali strutture sanitarie provengono e se siano stati inviati in Italia campioni virali dalla Tanzania;
   quali siano i nominativi delle cinque ditte che sono state invitate alla procedura di cui al comma 7-bis dell'articolo 122 del decreto legislativo n. 163 del 2006 e quale sia il nominativo della ditta che si è aggiudicata l'appalto, in relazione alla gara registrata presso l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici con il codice identificativo gara 039146464E;
   quale sia la ditta che garantisce la manutenzione dei sistemi per il mantenimento di azoto liquido ad una corretta temperatura nel laboratorio di Bagamoyo e quale sia la ditta che ha in gestione il sistema di smaltimento dei rifiuti solidi e liquidi di tali strutture realizzate in Tanzania;
   quali siano i nominativi dei responsabili dei laboratori di biosicurezza di cui al presente atto ed a carico di chi siano le spese per il personale che lavora nei laboratori stessi. (4-04565)

AFFARI REGIONALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   SIMONE VALENTE, BATTELLI e BRESCIA. — Al Ministro per gli affari regionali. — Per sapere – premesso che:
   la danza sportiva italiana comprende oggi oltre 100.000 iscritti, 5.000 maestri e 1.000 scuole di ballo con un fatturato che si aggira intorno ai 2 milioni di euro l'anno; la Federazione italiana danza sportiva (FIDS) è l'unica Federazione riconosciuta dal CONI per organizzare e disciplinare lo sport della danza; tale riconoscimento è stato ottenuto con delibera 1355 del 26 giugno 2007, ai sensi dell'articolo 6, comma 4, punto c dello Statuto del Coni nonché in applicazione a quanto previsto dall'articolo 15 comma 3 e 4 del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242 e successive modifiche e integrazioni;
   nel febbraio 2011 la Fids viene commissariata dalla Giunta nazionale del Coni a causa di una serie di inchieste avviate in seguito ad una denuncia con la quale veniva segnalata una serie di irregolarità avvenute in una competizione di danza sportiva svolta a Rimini tra il maggio e il giugno 2010; le persone coinvolte (tra queste si segnalano l'ex presidente federale della Fids, un consigliere federale, giudici e tecnici di gara) furono accusate di associazione a delinquere finalizzata ad alterare in maniera fraudolenta le competizioni di danza agonistica su tutto il territorio nazionale attraverso la manipolazione delle gare federali. Si trattava di un vero e proprio sistema criminoso (definito danzopoli) perfettamente strutturato e basato su competizioni truccate, risultati manipolati e giudici corrotti che tendeva a favorire determinati atleti a svantaggio di altri;
   a seguito di quanto accaduto, la federazione è stata protagonista secondo gli interrogati di una condotta omissiva e dilatoria che si è manifestata, in particolare, in un mancato adempimento delle normative contenute negli articoli 79 e 66 dello Statuto federale i quali contemplano rispettivamente l'incompatibilità al contestuale esercizio di insegnante tecnico e ufficiale di gara e le modalità nonché i criteri di nomina del personale arbitrale sia nelle gare federali che in quelle autorizzate;
   ma ciò che desta maggiore preoccupazione è quella che agli interroganti appare un'inspiegabile inerzia da parte del Coni che in simili evenienze avrebbe dovuto applicare l'articolo 23, comma 3, del proprio statuto che disciplina l'attività di indirizzo e controllo sulle federazioni sportive nazionali;
   si rileva che durante la gestione commissariale della Fids, avvenuta dall'8 febbraio 2011 al 14 luglio 2012, i rappresentanti degli organi di gestione hanno continuato a regolamentare la nomina degli ufficiali di gara designando giudici ad libitum, nonostante l'allora commissario straordinario Luca Pancalli avesse invitato gli ufficiali di gara a sottoscrivere una «dichiarazione d'impegno etico deontologico», sottoponendo gli stessi al rispetto degli articoli 75 e 76 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000 relativamente al rilascio di false attestazioni e dichiarazioni mendaci. Sulla stessa linea, Pancalli si è adoperato al fine di favorire la corretta composizione delle giurie per ogni singola categoria e classe di gara, stilando una serie di principi comportamentali cui erano sottoposte le giurie; al fine di assicurare, infatti, la massima trasparenza nelle procedure relative alle competizioni veniva previsto, tra le altre cose, l'impegno dei giudici a non giudicare propri allievi ed effettuare, ove possibile, la rotazione delle giurie nei diversi turni di gara;
   tuttavia, nonostante la predisposizione di questi atti ad opera del commissario straordinario ben poco è cambiato;
   durante il suo periodo di amministrazione, il commissario ha preso in considerazione solo la separazione delle carriere (disposta nella delibera del commissariamento per risolvere il problema del conflitto di interessi di cui all'articolo 80 dello statuto) senza considerare la regolamentazione della designazione del personale arbitrale, che invece era all'epoca ed è ancora oggi la chiave di volta per abbattere le irregolarità esistenti e conseguentemente risolvere il problema fondamentale della correttezza e genuinità dei risultati di ogni gara;
   nel mese di ottobre 2013 è stata, inoltre, costituita una Commissione paritetica composta da due membri consulenti del Coni e due membri rappresentanti del Fids con lo scopo di verificare la conformità dello statuto e dei regolamenti Fids ai princìpi fondamentali del Coni e di valutare complessivamente l'attuale normativa statutaria e regolamentare della Fids: ad oggi non risulta che l'operato della Commissione abbia generato dei particolari benefici;
   la grave condotta dilatoria ed omissiva di Fids e Coni di non aver voluto sanare la situazione esistente in tutte le gare ha leso e continua a ledere l'interesse giuridicamente tutelato di tutti gli atleti; ed il Coni che avrebbe dovuto vigilare rigorosamente, (ignorando le ripetute contestazioni e denunce) ha espresso invece parere di conformità del nuovo Rasf (Regolamento attività sportiva federale) alla normativa Coni dando il via al Regolamento Gare Fids per la stagione sportiva 2013-2014 che proroga per l'ennesima volta la regolamentazione della nomina del personale arbitrale di cui all'articolo 66 dello Statuto federale, al 31 dicembre 2015 per le gare federali e al 31 dicembre 2018 per le gare autorizzate;
   al fine di pervenire, pertanto, al riassetto dell'intero sistema attraverso l'emanazione da parte della Fids e l'approvazione del Coni di una serie organica di provvedimenti, tra i quali quelli relativi al regolamento tecnico, al regolamento arbitrale e alla separazione delle carriere di cui rispettivamente agli articoli 65, 66 e 79 dello statuto, è necessario non ricadere negli stessi errori di valutazione;
   posta l'importanza nonché il ruolo che riveste tale disciplina sportiva è necessario assicurare un sistema sano di garanzie, privo di condizionamenti e idoneo a tutelare tutti gli atleti che in ogni competizione sportiva hanno il diritto di essere giudicati secondo criteri di responsabilità, trasparenza ed imparzialità;
   per abbattere tale gravissima situazione (che si protrae ormai da anni pur in presenza di provvedimenti disciplinari, di radiazione, di un procedimento penale e di un commissariamento durato 18 mesi) occorre un intervento forte e risolutivo. Coni e Fids in questi anni sono stati sommersi da richieste di ottemperanza, denunce e diffide e da ultimo anche i loro rispettivi presidenti, Malagò e Zanblera sono stati investiti della questione da più atleti che reiteratamente gli hanno rappresentato la grave situazione di illegalità di tutte le gare –:
   in che maniera intendano i Ministri interrogati richiamare il Coni, nella persona del suo Presidente Giovanni Malagò, al rispetto rigoroso dell'articolo 23, comma terzo, dello stesso statuto Coni in situazioni come quella descritta in premessa.
(4-04553)


   SIMONE VALENTE, BRESCIA e BATTELLI. — Al Ministro per gli affari regionali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da numerose agenzie di stampa e quotidiani nazionali pubblicati in data 5 febbraio 2014 si apprende che in seguito ad una serie di controlli e verifiche durata circa 5 mesi, il Coni ha segnalato alla Procura della Repubblica di Roma diversi atti della Federazione Italiana Nuoto apparentemente anomali e sospetti nei quali si paventa un'ipotesi di truffa aggravata dovuta a un doppio finanziamento che avrebbe ricevuto dal Ministero dell'economia e delle finanze e da Coni Servizi spa;
   la regolare verifica svolta dal Coni rientra nei poteri stabiliti dallo stesso Statuto; in particolare, l'articolo 23 disciplina l'attività di indirizzo e di controllo che lo stesso deve esercitare su tutte le federazioni sportive italiane prevedendo, nello specifico, a carico della Giunta nazionale del Coni lo svolgimento di un'attività di vigilanza sul corretto funzionamento «In caso di accertate gravi irregolarità nella gestione o di gravi violazioni dell'ordinamento sportivo da parte degli organi federali, o nel caso che non sia garantito il regolare avvio e svolgimento delle competizioni sportive, ovvero in caso di constatata impossibilità di funzionamento dei medesimi»; l'inchiesta, che rientra pienamente nelle prerogative del Coni, è scaturita da un controllo generale effettuato su tutte le 45 federazioni italiane;
   le prime risultanze rivelerebbero gravi irregolarità nei bilanci della federazione e prendono avvio da due esposti: l'uno presentato da 14 società di nuoto sulla gestione delle vasche dei centri federali, sull'amministrazione del club olimpico nonché sull'assegnazione dei premi da assegnare agli atleti per le medaglie vinte, l'altro presentato in forma anonima rivelerebbe un debito di circa 5.3 milioni di euro della federazione nei confronti dell'Acea, la società che si occupa della vendita di energia elettrica e gas in mercato libero;
   la vicenda ruota attorno ad uno sconto su un debito che Federnuoto avrebbe ottenuto dal Coni consegnando 32 fatture (per un valore pari a 826 mila euro) utilizzate per lavori di manutenzione straordinaria su piscine di proprietà del Coni; fatture che in realtà sarebbero state pagate con soldi pubblici, erogati dallo Stato sulla base di un ingente finanziamento erogato dal Ministero dell'economia e delle finanze nel 2005 e del valore di due milioni di euro spalmato in tre anni per la realizzazione della piscina olimpica di Roma;
   dal canto suo, Federnuoto in riferimento all'impianto sportivo di proprietà di Coni Servizi spa dichiara di aver presentato una parte delle fatture pagate con i soldi dello Stato nell'ambito di una transazione sottoscritta il 9 aprile 2013 con la stessa Coni Servizi spa con cui quest'ultima ha riconosciuto alla federazione 1.500.000 euro per i lavori svolti negli anni precedenti e regolarmente documentati nella piscina del Foro Italico data in gestione alla federazione nel 2006; pertanto la federazione avrebbe ottenuto un contributo governativo che è stato regolarmente impiegato e in aggiunta nel 2013 ha ricevuto un rimborso dalla Coni servizi spa per spese anticipate. Nell'ambito delle opere realizzate negli anni 2005-2012, la Federnuoto avrebbe superato di 1700.000 euro l'importo del contributo statale per le sole opere di manutenzione ed implementazione, anticipando anche spese a carico del Coni per lavori di manutenzione straordinaria indispensabili a garantire il regolare funzionamento dell'impianto natatorio del Foro Italico;
   a ciò si aggiunga anche la questione di alcuni rimborsi per trasferte fantasma attualmente al vaglio del giudice del lavoro di Roma depositati da alcuni dipendenti della federazione che, pur inseriti nell'organico, avrebbero svolto la propria attività lavorativa in nero e successivamente licenziati perché reputati non più necessari;
   quanto alla ipotesi di truffa aggravata, resta il fatto che le indagini adesso sono in mano alla magistratura che sta facendo luce sulla vicenda dal momento che sembrerebbe che quelle fatture non dovevano essere oggetto di rimborso perché parte del finanziamento erogato alla federazione nel 2005 dal Ministero dell'economia –:
   se intendano, i Ministri interrogati, effettuare delle verifiche volte ad escludere un eventuale coinvolgimento dello stesso Coni in termini di responsabilità nella vicenda e ad accertare che non ci sia stata condotta omissiva o comunque una violazione delle previsioni statutarie e di legge;
   se i fondi erogati dal Ministero dell'economia e delle finanze siano effettivamente serviti a svolgere la funzione assegnata dal principio e se sia stata mantenuta una perfetta rispondenza dei costi con le finalità. (4-04554)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   TERZONI, DE ROSA, ZOLEZZI, MANNINO, DAGA, MICILLO, BUSTO e SEGONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   all'inizio del mese di aprile si è appreso da notizie apparse sulla stampa che nei vecchi pozzi petroliferi, e in particolare nelle vasche di accumulo, della Montedison a Cercemaggiore nel Molise i tecnici dell'Arpa Molise hanno misurato una radioattività dieci volte superiore ai valori normali;
   la ricostruzione di ciò che sarebbe avvenuto è molto dettagliata e parte dal giugno del 1981 quando la giunta regionale, che era anche l'ente preposto a eseguire i controlli, autorizza con la delibera n. 2210 la reimmissione dei fluidi associati alla produzione di idrocarburi liquidi per 120 mila metri cubi nel pozzo denominato Cercemaggiore 1 del cantiere estrattivo Capoiaccio. Le operazioni proseguirono in questo senso, nonostante l'opposizione da parte del consiglio comunale;
   nel 1987 in seguito all'attività di indagine dei carabinieri, che rilevarono un movimento sospetto di mezzi pesanti in arrivo e in partenza dal sito di Cercemaggiore, e trasmisero un rapporto alla prefettura di Campobasso , vennero accertate delle violazioni alle norme sulla tutela delle acque;
   nel 1988 la regione Molise autorizzò la Montedison ad immettere nel pozzo le acque proveniente soltanto dai giacimenti di Melfi. Il comune di Cercemaggiore si oppose di nuovo impugnando l'atto davanti al Tar e chiedendone la sospensiva e l'annullamento. L'udienza non si è mai tenuta con conseguente estinzione del processo nel 2003;
   altre indiscrezioni vengono riportate in un articolo apparso sul quotidiano «Il Tempo» che riferisce di smaltimenti in Molise a Cercemaggiore di reflui radioattivi provenienti in prevalenza dai pozzi della Montedison che in passato gestiva – riferisce Il Tempo – la concessione «Masseria Spavento» con una mezza dozzina di pozzi nell'area di San Nicola di Melfi dove venne realizzata la Fiat e l'incenerire Fenice;
   nel documento prodotto dall'Arpa Molise protocollo numero 3781, dove vengono riportati i dati delle rilevazioni condotte nei siti interessati, si legge appunto che le indagini hanno permesso di stabilire una diffusa presenza su determinate aree di una radioattività superiore anche di 10 volte il valore di fondo; 
   dalle analisi condotte anche mediante esame delle ortofoto storiche l'Arpam ha potuto rilevare che sull'area che si estende per circa 2,5 ettari, e che viene indicata con il nome di «Santa Croce 001», in origine insistevano elementi impiantistici tra cui serbatoi e vasche destinate alla decantazione delle acque di estrazione, per la successiva reiniezione nei pozzi di estrazione;
   analizzando la documentazione in suo possesso l'Arpam ha poi stabilito che in tali vasche venivano trattate non solo le acque provenienti da altri pozzi insistenti sul territorio di Cercemaggiore ma anche quelle provenienti da pozzi extra–regionali con chiaro riferimento alla Basilicata;
   valori elevati sono stati riscontrati anche nei luoghi attraversati dal fosso vernile che costeggia il sito indagato per uno sviluppo lineare di circa 1 chilometro. Le acque del fosso vengono poi sversate nel torrente Freddo con conseguente contaminazione di un'area molto vasta che è tuttora oggetto di attenzione da parte dell'Agenzia;
   nelle sue considerazioni l'Arpam si spinge a ipotizzare la causa dell'inquinamento parlando di carenze nella procedura di allontanamento dei residui di trattamento che doveva essere eseguita nelle acque, nelle melme e nei fanghi di perforazione all'interno delle vasche dove avveniva la sedimentazione;
   nelle conclusioni l'Arpam auspica l'intervento di tutti gli organi preposti, ciascuno per le proprie competenze, al fine di tutelare la salute dei cittadini –:
   se trovino conferma le notizie riprese dalla stampa locale;
   quali iniziative concrete e immediate, per quanto di competenza, intenda assumere al fine di tutelare la salute dei cittadini che risiedono nei pressi dell'area inquinata;
   se il Ministro, alla luce di eventuali verifiche tecniche effettuate sullo stato di inquinamento delle acque e del suolo e sullo stato di conservazione di ambienti naturali disposte ai sensi dell'articolo 8, comma 2 della legge n. 349 del 1986, non ritenga opportuno, nel rispetto delle competenze delle regioni e degli enti locali, disporre verifiche e controlli da parte del personale appartenente al comando carabinieri tutela dell'ambiente (CCTA), in relazione all'oggettivo pericolo per la popolazione residente. (4-04556)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la località «via Lagnuolo» nel comune di Marigliano (Napoli) è una delle aree della Campania a più alta criticità ambientale;
   nel 2003, a seguito di indagini condotte dall'Agenzia regionale di protezione ambientale della Campania (ARPAC) in alcune zone del vasto territorio comunale di Marigliano (Faibano, Strarza, via S. Barbara, via Sentino e via Lagnuolo), fu accertata una pericolosa contaminazione da diossina per l'altissima concentrazione di diossine, furani e PCB negli strati superficiali di terreno, nel sottosuolo e persino nell'erba;
   nel 2005 la zona di via Lagnuolo nel comune di Marigliano (Napoli) fu inserita nel piano regionale di bonifica e dal 2006 fu compresa nel SIN (Siti da bonificare di interesse nazionale) «Litorale Domitio Flegreo e Agro Aversano» con il codice 3043C016 poi successivamente modificato in 3043A016, matrici inquinate Sottosuolo, con un indice di rischio pari a 37,40;
   a distanza però di quasi nove anni dalle indagini, i necessari interventi per la messa in sicurezza d'emergenza del sito, previsti dal piano di bonifica regionale e poi dal SIN, non sono stati né progettati né realizzati;
   il protrarsi di questa pericolosa situazione ha arrecato danni gravissimi all'ambiente, all'agricoltura e alla stessa salute dei cittadini di Marigliano che, da lunghissimo tempo, sono costretti a subire sulla propria pelle gli effetti devastanti di questo disastro che ha raggiunto nel cosiddetto «triangolo della morte» (Marigliano, Acerra, Nola) proporzioni da genocidio silenzioso –:
   se i Ministri interrogati siano al corrente della forte concentrazione di diossine e furani ed altre sostanze potenzialmente nocive nel suolo e nel sottosuolo dell'area di via Lagnuolo a Marigliano (Napoli);
   se non ritengano di dover chiarire le ragioni di ritardi, condotte omissive, inefficienze e responsabilità relative alla mancata bonifica dei suoli contaminati nonché del mancato ripristino ambientale dell'area;
   se siano state effettuate le indispensabili operazioni di perimetrazione, segnalazione dei pericoli, caratterizzazione e isolamento dei terreni contaminati da diossine e furani;
   se siano stati installati i necessari sistemi per la cattura e il trattamento del percolato liquido e il vapore acqueo dei terreni inquinati;
   se non ritengano opportuno effettuare, considerato il lungo tempo di degradazione, ulteriori campionamenti e misurazioni su tutta la località Lagnuolo a Marigliano e delle zone immediatamente contermini;
   se non ritengano di dover avviare un monitoraggio capillare del suolo e del sottosuolo su tutto il territorio del comune di Marigliano (Napoli) per individuare l'eventuale presenza di altre sostanze tossiche o nocive e valutare i potenziali rischi per l'ambiente, la salute umana e le attività agricole. (4-04557)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   nell'area ex Alfa di Arese, all'interno dell'ex stabilimento Alfa Romeo, vi è un museo dedicato ad automobili, locomotive, trattori, che ospita anche foto d'epoca e manifesti promozionali, raccolti dal Centro documentazione storica; esso racconta il passato di un territorio e la storia di un marchio che ha fatto grande l'Italia nel mondo e che ancora oggi gode di un prestigio che pochi altri nomi hanno; dall'inizio del 2011 il museo è stato chiuso al pubblico, mentre la volontà delle amministrazioni comunali è quella di ottenerne una riapertura, come confermano i comuni di Arese e Rho, anche a seguito di una serie di incontri avuti con i rappresentanti di Fiat, nel rispetto del vincolo della Sovrintendenza dei beni culturali sull'area a tutela del patrimonio e della sua localizzazione; in vista di Expo 2015 il museo potrebbe rappresentare la storia industriale della Lombardia e dell'Italia e sarebbe in grado, con una giusta riqualificazione, di diventare polo di attrazione turistica e di sviluppo per l'area interessata;
   la sua riapertura potrebbe essere una grande occasione per rilanciare la tradizione industriale del made in Italy, oltre a rappresentare il potenziale volano della riqualificazione dell'area ex Alfa Romeo, intorno alla quale ricostruire un nuovo e virtuoso sistema territoriale; Fiat si è dichiarata assolutamente disponibile e il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo sta valutando le prescrizioni in materia di rispetto delle caratteristiche storico-artistiche del sito –:
   quali iniziative di competenza i Ministri interpellati intendano intraprendere a sostegno di tale progetto, oltre a garantire che le relative procedure presso la soprintendenza possano essere portate al più presto a termine affinché si possa arrivare alla riapertura del museo in tempo utile per l'avvio di Expo 2015.
(2-00510) «Rampi, De Maria, Cimbro, Peluffo, Ginoble, Brandolin, Quaranta, Pilozzi, Bersani, Lavagno, Daniele Farina, Palazzotto, Carrozza, Laforgia, Grassi, Beni, Scotto, Moretti, Ventricelli, Sbrollini, Braga, Gregori, Faraone, Gianni Farina, Boccuzzi, Mosca, Vaccaro, Orfini, Raciti, Quartapelle Procopio, Scuvera, Porta, De Micheli, Fabbri, Zardini, Incerti, Cuperlo, Blazina, Campana, Dell'Aringa, Guerra, Giovanna Sanna».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GIANCARLO GIORDANO, COSTANTINO, FRATOIANNI e DANIELE FARINA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   è a conoscenza degli interroganti che l'amministrazione del comune di Melegnano (Milano) intende realizzare un parcheggio per autoveicoli nelle aree storiche del fossato del locale Castello mediceo;
   la previsione è contenuta nel piano urbano del traffico del comune, attualmente sottoposto a procedura di valutazione ambientale strategica (VAS);
   il piano, presentato pubblicamente alla città il 5 dicembre 2013 e pubblicato sul sito web del comune, prevede la realizzazione, nella porzione est dello storico fossato del castello, di 35 posti auto;
   il Castello mediceo di Melegnano, di alto interesse storico, artistico e ambientale risale all'XI secolo – fu edificato nel 1243, ampliato da Matteo Io Visconti e nel 1532 passò a Gian Giacomo Medici – ed è stato restaurato nel decennio scorso dapprima (1998) prima con l'intervento nelle aree circostanti e poi nelle sale, contenenti affreschi realizzati nella metà del XVI secolo e, infine, riaperto al pubblico (2001);
   sulla questione della costruzione del parcheggio per auto è stata informata la Soprintendenza ai beni architettonici della provincia di Milano, nella persona del Soprintendente e, risulta iniziata anche una raccolta di firme tra i cittadini di Melegnano e dei comuni della zona, affinché il bene monumentale in questione resti integro sia per i melegnanesi sia per i cittadini della zona, come bene appartenente alla comunità allargata –:
   quali iniziative il Ministro interrogato, per quanto competenza, intenda intraprendere per affrontare in termini di urgenza il problema esposto al fine di sanare tale macroscopico errore, dovuto forse ad avviso degli interroganti a scarsa conoscenza del valore storico dei beni monumentali e ambientali, a cui occorre porre rimedio. (5-02659)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   DI GIOIA. — Al Ministro della difesa, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 15 aprile 2014, alcune centinaia di persone provenienti dal Sulcis hanno manifestato davanti al Palazzo della regione a Cagliari;
   i motivi della protesta, contenuti in una piattaforma di rivendicazioni, riguardavano problematiche inerenti alla pesca, all'agricoltura, ai trasporti e all'industria, in pratica i problemi che affliggono in maniera sempre più stringente il territorio più povero dell'intera isola;
   al centro dell'iniziativa era il cosiddetto «piano Sulcis» che resta in attesa di articolazioni chiare e coordinate;
   altra tematica particolare era il mancato invio degli indennizzi del 2012 per gli operatori della piccola pesca danneggiati dallo sgombero di specchi d'acqua utilizzati per esercitazioni militari –:
   se e quando si intenda dare vita a tavoli tematici specifici, con la partecipazioni delle istituzioni locali e dei rappresentanti delle categorie interessate, per avviare concretamente il tanto atteso «piano Sulcis»;
   per quale motivo non si sia corrisposto quanto dovuto agli operatori economici della pesca che, in una situazione di profonda crisi, debbono subire anche limitazioni per via di operazioni militari ed entro quanto si intenda, ovviamente con la dovuta urgenza, dare loro quanto dovuto. (4-04540)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BENI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 25 marzo 2014 è stata trasmessa dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ai direttori generali degli istituti penitenziari una nota avente ad oggetto la richiesta dati da parte dell'Associazione Antigone;
   in particolare, la nota prevede che le richieste di dati e informazioni sugli istituti penitenziari formulate dall'Associazione Antigone dovranno essere indirizzate direttamente al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, al fine di evitare incoerenze pregiudizievoli all'immagine esterna dell'amministrazione;
   l'Associazione Antigone, che dal 1998 è autorizzata a svolgere attività di ricerca, osservazione e narrazione pubblica delle condizioni carcerarie, ha tenuto a precisare come tale decisione possa rappresentare un inspiegabile passo indietro che si tradurrà in ritardi nell'assunzione delle informazioni di rilevanza pubblica e in una burocratizzazione del rapporto tra la società civile e l'organizzazione penitenziaria;
   da sempre l'Associazione opera con trasparenza e nel pieno rispetto della sicurezza e della privacy dei dati e delle informazioni ricevute per informare l'opinione pubblica sulle condizioni di vita nelle carceri, pertanto risulta incomprensibile la motivazione riportata nella nota del dipartimento in ordine all'immagine esterna dell'amministrazione penitenziaria –:

