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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 12 marzo 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    la mancata firma da parte del Governo ucraino, presieduto da Viktor Yanukovich, dell'accordo di associazione con l'Unione europea – che avrebbe dovuto tenersi a Vilnius il 28 novembre nell'ambito del Eastern Parterniship Summit, determinando un avvicinamento tra Kiev e Bruxelles ed impegnando il Governo ucraino in una serie di riforme di stampo democratico – ha generato massicce manifestazioni di protesta da parte dei cittadini ucraini;
    l'azione dell'Unione europea ha evidenziato evidenti limiti nell'offrire condizioni sufficienti di aiuti economici e commerciali all'Ucraina, capaci di favorire un processo di integrazione e disarmando le resistenze del Governo in carica;
    le suddette manifestazioni hanno visto unirsi ampi strati della popolazione, mossi dalla convinzione che il futuro dell'Ucraina passi per il processo di integrazione europeo e non per un riavvicinamento alla Russia nonché dalla preoccupazione per le tendenze filo-russe del Governo, pressato dalla proposta di Putin di creare un'unione doganale extra-Unione europea. Tali proteste hanno raggiunto l'attenzione della comunità internazionale quando il 30 novembre 2013 più di 100.000 manifestanti ucraini hanno marciato verso piazza dell'Indipendenza sfidando il divieto del Governo;
    la risposta sorda ed autoritaria del Governo verso queste istanze e il riprovevole uso della violenza da parte delle autorità, con l'utilizzo di armi convenzionali contro la folla, ha portato ad un acuirsi ed un aggravarsi degli scontri con la morte di più di cento manifestanti, l'occupazione di diversi edifici governativi e, da ultimo, la deposizione del presidente Yanukovich da parte del Parlamento ucraino;
    all'atto di deposizione del presidente Yanukovich, dopo un accordo tra Governo ed opposizione del 20 febbraio 2014 sotto la supervisione della comunità internazionale, accordo che non è stato rispettato a causa di atti unilaterali, si è pervenuti alla formazione di un nuovo Governo espressione dell'opposizione, presieduto da Oleksander Turchinov, al quale sono stati conferiti i poteri provvisori di Presidente della Repubblica con la sua nomina, avvenuta il 22 febbraio 2014;
    l'Ucraina è un Paese dove la presenza di diverse nazionalità e minoranze obbliga ad evitare atti unilaterali da parte di ciascuna delle parti coinvolte nel conflitto e a tutelare nel modo più efficace i diritti delle minoranze, delle nazionalità e della multietnicità del Paese;
    nel nuovo Governo presieduto da Oleksander Turchinov ci sono esponenti anche esponenti del partito nazionalista di estrema destra «Svoboda», responsabile di numerose aggressioni squadriste e atti di violenza predica l'antisemitismo e il razzismo;
    appartenenti al partito di Svoboda occupano attualmente importanti cariche nello Stato ucraino, tra cui: Oleksandr Sych (Vice-Primo Ministro), Andriy Mokhnyk (Ministro dell'ecologia), Ihor Shvayka (Ministro dell'agricoltura), Ihor Tenyukh (Ministro della difesa), Oleh Maknitskyy (procuratore generale);
    Svoboda sostiene che l'Ucraina dovrebbe lasciare la Comunità degli Stati Indipendenti, abolire l'autonomia della Crimea, entrare nella NATO e dotarsi di armi nucleari;
    in data 26 febbraio 2014 il presidente Putin ha ordinato una gigantesca esercitazione militare che ha coinvolto 150 mila uomini, 90 aerei, 120 elicotteri, 880 carri armati, oltre 1.200 mezzi di vario genere e sino a 80 navi della flotta del Nord e del Mar Baltico per testare la capacità di reazione delle truppe nei distretti centrale e occidentale, quest'ultimo confinante in parte con l'Ucraina;
    la Crimea è una penisola, appartenente all'Ucraina, posta sulla costa settentrionale del Mar Nero. La Repubblica autonoma di Crimea misura 26.200 chilometri quadrati e nel 2007 contava 1.973.185 abitanti. La popolazione è per il 58,5 per cento di etnia russa e per il 24,4 per cento di etnia ucraina. La minoranza etnica dei tartari di Crimea rappresenta circa il 12,1 per cento della popolazione;
    il 27 febbraio 2014 un gruppo di manifestanti filorussi armati ha occupato la sede del Parlamento e del Governo della Crimea portando a rimuovere l'Esecutivo fino ad allora in carica, nominando Sergiy Aksyonov alla guida della regione e facendo indire un referendum sullo status di indipendenza della penisola, previsto per il 30 marzo 2014. Il referendum, che inizialmente aveva come oggetto il semplice rafforzamento dell'indipendenza della Repubblica autonoma di Crimea, è stato in seguito anticipato al 16 marzo e modificato nei contenuti: la nuova consultazione porterà i cittadini a scegliere tra il ritorno alla costituzione del 1992, con un'autonomia nettamente rafforzata, oppure l'adesione alla federazione russa;
    la situazione in Crimea è poi precipitata con la notizia dell'occupazione dei due aeroporti della Crimea da parte di miliziani filo-russi, seguita dalla violazione dello spazio aereo ucraino da parte di almeno 10 elicotteri militari dell'esercito di Mosca;
    l'allarme lanciato da Kiev nelle ore successive per «l'invasione di 2.000 soldati russi della Crimea» – che secondo fonti di Kiev sono atterrati su tredici aeroplani russi da trasporto truppe nell'aeroporto di Gvardeyskoye (vicino a Simferopoli, capitale della Crimea) con 150 soldati su ogni velivolo – è stato raccolto dal presidente Obama che ha definito l'invio di forze russe una «violazione del diritto internazionale e della sovranità ucraina»;
    il primo marzo il neo-primo ministro del Governo autonomo in Crimea, Sergiy Aksyonov, si è rivolto direttamente a Vladimir Putin, esortando Mosca a intervenire per aiutare a «ristabilire la calma e la pace» sulla penisola;
    l'appello di Aksyonov è stato accolto dal presidente Putin, il quale ha dichiarato che non avrebbe ignorato la richiesta di assistenza, e non l'avrebbe lasciata priva della sua attenzione; poche ore dopo il Ministro della difesa ucraino ha denunciato, nel corso di una riunione del Consiglio dei ministri, l'invio da parte della Russia di rinforzi, pari a 6 mila uomini e 30 blindati senza «preavviso né permesso dell'Ucraina, contravvenendo ai principi di non ingerenza nelle vicende degli stati di frontiera», con ciò acuendo le tensioni separatiste nella regione;
    lo  stesso giorno il Parlamento russo ha autorizzato, su richiesta di Putin, l'intervento in Crimea con l'invio di truppe nella regione dando il via libera a «prendere misure per stabilizzare la situazione in Crimea e utilizzare tutte le possibilità disponibili per proteggere la popolazione della Crimea»;
    tali palesi violazioni ed atti di forza sono stati stigmatizzati da tutti i leader europei ed occidentali portando all'inasprimento dei rapporti tra la Russia e gli altri Stati occidentali – che hanno comunicato la volontà di disporre sanzioni ed altri atti di ritorsione contro Mosca – e alla preoccupante riduzione dello spazio di dialogo per la risoluzione della crisi, creando una condizione di isolamento per la Russia di Putin;
    tante e diverse sono state le responsabilità dell'Unione europea in un tale epilogo, riassumibili nella scarsa attenzione alle dinamiche interne al Paese e alla condizione dei suoi cittadini, in favore di un interesse pressoché esclusivo verso la centralità economica dell'Ucraina ed il suo ruolo strategico, a causa dei gasdotti che passano per il suo territorio. Tutto ciò ha determinato la miopia della politica estera europea nel gettare benzina sul fuoco della rivolta, senza considerare attentamente una prevedibile reazione russa;
    responsabilità che appaiono aggravate dall'azione della Nato negli ultimi venti anni nei confronti dell'Ucraina e della politica di progressiva espansione ad Est che ha portato all'adesione di Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia (1999), Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia, Slovenia (2004), Albania e Croazia (2009);
    la politica dell'allargamento della Nato, mentre da un lato ha portato molti vantaggi ai membri dell'Alleanza, indubbiamente dall'altro lato ha contribuito notevolmente a peggiorare le relazioni internazionali con la Russia e ad acuire la lotta geopolitica tra la Russia e l'Occidente;
    lotta geopolitica che ha prodotto anche tensioni e minacce di intervento militare in risposta allo scudo missilistico della Nato, portando all'installazione di numerosi missili Iskander M russi lungo il confine con la Polonia e i Paesi baltici Estonia, Lettonia e Lituania;
    appare evidente, con queste premesse, che l'accordo di associazione con l'Unione europea venga visto dalla Russia come un passaggio prima o poi finalizzato all'ingresso dell'Ucraina nella Nato;
    è necessaria un'azione che tolga la Russia dal «complesso dell'accerchiamento» e che, al tempo stesso, crei le basi per un'Unione europea politica e più libera dalle pressioni degli Stati Uniti sul Continente;
    la risoluzione A3-0077/94 del Parlamento europeo del 24 marzo 1994 su «Ampliamento e neutralità», approvata nel quadro della relazione Holzfuß e dei negoziati di adesione con Austria, Svezia, Finlandia e Norvegia sottolinea che la coesione interna dell'Unione deve essere rafforzata attraverso l'ampliamento e che i Paesi candidati debbono pertanto essere disposti e in condizioni di far proprie senza alcuna limitazione le disposizioni della PESC, ossia di parteciparvi pienamente e attivamente. Il Parlamento tuttavia, in base alla risoluzione, è consapevole della diversa qualità e della diversa portata dello status dei Paesi candidati neutrali per quanto riguarda la politica di sicurezza, apprezza il contributo fornito dalla Norvegia in materia di sicurezza, così come le molteplici iniziative a favore della sicurezza e della pace degli altri tre Paesi candidati e ricorda come vari Paesi candidati abbiano già partecipato attivamente e con impegno alla CSCE nonché a missioni di pace dell'ONU. Nel testo della risoluzione infine si sottolinea che l'appartenenza alla UEO o alla NATO, in quanto alleanze militari, non costituisce un presupposto fondamentale per l'adesione all'Unione europea;
    il «modello finlandese» di integrazione europea rappresenta un modello virtuoso di indipendenza per un Paese, come la Finlandia, a cavallo tra Europa ed area ex sovietica, caratterizzato dalla neutralità dello Stato, garantita dalla non adesione della Finlandia alla NATO e da un'adesione all'Unione europea avviata e raggiunta mantenendo ottimi rapporti di amicizia con la Russia;
    dalla sua indipendenza, nel 1917, la Finlandia ha promosso la neutralità internazionale come strumento utile alla conservazione della propria sovranità e integrità territoriale. Nel corso della seconda metà del ventesimo secolo la neutralità finlandese si è tradotta in una politica di non allineamento, fondata sul Trattato di amicizia, cooperazione e assistenza tecnica del 1948 con l'Unione Sovietica. Con esso, pur non essendo entrato a far parte del blocco militare filosovietico, il Paese si è impegnato a difendere il proprio territorio da un attacco da parte della Germania o di Paesi ad essa alleati, e a difendere il territorio sovietico in caso di attacco attraverso la Finlandia stessa. Parallelamente, Helsinki si è impegnata a non entrare in nessun tipo di alleanza diretta contro Mosca. Tale intesa ha permesso alla Finlandia di mantenere buoni rapporti con il suo vicino, pur conservando istituzioni democratiche e collaborando attivamente con i meccanismi di cooperazione occidentali – dal Fondo monetario internazionale (Imf) e l'Organizzazione per la cooperazione economica e lo sviluppo (Oecd) alla Comunità economica europea (Eec);
    con il declino e la successiva scomparsa dell'Unione Sovietica, il Paese ha perseguito una più risoluta politica di avvicinamento al blocco occidentale. Nonostante il mantenimento di forti legami commerciali con la Russia, la Finlandia ha presentato domanda di adesione alla Comunità europea nel 1992 ed è entrata a farne parte nel 1995 (il referendum dell'ottobre 1994 ha registrato il 57 per cento a favore dell'adesione e il 43 per cento contro). Dal 1999 essa è parte dell'Unione economica e monetaria (Emu) ed è l'unico Paese del Nord Europa ad aver adottato l'euro. Oggi la politica estera e di sicurezza finlandese punta sulla partecipazione alla politica estera e di sicurezza comune europea (Cfsp) e sulla cooperazione multilaterale. Ciò non ha implicato la rinuncia alla neutralità del Paese, Helsinki, pur avendo preso parte, dopo il 1994, al programma Partnership for Peace della Nato e avendo inviato le proprie truppe in missioni internazionali di peacekeeping, non ha avanzato domanda di ammissione all'Alleanza atlantica,

impegna il Governo:

   ad adoperarsi per evitare ogni precipitazione bellica della crisi, promuovendo una soluzione diplomatica che coinvolga tutte le parti in conflitto e svolgendo, in tale direzione, un ruolo di primo piano anche in considerazione dei consolidati rapporti che intercorrono tra i due Paesi;
   ad assumere iniziative per garantire che non vi sia alcuna sovrapposizione, ruolo e partecipazione della NATO alla crisi ucraina;
   a farsi carico di un lavoro di mediazione diplomatica che faciliti la ricerca di una soluzione pacifica della crisi ucraina, sia direttamente, sia attraverso le sue rappresentanze nelle istituzioni dell'Unione europea, garantendo l'integrità territoriale dello Stato ucraino ed il rispetto della sua sovranità in quanto principio internazionale inviolabile, nel rispetto della sicurezza della popolazione civile;
   ad assumere iniziative per garantire i diritti delle minoranze e delle nazionalità, l'autonomia amministrativa, l'uso della lingua delle minoranze nelle scuole e nelle istituzioni pubbliche, la presenza di esponenti delle diverse nazionalità nel Governo centrale e di forme di contrappeso istituzionale tali da garantire tutte le nazionalità;
   a svolgere un ruolo attivo nel garantire che le prossime elezioni politiche in Ucraina si svolgano sotto il controllo internazionale di organizzazioni, quali Osce e Onu, con l'invio di propri ispettori;
   ad assumere iniziative per garantire la sovranità politica ed il carattere democratico dello Stato ucraino.
(1-00368) «Scotto, Migliore, Marcon, Fava, Duranti, Piras, Aiello, Airaudo, Boccadutri, Franco Bordo, Costantino, Di Salvo, Daniele Farina, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Lacquaniti, Lavagno, Kronbichler, Matarrelli, Melilla, Nardi, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Pilozzi, Piazzoni, Placido, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Zan, Zaratti».


