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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 14 aprile 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    la promozione e la tutela dei diritti delle vittime da reato dovrebbe costituire oggi un obiettivo prioritario dell'azione politica di tutte le moderne democrazie, andandosi ad inserire nel quadro della tutela dei soggetti più deboli e vulnerabili della società;
    tra le direttive europee più recenti in materia – volte ad assicurare che le vittime di reati, particolarmente se violenti, ricevano adeguato riconoscimento sociale, sostegno e protezione giuridica – vanno certamente ricordate la direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, adottata il 25 ottobre 2012, che ha istituito norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, e la direttiva 2011/99/UE che ha introdotto l'ordine di protezione europeo;
    l'Italia negli ultimi mesi ha compiuto significativi passi in avanti: da un lato, attraverso l'inserimento nella legge di delegazione europea 2013 della delega al Governo per il recepimento delle direttive sopracitate; dall'altro, muovendosi nella direzione di una più compiuta tutela della vittima nell'ambito della giustizia penale, in particolare con il decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, che ha rafforzato gli obblighi di comunicazione e informazione alla vittima e ampliato le sue facoltà di partecipazione al procedimento, dando così una nuova concretezza alla posizione della vittima nel reato nel quadro delle norme in materia di sicurezza e contrasto della violenza di genere;
    tuttavia, se analizzato nel complesso, il quadro normativo nazionale di tutela della vittima appare ancora frammentario e suscettibile di miglioramento rispetto agli standard fissati in sede europea, soprattutto sotto il profilo di una compiuta tutela del soggetto vulnerabile prima, durante e dopo il processo penale;
    sotto il profilo della tutela nel processo, occorre innanzitutto rivedere le prerogative processuali della vittima nell'ottica di configurarla quale vera e propria parte processuale, consapevole, informata, conscia dei propri diritti ed in grado di gestirli ed esercitarli, senza necessariamente costringerla a costituirsi parte civile al solo scopo di avere una voce nel processo e fornendole adeguata consulenza legale, anche prima che il procedimento penale sia formalmente iniziato;
    il decreto-legge n. 93 del 2013 ha, infatti, meritoriamente introdotto nuovi obblighi di informazione della vittima, ma con effetti limitati solo ad alcune tipologie di vittime di reato; appare pertanto necessario estendere tali obblighi di informazione in modo generalizzato;
    le condizioni e le modalità di ammissione al gratuito patrocinio, poi, costituiscono una premessa importante della partecipazione delle vittime indigenti o vulnerabili, così come essenziale risulta la fornitura degli indispensabili servizi di interpretazione e traduzione necessari a consentire una partecipazione effettiva anche alla vittima alloglotta;
    altri aspetti significativi, sui quali occorre giungere a forme più avanzate di tutela e protezione delle vittime del reato, riguardano la loro partecipazione al procedimento cautelare e la possibilità di sviluppare meccanismi alternativi alla punizione irrogata nel processo penale, come, ad esempio, la mediazione;
    un punto molto sensibile e delicato, poi, è quello di un'adeguata formazione psicologica e giuridica del personale di polizia a cui è demandato il primo contatto con la vittima, al fine di fornirle un supporto efficace;
    occorre, tuttavia, tener presente che la tutela delle vittime del reato deve trovare riconoscimento e sostegno anche a prescindere dall'azione repressiva dell'apparato giudiziario, ossia fuori da una dinamica esclusivamente processuale, attraverso la necessaria predisposizione e copertura economica di quei servizi di sostegno materiale e psicologico alla vittima, in un quadro articolato di prevenzione, protezione ed assistenza delle vittime dei reati;
    il riconoscimento della sofferenza della vittima richiede, infine, allo Stato di predisporre anche meccanismi di risarcimento, specie in tutti quei casi in cui le vittime non ricevano ristoro dal colpevole del reato, perché, ad esempio, il responsabile è indigente o non è stato individuato;
    l'articolo 12, comma 2, della direttiva 2004/80/CE del 29 aprile 2004, obbliga gli Stati membri a dotarsi di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime;
    tuttavia tale articolo non ha trovato attuazione nel decreto legislativo n. 204 del 2007, che ha recepito la direttiva e che si è limitato esclusivamente a prevedere la predisposizione di meccanismi di cooperazione transfrontaliera per assicurare che il risarcimento possa essere richiesto anche da persone residenti all'estero, ma non ha introdotto un generale obbligo di risarcimento per le vittime di reati intenzionali violenti;
    la mancata attuazione dell'articolo 12 della direttiva europea è stata, peraltro, contestata dalla stessa Commissione europea, la quale ha avviato la procedura d'infrazione 2011/4147 ex articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, lamentando l'assenza di previsione di meccanismi generali di risarcimento per tutte le vittime di reati intenzionalmente violenti;
    tale punto, pertanto, appare certamente uno di quelli maggiormente critici e sul quale occorre intervenire con urgenza, essendo le forme di risarcimento attualmente previste solo di carattere settoriale e riferite a limitate categorie di reati violenti,

impegna il Governo:

   in attuazione di quanto previsto dall'articolo 12, comma 2, della direttiva 2004/80/CE, a predisporre iniziative normative volte ad assicurare un adeguato indennizzo alle vittime di reati intenzionalmente violenti, in particolare per tutti i casi in cui la vittima non possa ottenere il risarcimento dal soggetto colpevole del reato, contestualmente assumendo iniziative per il coordinamento e la semplificazione delle norme settoriali oggi vigenti;
   ad adottare ogni iniziativa utile, anche normativa, volta a garantire una partecipazione effettiva, consapevole ed informata della vittima del reato in tutte le fasi del procedimento e del processo, anche prevedendo la possibilità per la vittima di partecipare adeguatamente alla fase processuale nei casi in cui non si sia costituita come parte civile, valutando la possibilità di ampliare le ipotesi di assunzione anticipata della sua testimonianza in sede di incidente probatorio e prevedendo la mediazione quale facoltà, e non obbligo, per la vittima;
   a provvedere al reperimento delle risorse sufficienti ad assicurare la possibilità di accesso al patrocinio a spese dello Stato e alla riduzione degli oneri delle spese processuali a carico delle vittime;
   anche in vista dell'adozione del decreto legislativo di recepimento della direttiva 2011/29/UE, ad assicurare la formazione del personale giudiziario e di polizia che entri in contatto con le vittime dei reati, al fine di garantire che i diritti stabiliti dagli articoli 3, 4 e 5 della citata direttiva siano garantiti sia al momento del primo contatto con «un'autorità competente», sia, successivamente, al momento della denuncia;
   a predisporre quanto prima un piano globale di interventi integrati a favore della vittima, al fine di offrire adeguato supporto materiale e psicologico, nonché consulenza legale alle persone vittime di reato – ed in particolare a quelle fra loro vittime di reati violenti – costituendo un «rete nazionale di sostegno alle vittime» che sia presente in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale.
(1-00432) «Verini, Leone, Dambruoso, D'Alia, Pisicchio, Ferranti, Amoddio, Bazoli, Biffoni, Campana, Ermini, Giuliani, Greco, Leva, Magorno, Marroni, Marzano, Mattiello, Morani, Moretti, Giuditta Pini, Rossomando, Rostan, Tartaglione, Vazio».


   La Camera,
   premesso che:
    gli episodi di violenza che quotidianamente si verificano su tutto il territorio nazionale richiedono una tutela, preventiva e successiva, cui lo Stato, talora, non è in grado di rispondere;
    uno Stato civile dovrebbe essere in grado, se non di garantire la sicurezza e, dunque, la tutela preventiva al cittadino, quanto meno di fornire un aiuto, economico e morale, dopo che il reato è avvenuto e, dunque, di fornire almeno una tutela successiva;
    allo stato esistono diversi fondi di garanzia, di solidarietà o di tutela, tanto di rilievo nazionale quanto di rilievo locale;
    detti istituti di sostegno e di aiuto, senza alcun dubbio utilissimi, essendo nati in momenti diversi e non essendo conseguentemente raccordati gli uni con gli altri, creano sovrapposizione di competenze, lungaggini nell'elargizione dei contributi economici e, soprattutto, inutile dispendio di energie da parte dei soggetti interessati;
    talora accade addirittura che spesso gli istituti di sostegno non servano allo scopo per cui sono stati previsti e creati e detta frammentarietà della risposta istituzionale alle istanze di giustizia avanzate dalle vittime di vari reati, direttamente collegata alla scarsità di fondi, provoca la conseguente insufficienza dei fondi stessi rispetto alle richieste;
    in definitiva, il risultato ultimo della moltiplicazione di tali fondi rischia di essere il non raggiungimento dell'obiettivo di aiutare, anche economicamente, le vittime di reati;
    sarebbe opportuno riunire tutte le provvidenze economiche attualmente in essere, ponendole sotto un'unica voce attraverso la creazione di un fondo di garanzia per le vittime della violenza;
    dovrebbe, inoltre, essere specificato meglio il concetto di «violenza» comprendendovi qualsiasi comportamento, doloso o colposo, fuori dai casi di provocazione o comunque di volontaria causazione, volto a limitare, ridurre o, comunque, comprimere, impedire o escludere la libertà altrui e a ledere o, comunque, danneggiare la persona;
    la legislazione del nostro Paese, soprattutto a partire dalla fine degli anni Settanta, registra numerosi interventi legislativi contenenti misure e forme di assistenza, sostegno e informazione a favore di alcune vittime di specifici illeciti;
    un esempio di intervento in tal senso è rappresentato dalla legge 3 agosto 2004, n. 206, che ha dettato norme in favore dei cittadini italiani vittime di atti di terrorismo e di stragi, compiuti sul territorio nazionale o all'estero, e dei loro familiari superstiti e ha introdotto una serie di benefici ad esclusivo vantaggio delle vittime del terrorismo ma non anche delle vittime del dovere e di quelle della criminalità organizzata;
    un ulteriore intervento di tutela delle vittime di reato è stato delineato nell'ambito della prevenzione e della repressione della tratta di esseri umani e di protezione delle vittime di reato, in data 4 marzo 2014, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro degli affari esteri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dell'interno, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro della salute, mediante un decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2011/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio;
    quest'ultimo provvedimento è intervenuto in attuazione della delega conferita al Governo dall'articolo 5 della legge di delegazione europea 2013 (legge 6 agosto 2013, n. 96) e, in materia di tutela delle vittime di reato, ha recepito in modo non del tutto adeguato ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo alcune disposizioni previste nella direttiva citata, poiché non ha apportato né una tutela generale per le vittime di violenza né una tutela sufficientemente adeguata. Non è, infatti, previsto un sistema efficace di risarcimento delle vittime di reato dal momento che si stabilisce, a titolo di risarcimento, la somma forfetaria di 1.500 euro (piuttosto esigua, avuto riguardo a quanto subito dalle persone vittime di tratta di esseri umani) per ogni vittima;
    il complesso di tali interventi dell'Esecutivo è stato determinato dal preciso intento dello Stato di offrire un segnale di sostegno, in termini morali ed economici, a fronte di quei delitti diretti contro la sua stessa ragione di essere, ma, pur considerando favorevolmente tutti gli interventi predisposti in materia, si ravvisano ancora profili di criticità in merito alla piena applicazione e al riconoscimento di tali diritti alle vittime di reato ed è necessario evidenziare che nell'ordinamento italiano ancora non esiste una normativa generale sostanziale a tutela queste ultime;
    in linea di principio, il risarcimento del danno dovrebbe essere attuato a cura dell'autore del reato, tuttavia oggi, sul piano generale, il quadro complessivo dei risarcimenti risulta tutt'altro che rassicurante, ove si pensi alle numerose ipotesi di autori di reato rimasti ignoti o comunque insolvibili;
    l'esigenza di una piena tutela delle vittime del reato è fortemente avvertita ai vari livelli e alle diverse istanze della società italiana, anche perché la parte danneggiata, la parte offesa dal reato, ovvero la parte civile costituita nel processo ricoprono un ruolo e rappresentano un interesse che potrebbe essere definito di natura pubblica o collettiva;
    il trattamento adeguato delle vittime corrisponde a una serie di diritti fondamentali riconosciuti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (Cedu) e l'effettivo riconoscimento, nonché il rispetto dei diritti delle vittime, in particolare della loro dignità umana, della loro vita privata e familiare e della loro proprietà, devono essere salvaguardati garantendo nel contempo i diritti fondamentali altrui, quali quelli dell'accusato;
    è necessario soddisfare le esigenze delle vittime prima, durante e dopo i procedimenti penali per ridurre significativamente il costo globale della criminalità che comprende tanto i costi materiali connessi ai settori dell'economia e della sanità e al sistema della giustizia penale, quanto i costi immateriali, quali il dolore, la sofferenza e la riduzione della qualità della vita della vittima,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per risarcire le vittime di reato, prevedendo la possibilità di una commisurazione diversa dell'indennizzo, che non deve essere determinato in maniera fissa ma proporzionale al pregiudizio subito;
   a promuovere interventi finalizzati a superare ritardi e vuoti normativi fortemente pregiudizievoli per il soggetto più debole e meno garantito del processo, al fine di garantire il pieno riconoscimento della cittadinanza processuale a tutte le vittime di reato;
   ad assumere iniziative per istituire un fondo di garanzia per le vittime di reato che sia un istituto pubblico o, comunque, con partecipazione pubblica, finanziato anche attraverso la cessione, da parte dello Stato, dei crediti vantati nei confronti di coloro che sono stati condannati in via definitiva a pene pecuniarie, facendo sì che in detto fondo confluisca una quota parte dei beni, mobili e immobili, che sono oggetto di confisca;
   ad assumere iniziative per risarcire congruamente le vittime di reato allo scopo di riconoscere e rispettare i diritti delle stesse, in particolare la loro dignità umana e la loro vita privata e familiare.
(1-00433) «Mottola, Palese».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   LATRONICO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 31 marzo 2014, la testata giornalistica il Corriere del Giorno di Taranto e provincia ha cessato la sua attività sia in formato cartaceo che on-line;
   tale situazione si è verificata a causa del mancato recupero del contributo pubblico 2012-2013 che ha portato uno squilibrio di bilancio della testata giornalistica, già in liquidazione coatta e in regime di esercizio provvisorio per 6 mesi prima della prevista chiusura disposta dal Commissario liquidatore nominato dal Ministero;
   si ricorda che il Corriere del Giorno era un noto ed apprezzato quotidiano di Taranto, fondato nel 1947 da Egidio Stagno, Luigi Ferrajolo, Giovanni Acquaviva e Franco de Gennaro;
   nel corso degli anni il quotidiano cambiò denominazione, prima in Corriere del Giorno Nuovo e successivamente dal 1985 in Corriere del Giorno di Puglia e Lucania;
   non c’è dubbio che il quotidiano ha contrassegnato la storia democratica della regione Puglia e Basilicata e al riguardo i giornalisti ed i poligrafici stanno tentando con grande sforzo di rilevare la testata;
   infatti la richiesta per rilanciare il quotidiano è di riaprire l'edizione on-line, tale iniziativa è sostenuta dai giornalisti del Corriere del Giorno che hanno sottoscritto il documento e dalle parti sociali, come Confindustria e il gruppo dei Giovani imprenditori –:
   se sono a conoscenza dei fatti suesposti;
   se intendono adottare ogni iniziativa utile al fine di tutelare la continuità storica della testata e la salvaguardia dei professionisti. (4-04488)


   CASTELLI, MUCCI, DA VILLA, FANTINATI, DELLA VALLE e PRODANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 2 febbraio 2012 è stato sottoscritto un verbale di intesa tra Ministero dello sviluppo economico, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, la società Agile srl in AS e le organizzazioni sindacali FIOM CGIL, FIM CISL, UILM UIL, dove sono stati individuati metodi e strumenti per favorire l'insediamento in attività lavorativa dei dipendenti di Agile in AS che rimangono in capo alla procedura di amministrazione straordinaria a seguito della cessione dei rami d'azienda di cui al bando di cessione del 12 luglio 2011;
   la regione Piemonte ha approvato con deliberazione DGR 14 novembre 2012 n. 18-4912 e DGR n. 63-11820 del 20 luglio 2009 gli indirizzi per la attuazione di un programma di interventi di politica attiva rivolti ai 197 lavoratori in esubero di Agile in AS con sede di lavoro in Piemonte;
   i fondi di competenza regionale sono stati stanziati al fine di consentire l'inizio delle attività che sono state definite e concordate in dettaglio con le rappresentanze dei lavoratori;
   sono previsti percorsi di politica attiva realizzabili fino a dicembre 2013, compreso, e sono rivolti a 197 lavoratori a rischio;
   per i lavoratori il progetto prevede azioni di ri-conversione e ri-collocazione dei lavoratori in esubero, attraverso interventi personalizzati di formazione/qualificazione professionale, orientamento e ricerca attiva di opportunità lavorative, azioni di accompagnamento e sostegno alla creazione di impresa, strumenti di sostegno alla mobilità e alla conciliazione;
   il progetto prevede anche iniziative a sostegno delle imprese come incentivi per contratti di assunzione a tempo indeterminato e contributi alla formazione in impresa finalizzata a nuove assunzioni;
   la regione Piemonte, e direttamente coinvolta attraverso il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e le organizzazioni sindacali per coordinare ed orientare la propria azione a tutela della occupazione dei lavoratori Agile in AS di Torino e Ivrea con un progetto denominato FEG ovvero sostenere i processi di reinserimento dei lavoratori in esubero attraverso il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione con un co-finanziamento della Comunità europea (65 per cento) e regione Piemonte (35 per cento) per un importo complessivo di euro 1.500.000,00;
   in data 8 marzo 2013 la Commissione europea ha adottato la proposta di finanziamento per la domanda EGF/2011/016 in favore dei lavoratori collocati in esubero da Agile srl;
   l'Unione europea ha erogato il finanziamento al Ministero dello sviluppo economico e di conseguenza alla regione Piemonte (ottobre 2013) per l'80 per cento della somma disponibile al progetto FEG;
   le azioni che è possibile finanziare con il FEG sono l'assistenza nella ricerca di un impiego per il ricollocamento, la promozione dell'imprenditorialità, il supporto per attività professionali autonome, indennità per la ricerca del lavoro e di formazione fornendo anche una sorta di «dote» al lavoratore per il re-inserimento nel mondo del lavoro suddivisi in vari capitoli di spesa: bonus assunzione, voucher di conciliazione, bonus per mobilita territoriale, bonus per auto imprenditorialità, extra bonus;
   in pratica la finalità che la regione Piemonte si è data è quella di un utilizzo mirato del FEG ovvero ha fissato un massimale per singolo capitolo di spesa con l'obbiettivo di focalizzare al meglio le esigenze dei beneficiari per riuscire a ottenere il miglior risultato possibile da progetto FEG;
   il 14 gennaio 2013 i lavoratori coinvolti di cui al progetto hanno sottoscritto il patto di servizio con il CPI di Torino e nel corso del 2013 si sono svolti i colloqui con i dipendenti di Agile in AS sempre nelle strutture del cero per l'impiego di Torino e alcuni incontri collettivi presso le strutture del CPI di Torino;
   alla data odierna sono stati espletati, da protocollo, i «Servizi standard di accoglienza e screening» e non si è attuato alcun programma di formazione, non ci sono state riunioni operative per individuare una strategica soluzione per avviare un processo di ri-qualificazione con il finanziamento FEG e il termine del progetto è stato dichiarato improrogabilmente il 31 marzo 2014;
   il progetto FEG non ha prodotto alcun risultato utile disattendendo gli obbiettivi e le finalità dell'Unione europea sull'utilizzo dei fondi sopracitati –:
   se il Governo ne sia informato;
   se sia noto il numero di lavoratori ri-collocati attraverso il Progetto FEG con la suddivisione per tipologia di lavoro nonché la consistenza finanziaria dei capitoli di spesa specificandone la rendicontazione delle somme già spese ovvero delle azioni intraprese per il progetto suddivise in entrate e uscite partendo dai titoli sotto elencati:
    accoglienza e accesso al servizio;
    colloquio specialistico;
    bilancio competenze;
    monitoraggio coordinamento e gestione piano di intervento personalizzato;
    valorizzazione competenze professionali attraverso training personalizzato in gruppi di lavoro omogenei;
    ricerca lavoro;
    preselezione e incontro domanda-offerta;
    accompagnamento al lavoro;
    consulenza e supporto all'autoimprenditorialità;
    formazione professionale specifica;
    attività di informazione e pubblicità. (4-04496)


   RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dal Fatto Quotidiano dell'11 aprile 2014, all'articolo intitolato «Il sottosegretario Vicari e il museo in ufficio» che la sottosegretaria di Stato per lo sviluppo economico, Simona Vicari, ha fatto richiesta al Ministero per i beni culturali di ottenere opere d'arte, nello specifico dei quadri, per arredare il proprio ufficio;
   a tale richiesta, con una lettera del 2 aprile 2014, il segretario generale del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, l'architetto Antonia Pasqua Recchia, ha riscontrato positivamente assicurando che sarebbero stati conferiti al sottosegretario Vicari dei quadri in comodato d'uso, per il proprio ufficio nella sede del Ministero per lo sviluppo economico. A tal fine, il segretario generale riferisce di avere interessato il soprintendente del Polo museale di Roma, dottoressa Daniela Porro, invitando il sottosegretario Vicari a contattare la dottoressa Porro per concordare un incontro al fine di individuare i possibili beni da conferire in comodato. Inoltre, a quanto è dato sapere, a sua volta, la soprintendente di Roma ha trasmesso la richiesta del Sottosegretario a tutti i direttori dei musei statali romani, presso i quali la stessa avrebbe potuto procedere alla scelta delle opere d'arte;
   a parere dell'interrogante è palese la gravità dei fatti in questione, considerando che si apprende che il patrimonio pubblico viene agevolmente conferito per soddisfare la richiesta di un Sottosegretario di Stato, che invece di dedicarsi, esclusivamente, al suo mandato è impegnata ad arredare il proprio ufficio arricchendolo addirittura con opere d'arte che vengono sottratte ai musei nazionali. Altresì, desta sconcerto che a tale richiesta, il segretario generale del Ministero dei beni culturali e il soprintendente del Polo museale di Roma si mettano a disposizione per soddisfare tale interesse privato;
   si apprende, inoltre, che le opere d'arte facenti parte del patrimonio culturale pubblico vengono attribuite di frequente in comodato d'uso a politici, ambasciate, prefetture nonché altri enti, tanto che non è dato sapere attualmente quante siano le opere d'arte conferite e sottratte ai musei;
   si ritiene che sia illegittima la predetta pratica di conferire, tra l'altro a costo zero, opere d'arte di proprietà pubblica poiché si configura un grave danno all'interesse pubblico, considerando che il patrimonio culturale deve essere accessibile a tutti ed è una risorsa da valorizzare e gestire esclusivamente nell'interesse di tutti i cittadini e non di certo di politici che ritengono di potere usufruire di beni di proprietà dello Stato a scopi personali;
   si evidenzia, inoltre, che trasferire le opere d'arte da un luogo ad un altro, per mera rappresentanza, espone le stesse ad un grave rischio di danneggiamento, considerando che devono essere custodite esclusivamente in luoghi attrezzati a tutelarle, quali opere antiche ed uniche. Difatti, si ricorda il caso dell'assessore provinciale milanese, Roberto Cassago, che danneggiò, accidentalmente, una tela del settecento conferita per rappresentanza;
   ebbene, il Ministero dei beni culturali dovrebbe essere impegnato ad adottare iniziative per valorizzare il ricco patrimonio artistico italiano nell'interesse del bene comune, escludendo invece che possa sottrarre le opere d'arte dai musei nazionali per arredare gli uffici di esponenti politici e conferirli in rappresentanza a degli enti;
   soprattutto in momento di crisi economica, sociale ed occupazionale come quello che sta vivendo l'Italia, a parere dell'interrogante, la richiesta di un esponente politico di potere ottenere opere d'arte del patrimonio dello Stato per arricchire l'arredamento del proprio ufficio, appare illegittima e priva di senso di responsabilità verso il proprio mandato –:
   se il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro interrogato siano a conoscenza dei fatti esposti e quale sia il loro orientamento rispetto agli stessi;
   se ritengano legittima la richiesta del Sottosegretario Simona Vicari di ottenere delle opere d'arte per arredare il proprio ufficio, da prelevare dai musei nazionali, e, in caso affermativo, in base a quali disposizioni e formali procedure;
   se ritengano legittimo l'accoglimento della richiesta del Sottosegretario Vicari, da parte del segretario generale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, Antonia Pasqua Recchia, e della soprintendente, Daniela Porro, per il conferimento di quadri in comodato d'uso da prelevare dai musei nazionali e, in caso affermativo, in base a quali disposizioni e formali procedure;
   se e quali interventi ritengano di adottare urgentemente affinché le opere d'arte del patrimonio pubblico non siano più conferite per rappresentanza ad esponenti politici, autorità di altro genere o ad enti, ma valorizzate e gestite esclusivamente nell'interesse pubblico;
   se e quali immediati interventi intendano porre in essere per procedere ad un censimento di tutte le opere d'arte conferite per rappresentanza, per disporre il ritiro delle stesse affinché possano essere esposte al pubblico nei musei nazionali ai quali sono state sottratte. (4-04498)


   RUOCCO e FANTINATI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   si legge su mi articolo pubblicato su Il Tempo il 19 marzo 2014 che il Presidente del TAR del Lazio Linda Sandulli: «detiene insieme al marito l'80 delle quote sociali di una ditta edile che prende appalti dalla Prefettura di Roma e contemporaneamente presiede proprio la sezione del Tribunale amministrativo regionale chiamata a giudicare sulla regolarità di tali appalti»;
   per quanto riferisce il citato quotidiano, della citata ditta Proeti s.r.l. il marito del giudice Sandulli è amministratore delegato, direttore e responsabile tecnico nonché socio di maggioranza;
   la stessa giudice Sandulli detiene quota pari al 33,33 della società;
   la sezione del Tar del Lazio presieduta dal giudice Sandulli ha trattato cause relative alla gestione del centro di accoglienza per i rifugiati di Castelnuovo di Porto e che proprio alla Proeti s.r.l., di proprietà dei coniugi Sandulli, è stata aggiudicata, con procedura negoziata, la manutenzione straordinaria degli alloggi del citato centro;
   si legge su altro articolo pubblicato su Il Tempo il 20 marzo 2014 che il presidente del consorzio Eriches 29, già aggiudicatario di gara per il servizio di gestione del centro, lamenta di «aver subito un pregiudizio dai pronunciamenti emessi dalla sezione prima ter» ed afferma che «vogliamo essere giudicati da un giudice sereno, che non abbia più parti in commedia. Perché se è fornitore per la Prefettura di Roma proprio per il Cara di Castelnuovo di Porto, chi ci assicura che l'accanimento nei nostri confronti sia solo legato alle ragioni di diritto ?»;
   a giudizio degli interroganti le circostanze e le condotte riportate dalla stampa appaiono, ove rispondenti, al vero particolarmente allarmanti perché evocano una pericolosa commistione di ruoli e fanno paventare il rischio dell'alterazione della necessaria terzietà ed indipendenza del giudice –:
   se il Governo, alla luce dell'alta sorveglianza esercitata sulla magistratura amministrativa, intenda approfondire, per gli aspetti di propria competenza, anche con doverosi riscontri ed ispezioni, quanto riferito dalla stampa in ordine alla proprietà della Proeti s.r.l., alle attività e ai rapporti in essere della detta società con la prefettura di Roma in relazione all'attività della sezione del Tar del Lazio presieduta da giudice Sandulli adottando, ove del caso, le iniziative di competenza. (4-04499)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta orale:


   VACCA, COLLETTI e DEL GROSSO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   è stata scoperta una discarica abusiva in località Bussi nelle vicinanze della confluenza del fiume Tirino con il fiume Aterno-Pescara ove è stata rinvenuta una cospicua quantità di materiale altamente inquinante;
   l'ordinanza della protezione civile n. 3504 del 9 marzo 2006 recante «Disposizioni di protezione civile dirette a fronteggiare la crisi di natura socio-economico-ambientale determinatasi nell'asta fluviale del bacino del fiume Aterno» ha disposto che il dottor Adriano Goio è nominato commissario delegato per la realizzazione degli interventi urgenti necessari per il superamento della situazione di emergenza socio-economico-ambientale determinatasi nell'asta fluviale del bacino del fiume Aterno;
   con la nota del 10 maggio 2007 della regione Abruzzo è stata rappresentata, al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare l'urgenza e l'indifferibilità degli interventi di messa in sicurezza e bonifica della discarica abusiva rinvenuta in località Bussi;
   l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 4 ottobre 2007 n. 3614 riguardanti ulteriori disposizioni di protezione civile dirette a fronteggiare la crisi di natura socio-economico-ambientale determinatasi nell'asta fluviale del bacino del fiume Aterno dispone che il dottor Adriano Goio provvede a porre in essere ogni utile iniziativa volta al superamento del nuovo sopravvenuto contesto critico relativo alla discarica abusiva in località Bussi;
   il decreto ministeriale 29 maggio 2008 istituisce e perimetra il sito di bonifica di interesse nazionale in località «Bussi sul Tirino»;
   le aree da sottoporre ad interventi di caratterizzazione, di messa in sicurezza di emergenza, bonifica, ripristino ambientale e attività di monitoraggio, sono state individuate all'interno della perimetrazione sopra citata;
   l'articolo 2, comma 3-octies, del decreto-legge n. 225 del 2010 prevede che il commissario delegato di cui all'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 4 ottobre 2007, n. 3614, provvede, entro il 30 giugno 2011, ad avviare la bonifica del sito d'interesse nazionale di «Bussi sul Tirino»;
   il decreto-legge n. 225 del 2010 prevede che le opere e gli interventi di bonifica e messa in sicurezza dovranno essere prioritariamente attuati sulle aree industriali dismesse e siti limitrofi, al fine di consentirne la reindustrializzazione;
   lo stesso decreto-legge n. 225 del 2010 prevede che agli oneri derivanti dall'avvio della messa in sicurezza di emergenza e della bonifica della discarica abusiva rinvenuta in località Bussi si provvede con un limite di 15 milioni di euro per l'anno 2011, 20 milioni di euro per l'anno 2012 e 15 milioni di euro per l'anno 2013;
   da notizie di stampa del mese di ottobre 2013 apparse sui quotidiani abruzzesi in occasione della visita del Ministro interrogato si apprende che sono state trasferite al commissario le risorse a proposito del sito di Bussi sul Tirino sottolineando l'importanza di definire le priorità e bloccare l'inquinamento; viene aggiunto, inoltre, che il Ministero da mesi sta lavorando sull'attività istruttoria;
   i ritardi alla messa in sicurezza del sito inquinato continua a produrre effetti nocivi alla natura e alle popolazioni a valle di Bussi;
   nel corso delle abbondanti piogge verificatesi all'inizio del mese di dicembre 2013 sono state registrate piene e esondazioni del fiume Pescara lungo l'intero bacino idrografico che, sicuramente, hanno trasportato ogni sorta di materiale, anche quelli altamente inquinanti, fuori dall'alveo del fiume;
   tali esondazioni potrebbero provocare ulteriore danno ambientale e alla salute delle popolazioni –:
   quale sia la situazione attuale del sito della discarica abusiva di Bussi sul Tirino e quali siano le attività di caratterizzazione, messa in sicurezza e bonifica effettuate nel predetto sito per effetto dell'autorizzazione di cui all'articolo 2, comma 3-octies, del decreto-legge 29 dicembre 2010 n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10;
   se le risorse pari a 50 milioni di euro siano state effettivamente trasferite e utilizzate, in tutto o in parte, per avviare la messa in sicurezza e la bonifica integrale della discarica abusiva di Bussi sul Tirino;
   se il Ministro intenda assumere iniziative per stanziare le ulteriori risorse necessarie per la bonifica integrale del sito d'interesse nazionale, e a quanto ammonterebbero queste risorse. (3-00760)


   VACCA, COLLETTI e DEL GROSSO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   è stata scoperta una discarica abusiva in località Bussi nelle vicinanze della confluenza del fiume Tirino con il fiume Aterno-Pescara ove è stata rinvenuta una cospicua quantità di materiale altamente inquinante;
   l'ordinanza della protezione civile n. 3504 del 9 marzo 2006 recante «Disposizioni di protezione civile dirette a fronteggiare la crisi di natura socio-economico-ambientale determinatasi nell'asta fluviale del bacino del fiume Aterno» ha disposto che il dottor Adriano Goio è nominato Commissario delegato per la realizzazione degli interventi urgenti necessari per il superamento della situazione di emergenza socio-economico-ambientale determinatasi nell'asta fluviale del bacino del fiume Aterno;
   l'ordinanza della protezione civile n. 3536 del 10 agosto 2006 determina che, in considerazione dei maggiori compiti connessi all'espletamento delle iniziative di cui all'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3504 del 9 marzo 2006, al commissario delegato è corrisposta una indennità onnicomprensiva, ad eccezione del solo trattamento di missione, di entità pari al trattamento economico in godimento ai direttori della regione Abruzzo;
   l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 4 ottobre 2007 n. 3614 riguardanti ulteriori disposizioni di protezione civile dirette a fronteggiare la crisi di natura socio-economico-ambientale determinatasi nell'asta fluviale del bacino del fiume Aterno dispone che il dottor Adriano Goio provvede a porre in essere ogni utile iniziativa volta al superamento del nuovo sopravvenuto contesto critico relativo alla discarica abusiva in località Bussi ed in particolare a diffidare i soggetti responsabili allo svolgimento degli interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza e bonifica di rispettiva competenza e provvede in via sostitutiva, in caso di inadempienza dei medesimi, procedendo anche alle occorrenti iniziative tecniche, amministrative e di rappresentanza in sede giudiziaria per il risarcimento del danno ambientale;
   l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 4 ottobre 2007 n. 3614 dispone che al dottor Adriano Goio, in considerazione dei maggiori compiti connessi all'espletamento delle iniziative connesse alla Ordinanza stessa è corrisposta una indennità onnicomprensiva, ad eccezione del solo trattamento di missione, di entità pari al 20 per cento del trattamento economico in godimento ai direttori della Regione Abruzzo;
   con l'articolo 2, comma 3-octies, del decreto-legge 29 dicembre 2010 n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, il dottor Adriano Goio è stato autorizzato ad avviare la bonifica del sito d'interesse nazionale di «Bussi sul Tirino», come individuato e perimetrato con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 29 maggio 2008 nonché sono stati stanziati, per le predette finalità, 15 milioni di euro per l'anno 2011, 20 milioni di euro per l'anno 2012 e 15 milioni di euro per l'anno 2013;
   con il comma 5 dell'articolo 35 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, il Commissario delegato è stato autorizzato a proseguire le attività fino al completamento degli interventi ivi previsti;
   da notizie di stampa del mese di ottobre apparse sui quotidiani abruzzesi in occasione della visita del Ministro interrogato si apprende che sono state trasferite al commissario delegato di cui sopra le risorse del sito di Bussi sul Tirino e, dalle stesse notizie di stampa, si legge che il Ministro dell'ambiente sottolinea che il Ministero da mesi sta lavorando sull'attività istruttoria sulla bonifica della discarica abusiva di Bussi sul Tirino –:
   quale sia la situazione attuale nel sito della discarica abusiva di Bussi sul Tirino comprese le eventuali diffide ai soggetti responsabili allo svolgimento degli interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza e bonifica di rispettiva competenza previste dall'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 4 ottobre 2007, n. 3614;
   se l'indennità prevista dall'ordinanza della protezione civile n. 3536 del 10 agosto 2006 a cui si aggiunge l'indennità di entità pari al 20 per cento del trattamento economico in godimento ai direttori della regione Abruzzo stabilita nell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 4 ottobre 2007 n. 3614, considerando i presunti ritardi sull'assegnazione dei fondi, come dichiarato dal Ministro sugli organi di stampa, e quindi persistente la concreta impossibilità ad avviare la bonifica del sito d'interesse nazionale di «Bussi sul Tirino», sia stata corrisposta totalmente. (3-00761)


   MELILLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   si apprende a mezzo stampa che i 50 milioni destinati alla bonifica dell'ex Polo chimico di Bussi sul Tirino (PE) e delle aree limitrofe potrebbero essere utilizzati solo per queste ultime, rendendo di fatto inutilizzabile il sito per un nuovo intervento industriale;
   la cifra stanziata è largamente insufficiente data la gravità della situazione, se la notizia fosse vera, e la bonifica interesserebbe solo i siti limitrofi, non ci sarebbe più possibilità di nuovi insediamenti industriali, nonostante ci siano già degli imprenditori interessati, come dimostrano le istanze pervenute al comune di Bussi a seguito di un avviso pubblico;
   anche l'ipotesi opposta, che si risani cioè solo il sito industriale di proprietà della Solvay — che attualmente porta avanti il piano di smantellamento delle attività produttive — tralasciando le aree circostanti che sono le più inquinate e pericolose, sarebbe altrettanto inaccettabile;
   attualmente non si conoscono gli effetti prodotti dagli interventi di messa in sicurezza finora realizzati sulla mega discarica di Tremonti dal commissario Adriano Goio, prima con il «cupping» — il telo con il quale si è coperta l'area della discarica per impedire filtrazioni delle acque meteoriche e il trascinamento di inquinanti negli stati sottostanti — poi con i diaframmi metallici lungo la sponda sinistra del fiume Pescara per isolarlo dal sito inquinato ed affrancarlo dai contatti superficiali con il terreno contaminato;
   il decreto n. 225 del 2010 impone il risanamento sia del sito industriale che delle aree limitrofe ma a tutt'oggi le operazioni di bonifica non sono partite e questa situazione di stallo va a precludere qualunque ipotesi di re-industrializzazione e di rilancio lavorativo ed occupazionale del sito di Bussi (PE) –:
   se intenda operare per rispettare il decreto n. 225 del 2010 che impone il risanamento sia del sito industriale che delle aree limitrofe garantendo così la salute per i 300.000 abitanti in vario modo interessati dalle conseguenze degli inquinanti e un'ipotesi di re-industrializzazione e di rilancio occupazionale;
   quali saranno le modalità di intervento di bonifica ed i tempi di attuazione della stessa. (3-00763)


   MELILLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro interrogato ha annunciato recentemente «... una fortissima accelerazione delle bonifiche industriali su cui si traccheggia da anni con conferenze dei servizi che non approdano a nulla»;
   in questo quadro nazionale, desta seria preoccupazione la situazione del sito industriale di Bussi Sul Tirino, già dichiarata da anni area SIN, e della annessa discarica, la cui bonifica è ad un punto morto da anni ed il commissariamento delle attività non solo non sta risolvendo le problematiche di inquinamento ma le sta peggiorando costantemente da anni;
   il sito di Bussi (Pe) è tra le discariche più grandi d'Europa, investe un'area di circa 60 chilometri e vede circa 300.000 abitanti in vario modo interessati dalle conseguenze degli inquinanti;
   l'inquinamento delle aree industriali sta producendo effetti devastanti lungo tutto il corso del fiume Pescara, e le popolazioni residenti sono sottoposte agli inquinanti presenti nelle acque;
   il porto canale di Pescara ha visto interrotte le attività di pesca per più di due anni, anche a causa delle difficoltà di dragaggio nel suo alveo delle sostanze inquinanti presenti nel sito di Bussi Sul Tirino, che hanno bisogno di essere trattate in modo speciale;
   le attività industriali della Solvay di Bussi sono minacciate di chiusura aggiungendo al problema ambientale anche quello occupazionale –:
   in che modo intenda accelerare le attività di bonifica dei siti SIN e, in particolare, di quello di Bussi Sul Tirino;
   con quali tempi e con quali modalità intenda intervenire garantendo una possibile reindustrializzazione delle aree ottenibile solo con le opportune bonifiche;
   quali azioni intenda attivare per la bonifica dell'asta fluviale del fiume Pescara;
   se non si intenda superare subito il commissariamento affidato a GOIO alla luce dei risultati, a giudizio dell'interrogante fallimentari, della sua azione.
(3-00764)


   REALACCI, BRATTI, COMINELLI e GINOBLE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da un articolo di Giovanni Valentini, pubblicato da La Repubblica il 24 marzo 2014, dell'intenzione da parte dell'amministrazione comunale di Bussi sul Tirino (PE) di reindustrializzare il sito produttivo di Bussi;
   Bussi sul Tirino è stato da sempre considerato un sito di grande interesse industriale grazie alla ricchezza di acqua. Così nel 1901 la società Franco-Svizzera di Elettricità, divenuta poi Società Italiana di Elettrochimica, ottenne la concessione di installare impianti per la produzione di cloro, sfruttando il fiume sia per il fabbisogno di acqua dell'industria stessa che per la produzione di energia elettrica. Nel 1907 Bussi rappresenta la prima produzione in Italia dell'alluminio con il metodo elettrochimico. Dopo la prima guerra mondiale il polo industriale si concentrò sulla produzione di ferro-silicio (corazze per le navi), clorati (per esplosivi), fosgene (da tetracloruro di carbonio per gas asfissianti), Ioduro e cloruro di benzile (gas irritanti e lacrimogeni), acido benzoico (irritanti). Nel dopoguerra gli impianti passarono sotto la gestione della Montecatini che dal 1960 concentrò lo sfruttamento per la produzione di cloro, clorometani, cloruro ammonico, piombo tetraetile e trielina. Nel luglio del 1966 venne costituita la SIAC (Società italiana additivi per carburanti) che assunse, nel gennaio del 1967, la gestione del settore produttivo piombo-alchili. Tra il 1989 e il 1994 furono potenziati gli impianti per l'acqua ossigenata e per il clorometano. Nel 1995 fu installato un nuovo impianto per la produzione di detergenti domestici con la caratteristica di esercitare a freddo l'effetto sbiancante a cui si uniscono le proprietà battericide;
   per quanto sopraesposto si evince che le attività del polo industriale di Bussi sul Tirino, storicamente, sono state caratterizzate da produzioni di grande nocività per la fauna, la flora, l'equilibrio idrico dell'area e gli esseri umani; 
   secondo il detto articolo di Repubblica ed anche nella relazione della regione Abruzzo in relazione al sito si conferma che: «il Corpo Forestale dello Stato ha individuato, in località Bussi sul Tirino (PE), un'area estesa circa 30.000 mq, sita a poca distanza dalla confluenza dei fiumi Tirino e Pescara (nella sponda sinistra del fiume Pescara) nei pressi della stazione ferroviaria del medesimo comune, in cui è stata rinvenuta una notevole quantità di rifiuti (per una volumetria presumibile di circa 240.000 me). Sono in corso già da tempo e analisi chimico-fisiche dei materiali rivenuti da parte dei tecnici dell'ARTA Abruzzo, impegnati nella zona anche per indagini più vaste, commissionate dalla Regione Abruzzo, inerenti studi della qualità delle acque di falda («Pozzi Sant'Angelo»), da cui si preleva acqua per fini potabili da parte dell'ACA, azienda acquedottistica di Pescara. Dalle analisi di laboratorio effettuate dall'ARTA Abruzzo e dai sondaggi e carotaggi che ad oggi sono stati eseguiti, è risultato che i rifiuti sono costituiti da sostanze altamente nocive, per lo più cancerogene, come: cloroformio, esacloroetano, tetracloruro di carbonio, tetracloroetano, tricloroetilene, idrocarburi policiclici aromatici, frammiste a terreni inquinati. Alcune di queste sostanze sono la base degli acidi solitamente utilizzati nelle tintorie. L'area suddetta, posta nei pressi del viadotto autostradale A 25 (Roma-Pescara), è stata ceduta nel 1999 dalla MONTEDISON ad una Società immobiliare di Milano, si trova in un ambito territoriale molto delicato, a poca distanza dai territori dei due Parchi Nazionali: Maiella Morrone e Gran Sasso e Monti della Laga, è stata posta sotto sequestro dalla Magistratura di Pescara che sta svolgendo le relative indagini. La Regione Abruzzo, la Provincia di Pescara ed il Comune di Bussi sul Tirino, tramite i rispettivi rappresentanti istituzionali, hanno dichiarato di volersi costituire come parte civile nell'eventuale giudizio di responsabilità per il danno ambientale arrecato»;
   anche Legambiente Abruzzo lamenta come Bussi sul Tirino si configuri come un'area a gravissimo inquinamento ricompresa tra i gioielli ambientali e paesaggistici del Parco del Gran Sasso e il Parco della Maiella. Tra i «Siti di interesse nazionale» figura anche Bussi sul Tirino. I SIN sono stati definiti dal decreto legislativo n. 22 del 1997 (decreto Ronchi) e nel decreto ministeriale n. 471 del 1999 e ripresi dal decreto n. 152 del 2006 che stabilisce che essi sono individuabili in relazione alle caratteristiche dei sito, alla quantità e pericolosità degli inquinanti presenti, al rilievo dell'impatto sull'ambiente circostante in termini sanitari e ecologici nonché di pregiudizio per i beni culturali e ambientali;
   secondo una prima stima effettuata dall'Ispra per il Ministero della salute si valuta in 8,5 miliardi di euro il danno ambientale per quel territorio e in circa 500-600 milioni di euro il costo di bonifica dell'area inquinata, ora ricoperta, come testimonia Repubblica: «da un sarcofago, con un telone impermeabile e sopra un terrapieno in ghiaia»;
   l'interrogante ha presentato due atti di sindacato ispettivo nella passata XVI legislatura aventi il medesimo oggetto, senza però aver ottenuto alcuna risposta –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della questione;
   se e quali iniziative urgenti intendano mettere in campo per aggiornare, dopo anni, lo studio e il grado di inquinamento del SIN di Bussi sul Tirino;
   se intendano altresì chiarire lo stato degli interventi di bonifica, anche primaria, dei siti produttivi e inquinati finora attuati;
   da ultimo, se non intendano valutare l'opportunità di istituire, per quanto di competenza e di concerto con l'amministrazione comunale e la regione Abruzzo, un tavolo tecnico interministeriale per implementare un piano di rilancio socio-economico della comunità montana, anche attraverso un piano di reindustrializzazione dell'area, a patto punto di vista ambientale e compatibile con i predetti piani di bonifica. (3-00765)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PARENTELA, DIENI e NESCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la strada statale 682 Jonio-Tirreno (SS 682), nota anche come strada di grande comunicazione Jonio-Tirreno (S.G.C. Jonio-Tirreno), è una strada statale, interamente compresa nella provincia di Reggio Calabria, che collega la costa tirrenica con la costa ionica attraverso la galleria Limina;
   nel 2011 il quotidiano La Stampa riportò un dossier secondo il quale rifiuti radioattivi furono occultati nel cemento con cui fu costruita la galleria della Limina. Si riporta testualmente: «[...] dopo sei anni, si scopre un documento firmato da un geometra residente in un piccolo paese della zona. Ha 84 anni, si è ritirato a vivere in montagna. Di quello che ha dichiarato, in un colloquio investigativo reso davanti a un investigatore della Direzione Nazionale Antimafia, non vuole più parlare. Eppur lui era a conoscenza di questo fatto: «Certe volte, quando l'affondamento in mare si rivelava troppo complicato, si usavano le tumulazioni nel cemento». Il geometra ha parlato nello specifico della galleria Limina, 3 chilometri e 700 metri, sulla strada statale 682 che collega i due mari. Da Rosarno a Gioiosa Jonica. L'ultimo tratto, proprio quello della galleria, è stato ultimato nel 1992. Lì, secondo il suo racconto, sarebbero stati tumulati rifiuti radioattivi. Impastati nel cemento e poi inaugurati in pompa magna [...]»;
   il traffico di rifiuti radioattivi, soprattutto in Calabria, è stato più volte accertato. In particolare nel resoconto stenografico dell'audizione resa dal direttore dell'AISI Giorgio Piccirillo alla Commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite connesse allo smaltimento dei rifiuti in data 12 luglio 2011, si legge: «[...] informatori del settore non in contatto tra loro – la precisazione è rilevante per la cosiddetta convergenza delle fonti – hanno riferito che Morabito Giuseppe, detto Tiradiritto, previo accordo raggiunto nel corso di una riunione tenutasi recentemente con altri boss mafiosi, avrebbe concesso in cambio di una partita di armi l'autorizzazione a far scaricare nella provincia di Africo un quantitativo di scorie tossiche presumibilmente radioattive»;
   il 10 febbraio 2014 in una puntata della trasmissione televisiva «Presa diretta», un inviato si trova davanti all'imboccatura della galleria Limina e misura con un rilevatore portatile il tasso di radioattività, che risulta costantemente superiore alle soglie considerate normali;
   anche sull'inchiesta del quotidiano la Stampa, si legge: «All'imbocco della galleria Limina in direzione Tirreno, con un piccolo contatore geiger, si registra una radioattività di 0,41 microsievert ora. Quando il fondo ambientale in Calabria – il livello normale – oscilla fra 0,10 e 0,20. Sul versante opposto le alterazioni sono meno evidenti: 0,31. Altre gallerie della zona non fanno riscontrare lo stesso sbalzo. Va detto subito: 0,41 non è indice di pericolosità. Ma è anche vero che un metro di cemento basta per schermare in massima parte le radiazioni. Resta il dubbio se possa essere un piccolo indizio. Una conferma alle parole del geometra»;
   il 27 marzo 2014 in una nota stampa dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente della Calabria (Arpacal), si legge: «in alcuni punti della galleria della Limina, posta tra i comuni di Cinquefrondi e Mammola, in provincia di Reggio Calabria, la concentrazione di radon, gas radioattivo naturale inerte prodotto principalmente dal suolo e dai materiali da costruzione, è superiore al livello di azione previsto dalla normativa [...]». In merito alla presenza di radioattività artificiale, oggetto specifico e previsto dal programma messo in opera dall'Arpacal, il documento tecnico evidenzia, infine, che «i dosimetri utilizzati stimano la radioattività naturale, condizione necessaria e sufficiente per poter discriminare eventuali anomalie radiometriche generate dalla presenza di sostanze radioattive di tipo artificiale. L'esame di dettaglio dei dosimetri, inoltre, ha permesso di osservare che nel punto di misura, il dosimetro a più diretta esposizione con la parete del tunnel ha registrato un valore in media più alto rispetto all'altro, posto ad alcuni centimetri di distanza. Il dato tradotto potrebbe non essere significativo, in quanto anche la parete in cemento ha una sua radioattività naturale che può giustificare tale comportamento. Soltanto una caratterizzazione spettrometrica, relativa alle caratteristiche radiometriche del materiale che compone la parete del tunnel, quindi con un carotaggio delle pareti della galleria, potrà certificare la presenza nel sito di eventuali radionuclidi artificiali». Attività, quest'ultima, per la quale l'Arpacal sin dalla prima ora ha dato la sua disponibilità, sul piano scientifico, agli enti eventualmente chiamati a disporre tali fasi operative» –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga opportuno, per quanto nelle proprie competenze, promuovere con urgenza l'avvio di una caratterizzazione spettrometrica, come suggerito dalla stessa Arpacal, al fine di accertare o meno la presenza nel sito di eventuali radionuclidi artificiali;
   se al momento vi sia pericolo per la salute dei cittadini e quali iniziative di competenza intenda intraprendere per garantire il diritto alla salute, costituzionalmente garantito. (5-02630)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FRACCARO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge regionale n. 8/2012 del Trentino-Alto Adige/Südtirol (legge finanziaria per l'anno 2013) ha promosso un progetto finalizzato al sostegno di investimenti strategici per lo sviluppo del territorio regionale anche attraverso iniziative promosse in collaborazione con altri enti pubblici, società da essi controllate, fondi pensione territoriali, soggetti autorizzati all'esercizio del credito e altri soggetti istituzionali;
   con la delibera di giunta regionale n. 184 del settembre 2013 sono state definite le linee guida per dare avvio al progetto del Fondo strategico di investimento territoriale e autorizzare lo stanziamento sul bilancio 2013 di 500 milioni di euro da ripartire tra le due province;
   con la deliberazione n. 2396 del 22 novembre 2013 della giunta provinciale di Trento è stata approvata la sigla del protocollo di intesa per individuare un gruppo di lavoro – composto da uno o più rappresentanti della regione Trentino-Alto Adige, della Alto Adige Finance spa, della provincia di Trento, della Cassa del Trentino spa, dell'Agenzia provinciale per gli Appalti e Contratti («APAC») della provincia di Trento e dell'Agenzia per i procedimenti e la vigilanza in materia di contratti pubblici di lavori – con il compito di predisporre la documentazione di gara e fornire assistenza durante tutte le fasi della procedura per l'individuazione della SGR che provvederà a promuovere, istituire, organizzare, amministrare e gestire il Fondo comune di investimento;
   con la deliberazione n. 437 del 28 marzo 2014 di variazione al bilancio di previsione 2014, presentata dal presidente della provincia autonoma di Trento, Ugo Rossi, sono stati stanziati 75 milioni di euro per il Fondo strategico del Trentino-Alto Adige;
   la provincia autonoma di Bolzano, attraverso la propria società Alto Adige Finance spa, ha assunto un impegno finanziario di 75 milioni per il Fondo strategico del Trentino-Alto Adige nonché l'impegno del fondo previdenziale Laborfonds;
   le risorse del Fondo regionale strategico saranno destinate al sostegno di piccole e medie imprese mediante la sottoscrizione di strumenti finanziari (quali, ad esempio, mini-bond, project bond, cambiali finanziarie o cartolarizzazioni) emessi da imprese aventi sede legale e/o operanti nella regione;
   le finalità del Fondo regionale strategico sono quelle di favorire il massimo incremento della dotazione del Fondo convogliando, almeno in parte, i flussi di risparmio generati dal sistema locale – inclusi i fondi pensionistici territoriali – verso progetti promossi sul territorio;
   entro il mese di aprile 2014 è previsto l'avvio di una procedura ad evidenza pubblica da parte della regione per individuare la società di gestione del risparmio (SGR) che assumerà il compito di promuovere, istituire e gestire il Fondo regionale strategico;
   la Ragioneria generale dello Stato con la nota del 5 dicembre 2012 ha espresso un parere sul disegno di legge finanziaria per l'anno 2013. In tale parere, con particolare riferimento all'articolo 1 del disegno di legge, relativo al sostegno di investimenti strategici, si manifestano fortissime perplessità in ordine alla possibilità della regione di concorrere alla promozione e al sostegno di fondi per lo sviluppo del territorio di ciascuna provincia attraverso l'acquisizione di partecipazioni azionarie in organismi che investano direttamente o indirettamente in tali finalità, nonché sulla prevista concessione di credito anche infruttifero in favore delle province autonome o di società controllate dalle medesime province per la durata massima di 15 anni. Nella medesima nota, per quanto attiene alla concessione di credito alle partecipate, si evidenzia che la stessa potrebbe essere considerata aiuto di Stato ai fini della normativa europea. Inoltre, si esprime parere contrario in relazione all'utilizzo degli avanzi di amministrazione per la copertura degli oneri, per inidoneità della copertura medesima e si richiama la sentenza della Corte Costituzionale n. 70 del 2012, nella parte in cui ha affermato il principio secondo cui non è conforme ai precetti dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, realizzare il pareggio di bilancio in sede preventiva attraverso la contabilizzazione di un avanzo di amministrazione non accertato e verificato a seguito della procedura di approvazione del bilancio consuntivo dell'esercizio precedente, in quanto il predetto parametro costituzionale esige che l'obbligo di copertura debba essere comunque salvaguardato mediante la previa verifica di disponibilità delle risorse impiegate –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e se dagli atti risultino le ragioni per le quali la regione Trentino-Alto Adige/Südtirol non si sia uniformata alle considerazioni esposte con il parere della ragioneria generale dello Stato. (5-02628)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'ufficio del giudice di pace di Barra ha una competenza territoriale che si estende sul comune di San Giorgio a Cremano e sulla municipalità 6 (Barra-San Giovanni a Teduccio-Ponticelli) di Napoli;
   l'utenza demografica di tale ufficio è di circa 185.000 persone;
   i giudizi civili iscritti a ruolo presso l'ufficio del giudice di pace di Barra sono mediamente superiori ai 10.000 all'anno, e quelli pendenti al 31 dicembre 2013 erano 13.806, ai quali vanno sommati i giudizi penali;
   la durata dei processi civili è, presso tale ufficio, mediamente inferiore ad un anno, ben al di sotto della media nazionale, ed i processi definiti nell'anno 2013 sono stati ben 10.144;
   nell'ultimo anno sono state effettuate oltre 600 tra perizie giurate ed atti notori;
   parte dei procedimenti trattati dall'ufficio del giudice di pace in questione riguardano i ricorsi avverso sanzioni amministrative direttamente presentati dai cittadini;
   nell'archivio, presente nella struttura, vi sono attualmente circa 150.000 fascicoli d'ufficio ed oltre 100.000 fascicoli di parte, mai ritirati;
   la sede dell'ufficio del giudice di pace di Barra è un edificio di recente costruzione, modernamente attrezzato, con ampie aree di parcheggio sia interne che esterne ove, nei giorni di udienza, parcheggiano circa 300 autovetture ed un centinaio di motoveicoli;
   la struttura è raggiungibile sia in auto che con mezzi pubblici, trovandosi in prossimità di una fermata dell'autobus e di una stazione della Circumvesuviana ed essendo servita da strade di collegamento con la città di Napoli e con la provincia;
   l'immobile è di proprietà del comune di Napoli, concesso ad uso gratuito al Ministero della giustizia;
   il decreto-legge n. 156 del 2012, all'articolo 1, struttura un disegno di razionalizzazione che contempla, tra l'altro, la soppressione dell'ufficio del giudice di pace di Barra, con conseguente accorpamento dello stesso alla struttura del giudice di pace di Napoli;
   tale soppressione arrecherebbe indubbiamente un grave nocumento e pregiudizio ai cittadini residenti nel territorio, nonché agli utenti del servizio giustizia ed agli operatori, e rappresenterebbe inoltre un segnale negativo per l'area orientale della città di Napoli, zona notoriamente caratterizzata da un alto tasso di criminalità in cui un presidio di legalità e democrazia rappresenta un'esigenza irrinunciabile sia per le istituzioni che per le comunità locali;
   un atto dell'ufficio del giudice di pace di Napoli del 28 marzo 2014, prot. n. 206, inviato tra gli altri anche al Ministro della giustizia, ha richiamato l'attenzione su alcuni aspetti che incidono negativamente sia sulla sicurezza dell'attività che sulla funzionalità dei servizi;
   per quanto attinente alla sicurezza c’è da sottolineare come l'attuale configurazione preveda misure sufficienti ad assicurare il normale mantenimento dei parametri di prevenzione delle emergenze, specie se si tiene conto del già alto numero di persone che in sede di udienza affollano le aule (mediamente assegnate a due o più giudici contemporaneamente), delle decine di fascicoli e del fatto che per ogni fascicolo vi è la presenza di almeno due avvocati, delle parti e di eventuali testimoni e consulenti tecnici;
   le vie di fuga e di esodo, così come i dispositivi di prevenzione dei rischi, sono stati dimensionati per l'affluenza di personale e di utenti odierna, pari mediamente a circa 4.000 (con picchi vicini alle 5.000) persone al giorno;
   l'accorpamento appesantirebbe, facendoli saltare, tutti gli standard minimi di sicurezza sul lavoro;
   per ciò che concerne le misure di prevenzione degli incendi, per le quali il complesso di aule, uffici ed archivi è già dotato, l'accorpamento di altra sede giudiziaria farebbe aumentare il carico antincendio sia per l'elevato numero di persone in più sia per l'elevato sovraccarico di carta, materiale altamente infiammabile;
   in merito poi alla compatibilità sismica della già ormai vetusta struttura dell'ufficio del giudice di pace di Napoli, è doveroso accennare all'aumento dei carichi che essa dovrebbe sopportare per il maggior numero di persone e per il notevole carico di cui sarebbero ulteriormente gravate le strutture in cui alloggiare altre suppellettili, scaffalature e faldoni da archiviare;
   motivi economici e tecnici rendono difficile immaginare la possibilità di prevedere un adeguamento di tutte le misure sopraelencate;
   altrettanto preoccupanti sono le ripercussioni che l'ufficio avvertirà nella gestione dei servizi;
   se è vero che sarà possibile fronteggiare l'aumento del numero di giudici, per quanto attiene alla disponibilità delle aule, non altrettanto può dirsi con riferimento all'incremento delle attività di cancelleria conseguenti all'aumento della sopravvenienza degli affari, senza considerare che tutto ciò sarà notevolmente aggravato dalla difficoltà di gestire il poderoso carico pregresso della sede di Barra, non informatizzato o comunque non acquisito al database che gestisce il contenzioso civile nell'ufficio del giudice di pace di Napoli;
   l'atto dell'ufficio del giudice di pace di Napoli sottolinea anche l'inadeguatezza degli spazi destinati al parcheggio dei veicoli, non soltanto all'interno della struttura, ma anche nel contiguo contesto urbano;
   d'altronde questo aspetto è già causa di disservizi e lamentele nella stessa attuale composizione dell'ufficio;
   c’è anche da dire che, almeno fino al raggiungimento di una decisione in merito alla nuova destinazione, in seguito all'accorpamento lo stabile presso cui ha sede l'ufficio del giudice di pace di Barra andrebbe sorvegliato, al fine di evitarne l'occupazione e fenomeni di vandalismo;
   gli avvocati che svolgono la loro professione nell'ambito del territorio per cui è competente l'ufficio del giudice di pace di Barra si sono dichiarati disponibili a gravarsi delle spese necessarie per il funzionamento della cancelleria;
   il Consiglio dell'Ordine di Napoli si è reso disponibile all'acquisto dei necessari arredi;
   dal deliberato della conferenza dei capigruppo e del sindaco del comune di San Giorgio a Cremano del 20 marzo 2014 si evince la consapevolezza delle Autorità di quel comune circa il fatto che occorrerà valutare soluzioni meno traumatiche per i territori interessati;
   anche il sindaco del comune di Napoli, in una lettera indirizzata al Ministro della giustizia, ha fatto proprie le preoccupazioni espresse dall'ufficio del giudice di pace di Barra e dall'ufficio del giudice di pace di Napoli;
   senza una puntuale previsione ed organizzazione del futuro assetto dell'ufficio conseguente all'accorpamento, è verosimile pensare che si verificheranno disfunzioni e ritardi che incideranno sull'ordinato funzionamento dei servizi e, conseguentemente, sullo stesso esercizio della giurisdizione –:
   quali misure abbia già preso il Ministro interrogato in merito e quali azioni intenda intraprendere al riguardo;
   se non ritenga innegabile la sussistenza di presupposti oggettivi e soggettivi che rendono necessario il mantenimento dell'ufficio del giudice di pace di Barra;
   se non ritenga opportuno, laddove non vi fossero i margini per il mantenimento dell'ufficio del giudice di pace di Barra, provvedere almeno ad una proroga della soppressione di tale sede, al fine di ricercare una soluzione condivisa da tutti gli attori istituzionali (sindaci interessati, consiglio dell'ordine ed associazioni forensi) per garantire una riduzione al minimo dei disagi per gli utenti del servizio giustizia. (4-04487)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

