Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 31 marzo 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il rapporto «Terra e sviluppo» del Consiglio nazionale dei geologi, elaborato con la collaborazione del Centro ricerche economiche, sociologiche e di mercato (Cresme), descrive un'Italia vulnerabile, dal territorio fragile, esposta alle calamità ambientali, oltre la misura di quel che è fisiologicamente ammissibile;
    il 40 per cento della popolazione vive in aree ad alta sismicità; a rischio tellurico elevato soggiacciono 6,3 milioni di edifici e 12,5 milioni di abitazioni private; circa 6 milioni di persone abitano in aree ad elevato rischio idrogeologico; 30.000 chilometri quadrati del territorio sono ad altissimo rischio per eventi naturali, quali frane ed alluvioni;
    i dati sono confermati dal primo rapporto Ance/Cresme «Lo stato del territorio italiano 2012», laddove si evidenzia che l'Italia è considerato un Paese a sismicità medio-alta: in media ogni 100 anni si verificano più di 100 terremoti di magnitudo compresa tra 5,0 e 6,0 e dai 5 ai 10 terremoti di magnitudo superiore a 6,0. Le aree più interessate dal fenomeno si trovano lungo l'intero arco appenninico, nella parte orientale delle Alpi e in corrispondenza delle aree vulcaniche;
    gli oneri del dissesto e dei terremoti, dal dopoguerra ad oggi, sono stimati in 213 miliardi di euro; il meccanismo di spesa per le calamità naturali è fortemente distorto: nel periodo 1991-2008 per la mitigazione del rischio idrogeologico sono stati impiegati 7,3 miliardi di euro, poco più di 400 milioni di euro l'anno;
    nel novembre 2009 il Governo ha presentato alle Camere i dati sul rischio idrogeologico attuale, le stime per gli interventi di messa in sicurezza e le procedure, anche straordinarie, per attivare gli interventi, a cominciare da quelle pluriennali previste dal piano nazionale straordinario per il rischio idrogeologico; il fabbisogno necessario per la realizzazione di interventi per la sistemazione complessiva della situazione di dissesto su tutto il territorio nazionale è stimato in 44 miliardi di euro, dei quali 27 miliardi di euro per il Centro-Nord e 13 miliardi di euro per il Mezzogiorno, oltre a 4 miliardi per il fabbisogno relativo al recupero e alla tutela del patrimonio costiero italiano;
    tale fabbisogno finanziario si è scontrato con la cronica scarsità di risorse, sia dei bilanci statali che di quelli regionali, ulteriormente aggravata e dall'intermittenza dei finanziamenti; tale condizione non consente né di attuare la programmazione esistente nei diversi livelli di governo del territorio, né di predisporre un credibile piano nazionale, dotato di uno stabile cronoprogramma di spesa;
    taluni elementi distorsivi sono insiti nella stessa struttura della spesa pubblica e nelle norme che la sostengono: le spese per le emergenze sono difficilmente comprimibili, anche in forza delle attese della pubblica opinione e i mutui destinati alla copertura delle ricostruzioni sono difficilmente riducibili; i piani per la messa in sicurezza e la manutenzione del territorio sono classificati come investimenti o ammortamenti;
    ancora pesano sul bilancio statale eventi come il terremoto del Belice (1968) o dell'Irpinia (1980) e si calcola che la spesa per far fronte al terremoto in Abruzzo dell'aprile 2009 si potrà considerare esaurita nel 2032;
    nel corso degli anni Governi nazionali e regionali, di qualunque colore fossero, afflitti da problemi di deficit di bilancio e, da ultimo, dalla necessità inderogabile di fare fronte alla crisi economica, altro non hanno potuto fare che tagliare il tagliabile, cioè, tra l'altro, investimenti e ammortamenti;
    dall'ultimo rapporto dell'Associazione nazionale bonifiche, irrigazioni e miglioramenti fondiari (Anbi), presentato nel febbraio 2014, si riconosce che a determinare la situazione di emergenza hanno contribuito sia il mutato regime delle piogge, sia l'impetuosa urbanizzazione, il consumo del suolo, l'omessa manutenzione del sistema idraulico del Paese, lo spopolamento delle montagne, la riduzione del terreno agricolo. Si stima infatti che il consumo del suolo nel periodo 1990-2005 sia stato oltre 244.000 ettari l'anno (circa due volte la superficie del comune di Roma), in pratica 668 ettari al giorno, ma si verifica, paradossalmente, anche il problema opposto: le superfici agricole, già oggetto di aggressione urbana, si riducono di per sé stesse a causa dell'abbandono;
    l'Anbi ha sottolineato che purtroppo le calamità sono generate da eventi idrogeologici non prevedibili né tecnicamente né economicamente, ma che è tuttavia possibile ridurre l'impatto degli eventi eccezionali attraverso azioni volte a rinforzare i territori fragili, a provvedere alle manutenzioni ed agli adeguamenti necessari a garantire la regolazione idraulica, ad assicurare il funzionamento degli impianti idrovori e il consolidamento degli argini;
    non è più procrastinabile quindi un programma di messa in sicurezza del territorio, indispensabile alla vita civile ed alle attività produttive anche attraverso nuove regole d'uso;
    sulla base dei dati Istat nel prossimo decennio l'incremento della popolazione nelle zone sismiche sarà di oltre 500 mila persone, mentre circa 250 mila persone si insedieranno nelle zone a rischio idrogeologico;
    l'Italia è un territorio fortemente antropizzato, con circa 189 abitanti per chilometro quadrato; se si calcolano anche i 5 milioni di immigrati, la densità aumenta a 202 abitanti per chilometro quadrato; se ulteriormente si calcola che su 301 mila chilometri quadrati sono utilizzabili solo 180 mila chilometri quadrati, si arriva a 339 abitanti per chilometro quadrato; il dato è confermato anche dallo studio del Wwf sull'impronta ecologica delle nazioni: l'Italia ha un deficit ecologico di 2,9, cioè occorrerebbe che il nostro Paese avesse una superficie di 2,9 più grande, per sostenere gli attuali impatti della popolazione residente;
    tutto ciò dimostra che l'Italia è un Paese sovraffollato con tutti gli impatti che ne conseguono, primo tra i quali lo sfogo dell'urbanizzazione verso le aree libere, che sono soprattutto le aree agricole, ma anche verso aree meno idonee o assolutamente non idonee alle costruzioni, quali le aree a maggior rischio idrogeologico;
    un recentissimo studio dell'Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale (Ispra), sull'andamento del consumo di suolo, illustra come esso sia cresciuto, negli ultimi cinque anni, al ritmo di oltre 8 metri quadrati al secondo e come risulti coperta dall'urbanizzazione un'area pari al 6,9 per cento del territorio, cioè oltre 20.500 chilometri quadrati (dato del 2010). Nel 1956 era urbanizzato il 2,8 per cento del territorio; il consumo di suolo nel nostro Paese, per oltre 50 anni, sempre secondo l'Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale, è sempre stato sopra la media europea. La classifica delle regioni più urbanizzate vede in testa la Lombardia, che supera la soglia del 10 per cento del territorio, con 14 regioni oltre il 5 per cento;
    la riforma del titolo V della Costituzione del 2001 prevede, da un lato, che siano di competenza dello Stato la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema (secondo comma, lettera s), dell'articolo 117), dall'altro, prevede, invece, che il governo del territorio sia materia di competenza concorrente tra Stato regioni (comma 3, dell'articolo 117);
    la non chiara delimitazione degli ambiti di competenza ha determinato una confusione dei ruoli, lo spezzettamento delle competenze, una strutturale mancanza di coordinamento; più volte si è tentato, nel corso delle legislature precedenti di approvare una legge nazionale sul Governo del territorio, riformando così, ad oltre sessanta anni dalla sua entrata in vigore, la legge urbanistica del 1942;
    l'Unione europea ha da tempo riconosciuto l'esigenza di politiche pubbliche per una tutela attiva delle funzioni naturali svolte dal suolo. Questa tematica è alla base della strategia tematica per la protezione del suolo adottata dall'Unione europea sin dal 2006 e gli interventi necessari per ridurre il rischio idrogeologico richiedono un investimento di quasi 8 miliardi di euro per circa 3.400 interventi;
    secondo l'Anbi infatti «l'adeguamento delle opere di bonifica idraulica è condizione fondamentale per la sicurezza del territorio» per «qualunque attività economica». I consorzi sono pronti e «qualificati» per contribuire e fornire supporto alle istituzioni ma poi è necessario cogliere anche le opportunità che offrono i fondi comunitari per la politica agricola comune 2014-2020;
    secondo l'Ispra «ogni secondo nel nostro Paese vengono occupati 8 metri quadrati di suolo», pari a 70 ettari al giorno. Per comprendere «l'urgenza» basti ricordare che «dal 2002 al 2014 si sono registrati circa 2000 eventi alluvionali con la perdita di 293 vite umane, oltre ai danni alle popolazioni, alle produzioni e alle infrastrutture». Inoltre, emerge che in Italia «6 milioni di persone abitano in un territorio ad elevato rischio idrogeologico; 22 milioni di persone in zone a medio rischio. Nel nostro Paese vi sono 1.260.000 edifici a rischio idrogeologico e di questi 6.251 sono edifici scolastici e 547 ospedali». I consorzi di bonifica, attraverso un processo di fusioni ed incorporazioni, sono 121 rispetto ai 250 degli anni ’70, ed ai 200 del 1998;
    sul terreno delle risorse occorre essere pronti ad intercettare le opportunità attivabili nel quadro delle politiche di coesione per il ciclo di programmazione comunitaria 2014-2020 ed ad agire in sede europea perché gli interventi di prevenzione e riduzione del rischio idrogeologico possano essere esclusi dai vincoli stringenti del patto di stabilità ed è urgente dare piena attuazione alle direttive europee in materia di acqua e alluvioni, riorganizzando il sistema di responsabilità e competenze, eliminando sovrapposizioni e incongruenze che rendono meno efficace il sistema degli interventi;
    talvolta gli enti locali coinvolti avrebbero risorse proprie per poter disporre interventi di messa in sicurezza e di prevenzione, ma questa loro volontà si scontra con le regole imposte a livello nazionale in applicazione del patto di stabilità;
    è dunque necessaria una revisione delle norme vigenti in campo di prevenzione e di lotta al dissesto idrogeologico, non solo attraverso la semplificazione delle procedure per l'esecuzione degli interventi e l'assegnazione delle risorse, ma anche attraverso l'eliminazione delle disposizioni che, di fatto, rendono impossibile la spesa, come quelle relative all'inclusione degli interventi, indispensabili per la stessa sopravvivenza dei territori e della popolazione;
    la legge finanziaria per il 2014 e il successivo decreto-legge n. 136 del 2013 si limitano a dettare norme che dovrebbero determinare l'utilizzo delle somme già previste negli accordi di programma mentre estremamente modeste sono le nuove previsioni di spesa: 30 milioni per il 2014; 50 milioni per il 2015 e 100 milioni per il 2016;
    l'Anbi nel 2013 aveva proposto, ai fini di della riduzione del rischio idrogeologico, 3.342 interventi per un importo di 7.409 milioni e nel 2014 ha proposto 3.383 interventi per un importo pari a 7.995 milioni;
    dal 2010 ad oggi il numero delle opere da realizzare per garantire maggiore sicurezza idrogeologica al Paese è cresciuto del 147,8 per cento mentre il loro fabbisogno economico del 91,1 per cento e l'Anbi ha proposto, nel proprio piano per ridurre il rischio idrogeologico, opere immediatamente cantierabili e con importanti ricadute occupazionali per la sistemazione idraulica di torrenti e rogge, la manutenzione del reticolo idraulico a difesa dei centri abitati, la realizzazione di opere per il contenimento delle piene, il consolidamento di pendici collinari e montane;
    il Governo nazionale è in forte ritardo nel recepire la direttiva europea 2000/60/CE per l'azione comunitaria in materia di acque, concernente la costituzione degli otto distretti idrografici nazionali, dell'autorità di bacino distrettuale e dei relativi piani di gestione per l'attuazione degli interventi necessari a raggiungere gli obiettivi europei, già previsti nella legge n. 152 del 2006, esponendo così l'Italia al rischio di sanzioni. Il medesimo ritardo si sta accumulando nel recepimento della successiva e consequenziale direttiva 2007/60/CE relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni, recepita in Italia dal decreto legislativo 23 febbraio 2010, n. 49. Gli otto distretti idrografici costituiti e le analoghe autorità di bacino, in base alla direttiva europea 2000/60/CE, hanno competenze sugli interventi locali, legati alla manifestazione e all'evoluzione di rilevanti fenomeni di rischio per il territorio (frane, alluvioni, smottamenti, erosioni, eccetera) e sulla programmazione degli interventi preventivi di messa in sicurezza del suolo e per la gestione delle acque, come definito anche dalla direttiva europea 2007/60/CE (denominata «direttiva frane e alluvioni»). Il 2015 sarà l'anno di scadenza per il recepimento complessivo delle due direttive europee sopra richiamate e per raggiungere gli obiettivi ambientali già prefissati: protezione, miglioramento e ripristino di tutti i corpi idrici superficiali al fine di raggiungere un valido stato qualitativo delle acque; redazione dei piani di gestione del rischio di alluvioni in base alle nuove mappe della pericolosità e del rischio da alluvioni,

