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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 2 aprile 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il fenomeno del dissesto idrogeologico rappresenta un problema estremamente diffuso nel nostro Paese che risulta, infatti, soggetto a rapidi e periodici processi che ne alterano il territorio e producono conseguenze spesso devastanti; molto spesso si tratta di fenomeni connessi al defluire delle acque libere in superficie e nel sottosuolo che causano l'alterazione dello stato di stabilità dei terreni e dei pendii e/o l'esondazione dei corsi d'acqua per rilevanti e repentini aumenti di portata. Questi fenomeni si manifestano sotto forma di erosioni, frane o alluvioni dovuti a cause strutturali o occasionali. Gli effetti del dissesto incidono sia sulla perdita di vite umane e provocano evidenti alterazioni ambientali e dei territori che si ripercuotono su tutte le attività dell'uomo, con rilevanti danni per le comunità colpite;
    il rischio idrogeologico nel nostro Paese è in gran parte imputabile all'azione dell'uomo nella trasformazione ed edificazione dei territori. La densità della popolazione, la progressiva urbanizzazione, l'abbandono dei terreni montani, l'edificazione in aree a rischio, il disboscamento e la mancata o carente manutenzione dei corsi d'acqua e dei versanti e/o pendii a rischio di instabilità hanno sicuramente aggravato la situazione e messo ulteriormente in evidenza la fragilità del territorio italiano, aumentandone l'esposizione ai rischi di dissesto idrogeologico;
    i pericoli per la popolazione italiana sono evidenti se si osserva l'andamento dei fenomeni di dissesto verificatisi negli ultimi cinquanta anni. L'analisi del documento di studio in materia prodotto da Ance e da Cresme evidenzia un progressivo aumento del rischio per la popolazione dovuto all'espansione urbana, che ha interessato tutta l'Italia in maniera rilevante a partire dal dopoguerra e che ha determinato l'antropizzazione anche dei territori più fragili dal punto di vista idrogeologico. Negli anni il mutato stile di vita della popolazione ha determinato un progressivo allontanamento dalle aree interne a favore dei centri urbani e l'abbandono della funzione di manutenzione e presidio territoriale, che da sempre assicurava un equilibrio del territorio. I versanti boschivi, gli alvei fluviali e i territori agricoli abbandonati hanno lasciato posto a frane e inondazioni;
    la dimensione del problema appare evidente solo se si pensa che, a partire dall'inizio del secolo, gli eventi di dissesto idrogeologico gravi sono stati oltre 4.000 e hanno provocato ingenti danni a persone, case e infrastrutture, ma, soprattutto, hanno provocato circa 12.600 morti, mentre il numero dei dispersi, dei feriti e degli sfollati supera i 700 mila;
    sulla base dei dati raccolti dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, attraverso il progetto Avi, tra il 1985 e il 2001 si sono verificati in Italia circa 15.000 eventi di dissesto (gravi e/o lievi), di cui 13.500 frane e 1.500 piene. Alcuni di questi hanno avuto ripercussioni sulla popolazione, provocando vittime o danneggiando i centri abitati. Dei 15.000 eventi, 120 hanno provocato vittime, 95 frane e 25 alluvioni e hanno causato circa 970 morti;
    successivamente al 2002 il progetto Avi è stato interrotto. Il Cresme e l'Ance, sulla base di un lavoro di raccolta dati, sono riusciti a ricostruire l'andamento degli eventi di dissesto nel periodo recente, dimostrando come il territorio italiano sia caratterizzato da un forte rischio naturale;
    secondo i predetti dati, le aree a elevato rischio sismico sono circa il 44 per cento della superficie nazionale (131 mila chilometri quadrati) e interessano il 36 per cento dei comuni (2.893) e quelle ad elevata criticità idrogeologica (rischio frana e/o alluvione) rappresentano circa il 10 per cento della superficie italiana (29.500 chilometri quadrati) e riguardano l'89 per cento dei comuni (6.631);
    nelle aree ad elevato rischio sismico vivono 21,8 milioni di persone (36 per cento della popolazione), per un totale di 8,6 milioni di famiglie, e si trovano circa 5,5 milioni di edifici tra residenziali e non residenziali;
    la popolazione residente nelle aree ad elevato rischio idrogeologico è, invece, pari a 5,8 milioni di persone (9,6 per cento della popolazione), per un totale di 2,4 milioni di famiglie. In queste aree si trovano oltre 1,2 milioni di edifici. Tra questi, particolarmente esposti al rischio, sono i capannoni per le attività produttive, che, richiedendo ampi spazi costruttivi, spesso si trovano ai margini delle città, al confine con aree a rischio, e le aree urbane interessate da corsi d'acqua soggetti a rapide variazioni di regime idraulico;
    geograficamente, il rischio sismico maggiore riguarda le regioni della fascia appenninica e del sud Italia. Al primo posto c’è la Campania, in cui 5,3 milioni di persone vivono nei 489 comuni a rischio sismico elevato. Seguono la Sicilia, con 4,7 milioni di persone in 356 comuni a rischio e la Calabria, dove tutti i comuni sono coinvolti, per un totale di circa 2 milioni di persone. In queste tre regioni il patrimonio edilizio è esposto a rischio sismico maggiore: Sicilia (2,5 milioni di abitazioni), Campania (2,1 milioni di abitazioni), Calabria (1,2 milioni);
    la superficie italiana ad elevata criticità idrogeologica è per il 58 per cento soggetta a fenomeni di frane (17.200 chilometri quadrati) e per il 42 per cento è a rischio alluvione (12.300 chilometri quadrati). Sommando questi due elementi di criticità, l'Emilia-Romagna è la regione che presenta un maggior livello di esposizione al rischio, con 4.316 chilometri quadrati, pari al 19,5 per cento della superficie. Seguono la Campania (19,1 per cento di aree critiche), il Molise (18,8 per cento) e la Valle d'Aosta (17,1 per cento). Su scala regionale, invece, in cinque regioni – la Valle d'Aosta, l'Umbria, il Molise, la Calabria e la Basilicata – tutti i comuni hanno una quota di superficie territoriale interessata da aree di elevata criticità idrogeologica. Su scala provinciale, invece, al primo posto c’è Napoli, dove 576 mila persone risiedono nelle aree a rischio elevato (208 mila abitazioni), al secondo posto Torino (326 mila persone e 148 mila abitazioni) e al terzo Roma (216 mila persone e quasi 96 mila abitazioni);
    la pericolosità degli eventi naturali è senza dubbio amplificata dall'elevata vulnerabilità del patrimonio edilizio italiano. Oltre il 60 per cento degli edifici (circa 7 milioni) è stato costruito prima del 1971, quindi prima dell'entrata in vigore della normativa antisismica per nuove costruzioni (1974). Di questi, oltre 2,5 milioni risultano in pessimo o mediocre stato di conservazione e, quindi, più esposti ai rischi idrogeologici;
    il costo complessivo dei danni provocati in Italia da terremoti, frane e alluvioni, dal 1944 al 2012, è pari a 242,5 miliardi di euro, circa 3,5 miliardi all'anno. Il 75 per cento del totale, 181 miliardi di euro, riguarda i terremoti, il restante 25 per cento, 61,5 miliardi di euro, è da addebitare al dissesto idrogeologico. Solo dal 2010 a oggi si stimano costi per 20,5 miliardi (l'8 per cento del totale), considerando i 13,3 miliardi di euro quantificati per il terremoto in Emilia-Romagna;
    il Governo, nella legge di stabilità 2014, al comma 111 dell'articolo 1, ha stanziato complessivamente 1.584.000.000 di euro per il contrasto al fenomeno del dissesto idrogeologico in Italia;
    in particolare, il comma 111 così recita: «Al fine di permettere il rapido avvio nel 2014 di interventi di messa in sicurezza del territorio, le risorse esistenti sulle contabilità speciali relative al dissesto idrogeologico, non impegnate alla data del 31 dicembre 2013, comunque nel limite massimo complessivo di 600 milioni di euro, nonché le risorse finalizzate allo scopo dalle delibere CIPE n. 6/2012 e n. 8/2012 del 20 gennaio 2012, pari rispettivamente a 130 milioni di euro e 674,7 milioni di euro, devono essere utilizzate per i progetti immediatamente cantierabili, prioritariamente destinandole agli interventi integrati finalizzati alla riduzione del rischio, alla tutela e al recupero degli ecosistemi e della biodiversità e che integrino gli obiettivi della direttiva 2000/60/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio dell'Unione europea, del 23 ottobre 2000, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque, e della direttiva 2007/60/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio dell'Unione europea, del 23 ottobre 2007, relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni. A tal fine, entro il 1o marzo 2014, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare verifica la compatibilità degli accordi di programma e dei connessi cronoprogrammi con l'esigenza di massimizzare la celerità degli interventi in relazione alle situazioni di massimo rischio per l'incolumità delle persone e, se del caso, propone alle regioni le integrazioni e gli aggiornamenti necessari. Entro il 30 aprile 2014 i soggetti titolari delle contabilità speciali concernenti gli interventi contro il dissesto idrogeologico finalizzano le risorse disponibili agli interventi immediatamente cantierabili contenuti nell'accordo e, per il tramite del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, presentano specifica informativa al CIPE indicando il relativo cronoprogramma e lo stato di attuazione degli interventi già avviati. La mancata pubblicazione del bando di gara, ovvero il mancato affidamento dei lavori entro il 31 dicembre 2014, comporta la revoca del finanziamento statale e la contestuale rifinalizzazione, con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, delle risorse ad altri interventi contro il dissesto idrogeologico, fermo restando il vincolo territoriale di destinazione delle risorse attraverso una rimodulazione dei singoli accordi di programma, ove esistano progetti immediatamente cantierabili compatibili con le finalità della norma. A decorrere dal 2014, ai fini della necessaria programmazione finanziaria, entro il mese di settembre, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare presenta al CIPE una relazione in ordine agli interventi in corso di realizzazione ovvero alla prosecuzione ed evoluzione degli accordi di programma, unitamente al fabbisogno finanziario necessario per gli esercizi successivi. Gli interventi contro il dissesto idrogeologico sono monitorati ai sensi del decreto legislativo n. 229 del 29 dicembre 2011. Per le finalità di cui al presente comma è autorizzata la spesa di 30 milioni di euro per l'anno 2014, di 50 milioni di euro per l'anno 2015 e di 100 milioni di euro per l'anno 2016. All'articolo 17, comma 1, primo periodo, del decreto-legge n. 195 del 30 dicembre 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 26 del 26 febbraio 2010, le parole: «non oltre i tre anni» sono sostituite dalle seguenti: «non oltre i sei anni»;
    secondo quanto si evince dai dati dell'Ance, circa 1,6 miliardi di euro stanziati per circa 1.100 progetti nell'ambito del programma straordinario di messa in sicurezza del territorio avviato a fine 2009 devono ancora essere utilizzati;
    secondo quanto si evince dai dati citati in premessa, appare evidente la necessità della realizzazione di un piano di previsione e prevenzione dei danni causati da fenomeni di dissesto idrogeologico nonché di manutenzione del suolo e dei corsi d'acqua che siano finanziati dallo Stato e cofinanziati dalle regioni e dagli enti locali, da attuarsi da parte degli enti periferici e territoriali competenti per legge;
    purtroppo, nel corso degli anni, i rigorosi e sempre più stringenti vincoli dettati dal patto di stabilità e crescita imposti dalla Commissione europea e le conseguenti norme nazionali sul patto di stabilità interno rappresentano un problema insormontabile per le amministrazioni locali che intendono investire risorse per la risoluzione dei problemi legati al dissesto idrogeologico; anche nei casi di disponibilità di risorse, gli investimenti dei comuni per la prevenzione e la manutenzione del proprio territorio sono continuamente ostacolati, dunque, dal patto di stabilità interno;
    alla fine dell'anno 2013, 5 miliardi di euro di risorse di cassa che comuni e province avrebbero potuto destinare ad investimenti contro i danni da dissesto idrogeologico risultano bloccati dai vincoli imposti dal patto di stabilità interno; si tratta, in particolare, di 990 milioni di euro in Lombardia, di 586 milioni di euro in Veneto, di 482 milioni di euro in Campania e di 261 milioni di euro in Puglia;
    il Patto di stabilità e crescita europeo prevede la sostanziale esclusione dai parametri di governance economica delle spese sostenute dai Paesi per interventi di breve periodo a seguito di eventi naturali eccezionali;
    recentemente si è tanto parlato della golden rule sulle infrastrutture, in merito all'esclusione delle spese sostenute per finanziare gli interventi di sviluppo, tra cui quelli delle reti infrastrutturali inserite nei corridoi Ten-T europei dal rispetto dei parametri del patto di stabilità e crescita; su questo tema, nell'ottobre 2013, la Commissione sviluppo regionale del Parlamento europeo ha approvato una risoluzione nella quale viene evidenziata la necessità di non calcolare nel 3 per cento dei parametri di bilancio le spese per gli investimenti produttivi in infrastrutture, occupazione e formazione; si tratterebbe di una modifica importante ai vincoli di bilancio degli Stati e delle regioni che permetterebbe maggiore efficienza all'utilizzo dei fondi europei e sosterrebbe il superamento delle politiche di austerità;
    appare evidente, necessario ed improcrastinabile, dunque, un intervento a livello dell'Unione europea che tenda alla esclusione dal rispetto dei parametri del patto di stabilità e crescita, e conseguentemente dal patto di stabilità interno, delle spese sostenute per finanziare interventi di prevenzione del dissesto idrogeologico e di manutenzione del suolo e dei corsi d'acqua,

impegna il Governo:

   ad assumere immediate iniziative per garantire la rapida realizzazione dei 1.100 progetti di messa in sicurezza del territorio già finanziati con circa 1,6 miliardi di euro nell'ambito del piano nazionale straordinario avviato a fine 2009;
   a destinare almeno il 10 per cento dei 117 miliardi di euro della programmazione dei fondi strutturali europei e del fondo per lo sviluppo e la coesione 2014-2020 a programmi di manutenzione del territorio e di riduzione del rischio idrogeologico;
   ad allentare il Patto di stabilità interno al fine di consentire agli enti territoriali che dispongono già di risorse di cassa, di realizzare opere per la prevenzione dei dissesti, la manutenzione del territorio e dei corsi d'acqua e il contrasto del dissesto idrogeologico;
   a definire, con accordo interministeriale, le tipologie di spese da escludere dal patto di stabilità interno;
   ad adottare, nel corso del prossimo semestre italiano di presidenza europea, ogni utile ed opportuna iniziativa affinché sia garantita l'esclusione dai vincoli previsti dal patto di stabilità interno di tutte le spese e di tutte le risorse stanziate dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali per la realizzazione di interventi che consentano non solo la totale messa in sicurezza del territorio italiano dai rischi derivanti da fenomeni di dissesto idrogeologico ma anche e soprattutto la previsione e la prevenzione di tali pericoli nonché la mitigazione di quelli già esistenti, al fine di garantire, con estrema urgenza e celerità, la tutela della incolumità della popolazione nonché la costante manutenzione del territorio e dei corsi d'acqua.
(1-00421) «Matarrese, D'Agostino, Andrea Romano, Causin, Antimo Cesaro, Vecchio, Galgano».


   La Camera,
   premesso che:
    il fatto che i due fucilieri della Marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, siano da oltre due anni trattenuti ingiustamente in India, senza peraltro che per lungo tempo fosse formulato alcun capo d'accusa, per una vicenda scaturita da un incidente avvenuto in alto mare e non nelle acque territoriali indiane, non appare tanto una prevaricazione nei loro confronti, quanto, ormai, un affronto alla credibilità, internazionale del nostro Paese;
    malgrado sia stato più volte confermato dalle autorità civili e militari italiane che tale incidente è avvenuto in acque internazionali e precisamente a 32 miglia dalla costa indiana, una localizzazione che avrebbe dovuto sin dal principio fare venir meno la giurisdizione indiana a favore di quella italiana, la Corte suprema indiana ha finora sempre negato la giurisdizione dello Stato italiano, senza adeguata motivazione peraltro, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo in palese violazione di una norma della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 (Montego Bay);
    in ogni caso, i due fucilieri sono rappresentanti dello Stato impegnati nel contrasto alla pirateria conformemente alla legislazione italiana, al diritto internazionale e alle decisioni rilevanti del Consiglio di sicurezza dell'ONU;
    nel febbraio 2014, dopo numerosi e pretestuosi rinvii, la procura generale di New Delhi aveva, alla fine, formalizzato il capo d'imputazione nei confronti dei due militari i quali sarebbero stati giudicati sulla base della legge antipirateria (SUA Act) malgrado l'Italia avesse rivendicato a più riprese la competenza giurisdizionale sul caso;
    il 28 marzo 2014, la Corte Suprema indiana ha ammesso il ricorso presentato dalla difesa dei due fucilieri italiani contro la giurisdizione e l'utilizzo della Nia, la polizia antiterrorismo, nel processo a loro carico. Poiché ha dichiarato ammissibile il ricorso, la Corte stessa ha chiesto alla controparte, il Governo indiano e la Nia, di presentare le loro controdeduzioni. L'esame del ricorso dei marò contro la Nia slitta dunque a una nuova, futura udienza da tenersi in capo a quattro settimane;
    «La Convenzione del 1988 e di conseguenza il SUA Act – come spiega bene un esperto di diritto internazionale, Natalino Ronzitti, su AffarInternazionali.it – sono inapplicabili al caso concreto, poiché essi riguardano il terrorismo internazionale e l'atto che viene imputato ai due marò, a parte ogni altra considerazione circa la veridicità dei fatti asseriti dall'accusa, non è ovviamente qualificabile come terrorismo»;
    in risposta alla formalizzazione del capo d'imputazione all'inviato speciale del Governo, Staffan de Mistura, l'Italia ha consegnato all'India una nota verbale quale primo passo formale richiesto dalla prassi per richiedere un arbitrato internazionale presieduto da un arbitro internazionale che giudicherebbe però non sul merito, ma sulla giurisdizione;
    lo stesso de Mistura è stato ascoltato il 26 marzo 2014 dalle Commissioni riunite difesa ed esteri di Camera e Senato in un audizione nel corso della quale, dopo aver sostanzialmente ammesso che sono stati commessi troppi errori dei vari Governi succedutisi in questi due anni nella gestione di questa vicenda, ha affermato che «l'unica strada percorribile è l'internazionalizzazione costante della questione»; in tal senso, andrebbe posta la questione della detenzione dei due fucilieri in sede NATO e nelle competenti sedi dell'Unione europea, al fine di ottenere un chiaro pronunciamento e una urgente presa di posizione ufficiale in merito da parte di questi organismi;
    a tale proposito, in primis, il Governo italiano secondo i firmatari del presente atto di indirizzo è tenuto ad esperire la via diplomatica della soluzione della controversia tra le parti anche a mezzo del ricorso al negoziato, alla mediazione e/o all'inchiesta internazionale;
    ove il ricorso alla vie diplomatiche non sortisse effetto positivo, il Governo è tenuto in via preliminare a esperire la procedura dell'arbitrato internazionale e, in subordine, o a richiedere che sia un giudice terzo, e dunque internazionale, a risolvere la controversia instauratasi tra l'Italia e l'India, anche alla luce della convenzione UNCLOS (United Nations Convention on the Law of the Sea) sottoscritta e ratificata sia dall'Italia (con legge 2 dicembre 1994, n. 689) che dall'India, o a sottoporre la questione alla giurisdizione del Tribunale internazionale del diritto del mare;
    inoltre, il Governo è tenuto a sottoporre la controversia alla giurisdizione della Corte internazionale di giustizia o della Corte permanente di arbitrato internazionale,

impegna il Governo:

   ad assumere, sia a livello internazionale, sia presso le autorità indiane, tutte le iniziative politiche, diplomatiche, attraverso il ricorso al negoziato, alla mediazione e/o all'inchiesta internazionale, e giurisdizionali;
   a sottoporre, in primis, la questione all'arbitrato e/o alla giurisdizione del Tribunale internazionale del diritto del mare, ovvero, in via subordinata, a esperire, la via della sottoposizione della controversia alla giurisdizione della Corte internazionale di giustizia o della Corte permanente di arbitrato internazionale.
(1-00422) «Sibilia, Rizzo, Manlio Di Stefano, Artini, Basilio, Del Grosso, Spadoni, Di Battista, Tofalo, Paolo Bernini, Scagliusi, Frusone, Grande, Corda».

Risoluzioni in Commissione:


   La III e IV Commissione,
   premesso che:
    il fatto che i due Fucilieri della Marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, siano da oltre due anni trattenuti ingiustamente in India, senza peraltro che per lungo tempo fosse formulato alcun capo d'accusa, per una vicenda scaturita da un incidente avvenuto in alto mare e non nelle acque territoriali indiane, non appare tanto una prevaricazione nei loro confronti, quanto, ormai, un affronto alla credibilità internazionale del nostro Paese;
    malgrado sia stato più volte confermato dalle autorità civili e militari italiane che tale incidente è avvenuto in acque internazionali e precisamente a 32 miglia dalla costa indiana, una localizzazione che avrebbe dovuto sin dal principio fare venir meno la giurisdizione indiana a favore di quella italiana, la Corte suprema indiana ha finora sempre negato la giurisdizione dello Stato italiano, senza adeguata motivazione peraltro ad avviso dei firmatari del presente atto, in palese violazione di una norma della Convenzione di Montego Bay delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982;
    in ogni caso, i due Fucilieri sono rappresentanti dello Stato impegnati nel contrasto alla pirateria conformemente alla legislazione italiana, al diritto internazionale e alle decisioni rilevanti del Consiglio di sicurezza dell'ONU;
    nel febbraio 2014, dopo numerosi e pretestuosi rinvii, la procura generale di New Delhi ha alla fine formalizzato il capo d'imputazione nei confronti dei due militari: i due fucilieri di marina italiani verranno giudicati sulla base della legge antipirateria (SUA Act) malgrado l'Italia abbia rivendicato a più riprese la competenza giurisdizionale sul caso;
    ancorché utilizzata in maniera sproporzionata, «La Convenzione del 1988 e di conseguenza il SUA Act – come spiega bene un esperto di diritto internazionale, Natalino Ronzitti, su AffarInternazionali.it – sono inapplicabili al caso concreto, poiché essi riguardano il terrorismo internazionale e l'atto che viene imputato ai due marò, a parte ogni altra considerazione circa la veridicità dei fatti asseriti dall'accusa, non è ovviamente qualificabile come terrorismo»;
    in risposta alla formalizzazione del capo d'imputazione all'inviato speciale del Governo, Staffan de Mistura, l'Italia ha consegnato all'India una nota verbale quale primo passo formale richiesto dalla prassi per richiedere un arbitrato internazionale presieduto da un arbitro internazionale che giudicherebbe però non sul merito, ma sulla giurisdizione;
    lo stesso de Mistura è stato ascoltato il 26 marzo 2014 dalle commissioni riunite difesa ed esteri di Camera e Senato in un audizione nel corso della quale, dopo aver sostanzialmente ammesso che sono stati commessi troppi errori dei vari governi succedutisi in questi due anni nella gestione di questa vicenda, ha affermato che «l'unica strada percorribile è l'internazionalizzazione costante della questione»; in tal senso, andrebbe posta la questione della detenzione dei due Fucilieri in sede NATO e nelle competenti sedi dell'Unione europea, al fine di ottenere un chiaro pronunciamento e una urgente presa di posizione ufficiale in merito da parte di questi organismi;
    a tale proposito, in primis il Governo italiano è tenuto ad avviso dei firmatari del presente atto ad esperire la via diplomatica della soluzione della controversia tra le parti anche a mezzo del ricorso al negoziato, alla mediazione e/o all'inchiesta internazionale;
    ove il ricorso alla vie diplomatiche non sortisse effetto positivo, il Governo è tenuto in via preliminare a esperire la procedura dell'arbitrato internazionale e, in subordine, o a richiedere che sia un giudice terzo, e dunque internazionale, a risolvere la controversia instauratasi tra l'Italia e l'India, anche alla luce della Convenzione UNCLOS (United Nations Convention on the Law of the Sea) sottoscritta e ratificata sia dall'Italia (con legge 2 dicembre 1994, n. 689) che dall'India, o a sottoporre la questione alla giurisdizione del Tribunale Internazionale del diritto del mare;
    inoltre, il Governo è tenuto a sottoporre la controversia alla giurisdizione della Corte Internazionale di Giustizia o della Corte permanente di arbitrato internazionale,

impegna il Governo:

   a sottoporre, in primis, la questione all'arbitrato e/o alla giurisdizione del Tribunale internazionale del diritto del mare, ovvero, in via subordinata, a esperire, la via della sottoposizione della controversia alla giurisdizione della Corte internazionale di giustizia o della Corte permanente di arbitrato internazionale;
   a valutare l'opportunità di sospendere, anche di concerto con tutti i Paesi membri della Unione europea, atteso che l'impegno per la lotta alla pirateria è un obbiettivo comune, le relazioni diplomatiche con l'India, laddove la questione dei due marò non sia tempestivamente risolta;
   a sollecitare il segretario generale delle Nazioni Unite e l'Alto rappresentante per la politica estera e gli altri organi competenti dell'Unione ad assumere un'iniziativa incisiva affinché la questione dei marò non rimanga un affare bilaterale Italia-India, come finora si è voluto ritenere;
   a prevedere l'eventualità che i due fucilieri di Marina rimangano nella ambasciata italiana di New Delhi, in modo che essi non si presentino più all'appuntamento settimanale con la polizia indiana per apporre la firma sul registro, ciò per riaffermare che l'India non ha giurisdizione sul caso.
(7-00328) «Del Grosso, Rizzo, Manlio Di Stefano, Sibilia, Artini, Basilio, Spadoni, Di Battista, Tofalo, Paolo Bernini, Scagliusi, Frusone, Grande, Corda».


   La VII Commissione,
   premesso che:
    l'articolo 16 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, ha istituito l'abilitazione scientifica nazionale (ASN), volta ad attestare la qualificazione scientifica che costituisce requisito necessario per l'accesso alla prima e alla seconda fascia dei professori universitari;
    il possesso dell'abilitazione scientifica nazionale, in base a quanto previsto dall'articolo 18, comma 1, lettera b) della medesima legge, è condizione necessaria per essere ammessi a partecipare alle procedure di chiamata di professori di prima o di seconda fascia da parte delle università, salvo il caso in cui si ricopra già analoga posizione in università italiane o straniere;
    l'abilitazione scientifica nazionale è conferita per ciascun settore concorsuale, distintamente per le due fasce, da un'unica commissione nazionale di durata biennale, formata per sorteggio da quattro professori ordinari in servizio presso università italiane nel medesimo settore e da un professore in servizio presso un'università di un paese dell'OCSE (articolo 16, comma 3, lettera f));
    le procedure per il conferimento dell'abilitazione scientifica nazionale devono essere indette dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con frequenza annuale inderogabile e devono concludersi entro cinque mesi dalla loro indizione (articolo 16, comma 3, lettere d), e));
    ai candidati che non conseguissero l'ASN è preclusa la partecipazione alle due tornate annuali successive di procedure per il conferimento dell'ASN (articolo 16, comma 3, lettera m));
    l'articolo 16, comma 2 della legge n. 240 del 2010 prevede che le modalità di espletamento delle procedure per il conferimento dell'ASN sono disciplinate da apposito regolamento emanato dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, entro novanta giorni dall'entrata in vigore della legge;
    tale regolamento è stato emanato, in notevole ritardo, con il decreto del Presidente della Repubblica 14 settembre 2011, n. 222, ma prevedeva all'articolo 4, con un'ormai tipica tecnica di decretazione «a cascata», un ulteriore decreto con cui il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca avrebbe definito i criteri e i parametri della valutazione scientifica, specifici per fascia e per area disciplinare, dei curricula dei candidati all'abilitazione scientifica nazionale;
    tali criteri e parametri di valutazione, compresi i relativi indicatori, sono stati poi definiti dal decreto ministeriale n. 76 del 7 giugno 2012, mentre i settori concorsuali sono stati rideterminati con decreto ministeriale n. 159 del 12 giugno 2012;
    il 21 giugno 2012 l'Agenzia nazionale per la valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR), con la delibera n. 50, ha fissato le modalità di calcolo degli indicatori definiti dal citato decreto ministeriale n. 76 del 2012;
    il 16 luglio 2012 (la data è incerta perché il documento è senza data ma è possibile dedurla da interventi su siti specializzati di informazione) l'ANVUR rendeva pubblico un ulteriore documento sulla «normalizzazione degli indicatori per età accademica» in cui – in parziale difformità sia con il comma 2 dell'allegato A del decreto ministeriale n. 76 del 2012, sia con l'articolo 17 della delibera n. 50 della medesima ANVUR – venivano irritualmente stabilite nuove e differenti forme di normalizzazione degli indicatori, in particolare con l'introduzione ex novo del cosiddetto «H-contempotary», relativi ai settori cosiddetti bibliometrici (aree disciplinari di matematica, informatica, fisica, chimica, geologia, agraria, veterinaria, medicina, ingegneria, salvo eccezioni particolari);
    tale documento, pur fungendo da base sostanziale dei calcoli delle mediane e dei valori degli indicatori quantitativi per i singoli candidati, quindi dei lavori delle commissioni giudicatrici almeno per i settori bibliometrici, non ha forma normativa (si tratta piuttosto di una sorta di articolo che riprende un contributo scientifico di Sidiropoulos, Katsaros e Manolopoulos pubblicato su Scientometrics nel 2007 testandolo su un solo campione composto da 1.400 fisici), né del resto compare tra la normativa ufficiale presente sul sito dell'abilitazione scientifica nazionale nelle pagine web del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
    il 20 luglio 2012, con decreto direttoriale n. 222, veniva finalmente bandita la prima tornata di abilitazioni scientifiche, con scadenza delle domande fissata per il 20 novembre 2012, quindi con circa un anno di ritardo rispetto alla previsione di legge;
    per dirimere alcune questioni relative alla corretta interpretazione delle norme del decreto ministeriale n. 76 del 2012, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca pro tempore, con nota circolare n. 754 dell'11 gennaio 2013 rivolta in primo luogo alle commissioni giudicatrici (anche questa assente tra la normativa ufficiale presente sul sito dell'ASN), interveniva su alcuni aspetti applicativi delle norme per il conseguimento dell'ASN, in particolare quelle riguardanti l'uso degli indicatori quantitativi e delle relative mediane per il giudizio scientifico sui curricula dei candidati;
    i lavori delle commissioni giudicatrici si prolungavano ben oltre i termini di legge, tanto che furono necessari alcuni provvedimenti di successive proroghe, e si sono conclusi tra la fine del 2013 e l'inizio del 2014 con la pubblicazione dei risultati dell'abilitazione scientifica nazionale per quasi tutti i settori concorsuali;
    nel frattempo, con decreto direttoriale n. 161 del 28 gennaio 2013, veniva bandita anche la seconda tornata di abilitazioni scientifiche, con scadenza delle domande fissata per il 31 ottobre 2013, i cui primi passi sono attualmente in corso ma di cui è stata già disposta, con decreto direttoriale n. 1236 del 1o aprile 2014, la proroga dei termini per i lavori delle commissioni;
    molti dei candidati risultati successivamente non abilitati nella prima tornata hanno presentato regolare domanda alla seconda tornata;
    i risultati della prima tornata dell'abilitazione scientifica nazionale sono gravati da centinaia di ricorsi ai tribunali amministrativi, in buona parte motivati dall'intrico e dal sovrapporsi di norme e indicazioni non sempre chiare e univoche, nonché dalla loro applicazione, opinabile a giudizio dei ricorrenti, da parte delle commissioni giudicatrici;
    l'abilitazione scientifica nazionale era stata concepita dal legislatore sostanzialmente come una verifica ad personam della raggiunta produttività e maturità scientifica per poter ambire a ricoprire posti di professore universitario rispettivamente di prima o di seconda fascia e quindi come condizione necessaria per poter partecipare alle procedure di valutazione comparativa bandite e gestite autonomamente dalle università per procedere alla chiamata di nuovi professori;
    in tal modo il legislatore intendeva probabilmente contemperare, da un lato, il diritto di ciascuna comunità disciplinare nazionale e internazionale di valutare i curricula scientifici di coloro che aspirano ad accedere a posizioni di professore associato o ordinario nella specifica disciplina, per evitare l'inclusione di candidati al di sotto di uno standard scientifico accettabile rispetto alla posizione accademica cui aspirano; da un altro lato, il diritto di ciascun ateneo di scegliere i propri professori in base alle proprie esigenze e strategie didattiche e scientifiche, sulle base di una comparazione tra gli aspiranti purché in possesso della relativa abilitazione, secondo principi di autonomia e responsabilità degli atenei che sono necessari per una valutazione corretta dei risultati ottenuti;
    l'introduzione dell'abilitazione scientifica nazionale era stata inizialmente apprezzata dall'opinione pubblica e dal mondo accademico, in particolare da parte del personale non strutturato, in quanto si presentava come un sistema che sembrava garantire una maggiore obiettività di giudizio per la presenza di commissioni nazionali e di indicatori quantitativi tratti da basi di dati internazionali o comunque indipendenti dalle commissioni;
    per lo stesso motivo si è però ingenerato l'equivoco generalizzato che l'abilitazione scientifica nazionale fosse un vero e proprio concorso di reclutamento e non una mera abilitazione ad personam, accentuato dal comportamento della maggior parte delle commissioni giudicatrici che hanno proceduto ad una valutazione scientifica essenzialmente comparativa tra i candidati ovvero a stabilire standard scientifici eccessivamente alti o criteri quantitativi assolutamente dirimenti, in ciò assecondate da una normativa irrituale, incerta e altalenante che non aiutava i commissari ad assumere vere responsabilità culturali;
    a titolo di esempio della situazione confusa nell'opinione pubblica, si è addirittura additata sulla stampa come scandalosa l'indicazione preventiva che alcuni candidati avrebbero conseguito l'abilitazione quando, in comunità disciplinari nazionali relativamente piccole come quelle accademiche, i candidati e la loro qualificazione scientifica sono normalmente ben noti a tutti i membri della loro comunità disciplinare;
    la stessa pretesa oggettività degli indicatori quantitativi si è rapidamente rivelata illusoria, sia per i molti errori inevitabilmente contenuti in banche dati commerciali di dimensioni enormi, sia per la complessità interna dei settori concorsuali difficilmente riducibile a singoli indicatori generali, tanto da generare un esteso contenzioso di cui solo adesso inizia l'esame da parte dei tribunali amministrativi e che comunque ha provocato la riconvocazione in autotutela di molte commissioni giudicatrici;
    non va peraltro sottaciuto il problema che si è aggiunto in alcuni settori, soprattutto non bibliometrici, relativo a comportamenti delle commissioni giudicatrici tesi a far prevalere considerazioni di tipo accademico-corporativo su considerazioni prettamente scientifico-culturali, ottenendo risultati di abilitazione che sono apparsi talora contrari ai principi della qualità scientifica e del merito personale, tanto da sollevare forti polemiche tra gli addetti di lavori e sulla stampa, con riflessi addirittura internazionali;
    non va nemmeno sottaciuto un effetto imprevisto e sgradevole che si è diffuso a causa della confusione normativa e degli equivoci interpretativi collegati agli indicatori utilizzati per l'abilitazione scientifica nazionale: a livello centrale e locale si scelgono sempre più spesso procedure organizzative e di ripartizione di risorse che utilizzano le mediane calcolate per l'abilitazione scientifica nazionale a fini differenti da quelli originali finendo col marginalizzare anche didatticamente i professori associati e i ricercatori di ruolo che non le superano, nonostante che, per la loro stessa definizione, metà dei professori ordinari non le superano;
    vi è dunque il forte rischio che – sia a causa dei ricorsi in via giurisdizionale, sia a causa delle tensioni accademiche – tutto il sistema si blocchi impedendo ancora una volta, dopo sei anni di effettiva sospensione dei concorsi di assunzione e promozione dei docenti, che il reclutamento dei professori assuma un andamento regolare nel tempo e nelle regole, condizione assolutamente imprescindibile per il corretto funzionamento degli atenei e per le legittime aspirazioni di carriera di chi si dedica alla didattica e alla ricerca nelle università;
    si è verificata negli ultimi anni, a causa del ripetuti e pesanti blocchi parziali del turnover, una precipitosa diminuzione del numero dei professori universitari (–27 per cento degli ordinari, –13 per cento degli associati dal 2009 in poi) con il netto aumento della loro età media in corrispondenza della mancata assunzione di giovani;
    dopo oltre tre anni dall'entrata in vigore della legge n. 240 del 2010 si è svolta finora un'unica tornata di abilitazione scientifica nazionale, a fronte delle tre previste tassativamente dalla legge, e peraltro non si è ancora potuto procedere ad alcuna chiamata di abilitati da parte delle università;
    tale andamento sta mettendo in seria difficoltà il mantenimento nelle università di livelli accettabili di offerta didattica e di attività di ricerca rispetto ad una competizione internazionale in cui l'Italia è già costantemente agli ultimi posti in termini di finanziamenti di personale, di laureati e deve quindi essere invertito di senso, garantendo almeno un sistema regolare e corretta di reclutamenti e promozioni dei docenti,