IX Commissione:


   NARDI, NICCHI e QUARANTA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel luglio 2011 SAT ha presentato il progetto definitivo dell'autostrada A12 Rosignano-Civitavecchia (circa 260 chilometri) e lo studio di impatto ambientale, totalmente difforme dal progetto preliminare;
   le istituzioni locali e, le rappresentanze sociali ed economiche del territorio grossetano, in particolare durante il consiglio provinciale del 17 febbraio 2011, hanno espresso parere contrario a tale soluzione in quanto non garantisce il diritto alla mobilità dei cittadini ed interferisce pesantemente con le realtà economico-sociali del territorio, oltre a mettere a rischio la sicurezza stradale dell'intera viabilità locale in corrispondenza dell'autostrada;
   nonostante il parere negativo degli enti, il 3 agosto 2012 il CIPE, con delibera pubblicata il 27 dicembre 2012, ha approvato il progetto definitivo escludendo i lotti più complessi (4 e 5b per il territorio grossetano, oltre al lotto 7), procedendo con una modalità di presentazione progettuale discontinua che non ha garantito su una idonea valutazione di tipo ambientale, operando una sostanziale incoerenza tra progetto preliminare definitivo, rinviando al progetto definitivo importanti integrazioni che non sono state sottoposte a valutazione di impatto ambientale quindi non rispettando il codice degli appalti;
   nella delibera CIPE 2012 viene tra l'altro prescritto che il piano economico e finanziario relativo al progetto definitivo di tutti i lotti dell'autostrada A12 Rosignano-Civitavecchia, (piano mai sottoposto all'attenzione degli enti locali), dovrà confermare un valore netto complessivo pari a 2 miliardi di euro (1,3 miliardi già quantificati per i lotti approvati) e un valore di subentro pressoché nullo;
   a seguito di tale delibera CIPE, la provincia di Grosseto ed il comune di Orbetello nel febbraio 2013 ha presentato ricorso al TAR (udienza fissata per il mese di luglio 2014); successivamente, nel marzo 2013, SAT ha avanzato alla regione Toscana due ipotesi di tracciato per il lotto 5 B (Fonteblanda-Ansedonia);
   la regione Toscana (D.G.R. n. 241 del 9 aprile 2013) in difformità al parere della provincia di Grosseto ed a quello del comune di Orbetello, ha espresso parere favorevole sul tracciato che gli enti locali hanno ritenuto il peggiore;
   la difformità tra il progetto preliminare ed il progetto definitivo secondo gli interroganti non è rapportabile con i principi cardine della normativa sulle infrastrutture strategiche (articolo 165 decreto legislativo n. 163 del 2006), in quanto in sede di procedimento preliminare deve svolgersi la valutazione di impatto ambientale ove si raccoglie il consenso da parte delle regioni, sentiti gli enti locali interessati all'opera;
   la normativa impone per il progetto definitivo, l'attestazione di rispondenza al progetto preliminare e ogni scostamento non fisiologico dal preliminare, fa sì che il progetto risulta essere sostanzialmente nuovo, tanto da non potersi sottrarre alla ripetizione delle procedure; rispetto al progetto preliminare dell'intero tracciato (approvato dal CIPE nei 2008) costituito da un unico piano economico-finanziario, il progetto definitivo è riferito solo ad una parte dello stesso (circa la metà dell'intero tracciato) e quindi di fatto fraziona in più parti l'opera approvata con il preliminare, violando così il codice degli appalti;
   SAT ha inoltre operato una scelta progettuale che agli interroganti appare antitetica rispetto a quella di cui al preliminare e pertanto avrebbe dovuto procedere ad una nuova approvazione del progetto sulla base della normativa vigente e non eludere le finalità sulla procedura di VIA, che impongono una valutazione ed un'analisi sull'intervento nel suo complesso;
   il CIPE nel 2012 ha inoltre dichiarato che l'approvazione definitiva (riferita solo ai lotti 2, 3, 5 A, 6 B), sostituisce ogni altra approvazione, autorizzazione, parere comunque nominato, nonostante le numerose modifiche strutturali di cui alle prescrizioni imposte (adeguamento alle norme del rischio idraulico comportanti la possibilità di individuare nuovi viadotti, piano di gestione delle terre, approfondimento delle opere di raccolta e smaltimento e dei presidi idraulici, gli attraversamenti dei SIC, SIR, ZPS, criticità archeologiche, eccetera). Invece le numerose prescrizioni che rinviano la progettazione definitiva per i lotti stralciati 4 e 5B alla successiva fase del progetto esecutivo con nuove soluzioni localizzative e progettuali, nei fatti sta determinando secondo gli interroganti una sostanziale riformulazione del tracciato e delle opere;
   viene a mancare inoltre il rispetto del piano finanziario tra progetto preliminare e quello definitivo, frazionando l'intervento anche dal punto di vista della spesa;
   sia nel tronco a nord che a sud di Grosseto, SAT non prevede adeguata viabilità di servizio. Nel Tronco a nord del Capoluogo, l'assenza di varianti alla vecchia SS. 1 Aurelia, non evita l'attraversamento, con rischi per la sicurezza stradale, di numerose frazioni e della stessa città di Grosseto che vedrà convogliare al suo interno circa 5.000 mezzi/giorno in aumento, né risolve il collegamento viario con i grandi ambiti strategici produttivi di Scarlino per l'area nord della provincia e di Braccagni-Madonnino per l'area centrale; non sono servite le attività agricole esistenti, né è presente un adeguato ed efficiente collegamento con i porti turistici di Puntone, Punta Ala, Castiglione della Pescaia e Marina di Grosseto, senza peraltro risolvere i problemi causati dagli allagamenti del sottoferrovia in località La Magia oltre e i limiti strutturali del cavalcavia in località San Giuseppe;
   anche nel Tronco a sud di Grosseto, SAT non ha previsto adeguata viabilità complanare (laddove è in sostituzione all'attuale SS 1 Aurelia) in quanto si riduce ad una piattaforma discontinua e di soli m. 7.00, insufficiente a poterla classificare in categoria C1 (m. 9,50), quale viabilità di tipo regionale o statale, in grado di sostenere la fluidità del traffico alternativo alla A12, sia esso privato che pubblico (TPL, mezzi socio-sanitari, agricoli eccetera). Peraltro le caratteristiche previste per tale complanare, non permettono adeguati collegamenti con la rete dei porti e con i centri abitati e turistici di Orbetello, Monte Argentario, Isola del Giglio ed Ansedonia per il traffico in uscita a sud e a nord di Orbetello Scalo;
   il progetto SAT prevede il pagamento del pedaggio anche per i residenti determinando oltre al costo economico sulla cittadinanza locale anche un rilevante appesantimento del traffico veicolare sulla viabilità secondaria;
   la delibera CIPE 85/2012 non garantisce nei fatti nessuna esenzione del pedaggio per i residenti e per i mezzi di servizio e di soccorso, determinando forti preoccupazioni negli enti locali e tra i cittadini che si troveranno costretti a pagare il pedaggio su una infrastruttura pubblica, che loro stessi hanno contribuito a realizzare con il versamento delle tasse;
   l'Autostrada andrebbe a toccare territori di elevatissimo pregio ambientale come ad esempio il tratto del lotto 4 (Grosseto sud-Fonteblanda), dove tra l'altro non esiste ancora alcuna progettualità, e dove insiste l'area di Alberese, la Fattoria del Collecchio ed in generale l'intero parco naturale della Maremma e dove la realizzazione dell'autostrada penalizzerebbe l'ambiente e l'attività agricola e le attività connesse ed a queste integrative, oltre che le attività produttive e turistiche, e il tratto del lotto 5B (Fonteblanda-Ansedonia), e cioè un territorio di grande valore paesaggistico-ambientale e storico-culturale, che richiede una particolare tutela e salvaguardia, e che risulta inoltre fortemente interessato da insediamenti urbani, produttivi (località Campolungo) ed ambiti a forte valenza turistica, caratterizzati dalla presenza di località di pregio quali le Terme dell'Osa, l'area archeologica di Camporegio, la Laguna di Orbetello, i Promontori dell'Argentario, di Fonteblanda-Talamone e quello di Ansedonia, nonché le coste e i litorali di notevole attrazione come i Tomboli Osa-Albegna ed i tomboli di Giannella e Feniglia;
   l'autostrada produrrebbe gravi fenomeni di inquinamento (acustico, atmosferico, luminoso, eccetera) che inciderebbero negativamente sulle attività produttive, turistiche e sulla qualità della vita delle popolazioni residenti. Per non parlare dell'attraversamento dei siti inquinati delle ex aree produttive Sitoco e Sipe Nobel, che potrebbero determinare possibili interferenze per le falde acquifere e relative terre di scavo;
   l'intera area a sud di Grosseto, ed in particolare il territorio del comune di Orbetello con la frazione Albinia sono stati colpiti dal grave evento alluvionale (novembre 2012) che ha provocato morti e centinaia di milioni di euro di danni ai cittadini ed imprese agricole e non del territorio; nonostante tale evento il progetto SAT non ha elaborato alcuno studio sulla componente idraulico-idrogeologica e del reticolo ad essa afferente;
   l'intero Progetto SAT determina in tutto il territorio provinciale gravi problemi urbanistico-territoriali, economico-sociali e paesistico-ambientali e che con tale progetto, che prevede l'obbligo del pedaggio per l'intero tracciato in carenza di una vera ed adeguata viabilità alternativa, difatti si vuole trasformare un percorso oggi esistente, appartenente e fruito gratuitamente dall'intera collettività, con una infrastruttura oggetto invece di esclusiva concessione SAT, che con le soluzioni progettate per la viabilità di servizio e alternativa, non risolve ma anzi accentua le problematiche connesse alla sicurezza ed al traffico locale;
   l'intera opera autostradale tirrenica risulta ormai fuori dal tempo, assolutamente non più utile né ai territori che sarebbero attraversati né all'intero paese che dovrebbe muoversi su altre direttrici (ferrovia e cabotaggio costiero), un'opera probabilmente non sostenibile economicamente (visto l'abbassamento sensibile del traffico veicolare) e sicuramente pericolosa per l'intero contesto territoriale –:
   se il Governo, considerate le problematiche illustrate in premessa e la contrarietà dei territori che indurrebbero a rinunciare alla realizzazione dell'opera, intenda comunque intervenire per il miglioramento della sicurezza della strada statale 1 Aurelia nei tratti a maggior rischio di incidentalità, soprattutto tra Grosseto Sud e Civitavecchia. (5-02631)


   CATALANO e BRUNO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 12 giugno 2013 il Governo rispose all'interrogazione con risposta immediata in commissione n. 5-00305 avente come oggetto il caso della SEA Handling Spa, multata dalla Commissione Europea per aiuti di Stato;
   dalla data di risposta ad oggi sono innumerevoli le dichiarazioni stampa e i fatti succeduti nel tempo;
   ultimo cronologicamente è l'accordo firmato il 4 novembre 2013 nel quale SEA H. dichiarava che: «[...] trovandosi nell'impossibilità di dare attuazione alla decisione del 19 dicembre 2012, attraverso il recupero monetario del presunto aiuto di Stato, è stata avviata dal Gruppo SEA un'interlocuzione con la commissione, con l'obbiettivo di individuare una modalità alternativa di adempimento della decisione idonea ad evitare, nel primo semestre del 2014, la liquidazione della società, rimanendo peraltro non pregiudicato, il mancato riconoscimento da parte di SEA H. della legittimità della decisione»;
   con tale accordo SEA H. propone:
    a) la nascita di una nuova azienda Airport Handling srl dotata di autonomia patrimoniale, funzionale ed amministrativa;
    b) il licenziamento e la liquidazione delle spettanze per tutti i dipendenti di Sea H che poi sarebbero stati assunti da Airport Handling senza continuità del rapporto di lavoro;
    c) la disdetta da parte di Sea H di tutti i contratti con i vettori che sarebbero finiti sul mercato;
    d) la vendita di tutte le attrezzature da parte di Sea H che avrebbe dovuto dividerle in lotti e venderli sul mercato, inoltre prevedeva una pesante riorganizzazione che portasse Airport Handling ad avere costi compatibili con il mercato;
   risulta all'interrogante che:
    durante la riunione di Linate di lunedì 25 marzo 2014, la presidenza ha ufficializzato le notizie date dai media negli ultimi giorni circa la posizione della Commissione europea che approva la costituzione di una nuova società di handling per evitare il pagamento della multa da loro comminata causa presunti aiuti di Stato;
    la condizione da loro posta però sarebbe quella che la nuova società sia a maggioranza privata con Sea spa partecipante unicamente come socio di minoranza, questo, a detta loro, per garantire discontinuità;
    tale soluzione è in totale disaccordo con gli impegni assunti dall'azienda il 4 novembre 2013 con le organizzazioni sindacali che prevedeva il controllo al 100 per cento di Airport Handling;
    le organizzazioni sindacali firmatarie di quell'accordo hanno respinto l'ipotesi dell'uscita di Airport Handling dal perimetro Sea per evitare frantumazioni e precarizzazione del sistema di gestione del lavoro, cosa già avvenuta negli altri aeroporti italiani;
    le organizzazioni sindacali hanno quindi attivato la seconda parte della procedura dello sciopero nel gruppo Sea coinvolgendo anche il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Lupi e hanno sospeso le relazioni sindacali con Sea a tutti i livelli;
    si è inoltre richiesto un incontro urgente con il sindaco di Milano Pisapia e azionista di maggioranza della Sea;
    l'obiettivo della salvaguardia dell'unicità di questo grande gruppo imprenditoriale è l'unica reale tutela in un mercato senza regole;
    il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti dichiarava in risposta alla interrogazione, citata in precedenza, quanto segue: «Ad ogni modo assicuro, nel concludere, che il Governo continuerà a seguire con la massima attenzione il prosieguo della vicenda che ha coinvolto Sea Handling consapevole delle possibili ripercussioni sui profili occupazionali e di operatività dei servizi degli aeroporti milanesi» –:
   di quali informazioni sia a conoscenza il Governo e in che modo il Ministero si stia adoperando per tutelare gli oltre 2.000 posti di lavoro a rischio con il fallimento della Società SEA Handling.
(5-02632)