impegna il Governo:

   a presentare sollecitamente un disegno di legge contenente le linee generali sul governo del territorio, quale legge quadro cui devono attenersi le regioni, ai sensi dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione;
   in tale ambito, a riorganizzare il sistema delle competenze e delle responsabilità, in modo tale da evitare sovrapposizioni e conflitti tra le varie autorità e a introdurre disposizioni che obblighino al coordinamento dei diversi piani territoriali regionali e infraregionali;
   ad aggiornare e ad attuare il piano contro il rischio idrogeologico presentato alle Camere nel novembre del 2009, individuando risorse di bilancio certe e continuative per la difesa strutturale del suolo;
   a sbloccare le risorse previste dagli accordi di programma già sottoscritti con le regioni per gli interventi prioritari di prevenzione del rischio idrogeologico e, sotto il profilo dell'attuazione delle regole di finanza pubblica, ad assumere iniziative che ascrivano tra gli obiettivi da realizzare nel prossimo semestre italiano di presidenza europea, l'esclusione dai vincoli del patto di stabilità interno delle risorse destinate alle opere finalizzate alla difesa idrogeologica e quelle relative al concorso degli enti territoriali all'attuazione del piano contro il rischio idrogeologico;
   ad introdurre disposizioni che prevedano che tra gli interventi dello Stato destinati a rimuovere le condizioni di squilibrio territoriale, economico e sociale, ai sensi del quinto comma dell'articolo 119 della Costituzione, possano essere ricomprese le azioni di rilocalizzazione di insediamenti esposti ai rischi naturali e di riqualificazione ambientale di territori danneggiati, da attuare attraverso gli strumenti della programmazione negoziata;
   ad individuare quanto prima soluzioni idonee per il reperimento delle risorse anche attraverso una proiezione quindicennale dell'impegno di spesa che potrebbe realizzarsi mediante mutui, secondo una soluzione già adottata nel recente passato.
(1-00414) «Palese, Castiello, Distaso, Gregorio Fontana, Romele, Vella».


   La Camera,
   premesso che:
    la tutela della sicurezza del territorio italiano rappresenta una priorità per la tutela dei cittadini e per il nostro Paese. Infatti, il rischio naturale legato alle catastrofi idrogeologiche è in Italia tra i problemi più rilevanti sia per i danni prodotti sia per il numero delle vittime registrate. A tal proposito è necessario ricordare come nel periodo 2008-2012 si sia assistito ad un aumento delle vittime degli eventi alluvionali con un'interruzione del precedente trend in diminuzione negli anni 2001-2007;
    infatti, ogni anno si è costretti a sopportare perdite di vite umane e costi sociali elevati, a causa di calamità che in molti casi potrebbero essere evitate solo se si seguissero le più elementari regole di pianificazione e se si facessero investimenti nella messa in sicurezza del territorio;
    sono moltissimi i comuni italiani in cui sono presenti aree a rischio idrogeologico, circa l'82 per cento del totale: una fragilità del territorio che riguarda numerose regioni della nostra penisola. La dimensione delle aree a rischio idrogeologico riguarda circa 30 mila chilometri quadrati, quindi, circa il 10 per cento del territorio nazionale e ben 5 milioni di cittadini si trovano ogni giorno in zone esposte al pericolo di frane e alluvioni;
    il sempre maggiore impatto delle catastrofi idrogeologiche, tra le altre cose, è dovuto ai cambiamenti climatici, ma anche ai mutati scenari territoriali che hanno privilegiato l'occupazione e lo sfruttamento delle aree naturalizzate;
    è da considerare come siano 700 mila le frane in Europa, 500 mila delle quali solo in Italia: è un dato sicuramente allarmante quello relativo al fatto che molti smottamenti interessano centri storici e preziosi beni culturali, tra i più importanti al mondo. Infatti, sono interessati dal dissesto idrogeologico alcuni siti di enorme valore, come Pompei ed Agrigento. In questo modo, si perde cultura, turismo ed immagine nel mondo;
    infatti, una grande parte del dissesto del territorio del nostro Paese è prevalentemente determinata dai comportamenti umani;
    è da considerare che negli ultimi decenni si è assistito ad una crescita continua dell'urbanizzazione, ad interventi artificiali sui corsi d'acqua e alla sottrazione di aree allagabili e di aree libere, agricole e boschive, che rappresentano presidi essenziali per la tenuta del nostro territorio, di cui si paga un prezzo altissimo ogni qualvolta, sul Paese, si abbattono piogge particolarmente intense;
    da ciò nasce l'esigenza sulla necessità di riflettere per sviluppare percorsi risolutivi in grado di rispondere in modo efficace alle ripetute emergenze collegate al rischio idrogeologico nel nostro Paese, emergenze che scattano ormai sistematicamente nei periodi di autunno e non solo a causa di una mancata politica di prevenzione e di governo del territorio;
    pertanto, il problema del dissesto idrogeologico deve essere affrontato non più in una logica puramente emergenziale, ma soprattutto con un'attività di prevenzione che possa garantire la riduzione dello stesso e con una politica attiva di difesa del suolo;
    le politiche di gestione del territorio continuano a destinare gran parte delle risorse disponibili all'emergenza, anziché ad un'effettiva opera di prevenzione e messa in sicurezza del territorio che costituisce l’ unica via possibile per superare il problema ed evitare la perdita di vite umane e danni economici;
    nel corso degli anni numerosi sono state gli interventi legislativi che hanno cercato di operare in modo strutturale, tanto sulla pianificazione, quanto sulla gestione delle situazioni straordinarie di emergenza. Tuttavia, gli stanziamenti per le ricostruzioni necessarie a seguito degli eventi calamitosi hanno spesso assorbito la gran parte delle previsioni di spesa a scapito della prevenzione;
    è da considerare, infatti, che il bilancio del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dal 2004 al 2011, è stato ridotto del 48 per cento e che sin dall'avvio dei finanziamenti risalenti alla legge n. 183 del 1989 sulla difesa del suolo si è verificata una commistione fra i fondi per la prevenzione e quelli destinati agli interventi post-evento. I fondi inizialmente stanziati, infatti, sono stati in gran parte distolti per fare fronte agli eventi calamitosi verificatisi in alcune regioni italiane e poi azzerati da successive manovre finanziarie;
    occorre, quindi, valutare la possibilità di riattivare investimenti immediatamente cantierabili da parte degli enti locali e quindi rivedere il patto di stabilità interno degli stessi anche perché un piano di riduzione e gestione del rischio idrogeologico del territorio e dei corsi d'acqua rappresenta uno straordinario strumento di rilancio economico e di creazione di occupazione;
    è stato annunciato che dal 1o aprile saranno previsti stanziamenti pari a 1,5 miliardi di euro per interventi finalizzati alla tutela del territorio ed alla lotta al dissesto idrogeologico. Anche per la difesa del territorio, quindi, l'obiettivo del Governo è quello di accelerare le procedure di spesa di circa 1,7 miliardi di euro, di cui seicento milioni già disponibili,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di assumere tutte le iniziative necessarie affinché l'utilizzo delle risorse stanziate dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali per interventi di prevenzione e manutenzione del territorio siano esclusi dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno;
   a valutare la possibilità di assumere tutte le iniziative di propria competenza affinché siano previste risorse aggiuntive da destinare ad interventi di prevenzione del rischio idrogeologico e di manutenzione ordinaria del territorio.
(1-00415) «Piccone, Dorina Bianchi».