   La Camera,
   premesso che:
    il fenomeno complesso della violenza sui minori comprende spesso anche la violenza assistita intrafamiliare;
    la violenza assistita è da considerarsi una forma di maltrattamento in quanto obbliga il minore ad assistere ad atti di aggressività, abuso e violenza (fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica) su altri membri della famiglia, su persone a lui legate affettivamente o su figure di riferimento o affettivamente significative, adulte o minori (confronta la definizione fornita dalla commissione di studio del CISMAI);
    il minore può avere un'esperienza diretta di tale violenza, quando essa viene consumata in sua presenza, come nei casi di condotte aggressive e lesive all'interno delle mura domestiche, spesso in danno delle madri, oppure indiretta, quando il minore, pur non assistendo alle scene di violenza, ne è messo al corrente o ne percepisce gli effetti negativi. È infatti doloroso per il bambino sapere che determinati abusi avvengono in sua assenza, così com’è traumatico constatarne gli effetti e i segni sul maltrattato nonché percepirne la disperazione e il terrore. È stato dimostrato che anche il solo assistere alla violenza cronica fra genitori può generare nel bambino un disturbo post traumatico da stress (Milano L., Gatti E. 2005);
    il fenomeno è generalmente sommerso ma alquanto diffuso: per quantificarne l'entità è opportuno considerare che il servizio 114 emergenza infanzia del dipartimento per le pari opportunità rileva che, fra il gennaio 2006 e il marzo 2012, su 9.834 casi di emergenza identificati, il 7 per cento si riferisce a situazioni di violenza domestica per conflittualità fra i componenti del nucleo familiare di cui il minore è testimone; inoltre, secondo i dati ISTAT, nel 2007 674.000 donne italiane hanno dichiarato di aver subito violenze ripetute dal partner; di queste, il 61,4 per cento ha dichiarato che i figli hanno assistito ad uno o a più di questi episodi;
    le segnalazioni al 114 riguardano nel 63,6 per cento bambini di età compresa tra 0 e 10 anni, nel 20,8 per cento minori di età compresa tra gli 11 e i 14 anni e nel 15,2 per cento ragazzi tra i 15 e i 18 anni. Tali dati riguardano unicamente i casi accertati, ma la situazione è di fatto ben più grave poiché non tiene conto dell'elevato numero di casi di violenza assistita, consumati nel segreto delle mura domestiche, che non vengono denunciati per timore e pudore delle vittime, quando la violenza è ripetuta, il benessere, lo sviluppo individuale e la capacità di interagire in modo funzionale a livello sociale sono seriamente compromessi. Secondo la letteratura medica l'esposizione continua dei bambini alla violenza costituisce un evento traumatico destinato a produrre rilevanti effetti sullo sviluppo della persona, favorendo inoltre l'insorgenza di psicopatologie, sia a breve che a lungo termine. Nell'immediato si osservano nel bambino manifestazioni di disagio come depressione, isolamento, svalutazione di sé. L'esposizione a situazioni di violenza genera spesso nel minore un senso di colpa per la situazione in cui si sente impotente ed incapace di intervenire;
    nel lungo periodo aumenta il rischio della riproducibilità, ossia la tendenza a sviluppare comportamenti violenti in età adulta, assumendo la violenza come legittimo strumento relazionale e diventando da vittima abusata nell'infanzia, un adulto abusante. Già negli anni ’80 la ricerca Strass, Gelles, Steinmetz rilevava che gli uomini che hanno assistito durante l'infanzia a episodi di violenza domestica hanno 3,5 maggiori possibilità di diventare maltrattanti verso il partner. La ricerca svolta negli anni ’90 da Dutton e Hart nelle carceri ha a sua volta rilevato come gli uomini che hanno commesso crimini violenti in famiglia avevano fatto esperienza di violenza, sia diretta che indiretta, nella famiglia di origine rispetto agli uomini puniti per altri tipi di reato;
    nonostante la diffusione e la gravità del fenomeno, la violenza assistita è a tutt'oggi disconosciuta e minimizzata, sia perché non consente l'individuazione di segni fisici e tangibili sul minore, sia per l'assenza di una chiara definizione giuridica della fattispecie e della rilevanza penale, in special modo nei casi di violenza assistita indiretta, comunque idonea a provocare conseguenze gravi e paragonabili a quelle degli abusi;
    l'attività posta in essere da dottrina giuridica e giurisprudenza volta a ricondurre la violenza assistita al reato di maltrattamenti in famiglia ha di certo subito un importante passo in avanti con la modifica dell'articolo 572 c.p. operata dalla legge 1o ottobre 2012, n. 172 di ratifica ed esecuzione della convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007;
    successivamente il decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, ha abrogato il secondo comma dell'articolo 572 c.p. prevedendo la circostanza della commissione del fatto in danno o in presenza di minore come circostanza aggravante comune di cui all'articolo 61 codice penale;
    la medesima legge ha altresì istituito importanti misure di prevenzione contro le condotte di violenza domestica e di tutela delle vittime degli abusi, attribuendo alle forze dell'ordine incisivi poteri di ammonimento dell'autore e di informativa circa i servizi disponibili sul territorio (articolo 3), garantendo l'anonimato del segnalante, predisponendo l'elaborazione di una analisi criminologica sul fenomeno affidata al Ministero dell'interno, tutelando gli stranieri vittime di violenza domestica con la concessione di permesso di soggiorno in caso di pericolo attuale all'incolumità fisica (articolo 4) ed istituendo un piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere (articolo 5);
    tali misure, se adeguatamente supportate, possono costituire anche un efficace contrasto contro il fenomeno della violenza assistita, andando a garantire una maggiore sicurezza all'interno delle mura domestiche ed un più efficace e celere intervento in situazioni critiche. Una piena attuazione di detta normativa appare dunque urgente e necessaria per contrastare la violenza assistita sia nel caso in cui la condotta si verifichi in presenza del minore, sia quando, pur non assistendo direttamente ai maltrattamenti, il minore sia costretto a vivere in un ambiente domestico caratterizzato da aggressività e violenza, percependo il costante clima intimidatorio ed il pericolo per la vittima a cui è legato affettivamente,

impegna il Governo:

   ad adottare misure immediate per contrastare il fenomeno della cosiddetta violenza assistita nell'infanzia e nell'adolescenza su più versanti (prevenzione, educazione, repressione);
   a predisporre un sistema di raccolta dati e di monitoraggio del fenomeno della violenza assistita diretta ed indiretta, anche al fine di predisporre politiche di prevenzione e contrasto adeguate;
   ad attivare una campagna informativa per sensibilizzare l'opinione pubblica e contrastare tale fenomeno, anche utilizzando gli strumenti economici che l'Unione europea mette a disposizione;
   ad assumere iniziative immediate affinché la normativa prevista dal decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, non venga disattesa, con particolare riferimento ai poteri di ammonimento e di informativa delle forze dell'ordine, all'anonimato del segnalante, all'analisi criminologica (articolo 3), tutela degli stranieri vittime di violenza domestica (articolo 4);
   a favorire le buone pratiche già poste in essere da servizi, enti e associazioni e da tutte le realtà che incoraggiano l'accompagnamento alla genitorialità, anche a partire dai corsi di preparazione al parto e dai percorsi nascita, al fine di accrescere la consapevolezza educativa e l'assunzione di responsabilità genitoriale come importante prevenzione della violenza sull'infanzia e sull'adolescenza.
(1-00369) «Iori, Marco Di Maio, Realacci, Amato, Gadda, Rampi, Iacono, Parrini, Rubinato, Manzi, Carlo Galli, Arlotti, Casati, Senaldi, Taricco, Marchi, D'Incecco, Coccia, Basso, Ermini, Berlinghieri, Zanin, Capozzolo, La Marca, Chaouki, Grassi, Sbrollini, De Micheli, Manfredi, Cimbro, Picierno, Crivellari, Amoddio, Garavini, Gullo, Capone, Mattiello, Patriarca, Tidei, De Menech, Villecco Calipari, Scuvera, Zampa».


   La Camera,
   premesso che:
    le regioni Veneto ed Emilia Romagna, tra gennaio e febbraio 2014, sono state colpite da eccezionali eventi calamitosi causa di ingenti danni alle infrastrutture delle regioni medesime, nonché al loro sistema produttivo;
    allagamenti e frane, nonché esondazioni di corsi d'acqua, hanno coinvolto località della regione Emilia Romagna quali Bomporto, Sorbara, Bosco di San Felice, Camposanto e Finale Emilia, con danni che ammontano a milioni di euro;
    la regione Veneto, da parte sua, ha registrato l'interruzione della viabilità e delle comunicazioni, oltre che la sospensione dell'erogazione dell'energia elettrica, a causa di pesanti precipitazioni di carattere nevoso e piovoso, ben al di sopra delle medie della stagione invernale;
    al cospetto di tali eventi eccezionali, l'intera attività alberghiera e turistica delle zone alpine della regione Veneto è risultata danneggiata, riportando perdite che sono andate ad appesantire la già critica situazione economico-finanziaria;
   intere comunità dell'area montana del Veneto sono rimaste completamente bloccate ed isolate a causa delle intense nevicate che hanno continuato a colpire la zona, con il raggiungimento di livelli raramente riscontrabili in passato;
   il territorio del modenese, già gravemente colpito dagli eventi sismici del 2012 e dai fortunali del 2013, è stato ulteriormente danneggiato in termini di inagibilità delle abitazioni, degli edifici scolastici, degli uffici pubblici, nonché relativamente alla capacità produttiva delle aziende agricole e manifatturiere presenti sul territorio,

impegna il Governo:

   a dichiarare lo stato d'emergenza per le regioni Veneto ed Emilia Romagna a seguito degli eventi alluvionali del mese di gennaio 2014, ai sensi di quanto previsto dalla legge 24 febbraio 1992, n. 225, e successive integrazioni;
   ad assumere iniziative per sospendere ogni forma di adempimento fiscale, contributivo ed assicurativo riconducibile alle popolazioni colpite delle regioni Veneto ed Emilia Romagna ed alle aziende presenti sul territorio medesimo;
   ad assumere iniziative per stanziare risorse da destinare alla ricostruzione di infrastrutture ed abitazioni seriamente danneggiate dagli eventi calamitosi ed alla ripresa dell'attività produttiva delle imprese, interrotta o lungamente sospesa a causa degli eventi naturali.
(1-00370) «Pizzolante, Dorina Bianchi».


   La Camera,
   premesso che:
    nel settembre del 2011, un gruppo di cittadini americani costituiscono un movimento denominato Occupy Wall Street, per protestare contro la disuguaglianza economica, l'ingiustizia sociale, la corruzione del sistema politico e bancario, anche in virtù dell'impatto negativo della crisi finanziaria del 2007-2008 sulle condizioni di vita della popolazione mondiale; nel corso di pochissimo tempo, anche attraverso la piattaforma Meetup, la protesta diviene globale, estendendosi in circa 95 città di 82 Paesi;
   il movimento denunciava attraverso il famoso slogan «We are 99%» che metà della ricchezza mondiale è detenuta dall’ 1 per cento della popolazione;
   secondo il rapporto di ricerca Working for the Few, pubblicato recentemente dall'organizzazione umanitaria internazionale OxfamA 85 persone detengono la ricchezza equivalente a quella posseduta da 3,5 miliardi di persone, l'1 per cento della popolazione mondiale possiede circa 110 trilioni di dollari, 65 volte la ricchezza totale della metà più povera e le dieci persone più ricche d'Europa detengono una ricchezza – circa 217 miliardi di euro – che eccede le misure di stimolo economico a favore dell'Europa nel periodo 2008-2011 – circa 200 miliardi di euro;
   121,2 milioni di persone, circa il 24,3 per cento della popolazione in Europa, nel 2011 è stato a rischio povertà a causa delle misure di austerità imposte dalla Banca centrale europea, dal Fondo monetario internazionale e dall'Unione europea;
   alcuni accademici, tra cui Thomas Piketty, sostengono che la disuguaglianza sociale di oggi è pari a quella che esisteva nell'800 e che la diretta conseguenza di mancati interventi normativi ed economici di riequilibrio da parte dei Governi produrrà nei prossimi anni un aumento delle tensioni sociali;
   le problematiche sono l'eccessivo divario salariale, attuato anche mediante una riduzione della tassazione sui redditi più alti, l'erogazione di premi e bonus ai manager della finanza che hanno incentivato l'attività speculativa, la totale assenza di un tetto per gli stipendi milionari e il mancato innalzamento degli stipendi più bassi proporzionalmente a quelli più alti;
   queste anomalie incidono sui processi decisionali delle moderne democrazie e il loro funzionamento appare compromesso a causa dell'aumento delle disuguaglianze sociali;
   per queste ragioni, i legislatori europei hanno intrapreso nuove strade per combattere questi gravi fenomeni attraverso, ad esempio, un prelievo contributivo eccezionale sui redditi più alti;
   la Francia aveva approvato un contributo eccezionale di solidarietà che prevedeva una tassazione del 75 per cento sull'eccedenza dei redditi personali annui superiori ad 1 milione di euro, norma che veniva in un primo momento ritenuta inapplicabile dal Consiglio costituzionale francese;
   il Governo francese ha riproposto la norma, questa volta intervenendo sui salari dei «super ricchi», approvando definitivamente una nuova imposta, contenuta nell'ultima legge finanziaria del 2013, e ritenuta legittima da parte del Consiglio costituzionale, che dovrà essere versata direttamente dalle imprese in favore dell'erario;
   secondo la norma le imprese francesi dovranno versare un'imposta pari al 50 per cento sui trattamenti economici superiori a 1 milione di euro erogati dall'azienda ai suoi dipendenti più ricchi e questo, unitamente ad altre imposte, innalzerà la tassazione nei confronti dei «super ricchi» al 75 per cento;
   per risolvere le disuguaglianze salariali, recentemente in Svizzera è stato proposto un referendum per introdurre nella Costituzione il principio del rapporto 1 a 12, tra i salari più bassi e i salari più alti versati dalla stessa azienda;
   il principio è quello di impedire che la retribuzione di un manager di una grande azienda sia mensilmente superiore allo stipendio annuale di un lavoratore;
   il mancato legame tra le differenze salariali ha permesso un aumento irragionevole degli stipendi dei soli manager non dei dipendenti della stessa azienda, svincolando definitivamente una classe dirigente e industriale dall'economia reale ed incentivando l'assunzione di altissimi rischi per le aziende;
   in Svizzera, negli ultimi 15 anni, l'1 per cento dei salari più alti è aumentato del 39 per cento questo anche a causa di un sistema di bonus ai manager privati, passato da 10 miliardi franchi in 15 anni, mentre gli stipendi bassi e medi sono aumentati solo del 7-8 per cento;
   la norma costituzionale sottoposta a referendum per la nuova politica salariale, poi rigettata dal popolo svizzero, disponeva che «Il salario massimo versato da un'impresa non può superare di oltre dodici volte il salario minimo versato dalla stessa impresa. Per salario si intende la somma delle prestazioni (denaro e valore delle prestazioni in natura o servizi) che sono corrisposte in relazione a un'attività lucrativa»;
   in ogni caso, la Svizzera era già intervenuta sull'argomento del taglio al costo del management approvando nel 2013 una norma, mediante referendum, che ha trasferito il potere di determinare l'importo delle retribuzioni dei componenti del consiglio di amministrazione delle società quotate in borsa dal consiglio di amministrazione all'assemblea degli azionisti;
   il sistema di riconoscimento dei bonus, degli incentivi o delle super-liquidazioni ha aumentato in modo considerevole la disuguaglianza tra salari più alti e salari più bassi al punto che anche l'Unione europea ha introdotto delle norme, inserite nei provvedimenti per la vigilanza bancaria Basilea III, per limitare le gratifiche e le retribuzioni dei top manager delle banche europee e delle banche americane in territorio europeo;
   nello specifico i bonus riconosciuti non potranno essere superiori al doppio dello stipendio fisso erogato in favore del top manager;
   una politica d'intervento volta alla riduzione dei salari più alti ed all'aumento di quelli più bassi inciderebbe in senso positivo sull'economia del Paese in quanto la riduzione delle disuguaglianze tra i redditi aumenterebbe la propensione al consumo;
   in Italia, solo nel settore bancario, sono più di 100 i manager che percepiscono una retribuzione superiore ad un milione di euro mentre lo stipendio medio del lavoratore ha perso 830 euro annui dal 2010 al 2012;
   il salario medio annuale italiano è tra i più bassi in Europa, attestandosi nel 2013 a 28.900 euro, minore di quello della Germania 44.800 euro, della Svezia 59.500 euro, e della Francia 36.700 euro;
   genericamente, le differenze reddituali sono state esaminate dall'Oecd in un rapporto del 2011, viene evidenziato che la disuguaglianza dei redditi in Italia è superiore alla media dei Paesi Ocse e che il reddito medio del 10 per cento più ricco degli italiani è pari ad 49.300,00 euro, circa 10 volte superiore il reddito medio del 10 per cento più povero, passando da un rapporto di 8 a 1 negli anni ottanta, a 10 a 1 negli ultimi anni;
   secondo recenti rapporti, quali ad esempio quello rilasciato dalla Banca d'Italia ad ottobre 2013, il coefficiente di Gini, strumento utilizzato per comprendere quale sia il grado di disuguaglianza tra i diversi redditi all'interno di un Paese, è pari per l'Italia nel 2010 a 0,46, dove lo 0 corrisponde ad una omogenea distribuzione della ricchezza ed 1 ad una massima concentrazione della ricchezza in favore di un solo soggetto;
   la disuguaglianza in Italia dal 1977 al 2010 è aumentata vertiginosamente, considerando che l'indice di Gini nel 1992 si attestava allo 0,27;
   l'Italia ha il coefficiente di Gini maggiore in Europa, avvicinandosi ad un altro Paese quali gli Stati Uniti d'America che detengono un coefficiente pari allo 0,47 nell'ultimo anno;
   contemporaneamente, sono state ridotte le aliquote fiscali per i redditi più alti poiché in Italia le aliquote marginali d'imposta sui più ricchi, e nello specifico lo scaglione per i redditi sopra i 75 mila euro, sono passate dal 72 per cento nel 1981 al 43 per cento nel 2010;
   secondo alcuni economisti, tra cui Robert Reich, l'aumento del divario tra i salari è stato determinato da alcuni elementi e specificatamente una politica fiscale di tutti i Governi volta a ridurre la tassazione sui redditi più alti – passando da aliquote del 90 per cento negli anni ’50 al 39 per cento negli ultimi anni – la globalizzazione e le attività di delocalizzazione delle aziende ed infine la tecnologia ed i processi di automazione;
   lo stesso premio Nobel Joseph Stiglitz ha dimostrato che se la distribuzione del reddito viene effettuata con modalità disuguali la propensione marginale al consumo diminuisce, incidendo in negativo sul valore del moltiplicatore;
   tra l'altro, gli economisti riconoscono che le società più egualitarie hanno un coefficiente di Gini pari allo 0,3 e tra questi possono essere ricondotti alcuni Paesi europei, quali la Svezia, la Norvegia e la Germania ma, purtroppo non l'Italia;
   tenuto conto della eccezionale crisi economica, con l'articolo 9, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, dal primo gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 i trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, previsti dai rispettivi ordinamenti delle amministrazioni pubbliche, inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'istituto nazionale di Statistica (ISTAT), ai sensi del comma 3, dell'articolo 1, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, sono stati ridotti del 5 per cento per la parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, nonché del 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro;
   la disposizione di legge aveva l'obiettivo di ridurre i costi della pubblica amministrazione in particolare di tagliare gli stipendi erogati in favore dei magistrati e degli alti dirigenti della pubblica amministrazione, tuttavia, con sentenza dell'11 ottobre 2012 n. 223, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo il contributo previsto dall'articolo 9, comma 2 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, in quanto la misura è stata valutata dalla Corte come un'imposta speciale applicata in modo irragionevole e con palese effetto discriminatorio;
   visto anche il divario tra gli stipendi erogati dallo Stato in favore dei manager pubblici e quelli riconosciuti ai dipendenti della pubblica amministrazione, con l'articolo 23-ter introdotto dal decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, è stato definito il trattamento economico massimo di chiunque riceva emolumenti o retribuzioni dalle pubbliche amministrazioni, nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali;
   il parametro di riferimento utilizzato è il trattamento economico annuale onnicomprensivo spettante al primo presidente della Corte di Cassazione che viene ogni anno definito con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e che ammonta, per l'anno 2014, a 311.658,53 euro;
   la norma si applica, nello specifico, a tutti i manager della pubbliche amministrazioni statali di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, nonché quelli in regime di diritto pubblico di cui all'articolo 3 del medesimo decreto legislativo ed, infine, a tutte le società, non quotate, direttamente o indirettamente controllate dalle pubbliche amministrazioni, come previsto dall'articolo 23-bis del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, restando escluse le società «quotate» direttamente o indirettamente controllate dalle pubbliche amministrazioni, e le società private che percepiscono contributi pubblici;
   il principio del tetto massimo alle retribuzioni dei manager pubblici e privati, comprensive dei compensi variabili, da applicare anche alle imprese di grandi dimensioni, come gli istituti bancari, risponderebbe ad un principio di equità e di redistribuzione della ricchezza;
   a questo punto, appare chiaro che esiste la necessità di intervenire a livello normativo per riequilibrare i trattamenti economici dei lavoratori con quelli dei manager, attraverso l'introduzione di un principio universale di collegamento tra i salari più alti e i salari più bassi;
   in ultimo, è necessario estendere i principi contenuti dall'articolo 23-ter del decreto leggero n. 201 del 2011 a tutte le società direttamente o indirettamente controllate dalle pubbliche amministrazioni, nonché a tutte le società private, limitatamente alle società quotate,