   BIASOTTI e CICU. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con provvedimento n. 24405, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, nella sua adunanza dell'11 giugno 2013, ha deliberato che le società Moby spa, SNAV spa, Grandi Navi Veloci spa e Marinvest srl hanno posto in essere un'intesa finalizzata all'aumento dei prezzi per i servizi di trasporto passeggeri nella stagione estiva 2011 sulle rotte Civitavecchia-Olbia, Genova-Olbia e Genova-Porto Torres e le ha di conseguenza sanzionate in via amministrativa;
   tale «cartello» ha portato ad un decremento di quasi un milione di passeggeri nelle tratte Civitavecchia-Olbia, Genova-Olbia e Genova-Porto Torres, arrecando un danno concreto ed evidente al sistema economico sardo;
   la Corte Costituzionale in data 16 luglio 2013 ha sancito l'obbligatorietà dell'intesa tra Governo e regione Sardegna per modificare la convenzione sui collegamenti marittimi con l'isola;
   la regione Sardegna aveva impugnato, con ricorso notificato il 12 ottobre 2012, fra l'altro, l'articolo 6, comma 19, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, per violazione del principio di leale collaborazione, dell'articolo 53 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), nonché degli articoli 3, primo comma, lettera p), 4, primo comma, lettere f) e g), e 6 dello stesso statuto speciale, quest'ultimo articolo in relazione all'articolo 3 e all'articolo 1, comma 837, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007);
   la norma censurata prevedeva che «Le convenzioni di cui all'articolo 1, comma 5-bis, lettera f), del decreto-legge 5 agosto 2010, n. 125, convertito, con modificazioni, dalla legge 1o ottobre 2010, n. 163, stipulate con i soggetti aggiudicatari dei compendi aziendali, si intendono approvate e producono effetti a far data dalla sottoscrizione. Ogni successiva modificazione ovvero integrazione delle suddette convenzioni è approvata con decreto del Ministro delle infrastrutture e trasporti di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentite le regioni interessate»;
   a parere della regione Sardegna, la disposizione impugnata determinava l'esclusione della regione stessa dal procedimento avente ad oggetto le convenzioni con i soggetti che gestiscono il servizio di trasporto marittimo fra la Sardegna e il continente: esclusione totale nella parte in cui si prevedeva che tali convenzioni si intendessero approvate e producessero effetti a far data dalla sottoscrizione, senza la partecipazione della regione al relativo procedimento;
   la situazione della regione autonoma Sardegna in ordine ai collegamenti marittimi è del tutto peculiare, a causa della sua insularità, che rende la corretta gestione di tali collegamenti essenziale per lo sviluppo industriale e turistico dell'isola e per il soddisfacimento dei diritti dei suoi residenti;
   l'articolo 53 dello statuto speciale per la Sardegna stabilisce, che «La regione è rappresentata nella elaborazione delle tariffe ferroviarie e della regolamentazione dei servizi nazionali di comunicazione e trasporti terrestri, marittimi ed aerei che possano direttamente interessarla», con ciò comportando la diretta presenza della regione nei relativi procedimenti;
   l'articolo 1, comma 837, della legge n. 296 del 2006 ha disposto che «alla regione Sardegna sono trasferite le funzioni relative al trasporto pubblico locale (Ferrovie Sardegna e Ferrovie Meridionali Sarde) e le funzioni relative alla continuità territoriale»;
   la «continuità territoriale» è di competenza specifica della regione, sia sul piano legislativo che su quello della gestione amministrativa, sia per l'espressa previsione normativa sopra riportata, sia in forza del cosiddetto «principio del parallelismo» di cui all'articolo 6 dello statuto speciale, in base al quale la regione ha potestà legislativa anche nelle materie in cui ha potestà amministrativa (sul punto viene richiamata la sentenza della Corte costituzionale n. 51 del 2006);
   la norma dichiarata incostituzionale violava altresì le seguenti disposizioni dello statuto speciale: a) l'articolo 53, che impone la diretta partecipazione della Regione ai procedimenti che interessano i trasporti da e per il continente; b) l'articolo 3, primo comma, lettera p), che riconosce alla regione potestà legislativa esclusiva nella materia «turismo», in quanto è specifico interesse regionale assicurare collegamenti efficienti ed economici tra la regione e il continente, tali da alimentare l'industria turistica; c) l'articolo 4, primo comma, lettere f) e g), che attribuisce alla regione la competenza legislativa concorrente nelle materie «linee marittime ed aeree di cabotaggio fra i porti e gli scali della regione» e «assunzione di pubblici servizi», sia in quanto lo stato dei collegamenti di cabotaggio è condizionato dai collegamenti da e per il continente, sia in quanto tali collegamenti sono servizi pubblici (dalla cui gestione la regione è invece estromessa); d) l'articolo 6, in relazione all'articolo 3 e all'articolo 1, comma 837, della legge n. 296 del 2006, perché impedisce alla regione l'esercizio delle funzioni (sia legislative che amministrative) nella materia «continuità territoriale» che ad essa è stata trasferita con tali norme statali;
   la disposizione censurata dalla Suprema Corte, proprio in una materia di sicura spettanza regionale, escludeva la regione dal procedimento approvativo delle convenzioni ad oggi sottoscritte e riducendola al ruolo di soggetto meramente udito nel successivo ed eventuale procedimento di integrazione e modificazione delle convenzioni stesse, violerebbe il principio di leale collaborazione;
   è necessario creare un sistema virtuoso che favorisca il libero mercato, garantendo quella continuità che oggi non c’è e in cui la regione, nelle nuove vesti di titolare dei finanziamenti per gli oneri di servizio pubblico, interverrebbe erogando contributi;
   il diritto alla mobilità per i cittadini dell'isola ci sarà solo quando la Sardegna sarà protagonista delle scelte in materia e non spettatrice –:
   quali iniziative abbia posto in essere il Governo al fine di evitare che si ripetano, soprattutto in vista dell'imminente stagione estiva, speculazioni da parte dei soggetti che gestiscono il servizio di trasporto marittimo fra la Sardegna e il continente;
   e se il Governo, in relazione a tale obiettivo, abbia previsto e predisposto un tavolo di negoziazione con gli enti locali sardi al fine di procedere a nuove e condivise convenzioni che garantiscano il diritto alla mobilità per i cittadini dell'isola e maggiori possibilità di offerta per i flussi commerciali e turistici. (5-02633)


   DELL'ORCO, NICOLA BIANCHI, LIUZZI, DE LORENZIS, PAOLO NICOLÒ ROMANO, SPESSOTTO, CRISTIAN IANNUZZI e GAGNARLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dalla stampa la volontà di Trenitalia di sopprimere dieci treni intercity a partire da mese di giugno 2014, previo confronto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Si tratterebbe di coppie di collegamenti che percorrono la linea dorsale tra Roma e Firenze che servono varie destinazioni (da Milano, Trieste-Venezia sino a Roma-Napoli-Salerno) e che svolgono spesso, per buona parte, un servizio di cabotaggio, utile ai flussi pendolari. Secondo il gestore sarebbero tutte tratte a mercato per le quali la società avrebbe registrato nel 2013 perdite per quasi 30 milioni di euro;
   i treni intercity garantiscono nel nostro Paese l'applicazione concreta del diritto alla mobilità in quanto sono di fatto un'alternativa economica all'Alta velocità sulle lunghe percorrenze di carattere interregionale e, grazie all'interazione con il trasporto su ferro regionale, sono appunto utilizzati anche dai cittadini costretti ad affrontare quotidianamente spostamenti per motivi di lavoro, studio o salute. La doppia valenza di mobilità nazionale e regionale degli intercity è ben nota al Governo e anche al gestore tanto che sul sito internet di Trenitalia si legge: «I treni intercity collegano circa 200 città grandi e medie, dal Nord al Sud: da Torino/Milano/Ventimiglia verso Roma/Napoli/Salerno, da Milano verso la Liguria e la Toscana 7 da Bologna verso la Puglia, da Roma verso Ancona/Perugia/Reggio Calabria/Taranto contribuendo a realizzare un efficiente sistema di interscambio con i treni del trasporto locale e con quelli ad Alta Velocità»;
   la soppressione di tale tratte avrebbe un effetto devastante anche sul trasporto regionale tanto che i presidenti delle regioni interessate (Toscana, Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Liguria, Umbria e Campania) hanno già inviato in data 24 ottobre 2013 una lettera al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Ministri competenti per chiedere il mantenimento del servizio in parola;
   il contratto di servizio stipulato tra il Ministero dei trasporti e Trenitalia spa ha per oggetto il servizio universale e si occupa proprio di treni di media-lunga percorrenza che non risultano sostenibili a mercato ma che sono fondamentali per assicurare il diritto alla mobilità. In sede di risposta ad interpellanza urgente n. 2-00276 il Governo avrebbe dichiarato con abile giro di parole che gli intercity compresi nel contratto di servizio garantiscono il diritto alla mobilità sulle tratte nazionali e che solo incidentalmente svolgono una funzione anche per il trasporto pubblico locale e che, pertanto, anche in considerazione della mancanza di ulteriori risorse e per mantenere in equilibrio economico-finanziario del contratto di servizio, il problema dei pendolari andrà risolto in ambito di trasporto pubblico regionale;
   il servizio ferroviario regionale ha però subito negli ultimi anni progressivi tagli di finanziamento e un progressivo innalzamento delle tariffe, senza, tra l'altro, un corrispettivo miglioramento della qualità del servizio che continua a risultare pessima sotto l'aspetto dei ritardi, della pulizia e della manutenzione del parco rotabile. Dall'ultimo rapporto di Legambiente, Pendolaria, si evince che fin dal 2009 mentre i passeggeri aumentavano del 17 per cento, le risorse statali per il trasporto regionale si sono ridotte del 25 per cento, pertanto caricare un ulteriore problema sull'ambito regionale sembra assolutamente impossibile;
   in un articolo de Il Fatto quotidiano del 31 marzo 2014, a firma di Stefano Campolo e Daniele Martini, si solleva il sospetto che i soldi stanziati dallo Stato dal 2009 ad oggi, per un valore complessivo di 739 milioni di euro, destinati all'acquisto e al rinnovo del materiale rotabile regionale, siano stati piuttosto destinati a coprire l'aumento dei costi relativi al servizio dei treni regionali dovuto all'introduzione da parte di Trenitalia, del contratto di servizio cosiddetto «a catalogo»;
   il sospetto di cui sopra risulta essere confermato anche da quanto affermato nel rapporto di monitoraggio sul contratto di servizio per il trasporto pubblico ferroviario regionale redatto, nell'agosto 2013, dall'Osservatorio della spesa e delle politiche pubbliche della regione Veneto. Secondo quanto contenuto nel documento, «una delle conseguenze maggiormente rilevanti dell'introduzione del nuovo metodo di calcolo è stato il considerevole aumento – stimabile intorno al 30 per cento – del corrispettivo dovuto dalla regione a Trenitalia»;
   nel rapporto di cui sopra viene inoltre sostenuto come: «le regioni italiane siano state sostanzialmente costrette ad accettare il contratto a catalogo in quanto, col decreto-legge n. 185 del 2008, lo Stato subordinò proprio alla sottoscrizione di tale contratto l'erogazione di indispensabili risorse aggiuntive per il trasporto regionale ferroviario»;
   pochi giorni fa il Sottosegretario Girlanda, rispondendo ad una interpellanza urgente, ha ribadito la volontà di «mantenere le condizioni di equilibrio economico-finanziario del contratto di servizio» affermando quindi il non interesse da parte del governo di inserire le 6 coppie di collegamenti a rischio soppressione e di cui in parola nel perimetro dei servizi contribuiti, ovvero tra i collegamenti ricompresi nel servizio universale;
   sempre in tale occasione, si è appreso che il Ministero ha avviato un tavolo di confronto con le singole regioni interessate e Trenitalia al fine di approfondire, dal punto di vista tecnico, le possibili ipotesi di mantenimento dei servizi, ovvero di ottimizzazione degli stessi, in relazione alle possibili integrazioni con i servizi a committenza regionale già esistenti, come anche con quelli in autonomia commerciale svolti da Trenitalia –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno intervenire, al fine di evitare il verificarsi di riduzioni di servizio anche a danno dei pendolari, attraverso strumenti più incisivi rispetto al tavolo di confronto citato in premessa, ovvero adoperando una revisione dell'assetto normativo che attualmente obbliga le regioni a sottoscrivere contratti di servizio rispondenti ai criteri di cui nel cosiddetto catalogo dei servizi. (5-02634)


   MARGUERETTAZ. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il testo del disegno di legge recante Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014) presentato dal Governo il 21 ottobre 2013, alla Tabella E, fra gli interventi nel settore dei trasporti, ha previsto il rifinanziamento di alcune opere già individuate dall'articolo 18 del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69 (decreto del fare);
   in particolare, il comma 2 del succitato articolo 18 ha incluso, fra le opere finanziabili, il collegamento ferroviario Piemonte-Valle d'Aosta, al quale sono destinati ulteriori finanziamenti dalla Tabella E della legge di stabilità, per un ammontare totale nel triennio 2014-2016 di 521 milioni di euro;
   il testo della tabella E risulta modificato nel passaggio fra i due rami del Parlamento: la voce «articolo 18, comma 2 punto 5: somme da assegnare alla regione Valle d'Aosta per il collegamento ferroviario Piemonte-Valle d'Aosta (1.2 – cap 7540)» è stata sostituita dalla seguente: «articolo 18, comma 2, punto 5: somme da assegnare a RFI per il miglioramento della rete ferroviaria (1.2 – cap 7540);
   questa modifica lascia invariato il capitolo di bilancio, il riferimento normativo e l'importo, ma sostituisce la finalità; sulla base del testo definitivo il finanziamento di 521 milioni di euro sembrerebbe destinato a RFI per una finalità più generale e per interventi su tutto il territorio nazionale, rispetto alla finalità inizialmente prevista che vincolava le risorse per il collegamento ferroviario Piemonte-Valle d'Aosta;
   la questione è stata sollevata dal firmatario della presente interrogazione al Sottosegretario per le infrastrutture e trasporti nella seduta della commissione del 5 dicembre 2013, ma da parte del Governo non sono stati forniti chiarimenti sulle implicazioni della modifica della dicitura di Tabella E –:
   quali siano le conseguenze della dicitura introdotta nella Tabella E recate dal testo definitivo della legge di stabilità per il 2014 e se, nel caso non vi fossero vincoli di destinazione delle somme ivi previste, non ritenga opportuno destinarli al collegamento ferroviario Piemonte-Valle d'Aosta. (5-02635)


   MOGNATO e TULLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 26 marzo 2014 il tavolo convocato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti con i presidenti delle regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia, il commissario straordinario per la TAV Bortolo Mainardi, l'amministratore delegato di RFI Michele Elia e il direttore investimenti della stessa RFI Maurizio Gentile ha deciso di abbandonare il progetto del tracciato litoraneo della TAV nel tratto Venezia-Trieste e di sviluppare un nuovo tracciato in affiancamento alla linea storica, intervenendo fin da subito sul potenziamento e l'adeguamento tecnico della linea esistente per un investimento pari a 1,8 miliardi di euro;
   lo stesso tavolo ha condiviso la necessità di assicurare in ogni caso il collegamento ferroviario con l'aeroporto «Marco Polo» di Venezia;
   pertanto, nel progetto di sviluppo della linea storica e del contestuale utilizzo del nodo dei bivi viene a cadere l'ipotesi progettuale del transito in tunnel sotto la gronda lagunare di Venezia con fermata ipogea presso l'aeroporto «Marco Polo», anche in considerazione della mancanza di risorse economiche;
   la predetta ipotesi della linea sotterranea di gronda era stata altresì scartata dall'amministrazione comunale di Venezia nell'adozione del proprio piano di assetto del territorio (PAT), prediligendo invece la soluzione del collegamento ferroviario con l'aeroporto «Marco Polo» attraverso una bretella parallela all'attuale collegamento autostradale, peraltro già approvata dal CIPE;
   la stampa locale ha pubblicato alcune affermazioni dello staff del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti secondo cui «il ministro ha dato mandato a RFI di studiare il percorso del tunnel, l'unico che potrebbe consentire un vero tracciato ad alta velocità»;
   l'ipotesi progettuale del tunnel in linea di gronda prevede un costo di 772 mln di euro per 10 chilometri di tracciato, 8 dei quali in galleria, mentre il tracciato in affiancamento alla bretella autostradale prevede un costo di 224 mln di euro –:
   quale indicazione il Ministro interrogato abbia effettivamente dato a RFI per il collegamento ferroviario dell'aeroporto «Marco Polo» di Venezia con il tracciato della linea TAV e quali siano le fonti di copertura del finanziamento di 1,8 miliardi di euro già previsto. (5-02636)