   La Camera,
   premesso che:
    i dati del dissesto idrogeologico del territorio italiano sono noti da tempo: l'82 per cento dei comuni è esposto a rischio idrogeologico: sono oltre 5 milioni e 700 mila i cittadini che vivono in aree di potenziale pericolo, 1,2 milioni gli edifici che insistono su queste aree. Secondo dati ufficiali, in poco più di cento anni ci sono stati 12.600 tra morti, dispersi o feriti e più di 700 mila sfollati. Tra il 2002 e il 2014 si contano 293 morti, 24 nell'ultimo anno; dal 2002 ad oggi si sono verificati quasi 2.000 episodi di dissesto e ancora più sconcertante è che dal gennaio 2014, in soli 23 giorni (data dell'ultima rilevazione), si sono registrati 110 episodi in tutto il territorio italiano;
    secondo dati recenti il costo complessivo dei danni provocati in Italia da calamità naturali è pari a circa 3,5 miliardi di euro all'anno e le risorse necessarie per fronteggiare gli effetti di questi eventi tendono ad aumentare di anno in anno; nonostante ciò ancora molti territori attendono il riconoscimento delle risorse dovute per il risarcimento dei danni e il ripristino delle condizioni di sicurezza di infrastrutture pubbliche e degli insediamenti civili e produttivi;
    tra le principali cause di tale dissesto idrogeologico generalizzato vi è da una parte una sostanziale disattenzione delle previsioni degli strumenti urbanistici e di pianificazione infrastrutturale ai temi della prevenzione dei rischi naturali e all'assesto geomorfologico e idrogeologico e dall'altra, una diffusa illegalità nella trasformazione del territorio, avendo l'abusivismo edilizio aggredito le coste italiane, gli alvei dei fiumi, i versanti collinari, le aree di subsidenza e di esondazione come individuati dagli strumenti di pianificazione di bacino;
    è quanto mai attuale la necessità di una revisione della governance, già inserita nel cosiddetto collegato ambientale alla legge di stabilità, e della regolamentazione della pianificazione urbanistica del territorio, con particolare riferimento alla riduzione del consumo di suolo: entrambi provvedimenti il cui iter è già avviato;
    senza ombra di dubbio una efficace politica di prevenzione del dissesto si basa sul concreto e fattivo contrasto all'abusivismo edilizio, utilizzando tutti gli strumenti per la conoscenza il monitoraggio e la valutazione del fenomeno, già nella disponibilità degli enti locali e che non si può ritenere più tollerabile l'inerzia delle istituzioni nel predisporre una efficace azione di contrasto al fenomeno dell'abusivismo a partire dai mancati interventi di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi in particolare per le aree soggette a rischio idrogeologico;
    la colpevole inerzia nel reprimere illegalità e abusi costituisce il primo intervento di prevenzione, restituendo ai territori fragili, alluvionabili e soggetti a frane un adeguato riequilibrio dal punto di vista idrogeologico e geomorfologico oltre che paesaggistico ed ambientale;
    risulta necessario provvedere con la massima urgenza alla predisposizione di interventi di messa in sicurezza diffusa ma anche ad azioni di delocalizzazione per gli insediamenti residenziali e produttivi più a rischio per la tutela della vita umana, in quadro di intervento strutturale e sistemico senza dover continuamente rincorrere le situazioni di disastro e gli ingenti risarcimenti di danni a persone e immobili;
    è necessario creare una cornice normativa chiara per affrontare le emergenze, nella quale possa agire la protezione civile; questo passaggio risulta fondamentale per garantire, da un lato, certezza e rapidità di intervento, dall'altro, omogeneità di provvedimenti sul territorio, con particolare riguardo alle esigenze delle comunità già tragicamente colpite;
    riguardo agli interventi finalizzati alla prevenzione occorre rilevare che gli stanziamenti statali ordinari di competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sono fortemente diminuiti negli ultimi anni, passando da 551 milioni di euro nel 2008 a 159 milioni di euro nel 2014;
    parimenti è da registrare che l'intervento straordinario avviato nel 2009 per la prevenzione del dissesto idrogeologico, da attuare mediante accordi di programma sottoscritti tra le regioni e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per un importo pari a 2,1 miliardi di euro, non ha prodotto risultati apprezzabili poiché il 78 per cento degli interventi non ha ancora visto l'apertura dei cantieri trattandosi di oltre 1.100 cantieri da avviare per oltre 1,6 miliardi di euro;
    i ritardi nell'utilizzo dei fondi ministeriali sono in larga parte imputabili all'incertezza della disponibilità delle risorse e all'inefficacia delle gestioni commissariali, che non hanno consentito di ottenere un rapido impiego delle risorse e che, proprio in ragione dei limiti di questa esperienza, vedranno la loro conclusione il 31 dicembre 2014;
    il Presidente del Consiglio dei ministri ha comunicato la costituzione, presso la Presidenza del Consiglio, di una struttura di missione che avrà immediatamente a disposizione 1,7 miliardi di euro da destinare ad interventi a tutela del territorio contro il dissesto idrogeologico con l'obiettivo di rendere più efficace ed efficiente la spesa in tale ambito con investimenti concreti per superare la logica dell'emergenza;
    risulta indispensabile provvedere affinché le risorse già a disposizione e quelle annualmente preposte dal Governo per il dissesto idrogeologico, vengano rapidamente impiegate, poiché è inaccettabile per un Paese come il nostro, costretto a fare i conti quotidianamente con frane e allagamenti, che sia stato speso solo il 4 per cento dei 2 miliardi stanziati da oltre quattro anni dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dalle regioni;
    con l'interrogazione a risposta immediata n. 3-689 svolta il 12 marzo 2014 il gruppo del PD ha interrogato il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per conoscere quali iniziative intendesse porre in essere per ottenere la destinazione di una quota significativa delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione, come previsto dall'articolo 1, comma 7, della legge di stabilità per il 2014, ad interventi di messa in sicurezza del territorio, di ripristino delle condizioni di sicurezza e di salvaguardia dei siti interessati da gravi fenomeni di inquinamento ambientale, in particolare per quanto riguarda le risorse idriche superficiali e profonde, nonché ad interventi di prevenzione del rischio idrogeologico finalizzati alla manutenzione ordinaria ed equilibrata del territorio;
    il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha comunicato di aver predisposto e trasmesso formalmente, nel mese di febbraio 2014, sia al Ministro per la coesione territoriale pro tempore sia al dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica, un documento di strategia unitaria che contempla la programmazione dei fondi strutturali per il ciclo 2014-2020 in sinergia e complementarietà con il Fondo sviluppo e coesione che si basa sull'indicazione contenuta proprio nella nota tecnica divulgata dal Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica dove, nel proporre un'ipotesi di allocazione dei fondi strutturali, si fa riferimento ad ulteriori e necessarie operazioni di infrastrutturazione e di interventi assimilabili alla categoria di opere pubbliche;
    è stato scelto di proporre e sostenere una programmazione unitaria sulle tematiche ambientali ritenute prioritarie, il cui finanziamento dovrà trovare pertinente collocazione sulle risorse sia comunitarie che nazionali, assicurando la contestuale fattibilità delle iniziative sia strutturali che di governance;
    il documento elaborato è stato il risultato di un primo confronto avuto con le regioni in merito ai temi ambientali ritenuti prioritari: prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico, messa in sicurezza e bonifica dei siti di interesse nazionale e dei siti di interesse regionale, amianto, tutela delle acque e gestione delle risorse idriche, gestione integrata dei rifiuti, biodiversità, efficienza energetica, qualità dell'aria, produzione e consumi sostenibili in agricoltura;
    la stima approssimativa del fabbisogno finanziario per gli interventi ambientali è stata effettuata grazie all'avvio di una prima istruttoria di carattere speditivo che ha permesso di quantificare, in 7.715 milioni di euro il fabbisogno finanziario per la prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico ed adattamento al cambiamento climatico, 2.500 milioni di euro il fabbisogno finanziario per la bonifica e riqualificazione ambientale dei siti inquinati, 3.532,5 milioni di euro per la tutela delle acque e la gestione delle riserve idriche;
    appare ormai evidente la necessità di realizzare una svolta radicale nelle politiche di governo e di trasformazione del territorio, avendo come obiettivo prioritario quello della prevenzione e della riduzione del rischio idrogeologico, affinché non si continui costantemente a rincorrere le emergenze e si risolvano finalmente i nodi critici sopra illustrati, come quest'aula ha già formalmente impegnato a fare il Governo attraverso le mozioni parlamentari approvate in data 26 giugno 2013 e la risoluzione della VIII Commissione (Ambiente, territorio e lavori pubblici) della Camera dei deputati approvata in data 3 ottobre 2013;
    per le risorse stanziate si rende necessario prevedere un'adeguata ripartizione tra il finanziamento di interventi per la prevenzione e il finanziamento di interventi per le emergenze, in modo da potere quantificare i finanziamenti in maniera certa e da favorire un graduale passaggio dall'emergenza alla prevenzione, rendendo effettivamente spendibili in tempi certi le risorse;
    risulta necessario agire con particolare rapidità e concretezza nel finalizzare l'utilizzo delle risorse attivabili sul Fondo per lo sviluppo e la coesione, in quanto nella programmazione comunitaria che si sta avviando, possano essere reperite ulteriori risorse necessarie e aggiuntive per la tutela del territorio e dell'ambiente, soprattutto sul fronte della prevenzione dei rischi naturali,

impegna il Governo:

   nel rivedere le regole del patto di stabilità a consentire agli enti locali di realizzare quelle opere fondamentali e necessarie di manutenzione e consolidamento del territorio, di rinaturalizzazione dei corsi d'acqua, di prevenzione del dissesto, nonché gli interventi di messa in sicurezza statica e strutturale degli edifici, a partire da quelli scolastici, consapevoli che tali interventi diffusi risultano essere la più grande opera di cui il nostro Paese necessita nei prossimi anni, che si può trasformare in una straordinaria occasione per generare investimenti e occupazione;
   a costruire una cornice normativa chiara per affrontare le emergenze conseguenti alle calamità naturali, nella quale possa agire la protezione civile, e a rifinanziare adeguatamente il Fondo unico per le calamità, al fine di garantire certezza, rapidità e omogeneità degli interventi a beneficio dei territori tragicamente colpiti;
   ad affrontare la questione relativa all'efficace gestione dei centri di spesa e dei livelli di governo, anche nell'ambito della discussione parlamentare del cosiddetto collegato ambientale, portando a compimento il percorso di riforma e di semplificazione del quadro dei soggetti, dalle competenze e degli strumenti in materia di difesa del suolo;
   ad investire con ogni possibile azione sulla sicurezza e sulla bellezza del territorio italiano in quanto fonte straordinaria ed inesauribile, a patto che venga tutelata, per produrre ricchezza, occupazione e sviluppo di qualità.
(1-00416) «Braga, Borghi, Cominelli, Arlotti, Mariastella Bianchi, Bratti, Carrescia, Dallai, Decaro, Gadda, Ginoble, Tino Iannuzzi, Manfredi, Mariani, Marroni, Mazzoli, Morassut, Realacci, Giovanna Sanna, Ventricelli».


   La Camera,
   premesso che:
    il quinto «Piano per la riduzione del rischio idrogeologico», presentato nel mese di febbraio 2014 dall'Associazione nazionale bonifiche, irrigazioni e miglioramenti fondiari (Anbi), ha ricordato come dal 2002 al 2014 nel nostro Paese si sono registrati circa 2 mila eventi alluvionali che hanno determinato 293 morti oltre a ingenti danni. Il 68,9 per cento dei comuni italiani è a forte rischio idrogeologico. Sei milioni di persone abitano in un territorio ad elevato rischio idrogeologico, e 22 milioni di persone in zone a medio rischio; 1.260.000 edifici minacciati da frane e di questi 6.251 sono edifici scolastici e 547 ospedali. A determinare tale situazione hanno certamente contribuito più fattori: da un lato, il mutato regime delle piogge, particolarmente accentuato nella sua variabilità negli ultimi anni; dall'altro, l'impetuosa urbanizzazione, il consumo del suolo, l'omessa manutenzione del sistema idraulico del Paese, lo spopolamento delle montagne, la riduzione del terreno agricolo;
    il progetto Iffi (Inventario dei fenomeni franosi in Italia), realizzato dall'Ispra e dalle regioni e province autonome, ha censito dal 1900 ad oggi oltre 486 mila fenomeni franosi e il 68 per cento delle frane europee si è verificato in Italia;
    peraltro gli effetti conseguenti ai cambiamenti climatici in atto sono tali che gli eventi alluvionali in Italia hanno subito un fortissimo aumento, passando da uno circa ogni 15 anni, prima degli anni novanta, agli attuali 4-5 l'anno;
    dal 2002 al 2012 sono stati stanziati 2,98 miliardi di euro a seguito delle dichiarazioni dello stato di calamità, e che dei 2 miliardi di euro previsti dal piano contro il dissesto idrogeologico del 2010, riconfermati negli anni seguenti al fine di rispondere al dissesto idrogeologico del Paese, si è speso appena il 4 per cento;
    si ricorda che nell'ambito degli interventi contro il dissesto idrogeologico, e proprio nel tentativo di accelerare la spendibilità delle poche risorse assegnate alla difesa del territorio, la legge di stabilità per il 2014, ha fissato una road map di procedure e scadenze per verificare i progetti per la difesa del suolo cantierabili o messi in atto dai soggetti responsabili degli interventi. Tra l'altro si prevede che entro il 30 aprile 2014, i soggetti titolari delle contabilità speciali concernenti gli interventi contro il dissesto idrogeologico devono finalizzare le risorse disponibili agli interventi immediatamente cantierabili e sono tenuti a presentare una specifica informativa al Cipe indicando il relativo cronoprogramma e lo stato di attuazione degli interventi già avviati;
    da troppi anni si continua a discutere della fragilità del nostro territorio e della necessità di intervenire per la sua messa in sicurezza, ma gli interventi di prevenzione sono praticamente inesistenti, nonostante è dimostrato che prevenire ha un costo di molto inferiore che ricostruire e riparare i danni; senza contare le centinaia di vittime che verrebbero risparmiate;
    la spesa per la prevenzione è stata in media di 250 milioni l'anno. Per ogni milione speso per prevenire, ne abbiamo spesi 10 per riparare i danni della mancata prevenzione;
    il fenomeno della perdita di suolo, che per la gran parte si identifica con la perdita di suolo agricolo, ha raggiunto livelli allarmanti e ha conseguenze non solo sulla produzione agricola, ma, per la multifunzionalità delle aree rurali, su aspetti paesaggistici, ambientali, sociali e di sicurezza del territorio;
    troppo spesso, come dimostrano molte delle calamità naturali che hanno colpito il nostro Paese, gestire le emergenze, piuttosto che investire nelle opere di prevenzione per la difesa del suolo, ha rappresentato e rappresenta un «affare» dal punto di vista economico e politico;
    il fabbisogno necessario per la realizzazione degli interventi per la sistemazione complessiva delle situazioni di dissesto su tutto il territorio nazionale è stimato in circa 40 miliardi di euro;
    va ripensato il nostro modo di costruire, di canalizzare le acque, di gestire i fiumi e le coste, nonché i sistemi urbani;
    è ormai improcrastinabile un adeguato impegno finanziario del governo al fine di poter finalmente finanziare con adeguate risorse un Piano pluriennale di interventi per la difesa del suolo e il contrasto al dissesto idrogeologico nel nostro Paese, consentendo contestualmente la loro effettiva spendibilità, troppo spesso impedita a causa dell'obbligo del rispetto del Patto di stabilità interno da parte delle regioni e degli enti locali;
    peraltro il taglio di risorse alle regioni e agli enti locali, sommato all'obbligo del rispetto del Patto di stabilità interno a cui sono tenuti, rende molto difficile per essi poter finanziare e realizzare anche i piani di manutenzione esistenti;
    è quindi indispensabile che le spese sostenute dalle regioni e d agli enti locali per gli interventi di prevenzione e manutenzione del territorio e di contrasto al dissesto idrogeologico, possano beneficiare dell'esclusione dai vincoli del Patto di stabilità, che rappresentano un evidente fortissimo freno per l'avvio di interventi concreti da realizzare sui territori. Interventi che, è bene ricordare significano apertura di cantieri diffusi sul territorio e quindi importanti ricadute occupazionali. L'opera di risanamento territoriale, al contrario della grande opera infrastrutturale, è infatti distribuita e diffusa sul territorio, realizzabile anche per gradi e per processi di intervento monitorati nel tempo, in grado di produrre attività ed economie durevoli, oltreché un elevato numero di persone impiegate nettamente superiore al modello della «grande infrastruttura»;
    il comparto dell'agricoltura italiana può e deve essere indirizzato al fine di attivare politiche vere a difesa e valorizzazione dell'ambiente, con pratiche virtuose che prevedano servizi ambientali integrati con l'agricoltura,