se non ritenga opportuno rivedere i contenuti della nota trasmessa dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, al fine di consentire all'Associazione Antigone di poter raccogliere dati e informazioni con le stesse procedure finora seguite. (5-02660)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DI GIOIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   un detenuto di 22 anni di nazionalità romena ha tentato, pochi giorni orsono, il suicidio nel reparto «protetti omosessuali» del carcere di Foggia, reparto aperto da pochi giorni, ed è stato salvato dall'intervento degli agenti di polizia penitenziaria;
   la notizia è stata data dal segretario generale del Coordinamento sindacale penitenziario (Cosp), Domenico Mastrulli, che ha anche fatto presente che si è arrivati al sesto tentativo di suicidio nelle carceri pugliesi dall'inizio dell'anno;
   il detenuto in questione è stato trasportato agli Ospedali Riuniti di Foggia, dov’è tenuto sotto osservazione;
   il Coordinamento sindacale penitenziario ricorda nella nota che nelle carceri italiane sono ospitati 60.109 detenuti tra uomini e donne, dei quali 20.664 stranieri;
   in Puglia i detenuti sono 3.661, dei quali 669 stranieri e 162 donne, mentre la capienza è di 2.431 posti;
   la struttura di Foggia è una di quelle maggiormente in difficoltà anche per mancanza di organico;
   tale episodio ripropone la necessità di intervenire con urgenza sul dramma carceri in Italia a cominciare da strutture, come quella nella città di Foggia, che rischiano, da un momento all'altro, di «esplodere» –:
   se e quali nuove notizie si abbiano in merito all'episodio di cui alle premesse e se il nuovo reparto, «protetti omosessuali», sia dotato di strutture e personale adeguato alle necessità;
   come s'intenda operare per porre fine alle condizioni di sovraffollamento e di precarietà in cui sono costretti a vivere i detenuti nella maggioranza dei penitenziari, con il risultato che i più «deboli» fra di loro cercano di fuggire da queste situazioni attraverso il suicidio;
   se non si ritenga necessario rivedere le piante organiche del personale degli istituti penitenziari viste le difficoltà estreme in cui, gli operatori del settore, sempre più spesso si trovano a intervenire, stante la cronica carenza di organico. (4-04538)


   CIRIELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   a seguito della riforma delle circoscrizioni giudiziarie, nell'ottica di una presunta razionalizzazione delle spese del settore giustizia, sono state soppresse anche le sedi distaccate di Amalfi, Cava De’ Tirreni, Montecorvino Rovella e Mercato San Severino;
   in particolare, tale decisione ha comportato l'accorpamento delle sezioni di Cava De’ Tirreni e di Mercato San Severino al Tribunale di Nocera Inferiore;
   un simile provvedimento non ha tenuto conto delle peculiarità del tribunale di Cava De’ Tirreni, seconda città della provincia di Salerno con i suoi oltre 50 mila abitanti, sede storica della pretura fino alla riforma del 1998, in un territorio che già negli anni Ottanta registrava un primato di criminalità e dove negli ultimi anni il numero dei processi, civili e penali, è cresciuto esponenzialmente, anche sotto il profilo qualitativo;
   l'imponente ampliamento della popolazione amministrata dal tribunale di Nocera Inferiore ha implicato un incremento dei carichi di lavoro, sia per il settore penale che per quello civile, del 25 per cento, senza però che sia stato assicurato alcun significativo potenziamento di magistrati, né di ausiliari;
   oltre al danno per i cittadini e per gli operatori del settore, gli avvocati appartenenti ai Fori di Cava De’ Tirreni e Mercato San Severino denunciano anche la beffa;
   sembrerebbe, infatti, che tali professionisti, oltre al pagamento dei diritti di segreteria e delle spese per il nulla osta, necessario per il trasferimento presso l'Ordine di Nocera Inferiore, previa cancellazione dall'Albo, si sarebbero trovati nella situazione di dover pagare ben due quote di iscrizione di 140 euro e 180 euro, rispettivamente all'Ordine degli Avvocati di Salerno e a quello di Nocera Inferiore;
   se tale assurda situazione fosse confermata, sarebbe l'ennesimo colpo ai danni di una categoria, quale quella dell'avvocatura, già bistrattata dalla revisione geografica giudiziaria, che soprattutto nel territorio salentino potrebbe portare a una paralisi generale della macchina giudiziaria:
   la specifica congiuntura economica degli ultimi anni, unitamente ai provvedimenti di riforma del settore avviati dagli ultimi Governi, ha portato a una situazione di crisi per le professioni intellettuali e, in particolare, per l'avvocatura che ormai versa in una situazione di emergenza –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda adottare per verificare la legittimità delle determinazioni assunte dall'Ordine degli Avvocati di Nocera Inferiore e di Salerno che hanno portato al contestuale pagamento di due quote di iscrizione. (4-04546)


   CATANOSO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con una intervista rilasciata su «Biologi Italiani» organo ufficiale dell'ordine Nazionale dei biologi, il presidente, dottor Ermanno Calcatelli ha annunciato la creazione della «Fondazione dei biologi»;
   secondo quanto riportato nella intervista, la fondazione... «dovrà avocare enormi responsabilità per valorizzare la figura del biologo. Potrà sostenere l'aggiornamento ed il perfezionamento tecnico scientifico della categoria, educare al rispetto dell'ambiente, promuovere la cultura scientifica, istituire scuole di preparazione all'esercizio della professione, ...avviare iniziative editoriali, istituire borse di studio e di ricerca scientifica...»;
   i propositi dell'ordine nazionale dei biologi, tuttavia, a parere dell'interrogante, confliggono con le funzioni e le finalità attribuite per legge all'ordine medesimo o addirittura si pongono in concorrenza con i compiti istituzionali svolti dallo stesso, con una inutile implementazione di costi e sperpero di risorse che, pare di capire, debbano essere trasferite dall'ordine al nuovo soggetto;
   a titolo esemplificativo, basti pensare alla formazione ed all'aggiornamento professionale degli iscritti che la legge attribuisce alla competenza degli ordini;
   nel caso invece delle ipotizzate «iniziative editoriali e scuole di preparazione all'esercizio della professione», la loro realizzazione, per il tramite di una fondazione appositamente istituita, rappresenta una vera e propria elusione della normativa che vieta agli ordini lo svolgimento di tali compiti;
   peraltro, la caratterizzazione commerciale di attività come quelle descritte, seppur in capo ad un ente diverso dall'ordine ma da questo presumibilmente finanziato, rischierebbe di compromettere la funzione primaria di tutela della professione svolta dall'Ordine;
   senza considerare, infine, in un momento storico come quello attuale di grave crisi economica, la duplicazione dei costi e la illegittima utilizzazione delle contribuzioni e delle risorse degli iscritti per pagare oneri e spese di funzionamento della Fondazione –:
   se il ministro vigilante sia a conoscenza della iniziativa assunta dall'ordine nazionale dei biologi e se sia stato formulato un parere o un giudizio sulla stessa;
   quali iniziative, il Ministro vigilante intenda adottare per tutelare e garantire il rispetto delle funzioni attribuite all'Ordine dei biologi e le prerogative e i diritti degli iscritti. (4-04568)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


   CRIVELLARI e MOGNATO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'attuale situazione di crisi che colpisce tutti i settori dell'economia e del comparto produttivo, compreso quello dei trasporti, e nello specifico il trasporto pubblico locale, non sembra fare eccezioni come confermato peraltro dalle crescenti situazioni di difficoltà manifestate da parte delle aziende nel far fronte ai propri impegni economici con fornitori e dipendenti;
   questa situazione, che accomuna tutte le aziende italiane operanti nel settore del trasporto pubblico locale, finisce inevitabilmente per pesare e ripercuotersi maggiormente su quelle di dimensioni medio-piccole, che hanno dunque difficoltà più grandi di avvicinarsi e accedere al sistema bancario;
   anche in Veneto non mancano le segnalazioni di casi di difficoltà (come quello che si registra ad esempio, a Rovigo, con l'azienda Garbellini, che nel mese in corso non ha potuto provvedere al pagamento degli stipendi dei propri dipendenti, scoglio aggirato soltanto grazie all'interessamento e all'intervento diretto dell'amministrazione provinciale che dovrebbe consentire all'azienda di far fronte a questa pendenza, anticipando essa stessa la somma necessaria anche se in futuro non esistono garanzie in tal senso);
   a tutt'oggi non risulta operativo il decreto ministeriale di riparto del primo sessanta per cento del fondo nazionale trasporti, situazione che – per esempio – impedisce nel caso di specie di eseguire l'accertamento in entrata da parte della ragioneria della regione Veneto e, al contempo, di effettuare le conseguenti operazioni di liquidazione delle spettanze relative ai primi mesi del 2014, ma che in molti altri casi obbliga le stesse aziende ad anticipare i finanziamenti regionali attingendo a fidi bancari –:
   se il Governo intenda intervenire per far fronte alla situazione di cui sopra adottando il decreto ministeriale per il pagamento della prima tranche di riparto del fondo nazionale trasporti. (4-04539)


   LUIGI DI MAIO e DELL'ORCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che: 
   secondo le statistiche elaborate da Istat–Aci (Area professionale statistica), il numero annuo di incidenti stradali mortali dovuti ad urti contro ostacoli fissi (pali di pubblica illuminazione, alberi, e altro) è molto alto, con un elevato costo complessivo per la collettività;
   basti pensare che il numero di incidenti contro ostacoli fissi è stato pari a 3.594 nell'anno 2010, 3.775 nel 2011 e 3.543 nel 2012; il numero di morti in tali sinistri è stato pari a 190 nell'anno 2010, 177 nel 2011 e 171 nel 2012; il numero di feriti è stato pari a 4.518 nell'anno 2010, 4.739 nel 2011 e 4.496 nel 2012;
   come emerge chiaramente dalla lettura delle statistiche sopra citate si tratta di una situazione la cui soluzione non è più rinviabile, anche alla luce del fatto che, per il solo 2012, ha comportato un aggravio economico che può essere stimato in circa 447 milioni di euro. Infatti, come recentemente stimato dal Ministero interrogato, il costo per decesso è di circa 1,5 milioni di euro e quello per ferito di circa 42.500 euro;
   come anche la cronaca recente ha più volte riportato, gran parte di tali incidenti è causata da ostacoli fissi situati in punti troppo vicini alla sede stradale. Ciò è avvenuto in spregio ai numerosi regolamenti, leggi e norme tecniche esistenti che vietano l'installazione anomala di ostacoli fissi; all'osservanza di tali normative sono tenuti gli enti che, a vario titolo, hanno la responsabilità della progettazione, realizzazione, manutenzione e controllo degli impianti che costituiscono pertinenze delle strade, come regioni, province, comuni, ANAS e altri gestori degli impianti di pubblica illuminazione –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e quali misure – anche di carattere normativo – intenda per quanto di sua competenza assumere per la rimozione degli ostacoli fissi fuori legge presenti in numero assai rilevante sulle strade italiane. (4-04559)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Eav Bus (1.205 lavoratori al 1o marzo 2013, oltre al relativo indotto), di proprietà dell'Ente autonomo Volturno, che a sua volta è di proprietà della regione Campania, è stata dichiarata fallita dal tribunale di Napoli con sentenza del 14 novembre 2012, n. 38 del 2012;
   in data 24 aprile 2013 la corte di appello di Napoli ha depositato la sentenza n. 57 del 2013 con la quale dichiarava Eav Bus, ferma la dichiarazione del suo fallimento, in possesso dei requisiti soggettivi previsti dall'articolo 2, comma 1 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, per l'ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria disciplinata dal medesimo decreto legislativo;
   non avendo alcuna delle parti proposto ricorso in Cassazione nel termine di legge, la decisione della corte di appello è passata in giudicato in data 24 maggio 2013;
   al momento del suo fallimento, Eav Bus esercitava servizio di trasporto pubblico con una flotta di 540 autobus con un bacino di utenza di circa 2,2 milioni di abitanti e circa 1.300 lavoratori;
   con decreto del 20 giugno 2013, il tribunale di Napoli ha invitato la curatela a depositare in cancelleria ed a trasmettere al Ministero dello sviluppo economico una relazione motivata circa l'esistenza delle condizioni previste dall'articolo 27 del decreto legislativo n. 270 del 1999;
   in tale relazione, si legge che «le oggettive difficoltà ed inefficienze che affliggono l'azienda, rendono la prospettiva di riequilibrio un obiettivo che sembra privo di quel requisito di concretezza che è condizione di ammissione alla procedura di cui al decreto legislativo n. 270 del 1999»;
   a parere dell'interrogante non si tiene conto delle potenzialità che il settore esprimerebbe alla luce della grave crisi in Campania con la necessità di un trasporto locale efficiente e capace di essere perfino fonte di profitto se ben gestito, senza tener conto dell'abbattimento dell'inquinamento ambientale. Infatti, sempre nelle conclusioni della relazione della curatela fallimentare (ex articolo 35 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270), si legge che «il mercato, sia pure in termini di affitto e non di acquisizione aziendale, sembra, contrariamente all'opinione dei curatori, credere in una possibilità di recupero dell'attività imprenditoriale e di ricostruzione di un equilibrio economico finanziario»;
   inoltre, nella stessa relazione si indicano chiaramente le colpe e le incapacità di una governance che ha portato al rilevamento, da parte di EAV BUS, di aziende «per lo più disastrate e con eccessivi carichi di personale»;
   sarebbe stato, a tal proposito, necessario un risanamento che avrebbe dovuto condurre all'equilibrio di bilancio con piani mai realizzati, infatti le criticità del piano di risanamento «piano operativo gestionale 2013/2015», mai decollato, sono riconducibili dalla curatela fallimentare alla mancanza di due elementi essenziali «il sostegno finanziario dei soci e il cambiamento drastico della corporate governance»;
   trascorso un anno e mezzo circa dal fallimento, dopo due contratti di solidarietà che gravano sui bilanci dell'INPS e della regione Campania (Fondo di solidarietà), i conti sono in profondo rosso: secondo quanto risulta al deputato interrogante, pare che si perda un milione di euro al mese;
   nel frattempo, la situazione negli impianti è catastrofica: il personale nella maggior parte degli impianti risulta inutilizzato perché i fondi regionali non arrivano ed i mezzi rimangono fermi nei depositi;
   la regione Campania, le province, i comuni si sono attrezzati concedendo a privati le concessioni per gestire il trasporto pubblico e svolgendo un servizio che solo sulla carta rimane ad EAV Holding;
   è di questi giorni la notizia che la regione Campania sembra aver avviato e quasi concluso l'affidamento di 7 corse ad un privato ischitano (Schiano Bus), in procinto di riprendere ad effettuare i 250 mila chilometri anno che effettuava, tempo addietro, la Pegaso. Inoltre, la cooperativa Tasso di Sorrento ha provato l'idoneità dei propri automezzi sui percorsi che a breve la provincia di Napoli si appresterebbe ad affidarle –:
   se il Governo non ritenga doveroso intervenire con apposito atto per estendere i poteri del commissario Pietro Voci (già nominato per il risanamento di Eav Holding, ma esclusivamente per quanto riguarda il trasporto su ferro) affidandogli finalmente anche le deleghe del trasporto pubblico su gomma posto sempre in secondo piano rispetto al ferro;
   che cosa il Governo abbia intenzione di fare visto che il trasporto su gomma è lasciato con evidenza alla mercé dei privati, nonostante lo stanziamento di 10 milioni di euro (previsti dalla legge regionale 7 dicembre 2012, n. 32 e mai arrivati) per la manutenzione e ripristino del parco autobus;
   se il Ministro del lavoro non ritenga di dover inviare gli ispettori dell'INPS e dell'ispettorato del lavoro al fine di accertare se i soldi erogati per i contratti di solidarietà siano stati ben utilizzati, vista la cattiva gestione del personale, le spese per le consulenze esterne e l'utilizzazione di mano d'opera esterna nelle officine della suddetta azienda;
   se il Governo non ritenga, per quanto di sua competenza, di agevolare la proposta di supportare con appositi atti la costituzione di una cooperativa, che si sostituisca da subito alle attività dell'ex Eav Bus e che ne permetta la partecipazione alle successive gare per 1‘affidamento dei servizi di trasporto su gomma. (4-04566)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   MARTELLA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   viene chiamato knockout game ed è un fenomeno allarmante partito dagli Stati Uniti e che nelle ultime settimane ha fatto registrare alcuni episodi inquietanti anche in Italia;
   episodi, infatti sono stati segnalati a Roma, Venezia, Genova, Torino, Brescia e si teme che anche il ragazzo bengalese, Zakir Hoassin, morto a Pisa dopo 24 ore di agonia per l'aggressione a pugni da parte di ignoti, possa essere stato vittima di tale fenomeno;
   il «gioco» che tale non è consiste nella aggressione da parte di gruppi di ragazzi di ignari passanti, senza alcun preavviso, provando a «stenderli» con un solo pugno e in questo considererebbe il divertimento;
   negli Usa si registrano già diverse vittime e il fenomeno è diventato materia per l'FBI ed ora il contagio ha attraversato l'Atlantico raggiungendo Inghilterra e Italia;
   destano molta preoccupazione questi fenomeni emulativi che trovano nella rete un micidiale strumento di diffusione;
   occorre una capillare sensibilizzazione delle fasce giovanili, a partire dalle scuole medie, per evitare il diffondersi di pratiche pericolose come appunto quella del knockout game –:
   se e quali iniziative il Governo intenda promuovere, di fronte al diffondersi di simili episodi, al fine di attivare misure, in sinergia tra forze dell'ordine e scuole, destinate ad informare i ragazzi circa l'assoluta pericolosità di tali pseudo «giochi» e ad arginarne il «contagio».
(3-00779)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DAL MORO, D'ARIENZO, NACCARATO, ROTTA e ZARDINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi mesi sono emersi nel comune di Verona episodi di corruzione o presunta tale, da parte di dirigenti e amministratori pubblici;
   diverse inchieste televisive e giornalistiche hanno dipinto un quadro preoccupante rispetto ad un possibile inquinamento mafioso rispetto la gestione della cosa pubblica;
   il 17 febbraio la procura della Repubblica di Verona ha disposto l'arresto di Vito Giacino vicesindaco del comune di Verona, al quale è stato contestato il fatto di concussione continuata dal 2008 al 2013;
   nelle indagine emerse da questa inchiesta risulta che la ditta Soveco assegnataria assieme ad altri di opere pubbliche commissionate dal comune di Verona abbia effettuato lavori di ristrutturazione all'immobile riconducibile al vicesindaco Giacino;
   la ditta Soveco è un'importante società di costruzione veronese di proprietà di Sabrina Colturato e Francesco Urtoler. Francesca Colturato risulta ex moglie di Antonio Papalia, che secondo alcune notizie si occuperebbe di alcune attività della ditta Soveco;
   Antonio Papalia è stato coinvolto nel 1989 in un’ indagine per traffico di esplosivi dal sud al nord Italia e ha precedenti penali;
   gli interroganti hanno chiesto se corrispondeva al vero il fatto che l'informativa del nucleo di polizia tributaria di Verona numero 6164 del 16 luglio 2009 individuava legami tra Antonio Papalia e la Soveco spa, ma non hanno ancora ricevuto risposta; 
   l'opinione pubblica veronese è preoccupata e chiede chiarezza;
   gli interroganti non intendono sostituirsi alla magistratura, o rincorrere facili speculazioni politiche, ma chiedono chiarezza e certezza, ossia capire e conoscere fino in fondo il livello di penetrazione della criminalità organizzata nella pubblica amministrazione veronese –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   se la Soveco spa sia in possesso della certificazione antimafia prevista dalla normativa;
   se il Ministro per i fatti sin d'ora emersi dalle indagini e acquisite come reali elementi, o per quanto appurato dalle informative di organi dello Stato, ritenga che ci siano i presupposti di verificare anche attraverso l'istituzione di una commissione di accesso la presenza di infiltrazioni mafiose in grado di condizionare l'attività amministrativa del comune di Verona. (5-02667)