   PIEPOLI e GIGLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il nodo ferroviario di Udine non è stato ancora correttamente connesso alla nuova linea a doppio binario verso il valico di Tarvisio ed il traffico dalla stazione della città si collega tuttora alla linea diretta verso nord passando nel vecchio tracciato a un solo binario;
   da anni il nuovo allacciamento interrato con ampiezza per due binari è lasciato quasi abbandonato e incompleto ad un solo binario, pur rappresentando, come circonvallazione ferroviaria, la scelta ideale per la città;
   il problema va risolto quanto prima, sia per i disagi sociali che determina, sia per l'importanza strategica che la nuova tratta ferroviaria assume nei collegamenti europei con i porti adriatici del Paese, e per l'obiettivo di contrastare l'emarginazione che la regione subirebbe da programmi riguardanti infrastrutture ferroviarie in competizione che si stanno attuando oltre confine;
   la sistemazione della circonvallazione ferroviaria deve rientrare in un quadro di potenziamento della rete infrastrutturale regionale, vitale per la ripresa economica del Friuli Venezia Giulia, di cui il corridoio Adriatico-Baltico è elemento cardine;
   il progetto di collegamento Adriatico-Baltico già gode, peraltro, di importanti investimenti nel versante austriaco e di attiva iniziativa da parte della Slovenia per la variante concorrenziale di Capodistria-Maribor;
   inoltre, ai ritardi nella realizzazione di un collegamento di grande importanza strategica per la presenza italiana nel sistema ferroviario europeo si sommano i disagi ed i problemi di sicurezza patiti da migliaia di cittadini residenti nella zona est di Udine, cittadini che da tempo si sono mobilitati per chiedere con forza lo spostamento dei convogli ferroviari dall'attuale vecchio percorso (parallelo a Viale Trieste) alla vicina negletta circonvallazione ferroviaria;
   ciò renderebbe possibile l'eliminazione di ben cinque passaggi a livello, situati in una zona densamente popolata che, oltre ad essere origine di potenziali pericoli per la sicurezza dei cittadini in quanto ubicati a breve distanza dalle abitazioni, sono causa di notevoli disagi per la circolazione stradale, non solo per gli automobilisti, ma soprattutto per il «pronto intervento» delle autoambulanze, dei mezzi dei vigili del fuoco e delle forze dell'ordine; è facile, infatti, comprendere che, in presenza di un'emergenza, cinque passaggi a livello costituiscono un problema di grande rilievo sociale. Inoltre, essi rappresentano una fonte di inquinamento ambientale, soprattutto acustico, ma anche elettromagnetico e di polveri, patito dai residenti che vivono a ridosso del binario, e che è provocato non solo dai treni in transito accanto a case e palazzi, ma anche dalle auto in attesa ai passaggi a livello; non può essere, infine, dimenticato che i passaggi a livello risultano oggi antieconomici anche per i gestori della linea ferroviaria, per i costi di gestione e manutenzione e per i continui guasti;
   la risoluzione di quest'annoso problema sta diventando sempre più urgente per molti cittadini che alle numerose promesse espresse dalle istituzioni nelle dichiarazioni ufficiali non hanno visto finora far seguito alcun fatto concreto;
   solo dal mese di aprile 2013 è stata adottata una soluzione tampone con riapertura della linea notturna Udine-Cervignano per deviarvi sette treni merci al giorno sui ventuno totali che attraversano le vie cittadine;
   inoltre, l'incidente ferroviario che nel 2009 causò una trentina di morti e una ventina di feriti nei pressi della stazione di Viareggio dovrebbe costituire un monito per tutti a non sottovalutare il pericolo rappresentato, in particolare, dal transito di tanti carri cisterna a così ravvicinata distanza dalle abitazioni;
   nella stessa città di Udine, peraltro, una cisterna piena di liquido infiammabile deragliò in fase di manovra nel gennaio del 1999 e in quell'occasione solo la buona sorte contribuì ad evitare tragiche conseguenze;
   nel decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, (cosiddetto «decreto del fare»), è stata stanziata una prima tranche di 10 milioni di euro per il nodo di Udine, in quanto è stato riconosciuto come intervento prioritario, essendo un «collo di bottiglia» sul corridoio Baltico Adriatico –:
   se possa fornire notizie dettagliate sul programma nazionale relativo alle infrastrutture e ai trasporti e sulle iniziative necessarie per reperire fondi (statali-europei) per un potenziamento del sistema ferroviario del Friuli Venezia Giulia, evidenziando con opportuna visibilità nella lista delle spese e delle priorità la componente dovuta al costo del completamento della tratta in questione e sottolineandone la valenza primaria e l'urgenza. (5-02637)

Interrogazione a risposta scritta:


   D'AGOSTINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   presso il Ministero dei lavori pubblici è istituito il fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione, la cui dotazione annua è determinata alla legge finanziaria;
   in esecuzione della legge 12 novembre 2011 n. 183 (legge di stabilità per l'anno 2012), è stata azzerata la dotazione del fondo nazionale per l'anno 2012;
   moltissimi comuni della Campania hanno sollecitato la regione Campania ad erogare le risorse per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione (articolo 11 della legge n. 431 del 1998), annualità 2012–2013;
   la direzione generale per il governo del territorio della regione Campania ha restituito ai comuni la documentazione relativa all'annualità 2012 per mancanza di finanziamenti regionali e/o statali, comunicando altresì che non sono disponibili risorse nemmeno per l'annualità 2013;
    il contributo su canone di affitto è una misura di sostegno al reddito che incide su fasce particolarmente deboli della popolazione;
   negli ultimi anni detto sostegno è stato fondamentale per migliaia di famiglie;
   i comuni sono impossibilitati a mettere in campo qualsiasi azione alternativa di sostegno, per cui è su di essi che si scaricano le tensioni sociali crescenti dei soggetti interessati –:
   se, quali iniziative e in che tempi si intendano adottare per il ripristino del fondo nazionale di cui sopra. (4-04494)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MARTELLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella serata del giorno 9 aprile 2014 sono giunti a Marghera circa 40 profughi provenienti dalla Sicilia;
   i sindaci di Venezia e Mira secondo quanto riferiscono le notizie di stampa erano stati informati dell'arrivo di questi profughi, da far alloggiare presso due appartamenti di Mestre e presso l'ostello mirese di Giare, solo nel pomeriggio della stessa giornata;
   giunti presso gli uffici di via Nicolodi a Marghera per le operazioni di riconoscimento alcuni profughi hanno forzato le porte degli autobus e sono scappati;
   dei circa quaranta profughi solo 13 sono rimasti a bordo dei mezzi per procedere alle operazioni di riconoscimento mentre gli altri si sono dileguati approfittando della sera;
   l'episodio desta preoccupazione per una serie di considerazioni a partire dal fatto che le coste Siciliane da diversi giorni sono nuovamente meta di approdo di migliaia di profughi;
   è del tutto evidente che gli amministratori locali per quanto meritoriamente solidali verso i profughi e lo Stato non possono essere informati senza un congruo preavviso ovviamente finalizzato a rendere più snelle e operative le procedure di approdo dei profughi anche in termini di sicurezza –:
   in considerazione del fatto che gli sbarchi continuano ad avvenire lungo le coste della Sicilia, se e quali iniziative il Governo intenda porre in essere per evitare il ripetersi di simili episodi e se non intenda riconvocare tutte le regioni e gli enti locali per affrontare per tempo quella che rischia di preannunciarsi come una nuova emergenza umanitaria. (5-02627)


   PELUFFO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   dalla stampa locale e da un esposto presentato in data 16 dicembre 2013 alla procura della Repubblica presso il tribunale ordinario di Milano a firma del comitato «No amianto Trezzano», si apprende quanto segue:
   l'area ex Demalena — area industriale in disuso, sita in via Marchesina angolo via Matteotti, in Trezzano Sul Naviglio (MI) misura all'incirca 26.000 metri quadrati. La struttura della ex cartiera presenta stato di abbandono da circa 16 anni, le coperture dei fabbricati sono interamente composte da lastre in fibrocemento (contenenti amianto) per una superficie almeno pari a 10.000 metri quadrati;
   il Comitato Marchesina, nell'ambito dell'Unione comitati, in data 17 aprile 2009 inviò una lettera al direttore del dipartimento di prevenzione medica di Parabiago della ASL con la quale chiedeva di conoscere l'esito dell'avvenuta autonotifica presentata presso la ASL dalla Demalena al Dipartimento competente. L'ASL, con nota dell'8 maggio 2009, rispose che agli atti non risultava pervenuta alcuna documentazione riguardante il censimento di manufatti contenenti amianto né valutazione dello stato di conservazione per il comparto edilizio di cui trattasi. Comunicava altresì che, a seguito di quanto segnalato dal Comitato, la ASL avrebbe provveduto a relazionare in merito all'autorità comunale di Trezzano;
   in data 8 maggio 2009, il dipartimento di prevenzione medica di Parabiago, come segnalato al Comitato, inviava al comune di Trezzano S/N, con atto 43744, una relazione con la quale invitava l'ente ad effettuare tutte le verifiche del caso e ad adottare i provvedimenti di propria competenza relativi agli inconvenienti segnalati dal Comitato Marchesina;
   un mese dopo la trasmissione della lettera dell'ASL, con ordinanza n. 9 prot. 17170 del 9 giugno 2009, il sindaco, Liana Scundi, emanava un'ordinanza con cui si intimava ai proprietari di far eseguire entro 30 giorni dal ricevimento dell'atto, ai fini dell'adozione dei provvedimenti necessari alla messa in sicurezza o rimozione delle coperture contenenti amianto: a) verifica di presenza di amianto; b) in caso positivo, di darne immediata comunicazione al Servizio Igiene e Sanità pubblica della ASL Milano 1; c) di applicare la valutazione del rischio e di trasmetterlo al comune entro 30 giorni;
   in data 10 luglio 2009, il Per. Ind. Marveggio Bruno, tecnico incaricato dalla proprietà, redigeva la relazione sulla verifica dello stato di conservazione della struttura, utilizzando l'indice di degrado approvato dalla regione Lombardia con la DDG. Sanità n. 13237, pubblicata sul B.U.R.L. — serie ordinaria — del 9 dicembre 2008. La relazione metteva in evidenza un indice di degrado pari a 28, che rendeva necessario di conseguenza un intervento di bonifica entro 3 anni dalla valutazione, per cui entro luglio 2012;
   in data 31 luglio 2009, la società ELC S.p.A, con doc. prot. n. 21555, presentava la debita documentazione prevista dal PRAL della regione Lombardia nella quale si dichiarava un indice di degrado ID pari a 28 e dichiarava nel contempo di voler provvedere alla bonifica dei manti di copertura oggetto dell'esame entro i tre anni, così come previsto dall'allegato 6.3 della D.D.G citata;
   i lavori di bonifica, di cui era stato annunciato l'avvio per gennaio 2013, non hanno avuto alcun riscontro. La scadenza del termine per l'intervento avveniva nel luglio 2012, e l'amministrazione aveva compreso nel contesto del PGT in approvazione l'esecuzione della bonifica da parte di ELC, accettando e/o stabilendo essa stessa un rinvio delle date di inizio lavori sentenziate dalla scadenza delle verifiche e dei certificati di cui sopra (tre anni a partire dal 2009);
   in data 10 ottobre 2013, 16 mesi dopo il termine ultimo per l'effettuazione degli interventi di bonifica, durante la notte si registrava un distaccamento delle plance di copertura del tetto. I residenti hanno constatato e documentato mediante fotografie e filmati che dall'esterno del perimetro della proprietà numerose plance di copertura del fabbricato, in diverse parti degli stabili, non sono più adese ai loro supporti, se non addirittura dislocate e distaccate completamente, e/o presentano visibili danni da disfacimento, esfoliamento del materiale, presenza di muschi e di superfici sfaldate;
   inoltre avendo le coperture raggiunto i cortili, durante l'evento del 10 ottobre 2013, superando i confini della proprietà, e dirompendo al suolo di pertinenza di civili abitazioni e ivi polverizzandosi, mettevano a rischio l'incolumità dei residenti stessi, come rilevato anche da apposito verbale redatto dalla polizia locale di Trezzano successivamente all'evento;
   il commissario comunale provvedeva ad emettere avviso di avvio del procedimento alla proprietà, ai sensi degli articoli 7 e 8 legge 241 del 1990, per rimozione materiali contenti amianto intimando, entro termine di giorni 20, alla messa in sicurezza e bonifica dei manufatti contenenti amianto oggetto dell'autodenuncia depositata in data 31 luglio 2011 protocollo 21555 e di quelli indicati negli elaborati depositati presso il comune in data 6 luglio 2013 protocollo n. 14827 (indagine ambientale e valutazione degrado e rischio), specificando che, qualora la proprietà non provvedesse a dare riscontro a quanto richiesto con la trasmissione della documentazione relativa all'intervento eseguito, sarebbe stata emessa ordinanza a carico del proprietario;
   in data 14 ottobre 2013, è stato fondato il Comitato No Amianto Trezzano, autore di un presidio davanti alla casa comunale di Trezzano e altre iniziative tese a sensibilizzare al problema la cittadinanza e le istituzioni;
   in risposta a quanto sopra, in data 4 novembre 2013, la proprietà dell'area ex Demalena, ELC s.r.l., scriveva al comune di Trezzano s/n dichiarando che ha depositata in data 15/12/2012 SCIA n. 23529, per esecuzione lavori di bonifica; che l'intervento oggetto della SCIA era composto di sei fasi operative, ognuna delle quali doveva essere preventivamente concordata ed autorizzata con l'ASL competente e che attualmente è stata eseguita la fase 1; che è intenzione della società proprietaria procedere con la fase 2;
   la seconda fase che doveva procedere con la autorizzazione del piano di lavoro da parte dell'ASL è stata iniziata in data 18 novembre 2012 ma a risposta negativa dell'ASL si è interrotta in quanto non si è provveduto a presentare all'ASL un secondo piano di lavoro valido per rispettare l’iter della Scia;
   non vi è documentazione di alcun atto fino al 20 novembre 2013 (a distanza di un anno dalla presentazione del piano di lavoro cassato), quando Fontanelli Srl, incaricata dalla proprietà dell'esecuzione dei lavori, presentava un piano di lavoro per il Lotto 2, a cui l'ASL rispondeva con tempestività (protocollo numero 101395 del 21/11/13) in merito alla sussistenza del carattere di urgenza dell'intervento;
   ad oggi si rileva il persistere della condizione descritta: ciò determina una situazione di notevole disagio per la popolazione residente, esposta al rischio, concreto ed attuale, di contrarre le note e nefaste malattie tipiche da esposizione ad amianto –:
   se il Governo intenda disporre l'intervento del Comando carabinieri per la Tutela dell'Ambiente ovvero del Comando carabinieri per la tutela della salute, ovvero di altro organo deputato ad accedere al luogo al fine di accertarne le effettive condizioni di insalubrità e di pregiudizio per la salute pubblica e affinché si pongano in essere le opportune procedure per la rimozione definitiva degli inerti in fibrocemento e la messa in sicurezza dell'area interessata. (5-02629)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CARFAGNA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   recenti notizie di stampa riportate da importanti quotidiani nazionali descrivono, corredando di fotografie, uno stato a dir poco avvilente di una delle piazze più belle del mondo: piazza di Spagna, definita «una casbah con un esercito di venditori ambulanti abusivi che fanno il bello e cattivo tempo su quei gradini che separano Trinità dei Monti dalla Barcaccia» (Il Messaggero, 8 aprile 2014);
   il quotidiano denunciava peraltro la totale mancanza di controlli da parte dei vigili urbani, e senza tali controlli, agiscono indisturbati centinaia di venditori ambulanti;
   la carenza di personale di controllo potrebbe forse addebitarsi a quanto accaduto recentemente e riportato, sempre da recenti notizie di stampa, dalle quali si apprende che il Campidoglio si appresterebbe a promuovere 272 vigili urbani che nel 2003 avevano partecipato a un concorso interno per passare da operativi in strada a funzionari. Il concorso interno fu regolare, ma la sentenza di primo grado del giudice del lavoro favorevole ai vigili che chiedevano la promozione, permetteva di fare ricorso entro il 24 marzo 2014 data entro la quale l'avvocatura del Campidoglio avrebbe dovuto presentare ricorso, se non altro perché le nuove disposizioni normative vietano la possibilità di assumere personale senza concorso pubblico. Tuttavia il ricorso è stato presentato il giorno dopo la scadenza del termine, cioè fuori tempo massimo, cosa che provocherà un ulteriore aggravio per le casse di una città già fortemente indebitata;
   il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta con atto motivato provvedimenti al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana a norma dell'articolo 1, del decreto del Ministero dell'interno 5 agosto 2008, recante «Incolumità pubblica e sicurezza urbana. Interventi del sindaco»;
   il comma 11 dell'articolo 54 del decreto legislativo n. 267 del 2000 recita che nelle fattispecie di cui ai commi 1, 3 e 4, nel caso di inerzia del sindaco o del suo delegato nell'esercizio delle funzioni previste dal comma 10, il prefetto può intervenire con proprio provvedimento; tali provvedimenti sono preventivamente comunicati al prefetto anche ai fini della predisposizione degli strumenti ritenuti necessari alla loro attuazione;
   a giudizio dell'interrogante occorre salvaguardare le bellezze del comune di Roma che rappresentano l'Italia agli occhi del mondo, oltre che di valore incalcolabile, sia con opere di manutenzione e di restauro che con interventi di messa in sicurezza anche e soprattutto per la sicurezza dei cittadini –:
   se il Ministro sia a conoscenza della grave situazione in cui versa il patrimonio storico e culturale della città di Roma;
   se intenda attivarsi, nei limiti di competenza, presso il sindaco al fine di verificare quali siano gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria intrapresi e finalizzati ad impedire il degrado e il pericolo di crolli dei palazzi e delle opere architettoniche. (4-04492)


   PILOZZI e FRUSONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 25 maggio 2014, gli italiani andranno al voto per rinnovare i componenti del Parlamento europeo e un numero importante di amministrazioni locali su tutto il territorio nazionale;
   nella provincia di Frosinone in particolare, sono 40 su 91 i comuni dove i cittadini saranno chiamati ad eleggere il nuovo sindaco e i consigli comunali anche alla luce delle novità introdotte dalla legge di riforma delle province che, tra le altre cose, ha aumentato il numero dei consiglieri comunali per quelle realtà fino a 10.000 abitanti;
   in tale contesto preelettorale, per sua natura delicato e sempre caratterizzato da contrapposizioni e divisioni, risulta agli interroganti che è stata convocata nei prossimi giorni l'assemblea dei sindaci della provincia di Frosinone per il rinnovo degli organismi di gestione della Società ambiente Frosinone (SAF), società a totale capitale pubblico, partecipata da tutti i comuni della provincia di Frosinone, che gestisce l'impianto di trattamento rifiuti sito in Colfelice;
   l'impianto di Colfelice rappresenta il cuore della gestione dei rifiuti nella provincia di Frosinone e, unitamente alla vicina discarica di Roccasecca e al termocombustore di San Vittore, costituiscono il sistema che ha consentito in questi anni a un vasto territorio di gestire il trattamento dei rifiuti senza particolari difficoltà;
   v’è altresì da sottolineare che l'impianto di Colfelice da diversi mesi assorbe una parte rilevante dei rifiuti della provincia di Roma, supplendo a carenze strutturali del territorio romano oramai insostenibili;
   tutto il sistema di raccolta e smaltimento rifiuti in provincia di Frosinone necessità oggi di un profondo rinnovamento non solo strutturale ma soprattutto come modello: da un modello basato su livelli bassi di raccolta differenziata, deposito in discarica e termocombustione, occorre passare a un modello basato su riduzione a monte, raccolta differenziata spinta e recupero a valle, cosa che oggi, con tali strutture, risulta molto complicato;
   in tutti i 40 comuni al voto, il tema del modello di gestione dei rifiuti sarà al centro della competizione elettorale vedendo contrapporsi visioni differenti e proposte politiche basate su sistemi di gestione antagonisti;
   alla luce di tali considerazioni, l'elezione del nuovo Consiglio di amministrazioni della Saf, a pochi giorni dalla competizione elettorale, da parte dei sindaci uscenti, molti dei quali non saranno neanche ricandidati, significa impedire ai cittadini di scegliere quale modello di gestione dei rifiuti realizzare sul territorio provinciale;
   in altri termini, il rinnovo del Consiglio di amministrazioni della Saf appare agli interroganti quantomeno inopportuno, lesivo dei diritti dei cittadini di decidere su un tema così importante e, probabilmente, frutto di una logica partitocratica che vede i sindaci uscenti voler procedere a nomine «di peso» a pochi giorni dal rinnovo di molte istituzioni locali;
   inoltre, risulta agli interroganti che, allo stesso modo, i sindaci dei comuni del basso Lazio saranno convocati per rinnovare gli organi gestionali del COSILAM, il consorzio per lo sviluppo industriale del Lazio meridionale, con sede a Cassino;
   anche in questo caso, non si comprende l'opportunità, se non la legittimità, di un rinnovo pluriennale di cariche da parte di sindaci uscenti in relazione a un ente il Cosilam, che la regione Lazio risulta stia valutando di sopprimere fondendolo con l'altro consorzio industriale della provincia di Frosinone;
   tutte queste operazioni, forse non illegittime sotto un profilo strettamente giuridico, sono in ogni caso molto gravi sotto il profilo politico e di opportunità perché palesano una logica lesiva dei diritti dei cittadini di discutere e votare anche sui modelli di gestione delle società pubbliche nella prossima campagna elettorale amministrativa –:
   se non ritenga, alla luce di quanto descritto in premessa di assumere iniziative normative dirette e vietare esplicitamente una volta verificatosi lo scioglimento degli enti locali, la possibilità di partecipare o disporre nomine di qualsiasi tipo, anche in scadenza, assicurando che tali compiti siano posti in essere in ogni caso dei soggetti neoeletti. (4-04493)