impegna il Governo:

   ad attivarsi in sede europea affinché vengano scorporate dai saldi di finanza pubblica, relativi al rispetto del patto di stabilità e crescita, delle risorse stanziate per il contrasto al dissesto idrogeologico;
   a prevedere comunque, già in sede di predisposizione del documento di economia e finanza 2014, che l'utilizzo delle risorse proprie e delle risorse provenienti dallo Stato, da parte di regioni ed enti locali per interventi di prevenzione e manutenzione del territorio e di contrasto al dissesto idrogeologico, venga escluso dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno, dando eventualmente priorità agli interventi sulle aree a più elevato rischio;
   ad avviare conseguentemente un piano pluriennale per la difesa del suolo nel nostro Paese, quale principale «grande opera» infrastrutturale in grado non solamente di mettere in sicurezza il fragile territorio italiano, ma di attivare migliaia di cantieri distribuiti sul territorio, con evidenti ricadute importanti dal punto di vista economico e occupazionale;
   a prevedere l'esclusione automatica dal patto di stabilità interno, senza la necessaria approvazione di una specifica norma di legge come attualmente previsto, delle spese sostenute dai comuni a valere su risorse proprie o su donazioni di terzi, in relazione a eventi calamitosi in seguito ai quali è stato deliberato lo stato di emergenza;
   ad attivarsi nel monitoraggio delle aree agricole, di proprietà della pubblica amministrazione, che risultino essere dismesse, abbandonate, o comunque aree non più utilizzate per finalità produttive da riconvertire all'agricoltura sostenibile, prevedendo un apposito programma nazionale, che prediliga l'affidamento e/o l'affitto agevolato delle aree in questione ai giovani agricoltori ed a organizzazioni, associazioni e imprese che operano nel campo dell'agricoltura sociale.
(1-00417) «Zan, Zaratti, Pellegrino, Franco Bordo, Palazzotto, Marcon, Ricciatti, Melilla, Boccadutri, Pannarale, Migliore, Di Salvo, Piazzoni».


   La Camera,
   premesso che:
    le sempre più frequenti emergenze derivanti da eventi calamitosi che hanno colpito e colpiscono il territorio italiano, senza distinzioni di aree geografiche, rimarcano le gravissime carenze del Paese rispetto al tema del governo del territorio e della prevenzione dei dissesti idrogeologici del medesimo;
    oltre al danno economico e ambientale, frane, alluvioni, inondazioni ed eventi sismici hanno prodotto anche una drammatica contabilità di perdite umane non trascurabili;
    a determinare tale situazione, oltre al fattore puramente climatico o geologico, ha contributo fortemente uno sconsiderato depauperamento delle aree libere e naturali causato da una urbanizzazione selvaggia, sia urbana che industriale, che ha colpito il territorio nazionale con incrementi degli insediamenti superiori anche al 500 per cento rispetto ai primi anni del dopoguerra;
    oltre alla progressiva urbanizzazione, l'esposizione al pericolo di dissesti del nostro fragile territorio è aggravata dall'elevata densità della popolazione, dall'abbandono ed il continuo disboscamento dei terreni montani, dall'uso di tecniche agricole poco rispettose dell'ambiente e dalla mancata manutenzione dei versanti e dei corsi d'acqua;
    a conferma della dimensione del rischio idrogeologico, collegato anche al consumo di suolo, vi è l'evidenza di alcuni dati: si stima, infatti, che oltre 80 comuni italiani su 100 sono interessati da una situazione allarmante di dissesto idrogeologico sul proprio territorio e che in zone ad alto rischio vivono circa 6 milioni di persone, mentre in quelle a rischio medio, comunque preoccupante, sono ben 22 milioni, cioè più di un terzo della popolazione italiana;
    sempre in tema di dati, si segnala che, a partire dall'inizio del secolo, gli eventi di dissesto idrogeologico gravi sono stati oltre 4.000, provocando circa 12.600 morti, mentre il numero dei dispersi, dei feriti e degli sfollati supera i 700 mila. In totale le aree a elevato rischio sismico sono circa il 44 per cento della superficie nazionale (131 mila chilometri quadrati), mentre quelle ad elevata criticità idrogeologica rappresentano circa il 10 per cento della superficie italiana (29.500 chilometri quadrati);
    secondo il primo rapporto Cresme-Ance, il costo complessivo dei danni provocati in Italia da terremoti, frane e alluvioni, dal 1944 al 2012, è stato pari a 242,5 miliardi di euro, circa 3,5 miliardi all'anno: il 75 per cento del totale, 181 miliardi, riguarda i terremoti, il restante 25 per cento, 61,5 miliardi, è da addebitare al dissesto idrogeologico;
    ammonterebbero a soli 8,4 miliardi di euro, secondo i dati diffusi dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, i finanziamenti statali degli ultimi venti anni per politiche di prevenzione e di difesa del suolo; nello stesso periodo sono stati spesi 22 miliardi per riparare i danni causati da frane ed alluvioni;
    il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha quantificato in 1,2 miliardi di euro all'anno per 20 anni il costo di un piano nazionale per la sicurezza e la manutenzione del territorio, e solo per mettere in sicurezza le aree a più elevato rischio idrogeologico servirebbero circa 11 miliardi, mentre ammonterebbero a 40 miliardi di euro (68 per cento al Centro-Nord e 32 per cento al Sud) i fondi necessari a mettere in atto gli interventi previsti dai piani regionali per l'assetto idrogeologico;
    dal 1991 al 2011 risultano finanziati interventi per circa 10 miliardi di euro, meno di 500 milioni all'anno, per l'80 per cento gestiti dal ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
    sempre secondo il citato rapporto, in 10 anni (2002-2012) i bandi di gara per lavori di sistemazione e prevenzione del dissesto idrogeologico rappresentano, rispetto all'intero mercato delle opere pubbliche, solo il 5 per cento per numero di interventi e il 2 per cento per importi di gara, con un ulteriore ridimensionamento a partire dal 2007;
    già lo scorso giugno 2013 il Governo si era impegnato, con l'accoglimento delle mozioni presentate dai gruppi parlamentari, ad adottare iniziative finalizzate a prevenire i rischi derivanti dal dissesto idrogeologico;
    nel novembre 2012 la Commissione europea ha sollecitato la corretta applicazione della direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio n. 2007/60/CE del 23 ottobre 2007, relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni, secondo la quale tutti gli Stati membri devono svolgere, per ciascun distretto idrografico una valutazione preliminare del rischio di alluvioni. Compresa una descrizione delle alluvioni significative avvenute in passato, qualora si ipotizzi che, in futuro, da eventi dello stesso tipo possano derivare notevoli conseguenze negative;
    le risorse per la prevenzione del dissesto idrogeologico potrebbero rinvenire dal nuovo ciclo di programmazione europea 2014-2020 e tal fine la legge di stabilità per il 2014 ha previsto che il Ministro per la coesione territoriale, d'intesa con i ministri interessati, destini una quota parte delle risorse del Fondo per le politiche di coesione al finanziamento degli interventi di messa in sicurezza del territorio, di bonifica di siti di interesse nazionale e di altri interventi in materia di politiche ambientali;
    sempre la legge di stabilità per il 2014 ha destinato alle misure di riduzione del rischio, tutela e recupero degli ecosistemi e della biodiversità le risorse esistenti sulle contabilità speciali relative al dissesto idrogeologico fino a 600 milioni di euro, più 804,4 milioni di risorse dalle delibere Cipe n. 6 del 2012 e n. 8 del 2012 del 20 gennaio 2012;
    ogni intervento ed ogni piano di azione per la prevenzione del dissesto idrogeologico è destinato a fallire senza il pieno coinvolgimento degli enti locali sia per la diretta conoscenza del territorio e sia perché sono coloro che vengono a trovarsi in prima linea in caso di evento calamitoso,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative, nell'ambito delle proprie competenze e nel rispetto delle competenze attribuite alle regioni e agli enti locali dalla legislazione vigente, anche di natura economica, finalizzate alla predisposizione di un piano straordinario di manutenzione dei versanti montani;
   a verificare, a oltre 4 anni dall'avvio del piano nazionale straordinario per la mitigazione del rischio idrogeologico, lo stato di attuazione degli interventi previsti e destinati agli oltre mille cantieri di messa in sicurezza del territorio;
   a procedere ad una rapida destinazione delle risorse stanziate dalla legge di stabilità per il 2014, disponibili e già autorizzate in termini di cassa, e verificare la possibilità dell'impiego in tempi rapidi delle risorse derivanti dal nuovo ciclo di programmazione europea 2014-2020;
   a promuovere una rivisitazione della normativa vigente in materia di controlli, al fine di prevedere l'introduzione di meccanismi sanzionatori in caso di inadempienze accertate da parte delle pubbliche amministrazioni;
   ad adoperarsi nelle competenti sedi europee affinché, nel corso del semestre europeo, si affronti al più presto il delicato problema della prevenzione e della difesa del territorio, anche eventualmente sollecitando l'adozione di provvedimenti incisivi che consentano soluzioni condivise e comuni, a partire dalla esclusione dal computo nel saldo finanziario utile ai fini del rispetto del patto di stabilità interno, delle risorse destinate alla gestione del territorio e per il monitoraggio delle situazioni a rischio idrogeologico e che eventualmente prevedano anche la costituzione di un fondo per la bonifica degli alvei dei fiumi e dei loro affluenti, nonché la costituzione di un centro europeo di raccolta dati;
   a valutare l'opportunità di vincolare una quota del bilancio statale alla costituzione di un fondo di garanzia per il lucro cessante delle attività economiche esistenti sul territorio oggetto di evento sismico e/o idrogeologico.
(1-00418) «Gigli, Cera, De Mita, Sberna, Fauttilli, Schirò, Caruso, Piepoli, Marazziti, Binetti, Fitzgerald Nissoli».