   FIANO, NACCARATO, ROTTA, D'ARIENZO e ZARDINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi mesi alcuni amministratori del comune di Verona e delle sue società partecipate sono stati coinvolti a vario titolo in inchieste della magistratura per reati contro la pubblica amministrazione;
   il 23 ottobre 2013 la procura della Repubblica di Verona ha disposto, per i reati di peculato, corruzione, abuso d'ufficio, gli arresti del direttore generale, due dirigenti e cinque funzionari della società Azienda gestione edifici comunali (Agec) del comune di Verona e di un imprenditore;
   il 17 febbraio 2014 la procura della Repubblica di Verona ha disposto l'arresto di Vito Giacino e, nell'ambito della stessa inchiesta, gli arresti domiciliari di Alessandra Lodi, avvocato e moglie di Giacino. A Giacino, vicesindaco e assessore all'urbanistica del comune di Verona, viene contestato il reato di concussione continuata dal 2008 al 2013;
   il 4 marzo 2014 la procura della Repubblica di Verona ha chiesto il rinvio a giudizio per i vertici di nove aziende partecipate del comune di Verona e per due componenti del consiglio d'amministrazione di AMT (Azienda mobilità trasporti). Le persone coinvolte sono: Ennio Cozzolotto (Transeco e Amia - Azienda multiservizi di igiene ambientale), Maurizio Alfeo (Amia e Ser.I.T.), Alfonsino Ercole (Amia), Carlo Alberto Voi e Germano Zanella (Amt), Francesco Barini (Amt), Carla Sarzi (Amia e Amt), Stefano Zaninelli (Atv - Azienda Trasporti Verona), Giampietro Cigolini (Agsm - Azienda Generale Servizi Municipali, Amia), Giuseppe Canestrari e Riccardo Delfanti (Amt);
   il provvedimento, che ipotizza il reato di abuso d'ufficio, è stato assunto al termine delle indagini sulle assunzioni di parenti e conoscenti degli amministratori all'interno di aziende partecipate dal comune;
   il 1o aprile 2014, in seguito a polemiche su presunti illeciti amministrativi e rapporti con esponenti di famiglie vicine alla criminalità organizzata, si è dimesso Marco Giorlo, assessore del comune di Verona con deleghe a sport, casa, turismo;
   ai fatti sopra riportati in estrema sintesi si deve aggiungere che la trasmissione televisiva «Report», andata in onda il 7 aprile 2014, ha documentato i rapporti tra il sindaco di Verona Franco Tosi e la consigliera comunale Katia Forte e il presidente della provincia di Crotone Stanislao Zurlo e l'imprenditore Raffaele Vrenna. Le quattro persone sono state immortalate mentre partecipano a una cena a Crotone per raccogliere fondi per la fondazione del sindaco Tosi «Ricostruiamo il Paese». Per Zurlo è stato chiesto il rinvio a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa; Vrenna, condannato in primo grado e poi assolto, è stato definito dal capo della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro un «imprenditore border line»;
   nel corso della stessa trasmissione, come riportato dal quotidiano «L'Arena» in data 9 aprile 2014, sono emerse ulteriori notizie inquietanti. Un collaboratore di giustizia, Luigi Bonaventura, definito «reggente del clan Vrenna-Bonaventura», nel corso della citata trasmissione, ha raccontato di un incontro nel 2006 tra esponenti della criminalità organizzata e «imprenditori del nord venuti appositamente da Verona», al quale avrebbe partecipato «un componente della famiglia Giardino». Il citato articolo de «L'Arena» ha descritto una situazione dove esponenti politici dell'amministrazione comunale di Verona e alcuni imprenditori, «i Giardino, i Paglia, i Marziano», si sarebbero scambiati appoggi e favori in cambio di appalti e assunzioni nelle società partecipate dal comune;
   agli interroganti appaiono strane e incomprensibili le ragioni per cui il sindaco di Verona abbia deciso di organizzare una cena per raccogliere fondi a Crotone e abbia accettato la partecipazione di persone in contatto con la criminalità organizzata;
   in data 20 novembre 2013 gli interroganti avevano chiesto con interrogazione n. 4-02606 al Ministro dell'interno chiarimenti sulle relazioni tra la criminalità organizzata e l'impresa veronese Soveco spa;
   si ricorda che tale ditta, con sede a Verona in via Cà di Cozzi 41, è una società di costruzioni di proprietà di Sabina Colturato e di Francesco Urtoler. Soveco è una delle principali imprese operanti negli appalti pubblici del territorio di Verona e partecipa alla realizzazione del traforo delle Torricelle, del filobus, di tre impianti di biogas, di parcheggi e centri commerciali e della ristrutturazione dell'ospedale di Peschiera. Antonio Papalia, ex marito della Colturato, secondo notizie pubblicate dai quotidiani veronesi, si occuperebbe degli affari immobiliari della Soveco in Romania. Papalia è stato coinvolto nel 1989 in un'indagine per traffico di esplosivi dal sud al nord Italia, ha precedenti penali e sembrerebbe essere il socio occulto della Soveco. Gli interroganti in particolare hanno chiesto se corrispondeva al vero il fatto che l'informativa del nucleo di polizia tributaria di Verona numero 6164 del 16 luglio 2009 individuava legami tra Antonio Papalia e la Soveco spa. Gli interroganti non hanno ancora ricevuto risposta;
   la situazione dell'amministrazione comunale di Verona appare condizionata dall'azione dei diversi soggetti sopra indicati e ora oggetto delle indagini dell'autorità giudiziaria. Inoltre, la preoccupazione nell'opinione pubblica veronese per i fatti citati è aumentata dai rischi di una presenza di gruppi criminali in città e, più in generale, dalla cattiva amministrazione del comune –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   se la Soveco spa sia in possesso della certificazione antimafia prevista dalla normativa;
   se non ritenga il Ministro di sollecitare un intervento del prefetto di Verona ai fini di verificare in maniera approfondita e scrupolosa, con gli strumenti previsti dalla legge, la presenza di eventuali infiltrazioni criminali in grado di condizionare l'attività amministrativa. (5-02670)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MARCON e MOGNATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in seguito alla ricerca condotta dal commissario straordinario per la spending review, la quale ha determinato una riorganizzazione del corpo dei vigili del fuoco, sono state individuate in tutto il Paese 25 sedi distaccate, fra permanenti e miste, che dovrebbero essere chiuse con la prospettiva di una cospicua riduzione della spesa pubblica. Fra le succitate 25 sedi spicca il distaccamento di Cavarzere in provincia di Venezia, che si erge sul territorio a protezione dei suoi cittadini da ormai 50 anni svolgendo interventi ad ampio raggio che giungono a coprire le tre province di Venezia, Padova e Rovigo;
   la posizione del distaccamento in questione è a dir poco strategica poiché situata in un'area storicamente soggetta a tracimazioni fluviali e rischi idrogeologici di vario genere, ma anche caratterizzata da una altissima densità industriale. Nella zona di competenza del distaccamento dei vigili del fuoco di Cavarzere inoltre, si rileva la presenza di ben 4 centrali a biogas nonché della centrale di smistamento di gas metano della piattaforma Star – Adriatic LNG nell'Adriatico, di ben due aviosuperfici e del virtuale tracciato della cosiddetta Romea Commerciale, ovvero l'espansione dell'arteria stradale E45 che si prevede di realizzare, nonostante tutte le relative criticità, nei prossimi anni;
   il distaccamento di Cavarzere realizza una media di 400 interventi all'anno, vantando una frequenza operativa ben superiore a tutti gli altri 24 presidi che si intende chiudere e non solo –:
   se il Ministro interrogato non ritenga che la chiusura del distaccamento in questione rappresenterebbe un grave errore strategico sia in un'ottica di efficacia per la sicurezza che di efficienza in termini di spesa pubblica;
   quali iniziative urgenti intenda intraprendere per il mantenimento del presidio, così da garantire che, anche con lo sviluppo di grandi infrastrutture ed attività produttive, la sicurezza del territorio e dei suoi abitanti seguiti ad essere salvaguardata. (4-04542)


   MAESTRI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il distaccamento dei vigili del fuoco di Borgo Val di Taro (PR) è stato fondato nel 1973, ad oggi conta più di 50 vigili volontari in attività, e copre un'area di intervento che comprende i cinque comuni dell'Alta Val Taro (Borgo Val di Taro, Albareto, Compiano, Tomolo e Bedonia) benché spesso svolga interventi anche nei comuni di Bardi, Valmozzola, Berceto e sull'autostrada A15;
   il territorio coperto dall'azione del distaccamento è di circa 75.000 chilometri quadrati con una popolazione stabilmente residente superiore ai 25.000 abitanti. Ogni anno i volontari effettuano tra i 250 e i 350 interventi anche se in determinate circostanze (in particolare neve o eventi franosi) questi hanno superato soglia 400;
   l'immobile in cui risiede il distaccamento è di proprietà della cooperativa «Santa Barbara», costituita dagli stessi vigili del fuoco volontari;
   fino al 2013 il Ministero dell'interno ha liquidato alla cooperativa un contributo di 14.000 euro per la copertura dei costi di affitto dell'immobile. Dall'anno 2013 il contributo non è più stato corrisposto e il prefetto di Parma, dottor Luigi Viana, ha comunicato ai volontari e all'amministrazione comunale di Borgo Val di Taro che sarebbe intenzione del Ministero non riconoscere più rimborsi per l'affitto dei distaccamenti volontari e che gli stessi oneri dovrebbero essere ripartiti, pro quota, tra i comuni d'area –:
   se corrisponda al vero l'intenzione del Ministero dell'interno di non farsi più carico del contributo per l'affitto degli immobili che ospitano distaccamenti volontari dei vigili del fuoco, e segnatamente quello di Borgo Val di Taro, e se, nel caso, non ritenga di riconsiderare tale decisione in considerazione della valenza strategica dei presidi volontari in particolare nei territori di montagna. (4-04549)


   DI GIOIA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la scorsa settimana, i carabinieri del comando provinciale di Foggia, il Nucleo operativo ecologico (Noe) e la direzione investigativa antimafia, coordinati dalla direzione distrettuale antimafia di Bari, hanno condotto una vasta operazione contro un'organizzazione criminale responsabile di un traffico illecito di rifiuti;
   tale organizzazione criminale prendeva i rifiuti di numerose zone della Campania e li riversava, illecitamente, in provincia di Foggia (nella Capitanata) e in quella di Barletta-Andria-Trani (Bat), nonché nei territori di Benevento e di Potenza;
   tra gli arrestati compare una persona che figurava nella lista, consegnata alla Commissione parlamentare d'inchiesta sui rifiuti, da parte del pentito della camorra, Carmine Schiavone;
   agli indagati è contestato lo sversamento illecito di 5400 tonnellate di rifiuti di frazione umida e oltre 6500 di frazione secca;
   i fanghi di depurazione erano conferiti all'impianto di compostaggio della Biocompost Irpino s.r.l. di Bisaccia, in provincia di Avellino;
   in tale impianto, i rifiuti avrebbero dovuto subire il trattamento previsto, utile a trasformare i fanghi di depurazione in un ammendante da agricoltura, ossia un fertilizzante. Gli scarti, invece, erano solo triturati e miscelati per poi essere trasportati e, infine, abbandonati all'interno di un'ex cava, gestita dall'Edil C di Ordona;
   un sito questo in cui era in corso un ripristino ambientale e che, per giunta, si trova a poca distanza da Herdonia, area d'interesse archeologico;
   la frazione secca, invece, veniva conferita alla Spazio Verde Plus, una società cooperativa di Carapelle e poi giungeva in un impianto di stoccaggio di Foggia. Da qui, su camion era trasportata e abbandonata illecitamente in cave dismesse di Trani, nella Bat, e di Poggio Imperiale, nel Foggiano;
   inoltre, da quanto si apprende dalle indagini, grazie ad alcuni agricoltori compiacenti i rifiuti, erano scaricati e, in seguito bruciati, anche in terreni della Capitanata, di Potenza e di Benevento;
   gli inquirenti avrebbero escluso possibili pericoli per la salute dei cittadini, al contrario di quanto avvenuto nelle terra dei fuochi;
   va ricordato, a questo proposito che nella stessa relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, nella XVI legislatura, si evidenziava che «la Puglia, in virtù della vocazione prevalentemente agricola della sua economia, subisce i maggiori impatti ambientali a seguito degli illeciti connessi all'abbandono e allo sversamento illegale di rifiuti nelle aree agricole»;
   tali dichiarazioni, tuttavia, non chiariscono né l'entità dei danni all'ambiente e alle popolazioni locali né tantomeno quali sarebbero i dati tecnici a conoscenza degli inquirenti e, in ogni caso, non è possibile sottostimare un pericolo per la popolazione portando, come termine di paragone, l'enormità di quanto accaduto nelle terre dei fuochi –:
   se si abbia conoscenza, in maniera dettagliata, dei territori investiti dal traffico illecito di rifiuti di cui alle premesse e come intenda intervenire, per quanto di competenza, per mettere in sicurezza gli stessi e le popolazioni coinvolte;
   se siano coinvolte, in tale traffico illecito, le discariche del comune di Foggia e di Deliceto;
   se non si ritenga urgente trovare un raccordo con le istituzioni locali e regionali così da eseguire tutte le analisi e le verifiche del caso sui danni sino ad ora determinati dal traffico illecito di rifiuti e i conseguenti interventi che si renderanno necessari;
   se s'intenda avviare, attraverso l'istituto superiore di sanità, un'indagine epidemiologica aggiornata sugli eventuali effetti nocivi dovuti allo sversamento illecito di rifiuti;
   se si intendano fare accertamenti sulle produzioni agricole provenienti dalle aree interessate stanti i potenziali rischi per la salute umana in presenza di contaminanti che dal terreno passano nella catena alimentare attraverso, appunto, i prodotti agricoli. (4-04555)


   MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella scorsa legislatura era stata presentata l'interrogazione n. 4–15370, nella seduta n. 606 del 19 marzo 2012, che non ha mai ricevuto risposta;
   da tale atto ispettivo risulta che il signor Velo Bruno abitante a Schio (Vicenza), di professione commerciante, titolare della ditta CIA sas (Centro italiano antincendio) di Schio (Vicenza), abbia inoltrato, allora, ben 17 esposti alla procura della Repubblica di Vicenza, denunciando la mancata applicazione del decreto 7 gennaio 2005, recante disposizioni tecniche e disciplina delle procedure per la classificazione e l'omologazione degli estintori portatili di incendio ai fini della prevenzione incendi, allo scopo sottolineando che il sistema delle manutenzioni periodiche dei presidi antincendio difetterebbe dei presupposti tecnico–professionali necessari per una esaustiva applicazione delle norme allo scopo applicabili;
   risulta all'interrogante che gli esposti sono ora diventati 26, per una situazione che si trascina da ormai 9 anni –:
   se il Ministro non ritenga di dover attivare le iniziative di competenza al fine di acquisire informazioni sulle questioni esposte in premessa e, se del caso, provvedere a far accertare, in via amministrativa e indipendentemente dall'attività della magistratura, in maniera più specifica i fatti descritti nelle denunce di cui trattasi. (4-04562)


   NUTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   la sera dell'8 novembre 2013, Alberto Dell'Utri, fratello di Marcello, e Vincenzo Mancuso, sono stati intercettati mentre stavano cenando nel ristorante Assunta Madre di Roma, di proprietà di Gianni Micalusi, indagato per riciclaggio;
   dalle intercettazioni, così come riportato su tutti i principali quotidiani, risulta che i due discussero di un piano, in cui risulterebbe coinvolto anche Gennaro Mokbel, personaggio noto per i legami con la destra eversiva e coinvolto a vario titolo in numerose indagini, per consentire a Marcello Dell'Utri di fuggire in Guinea Bissau (Paese del quale possiede passaporto diplomatico) passando per il Libano, e lì trasferirsi per sfruttarne le ingenti risorse naturali;
   secondo ricostruzioni giornalistiche, Dell'Utri avrebbe sfruttato la conoscenza di Amin Gemayel, già Presidente del Libano dal 1982 al 1988 ed attuale candidato alla Presidenza alle imminenti elezioni, quale punto di appoggio in Libano;
   sempre secondo le intercettazioni del novembre 2013, i finanziamenti necessari per avviare quest'attività sarebbero stati eventualmente richiesti a Silvio Berlusconi, per un ammontare di 5 milioni di euro, sotto forma di donazione ad una sua ONLUS che opera in Africa;
   il 4 marzo la procura della Repubblica di Palermo ha richiesto il divieto di espatrio per Marcello Dell'Utri, visti i rischi di fuga, ma la corte d'appello di Palermo, il 10 marzo, ha respinto tale richiesta in quanto costituisce di un provvedimento non previsto per imputati in concorso esterno in associazione mafiosa, così come successivamente confermato dal tribunale del riesame circa 3 settimane dopo;
   il 24 marzo è stato visto su un volo da Parigi a Beirut e proprio nella capitale libanese viene individuato grazie alla traccia lasciata da una utenza telefonica a lui intestata;
   l'11 aprile la corte d'appello di Palermo ha accolto la richiesta formulata dalla procura della Repubblica di arrestare Dell'Utri, in quanto «è emersa con tutta evidenza che l'imputato intende lasciare l'Italia con la massima urgenza per recarsi a Beirut e ciò al fine di sottrarsi all'esecuzione della sentenza»: quando non è stato rintracciato in nessuno dei domicili in Italia, è stato emesso un mandato di cattura europeo ed attivata l'interpol;
   il giorno seguente, agenti dell’intelligence libanese e un agente italiano dell'interpol, hanno arrestato Marcello Dell'Utri in un hotel a 5 stelle di Beirut, il Phoenicia, dove stava soggiornando: con sé aveva 30 mila euro in contanti in pezzi da 50 e, secondo informazioni di stampa, non si aspettava di essere arrestato;
   secondo le prime dichiarazione rese dallo stesso Marcello dell'Utri, il soggiorno in Libano sarebbe stato dovuto a consulti medici: questo fattore appare agli interroganti piuttosto singolare, in quanto non si evince da alcun fattore che le cliniche libanesi siano dotate di risorse umane e strumentali migliori di quelle situate nel nostro Paese o, comunque, in Paesi a noi confinanti o comunque più vicini;
   nella giornata di domenica 13 aprile 2014, secondo quanto riferito dal quotidiano La Repubblica, sarebbe stato Silvio Berlusconi a chiedere a Marcello Dell'Utri di andare in Libano per conto del Presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, al fine di favorire l'elezione presidenziale di Amin Gemayel; inoltre, sempre secondo quanto riportato da organi di stampa, questa «missione» politica non sarebbe la prima e potrebbe anche configurarsi come un tentativo di influenzare il risultato di libere elezioni democratiche in un Paese straniero allo scopo di soddisfare non precisati interessi, forse anche personali;
   Marcello Dell'Utri, uno dei padri fondatori di Forza Italia, è stato condannato in secondo grado, dopo un primo annullamento da parte della Corte di Cassazione, a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa;
   le autorità italiane hanno chiesto l'estradizione di Marcello Dell'Utri, attualmente sotto la custodia delle autorità libanesi, in virtù del Trattato di reciproca assistenza giudiziaria vigente tra Italia e Libano;
   vi sono, tuttavia, alcune potenziali cause ostative all'estradizione, infatti, il trattato di reciproca assistenza giudiziaria prevede che: la domanda di estradizione corredata della documentazione necessaria deve essere presentata entro 30 giorni dall'arresto, trascorsi i quali l'arresto provvisorio scade e l'estradizione non può più essere richiesta; nella legislazione libanese non è previsto il concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso (reato per il quale è stato condannato in secondo grado Marcello dell'Utri), salva l'esistenza di un reato assimilabile qualificato come «associazione di malfattori»; poiché Marcello Dell'Utri ha ricoperto ruoli politici di grande rilievo in Italia (tra i quali co-fondatore di Forza Italia e parlamentare della Repubblica), nel valutare la richiesta di estradizione, il procuratore generale libanese potrebbe considerare «politica» l'imputazione e non accordare l'estradizione; infine, sarà il governo libanese in ultima istanza, con proprio decreto su proposta del Ministro della Giustizia, a doversi pronunciare in merito;
   la richiesta di estradizione potrà essere valutata solo a seguito dell'eventuale sentenza di condanna da parte della Cassazione e, in tal caso, sarà valutata dal procuratore generale del Libano, Samir Hammoud, con tempi che non sono però certi: secondo quanto riportato su organi di stampa, l'ultima volta che è stata formulata una richiesta di estradizione dal Libano, ci sono voluti due mesi prima che la persona incriminata giungesse fisicamente in Italia, e, viste le festività di Pasqua e la coincidenza tra quella cattolica e quella ortodossa, la chiusura degli uffici pubblici libanesi potrebbe causare un ulteriore allungamento dei tempi;
   secondo quanto scritto dalla rivista libanese Executive Magazine e ripreso da numerose agenzie di stampa, nel corso degli anni vi sono stati casi in cui le richieste di estradizione rivolte alle autorità libanesi hanno richiesto diversi anni per ottenere una risposta;
   il gruppo parlamentare «MoVimento 5 Stelle» alla Camera dei deputati, con una lettera datata 16 maggio 2013, cioè quasi un anno fa, indirizzata alla Presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, nel richiedere di adoperarsi per il tempestivo rinnovo delle delegazioni parlamentari presso le assemblee internazionali, poi regolarmente avvenuto, aveva segnalato i rischi di un uso improprio del passaporto diplomatico, ottenuto nel corso della legislatura precedente, del quale l'ex senatore Dell'Utri godeva allora in quanto componente in prorogatio della delegazione presso il Consiglio d'Europa;
   ad avviso degli interroganti, la vicenda presenta numerosi punti non chiari, a partire dalle responsabilità che hanno consentito la fuga di Marcello Dell'Utri, che, nella migliore delle ipotesi, porterà ad un innegabile allungamento dei tempi processuali;
   altrettanto singolare risulta essere il fatto che, nonostante fossero noti sin dall'8 novembre 2013 i rischi di una possibile fuga di Marcello dell'Utri e l'eventuale coinvolgimento di Silvio Berlusconi, non siano stati attuati sino al suo arresto, per la durata di ben 5 mesi, misure idonee quantomeno ad assicurarsi che non vi fossero fondati rischi di fuga, al fine di sottrarsi o comunque differire la data dell'imminente sentenza della Corte di cassazione;
   viste la familiarità dei luoghi e le conoscenze che può vantare, direttamente e indirettamente, Marcello Dell'Utri in Libano, non è affatto escludibile a priori, secondo gli interroganti, il rischio che si possa concretizzare una fuga verso altri Paesi, anche viste le particolari situazioni che presentano alcuni Paesi confinanti il Libano, come, ad esempio, la Siria;
   la certezza del diritto è un principio fondamentale del nostro ordinamento democratico e, in particolar modo in questo caso, vista la gravità dei reati per i quali Marcello Dell'Utri è stato già condannato in secondo grado di giudizio e il supposto coinvolgimento nella trattativa Stato-Mafia, assume una rilevanza ancor maggiore –:
   per quali ragioni non siano state preventivamente messe in atto tutte quelle misure volte ad assicurare il divieto di espatrio per Marcello Dell'Utri;
   per quali ragioni non sia stata attuata una maggiore e più stretta sorveglianza su Marcello Dell'Utri e le persone a lui legate, in particolare a seguito delle intercettazioni del novembre 2013;
   come si intenda procedere nel caso Marcello Dell'Utri non verrà estradato in Italia, anche in conseguenza di una o più cause ostative l'estradizione, elencate in premessa;
   come si intenda procedere nel caso Marcello Dell'Utri riesca a concretizzare un'ulteriore fuga dalla custodia delle autorità libanesi verso Paesi terzi. (4-04569)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MARZANA, SIMONE VALENTE, VACCA e DI BENEDETTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale n. 81 del 25 marzo 2013, ha modificato il decreto ministeriale n. 249 del 10 settembre 2010, istituendo il percorso formativo abilitante speciale (Pas) che prevede l'accesso al corso a docenti precari con almeno tre anni di servizio sprovvisti di abilitazione;
   con decreto direttoriale n. 58 del 25 luglio 2013, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, IV serie speciale concorsi n. 60 del 30 luglio 2013, sono stati attivati i corsi speciali per il conseguimento dell'abilitazione all'insegnamento e aperti i termini per la presentazione della domanda;
   la domanda di partecipazione ai percorsi abilitanti speciali doveva essere inoltrata per una sola regione, per una sola tipologia di classe di concorso di cui alle tabelle A, C e D del decreto ministeriale n. 39 del 1998 e trasmessa all'ufficio scolastico regionale della regione prescelta attraverso la piattaforma istanze on-line del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca dal 2 al 29 agosto 2013;
   nonostante il chiaro dettato normativo, la situazione riguardo all'attivazione da parte delle università dei percorsi abilitanti speciali appare non solo confusa ma soprattutto disomogenea a livello territoriale;
   in alcune regioni le università hanno provveduto ad attivare i PAS per determinate classi di concorso, mentre in altre regioni ciò non è avvenuto generando disfunzioni e sperequazioni tra docenti precari, in particolare in occasione dell'aggiornamento delle graduatorie previsto per maggio 2014;
   come si legge in numerose fonti di stampa nazionale di settore, molti atenei hanno mostrato una vera e propria ostilità all'attivazione dei Pas per alcune classi di concorso, ledendo così un diritto oggettivo dei docenti interessati e alimentando l'incertezza e la disuguaglianza nell'accesso ai percorsi abilitanti e alle graduatorie e generando dunque possibili contenziosi;
   in alcune classi di concorso l'elevato numero dei candidati porterà ad uno scaglionamento in tre anni, per cui solo alcuni aspiranti potranno accedere quest'anno al corso e aggiornare la propria posizione in graduatoria, mentre i candidati che non avranno avuto accesso ai Pas patiranno una disomogeneità di trattamento;
   si evidenzia la disomogeneità in tutta la penisola anche in relazione alla spesa per sostenere il corso, difatti gli interessati ai Pas, a copertura delle spese per l'erogazione dell'offerta formativa delle singole classi di abilitazione, sosterranno un costo che va dai 2000 euro fino a raggiungere, come nel caso delle università siciliane, picchi di 3000 euro, aggravando ulteriormente la precarietà economica di questi docenti, sia perché chiamati saltuariamente a coprire cattedre intere o spezzoni orari, sia perché costretti a sostenere le spese anche per gli spostamenti e per l'alloggio al fine della partecipazione;
   i ritardi e le criticità evidenziate, già segnalati al Ministero anche dalle organizzazioni sindacali, alimentano nei docenti interessati uno stato di incertezza alla quale si aggiungono la rinuncia a supplenze che, in caso di accettazione, avrebbero determinato in molti casi l'impossibilità di frequentare, in seguito, i corsi abilitanti;
   è utile evidenziare che il MIUR, contattato dall'interrogante di recente per reperire le informazioni relative alle classi di concorso avviate e in quali ragioni, ha comunicato che non è in grado di fornire tali dati in quanto gli stessi sono in possesso unicamente dei singoli uffici scolastici regionali;
   eppure, il Governo, nella persona del segretario di Stato pro tempore Marco Rossi Doria, nella seduta del 17 gennaio 2014, in risposta alla interpellanza urgente n. 2-00366 aveva assicurato, nei limiti consentiti dall'autonomia delle singole sedi universitarie, la riapertura della banca dati per l'aggiornamento delle indicazioni relative all'offerta formativa annuale e pluriennale da parte delle università al fine di assicurare la razionale ed omogenea distribuzione sul territorio dei corsi PAS;
   il decreto 81 del 2013, infatti, aveva espresso chiaramente l'esigenza di definire tempi e modalità di attuazione dei corsi speciali sopracitati, ai sensi dell'articolo 15, commi 1-bis e ss. del decreto ministeriale 249 del 2010 e di avviarne l'attivazione dal prossimo anno accademico 2013/2014 –:
   in relazione al fatto che il Ministro, ad oggi, non possiede i dati relativi alle classi di concorso e alle regioni in ordine ai quali sono stati avviati i Pas, quali contatti ed intese intenda avviare con gli uffici scolastici regionali e gli atenei al fine di reperire tali dati e rendere omogenea ed operativa la presenza e la distribuzione dei corsi nelle singole regioni;
   con quali tempistiche il Ministro intenda avviare definitivamente i percorsi abilitanti speciali, sciogliendo le criticità che ancora persistono, per garantire l'attivazione omogenea dei percorsi afferenti alle varie classi di concorso nelle diverse regioni;
   quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di ridurre i costi che i candidati sono tenuti ad affrontare per l'iscrizione ai PAS e come intenda garantirne l'omogeneità di spesa su tutto il territorio nazionale. (5-02664)


   CINZIA MARIA FONTANA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nelle scorse settimane, i dirigenti scolastici delle scuole cremonesi hanno ricevuto una intimazione-diffida da parte della direzione dell'ufficio scolastico regionale per la Lombardia di annullamento dei provvedimenti di ricostruzione della carriera dei direttori dei servizi generali ed amministrativi in servizio nelle scuole della provincia di Cremona;
   con l'istituzione della figura professionale del «direttore dei servizi generali ed amministrativi – DSGA» (dal 1o settembre 2000), l'amministrazione scolastica ha disposto l'inquadramento nel nuovo profilo professionale, senza soluzione di continuità, dei dipendenti già responsabili amministrativi delle scuole, attraverso il riconoscimento del precedente servizio ai fini della progressione di carriera;
   le norme di riferimento per la determinazione dell'inquadramento economico nel nuovo profilo professionale consentivano agli interessati di scegliere fra due sistemi di calcolo: la «ricostruzione della carriera» e la «temporizzazione»;
   in provincia di Cremona i decreti di ricostruzione della carriera dei direttori sono stati predisposti dalle scuole in applicazione della norma più favorevole per il personale, come previsto dall'articolo 66, comma 6, del CCNL/1995, nonché dal decreto del Presidente della Repubblica n. 399 del 1988. Ciò è avvenuto previa intesa con le locali ragionerie provinciali dello Stato. Pertanto i provvedimenti in questione sono stati regolarmente vistati e registrati dagli stessi organi di controllo;
   la disciplina prevista dall'articolo 66, comma 6 del CCNL/1995 è stata del resto confermata dal CCNL 24 luglio 2003, articolo 132. Inoltre, nel 2007 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con nota prot. n. 5491/A del 19 marzo 2007, ha fornito una interpretazione certa riguardante la ricostruzione della carriera dei direttori dei servizi generali ed amministrativi, prevedendo l'applicazione di quanto disposto dall'articolo 66, comma 6, del CCNL/1995 e non l'istituto della temporizzazione;
   ora, a distanza di circa dieci anni, l'ufficio scolastico regionale chiede l'annullamento dei provvedimenti di ricostruzione della carriera, imponendo il reinquadramento economico dei direttori dei servizi generali ed amministrativi secondo il metodo della «temporizzazione», con conseguente grave danno economico al personale in questione –:
   se e come il Ministro intenda intervenire per riconoscere ai direttori dei servizi generali ed amministrativi delle istituzioni scolastiche i decreti di ricostruzione della carriera così come già regolarmente vistati e approvati dalla ragioneria dello Stato, dando in questo modo una soluzione dignitosa e definitiva a questa categoria di lavoratori della scuola ed evitando l'insorgenza dei ricorsi da parte dei soggetti in servizio ed anche di quelli che già fruiscono del trattamento pensionistico, essendo sin troppo ovvio che i soggetti in questione, già fruitori degli effetti dell'atto definitivo che ha ricostruito la carriera dei medesimi, subiranno il pregiudizio conseguente all'atto di intimazione-diffida. (5-02665)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MARZANA, SIMONE VALENTE, VACCA e DI BENEDETTO. —Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge 3 maggio 1999, n. 124, all'articolo 6 comma 11, consente ai modelli viventi in possesso di idonei titoli di studio e che abbiano prestato almeno 5 anni di servizio, anche non continuativo, nelle accademie di belle arti e nei licei artistici, di accedere alle graduatorie ad esaurimento del personale ATA ai fini dell'assunzione in ruolo;
   il decreto ministeriale del 10 novembre 2011, n. 104, definisce i criteri di assegnazione del punteggio ai fini della costituzione delle graduatorie del personale ATA;
   con nota n. 1603 del 24 febbraio 2011 (punto 5) si è stabilito che ai fini dell'assegnazione del punteggio per la formazione delle graduatorie, sono considerati utili solo i periodi di lavoro prestati alle dirette dipendenze dell'amministrazione scolastica;
   la successiva nota n. 9319 del 14 novembre 2011 ha confermato la completa validità ed applicabilità dei requisiti d'accesso già disciplinati dalla nota n. 1603/2011 per la valutazione dei titoli (culturali e di servizio) utili alla formazione delle graduatorie d'istituto e di circolo;
   per quanto riguarda i contratti di lavoro atipico il decreto ministeriale 13 giugno 2007, che disciplina i criteri per la formazione delle graduatorie del personale docente ed educativo, nel punto n. 19 - note al punto D, valuta il servizio per gli insegnamenti non curriculari riconducibili all'area dell'ampliamento dell'offerta formativa;
   tale criterio è stato confermato con decreto ministeriale n. 62 del 13 luglio 2011 che disciplina le modalità di costituzione delle graduatorie d'istituto del personale docente ed educativo attualmente valide;
   il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, all'articolo 7, comma 6, stabilisce che le amministrazioni pubbliche, qualora non possano far fronte alle proprie esigenze con personale in servizio, possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti esterni;
   ciò legittima le amministrazioni scolastiche statali a conferire incarichi individuali con contratti di lavoro di natura atipica a supporto dell'attività didattica;
   il servizio svolto dai modelli viventi, anche con contratto di prestazione d'opera, risulta necessario ed imprescindibile nell'ambito del processo di insegnamento-apprendimento degli allievi delle accademie di belle arti e dei licei artistici;
   varie leggi intervengono per garantire il principio di parità e pari opportunità dei lavoratori come:
    l'articolo 3 della Costituzione che riconosce parità sociale a tutti i cittadini;
    la legge 20 maggio 1970, n. 300, articolo 16, che regolamenta il principio di non discriminazione dei lavoratori;
    il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, articolo 7, comma 1, che garantisce pari opportunità ai lavoratori e l'assenza di ogni forma di discriminazione, diretta o indiretta, relativa all'accesso al lavoro, nel trattamento e nelle condizioni di lavoro –:
   se, alla luce della possibilità concessa alle amministrazioni scolastiche di utilizzare lavoratori anche con contratti atipici di lavoro, non ritenga, con propria iniziativa, di adeguare l'attuale disciplina consentendo la valutazione del servizio prestato come modello vivente con contratti atipici di lavoro, per l'inserimento nelle graduatorie del personale ATA di III fascia delle graduatorie di circolo o di istituto.
(4-04541)


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'anno scolastico 2013/2014 è il, quarto anno di vita del Liceo Musicale ordinamentale introdotto dal regolamento dei licei adottato con il decreto del Presidente della Repubblica n. 89 del 2010;
   secondo il parere della FLC CGIL, la mancata attivazione di specifiche classi di concorso delle materie di indirizzo, ha comportato l'emanazione di norme che regolassero l'attuale fase transitoria. La stessa O.S., ritiene che negli scorsi anni, il comportamento poco lineare da parte del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ha avuto come inevitabile conseguenza una serie di variegate applicazioni delle norme nazionali a livello territoriale;
   nell'ultima bozza del decreto sulle utilizzazioni e assegnazioni provvisorie, nell'articolo 6 – bis regolamentante il reclutamento dei docenti dei licei musicali, è stata allargata la priorità di utilizzazione a tutta una serie di categorie di docenti non in esubero: per l'anno scolastico 2014/2015, oltre a prevedere, come per gli scorsi due anni, la possibilità di far domanda di utilizzazione a docenti di ruolo nella classe di concorso A77, classe di strumento musicale nella scuola secondaria di primo grado, da principio anche senza aver mai svolto servizio nella scuola secondaria di secondo grado, e l'anno successivo con obbligo del servizio (detto allegato E), la predetta bozza estende ulteriormente questa possibilità a docenti di ruolo nel sostegno, se in possesso di diploma di strumento musicale e dopo aver compiuto i 5 anni obbligatori nel proprio ruolo, nonché ai docenti di ruolo provenienti anche da una provincia diversa da quella dove è ubicato il liceo musicale;
   il comma 11 del decreto recita: «Al fine di garantire la continuità didattica, i docenti già utilizzati presso i licei musicali ordinamentali in attuazione del presente C.C.N.I., hanno diritto a domanda alla conferma con priorità, sul posto o sulla quota oraria assegnata nell'anno scolastico 2013–2014», ove per «docenti già utilizzati» si intendono solo quelli di ruolo e non i precari;
   il comma 11 del decreto realizza una disparità di trattamento, tra docenti di ruolo e docenti precari;
   i docenti precari, possessori dell'allegato E, che hanno insegnato almeno un anno in un liceo musicale sperimentale o ordinamentale appartenenti alle graduatorie ad esaurimento o d'istituto, hanno diritto all'accantonamento del posto solo dopo la lunga operazione di utilizzazione, rendendo praticamente impossibile la loro riconferma del posto degli anni precedenti, anche nel caso in cui abbiano svolto servizio in quello stesso liceo per tre o quattro anni consecutivi, ossia fin dalla nascita dello stesso –:
   se non si ritenga opportuno, per quanto di competenza, rivedere il comma 11 del decreto, al fine di sanare la disparità di trattamento tra le due categorie di
insegnanti. (4-04544)