impegna il Governo:

   a promuovere, anche in sede europea, un principio universale di collegamento tra i salari più alti e i salari più bassi erogati dalle aziende private e dallo Stato, attraverso l'elaborazione e la conseguente applicazione di coefficienti utili a garantire il principio di uguaglianza tra lavoratori, per il tramite dell'applicazione di criteri di proporzionalità e razionalità che riducano le disparità salariali in tutte le aziende pubbliche e private;
   a promuovere, anche in sede europea, i principi contenuti dall'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011 come applicabili a tutte le pubbliche amministrazioni nonché alle società direttamente o indirettamente controllate dalle stesse oltre che a tutte le società quotate, con l'espressa previsione dell'esclusione di prassi e di disposizioni che di fatto derogano ai principi che ispirano la norma o che definiscono forme retributive volte ad eludere i limiti salariali imposti dal predetto articolo 23-ter.
(1-00371) «Cominardi, Grillo, Vacca, Tripiedi, Ciprini, Terzoni, Chimienti, Alberti, Turco, Bechis, Baldassarre, Cecconi, Lorefice, Mantero, Frusone, Basilio, Corda, Pesco, Artini, Villarosa, Cancelleri, Brescia, Segoni, Daga, De Rosa, Zolezzi, Busto, Micillo, Currò, Caso, Fico, Sorial, Castelli, D'Uva, D'Incà, Nuti, Luigi Di Maio, Simone Valente, Cozzolino, Sarti, Ferraresi, Barbanti, Paolo Bernini, Pisano, Marzana, Battelli, Dall'Osso, Baroni, Dieni, Spessotto, Carinelli, Toninelli, Liuzzi, Grande, Paolo Nicolò Romano, Di Battista, Di Benedetto, Del Grosso, Sibilia, Dell'Orco, Tofalo, Parentela, Nicola Bianchi, Cristian Iannuzzi, Lupo, Gallinella, Vallascas, Benedetti, Crippa, Da Villa, Brugnerotto, Fraccaro, Silvia Giordano, De Lorenzis».

Risoluzioni in Commissione:


   La V Commissione,
   premesso che:
    dal 2012 è in atto una accelerazione del processo di dismissioni urgenti del patrimonio dello Stato, riguardante sia i beni immobili che le partecipazioni dirette statali in società per azioni, finalizzato alla riduzione del debito pubblico in relazione all'esigenza di rispettare gli obblighi derivanti dall'adesione dell'Italia al «Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance e nell'unione economica e monetaria», cosiddetto «fiscal compact», che, fissando le regole fondamentali del controllo dei bilanci pubblici, dispone di abbattere la quota di debito pubblico eccedente il 60 per cento del prodotto interno lordo in misura non inferiore ad un ventesimo della quota eccedente ogni anno in concomitanza con l'obbligo di mantenere una posizione di bilancio della pubblica amministrazione in pareggio o in avanzo;
    entrambe le suddette regole sono difficilmente rispettabili in un contesto economico caratterizzato da una regressione della crescita del prodotto interno lordo mai verificatasi in precedenza, in quanto senza un trend positivo di crescita dell'economia non è possibile la produzione di nuova ricchezza da destinare in parte all'abbattimento del debito, in parte alle riforme strutturali, di cui la riduzione della pressione fiscale, necessaria per dare impulso alla domanda di beni e servizi;
    in tale contesto, la scelta del precedente Governo Letta di accelerare le dismissioni di partecipazioni pubbliche per ridurre il debito pubblico, che nel 2013 ha raggiunto il rapporto debito/prodotto interno lordo più elevato dal 1990, pari al 132,6 per cento, – trattasi del livello più alto dall'inizio delle serie storiche confrontabili (si pensi che nell'ottobre 2013 ha raggiunto l'ammontare di 2085 miliardi di euro) –, deve essere valutata e ben ponderata rispetto ad una accurata valutazione costi/benefici;
    la normativa di cui al decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, e successive modifiche, ha introdotto norme per accelerare le procedure delle dismissioni delle partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici in società per azioni, e disciplina l'esercizio dei poteri speciali da esercitare nei casi di dismissioni di partecipazioni nelle società, che operano nei settori considerati strategici per la sicurezza e l'economia della nazione;
    nel Consiglio dei ministri n. 24 del 19 settembre 2013 è stato approvato un documento «Destinazione Italia» – contenente un pacchetto di proposte finalizzate all'attrazione di investimenti nel settore privato. Il punto 17 di questo documento in particolare intende perseguire la predetta finalità mediante misure di «valorizzazione delle società partecipate dallo Stato attraverso un piano di dismissioni»;
    entro la fine dell'anno 2013 il Ministro dell'economia e delle finanze avrebbe provveduto ad individuare le partecipazioni oggetto delle operazioni di dismissione, che saranno realizzate secondo la normativa vigente di cui alla legge 474 del 1994;
    nella seduta del Consiglio dei ministri del 21 novembre 2013, l'ex Ministro dell'economia e finanze pro tempore Saccomanni ha presentato al Consiglio dei ministri piano di dismissioni contenente una lista di società a partecipazione diretta ed indiretta;
    come previsto dalla disciplina di cui al decreto legislativo 30 dicembre 2003, n. 396, contenente il testo unico delle disposizioni legislative in materia di debito pubblico, ai sensi dell'articolo 4 i proventi relativi alla vendita di partecipazioni dello Stato sono destinati al fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato, di cui all'articolo 44, al fine di abbattere il debito pubblico;
    la dismissione delle partecipazioni statali oggetto del progetto di privatizzazione, avviato nel 2013, dovrebbe generare maggiori entrate per 12 miliardi di euro. Fra le società da dismettere ci sono anche aziende in attivo, che conseguono utili e rappresentano per lo Stato una fonte di guadagno per i dividendi percepiti sulle azioni, quali Eni, Poste, STM;
    da un esame degli effetti finanziari conseguiti dalle dismissioni di partecipazioni avvenuti nel periodo 1994-2005, si evince che le entrate conseguite e confluite nel fondo ammortamento titoli di Stato, sono state pari a circa 111,2 miliardi di euro, con una media dunque di 11 miliardi annui; a fronte di tale abbattimento del debito, nello stesso arco temporale il debito pubblico è aumentato di 375 miliardi;
    il processo di privatizzazioni è stato ripreso dal Governo Monti nell'anno 2012, in cui sono state dismesse le partecipazioni nelle società SACE, Fintecna, e Simest, per il tramite dell'intervento della Cassa depositi e prestiti s.p.a. per un importo pari a 8,8 miliardi di euro, di cui solo 6,4 miliardi destinati all'abbattimento del debito, mentre la restante parte, in deroga al decreto legislativo 396 del 2003, è stata destinata al pagamento dei debiti pregressi della pubblica amministrazione;
    attualmente all'esame delle Commissioni parlamentari per il parere sono stati presentati gli schemi di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri recante determinazione dei criteri di privatizzazione e delle modalità di alienazione della partecipazione detenuta dal Ministero dell'economia e delle finanze nel capitale di Poste Italiane Spa e di Enav;
    i suddetti schemi di decreto non contengono ad avviso dei firmatari del presente atto informazioni dettagliate, che consentano alle Commissioni parlamentari di merito di poter valutare la convenienza o meno delle dismissioni;
    l'ammontare del debito pubblico oscilla intorno ai 2.090,00 miliardi di euro; dunque è opinabile confrontare il lieve miglioramento della situazione patrimoniale dello Stato, se si riducesse il debito per un ridotto importo di 12 miliardi di debito, con gli effetti finanziari negativi sulle partite correnti correlati alla perdita degli incassi dei dividendi delle partecipazioni dismesse;
    l'opportunità politica di ricorrere allo strumento delle dismissioni di società in equilibrio finanziario e redditizie per abbattere il debito sussisterebbe, se si garantisse almeno il conseguimento di effetti positivi sulle partite correnti dei bilanci del triennio in corso pari ad una riduzione di interessi non inferiore al presunto ammontare dei mancati incassi dei dividendi attesi dalle azioni da dismettere;
    le suesposte considerazioni inducono a riconsiderare le scelte di politica economica del Governo per ridurre il debito, in quanto, se si parte dall'assunto che il debito dello Stato deve essere visto non solo come partita debitoria, ma anche come investimenti finalizzati al raggiungimento di obiettivi economici e sociali, nel momento in cui, per la riduzione di un debito ammontante ad oltre 2.000 miliardi di euro, si sceglie di sacrificare le partecipazioni azionarie redditizie, la cui vendita assicurerebbe entrate stimate in circa 12 miliardi e, considerato che la media di spesa per interessi annui sul debito si aggira a circa 80 miliardi, si comprende che la suddetta scelta non rappresenta una soluzione né risulta conveniente;
    peraltro, nel contesto economico attuale, che vede il prodotto interno lordo in crescita negativa da cinque anni e una ripresa economica incerta, lenta e difficile, rinunciare agli investimenti remunerativi nelle società partecipate per fronteggiare la spesa per interessi, ovviamente improduttiva, impoverisce il Paese;
    al contrario, bisogna concentrare le scarse risorse finanziarie per il rilancio economico della nostra economia, che necessita nell'immediato di interventi statali di supporto del settore economico e produttivo, e di interventi per sostenere la domanda di beni e servizi, da realizzare mediante un processo di attribuzione di maggior potere di acquisto di salari e stipendi;
    alla luce delle precedenti considerazioni, il rispetto della normativa di cui al decreto legislativo n. 396 del 2003, che obbliga la destinazione delle dismissioni al fondo ammortamento titoli di Stato, rappresenta un limite all'adozione di politiche economiche, finalizzate a dismettere le partecipazioni statali per destinare risorse ad investimenti ovvero a riforme strutturali, in grado di stimolare la crescita del prodotto interno lordo e di conseguenza ridurre il rapporto debito/prodotto interno lordo, mediante l'accrescimento consequenziale del denominatore;
    sarebbe opportuno vagliare i maggiori benefìci impiegando i proventi delle dismissioni nel rilancio dell'economia del Paese, rispetto alla riduzione del debito nella misura di un limitato 0,6 per cento, che non arresterebbe il probabile continuo aumento del debito, come già avvenuto nel decennio 1994-2005;
    per quanto sopra si ritiene opportuna un'analisi economico-finanziaria, che metta a confronto gli effetti nel medio periodo sui saldi di finanza pubblica derivanti dalla destinazione delle scarse risorse realizzabili con le suddette dismissioni da attuare, nonché delle eventuali dismissioni che si dovessero programmare di partecipazioni di società operanti in settori strategici, con i risultati in termini di maggiore crescita conseguibili, se le risorse fossero destinate ad una riqualificazione degli investimenti,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per modificare la disciplina di cui al decreto legislativo 30 dicembre 2003, n. 396, al fine di prevedere:
    a) un ampliamento delle modalità di utilizzo dei proventi destinati al fondo ammortamento titoli di Stato, disponendo che i medesimi possano in parte anche essere reinvestiti in opere strutturali strategiche, idonee a promuovere il rilancio economico, determinando quindi un fattore di crescita del prodotto interno lordo, con conseguente riduzione del rapporto debito/prodotto interno lordo, nel rispetto degli obblighi derivanti dal fiscal compact, considerato che una tale scelta di politica economica di riconversione degli asset patrimoniali statali per interventi strutturali consentirebbe di operare scelte di politica economica, a parità di risorse impiegate, per dare impulso all'economia senza nuova emissione di debito, evitando nel contempo di sacrificare le attività patrimoniali per una effimera riduzione del debito pubblico;
    b) l'introduzione di una norma che, per procedere alle dismissioni di partecipazioni, vincoli il Governo ad acquisire preventivamente una relazione tecnica di organi competenti alla valutazione ed al controllo dei conti pubblici, quali l'istituendo ufficio parlamentare di bilancio ovvero l'ISTAT, che accertino gli effetti finanziari conseguenti alle dismissioni di partecipazioni, al fine di assicurare che le dismissioni programmate abbiano effetti migliorativi negli anni del quadriennio di riferimento del documento di economia e finanze, non solo sulla situazione patrimoniale dello Stato, come minore debito pubblico, ma anche sul conto economico a medio termine incidendo sul miglioramento dell'indebitamento netto, ovvero aumentando l'accrescimento netto, in seguito al raggiungimento del pareggio di bilancio, mediante la prevalenza della riduzione della spesa corrente per interessi passivi rispetto alla riduzione delle entrate correnti annuali correlate alla riscossione dei dividendi delle partecipazioni da dismettere;
    c) l'introduzione di una norma che preveda che i provvedimenti di dismissione contengano relazioni tecniche differenziate in relazione alle finalità, che si intendono perseguire ossia o processi di liberalizzazione di settore ovvero riequilibrio dei saldi di finanza pubblica, mediante l'abbattimento del debito.
(7-00302) «Currò».