   La Camera,
   premesso che:
    il rischio idrogeologico è una conclamata emergenza nazionale, corroborata da dati statistici, analisi scientifiche, ricorrenti fatti di cronaca e prese di posizione pubbliche da parte di politici e ministri;
    uno degli argomenti più ricorrenti è l'esclusione dai vincoli del patto di stabilità delle spese effettuate dagli enti territoriali per opere di mitigazione del rischio idrogeologico e di ripristino a seguito di eventi calamitosi;
    tale misura, nonostante indubbiamente efficace e acclamata sia dal mondo scientifico che dai tecnici che da esponenti del mondo politico e delle istituzioni locali, non può costituire l'unico strumento per la soluzione di un problema così complesso come quello del rischio idrogeologico che è determinato da quattro principali concause: la forzante meteorologica, una congenita predisposizione al dissesto di una parte del territorio nazionale, una sconsiderata gestione del territorio, la mancata diffusione di un'adeguata percezione del rischio nella popolazione e nella classe tecnico-politica a tutti i livelli, dal nazionale al locale;
    in data 26 giugno 2013 la Camera dei deputati approva all'unanimità – o, in alcuni casi, a larghissima maggioranza – le mozioni n. 1/114, n.  1/17, n.  1/112, n.  1/117 e n.  1/124, alcune delle quali contenenti dispositivi molto articolati ma quasi tutte accomunate dall'impegno di escludere dal patto di stabilità le spese sostenute dagli enti territoriali per il dissesto idrogeologico;
    a tali mozioni, che affrontano il problema del rischio idrogeologico in chiave nazionale, a seguito di eventi calamitosi di particolare entità, fa seguito una serie di mozioni, n. 1/263 ed abbinate (riguardanti la Sardegna) e n. 1/367 ed abbinate (inerenti le alluvioni che hanno colpito il Veneto e l'Emilia), in cui vengono formulati svariati impegni, tra cui quello di allentare il patto di stabilità per opere di contrasto al dissesto idrogeologico;
    in data 3 ottobre 2013, in occasione del cinquantesimo anniversario della tragedia del Vajont, la VIII commissione approvava all'unanimità la risoluzione n. 8/16, che conteneva numerosi impegni tra cui l'esclusione dal patto di stabilità, lo stanziamento di fondi cospicui e certi, l'adozione di programmi, anche in ambito forestale, per la mitigazione del rischio idrogeologico;
    in data 20 dicembre 2013, viene accolto l'ordine del giorno 9/1865-A/185 che impegna il Governo a valutare la «possibilità (...) di un congruo innalzamento della dotazione delle risorse complessive per interventi contro il dissesto idrogeologico, destinando una quota di esse al rifinanziamento del progetto Iffi (inventario fenomeni franosi italiani)”, che costituisce un ottimo ausilio ad una corretta pianificazione territoriale e “a destinare prioritariamente le risorse per gli interventi che incidano sul reticolo idrografico, alla delocalizzazione degli immobili siti in aree a rischio e ad interventi sinergici e integrati in aree classificate a rischio R3 e R4, preferibilmente adottando tali interventi a valle di processi partecipati e con particolare riguardo affinché tali interventi non alterino l'equilibrio sedimentario del corso d'acqua e gli interventi di naturalizzazione risultino prioritari rispetto agli interventi di artificializzazione»;
    alla Camera dei deputati, in commissione bilancio, è iniziato l'esame della proposta di legge C. 1233 «Disposizioni concernenti l'esclusione delle spese per la prevenzione e la riduzione del rischio idrogeologico e sismico, effettuate dagli enti pubblici territoriali, dal saldo finanziario rilevante ai fini del patto di stabilità interno»;
    alla Camera dei deputati, oltre la succitata C. 1233, sono state depositate altre proposte di legge che affrontano direttamente il problema del rischio idrogeologico; tra queste si segnalano: C. 1578 «Agevolazioni fiscali per la realizzazione di interventi volti alla riduzione del rischio idrogeologico e sismico», C. 2209 «Disposizioni concernenti l'applicazione delle tecniche di ingegneria naturalistica nelle opere pubbliche», C. 1533 «Interventi per il sostegno della formazione e della ricerca nelle scienze geologiche», C. 1952 «Introduzione dell'articolo 62-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, concernente l'istituzione degli uffici geologici territoriali di zona per la mitigazione del dissesto idrogeologico e la prevenzione delle catastrofi naturali»;
    vi è oramai la diffusa consapevolezza dell'esigenza di affrontare senza ulteriore indugio la tematica del dissesto idrogeologico in maniera organica ed urgente,

impegna il Governo:

   a recepire in tempi brevi, in un atto normativo di prossima approvazione, quanto espresso dai numerosi atti di indirizzo approvati dalla Camera e citati in premessa;
   ad adottare iniziative per disporre l'esclusione delle spese per la prevenzione e la riduzione del rischio idrogeologico e sismico, effettuate dagli enti pubblici territoriali, dal saldo finanziario rilevante ai fini del patto di stabilità interno;
   ad adottare iniziative per istituire delle agevolazioni fiscali per la realizzazione di interventi volti alla riduzione del rischio idrogeologico e sismico;
   a promuovere l'adozione di disposizioni volte a favorire l'applicazione delle tecniche di ingegneria naturalistica nelle opere pubbliche;
   ad intervenire per il sostegno della formazione e della ricerca nelle scienze geologiche;
   ad istituire uffici geologici territoriali di zona in cui figure professionali specifiche supportino attivamente gli enti territoriali per favorire la mitigazione del dissesto idrogeologico e la prevenzione delle catastrofi naturali.
(1-00419) «Segoni, Busto, Daga, De Rosa, Mannino, Micillo, Terzoni, Tofalo, Zolezzi, Nuti».

Risoluzione in Commissione:


   La IX Commissione,
   permesso che:
    la disciplina sulla sosta degli autoveicoli è stata di recente oggetto di un vivace contrasto interpretativo in ordine al regime sanzionatorio applicabile. Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e l'associazione nazionale comuni italiani, in contrasto fra loro, hanno fornito due approdi interpretativi divergenti;
    il caso controverso, specificamente, riguarda l'esatta individuazione della sanzione per l'ipotesi in cui un soggetto parcheggi il suo veicolo in un area riservata soggetta a sosta regolamentata e provveda al regolare pagamento del titolo di sosta, ma non rispetti i limiti temporali previsti;
    in linea generale l'ANCI opta per un regime sanzionatorio di stampo pubblicistico, con l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria, mentre il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti invece non ritiene applicabile la sanzione amministrativa, sostenendo che l'ipotesi in esame rappresenti un illecito civile, soggetto alla sanzione privatistica dell'inadempimento contrattuale;
   l'assetto normativo che ha dato origine al contrasto presenta dei profili di contraddittorietà e difetta di organicità e chiarezza normativa. I principali elementi di confusione sono, a detta dei proponenti, determinati dalla apparente sovrapposizione di una serie di norme in contrasto fra loro. I precetti in contrasto sono rappresentati dagli articoli 7, commi 1, lettera f), 14 e 15 e l'articolo 157, commi 6 e 8 del codice della strada,  oltre che dall'articolo 17, comma 132 della legge n. 127 del 1997;
    nel citato groviglio di norme, a fronte di duplicazioni e contrasti, di fatto non esiste alcuna disposizioni che esplicitamente disciplini la fattispecie della sosta effettuata con ticket regolarmente acquistato ma poi scaduto. L'assenza di tale disposizione esplicita, oltre ai citati conflitti, è la principale causa del contrasto;
    la vigente disciplina presenta palesi profili di contrasto con le disposizioni costituzionali e comunitarie. Ad assetto vigente, non risulta possibile offrire una lettura costituzionalmente e comunitariamente univoca, orientata a sanare tali contrasti e tali illegittimità;
    la soluzione del Ministero contrasta con i principi comunitari contenuti nel Libro bianco sui trasporti e nella approvanda direttiva sulla mobilità urbana (DG MOVE). Infatti, l'avallo dell'interpretazione ministeriale metterebbe in crisi i sistemi di gestione della sosta che trovano uniforme applicazione in tutti i Paesi dell'Unione;
    la soluzione ANCI appare in palese contrasto con il principio di offensività e quindi con gli articoli 25, 27 della Costituzione e al combinato disposto 117 della Costituzione e articolo 6 CEDU, in quanto portano alla punizione di comportamenti eventualmente inoffensivi;
    il conflitto reale o apparente fra norme riflette un problema di natura metagiuridica. Da qui l'esigenza di individuare una soluzione concreta che salvaguardi le esigenze privatistiche di tutela del cittadino con quelle pubblicistiche di razionale utilizzo del suolo e di rispetto delle norme di circolazione stradale;
    la soluzione civilistica proposta dal Ministero crea un vuoto di tutela e un conseguente vulnus all'interesse pubblico, dando la stura a comportamenti opportunistici di utenti che scelgano scientemente di pagare la tariffa minima, sfruttando le lacune dell'ordinamento. Questa soluzione oltre a mettere in crisi le finalità della sosta regolamentata (contenimento della domanda di mobilità privata), riduce anche le fonti di sostegno economico alle politiche per la mobilità sostenibile (articolo 7 del codice della strada);
    la soluzione pubblicistica proposta dall'ANCI può sacrificare eccessivamente i diritti dei cittadini. Tale opzione interpretativa, infatti, oltre a presentare concreti profili di illegittimità costituzionale, quali ad esempio il principio di offensività, crea nel contempo situazioni di iniquità sostanziale. Situazioni inique possono determinarsi nel caso in cui un soggetto abbia sbagliato il calcolo sull'orario di sosta e «sfori» il tempo consentito anche di pochi minuti. Infatti, per tale ricostruzione interpretativa, rispettando alla lettera il dettato normativo, il soggetto in questo caso va sanzionato. Pertanto, anche la permanenza di un solo minuto in violazione delle norme previste dal codice implica l'applicazione della sanzione piena con il conseguente rischio che, avallando questa ricostruzione, venga conferita eccessiva discrezionalità all'organo accertatore, che si troverà nella situazione di dover decidere se procedere all'irrogazione della sanzione o soprassedere. Oltretutto, ragionando al contrario, vigente questa ricostruzione, il cittadino sarà obbligato a pagare quote orarie di sosta non usufruita, perché, nella valutazione degli orari di sosta, dovrà ricorre a criteri prudenziali;
    nell'ordinamento esistono soglie di tolleranza. Fra tutte, proprio in materia di circolazione stradale e in particolare di limiti di velocità, si veda l'articolo 1, decreto ministeriale 29 ottobre 1997, secondo il quale nell'impiego di apparecchi automatici per gli accertamenti della velocità deve essere applicata una riduzione pari al 5 per cento con un minimo di 5 chilometri/orari. Nella riduzione è compresa anche la tolleranza strumentale;
    nel caso della sosta la stima sui tempi di permanenza è, talvolta, difficile da quantificare in anticipo e quindi se ragioni di tolleranza esistono nel caso dei limiti di velocità, tanto più devono valere in questo in cui le esigenze di sicurezza sono minori e il calcolo è più complesso;
    in alcuni comuni è già in vigore la prassi secondo cui l'organo accertatore, nell'immediata scadenza della tariffa di sosta, provvede al deposito del preavviso di ricorso, documento di moral suasion con il quale si ammonisce il trasgressore della futura sanzione,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per rivedere l'attuale normativa relativa alla sosta tariffata al fine di risolvere i profili di contraddittorietà di cui in parola;
   ad assumere iniziative per introdurre un sistema sanzionatorio graduale che tenga conto dei tempi di permanenza illegittimi e stabilisca una soglia di tolleranza non soggetta a sanzione;
   ad assumere iniziative per istituire, per legge, una procedura amministrativa che imponga all'organo accertatore di lasciare sul veicolo il preavviso di sanzione.
(7-00323) «Cristian Iannuzzi, Nicola Bianchi, De Lorenzis, Liuzzi, Paolo Nicolò Romano, Dell'Orco, Spessotto».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE ROSA, BUSTO, ZOLEZZI, TERZONI, SEGONI, MANNINO e DAGA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la società SOGESID s.p.a. è stata istituita, ai sensi dell'articolo 10 del decreto legislativo 3 aprile 1993, n. 96, successivamente modificato dall'articolo 20 del decreto-legge 8 febbraio 1995, n. 32, convertito, dalla legge del 7 aprile 1995, n. 104, allo scopo di affidare alla stessa, in regime di concessione, gli impianti idrici già detenuti dalla Cassa del Mezzogiorno; ha una sede centrale a Roma ed è dotata di piccole unità territoriali a Napoli, Bari, Palermo, Catanzaro Lido, Siracusa e Matera;
   le attività della SOGESID s.p.a. si sono progressivamente intensificate, interessando numerosi settori quali l'assistenza tecnica alle varie direzioni generali del Ministero, inclusa la direzione VIA, la definizione di interventi di messa in sicurezza e bonifica di siti contaminati di interesse nazionale, il supporto alla redazione dei piani di tutela delle acque e talvolta a quelli di monitoraggio, senza peraltro il coinvolgimento delle ARPA, che di tali attività sono titolari, la partecipazione a tavoli tecnici, forum e progetti internazionali in materia di risorse idriche, anche con funzioni di rappresentanza, lo svolgimento di campagne informative in materia ambientale, il monitoraggio e la vigilanza in materia di rifiuti;
   la SOGESID s.p.a grazie alla legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria per il 2007), articolo 1, comma 503, è stata trasformata in una società in-house, cioè un ente strumentale alle finalità ed alle esigenze del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, consentendo, in forza di tale trasformazione, che ad essa fossero trasferite molte competenze istituzionali del Ministero;
   le attività affidate dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare a SOGESID s.p.a. nella maggioranza dei casi sono subappaltate da quest'ultima a soggetti terzi;
   secondo quanto riportato dal periodico L'Espresso del 28 giugno, la SOGESID s.p.a., dal 2008 al 2011 ha assorbito dal Ministero 426 milioni di euro, attivando 1.600 consulenze per un totale di 35 milioni di euro, oltre ai propri 126 dipendenti e 315 collaboratori a progetto, mentre al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sono state decurtate risorse fino al 72 per cento ed eseguiti tagli molto consistenti del personale;
   la SOGESID s.p.a. rientra nel novero di quei soggetti che, secondo l'articolo 3 del decreto legislativo n. 163 del 2006, non sono tenuti ad espletare le procedure di evidenza pubblica per lo svolgimento delle attività ad essa affidate; tale deroga le consente progetti costosi e irrealizzabili e le citate consulenze milionarie, che hanno destato più di una volta l'attenzione dei magistrati, visti i criteri d'azione, ad avviso degli interroganti, lontanissimi dall'urgenza di bonificare i veleni d'Italia. Uno su tutti, la depurazione dei laghi di Mantova, minacciati dall'onda di petrolio ereditata da vecchi impianti di idrocarburi, il cui progetto è costato allo Stato un milione e 413 mila euro e, se realizzato, avrebbe costi di manutenzione di 110 milioni annui;
   la SOGESID s.p.a. riceverebbe, inoltre, un compenso forfettario pari al 26,50 per cento dell'intero importo finanziato, oltre ai corrispettivi ad essa riconosciuti con riferimento ai quadri economici dei singoli progetti ed interventi;
   alla luce delle incongruenze sopra rilevate, nel corso dell'audizione in VIII Commissione della Camera dei deputati del 18 luglio 2012 sulla spending review, e come riportato dalle agenzie di stampa, il Ministro pro tempore Corrado Clini aveva affermato che si preparava alla chiusura della SOGESID s.p.a., attraverso una fase transitoria con una gestione commissariale;
   tuttavia il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, come convertito dalla legge 7 agosto, n. 135, l'articolo 4, comma 3 (Riduzione di spese, messa in liquidazione e privatizzazione di società pubbliche), ha previsto che le norme sullo scioglimento delle società in house di cui al comma 1 non si applicano a società come la SOGESID s.p.a., in quanto produttrice di servizi di interesse generale, strumentali al perseguimento delle finalità istituzionali del Ministero;
   la SOGESID ha operato, ad avviso degli interroganti, non nell'interesse generale, anche per la presenza di dirigenti quale Luigi Pelaggi, indagato per corruzione nell'ambito dell'inchiesta sullo smaltimento illegale dei rifiuti dall'area ex Sisas di Pioltello-Rodano, alla periferia di Milano, discariche di cui si occupa la stessa Sogesid e di consulenti quali l'ex direttore generale Gianfranco Mascazzini, indagato in Campania per l'avvelenamento di Bagnoli, il quale, dopo essere andato in pensione, ha preso lo stipendio da Sogesid –:
   se il Governo non ritenga opportuno, alla luce di quanto rilevato, predisporre iniziative per valutare l'efficacia, la correttezza e la coerenza delle azioni intraprese della società SOGESID spa e riconsiderarne ruolo, competenze, risorse e quadro amministrativo;
   se il Governo non ritenga necessario, a maggior ragione, agire in linea con gli intendimenti espressi dal Governo Monti in ordine alla chiusura dell'attività di SOGESID spa procedendo così ad una razionalizzazione trasparente ed efficiente delle procedure per la concreta attuazione di azioni di bonifica e della selezione dei relativi soggetti attuatori. (5-02510)