   DE MITA, DELLAI, AMENDOLA, GIANCARLO GIORDANO e CATANIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge 240 del 2010, promulgata dopo ampio e intenso dibattito entro e fuori del Parlamento nella dichiarata – in questo caso unanime – esigenza di dar disciplina ad un ambito per molti anni sottratto ad una ragionevole visione organica, era connotata da alcune linee portanti che nell'articolato e nelle note di accompagnamento ne indicavano lo spirito;
   nell'intento di apportare correttivi ad una diffusa distorta implicazione concretatasi nel porre in essere il principio costituzionale dell'autonomia universitaria, il legislatore interveniva nel pieno rispetto dell'articolo 33 della Costituzione, nonché senza intaccare il portato dell'articolo 6 della legge 168 del 1989 posto, per riserva di legge, a garanzia dell'autonomia;
   la normativa del 2010, senza propositi di censura sul passato scaturito dalla legge del 1989, intese piuttosto realizzare un dichiarato correttivo «virtuoso» alla pregressa «eccessiva» frammentazione e localizzazione determinatasi di fatto nelle procedure di reclutamento, muovendosi quindi nell'intento di porre in essere una disciplina volta a dare maggiore prestigio all'Università italiana in un quadro di maggiore efficienza, anche economica;
   nel contesto, infatti, di una complessiva riorganizzazione delle università, insieme alla «organizzazione del sistema universitario» (titolo I) e alla «qualità ed efficienza del sistema universitario» (titolo II), specifica attenzione e rivolta nel (titolo III della legge 240 al «riordino della disciplina concernente il reclutamento»;
   nella su citata legge si fa distinzione tra «requisito» abilitante ed effettivo «accesso», in quanto all'articolo 18 si prevede per l'accesso un'autonoma procedura di cui il possesso dell'abilitazione costituisce mero requisito dello studioso che verrà valutato comparativamente sulla base «delle pubblicazioni scientifiche, del curriculum e dell'attività didattica»;
   si palesava nella novella un'evidentissima discontinuità con i previgenti sistemi selettivi, volta a formulare, entro settori concorsuali proprio a tal fine ben più ampi di settori scientifico-disciplinari, elenchi di «potenziali» partecipanti ai concorsi dichiarati, intanto, «abili» senza tuttavia che l'abilitazione stessa possa mai di per sé costituire «titolo di idoneità» relativamente «al reclutamento in ruolo o alla promozione presso un'università», con il riconoscimento alle università di quell'autonomia garantita come principio fondamentale;
   circa il conseguimento dell'abilitazione, la valutazione «analitica» del titoli e delle pubblicazioni su cui fondare il «motivato giudizio» della commissione, i criteri e i parametri, «definiti con decreto del Ministro» (articolo 16) non sono da intendere come vincolo «assoluto», ma l'allontanarsi dai criteri predefiniti andava realizzato in ogni caso sulla base di «motivazione analitica», ossia ad una funzione analitica più raffinata, senza convertirsi in comportamenti esorbitanti la funzione espletata: in tal senso lo stesso «utilizzo di ulteriori criteri e parametri più selettivi ai fini della valutazione delle pubblicazioni e dei titoli», predeterminato dalla commissione (articolo 3 comma 3 del decreto ministeriale n. 76 del 7 giugno 2012), è espressamente previsto come «eventuale» e comunque da assumere «con atto motivato»;
   i criteri e i parametri fissati dagli articoli 4 e 5 dello stesso decreto ministeriale n. 76, lungi dal vincolare rigidamente i commissari, vengono proposti come strumento utile per segnalare, per quanto concerne la prima fascia, «una piena maturità scientifica dei candidati attestata dall'importanza delle tematiche scientifiche e dal raggiungimento di risultati di rilevante qualità ed originalità, ovvero, con riferimento alla seconda fascia, «la maturità scientifica» dei candidati intesa come il «riconoscimento» di un «positivo livello della qualità e originalità dei risultati raggiunti». In ambedue i casi, la commissione di valutazione abilitativa veniva meramente tenuta dalla norma ad attenersi ad un livello, rigoroso ed oggettivo, di sufficienza, non certo di comparazione;
   il Ministro pro tempore Carrozza in sede di risposta ad interrogazione proposta dall'onorevole Migliore nel question time del 15 gennaio 2014, in luogo di «abilitazione scientifica nazionale» ha parlato di procedure di valutazione comparativa, nel concreto svolgimento della procedura, rendendo chiaro come secondo gli interroganti un complessivo snaturamento del dettato normativo;
   il concetto di «abilitazione nazionale» era stato introdotto al fine di contrastare «episodi» diffusi di «localismo», di «frammentazione» e di «presunto arbitrio» realizzati da commissioni che però, pur in un contesto specifico, operavano sulla base di parametri che riflettevano, a ben vedere, criteri di giudizio condivisi dalla stragrande maggioranza del corpo docente del settore a livello nazionale. Le Commissioni «di concorso», nel periodo precedente all'introduzione della legge n. 240 del 2010, proprio nell'intento di far valere pur in sede locale gli orientamenti scientifici maggiormente accreditati in un settore scientifico-disciplinare, venivano nominate a scrutinio segreto: l'orientamento scientifico prevalente a livello nazionale in ogni settore scientifico-disciplinare aveva pur sempre, quindi, la possibilità di garantire un profilo alto e generale, rafforzato dal criterio della maggioranza dei commissari;
   l'apprezzabile intento originario della legge era volto alla stesura livello nazionale, invece che su base locale, liste di studiosi «validi per le successive valutazioni comparative» da svolgersi in sede locale, sulla scorta di «ampi» criteri, equi e oggettivi per quanto possibile: si mirava, così, a evitare a livello generale eventuali particolarismi. In tale prospettiva il ”superamento” del livello medio di produttività andava parametrato ad un arco temporale ravvicinato, in una espressa logica volta a favorire il ricambio generazionale, ma anche l'innovazione nella ricerca, secondo linee più recenti, non ad attribuire riconoscimenti al merito, pur doverosi, ma rispondenti ad una logica estranea alle dinamiche della modernità;
   l'andamento dei lavori delle Commissioni in generale e con rare eccezioni si è ampiamente discostato dalla previsione normativa, finendo per ribaltarne il significato. Si sono per lo più elaborati criteri «ulteriori» di valutazione «aggravati», più penalizzanti, formulati ad hoc, con una sin troppo evidente «distorsione selettiva» d'impronta comparativa e concorsuale decisamente estranea alla lettera ed allo spirito della normativa di riferimento, ove si parla di «candidati all'abilitazione» e giammai di «concorrenti». L'innalzamento dell'asticella, in effetti, avrebbe dovuto implicare una revisione della candidabilità degli stessi Commissari secondo un principio ineludibile, dalla legge stessa affermato, di «giudizio fra pari». Un aspetto critico sin dagli esordi della procedura è divenuto, così, del tutto paradossale: giudici a volte sufficienti hanno espresso giudizi su candidati con requisiti (quanto meno) formali più cospicui;
   nella quasi totalità delle procedure, sin qui pubblicizzate negli esiti, in itinere aggravati nella lettura tra i vari settori con evidente disparità di trattamento, si è palesato un animus di «contrasto», non «propositivo», piuttosto «censorio»: da una Commissione si è arrivati a ritenere “abile” a stento il 15 per cento dei candidati, di fatto impedendo la scelta nella successiva fase concorsuale. Nel complesso, si è arrivati alla non abilitazione, per un biennio, di circa i 2/3 del potenziale corpo docente atto allo svolgimento di funzioni didattiche, invero per lo più già svolte con soddisfazione complessiva delle strutture universitarie;
   negli esiti delle abilitazioni, «certificati» con vizi di forma tali da richiedere un impegno «straordinario» del Ministero nel controllo degli atti, nonché da impegnare lo stesso nella crescente produzione di decreti di «proroga dei lavori» pur dopo la chiusura e pubblicazione degli stessi risultati, mentre incombe la falange dei «ricorsi» nelle opportune sedi giudiziarie, si evidenzia la logica «distorsiva» della presenza del componente «straniero» nelle Commissioni. Lo «straniero», singolarmente sottratto alle regole di requisiti minimi richiesti ai pretendenti commissari italiani e che avrebbe dovuto astrattamente «bilanciare» il rischio contenuto dall'eccessiva connotazione nazionale indicata nell’«etichetta», si è palesato quasi sempre del tutto estraneo alle linee scientifiche proprie della comunità scientifica italiana, con effetti paradossali. La maggioranza fissata in 4 componenti per ciascuna valutazione – ben comprensibile, perché rapportata ad un giudizio di abilitazione – si è tradotta spesso in un capestro, giacché l'abilitazione ritenuta, talora, conseguibile da tre commissari, con un unico dissenso, sempre ammissibile sotto il profilo della dialettica scientifica, diveniva irraggiungibile senza l'adesione dello «straniero», con grave pregiudizio della cultura universitaria italiana, soggetta al giudizio di un valutatore, di cui non è dato né rileva conoscere i requisiti;
   le commissario straniero, peraltro, percepisce un'indennità non riconosciuta agli altri componenti ed è chiamato ad esprimere un ponderato giudizio su una miriade di studiosi, soprattutto con riferimento alla seconda fascia e su una mole di «prodotti della ricerca» in tempi del tutto irragionevoli;
   le commissioni concorsuali, prima della legge 240, svolgevano i lavori, spesso con posizioni contrastanti ed in segno di una serrata discussione, in merito ad una ristretta cerchia di concorrenti. Ora, invece, le commissioni, fissati i criteri «ulteriori» oltre i mediani, devono prodigiosamente valutare «analiticamente» nello spazio di pochi minuti moltissimi candidati. Non sarebbe difficile dimostrare come non ci sia stato forse neanche il tempo materiale di leggere quanto diveniva oggetto di un insindacabile giudizio da esprimere, pur sinteticamente, con motivazione formalmente «analitica» e senza «pregiudizi»;
   con le procedure su espresse si sono stroncati iter di studiosi riconosciuti dalla comunità scientifica, talora persino internazionale, nonché, incredibili dictu, per ammissione a volte della stessa Commissione, «potenzialità» scientifiche che però non corrispondevano alla lettura dei commissari. Il clima si presenta ben diverso dall'evocata trasparenza nella previsione legislativa: tutto ciò – si ripete – in ordine non ad un concorso, da venire, ma ad un mero giudizio di «abilitazione». L'ingorgo è divenuto cruciale al punto che alcuni Commissari più consapevoli hanno espresso la valutazione in forma ipotetica («sembrerebbe», «parrebbe», e altro), con l'implicazione tuttavia che con l'apposizione di un semplice «non» scaturito da un'impressione si produceva per il malcapitato un blocco biennale;
   nello svolgimento della procedura si sono realizzati i seguenti vizi:
    a) violazione e falsa applicazione di legge: verificabile dai verbali delle riunioni;
    b) violazione di legge: mancanza di motivazione «analitica» laddove la Commissione abbia inteso adottare criteri «ulteriori» oltre quelli previsti dal bando e dalle mediane preordinate;
    c) eccesso di potere: ricorrenti manifestazioni di discrezionalità nella valutazione dei titoli, ritenuti coerenti o «incoerenti» con i «contenuti» dello specifico settore alla stregua di parametri personali, spesso in contrasto con autorevoli valutazioni di altri studiosi delle stesso settore e, quindi, in contrasto al criterio posto a base dell'abilitazione della riconoscibilità del profilo del candidato a livello nazionale o internazionale;
    d) eccesso di potere: ricorrente mancata «normalizzazione» con riferimento alla cadenza temporale, come espressamente previsto dalla normativa;
    e) difetto di motivazione: assenza di giustificazione, che dalla normativa si prevede «analitica», laddove si realizzi una valutazione in discrasia rispetto ai criteri generali predeterminati;
    f) manifesta irragionevolezza ed eccesso di potere: mancanza generalizzata dell'organicità della procedura abilitante;
    g) palese disparità di trattamento: richiamo duttile, alterno, con implicazioni discrezionali ai fini del giudizio, di aspetti connessi all'attività didattica, a partecipazioni a manifestazioni eterogenee, persino all'appartenenza a società scientifiche –:
   alla luce delle reiterate e continue violazioni di legge intervenute nella concreta attuazione della procedura abilitativa, non certo sanabili con decreti di proroga – pur se ammissibili – ed incidentali provvedimenti in autotutela quali iniziative finalizzate a garantire e ripristinare la legalità turbata intenda porre in essere;
   quali iniziative si intendano mettere in atto al fine di tutelare l'autonomia universitaria, di cui all'articolo 33 della Costituzione, incrinata dallo «snaturamento» di una procedura ex lege meramente abilitativa, non concorsuale come in effetti sembra sia avvenuto;
   se intenda avviare opportune ed urgenti indagini ministeriali sui lavori delle commissioni al fine di verificarne il corretto espletamento del mandato, anche a tutela del compito spettante all'apparato del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   al fine di sanare eventuali lesioni del dettato normativo, ai sensi dell'articolo 97 della Costituzione; se intenda provvedere all'annullamento degli esiti di tutte le commissioni ove si riscontrasse uno scostamento dai fini e dai criteri contemplati dalla legge n. 240 del 2010;
   dopo le aporie della prima tornata abilitativa, formalmente ammesse e verificate dallo stesso Ministro, quali iniziative si intendano porre in essere a partire dalla seconda tornata disciplinare al fine di monitorare in maniera più attenta i lavori delle commissioni;
   anche in considerazione dei tempi di durata della prima fase già realizzata dell'abilitazione, con la presumibile sovrapposizione dei lavori delle commissioni per l'anno 2013 con quelli inerenti al 2014, se non sia il caso – per il buon andamento dell'amministrazione – di annullare l'espletamento di questa tornata 2013 e dare luogo ad una procedura unificata;
   se si intenda dare corso con rapidità all'abilitazione del 2014 con nuove commissioni alla stregua di chiari e netti parametri valutativi, ammettendo anche coloro dichiarati «non idoneo»;
   se intenda instaurare una «consultazione» con la CRUI, con le associazioni scientifiche e con rappresentate riconosciute delle varie componenti universitarie interessate, in vista di una ridefinizione per legge del «reclutamento» finalmente collocato in un quadro di certezza e trasparenza. (4-04561)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MONGIELLO e OLIVERIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la posizione assicurativa di ogni lavoratore presso l'INPS è costituita in applicazione dell'articolo 124 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973. Il comma 1 di tale articolo stabilisce, genericamente, che si fa luogo alla posizione assicurativa «per il periodo di servizio prestato»;
   l'INPS ha precisato «ai fini dell'acquisizione del diritto alla pensione, si considerano tutte le anzianità relative a contribuzioni obbligatorie, figurative, volontarie e da riscatto»;
   pertanto dal 1993, in occasione della costituzione della posizione assicurativa presso l'assicurazione generale obbligatoria, si dovrebbe tenere conto dell'intera anzianità contributiva maturata;
   nell'applicazione della norma originaria si sono verificate nel corso degli ultimi anni oscillazioni giurisprudenziali;
   in particolare, l'INPS ha privilegiato, nell'individuazione del concetto di servizio prestato, il solo servizio effettivo senza tenere conto della volontà del legislatore di prevedere, nel conteggio, anche i periodi di contribuzione figurativa in ragione della natura particolarmente gravosa dell'attività svolta e quindi vanificando la portata della norma;
   tale discrasia secondo l'orientamento dell'ex INPDAP, ora inclusa nell'INPS, non si verifica allorché il soggetto ha conseguito il diritto al trattamento pensionistico rimanendo nella gestione dello stesso Istituto pubblico di previdenza;
   è vanificato, quindi, il beneficio disposto dal legislatore allorché il soggetto dal servizio pubblico (gestione INPDAP) transita in un comparto regolato da norme privatistiche (gestione INPS);
   è evidente che la irragionevole conseguenza risulta ancor più ingiustificata allorché nell'attuale ordinamento l'INPDAP è confluita nell'INPS;
   detta disparità di trattamento si evidenzia, a maggior ragione, perché:
    a) con circolare INPS n. 88 del 13 aprile 1996 ai dipendenti Telecom già dipendenti dell'azienda di Stato per i servizi telefonici e del Ministero PP.TT. vengono riconosciuti i diritti agli aumenti di valutazione dei periodi assicurativi in applicazione di un decreto del Presidente della Repubblica del 1973;
    b) con circolare INPS n. 35 del 14 marzo 2012 al punto 11.2.2 si riconosce nell'assicurazione generale obbligatoria ai piloti, ai tecnici di volo ed ai piloti collaudatori delle compagnie aeree civili un anno di supervalutazione ogni cinque con un massimo di cinque. Si sottolinea come questo beneficio viene concesso in applicazione di una circolare INPS senza che nessuna legge ne faccia specifico riferimento;
    c) nella risposta all'interrogazione a risposta scritta 4/08704 della XIV legislatura il Ministro del lavoro e delle politiche sociali pro tempore ha dichiarato che con intesa dell'INPS si riconosce la maggiorazione del quinto agli ex militari volontari che hanno prestato servizio nel Genio ferrovieri;
   per gli ex dipendenti pubblici assoggettati alla giurisdizione della Corte dei conti (in prevalenza ex appartenenti alle Forze di polizia) la ingiusta difformità di trattamento è stata riconosciuta legittima dalle Sezioni riunite della Corte dei Conti con sentenza n. 11/2011 a cui i giudici di primo grado si sono dovuti uniformare per il principio della nomofilachia;
   occorre rimuovere tale ingiusta difformità di trattamento, che per altro, ostacola nei fatti anche una positiva circolarità delle professionalità acquisite in campo pubblico in altri comparti –:
   se il Ministro sia a conoscenza di così evidenti disparità di trattamento e quali iniziative intenda assumere affinché l'INPS riconosca al personale interessato quanto previsto dalla legge n. 284, articolo 3, comma 5, anche in considerazione dell'ormai unicità dell'Ente previdenziale.
(5-02663)


   BARUFFI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 31 marzo 2014 è stato raggiunto l'accordo tra tutte le parti sociali, le istituzioni locali e la regione Emilia-Romagna per la proroga dell'utilizzo degli ammortizzatori sociali in deroga per il 2014;
   tale accordo proroga, di fatto, le condizioni convenute con l'intesa sottoscritta in regione lo scorso 23 dicembre e ribadisce la necessità che il Governo emani urgentemente i decreti di copertura finanziaria, così come previsto dalla legge di stabilità per l'anno 2014;
   i dati del ricorso agli ammortizzatori sociali in Emilia-Romagna nei primi mesi del 2014 confermano una situazione di crisi drammatica: a gennaio e febbraio, in particolare, sono state autorizzate dall'Inps 12 milioni e 100 mila ore di cassa integrazione (ordinaria, straordinaria e solo una parte della deroga) alle quali vanno aggiunte circa 4 milioni di ore di cassa in deroga non ancora autorizzate a causa della mancata copertura finanziaria da parte del Governo; dal 2009, sempre in Emilia-Romagna, le ore di cassa integrazione in deroga utilizzate sono state circa 185 milioni dei 450 milioni totali;
   questi numeri impressionanti confermano la necessità e l'urgenza di rifinanziare gli ammortizzatori per evitare che decine di migliaia di lavoratrici e lavoratori della sola Emilia-Romagna restino senza reddito;
   tale condizione è stata rappresentata in una comunicazione del 4 aprile scorso al Ministro del lavoro e delle politiche sociali da parte del presidente dell'Emilia-Romagna Vasco Errani, quale presidente della conferenza delle regioni, in cui si evidenzia come «decine di migliaia di lavoratori da mesi attendono di poter ricevere le indennità per i periodi di cassa e mobilità in deroga maturati nel 2013» e come «nella gran parte delle regioni non si è ancora potuto procedere alle autorizzazioni per il 2014, stante l'indisponibilità delle risorse»;
   il pregresso 2013, in particolare, ammonterebbe a euro 679.471.597,30 mentre le prime autorizzazioni per il 2014 ammonterebbero a euro 821.821.640,78;
   sempre nella comunicazione di Errani al Ministero si sottolinea che «tale situazione, come già segnalato, sta determinando la scelta di molte aziende, in condizione di crisi temporanea, di procedere ai licenziamenti»;
   già in sede di approvazione della legge di stabilità nel dicembre scorso, come denunciato dagli interroganti, dal Pd e da tutte le forze sociali, risultava piuttosto evidente l'esiguità delle risorse stanziate per il 2014, annunciato come l'anno più difficile per la tenuta occupazionale del Paese;
   la riforma degli ammortizzatori sociali, attraverso la «legge delega» ora all'esame del Senato, se pur necessaria, non può in alcun modo distogliere dall'attuale emergenza di tutela del reddito di chi oggi si trova collocato in cassa integrazione in deroga;
   per la giornata di venerdì 18 aprile, dinanzi alle prefetture di ogni città capoluogo di provincia dell'Emilia-Romagna, Cgil, Cisl e Uil hanno promosso una mobilitazione per sollecitare il Governo a provvedere a questa emergenza altrimenti esplosiva –:
   quale sia la reale situazione delle risorse disponibili per gli ammortizzatori in deroga, quale sia l'ammontare 2013 non ancora liquidato e quale sia l'ammontare già autorizzato per il 2014;
   quale fabbisogno immagini il Governo emergerà per l'anno 2014 e quali risorse aggiuntive ritenga si renderanno eventualmente necessarie;
   quali provvedimenti il Governo intenda porre in essere per assicurare piena copertura ai fabbisogni indicati dalle regioni, e dalla regione Emilia-Romagna in particolare, circa la cassa integrazione in deroga;
   in quali tempi il Governo intenda agire e come intenda reperire le risorse eventualmente necessarie;
   quali rassicurazioni intenda offrire il Governo, anche nell'annunciato caso della riforma degli ammortizzatori in deroga, circa l'impegno di non abbandonare al proprio destino centinaia di migliaia di lavoratori in tutta Italia, che si vedrebbero a quel punto privati del lavoro, del salario, degli ammortizzatori sociali e del ragionevole traguardo della pensione.
(5-02668)


   GHIZZONI, CINZIA MARIA FONTANA e BARUFFI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   inizia ad allarmare la chiusura e il ridimensionamento del numero dei negozi di abbigliamento del monomarca Max&Co, di Maxima srl del Max Mara Fashion Group (del gruppo italiano MaxMara: Max&Co., Max Mara, Week End, Sportmax, Marella);
   nel 2011 i suddetti negozi, distribuiti sul territorio nazionale sommavano a un totale di 55; a quanto consta agli interroganti, dal 2012 sono iniziate le chiusure, che ad oggi risultano essere almeno 16 con la possibilità che ne vengano effettuate delle altre;
   tale scelta aziendale ha determinato chiusure repentine con il licenziamento di circa una sessantina di addette alle vendite;
   questi licenziamenti sono avvenuti nel silenzio e nella disattenzione generali, nonostante la crudezza delle cifre, perché i punti vendita sono distribuiti sul territorio nazionale e forse perché nel periodo di crisi e di contrazione dei consumi si accetta come ineludibile la chiusura di un esercizio commerciale, mentre desterebbe sconcerto e preoccupazione la cessazione dell'attività di un'azienda con lo stesso numero di addetti;
   peraltro, trattandosi di licenziamenti avvenuti nei confronti di donne lavoratrici, si ricorda che il tasso di occupazione femminile in Italia, fotografato da dati Censis 2012, è sensibilmente inferiore rispetto alla media europea, essendo pari al 46,7 per cento a fronte del 58,2 per cento dell'intera Unione con percentuali ancora più alte nel Nord Europa. Peraltro, in una recente intervista pubblicata dal Corriere della Sera, Christine Lagarde, presidente del Fondo Monetario Internazionale, ha ricordato che l'Italia è fra i Paesi che «incoraggiano meno» l'occupazione femminile –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa circa la chiusura dei punti vendita del noto monomarca Max&Co e come intenda attivarsi, per quanto di competenza, per tutelare le lavoratrici coinvolte. (5-02669)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIULIETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   dopo l'incontro con la dirigenza della Nestlé-Perugina e le organizzazioni sindacali è stato proclamato lo stato di agitazione degli oltre mille dipendenti del gruppo Nestlé Italia;
   la rottura della trattativa è arrivata dalla indisponibilità di Nestlé di tenere separate le discussioni sul rinnovo dell'integrativo dai temi dell'organizzazione;
   dalle notizie apparse sulla stampa sembra chiaro che la dirigenza subordina il confronto sull'integrativo alla riorganizzazione del lavoro nei tre siti italiani, una soluzione inaccettabile prima di tutto per la differenza di situazione tra gli stabilimenti;
   appare prioritario che Nestlé dica quali sono le sue intenzioni per quanto riguarda il futuro in Italia, con tutto ciò che segue per le strategie di mercato;
   è altresì del tutto evidente che Nestlé non può scaricare sui lavoratori un calo produttivo e di vendite dovuto anche alle scelte del management;
   durante l'incontro tenutosi il 16 aprile 2014, per quanto concerne lo stabilimento di Perugia, si è aperta un'interlocuzione utile relativamente alla riorganizzazione dei lavori affidati esternamente e per quanto concerne il rinnovo della cassa integrazione;
   si registra l'impegno delle istituzioni locali e regionali e della diocesi di Perugia affinché si lavori per una verifica urgente, considerato che Perugia non può permettersi di aprire un altro fronte lavorativo –:
   come intenda intervenire nella complessa gestione di questa trattativa, rapportandosi con il Ministero dello sviluppo economico, non lasciando soli i lavoratori ma soprattutto operando affinché siano rispettati appieno i contratti di lavoro e sia garantita una seria prospettiva all'azienda che, per quanto concerne lo stabilimento di Perugia, è un patrimonio dell'intera collettività umbra. (4-04543)


   CIRIELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   drammatica è la situazione di migliaia di dipendenti della pubblica amministrazione con riferimento, in particolare, alla liquidazione del trattamento di fine rapporto, ossia la somma che spetta a tutti i lavoratori subordinati che abbiano cessato un rapporto di lavoro per una qualunque causa;
   i termini di liquidazione dei trattamenti di fine servizio e di fine rapporto dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, sono stati infatti modificati dal comma 22 dell'articolo 1 del decreto-legge 13 agosto 2011, n.  138, recante «Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo» e convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148;
   tale norma ha previsto che la liquidazione dei TFS/TFR sia disposta entro 105 giorni per i casi di cessazione dal servizio per inabilità o per decesso; non prima di sei mesi dalla cessazione ed entro i successivi tre mesi per i casi di cessazione dal servizio per raggiunti limiti di età, collocamento a riposo d'ufficio o a domanda degli interessati a causa del raggiungimento della massima anzianità contributiva ai fini pensionistici (40 anni), estinzione del rapporto a tempo determinato al termine finale fissato dal contratto; non prima di ventiquattro mesi ed entro i successivi tre mesi (24 mesi + 3 mesi) nei casi di cessazione dal servizio per dimissioni volontarie, licenziamento, destituzione dall'impiego e altro;
   come specificato nel successivo comma 23, i nuovi termini di liquidazione non si applicano nei confronti dei soggetti che abbiano maturato i requisiti per il pensionamento prima del 13 agosto 2011, per i quali continua a valere la vecchia normativa che prevede la liquidazione dei TFS/TFR entro 105 giorni nei casi di cessazione dal servizio per inabilità, decesso, raggiunti limiti di età, massima anzianità contributiva (40 anni); non prima di sei mesi ed entro i successivi tre mesi nei casi di cessazione dal servizio per volontarie dimissioni, licenziamento, destituzione e altro;
   la direzione generale dell'INPS, con circolare n. 37 del 14 marzo 2012, ha fornito ulteriori indicazioni in merito ai termini di pagamento dei TFS/TFR, a seguito delle modifiche introdotte dall'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 22 dicembre 2011;
   in particolare, detta norma ha fatto venir meno, dal 1o gennaio 2012, la nozione di «anzianità massima contributiva» e la conseguente possibilità di maturare il diritto alla pensione con 40 anni di anzianità contributiva a prescindere dall'età anagrafica (ad eccezione di coloro che avessero già maturato tale requisito entro il 31 dicembre 2011);
   per il personale destinatario delle nuove regole di accesso e calcolo della pensione che cessa dal servizio senza aver raggiunto il limite di età previsto dal proprio ordinamento, pertanto, il TFS/TFR sarà messo in pagamento non prima di 24 mesi dall'interruzione del rapporto di lavoro, fermo restando il termine di 6 mesi per il personale che ha maturato l'anzianità contributiva di 40 anni entro il 31 dicembre 2011 anche se cesserà dal servizio successivamente a tale data;
   a seguito della nota protocollo n. 2680 del 22 febbraio 2012 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il termine di 105 giorni per le cessazioni dal servizio per limiti di età o di servizio è a condizione che i relativi requisiti siano maturati entro il 12 agosto 2011;
   i lavoratori che a tale data abbiano maturato i requisiti congiunti di età e anzianità contributiva (cosiddetta «quota») ma non abbiano ancora raggiunto il limite di età previsto dall'ordinamento di appartenenza, ovvero la massima anzianità contributiva, pertanto, riceveranno il TFS/TFR dopo sei mesi, anche nel caso in cui successivamente abbiano raggiunto, al momento della cessazione dal servizio, i predetti requisiti di accesso per limiti di età ovvero anzianità massima contributiva (40 anni);
   il pagamento non prima di 24 mesi dalla cessazione dal servizio ed entro i successivi 3 mesi nei casi di cessazione dal servizio per dimissioni volontarie con o senza diritto a pensione con maturazione requisiti dal 13 agosto 2011, licenziamento, destituzione dall'impiego e altro penalizza fortemente i lavoratori precari della pubblica amministrazione, allorquando venga loro interrotto anticipatamente il rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro pubblico, costringendoli ad aspettare fino a 27 mesi il pagamento del TFR maturato;
   tale situazione interessa migliaia di lavoratori precari che hanno prestato servizio nella pubblica amministrazione e che riceveranno la liquidazione del trattamento di fine rapporto non prima di 24 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro, che, per giunta, è avvenuta per decisione anticipata e unilaterale del datore di lavoro pubblico –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative ritengano opportuno adottare per sanare la problematica denunciata, che colpisce pesantemente questa categoria di lavoratori, già soggetti loro malgrado a forme di lavoro precario. (4-04547)


   RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'introduzione dalla trasmissione da parte dell'Inps della certificazione unica dei redditi (Cud) esclusivamente per via telematica, sta recando seri disagi ai cittadini pensionati, posto che la maggior parte non è in grado di utilizzare strumenti informatici;
   già dal 2013 è stato, infatti, disposto in base alla spending review della legge di stabilità che i cittadini non riceveranno più al proprio domicilio il Cud e il prospetto riepilogativo della pensione annuale: tali documenti potranno essere trasmessi ottime dal sito dell'Inps e tramite apposito codice personalizzato necessario per potersi registrare al portale web;
   tuttavia, la procedura, invece di essere snellita, ha determinato un ingolfamento agli sportelli dell'Inps di pensionati che, non riuscendo ad accedere al sistema telematico, sono costretti a recarsi presso l'ente per ottenerli;
   tra i tanti articoli di stampa su tale questione, si legge quello pubblicato dal Messaggero Veneto, del 16 aprile 2014, intitolato «Pensionati in fila all'Inps ma il Cud è soltanto online», dal quale si apprende che ad Udine quotidianamente almeno un centinaio di persone, per lo più anziane, si mette in fila per chiedere informazioni o la stampa dei moduli;
   il sindacalista Enrico Barberi, incaricato della gestione dei Cud per il sindacato pensionati (Spi) della Cgil di Udine, dichiara, per l'appunto, che l'Inps colpisce la fascia di popolazione statisticamente meno informatizzata, difatti, centinaia sono le chiamate che ricevono i sindacati e lo stesso ente previdenziale, per le difficoltà che hanno le persone anziane ad accedere al sistema telematico. Molti sono stati costretti a chiedere il sostegno di patronati, Caf e sindacati;
   sono state rilevate una serie di ulteriori criticità, come ad esempio il codice personalizzato che scade dopo tre mesi, l'obbligo di conservare tutte le copie degli allegati: i Caf devono fare fotocopia di tutti gli oneri che i dichiaranti portano in deduzione. Soltanto la Cgil in provincia di Udine compila 25 mila 730 fra attivi e pensionati, se ognuno ha mediamente sette fotocopie da allegare, le spese e la burocrazia aumentano in contrasto con i più basilari principi di semplificazione –:

se il Ministro interrogato intenda adottare gli opportuni provvedimenti per porre fine ai disagi descritti in premessa, elaborando degli interventi che pur nell'ottica di un contenimento della spesa pubblica consentano agli utenti di ricevere un adeguato servizio. (4-04552)


   BALDASSARRE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo notizie riportate nell'edizione del giornale Il Fatto Quotidiano del 7 aprile 2014, l'INPDAP avrebbe pagato degli importi «extra» ai propri dipendenti per perizie effettuate durante le pratiche per la concessione di mutui;
   tale criticità è stata segnalata e messa all'attenzione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali con l'interrogazione n. 4/04432 presentata dall'interrogante in data 9 aprile 2014;
   a seguito dell'interrogazione suddetta – a cui a tutt'oggi non vi è ancora alcuna risposta da parte del Ministro – l'interrogante ritiene opportuno completare il quadro e approfondire la questione con ulteriori quesiti da porre al Ministro al fine di far luce sulla vicenda su descritta che appare fin da subito «poco chiara» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suddetti;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di somme di denaro pagate come segnalato dall'articolo suddetto e, nel caso, se siano state attivate da parte dell'Ente procedure di recupero di tali somme non dovute;
   se il Ministro interrogato non ritenga che vi possano essere delle responsabilità di natura amministrativa disciplinare e se altresì, non ritenga opportuno attivarsi in merito alla questione suddetta al fine di aiutare nel far luce sui soggetti a cui eventualmente imputare tali responsabilità;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di eventuali procedure poste in essere dall'Ente al fine di adottare provvedimenti sanzionatori inerenti alla questione su descritta. (4-04560)


   AIRAUDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   quando nel novembre 2013 la G. Canale SpA e la SATIZ Editore Srl siglarono l'accordo di aggregazione industriale nel comparto della carta stampata, con circa 370 dipendenti in Italia e 250 dipendenti in Romania e un fatturato che si aggira tra gli 85 e 90 milioni di euro, le reazioni furono positive per la nascita del polo grafico piemontese;
   questo in un quadro settoriale della carta stampata che è di forte crisi strutturale sia per la marcata contrazione degli investimenti pubblicitari sia per lo spostamento delle pubblicazioni su nuove piattaforme, tra cui internet. Di qui la ovvia necessità di nuove politiche industriali che privilegino l'aggregazione tra le aziende del settore grafico per renderle più idonee nel confronto competitivo nazionale e internazionale;
   l'aggregazione tra la G. Canale Spa (Borgaro Torinese) e la SATIZ Editore Srl (Moncalieri), società industriale del Gruppo SATIZ, venne discussa e approvata da Giacomo Canale, alla guida dell'omonimo gruppo e Alessandro Rosso alla guida del Gruppo SATIZ. Va ricordato che Satiz Editore è costituita dal ramo aziendale di stampa che ILTE decise di cedere, per evitarne la chiusura, alla stessa Satiz nel dicembre 2011;
   le organizzazioni sindacali, sentito il parere delle assemblee dei lavoratori, manifestarono grande soddisfazione per il progetto industriale di aggregazione che, oltre a fornire una maggiore solidità alle aziende coinvolte, permetteva di salvaguardare i posti di lavoro sul territorio, anche in un progetto industriale più ampio di aggregazione in grado di attirare alti operatori del settore;
   la società Canale Industrie Grafiche S.r.l., rilevò con la formula dell'affitto di ramo d'azienda le attività di stampa della SATIZ Editore. Come si legge chiaramente nel contratto di affitto l'operazione lasciava tutti i debiti commerciali in capo a Satiz Editore proprio per consentire il salvataggio dell'attività produttiva e dei posti di lavoro;
   l'unione industriale ha così messo insieme lo stabilimento di Moncalieri ex ILTE, specializzato nella stampa di prodotti commerciali (cataloghi e grande distribuzione) e delle riviste, dove lavorano 198 addetti, e lo stabilimento di Borgaro Torinese (Canale Industrie Grafiche) con circa 190 dipendenti della G. Canale dove sono operative altre due rotative; a questi si aggiungono poi oltre ai 250 lavoratori che operano presso una società del Gruppo con sede in Romania. L'Obiettivo era creare un «nuovo soggetto capace di realizzare forti economie di scala e di proporre ai clienti un'offerta tecnologica, organizzativa e logistica in grado di competere con i principali concorrenti europei»;
   l'intesa tra la G. Canale SpA e la SATIZ Editore Srl, si è interrotta a fine marzo 2014 lasciando sul lastrico i lavoratori di Moncalieri. Senza prospettiva industriale è a forte rischio la stessa realtà di Borgaro Torinese (che ha registrato elevate perdite nel 2013). Un addio non privo di strascichi polemici;
   nel mese di marzo 2014 Satiz Editore ha dovuto presentare domanda di concordato preventivo avendo tenuto tutti i debiti del ramo d'azienda (debiti che le erano stati trasferiti dalla precedente proprietà, ILTE) per salvare l'attività industriale;
   inaspettatamente però, sempre nel mese di marzo, Canale Industrie Grafiche prima cambiava la denominazione sociale in Sergraf Servizi Grafici (facendo così scomparire il nome Canale) oltre che ridurre il capitale sociale e spostare la sede della società. Poi il 31 marzo 2014, a soli 5 mesi dall'operazione industriale di affitto di ramo, Sergraf fermava l'intera produzione dello stabilimento di Moncalieri (ex Satiz Editore);
   trattandosi di ramo d'azienda preso in affitto da Satiz Editore, Enzo Gabbai, amministratore delegato di Sergraf, già Canale industrie grafiche, ha così dichiarato di voler disdettare l'affitto dell'impianto di Moncalieri (dove sono installate tre rotative a 64 pagine, una offset a foglio 70x100 a dieci colori e tre linee per il punto metallico) e di volerlo restituire alla Satiz Editore, che nel frattempo ha dovuto chiedere la procedura del concordato preventivo;
   naturalmente Satiz Editore ha rigettato la disdetta del contratto di affitto, lasciando la decisione al tribunale competente nel caso Sergraf intendesse confermare la propria decisione;
   vale la pena ricordare che nei 5 mesi di attività di Canale/Satiz il gruppo Canale ha azzerato la struttura commerciale di Canale Industrie Grafiche (ex Satiz Editore) ed ha gestito con la capogruppo G. Canale SpA tutti i fornitori e i rapporti con i dipendenti. Avendo perso i clienti (anche a seguito della decisione di non garantire la produzione) e avendo fermato gli impianti Canale vorrebbe quindi restituire un ramo privo di attività;
   il timore che la vicenda del polo grafico Canale-Satiz Editore avrebbe avuto un epilogo drammatico aveva nelle scorse settimane sollevato preoccupazione tra sindacati e lavoratori, preoccupazioni sfociate anche in una manifestazione di protesta davanti alla G. Canale e C di Borgaro da parte dei 197 dipendenti di Moncalieri. Manifestazioni che sono riprese in questi giorni dopo l'annuncio della rottura dell'intesa e della restituzione del ramo d'azienda a Satiz Editore, con la conseguente (per ora) chiusura dell'attività dello stabilimento di Moncalieri e 197 persone che rischiano di restare senza salario e a detta di alcuni rappresentanti sindacali anche senza cassa integrazione;
   il 3 aprile 2014, come spiega una nota diffusa dalla Canale industrie grafiche, si è svolto infatti un incontro alla prefettura di Torino a cui hanno partecipato i sindacati, il rappresentante della regione competente sui problemi di cassa integrazione, la proprietà della Satiz Editore e il presidente del consiglio di amministrazione di G. Canale & C. SpA. Durante l'incontro, la posizione di Canale è stata quella che «essendo tornata in capo a Satiz Editore la gestione del ramo e quindi il rapporto con i lavoratori, è Satiz Editore l'unico avente diritto a sollecitare al ministero del Lavoro la continuazione della cassa integrazione per ristrutturazione o al commissario/curatore di un'eventuale procedure concorsuale richiedere altri ammortizzatori sociali in caso di impossibilità a continuare la gestione»;
   la posizione di Satiz Editore è stata ovviamente diversa. Avendo «rigettato fermamente» la risoluzione del contratto di affitto, non prevista contrattualmente e richiamata da Canale in «modo pretestuoso e privo di validità ed efficacia», secondo Satiz Editore i dipendenti sono tuttora in capo alla Sergraf/Canale Industrie Grafiche. Va però segnalato che successivamente Satiz Editore ha siglato un accordo sindacale nel quale si impegna a richiedere immediatamente gli ammortizzatori sociali per i dipendenti non appena l'autorità giudiziaria dovesse stabilire che il rapporto di lavoro è tornata in capo a Satiz Editore;
   Canale ha dichiarato di voler portare in tribunale la richiesta di fallimento, dopo le evoluzioni societarie sopra esposte, è in ogni modo inaccettabile, a parere dell'interrogante, che l'azienda si sfili dalla situazione data; considerando che G. Canale & C. SpA ha gestito direttamente Canale Industrie Grafiche/Sergraf, di fatto coordinandone e controllandone direttamente le attività operative, occorre ricercare una soluzione industriale e uscire dallo stallo attuale mantenendo un presidio produttivo a Moncalieri o accorpando le attività produttive e commerciali dei due stabilimenti; va evitato lo scarico di responsabilità tra le aziende e va fatto ricorso agli ammortizzatori sociali per permettere un governo dei processi di riorganizzazione e ristrutturazione con la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori e della occupazione; garantendo infine il trattamento di fine rapporto già maturato dai dipendenti tutti –:
   se non ritenga urgente la convocazione di un tavolo tra le parti sociali al fine di provare a dare risposte concrete ai lavoratori già duramente colpiti dalla crisi, salvaguardando i livelli occupazionali e salvare così un territorio dove la tensione sociale rischia di esplodere. (4-04567)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CIMBRO e COVA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nell'ottobre 2013 la Guardia di finanza ritirava, presso le associazioni di categoria, fascicoli relativi a 50 mila aziende agricole su tutto il territorio nazionale, con conseguente blocco dell'erogazione del contributo PAC (politica agricola comune);
   gli agricoltori venivano a conoscenza di tale provvedimento unicamente nel mese di dicembre, quando non si vedevano accreditati i contributi citati e ciò senza alcun preavviso da parte delle autorità;
   il blocco dei contributi PAC, ammontante a 200 milioni di euro, comporta, oltre alla mancanza di introiti derivanti dal fondo europeo, altresì il diniego da parte degli istituti di credito di anticipazioni o mutui, e ciò proprio a causa del fermo dei fascicoli aziendali. Si sta assistendo quindi al sostanziale blocco del credito finanziario alle aziende agricole. Tale questione, come peraltro riportato da molti organi di stampa, riguarda l'intera categoria e l'intero territorio nazionale;
   i fascicoli aziendali vengono compilati annualmente dagli agricoltori e, quand'anche fossero riscontrate delle irregolarità nella compilazione, la mancanza di limiti di tempo alle indagini e l'assoluta mancanza di motivazioni per cui si sottopone un'azienda ad un'indagine, ha come solo effetto quello di riproporre le medesime irregolarità (qualora ve ne fossero) anno dopo anno, creando quindi un circolo vizioso;
   in molti casi le irregolarità riscontrate sarebbero solo di natura amministrativa: con particolare riguardo ai contratti, 8 mila circa, stipulati con persone decedute si sottolinea, poi, che tale eventualità, in molti casi, si verifica solo a causa del mancato aggiornamento catastale; non sarebbero quindi accettati dal sistema contratti con persone diverse da quelle cui è intestato il terreno stesso (siano queste anche decedute);
   Agea, inoltre, tramite il proprio sistema di controllo satellitare, può agevolmente ed in ogni momento verificare il tipo di coltura effettuato sui singoli terreni –:
   quali iniziative il Ministro intenda mettere in atto per assicurare un controllo preventivo da parte della pubblica amministrazione sui contratti depositati, per distinguere le mere irregolarità da eventuali disegni elusivi delle normative parallelamente, garantendo l'aggiornamento dei dati catastali da parte degli organi competenti. (5-02666)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   L'ABBATE, GAGNARLI, GALLINELLA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE e DALL'OSSO. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in Italia, dal 1° gennaio 2013, sono stati oltre 1400 i casi di persone contagiate dal virus dell'epatite A, in particolare da un ceppo veicolato da diversi lotti di frutti di bosco congelati e surgelati. Una vera e propria epidemia che interessa il nostro Paese da 14 mesi, ma che sembra ancora lontana dall'essere risolta;
   casi epatite A superiori alle normali medie annuali si sono riscontrati in tutta Europa, tanto da far dichiarare all'Autorità europea per la sicurezza alimentare di essere di fronte ad una epidemia «internazionale»: coinvolti quattro Paesi del Nord Europa (Danimarca, Svezia, Norvegia e Finlandia), ma anche Irlanda e Francia, per un totale di 240 episodi tutti associati all'ingestione di frutti di bosco;
   risalire all'origine precisa del prodotto contaminato dal virus non è semplice, sia per la tipologia del prodotto (alcune confezioni possono contenere il ceppo del virus e altre no), sia per l'inefficace sistema di tracciabilità che finora non ha permesso di definire chiaramente la totalità dei lotti contaminati – per capirne la complessità, basti pensare che le indagini condotte in Italia su 20 lotti hanno comportato l'esame di 830 transazioni commerciali, che fanno riferimento a 331 fornitori di 25 Paesi europei ed extra europei. Il numero medio di transazioni per ogni singolo lotto è di 56,6;
   tuttavia è evidente che il sistema di sorveglianza e di tracciabilità delle merci alimentari in territorio europeo non è adeguato, come del resto aveva già dimostrato la vicenda dei germogli di soia del 2012 (41 morti e centinaia di ricoveri) e quella della carne di cavallo l'anno scorso;
   le misure adottate finora dalle autorità competenti, sia nazionali che internazionali, appaiono però insufficienti ad arginare la diffusione del virus, che anzi potrebbe propagarsi grazie, ad esempio, alla donazione di sangue di soggetti che ignorano di essere contagiati e sui quali non sono ancora evidenti né rilevabili i segnali della malattia;
   l'epatite A, pur essendo una patologia non cronicizzante né degenerativa per un soggetto adulto sano, potrebbe però compromettere la salute di persone già affette da altre patologie del fegato, che si trovano in una situazione fisica già compromessa, persone anziane o anche bambini, per questo una corretta informazione sui prodotti che potrebbero essere portatori di questo virus appare indispensabile per la tutela della salute di tutti i cittadini;
   le indicazioni fornite dalle autorità competenti italiane – bollitura dei prodotti prima del consumo – appaiono insufficienti ad arrestare l'epidemia, in quanto non diffuse in maniera capillare sul territorio, né tantomeno tra chi distribuisce e vende le confezioni di frutti di bosco che dovrebbe comunque essere tenuto ad informare il consumatore dei possibili rischi;
   analogo discorso vale per bar, ristoranti, pasticcerie che vendono prodotti a base di frutti di bosco senza essere tenuti a precisare la provenienza di tale prodotto né ad avvisare i consumatori del possibile rischio di contagio;
   molti cittadini continuano a non percepire il problema e anche i media sembrano ignorarlo: sui giornali ogni tanto si legge «in Italia caso di epatite A», quando in realtà nell'ultimo anno i casi sono stati 1400 –:
   se non ritenga opportuno predisporre in maniera immediata ed urgente una campagna informativa mirata e capillare sul consumo di frutti di bosco in Italia e sulle possibilità di rischio che i cittadini possono correre, che non si limiti alle sole informazioni divulgate attraverso il portale istituzionale del Ministero, ma che interessi i media nazionali, al fine di tutelare la salute dei cittadini;
   ad assumere iniziative dirette e prevedere l'obbligo per i supermercati che vendono frutti di bosco surgelati e congelati o prodotti a base di frutti di bosco, di esporre un avviso ai consumatori relativo al possibile rischio con tutte le istruzioni per consumare i prodotti senza danni alla salute;
   a predisporre in ogni caso, al fine di scongiurare il dilagare dell'epidemia che pare non essersi arrestata negli ultimi 14 mesi, ogni iniziativa che ritenga opportuna per arginare la diffusione dell'epatite A in Italia, anche ricorrendo, se dovesse apparire l'unica scelta percorribile, al ritiro di tutti i lotti di frutti di bosco congelati e surgelati dal mercato nazionale. (5-02661)