   La VIII Commissione,
   premesso che:
    il 16 dicembre 1999, la dichiarazione dello stato di emergenza nella regione siciliana, in ordine alla situazione di crisi determinatasi nel settore dello smaltimento dei rifiuti solidi, è stata estesa alle problematiche socio-economiche ed ambientali connesse al sistema dei rifiuti speciali, pericolosi e in materia di bonifica e risanamento ambientali;
    con successive proroghe, lo stato di emergenza in materia di bonifica e di risanamento ambientale dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinati – oltre che in materia di tutela delle acque superficiali e sotterranee e dei cicli di depurazione – e la connessa gestione commissariale curata dai presidenti della regione in qualità di commissari delegati si sono protratti sino al 31 dicembre 2012;
    la gestione commissariale riguardava non soltanto i siti di interesse regionale e/o comunale ma anche i siti di interesse nazionale (SIN) di Gela, di Priolo, di Milazzo e di Biancavilla;
    rispetto ai siti di interesse nazionale, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è rimasto il titolare del procedimento amministrativo, ma la struttura commissariale aveva le competenze seguenti:
     a)  la predisposizione dei piani di caratterizzazione delle aree pubbliche, compresi i litorali e gli insediamenti marini, la realizzazione degli interventi di caratterizzazione, di messa in sicurezza d'emergenza, di bonifica e di ripristino ambientale di competenza pubblica;
     b) l'approvazione delle misure di messa in sicurezza d'emergenza, dei piani di caratterizzazione dei progetti preliminari e di quelli definitivi di bonifica e ripristino ambientale;
     c) l'intervento in via sostitutiva, in caso di inadempienza dei soggetti obbligati, ai sensi dell'articolo 250 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni;
     d) l'aggiornamento del piano regionale di bonifica e l'individuazione dei siti prioritari, sentita l'amministrazione regionale;
     e) la vigilanza sugli obblighi a carico dei soggetti responsabili per lo svolgimento degli interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza e bonifica, e l'eventuale esercizio dei poteri sostitutivi, in caso di inadempienza di quest'ultimi;
    la gestione degli interventi connessi alla dichiarazione dello stato di emergenza in questione è stata affidata ai Presidenti pro-tempore della regione siciliana che, in qualità di commissari delegati, e dunque all'interno del meccanismo istituzionale di emergenza hanno convissuto e operato in modo promiscuo con le strutture della gestione commissariale e l'apparato amministrativo della regione siciliana;
    della gestione commissariale dei siti di interesse nazionale presenti all'interno del territorio della regione siciliana, la «Relazione sulle bonifiche dei siti contaminati in Italia: i ritardi nell'attuazione degli interventi e i profili di illegalità» – approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti in data 12 dicembre 2012 – ha descritto un quadro particolarmente drammatico;
    nelle considerazioni finali della stessa relazione, a proposito dell'esperienza siciliana in materia di bonifiche, infatti, viene espresso il seguente giudizio: «è la prova lampante dell'assoluta inettitudine delle strutture commissariali ad affrontare le problematiche connesse alla bonifica dei siti inquinanti e, in generale, all'ambiente. Il territorio rientrante nel SIN di Gela è ben lontano dall'essere bonificato e la magistratura sta svolgendo un attento lavoro finalizzato alla verifica della liceità delle condotte tenute dagli enti interessati alla bonifica medesima» (...) e i gravissimi ritardi che si sono registrati nel SIN di Gela sono analoghi a quelli registrati nel SIN di Priolo»;
    il meccanismo istituzionale di emergenza – rimasto operativo per più di un decennio e finanziato da fondi di provenienza statale (50 milioni per il SIN di Priolo Augusta e 20 milioni per il SIN di Gela) e di provenienza regionale (7,5 milioni di euro per Milazzo) – non ha assicurato una tempestiva esecuzione degli interventi necessari, lasciando invariata una situazione sanitaria gravemente compromessa che, come scritto nella citata relazione della Commissione di inchiesta sui rifiuti, «continuerà a rimanere tale fino a quando non si procederà efficacemente alla bonifica»;
   a questo riguardo, nel progetto SENTIERI (studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento) rispetto al SIN di Priolo vengono evidenziati «eccessi della mortalità generale per tutte le cause e per tutti i tumori tra gli uomini, per malattie dell'apparato digerente tra le donne (...), e si osserva altresì che «tra le cause di morte per le quali vi è a priori un'evidenza sufficiente o limitata di associazione con le fonti di esposizioni ambientali del SIN (...) sono in eccesso negli uomini i tumori del polmone e della pleura, causa, quest'ultima, in eccesso anche nelle donne; la mortalità è in eccesso in entrambi i generi per le malattie respiratorie acute...»;
    nello stesso Progetto SENTIERI, rispetto al sito di Gela, viene evidenziato «un eccesso di tumori polmonari sia tra gli uomini sia tra le donne; tra gli uomini sono in eccesso anche il tumore dello stomaco e l'asma; tra le donne il tumore del colon-retto e l'asma»;
    allo stato attuale lo stato di emergenza, in conformità con quanto stabilito dal decreto-legge n. 59 del 2012, non è stato prorogato oltre il 31 dicembre 2012, e alla gestione commissariale degli interventi è subentrata la regione siciliana, con le modalità indicate dall'ordinanza del capo dipartimento della protezione civile n. 44 del 2013;
    l'ordinanza n. 44/2013 ha individuato il dirigente generale del dipartimento dell'acqua e dei rifiuti dell'assessorato della regione siciliana dell'energia e dei servizi di pubblica utilità – che con l'ordinanza della Presidenza del Consiglio dei ministri n. 4008 del 14 marzo 2012 era stato precedentemente nominato soggetto attuatore nell'ambito della stessa gestione commissariale – quale responsabile delle iniziative finalizzate al definitivo subentro della medesima regione nel coordinamento degli interventi, e intestando a quest'ultimo la contabilità speciale appositamente aperta per l'emergenza in questione per la prosecuzione della gestione operativa della stessa, per dodici mesi a decorrere dalla data di pubblicazione della presente ordinanza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, e dunque dal 4 febbraio 2013;
    con l'ordinanza n. 44/2013 è stato stabilito che il presidente della regione siciliana, in qualità di commissario delegato pro tempore, trasmettesse al dipartimento della protezione civile una relazione sulle attività svolte contenente l'elenco dei provvedimenti adottati, degli interventi conclusi e delle attività ancora in corso con relativo quadro economico;
    la stessa ordinanza ha affidato al dirigente generale del dipartimento dell'acqua e dei rifiuti dell'assessorato regionale dell'energia e dei servizi di pubblica utilità, richiamato in precedenza, il compito di trasmettere al dipartimento della protezione civile delle relazioni semestrali sulle attività svolte, e sullo stato di avanzamento delle attività in corso – delle quali ha assunto la responsabilità al momento del subentro della regione siciliana al commissario delegato – e di chiudere la contabilità speciale, trasmettendo una relazione conclusiva sulle attività svolte, entro 12 mesi dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della stessa ordinanza;
    nonostante, in base all'ordinanza del capo dipartimento della protezione civile n. 44/2013, gli obblighi di rendicontazione di cui all'articolo 5, comma 5-bis della legge n. 225 del 1992 restino fermi, sul sito del dipartimento della protezione civile non è stato ancora pubblicato il rendiconto relativo alla gestione commissariale chiusa il 31 dicembre 2012;
    le conclusioni della relazione sulle bonifiche dei siti contaminati in Italia, approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, le analisi contenute nel progetto SENTIERI, nonché le iniziative delle procure della Repubblica siciliane – che hanno aperto numerosi procedimenti giudiziari connessi alle gravissime interferenze tra le attività produttive localizzate nei siti industriali presenti in Sicilia, le risorse naturali e la salute dei cittadini nonché alla gestione degli interventi di messa in sicurezza e bonifica degli stessi siti – evidenziano ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo la totale inadeguatezza della presidenza della regione siciliana, in qualità di commissario delegato, ad assicurare sia un effettivo controllo sull'efficacia e sulla regolare esecuzione degli interventi a carico dei soggetti privati, sia una tempestiva realizzazione delle attività di bonifica delle aree comprese all'interno del perimetro del sito di interesse nazionale, non riferibili a soggetti privati,

impegna il Governo:

   ad assicurare la tempestiva pubblicazione, nel sito web della protezione civile del rendiconto con l'indicazione di tutte le entrate e tutte le spese riguardanti la dichiarazione dello stato di emergenza in questione – come prescritto dall'articolo 5, comma 5-bis della legge n. 225 del 1992 – e non solo quelle relative all'ultimo esercizio finanziario;
   a rendere pubblici e consultabili nel sito web della protezione civile i documenti seguenti:
    a) la relazione sulle attività svolte contenente l'elenco dei provvedimenti adottati, degli interventi conclusi e delle attività ancora in corso con relativo quadro economico, da trasmettere al dipartimento della protezione civile, a cura del commissario delegato (O.C.D.P.C. n. 44/2013 articolo 1, comma 3);
    b) le relazioni semestrali sullo stato di avanzamento delle attività condotte per l'attuazione degli interventi, con relativo quadro economico, da trasmettere al dipartimento della protezione civile, a cura del dirigente generale del dipartimento dell'acqua e dei rifiuti dell'assessorato regionale dell'energia e dei servizi di pubblica utilità (O.C.D.P.C. n. 44/2013 articolo 1, comma 6);
    c) la relazione conclusiva riguardante le attività poste in essere per la gestione degli interventi finalizzati a fronteggiare l'emergenza, da trasmettere al dipartimento della protezione civile, a cura del dirigente generale del dipartimento dell'acqua e dei rifiuti dell'assessorato regionale dell'energia e dei servizi di pubblica utilità alla chiusura, dopo i 12 mesi previsti, della contabilità speciale (O.C.D.P.C. n. 44/2013, articolo 1, comma 12);
   a riformare l'ordinanza del capo dipartimento della protezione civile n. 44/2013, con l'introduzione di procedure attivabili da parte del dipartimento della protezione civile – nel rispetto del principio di sussidiarietà – nel caso in cui si registrino gravi e sistematici inadempimenti rispetto a quanto stabilito dalla normativa vigente in materia e nello specifico dalla stessa ordinanza, ovvero nel caso in cui venga accertato il mancato completamento degli interventi di messa in sicurezza e di bonifica di quelle parti del territorio, che continuano ad essere all'origine della drammatica situazione, dal punto di vista epidemiologico, descritta dal progetto SENTIERI.
(7-00301) «Mannino, Grillo, Busto, Daga, De Rosa, Micillo, Segoni, Terzoni, Zolezzi, Mantero, Lorefice, Silvia Giordano, Dall'Osso, Cecconi».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    il Codice della navigazione all'articolo 698 prevede la distinzione tra aeroporti tra nazionali e regionali, e ne fissa i criteri e le modalità di selezione;
    il decreto legislativo n. 85 del 28 maggio 2010 prevede il trasferimento al demanio regionale degli aeroporti non di interesse nazionale;
    la IX Commissione «Trasporti, poste e telecomunicazioni» della Camera dei deputati a seguito dell'indagine conoscitiva sul sistema aeroportuale italiano (2010) ha espresso specifici indirizzi nel settore;
    il 29 gennaio 2013 il Ministro delle infrastrutture e trasporti, ha presentato l'atto di indirizzo per la definizione del Piano nazionale per lo sviluppo aeroportuale, previsto dall'articolo 698 del codice della navigazione;
    l'atto di indirizzo:
     a) propone per la prima volta, dopo l'ultimo piano nazionale adottato nel 1987, un riordino organico del settore aeroportuale sia sotto il profilo infrastrutturale che dei servizi e delle gestioni e una nuova classificazione degli aeroporti di interesse nazionale;
     b) recepisce gli orientamenti comunitari in materia e riconosce quale quadro di riferimento complessivo la rete di trasporto transeuropeo (TEN-T);
     c) sarà emanato con decreto del Presidente della Repubblica, dopo l'intesa con la Conferenza permanente Stato-regioni-province autonome ed il parere delle competenti commissioni parlamentari;
     d) propone una nuova classificazione degli aeroporti di interesse nazionale e la necessità di evitare la realizzazione di nuovi aeroporti;
     e) propone un percorso di integrazione multimodale degli spostamenti, caratteristica principale della qualità del servizio, collegando maggiormente tra di loro aeroporti, stazioni ferroviarie e porti, autobus e la metropolitana, i punti noleggio auto e i parcheggi e trasformandoli in piattaforme di connessione multimodale per passeggeri;
    già nell'allegato infrastrutture alla nota di aggiornamento al DEF del settembre 2012 era stata segnalata la necessità di evitare la realizzazione di nuovi aeroporti e di considerare di interesse nazionale unicamente gli aeroporti inseriti nel «core network» delle reti TEN-T, ovvero con più di un milione di passeggeri annui ovvero con più di 500.000 passeggeri annui ma in possesso di caratteristiche quali l'unicità regionale o la collocazione in territori di scarsa accessibilità ovvero gli aeroporti indispensabili per la continuità territoriale;
    gli aeroporti di interesse nazionale manterranno la concessione nazionale (o saranno risolte le criticità relative al rilascio della concessione in gestione totale ove essa sia mancante) e saranno interessati da un programma di infrastrutturazione che ne potenzi la capacità, l'accessibilità, l'intermodalità;
    gli aeroporti non di interesse nazionale dovranno essere trasferiti, sulla base di quanto previsto dal decreto legislativo n. 85 del 2010, alle regioni competenti, che ne valuteranno la diversa destinazione d'uso e/o la possibilità di chiusura;
    è prevista l'adozione di piani di riequilibrio economico finanziario per il risanamento economico delle gestioni aeroportuali e la progressiva dismissione di quote societarie da parte degli enti pubblici, fortemente presenti in molti scali italiani, favorendo l'ingresso di capitali privati. Si prevede anche una razionalizzazione dei servizi di navigazione aerea (revisione degli orari di apertura degli scali e di fornitura dei servizi in base al traffico degli scali) e dei servizi generali alla clientela;
    gli aeroporti di interesse nazionale previsti nel piano sono:
     a) gli aeroporti inseriti nel «core network» delle reti TEN-T: Bergamo Orio al Serio, Bologna, Genova, Milano Linate, Milano Malpensa, Napoli, Palermo, Roma Fiumicino, Torino, Venezia. Per gli aeroporti inseriti nel core network è prevista la priorità degli investimenti per il potenziamento dell'accessibilità e intermodalità degli scali, in primo luogo per gli scali intercontinentali di Roma Fiumicino, Milano Malpensa e Venezia;
     b) gli aeroporti inseriti nel «comprehensive network» delle reti TEN-T con più di un milione di passeggeri annui (Alghero, Bari, Brindisi, Cagliari, Catania, Firenze, Lamezia Terme, Olbia, Pisa, Roma Ciampino, Trapani, Treviso, Verona) ovvero con più di 500.000 passeggeri annui ma in possesso di caratteristiche quali l'unicità regionale o la collocazione in territori di scarsa accessibilità, ovvero gli aeroporti indispensabili per la continuità territoriale (Ancona, Pescara, Reggio Calabria, Trieste, Lampedusa, Pantelleria). Per gli aeroporti inseriti nel comprehensive network è previsto il potenziamento degli scali nel medio/lungo periodo;
     c) gli aeroporti non inseriti nelle reti TEN-T ma con volumi di traffico in forte crescita e vicini ad un milione di passeggeri (Rimini) oppure destinati alla delocalizzazione del traffico di grandi aeroporti (Salerno);
    il Regolamento (UE) n. 1315/2013 fissa gli orientamenti per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti;
    gli orientamenti della Commissione dell'Unione europea per lo sviluppo del settore aeroportuale sono tesi a ottimizzare gli impianti esistenti e ad accrescere la qualità degli aeroporti in particolare a:
     a) evitare il congestionamento degli aeroporti, allineando la capacità a terra e in volo;
     b) definire un sistema di assegnazione di fasce orarie più efficienti;
     c) ridurre il livello di inquinamento acustico contemperato con le esigenze di mobilità;
     d) concentrare gli investimenti pubblici e privati finalizzati alla realizzazione delle reti transeuropee di trasporto (TEN-T);
     e) utilizzare gli strumenti di finanziamento dell'Unione europea;
     f) costruire condizioni di maggiore accessibilità e potenziamento dell'intermodalità;
     g) organizzare servizi di assistenza di terra più efficienti;
     h) garantire maggiore trasparenza e correlazione tra tariffe e costi dei diritti aeroportuali e per la sicurezza;
     i) rivedere i controlli di sicurezza per agevolare i viaggiatori;
     l) accrescere i livelli di sicurezza delle attività aeroportuali;
    il piano contiene elementi strategici per il territorio comportando sia impatti positivi che ripercussioni sugli stessi sia nel caso di ampliamento di infrastrutture esistenti, sia nella definizione e ridimensionamento delle altre e risulta di fondamentale importanza che sia condiviso da tutti i soggetti coinvolti;
    relativamente alle ripercussioni, gli aeroporti, in funzione delle loro diverse dimensioni e della diversa tipologia di operatività, generano differenti livelli di impatto sul territorio circostante e sulle comunità locali sempre più conosciuti e approfonditi dal mondo scientifico, occorre prevedere delle compensazioni ambientali e un maggior coinvolgimento delle comunità locali nei processi decisionali e di sviluppo per valutare le diverse possibilità di mitigazione degli impatti ed esprimere il proprio parere obbligatorio;
    relativamente agli effetti positivi sullo sviluppo. In particolare gli aeroporti regionali e i servizi aerei sono essenziali non solo come nodi di trasporto, in quanto contribuiscono a facilitare il buon funzionamento del mercato unico dell'Unione europea trasportando persone e merci tra le regioni, ma sono anche essenziali come generatori di crescita economica;
    come rappresentato bene nella proposta di piano aeroportuale, diversi aeroporti raggiungeranno nel breve-medio periodo i propri limiti di capacità infrastrutturale, rendendo necessaria l'individuazione e l'adozione di tempestivi piani ed azioni di sviluppo;
    nei Master Plan le previsioni di sviluppo degli aeroporti devono quindi essere definite, valutandone l'effettiva sostenibilità ambientale in termini di ricadute sul territorio e di correlazione con le popolazioni residenti nelle aree prossime al sedime. È quindi necessario promuovere politiche di sviluppo degli aeroporti che tengano conto di tutti gli aspetti del territorio di riferimento ed abbiano la sostenibilità ambientale quale elemento qualificante e trainante;
    nello specifico, preso atto che fra le direttive strategiche della proposta di Piano sono contemplati il miglior uso delle infrastrutture esistenti e l'ottimizzazione della pianificazione delle infrastrutture aeroportuali e future espansioni;
    così come riportato nella proposta di piano:
     «1) Miglior uso delle infrastrutture esistenti.
  L'uso delle infrastrutture aeroportuali esistenti deve essere ottimizzato prima di procedere ad ampliamenti e prima di realizzare nuove infrastrutture; occorre salvaguardare il patrimonio aeroportuale esistente che non trova ancora pieno sfruttamento entro la rete, come riserva per il futuro. La valutazione dei fabbisogni dovrà poi essere fondata su metodi efficaci di verifica delle capacità di ciascun sistema funzionale, che consentano la pianificazione degli adeguamenti con orizzonti a breve, medio e lungo termine.
  2) Ottimizzazione della pianificazione delle infrastrutture aeroportuali e future espansioni.
  I vincoli economici e ambientali e i lunghi tempi necessari per la realizzazione di nuove infrastrutture obbligano a dare priorità all'uso ottimale della capacità esistente. Operare in questo senso significa che la pianificazione territoriale e la pianificazione a lungo termine delle aree aeroportuali, dovranno procedere parallelamente per tener conto dei vincoli ambientali e del rapporto con le funzioni urbane che si insediano nelle aree aeroportuali. Fra i principali obiettivi della pianificazione coordinata tra aeroporti e territorio, vi è la salvaguardia di aree adeguate per i futuri sviluppi e l'utilizzo in via prioritaria di eventuali aree limitrofe di proprietà pubblica che possano essere utilizzate per l'ampliamento e/o la realizzazione di infrastrutture aeroportuali»;
    a riguardo l'ANCI ha accolto con favore l'iniziativa del Governo di dotare il Paese, a distanza di 26 anni, di un nuovo Piano nazionale degli aeroporti quale strumento strategico di sviluppo del territorio nazionale, raccomandando però che il ruolo degli enti locali, in quanto tenuti, ai sensi del principio di sussidiarietà, alla cura e allo sviluppo della comunità e del territorio, venga maggiormente valorizzato in ambito alla proposta di Piano medesimo mediante la previsione di una partecipazione attiva-preventiva nei processi decisionali;
    come efficacemente rappresentato dall'ANCI:
     a) nell'ultimo decennio c’è stata un'evoluzione non pianificata dello sviluppo degli aeroporti sul territorio che ha interessato nello specifico l'aumento del numero degli Hub e la crescita disordinata di aeroporti low cost;
     b) la debolezza di una mancata gestione a livello nazionale ha prodotto i suoi effetti immediati innanzitutto sul territorio di quei comuni dove insistono gli stessi sedimi aeroportuali. Questi ultimi, in particolare, si trovano a reagire rispetto a una serie di decisioni assunte con effetti rilevanti sul territorio dal punto di vista pianificatorio, ambientale, sociale ed economico e senza reali processi di condivisione sul territorio da qui la esigenza di prevedere una partecipazione attiva-preventiva degli stessi nei processi decisionali e il rilascio di un parere obbligatorio riguardo l'approvazione in linea tecnica dei Piani di sviluppo aeroportuale;
    i comuni di sedime aeroportuale sono chiamati inoltre a garantire una serie di servizi che nascono dalla presenza delle infrastrutture dell'aeroporto: controllo della mobilità stradale, assistenza annonaria e presenza di flussi migratori non programmati, ufficio tecnico, e altri;
    a fronte di questi servizi la legge 24 dicembre 2003, n. 350, ha istituito l'addizionale comunale riconoscendo il maggior carico amministrativo per i comuni coinvolti. La finanziaria 2008 (articolo 2, commi 615-617 della legge 24 dicembre 2007, n. 244) ha previsto che il Ministero dell'economia e delle finanze assegni in un unico fondo le spettanze di alcuni capitoli di entrata ai vari Ministeri competenti;
    fino al 2007 il Ministero dell'economia e delle finanze riassegnava quanto presente nei capitoli di entrata di competenza degli enti locali direttamente in capitoli di spesa del Ministero dell'interno che provvedeva successivamente al riparto a ciascun comune in funzione dei flussi di passeggeri. Il risultato di tale novità introdotta è stata una diminuzione della quota parte riconosciuta ai comuni beneficiari con tagli lineari – su un'addizionale comunale – che hanno inciso non poco sui bilanci degli enti senza un intervento di compensazione in termini di fiscalità locale,