Interrogazione a risposta scritta:


   GALLINELLA e SCAGLIUSI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il benessere di una nazione viene misurato attraverso il PIL, prodotto interno lordo, e cioè il totale dei beni e dei servizi finali prodotti da un Paese nel corso di un anno;
   molti economisti nel corso degli ultimi decenni hanno elaborato teorie secondo le quali il prodotto interno lordo non sarebbe un efficace indicatore per la misurazione del benessere reale di un Paese ed hanno iniziato a pensare ad ulteriori informazioni utili ad una misurazione alternativa di questo valore;
   secondo queste teorie il prodotto interno lordo non è un indicatore sbagliato, semplicemente non rappresenta adeguatamente ciò che è chiamato a misurare: il progresso sociale, in termini di qualità della vita, di un Paese;
   tra le teorie alternative al prodotto interno lordo vi è la misurazione del benessere dei bambini a partire dalla vita intrauterina, fino ai tre anni di età;
   secondo gli studiosi Brazelton e Greenspan, autori del libro, I bisogni irrinunciabili dei bambini, si dovrebbero collocare i bisogni basilari dell'infanzia entro una «cornice di riferimento ove tutte le varie forme di appagamento, fisico, sociale, emotivo e intellettuale, vengano considerate componenti essenziali per lo sviluppo della vita umana come la concepiamo e, ovviamente, per lo sviluppo del progresso sociale, politico ed economico»;
   nel libro succitato si ipotizza una sorta di «pagelle» per ogni nazione in base alla misura in cui ogni Paese riesce a soddisfare i bisogni fondamentali dei bambini e ciò implica che, in una società, il ruolo di genitore prevalga sul ruolo di produttore/consumatore, contrariamente a quanto avviene oggi nei sistemi economici finalizzati alla sola crescita del prodotto interno lordo;
   la legislazione dovrebbe pertanto assecondare questo ruolo definendo delle normative adatte affinché il genitore non passi la maggior parte della sua vita a produrre o consumare, ma sia la base della famiglia, la cui solidità rappresenta il vero benessere di una società –:
   se il Governo sia a conoscenza degli studi esposti in premessa e se non abbia intenzione di avviare approfondimenti per una ricerca nazionale che miri alla creazione di un indicatore alternativo da affiancare al prodotto interno lordo e se non ritenga quindi che il benessere dei bambini dalla vita intrauterina fino ai tre anni possa essere considerato un valore di riferimento per stimare il benessere e il progresso sociale di un Paese. (4-04261)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DURANTI, SCOTTO, DI SALVO, FRATOIANNI, NICCHI, PANNARALE, PIAZZONI, PILOZZI, PIRAS e FAVA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   una rete di associazioni (Collectif de la défense de la réserve de Ndiaël, Consiglio Nazionale per la Consultazione e Cooperazione Rurale – Cncr, ActionAid Sénégal e Italia, Enda – Pronat, Peuple Solidaires, Re:Common, Grain ed Oakland Institute) ha denunciato (come si evince da organi di informazione web come «Greenreport.it» e «Pagina99») un'operazione di «Land Grabbing» in Senegal, ossia l'accaparramento di terre nella regione di Ndiaël, dove oltre 9.000 persone di 37 villaggi, che vivono in gran parte di allevamento semi-nomade (80000 capi di bestiame) e piccola agricoltura sono messe in ginocchio da un progetto che vede protagonista un'azienda italiana: la «Tampieri Financial Group»;
   la cronologia che ha portato alla concessione dei terreni è riassunta dal seguente schema:
    a) nel 2010 l'azienda Senéthanol avvia una coltivazione su una superficie di 20.000 ettari ottenuta in concessione dal Consiglio Rurale di Fanaye;
    b) nel 2011 la «Tampieri Financial Group» entra nell'investimento come socio di maggioranza della Senhuile S.A. che vede la partecipazione anche della Senéthanol;
    c) nell'ottobre del 2011, in una manifestazione delle popolazioni che si oppongono all'investimento, due persone rimangono uccise. A seguito di questi tragici eventi, i rappresentati del Collettivo di difesa per la terra di Fanaye incontrano l'allora Presidente Abdoulaye Wade, ottenendo l'annullamento del progetto;
    d) nel marzo del 2012 il Presidente Wade ritorna sui suoi passi, dando in concessione per 50 anni 20.000 ettari di terra per la realizzazione di un progetto agro-industriale;
    e) nell'aprile del 2012 il nuovo Presidente senegalese Macky Sall annulla il decreto che dava in concessione i terreni;
    f) il 6 agosto 2012 il Presidente ci ripensa, è concede nuovamente i 20.000 ettari alla Senuihuile-Senéthanol;
    g) il 9 agosto 2012, ignari della nuova autorizzazione, i rappresentanti delle comunità locali incontrano i vertici dell'azienda per negoziare un compromesso. Di risposta, la Senhuile-Senéthanol si impegna a limitare l'investimento a 10.000 ettari;
    h) nel settembre 2012 la Senhuile-Senéthanol avvia il progetto al di fuori dei 10.000 ettari accordati;
   nello specifico, i 20.000 ettari di terreno dati in concessione provenivano da una zona di riserva naturale, protetta quindi da vincoli ambientali, della grandezza di 26.550 e «declassata» da decreto presidenziale di cui sopra a «zona di pubblico interesse» (quindi passibile di usi commerciali);
   non risultano azioni compensatorie verso le comunità private dei terreni indispensabili al loro sostentamento, ne da parte del governo senegalese ne tantomeno da parte della «Tampieri Financial Group»
   non si conoscono inoltre nel dettaglio i termini del decreto di concessione, soprattutto in riferimento alle finalità produttive ed all'utilizzo (e al successivo rilascio) delle acque del lago lì presente, tenendo conto della aridità della zona –:
   se non ritenga urgente convocare un tavolo di concertazione fra il rappresentante del governo senegalese, l'ambasciatore italiano in Senegal ed un rappresentate della «Tampieri Financial Group», al fine di conoscere i termini esatti degli accordi esposti in premessa ed al fine di approntare un piano di sviluppo economico che non leda i legittimi interessi di sopravvivenza della popolazione locale.
(5-02508)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   CORDA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Simaxis, centro agricolo che sorge sulla pianura alluvionale del Tirso, a circa 9 chilometri da Oristano, capoluogo della provincia, a circa 17 chilometri dall'area marina protetta «penisola del Sinis-isola di Mal di Ventre», sorge un impianto di cogenerazione a biomassa, installato all'interno di un capannone di circa 255 metri quadri, con un volume di 1.800 metri cubi;
   tale impianto, di proprietà della società Groil Srl, consente la liquefazione di sottoprodotti di origine animale derivanti da scarti di macellazione freschi;
   a tale impianto se ne aggiunge un altro, di proprietà della Cogen srl, che produce biocombustibile, per l'alimentazione dell'impianto di cogenerazione;
   da mesi i cittadini denunciano forti criticità in merito alla sua realizzazione, dovute soprattutto all'odore sgradevole che fuoriesce dai comignoli della struttura;
   la combustione di materia organica produce sostanze inquinanti che vengono immesse nell'atmosfera e nell'ambiente, causando inevitabili danni alla popolazione circostante;
   è opportuno rilevare che in seno alla realizzazione dell'impianto di liquefazione, non viene specificata la provenienza degli scarti animali;
   l'apparato supera un MW di potenza, per cui la sua realizzazione avrebbe dovuto essere autorizzata da una conferenza di servizi, in aggiunta ad una valutazione di impatto ambientale (VIA), nonché una valutazione di incidenza, una autorizzazione integrata ambientale (AIA) e una istanza di autorizzazione unica (ex articolo 6 della legge regionale n. 3 del 2009 e articolo 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003);
   negli ultimi anni in Italia gli impianti di biomassa sono sorti come funghi perché, oltre a produrre energia alternativa, creano business non alla comunità ma alla proprietà, grazie agli incentivi e a un uso speculativo del prodotto che li alimenta –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro intenda adottare al riguardo, anche promuovendo una verifica del Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, in modo da far luce sulle criticità e i disagi verificatisi fin dall'avvio dell'attività dell'impianto. (3-00720)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GALLINELLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   al fine di semplificare le procedure amministrative e burocratiche nel settore agricolo sono state introdotte nel corso del tempo una serie di norme che tuttavia, per alcuni settori specifici quali le attività di acquacoltura, non alleggeriscono il carico di adempimenti;
   in particolare, in materia di scarico di acque reflue da parte degli operatori dell'acquacoltura, nonostante il decreto del Presidente della Repubblica n. 227 del 2011 abbia introdotto alcune semplificazioni concernenti il rinnovo delle autorizzazioni, la procedura vigente è ancora eccessivamente macchinosa e non tiene in conto le peculiarità degli impianti di acquacoltura rispetto ad altri tipi di insediamenti industriali;
   nell'attività di acquacoltura in vasche a terra, l'acqua utilizzata viene restituita nelle medesime quantità prelevate e non soltanto priva di sostanze pericolose ma anche qualitativamente migliore rispetto a quella in entrata grazie alle moderne tecniche di allevamento basate su sistemi di ossigenazione ed impiego di alimenti specifici per ogni specie; gli eventuali reflui sono poi raccolti in opportune strutture di decantazione e costituiscono, a tutti gli effetti, effluenti di allevamento e fertilizzanti, secondo quanto previsto dall'articolo 74 del decreto legislativo n. 152 del 2006;
   in caso di rinnovo di autorizzazione allo scarico, qualora il gestore non abbia apportato sostanziali modifiche all'impianto, quali l'incremento delle concessioni di portata, interventi alle strutture e vasche di allevamento o alterazioni del ciclo dell'acqua, la procedura per il rinnovo dovrebbe semplicemente prevedere la presentazione all'amministrazione competente della documentazione attestante il rispetto dei valori limite di emissione, così come indicati dalla Tabella 3 allegato 5 della parte terza del decreto legislativo n. 152 del 2006, e l'autorizzazione dovrebbe intendersi prorogata qualora, entro i seguenti 60 giorni, non sopraggiungano rilievi da parte dell'autorità concedente; in caso di omessa risposta da parte della stessa e in presenza dei requisiti richiesti, l'autorizzazione allo scarico dovrebbe intendersi tacitamente rinnovata per il  periodo previsto dalle vigenti disposizioni di legge –:
   se intenda assumere iniziative per definire una normativa chiara per lo scarico delle acque provenienti da impianti di acquacoltura, in particolare per quanto concerne il rinnovo dell'autorizzazione allo scarico, tenendo conto delle peculiarità degli impianti di acquacoltura rispetto ad altri tipi di insediamenti industriali. (4-04258)