   CARIELLO, BRESCIA, D'AMBROSIO, DE LORENZIS, L'ABBATE e SCAGLIUSI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'avvocato Francesco Miulli, con testamento olografo del 14 novembre 1712, dando vita ad un negozio di fondazione, ha lasciato in eredità tutti i suoi beni a «lo Spedale di Acquaviva seu li poveri infermi d'Acquaviva», ospedale che voleva si realizzasse nelle sue «case palazziate», come di fatto è poi avvenuto, eseguendo le volontà testamentarie;
   il 27 dicembre 1896 il decreto reale di Umberto I, su proposta del Ministro dell'interno Di Rudini, sentito il Consiglio di Stato, ai sensi della legge n. 6972 del 17 luglio 1890 «Norme sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza», approvava, secondo il testamento e la continuità storica, lo «statuto organico dell'Ospedale civile di Acquaviva delle Fonti», preventivamente approvato, in data 20 gennaio 1896, anche dal consiglio comunale di Acquaviva delle Fonti e tuttora vigente;
   la legge n. 132 del 12 febbraio 1968 «Enti Ospedalieri e assistenza ospedaliera» all'articolo 3 dispone che «Le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza... sono riconosciute di diritto enti ospedalieri equiparati all'amministrazione dello Stato», ed al successivo articolo 4 dispone che «con decreto del Presidente della Regione su delibera della Giunta Regionale... gli enti pubblici di cui al primo comma dell'articolo precedente sono dichiarati enti ospedalieri», come puntualmente è avvenuto, ad esempio, per l'Ospedale «Galliera» di Genova;
   una sentenza del TAR Puglia di Bari (n. 340 del 26 aprile 1977) ha qualificato l'ospedale Miulli «ente ecclesiastico munito di personalità giuridica pubblica» è stata privata di ogni e qualsiasi validità giurisdizionale per effetto della sentenza n. 2922 dell'11 maggio 1982 della Cassazione Civile a s.u., che ha riconosciuto al decreto Reale un valore dichiarativo assoluto, tanto che in sua presenza non può darsi luogo a sentenza del giudice e quindi neppure a quella del TAR. E si rammenta pure che, con maggiore specificità, il Pretore di Acquaviva delle Fonti, in data 8 marzo 1974, con la sentenza n. 23, aveva dichiarato che «l'Opera Pia Miulli indubbiamente appartiene alle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza di prima classe», di cui parla l'articolo 3 della citata legge 132/1968 perché diventino «di diritto» enti ospedalieri;
   l'1 ottobre 1987, è stato firmato, non dal Ministro dell'interno come prescriveva il decreto del Presidente della Repubblica n. 33 del 13 febbraio 1987, articolo 15, ma da un direttore generale, senza il protocollo dell'ufficio emittente, un atto dichiarativo che ha riconosciuto la titolarità dei beni citati all'Ente ecclessiastico civilemente riconosciuto come «Ospedale Francesco Miulli»;
   l'atto ricognitivo repertorio n. 21123, Raccolta n. 7298, registrato a Bari in data 3 aprile 2007 al n. 2522/1A del Notaio Francesco Paolo Petrera, con premessa del succitato attestato dell'1 ottobre 1987, formalizza e notifica l'appropriazione discutibile di un patrimonio demaniale da parte di un «Ente ecclessiastico civilemente riconosciuto come “Ospedale Francesco Miulli”» con sede in Acquaviva delle Fonti (BA). Tale patrimonio è inserito anche come garanzia nella fase fallimentare in corso dell'ospedale stesso, come da atti depositati presso il tribunale;
   nelle due sentenze del 9 maggio 2013, n. 02522 e n. 02529, il Consiglio di Stato non accetta l'identità soggettiva dell'Ente ecclesiastico con l'Ospedale Miulli, ma distingue i due enti nella loro soggettività giuridica, trattandosi dell’«Ente ecclesiastico che gestisce l'Ospedale “Miulli”», confermando pertanto che non esista un ospedale che sia ente ecclesiastico;
   se il Ministro dell'interno intenda avviare un urgente ricognizione relativa ai contenuti dell'atto dell'1 ottobre 1987, vista la procedura di fallimento in corso, al fine di fornire ogni utile elemento, qualora richiesto, per contribuire al chiarimento della intricata vicenda descritta in premessa. (4-04497)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   COSCIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 16 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, ha istituito l'abilitazione scientifica nazionale quale requisito necessario per l'accesso alla prima e alla seconda fascia dei professori mediante i concorsi banditi dalle università ai sensi dell'articolo 18 della medesima legge;
   il comma 2 del predetto articolo 16 stabilisce che un apposito regolamento disciplini le modalità di espletamento delle procedure finalizzate al conseguimento dell'abilitazione;
   il comma 3 dello stesso articolo detta i criteri ai quali deve adeguarsi tale regolamento e, in particolare, stabilisce alla lettera a) che l'attribuzione dell'abilitazione sia effettuata dalla commissione con motivato giudizio fondato sulla valutazione analitica dei titoli e delle pubblicazioni scientifiche del candidato, previa sintetica descrizione del contributo individuale alle attività di ricerca e sviluppo svolte, e sia espresso sulla base di criteri e parametri differenziati per funzioni e per area disciplinare definiti con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   a giudizio dell'interrogante, nessun altro dei criteri indicati nel citato comma 3 riguarda ulteriori modalità con cui si devono svolgere i lavori delle commissioni giudicatrici;
   il regolamento di cui all'articolo 16, comma 2, della legge 240 del 2010 è stato emanato con decreto del Presidente della Repubblica 14 settembre 2011, n. 222;
   l'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica 222 del 2011 è intitolato «Lavori delle commissioni» e stabilisce, al comma 4, che «la commissione attribuisce l'abilitazione con motivato giudizio espresso sulla base di criteri e parametri differenziati per funzioni e per area disciplinare, definiti ai sensi dell'articolo 4, comma 1, e fondato sulla valutazione analitica dei titoli e delle pubblicazioni scientifiche presentati da ciascun candidato, previa sintetica descrizione del contributo individuale alle attività di ricerca e sviluppo svolte», ripetendo cioè il disposto della legge;
   lo stesso articolo, al comma 5, stabilisce altresì che la commissione deliberi a maggioranza dei quattro quinti dei componenti, cioè, essendo di norma formata da cinque componenti, l'abilitazione è conferita a un candidato quando almeno quattro commissari esprimano un parere favorevole;
   nella prima tornata dell'abilitazione scientifica nazionale, in alcuni settori concorsuali, si è verificato che, pur avendo la maggioranza dei commissari espresso un giudizio positivo su un candidato e dunque un parere favorevole al conferimento dell'abilitazione, l'abilitazione non è stata conferita in applicazione della norma sulla maggioranza dei quattro quinti contenuta nel comma 5 dell'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica 222 del 2011;
   a quanto noto all'interrogante, a seguito di dubbi giuridici espressi sulla norma in questione, le commissioni giudicatrici di alcuni settori concorsuali, agendo in autotutela, avrebbero riesaminato la situazione e conferito l'abilitazione anche a candidati per i quali i giudizi favorevoli erano di tre commissari su cinque, mentre, in altri settori concorsuali, le commissioni giudicatrici avrebbero confermato in casi analoghi l'esclusione degli interessati dal novero dei candidati abilitati;
   la norma sulla maggioranza dei quattro quinti, comparsa in sede regolamentare, non appare essere conseguenza diretta dei criteri espressi dalla legge –:
   se quanto riferito dall'interrogante risulta confermato dagli atti e dai verbali della prima tornata dell'abilitazione scientifica nazionale e per quali settori concorsuali;
   se risultino al Ministero sentenze dei tribunali amministrativi regionali che trattino, in un senso o nell'altro, la questione di cui in premessa e quali siano state le decisioni assunte;
   se non ritenga il Ministro, anche in vista della seconda tornata di abilitazione attualmente in corso, di voler chiarire una situazione che appare non perfettamente chiara e che può dare origine a palesi disparità di trattamento e a conseguenti danni alle carriere universitarie degli interessati. (4-04486)


   CENTEMERO e PALMIERI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con nota prot. AOODGPER n. 1645 ufficio III Roma del 26 febbraio 2014 è stato consentito agli aspiranti percorsi abilitanti speciali esclusi, per mancanza del titolo di studio valido per la partecipazione alla classe di concorso prescelta, di essere riammessi alla partecipazione PAS per altra classe di concorso per la quale sono in possesso dei relativi requisiti (titolo di accesso valido); 
   alcuni uffici scolastici regionali tra cui l'ufficio scolastico regionale della Campania con nota prot. AOODRCA ufficio Dir. n. 1657/U del 4 marzo 2014, a seguito della nota Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sopraindicata, ha avvisato che gli aspiranti ai PAS esclusi per la mancanza dei requisiti per la classe di concorso prescelta possono presentare domanda per altra classe di concorso se in possesso dei requisiti seguenti:
    a) titolo di studio valido richiesto ai sensi dell'articolo 1, comma 2, del DDG 58/2013;
    b) almeno tre anni di servizio, prestati a decorrere dal 1999/2000 e fino all'anno scolastico 2012/2013, uno dei quali svolto nella nuova classe di concorso per la quale si intende partecipare, ai sensi dell'articolo 1 comma 3 del DDG 58/2013;
   nelle note nessun riferimento viene fatto all'articolo 1, comma 1, del DDG 58/2013, nella parte in cui si dice che per accedere ai PAS sono richiesti tre anni di servizio prestati con il possesso del prescritto titolo di studio;
   dalla nota prot. AOODRCA ufficio Dir. n. 1657/U del 4 marzo 2014 dell'ufficio scolastico regionale per la Campania emanata a seguito della nota Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca Prot. AOODGPER n. 1645 ufficio III Roma del 26 febbraio 2014 sembrerebbe bastare soltanto un anno di servizio prestato con il titolo di studio prescritto, e per gli altri due anni richiesti come requisito di accesso ai PAS sembrerebbe che ci sia una tacita deroga a quanto previsto dall'articolo 1, comma 1, del DDG 58/2013;
   moltissime scuole in tutta Italia rettificano i punteggi in graduatoria nei casi in cui i servizi siano stati prestati in carenza dei crediti formativi di cui al decreto ministeriale 22 del 2005 e decreto ministeriale 39 del 1998;
   in base alla nota prot. AOODGPER n. 1645 ufficio III Roma del 26 febbraio 2014, sembra che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca abbia consentito a molti aspiranti PAS di accedere ai percorsi abilitanti, riconoscendo validi i due dei tre anni di servizio previsti, anche se prestati senza il prescritto titolo o in carenza di crediti formativi;
   una simile situazione causerebbe una forte disparità tra chi si abiliterà con i PAS beneficiando della nota n. 1645 ufficio III Roma del 26 febbraio 2014 e chi si è visto rettificare, in graduatoria, il punteggio relativo a servizi prestati in carenza dei crediti formativi –:
   se le note indicate individuino esattamente i requisiti di servizio richiesti per l'accesso ai PAS e, di conseguenza, se la valutazione del servizio per l'attribuzione del punteggio in graduatoria sia corretta. (4-04490)


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 13 della direttiva 82/76/CEE, ha stabilito che l'attività di formazione svolta dai medici presso le scuole di specializzazione «forma... oggetto di una adeguata remunerazione»;
   l'articolo 16 della citata direttiva 82/76/CEE ha fissato, poi, quale termine ultimo per la sua attuazione, la data del 31 dicembre 1982. Tuttavia, lo Stato italiano si è astenuto dal dare attuazione alla predetta direttiva;
   tale omissione è stata sanzionata dalla stessa Corte di giustizia delle Comunità europee, che con sentenza del 7 luglio 1987 (procedimento C – 49/86, Commissione CEE c/Repubblica Italiana), ha statuito che «Non avendo adottato nel termine prescritto le disposizioni necessarie per conformarsi alla direttiva 82/76/CEE del Consiglio, del 26 gennaio 1982, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del Trattato CEE»;
   a seguito di tale sentenza della Corte di giustizia, lo Stato italiano, con decreto legislativo n. 257 del 1991, ha recepito solo parzialmente le citate direttive, stabilendo per gli iscritti alle scuole di specializzazione un'apposita borsa di studio annuale pari a lire 21.500.000. In particolare, l'articolo 8 di tale decreto legislativo ha limitato l'applicazione delle disposizioni in esso contenute solamente ai medici ammessi alle scuole di specializzazione, a partire dall'anno accademico 1991/92. Sono rimasti, pertanto, esclusi dal diritto a tale remunerazione tutti quegli altri medici ammessi alle scuole di specializzazione tra l'anno accademico 83/84 e l'anno accademico 90/91, che invece in base alla predetta direttiva avrebbero avuto diritto alla corresponsione della remunerazione ivi prevista;
   il tardivo e comunque parziale recepimento di tale direttiva ha dato luogo ad un forte contenzioso che ha visto insorgere, innanzi al TAR Lazio, molti medici specializzati esclusi, dal citato decreto legislativo n. 257 del 1991, dal diritto alla remunerazione in questione;
   in particolare, tale contenzioso si è incentrato sui due decreti interministeriali del 17 e 28 dicembre 1991, che erano stati emanati in attuazione di quanto disposto dall'articolo 2, del decreto legislativo n. 257 del 1991;
   con sentenze del 25 febbraio 1994, numeri 279, 280, 281, 282 e 283, il TAR Lazio, sezione Ia bis, ha annullato i citati decreti interministeriali;
   con l'articolo 11, legge n. 370 del 1999, è stato disposto in favore dei soli destinatari delle summenzionate sentenze passate in giudicato del TAR Lazio, la corresponsione, per tutta la durata del corso di specializzazione, di una borsa di studio annua onnicomprensiva, pari a lire 13.000.000;
   successivamente all'emanazione di tale legge sono stati promossi migliaia di ricorsi, da parte dei medici illegittimamente esclusi dalla normativa di recepimento della direttiva de qua, dal diritto alla remunerazione. Tali ricorsi hanno provocato, peraltro, un forte aggravamento del carico di lavoro dei tribunali e, in particolare, di quello di Roma, ritenuto dalla Corte di cassazione il tribunale territorialmente competente per le controversie come quelle in questione, in cui viene in rilievo l'omesso recepimento di direttive comunitarie;
   la Corte di cassazione, con giurisprudenza ormai costante, ha riconosciuto il diritto di tali medici al risarcimento del danno per l'omesso recepimento di tale direttiva (Cfr. Cass. civ., sez. III, n. 10813/2011; Cass. Civ., sez. III, n. 17868/2011; Cass. civ., sez. III, n. 21973/2011; Cass. Civ., sez. III, n. 24094/2011; Cass. Civ., sez. III, n. 25993/2011; Cass. Civ., sez. Lav., n. 1850/2012; Cass. Civ., sez. III, 5533/2012; Cass. Civ. Sez. III, n. 1182/2012; Cass. civ. Sez. III, n. 5064/2012; Cass. civ. Sez. III, n. 6911/2012; Cass. civ., sez. I, n. 4785/2012; Cass. civ., sez. I, n. 12725/2012; Cass. Civ. Sez. VI, n. 7961/2012; Cass. civ. sez. lav. n. 4575/2012; Cass. civ. sez. lav. n. 4893/2012);
   ragioni di equità e parità di trattamento, nonché l'esigenza di evitare che il tribunale di Roma venga ulteriormente sommerso di ulteriori contenziosi relativi alla tutela dei diritti dei medici che rivendicano la remunerazione in questione, con conseguente aggravamento del suo carico di lavoro, già elevato, col rischio di un rallentamento delle sue attività, impongono il recepimento di tale direttiva anche nei confronti di quei medici riguardo ai quali, ad oggi, la stessa non è stata ancora recepita –:
   se e quali provvedimenti i Ministri interrogati, per quanto di loro competenza, intendano adottare al fine di dare attuazione alla direttiva di cui in premessa, nei confronti di quei medici, ammessi alle scuole di specializzazione tra l'anno accademico 83/84 e l'anno accademico 90/91, riguardo ai quali ad oggi la stessa non è stata ancora recepita, al fine di sanare un'ingiustizia che si protrae ormai da molti anni, e rendere così la giusta remunerazione a coloro che in quegli anni hanno contribuito in prima linea a dare un contributo decisivo al funzionamento del Servizio sanitario nazionale. (4-04491)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GALLINELLA, GAGNARLI, PARENTELA, LUPO, MASSIMILIANO BERNINI, L'ABBATE e BENEDETTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il progetto TELAER, sistema di telerilevamento aereo per la conoscenza, gestione e protezione del territorio è costato al nostro Paese circa 71 milioni di euro;
   con la legge n. 268 del 24 settembre 2003, la gestione di tale progetto è stata affidata all'Agenzia per le erogazioni in agricoltura – AGEA (ente vigilato dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali), che ha quindi assunto l'obbligo di utilizzarlo e di salvaguardare un'importante e costosa tecnologia;
   i servizi assicurati dal sistema TELAER costituiscono un potente strumento per le pubbliche amministrazioni in materia di governo del territorio: dalla pianificazione territoriale alla costituzione e aggiornamento dell'anagrafe immobiliare integrata, dalla tutela del paesaggio e dei siti di interesse archeologico e artistico al monitoraggio dei siti di interesse nazionale, fino ai piani per il risanamento ambientale, la prevenzione e la mitigazione del rischio legato al dissesto idrogeologico;
   può essere inoltre utilizzato per la realizzazione di ortofoto funzionali all'individuazione dei terreni agricoli sul territorio nazionale, al fine dell'erogazione dei contributi della politica agricola comune;
   nel 2008 il sistema è stato impiegato in una missione pilota del SIAN per il monitoraggio delle discariche campane di Rocca Soprana e di Cava Riconta di Villaricca, che ricadono in quella che è oggi conosciuta come terra dei fuochi;
   da quell'analisi erano evidenti già all'epoca anomalie termiche per le quali si sarebbe potuti intervenire, mettendo un freno alla deriva di quell'area campana oggi tristemente famosa per l'incidenza dei tumori, per il proliferare di roghi illegali, per l'incontrollabilità nel sistema di gestione dei rifiuti;
   da tale monitoraggio emerse, inoltre, anche la possibilità di una discarica tombata nei pressi di Giugliano;
   dal 2008 il sistema non è mai più stato utilizzato per il monitoraggio del territorio ma, quasi esclusivamente, per la realizzazione di ortofoto funzionali all'erogazione dei contributi relativi alla politica agricola comune;
   il 12 settembre 2013, AGEA ha firmato un contratto per la licenza d'uso di ortofoto – con procedura di gara negoziata senza pubblicazione del bando – con Blom Compagnia generale Ripreseaeree SPA, per 14,78 euro a kilometro quadrato, per un massimale di oltre 1,7 milioni di euro;
   nell'ambito di un accordo di programma quadro siglato nel 2009 tra Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) ed Agea, e di una convenzione operativa siglata nel 2009 tra l'istituto per il rilevamento elettromagnetico dell'ambiente (IREA) e TELAER s.r.l, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha finanziato con oltre 400.000 euro il Cnr al fine di potenziare il sistema SAR TELAER con capacità interferometriche, progetto che si è concluso nel gennaio 2013;
   in questo modo si è ottenuto uno strumento particolarmente adatto ad essere utilizzato in caso di emergenza, soprattutto quando i cambiamenti morfologici della scena osservata devono essere monitorati con alto «rate temporale» (mappature di frane, gestione di eventi post-sismici o post-eruttivi, alluvioni e altro). Il TEALER, quindi, non solo è utile al monitoraggio dell'inquinamento del territorio, ma anche nei casi di dissesto idrogeologico;
   ad ottobre 2013 il Cnr ha richiesto ad Agea di poter fare quattro «missioni aeree per complessive 12 ore di volo sull'area napoletana con il sistema SAR TELAER potenziato con la modalità interferometrica», ma la risposta di Agea è stata che «nel corso dell'anno non è possibile soddisfare la richiesta», nonostante, di fatto, il sistema nel suo complesso appaia fortemente sottoutilizzato;
   il nostro Paese pare avere in mano, quindi, uno strumento funzionale all'intera collettività che costa circa 5 milioni di euro l'anno e che è già costato 71 milioni di euro ed è oggi sostanzialmente fermo –:
   quali siano le ragioni del mancato utilizzo del sistema TELAER al massimo delle proprie possibilità e caratteristiche;
   quali siano le ragioni che hanno portato AGEA a negare al CNR l'utilizzo del sistema, quando, di fatto, risulta inutilizzato da anni;
   su quali basi sia avvenuto l'affidamento della licenza di uso di ortofoto alla Blom compagnia generale Ripreseaeree SPA;
   quali siano le ragioni per cui, dopo il monitoraggio e la messa a punto del sistema nel 2008, non sia stata ravvisata la necessità di intervenire sul territorio campano o almeno approfondire quanto emerso dall'analisi del SIAN in quella che è oggi diventata la terra dei fuochi.
(5-02625)