impegna il Governo:

   a predisporre urgentemente le iniziative legislative o regolamentari necessarie o utili per migliorare e porre su basi certe e stabili l'intera normativa dell'abilitazione scientifica nazionale in modo da garantire la messa a regime di un sistema regolare e corretto di verifica della maturità scientifica raggiunta da coloro che aspirano a essere chiamati come professori ordinari o associati presso le università;
    ad assumere iniziative per trasformare l'abilitazione scientifica nazionale in una procedura «a sportello» invece che «a bando», nel senso di prevedere che ogni commissione giudicatrice valuti, nell'ordine di presentazione ed entro tempi prescritti, le domande di abilitazione pervenute e stabilisca, ai sensi dell'articolo 16, comma 1, della legge n. 240 del 2010, se il candidato ha raggiunto la qualificazione scientifica che costituisce requisito necessario per l'accesso alla prima e alla seconda fascia dei professori universitari a seguito di valutazione comparativa e chiamata da parte delle università ai sensi dell'articolo 18 della predetta legge;
   ad assumere iniziative per prevedere che la valutazione della commissione giudicatrice dell'abilitazione scientifica nazionale sia effettuata sulla base di criteri e parametri, differenziati per funzioni e per area disciplinare, definiti dal Ministro con proprio decreto sentiti il Consiglio universitario nazionale, l'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca e il Comitato di esperti per la politica della ricerca, secondo quanto previsto dall'articolo 4, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 14 settembre 2011, n. 222, nonché degli ulteriori criteri e parametri qualitativi e quantitativi coerenti con quelli nazionali, determinati da ciascuna commissione all'inizio del biennio di attività anche tenendo conto delle specificità interne del settore concorsuale interessato;
   a tener conto, nel definire i predetti criteri e parametri qualitativi e quantitativi, anche del parere delle maggiori società scientifiche settoriali in modo da ampliare l'analisi preventiva della loro significatività e il conseguente consenso su di essi;
   conseguentemente a rivedere attentamente la normativa sugli indicatori quantitativi e sulle relative mediane di cui agli allegati del decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 76 del 7 giugno 2012, ivi compresa la distinzione tra settori cosiddetti bibliometrici o non bibliometrici;
   a provvedere ad un'iniziativa normativa urgente che, viste la situazione indicata nelle premesse, permetta di derogare, in prima applicazione, dalla norma di cui all'articolo 16, comma 3, lettera m) della legge n. 240 del 2010, in modo da consentire la partecipazione alla seconda tornata dell'abilitazione scientifica nazionale ai candidati che non hanno conseguito l'abilitazione nella prima tornata;
   nelle more di questi provvedimenti, ad assumere iniziative per porre intanto su basi più chiare e certe le norme a cui sono tenute ad attenersi le commissioni giudicatrici della seconda tornata dell'abilitazione scientifica nazionale di cui sono attualmente in corso i primi atti procedurali;
   a promuovere attentamente una revisione della normativa sulle cosiddette chiamate dirette di cui all'articolo 1, comma 9, della legge 4 novembre 2005, n. 230, recentemente trasformatesi in una sorta di canale alternativo di reclutamento senza abilitazione né valutazione comparativa, coordinandola con la normativa dell'abilitazione scientifica nazionale;
   a monitorare lo stato di attuazione dell'articolo 18, comma 1, della legge n. 240 del 2010 in modo che le università possano rapidamente procedere alle chiamate, a seguito di valutazione comparativa, di ricercatori e professori associati che abbiano conseguito l'abilitazione.
(7-00327) «Ghizzoni, Coscia, Piccoli Nardelli, Rocchi, Carocci, Bossa, Ascani, Coccia, Malisani, Blazina, Malpezzi, Rampi, D'Ottavio, Zampa, Orfini».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   SARTI, TOFALO, SILVIA GIORDANO, COLONNESE e SIBILIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Benevento negli ultimi anni diversi dirigenti dell'amministrazione comunale tra i quali il sindaco di Benevento ingegner Fausto Pepe, sono stati protagonisti di alcune vicende oggetto di indagine da parte della magistratura e delle forze dell'ordine;
   il giudice per le indagini preliminari di Benevento dottor Flavio Cusani, su richiesta del Pubblico Ministero, dottor Antonio Clemente, sottoponeva alla misura di sicurezza dell'obbligo di dimora in comune diverso da quello di Benevento con l'obbligo di firma presso la questura, tra gli altri, il sindaco di Benevento ingegner Fausto Pepe, oltre ad altri soggetti tra consiglieri comunali e dirigenti, solo alcuni dei quali oggi risultano non essere più impiegati presso l'amministrazione comunale;
   i capi di accusa a carico del sindaco di Benevento, ingegner Fausto Pepe, gli ascrivono i reati di: corruzione, falso ideologico in atti pubblici, truffa in pubbliche forniture, concussione elettorale;
   in data 23 giugno 2013 il pubblico ministero di Benevento dottor Antonio Clemente, giunto al termine delle indagini dell'operazione chiamata «mani sulla città», inviava comunicazione di avviso conclusione indagini per 50 indagati tra i quali il sindaco di Benevento, ingegner Fausto Pepe. La relativa udienza dinnanzi al G.U.P. del Tribunale di Benevento avrebbe dovuto avere inizio in data 28 novembre 2013; ad oggi a seguito di alcuni difetti di notificazione prima, e dell'astensione degli avvocati poi, l'udienza è posticipata per maggio 2014;
   «mani sulla città» è solo una delle inchieste che hanno portato al rinvio a giudizio del sindaco ingegner Fausto Pepe, di fatti egli è stato rinviato a giudizio nell'ambito di altre inchieste e precisamente: nell'ambito dell'indagine sul disastro ambientale di Piano Borea (Bn) veniva rinviato a giudizio per i reati previsti e puniti dagli articoli 81 cpv c.p. «concorso formale, reato continuato» e 328 c.p. «omissione di atti d'ufficio», nell'ambito dell'inchiesta sugli sversamenti abusivi in danno degli ecosistemi fluviali in concorso con altri veniva rinviato a giudizio per i reati previsti e puniti dagli articoli 81 c.p. «concorso in delitto colposo» 449 c.p. «delitto colposo di danno» e 434 commi I II «crollo di costruzioni o altri disastri dolosi»;
   al termine di ognuna di queste indagini, nonostante la copiosa produzione di notizie in merito da parte della stampa, la locale prefettura non sembra aver mai preso alcun provvedimento;
   l'11 ottobre 2013 i colleghi Sibilia, Tofalo, Giordano, D'Incà e Nuti presentavano un'interrogazione parlamentare nella quale esponevano la preoccupante situazione dell'ordine pubblico nella città di Benevento e contestualmente rimarcavano le circostanze riguardanti numerosi episodi di attentati intimidatori perpetrati ai danni di dirigenti e dipendenti comunali, alcuni dei quali sarebbero stati coinvolti nell'inchiesta di cui in premessa;
   detta interrogazione non ha ancora ricevuto risposta nonostante la gravità dei fatti esposti e nonostante gli stessi colleghi abbiano in data 10 febbraio 2014 esperito formale sollecito;
   il 20 e 21 marzo 2014 è stato reso noto a mezzo stampa il contenuto di numerose intercettazioni nelle quali i capo clan del clan Sparandeo nel Sannio, dichiaravano di aver pilotato le elezioni nel 2011;
   tra i beneficiari dell’«aiuto» del clan Sparandeo risulterebbero esserci anche l'ex consigliere del comune di Benevento, dimessosi a seguito dell'operazione «mani sulla città», Aldo Damiano indagato per concorso nei reati di cui in premessa insieme con il sindaco del comune di Benevento Fausto Pepe e numerosi altri esponenti politici del comune Sannita;
   le circostanze sin qui esposte sono rappresentative di una completa mancanza di attenzione da parte delle istituzioni competenti sulla situazione di Benevento in merito sia all'ordine pubblico che alla corretta gestione e controllo dell'amministrazione locale inoltre sconcerta l'inerzia perdurante nel tempo messa in essere dalla competente Prefettura –:
   se si intenda avviare, la procedura di cui all'articolo 141, n. 1, lettera a) del testo unico degli enti locali in considerazione anche dell'imminente tornata elettorale così come previsto dal n. 4 del medesimo articolo;
   se intenda informarsi presso la prefettura di Benevento e poi rendere note le circostanze e le motivazioni per le quali la prefettura a dispetto di tutto quanto su in premessa non abbia mai preso provvedimenti nei confronti del sindaco e della sua giunta per la salvaguardia sia dell'ordine pubblico che dei principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione;
   se in considerazione di quanto esposto, nonché alla luce degli ultimi avvenimenti relativi alla criminalità organizzata si intenda attivare presso la prefettura di Benevento, la procedura di cui all'articolo 143 n. 1 comma II del testo unico degli enti locali e 143 n. 3 del testo unico degli enti locali e se si voglia, infine, rendere noti i nomi dei tre funzionari pubblici che andranno a comporre la commissione d'accesso. (3-00737)

Interrogazione a risposta scritta:


   DI BATTISTA. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio dei ministri, in data 12 marzo 2014, ha approvato la relazione del Presidente, Matteo Renzi, in ordine ai provvedimenti che si attueranno in materia di riforme costituzionali e sugli interventi di politica economica inclusa la riduzione del carico fiscale;
   il testo della predetta relazione non è dato sapere cosa contenga e dove possa essere reperito, non essendo stato pubblicato sul sito del Governo, o comunque altrimenti divulgato;
   con avviso di vendita prot. N. 600/Segr./6091/2014, del dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno, sembra che tra le misure individuate dal Governo nella relazione approvata in seno al Consiglio dei ministri vi siano anche azioni di riduzione della spesa e di contenimento dei costi tra le cui quelle di riduzione del numero delle autovetture in uso alle amministrazioni dello Stato;
   nello stesso avviso di vendita si evidenzia che «ogni Amministrazione dello Stato dovrà procedere, con assoluta urgenza, all'adozione di un piano di riduzione del parco macchine sulla base della più rigorosa necessità di contenimento della spesa e che, nell'immediato, verranno alienate, a partire dal 26 marzo e fino al 16 aprile 2014, n. 70 autovetture»;
   si precisa poi che tale alienazione «dovrà avvenire mediante l'utilizzo dei nuovi strumenti digitali con l'uso di piattaforme elettroniche sulle quali procedere ad avvisi di vendita on-line»;
   il Ministero dell'interno procederà, dunque, alla vendita delle cosiddette auto blu a mezzo di piattaforma elettronica e-bay a cura della Presidenza del Consiglio dei ministri;
   da un lato non si comprende in forza di quale provvedimento governativo il Ministero dell'interno abbia provveduto alla messa in vendita delle autovetture;
   l'interrogante può solo ipotizzare che detta iniziativa sia stata prevista nella relazione approvata nel Consiglio dei ministri n. 6 del 12 marzo 2014;
   dall'altro lato non è dato sapere sulla base di quali criteri il Presidente del Consiglio dei ministri abbia deciso di individuare, quale canale di vendita, il sito eBay né se siano state rispettate procedure ad evidenza pubblica per quanto concerne l'individuazione del contraente;
   detta tipologia di vendita on-line, a quanto risulta all'interrogante, prevede a carico di chi pone in vendita un oggetto all'asta, sia una tariffa d'inserzione dell'annuncio sia l'addebito di una commissione sul valore finale nel caso in cui l'oggetto venga venduto;
   la commissione da corrispondere al sito eBay, in alcuni casi può anche arrivare ad una percentuale dell'11 per cento del valore finale di vendita;
   inoltre, come appreso da articoli di stampa, il sito di compravendita on-line ha ricevuto, dall'Agenzia delle entrate, un avviso di accertamento che ammonterebbe a 76,8 milioni di euro, di cui 21,2 milioni per tasse non pagate nei primi anni di attività, e 55,6 milioni a titolo di sanzioni e interessi;
   sempre da organi di stampa è possibile constatare come eBay sembra sia riuscita a ridurre al minimo il prelievo fiscale nei Paesi dove hanno milioni di clienti e dove gli affari si stanno diffondendo sempre più, come Gran Bretagna, Germania, Francia e Italia;
   ciò appare essere avvenuto attraverso la concentrazione delle loro attività ufficiali nelle legislazioni fiscalmente più convenienti, dai classici paradisi offshore fino all'Irlanda, al Lussemburgo e all'Olanda, dove il numero dei clienti eBay è inferiore, ma che consentirebbe a eBay di non essere sottoposto al prelievo fiscale dei Paesi nei quali sarebbero tenuti a pagare tasse più elevate –:
   sulla base di quale provvedimento il Ministero dell'interno abbia provveduto all'avviso di vendita di cui in premessa;
   quali criteri siano stati utilizzati al fine di individuare eBay come piattaforma di vendita delle autovetture di cui in premessa e se siano state rispettate procedure ad evidenza pubblica;
   se siano a conoscenza del fatto che eBay abbia ricevuto un accertamento da parte dell'Agenzia delle entrate per 76,8 milioni di euro;
   di che entità siano le tariffe e le commissioni in favore di eBay che sono o saranno a carico dello Stato per le operazione di vendita on-line di cui in premessa. (4-04304)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta orale:


   BURTONE. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
    il 31 marzo 2014 la comunità di San Giovanni La Punta (Ct) è stata sconvolta dalla notizia della morte del giovane studente del liceo scientifico «Majorana» che si trovava in gita in Spagna;
   il giovane 15enne era a bordo della nave della Grimaldi Lines quando nel corso della notte in circostanze tutte da chiarire sarebbe caduto in mare dal ponte della nave;
   gli studenti si trovavano a Barcellona per lo stage letterario «Amare Leggere» che vede coinvolti migliaia di studenti provenienti da tutta Italia –:
   se il Governo sia a conoscenza di tale dolorosissima vicenda e quali iniziative intenda assumere attraverso i canali diplomatici per comprendere l'accaduto e supportare innanzitutto la famiglia del povero ragazzo. (3-00733)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 21 marzo 2013 presso Curitiba, in Brasile, veniva ucciso, nel corso di una rapina, Antonio Giovanni Rossi, un giovane italiano di Villa d'Agri (PZ) di 34 anni;
   il giovane italiano si era stabilito lì da qualche anno ed esercitava la professione di amministratore di condominio;
   uscito da un ristorante, in compagnia di suo fratello, si è avvicinato un rapinatore che ha esploso un colpo alla testa e si è dileguato;
   a un anno di distanza da quel dolorosissimo episodio per la famiglia Rossi ancora non vi è una risposta sul perché dell'omicidio;
   il padre del ragazzo, Vincenzo Rossi, ha abbandonato il proprio lavoro e sta dedicando la sua vita alla ricerca della verità a fronte dei tanti interrogativi che ancora rimangono sulla vicenda –:
   se il governo sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se e quali iniziative intenda assumere presso le autorità competenti brasiliane affinché sia assicurato alla giustizia l'autore dell'omicidio e si arrivi finalmente alla verità. (5-02530)

Interrogazione a risposta scritta:


   TACCONI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il Bilancio di previsione per l'anno 2014 del Ministero degli affari esteri di cui alla tabella 6, capitolo 3153, «Contributi in denaro, libri e materiale didattico e relative spese di spedizione ad enti, associazioni e comitati per l'assistenza educativa, scolastica, culturale, ricreativa e sportiva dei lavoratori italiani all'estero e delle loro famiglie» recava inizialmente un'autorizzazione di competenza e di cassa pari ad euro 9.811.517;
   nel corso dell’iter parlamentare della legge di bilancio, a seguito di un emendamento approvato al Senato, il capitolo in questione veniva incrementato di 1.000.000 euro, portandone la dotazione finanziaria a complessivi euro 10.811.517, e si attestava così ai livelli del 2013;
   dalle informazioni recentemente diramate tramite i consolati agli enti gestori dei corsi di lingua e cultura italiana risulterebbero contributi per l'anno in corso per un importo complessivo di euro 9.792.600, vale a dire per oltre 1.000.000 in meno rispetto alla dotazione del capitolo 3153;
   in particolare per gli enti gestori nella sola Svizzera si assisterebbe ad un taglio di 249.000 euro, pari al 13,86 per cento rispetto ai contributi erogati nel 2013 e ciò in concomitanza con la chiusura di diverse sedi consolari che inevitabilmente produrranno una contrazione dei servizi al cittadino;
   la materiale erogazione dei contributi ministeriali agli enti gestori dei corsi di lingua e cultura italiana avviene con incomprensibili ritardi, presumibilmente ascrivibili a lungaggini burocratiche che mal si giustificano in presenza di un'autorizzazione di spesa certa, e tali ritardi costringono i suddetti enti a ricorrere a prestiti bancari, con conseguente aggravio sui rispettivi bilanci –:
   come il Ministro interrogato intenda utilizzare l'importo ancora disponibile sul capitolo in questione e se non intenda procedere all'immediata erogazione dei contributi annunciati agli enti interessati in maniera che gli stessi non debbano ricorrere ad onerosi prestiti bancari.
(4-04291)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VIII Commissione:


   DE ROSA, VACCA, COLLETTI, DEL GROSSO, TERZONI, BUSTO, DAGA, MANNINO, MICILLO, SEGONI, ZOLEZZI, BARONI, CECCONI, DALL'OSSO, DI VITA, SILVIA GIORDANO, GRILLO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel 2007 è stata scoperta una discarica abusiva in località Bussi nelle vicinanze della confluenza del fiume Tirino con il fiume Aterno-Pescara ove è stata rinvenuta una cospicua quantità di materiale altamente inquinante;
   con la nota del 10 maggio 2007 della regione Abruzzo è stata rappresentata, al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, l'urgenza e l'indifferibilità degli interventi di messa in sicurezza e bonifica della discarica abusiva rinvenuta in località Bussi;
   il decreto ministeriale 29 maggio 2008 istituisce e perimetra il sito di bonifica di interesse nazionale in località «Bussi sul Tirino»;
   il decreto-legge n. 225 del 2010 prevede che il commissario delegato Goio provveda, entro il 30 giugno 2011, ad avviare la bonifica del sito d'interesse nazionale di «Bussi sul Tirino»;
   lo stesso decreto prevede un primo stanziamento di 50 milioni di euro per gli anni 2011-2013;
   a quasi 7 anni, e nonostante la presenza di un commissario delegato, i lavori di bonifica di fatto non sono partiti;
   i ritardi alla messa in sicurezza del sito inquinato continuano a produrre effetti nocivi alla natura e alle popolazioni a valle di Bussi;
   dalla relazione dell'Istituto superiore della sanità divulgata nei giorni scorsi si evince che per 50 anni i rifiuti tossici hanno rilasciato nelle falde idriche molteplici sostanze pericolose per la salute, con fenomeni che hanno dato luogo a presenza, anche in concentrazioni rilevanti, di composti chimici di accertata o sospetta attività cancerogena nell'uomo e/o nell'animale;
   a partire dagli anni ottanta, il Campo Pozzi Sant'Angelo, almeno per oltre due decenni ha contribuito a trasferire le sostanze inquinanti dall'acqua di falda nella rete dell'acquedotto Giardino distribuendo acqua in un vastissimo territorio e per circa 700.000 consumatori (la metà degli abitanti dell'Abruzzo);
   secondo il Corpo forestale dello Stato, per decenni la discarica di Bussi sarebbe stata destinata a smaltire illegalmente oltre centomila tonnellate di scarti di lavorazione chimiche ed industriali quali: il cloroformio, il tetracloruro di carbonio, l'esacloroetano, il tricloroetilene, triclorobenzeni, metalli pesanti, tanto da essere stata definita una delle più grandi discariche nascoste di sostanze tossiche e pericolose mai trovate;
   l'articolo 252 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, attribuisce al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la competenza sulla procedura di bonifica, conferendo al medesimo Ministero i poteri sostitutivi in caso di inadempienza o mancata individuazione dei soggetti responsabili;
   in relazione alle caratteristiche degli inquinanti rilevati e al prolungato periodo di contaminazione, si configura un pericolo concreto per la salute umana, e anche attualmente non si conoscono gli effetti sulla catena alimentare e sul territorio di una così lunga azione inquinante –:
   quale sia la situazione attuale del sito della discarica abusiva di Bussi sul Tirino, con particolare riferimento alle ragioni per le quali vi sia un così grande ritardo nell'avvio degli interventi di bonifica e alle iniziative che il Ministro intenda prendere per realizzare in tempi rapidi la bonifica integrale del sito d'interesse nazionale, stante la necessità di ulteriori urgenti interventi per tutelare la salute della popolazione circostante e la qualità delle matrici naturali interessate dalla discarica abusiva. (5-02534)


   GADDA, CARRESCIA, BRATTI, DONATI, MARCO DI MAIO, DALLAI, MANFREDI, COMINELLI, BIFFONI, ZARDINI, SENALDI, MARIANI, BORGHI, REALACCI e BRAGA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella seduta della Commissione ambiente della Camera del 17 settembre 2013, in risposta ad un'interrogazione parlamentare presentata da diversi parlamentari del Gruppo del PD, con la quale si segnalavano una lunga serie di problematiche concernenti l'entrata in vigore del sistema di tracciabilità dei rifiuti (SISTRI), il Governo, pur ribadendo che in una realtà quale quella italiana, connotata da continue e plurime emergenze rifiuti e da continue e comprovate infiltrazioni della criminalità organizzata nel ciclo dei rifiuti, è irrinunciabile che lo Stato si doti di un efficiente e efficace sistema di tracciamento dei rifiuti, che non può non passare per un sistema informatico meno eludibile di quello cartaceo, manifestava la volontà politica generale di operare – ai fini dell'entrata in vigore del SISTRI – in modo da «non vessare le imprese italiane con inutili oneri sconosciuti negli altri Paesi europei, ma di collaborare con le imprese al fine di porre l'Italia al passo con i più evoluti Paesi europei, nei quali non si riscontrano «emergenze rifiuti» e per introdurre un modello di tracciamento informatico moderno ed efficace»;
   nell'ambito del tavolo di consultazione avviato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel mese di giugno 2013, 31 associazioni di rappresentanza hanno denunciato in maniera unanime le criticità del SISTRI e condiviso l'opportunità di implementare un sistema di tracciabilità dei rifiuti efficiente e gestibile da parte delle imprese;
   dopo l'avvio, sperimentale del sistema ad ottobre dello scorso, così come previsto dal decreto-legge n. 101 del 2013, molte problematiche permangono ancora aperte e molto forte è ancora presso gli operatori economici un sentimento di preoccupazione e di incertezza, da un lato per le pesanti ricadute, sia dal punto di vista burocratico che dei costi, che gravano sulle imprese italiane ed in particolare su quelle di piccole e medie dimensioni, rispetto a quelle degli altri Paesi europei e, dall'altro, per l'ormai prossima entrata in vigore, a marzo 2014, delle norme che ampliano notevolmente la platea di enti e imprese tenute ad assoggettarsi al SISTRI;
   il citato decreto-legge n. 101 del 2013 ha previsto all'articolo 12 alcuni adempimenti che ove ottemperati potrebbero dare segnali positivi rispetto agli impegni assunti dal Governo il 17 ottobre 2013 in risposta all'interrogazione in premessa richiamata; in particolare è stato previsto che con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si proceda periodicamente alla semplificazione del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti e che in sede di prima applicazione, a tali semplificazioni si proceda entro il 3 marzo 2014 salvo differimento motivato. Sono però fatte salve le operazioni di collaudo, che hanno per oggetto la verifica di conformità del SISTRI alle norme e finalità vigenti anteriormente all'emanazione del citato decreto e che devono concludersi entro sessanta giorni lavorativi dalla data di costituzione della commissione di collaudo e, per quanto riguarda l'operatività del sistema, entro il 31 gennaio 2014 –:
   quali siano nel dettaglio gli esiti delle indagini condotte dalla commissione di collaudo, prevista dall'articolo 11, comma 8, del decreto-legge n. 101 del 2013, e se tali operazioni abbiano anche riguardato il funzionamento del sistema nel suo complesso e l'impatto sulle imprese in termini di costi, di semplicità di utilizzo, di efficacia per il reale contrasto alle ecomafie e di una piena tracciabilità dei rifiuti.
(5-02535)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NESCI, MANNINO, COLONNESE e CARINELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   Tropea (Vibo Valentia) è un comune famoso nel mondo per le sue bellezze naturalistiche e paesaggistiche, la sua spiaggia, il suo mare trasparente, la suggestività di faraglioni e scorci nonché per l'unicità della sua costa, cinematograficamente e televisivamente considerata, cui si unisce la tipicità della cipolla rossa, che ne prende il nome, coltivata nei vicini terreni;
   l'amministrazione comunale di Tropea intende realizzare un progetto di ripascimento e stabilizzazione del litorale in erosione, godendo, tra l'altro di fondi stanziati riguardanti la prima fase del Por Calabria, collegato al Fondo europeo di sviluppo regionale per gli anni 2007-2013;
   il progetto, denominato «lavori di ripascimento e stabilizzazione del litorale in erosione nel Comune di Tropea, APQ difesa del suolo, erosione delle coste delibera CIPE 35/005», ha ricevuto parere favorevole di compatibilità ambientale, con prescrizioni, mediante decreto della regione Calabria n. 15372 del 29 ottobre 2012, a firma del direttore generale, recependo la formulazione elaborata dal nucleo regionale di VIA-VAS-IPPC;
   in data 3 febbraio 2011, l'amministrazione di Tropea, ai sensi dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 4 del 2008 e del regolamento regionale 4 agosto 2008, e successive modificazioni, ha trasmesso agli uffici regionali, la documentazione per la procedura di valutazione di impatto ambientale;
   con nota del 28 giugno 2009 la regione Calabria ha richiesto all'amministrazione comunale integrazione di documentazione, poiché alcune attività consistevano nel prelievo delle sabbie all'interno del parco marino regionale «Fondali di Capocozzo-S. Irene-Vibo Marina-Pizzo-Capo Vaticano-Tropea» (istituito con legge regionale della Calabria n. 13 del 2008), operazione che avrebbe potuto danneggiare l'area protetta;
   l'ente gestore del suddetto parco aveva già rilasciato parere negativo;
   il proponente ha fornito sia le note integrative che uno studio d'incidenza, facendo riferimento però esclusivamente al sito SIC IT 9340091 «zona costiera fra Briatico e Nicotera»;
   nel contenuto del parere di valutazione ambientale espresso, per converso, nessun riferimento sembra essere riservato alla valutazione d'incidenza di cui all'articolo 6 della direttiva comunitaria, recepita nella regione Calabria dal regolamento 3 del 2008 come modificato dalla DGR 749 del 2009;
   l'immenso valore naturalistico dell'area è riconosciuto dalla stessa Unione europea che l'ha inserita nell'elenco dei siti d'interesse comunitario, sottoposti alla tutela della direttiva 43/92/CEE «Habitat – Rete Natura 2000» quelli identificati con i codici IT9340091 «Zona costiera fra Briatico e Nicotera», IT9340094 «Fondali di Capo Cozzo-S. Irene», IT9340092 «Fondali di Pizzo Calabro», IT9340093 «Fondali di Capo Vaticano»;
   dall'esame della vicenda è facile comprendere che l'intervento in argomento potrebbe compromettere seriamente i livelli di tutela della conservazione biologica, con gravissime ricadute negative sulla conservazione degli habitat naturali e degli habitat delle specie, tutelati dalla direttiva comunitaria, presenti nei suindicati siti riconosciuti;
   non risulta agli interroganti siano state prese in considerazione dal nucleo di valutazione regionale le eventuali incidenze significative, singolarmente o congiuntamente, ad altri piani o progetti approvati o approvandi, ai fini degli effetti cumulativi, né risultano presi in considerazione quelli presumibilmente ricadenti sui SIC adiacenti, così come invece previsto ed imposto dal testo summenzionato al paragrafo 3, che dovrebbero necessariamente formare oggetto di un'opportuna valutazione dell'incidenza che si ha sul sito, tenendo conto degli obiettivi di conservazione del medesimo;
   alla luce delle conclusioni della valutazione dell'incidenza sul sito le autorità nazionali competenti danno il loro accordo su tale piano o progetto, quindi soltanto dopo aver avuto la certezza che esso non pregiudicherà l'integrità dei siti;
   dall’iter seguito dal comune proponente, nonché dalla regione valutante si evince chiaramente, ad avviso degli interroganti, come sia stata disattesa l'obbligatoria valutazione d'incidenza ambientale, secondo i criteri dettati dall'articolo 6 della direttiva «Habitat»;
   come ben chiarito nelle linee guida «La gestione dei siti della rete Natura 2000 – Guida all'interpretazione dell'articolo 6 della direttiva Habitat», elaborate dalla Commissione ambiente della Unione europea, i paragrafi 3 e 4 dell'articolo 6 della «direttiva Habitat» impongono ai valutatori di esporre la motivazione nel rilascio del proprio parere sulla base dell'assunzione di informazioni relative all'ambiente;
   se dalla valutazione di merito non risulta la base motivata per la conseguente decisione, questa non soddisfa lo scopo della direttiva e non può essere considerata opportuna;
   si profila nel caso di specie, ad avviso degli interroganti, una palese violazione, laddove nel parere di valutazione autorizzativo non viene fatto alcun riferimento al rilascio del parere motivato di valutazione d'incidenza, benché lo stesso debba essere rilasciato prodromicamente rispetto a qualsivoglia valutazione, autorizzazione, nullaosta e parere;
   emerge, per quanto dianzi rappresentato, un pericolo imminente dettato dalla realizzazione del progetto de quo, individuato nel probabile mancato raggiungimento dello scopo della direttiva «Habitat» come individuato nell'articolo 2 e consistente nel «salvaguardare la biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali, nonché della flora e della fauna selvatiche nel territorio europeo degli Stati membri al quale si applica il trattato»;
   per le zone speciali di conservazione, gli Stati membri stabiliscono le misure di conservazione necessarie che implicano, all'occorrenza, appropriati piani di gestione specifici o integrati ad altri piani di sviluppo e le opportune misure regolamentari, amministrative o contrattuali che siano conformi alle esigenze ecologiche dei tipi di habitat naturali di cui all'allegato I e delle specie di cui all'allegato II presenti nei siti;
   non risulta, per converso, che il SIC interessato direttamente e quelli contigui abbiano ottenuto la necessaria tutela attraverso l'approvazione dei piani di gestione, né che siano state istituite zone di conservazione speciale entro i sei anni dall'istituzione dei SIC;
   a questo ultimo riguardo, si evidenzia quella di cui agli interroganti appare una grave violazione dell'obbligo comunitario;
   nel paragrafo 2 del medesimo articolo, stabilisce la direttiva che «gli Stati membri adottano le opportune misure per evitare nelle zone speciali di conservazione il degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie, nonché la perturbazione delle specie per cui le zone sono state designate, nella misura in cui tale perturbazione potrebbe avere conseguenze significative per quanto riguarda gli obiettivi della presente direttiva»;
   nonostante quanto sopra esposto, a seguito del rilascio del parere di VIA il progetto esecutivo è stato riformulato sulla scorta delle prescrizioni imposte dagli enti interessati, seguito da un verbale di validazione redatto dai tecnici incaricati, dal responsabile unico e dal funzionario responsabile dell'area amministrativa di competenza del comune di Tropea, sì che il 31 gennaio 2013 la giunta comunale di Tropea (Vibo Valentia) ha deliberato di riapprovare il progetto esecutivo relativo ai lavori più sopra indicati, già avviati;
   la mancata applicazione della procedura di valutazione di incidenza può comportare l'apertura di procedure di infrazione a carico degli Stati membri e, per il principio di sussidiarietà, delle singole amministrazioni regionali che violino o disapplichino le norme di diritto comunitario, così come il mancato rispetto delle norme comunitarie fa venire meno il diritto di percepire fondi strutturali –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere affinché vengano tempestivamente adottate tutte le misure necessarie a garantire il rispetto della normativa comunitaria in tema di valutazione d'incidenza in ordine alla conservazione dei siti d'interesse comunitario individuati dalla direttiva 43/92/CEE «Habitat – Rete Natura 2000» e identificati come IT9340091 «Zona costiera fra Briatico e Nicotera», IT9340094 «Fondali di Capo Cozzo-S. Irene», IT9340092 «Fondali di Pizzo Calabro», IT9340093 «Fondali di Capo Vaticano», minacciati dalla realizzazione del progetto proposto dal comune di Tropea, a quanto consta agli interroganti privo di valutazione d'incidenza in palese contrasto con le disposizioni contenute nell'articolo 6 della direttiva 92/43/CEE, anche al fine di scongiurare un evidente pericolo di apertura di un'ulteriore procedura d'infrazione nei confronti dell'Italia;
   quali iniziative di competenza intenda altresì intraprendere al fine di garantire uno stato di conservazione soddisfacente dei tipi di habitat naturale e di specie presenti nei suindicati siti e scongiurare, così, il rischio che siano colpiti da degrado dell'habitat e perturbazione delle specie, nonché per assicurare il riconoscimento delle zone di conservazione speciale in quell'area. (4-04290)


   BURTONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nella giornata del 31 marzo 2014 sono stati rinvenuti in territorio di Pomarico tre cadaveri di lupi, un esemplare maschio adulto e due femmine;
   quasi sicuramente i tre animali sono stati avvelenati in un luogo diverso e poi portati nel luogo del loro ritrovamento;
   la presenza del lupo in Italia ha toccato il suo punto più basso agli inizi degli anni settanta. Una stima indicava che la popolazione si era ridotta a un centinaio di lupi, concentrati sui monti dell'Abruzzo e dell'appennino meridionale;
   attualmente anche attraverso lo strumento delle leggi di protezione, il numero dei lupi è lentamente cresciuto e stime recenti lo calcolano in circa 600-700 esemplari;
   la sua presenza riveste, infatti, un significativo ruolo nell'ambito dell'ecosistema e della biodiversità;
   occorre porre in essere importanti iniziative di contrasto di questi fenomeni anche attraverso un miglioramento della regolamentazione degli indennizzi dei danni provocati dalla fauna protetta nonché attraverso una nuova politica di relazioni con istituzioni e operatori locali, compresi allevatori e agricoltori;
   la perdita di tre esemplari di lupo è un gravissimo episodio che avviene in un comprensorio come quello della collina materana a cavallo di Bradano e Basento e a poca distanza da un'oasi naturalistica WWF quale quella della Diga di san Giuliano –:
   se il Governo sia a conoscenza del grave fatto, criminale, compiuto ai danni di preziosi esemplari di fauna protetta, se non ritenga altresì opportuno, per quanto di competenza e per il tramite del Corpo forestale dello Stato e del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente anche al fine di istituire un coordinamento operativo, mettere in campo azioni concrete per coadiuvare, nel rispetto delle competenze della magistratura, le indagini in corso per trovare al più presto i responsabili del gesto e se, infine, non intenda rafforzare le misure di controllo nell'ambito del comprensorio in questione.
(4-04298)


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dal Quotidiano della Calabria del 23 marzo 2014 nel comune di Stalettì – in località Renzo Vecchio –, a pochi passi dal mare, nel mezzo di un paradiso naturale, starebbe in atto il progetto della costruzione di un parco eolico;
   Stalettì è un comune di 2.467 abitanti della provincia di Catanzaro, dove sorge la nota località turistica di Copanello ed è situato sul golfo di Squillace e vanta un panorama che abbraccia una visuale che va da Crotone a punta Stilo;
   le principali fonti di ricchezza di quel territorio sono costituite dall'agricoltura e dal turismo, settori strategici per l'economia del territorio. Secondo le notizie riportate dalla stampa locale l'eventuale realizzazione del parco prevede un impianto di potenza nominale di 850W;
   se così fosse, questo si ripercuoterebbe anzitutto sull'aspetto del paesaggio naturale di quell'area e distruggerebbe il valore paesaggistico e panoramico, facendo venir meno la vocazione turistica e compromettendo irrimediabilmente l'integrità territoriale sia per l'impresa agricola, sia per quella turistica;
   queste notizie stanno generando forte preoccupazione sia tra i cittadini sia, in particolare, tra gli imprenditori agricoli e turistici del territorio che vedono fortemente messa a rischio la qualità e la redditività delle loro aziende;
   sarebbe opportuno verificare se la costruzione del parco eolico rispetti quanto sancito dalle linee guida inerenti alla realizzazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili;
   è assolutamente doveroso valutare tutte le problematiche che la costruzione di un parco eolico ubicato in quel territorio potrebbe creare attraverso le molteplici implicazioni, sia paesistiche ed ambientali sia di strategia energetica;
   lo sviluppo sostenibile, scelta politico-economica sostenuta da quasi tutti i cittadini di quel territorio, diventa una scelta irrinunciabile per dei comuni a forte vocazione turistica e agricola –:
   se il Governo sia a conoscenza dei gravi problemi ambientali, paesaggistici e delle forti ripercussioni che potrebbe avere questo parco eolico sull'agricoltura e sulle attività turistiche, che rappresentano le principali, se non uniche, attività a sostegno del reddito locale e, in particolare, se siano state rispettate le linee guida concernenti la realizzazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili. (4-04299)


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Longobucco in provincia di Cosenza con delibera n. 46 del 30 maggio 2012, ha approvato il progetto esecutivo dei lavori per la realizzazione nel rione Santa Croce di un cogeneratore a biomassa solida destinato a produrre energia termica ed elettrica per due edifici comunali adibiti ad attività didattico-culturale;
   il progetto è stato finanziato per 700.000,00 euro dal Ministero dello sviluppo economico, nell'ambito del POI «Energie Rinnovabili e Risparmio Energetico» – linea di attività 1.3 – ed a seguito dell’«Avviso pubblico per il finanziamento di progetti esemplari di produzione di energia da fonti rinnovabili su edifici pubblici»;
   l'individuazione di un cogeneratore a biomassa, a tecnologia avanzata, per la produzione di energia è scaturita dal fatto che il comune possiede una gran quantità di boschi e quindi dispone in abbondanza della risorsa costituita dagli scarti delle lavorazioni forestali e dai prodotti derivanti dalla pulizia del bosco;
   sulla scelta del sito, posto necessariamente nelle vicinanze degli edifici, sono stati sollevati una serie di dubbi sotto l'aspetto geologico;
   il sito prescelto risulta, secondo la «Carta inventario delle frane e delle relative aree a rischio dell'Autorità di Bacino regione Calabria» intercluso fra aree a rischio frana R2 ed R4, non è fra le aree a rischio frane contemplate nel PAI;
   il sindaco di Longobucco, Luigi Stasi, il 18 marzo 2014 in una nota del comune precisava che l'area su cui sorgerà l'impianto non è fra le aree a rischio frane contemplate nel PAI, seppur interclusa tra aree a rischio R2 ed R4, come tutto il Centro abitato, che le caratteristiche tecniche e dimensionali dell'impianto sono tali da non costituire nessun tipo di pericolo dal punto di vista geologico, né in fase di installazione, né in fase di esercizio; che la destinazione urbanistica dell'area è A1 (zona di ristrutturazione e risanamento integrativo) e che l'impianto di produzione di energia rientra nella fattispecie cosiddetta di edilizia libera e non implica l'incremento dei parametri urbanistici;
   poiché l'impianto viene realizzato su un massetto preesistente, quindi senza alcun movimento terra, l'essere ubicato in un'area compresa tra aree a rischio non può essere ritenuto «un pericolo diretto e reale» tale da costituire un ostacolo per la sua realizzazione ed il suo funzionamento;
   il Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) ha installato sul versante a monte ed opposto a quello dell'area interessata dal suddetto cogeneratore a biomasse, una serie di apparecchiature per monitorare i fenomeni franosi del terreno circostante;
   ai dubbi sotto l'aspetto geologico si è aggiunto l'allarmismo ingiustificato, scaturito dalla rinuncia, a sottoscrivere il contratto, da parte della ditta De Masi a cui era stata aggiudicata la gara, a causa – a suo dire – di presunte carenze progettuali tali da comprometterne il buon esito;
   in riferimento alla vicenda che ha visto la ditta prima aggiudicataria, rinunciare alla sottoscrizione del contratto, il Sindaco precisa che la stessa aveva partecipato alla gara con un ribasso del 27,698 per cento e per superare tale evidente difficoltà aveva proposto di ridimensionare rimpianto, riducendone notevolmente la potenza. Di fronte al diniego da parte del comune di accettare tale proposta, con nota n. 6669/12 l'impresa comunicava di non voler procedere alla sottoscrizione del contratto. In conseguenza di ciò con determinazione n. 469/12 veniva effettuata la revoca dell'aggiudicazione definitiva e l'incameramento della cauzione provvisoria, senza alcuna opposizione da parte dell'impresa. Sono evidenti le motivazioni che stanno alla base della rinuncia e che non hanno nulla a che vedere con le presunte irregolarità del progetto, di cui, l'impresa aveva preventivamente preso visione e accettato integralmente il contenuto;
   l'ENEA attraverso un suo tecnico ha fatto presente che gli impianti a combustione che si sono realizzati negli ultimi anni si attestavano a potenze medie dell'ordine del 10 megawatt elettrici con una richiesta di biomassa intorno ai 80-90.000 tonnellate annue. L'impianto proposto, invece, a Longobucco della taglia di 200 chilowatt elettrici che funzionerà sui 3-4000 ore, richiederà un quantitativo di biomassa di 1/100 (un centesimo) rispetto ai valori prima indicati, quindi biomasse facilmente reperibili in zona. La tecnologia utilizzata è una delle più avanzate in particolare per la qualità e la pulizia del gas; pertanto l'intervento in questione può essere realizzato anche in pieno centro abitato;
   i dubbi esposti e le forti pressioni stanno di fatto ritardando la realizzazione x dell'impianto. L'intera comunità di Longobucco e l'amministrazione comunale chiedono chiarezza sulla vicenda, affinché gli organi competenti si esprimano in maniera inequivocabile sull'intero progetto dissipando ogni possibile dubbio –:
   quali azioni di competenza il Ministro intenda esercitare al fine di chiarire ogni dubbio sulla vicenda in questione spiegando che l'impianto non presenta profili di pericolosità e di inquinamento dell'ambiente e del territorio e che può essere regolarmente realizzato così per come progettato e finanziato. (4-04313)


   DIENI, LOMBARDI, TONINELLI, COZZOLINO e DADONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   dal dialogo tra ’ndranghetisti intercettato dagli investigatori nell'aprile del 2008, nell'ambito dell'operazione «Saggezza», coordinata dalla direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, che ha portato all'arresto di 39 esponenti di spicco dei clan della Locride e dintorni, emergono chiare e inconfutabili prove dell'inquinamento da rifiuti tossici in Calabria e, in particolare, in Aspromonte («Ne hanno atterrati di questi cosi tossici qui nella montagna, che glieli hanno portati i «pianoti», che lì a Gioia Tauro dice che stanno scoppiando che Dio ce ne liberi»);
   nell'intercettazione, finora inedita, parlano il «capo corona» Vincenzo Melia, il suo consigliere Nicola Romano e, per interposta persona, un altro elemento dell'organizzazione criminale Nicola Nesci, i quali ricostruiscono per filo e per segno la storia dei rifiuti tossici interrati in Aspromonte e nella piana di Gioia Tauro negli anni ’70 («A Gioia Tauro dicono che sotto ogni albero d'ulivo c’è un bidone!») e dei loro effetti devastanti sulla popolazione («Perché qua è una distruzione di paesi, di famiglie... tutti con la leucemia»);
   ad Africo, un comune della Locride di 2.850 abitanti, negli ultimi 15 anni sono morte per tumore 180 persone, di cui più di 33 solo in via Matteotti (dove vivono 50 persone e 20 famiglie), e almeno un centinaio oggi combattono la malattia, a causa di un quantitativo di scorie tossiche, presumibilmente radioattive, che – secondo l'audizione del direttore dell'Aisi Giorgio Piccirillo, allegata alla relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta del 28 febbraio 2013 – sono state fatte scaricare nella zona dal boss Giuseppe Morabito, in cambio di una partita di armi;
   nel 1995, moriva in circostanze misteriose il capitano Natale De Grazia, che indagava sulle navi cariche di rifiuti tossici affondate nei mari calabresi, accertate nella suddetta relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta;
   nei giorni scorsi, il procuratore capo di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho, intervistato da Radio24, si è detto convinto che «ci sia un equivalente della Terra dei fuochi campana anche in Calabria»: «le mafie si sono arricchite sui rifiuti» e «varie sono le notizie sui rifiuti sversati intorno al territorio di Reggio Calabria»; «un'attività di contrasto su questo ancora non è stata compiuta», ma l'indagine che sta per essere avviata «dovrà spaziare a 360 gradi»; «Legambiente nel suo rapporto dipinge un quadro preoccupante. Ma mi chiedo – ha concluso il procuratore stesso –: come mai nulla è stato fatto visto che questo sversamento di rifiuti è avvenuto tanti anni fa?»;
   come recentemente denunciato dalla Cgil in un comunicato, nel quale invocava una visita in Calabria del Ministro dell'ambientò, «Il problema dei rifiuti pericolosi e tossici in Calabria è stato fino ad oggi fortemente sottovalutato e va invece affrontato con tempestività e trasparenza». «La Calabria, a conferma delle rivelazioni di Carmine Schiavone, sconta ritardi e superficialità su un tema di rilevanza fondamentale per la salute dei cittadini e per l'ambiente». «Dopo la manifestazione nazionale dell'ottobre 2009 ad Amantea», «pochi sono stati i segnali positivi e anzi da allora sembra essere calato quasi un velo di silenzio e rassegnazione»;
   un residente di Africo Antonio Pratticò ha da poco lanciato una petizione popolare per denunciare la grave situazione in cui versa il territorio, alla quale hanno aderito 1800 concittadini, e l'ha spedita alle istituzioni statali e calabresi e all'Asp;
   qualche mese fa, Carmine Schiavone, l'esattore dei casalesi, in un'intervista a RaiNews24, affermava: «Il sistema era unico, dalla Sicilia alla Campania. Anche in Calabria era lo stesso: non è che li rifiutassero i soldi. Che poteva importargli, a loro, se la gente moriva o non moriva? L'essenziale era il business», che – come accertato nell'audizione citata – coinvolgeva mafia, ’ndrangheta e sacra corona e confidava nel sostegno dello Stato; «fino al 1991, la zona del Sud, fino alle Puglie, era tutta infettata da rifiuti tossici provenienti da tutta Europa e non solo dall'Italia»;
   dal 2005, diversi pentiti, da Francesco Fonti a Antonino Lo Giudice, hanno confermato che, in Calabria, la ’ndrangheta ha, buttato rifiuti radioattivi sia in mare che in montagna, rivelando che tra i luoghi maggiormente a rischio vi sono il Cassanese (dove sono stati interrati per anni ferriti di zinco), la Marlane (dove si sospetta la presenza di fanghi tossici) e il fiume Oliva (che cela sostanze inquinanti), ma le loro deposizioni sono rimaste inspiegabilmente chiuse per 4 anni nei cassetti della direzione nazionale antimafia;
   nonostante tutto quanto detto e mentre continuano ad aumentare i casi di patologie oncologiche, in Calabria, Ministri, Governi nazionali e regionali, amministratori locali, Arpacal e buona parte della magistratura continuano a rassicurare la cittadinanza che non c’è nulla nelle montagne dell'Aspromonte e nel tirreno cosentino e che la mancata bonifica dell'ex Pertusola di Crotone è solo frutto di intoppi amministrativi ed economici e non incide sullo stato di salute dei cittadini;
   in questi anni sono morte decine di migliaia di vittime innocenti e altrettante si preparano a soffrire –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per la tutela della salute e del benessere dei cittadini e se il Governo intenda promuovere o favorire per quanto di competenza in concorso con gli enti territoriali competenti e con le forze sociali, del lavoro e dell'impresa, l'accertamento dei fatti e delle responsabilità e la bonifica delle acque e delle terre calabresi. (4-04314)


   GIULIETTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   si prende atto dell'ulteriore sospensione delle sanzioni, della proroga della tracciabilità cartacea e in particolare della prospettiva, annunciata dal Ministro interrogato di un decreto che escluda dal Sistri le imprese con meno di 10 dipendenti, che di fatto cancellerebbe l'assurda equiparazione dei rifiuti di un parrucchiere e di un piccolo commerciante con quelli di un'industria;
   questi provvedimenti sono la prova che si sta cominciando a comprendere l'inadeguatezza del sistema alle esigenze delle imprese e del Paese;
   il Sistri per il mondo della piccola e media impresa rappresenta l'emblema dello squilibrio burocratico del nostro Paese. Il sistema ha infatti dimostrato troppe criticità, che riguardano l'interoperabilità, i malfunzionamenti tecnici e tecnologici di dispositivi e sistema, la lentezza delle procedure, oltre a costi esorbitanti alle imprese –:
   se nei tempi che restano dall'entrata in vigore delle sanzioni, quali iniziative il Governo intenda assumere per sostituire al più presto il Sistri con un sistema di tracciabilità che risponda all'esigenza di una corretta gestione dei rifiuti, attraverso un modello che non gravi sulle aziende con ulteriori costi e procedure complesse ed ingestibili, provocando, a volte, rallentamenti per le stesse e, in alcuni casi, addirittura il blocco delle attività. (4-04317)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta scritta:


   GARAVINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   fra i compiti affidati alla Commissione per la cinematografia istituita presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MIBACT) e alle relative sottocommissioni e sezioni c’è quello di attribuire il riconoscimento dell'interesse culturale ad opere cinematografiche;
   il riconoscimento dell'interesse culturale a un'opera cinematografica consente alla produzione di ottenere sensibili sgravi fiscali;
   la Commissione può concedere finanziamenti alla realizzazione delle opere cinematografiche in preparazione riconosciute d'interesse culturale, attraverso contributi fino a un milione di euro per ciascun film;
   lo scorso anno hanno acquisito la qualifica di «film di interesse culturale» o quella di «film d'essai», cioè film di notevole valore artistico e culturale, opere di autori e registi di film commerciali, in alcuni casi anche di film di Natale, i cosiddetti «cinepanettoni»;
   ancora lo scorso anno, il criterio adottato per l'attribuzione del riconoscimento dell'interesse culturale, e dunque per concedere i finanziamenti e gli sgravi fiscali, ha premiato le grandi produzioni e gli autori già affermati, lasciando fuori quasi del tutto una serie di giovani autori apprezzati dalla critica, in competizione con progetti innovativi;
   così come riportato sul sito web del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, ai sensi dell'articolo 2 del decreto ministeriale 27 settembre 2004, i componenti della Commissione e delle relative sottocommissioni e sezioni devono essere «esperti altamente qualificati nei vari settori delle attività cinematografiche»;
   nella sottocommissione per il riconoscimento dell'interesse culturale – sezione opere prime e cortometraggi siedono interlocutori le cui competenze in materia di critica cinematografica sembrano essere all'interrogante del tutto opinabili;
   anche nella sottocommissione per il riconoscimento dell'interesse culturale – sezione lungometraggi, siedono referenti le cui competenze in materia di critica cinematografica sembrano all'interrogante essere del tutto opinabili. Inoltre, alcuni dei componenti si trovano in situazioni che appaiono all'interrogante di vistoso conflitto di interessi –:
   se ritenga opportuno il Ministro interrogato che all'interno di organi del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo incaricati di giudicare il valore artistico e culturale di opere cinematografiche e di concedere finanziamenti e sgravi fiscali corrispondenti al valore di diversi milioni di euro siedano persone che, contrariamente a quanto stabilito per decreto dello stesso Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, non posseggono i requisiti di esperti «altamente qualificati nei vari settori delle attività cinematografiche» oppure si trovino in posizioni di potenziale conflitto di interesse, lavorando essi per gruppi attivi nel campo della produzione cinematografica o ricoprendo funzioni dirigenziali in enti di Paesi stranieri;
   se non intenda il Ministro interrogato adottare adeguati provvedimenti per impedire che in futuro vengano nominate componenti della Commissione persone che non posseggano i requisiti di «esperti altamente qualificati nei vari settori delle attività cinematografiche» e che si trovino in posizione di potenziale conflitto di interesse, nonché per revocare gli attuali componenti che non rientrano nella suddetta categoria di «esperti altamente qualificati» o si trovino in posizione di potenziale conflitto di interesse. (4-04311)


   BONAFEDE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Fondazione del Teatro del maggio musicale fiorentino ha per soci fondatori lo Stato, la regione Toscana, il comune di Firenze ed è presieduta dal sindaco di Firenze;
   in data 21 maggio 2010 l'allora Sindaco di Firenze, Matteo Renzi, nomina con un forte mandato per il rilancio gestionale, economico ed artistico del Teatro la dottoressa Francesca Colombo;
   il 1o febbraio 2013, per far fronte ai gravi problemi di bilancio che la gestione del sovrintendente non è stata in grado di fronteggiare, con nomina del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, la Fondazione venne affidata al commissario straordinario, Francesco Bianchi, fratello di Alberto Bianchi, presidente della Fondazione «Big Bang», «think-tank» di riferimento politico dell'allora sindaco di Firenze, attuale Presidente del Consiglio;
   a tre mesi dal suo insediamento, il commissario straordinario, descriveva il maggio musicale fiorentino come «un malato grave, da codice rosso», paventando il rischio liquidazione dell'ente «nell'orizzonte delle soluzioni possibili»;
   con l'obiettivo di centrare il pareggio di bilancio, pena la chiusura, lo stesso commissario, all'assunzione del proprio incarico, sulla base di un bilancio che nel consuntivo 2012 presentava un deficit di 3 milioni di euro e nel preventivo 2013 sfiorava i 6 milioni – sullo sfondo di un disavanzo strutturale che si aggira attorno ai 35 milioni –, annunciò una serrata politica di «tagli» che avrebbero dovuto interessare tutti i comparti del personale in servizio presso la fondazione, dall'orchestra e dal coro fino al personale tecnico e amministrativo e alla dirigenza;
   stante le condizioni in cui versa la finanza locale e i vincoli posti dal patto di stabilità nonché dalla cronica esiguità del fondo unico per lo spettacolo a disposizione, l'obiettivo contabile del pareggio di bilancio potrà conseguirsi sulla base delle sole politiche manageriali interne all'ente;
   in base a quanto pubblicato sullo stesso sito web del maggio musicale fiorentino, nella sezione «amministrazione trasparente», si può agevolmente calcolare in oltre un milione di euro all'anno (lordi), la cifra erogata dalla fondazione per la retribuzione degli organi direttivi e collaborazioni relative ad una quindicina di unità tra dirigenti e collaboratori di vertice;
   nello specifico della voce connessa alle retribuzioni, si annotano: i 10.000 euro al mese conferiti al commissario straordinario dell'ente; i 130.000 euro annui al direttore generale – quest'ultimo ne percepiva 90.000 fino al maggio 2013, aumentati poi a 110.000 fino al 31 gennaio 2014 e quindi portati a 130.000 dal 1o febbraio 2014 –; i 90.000 euro annui al direttore finanza contabilità e bilancio – che da gennaio 2014 percepisce 90.000 euro all'anno, contro i 45.000 dell'anno precedente –; i 90.000 euro del capo del personale, – il quale fino al 30 novembre 2013 percepiva 55.000 euro annui; i 93.000 euro annui al maestro del coro e gli 82.000 euro annui per il direttore dell'allestimento scenico;
   nella prolungata congiuntura emergenziale economico-finanziaria che l'ente sta da tempo, con fatica, attraversando al personale dipendente è stato richiesto di rinunciare in parte ai propri stipendi – peraltro tra i più bassi d'Italia – contestualmente ad una maggiore flessibilità negli orari e nelle condizioni di lavoro, nonché di accettare, per molti di essi, un trasferimento verso altre realtà lavorative ad oggi non ancora definite;
   senza entrare nel merito né fare considerazioni circa la congruità o meno del valore economico che la direzione aziendale ha deciso di attribuire alle proprie figure apicali – a fronte della situazione economica descritta e delle mutate conseguenti condizioni lavorative cui sono e saranno sottoposti i dipendenti dell'ente – la stessa direzione del teatro ha ritenuto comunque opportuno accordare aumenti salariali per i propri vertici;
   il teatro ha potuto proseguire la propria programmazione per l'anno 2013 solo grazie ad un intervento straordinario, operato nel giugno 2013 da parte del Consiglio dei ministri, attraverso la delibera di un anticipo del Fus (fondo unitario per lo spettacolo) pari a 5,5 milioni di euro mediante il cosiddetto decreto «valore cultura»;
   il menzionato decreto vincolava l'anticipo del Fus per il 2014 alla presentazione di uno stringente piano industriale di risanamento in grado di garantire gli equilibri strutturali del bilancio, sia sotto il profilo patrimoniale che economico finanziario, sottoposto alla verifica, su proposta del commissario straordinario, da parte del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze –:
   come valutino, ai fini della congruenza degli impegni assunti dalla Fondazione del maggio musicale fiorentino al conferimento dell'anticipo di 5,5 milioni di euro del fondo unitario per lo spettacolo in favore di tale ente, la consistenza del trattamento economico che la direzione del Teatro assegna alle proprie figure apicali;
   se non ritengano coerenti con il quadro economico dell'ente descritto in premessa, gli aumenti stipendiali recentemente conferiti dalla direzione del teatro agli stessi vertici della fondazione;
   se non ritengano opportuno, ai fini della promozione di una maggiore trasparenza e professionalizzazione nell'ambito della gestione delle fondazioni lirico-sinfoniche, la possibilità di ricorrere a pubbliche selezioni, anche di tipo concorsuale, per la selezione dei sovrintendenti e delle dette figure apicali. (4-04324)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   varie associazioni dei consumatori, tra cui Altroconsumo e Unione Nazionale Consumatori, hanno inviato esposti all'Autorità antitrust nei confronti di quello che l'ABI ha definito un «passaggio epocale» con il pensionamento del vecchio sistema RID – il servizio con cui i correntisti autorizzavano la propria banca ad accettare gli ordini di addebito provenienti da un creditore, come nel caso delle domiciliazioni bancarie delle bollette domestiche o telefoniche per uno standard europeo di pagamenti denominato SEPA (single euro payments area) fortemente voluto da Bruxelles per armonizzare gli standard tecnologici di bonifici e addebiti nei 28 paesi europei più Svizzera, Norvegia, San Marino, Islanda, Liechtenstein, e Monaco;
   le intenzioni europee pur essendo giuste si sono purtroppo tradotte in disservizi per gli utenti delle banche con inconvenienti spiacevoli con le aziende creditrici aggravate dal fatto che spesso l'accreditamento automatico non viene controllato –:
   se non si ritenga utile, per quanto di competenza, approfondire la vicenda onde garantire trasparenza ed efficienza del sistema nuovo delle domiciliazioni del servizio bancario e assicurare la tutela degli utenti. (4-04294)


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 19 maggio 2012, davanti all'istituto professionale statale per i servizi sociali, turismo e moda denominato Morvillo-Falcone di Brindisi venne fatto scoppiare un ordigno dinamitardo ad opera di Giovanni Vantaggiato. Nell'attentato perse la vita la studentessa di sedici anni Melissa Bassi e rimasero ferite nove persone;
   l'assicurazione stipulata della scuola coprendo solo i «danni funzionali», non riconobbe i segni permanenti che alcune ragazze della scuola Morvillo-Falcone subirono a seguito dell'esplosione, ritenendoli «danni estetici» e quindi negò loro il risarcimento. Nei mesi successivi però, la stessa assicurazione mise a disposizione una somma rilevante a sostegno delle visite mediche specialistiche e interventi di chirurgia plastica necessari a ridurre il più possibile i segni delle ustioni;
   l'amministrazione regionale pugliese, all'epoca dei fatti, aveva dichiarato che avrebbe chiesto alla procura la lista completa delle parti offese, al fine di sostenere le famiglie nelle costose spese mediche delle ragazze ferite. Stanziò poi 200 mila euro per le cinque ragazze che avevano riportato i danni più gravi;
   i beni dell'attentatore, Giovanni Vantaggiato, del valore complessivo di 2 milioni e 500 mila euro circa, finirono sotto sequestro. Successivamente i beni furono confiscati dallo Stato, anche al fine di consentire alle ragazze ferite di potersi rivalere con certezza sull'attentatore. A ciascuna delle cinque ragazze gravemente ferite, la corte d'assise riconobbe il risarcimento provvisionale di 200 mila euro;
   allo stato attuale, risulta che il Ministero dell'interno ed Equitalia si siano impossessati di tutti i beni confiscati e che le provvisionali riconosciute sono, di fatto, bloccate proprio dallo Stato –:
   come si intenda intervenire in questa dolorosa vicenda. (4-04319)


   LODOLINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   è iniziato lunedì 31 marzo, lo stato di agitazione proclamato dai lavoratori della SeBa, società di servizi bancari di Jesi, ex controllata di Banca Marche;
   tutti i contratti che BM aveva garantito fino al 2016 e che costituiscono il 90 per cento del lavoro in SeBa sono stati cancellati il 24 marzo nonostante gli impegni assunti dall'istituto di crediti nel 2011 quando assieme a Carilo, Carifac (oggi Veneto Banca) e Carifermo ha deciso di vendere la società alla KGS di Pesaro (proprietaria anche di Seda);
   al momento della vendita le banche venditrici hanno concluso un accordo con la proprietà acquirente e con i sindacati in cui si impegnavano ad adeguare le tariffe dei servizi alle rivalutazioni Istat e a integrare i contratti di servizio al fine di mantenere un budget aziendale che ne garantisse la piena occupazione. Ma dal 2012 Carifac ha dismesso tutti i servizi con SeBa pagando una minima penale a fronte di un mancato introiti che garantiva lavori;
   a oggi il 95 per cento del fatturato di SeBa è dato da Banca Marche. Da due anni BM ha richiesto ulteriori sconti minacciando la rescissione dei contratti;
   questa situazione ha pesantemente messo a rischio la liquidità dell'azienda;
   Banca Marche, cassa di Risparmio di Loreto e Fermo, hanno deciso di rescindere importanti contratti sferrando un duro colpo ai lavoratori, collocando 26 famiglie sull'orlo del licenziamenti;
   nel febbraio del 1994 viene creata la SeBa Servizi Bancari Spa, con il compito di gestire le attività prevalentemente bancarie di portafoglio;
   la compagine sociale della SeBa era così delineata:
    CR JESI 11 per cento;
    CR PESARO 11 per cento;
    CR FABRIANO 11 per cento;
    CR FANO 11 per cento;
    CR FERMO 11 per cento;
    CR MACERATA 11 per cento;
    CR LORETO 11 per cento;
    CR ASCOLI 6 per cento;
    IPACRI 11 per cento;
    SEDA 5 per cento;
    MEDIOCREDITO 1 per cento;
   da rilevare la presenza nel capitale sociale di un'azienda esterna alle banche (IPACRI – istituto di automazione per le casse di risparmio);
   nel corso degli anni abbiamo assistito al progressivo ed inesorabile «abbandono» da parte di alcuni Istituti di Credito soci e al loro disimpegno sia in termini di conferimento di lavoro sia per quanto riguarda la cessione di quote sociali; a questo si affiancava la volontà da parte delle banche rimanenti di rilevare le quote in vendita affinché il capitale rimanesse totalmente bancario;
   nel 2001 – 2002 si cominciò a pensare ad una soluzione che potesse salvaguardare i lavoratori e si arrivò così al 29 gennaio 2003 quando dopo mesi di trattative si giunse alla firma di un accordo tra le organizzazioni sindacali e le banche proprietarie che prevedeva la volontà ad esaminare l'eventuale riassorbimento all'interno delle Banche stesse dei lavoratori di SeBa spa Accordo in seguito totalmente rigettato dalle banche stesse a causa del repentino cambiamento dei vertici di Banca Marche e C.R. Fabriano. Già nel gennaio 2003 le segreterie regionali di Fabi Cisl, Fisac Cgil, Uilca, in un apposito incontro con ma quasi totalità della proprietà SeBa spa (Banca Marche, Carilo, Carifac, Carisap, Carifermo, Seda) prendevano atto che le condizioni di mercato portavano a considerare esaurita anche sotto l'aspetto strategico l'esperienza imprenditoriale e commerciale della predetta SeBa e conseguentemente ne ponevano in primo piano l'ipotesi della liquidazione volontaria con salvaguardia aspetti occupazionali, tramite possibile riassorbimento del personale (37 unità) nelle aziende proprietarie, previo espletamento di tutti gli strumenti contrattuali all'epoca esistenti. In corso d'opera il cambio degli amministratori di Banca Marche e Carifac (che da sole o trapelavano l'84 per cento del capitale sociale) portò a un incontro successivi in ABI dove di decise di soprassedere momentaneamente alla liquidazione della società, venendo incontri a una richiesta di dette aziende basata su un piano di rilancio delle attività della SeBa;
   in data 8 marzo 2011 la Banca delle Marche spa – con specifico comunicato stampa – precisava di essere l'unica Banca della regione che continua a sostenere la propria partecipata, a cui commissiona quelle attività che fino ad oggi hanno assicurato a quest'ultima ricavi, occupazione ed il conseguente mantenimento, a favore dei dipendenti, del Contratto Collettivo Nazionale di lavoro del comparto «Credito»:
   l'attenzione di Banca Marche verso SeBa e verso il tipo di contratto occupazionale in essa vigente, è stata ed è centrale rispetto alle pure logiche del mercato e ciò sia in rapporto agli utili, sia in rapporto ai costi della fornitura; infatti la stessa Banca ha sempre ritenuto di valutare, per il futuro dell'Azienda partecipata, quelle soluzioni che consentano di rilanciarne le sorti e di consolidarne – in modo durevole e sostenibile – il ruolo sul territorio;
   questa scelta è stata ribadita il 3 marzo 2011 dal consiglio di amministrazione di Banca Marche che ha unanimemente confermato la volontà di perseguire una strategia la quale, (ferma la presenza nel capitale della SeBa degli attuali soci bancari), consenta l'ingresso come azionista di controllo di un'azienda leader nel settore del facility management;
   il nuovo socio di maggioranza dovrà:
    a) garantire alla SeBa un ruolo significativo all'interno di un piano di sviluppo, onde farne un polo per l'esercizio di tutte le attività del gruppo nell'Italia centro-meridionale;
    b) conferire un significativo apporto di liquidità alle casse sociali della SeBa;
    c) mantenere la forza lavoro oggi impiegata nella SeBa, con applicazione ai suoi dipendenti del CCNL del Credito;
    d) creare le condizioni affinché le Banche socie possano affidare alla «nuova» SeBa, a condizioni più competitive delle attuali, quei contratti di «facility management» oggi affidati in outsourcing»;
   nel corso degli anni, pur a fronte di trasformazioni societarie da parte degli Istituti di credito soci, disdetta di appalti, e altro, la proprietà è sempre rimasta totalmente bancaria;
   nel biennio 2009 – 2010 iniziano i veri problemi. La SeBa entra in crisi per la fisiologica riduzione dei volumi cartacei (assegni, effetti) e per l'abbandono di alcune banche clienti. Inoltre due delle più grosse banche socie e fornitrici di una grossa fetta di servizi (CARIFAC E CARIFERMO) tolgono la quasi totalità degli appalti concessi;
   si inizia parlare concretamente di «vendere» la società a soggetti terzi rispetto all'ambito bancario e, per agevolare questo passaggio, la governance di Banca delle Marche nomina un suo «liquidatore» che ha il compito di trovare un compratore per la società, il signor Claudio Dell'Aquila (ex vice-direttore generale di Banca Marche). Nei primi mesi del 2010 la Seda. Viene venduta ad un consorzio marchigiano che niente ha a che vedere con il mondo bancario;
   nella primavera del 2011 viene definito il seguente assetto societario:
    Banca Marche 35,926 per cento;
    Carilo 11,623 per cento;
    Carifac 32,756 per cento;
    Carifermo 11,623 per cento;
    Seda 7,396 per cento;
    Carisap 0,676 per cento;
   la SeBa viene coinvolta nella vendita al consorzio stabile KGS di Pesaro, con il simultaneo disimpegno da parte degli istituti di credito, proprietari tramite la vendita totale del pacchetto azionario in loro possesso;
   tale vendita, prefigura la ricollocazione di 9 dipendenti all'interno delle banche ex proprietarie e senza nessuna garanzia per gli ulteriori 26 dipendenti rimasti in SeBa. La proprietà bancaria inoltre, non ha previsto garanzie per i restanti dipendenti, garanzie che dovevano essere date quantomeno per mantenere una equità di trattamento tra tutti i dipendenti;
   gli accordi tra le banche socie e l'acquirente, sono stati disattesi e l'unico segnale certo è stato il riassorbimento nelle banche ex-socie di solo 9, dipendenti, non sufficiente a garantire la sopravvivenza della società;
   l'accordo che prevede, da parte delle banche socie, il mantenimento fino al 31 dicembre 2016 dei contratti in essere non è stato mantenuto, infatti nel corso del 2013 la Carifac (Veneto Banca) ha pressoché smobilizzato le sue attività presso la SeBa pagando una penale di 96.000 euro a fronte di un fatturato di diverse centinaia di migliaia di euro;
   inoltre la vendita nel 2012 da parte della nuova proprietà, degli immobili di SeBa non consente più il normale accesso al credito tramite operazioni finanziarie –:
   se siano a conoscenza di quanto descritto in premessa;
   quali iniziative intendano assumere in relazione alla vertenza, con particolare riferimento ai 26 lavoratori che sono rimasti senza alcun tipo di garanzia.
(4-04320)


   AGOSTINELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'ANAS è una società pubblica, interamente partecipata dallo Stato, inserita dall'ISTAT nell'elenco delle pubbliche amministrazioni rientranti nel bilancio consolidato dello Stato e, in quanto tale, obbligata al rispetto dei vincoli previsti dalla spending review anche in tema di contenimento della spesa pubblica;
   i resoconti della Corte dei conti al Parlamento, riguardanti la gestione finanziaria dell'ANAS degli ultimi esercizi finanziari, auspicano la piena realizzazione dell'avvocatura interna «...in un ottica fondata sulla rigorosa applicazione, nella gestione aziendale, dei principi di economicità e oculatezza quali sono insiti nelle più recenti disposizioni legislative, e particolarmente nelle leggi finanziarie connotate da una decisa spinta verso il massimo contenimento della spesa pubblica»;
   il presidente di ANAS, dottor Pietro Ciucci, in data 8 novembre 2012 ha approvato il nuovo regolamento sull'elenco speciale avvocati dell'ANAS (pubblicato in data 15 novembre 2012 sul portale istituzionale) nel quale vengono disciplinate le modalità di utilizzo del patrocinio dei legali interni che prestano servizio presso la condirezione generale legale e patrimonio e gli uffici territoriali di ANAS iscritti nell'elenco speciale annesso agli albi ordinari degli avvocati, nonché il compenso lordo aggiuntivo da riconoscersi per tali attività;
   in base all'articolo 5 del predetto regolamento, il compenso aggiuntivo annuo riconosciuto ai funzionari/dirigenti ANAS iscritti nell'elenco speciale per lo svolgimento di tali attività viene calcolato con l'applicazione di aliquote marginali per i singoli scaglioni, in funzione del valore della singola controversia;
   in base all'articolo 13 dello stesso regolamento l'ANAS, oltre al suddetto compenso aggiuntivo, rimborsa le spese sostenute dai propri funzionari e o dirigenti, le spese di iscrizione iniziale o di trasferimento nell'elenco speciale degli avvocati ANAS, nonché il contributo annuale per il mantenimento dell'iscrizione e ogni altra spesa imposta dalla legge per poter patrocinare in favore della stessa ANAS;
   infine, in base all'articolo 15 del Regolamento, l'ANAS provvede a stipulare idonea copertura assicurativa per la responsabilità professionale dei propri funzionari/dirigenti, adeguata all'attività svolta e relativa ai danni che possono essere provocati nell'espletamento degli incarichi difensivi conferiti;
   considerata altresì la rilevante mole di contenziosi pendenti, che vedono l'ANAS coinvolta nella realizzazione degli investimenti finanziati dallo Stato, per l'espletamento di tali incarichi, i funzionari/dirigenti iscritti nell'elenco speciale degli avvocati ANAS non possono essere fisicamente presenti durante il normale orario di ufficio nella propria sede operativa –:
   a quanto risulta all'interrogante le retribuzioni annuali dei funzionari/dirigenti iscritti nell'Elenco speciale degli avvocati ANAS, a causa dello svolgimento delle attività previste dal regolamento, sarebbero aumentate in maniera estremamente significativa rispetto alla retribuzione base contrattualmente prevista, quest'ultima percepita di fatto senza che i suddetti funzionari/dirigenti prestino in modo costante le mansioni di istituto per le quali sono stati assunti;
   tale circostanza, oltre a comportare, ad avviso degli interroganti, un rilevante danno erariale, rappresenterebbe un escamotage per aggirare le stringenti norme di contenimento della spesa pubblica ed, in particolare, le norme in materia di blocco degli aumenti retributivi, richiamate anche dalla Corte dei conti nelle relazioni al Parlamento sul controllo dell'ANAS –:
   se siano a conoscenza di quanto affermato in premessa;
   se siano a conoscenza delle motivazioni per le quali l'ANAS non si avvale dell'ausilio dell'Avvocatura generale dello Stato o di avvocati del libero foro, da individuare con procedure trasparenti, che potrebbero svolgere il medesimo compito anche con costi inferiori a quelli attribuiti dall'ANAS ai propri dirigenti e o funzionari, senza il ricorso a procedure competitive;
   se e quali provvedimenti intendano assumere, qualora venissero accertate le supposte irregolarità che, di fatto, avrebbero comportato un ingiustificato uso di denaro pubblico, tanto più grave ed ingiustificato in considerazione della drammatica situazione sociale che il Paese sta attraversando;
   se risulti che i compensi dei funzionari/dirigenti iscritti nell'Elenco speciale degli avvocati Anas siano aumentati in maniera estremamente significative a causa dello svolgimento delle attività previste dal Regolamento e a quanto ammontino questi compensi. (4-04321)


   MAGORNO, COVELLO, BRUNO BOSSIO, CENSORE, BATTAGLIA, OLIVERIO, STUMPO e D'ATTORRE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo UBI-Carime, nell'ambito del proprio piano industriale, ha scelto di chiudere lo sportello avente sede nel comune di San Ferdinando (RC);
   la chiusura di sportelli bancari è un fenomeno a livello nazionale, ma l'incidenza sul Mezzogiorno di tali processi assume una dirompenza sociale ed economica molto rilevante, determinando, inevitabilmente, conseguenze negative per la qualità della vita;
   la suddetta decisione penalizza e impoverisce ulteriormente un comprensorio, dove esiste una realtà economica consolidata, composta da piccole e medie imprese che operano prevalentemente nel settore dei trasporti e dello shipping;
   il gruppo Carime ha operato una scelta che va ad ostacolare lo sviluppo del territorio;
   soprattutto fa riflettere il dato che ciò avvenga in una zona ad alta densità mafiosa, teatro di gravi atti delinquenziali come il recente incendio di un auto compattatore, ad opera della ’ndrangheta, avvenuto in pieno centro abitato e che ha costretto l'impresa, incaricata della raccolta dei rifiuti, ad abbandonare il servizio;
   di fronte ad una realtà così complessa, UBI-Carime non può far finta di niente e «fuggire», offrendo terreno fertile alla ’ndrangheta, mentre dovrebbe avvertire il dovere di restare per dare un chiaro segnale di contrasto al dilagante proliferare di attività illegali e infiltrazioni malavitose che minano la democrazia, le istituzioni e lo sviluppo della città;
   la chiusura dello sportello bancario di San Ferdinando rischia di indebolire il tessuto sano della comunità e di accentuare gli aspetti patologici della crisi economica rafforzando il potere della illegalità;
   si sa che il sistema bancario è interessato da una riorganizzazione che riguarda tutti i gruppi industriali del credito ma in un territorio come quello indicato e in tutto il Mezzogiorno dove il costo del danaro è già più alto d'Italia e dove più forte è la contrazione del credito tali gruppi non devono perdere la loro capillarità;
   qui, più che altrove, occorre non tagliare ma potenziare i servizi bancari indispensabili per favorire la crescita, non venendo meno non solo alla propria funzione economica e finanziaria ma anche ad una fondamentale funzione sociale;
   la Calabria ha bisogno di credibilità e di essere valutata per le potenzialità che può esprimere e non unicamente ed esclusivamente «a numeri» che non daranno mai le ragioni di un territorio, e soprattutto anche gli istituti di credito devono saper coniugare la propria strategia industriale con l'interesse pubblico –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto su esposto e quali iniziative urgenti, nell'ambito delle proprie competenze, intendano assumere, considerata la situazione particolarmente negativa in cui versa il tessuto economico, sociale e culturale del territorio. (4-04325)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta orale:


   MELILLA. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   per la seconda volta il Governo ha rinviato la chiusura dei sei ospedali psichiatrici giudiziari, meglio conosciuti come manicomi criminali, in cui sono trattenute oltre 1.000 persone incapaci di intendere e volere che hanno violato il codice penale;
   il motivo di questo rinvio è il ritardo colpevole delle regioni che non hanno predisposto misure alternative per la presa in carico da parte dei dipartimenti di salute mentale delle persone trattenute negli ospedali psichiatrici giudiziari;
   ai più alti livelli istituzionali si sono più volte richiamati i soggetti e gli organi preposti a superare la realtà incivile degli ospedali psichiatrici giudiziari a distanza peraltro di decenni dalla riforma psichiatrica di Basaglia al fine di rispettare la dignità di persone malate e deboli;
   molte sono state negli ultimi anni le inchieste giornalistiche e anche penali che hanno svelato una realtà intollerabile di violazione della dignità umana delle persone negli ospedali psichiatrici giudiziari –:
   quali iniziative si intendano assumere per rendere effettivo il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari quale sia lo stato delle iniziative sinora assunte nelle varie regioni e se non si ritenga necessario assumere iniziative ai sensi dell'articolo 3-ter del decreto-legge n. 211 del 2011.
(3-00734)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GALATI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la situazione di grave emergenza nella quale versa il sistema penitenziario italiano, nei termini della inadeguatezza sistemica delle strutture di detenzione, del sovraffollamento carcerario e del cronico malfunzionamento del sistema è nota e constatata ed è già costata all'Italia una condanna da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo, con la recente Sentenza dell'8 gennaio 2013;
   in un simile contesto di generale emergenza per insufficienza strutturale e sistemica, perviene la notizia dell'avvio, in data 28 marzo 2014 con il coordinamento delle forze dell'ordine, delle operazioni di sgombero della casa circondariale di Lamezia Terme, con trasferimento dei detenuti ivi reclusi presso altri istituti carcerari; secondo quanto riportato dalla stampa, questa operazione rientrerebbe nell'ambito di un piano di riorganizzazione dei circuiti penitenziari regionali attualmente in atto;
   si riscontra preliminarmente che tale procedura, con riferimento alle modalità con le quali è stata avviata a Lamezia Terme, presenta forti criticità nei termini di trasparenza e di corretta informazione e cooperazione interistituzionale, stante la completa disinformazione lamentata dalle istituzioni regionali e locali sullo stato di avanzamento delle procedure di dismissione in atto; la notizia ha infatti colto di sorpresa le amministrazioni locali, come si può chiaramente evincere dalla inaugurazione, solo qualche giorno prima, di un progetto rivolto alla rieducazione e reinserimento dei condannati ivi destinati, denominato «Sportello lavoro», istituito proprio presso la medesima struttura;
   al di là delle criticità evidenziate, comunque considerate inconcepibili e contrarie ai principi di correttezza e leale cooperazione tra pubbliche amministrazioni, tale atto è considerato fortemente penalizzante per il territorio interessato, laddove una simile operazione si inserisce in un contesto normativo generale caratterizzato dalla carenza di una programmazione organica e dalla corrispondente mancata previsione, nell'ultimo decennio, di adeguati interventi legislativi e regolamentari diretti al supporto strutturale alle esigenze del sistema penitenziario, in una regione nella quale l'indice di densità criminale nelle attività illecite di una parte della popolazione è stimato al 27 per cento, a fronte del 12 per cento in Campania, del 10 per cento in Sicilia e del 2 per cento in Puglia;
   un atto che appare all'interrogante inaccettabile e che si inserisce in un generale trend dell'amministrazione centrale, caratterizzato da continui e lineari tagli registrati negli ultimi mesi, nel delicatissimo ed essenziale comparto della pubblica sicurezza in Calabria, con la costituzione di gravi e condivisi elementi di preoccupazione diffusi a tutti i livelli, dalla società civile agli amministratori locali –:
   quali siano le operazioni che il Ministro ritenga di poter avviare al fine di impedire il perfezionamento della procedura in atto, considerata pregiudizievole per i cittadini residenti sul territorio di riferimento. (4-04284)


   TOTARO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la rivista l'Espresso del 23 gennaio 2014 ha pubblicato un articolo dal titolo «Voi fallite noi rubiamo» che traeva spunto dalle dichiarazioni che il giudice Chiara Schettini, già magistrato del tribunale di Roma, sezione fallimentare, aveva reso ai sostituti procuratori della Repubblica di Roma, Rossi e Fava;
   è nota che la dottoressa Schettini è stata arrestata ed è tutt'ora inquisita dall'autorità giudiziaria di Perugia — competente ai sensi dell'articolo 11 del codice di procedura penale — per fatti connessi alle sue funzioni di magistrato della sezione fallimentare presso il tribunale di Roma;
   appare, pertanto, singolare che due magistrati della procura della Repubblica di Roma abbiano interrogato la collega su fatti oggetti di procedimento incardinato presso altra procura;
   al di là dell'ignoto contesto processuale nel quale sono state raccolte le dichiarazioni della dottoressa Schettini, appare fortemente inquietante che siano state divulgate illecitamente e pubblicate sul settimanale proprio alcune circostanze che riguardano l'ex Ministro Frattini;
   in merito, non è chiaro se la dottoressa Schettini abbia risposto a specifiche domande sull'argomento o se abbia autonomamente riferito le circostanze riportate, ma è certo che un personaggio che ha ricoperto incarichi di grande responsabilità, e che si appresta ad occuparne di altrettanto importanti (all'epoca era anche candidato alla Segreteria Generale della NATO) è stato coinvolto in una cupa storia di fallimenti pilotati (peraltro insieme ad altro giudice romano, Fausto Severini, anch'egli dello stesso distretto di corte d'appello degli inquirenti), di favori illeciti, di eventi, in buona sostanza, che appaiono all'interrogante riferiti al solo fine di creare discredito a Frattini ed elevare il livello d'attenzione sulle asserite rivelazioni della dottoressa Schettini;
   ancor più inquietante appare la circostanza che copia dell'interrogatorio reso a Roma sia giunta al giornalista che l'ha, poi, pubblicata evidenziando il presunto coinvolgimento di Frattini, mentre sarebbe stato il caso di valutare se l'atto fosse coperto dal segreto di indagine;
   la diffusione del documento di indagine di cui si discute lascia il dubbio che si sia inteso ordire un piano strumentale alla pubblicazione di notizie infamanti nei confronti di un noto uomo politico, seppure per finalità difficili da comprendere –:
   se sia informato dei fatti esposti in premessa, e come intenda intervenire, anche sul piano normativo, affinché sia impedita la pubblicazione sui giornali di atti ancora coperti da segreto processuale o investigativo. (4-04305)


   BONAFEDE e BUSINAROLO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in seguito alle forti piogge abbattutesi sulla Capitale negli ultimi giorni di gennaio 2014, secondo quanto si è potuto apprendere grazie ad un servizio del Tg1, dal titolo «Minori, carte sott'acqua» andato in onda in data 10 febbraio 2014, fra le molte aree della cittadella giudiziaria di Roma allagatesi, destano particolare preoccupazione e sconcerto le condizioni dell'archivio del tribunale dei minorenni all'interno del quale sono custoditi in maniera del tutto precaria circa 700 mila faldoni, per la maggior parte relativi ai casi di adozione;
   come ha evidenziato il citato servizio giornalistico, gli atti in cui sono indicate le origini biologiche ed anagrafiche degli adottati risultano parzialmente distrutti, riversi sul pavimento gli uni sugli altri senza alcun ordine protocollare, in balia delle frequenti infiltrazioni di pioggia, delle invasioni di roditori nonché di chiunque volesse accedere agli ambienti dell'archivio del tribunale, del tutto privo di efficienti controlli di sicurezza;
   la legge 4 maggio 1983, n.184, e successive modifiche, prevede che i figli adottati, una volta venticinquenni o, a seconda dei casi, raggiunta la maggiore età, possano fare richiesta per accedere agli atti contenenti le notizie sul proprio passato, le proprie origini, rispondendo così ad esigenze di carattere sia esistenziale che sanitario;
   nel particolare caso dei fascicoli archiviati presso il tribunale dei minori di Roma contenenti le informazioni relative alle adozioni, il c.d. «diritto alle origini» degli adottati – ribadito nella sua intangibilità anche della recente decisione della Corte costituzionale n.278 del 18 novembre 2013 – risulta gravemente compromesso financo negato, a causa dell'incuria nella gestione di quei documenti e delle carenze strutturali del tribunale;
   secondo quanto affermato dalla presidente del tribunale dei minorenni di Roma, la dott.ssa Melita Cavallo, il processo di trasferimento dei fascicoli presso la nuova destinazione dell'archivio, sita nel carcere minorile di Casal del Marmo (RM), sarebbe stato interrotto per via della presenza di roditori all'interno del tribunale, i quali avrebbero peraltro compromesso numerose pratiche –:
   se sia a conoscenza delle indecorose condizioni in cui versa l'archivio del tribunale dei minori della Capitale e quali iniziative intenda intraprendere al fine di garantire la piena funzionalità e la salubrità degli spazi in questione;
   quale sia la tempistica relativa al trasferimento dei fascicoli in questione presso i nuovi ambienti individuati nel penitenziario minorile di Casal del Marmo;
   se, ai fini della salvaguardia del «diritto alle origini» dei figli adottati, possa chiarire quante siano le pratiche custodite presso l'archivio del tribunale dei minori di Roma andate materialmente distrutte e se, in tali casi, esista o meno un alternativo sistema di classificazione di tipo informatico che abbia conservato delicate informazioni personali altrimenti irreparabilmente cancellate;
   se non ritenga di dover dar luogo ad un approfondito esame delle condizioni in cui versano gli analoghi documenti negli altri tribunali per i minorenni d'Italia.
(4-04308)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CRIVELLARI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   le Ferrovie dello Stato hanno assegnato in passato diversi caselli in disuso a capistazione, macchinisti, capitreno, in modo da poterne garantire la reperibilità fuori orario e gli assegnatari, nel corso degli anni, hanno trasformato queste strutture in abitazioni, ammodernando gli immobili a proprie spese e pagando i relativi affitti;
   Ferservizi spa, società che gestisce attualmente questo patrimonio, è un'azienda partecipata al 100 per cento da Ferrovie dello Stato Italiane: la società è stata originariamente costituita nel 1991 con la denominazione «Metropolis S.p.A.», con l'obiettivo di provvedere alla gestione del consistente patrimonio immobiliare del gruppo FS;
   la stessa Ferservizi sembrerebbe ora orientata ad estromettere gli assegnatari dagli ex caselli per ragioni di sicurezza: tali immobili, in base alle disposizioni vigenti, dovrebbero essere collocati ad una distanza di almeno 4,5 metri dai binari;
   a tale proposito risulta inoltre che diverse centinaia di famiglie, in varie regioni d'Italia, abbiano già ricevuto da Ferservizi nei mesi scorsi una raccomandata di disdetta, che indicava nella data del 31 dicembre 2013 il termine ultimo per lasciare le abitazioni;
   l'amministratore delegato di Ferservizi, Francesco Rossi, avrebbe già dichiarato di voler procedere alla demolizione delle abitazioni e alla vendita del diritto edificatorio;
   gli ex caselli abbattuti verrebbero ricostruiti poco più indietro, ma nemmeno la distanza di 4,5 metri garantirebbe la sicurezza in caso di incidente: la fascia di rispetto tra case e ferrovia dovrebbe essere di 30 metri ed è bene ricordare che anche sotto tale fascia sono sempre state concesse ampie deroghe;
   non è dunque chiaro se alla base della scelta di Ferservizi vi siano soltanto ragioni di sicurezza o piuttosto il tentativo di recuperare risorse mettendo in vendita le aree degli ex caselli;
   molte famiglie rischiano di perdere la casa dove dimorano da anni, con conseguenze facilmente immaginabili;
   l'accordo nazionale per il rinnovo del contratto di locazione degli immobili di proprietà di Rete ferroviaria italiana, stipulato nel 2008 con il Sunia, e la cui conclusione è prevista nel 2014, prevede poi che le Ferrovie debbano trovare una soluzione alternativa agli affittuari la cui casa è stata ripresa dall'ente nel perimetro delle abitazioni a disposizione;
   dopo diversi contatti intrattenuti dall'interrogante con le strutture territoriali (Uffici di Zona) e centrali di Ferservizi, non si è tuttavia riusciti in alcun modo ad avere una risposta certa rispetto al futuro di queste abitazioni e, conseguentemente, rispetto al futuro delle persone che attualmente vi risiedono –:
   se e come il Governo, alla luce dei fatti e delle segnalazioni di cui sopra, intenda farsi parte attiva per garantire la continuità abitativa dei caselli o come intenda provvedere, per quanto di propria competenza, all'emergenza abitativa che potrebbe generarsi. (5-02526)


   GIOVANNA SANNA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'ANAS in Sardegna (unica regione italiana senza autostrade) amministra e gestisce la rete stradale fondamentale dell'isola;
   l'estrema limitatezza della rete ferroviaria nella regione rende ancor più essenziale la funzionalità della rete viaria;
   mentre le altre regioni italiane hanno potuto beneficiare nel tempo di ingenti finanziamenti per le autostrade, la Sardegna ha scontato questa mancanza con una rete viaria mai completamente adeguata;
   la strada statale 131 «Carlo Felice» è la principale arteria stradale della Sardegna, tracciato è quello di una superstrada ad alta percorrenza ed è classificata per gran come strada extraurbana di seconda categoria, con limite massimo di velocità di 90 chilometri orari, ad esclusione del tratto tra Sanluri e Bauladu, cioè dal chilometro 44 al chilometro 109, che è classificato come extraurbana principale di categoria B con limite massimo di velocità di 110 chilometri orari;
   appare evidente come sia necessario poter classificare come il suddetto tratto l'intera strada statale 131, previa realizzazione degli indispensabili interventi di adeguamento;
   attualmente, sotto la gestione dell'ANAS, nella Carlo Felice sud sono in corso importanti lavori di ammodernamento, ma su alcuni di questi pesano disfunzioni e ritardi inaccettabili, talvolta di anni ed anni, resi tanto più gravi dalla assoluta carenza di informazioni e di spiegazioni da parte dei responsabili della stessa ANAS;
   alcuni cantieri sono così «eterni» da indurre gli utenti a contrastare l'apertura di un nuovo cantiere, che si tema possa probabilmente diventare «infinito», come quello all'altezza di Serrenti che è diventato oggetto di un'inchiesta giudiziaria;
   le condizioni peggiori si riscontrano attualmente nella tratta tra Bauladu e Macomer cioè dal chilometro 109 al chilometro 155, fine provincia di Nuoro, e dal chilometro 161 fino al chilometro 216 nella provincia di Sassari, in cui ancora devono essere eliminati gli incroci a raso, devono essere adeguate le sedi stradali con l'ampliamento della carreggiata deve essere, migliorato il piano altimetrico del tracciato e deve essere introdotta una pavimentazione drenante;
   alcuni tratti, come quello al chilometro 194 Florinas – Codrongianos, sono particolarmente pericolosi e ormai di continuo teatro di gravissimi incidenti stradali; in questo stesso tratto, che è rimasto per alcuni mesi chiuso al traffico per un movimento franoso, l'intervento ANAS è stato a giudizio dell'interrogante assolutamente carente e a tutt'oggi per la parte di competenza non concluso il problema è stato risolto temporaneamente solo grazie all'intervento diretto del comune interessato e della Regione;
   con l'ammodernamento della strada statale 131 si potrà intervenire anche sull'altro gravissimo problema che interessa ampi tratti della Carlo Felice, quello di vere e proprie discariche di rifiuti, anche pericolosi, ai bordi della strada;
   altra opera viaria di fondamentale importanza è la nuova Sassari-Olbia, per la quale si segnala la seguente situazione:
    con la nomina del commissario governativo contenuta nell'ordinanza della Presidenza del Consiglio dei ministri n. 3869 del 23 aprile 2010 è stata avviata la gestione commissariale per la realizzazione della strada statale n. 597/199 Sassari-Olbia;
    tale ordinanza è stata integrata dall'ordinanza n. 3895 del 20 agosto 2010;
    il commissario governativo ha affida all'ANAS, come soggetto attuatore, la realizzazione della strada con ampi compiti di organizzazione, studio e gestione degli appalti per una cifra di 558 milioni di euro (ai valori del 2005);
    questa cifra alla data del novembre 2012 era già diventata di 1.143 milioni di euro;
    con il 31 dicembre 2012 è cessata la gestione commissariale e l'ANAS è rimasta da sola a gestire la realizzazione della strada;
    alla data del marzo 2013 le cifre sembravano assestarsi a 930 milioni di euro;
   questa realizzazione rappresenta la maggiore opera in corso nella regione Sardegna, ed ha enormi conseguenze sul piano del miglioramento infrastrutturale, dell'impatto sul territorio e sull'occupazione, per cui è doveroso ed opportuno che i parlamentari sardi si occupino della «Sassari-Olbia» raccogliendo le opportune informazioni sullo stato di realizzazione dell'opera direttamente presso gli uffici responsabili dell'ANAS;
   l'ANAS è il gestore della rete stradale italiana di interesse nazionale, che essa è una società per azioni il cui socio unico è il Ministero dell'economia e delle finanze, ed è sottoposta al controllo ed alla vigilanza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti –:
   se l'ANAS, vigilata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nella sua azione in Sardegna intenda e sia effettivamente in grado di recuperare le carenze ormai storiche sopra evidenziate, per programmare e completare in tempi accettabili i lavori di ammodernamento e messa in sicurezza della strada statale 131 Carlo Felice;
   in caso di risposta affermativa, quali siano le azioni concrete e le modalità anche innovative che Ministero e ANAS intendono porre in essere per raggiungere tale obiettivo di maggiore efficienza, efficacia e trasparenza dell'attività dell'azienda nell'isola;
   se i lavori sulla Sassari-Olbia proseguano secondo il cronoprogramma o se abbiano subito ritardi e modifiche, e quali eventualmente ne siano le motivazioni;
   se il Ministro intenda dare disposizioni affinché l'ANAS sia in grado di assicurare un adeguato ed aggiornato flusso informativo nei confronti delle istituzioni e delle comunità interessate, sui lavori di adeguamento della strada statale 131 e sullo stato di attuazione dei lavori per la nuova Sassari-Olbia, con particolare riferimento ai progetti da realizzare, ai tempi previsti e ai tempi effettivi di completamento degli interventi programmati. (5-02531)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia è stata deferita alla Corte di giustizia per non avere recepito la normativa europea che stabilisce i diritti dei passeggeri del trasporto ferroviario;
   ogni Stato europeo doveva applicare quegli obblighi vincolanti a tutela dei passeggeri ferroviari entro il 3 dicembre 2009, ma i legislatori italiani si sono ben guardati dall'ottemperare, di qui ora il rischio concreto di una pesante ammenda finanziaria;
   l'Italia non ha sinora istituito un organismo ufficiale e autorizzato alla vigilanza sulla corretta applicazione del regolamento nel nostro Paese, né ha stabilito norme che sanzionino le violazioni della legislazione. Grazie a queste 2 gravi inadempienze, i passeggeri che viaggiano sui treni italiani non possono far rispettare i loro diritti in caso di problemi; 
   questo comportamento politico del Governo italiano autorizza le aziende ferroviarie ad un disimpegno verso la tutela dei diritti dei viaggiatori considerata la mancanza di disincentivi per chi non rispetta gli obblighi;
   la protezione dei passeggeri che viaggiano in Europa è una delle pietre miliari della politica dei trasporti dell'Unione europea su cui si qualifica anche il sistema concorrenziale nel sistema ferroviario europeo –:
   se non intenda in tempi rapidi assumere iniziative per ottemperare alla normativa europea in materia di diritti dei passeggeri ferroviari. (4-04283)


   MISIANI, GANDOLFI e GALPERTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in Italia il 70 per cento del soccorso sanitario è garantito dai volontari dell'Associazione nazionale pubbliche assistenze (ANPAS) e dalla Confederazione delle Misericordie d'Italia;
   la chiusura di molti presidi ospedalieri comporta un aumento della distanza tra utenti e ospedali e una crescente domanda di trasporto sanitario;
   è imminente la chiusura della convenzione di ANPAS e Misericordie con la società Autostrade per l'Italia per il rilascio gratuito di Telepass esenti per le ambulanze;
   la fine della convenzione complicherebbe notevolmente l'accesso al diritto all'esenzione del pedaggio autostradale per i mezzi delle associazioni di volontariato impegnati nell'emergenza;
   il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, informato alcuni mesi fa della questione e si era impegnato ad affrontare il problema del Telepass rapidamente. Da allora però la situazione non è mutata. –:
   quali iniziative intenda assumere per garantire alle associazioni di volontariato l'accesso gratuito alla rete della società Autostrade per l'Italia nell'espletamento del lavoro di trasporto sanitario;
   se non ritenga opportuno promuovere le necessarie modifiche del codice della strada in relazione alla normativa sull'esenzione del pedaggio autostradale dei mezzi impegnati nel servizio sanitario nonché su materie quali la portata delle ambulanze, la definizione dei veicoli speciali, l'introduzione della patente di servizio per gli autisti soccorritori, il trasporto di familiari sui mezzi di soccorso.
(4-04293)