   COLLETTI e VACCA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la regione Abruzzo – a seguito della deliberazione del Consiglio dei ministri dell'11 dicembre 2009 – è attualmente commissariata ed è ancora in regime di rientro dai disavanzi del settore sanitario;
   in riferimento alla gara per il servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti sanitari prodotti dalle ASL della regione Abruzzo, in data 18 marzo 2014 la stessa regione ha stipulato un contratto di appalto con il R.T.I. Mengozzi, in cui è stata sostituita – in quanto nulla – la garanzia fideiussoria definitiva inizialmente prestata con un'altra di cui non sono ancora chiari i termini;
   la normativa di settore e la lex specialis di gara, a cui segue una corposa e unanime giurisprudenza, stabilisce che la fideiussione definitiva non può essere assolutamente sostituita, sanata o regolarizzata;
   la società Mengozzi s.p.a. – capogruppo mandataria del R.T.I. con la società Di Nizio Eugenio s.r.l. – ed i suoi amministratori sono stati destinatari di sentenze, anche penali, che hanno acclarato: violazioni definitivamente accertate delle norme in materia contributiva e previdenziale; gravissime infrazioni in materia di sicurezza sul lavoro; l'inquinamento delle acque e dell'aria da parte dell'impianto Mengozzi, per violazione dei titoli autorizzativi e delle disposizioni in materia ambientale. Tali sentenze sono tutte strettamente attinenti al servizio oggetto di gara e la società è quindi priva dei requisiti morali richiesti dall'articolo 38 del decreto legislativo n. 163 del 2006 per la stipula del contratto di appalto;
   i dirigenti-funzionari della regione Abruzzo e delle ASL, in quanto titolari della cura e dell'interesse pubblico, hanno l'obbligo primario di far rispettare la normativa, non potendo avallare o giustificare una procedura di gara caratterizzata – come sostenuto dal TAR Abruzzo, sezione de L'Aquila, e dal Consiglio di Stato – da un «contesto che sembra evidenziare un diffuso quadro di illegittimità procedimentali da parte dell'autorità procedente» e, in caso contrario, i dirigenti/funzionari della regione Abruzzo e delle ASL possono andare incontro ad una diretta responsabilità penale e contabile;
   la Maio Guglielmo s.r.l. aveva partecipato al bando di gara e attualmente espleta il servizio per gran parte delle ASL della regione Abruzzo;
   in realtà la stessa sentenza sopra citata ha chiarito come anche la partecipazione della Maio Guglielmo srl fosse invalida per mancanza dei necessari requisiti di documentazione;
   la stessa sentenza sembrava consigliare alla regione Abruzzo ed alla Consip la invalidazione dell'intero bando con la predisposizione di un nuovo bando;
   a seguito della stipula del contratto con il R.T.I. Mengozzi la regione Abruzzo e le singole ASL subiranno un danno a fronte di un'offerta più onerosa rispetto a quella che era stata avanzata in sede di gara dalla Maio Guglielmo s.r.l. (circa 1.200.000 euro di maggiori costi per la regione);
   in conseguenza della cessazione del servizio che attualmente svolge, tale società si vedrà costretta a porre in essere una drastica riduzione del personale, quantificabile in n. 70 lavoratori (tutti abruzzesi) –:
   se il Ministro della salute, anche per il tramite del commissario ad acta per il rientro dai disavanzi, conosca la vicenda de quo;
   se il Governo, anche in considerazione della procedura di rientro dal deficit sanitario, intenda assumere le iniziative di competenza al fine di essere messo a conoscenza della eventuale procedura di autotutela per una riedizione delle procedure di gara così come di fatto suggerito dalla sentenza n. 424 del 2013 del TAR Abruzzo, sezione de L'Aquila. (5-02671)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DAGA, CRISTIAN IANNUZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'Aloe Arborescens è una pianta succulenta della famiglia delle aloacee, usata sia come pianta ornamentale nei giardini rocciosi, sia come pianta medicinale con forti poteri disintossicanti;
   nel sito PubMed http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed (Biblioteca Nazionale di Medicina Statunitense) sono riportati numerosi studi che dimostrano gli effetti curativi e terapeutici sia su animali che su esseri umani dell'Aloe Arborescens e in particolare di un principio attivo estratto dalla pianta denominato Aloe-Emodina;
   in uno studio del 1997 dal titolo «Effects of highly purified anthraquinoid compounds from Aloe vera on sensitive and multidrug resistant leukemia cells.» condotto da Grimaudo S1, Tolomeo M, Gancitano R, Dalessandro N, Aiello E. si dimostrano gli effetti dei composti antrachinoidi altamente purificati da Aloe vera su cellule leucemiche farmaco-resistenti;
   in uno studio del 2000 dal titolo «Aloe-emodin is a new type of anticancer agent with selective activity against neuroectodermal tumors.» condotto da Pecere T1, Gazzola MV, Mucignat C, Parolin C, Vecchia FD, Cavaggioni A, Basso G, Diaspro A, Salvato B, Carli M, Palù G. viene spiegato come l'Aloe-Emodina, rappresentando un nuovo tipo di agente anti-cancro, può a tutti gli effetti essere considerata un farmaco anti-tumorale;
   in uno studio del 2000 dal titolo «Aloe-Emodin quinone pretreatment reduces acute liver injury induced by carbon tetrachloride.» condotto da Arosio B1, Gagliano N, Fusaro LM, Parmeggiani L, Tagliabue J, Gaietti P, De Castri D, Moscheni C, Annoni G. gli autori dimostrano come l'Aloe-Emodina sembra avere qualche effetto protettivo non solo contro la morte degli epatociti ma anche sulla risposta infiammatoria conseguente alla perossidazione lipidica;
   lo studio del 2002 dal titolo «Chemopreventive effects of Aloe arborescens on N-nitrosobis(2-oxopropyl)amine-induced pancreatic carcinogenesis in hamsters.» condotto da Furukawa F1, Nishikawa A, Chihara T, Shimpo K, Beppu H, Kuzuya H, Lee IS, Hirose M. ha dimostrato che l'Aloe impedisce neoplasia pancreatica BOP-in dotta in criceti;
   lo studio del 2003 dal titolo «Involvement of p53 in specific anti-neuroectodermal tumor activity of aloe-emodin.» condotto da Pecere T1, Sarinella F, Salata C, Gatto B, Bet A, Dalla Vecchia F, Diaspro A, Carli M, Palumbo M, Palù G. ha confermato lo studio effettuato nel 2000 (sopracitato) in cui l'Aloe-Emodina ha una specifica attività anti-tumorale e potrebbe essere sfruttabile in clinica;
   in uno studio del 2010 dal titolo «Antitumor properties of aloe-emodin and induction of transglutaminase 2 activity in B16-F10 melanoma cells.» condotto da Tabolacci C1, Lentini A, Mattioli P, Provenzano B, Oliverio S, Carlomosti F, Beninati S. i cui dati complessivi confermano una notevole capacità antiproliferativa, antimetastatica e differenziativa di questo composto organico (antrachinone). I risultati suggeriscono che l'Aloe-Emodina appare particolarmente promettente per la sua potenziale applicazione nella terapia del cancro;
   in uno studio del 2011 dal titolo «Aloe-emodin as antiproliferative and differentiating agent on human U937 monoblastic leukemia cells.» condotto da Tabolacci C1, Oliverio S, Lentini A, Rossi S, Galbiati A, Montesano C, Mattioli P, Provenzano B, Facchiano F, Beninati S. i dati complessivi di questo studio mostrano che l'Aloe-Emodina può promuovere la differenziazione dei macrofagi di cellule U937 che suggeriscono che questo composto organico (antrachinone) potrebbe essere un candidato potenziale come agente selettivo differenziazione-induzione per il trattamento terapeutico della leucemia;
   in uno studio del 2009 dal titolo «A randomized study of chemotherapy versus biochemotherapy with chemotherapy plus Aloe arborescens in patients with metastatic cancer» condotto da Lissoni P, Rovelli F, Brivio F, Zago R, Colciago M, Messina G, Mora A, Porro G. risulta che la percentuale della regressione tumorale e il controllo della malattia è notevolmente più alta nei pazienti ai quali è stata somministrata l'Aloe-Arborescens durante la chemioterapia a confronto dei pazienti che hanno fatto solo il trattamento di chemioterapia, come i primi pazienti hanno avuto una prospettiva di vita più lunga di 3 anni sui secondi pazienti. Lo studio sembra suggerire che l'Aloe Arborescens può essere associato al trattamento di chemioterapia al fine di aumentarne l'efficacia in termini di regressione del tumore e aumento della prospettiva di vita;
   in data 10 maggio 2001 è stato depositato un brevetto al Ministero delle attività produttive a firma Palù Giorgio, Carli Modesto, Pecere Teresa e Zagotto Giuseppe dal titolo «Derivati dell'Aloe-emodina e loro impiego nel trattamento di patologie neoplastiche». L'invenzione è relativa a derivati dell'Aloe-emodina e loro impiego come antitumorali. I derivati in questione hanno dimostrato infatti di possedere una specifica attività biologica di citossicità contro cellule tumorali, anche di origine neuroectodermica, verso le quali possono in particolare agire come «produg» dell'aloe-emodina. Questo profilo farmacologico li rende particolarmente vantaggiosi per un impiego nel trattamento di patologie tumorali. Composizioni farmaceutiche contenenti questi composti possono perciò essere utilmente impiegabili per il trattamento di patologie neoplastiche;
   nonostante il trattamento con Aloe-Emodina abbia dimostrato degli effetti curativi nel trattamento di patologia neoplastiche non è ancora in uso come terapia presso strutture Sanitarie Pubbliche;
   come riportato dal sito dell'Associazione Italiana Ricerca sul Cancro, il Fondo mondiale per la ricerca sul cancro (World Cancer Research Fund) ha concluso nel 2007 un'opera di revisione di tutti gli studi scientifici sul rapporto tra alimentazione e tumori a cui hanno collaborato oltre 150 ricercatori, epidemiologi e biologi provenienti dai centri di ricerca più prestigiosi del mondo. Ne è nato un decalogo costantemente aggiornato che riporta al punto 4: «basare la propria alimentazione prevalentemente su cibi di provenienza vegetale, con cereali non industrialmente raffinati e legumi in ogni pasto e un'ampia varietà di verdure non amidacee e di frutta» –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente di quanto in premessa;
   se sia mai stata valutata dal Sistema sanitario nazionale l'ipotesi di inserire l'Aloe-Emodina quale farmaco da utilizzare e accompagnare alle normali procedure di trattamento ospedaliero per le patologie neoplastiche riportate in premessa;
   se sia previsto, o se sia in via di realizzazione, un protocollo di alimentazione alternativa di tipo vegetale per i pazienti colpiti dalle patologie riportate in premessa. (4-04558)


   FERRARESI, ZOLEZZI e DELL'ORCO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la città di Carpi, in provincia di Modena, è tra i paesi colpiti dal sisma del maggio 2012 ed ha subìto, al pari di altre, la rottura in vari punti della rete idrica;
   a seguito di questi eventi il servizio di igiene degli alimenti e nutrizione dell'azienda unità sanitaria locale di Modena ha eseguito uno specifico monitoraggio della qualità dell'acqua erogata dalle reti di distribuzione per uso civile in alcuni comuni, già nei mesi di luglio e settembre del 2012: nei comuni di Finale Emilia e Cavezzo si sono riscontrati valori significativi di fibre di amianto: 10.174 fibre/l a Finale E., 1.017 a Cavezzo;
   nelle analisi effettuate successivamente a Carpi, il 7 maggio 2013, su 4 punti di prelievo, si ritrovano fibre in valori compresi tra le 1.017 e le 5.426 fibre/l; nel successivo esame, in data 10 giugno 2013, le fibre passano a valori compresi tra le 9.411 e le 10.426 fibre/l.; il 3 settembre 2013 in 2 dei 4 punti di prelievo i valori riscontrati sono tra le 53.978 e le 130.024 fibre/l., in data 19 dicembre 2013 in 3 punti si ritrovano valori compresi tra le 7.654 e le 53.978 fibre/l;
   in una conferenza stampa congiunta di comune, AUSL e AIMAG (l'azienda di gestione dell'acquedotto), di luglio 2013, il sindaco afferma: «Gli esperti ci hanno rassicurato circa la salubrità dell'acqua nonostante questo fenomeno, le micro particelle di amianto anche se ingerite non hanno effetti dannosi sulla salute»;
   ciò non è bastato a tranquillizzare la cittadinanza la quale si è organizzata in comitati, in particolare di genitori delle locali scuole pubbliche, materne ed elementari, che hanno fornito i propri figli di acqua in bottiglia da usare nelle ore di permanenza a scuola;
   anche a seguito di tale mobilitazione si è istituito, su iniziativa del comune, un tavolo tecnico che il 30 ottobre 2013 ha redatto una relazione in cui risulta: «La disamina di questi risultati ci indica che l'acqua in esame non è mai stata e non è in grado di formare una pellicola protettiva di carbonato di calcio sulla superficie interna delle tubazioni in c-a(cemento-amianto). Un'acqua come quella in esame esplica una accelerazione della lisciviazione delle condotte con conseguente rilascio di fibre d'amianto»;
   per evitare il fenomeno sta per essere messa in atto una proposta soluzione tecnica, sperimentale, consistente in un dosaggio in continuo di un formulato a base di fosfato monosodico alimentare e zinco nell'acqua da trattare; Giancarlo Ugazio, già docente di Patologia generale della Facoltà di Medicina di Torino, però avverte: «Vogliono sperimentare il composto? Lo facciano su un solo pezzo di acquedotto, in modo da verificare i risultati, prima di coinvolgere i cittadini trattandoli come cavie»;
   il Dipartimento di sanità Pubblica dell'AUSL di Modena, servizio igiene degli alimenti e della nutrizione, riconosce che: «al momento non sono a noi note esperienze analoghe e data la scarsità di riferimenti bibliografici, si è proceduto in data 27 gennaio 2014 a richiedere, in accordo con la Regione, un parere all'Istituto Superiore di Sanità»;
   il parere è pervenuto in data 24 febbraio 2014 e mette in evidenza che per quanto riguarda l'aspetto tecnico, in particolare riferito alla efficacia del trattamento sul rilascio delle fibre di amianto, da un punto di vista teorico la soluzione proposta è considerata praticabile, mentre per quanto riguarda gli aspetti sanitari, riferiti a possibili effetti sfavorevoli sulla salute, vengono messe in rilievo alcune criticità richiamate nel documento «Linee guida sui dispositivi di trattamento delle acque destinate al consumo umano ai sensi del decreto ministeriale 7 febbraio 2012 n. 25» con particolare riferimento all'utilizzo di prodotti che rispondano a criteri di purezza previsti dal settore alimentare, a concentrazioni dei prodotti che non superino limiti imposti dalla normativa o che possano causare rischi per il consumatore, a modalità di dosaggio dei prodotti e sistemi di monitoraggio delle concentrazioni in rete;
   in sostanza si riconosce la possibilità di dare avvio a questa sperimentazione;
   la legge n. 257 del 27 marzo 1992 sancisce la completa dismissione (estrazione, importazione, lavorazione) delle tubazioni in cemento-amianto ed impone alle regioni la predisposizione di piani di protezione dell'ambiente, di decontaminazione, di smaltimento e di bonifica ai fini della difesa dai pericoli derivanti dall'amianto;
   il decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 114 indica che non sono ancora noti i valori di concentrazione di amianto aerodisperso, al di sotto dei quali non vi è più rischio di contrarre malattie neoplastiche amianto correlate;
   il decreto del Ministero della sanità del 14 maggio 1996 (normative e metodologie tecniche per gli interventi di bonifica) richiama l'attenzione delle competenti amministrazioni ad un controllo dello stato di conservazione delle reti nonché ad una rapida e progressiva sostituzione di tubazioni e serbatoi in cemento-amianto per il possibile rilascio di fibre di amianto;
   il medesimo decreto, all'allegato 3 comma 1, recita: «Studi a livello internazionale su popolazioni esposte attraverso l'acqua potabile a concentrazioni di fibre di amianto variabili da 1 Mln fibre/l a 200 Mln fibre/l provenienti sia da sorgenti naturali contaminate che dalla cessione da parte di condotte o cassoni in cemento amianto, non hanno fornito finora chiare evidenze di una associazione fra eccesso di tumori gastrointestinali e consumo di acqua potabile contenente amianto. L'interpretazione dei dati ottenuti dal complesso di tali ricerche è a tutt'oggi un problema dibattuto sul quale non vi è unanimità di vedute»;
   il decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 27 aprile 2004 inserisce l'amianto (asbesto) come possibile causa del tumore gastroenterico (da ingestione) nelle malattie professionali, da segnalare obbligatoriamente;
   il principio della precauzione deve ritenersi sempre prioritario in ambito legislativo ed amministrativo in quanto la presenza dell'amianto come materiale componente dell'acqua potabile può avere effetti potenzialmente pericolosi, individuati tramite una valutazione scientifica e obiettiva, che ad oggi non consente però di determinarne il rischio con sufficiente certezza;
   numerosi esperti nel campo della salute, tra cui la dottoressa Fiorella Belpoggi, direttrice del centro di ricerca sul cancro Cesare Maltoni dell'istituto Ramazzini di Bologna, il professor Luciano Mutti, direttore di medicina generale e del laboratorio di oncologia clinica ASL11 di Vercelli, il professor Giancarlo Ugazio già ordinario di patologia generale presso l'università di Torino e presidente del gruppo di ricerca per la prevenzione della patologia ambientale, hanno messo più volte in evidenza come l'utilizzo di acqua con presenza di amianto per usi antropici può essere rischioso per la salute umana, non solo per l'ingestione ma anche e soprattutto perché con l'evaporazione le fibre sono destinate ad aereodisperdersi nell'ambiente di vita, a contaminare abiti, lenzuola, suppellettili, e quindi respirate con conseguente aumento del rischio di compromissione della salute;
   la pericolosità dell'amianto nell'acqua potabile è stata sottolineata anche nel corso della recente seconda Conferenza internazionale dell'ONA (Osservatorio nazionale amianto) ONLUS, che si è tenuta il 20 e 21 marzo 2014 a Roma presso la Camera dei deputati;
   si ritiene che la prevenzione, la bonifica e la messa in sicurezza del nostro territorio dalle tante situazioni di inquinamento ambientale, dissesto idrogeologico, pericolosità sismica, siano la vera priorità per il Paese, sia sotto l'aspetto della salute dei cittadini, del rilancio dell'occupazione, del sostegno all'economia dei territori, dello sviluppo del turismo: sono la prima opera infrastrutturale su cui investire –:
   se il Ministro della salute non intenda attivarsi presso l'Istituto superiore di sanità per approfondire le questioni evidenziate in premessa al fine di valutare se l'immissione di un formulato a base di fosfato monosodico alimentare e zinco nell'acqua da trattare per contenere le fibre di amianto presenti nell'acqua potabile possa comportare dei rischi sotto il profilo della tutela della salute dei cittadini e, una volta completato questo accertamento, se non intenda comunicarne le risultanze al comune di Carpi;
   se, nella redazione del piano nazionale amianto siano state adeguatamente considerate le possibili conseguenze derivanti dalla presenza dell'amianto nelle tubazioni e, in ogni caso, se non si ritenga necessario adottare iniziative per la verifica della eventuale presenza di fibre di amianto nelle reti idriche italiane con i relativi termini entro i quali adempiere a queste verifiche;
   se si ritenga necessario prevedere di realizzare e disporre un piano nazionale di ammodernamento delle infrastrutture legate all'utilizzo e alla gestione dell'acqua pubblica, anche utilizzando i fondi strutturali europei, sia per evitare la dispersione di acqua sia, soprattutto, per salvaguardarne la salubrità rispetto al rischio amianto e altri agenti patogeni in essa presenti. (4-04563)