   NASTRI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la presentazione del quinto piano per la riduzione del rischio idrogeologico, redatto dall'Associazione nazionale bonifiche e irrigazioni – ANBI, reso noto nel mese di febbraio 2014, evidenzia come anche nell'anno in corso, la sequenza dei disastri territoriali in aree regionali, quali Veneto, Emilia-Romagna, Liguria, Toscana e Lazio, già gravemente colpite da precedenti alluvioni, rileva un quadro complessivo per ridurre gli impatti derivanti dagli effetti calamitosi, sul sistema idrogeologico nazionale, tuttora particolarmente grave e preoccupante;
   il rapporto indica, infatti, come, nonostante non manchino gli indispensabili provvedimenti di emergenza, che le tragiche situazioni richiedono, affiorino una serie di lacune manifeste, con riferimento ad una pianificazione di azioni di prevenzione, volte a ridurre la pericolosità dei ricorrenti eventi alluvionali, in quanto né il Governo, né il Parlamento a giudizio dell'interrogante hanno provveduto alle iniziative necessarie;
   a giudizio dell'interrogante, appare condivisibile la critica rivolta al Governo, in relazione alla evidente mancanza di adeguate risorse finanziarie, per la riduzione del rischio idrogeologico e la messa in sicurezza del territorio;
   va rilevato altresì che vi sono numerose proposte legislative d'iniziativa parlamentare, finalizzate a migliorare il sistema della sicurezza del territorio dal punto di vista idrogeologico, ancora all'esame del Parlamento;
   dal 2002, al 2014 prosegue il documento suindicato, si sono registrati circa 2 mila eventi alluvionali, che hanno determinato 293 vittime, oltre ad ingenti danni per le infrastrutture, in particolare quelle di collegamento non solo stradale, a cui si aggiungono lesioni negli edifici sia pubblici che privati, soprattutto quelli produttivi a cui si uniscono anche i danni derivanti anche per il patrimonio artistico;
   nel nostro Paese, continua il suindicato piano dell'ANBI, emergono dati numerici particolarmente critici in considerazione del fatto che 6 milioni di individui abitano in un territorio ad elevato rischio idrogeologico e, 22 milioni in zone a medio rischio e, dal punto di vista delle infrastrutture, 1.260.000 edifici sono quelli minacciati dalle frane, fra i quali 6.121 sono edifici scolastici e 531 gli ospedali;
   a determinare tale situazione, hanno certamente contribuito due fattori: da un lato, il mutato regime delle piogge, particolarmente accentuato nell'ultimo decennio per la vulnerabilità, dall'altro l'impetuosa urbanizzazione, il consumo del suolo, l'omessa manutenzione del sistema idraulico del Paese, lo spopolamento delle montagne e la riduzione del terreno agricolo;
   secondo quanto rileva l'ANBI, risulta certamente possibile ridurre l'impatto degli eventi eccezionali attraverso azioni volte a rinforzare i territori fragili, a provvedere alle manutenzioni ed agli adeguamenti necessari a garantire la regolazione idraulica, ad assicurare il funzionamento degli impianti idrovori ed il consolidamento degli argini, a condizione che sia introdotta in tempi rapidi una serie di misure adeguate all'interno di piano di programma e di messa in sicurezza del territorio, indispensabile per la tutela della comunità civile nazionale e delle attività produttive anche attraverso nuove regole d'uso;
   la legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità per il 2014), ed il successivo decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 febbraio 2014, n. 6, si sono limitati a dettare norme che dovrebbero determinare l'utilizzo delle somme già previste nei predetti accordi di programma, mentre estremamente modesti risultano essere gli stanziamenti previsti, per il triennio 2014, 2015 e 2016 rispettivamente: 30 milioni di euro, 50 milioni di euro e 100 milioni di euro;
   a giudizio dell'interrogante il contenuto del piano proposto dall'ANBI, risulta essere nel complesso condivisibile, in considerazione del fatto che il documento conferma nuovamente, sia i livelli di criticità e di difficoltà finanziaria che permangono sul sistema della sicurezza del territorio e i rischi idrogeologici ancora persistenti, che la scarsa attenzione da parte del Governo nell'individuazione di soluzioni idonee per il reperimento delle risorse, anche attraverso una proiezione quindicennale dell'impegno di spesa che potrebbe realizzarsi mediante mutui –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   quali iniziative urgenti e necessarie intenda intraprendere, nell'ambito delle sue competenze, per garantire maggiore sicurezza idrogeologica al Paese, posto che i dati indicati dall'Associazione nazionale bonifiche e irrigazioni – ANBI e descritti in premessa, appaiono a giudizio dell'interrogante sconcertanti sia dal punto di vista degli interventi di programmazione e di prevenzione, che sotto il profilo finanziario. (4-04263)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Monte Faito è una cima campana che raggiunge i 1131 metri sopra il livello del mare;
   alle sue pendici comincia il parco regionale dei Monti Lattari;
   nonostante la bellezza e l'importanza di tale parco, tutte le vie d'accesso sono attualmente chiuse;
   la funivia che, da oltre 60 anni saliva da Castellammare, si è fermata nel settembre del 2012, ufficialmente per lavori di adeguamento strutturale (messa in sicurezza e adeguamento alle normative);
   sono stati stanziati per tali lavori circa due milioni di euro attraverso fondi regionali, ma sui tempi di riapertura nessuno si sbilancia;
   l'altra via d'accesso su quello stesso versante era la strada che parte dalla Reggia del Quisisana, fatta costruire dal conte Giusso durante lo scorso secolo, ma è stata inibita alla viabilità perché troppo stretta, nonostante fino all'anno scorso pendolari, residenti, addetti ai ripetitori radio-televisivi e villeggianti continuassero ad utilizzarla;
   questa strada non ha retto all'incuria e alla devastazione, perché il taglio abusivo di alberi a scopo di lucro e la conseguente occlusione dei valloni di convogliamento delle acque, sapientemente previsti dagli ingegneri che la realizzarono, hanno provocato frane e smottamenti, rendendola di fatto impraticabile;
   il rischio idrogeologico è particolarmente alto nel tratto tra Scanzano e Pozzano, frazioni di Castellammare, ma intanto i primi tornanti continuano ad essere frequentati da coppie e da sversatori abusivi di rifiuti;
   rimaneva dunque utilizzabile solo l'ex strada statale 269, oggi strada provinciale, che da Vico Equense portava su verso la cima, ma il 4 marzo scorso un grosso macigno è franato all'altezza del km 12,700, bloccando il passaggio;
   per qualche giorno il macigno è rimasto lì, senza che nessuno intervenisse, dopodiché sono stati avvisati i vigili del fuoco, che però, una volta giunti sul posto, non hanno potuto che chiudere la viabilità per il rischio frane, in attesa della messa in sicurezza del costone di roccia;
   tale opera di messa in sicurezza ad oggi non è ancora avvenuta;
   negli scorsi giorni una squadra di operai ha provveduto a frammentare e a rimuovere il grosso masso, ma resta immutata l'ordinanza n. 78 del 7 marzo scorso con la quale il comune di Vico Equense ha disposto la chiusura della strada;
   per i nuclei familiari residenti, i lavoratori delle stazioni di ripetizione dei segnali Rai e Mediaset, gli esercenti ed i proprietari di case superstiti dopo la miriade di abbandoni degli ultimi 20 anni, la situazione è paradossale: difatti seguendo le disposizioni del divieto i bambini non potrebbero più andare a scuola, gli adulti a lavoro, né a rifornirsi di generi di necessità (gli esercizi aperti sono in tutto 8, considerando anche il bar, i rifugi e i ristoranti), i tecnici dei ripetitori e gli esercenti non potrebbero andare a lavorare, i proprietari vedrebbero sospesa la possibilità di raggiungere le proprie case, il cui valore immobiliare è bassissimo ed i cui costi sono spaventosi (la manutenzione infatti, vista la durezza del clima, raggiunge cifre molto elevate);
   come se non bastasse il danno, per i proprietari ci sono anche le beffe: se non si paga un servizio di vigilanza avere uno o più furti in casa è praticamente una certezza, ed inoltre le rendite catastali fissate dal comune di Vico Equense per la zona sono equiparate a quelle di Capri e Sorrento, con il risultato che si affrontano ingenti spese fiscali senza ricevere quasi nessun servizio;
   il parco regionale dei Monti Lattari, istituito il 13 novembre del 2003 con decreto del presidente della giunta regionale della Campania n. 781 è tuttora praticamente una legge rimasta sulla carta;
   lo scenario è tragico, come si capisce non appena arrivati nei pressi della salita della Reggia Borbonica del Quisisana a Castellammare, recentemente ristrutturata e circondata da un verde lussureggiante;
   come già accennato, infatti, la strada costruita sulla traccia di una vecchia mulattiera da Girolamo Giusso, antico proprietario del Faito, alpinista e ambientalista ante litteram, in diversi punti presenta discariche improvvisate, con scarpe vecchie, lattine, giocattoli rotti, secchi di vernice vuoti, tubi, cesti, bottiglie di plastica, materassi, frigoriferi da bar, parabrezza di auto, materiale da demolizione edilizia, pneumatici e pannelli di amianto che si affollano oltre i tornanti o lungo sentieri tracciati perpendicolarmente dalle vie del taglio abusivo;
   percorrendo i viali dei giardini della Reggia borbonica in direzione Pimonte le cose non migliorano: sono visibili segni di frane e smottamenti, ma soprattutto i torrenti sono chiaramente usati come sversatoi;
   in quei punti sono rintracciabili alcuni pannelli di amianto rinchiusi in teloni cerati dai vigili del fuoco;
   sul Faito, distribuite su un territorio di poche decine di chilometri quadrati, vivono fisse una ventina di famiglie;
   eppure vi sono tra le duecento e le trecento abitazioni, un terzo delle quali abbandonate;
   queste abitazioni sono il retaggio di una fase storica in cui erano attivi un maneggio ed una stazione sciistica, un ufficio postale, una stazione dei carabinieri, un cinema, una pompa di benzina ed una fattoria;
   attualmente anche le poche attività commerciali ancora presenti sono a rischio di fallimento;
   un'ulteriore problematica legata a quell'area consiste nei tagli abusivi effettuati sulla strada privata del Quisisana, quest'anno estesi anche alle zone interne, peraltro molto più battute;
   non sono bastate le molte segnalazioni effettuate agli organi competenti dalla Pro-Faito Onlus, associazione che raccoglie cittadinanza e turisti abituali;
   recentemente il taglio di un pino all'altezza del chilometro 14,200 della strada provinciale 269, ha provocato danni ai fili della rete elettrica, lasciando senza luce per diversi giorni alcune famiglie residenti, e sulla strada che da Pian del Pero porta alla Conocchia è ben visibile l'attività di taglio nel faggeto circostante;
   l'ente che si occupa del parco regionale dei Monti Lattari presenta una serie di problematiche: possiede un organigramma ma mancano alcuni organi, ha una sede ma non ha dipendenti sufficienti ad espletare i diversi compiti;
   nel territorio in questione sono purtroppo all'ordine del giorno fenomeni di abusivismo edilizio, sversamento di rifiuti, bracconaggio, gestione non regolamentata del patrimonio forestale, incendi, dissesto idrogeologico, abbandono della rete sentieristica ed una costante perdita di biodiversità, identità storica e culturale –:
   se il Ministro sia a conoscenza degli esposti in premessa;
   quali misure abbia già preso in merito e quali azioni intenda intraprendere a riguardo e, in particolare se non ritenga opportuno ed urgente intervenire al fine di impedire ulteriori sversamenti di rifiuti incrementando il controllo del territorio. (4-04259)