impegna il Governo:

   a prevedere tempi e strumenti di maggior coinvolgimento degli enti locali, e più in generale di concertazione fra i vari livelli di governo, nei processi di sviluppo delle aree territoriali caratterizzate dalla presenza di sedimi aeroportuali considerato che, anche a livello europeo, le proposte complessive sul futuro assetto dei servizi aerei nell'Unione europea prevede un peso sempre maggiore della dimensione degli aeroporti regionali come da ultima la proposta di Risoluzione del Parlamento europeo del 2 aprile 2012;
   sarebbe opportuno che l’iter, procedurale del Piano nazionale per lo sviluppo aeroportuale preveda una specifica integrazione del decreto legislativo 25 luglio 1997, n. 250, all'articolo 2, lettera g), su «la regolamentazione, esame e valutazione dei piani regolatori aeroportuali, dei programmi di intervento e dei piani di investimento aeroportuale» prescrivendo l'obbligo di una partecipazione preventiva ai processi decisionali e il rilascio di pareri obbligatori per l'approvazione in linea tecnica dei Piani di Sviluppo Aeroportuale a tutela degli interessi locali;
   a garantire la funzionalità degli aeroporti anche a livello di qualità della vita in linea con le disposizioni in materia di salute pubblica e di contenimento degli impatti sulle matrici ambientali, in materia di sicurezza e di presidio del territorio nonché in materia di protezione civile in caso di eventi calamitosi;
   ad assumere iniziative per ripristinare la natura di tributo di scopo dell'addizionale comunale di imbarco, con un nuovo regolamento che preveda che le risorse destinate ai comuni sulla base dei criteri individuati dall'articolo 2, comma 11, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, e successive modificazioni siano trasferiti in modo diretto alle amministrazioni comunali nonché una ripartizione più equa dei fondi sui diritti d'imbarco destinati ai suddetti comuni aeroportuali;
   a considerare tra le principali linee guida previste nel piano, sulla falsariga del principio di limitazione del consumo del suolo che ha assunto la fisionomia di principale strumento di misurazione della qualità ambientale dei territori, che la concretizzazione di gestione di aeroporti tra loro vicini in «rete aeroportuale», costituirà alternativa all'ampliamento anche in relazione alla Vas relativa ai piani di sviluppo di singoli impianti aeroportuali come pure di considerare a tal fine e in via prioritaria l'utilizzo di eventuali aree limitrofe di proprietà pubblica (ex aree demaniali);
   a stabilire che in ogni sito in cui è previsto uno scalo, sia effettuata una VAS quale procedura essenziale prevista dalla normativa nazionale per garantire un elevato livello di protezione dell'ambiente;
   a considerare, pur nel rispetto degli orientamenti comunitari ripresi nella proposta di Piano che invitano a non moltiplicare gli scali presenti nel territorio nazionale, l'importanza di non emarginare alcune aree del Paese in cui una limitata accessibilità e in alcuni casi la somma di peculiarità orografiche e demografiche, può determinare un minore sviluppo socio-economico essendo imprescindibile rivedere i criteri di classificazione congiuntamente agli aspetti logistici;
   a inserire tra «gli interventi infrastrutturali prioritari» adeguate connessioni intermodali fra il trasporto aereo e il trasporto di terra posto che una più efficace ripartizione di traffico tra treno e aereo per rendere accessibili i poli di interesse turistico e le aree interne e ottimizzare al meglio i fattori produttivi del sistema Paese;
   a sostenere lo sviluppo degli aeroporti regionali e, sulla base di adeguate consultazioni locali e regionali e di analisi costi-benefici, renderli ammissibili a finanziamento nell'ambito del nuovo quadro di programmazione 2014-2020;
   a lavorare affinché fra i divieti di aiuto al funzionamento degli aeroporti, contenuti nei nuovi orientamenti comunitari, siano stralciati quelli che rappresentano l'unico strumento per calmierare le distorsioni originate dai deficit strutturali legati a caratteristiche poco favorevoli dei territori in cui sono ubicati (ad esempio insularità, montanità, decentramento, carenza infrastrutturale, scarsa connettività intermodale);
   a fare in modo che nelle more del pieno recepimento e/o attuazione degli impegni assunti, venga sospesa in via temporanea la procedura di rilascio della via relativamente ai piani di sviluppo aeroportuale in itinere e/o sia disposta una revisione di detti piani coerentemente con gli impegni di cui sopra.
(7-00303) «Mura».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   LATRONICO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'accordo di programma sottoscritto in data 14 dicembre 2010 tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la regione Basilicata, finalizzato alla programmazione e al finanziamento di interventi urgenti e prioritari per la mitigazione del rischio idrogeologico da effettuare nel territorio della regione Basilicata, prevede un piano straordinario di interventi volti alla riduzione del rischio idraulico, di frana e di difesa della costa, mediante la realizzazione di nuove opere e con azioni di manutenzione ordinaria e straordinaria;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 gennaio 2011, è stato nominato l'ingegner Francesco Saverio Acito commissario straordinario delegato per il sollecito espletamento delle procedure relative alla realizzazione degli interventi per la salvaguardia del territorio, della vita umana attraverso la riduzione del rischio idraulico, di frana e di difesa della costa, sia mediante la realizzazione di nuove opere, sia con azioni di manutenzione ordinaria e straordinaria;
   da gennaio 2014 il commissario è in attesa di avere conferma della proroga al fine di completare l'opera di risanamento, avendo ancora in corso 90 cantieri in attesa di completamento opere;
   il decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 febbraio 2014, n. 6, recante disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali ed a favorire lo sviluppo delle aree interessate, all'articolo 6, prevede la possibilità di prorogare i commissari fino al 1o gennaio 2015 –:
   se il Governo sia a conoscenza di quando enunciato in premessa;
   se il Governo intenda adottare in tempi brevi il decreto di proroga del commissario. (4-03979)


   D'AMBROSIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il consiglio regionale della Puglia ha recentemente approvato e inviato al Parlamento, due proposte di legge che intervengono su due norme «storiche», in ambito di disabilità (la legge n. 13 del 1989 e la legge n. 104 del 1992), prevedendo un adeguamento dei contributi per l'eliminazione delle barriere negli edifici privati e il diritto per i figli alla reversibilità della pensione d'invalidità e dell'indennità di accompagnamento, dopo la morte del genitore con grave disabilità;
   il primo testo fa riferimento alla delibera di consiglio regionale della Puglia n. 213/13, centrata su una proposta di legge con la quale si intende modificare l'articolo 9, comma 2 della legge nazionale n. 13 del 1989 (Disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati), nel senso di un doveroso adeguamento delle cifre in esso fissate, non solo tramite la conversione in euro di quanto allora era stato espresso in lire, ma anche aumentando i «tetti» e le percentuali relative ai contributi;
   innovativa appare poi la delibera n. 212 del 2012. La proposta, infatti, consiste nell'aggiungere un articolo (10-bis) alla legge quadro n. 104 del 1992, denominato Reversibilità dell'importo complessivo tra pensione di invalidità civile e indennità di accompagnamento e così articolato: «Il figlio impegnato costantemente, per almeno dieci anni, nell'assistenza del genitore invalido con totale e permanente inabilità e non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, ai sensi dell'articolo 3, comma 3, poiché è impossibilitato a svolgere una qualsiasi attività lavorativa che possa dargli un reddito, ha diritto alla reversibilità della pensione di invalidità e dell'indennità di accompagnamento dopo la morte del genitore» –:
   se il Governo intenda assumere iniziative normative a favore dei portatori di disabilità e dei loro familiari, tenendo conto delle proposte del Consiglio regionale della Puglia. (4-03995)


   GIANLUCA PINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la Federazione italiana sport equestri (FISE) a luglio 2013 è stata commissariata dal Coni a causa di un deficit di bilancio di circa 7 milioni di euro, dovuto per 1,9 milioni a cause e contenziosi, 1,7 milioni alla liquidazione della società che gestiva il centro equestre Pratoni del Vivaro alle porte di Roma e per altre migliaia di euro a gettoni di presenza e auto blu;
   notizie di stampa riportano negli ultimi giorni la notizia secondo cui anche nei comitati regionali della Federazione equestre si registrano ingenti ammanchi che porterebbero il debito a quasi 10 milioni di euro;
   la FISE ha continuato a ricevere un contributo pubblico annuale da parte del Coni, il cui importo nel 2013 è stato di 1,5 milioni di euro, nonostante i debiti accumulati avrebbero dovuto decretare la chiusura definitiva della Federazione, come sottolineato dal presidente del Coni Malagò: «Se questo fosse un Paese serio, bisognava chiudere tutto e tirare giù la saracinesca, quando uno si trova con quei debiti si fallisce»;
   nonostante la critica situazione in cui versa la Federazione equestre, la FISE ha deciso quest'anno di organizzare, dopo anni di assenza dal calendario delle manifestazioni di interesse federale, il «campionato centro meridionale di salto ostacoli», prevedendo anche che il vincitore del campionato senior otterrà di diritto l'accesso a una delle manifestazioni internazionali più importanti e attese del panorama equestre internazionale in Italia, ovvero l'82o CSIO di Piazza di Siena;
   sarebbe opportuno approfondire le motivazioni alla base della scelta di organizzare non un campionato nazionale di salto ad ostacoli, bensì un campionato con connotati territoriali ben definiti, decisione che ad avviso dell'interrogante costituisce un chiaro esempio di discriminazione territoriale –:
   se non ritenga opportuno rendere noti i costi e la provenienza delle risorse necessarie al finanziamento del campionato centro meridionale di salto ostacoli che la FISE è in procinto di organizzare. (4-03998)

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta scritta:


   FEDI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la legge 7 giugno 1988, n. 226, recante «Ratifica ed esecuzione dell'accordo di reciprocità tra l'Italia e l'Australia in materia di assistenza sanitaria», firmato a Roma il 9 gennaio 1986, ha definito in termini di reciprocità i rapporti tra Italia e Australia in materia di assistenza sanitaria;
   l'accordo tra la Repubblica italiana e il Commonwealth of Australia si prefigge di agevolare il soggiorno temporaneo dei rispettivi cittadini nel territorio dell'altro Stato e di garantire che essi possano ricevere l'assistenza sanitaria prevista dal sistema sanitario nazionale del paese ospitante;
   l'estensione temporale dell'accordo, definito dall'articolo 2, prevede la copertura per un periodo non superiore ai 6 mesi;
   il comma 3 dell'articolo 6 prevede che le parti contraenti, previo accordo tramite i canali diplomatici, designino i loro rappresentanti per una Commissione mista che si riunisca per consultarsi sull'applicazione e sull'efficacia dell'Accordo e sottoponga alle autorità competenti le modifiche al presente accordo o le intese amministrative da adottare –:
   se non si ritenga necessario, nell'ambito della piena reciprocità, estendere la copertura sanitaria dagli attuali 6 mesi a 12 mesi, tenendo conto della mutata natura dei soggiorni, sia di natura turistica, sia per altre tipologie di visto, sia per scambi professionali, e della diversa durata degli stessi, largamente superiore ai sei mesi;
   se non si ritenga utile, a tal fine, procedere alla convocazione della Commissione mista prevista dall'articolo 6, comma 3, per formalizzare la modifica oppure prevedere una opportuna comunicazione tra le parti tesa a verificare la comune disponibilità di estendere la copertura sanitaria a 12 mesi senza compromettere la validità e l'applicazione dell'attuale accordo. (4-03976)