   BONAFEDE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a seguito della crisi economica, il diritto alla mobilità garantito dalla Costituzione riveste un carattere sempre più importante, non più per motivi di svago ma per necessità di vita, in un periodo in cui tutti i servizi pubblici ai cittadini vengono ridotti;
   la linea ferroviaria Firenze-Roma (composta dalla linea lenta e dalla linea direttissima) è stata costruita come un sistema unico secondo il criterio dell'alta capacità (AC), e cioè quello di permettere la circolazione di tutti i tipi di treno (alta velocità, regionali, merci), fornendo i collegamenti necessari per consentirne il transito da una linea all'altra, garantendo in tal modo una grande flessibilità di utilizzo;
   l'attuazione di tale sistema integrato – completato nel 2003 dopo 20 anni di lavori ed un ingente impiego di capitali pubblici – ha comportato un maggiore costo infrastrutturale, proprio per garantire la percorribilità per tutti i treni con diverse caratteristiche;
   il sistema unico ad AC ha dato prova in venti anni di utilizzo di funzionare bene sia al fine di garantire il raggiungimento di alte velocità (250 km/h che con il 10 per cento di comporto previsto arriverebbe fino a 275 km/h), sia nell'ottica di poter servire il traffico dei treni regionali utilizzando anche tratti della linea più veloce;
   separare la linea direttissima dalla linea lenta porterebbe vantaggi al solo traffico ad alta velocità (AV) e danneggerebbe il traffico regionale, per il quale non potrebbe più essere utilizzata la linea veloce andando a congestionare ulteriormente la stazione di Firenze Santa Maria Novella;
   la gestione dei treni cambierebbe per ben tre volte: Bologna fino a Firenze Castello, poi Firenze per tutto il nodo metropolitano, per tornare nuovamente sotto la giurisdizione di Bologna da Firenze Campo Marte fino a Settebagni;
   per separare la linea direttissima dalla linea lenta si stanno spendendo risorse dedicate alla manutenzione, demolendo stazioni, posti di comunicazione e deviatoi ritenuti non più utili alla circolazione al solo scopo di impedire di fatto l'utilizzazione promiscua delle due linee (cioè non per potenziare la linea ferroviaria Firenze-Roma ma, al contrario, per depotenziarla);
   la gran parte del trasporto regionale sulle linee avviene per conto delle direzioni del trasporto regionale di Toscana, Umbria e Lazio;
   il piano di attività 2013, i disegni tecnici per la nuova sala CTC Firenze Campo Marte, le disposizioni operative emesse da RFI (soggetto gestore dell'infrastruttura ferroviaria per conto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti), che concretizzano la divisione funzionale delle due linee (lenta e direttissima), prevedendo la gestione della direttissima da Bologna e della lenta da Firenze, provocano di fatto l'impossibilità di scelte operative tempestive per una corretta ed efficace regolazione della circolazione ferroviaria –:
   se e come il Ministro intenda contrastare il depotenziamento in atto di una infrastruttura pubblica, costruita e mantenuta in efficienza con le risorse dei cittadini, all'esclusivo vantaggio di un trasporto «a fini di lucro», che penalizza il trasporto sociale e il diritto alla mobilità dei cittadini;
   se e come intenda garantire una gestione unitaria delle due linee ferroviarie Firenze-Roma, permettendo la loro sinergia attraverso la logica dell'alta capacità.
(4-04307)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FRACCARO, COZZOLINO, D'AMBROSIO, LOMBARDI e DADONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   le recenti violenze e i disordini in Ucraina hanno causato numerose vittime e segnato uno dei momenti più tragici degli ultimi decenni;
   il presidente Viktor Janukovyč e il suo entourage sono stati i responsabili della repressione delle manifestazioni a Kiev ed ora hanno lasciato il Paese per una destinazione ignota;
   la risoluzione del Parlamento europeo del 27 febbraio 2014 sulla situazione in Ucraina, 2014/2595(RSP), fra le altre cose ha accolto con favore le conclusioni del Consiglio straordinario «Affari esteri» del 20 febbraio 2014. In tale ambito, in particolare, sono state prese la decisione di introdurre apposite sanzioni per i responsabili di violazioni dei diritti umani, quali il congelamento dei beni e il divieto di visto, nonché quella di sospendere le licenze di esportazione per le attrezzature che potrebbero essere utilizzate a fini di repressione interna;
   la decisione del Consiglio dell'Unione europea 2014/119/CFSP del 5 marzo 2014 ha condannato l'uso della violenza e richiamato al rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali e ha previsto una serie di misure restrittive e di congelamento dei beni dei soggetti ucraini identificati come responsabili dell'appropriazione indebita dei fondi dello Stato ucraino e delle violazioni dei diritti umani;
   la decisione del Consiglio dell'Unione europea 2014/145/CFSP del 17 marzo 2014, concernente misure restrittive nei confronti degli autori delle azioni intimidatorie o di minaccia all'integrità territoriale, alla sovranità e all'indipendenza dell'Ucraina, ha identificato una lista aggiuntiva di soggetti nei confronti dei quali applicare il congelamento dei beni in loro possesso, di loro proprietà o da loro controllati –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti di indicati in premessa e quali siano le misure adottate dal Governo per verificare gli eventuali possedimenti di Viktor Janukovyč e dei soggetti indicati nelle liste in allegato alle decisioni del Consiglio dell'Unione europea 2014/119 e 2014/145 sul territorio italiano, nonché eventualmente per vietare qualsiasi alienazione di beni, in particolare immobili, appartenenti o controllati da tali soggetti;
   se siano stati individuati canali commerciali per la vendita di attrezzature utilizzate ai fini di repressione e se le eventuali licenze di esportazione siano state sospese. (5-02528)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GUIDESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 27 marzo 2014, a Piacenza, un gruppo di otto migranti extracomunitari giunti nel nostro Paese tre anni fa, in seguito ai disordini esplosi sulla sponda meridionale del Mediterraneo nel quadro della cosiddetta Primavera Araba, ha provocato un increscioso braccio di ferro con le autorità locali;
   gli otto extracomunitari sarebbero insorti a causa dell'insoddisfazione per i contenuti di un corso di formazione che era loro offerto, da piastrellisti anziché da saldatori, arrivando ad occupare i locali comunali di Via Taverna 39. La vicenda si è conclusa con gravi scontri, dopo vani tentativi di mediazione, al termine dei quali sei tra agenti della Polizia di Stato e della polizia municipale sono stati aggrediti e feriti, mentre quattro extracomunitari venivano arrestati;
   gli otto extracomunitari beneficiavano di un progetto finanziato dal Fondo europeo per l'emigrazione, Fer, riservato ai rifugiati politici, che loro garantiva, oltre alla frequenza ad un corso professionale, il godimento di un alloggio e di buoni pasto –:
   quali misure intenda assumere il Governo per evitare il ripetersi in futuro di incidenti simili a quelli generalizzati nella premessa e se non si ritenga opportuno introdurre delle norme che permettano di dichiarare decaduti dai benefici somministrati in qualità di rifugiati, e passibili di espulsione immediata dal territorio nazionale, gli immigrati che si rendano responsabili di comportamenti quali l'occupazione di pubblici uffici e la resistenza violenta a pubblici ufficiali. (4-04285)


   BRUNO e KYENGE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'ampliamento del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) per il triennio 2014-2016, realizzato in seguito ad un decreto ministeriale del 30 luglio 2013, è stato un passo molto importante e ha permesso di passare dai precedenti 3.000 posti di accoglienza per i rifugiati a 16.000; l'ampliamento della rete del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati era richiesto da più parti e da più autorevoli voci, come l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati;
   negli anni si sono sviluppati modelli di eccellenza in termini di integrazione e di accoglienza, come ad esempio a Riace, dove è stata sviluppata una formula di inserimento del rifugiato nel tessuto economico e produttivo locale che si è imposto all'attenzione nazionale ed internazionale; Riace ha aderito al primo programma nazionale di asilo nel 2001 (divenuto SPRAR nel 2002) e ha ospitato ben 200 migranti durante l'emergenza Lampedusa (Milano appena 20) attirando molteplici attenzioni; basti pensare che sull'esperienza di Riace è stato realizzato il cortometraggio «Il volo», realizzato dal noto regista tedesco Wim Wenders;
   il nuovo programma di ampliamento del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati se da un lato ha consentito di reperire un numero maggiore di posti di accoglienza rispetto al passato, coinvolgendo anche in Calabria molti nuovi comuni, ha tuttavia evidenziato in maniera lampante la mancanza di una efficiente ed efficace programmazione nazionale tra Stato, regioni ed autonomie locali che permetta una copertura di interventi su tutto il territorio nazionale, oggi fortemente frammentaria e disomogenea; detta mancanza complessiva di governance del sistema accresce in modo assai forte il rischio che alcuni progetti territoriali non solo siano, come già appare evidente dalla graduatoria dei progetti ammessi, di qualità non elevata ma, specie in alcuni territori difficili come la Calabria, derivino da mere speculazioni economiche e come tali maggiormente esposti al rischio di infiltrazioni di organizzazioni criminali;
   proprio a Riace, ovvero nel comune che è da anni simbolo di accoglienza del territorio calabrese si sono prodotti effetti paradossali con una riduzione che appare veramente eccessiva delle presenze dei rifugiati (quasi 200) che in quel comune avevano trovato accoglienza e che da Riace sono stati invece forzatamente spostati e distribuiti con burocratica meccanicità nei diversi nuovi programmi di accoglienza, senza tenere in alcun conto il percorso di integrazione sociale che a Riace era stato già avviato, riducendo a solo 15 il numero di posti di accoglienza che la cittadina è autorizzata ora ad accogliere –:
   se e in che modo abbia intenzione di intervenire per porre rimedio ad una situazione che rischia di vanificare il lavoro di integrazione svolto in questi anni in modo esemplare dal comune di Riace e ripensare le proprie strategie sulla base del principio della premialità per i centri di eccellenza anziché della loro penalizzazione;
   quali misure urgenti intenda adottare per fare in modo che gli standard di servizi di protezione legale e sociale previsti dall'allargamento del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati siano effettivamente conseguiti in tutti i territori e come altresì intenda attuare una vigilanza adeguata a garantire una limpidezza totale dei soggetti che gestiscono i progetti di accoglienza;
   se non ritenga di dare un più deciso impulso alla riforma del sistema nazionale di accoglienza dei richiedenti asilo prevedendo la progressiva chiusura dei CARA e il consolidamento di un unico sistema di accoglienza che valorizzi i numerosi aspetti positivi dell'attuale sistema SPRAR, superandone però gli intrinseci limiti strutturali, che, come evidenzia anche il caso di Riace, oggi ne impediscono lo sviluppo. (4-04295)


   TERROSI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il progetto di riordino dell'organizzazione del soccorso recentemente delineato dal dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, ha previsto, tra l'altro, l'avviamento a chiusura del nucleo sommozzatori di Viterbo;
   tale nucleo nacque nell'ormai lontano 1981 dalla tenace volontà di un gruppo di vigili del fuoco, fermamente convinti dell'opportunità di importare anche a Viterbo le esperienze di soccorso acquatico che il Corpo nazionale aveva acquisito fin dall'inizio degli anni Cinquanta;
   nel corso della sua ultratrentennale attività il nucleo sommozzatori di Viterbo ha rappresentato un presidio di soccorso di fondamentale importanza per tutto il territorio provinciale e per le limitrofe province di Terni e Perugia;
   molteplici sono stati, ogni anno, gli interventi di salvataggio portati a termine, in ogni stagione ed in ogni condizione climatica, lungo tutto il tratto costiero compreso tra la penisola dell'Argentario e Civitavecchia per 70 chilometri di costa, nei laghi di Vico, Bolsena, Mezzano, bacini artificiali come Alviano e Corbara, in tutte le acque interne (fiumi, cave, torrenti) e negli scenari alluvionali (quali quelli di Tarquinia e Montalto di Castro);
   nel corso degli anni, inoltre, i componenti del nucleo sommozzatori, attualmente costituito da sette unità oltre al coordinatore, hanno potuto maturare esperienze e professionalità del settore, acquisendo abilitazioni particolari (speleo sub, istruttori sommozzatori, operatori di sistemi filoguidati), e venendo per tale ragione richiesti anche per interventi di soccorso di eccezionale rilievo (tra i quali, negli ultimi anni, l'intervento conseguente al naufragio della Costa Concordia e delle imbarcazioni di migranti nel mare di Lampedusa);
   dalle prime informazioni si apprende che con l'ipotesi di progetto di riordino così come concepito, per gli interventi in ambiente subacqueo nella provincia di Viterbo sembra si dovrà fare riferimento ai nuclei di Roma o Firenze, con evidenti ripercussioni sulla rapidità, efficacia ed efficienza del soccorso;
   già nell'anno 2000 l'organico dei nuclei sommozzatori aveva subito una consistente riduzione a seguito di un vero riordino ministeriale avvenuto con decreto n. 23 del 20 dicembre 2001 su tutto il territorio nazionale, il quale ha ridotto l'organico da 640 unità (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 aprile 1997 Gazzetta Ufficiale n. 267) a soli 534 operatori, prevedendo tra l'altro l'attribuzione organica non più per comando provinciale ma per direzione regionale e interregionale;
   con il nuovo «riordino» il numero delle unità complessive attribuite ai comandi provinciali passerebbe a 510, realizzando un risparmio di spesa che, a parere dell'interrogante, sembra irrisorio a fronte di una consistente riduzione della sicurezza del territorio –:
   a quale stato di avanzamento sia giunto il piano operativo di riordino e quale sia la tempistica prevista per la eventuale cessazione dell'attività del nucleo sommozzatori attualmente operante nella provincia di Viterbo;
   quali iniziative intenda mettere in atto per garantire gli standard di sicurezza attualmente assicurati dal nucleo sommozzatori nella provincia di Viterbo, tenuto conto del fatto che il servizio di soccorso reso dal Corpo nazionale in questo ambito, ovvero in 12.068 chilometri quadrati, non è attualmente assicurato da nessuna altra amministrazione dello Stato. (4-04297)


   CRISTIAN IANNUZZI e DAGA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   Luigi Coppola, nato a Boscoreale (NA) nel 1965, è un imprenditore che con le sue coraggiose denunce e deposizioni, tra il 2001 ed il 2007, ha permesso l'arresto di oltre trenta estorsori ed usurai, di cui ventitré condannati in via definitiva nel 2009 per associazione di tipo mafioso. I condannati erano appartenenti al clan Pesacane di Boscoreale, al clan Cesarano di Pompei ed al clan Gionta-Limelli di Torre Annunziata;
   le dichiarazioni di Luigi Coppola sono state utili allo Stato anche ai fini dello scioglimento del consiglio comunale di Boscoreale per indizi di infiltrazioni mafiose, di cui al decreto del Presidente della Repubblica del 26 gennaio 2006 in conformità all'articolo 143 del decreto legislativo n. 267 del 2000;
   nel 2002, in seguito alle sue denunce, gli è riconosciuto lo status di «testimone di giustizia» con l'inserimento, assieme alla sua famiglia, nel programma di protezione testimoni. Tra numerose traversie, minacce, ed intoppi nel programma di protezione, il Coppola viene trasferito in un'abitazione in Piemonte, poi nelle Marche e poi ancora in Veneto per far rientro a Pompei nel 2007;
   come racconta lo stesso Coppola, al suo rientro a Pompei nessuno volle più comprare automobili nella sua concessionaria. Si trovò assieme alla sua famiglia in uno stato di totale isolamento, dovette assistere alla raccolta di petizioni, dirette al sindaco ed alle altre istituzioni di Pompei, che richiedevano il suo allontanamento dal comune, essendo la sua presenza considerata «destabilizzante»;
   nel gennaio 2010 la commissione centrale del Ministero dell'interno notifica al Coppola la decisione di revoca, seduta stante, della scorta e della vigilanza fissa sotto la sua abitazione, deliberando «di non prorogare le speciali misure di protezione nei confronti del testimone di giustizia e del suo nucleo familiare» visto che «gli impegni giudiziari sono da tempo terminati» e che il pericolo è cessato in quanto le persone denunciate sono detenute. L'imprenditore presenta subito un ricorso al Tar, e se la revoca della scorta si ferma, la vigilanza viene subito rimossa;
   nell'agosto 2010 il Coppola deve lasciare l'abitazione dove era in affitto e dichiara di non aver trovato più nessuno disposto ad affittargli o vendergli casa. Si è visto costretto ad alloggiare in un albergo in zona, pagando per tutta la famiglia 3000 euro al mese. Non riuscendo a sostenere i costi successivamente incorrerà in una ingiunzione di sfratto per morosità;
   sebbene abbia ricevuto contributi economici ed una ricapitalizzazione, ad oggi il Coppola con la sua famiglia si ritrova in uno stato di totale indigenza non essendo riuscito a ricostruirsi una stabilità socio-economica e non avendo più sostentamento economico di alcun tipo. Vive ospitato temporaneamente a Pompei con i familiari in un locale privo di agibilità e dei requisiti igienici essenziali. A maggio, inoltre, la citata abitazione sarà ristrutturata interamente ed il Coppola nuovamente non avrà un alloggio;
   lunedì 30 gennaio 2012 il deputato Ignazio Messina già presentò una interrogazione a risposta in Commissione (ac 5-06031) e il sottosegretario di Stato al Ministero dell'interno pro tempore Carlo De Stefano affermò di conoscere bene la situazione e, che il Coppola, oltre ad aver beneficiato di tutte le misure previste dalla legge sui testimoni di giustizia aveva ottenuto anche un contributo straordinario;
   i testimoni di giustizia sono cittadini incensurati che coraggiosamente hanno deciso di rendere testimonianza alla magistratura dando un prezioso contributo alla sicurezza dello Stato ed un aiuto nella lotta alla criminalità. L'importanza del loro ruolo è stata riconosciuta espressamente dalla legge 13 febbraio 2001, n. 45, prevedendo misure di protezione fino all'effettiva cessazione del pericolo esistente per il testimone stesso e per i suoi familiari, nonché misure volte a garantire un tenore di vita personale e familiare non inferiore a quello preesistente l'ingresso nel programma di protezione;
   i testimoni di giustizia italiani sono circa 70 e non sono casi isolati quelli in cui gli stessi vivono in uno stato di totale indigenza e che non riescono più a ricostruirsi una vita. Molti affermano infatti di sentirsi abbandonati dallo Stato. I programmi per i testimoni presentano forti criticità e la parte forse più problematica sembra infatti essere quella del reinserimento socio-lavorativo;
   la tutela dei testimoni di giustizia deve essere priorità per le la dignità delle istituzioni di uno Stato sovrano e democratico –:
   se non si ritenga, tenuto conto anche del fatto che diversi soggetti condannati a seguito delle dichiarazioni del Coppola sono in procinto o già hanno finito di scontare le pene detentive loro inflitte, si possa costituire un grave ed imminente pericolo di vita per Luigi Coppola e la sua famiglia e, se e quali misure si intenda mettere in atto per salvaguardare la sua incolumità;
   date le numerose criticità riscontrate, se e quali iniziative, anche di natura normativa, si intendano attuare per riorganizzare la materia dei testimoni di giustizia per fare sì che i denuncianti di eventi gravemente criminosi, siano tutelati dallo Stato adeguatamente sia durante l’iter giudiziario che durante tutto il percorso di reinserimento sociale e lavorativo.
(4-04312)


   ARLOTTI, ASCANI, REALACCI, VERINI, GRASSI, ERMINI, BORGHI, GADDA, RAMPI, ANTEZZA, ALBANELLA, CARRA, RUBINATO, TIDEI, MALPEZZI, BRANDOLIN, IORI, GULLO, PAOLA BRAGANTINI, BASSO, ROCCHI, ROSTAN, SCANU, VAZIO, FABBRI e BIFFONI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in base ad una serie di stime riportate anche dai mezzi di informazione, nel nostro Paese il fatturato del cosiddetto mondo dell'occulto avrebbe visto nel corso dell'ultimo anno un aumento, passando da 7,5 miliardi a 8,3 miliardi;
   un recente studio Codacons ha stimato in ben 13 milioni gli italiani, quattro italiani su dieci, che si rivolgono a maghi, cartomanti, sensitivi e operatori esoterici, un milione in più rispetto al 2011 e oltre 3 milioni in più rispetto al 2001: un vero e proprio boom dell'occultismo, in parte, verosimilmente correlato, alla grave crisi economica in cui versa il paese;
   secondo il Coordinamento delle associazioni per la difesa dell'ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori, proprio le difficoltà economiche, la problematicità nel trovare lavoro, l'incertezza per il futuro, le difficoltà che questo comporta nell'ambito relazionale nonché il bisogno di una rassicurazione personalizzata, spingerebbero un numero sempre crescente di cittadini italiani a cercare risposta nella cartomanzia, negli oroscopi a pagamento e nella magia, alimentando il fatturato, pressoché tutto in nero, degli operatori dell'occulto;
   solo per quanto riguarda l'anno appena trascorso, in relazione a denunce scattate per alcuni programmi considerati «nocivi per lo sviluppo psico-fisico e morale dei minori» o «in abuso della credulità popolare», il Nucleo speciale per la radiodiffusione e l'editoria ha controllato 100 emittenti radiotelevisive segnalandone 90 all'AGCOM e 10 all'autorità giudiziaria: le violazioni evidenziate hanno riguardato, tra l'altro, programmi condotti da indovini, maghi e sedicenti esperti del lotto che spesso per ore invadono la programmazione di determinate emittenti;
   il recente documento pubblicato dalla Conferenza episcopale regionale dell'Emila-Romagna «Religiosità alternativa, sette, spiritualismo. Sfida culturale, educativa e religiosa» fornisce un quadro abbastanza obiettivo delineando un fenomeno in crescita, con profili di pericolosità sia per quanto concerne l'universo della magia e dell'occulto, che quello dei cosiddetti gruppi a manipolazione psicologica degli adepti;
   accanto alle attività truffaldine dei cosiddetti operatori dell'occulto, desta infatti profonda apprensione, soprattutto nelle società occidentali, la crescente diffusione del fenomeno di gruppi di natura spirituale, magico-esoterica, pseudo-terapici o del potenziale umano nonché di «aggregazioni» religiose o pseudo tali, che sovente, operando al riparo della libertà religiosa, minano di fatto le libertà fondamentali degli individui rappresentando una minaccia per le stesse società democratiche;
   tale preoccupazione trova concreto fondamento alla luce di gravi avvenimenti, in particolare episodi di suicidio-omicidio collettivo, verificatisi anche in territorio europeo, nonché, per quanto concerne il nostro Paese, di drammatici e non certo infrequenti episodi di cronaca giudiziaria, connessi all'attività illecita e criminosa di dette organizzazioni al cui interno si rilevano pericolose dinamiche settarie e manipolative;
   significative risultano le plurime iniziative del Parlamento europeo e dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa in materia di culti abusanti;
   nella fattispecie, già con raccomandazione n. 1412 (1999) l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, ha sollecitato gli Stati membri alla necessaria azione di vigilanza nonché all'attuazione, in particolare, di programmi educativi e di politiche di prevenzione con particolare riferimento alla tutela dei minori e delle fasce maggiormente vulnerabili;
   tuttavia, solo pochi Stati membri, nonostante la ribadita diffusione e gravita del fenomeno, risultano aver recepito le importanti indicazioni previste dai dispositivi approvati in sede comunitaria, come rilevato anche dai rappresentanti della Commissione dei diritti dell'uomo nell'ambito della Conferenza delle Ong presso il Consiglio d'Europa del 5 ottobre 2012;
   peraltro, precedentemente, i relatori della Commissione Affari giuridici e dei diritti dell'uomo dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa (APCE), riunitisi per discutere sul tema avente a oggetto la protezione dei minori dalle «sette», pur constatando l'attuale difficoltà di pervenire a un consenso europeo sul fenomeno, hanno rimarcato l'impellente necessità di stabilire regole e politiche a livello europeo finalizzate alla protezione di adolescenti e bambini contro il pericolo delle cosiddette derive settarie, altresì invitando ancora una volta a quell'auspicata azione di vigilanza sul fenomeno, anche mediante l'istituzione di strutture come ad esempio la missione interministeriale di vigilanza e lotta alle derive settarie (MIVILUDES) realizzata in Francia, con il principale intento di tutelare efficacemente e concretamente l'interesse superiore del bambino da ogni forma di brutalità, maltrattamento e negligenza;
   in Francia il passaggio dalla MILS (Mission interministérielle de lutte contre les sectes) alla MIVILUDES (Mission interministérielle de vigilance et de lutte contre le dérives sectaires) ha indubitabilmente segnato un approccio equilibrato al fenomeno delle «sette» nocive fornendo indispensabili strumenti informativi e conoscitivi a salvaguardia della stessa sicurezza dei cittadini;
   in merito alla questione dei minori, recenti studi scientifici hanno evidenziato, concordemente con precedenti contributi internazionali, che bambini nati e/o cresciuti in contesti settari coercitivi, presenteranno significative problematiche psicologiche e psico-sociali non solo dopo l'uscita dal culto ma anche in età adulta;
   in relazione a minori inseriti in realtà ad alto rischio nel nostro Paese, importante e accurato atto di sindacato ispettivo era stato presentato presso il Senato della Repubblica nella precedente legislatura dalle senatrici Allegrini e Galloni, interrogazione n. 4-08890, atto che purtroppo non ha mai ricevuto risposta, così come anche altri atti di sindacato ispettivo sempre dettagliatamente presentati durante la scorsa legislatura in Senato (n. 4-08835);
   al fine di prevenire e contrastare gli illeciti commessi all'attività di gruppi settari, con decreto n.  225 UAG/2006-64767-U del 2 novembre 2006, il dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno ha istituito una apposita specialità: la squadra anti sette (SAS), tuttavia la risposta dello Stato rimane ancora insufficiente e non adeguata alla pericolosità di tale fenomeno in espansione;
   di fatto, a tutt'oggi, solo le associazioni di volontariato e alcuni centri di ricerca svolgono, pur nella limitatezza delle risorse, una preziosa e continuativa opera informativa sul fenomeno e di supporto alle vittime e alle famiglie, realizzando un'azione di integrazione nonché, spesso, di vera e propria supplenza dell'azione pubblica, in maniera del tutto gratuita e avvalendosi della consulenza e collaborazione di esperti del settore della salute mentale, della criminologia e della giurisprudenza: l'associazione Familiari delle vittime delle sette (FAVIS) ha ad esempio realizzato, primo progetto in Italia, l'opuscolo informativo «Le mani sulla mente», distribuito gratuitamente durante gli incontri con gli studenti degli istituti scolastici superiori della provincia di Rimini, dove opera tra l'altro da tempo il Servizio antisette della comunità «Giovanni XXIII»;
   dal punto di vista legislativo va citata l'importante legge varata dal Consiglio regionale della regione autonoma Friuli Venezia Giulia n. 128 «Norme per il sostegno dei diritti della persona e la piena libertà intellettuale, psicologica e morale dell'individuo» con cui sono stati previsti una serie di interventi e di azioni finalizzate a offrire concreto aiuto alle famiglie e alle persone che spesso loro malgrado finiscono nella rete di gruppi settari abusanti;
   da tempo è in corso sul web ad opera di alcuni soggetti una reiterata campagna di disinformazione sul fenomeno settario nonché di grave discredito in danno di alcune note associazioni di volontariato, con l'evidente fine, soprattutto in Italia, di ostacolare ogni iniziativa finalizzata a prevenire e contrastare gli abusi di organizzazioni totalitarie e coercitive –:
   se e quali iniziative di competenza i ministri interrogati abbiano adottato o eventualmente intendano concretizzare, sia sul piano interno che in sede comunitaria, al fine di promuovere una efficace azione di sensibilizzazione e vigilanza sul fenomeno, anche mediante attività di informazione preventiva comprensiva di appositi programmi educativi, in particolare nei settori della scuola e della salute, così come da rinnovati solleciti espressi in ambito europeo;
   se il Governo non ritenga necessario e opportuno valutare anche la realizzazione di un centro nazionale, una struttura statale analoga alla missione interministeriale di vigilanza e di lotta contro le derive settarie istituita in Francia, con funzioni di raccordo con altri centri europei, in considerazione del proliferare di organizzazioni dal profilo alquanto equivoco sia per quanto concerne possibili aspetti di pericolosità sociale che per i risvolti illeciti di natura economica e fiscale, tenuto conto dell'esistenza di reti di collegamenti tra i vari gruppi coercitivi e/o oltranzisti attivi sul territorio europeo oggi peraltro facilitati dal diffuso utilizzo della rete web;
   quali iniziative di tutela intendano promuovere in favore delle ex vittime nonché in supporto dell'azione portata avanti dalla specialità del dipartimento di pubblica sicurezza e dalle associazioni operanti in questo delicato settore.
(4-04316)


   NESCI, PARENTELA, SARTI, BUSINAROLO, AGOSTINELLI, DIENI, DADONE e NUTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra il 16 e 17 marzo 2014 si è verificato un episodio inquietante che interessa, in un contesto altamente a rischio quale quello calabrese, il magistrato Pier Paolo Bruni, della direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, già destinatario di disegni di morte da parte della ‘ndrangheta;
   riguardo all'episodio succitato, è stata presa di mira l'autovettura del padre del magistrato, parcheggiata in prossimità dell'abitazione di famiglia;
   l'automobile è stata prima manomessa e poi spostata in una zona a rimozione forzata;
   la scena, ripresa dalle videocamere di un servizio di vigilanza, mostra gli autori della manomissione scendere da una Seat Marbella di colore scuro e avvicinarsi alla vettura del padre di Bruni;
   la stessa autovettura è stata poi ritrovata bruciata nelle campagne di Isola Capo Rizzuto (Crotone);
   sulla vicenda stanno indagando gli agenti della squadra mobile della questura di Crotone, ma è obiettivamente evidente la matrice intimidatoria del gesto;
   come riportato da diversi organi di stampa, non si tratterebbe del primo episodio di intimidazione nei confronti del pubblico ministero, dato che il 22 gennaio 2010 l'allora sostituto procuratore della Repubblica di Crotone ricevette un messaggio di posta elettronica inoltrato da un anonimo, a seguito della confisca di beni disposta dal tribunale di Crotone nei confronti di esponenti di spicco delle cosche locali, Giuseppe Vrenna ed Egidio Cazzato, coinvolti nell'indagine della Dda denominata «Heracles»;
   nel succitato messaggio, inviato al quotidiano «il Crotonese», si leggeva: «Pierpaolo Bruni... ahahah... tu per noi sarai na muschiddra... tutto questione di tempo... a presto tu sarai raccolto con un cucchiaino... di te rimarranno solo le ceneri... Insieme ai tuoi carissimi pentiti Bumbaca e Marino»;
   è evidente, dunque, come Pierpaolo Bruni sia un magistrato schierato in prima linea contro le criminalità organizzate e contro il malaffare che imperversa in Calabria;
   va ricordato che il pubblico ministero Pierpaolo Bruni sta conducendo delicate inchieste sui rapporti tra criminalità organizzata, politica e massoneria, nate in territorio calabrese ma da cui sta emergendo una rete criminale che coinvolge diverse regioni italiane, tra cui Lazio, Sicilia, Campania, Veneto e Lombardia;
   dalle indagini, ad esempio, è emerso un pericoloso intreccio tra massoneria e ’ndrangheta e, in particolare, tra la cosca dei Mancuso e la loggia massonica fondata da Paolo Coraci, mirante alla nomina di persone di fiducia in 15 enti tra cui Finmeccanica e Poste italiane;
   secondo le ultime rivelazioni, inoltre, la rete criminale avrebbe messo gli occhi anche sui lavori post-terremoto a L'Aquila, tramite una ditta di costruzioni riconducibile secondo gli inquirenti appunto alla cosca della ’ndrangheta dei Mancuso-Tripodi;
   risultano coinvolti nell'inchiesta anche tanti esponenti della politica;
   in un articolo comparso il 23 maggio 2013 su «Il Corriere della Sera» a firma Carlo Macrì, si legge che «gli interessi del clan Tripodi partono dalla Calabria per raggiungere la Lombardia, e si diramano in Veneto e nella Capitale dove trovano l'appoggio di politici influenti come Vincenzo Maruccio, ex assessore dell'Idv nella giunta Marrazzo ed ex consigliere di minoranza con la giunta Polverini, e dell'ex vice presidente del consiglio regionale del Lazio Raffaele D'Ambrosio (Udc), pronti a trattare con i clan che in cambio di appalti s'impegnavano a raccogliere voti»;
   secondo le ultime rivelazioni, inoltre, l'inchiesta in parola si starebbe allargando, coinvolgendo non solo la tradizionale ’ndrangheta, settori della politica e della massoneria, ma anche esponenti della Chiesa;
   a conferma di quanto sopra significato, si rammenta che ci sarebbe un indagato eccellente come Pierluigi Vignola, ex cappellano della questura di Potenza, noto alle cronache giudiziarie per il coinvolgimento nelle indagini sul caso Claps, sott'inchiesta oggi per i reati di associazione mafiosa, corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio e turbata libertà degli incanti, con l'aggravante dell'aver agito per favorire la cosca di riferimento –:
   se siano a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se non ritengano di intervenire con la massima urgenza per fare luce sull'inquietante episodio di cui il dottor Bruni è stato vittima;
   quali siano le misure attualmente previste per garantire l'incolumità al dottor Bruni e ai suoi familiari;
   se non ritengano, nell'ambito delle rispettive competenze, di aumentare le misure attualmente predisposte, per assicurare al magistrato e ai suoi familiari la massima protezione e sicurezza, affinché lo stesso svolga nelle migliori condizioni possibili il proprio delicatissimo lavoro.
(4-04322)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   IACONO e ALBANELLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 21 gennaio 2014 il TAR Lazio, con propria sentenza ha sancito il diritto dell'Istituto superiore di studi musicali provinciale di Teramo ad essere statizzato entro 30 giorni pena il commissariamento ad acta, condannando il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per inerzia;
   la legge n. 508 del 1999 all'articolo 2, commi 2 e 7, dispone la trasformazione degli istituti ex pareggiati in Istituti superiori di studi musicali e coreutici e la conseguente emanazione di appositi regolamenti, emanati ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400;
   nonostante siano trascorsi oltre 13 anni l'applicazione delle norme sopracitate non è ancora possibile e molti istituti ex pareggiati si trovano in condizioni di limbo giuridico con il conseguente rischio di cessare le proprie attività e di non potere programmare l'attività didattica futura;
   allo stato attuale in Italia vi sono 18 Istituti musicali parastatali (istituiti e finanziati da comuni o province) che pur garantendo un'offerta formativa d'eccellenza ai propri allievi non sono nelle condizioni di completare l’iter per l'effettiva statizzazione;
   vista la sentenza del Tar della regione Lazio che rispetto all'Istituto musicale provinciale di Teramo ha sancito un pieno diritto alla statizzazione si ritiene che vi siano tutte le condizioni per potere garantire il diritto alla statizzazione anche degli altri Istituti musicali presenti nel territori nazionale;
   inoltre l'interrogante nel maggio del 2013 a supporto di quanto fin qui espresso ha provveduto alla sottoscrizione di una proposta di legge, primo firmatario onorevole Luisa Albanella, avente come oggetto «Norme per la statizzazione degli ex istituti musicali pareggiati», nella quale si ribadisce che l'attuazione del processo di statizzazione degli ex IMP non comporta oneri finanziari aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato, né alcun incremento della pianta organica dello Stato, in quanto, nell'ambito del riordino generale e della razionalizzazione del sistema dell'AFAM che risponde a criteri di efficienza, risparmio e qualità, il passaggio del personale docente e non docente degli ex IMP, all'atto della statizzazione, avviene tramite inquadramento in sovrannumero nei ruoli dello Stato, con graduale assorbimento sui posti resi annualmente vacanti e disponibili a seguito delle cessazioni dal servizio, entro i limiti dell'attuale pianta organica statale relativa al comparto dell'AFAM;
   inoltre la razionalizzazione del sistema dell'AFAM conseguente all'attuazione della proposta di legge consentirebbe di includere nel sistema statale territori geografici fino ad oggi non coperti né finanziati direttamente dallo Stato, in considerazione del fatto che gli attuali enti finanziatori non sono più in grado di supplire lo Stato nella funzione di gestione di questa importantissima funzione –:
   alla luce della recente sentenza del TAR quale sia la volontà del Ministro interrogato circa l'avvio del processo di statizzazione per i numerosi istituti pareggiati presenti nel territorio nazionale;
   quali interventi il Ministro intenda promuovere per garantire l'offerta formativa degli istituti parastatali presenti nel territorio nazionale. (3-00736)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il prossimo anno scolastico vedrà sul territorio nazionale il numero dei docenti sostanzialmente fermo a quota 600.839;
   ad essere penalizzato sarà tutto tuttavia il Mezzogiorno;
   si perderanno infatti 14 cattedre in Abruzzo, 58 in Basilicata, 183 in Calabria, 387 in Campania, 33 in Molise, 340 in Puglia, 27 in Sardegna e 504 in Sicilia;
   diversamente le regioni del centro nord vedranno aumentare il numero delle cattedre;
   paradossalmente i tagli avvengono in una zona geografica, come quella del Mezzogiorno, che avrebbe bisogno di più docenti e di una scuola accogliente e capace di contrastare il fenomeno della dispersione scolastica;
   la situazione, legata all'alto tasso di dispersione scolastica, in alcune realtà meridionali ha toccato livelli di guardia –:
   se il Governo sia a conoscenza di questo drammatico dato e se non ritenga di dover intervenire con la massima sollecitudine per scongiurare un ulteriore ridimensionamento scolastico che nelle regioni del Mezzogiorno coincide con la limitazione del diritto allo studio.
(5-02527)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MINARDO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente della Repubblica n. 328 del 5 giugno 2001 «Modifiche ed integrazioni della disciplina dei requisiti per l'ammissione all'esame di Stato e delle relative prove per l'esercizio di talune professioni, nonché della disciplina dei relativi ordinamenti» prevede, all’ articolo 46 comma 3, le attività professionali che possono essere svolte dagli ingegneri;
   alla lettera c), comma 1, del citato articolo 46, si prevede che per il settore «dell’ ingegneria dell’ informazione» l'attività professionale che può essere svolta riguarda: la pianificazione, la progettazione, lo sviluppo, la direzione dei lavori, la stima, il collaudo e la gestione di impianti e sistemi elettronici, di automazione e di generazione, trasmissione ed elaborazione delle informazioni;
   il Consiglio universitario nazionale nell'adunanza dell'8 febbraio 2012, dopo una breve analisi del disposto dell'articolo 46, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica n. 328 del 2001, ha reso noto che le attività di progettazione di porzioni di impianti elettrici che fanno uso di dispositivi elettronici, anche per la conversione di potenza dell'energia elettrica rientrano tra le competenze che la normativa riconosce agli ingegneri juniores iscritti al settore dell'informazione della sezione B dell'albo professionale degli ingegneri;
   Il Consiglio universitario nazionale ha, sempre nello stesso parere, precisato che la laurea in ingegneria elettronica e in generale i corsi relativi all'ingegneria dell'informazione forniscono competenze nel campo dell'elettronica di potenza, idonee a sviluppare attività progettuali di conversione statica particolarmente rilevanti negli impianti per la produzione e la conversione di energia elettrica di origine fotovoltaica;
   è necessario, quindi, rivedere la normativa sopracitata, per ampliare le competenze degli ingegneri dell'informazione la cui professionalità risulta sottodimensionata rispetto agli studi effettuati;
   in particolare sarebbe opportuno modificare la norma di cui all'articolo 46 del decreto del Presidente della Repubblica n. 328 del 2001 prevedendo che, con efficacia retroattiva, le competenze professionali delle due classi ovvero quella relativa all'ingegneria industriale e a quella dell'informazione vengano accorpate;
   si segnala, inoltre, che al settore dell’ ingegneria industriale appartengono anche gli ingegneri gestionali e gli ingegneri meccanici che non hanno competenze specifiche in materia di elettronica, elettronica di potenza, elettrotecnica e fisica dei circuiti;
   quanto riportato nei periodi precedenti dimostra come sia essenziale rivedere i settori dell'albo professionale degli ingegneri in modo che siano garantite le competenze acquisite sulla base degli studi effettuati –:
   quali iniziative intenda adottare per modificare la normativa attualmente vigente (articolo 46 del decreto del Presidente della Repubblica n. 328 del 2001) per consentire anche agli ingegneri dell'informazione di svolgere la medesima attività professionale degli ingegneri industriali. (4-04286)