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo le ultime notizie riportate dalle agenzie di stampa, sono in continuo ed esponenziale aumento gli arrivi di clandestini sulle coste italiane, che qui giungono prima a bordo di barconi in partenza dalla Libia e poi scortati dalle navi della Marina militare nell'ambito dell'operazione «mare Nostrum»;
   pare che dall'inizio di quest'anno gli arrivi abbiano superato quota 8.500, ma sono in giornaliero aumento, e il Viminale ha fatto sapere che il dato è al momento di oltre dieci volte maggiore a quello registrato nello stesso periodo del 2013, un vero e proprio record;
   in questi giorni, senza alcun piano preordinato né concordato con gli enti locali, il Ministero sta via via trasferendo i clandestini ospitati nei centri attigui ai porti di sbarco, ormai al collasso a causa dell'elevato ed eccezionale afflusso, nelle regioni del Nord;
   nel comune di Trieste la situazione è diventata ormai esplosiva ed ingestibile, poiché se fino all'autunno 2013 erano 30 gli extracomunitari, entrati clandestinamente nel nostro Paese e ospitati nelle diverse strutture di accoglienza cittadine, negli ultimi mesi si sono moltiplicati in modo esponenziale e oggi sono addirittura 256;
   a questi si aggiungono ulteriori 80, per un complessivo numero di 336, che pare abbiano ottenuto una forma di protezione internazionale e che inseriti nel circuito Sprar ricevono ulteriore assistenza; 
   la gravità della situazione, anche per motivi di ordine pubblico e sicurezza, in cui versano i cittadini di Trieste è confermata dalla sfiorata tragedia di qualche giorno fa, quando Naseri Mohammad Gul, il giovane afghano che si è ucciso il 26 marzo davanti alla questura, aveva prima sottratto la pistola a un poliziotto e poi tentato di sparare all'impazzata per le strade affollate di gente;
   secondo la circolare dell'8 gennaio 2014 del Ministero dell'interno – dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione recante «Afflusso di cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale. Individuazione di strutture di accoglienza» a qualunque clandestino che sbarchi in Italia e semplicemente presenti richiesta di protezione, internazionale, anche se fittizia, deve essere garantito vitto e alloggio per un importo di 30 euro oltre IVA, un pocket money di 2,5 euro al giorno e una tessera/ricarica telefonica di 15 euro all'ingresso delle strutture di accoglienza, nonché assistenza e cure sanitarie;
   la commissione territoriale per il riconoscimento per la protezione internazionale competente è quella di Gorizia che ha giurisdizione su tutte le domande presentate in Friuli Venezia Giulia, Veneto e Trentino Alto Adige e che da sola sarà chiamata a valutare tutte le domande, anche fittizie, che verranno inevitabilmente presentate, anche alla luce dei sopra indicati benefit promessi dall'attuale Governo –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione sopra esposta e quali azioni intenda porre in essere per risolvere tali problemi; quali siano i costi ad oggi sostenuti per assicurare l'accoglienza di tutti gli extracomunitari clandestini che dal 2013 ad oggi sono arrivati sulle coste italiane, quali risorse abbia già erogato o destinato al comune di Trieste per far fronte a tale massiccio afflusso nelle proprie strutture; in caso di richiesta di protezione internazionale, con quali risorse intenda far fronte per attuare tale piano di accoglienza e quali risorse invece intenda destinare per effettuare i rimpatri; se intenda ampliare il numero delle commissioni territoriali e, anche in tali ipotesi, con quali costi e risorse disponibili.
(4-04260)


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in queste settimane diversi organi di stampa raccontano della protesta nazionale dell'ANSCA, Associazione nazionale centri soccorso autoveicoli, causata dalla difficile situazione che le aziende italiane di soccorso autoveicoli stanno affrontando: chiamate comunque ad adempiere alle loro obbligazioni nei confronti delle stazioni appaltanti e ad assolvere a tutti gli oneri fiscali, oltre che i costi correnti di gestione, da anni non ricevono dallo Stato il pagamento delle spese di custodia dei veicoli oggetto di sequestro amministrativo, fermo e rimozione;
   l'ultimo pagamento massiccio, secondo quanto si apprende dai rappresentanti dell'ANSCA, risale al 2006; da allora soltanto piccole elargizioni una tantum completamente insufficienti a coprire i costi di queste importanti attività;
   le aziende interessate, infatti, si occupano del soccorso stradale e della custodia giudiziaria dei veicoli rimossi dalle strade – svolgendo anche una particolare funzione di ordine pubblico – ed è evidente che i costi sia per l'affitto dei locali o luoghi in cui rimette tali veicoli, sia per gli operai che lavorano e si occupano del trasporto e della custodia è ingente, ed è oggi coperto solo grazie ad attività alternative esercitate dai titolari dei centri di soccorso;
   l'associazione ha inviato qualche giorno fa una lettera a tutti i prefetti d'Italia per sollecitare i Ministri competenti a trovare una soluzione per non annientare un settore importante per il nostro Paese e per non lasciare senza futuro migliaia di cittadini;
   secondo i dati avanzati dall'ANSCA, si tratterebbe di ben 50 mila famiglie italiane;
   si parla di cifre ingenti; basti pensare che nella sola provincia di Terni la cifra dei crediti non riscossi supera i 500 mila euro; dal 2012, secondo quanto dichiarato da alcuni esponenti delle aziende ternane preposte al soccorso stradale, non viene erogato un solo centesimo per queste attività, a fronte di costi che invece crescono in maniera esponenziale –:
   se, in base alla situazione esposta in premessa, abbiano elaborato o stiano elaborando, per quanto di competenza, delle soluzioni per far fronte alla situazione di queste aziende che, da un giorno all'altro, rischiano la chiusura. (4-04262)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIGONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel febbraio 2013 la ditta Milano Report di proprietà Benetton Group ha assorbito alcuni negozi della ditta Talamoni Talben, punti vendita che già lavoravano prodotti Benetton;
   dalla fine del 2013 il gruppo imprenditoriale ha iniziato un'opera di ridimensionamento del numero dei negozi portandolo dai nove precedentemente presenti sul territorio massese a quattro. L'ultima chiusura è prevista per agosto del 2014 e porterà la complessiva perdita del lavoro per sedici lavoratrici con un'età media di 36 anni, alcune monoreddito e con figli a carico;
   nel novembre 2013 Benetton Group aveva annunciato un piano triennale di rifocalizzazione del business brand che ha come scelta di politica industriale il rinnovamento dei propri punti vendita, e come sembrerebbe, potrebbe riguardare non solo la linea storica United Colors of Benetton ma anche la linea Sisley;
   a seguito dell'attuazione del citato piano triennale, Benetton Group ha predisposto la chiusura di punti vendita in diverse province italiane, tra cui le piazze di Viareggio e La Spezia, ed a livello nazionale ha aperto le porte della cassa integrazione per più di 120 lavoratori;
   visto il fallimento del tavolo di confronto tra le organizzazioni sindacali e la dirigenza della ditta Milano Report le organizzazioni sindacali hanno espresso grande preoccupazione e denunciato la totale assenza di un vero piano industriale –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Governo per attivare una sede di confronto in ambito governativo che coinvolga tutti gli attori principali tra i quali le organizzazioni sindacali di riferimento, la proprietà e la dirigenza aziendale al fine di individuare possibili soluzioni volte ad evitare le inevitabili conseguenze negative in termini occupazionali derivanti dalla chiusura dei punti vendita Benetton. 
(5-02509)