   SORIAL. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   secondo i dati diffusi in questi giorni da Save the Children con il rapporto Ending Newborn Deaths, nell'ambito della campagna globale Every One, il primo giorno della vita di un bambino è il più pericoloso e purtroppo diventa anche l'ultimo per più di due milioni di bambini nel mondo che perdono la vita poco dopo essere nati, anche a causa dei 40 milioni di donne nel mondo abbandonate a loro stesse durante la delicata fase del parto;
   il rapporto spiega che vi sono ancora 6,6 milioni di bambini che muoiono nei primi 5 anni di vita, a dimostrazione che il percorso per la lotta alla mortalità infantile è ancora lungo e sembra anche essere oramai giunto ad una fase di stallo, per cui occorre intervenire al più presto, come dichiarato dal direttore generale di Save the Children, Valerio Neri, nonostante nell'ultimo decennio siano stati fatti molti passi, grazie a un intervento globale di vaccinazioni, trattamenti per polmonite, diarrea e malaria, così come di pianificazione familiare e lotta alla malnutrizione;
   sono circa 2,9 milioni i bambini che perdono la vita nei primi 28 giorni dalla nascita e più di 1 milione di loro muoiono nel primo giorno di vita, il più pericoloso per nascite premature e complicazioni durante il parto, spesso fatali anche perché le madri partoriscono senza aiuto qualificato, mentre un milione e 200 mila bambini nascono già morti ogni anno perché il loro cuore smette di battere durante il travaglio stesso;
   la Dichiarazione dei diritti del fanciullo, approvata nel 1959 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite e revisionata nel 1989 con l'approvazione della Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia, afferma che ogni bambino, senza discriminazione alcuna, deve godere degli stessi diritti, compreso il diritto alla tutela sanitaria;
   nel settembre del 2000 i 191 membri delle Nazioni Unite, tra cui l'Italia, hanno sottoscritto e dunque adottato gli obiettivi di sviluppo del millennio (OSM), impegni per la comunità internazionale che rappresentano il più importante quadro di orientamento per la cooperazione internazionale allo sviluppo: 8 obiettivi generali che l'intera comunità internazionale si è impegnata a raggiungere entro il 2015, come sradicare la povertà estrema e la fame o garantire l'educazione primaria universale, tra i quali vi è anche quello di ridurre la mortalità infantile;
   il raggiungimento degli obiettivi del millennio entro la scadenza del 2015, non è solo un imperativo etico di solidarietà verso chi è più svantaggiato ma anche un investimento di fondamentale importanza a favore della pace, della stabilità e sicurezza a livello globale;
   mentre in Europa, nel periodo neonatale, muore un bambino su 1.000, in Africa o in alcune parti dell'Asia, il rapporto è almeno 5 volte tanto, mentre a detenere il terribile primato è il Pakistan, con il più alto tasso di neonati che muoiono durante il travaglio o comunque nel primo giorno di vita (40,7 su 1.000 nati), seguito dalla Nigeria (32,7) e dalla Sierra Leone (30,8);
   circa il 50 per cento della mortalità neonatale e il 45 per cento delle morti intra partum si potrebbero prevenire con l'assistenza specializzata durante travaglio e parto, come sottolinea il rapporto di Save the Children, ma purtroppo nell'Africa Subsahariana il 51 per cento dei parti non è assistito, nell'Asia sudorientale la percentuale è del 41 per cento e vi sono zone rurali dove la percentuale di assistiti è ancora minore come in Etiopia, ad esempio, dove solo il 10 per cento delle nascite avvengono in presenza di personale specializzato, mentre in Afghanistan c’è solo 1 ostetrica ogni 10.000 persone;
   spesso il problema è prettamente economico e le cure mediche sono a pagamento, come in India, dove il tasso di mortalità neonatale riferito alla parte ricca della popolazione è la metà di quello dei più poveri, o come in Repubblica Democratica del Congo e Repubblica Centrafricana dove le cure di emergenza legate al parto spesso hanno lo stesso costo del cibo di un mese: ciò indica come vi sia bisogno di una reale volontà politica per dare a questi bambini una possibilità di sopravvivere, che agisca innanzitutto sulle disuguaglianze socio-economiche;
   tra le misure necessarie alla risoluzione del problema della mortalità infantile, Save the Children ha indicato la necessità di impegno chiaro affinché ogni nascita nel mondo sia seguita da operatori formati ed equipaggiati che possano offrire interventi sanitari essenziali ai neonati e alle loro madri, aumentando la spesa destinata alla salute per arrivare all'obiettivo di almeno $ 60 a persona previsto dall'Organizzazione mondiale della sanità per assicurare la gratuità degli interventi ostetrici di emergenza, e l'investimento di risorse nella formazione, l'equipaggiamento e il sostegno di operatori sanitari –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e quali misure e strategie stia approntando o intenda adottare per contribuire maggiormente alla riduzione della mortalità infantile, in particolare in Africa e in Asia;
   se stia promuovendo l'applicazione dei principi di coerenza ed efficacia degli aiuti, relativi agli obiettivi del millennio, monitorando gli interventi, l'analisi dei risultati e dell'impatto effettivo sullo sviluppo e se non ritenga necessario assicurare, allo stesso tempo, comunicazioni periodiche al Parlamento sull'andamento degli aiuti pubblici allo sviluppo attraverso un puntuale rendiconto delle risorse stanziate e dei risultati operativi conseguiti, anche al fine di innalzare l'ancora insufficiente grado di trasparenza e accountability dell'aiuto pubblico internazionale.
(4-03977)


   MURA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   ci sono oltre 4 milioni di cittadini italiani residenti all'estero, ai quali si sommano i milioni di cittadini di discendenza italiana e negli ultimi anni si è affermata una nuova emigrazione, di giovani studenti, ricercatori, professionisti ed imprenditori;
   dai dati presentati nel 2012 dalla Commissione per la spending review del Ministero degli affari esteri, insediata nel 2011, emerge che il bilancio del Ministero, pari allo 0,22 per cento del bilancio statale, è decisamente più esiguo di quello dei principali Paesi europei: il costo complessivo della rete estera è pari al 44 per cento del bilancio, e la spesa per il personale all'estero raggiunge il 38,5 per cento;
   il piano presentato dal Ministero degli affari esteri sul «Riorientamento della rete consolare», prospetta un calendario di soppressioni strutturato in tre fasi (la soppressione di 7 sedi entro il 30 novembre 2013, di altre 5 sedi entro il 20 febbraio 2014 e di ulteriori due entro il 30 giugno 2014);
   oltre alle chiusure pubblicate nel calendario, è stata annunciata la soppressione di altre 23 sedi, tra le quali 3 rappresentanze diplomatiche, 11 uffici consolari, 7 sportelli consolari, 5 Istituti di cultura e 8 sezioni distaccate di Istituti di cultura;
   il piano di «Riorientamento della rete consolare», a giudizio dell'interrogante, contraddice quanto indicato dalla Commissione spending review, perseverando nella logica dei tagli lineari ai servizi, ma lasciando inalterata la composizione della spesa, in particolare quella riguardante il personale;
   a quanto consta all'interrogante, in occasione del suddetto piano, il Ministero degli affari esteri non ha chiesto nessun parere al Consiglio generale degli italiani all'estero, di fatto contravvenendo a quanto prescritto dalla legge del 6 novembre del 1989 n. 368, all'articolo 3, comma 1, lettera e) secondo il quale: «Il C.G.I.E. esprime parere obbligatorio sugli orientamenti del Governo concernenti linee di riforma dei servizi consolari, scolastici e sociali» –:
   quali siano i risparmi reali derivati dalla soppressione delle sedi consolari individuate dal Ministero;
   se non sia necessario rivedere il numero e le sedi da sopprimere, dopo aver sentito il parere del Consiglio generale degli italiani all'estero;
   quale sia il livello di assistenza assicurato ai connazionali all'estero, nei territori dove sono stati cancellati importanti presidi quali le sedi consolari. (4-03987)


   SCAGLIUSI, L'ABBATE, CECCONI, GRANDE, SPADONI, SIBILIA, BECHIS, CRISTIAN IANNUZZI e MANLIO DI STEFANO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   gli Istituti italiani di cultura (IIC) sono uffici all'estero del Ministero degli affari esteri, regolati dalla legge n. 401 del 1990, aventi come fine istituzionale la promozione della cultura e della lingua italiana all'estero;
   fino a dieci Istituti italiani di cultura possono essere diretti da personalità «di elevata competenza e prestigio culturale», competenza che deve essere posta in relazione con le specifiche esigenze di particolari sedi;
   la gestione amministrativo-contabile di tutti gli Istituti italiani di cultura, compresi quelli diretti da personale esterno all'amministrazione degli esteri, è regolata dal decreto ministeriale n. 392 del 1995, nel quale è espressamente previsto l'obbligo del pareggio di bilancio a fine dell'esercizio annuale;
   come riferito in un articolo di Thomas Mackinson, pubblicato l'11 dicembre 2011 da Il Fatto Quotidiano online le procedure di nomina di personale esterno effettuate negli ultimi tre anni non hanno avuto alcuna caratteristica di trasparenza e hanno messo capo a nomine di parenti stretti di altissimi funzionari della Farnesina, oppure di persone prive dei requisiti richiesti di prestigio culturali come all'IIC di Madrid e di Bruxelles;
   come riferito in un articolo di Thomas Mackinson, pubblicato il 24 febbraio 2014 da Il Fatto Quotidiano online negli ultimi tre anni si sono verificate anomalie gestionali negli IIC, che hanno provocato reazioni delle comunità italiane all'estero e degli esponenti del mondo delle istituzioni culturali e accademiche locali, in specie nelle sedi di Bruxelles, Barcellona, Madrid, New York, Parigi, dirette da personale esterno all'amministrazione e nella sede ordinaria di Città del Messico diretta da personale appartenente alle qualifiche funzionali dell'amministrazione degli esteri;
   le anomalie più frequentemente riscontrate nell'ambito gestionale degli Istituti italiani di cultura (Sentenza seconda sezione centrale di appello della Corte dei Conti del Lazio n. 344 del 2013 e Sentenza Corte dei Conti sezione Lazio n. 23 del 2014) consistono nell'assunzione di impegni di spesa in eccesso rispetto alle disponibilità di bilancio e nel conseguente illecito spostamento del debito a gravare sull'esercizio successivo;
   come riferito nel comunicato del 19 ottobre 2012 della Federazione indipendente lavori pubblici della Farnesina (FILP Farnesina), presso l'Istituto italiano di cultura di New York negli anni 2010-2013 al direttore professor Riccardo Viale erano constatate diverse irregolarità nella gestione (dall'assunzione ingiustificata di consulenti, a un forte assenteismo e gravi profili di criticità nella gestione amministrativo-contabile e a un uso opaco del denaro pubblico);
   come riportato da ansa.it il 28 gennaio 2014, presso l'Istituto italiano di cultura di Bruxelles la dottoressa Federiga Bindi negli anni 2011-2013 commetteva gravi irregolarità contabili;
   come da lettera inviata dalla Comunità italiana in Messico all'ambasciatore d'Italia Roberto Spinelli datata 27 dicembre 2012 e pubblicata il 27 gennaio 2013 sul sito web de l'Unità presso l'Istituto italiano di cultura di Città del Messico la direttrice dottoressa Melita Palestini causava costernazione nella comunità culturale per la sua palese incapacità di proporre un programma culturale degno di questo nome, e di gestire in modo razionale il personale a disposizione;
   il Ministero degli affari esteri, non tenendo conto delle professionalità interne, ha ora pubblicato sul sito web ufficiale due avvisi riguardanti i posti di direttore degli IIC di New York e Tunisi rivolti a candidati esterni all'amministrazione, e tali avvisi non sembrano contemplare la necessaria trasparenza nella definizione delle procedure di selezione né indicano quale commissione giudicherà i candidati, se si utilizzeranno metodi valutativi obiettivi, fondati su titoli scientifici o culturali, espressi in punteggi o altro;
   nel dicembre 2012 sono stati immessi in ruolo a seguito di concorso per esami sei nuovi dirigenti della promozione culturale (http://goo.gl/WLslhl), che hanno superato il corso di formazione presso la scuola nazionale dell'amministrazione e ben cinque ad oggi a quanto risulta agli interroganti non risultano impiegati all'estero –:
   se il Ministro interrogato abbia esercitato la sua funzione di controllo sull'operato dell'ispettorato del Ministero degli affari esteri e dei direttori degli Istituti italiani di cultura nominati a mente dell'articolo 14, comma 6, della legge n. 401 del 1990 in relazione alle anomalie menzionate in premessa;
   quali iniziative nelle opportune sedi di competenza il Ministro intenda assumere affinché si possa utilizzare pienamente il personale più qualificato interno all'amministrazione nel settore della promozione culturale, procurando così fra l'altro risparmio sui costi degli Istituti italiani di cultura e normalizzandone la gestione con personale di ruolo formato allo scopo;
   in seguito a quali procedure comparative di selezione l'Istituto italiano di cultura di Madrid, abbia assunto una ulteriore unità lavorativa come «personale aggiuntivo locale» per i corsi di italiano organizzati dall'Istituto negli anni 2010 e 2011;
   se sia stata richiesta la specifica autorizzazione all'ambasciatore pro tempore, Pasquale Terracciano, ai sensi della legge n. 401 del 1990 per il personale aggiuntivo locale e se l'ambasciatore Pasquale Terracciano abbia rilasciato la citata autorizzazione. (4-03996)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GALLINELLA, ZOLEZZI e MANTERO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Tirreno Power — controllata al 50 per cento da Suez Gaz de France e per il restante 50 per cento da Energia Italian — il cui 78 per cento è detenuto dalla Sorgenia del gruppo De Benedetti — è uno dei principali produttori di energia elettrica in Italia e si radica sul territorio nazionale attraverso tre centrali termoelettriche (tra le quali quella di Vado Ligure) e 17 centrali elettriche;
   nel febbraio 2014 diverse fonti stampa hanno riportato la notizia che tra il 2000 e il 2007, secondo la procura della Repubblica di Savona, circa quattrocento persone residenti nell’«area di ricaduta» della centrale elettrica Tirreno Power di Vado Ligure e Quiliano sarebbero decedute per gli effetti delle emissioni in atmosfera dei gruppi a carbone che alimentano la centrale stessa;
   secondo il procuratore ci sarebbero stati anche «tra i 1.700 e i 2.000 ricoveri di adulti per malattie respiratorie e cardiovascolari e 450 bambini sarebbero ricoverati per patologie respiratorie e attacchi d'asma tra il 2005 e il 2012»;
   sull'attività di Tirreno Power sono aperti da tempo due filoni d'inchiesta da parte della procura, uno per disastro ambientale e l'altro per omicidio colposo. Per il primo filone, qualche settimana fa, sono arrivante anche le dimissioni dell'ex direttore generale della centrale di Vado Ligure, chiamato a rispondere sulle emissioni degli impianti e indagato per disastro ambientale;
   nel gennaio 2014 la centrale è stata spenta da una decina di giorni per una disputa sulla qualità del combustibile d'emergenza, ritenuto troppo inquinante perché eccessivamente ricco di zolfo, dalla commissione Ippc del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   l'11 marzo 2014 il gip di Savona ha disposto il sequestro di due gruppi a carbone della centrale di Vado Ligure, per il superamento alcuni limiti di emissioni imposti dall'autorizzazione integrata ambientale;
   molte associazioni ambientaliste e comitati nati spontaneamente nella zona della centrale (Rete savonese fermiamo il carbone) puntano il dito anche contro le deroghe alle emissioni concesse dall'Aia (autorizzazione integrata ambientale) ministeriale, ritenendole «clamorosamente superiori a quelle previste dalla normativa... ad esempio, per monossido di carbonio è stato concesso un limite in concentrazione di ben cinque volte superiore al massimo previsto» e richiedendo rilievi pubblici sulle emissioni;
   nel 2011, regione Liguria e Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare hanno dato il via libera al progetto di ampliamento della centrale di Vado che prevede la ristrutturazione dei due gruppi a carbone e la realizzazione di un gruppo da 460 megawatt. I lavori dovrebbero durare undici anni e si ipotizza una riduzione del 70 per cento delle emissioni ridotte nell'atmosfera rispetto a quelle attuali. Il progetto prevede che la centrale sia completamente rinnovata per il 2023;
   agli interroganti preme, infine, sottolineare una preoccupazione delle associazioni ambientaliste — che rimanda inevitabilmente ad un altro disastro ambientale del nostro Paese, l'Ilva di Taranto — che è «il ricatto occupazionale». In diverse interviste, infatti, i vertici della Tirreno Power di Vado Ligure hanno affermato che «se verrà meno il rapporto di fiducia con il territorio si potrebbe anche prendere in considerazione di valutare altri siti per il prosieguo dell'attività» –:
   se, in base a quanto esposto in premessa, specie in relazione alle ultime gravi dichiarazioni del procuratore di Savona che hanno portato al sequestro di parte dell'impianto, non si intenda procedere ad una immediata revisione dell'autorizzazione all'ampliamento della centrale di Vado Ligure;
   se siano stati avviati o se si intendano avviare con urgenza degli studi epidemiologici e sulle emissioni al fine di avere un ulteriore quadro della situazione descritta dalle indagini della procura e al fine di tutelare l'ambiente e la salute dei cittadini;
   se siano fondate le accuse delle associazioni ambientaliste relative alle deroghe sulle emissioni concesse dall'autorizzazione integrata ambientale. (5-02347)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MIGLIORE, FERRARA, SCOTTO e GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella prima settimana di marzo 2014 si sono verificati diversi smottamenti in Campania, in particolare nella costiera Sorrentina e nell'alto casertano a causa delle forti piogge che si sono abbattute in quei giorni in quelle zone;
   il primo marzo si è appreso che a Sorrento uno smottamento lungo via Atigliana ha provocato il cedimento parziale del costone che si trova lungo il lato sinistro, in direzione di Casarlano e che «sovrasta» via Atigliana, nel quartiere Santa Lucia. Una consistente quantità di terreno, misto a fango e pietre si è riversata nella zona sottostante, nonostante l'area fosse assicurata con un reticolato metallico installato proprio per prevenire tali situazioni, visto che il costone aveva più volte ceduto e aveva allarmato la cittadinanza anche in passato;
   il 4 marzo 2014 un fronte franoso ha interessato un'area larga circa 50 metri che scivolando a valle per oltre cento metri si è abbattuto su due abitazioni di via Fontanelle, in località Capo di Sorrento, distruggendone una, per fortuna disabitata. Il movimento franoso ha poi proseguito la sua corsa investendo un'altra abitazione sottostante, dove viveva una coppia con un figlio piccolo, fatta evacuare preventivamente. Quest'ultima abitazione risulta gravemente danneggiata;
   la frana continua ad avanzare minacciando altre case e ha gravemente danneggiato le fogne, abbattuto i pali della luce e provocato un'ampia voragine sulla strada, profonda circa 5 metri, tanto da indurre il sindaco a disporre l'evacuazione di altre quattro famiglie che abitano nella zona colpita dallo smottamento. Per tre abitazioni sussiste il rischio che possano rimanere totalmente isolate;
   a seguito dello smottamento il sindaco di Sorrento ha emanato un'ordinanza con la quale ha confermato la chiusura della strada provinciale SP 107 di collegamento tra Sorrento e Massa Lubrense, all'altezza dell'innesto con via Pantano fino all'innesto con via Calata di Puolo e ha disposto il ripristino della fornitura di acqua, linea telefonica e dell'impianto fognario delle abitazioni site in via Fontanelle che erano state danneggiate dalla frana;
   si poteva verificare una catastrofe e per fortuna si sono contati solo danni materiali che non hanno coinvolto le persone presenti sul posto al momento del crollo franoso;
   dai successivi sopralluoghi effettuati dalle autorità e dai tecnici preposti è emersa un'attività ancora in corso del fenomeno franoso, rendendo necessaria un'attività di monitoraggio per 72 ore sui principali dissesti incipienti nell'area di frana;
   il 5 marzo, intorno alle 4 del mattino a Pietravairano, nell'Alto Casertano, è franata una strada e solo per un caso fortuito non ci sono state vittime. Venticinque famiglie della borgata Tramunte però, sono rimaste isolate. Lo scivolamento verso valle del lungo tratto viario ha praticamente eroso un pezzo di carreggiata della strada interpoderale, il tutto a causa di piogge torrenziali che nei giorni scorsi hanno interessato l'area tra Pietravairano e Vairano Patenora. L'area interessata è stata transennata e il traffico è stato chiuso momentaneamente;
   questi sono solo alcuni e parziali dei più recenti esempi di ciò che avviene nel nostro Paese ogni volta che aumenta la densità della pioggia che cade sul territorio. Ormai si è consapevoli che eventi di questo tipo non hanno niente di eccezionale ma, anzi, stanno diventando la norma e che i danni che procurano, spesso spropositati rispetto alle previsioni e alle dimensioni dei fenomeni atmosferici, sono la diretta conseguenza di un dissennato sfruttamento del suolo e del territorio;
   a causa dell'incuria e della mancanza di un serio piano per prevenire il dissesto idrogeologico il territorio è sempre più compromesso. Non c’è più tempo da perdere, serve un piano nazionale di interventi che metta in sicurezza l'intero Paese dal punto di vista geologico e geo-idrico –:
   se il Governo intenda lavorare alla realizzazione di un piano straordinario per la messa in sicurezza del territorio e degli edifici pubblici e per prevenire il dissesto idrogeologico;
   se il Governo intenda intervenire in tal senso con iniziative immediate, quali ad esempio la revisione del patto di stabilità, che non permette agli enti locali di investire sulla messa in sicurezza del proprio territorio. (4-03980)


   TERZONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   presso i cantieri Quadrilatero s.p.a. (gestiti dal contraente generale DIRPA s.p.a. e da subappaltatori Baldassini e Tognozzi) sono in corso i lavori per la realizzazione del tratto di strada statale 76 Fossato di Vico – Fabriano e Albacina-Serra San Quirico, qualificata come opera infrastrutturale strategica ex legge n. 443 del 2001 e, in quanto tale, in forza di progetto preliminare approvato dal Comitato interministeriale programmazione economica (CIPE) con deliberazione n. 13 del 27 maggio 2004;
   i progetti sono stati realizzati in conformità ai vincoli ed agli indirizzi funzionali posti dal progetto preliminare; essi governano e regolano la fase realizzativa della intera opera;
   ad avviso dell'interrogante le attività di movimentazione, stoccaggio e riutilizzo delle terre e rocce da scavo, così come approvate nel progetto definitivo ed esecutivo relativo alla costruzione del nuovo tracciato della strada statale 76, risultano difformi dallo schema esecutivo ed operativo approvato in sede di conferenza dei servizi presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (con successiva delibera CIPE) e presso la società Quadrilatero spa (per quanto concerne il progetto esecutivo);
   è opportuno rilevare inoltre che il progetto preliminare approvato con deliberazione CIPE n. 13/2004 sopra citata, riporta espressamente – in conformità ai contenuti del progetto preliminare dettati dall'articolo 93 del decreto legislativo n. 163 del 2006 in merito all'utilizzo dei materiali provenienti dall'opera – che ai fini della copertura del costo dell'intervento»... vengono computati... gli introiti provenienti dalla utilizzazione e/o vendita del materiale pregiato (tipo calcareo) proveniente dagli scavi delle gallerie da eseguire sulle tratte del progetto «Quadrilatero» quantificati inoltre 40,2 Milioni di Euro...»;
   la raccomandazione del Ministero dell'infrastrutture e dei trasporti – integralmente recepita dalla deliberazione CIPE di approvazione del progetto preliminare – espressamente impone «... di verificare la possibilità per quanto attiene la commercializzazione dei materiali pregiati di risulta dagli scavi delle gallerie che vi sia ricaduta economica sugli Enti Locali, almeno in proporzione a quanto stabilito dalla Legge Regionale n. 71/97 sulle attività estrattive...»;
   in sostanza, salvo quanto di seguito verrà meglio precisato, nella ipotesi di commercializzazione da parte del contraente generale, o dei suoi incaricati, di materiale da cava risultante dalla estrazione, agli enti locali va riconosciuto un importo almeno corrispondente alla tariffa (per metro cubo di inerte) che la legge applica per il materiale estratto in cava;
   il progetto esecutivo prevede inoltre che i materiali derivanti dagli scavi siano utilizzati nel cantiere industriale per la formazione degli inerti necessari alla produzione di calcestruzzi, la cui ubicazione è stata indicata nel progetto originario presso la località Trocchetti;
   la rimanente quantità di materiale residuo avrebbe dovuto, e dovrebbe tuttora, essere accumulata in aree indicate per la formazione di rilevati presso lo svincolo di Valtreara, allo scopo di rimodellare il sito territoriale rimasto abbandonato a seguito di dismissione di attività di cava;
   lo stoccaggio delle terre doveva essere comunque provvisorio, limitato nel tempo e gestito per il trasferimento a compensazione nello stesso lotto d'opera; in attesa del suo utilizzo il materiale doveva essere protetto da teli di copertura e controllato l'interno dell'area di recinzione del cantiere; in condizioni climatiche particolari poteva essere bagnato al fine di non indurre dispersione di polveri nell'ambiente;
   in sintesi, il progetto approvato dal CIPE e dal contraente generale, in tutti i suoi vari livelli di approfondimento e di dettaglio ed in perfetta coerenza con la normativa nazionale e regionale, dispone che:
    a) tutti i materiali provenienti dal maxi lotto 2 vengono reimpiegati o per calcestruzzo o per pavimentazione e rilevati o per ritombamento cava in sito Valtreara;
    b) qualora comunque, per caratteristiche morfologiche e/o quantitative dei terreni non precisamente stimate in sede progettuale, si proceda alla vendita dei materiali pregiati, a questi va applicata – allo scopo di non creare illegittime turbative al mercato dei materiali di cava da banco – la stessa tariffa (a favore degli enti locali) ordinariamente prevista per la estrazione in cava dei medesimi materiali;
   nonostante le previsioni progettuali – sia sotto l'aspetto tecnico che sotto l'aspetto economico – non risulta realizzato alcun sito di stoccaggio provvisorio né, tantomeno, è stato completato il sito industriale di Trocchetti, presso cui, contrariamente a quanto previsto dal piano cantieri approvato, risulta in realtà ubicato il solo impianto di betonaggio; i lavori invece sono proseguiti a pieno ritmo con conseguente ovvia produzione di una considerevole quantità di terre e di rocce da scavo;
   sulla base dell'osservazione della situazione reale di cantiere, risulta uno schema formalmente e sostanzialmente difforme rispetto a quello approvato con riferimento alla gestione delle terre e rocce da scavo; si segnalano in particolare delle movimentazioni di materiali (provenienti dai siti di cantiere Quadrilatero) in ingresso presso alcune ditte della zona;
   poiché detti materiali, come sopra ampiamente dimostrato e verificabile, sono stati considerati economicamente rilevanti dalla società Quadrilatero, appare alquanto grave ed allarmante che i flussi di tali inerti circolanti da e per gli impianti di cava esistenti in zona non siano sottoposti ad alcun tipo di controllo, accertamento e valorizzazione;
   nel decreto del dirigente regionale del servizio progettazione OOPP VIA – attività estrattive (da pag. 7 a pag. 9) al riguardo si prescrive testualmente: «Tra le prescrizioni del decreto del 06 maggio 2001, n. 6081 del Ministero dell'ambiente si stabiliva che “per quanto riguarda il reperimento degli inerti, deve essere attuata una apposita programmazione delle attività di scavo e riporto con individuazione delle cave di prestito, dei siti di discarica e dei siti di stoccaggio, in coordinamento con il progetto FS della nuova linea ferroviaria, anche ai fini della realizzazione degli interventi di adeguamento della vecchia sede stradale della SS 76”»;
   questa prescrizione ricalca quella impartita dalla regione Marche (nota prot. n. 3176 del 15 dicembre 2000) la dove si stabilisce che il progetto esecutivo deve risolvere il problema delle cave di prestito e dei siti di stoccaggio mediante il coordinamento con il progetto delle FS e con l'adeguamento della attuale strada statale 76; nel merito riosserva che non sono previste cave di prestito in quanto tutto il materiale necessario per le opere in progetto deriva dagli scavi (all'aperto ed in galleria) e dalla demolizione dei viadotti esistenti che necessitano di essere rifatti; nel caso in cui dalla realizzazione di un'opera pubblica derivi del materiale di risulta occorre rispettare quanto previsto nella apposita direttiva del piano regionale delle attività estrattive (supplemento al BURM n. 80 del 16 luglio 2002) in quanto applicabile; nel documento della regione si legge che dagli scavi deriva un volume in eccesso di 936.000 metri cubi di materiale da valorizzare tramite la cessione a terzi a titolo oneroso; per questo materiale viene indicata una destinazione prioritaria nel lavoro della Rete Ferroviaria Italiana RFI s.p.a. che ha in corso di realizzazione il rilevato per il raddoppio della linea Falconara/Orte in aree immediatamente ad est dei cantieri in progetto; sempre nel documento, quindi, si chiede di valutare la possibilità di utilizzare il materiale in eccesso per le esigenze dell'ulteriore opera di interesse pubblico in fase di realizzazione piuttosto che provvedere alla commercializzazione;
   infine, si legge che «ai sensi dell'articolo 3 comma 1 della Direttiva del PRAE relativa ai materiali derivati dalle OOPP., il materiale per il quale è prevista la commercializzazione è soggetto all'autorizzazione di cui all'articolo 12 della L.R. 71/1997. Inoltre prevedere l'immissione sul mercato di ingenti quantitativi di materiali di cava comporta necessariamente il coordinamento con l'Amministrazione Provinciale competente dati i precisi contingentamenti previsti dal PRAE»;
   in relazione alle prescrizioni contenute nel decreto dirigenziale sopracitato e del decreto ministeriale 6081/2001 emerge che le quantità in eccesso anziché commercializzate devono essere preferenzialmente stoccate temporaneamente e riutilizzate nell'ambito del raddoppio della linea Ferroviaria Orte – Falconara;
   l'eventuale commercializzazione deve essere autorizzata e soprattutto l'immissione sul mercato di notevoli quantità di inerti deve avvenire in maniera coordinata con il piano regionale attività estrattive e con il piano provinciale dell'attività estrattive;
   nella realtà la movimentazione dei materiali in questi anni sembrerebbe aver disatteso completamente le prescrizioni della regione Marche, del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e del CIPE (delibera 13/2004 – allegato 4); la mancanza del ruolo di coordinamento che l'amministrazione provinciale ad avviso dell'interrogante non ha adeguatamente svolto, avrebbe comportato, a quanto risulta all'interrogante, la violazione della contingentazione degli stessi così come stabilita e quantificata – in conformità alla legge regionale n. 71 del 1997 e dal piano regionale attività estrattive (PRAE) – dal piano provinciale delle attività estrattive, con evidente ed indebito vantaggio di subappaltatori (tra cui il gruppo Cava Gola della Rossa) che svolgono attività estrattiva ed effettuano le lavorazioni nei propri cantieri a nome e per conto della DIRPA e del sub appaltatore ex BTP ora Impresa s.p.a.;
   ad avviso dell'interrogante quanto sopra descritto comporta una variante sostanziale – arbitraria, illegittima ed unilaterale – dello schema di movimentazione delle terre e rocce da scavo autorizzato con i provvedimenti di approvazione del progetto della opera strategica, posta in essere ad esclusivo interesse del contraente generale e dei suoi affidatari e cioè Impresa s.p.a. (ex Baldassini Pontello e Tognozzi) e le ditte subappaltatrici; materiali che, tenuto conto delle quantità movimentate, erano più che sufficienti a soddisfare le esigenze del cantiere sia del lotto Albacina – Serra S. Quirico, sia del lotto della SS 318 di Valfabbrica;
   quanto descritto sembra in contrasto con i principi generali e le normative di settore applicabili in quanto:
    non è in linea con le prescrizioni di cui agli articoli 165 e 166 del decreto legislativo n. 163 del 2006 variando, in difformità di quanto stabilito dalla legge e dalla stazione appaltante il progetto sia sotto l'aspetto tecnico/operativo che sotto l'aspetto economico;
    non è in linea con le disposizioni di cui agli articoli 186 e segg. del decreto legislativo n. 152 del 2006 in quanto, in mancanza di un utilizzo conforme al progetto ed al connesso provvedimento autorizzativo, le terre e rocce da scavo debbono considerarsi rifiuti che, di conseguenza, vengono trasportati ed allocati senza controllo e verifica alcuna della loro qualità e del loro utilizzo;
    contribuisce a generare un ingiusto profitto per i soggetti (ovvero le ditte che lavorano in cantiere) che procedono alla commercializzazione degli stessi; basti pensare che proprio in funzione del rimodellamento del sito di Valtreara e dell'utilizzo del materiale presso il punto di Trocchetti, il quadro economico progettuale e l'elenco prezzi riconoscono i corrispettivi sia per l'estrazione, sia per il trasporto che per la successiva allocazione; con la commercializzazione invece il subappaltatore percepisce a giudizio dell'interrogante indebitamente un ulteriore compenso aggiuntivo di difficile quantificazione per attività e lavorazioni che il capitolato speciale di appalto e l'elenco prezzi, come già detto, riconoscono e compensano (movimenti, scavo rinterri e scavo roccia in galleria);
    contribuisce alla sottrazione di un giusto compenso per le casse erariali, in quanto non risulta essere mai stato eseguito un controllo sui pesi specifici reali dei materiali di scavo movimentati, sulle quantità stoccate provvisoriamente presso i piazzali dei cantieri, ed infine sulle quantità effettivamente movimentate, sui viaggi A/R degli autocarri, anche in considerazione della notevole ricrescita dei materiali che determina conseguentemente un aumento del volume e quindi il raddoppio delle quantità effettivamente scavate e dei volumi totali movimentati;
    contribuisce a generare un ingiusto danno in capo agli enti locali, in quanto, al contrario di quanto stabilito in sede di VIA e secondo quanto prescrive il decreto dirigenziale VIA 17/POP del 3 febbraio 2004 della regione Marche (pagina 7-9), la commercializzazione incontrollata di detto materiale non consente la doverosa applicazione della tariffa per metro cubo di cui all'articolo 17 della legge regionale n. 71 del 1997 in favore di comune, provincia e regione così come prevista per i materiali di cava similari, palesemente in contrasto con le prescrizioni della regione Marche e le raccomandazioni di cui all'allegato n. 4 della deliberazione CIPE n. 13/2004;
   inoltre, considerato che il piano provinciale delle attività estrattive risulta avere avuto un iter quanto mai sofferto per una serie di ragioni che ha determinato l'approvazione tardiva di progetti assoggettati a procedimenti di VIA, conclusi ben sette anni dopo la loro presentazione, tale situazione non ha consentito alle ditte operanti nel settore estrattivo insediate in provincia di Ancona di svolgere la propria attività in modo opportuno, non potendo – a causa degli enormi ritardi e dei mancati controlli – disporre di materiali di cava per poter cogliere le opportunità di lavoro legate a forniture di inerti, appalti di opere pubbliche e di privati; di conseguenza secondo l'interrogante tale situazione – per effetto: a) di una mancata regolamentazione, controllo e verifica delle attività dei cantieri Quadrilatero e del rispetto del piano cantieri approvato; b) di un mancato controllo e verifica da parte della regione Marche del rispetto delle prescrizioni del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, della stessa regione Marche e del CIPE; c) della mancanza di un'azione di controllo e coordinamento della provincia di Ancona, ente delegato dalla regione Marche alla attuazione del piano delle attività estrattive e del controllo in materia di esercizio legittimo della attività estrattiva – ha determinato ingiusta concorrenza sleale nei confronti di aziende operanti nel settore estrattivo, essenziale dell'economia marchigiana già da tempo in grave difficoltà, non operanti nell'ambito dei cantieri DIRPA – Quadrilatero –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se non ritenga di doversi attivare per quanto di competenza per risolvere le criticità sopra evidenziate;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ritenga necessario e urgente verificare, anche attraverso l'ausilio del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, l'effettiva destinazione dei materiali da scavo derivati dalla realizzazione delle gallerie nei cantieri sopra citati e la presenza di possibili utilizzi illegittimi delle terre derivanti dalla realizzazione delle opere descritte in premessa ed, eventualmente, se si intendono intraprendere le iniziative di competenza atte a rilevare eventuali responsabilità sia da parte dei soggetti a cui compete il controllo delle attività in esame sia delle ditte coinvolte;
   se si intenda accertare se si siano verificate le condizioni di danno ambientale così come previsto dal codice dell'ambiente. (4-03985)