   D'UVA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con l'approvazione della legge 27 dicembre 2013, n. 147, legge di stabilità 2014, il Governo ha disposto notevoli riduzioni nei capitoli di spesa del bilancio dello Stato destinati alla sanità pubblica;
   nel corso degli ultimi anni, le manovre finanziarie assunte dai vari Governi, senza soluzione di continuità, hanno già comportato una progressiva e costante riduzione delle previsioni di spesa da destinare ai sistemi sanitari regionali e alle aziende ospedaliere locali;
   nonostante le gravi ripercussioni sull'efficienza dei sistemi sanitari regionali, che hanno dovuto subire tagli di spesa senza poter beneficiare di necessarie e contestuali politiche di contenimento degli sprechi, nonché di ottimizzazione delle risorse disponibili, con l'approvazione del patto di stabilità, per l'anno 2014, il Governo ha deciso di ridurre ulteriormente i fondi da destinare al sistema sanitario nazionale e, in particolare, alla formazione di nuovi medici;
   in un Paese con un elevato tasso di invecchiamento della popolazione, e con una progressiva crescita del numero di pazienti affetti da malattie cronico degenerative, la riduzione dei fondi da destinare alla spesa sanitaria, nonché alla erogazione di borse di studio che consentano la formazione specialistica dei giovani medici, rischia di compromettere irrimediabilmente l'efficienza, la qualità e il buon funzionamento del sistema sanitario nazionale;
   in presenza di un modello universitario nazionale che limita il libero accesso ai corsi di area medico-sanitaria senza considerare, di fatto, il fabbisogno nazionale nel settore della sanità pubblica e le relative unità di personale necessarie al suo corretto funzionamento, le progressive riduzioni finanziarie nei capitoli di spesa rischiano di compromettere ulteriormente la possibilità per i cittadini di accedere gratuitamente alle cure;
   il decreto ministeriale del 5 febbraio 2014, n. 85, ha dimostrato, infatti, come anche i provvedimenti ministeriali vengono assunti, nel nostro ordinamento, in totale assenza dei dati del fabbisogno sanitario nazionale, sollevano forti preoccupazioni circa l'effettiva tutela del diritto alla salute, così come sancito dall'articolo 32 della Costituzione, evidenziando altresì come l'attuale sistema sia esclusivamente condizionato dalle risorse che, di volta in volta, i vari Governi intendono stanziare;
   secondo i dati occupazionali del sistema sanitario nazionale, l'elevato numero di domande di pensionamento già presentate dal personale attualmente in servizio, in presenza delle attuali limitazioni, di ordine universitario ed economico, per la formazione di nuovi medici, comporterà, nel corso dei prossimi anni, un deficit occupazionale di circa 50.000 medici, con gravi ripercussioni sull'offerta sanitaria pubblica nazionale;
   a fronte di 10.000 laureati per anno, nei vari corsi di area medica, negli anni passati, solamente il essi riusciva ad accedere al secondo livello di formazione, conditio necessaria per accedere al sistema sanitario, grazie all'erogazione di circa 5.000 borse di studio per la specializzazione dei neo laureati;
   anziché disporre di nuove e ingenti risorse per aumentare la percentuale di borse da erogare in favore dei capaci e dei meritevoli, così come imporrebbe l'articolo 34 della Costituzione, anche in considerazione di un sistema universitario che già limita fortemente il libero accesso ai gradi più alti degli studi, con le nuove scelte previste all'interno della legge di stabilità si rischia, piuttosto, di compromettere, in maniera non oltremodo accettabile, l'effettività del diritto allo studio;
   secondo le previsioni di spesa, così come disposte per l'anno finanziario 2014, per l'anno corrente si potranno garantire appena 3.500 borse di studio utili all'iscrizione dei neo laureati alle scuole di specializzazione di area medica, riducendo ulteriormente la percentuale di giovani medici che potranno accedere alla formazione specialistica e, quindi, al sistema sanitario nazionale;
   lo Stato italiano, che ha investito una cifra di circa 40.000 euro per la formazione magistrale di ogni studente universitario, costringerebbe un elevatissimo numero di giovani laureati a non poter ultimare il proprio ciclo di studi, compromettendo in maniera irreversibile i loro sforzi economici e professionali e, più in generale, il loro futuro;
   l'adozione di misure meno rigide, quali provvedimenti utili a ridurre gli sprechi e ad ottimizzare l'efficienza del sistema sanitario nazionale, risulterebbe certamente meno invasiva delle continue e indiscriminate riduzioni dei capitoli di spesa, che rischiano, invece, di far collassare definitivamente il sistema sanitario pubblico, con conseguente compromissione del diritto, costituzionalmente garantito ad ogni cittadino, di accedere liberamente alle cure sanitarie;
   l'attuale sistema di erogazione delle borse di studio non permette che queste vengano effettivamente garantite a tutti gli studenti meritevoli, ma privi dei mezzi necessari a proseguire, ovvero ad ultimare, il loro percorso formativo, data l'assoluta insufficienza delle risorse stanziate per tale istituto –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali urgenti iniziative si intendano assumere, anche in sede di Consiglio dei ministri, affinché venga disposto un sostanziale aumento delle risorse attualmente destinate alla formazione specialistica dei laureati nei corsi di area medico-sanitaria, garantendo ad almeno il 50 per cento di essi la possibilità di accesso al secondo livello di formazione e, quindi, al sistema sanitario nazionale, con una percentuale che risulti così almeno in linea con quanto previsto negli anni precedenti;
   quali iniziative intendano adottare per impedire che l'elevato numero di pensionamenti del personale sanitario comporti un grave deficit del fabbisogno nazionale, data la contestuale presenza di blocchi del turn over del personale, progressive riduzioni della spesa sanitaria e, infine, un sistema universitario che limita fortemente sia l'accesso alla formazione, sia la possibilità di ultimare il proprio ciclo di studi;
   di quali strumenti intenda dotarsi il Governo per una reale ed efficace programmazione circa i fabbisogni di medici generalisti e specialisti e per dare una risposta adeguata ai nuovi ed urgenti bisogni di salute, anche in relazione al citato aumento del numero di pazienti affetti da malattie cronico degenerative. (4-04288)


   RIGONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 16 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, ha istituito l'abilitazione scientifica nazionale per le funzioni di professore universitario di prima e di seconda fascia, successivamente bandita con decreto direttoriale n. 222 del 20 giugno 2012;
   in molti siti specializzati analisi statistiche e testuali molto accurate sui verbali delle procedure di abilitazione finora concluse mettono in evidenza notevoli disparità tra le aree disciplinari e tra i settori concorsuali, ad esempio: in casi frequenti i pareri negativi dei commissari non hanno riportato motivazioni sufficienti per giustificare la non idoneità del candidato; sono state segnalate molte incongruità tra i giudizi individuali dei commissari e le modalità che hanno portato alla formulazione del giudizio collegiale; benché la normativa vigente preveda che per poter essere abilitati occorre il raggiungimento di una maggioranza qualificata (4/5 dei commissari favorevoli), numerosi candidati di indubbio valore non sono stati abilitati con tre voti favorevoli e due contrari (3/5), dunque con la minoranza negativa che ha prevalso sulla maggioranza positiva, suscitando seri dubbi sulla incostituzionalità della suddetta normativa;
   sulla base di queste premesse, si richiede al Ministro di rivedere la normativa vigente che prevede il raggiungimento di una maggioranza qualificata (4/5 dei commissari) per conseguire l'abilitazione e dunque si chiede di considerare come idonei all'abilitazione anche tutti i candidati che hanno ottenuto la maggioranza dei giudizi favorevoli con i 3/5 dei commissari;
   alla luce del netto ritardo nelle procedure di valutazione in corso per la tornata di abilitazione del 2013, si chiede se il Ministro non ritenga opportuno riaprire la suddetta tornata posticipando almeno al 31 ottobre del 2014 il termine ultimo per l'invio delle domande, già fissato per le ore 12.00 del 31 ottobre 2013; onde consentire a chi ha ottenuto un risultato negativo alla prima tornata del 2012 (magari a causa di palesi ingiustizie) e che nel frattempo non aveva presentato domanda per la seconda tornata del 2013, di potersi così ripresentare;
   in una recente intervista a La Repubblica il Ministro interrogato ha anticipato la previsione di fermare le abilitazioni –:
   alla luce di questa dichiarazione, se il Ministro intenda confermare l'attivazione regolare del bando dell'abilitazione scientifica già previsto per il mese di giugno 2014 con candidature dal 1o luglio 2014 al 31 ottobre 2014 e per il bando previsto per il mese di gennaio 2015 con candidature dal 15 febbraio 2015 al 31 ottobre 2015;
   se il Ministro interrogato non ravveda che la normativa vigente abbia di fatto favorito in molti casi dei giudizi illegittimi nella forma e nella sostanza, tali da invitare senz'altro a ricorsi e in tal caso se intenda confermare l'eventuale possibilità di rivedere l'abilitazione scientifica nazionale anche negli esiti già pubblicati particolarmente esemplificativi al riguardo.
(4-04302)


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per gli affari regionali, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'istituto tecnico agrario «Umberto I» di Andria rappresenta un'istituzione fortemente radicata nel territorio delle provincia Bat e vanta una storia gloriosa e ultracentenaria, testimoniata anche dalla sede antica e maestosa che lo ospita (antico monastero benedettino costruito nell'anno 1686 e annesso alla Basilica di S. Maria dei Miracoli dell'anno 1633). Nell'anno 1883, a seguito della donazione del Monastero, da parte del comune di Andria, alla deputazione provinciale di Bari fu istituita la scuola agraria tecnico pratica riconosciuta tra le migliori scuole pratiche di agricoltura in Italia ed equiparata nel 1903 alle analoghe scuole pratiche governative. Nel 1933 fu istituita la scuola di avviamento professionale di tipo agrario e la vecchia scuola pratica di agricoltura fu trasformata in scuola tecnica agraria. Successivamente, in concomitanza con l'istituzione della facoltà di scienze agrarie presso l'università degli studi di Bari, si rese opportuna la creazione dell'istituto tecnico agrario al fine di costituire il vivaio naturale per il prosieguo degli studi universitari nel settore agricolo e ambientale. Infine, con decreto ministeriale n. 3809/2 del 20 marzo 2003, fu riconosciuto come istituto paritario con il merito della qualità dell'offerta formativa ampiamente condiviso dall'utenza, non a caso, in costante crescita per effetto della specificità del corso di studi che favorisce concrete opportunità occupazionali;
   l'istituto tecnico agrario di Andria è attualmente l'unica scuola pubblica della provincia Bat ad assicurare formazione specifica del settore: l'istituto oggi annovera circa 250 alunni che giornalmente si spostano anche dai comuni limitrofi (in particolare, Corato, Ruvo, Terlizzi e Molfetta) appartenenti alla provincia di Bari;
   trattandosi di scuola paritaria, gli ordinamenti, i corsi e gli orari sono praticamente conformi a quelli corrispondenti ad istituti statali ed i titoli di studio rilasciati godono di analogo valore legale, mentre il relativo personale di ruolo e supplente, inseritosi nelle graduatorie di istituto tramite bandi di concorso pubblico e con un regolamento relativo ai criteri di valutazione punteggio identico a quello statale, è assunto dall'amministrazione provinciale rispettivamente con contratti a tempo indeterminato e determinato per la copertura delle supplenze annuali e/o temporanee;
   il consiglio provinciale BAT con deliberazione n. 3 del 13 marzo 2013, costituiva la «Fondazione Bonomo per la ricerca in agricoltura» con lo scopo di promuovere, sostenere e realizzare attività di ricerca scientifica in agricoltura, di ricerca industriale e sviluppo sperimentale, trasferimento dell'innovazione, alta formazione e diffusione della cultura scientifica con particolare riferimento ai settori agricolo, agro-alimentare, agro-industriale ed ambientale, anche mediante la gestione di istituti di istruzione secondaria superiore ad indirizzo tecnico-agricolo;
   con deliberazione della giunta provinciale n. 71 del 30 luglio 2013, la provincia Bat a partire dal 1o settembre 2013 affidava la gestione dell'istituto alla Fondazione Bonomo e giustificava la costituzione della predetta Fondazione in considerazione della circostanza secondo cui «il legislatore ha nel tempo introdotto norme che hanno progressivamente ristretto la sfera di autonomia degli Enti Locali, riducendo le risorse a loro disposizione e condizionando le scelte relative alla loro allocazione»; pertanto appariva «opportuno individuare un nuovo modello gestionale per l'istituto Tecnico Agrario «Umberto I» che, nel rispetto dei vincoli normativi, potesse «coniugare efficacia ed efficienza gestionale in sinergia con altri servizi similari salvaguardando il patrimonio di conoscenze e di competenze acquisite nell'esperienza di gestione diretta, con la centralità del ruolo pubblico e con l'assenza di scopo lucrativo». In considerazione di quanto esposto, la provincia Bat assegnava la gestione dell'ITA alla neo-costituita Fondazione, al fine di «superare gli ostacoli normativi medio-tempore intervenuti e non disperdere una tradizione consolidata di erogazione ultrasecolare di una formazione di elevata qualità nel territorio provinciale», rendendosi necessario che «i dipendenti assunti a tempo indeterminato» continuassero «a prestare servizio con ruolo di docenti per consentire lo svolgimento delle attività didattiche senza soluzione di continuità». L'organico dell'ITA consta attualmente di 9 docenti con contratto a tempo indeterminato e 30 docenti con contratto a tempo determinato;
   i docenti facenti parte delle graduatorie di merito già approvate e pubblicate dalla provincia Bat, si sono visti costretti a sottoscrivere dei contratti di lavoro a tempo determinato, con decorrenza da settembre 2013 e con scadenza 30 giugno 2014, cioè per l'anno scolastico 2013/2014, con la Fondazione Bonomo, nuovo gestore dell'istituto tecnico agrario «Umberto I» di Andria. Tali contratti individuali, seppur sottoscritti richiamando esplicitamente l'articolo 22 C.C.N.L. (per il personale della scuola non statale) ANINSEI del 3 marzo 2011, oltre a prevedere una retribuzione mensile di gran lunga inferiore a quella dei docenti impiegati nello Stato nonché dei docenti a tempo indeterminato dipendenti della provincia stessa (quindi creando in maniera ingiustificata una disparità di trattamento a danno dei docenti a tempo determinato), potrebbero essere affetti ad avviso dell'interrogante da profili di illegittimità in quanto il rapporto di lavoro avrebbe dovuto essere «di natura subordinata a tempo indeterminato», così come previsto dal su citato articolo 22;
   poiché, nonostante vari incontri con l'amministrazione provinciale, si rilevava l'indisponibilità alla conversione dei predetti contratti individuali a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato, i docenti in data 23 gennaio 2014 depositavano ricorso dinanzi al giudice del lavoro, tribunale di Trani per l'accertamento del diritto e la condanna di controparte alla conversione dei predetti contratti di lavoro individuali. Il ricorso era notificato ex articolo 140 c.p.c. il 19 febbraio 2014. Si vuole sottolineare che i docenti assunti a tempo determinato non sono supplenti, ma ricoprono cattedre vuote;
   con deliberazione della giunta regionale del 23 gennaio 2014, n. 14 relativa al «Piano regionale di dimensionamento della rete delle istituzioni scolastiche e di programmazione dell'offerta formativa per l'anno scolastico 2014/2015» pubblicata nel BURP del 19 febbraio 2014, per la prima volta i docenti venivano a conoscenza della proposta dell'IISS «R. Lotti» di Andria, in particolare della «Richiesta di attivazione del settore tecnologico, indirizzo agraria, agroindustria ed agroalimentare», della «Richiesta di annessione dell'istituto Tecnico Agrario di Andria in corso di statalizzazione» e del parere favorevole da parte della provincia Bat alla suddetta proposta «in quanto consente di conservare sul territorio l'offerta formativa dell'Istituto Tecnico Agrario di Andria senza disperdere il patrimonio storico, didattico e culturale»; del fatto che sono «in fase di definizione i rapporti tra provincia, USR ed amministrazione scolastica previo convenzionamento»; del parere concordante dell'USR Puglia con l'amministrazione provinciale; dell'autorizzazione dell'attivazione del «settore tecnologico, indirizzo agraria, agroindustria ed agroalimentare, limitatamente al corso di studio e non anche del personale docente e ATA già alle dipendenze della Provincia»;
   nonostante il ricorso regolarmente notificato, con nota del 27 febbraio 2014 la Fondazione Bonomo, richiamando la delibera della giunta regionale n. 14 del 23 gennaio 2014 avente ad oggetto il «Piano regionale di dimensionamento della rete delle istituzioni scolastiche e di programmazione dell'offerta formativa per l'a.s. 2014/2015», facendo proprie deduzioni non riscontrabili nella predetta deliberazione e, ritenendo che fosse stata autorizzata l'aggregazione tra l'ITA e l'IISS «R. Lotti», comunicava ai docenti assunti a tempo determinato che: «l'Ufficio Scolastico Regionale ha comunicato l'avvenuta approvazione da parte della Giunta Regionale del Piano in oggetto indicato. Tale piano ha, tra l'altro, autorizzato l'aggregazione tra l'Istituto Tecnico Agrario «Umberto I» di Andria e l'IISS «R. Lotti» sempre di Andria, previa attivazione presso quest'ultimo Istituto del settore tecnologico, indirizzo agraria, agroindustria e agroalimentare.
  In ragione di tale provvedimento regionale, dal prossimo anno scolastico 2014/2015, sarà operativa la statalizzazione delle attività scolastiche dell'ITA e, conseguentemente, la gestione in regime di «parità» scolastica delle stesse sarà trasferita ex ufficio sotto l'egida dell'Ufficio Scolastico Regionale. Pertanto, la possibilità del rinnovo, prevista dall'articolo 5, della Convenzione sottoscritta in data 17 settembre 2013 con la Provincia Barletta-Andria-Trani, non potrà in alcun caso essere esercitata per il venir meno della motivazione che ha originato l'affidamento della gestione dell'Istituto alla Fondazione. Tanto premesso, si comunica che la gestione dell'ITA «Umberto I» da parte di questa Fondazione, terminerà con la conclusione delle attività didattiche dell'anno scolastico 2013/2014 e, pertanto, giusta quanto stabilito nel contratto a tempo determinato sottoscritto con la S.V., anche il suo rapporto di lavoro cesserà il 30 giugno 2014»;
   per iniziativa del dirigente scolastico dell'IISS «R. Lotti» è stata autorizzata presso lo stesso istituto l'attivazione del «settore tecnologico, indirizzo agrario, agroindustria ed agroalimentare»;
   i docenti assunti a tempo determinato non sono supplenti, ma ricoprono cattedre vuote, che la provincia non aveva potuto assumere a tempo indeterminato a causa di vincoli normativi, in particolare l'articolo 14, comma 9, della legge n. 78 del 2010. Peraltro, vi sono casi analoghi in Italia ove i docenti assunti a tempo indeterminato, nel processo di statalizzazione, siano stati trasferiti allo Stato e questo non è valso finora per i docenti dell'ITA che pure hanno presentato ricorso dinanzi al giudice del lavoro per la conversione del contratto individuale –:
   quali iniziative di competenza, anche normative, si intendano porre in essere per garantire la continuità didattica di cui si parla nella deliberazione n. 3 del 13 marzo 2013 nonché per tutelare i lavoratori dell'Istituto tecnico agrario «Umberto I».
(4-04306)


   FITZGERALD NISSOLI, OLIVERIO e PREZIOSI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   come sta emergendo da numerose interrogazioni parlamentari e dai ricorsi giurisdizionali presentati o in via di presentazione, il procedimento relativo alla abilitazione scientifica nazionale per la funzione di professore universitario di
prima e seconda fascia suscita molte perplessità sul suo svolgimento e sulle sue conclusioni;
   nel corso della procedura, infatti, sono state modificate le regole inerenti alle cosiddette mediane e ripetutamente sono stati dilatati i termini di conclusione dei lavori;
   anche nel settore concorsuale 12H3, filosofia del diritto, sono state segnalate diverse anomalie se non vere e proprie gravi irregolarità frutto di quella che agli interroganti appare una distorsione inaccettabile che la commissione ha fatto dei suoi compiti, confondendo il procedimento di abilitazione con una procedura concorsuale;  
   in particolare, si riscontrano giudizi contraddittori, incongruenti, a volte stranamente ripetitivi (anche nell'uso delle parole), illogici, senza adeguata e rigorosa motivazione e di valutazione analitica dei titoli, che hanno dato vita a disparità di trattamento tra i candidati e che hanno portato in molti casi a ingenerosi giudizi che hanno screditato di fatto l'immagine di alcuni candidati che, a giudizio degli interroganti, in spregio alle regole sulle privacy, si sono visti precipitare nella gogna virtuale;
   anche la scelta di mantenere la commissione in vita per una nuova tornata appare contraria ad ogni regola giuridica e morale, portando alla aberrante situazione (chiaramente contraria alla Costituzione) per cui i candidati conoscono in anticipo i nomi di chi li giudicherà;
   come se non bastasse, uno dei commissari del settore 12H3 sembrerebbe per quanto risulta agli interroganti essere in possesso di pubblicazioni poco o per nulla pertinenti al settore per cui è chiamato ad esprimere giudizi e non si capisce come sia stato possibile sorteggiarlo;
   risulta, infine, estremamente ingiusto e inutilmente punitivo il divieto per i candidati non abilitati di partecipare alle successive tornate –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare per verificare urgentemente quanto evidenziato ed assumere severe determinazioni conseguenti. (4-04323)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   nel corso dell'anno 2013 l'INPS ha recapitato a molte persone in tutta Italia, che dal 2007 hanno svolto la professione di intermediario assicurativo, verbali di accertamento in cui si comunica il mancato rispetto degli obblighi contributivi previsti dalla legge. Più precisamente i verbali contestano il mancato rispetto dell'articolo 44, comma 2, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, il quale stabilisce che, ai fini della tutela previdenziale, i produttori di terzo e quarto gruppo sono soggetti all'obbligo di iscrizione all'assicurazione per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti degli esercenti attività commerciali;
   il numero di persone che hanno ricevuto i verbali di accertamento da parte dell'INPS, in larga parte giovani lavoratori, si attesterebbe tra le 12 e le 15 mila unità, cifre ben note alle principali organizzazioni sindacali di categoria, alle quali si sono rivolte molte delle persone raggiunte dagli avvisi di pagamento inviati dall'INPS, al fine di ottenere chiarimenti e assistenza;
   la caratteristica più singolare di questa vicenda consiste nel fatto che la quasi totalità degli intermediari assicurativi ai quali l'INPS ha contestato la mancata iscrizione alla gestione speciale commercianti in qualità di produttore assicurativo del III e IV gruppo per gli anni dal 2007 al 2012, ha lavorato nello stesso periodo per la stessa compagnia assicurativa;
   come risulta da segnalazioni giunte all'interpellante la compagnia assicurativa in questione con una lettera di autorizzazione comunicava agli interessati l'esito positivo della richiesta di operare per proprio conto quale produttore libero, dando notizia dell'avvenuta iscrizione nella sezione C del registro unico degli intermediari assicurativi e riassicurativi (RUI);
   da alcune segnalazioni giunte all'interpellante risulterebbe che a fronte di richieste da parte dei diretti interessati in merito agli obblighi contributivi conseguenti l'iscrizione nella sezione C del RUI gli agenti generali della compagnia assicurativa avrebbero ribadito la non esistenza di obblighi contributivi a cui adempiere e che non fosse necessario aprire una partita IVA;
   se il principio secolare che «ignorantia legis non excusat» è un pilastro del diritto, costituisce obiettivamente un'anomalia, quanto meno di natura statistica, che la colpevole non conoscenza della legge in materia di obblighi contributivi, o peggio la volontà fraudolenta di aggirare le norme vigenti in materia nel settore assicurativo si riscontrino soltanto nei produttori liberi iscritti al Rui per conto della stessa compagnia assicurativa e per un periodo temporale ben delineato che va dal 2007 al 2013;
   il disposto dell'articolo 44, comma 2, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, in merito agli obblighi previdenziali dei produttori di terzo e quarto gruppo di cui agli articoli 5 e 6 del contratto collettivo nazionale del 25 maggio 1939, è di difficile interpretazione, come dimostra il fatto che l'INPS abbia emanato due circolari interpretative al fine di chiarirne la corretta applicazione, quali le circolari 12/2004 e 78/2010, e da ultimo abbia emanato il messaggio n. 16291 dell'11 ottobre 2013;
   le cifre richieste da parte dell'INPS a titolo di mancata iscrizione alla gestione speciale commercianti in qualità di produttore assicurativo del III e IV per il periodo 2008-2013, unitamente agli importi delle sanzioni e delle more previsti, danno luogo a saldi di notevole rilevanza economica, che divengono ancora più pesanti perché in gran parte riguardano giovani che nel periodo lavorativo di riferimento hanno percepito redditi estremamente bassi. Una situazione questa che configura una vera e propria emergenza sociale per il numero non irrilevante di persone coinvolte e che è aggravata dall'estremo ritardo con cui l'INPS ha inviato le comunicazioni di accertamento delle presunte violazioni, essendo state notificate a pochi mesi dalla prescrizione delle stesse –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interpellato al fine di evitare che la vicenda riportata in premessa produca ingiustizie di fatto in danno di molti giovani lavoratori.
(2-00489) «Cozzolino».