   GALLINELLA, GAGNARLI, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI, L'ABBATE, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali del 9 febbraio 2012, n. 2284, è stata istituita l'unità per la trasparenza al fine di assicurare la trasparenza dei processi decisionali relativi ai disegni di legge e agli schemi di regolamento di competenza del ministero nonché per coordinare le attività connesse all'effettuazione dell'analisi di impatto della regolamentazione;
   a norma dell'articolo 3 del citato decreto, l'unità cura la pubblicazione di un elenco di portatori di interessi particolari cui sono tenuti ad iscriversi i soggetti che intendono partecipare ai processi decisionali pubblici di competenza dell'amministrazione;
   appare piuttosto anomalo che tra i soggetti iscritti nell'elenco di cui sopra, aggiornato al luglio 2013, non risultino presenti le maggiori associazioni di categoria del mondo agricolo, che, come noto, svolgono una intensa attività di rappresentanza di interessi;
   come disposto dall'articolo 5 del decreto ministeriale in parola, l'unità garantisce la pubblicità delle relazioni che entro il 30 luglio di ogni anno il portatore di interessi particolari trasmette ad essa al fine di dare conto dell'attività di rappresentanza svolta;
   tuttavia non risultano ad oggi pubblicate nel sito ufficiale del Ministero le relazioni di cui sopra –:
    quale sia la valutazione dell'operato dell'unità per la trasparenza posto che dal sito ufficiale del Ministero non è possibile ricavare alcuna informazione al riguardo e se il Ministro interrogato non ritenga che le maggiori associazioni di rappresentanza del mondo agricolo dovrebbero comparire tra i soggetti dell'elenco di cui in premessa al fine di fugare ogni dubbio circa l'eventualità che le suddette associazioni possano utilizzare, per la rappresentanza dei propri interessi, canali diversi da quelli ufficiali ispirati ai principi della qualità e della trasparenza. (5-02626)

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la RU 486 è un farmaco che permette di interrompere la gravidanza senza intervento chirurgico con una procedura che, coerentemente con quanto previsto dalla legge n. 194 del 1978 va effettuata in un ospedale pubblico;
   con il ricorso alla RU 486 l'aborto va effettuato entro la settima settimana: circa 49 giorni, e si svolge in due tempi. Inizialmente la donna in gravidanza assume la RU 486, che è il farmaco abortivo vero e proprio, e dopo due giorni c’è la somministrazione di prostglandine che facilitano l'espulsione del feto. Solo a questo punto l'aborto viene considerato concluso;
   in Italia tra il 2005 e il 2011 sono stati effettuati circa 15.200 aborti con la RU 486 (7.432 nel solo 2011), che in una certa percentuale hanno richiesto un raschiamento finale per essere certi che l'aborto fosse stato completo, anche perché in una serie di casi si erano verificati episodi di infezioni e di emorragia;
   di fatto nel luglio 2013 la rivista medica Journal of Obstetric and Gynaecology rende noto che i decessi legati alla RU 486 sono complessivamente 27: 14 negli USA, 2 in Francia, e 1 rispettivamente in Canada, Inghilterra, Portogallo, Svezia, Taiwan e Australia ed ora 1 anche in Italia;
   il 9 aprile 2014 è deceduta all'ospedale Martini di Torino una signora per le conseguenze di un aborto chimico. Era stata ricoverata il lunedì precedente, 7 aprile, aveva preso la prima dose del mix di farmaci necessari per abortire e poi aveva firmato la cartella clinica per le dimissioni volontarie. Il direttore della ASL Torino 1 esclude che ci fossero contro indicazioni sia all'aborto che alle dimissioni. Al suo rientro in ospedale il mercoledì 9 aprile, dopo aver assunto i farmaci previsti dal protocollo nell'arco di tre ore ha espulso il feto. Subito dopo ha cominciato a star male. Ha presentato gravi problemi respiratori e nonostante i ripetuti tentativi di rianimarla è deceduta dopo pochissime ore;
   per il direttore generale e per il primario di ostetricia tutto è stato fatto come da protocollo, non ci sono stati errori di procedura, e non si può parlare di un caso di malasanità. In ogni caso attendono i risultati dell'autopsia prevista per il 14 aprile –:
   quali iniziative precauzionali il Ministro della salute intenda assumere in merito a questa modalità di aborto dal momento che come sostengono i clinici del Martini, tutto è avvenuto nel pieno rispetto dei criteri previsti, per cui all'interrogante appare evidente che la drammatica vicenda è legata esclusivamente alla RU 486;
   se – tra le misure precauzionali – non intenda garantire che l'intera procedura abortiva di tipo chimico, come quella effettuata con la RU 486, venga completamente esplicata nella struttura ospedaliera pubblica, anche nel pieno rispetto della legge n. 194 del 1978. (3-00762)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


   ROSATO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   come già evidenziato nella precedente interrogazione n. 4-18122 presentata nella passata legislatura e rimasta priva di risposta, le regole e le disposizioni dell'autorità doganale prevedono l'espletamento di alcune procedure tra le quali anche controlli fisici sulle merci di importazione nei porti italiani. Sebbene le finalità di detti controlli siano corrette e trovino fondamento anche nel diritto europeo, tuttavia il sovrapporsi di norme e il ripetersi di alcune prassi tendono ad allungare il tempo di transito delle merci di importazione presso le dogane dei porti italiani;
   una certa lentezza nell'espletamento degli oneri burocratici comporta per gli operatori economici una incertezza sui tempi di transito, quindi il rischio di ritardi nella consegna delle merci, e talvolta anche dei costi aggiuntivi rispetto alle stesse procedure effettuate presso altri porti europei;
   questa inefficienza del sistema doganale italiano sta già producendo dei danni alle casse erariali e agli operatori nel settore della logistica che sono stati quantificati, dalla Confetra, in 12 miliardi di euro, in ragione del fatto che sempre più, le merci destinate anche al nord Italia vengono consegnate nei porti dell'Europa del nord, nonostante quattro giorni di navigazione aggiuntivi;
   in assenza di un efficace coordinamento tra le amministrazioni coinvolte nel processo di sdoganamento, e in attesa che si costituisca lo sportello doganale unico (previsto dal legislatore italiano nel 2003, prima ancora di quello europeo), per effettuare un'operazione di importazione o esportazione, gli operatori devono presentare circa 68 istanze a 18 amministrazioni differenti, trasmettendo talvolta informazioni identiche o simili; e costi e tempi di questa eccessiva burocratizzazione della procedura ricadono negativamente sulle imprese. Per il settore agroalimentare, particolarmente importante per il prodotto interno lordo italiano in considerazione del fatto che negli ultimi anni ha visto crescere la propria fetta di mercato su scala mondiale, le istanze da presentarsi sono circa 77, indirizzate a 17 amministrazioni o enti diversi;
   come dichiarato dal Ministro delle politiche agricole, forestali e alimentari in una intervista al Corriere della Sera, domenica 13 aprile, l'eccessiva burocratizzazione delle procedure per l'esportazione dei nostri prodotti del settore comporta un'attesa finanche di 19 giorni in dogana;
   le dogane italiane non sono operative a turno continuo ed è previsto che il pagamento dei diritti doganali debba avvenire con la modalità dell'assegno circolare che va consegnato fisicamente all'ufficio competente;
   gli standard europei su tempi di transito e costi rendono più convenienti le operazioni nei porti di altri Paesi europei dove, peraltro, le operazioni avvengono 24 ore al giorno e si registrano modalità di pre-clearing, ovvero parte delle operazioni doganali avvengono mentre i container sono in navigazione rendendo ancora più rapido il passaggio delle merci nel perimetro portuale –:
   se il Governo intenda attuare, attraverso l'Agenzia delle dogane, una politica di semplificazione delle procedure di sdoganamento delle merci in importazione ed esportazione, con particolare riferimento alle prassi in uso nei porti italiani così da garantire: il passaggio a piattaforme telematiche delle pratiche di sdoganamento, la possibilità di correzione autonoma per le operazioni telematiche in procedura domiciliata, la previsione di un solo nulla osta sanitario a fronte di una unica dichiarazione doganale;
   al fine di rendere più competitivo il sistema portuale italiano, se il Governo intenda garantire la operatività 24 ore al giorno dei porti, per l'invio telematico delle operazioni doganali e l'adozione della modalità di pre-clearing per l'espletamento delle operazioni medesime;
   alla luce del fatto che vi sono diverse modalità di pagamento che consentono un'utile tracciabilità, se il Governo non ritenga di prevedere la possibilità di pagare i diritti doganali con altri mezzi elettronici, così da consentire una maggiore praticità agli operatori economici;
   a che punto sia l’iter di attuazione dello sportello unico doganale e quali tempi siano previsti dal Governo perché possa essere operativo;
   quali iniziative i Ministri intendano adottare, ciascuno per la propria competenza, per ridurre gli oneri burocratici segnalati in premessa e quali iniziative i Ministri intendano promuovere per tutelare e favorire il particolare settore dell'agroalimentare, punta di diamante dell'economia del nostro Paese. (4-04489)


   CASTELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 22 gennaio 2014 la Commissione europea ha proposto obiettivi energetici e climatici da raggiungere entro il 2030. L'obiettivo è inviare un segnale forte al mercato, favorendo gli investimenti privati in nuovi gasdotti e reti elettriche o di tecnologie a basse emissioni;
   gli obiettivi devono essere soddisfatti se l'obiettivo dell'UE è quello di mantenere la sua promessa di ridurre le sue emissioni di gas serra da 80-95 per cento entro il 2050;
   giovedì 10 aprile viene pubblicata la notizia che la Commissione europea con l'avallo da parte del Commissario alla concorrenza, lo spagnolo Joaquìn Almùnia, ha approvato le sue nuove «linee guida» sulle deroghe possibili al divieto generale di aiuti di Stato nel settore dell'energia;
   anche sul quotidiano La Stampa tre giorni fa è apparso un articolo con il titolo: «Commissione UE esenta l'industria dal contributo a rinnovabili. Aiuti di Stato tedeschi estesi a tutti»;
   le linee guida citate prevedono che tutte le grandi industrie energivore vengono esentate retroattivamente dal contribuire agli incentivi per le rinnovabili che vengono cancellati mentre non vengono minimamente toccati i molto più corposi incentivi alle fonti fossili ormai pari al 2,5 per cento del PIL mondiale;  
   le «linee guida», presentate alla stampa dal commissario responsabile della politica di concorrenza, Joaquìn Almùnia, non sono misure legislative, non devono essere approvate in co-decisione dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell'Unione europea, che rappresenta i Governi, e non possono dunque essere emendate: sono elaborate, approvate e applicate immediatamente dalla Commissione, in quanto Autorità antitrust europea indipendente;
   le decisioni prese oggi potrebbero cambiare in profondità la politica energetica, ambientale e climatica dell'Unione europea che era stata stabilita con il pacchetto 20/20/20 del 2008;
   le esenzioni dal divieto di aiuto di Stato sono state oggetto di un negoziato serrato, durato due anni, fra la Commissione e alcuni Governi, in particolare quello tedesco e quello francese, con la sostanziale esclusione degli altri e la totale assenza del Parlamento europeo;
   il risultato finale è che gli aiuti di Stato che la Germania ha fornito – secondo gli interroganti contro le norme dell'Unione europea – a gran parte delle sue industrie, alleggerendo la loro fattura energetica, non solo non verranno sanzionati in futuro, ma non lo saranno neanche per gli ultimi tre anni, con una decisione retroattiva;
   quel tipo di esenzioni sarà ora esteso a tutti gli altri Stati membri, che finora avevano rispettato le normative dell'Unione europea, non aiutando le proprie imprese e penalizzandole rispetto a quelle tedesche;
   l'esenzione parziale o, in certi casi, perfino totale, dal pagamento della parte delle fatture elettriche dovuta al sostegno alle rinnovabili potrà riguardare un numero imprecisato di comparti industriali, quali: attività minerarie, trasformazione di alimenti e bevande, attività manifatturiere riguardanti tessili, cuoio, legno, carta, farmaceutici, plastica, vetro, ceramica, alluminio, rame a altri metalli, batterie e accumulatori, cemento, elettronica, fertilizzanti, chimica e raffinerie, petrolio e gas, combustibili nucleari;
   sarà anche possibile finanziare con fondi pubblici i cosiddetti capacity mechanism, vere e proprie sovvenzioni ai monopoli dell'energia fossile erogati con la scusa del pagamento della riserva di capacità installata per garantire un back-up in caso di emergenza e in realtà compensati per aver sbagliato investimenti ed essere stati messi in crisi dall'energia solare;
   gli aiuti di Stato ora permessi in questo settore sono una possibilità, non un obbligo per gli Stati membri, ma è chiaro che pochi Paesi lasceranno le proprie industrie esposte al «dumping energetico» dei Paesi vicini, e tutti si affretteranno a uniformarsi al sistema tedesco;
   secondo l'interrogante tale situazione rappresenta una violazione allo stato di diritto che confonde aiuti di Stato e incentivi alle rinnovabili, decisioni tecniche (di competenza della DG Concorrenza) e decisioni di armonizzazione normativa (di competenza del potere legislativo, cioè del Consiglio e del Parlamento);
   l'Antitrust della Commissione europea ad avviso dell'interrogante, eccedendo i suoi poteri, l'entrata nelle strategie energetiche europee, capovolgendole ed ha adottato un atteggiamento estremamente permissivo verso le fossili e il nucleare e estremamente punitivo verso le energie rinnovabili;
   la retroattività appare un premio per i tedeschi che hanno violato per tre anni le norme sugli aiuti di Stato;
   così si premieranno quelle aziende che non hanno investito in energie rinnovabili, in particolare la Sorgenia a cui la legalizzazione del capacity mechanism sembrerà una manna dal cielo, penalizzando le industrie con le più alte performance di efficienza energetica che hanno già investito in questo ambito;
   ciò appare inoltre contrario alle politiche climatiche dell'Unione europea per la riduzione delle emissioni del 40 per cento al 2030, ed appare altresì contrario all'obiettivo nel quadro delle politiche climatiche dell'Unione europea dell'aumento della quota di energie rinnovabili ad almeno il 27 per cento –:
   quali siano le posizione del Governo in merito a quanto descritto in premessa e quali iniziative in sede di Unione europea intenda assumere per contrastare un orientamento penalizzante e, ad avviso dell'interrogante contrario alle politiche di riduzione dell'utilizzo delle fonti energetiche inquinanti. (4-04495)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Battelli e altri n. 1-00316, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 gennaio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cristian Iannuzzi.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Gigli n. 4-02863 del 6 dicembre 2013.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Melilla n. 4-01766 del 10 settembre 2013 in interrogazione a risposta orale n. 3-00764;
   interrogazione a risposta scritta Melilla n. 4-02203 del 17 ottobre 2013 in interrogazione a risposta orale n. 3-00763;
   interrogazione a risposta scritta Vacca e altri n. 4-02934 del 12 dicembre 2013 in interrogazione a risposta orale n. 3-00760;
   interrogazione a risposta scritta Vacca e altri n. 4-02935 del 12 dicembre 2013 in interrogazione a risposta orale n. 3-00761;
   interrogazione a risposta scritta Realacci n. 4-04176 del 25 marzo 2014 in interrogazione a risposta orale n. 3-00765.