   SILVIA GIORDANO, GRILLO, CECCONI, BARONI, DALL'OSSO, DI VITA, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   uno scambio di provette di embrioni si sarebbe verificato il 4 dicembre 2013 nell'ospedale Sandro Pertini di Roma;
   nel dossier predisposto dall'ospedale Sandro Pertini risultano sia la data che gli orari: otto e trenta e dieci e trenta durante i quali, secondo le ipotesi del centro di fisiopatologia delle riproduzione dell'ospedale romano, si sarebbe verificato lo scambio di provette degli embrioni tra le coppie che quel giorno e in quell'orario si sono sottoposte alla fecondazione assistita;
   questa è una delle ipotesi, ottimistica, seppur analogamente drammatica, perché l'errore resterebbe circoscritto a due coppie su quattro, ma fino a quando non si avranno riscontri scientifici certi il timore è che l'errore possa riguardare anche altre coppie, oltre le quattro che quella mattina si sono sottoposte al trattamento sanitario;
   il dubbio più forte è che lo scambio di embrioni non sia avvenuto quella mattina ma al momento dei prelievi fatti alle coppie, infatti dal momento dei prelievi, passano due, tre giorni prima di arrivare al trattamento vero e proprio, un lasso di tempo nel quale i prelievi finiscono in un incubatore;
   in quell'incubatore, in quei giorni e in quella settimana, dal 1o all'8 dicembre del 2013, sono stati allocati, probabilmente, i prelievi non solo delle quattro coppie che quella mattina del 4 dicembre si sono sottoposte alla fecondazione assistita ma anche quelli di coloro immediatamente prima e immediatamente dopo nell'arco temporale di 72 ore al 4 dicembre;
   lo scambio di provette, quindi potrebbe non riguardare le quattro coppie del 4 dicembre ma nell'ambito di un perimetro assai più vasto, che riguarderebbe tutte le donne e gli uomini che in quella prima settimana di dicembre si sono sottoposti agli esami di prelievo, un errore clamoroso con potenziali effetti devastanti a catena;
   la donna che sa di avere nel grembo un embrione dai profili genetici diversi dai suoi e da quelli del marito, lo ha comunicato alla Asl subito dopo aver svolto e ripetuto autonomamente analisi genetiche al Sant'Anna di Roma;
   dopo la denuncia del fatto accaduto il primo effetto immediato che ha determinato dal 1o aprile 2014 è stata la chiusura delle attività nel reparto di riproduzione e sterilità del Pertini di Roma;
   il Ministero della salute per quanto appreso dagli interroganti ha inviato gli ispettori per verificare che le rigide procedure previste nei casi di fecondazione assistita, assimilabili a quelle del Centro nazionale di trapianti, siano state rispettate;
   nel frattempo la Asl competente ha iniziato a contattare le coppie interessate;
   il  Ministero della salute dovrà valutare con molta attenzione quanto accaduto anche perché risulta non essere il primo caso in Italia di scambio di provette di embrioni –:
   se non intenda avviare una indagine approfondita in tutti i centri di fisiopatologia delle riproduzione, operanti negli ospedali in Italia al fine di verificare se la problematica relativa alla possibilità degli scambi di provette derivi da protocolli di controllo inefficaci e per mettere in atto tutte le azioni per evitare che casi simili possano ripetersi;
   se intenda comminare le risultanze dell'ispezione inviata non appena disponibili. (4-04564)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta orale:


   MARIASTELLA BIANCHI, BRATTI, MARIANI, BRAGA, BORGHI, GHIZZONI, RICHETTI, GIOVANNA SANNA, MANFREDI, GADDA, CRIVELLARI, CARRESCIA, COMINELLI, DE MARIA, TULLO, GIUDITTA PINI, CINZIA MARIA FONTANA, ZAMPA, LENZI, CARRA, FAMIGLIETTI, IORI, MARTELLI, RAMPI, FREGOLENT, ARLOTTI, ZARDINI, PETITTI, DAL MORO, COVA, COPPOLA, MORASSUT, MAZZOLI, COSCIA, REALACCI, TINO IANNUZZI, GINOBLE, DALLAI e MARCHI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con ordinanza n. 76 del 16 novembre 2012, il presidente della regione Emilia-Romagna – in qualità di commissario delegato ai sensi dell'articolo 1, comma 2, del decreto-legge n. 74 del 6 giugno 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 1o agosto 2012, n. 122, recante «Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici che hanno interessato il territorio delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, il 20 e il 29 maggio 2012» – ha disposto l’«Istituzione di una Commissione tecnico-scientifica per la valutazione delle possibili relazioni tra attività di esplorazione per gli idrocarburi e aumento dell'attività sismica nell'area emiliano romagnola colpita dal sisma del 2012» (Ichese) ed ha esteso, sino alla acquisizione dei risultati delle azioni, la sospensione in tutta la regione di qualsiasi nuova attività di ricerca e coltivazione, come è stato fatto fino ad ora nel cratere;
   in particolare, la commissione è stata incaricata di svolgere gli approfondimenti necessari a rispondere ai seguenti quesiti, relativi specificatamente al territorio colpito dagli eventi sismici del maggio 2012. Il primo chiede se: «è possibile che la crisi emiliana sia stata innescata dalle ricerche nel sito di Rivara, effettuate in tempi recenti, in particolare nel caso siano state effettuate delle indagini conoscitive invasive, quali perforazioni profonde, immissioni di fluidi, ecc.». Il secondo invece se: «è possibile che la crisi sismica emiliana sia stata innescata da attività di sfruttamento o di utilizzo di reservoir, le rocce contenenti gli idrocarburi, in tempi recenti e nelle immediate vicinanze della sequenza sismica del 2012»;
   gli esperti della commissione hanno considerato un'area di circa 4000 km2, che include tutta la zona colpita dalla sequenza sismica iniziata il 20 maggio 2012. Nell'area sono presenti tre concessioni di sfruttamento per idrocarburi, Mirandola, Spilamberto e Recovato, nonché il campo geotermico di Casaglia (Ferrara) e il giacimento di stoccaggio di gas naturale di Minerbio situato al margine sud-est dell'area. Nella zona è inoltre inclusa l'area del progetto Rivara per un sito di stoccaggio di gas naturale in acquifero, cui si riferisce il primo quesito posto alla commissione;
   il rapporto della commissione ha escluso relazioni tra il sito di Rivara e l'attività sismica del 2012 e ha concentrato la sua attenzione sulle concessioni di sfruttamento in particolare sul giacimento di Cavone situato nella concessione di Mirandola. Nelle conclusioni del rapporto si legge che «Lo studio effettuato non ha trovato evidenze che possano associare la sequenze sismica del maggio 2012 in Emilia alle attività operative svolte nei campi di Spilamberto, Recovato, Minerbio e Casaglia, mentre non può essere escluso che le attività effettuate nella Concessione di Mirandola abbiano avuto potuto contribuire a innescare la sequenza»;
   secondo la letteratura scientifica sono innescati quei terremoti originati da una piccola perturbazione umana che è sufficiente a modificare l'equilibrio tettonico. La condizione necessaria perché questo meccanismo si attivi è la presenza di una faglia già carica per uno sforzo tettonico, vicina ad un sito dove avvengono azioni antropiche che ne alterano lo stato di sforzo. In alcuni casi queste alterazioni possono provocare l'attivazione della faglia già carica;
   in base al rapporto della commissione è possibile pertanto che la faglia coinvolta nella sequenza sismica del maggio 2012 fosse vicina al punto di rottura e che le variazioni imposte dall'uomo alla crosta terrestre, derivanti sia dalla rimozione del petrolio che dall'introduzione di fluidi necessari a provocare la fuoriuscita del greggio, siano state sufficienti a innescare il terremoto;
   la commissione ha formulato raccomandazioni per una gestione ottimale delle attività di sfruttamento del sottosuolo, che comportano l'esigenza di definire nuove tecniche di monitoraggio e controllo, sviluppo di modellistica geofisica e geologica, nuove metodologie statistiche, piani di gestione del rischio con individuazione degli enti e i sistemi di controllo, programmi di interazione e comunicazione con la popolazione e gli amministratori;
   tutta la pianura padana è attiva da un punto di vista sismico e qualsiasi attività estrattiva deve essere preceduta e accompagnata da un'attività di monitoraggio e di studio che possa aiutare a gestire i rischi sismici come conclude il rapporto;
   gli esiti del rapporto della commissione sono stati inviati alla regione Emilia Romagna il 17 febbraio e sono stati pubblicati solamente il 15 aprile in seguito alle indiscrezione uscite sulla rivista americana Science;
   in seguito agli esiti dei lavori della commissione è stato istituito il 27 febbraio presso il CIRM, Commissione per gli idrocarburi e le risorse minerarie del Ministero dello sviluppo economico, un nuovo gruppo di lavoro incaricato di fornire, a partire dalle raccomandazioni contenute nel rapporto Ichese, linee guida operative delle attività di ricerca coltivazione e stoccaggio di idrocarburi e monitoraggio dei rischi sismici –:
   se il Ministro sia in grado di fornire un programma dettagliato sull'avanzamento dei lavori del gruppo di lavoro istituito presso il Cirm, se sia in grado di garantirne la pubblicità e la diffusione e di specificare entro quale termine si chiuderanno i lavori;
   se si intendano assumere iniziative per disporre, secondo il principio di precauzione, oltre alla prevista sospensione in tutta la regione Emilia-Romagna di qualsiasi nuova attività di ricerca e coltivazione, anche la sospensione delle attività di prospezione basate su rilievi geologici, geofisici e geochimici, eseguiti con qualunque metodo o mezzo, e ogni altra operazione volta al rinvenimento di giacimenti di idrocarburi;
   se non si intendano assumere iniziative per estendere tale divieto all'intero territorio nazionale dal momento che tutta la penisola italiana è sottoposta ad elevato rischio sismico in attesa della conclusione dei lavori del gruppo istituito presso il Cirm;
   cosa intenda fare per assicurare che l'attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi in terraferma e nel mare venga svolta nel più rigoroso rispetto dei principi di precauzione e di sicurezza per l'ambiente e per i cittadini basato anche su un rigoroso monitoraggio del rischio sismico nelle zone interessate dai progetti di ricerca. (3-00780)


   VACCA, COLLETTI e DEL GROSSO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende che il 24 febbraio 2014, l'amministratore delegato della Medoilgas Bill Higgs avrebbe rilasciato dichiarazioni agli azionisti della compagnia inglese affermando che la società «è in costante dialogo con il Governo italiano e altri stakeholder chiave per cercare risoluzione su una via da seguire per il progetto al di fuori dei tribunali»;
   dalle stesse notizie di stampa sembrerebbe che il Ministro, già vice presidente di Confindustria, audita in Parlamento il 27 marzo 2014 avrebbe dichiarato che: «io credo all'esigenza di dare corso agli investimenti privati per la ricerca e per la produzione di idrocarburi. Guardate, io qualche giorno fa ho avuto modo di incontrare l'Amministratore Delegato di una grossa compagnia, che mi diceva che ha più o meno 4 miliardi di euro di investimenti totalmente privati bloccati in una regione del Sud Italia dove, come dire, vorrebbero procedere a fare...»;
   da queste affermazioni sembrerebbe che il Ministro interrogato intrattenga rapporti con le società petrolifere;
   già in passato altri Ministri della Repubblica avevano intrattenuti rapporti costanti con gli amministratori delegati di società petrolifere; si può presumere, quindi, che alcune azioni dei Governi siano il frutto di questi rapporti. A tal proposito, è doveroso ricordare le modifiche introdotte dall'articolo 35 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, che salvano in modo retroattivo tutti i procedimenti antecedenti alla data del 26 agosto 2010, ira i quali il progetto di coltivazione del giacimento di idrocarburi «Ombrina Mare» nell'ambito della concessione di coltivazione d30 B.C–MD;
   quanto precedentemente esposto è avvalorato dalla lettera protocollo DIVA – 2012 – 0016011 del 3 luglio 2012 rinvenuta al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel corso di un accesso agli atti; nella lettera la società Medoilgas Italia s.p.a. esprimeva «un doveroso apprezzamento per il prezioso contributo apportato da Lei (dottor Corrado Clini – che in quel periodo era Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare) e dai suoi collaboratori per l'individuazione della soluzione poi adottata dal Governo al fine di porre riparo ad una situazione insostenibile oltre che ingiusta per gli operatori del settore» (petrolifero) auspicandone «un positivo completamento dell’iter alle Camere per una sua definitiva e rapida approvazione» a seguito di istanze «più volte rappresentate in passato» circa le «disposizioni introdotte con il decreto legislativo 128 del 2010...» che ha determinato «...drastiche restrizioni alle attività di esplorazione e coltivazione di idrocarburi nei mari italiani»; 
   oltre alle modifiche normative di cui sopra, i Ministri pro tempore Passera e Clini, dell'allora Governo Monti, hanno individuato l'Abruzzo come distretto petrolifero italiano sancendo tale prospettiva nella strategia energetica nazionale;
   ogni Ministro dovrebbe agire seguendo criteri di terzietà, imparzialità e indipendenza ad avviso degli interroganti;
   ogni proposta di legge, atto di sindacato ispettivo o mozione che propongono uno «stop» definitivo alle attività estrattive e alla concessione dei permessi di trivellazione a giudizio degli interroganti è stata sistematicamente ignorata dal Governo;
   la regione Abruzzo, gli enti locali, le comunità territoriali, le realtà produttive e le associazioni sono orientate ad un sistema regionale integrato mare–montagna di sviluppo economico e sociale ecosostenibile che la presenza del progetto di coltivazione di idrocarburi di Ombrina Mare, come quello di ricerca di Colle dei Nidi o di trivellazione di Bomba come tutte le altre attività di ricerca e coltivazioni di idrocarburi sia a terra che in mare, potrebbero fortemente compromettere, motivo per cui in sede di valutazione di impatto ambientale sono sistematicamente presentate numerosissime osservazioni sia dalle pubbliche amministrazioni che dalle comunità locali e dalle associazioni –:
   in che modo il Ministro intenda dare corso agli investimenti privati per la ricerca e per la produzione di idrocarburi e se ciò, in particolare riguardi anche la regione Abruzzo;
   se il Ministro effettivamente «intrattenga rapporti» con gli amministratori delegati delle società petrolifere ed in particolare con quello della Medoilgas.
(3-00781)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ZAMPA, CARLO GALLI, FABBRI e BOLOGNESI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Officine Rizzoli, nata nel 1896, 170 dipendenti, 20 filiali in tutta Italia e brevetti di alta tecnologia, eccellenza di livello europeo, è stata dichiarata fallita dal tribunale di Bologna il 24 gennaio 2013;
   all'indomani della dichiarazione di fallimento, lo stesso curatore fallimentare – Marco Zanzi affermava: «È vero che la società era insolvente e quindi andava dichiarata fallita, ma è altrettanto vero che si tratta di un'azienda eccellente, con prodotti validi, che può ancora stare sul mercato. Per questo che il Tribunale ha autorizzato la continuazione dell'attività: per non liquidare l'azienda e realizzare la sua vendita unitaria»;
   l'azienda è stata dunque posta in amministrazione controllata a causa di gravi difficoltà di bilancio determinate dal mancato pagamento di ingenti somme di cui l'azienda medesima era creditrice nei confronti del sistema sanitario nazionale e per i conseguenti debiti contratti con gli istituti di credito;
   il 12 dicembre 2013 si è svolto un incontro tavolo di crisi della provincia di Bologna, alla presenza dell'assessore Prantoni, della regione Emilia-Romagna, del sindaco e dell'assessore del comune di Budrio, del dottor Zanzi curatore fallimentare della Rizzoli, della CGIL e della Filcams Nazionale e territoriale e della Rappresentanza Sindacale Aziendale;
   il curatore ha evidenziato lo stato dell'azienda in esercizio provvisorio, fornendo tutti i dati produttivi e commerciali, gli aspetti sugli andamenti del bilancio e lo stato del confronto con i soggetti interessati all'acquisto del gruppo Rizzoli;
   nel corso dell'incontro è stato proposto di attivare, nel momento che si riterrà più opportuno, un confronto al Ministero dello sviluppo economico, sollecitando il curatore e le istituzioni locali ad un percorso collegiale, affinché si creino le condizioni ideali che consentano la ricollocazione sul mercato del gruppo Rizzoli;
   nonostante il fallimento dichiarato nel 2013, la Rizzoli ha prodotto un fatturato di ben 6 milioni con l'esercizio provvisorio a dimostrazione che il prodotto è di qualità, le commesse sono puntualmente prodotte e pertanto ci sono tutte le potenzialità per ricollocare sul mercato l'intero gruppo che ha la sede produttiva a Budrio e 23 filiali sparse sul territorio nazionale;
   tuttavia, a seguito della dichiarazione di fallimento, sono già due i tentativi di vendita all'asta dell'azienda che sono andati deserti;
   il 30 aprile prossimo scadrà l'esercizio provvisorio ed il 23 luglio 2014 scadrà altresì la cassa integrazione straordinaria per i 150 dipendenti del gruppo –:
   quali iniziative intendano assumere i Ministri interrogati, per quanto di competenza, al fine di favorire le condizioni che consentano la ricollocazione del gruppo Rizzoli sul mercato e al fine di tutelare i lavoratori che attualmente usufruiscono della cassa integrazione guadagni straordinaria in scadenza nel mese di luglio 2014. (5-02662)

Interrogazione a risposta scritta:


   FANTINATI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   c’è grande preoccupazione tra i 200 dipendenti — 190 donne – della Symbol spa, più conosciuta come Abital, stabilimento di via Preare, a Parona. L'azienda – specializzata nel settore abbigliamento uomo di fascia medio-alta – è dal 1980 di proprietà del gruppo Corneliani di Mantova e da tempo lavora in regime di monocommittenza per Polo Ralph Lauren;
   come riferiscono notizie di stampa, dopo mesi passati a discutere sulla possibilità di arrivare ad una intesa con Ralph Lauren per il rinnovo del contratto scaduto a marzo 2014, la proprietà ha informato i dipendenti che la distanza tra il costo di produzione e le richieste del committente risultano non colmabili;
   la situazione che si è venuta a creare potrebbe portare ad un blocco totale della produzione dal mese di luglio 2014, lasciando i 200 dipendenti senza lavoro, in un quadro già difficile per il settore tessile;
   nonostante gli impegni presi, a tutt'oggi non è ancora stato presentato un piano alternativo e la ricerca di nuovi committenti non ha portato alcun risultato concreto;
   l'unica soluzione per salvare la commessa, secondo l'azienda, è la delocalizzazione di gran parte della produzione in Slovacchia: questa opzione, però, preoccupa lavoratrici e lavoratori, che vedono a rischio i propri posti di lavoro;
   attualmente, lo stabilimento veronese produce 60 mila capi l'anno, cioè circa 250 capi al giorno, «se si optasse per questa soluzione – spiegano i sindacati – la produzione arriverebbe al massimo a 1.500 capi a stagione, con evidenti ricadute negative a livello occupazionale»;
   Symbol è una fabbrica di alta qualità, dove lavorano dipendenti con una professionalità elevata, che avranno poche opportunità di reinserirsi sul mercato data la loro specializzazione;
   a fronte di questa situazione, i lavoratori dell'Abital di Parona hanno proclamato lo stato di agitazione del personale per difendere questa storica azienda veronese che produce giacche uomo di alta qualità, completamente made in Italy –:
   se il Ministro interrogato non intenda i convocare un tavolo al Ministero dello sviluppo economico sulla vicenda dell'Abital al fine di trovare soluzioni, a cominciare dalla concessione degli ammortizzatori sociali, per traghettare il personale fino alla risoluzione della vertenza, coinvolgendo anche la proprietà chiamandola ad impegnarsi a portare avanti la produzione nello stabilimento veronese e cercando fin da subito nuovi marchi con cui avviare una collaborazione per il futuro.
(4-04548)

Apposizione di firme ad una mozione.

  La mozione Boccadutri e altri n. 1-00216, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 ottobre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Catalano, Rizzetto, Prodani.

Apposizioni di firme a interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione L'Abbate e altri n. 5-01792, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 dicembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Zolezzi.

  L'interrogazione a risposta scritta Zan n. 4-03978, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 marzo 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Costantino, Fitzgerald Nissoli, Gandolfi, Zampa, Bossa, Rubinato, Fiano, Pes, Narduolo, Sberna, Amoddio, Crivellari, Giancarlo Giordano, Franco Bordo, Scotto, Lacquaniti, Nicchi, Piazzoni, Di Salvo, Migliore, Ricciatti, Quaranta, Pannarale, Lavagno, Pellegrino, Matarrelli, Melilla, Micillo, De Rosa, Daga, Segoni, Zolezzi, Terzoni, Dallai, Pastorelli, Arlotti, Gadda, Francesco Sanna, Cominelli, Borghi, Bonafede, Morassut, Zardini, Zaratti, Mazzoli, Bratti, Ginoble, Mariani, Carrescia, Mariastella Bianchi, Ferraresi, Agostinelli, Businarolo, Cancelleri, Ruocco, Alberti, Brugnerotto, Turco, Ragosta, Marcon, Duranti, Palazzotto, Piras, Pilozzi, Fava, Daniele Farina, Nardi, Kronbichler, Paglia, D'Arienzo, Coccia, Crimì, Sbrollini, Capua, Santerini, Cassano, Placido, Martella, Carnevali, Culotta, Cinzia Maria Fontana, Ginefra, Folino, Incerti, Giacobbe, De Maria, Fratoianni, Casellato, Civati, Naccarato, Manfredi, Manzi, Malisani, Realacci, Rotta, Venittelli, Dal Moro, Garavini, Aiello.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Cinzia Maria Fontana n. 4-03473 del 6 febbraio 2014 in interrogazione a risposta in commissione n. 5-02665;
   interrogazione a risposta in Commissione Simone Valente e altri n. 5-02198 del 19 febbraio 2014 in interrogazione a risposta scritta n. 4-04554;
   interrogazione a risposta in Commissione Simone Valente altri n. 5-02211 del 20 febbraio 2014 in interrogazione a risposta scritta n. 4-04553.