Interrogazione a risposta orale:


   PAGLIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   a Bologna, in via Zamboni 25, presso Palazzo Paleotti ha sede una biblioteca multimediale da 250 postazioni, cui possono accedere studenti e personale della locale università, nonché gli utenti della biblioteca Sala Borsa;
   Unibo ha scelto di appoggiarsi per l'appalto della gestione della suddetta sala a Consip spa, rientrando nel lotto FM3, vinto da Coopservice;
   per il servizio di portierato Coopservice riceve da Unibo euro 14,90 all'ora;
   a seguito del subentro di Coopservice nel servizio, ai lavoratori interessati è stato imposto un cambio di contratto, da multiservizi a vigilanza, con conseguente taglio del 40 per cento del salario orario, fino a euro 4,20 lordi;
   tale situazione potrebbe presto interessare altri lavoratori, coinvolti nell'appalto portinerie;
   il direttore generale di Unibo Giuseppe Colpani, all'atto della firma del contratto ha dichiarato «non sapevamo le condizioni reali in cui si sarebbero venuti a trovare i lavoratori. Non le sapevamo perché Coopservice ha mutato il contratto collettivo di lavoro e non è un dato pubblico evidente, questo, dopo aver vinto l'appalto. Noi pensavamo di aver ereditato lo stesso contratto multiservice e quindi non avevamo cognizione di causa rispetto a quelle che erano le conseguenze sui lavoratori» –:
   se il Governo ritenga ammissibile l'imposizione ai lavoratori di una simile condizione vessatoria;
   se alla luce delle considerazioni sopra riportate non si ritenga di intervenire immediatamente sulle modalità di gara Consip, per garantirne trasparenza e rispetto dei diritti dei lavoratori;
   se non si ritenga di dover garantire, in casi di evidente cambio delle condizioni d'appalto da parte della ditta appaltatrice, la possibilità di rescissione unilaterale del contratto;
   se non si ritenga contrario al pubblico interesse pagare euro 14,90 all'ora per quello che è di fatto un mero servizio di intermediazione di manodopera, data l'immediatezza delle mansioni di portierato, a fronte di una paga oraria corrisposta di 4,20 euro l'ora. (3-00735)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo l'Eurostat, il 28,2 per cento della popolazione nel nostro Paese vive a rischio povertà o esclusione sociale, superando i dati della media europea (24,3 per cento). Se si considerano le aree metropolitane, la posizione dell'Italia addirittura si aggrava con il 27,6 percento, arrivando ad occupare le ultime posizioni della classifica, seguita solo da Grecia (29,4 per cento), Lettonia (33,6 per cento) e Bulgaria (38,6 per cento); 
   nel 1987 il Presidente della Commissione europea, Jacques Delors, istituì il Programma europeo di aiuti alimentari agli indigenti dell'Unione europea – PEAD. Tale programma si è rivelato nel tempo uno strumento essenziale per garantire l'ampia disponibilità di derrate alimentari all'interno dell'UE a favore delle persone socialmente ed economicamente più fragili;
   in Italia il PEAD era attuato dall'organismo pagatore agenzia per le erogazioni in agricoltura — AGEA, per il tramite di sette enti caritativi di carattere nazionale accreditati presso lo stesso organismo: Associazione Banco Alimentare di Roma Onlus, Associazione Sempre Insieme per la pace, Caritas italiana, Comunità di Sant'Egidio, Croce Rossa Italiana, Federazione Nazionale Società di San Vincenzo De Paoli, Fondazione Banco Alimentare Onlus e Fondazione Banco delle Opere di Carità;
   nel 2013, gli enti sopra ricordati, attraverso quindicimila strutture caritative territoriali, hanno sostenuto oltre quattro milioni (di cui il 70 per cento cittadini italiani) di persone al di sotto della soglia di povertà, distribuendo gratuitamente oltre centomila tonnellate di prodotti alimentari, suddivisi in pasta, riso, latte, formaggi, legumi, farina, biscotti, polpa di pomodoro, biscotti per l'infanzia, olio di semi e fette biscottate. Un mix di quantità minima per avere un supporto concreto e di qualità garantita per gestire una nutrizione equilibrata;
   nel dettaglio della suddivisione geografica, il programma ha raggiunto i poveri così distribuiti:
    Nord: 1.056.855 poveri, di cui 129.000 bambini (0-5 anni) e 121.906 anziani (over 65 anni);
    Centro 720.636 poveri, di cui 68.00 bambini e 119.043 anziani;
    Sud: 1.542.175 poveri, di cui 149.000 bambini e 220.338 anziani;
    Isole: 748.584 poveri, di cui 81.000 bambini e 117.296 anziani;
   gli effetti del protrarsi della crisi economica e finanziaria stanno aggravando ed estendendo il fenomeno della deprivazione materiale, soprattutto nei territori più poveri del nostro Paese. Solo in Sardegna operano oltre 350 associazioni regionali con oltre 50 mila assistiti annui. Tra queste, l'Associazione nazionale terza età attiva per la solidarietà – ANTEAS Cagliari è riuscita a garantire nel 2013 l'assistenza alimentare mensile a circa novanta famiglie;
   a causa delle riforme della PAC, della fine delle scorte di sovrapproduzione agricola su cui si fondava il PEAD e della drastica riduzione delle risorse finanziarie del bilancio dell'Unione europea, la Commissione europea è giunta alla determinazione di concludere tale programma alla fine del 2013 e di elaborare per il futuro un nuovo modello di aiuti europei;
   il 25 febbraio 2014 il Parlamento Europeo ha approvato il FEAD – Fund for European Aid to the Most Deprived che riserva 2,5 miliardi di euro per finanziare l'assistenza europea agli indigenti. Tale stanziamento, da suddividere tra i 28 Stati membri, costituisce tuttavia un inadeguato capitolo di bilancio dedicato ad una generica lotta alla povertà, non rivolta espressamente all'emergenza alimentare;
   dal 2014 ogni Stato membro utilizzerà la quota ad esso spettante (per l'Italia si ipotizzano circa 35 milioni di euro all'anno) per combattere le varie forme di deprivazione materiale, senza necessariamente optare per il sostegno alimentare;
   ogni Stato membro dovrà anche presentare alla Commissione europea un programma operativo per il periodo compreso tra il 1o gennaio 2014 e il 31 dicembre 2020 ed una valutazione ex ante. Tale programma operativo sarà redatto dallo Stato membro o da un'autorità da esso designata in cooperazione con le competenti autorità regionali e locali, nonché con gli enti che rappresentano la società civile e gli organismi per la promozione della parità e della non discriminazione;
   gli Enti caritativi presenti sul territorio italiano e operanti nel settore delle povertà estreme che in questi anni hanno beneficiato del PEAD stanno manifestando la propria forte preoccupazione sia per la fine del programma, sia per le prospettive relative al nuovo fondo, non più vincolato ai soli aiuti alimentari;
   il dilungarsi delle tempistiche di attivazione e gestione da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del FEAD rischia di provocare la brusca interruzione della virtuosa filiera di aiuti alimentari, anche in considerazione del fatto che le strutture e gli organismi regionali non potranno più ricevere donazioni in danaro ma solo in prodotti alimentari, con potenziali conseguenze ed effetti devastanti sulle fasce più deboli della popolazione, specie di quella residente nelle aree del Paese tradizionalmente più povere –:
   quale sia l'entità esatta del finanziamento spettante all'Italia dell'ambito del futuro FEAD – Fund for European Aid to the Most Deprived;
   se corrisponda al vero che lo Stato italiano avrebbe già ricevuto dall'Unione europea un fondo specifico per consentire il proseguimento dell'assistenza ai cittadini indigenti nell'attuale fase di transizione;
   se intenda impegnarsi a coinvolgere tempestivamente, in un auspicabile lavoro comune, le strutture caritative nazionali e regionali che operano nel settore per la stesura dei programmi operativi di assistenza alimentare, come peraltro prevede lo stesso FEAD. (4-04282)


   RIZZETTO, PRODANI e BALDASSARRE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Piaggio & C. è una storica società motociclistica fondata nel 1884, facente parte del gruppo Piaggio, attualmente controllata dall’holding industriale IMMSI s.p.a. e quotata in Borsa italiana;
   negli anni ottanta la Piaggio contava circa 12.000 operai, oltre i 30.000 dell'indotto, tuttavia, nel tempo, vi è stata una drastica diminuzione dei posti di lavoro;
   a parere dell'interrogante, a causa di alcuni accordi sindacali avallati dai Governi che si sono succeduti, nell'ambito del gruppo vi è stato uno svilimento dei diritti dei lavoratori attraverso licenziamenti, il ricorso alla cassa integrazione – avvenuto in modo non opportuno – nonché una progressiva delocalizzazione degli impianti di produzione all'estero;
   la Piaggio ha dichiarato nel 2013 una diminuzione dei volumi di vendite – nel settore scooter, moto e ciclomotori – di poco superiore al 20 per cento rispetto al 2010 e tale fatto, a quanto è dato sapere, ha determinato il ricorso ai contratti di solidarietà dei tremila dipendenti della sede di Pontedera. Tuttavia, risulta che l'assenza nell'anno 2013 di lavoratori stagionali e l'uscita di trecento operai con il ricorso alla mobilità nell'anno 2011, avrebbe già coperto una riduzione della produzione del 20 per cento, perciò sembra che la riduzione delle ore di lavoro, per gli attuali occupati, non dipenda dalla diminuzione delle vendite così come risulta dal contratto di solidarietà;
   al riguardo,  gli annunciati 1.200 esuberi della sede di Pontedera, a fronte dei quali si è fatto ricorso ai contratti di solidarietà, appaiono all'interrogante non corrispondenti alla realtà, posto che, nell'anno 2013, è stato richiesto il primo contratto di solidarietà con un bilancio chiuso in attivo di 42 milioni di euro ed un dividendo riconosciuto agli azionisti di 33 milioni di euro, senza neanche procedere a corrispondere il dovuto premio di produzione ai dipendenti;
   inoltre, si è appreso che, contemporaneamente all'applicazione del contratto di solidarietà, l'impresa ricorre all'appalto di lavori all'esterno – ad esempio, per collaudare alcuni modelli di scooter e moto – ed importa veicoli e motori dal sud est asiatico per immetterli nel mercato italiano e europeo. Quindi, di fatto, il ricorso agli ammortizzatori sociali nella sede di Pontedera consente all'azienda di usufruire degli sgravi contributivi, pur avvalendosi di lavorazioni che vengono importate invece di essere eseguite dalle maestranze interne allo stabilimento;
   ebbene, il ricorso ai contratti di solidarietà dovrebbe avvenire per tutelare i lavoratori dipendenti a fronte di una crisi tale da compromettere il livello occupazionale di un'azienda; si ritiene, invece, che, di frequente, lo stesso avvenga in presenza della mera richiesta dell'impresa al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con l'avallo dei sindacati maggiormente rappresentativi sul territorio nazionale;
   nel caso dei lavoratori Piaggio di Pontedera, appare che non vi sia stata una concreta analisi delle cause del presunto calo produttivo e la valutazione della possibilità di applicare soluzioni alternative, per evitare il ricorso agli ammortizzatori sociali;
   in generale, dunque, si ritiene che l'applicazione degli ammortizzatori sociali – che comporta un oneroso contributo pubblico attraverso uno sgravio contributivo che va dal 25 al 35 per cento – debba essere preceduta da un'opportuna verifica del possesso dei requisiti richiesti dalla normativa in materia per evitare che venga riconosciuta, indistintamente, ad imprese realmente in crisi e ad altre che, invece, producono utili e dividendi per i propri azionisti –:
   se e quali azioni siano state messe in atto da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali per verificare la sussistenza dei requisiti richiesti dalla normativa in materia, al fine di autorizzare l'applicazione dei contratti di solidarietà alla Piaggio nella sede di Pontedera;
   se il Ministro interrogato non ritenga che, non sussistendo una crisi aziendale del gruppo Piaggio, gli sgravi contributivi previsti dall'applicazione dei contratti di solidarietà si configurino, di fatto, in una forma di finanziamento all'impresa, ossia un aiuto di Stato;
   se e quali azioni intenda adottare per la tutela degli attuali livelli occupazionali dei lavoratori Piaggio della sede di Pontedera;
   considerando che, di frequente, l'applicazione dei contratti di solidarietà è stata concessa ad imprese che, successivamente, hanno comunque proceduto al licenziamento dei lavoratori, se e quali azioni intenda adottare il Ministro affinché, in futuro, gli sgravi contributivi collegati agli ammortizzatori sociali, siano effettivamente destinati al fine di scongiurare il licenziamento dei lavoratori.
(4-04287)


   PARENTELA, NESCI, ROSTELLATO, RIZZETTO, CIPRINI, TRIPIEDI, COMINARDI, CHIMIENTI e TOFALO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   diversi ex dipendenti del gruppo Phonemedia, assieme ad altri lavoratori in mobilità in deroga provenienti da Cosenza e Reggio, ha tenuto una manifestazione recentemente, a Catanzaro, davanti alla sede dell'assessorato regionale al lavoro;
   l'azienda li ha licenziati il 31 dicembre 2011, dopo 2 anni di cassa integrazione in deroga e oggi sono privi di ogni sostegno al reddito, avendo terminato ogni misura ordinaria. Il «rimpallo» di competenze tra regione e Ministero in ordine alla copertura economica del loro sostegno al reddito (mobilità in deroga regionale) è stata una costante nella storia infinita di questi lavoratori che ad oggi attendono ancora mensilità arretrate e il TFR;
   i dipendenti dell'ex gruppo Phonemedia (Multivoice, WCCR e Soft4Web) sono oltre 1.500 tra le sedi di Catanzaro e Vibo e sono senza lavoro ormai dal 31 dicembre 2011;
   oggi attendono ancora il pagamento delle spettanze arretrate sulla base della definizione delle competenze tra regione e Ministero;
   gli ex lavoratori, che hanno espresso preoccupazione per il precipitare della situazione politica della regione Calabria, chiedono di avere risposte certe sul pagamento delle mensilità arretrate –:
   se non ritenga opportuno fornire chiarimenti urgenti in merito al ritardo delle spettanze arretrate e del pagamento del TFR degli ex dipendenti citati in premessa;
   come intenda intervenire, per quanto di competenza, per velocizzare i tempi burocratici affinché gli ex lavoratori possano avere quanto gli spetta. (4-04292)


   BALDASSARRE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dell'incorporazione di Inpdap in Inps tutti i servizi ed i relativi contratti sono passati alla diretta gestione di Inps;
   tra i suddetti servizi, di non poco conto sono quelli relativi al deposito, alla gestione, all'archiviazione e distribuzione agli uffici Inps del materiale cartaceo dell'istituto – archivi ex Inpdap –:
   se risulti affidataria, in modo diretto o in subappalto la società Delta 1 Servizi spa;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle modalità di affidamento del suddetto servizio. (4-04300)


   POLVERINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con lettera del 24 marzo 2014 la società Autogrill spa ha avviato una procedura di licenziamento collettivo ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge n. 23 del 1991 per 77 dipendenti occupati nello storico locale di Via del Corso 181 già sede di Alemagna e, prima ancora, dello storico Caffè Aragno;
   le motivazioni di carattere economico con le quali l'azienda giustifica una simile riduzione di personale sono esposte, nella suddetta lettera, in maniera poco chiara e comunque ambigua e non rispecchiano la situazione complessiva della società;
   Autogrill spa, gestisce in maniera spregiudicata le risorse umane del gruppo utilizzando con poca trasparenza le procedure di mobilità – come la sottoscritta ha documentato in una precedente interrogazione del 9 aprile 2013 al Ministro del lavoro e delle politiche sociali – senza, peraltro, contribuire all'erogazione delle prestazioni da parte dell'Inps in quanto non rientra tra le imprese obbligate al versamento del contributo di mobilità;
   da gennaio 2013 l'azienda ha ridotto gli organici di ben 1000 unità, pari al 10 per cento dell'organico complessivo, e non risulta chiaro quale sia la strategia industriale di un gruppo che – inspiegabilmente (a meno che le «spiegazioni» non arrivino dall'istruttoria che sembra sia stata avviata, da alcuni giorni, dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato) – rinuncia a partecipare alle gare d'asta per l'assegnazione delle concessioni per la ristorazione autostradale;
   ancor più inspiegabile appare la decisione di abbandonare una posizione strategica come quella di via del Corso, 181 che affianca ad un indubbio valore storico e culturale per la Città, un altrettanto valido valore commerciale per l'azienda –:
   se non ritenga opportuno ed urgente convocare un tavolo con le organizzazioni sindacali del settore, l'azienda, il prefetto di Roma e le istituzioni del territorio per un confronto sulla situazione dei dipendenti di via del Corso, 181 al fine di scongiurare i licenziamenti annunciati e, al tempo stesso, avviare tramite il Comando dei carabinieri per la tutela del lavoro una indagine sull'applicazione delle norme e delle leggi sul lavoro da parte la di Autogrill spa. (4-04310)


   COCCIA e FOSSATI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   è stato pubblicato, sulla Gazzetta ufficiale n. 68 del 22 marzo 2014, il decreto legislativo n. 39 del 4 marzo 2014, attuativo della direttiva comunitaria 2011/93, finalizzato alla lotta contro lo sfruttamento minorile sotto l'aspetto sessuale e la pornografia;
   tale provvedimento, all'articolo 2, interviene sul decreto del Presidente della Repubblica n. 313 del 2002 introducendo l'articolo 25-bis il quale afferma che chi intende impiegare al lavoro una persona per lo svolgimento di attività professionali o attività volontarie organizzate che comportino contatti diretti e regolari con minori, deve chiedere il certificato penale del casellario giudiziale dal quale risulti l'assenza di condanne ai sensi degli articoli 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quinquies, 609-undieces del codice penale e l'assenza di misure interdittive che comportino il divieto di contatti diretti e regolari con minori;
   il datore di lavoro che non adempie a tale obbligo è soggetto ad una sanzione pecuniaria amministrativa compresa tra 10.000 e 15.000 euro;
   il provvedimento entrerà in vigore il prossimo 6 aprile, trascorsi gli ordinari 15 giorni di vacatio;
   appare evidente come il campo di applicazione della norma sia molto largo: scuole, asili, palestre, alle piscine, agli autisti degli scuolabus, solo per citare alcuni esempi;
   in tal senso, pare assai difficile, viste le decine di migliaia di persone coinvolte, che le cancellerie dei tribunali riescano in pochi giorni a produrre tutti questi certificati;
   inoltre la competenza all'applicazione del provvedimento sanzionatorio sembrerebbe essere in capo anche agli organi di vigilanza del Ministero del lavoro atteso che tale certificato verrà ad assumere la veste di documento necessario per lo svolgimento dell'attività lavorativa, quand'anche volontaria –:
   se non ritenga opportuno, vista l'ampiezza del campo di applicazione della norma, il gran numero di richieste che verranno fatte e i tempi stretti per produrre la documentazione, assumere iniziative dirette a concedere una proroga di almeno un mese ai datori di lavoro;
   se non intenda produrre un chiarimento amministrativo rispetto alla competenza di applicazione del provvedimento. (4-04315)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
   nella interpellanza urgente del 9 gennaio 2014 n. 2-00360, presentata dal sottoscritto interpellante, si segnalava che: «l'annotazione di Polizia giudiziaria n. 169/75-12-2009 del 21 febbraio 2009 svolta dal Comando dei Carabinieri delle politiche agricole e alimentari su delega di indagini della Procura della Repubblica di Roma rileva che dai dati forniti da AGEA, risultano 1593 aziende che, pur essendo assegnatari di quote di circa 354.661,00 quintali, hanno presentato una dichiarazione di produzione uguale a 0,00Kg nei modelli L1»;
   si è ricevuta risposta alle domande poste nell'interpellanza che riguardavano i contributi relativi alla politica agricola comune o titoli per contributi politica agricola comune acquistati da queste aziende ed eventuali casi di affitto o vendita di titoli «quote latte» di queste 1539 aziende;
   nella risposta il sottosegretario pro tempore onorevole Giuseppe Castiglione nella seduta n. 154 del 17 gennaio 2014 indicava in 1.697.050 e 1.662.246 i capi bovini da latte presenti nelle annate 2007-2008 e 2008-2009 in Italia e una produzione di 11.106 tonnellate nel 2007-2008, mentre la compagna 2008-2009 si è attestata a 10.896 tonnellate;
   le vacche presenti nelle aziende italiane non partoriscono ogni anno essendoci un periodo di interparto mediamente di 420 giorni, dovuto ad un ritardo del concepimento degli animali, rispetto agli ipotetici 365 giorni. Le bovine da latte in piena produzione annualmente sono circa l'82 per cento del patrimonio, mentre il restante 18 per cento circa ha produzioni inferiori rispetto alla media nazionale –:
   se le 1.539 aziende da latte bovine rilevate dal comando carabinieri con dichiarazione di produzione uguale a 0,00, come attestato dai modelli L1, abbiano preso contributi politica agricola comune sulla produzione latte fino alla campagna lattiero casearia 2004-2005 e se abbiano acquisito titoli per contributi politica agricola comune nel premio unico aziendale a partire dal 2005-2006;
   se tali aziende abbiano avuto accesso a contributi comunitari previsti nei piani di sviluppo rurale o dall'organizzazione comune di mercato;
   se tali 1.539 aziende abbiano affittato o venduto titoli «quote latte» negli anni interessati e per quali motivi AGEA non abbia provveduto a revocare tali quote come dichiarato da circolari della stessa AGEA;
   quale sia il numero dei parti e delle vitelle/i nati da bovine da latte negli anni 2007-2008-2009.
(2-00490) «Cova, Marrocu, Oliverio, Monaco, Galperti, Nicoletti, Burtone, Gasparini, Cassano, Luciano Agostini, Lodolini, Zanin, Bindi, Ferrari, Amato, Miotto, Fiorio, Preziosi, Salvatore Piccolo, Miccoli, Mognato, Fontanelli, Carra, Anzaldi, Marco Di Stefano, Verini, Borghi, Peluffo, Gullo, Giorgio Piccolo, Francesco Sanna, Battaglia, Gianni Farina, Zardini, Pes, Magorno».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FRANCO BORDO, GIANCARLO GIORDANO e PALAZZOTTO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia è tra i principali produttori ed esportatori mondiali di castagne (Castanea sativa Miller), è il primo esportatore mondiale per valore degli scambi e il secondo per quantità scambiate, dopo la Cina, ma la quota di mercato è in rapida decrescita. L'industria di trasformazione si fornisce spesso all'estero a causa del rilevante calo della produzione italiana sul mercato mondiale che è scesa in pochi anni dall'11 per cento al 4 per cento;
   il castagno ha un ruolo preminente tra le formazioni forestali italiane, non solo per l'elevata produttività, la qualità e la varietà degli assortimenti legnosi, ma soprattutto per la consistente presenza sul territorio nazionale. Nei 10,5 milioni di ettari occupati da boschi, la frazione investita a castagno rappresenta il 7,60 per cento di quella forestale, per un totale di circa 780.000 ettari. Si tratta di un patrimonio forestale, in gran parte di origine antropica, la cui ubicazione si concentra in diverse regioni, specificatamente il Piemonte, la Toscana e la Liguria detengono oltre il 50 per cento del patrimonio nazionale e, includendo la Lombardia, la Calabria, la Campania, l'Emilia Romagna e il Lazio, che hanno un patrimonio superiore a 30.000 ettari, si giunge al 90 per cento;
   il castagno rappresenta un presidio ecosistemico fondamentale per il territorio e svolge un ruolo strategico nella protezione del suolo dai dissesti idrogeologici occupando le pendici più acclivi e le parti più antropizzate del territorio, in particolar modo per quei territori a prevalenza collinare e montana, dove la secolare coltivazione della cupulifera ha consentito la preservazione di grandi aree paesaggistiche molto suggestive;
   la Conferenza Stato-regioni in data 18 novembre 2010 ha approvato il «Piano Castanicolo Nazionale», allegando uno specifico documento tecnico: «Riferimenti tecnici di attuazione della lotta biologica al cinipide calligeno (Dryocosmus kuriphilus) del castagno con il Torymus sinensis», redatto dall'università di Torino;
   il cinipide calligeno, o vespa cinese, è un insetto che produce ingenti danni al castagno con riduzione dello sviluppo vegetativo e della produzione (anche del 50/70 per cento), deperimento generale con crescita della vulnerabilità ad altre avversità biotiche ed abiotiche, morte nei casi rari di forti attacchi a piante giovani;
   il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, con il «Piano Castanicolo Nazionale» ha investito un milione di euro per la ricerca di forma di lotta al cinipide tra gli anni 2010 e 2013, a cui si aggiungono gli sforzi in termini di risorse e personale specializzato impiegato dalle regioni con il supporto delle università, del Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura, CRA, e del Consiglio nazionale delle ricerche, CNR;
   la lotta biologica, sviluppata in Giappone, prevede il lancio, la propagazione e la stabilizzazione dell'antagonista biologico del cinipide, Torymus sinensis;
   dopo alcuni anni di sperimentazione, la difesa basata esclusivamente sulla lotta biologica ha mostrato forti problemi e generato perplessità rispetto ai tempi troppo lunghi di risposta alle tecniche «propagative» e, per questi motivi, sarebbe opportuno introdurre nella castanicoltura specializzata, strategie di difesa integrata, in particolar modo nel territorio campano;
   il «Piano Castanicolo Nazionale», oltre gli aspetti fitopatologici ed alla riduzione dei costi, deve essere il volano per sviluppare una strategia commerciale forte, centrata sulla qualità riconosciuta delle produzioni nazionali, l'organizzazione dell'offerta, una promozione efficace e servizi adeguati per favorire la fidelizzazione dei consumatori;
   in Italia vi sono diverse indicazioni geografiche protette, IGP, e diverse denominazioni di origine controllate per le castagne, marroni ed alcuni prodotti derivati. La quantità controllata, certificata e commercializzata è assolutamente irrisoria. Occorre, pertanto, intervenire per selezionare le denominazioni suscettibili di sviluppo, costituire consorzi e distretti, trasformare le IGP in DOP e sviluppare, contestualmente, strategie commerciali che sostengano e valorizzino maggiormente le filiere regionali con un piano ad hoc di promozione sui mercati esteri della «castagna italiana». A tal riguardo, è opportuno segnalare che i maggiori competitor internazionali nella produzione, commercializzazione e trasformazione delle castagne, quali Cina e Corea del Sud, stanno aggredendo e conquistando spazi «italiani» in Nord America e in Nord Europa con massicce campagne pubblicitarie poste in essere dai rispettivi Ministeri dell'agricoltura;
   le ulteriori criticità della filiera castanicola italiana sono dovute alla esigua presenza di operatori che trasformano e commercializzano il prodotto sui mercati esteri e nazionali, da un'offerta frammentata costituita da aziende di piccole dimensioni e dalla presenza di numerosi intermediari. Tale struttura si riflette sia sul prezzo alla produzione (poco remunerativo) che su quello al consumo (troppo elevato) –:
   quali siano stati i risultati ottenuti dal «Piano nazionale castanicolo 2010-2013» e a quanto ammonti il suo plafond;
   se il Ministro non ritenga urgente finanziare con risorse adeguate per l'anno 2014 il piano del settore castanicolo;
   se non sia opportuno adeguare il «Piano nazionale castanicolo» con azioni realmente efficaci anche alla luce delle campagne pubblicitarie e di sensibilizzazione poste in essere dai competitor internazionali che producono castagne che non posseggono le qualità organolettiche della «castagna italiana». (5-02525)


   GALLINELLA, PARENTELA, BENEDETTI, GAGNARLI, LUPO, MASSIMILIANO BERNINI e L'ABBATE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il termine di scadenza per la presentazione delle domande uniche PAC da parte delle aziende agricole italiane è previsto per il prossimo 15 maggio, ma, ad oggi, secondo quanto si apprende da dichiarazioni ufficiali dei vertici di AGEA sono state presentate solamente 20 mila domande, che rappresentano il 2,5 per cento di quelle previste (circa 800 mila);
   le domande uniche per l'accesso ai pagamenti previsti dalla PAC avviene per tramite dei cosiddetti CAA, centri di assistenza agricola, che svolgono specifiche attività per conto dell'azienda agricola;
   l'esistenza dei centri di assistenza agricola è regolamentata dal decreto legislativo n. 165 del 1999 (modificato dal decreto legislativo n. 188 del 2000) che istituisce AGEA e prevede, tra l'altro, che le regioni possano istituire propri organismi pagatori, nonché possibilità per questi ultimi (articolo 3-bis) di stipulare convenzioni a titolo oneroso con i centri di assistenza agricola per l'esecuzione di attività specifiche;
   tali attività sono disciplinate dal decreto ministeriale del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali 27 marzo 2008 che stabilisce anche i requisiti minimi di garanzia e di funzionamento dei centri di assistenza agricola sulla base delle specifiche convenzioni con gli organismi pagatori;
   l'Organismo di coordinamento AGEA riconosce, inoltre, ai centri di assistenza agricola un compenso per la costituzione, l'aggiornamento e la tenuta del fascicolo aziendale: per l'anno 2012 erogati 12,36 euro per 1.376.000 fascicoli e nel 2013 da erogare 10,61 euro per 1.365.000 fascicoli;
   tale ultima funzione è fondamentale per la gestione di tutte le attività di un'azienda agricola, poiché dal fascicolo aziendale, correttamente e costantemente aggiornato, dipendono gli accessi a numerose tipologie di richiesta telematiche da parte delle singole aziende agricole, quindi anche la stessa presentazione della domanda PAC;
   agli interroganti risulta che per il 2014 nel bilancio di AGEA non sia prevista alcuna risorsa da destinare ai centri di assistenza agricola –:
   quali siano le ragioni del mancato finanziamento per i centri di assistenza agricola nel bilancio di AGEA 2014 e se non ritenga opportuno rifinanziare questa voce al bilancio, visto l'importante ruolo giocato dai centri di assistenza agricola anche se indirettamente, nelle modalità di erogazione dei fondi PAC;
   se non ritenga possibile che la esigua quantità di domande uniche PAC elaborate ad oggi in Italia possa essere ricondotta alla mancata erogazione di risorse destinate ai centri di assistenza agricola da parte di AGEA e quindi al mancato rinnovo della convenzione con gli organismi pagatori. (5-02536)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   VACCA, COLLETTI, LOREFICE, DI VITA, DALL'OSSO, BARONI, CECCONI, DEL GROSSO, DAGA, BUSTO, ZOLEZZI, DE ROSA, TERZONI e GRILLO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel 2007 è stata scoperta una discarica abusiva in località Bussi nelle vicinanze della confluenza del fiume Tirino con il fiume Aterno-Pescara ove è stata rinvenuta una cospicua quantità di materiale altamente inquinante;
   con la nota del 10 maggio 2007 della regione Abruzzo è stata rappresentata, al Ministero dell'ambiente l'urgenza e l'indifferibilità degli interventi di messa in sicurezza e bonifica della discarica abusiva rinvenuta in località Bussi;
   il decreto ministeriale 29 maggio 2008 istituisce e perimetra il sito di bonifica di interesse nazionale in località «Bussi sul Tirino»;
   il decreto-legge n. 225 del 2010 prevede che il commissario delegato Goio provveda, entro il 30 giugno 2011, ad avviare la bonifica del sito d'interesse nazionale di «Bussi sul Tirino»;
   lo stesso decreto prevede un primo stanziamento di 50 milioni di euro per gli anni 2011-2013;
   a quasi 7 anni, e nonostante la presenza di un commissario delegato, i lavori di bonifica di fatto non sono partiti;
   i ritardi alla messa in sicurezza del sito inquinato continuano a produrre effetti nocivi alla natura e alle popolazioni a valle di Bussi;
   dalla relazione dell'istituto superiore di sanità divulgata nei giorni scorsi si evince che per 50 anni i rifiuti tossici hanno rilasciato nelle falde idriche molteplici sostanze pericolose per la salute, con fenomeni che hanno dato luogo a presenza, anche in concentrazioni rilevanti, di composti chimici di accertata o sospetta attività cancerogena nell'uomo e/o nell'animale;
   a partire dagli anni ’80, il Campo Pozzi Sant'Angelo, almeno per oltre due decenni ha contribuito a trasferire le sostanze inquinanti dall'acqua di falda nella rete dell'acquedotto Giardino distribuendo acqua in un vastissimo territorio e per circa 700.000 consumatori (la metà degli abitanti dell'Abruzzo);
   in relazione alle caratteristiche degli inquinanti rilevati e al prolungato periodo di contaminazione, si configura un pericolo concreto per la salute umana, e anche attualmente non si conoscono gli effetti sulla catena alimentare e sul territorio di una così lunga azione inquinante –:
   se il Governo abbia intenzione di avviare una indagine epidemiologica per accertare i reali effetti sulla salute delle popolazioni umane e animale. (5-02529)


   IORI, GRASSI, CASATI, BURTONE, PATRIARCA, MIOTTO, CARNEVALI, CAPONE, AMATO, FOSSATI, D'INCECCO e SBROLLINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   oggi, 1o aprile 2014, tutti gli ospedali psichiatrici giudiziari avrebbero dovuto essere chiusi, eppure il traguardo è ancora lontano;
   il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari previsto per il 31 marzo 2013 era stato già differito dalla legge 23 marzo 2013, n. 57, al 1o aprile 2014, ma la Conferenza Stato regioni nella seduta del 23 gennaio 2014 ha approvato un documento di proposte emendative al decreto-legge n. 150 del 2013 volto a rinviare ulteriormente la definitiva chiusura attraverso la modifica dell'articolo 3-ter comma 4, della legge 17 febbraio 2012, n. 9;
   le regioni necessitano di una ulteriore proroga di ben quattro anni, motivata dalla mancata realizzazione delle strutture alternative agli ospedali psichiatrici giudiziari, in quanto il tempo restante a disposizione non permetterebbe nemmeno l'avvio delle procedure di gara per la scelta del progettista e dell'impresa esecutrice dei lavori;
   si tratta dell'ennesimo rinvio all'attuazione della definitiva ed improcrastinabile chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, strutture che, ad oltre un secolo dalla fondazione, risultano superate, fallimentari nonché inadeguate, sia per quanto concerna la cura e la riabilitazione degli internati, sia per l'affronto che esse rappresentano al grado di civiltà del Paese;
   attualmente in Italia sono presenti sei ospedali psichiatrici giudiziari dislocati ad Aversa, Barcellona Pozzo di Gotto, Castiglione delle Stiviere, Montelupo Fiorentino, Napoli, Salerno e Reggio Emilia e tali strutture ospitano ad oggi circa 1.000 soggetti, a fronte di una capienza massima nettamente inferiore;
   molti internati non presentano alcuna pericolosità sociale e sono da anni in attesa di un trasferimento in comunità terapeutiche, ma continuano a rimanere rinchiusi in deroga alle disposizioni vigenti;
   la relazione presentata nel 2011 dalla commissione parlamentare di inchiesta sull'efficacia ed efficienza del servizio sanitario nazionale evidenzia le drammatiche carenze strutturali, organizzative e di organico degli ospedali psichiatrici giudiziari;
   oltre alle precarie condizioni di internamento è ravvisabile una reale incapacità per gli ospedali psichiatrici giudiziari di dare una risposta alle esigenze cliniche e terapeutiche dei pazienti anche per mancanza di figure professionali adeguate ed in numero proporzionato alla capienza della struttura;
   le regioni hanno provveduto alla presentazione entro il termine del 15 maggio 2013 dei programmi per la realizzazione delle strutture sanitarie alternative agli ospedali psichiatrici giudiziari. È però evidente che il reale superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari non può essere attuato unicamente tramite la realizzazione delle residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza sanitaria (REMS), riducendo la questione alla mera edificazione in ogni regione di istituti per il contenimento del «reo folle»;
   dovrà essere privilegiata una reale riforma del settore rispettosa dei dettati costituzionali e degli aspetti trattamentali, curativi e riabilitativi (poiché già l'allegato C al decreto del Presidente della Repubblica 1o aprile 2008 sottolineava il principio del reinserimento sociale sancito nell'articolo 27 della Costituzione per coloro che, autori di reato, sono stati prosciolti per infermità mentale e ricoverati in ospedali psichiatrici giudiziari;
   il quarto comma dell'articolo 3-ter della legge 17 febbraio 2012, n. 9, recante disposizioni per il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari prevede poi la dimissione «senza indugio» delle persone che hanno cessato di essere socialmente pericolose, con la conseguente presa in carico da parte dei dipartimenti di salute mentale presenti sul territorio;
   in una prospettiva di costituzionalità ed efficacia le residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza sanitaria dovrebbero assumere unicamente una funzione di contenimento dei pazienti giudiziari con un vizio totale di mente e pertanto, anche per ciò che concerne la destinazione dei finanziamenti, pare opportuno privilegiare i percorsi di cura e la valorizzatone delle strutture atte all'esecuzione di misure non detentive ed alternative;
   il decreto-legge 23 marzo 2013, n. 24, intervenendo sull'articolo 3-ter della legge 17 febbraio 2012, n. 9, ha espressamente previsto la necessità di favorire, oltre agli interventi strutturali, le misure-alternative all'internamento negli ospedali psichiatrici giudiziari ovvero nelle nuove strutture, potenziando i servizi di salute mentale sul territorio;
   la complessità del problema, stante anche la necessità di collocare e gestire gli internati in uscita dagli ospedali psichiatrici giudiziari garantendo agli stessi una concreta assistenza e presa in carico, richiede un intervento dello Stato finalizzato a fornire alle regioni linee direttive concrete nonché garantire una costante supervisione anche tramite l'istituzione di una apposita autorità competente;
   va considerata la necessità di adottare provvedimenti urgenti per porre rimedio alle condizioni di internamento in cui versano ad oggi più di mille persone all'interno degli ospedali psichiatrici giudiziari, favorendo le dimissioni dei soggetti non più pericolosi ed evitando la reiterazione delle proroghe motivate dalla mancanza di presa in carico da parte dei servizi del territorio;
   sussiste l'esigenza di provvedere affinché tutto quanto è necessario per l'effettivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari sia attuato entro e non oltre la data fissata dalla ulteriore proroga, tenendo altresì conto della diversa efficienza delle regioni nella realizzazione delle nuove strutture, in modo tale da scongiurare ogni possibile ulteriore rinvio e differimento;
    in risposta all'interrogazione posta dal primo firmatario del presente atto in Commissione affari sociali 5-01394 del 13 novembre 2013 il Sottosegretario alla salute pro tempore onorevole Paolo Fadda, sostenendo l'impossibilità per le regioni di rispettare il termine previsto per il 1o aprile 2014, affermava che la nuova proroga «non dovrà essere una semplice estensione della scadenza prevista dalla legge ma dovrà includere azioni concrete che spingano le regioni a rispettare i tempi che saranno decisi» –:
   quali siano gli orientamenti del Governo circa la durata della proroga, per evitare che essa si trasformi in un continuo rimando, e se sia stato coinvolto il Ministero della giustizia ai fini di una riduzione dei flussi di invii delle persone negli ospedali psichiatrici giudiziari;
   quali iniziative il Ministro intenda adottare affinché in tutto il territorio nazionale, entro e non oltre la scadenza della nuova proroga, si provveda alla realizzazione delle nuove residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza sanitaria previste dalla legge;
   quali iniziative il Ministro ritenga opportuno adottare al fine di rendere le residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza sanitaria strutture non detentive ma di rieducazione e reinserimento, nell'ambito dei servizi di salute mentale, attraverso programmi di accoglienza e cura e tramite percorsi riabilitativi alternativi all'internamento;
   quali siano i programmi di interventi previsti per la gestione degli ospedali psichiatrici giudiziari da ora sino alla chiusura, al fine di favorire i percorsi di dimissione per tutti i soggetti che hanno cessato di essere «socialmente pericolosi» ed hanno diritto al reinserimento sociale. (5-02533)


   FREGOLENT. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il plesso ospedaliero Gradenigo di Torino è stato inaugurato nel 1900; nato come centro di eccellenza per lo studio e la cura delle patologie otorinolaringoiatriche anche per i cittadini non abbienti, è stato successivamente ampliato e gestito dalle Suore Figlie della Carità di San Vincenzo de Paoli;
   l'ospedale è attualmente di proprietà della «Congregazione Figlie della Carità di San Vincenzo»;
   nel 1985, con la legge regionale numero 59 del 3 maggio, l'Ospedale, pur mantenendo le caratteristiche di ente privato, ottiene il riconoscimento di presidio sanitario della regione Piemonte, in quanto dipendente da un istituzione non avente fini di lucro pur mantenendo una organizzazione sanitaria corrispondente a quella degli ospedali pubblici;
   nel 1997 si perfeziona il completamento del percorso di integrazione dell'ospedale con il servizio sanitario nazionale ed ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo del 30 dicembre 1992 numero 502, viene riconosciuta dal Ministero della sanità anche l'equipollenza dei titoli e dei servizi prestati dal personale dipendente del presidio ai titoli e servizi acquisiti dal personale dipendente del Servizio sanitario nazionale (anche ai fini dei concorsi e della mobilità);
   nell'anno 2000 viene inaugurato un ulteriore settore che ha ampliato gli spazi ospedalieri di circa il 60 per cento;
   grazie alla concessione del terreno da parte del Comune di Torino per 99 anni, l'ospedale è oggi dotato di circa posti letto 200, distribuiti fra i reparti di «Otorinolaringoiatria», «Chirurgia Generale», «Medicina Interna», «Oncologia», «Fisioterapia e Riabilitazione», «Urologia», «Ortopedia», «Oculistica», «Gastroenterologia», con l'assistenza di numerosi specialità e servizi («Anestesia e Terapia antalgica», «Radiologia con Tac ed Rmn», «Laboratorio analisi», «Istopatologia», «Medicina legale», «Medicina del Lavoro», «Cardiologia», «Neurologia», «Pneumologia», «Endocrinologia», «Dermoncologia», «Endoscopia Digestiva»): una serie di reparti in grado di fornire una ampia e qualificata offerta al paziente per prestazioni ambulatoriali o in regime di ricovero a carico del Ssn;
   il plesso ospedaliero Gradenigo è anche dotato di un «pronto soccorso» con posti letto per osservazione breve e terapia intensiva;
   l'ospedale è poi da molti anni convenzionato con l'Università di Torino per la formazione medica e infermieristica;
   la struttura di Gradenigo è definita dalla regione Piemonte «ospedale cardine, accreditato come presidio pubblico in fascia A, terzo polo oncologico in Piemonte», ed è una «eccellenza regionale per la cura dei tumori del colon, insufficienza cardiaca e artroscopia di ginocchio»;
   sia nel corso del 2012 che del 2013, l'ospedale ha effettuato oltre 10.000 ricoveri e 45.000 passaggi al pronto soccorso, nonostante le difficoltà finanziarie causate dai pagamenti tardivi del servizio sanitario nazionale e dalla riduzione dei rimborsi dei costi unitari per prestazione;
   in questi ultimi mesi sono emerse notizie di stampa che hanno ventilato una possibile vendita a terzi del presidio ospedaliero: a causa di una difficile situazione finanziaria, in seguito ai tagli dei finanziari della regione, la proprietà vorrebbe infatti cedere la struttura. L'ospedale fin dal 2011 dichiarava infatti una grave difficoltà economica dovuta ai tagli importanti dei finanziamenti da parte della regione Piemonte e dai ritardi nella loro erogazione. Una notizia che ha conseguentemente allarmato i pazienti, la cittadinanza locale, gli enti territoriali, le associazioni sindacali ed i dipendenti circa le conseguenze che tale cessione potrebbe avere nella continuità e qualità dei servizi e delle prestazioni e nella stabilità dei livelli occupazionali;
   le associazioni sindacali hanno infatti dichiarato ha mezzo stampa che «la vendita da ente no-profit a una società privata potrebbe voler dire perdere lo status di presidio pubblico. Ciò comporterebbe la chiusura del Pronto Soccorso e di servizi quali radiologia, laboratorio analisi, ambulatori»;
   contro la vendita dell'ospedale di Gradenigo si sono svolte manifestazioni, sit in di protesta e si è costituito anche un comitato spontaneo di cittadini;
   «fino all'ultimo minuto di governo, la Giunta garantisce la necessaria attenzione per evitare problemi ai servizi erogati» dall'ospedale Gradenigo di Torino: è quanto ha assicurato il 21 marzo scorso durante il dibattito consiliare l'assessore alla sanità della regione Piemonte; «siamo in attesa – ha aggiunto – del parere del ministero sugli aspetti legali di interconnessione con le normative nazionali e comunitarie in relazione a una possibile vendita del presidio a soggetti non più no-profit» –:
   quali riscontri abbia dato o intenda dare il Ministro con riferimento alla questione posta dalla regione Piemonte anche a garanzia del diritto alla salute dei cittadini piemontesi. (5-02538)

Interrogazioni a risposta scritta:


   OLIVERIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sul sito del Quotidiano della Calabria del 29 marzo 2014 è stata pubblicata la notizia secondo la quale nel comune di Ciro Marina, in provincia di Crotone, risulterebbe che per poter essere sottoposti ad una visita cardiologica con elettrocardiogramma occorrerebbe attendere, anche per una persona anziana, un tempo interminabile, circa 220 giorni. L'unica alternativa è quella di effettuare la visita a pagamento;
   la situazione della sanità, ormai drammatica in tutto il territorio calabrese, risulta essere ancora più aggravata dalla particolare situazione economica della popolazione che potrebbe determinare ripercussioni sulla qualità dei servizi offerti dalle strutture sanitarie;
   tale circostanza è determinata da molteplici fattori, quali l'insufficiente dotazione di personale medico e paramedico, la carenza di assistenti sociali e le lunghe liste di attesa per visite specialistiche;
   queste criticità evidenziano l'incapacità di assicurare alla popolazione calabrese un servizio sanitario che garantisca all'utenza i livelli essenziali di assistenza;
   nello specifico risulta essere compito della regione la determinazione dei principi relativi all'organizzazione dei servizi sanitari e alle attività destinate alla tutela della salute dei cittadini e i criteri di finanziamento delle ASP e delle aziende ospedaliere;
   tali disfunzioni e inefficienze gravano fortemente sui soggetti più deboli della società che, già colpiti duramente da gravissime malattie, non possono affrontare i costi delle trasferte in altre regioni, più efficienti in termini sanitari, per farsi curare;
   la regione Calabria ha un disavanzo sanitario di più di un miliardo di euro e, purtroppo, registra numerosissimi casi di malasanità che hanno provocato negli ultimi anni la morte di circa 60 persone;
   alla luce di quanto esposto, l'interrogante ritiene che sarebbe utile, in virtù dell'esigenza di ottemperare a quanto richiesto dal piano di rientro sanitario e di erogazione delle prestazioni sanitarie all'utenza, assumere urgenti iniziative in grado di ristabilire l'ordinaria erogazione delle prestazioni sanitarie –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro, intenda adottare al fine di verificare se siano garantiti i livelli essenziali di assistenza alla popolazione calabrese e come intenda tutelare, così come prevede l'articolo 32 della Costituzione, il diritto alla salute. (4-04296)


   MELILLA. — Al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   è in via di definizione una nuova disciplina dell'immissione sul mercato, la distribuzione e l'uso del prodotto definito alcol etilico denaturato al fine di evitare gli usi impropri;
   si intende con questo provvedimento obbligare gli imbottigliatori ad utilizzare un imballaggio (bottiglia e tappo) completamente diversi da quelli attualmente utilizzati al fine di ridurre i casi di ustione provocati dall'uso improprio dell'alcool (in particolare, da fiamma di ritorno nell'accensione di fuochi in camini e barbecue);
   se l'intenzione può apparire saggia, le misure previste sono, però, inutili e controproducenti dal punto di vista della riduzione della pericolosità dell'uso improprio, sicuramente dannose per l'economia nazionale e mortali per le aziende che operano nel settore;
   si prevederebbe per i formati di alcool fino a 2 litri l'utilizzo di recipienti non deformabili (in pratica, di plastica pesantissima, di vetro o di metallo) al posto delle bottiglie di plastica più «leggere» da sempre in uso ed un tappo con foro maggiorato (6mm) che renda più improbabile il cosiddetto «ritorno di fiamma»;
   l'utilizzo di flaconi «non deformabili» non dissuaderebbe affatto di per sé dall'utilizzo dell'alcool nell'accensione o ravvivamento della fiamma in camini e barbecue, di contro renderebbe l'operazione ancor più pericolosa perché l'utilizzatore non potendo più «spruzzare» l'alcool a distanza (essendo il contenitore previsto «rigido») sarebbe costretto ad avvicinare sensibilmente il contenitore alla fiamma correndo sicuramente maggiori rischi di ustione; anche le conseguenze dell'incidente così provocato sarebbero ben più gravi perché il «ritorno di fiamma» provocherebbe l'esplosione del contenitore rigido che, frantumandosi, diventerebbe una vera e propria bomba causando danni ulteriori e più gravi oltre alle ustioni che si vorrebbero prevenire;
   è bene ricordare che:
    a) l'alcool denaturato è prodotto da distillerie italiane che lo ricavano utilizzando per lo più scarti di lavorazione della produzione del vino (fecce, vinacce, esuberi), presenti in notevole quantità in Italia e difficilmente impiegabili in altro modo;
    b) l'attività delle imprese che imbottigliano l'alcool è prevalentemente costituita dalla produzione dei flaconi in plastica su cui sono concentrati sia gli investimenti in impianti e macchinari sia utilizzo della mano d'opera e né gli uni e, di conseguenza, né l'altra sarebbero convertibili nell'ipotesi prospettata dal decreto;
   è utile sapere anche che l'alcool etilico denaturato è nella tradizione dei consumatori italiani uno dei più apprezzati e convenienti prodotti per la pulizia degli ambienti, pavimenti, mobili, vetri e altro e circa il 95 per cento dell'alcool imbottigliato è destinato a questo utilizzo: «spruzzato» sugli oggetti poi puliti con un panno. Una bottiglia di vetro o una latta non sarebbero consoni allo scopo e, di fatto, ciò eliminerebbe il prodotto dal mercato per cui l'ipotesi di «conversione» industriale, già scartata sopra, sarebbe inutile e le aziende sarebbero destinate alla chiusura –:
   se non si ritenga utile un approfondimento della questione coinvolgendo le associazioni dei consumatori e la filiera industriale del settore al fine di definire una disposizione in linea e nel rispetto del decreto legislativo n. 206 del 6 settembre 2005 articolo 2, cap. 2 lett. l; articolo 4, cap. 2; articolo 6, cap. 1, lettera f) relativi ai diritti del consumatore «all'educazione al consumo» (consapevolezza dei benefici e dei rischi della loro scelta) e «all'informazione» (sulle precauzioni e sulla destinazione dell'uso utili ai fini di fruizione e sicurezza del prodotto). (4-04303)


   BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, GALLINELLA, L'ABBATE, LUPO, PARENTELA, CECCONI, BARONI, DALL'OSSO, DI VITA, SILVIA GIORDANO, GRILLO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   lo studio della dott.ssa Maristella Rubbiani, primo ricercatore dell'istituto superiore di sanità, dal titolo «La problematica relativa alla presenza di coformulanti pericolosi nei preparati antiparassitari di uso agricolo o domestico», spiega come questi coformulanti, spesso più pericolosi della sostanza attiva autorizzata, vengano utilizzati come solventi, adesivanti, bagnanti, tensioattivi ed altro, nei preparati antiparassitari di uso agricolo, domestico o civile;
   la normativa vigente non prevede, per alcuni di questi agenti, l'obbligatorietà della dichiarazione in etichetta relativamente alla identità ed alla concentrazione della sostanza utilizzata come coformulante all'interno del preparato; infatti, mentre per legge solo l'ingrediente attivo deve essere specificato in etichetta con nome e percentuale in peso presente nel prodotto finito, per i coformulanti è sufficiente il nome collettivo («coformulanti e solventi») e la percentuale cumulativa presente nel prodotto, senza l'identificazione specifica di ogni sostanza;
   talvolta, in caso di intossicazione ad esempio, risulta estremamente difficoltoso risalire alla vera causa del danno tossicologico; alcune sostanze possono essere utilizzate come ingredienti attivi in certi prodotti specifici, ma fungere da solventi, ed essere quindi considerati coformulanti, in altri preparati –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti e se non intenda assumere iniziative per rendere obbligatoria l'indicazione della dichiarazione in etichetta relativamente all'identità ed alla concentrazione della sostanza utilizzata come coformulante all'interno del preparato. (4-04309)


   DIENI, LOMBARDI e GRILLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riferito in una lettera indirizzata dall'avvocato Antonella Smiriglia Fava al Quotidiano Il Dispaccio l'8 marzo 2014, la signora Fiorella, di 55 anni, a seguito della morte di sua figlia Rita, di 15 anni, per leucemia è entrata in una profonda depressione, per la quale si trova in cura presso il Centro di salute mentale di Reggio Calabria, e versa in condizioni di grave povertà e indigenza, dal momento che suo marito non lavora e i coniugi vivono di espedienti in una casa popolare assegnata dal comune di Reggio Calabria dopo anni di attesa;
   in data 3 marzo 2014, in una visita medica effettuata nel corso del procedimento per l'ottenimento dell'assegno di invalidità, avviato dall'avvocato Smiriglia Fava, il medico curante della signora Fiorella le diagnosticava una sospetta leucemia, per la quale le prescriveva con urgenza una TAC total body con mezzo di contrasto e un ecocardio;
   per il tramite dell'avvocato Smiriglia Fava, la signora Fiorella contattava immediatamente il CUP dell'azienda ospedaliera «Bianchi Melacrino Morelli» di Reggio Calabria, ne richiedeva la prenotazione con urgenza e adduceva a motivazione della richiesta la sussistenza di una malattia oncologica, ma – nonostante tutto – tali esami le venivano fissati soltanto, la TAC total body con mezzo di contrasto, per il 16 settembre 2014 (ore 8) e, l'ecocardio, per il 14 luglio 2014 (ore 11);
   la signora Fiorella, che ha già sofferto troppo, soffre ancora e non immagina quello che potrebbe essere il suo calvario finale, non essendo al corrente della situazione, purtroppo potrebbe non arrivare né al 16 settembre per fare la TAC total body né al 14 luglio per fare l'ecocardio;
   come stigmatizzato con forza dall'avvocato Smiriglia Fava: «non è giusto che solo perché [Fiorella] non ha il denaro necessario [...] non abbia diritto a curarsi»: «chi ha la responsabilità e la gestione del diritto Salute (non Sanità) deve avere il coraggio di rinunciare ai propri soldi per consentire alle tante signore Fiorella di poter effettuare gli esami ed eventualmente poter accedere – in tempo – alle cure che potrebbero anche salvarla o, quanto meno, rendere la parte finale della sua vita qualitativamente più accettabile!», «a fronte di centinaia di migliaia di euro che vengono distribuiti come caramelle» –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere, in concorso con gli enti territoriali e con le forze sociali, per contrastare la lentezza e l'inefficienza del sistema sanitario calabrese e per garantire il diritto-valore costituzionale fondamentale alla salute della signora Fiorella e degli altri cittadini che come lei stanno attraversando momenti drammatici della propria vita e si affidano alle strutture sanitarie per trovare risposte e soluzioni appropriate. (4-04318)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   CINZIA MARIA FONTANA. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 53, comma 8, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, «Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche», stabilisce che: «Le pubbliche amministrazioni non possono conferire incarichi retribuiti a dipendenti di altre amministrazioni pubbliche senza la previa autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi. Salve le più gravi sanzioni, il conferimento dei predetti incarichi, senza la previa autorizzazione, costituisce in ogni caso infrazione disciplinare per il funzionario responsabile del procedimento; il relativo provvedimento è nullo di diritto. In tal caso l'importo previsto come corrispettivo dell'incarico, ove gravi su fondi in disponibilità dell'amministrazione conferente, è trasferito all'amministrazione di appartenenza del dipendente ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti;
   l'articolo 53, comma 6, del decreto legislativo 165 del 2001 stabilisce che: «Gli incarichi retribuiti, di cui ai commi seguenti, sono tutti gli incarichi, anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, per i quali è previsto, sotto qualsiasi forma, un compenso»;
   l'articolo 50, comma 8, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 «Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli locali» stabilisce che «Sulla base degli indirizzi stabiliti dal consiglio il sindaco e il presidente della provincia provvedono alla nomina, alla designazione e alla revoca dei rappresentanti del comune e della provincia presso enti, aziende ed istituzioni»;
   l'articolo 114 dello stesso decreto legislativo stabilisce, fra l'altro, che:
    «1. L'azienda speciale è ente strumentale dell'ente locale dotato di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di proprio statuto, approvato dal consiglio comunale o provinciale.
    2. L'istituzione è organismo strumentale dell'ente locale per l'esercizio di servizi sociali, dotato di autonomia gestionale.
    3. Organi dell'azienda e dell'istituzione sono il consiglio di amministrazione, il presidente e il direttore, al quale compete la responsabilità gestionale. Le modalità di nomina e revoca degli amministratori sono stabilite dallo statuto dell'ente locale»;
   si è avuto modo di verificare che talvolta l'incarico di cui al suddetto articolo 114, comma 3 (presidente e/o componente del consiglio di amministrazione dell'azienda speciale e/o dell'istituzione), viene conferito a un dipendente da una pubblica amministrazione (ad esempio un professore di scuola, un dipendente ASL, e altro);
   l'articolo 87 dello stesso decreto legislativo stabilisce che: «1. Fino all'approvazione della riforma in materia di servizi pubblici locali, ai componenti dei consigli di amministrazione delle aziende speciali anche consortili si applicano le disposizioni contenute nell'articolo 78, comma 2, nell'articolo 79, commi 3 e 4, nell'articolo 81, nell'articolo 85 e nell'articolo 86;
   l'articolo 77 dello stesso decreto legislativo stabilisce che: «La Repubblica tutela il diritto di ogni cittadino chiamato a ricoprire cariche pubbliche nelle amministrazioni degli enti locali ad espletare il mandato, disponendo del tempo, dei servizi e delle risorse necessari ed usufruendo di indennità e di rimborsi spese nei modi e nei limiti previsti dalla legge –:
   se l'incarico di presidente e/o componente del consiglio di amministrazione dell'azienda speciale o dell'istituzione, di cui al suddetto articolo 114, comma 3, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, quando conferito a un dipendente da una pubblica amministrazione, trovi disciplina nel sopra riportato articolo 53, commi 8 e 6, del decreto legislativo 165 del 2001;
   se il sindaco e il presidente della provincia, per conferire un tale incarico, debbano, pertanto, chiedere l'autorizzazione dall'amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi;
   se sia ancora valida e vincolante la circolare 29 maggio 1998, n. 5/1098, della Presidenza del Consiglio dei ministri-dipartimento della funzione pubblica, avente ad oggetto «Anagrafe delle prestazioni e degli incarichi dei pubblici dipendenti», con cui si disciplinano gli adempimenti ai quali sono tenute le amministrazioni pubbliche che conferiscono o autorizzano incarichi ai propri dipendenti e, in particolare quella di cui al n. 2) «Amministrazioni tenute alle comunicazioni. Esclusioni soggettive e oggettive» che stabilisce: «La disciplina in esame non si applica alle prestazioni rese nell'esercizio di cariche pubbliche elettive o equiparate»;
   se non ritenga opportuno e urgente assumere iniziative normative per stabilire, in generale, quale sia la natura giuridica della fattispecie di «conferimento di incarichi professionali esterni da parte delle pubbliche amministrazioni» e quella di «conferimento di incarico equiparato a carica pubblica» e quali siano le norme applicabili all'una o all'altra fattispecie;
   in particolare, se non ritenga di dover chiarire se gli incarichi di rappresentanti del comune e della provincia presso enti, aziende ed istituzioni conferiti dal sindaco o dal presidente della provincia, ai sensi dell'articolo 50, comma 8, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, costituiscano «cariche equiparate a quelle pubbliche elettive»;
   se non ritenga evidente il fatto che l'esercizio di una carica pubblica è fattispecie del tutto diversa da un «incarico retribuito», e il sindaco o il presidente della provincia non debbono chiedere alcuna autorizzazione per il loro conferimento e il lavoratore dipendente deve dare semplice comunicazione all'amministrazione di appartenenza delle cariche pubbliche che è chiamato a ricoprire.
(4-04289)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BENAMATI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Buonitalia spa è una società per azioni a capitale interamente pubblico nata il 4 luglio 2003 dalla preesistente società «Naturalmenteitaliano Unipersonale s.r.l.», costituita dall'istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (ISMEA) il 24 luglio 2002 (articolo 17, comma 1, del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99) e partecipata dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali al 70 per cento; dall'Ice (allora Istituto per il commercio estero) al 10 per cento, dall'istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (ISMEA) al 10 per cento e da Unioncamere – l'Unione italiana delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura – al 10 per cento;
   l'assemblea straordinaria dei soci della società Buonitalia spa del 13 settembre 2011, preso atto della riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale, ha deliberato lo scioglimento e la messa in liquidazione ai sensi dell'articolo 2484, comma 1, numero 4, del codice civile e contestualmente, ha nominato il liquidatore della società;
   l'articolo 12 comma 18-bis del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, ha disposto che le funzioni già svolte da Buonitalia spa «sono attribuite all'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane di cui all'articolo 14 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111»;
   per quanto specificatamente concerne i dipendenti della società, la suddetta norma ha stabilito che, con decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione n. 111 del 2011, fosse disposto il trasferimento delle funzioni e delle risorse umane di Buonitalia spa, in liquidazione, all'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane, prevedendo che il passaggio dei dipendenti in questione, in servizio al 31 dicembre 2011, avvenisse previo espletamento di un'apposita procedura di verifica dell'idoneità e che l'inquadramento avvenisse nei ruoli dell'Agenzia sulla base di un'apposita tabella di corrispondenza approvata con il predetto decreto;
   nelle more dell'emanazione del richiamato decreto interministeriale – intervenuta ben sette mesi dopo e, quindi, ben oltre i sessanta giorni previsti dalla legge – il liquidatore di Buonitalia spa ha disposto il licenziamento dei dipendenti creando, pertanto, ulteriori difficoltà al loro diritto al trasferimento nei ruoli dell'Agenzia che sarebbe dovuto avvenire senza soluzione di continuità e a cui sarebbe dovuta succedere la prevista procedura di verifica dell'idoneità;
   in data 28 febbraio 2013, è stato emanato e pubblicato il citato decreto interministeriale, con cui si trasferiscono le funzioni ed il personale dipendente di Buonitalia spa individuato nominalmente, mediante apposita tabella allegata allo stesso;
   la legge di stabilità del 27 dicembre 2013 n. 147, al comma 478 ha modificato il citato articolo 12 comma 18-bis del decreto-legge 6 luglio 2012 n. 95, precisando che la verifica d'idoneità dei dipendenti di Buonitalia spa, venga espletata anche in deroga alle facoltà assunzionali dell'Agenzia e che i dipendenti siano inquadrati anche in posizione di sovrannumero rispetto alla dotazione organica dell'ente, riassorbibile con le successive vacanze;
   occorre altresì precisare che la dotazione organica dell'Agenzia per la promozione e l'internazionalizzazione delle imprese italiane all'estero, è prevista in 450 unità, mentre con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 28 dicembre 2012 e con decorrenza 1o gennaio 2013, si è proceduto all'immissione nei ruoli dell'Agenzia, di, solamente, 434 unità, vi era, pertanto, già a decorrere dalla suddetta data, la facoltà assunzionale dell'Agenzia per procedere all'inquadramento dei dipendenti Buonitalia spa al quale non si è proceduto nonostante la tabella di comparazione, necessaria alla verifica di idoneità, fosse già stata predisposta dall'8 agosto 2013 ma non pubblicata;
   il 13 gennaio 2014, il TAR del Lazio ha accertato l'inadempienza dei Ministeri competenti per la mancata allegazione al decreto della tabella di corrispondenza di cui al comma 18-bis dell'articolo 12, obbligandoli a provvedere nel termine di sessanta giorni con condanna al pagamento delle spese legali;
   con sentenza del tribunale del lavoro di Roma, notificatale il 28 febbraio 2014, l'Agenzia è stata condannata a dare immediata attuazione alle disposizioni illegittimamente disattese e conseguentemente ad assumere i ricorrenti, ex dipendenti di Buonitalia spa, corrispondendo loro le mensilità pregresse dal 28 febbraio 2013, nonché al pagamento delle spese legali;
   ad oggi, nonostante la sentenza del tribunale del lavoro di Roma sia già esecutiva, l'Agenzia non ha ancora provveduto ad eseguire il dispositivo rendendo cioè operativo il trasferimento, e costringendo gli stessi dipendenti, ancora una volta, a porre in essere provvedimenti di esecuzione forzata che porteranno ad incrementare ulteriormente i costi sostenuti per le spese processuali con grave pregiudizio erariale;
   i dipendenti di Buonitalia spa, corrispondenti in tutto a 19 unità, sono stati licenziati e si trovano senza stipendio da un anno, pertanto appare non più rinviabile adottare ogni iniziativa utile, anche attraverso l'emanazione di appositi indirizzi interpretativi che superino le problematiche manifestatesi, sulle modalità di svolgimento della selezione di idoneità previste dalla legge che, anche in questo caso, come in casi analoghi dovrebbe essere svolta mediante valutazione dei titoli posseduti dal personale trasferito;
   a fronte di una specifica competenza maturata negli anni, già acquisita ed in possesso dei dipendenti di Buonitalia spa, considerata la situazione di chiaro conflitto la valutazione basata sull'oggettività dei titoli conseguiti risulta essere imprescindibile –:
   se quanto in premessa risponderai vero e in caso positivo quali siano i tempi per l'emanazione del decreto e dell'annessa tabella di comparazione, volto a dare piena ed immediata attuazione al trasferimento delle risorse umane disposto per legge;
   quali siano le indicazioni e i criteri sulla base delle quali l'Agenzia effettuerà la prova selettiva per titoli di valutazione dell'idoneità;
   se il Ministero non abbia intenzione di verificare, alla luce delle sentenze dei tribunali e dei relativi costi, che eventuali comportamenti inadatti e non corretti nell'espletamento degli atti possano costituire i presupposti di per segnalare un danno erariale. (5-02532)


   GARAVINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il servizio pubblico televisivo costituisce uno strumento rilevante di diffusione della cultura, di promozione dell'identità italiana, ed in generale di divulgazione del Sistema Paese-Italia nel mondo;
   da anni si assiste alla legittima protesta di numerosi italiani nel mondo per il sistematico criptaggio dei canali RAI tradizionali, con particolare riferimento a programmi sportivi, trasmessi via satellite, senza che sia stata finora perseguita con sufficiente determinazione una soluzione concreta del problema;
   questo disagio si accentua in occasione dello svolgimento di campionati internazionali di calcio (europei e mondiali) che, svolgendosi in aree dove è forte l'insediamento degli italiani, fungono da catalizzatore dell'interesse verso la nostra nazionale da parte di un'opinione più ampia di quella solitamente attenta agli avvenimenti calcistici –:
   se il Ministro, nel quadro della imminente negoziazione del contratto di servizio RAI non intenda promuovere una maggiore fruibilità del servizio Rai.tv da parte degli utenti, andando a superare l'annosa questione del criptaggio delle trasmissioni via satellite;
   se sia stata verificata la possibilità di adottare, anche per gli italiani all'estero, la soluzione della «card di decriptaggio», già positivamente sperimentata dalla Radiotelevisione della svizzera-italiana;
   quali interventi saranno richiesti alla RAI al fine di migliorare la qualità della programmazione rivolta alle comunità italiane all'estero, nonché di elevare l'attenzione per la storia e la cultura della nostra vecchia e nuova emigrazione nella programmazione ordinaria;
   se non si intenda assumere una iniziativa per l'apertura di un canale streaming live dedicato appositamente agli italiani all'estero, che raccolga quotidianamente tutti i contenuti non coperti da vincoli di natura geografica trasmessi sulle reti RAI in un palinsesto capace di garantire ai connazionali una ricca informazione sulle vicende d'attualità italiane, con particolare attenzione alla informazione di ritorno. (5-02537)

Interrogazione a risposta scritta:


   FUCCI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il comparto agroalimentare dell’export italiano rappresenta una quota rilevante anche nella composizione dell'interscambio commerciale tra l'Italia e Taiwan;
   a Taiwan vi sono prospettive di ulteriore sviluppo a motivo della domanda di alta qualità alimentare che sempre di più esprime il mercato di quel Paese, composto da 23 milioni di abitanti e caratterizzato da un PIL pro capite che è terzo in Asia dopo quelli del Giappone e di Singapore;
   tra i prodotti agroalimentari italiani che hanno registrato significativi aumenti nelle quote di esportazione vi è l'olio extra-vergine di oliva, una produzione nella quale si distingue l'olio pugliese per l'eccellenza della qualità e della genuinità e per la squisitezza del gusto;
   tra la fine del 2013 e l'inizio del 2014 per l'esportazione a Taiwan dell'olio italiano (e spagnolo) risultano insorti seri problemi causati da una controversia sui differenti metodi analitici usati a Taiwan, rispetto a quelli in vigore nella Unione europea, nella effettuazione delle analisi sulla composizione dei prodotti e quindi sulle interpretazioni delle stesse analisi;
   tale controversia ha determinato da parte delle autorità taiwanesi il blocco della importazione e distribuzione dell'olio italiano (e spagnolo);
   sulla materia è prontamente intervenuta l'ASSITOL — Associazione italiana dell'industria olearia aderente alla Confindustria — a tutela della indiscutibile qualità e genuinità dell'olio italiano e con la finalità di chiarire che le diverse modalità nelle analisi non hanno alcuna implicazione di carattere sanitario;
   dal 2011 al 2013 si è regolarmente riunito, a Roma e a Taipei, il «Foro italo-taiwanese di cooperazione economica, industriale e finanziaria» creato nel 2010, dal MISE e dal Ministero dell'economia taiwanese, proprio per costituire un tavolo permanente di confronto, di discussione e di soluzione dei problemi economici e commerciali bilaterali;
   l'importante problema dell'olio italiano a Taiwan dovrà essere certamente messo all'ordine del giorno della prossima sessione del predetto «Foro» economico bilaterale –:
   quali passi il Ministero abbia compiuto fino ad oggi per sbloccare e risolvere il problema evidenziato dall'interrogante;
   quando si riunirà l'attesa riunione annuale, non ancora convocata per il corrente anno, del «Foro italo-taiwanese di cooperazione, economica industriale e finanziaria». (4-04301)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Lenzi e altri n. 1-00046, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fabbri.

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza urgente Gigli e altri n. 2-00488, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o aprile 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Piepoli.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Iacono e Albanella n. 4-03411 del 3 febbraio 2014 in interrogazione a risposta orale n. 3-00736.