   ZOLEZZI, VIGNAROLI, DAGA, TERZONI, DE ROSA, BUSTO, MANNINO e SEGONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   da notizie provenienti dalla stampa locale, il comune di Guidonia Montecelio (RM) in accordo con la società CO.LA.RI si appresta a dare avvio alle attività produttive dell'impianto di TMB (trattamento meccanico biologico) in località Inviolata;
   risultano attualmente in atto i lavori di completamento del cantiere dell'impianto succitato;
   tale circostanza si ritiene incomprensibile considerato che la soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Roma, Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo, con nota del 20 dicembre 2013 (prot. n. 36298/2013) indirizzata al comune di Guidonia, alla regione Lazio e, per conoscenza, alla procura di Tivoli e alla prefettura di Roma — sollecitava la richiesta di informazioni in merito alla procedura di autorizzazione del suddetto impianto e invitava alla sospensione dei lavori in corso;
   difatti dalla lettera della soprintendenza si rileva che il cantiere dell'impianto è installato in area interessata da beni di cui agli articoli 134, lettere b) e c), nonché 142, lettera m), e 143, lettera d) del decreto legislativo 42 del 2004 ed è inglobata e contigua all'area del parco regionale archeologico naturale dell'Inviolata di Guidonia (legge regionale n. 22 del 1996), dove insistono ulteriori e notevoli beni puntuali archeologici unitamente al vincolo naturalistico del parco stesso. In considerazione di ciò la soprintendenza, ritenuto che gli interventi possano interessare lo stato e l'assetto dei luoghi, ha invitato gli Enti interessati alla realizzazione dell'impianto alla sospensione di tale attività;
   a ciò si aggiunga che, secondo i risultati indicati nel piano di caratterizzazione dell'Arpa Lazio sul sito della discarica dell'Inviolata della società EcoItalia 87, nel comune di Guidonia Montecelio (RM), l'impianto TMB risulterebbe su un'area già compromessa a causa del significativo inquinamento della falda acquifera sottostante la discarica, da cui dovrebbe seguire la successiva bonifica del sito (ARPALazio prot. n. 0099008 del 16 dicembre 2013). Il sindaco di Guidonia, infatti, si è impegnato a bonificare le aree contaminate suddette e solo in seguito ad avviare la costruzione dell'impianto di TMB –:
   se il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo non intenda attivare il Comando dei carabinieri per la tutela patrimonio culturale per assicurare che venga ottemperato alla richiesta di sospensione dell'attività di cantiere dell'impianto di TMB (trattamento meccanico biologico) al fine di garantire il rispetto di tutte le procedure previste per legge a tutela dei beni culturali che insistono nell'area interessata dall'impianto;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare anche alla luce del rischio di danno ambientale e di gravi ripercussioni sulla salute dei cittadini, non ritenga opportuno disporre verifiche e controlli da parte del personale appartenente al Comando carabinieri tutela ambiente (C.C.T.A.), ai sensi dell'articolo 197, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, sullo stato di inquinamento delle falde acquifere e sugli effetti cumulativi derivanti dal nuovo processo di TMB. (4-03990)


   NESCI, DIENI e PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella storia recente del comune di Longobucco, in provincia di Cosenza, si sono registrate, anche recentemente, frane e alluvioni di certo rilievo, come riportato sul blog «Castrumcropalatum», in un post del 2 marzo 2012 e in un altro del 26 ottobre 2009, e come visibile, in ordine all'alluvione del settembre 2009, sulla piattaforma video «YouTube»;
   la pericolosità del territorio è documentata anche con riferimento al 1913, come si può leggere a pagina 88 del volume «Frane e alluvioni in provincia di Cosenza agli inizi del ‘900» scritto — per una ricerca dell'università della Calabria, dell'Osservatorio di documentazione ambientale e dell'Archivio di Stato di Cosenza — da Olga Petrucci e Pasquale Versace e pubblicato da Editoriale Bios, di Castrolibero (Cosenza);
   in ordine al rischio sismico, oggi classificato di II categoria secondo l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3274/2003, risulta, poi, che il terremoto del 1836 causò gravi danni alla quasi totalità degli edifici, il terremoto del 1870 causò gravi danni nella parte occidentale del paese e ulteriori danni, minori, si registrarono in seguito ai sismi del 1905, 1908, 1913 e 1980;
   a Longobucco vi è un'area, denominata «Santa Croce», già interessata da movimenti franosi e da cedimenti strutturali, avvallamenti e rottura della sede stradale in diversi punti della statale 177;
   con delibera di giunta n. 46 del 30 maggio 2012, il comune di Longobucco (Cosenza) approvò il progetto esecutivo dei lavori di un cogeneratore a biomassa solida per gli edifici adibiti ad attività didattico-culturale;
   il sito prescelto risulta, secondo la «Carta inventario delle frane e delle relative aree a rischio dell'Autorità di Bacino Regione Calabria», intercluso fra aree a rischio frana R2 ed R4 e in zona a rischio sismico R3, secondo quanto riportato nel Piano territoriale di coordinamento della provincia di Cosenza, in cui, peraltro, si legge: «La maggior parte dell'abitato, in base al PPR, insiste su conglomerati terrazzati alluvionali poco consolidati, facilmente disgregabili e ad elevata permeabilità» e, più avanti, «lungo il Torrente Macrocioli un'enorme frana ha provocato problemi al centro abitato»;
   sempre con riferimento all'area nella quale il citato progetto dovrebbe essere localizzato, nel medesimo Piano territoriale di coordinamento, si afferma che «il costone est del paese, ad altissimo rischio, è coinvolto in una zona franosa profonda quiescente»;
   nella zona prescelta per la realizzazione dell'impianto a biomassa, esiste inoltre un muro di contenimento palesemente degradato, oggetto di segnalazione di un consigliere comunale, Eugenio Celestino, che ha rivolto una lettera indirizzata all'ufficio tecnico del comune di Longobucco, al comandante dei carabinieri della stazione locale, al prefetto di Cosenza e all'appaltatore il 22 ottobre 2013;
   nei documenti del progetto del nuovo impianto, precisamente nella tavola N. IV, «Relazione Paesaggistica-Ambientale», è scritto a pagina 32 che «non si ravvisano per l'area in esame particolari problematiche di impatto connesse alle caratteristiche geologiche e litologiche dell'area che risulta lontana dalle aree a rischio frana» ma risulta altresì che il primo appaltatore la ditta De Masi srl con sede legale a Napoli, rinunciò all'esecuzione delle opere (poi affidate alla ditta FFC di Reggio Calabria);
   nelle comunicazioni al comune di Longobucco del 23 ottobre 2012 della ditta De Masi, è scritto, a motivare la rinuncia all'esecuzione delle opere, di «carenze progettuali tali da compromettere la validità dell'intero progetto»; l'amministrazione locale tuttavia afferma che le problematiche inerenti la progettazione di tale opera dipendono solo da refusi progettuali «ininfluenti ai fini della realizzazione del progetto»;
   appare evidente che la popolazione locale di fronte a dichiarazioni contraddittorie ha diritto di conoscere con certezza lo stato del territorio comunale e l'eventuale evoluzione delle problematiche connesse agli eventi franosi e al dissesto del proprio territorio;
   risulta all'interrogante che il CNR abbia posizionato, nei pressi dell'area interessata dai lavori del suddetto cogeneratore a biomasse, una serie di apparecchiature di monitoraggio dei fenomeni franosi;
   acquisire i risultati delle rilevazioni delle apparecchiature di monitoraggio citate, oltre ad una situazione aggiornata dell'area, potrebbe contribuire a rassicurare la popolazione in maniera piena sullo stato dei luoghi dell'intero territorio comunale e sulla validità del progetto in essere –:
   se possa fornire le risultanze delle rilevazioni delle apparecchiature di monitoraggio posizionate dal Centro nazionale ricerche in prossimità dell'area nella quale dovrà essere realizzato l'impianto a biomasse di cui alla premessa;
   di quali elementi dispongano in merito alla pericolosità del territorio del comune di Longobucco e sugli interventi di controllo e prevenzione in ordine a frane, alluvioni e terremoti, a tutela della popolazione locale. (4-03994)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   MIGLIORE e FERRARA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   a causa dell'incuria e della mancanza di un serio piano per prevenire il dissesto idrogeologico il patrimonio storico e archeologico italiano è oggi, fortemente compromesso. Ad esempio Pompei ormai perde un pezzo al giorno. Nella tarda serata del 2 marzo 2014 è avvenuto l'ultimo di tre crolli in tre giorni, sempre a causa delle forti piogge che si sono abbattute sull'hinterland napoletano: è venuto giù un pezzo di muro di 2,5 metri d'altezza per quattro di lunghezza;
   prima erano crollate la spalletta del quarto arcone del Tempio di Venere e una porzione abbondante delle mura della tomba di Lucius Publicius Syneros nella cosiddetta necropoli di porta Nocera; come spesso è accaduto in questi anni, a partire dallo scempio della Schola Armatorum del novembre 2010, i crolli ormai si susseguono con una cadenza periodica che sottolinea la situazione di grande confusione che si respira nell'area archeologica;
   non c’è più tempo da perdere, occorre mettere in sicurezza l'intera area di Pompei dal punto di vista geologico e geo-idrico. Come avvertono gli esperti, se non si rimedia al mancato drenaggio dei terreni delle acque piovane, Pompei è destinata a crollare per intero;
   il maxi-piano d'interventi pensato per Pompei deve essere attuato con maggiore velocità: dalla primavera del 2012 a oggi è stato consegnato un solo cantiere, quello della Domus del Criptoportico per altro non ancora fruibile dai visitatori. A breve chiuderanno poi i lavori nella Casa delle Pareti Rosse;
   bisogna impiegare in maniera fruttuosa tutta la dote messa a disposizione da Bruxelles entro il termine prestabilito del giugno 2015 ed evitare che crollo dopo crollo tutta Pompei scompaia per sempre;
   ci si augura che finalmente, dopo quattro anni di ritardi ingiustificabili, si creino i presupposti perché vengano utilizzati in modo celere ed efficace i 2 milioni di euro già a disposizione della soprintendenza per il biennio in corso sul fronte della manutenzione ordinaria e i 105 milioni di euro che rientrano nel «Grande progetto Pompei»;
   anche da Bruxelles sono arrivati duri commenti su come il Governo italiano ha gestito la vicenda del sito di Pompei, patrimonio dell'Unesco, tramite il commissario europeo per la politica regionale Johannes Hahn che ha chiesto con forza alle autorità italiane di prendersi cura di Pompei, sito emblematico non solo per l'Europa ma per il mondo intero;
   le risorse a disposizione per ristrutturare il sito archeologico di Pompei ci sono, il vero problema è come sono state gestite e spese, ci si augura che in futuro verranno impiegate in modo più intelligente, fruttuoso e rapido –:
   cosa intenda fare il Governo per velocizzare l'attuazione del grande progetto Pompei da 105 milioni di euro cofinanziato dall'Unione europea e come intenda intervenire per evitare ulteriori inutili sprechi di risorse nazionali e comunitarie per giungere in tempi rapidi ad una soluzione definitiva al fenomeno dei crolli continui che si verificano all'interno del sito di Pompei. (4-03974)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PATRIARCA e IORI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con la presente interrogazione si intende fare luce su una problematica lasciata in sospeso dalle autorità chiamate a dare una risposta riguardo alla mancata regolamentazione della vendita di biglietti «Gratta e Vinci» all'interno degli uffici delle Poste Italiane;
   tale fenomeno è un problema che potrebbe avere dei seri effetti su tutta la popolazione, in quanto in gioco non c’è solo l'aspetto economico ma la salute stessa dei cittadini. La vendita di tagliandi «Gratta e vinci» avviene anche per mezzo di distributori automatici che non sono controllati dal personale e quindi sono facilmente utilizzabili da minorenni e anziani oltre che allo sportello. Tale pratica, segnalata dai cittadini e regolarmente comunicata all'Antitrust con l'invito ad avviare un'istruttoria per fare chiarezza, non ha però avuto alcun riscontro, lasciando invariata una situazione che potrebbe incentivare ulteriormente all'acquisto compulsivo dei biglietti soprattutto nei soggetti più inclini a forme di ludopatia;
   inoltre, la presenza dei distributori automatici all'interno di alcuni uffici rappresenta una «tentazione» nei confronti degli utenti che si trovano nell'ufficio postale in attesa del proprio turno e che quindi per ingannare l'attesa vengono invitati a tentare la fortuna. D'altro canto, si evidenzia che la proposta di acquistare «Gratta e Vinci» spesso viene effettuata, in maniera esplicita, anche dall'operatore di sportello nel momento conclusivo delle operazioni postali, quali ad esempio la riscossione della pensione, il prelievo dai conti correnti e il pagamento dei servizi di corrispondenza. Gli interroganti tengono a sottolineare che gli uffici postali sono frequentati quotidianamente da migliaia di pensionati che, di fatto, sono da considerarsi soggetti da tutelare in particolar modo nei confronti delle offerte all'acquisto di lotterie in genere e in particolare di biglietti «Gratta e Vinci». Ormai, da diverso tempo, le associazioni che s'interessano delle «malattie da gioco» chiedono a gran voce una regolamentazione sulla vendita dei «Gratta e Vinci», che determinano una delle forme più frequenti di ludopatia –:
   se intendano intervenire e con quali tempi per far fronte a questa emergenza che colpisce i soggetti più deboli. (5-02343)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SIMONE VALENTE, RUOCCO, D'UVA, MARZANA, LUIGI GALLO, BATTELLI, DI BATTISTA, FRUSONE, BRESCIA, DAGA, CRISTIAN IANNUZZI, LOMBARDI, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, GRILLO, SIBILIA, MANTERO, VIGNAROLI, VACCA, DI BENEDETTO e FICO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 14 del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito con modificazioni dalla legge n. 111 del 2011, prevede l'istituzione di una società a responsabilità limitata, denominata istituto Luce-Cinecittà, con sede a Roma, con capitale sociale di 15.000 euro detenuto interamente dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   come risultante dalla tabella C della legge finanziaria n. 220 del 2010, l'onere per la sottoscrizione del capitale per la costituzione della società a responsabilità limitata, è finanziato attraverso corrispondente riduzione dello stanziamento del Fondo unico per lo spettacolo;
   Cinecittà, costruita nel 1936 su progetto di Gino Peressutti, costituisce ancora oggi il più moderno ed attrezzato stabilimento cinematografico d'Europa, con 16 teatri di posa costruiti negli anni ’30 ed altri 6 realizzati negli anni successivi, per complessivi 600 mila metri quadrati di superficie, due piscine esterne ed una interna per riprese acquatiche, 40 mila metri quadrati di strade e piazze, 35 mila metri quadrati di giardini;
   le strutture tecniche e tecnologiche avanzate ed all'avanguardia, le attrezzature e professionalità su ogni livello di produzione, consentono la realizzazione di qualsiasi tipo di contenuto, dal primo «ciak» alla «post-produzione», dalla stampa alla prima copia;
   i terreni e gli immobili di Cinecittà, complesso di teatri di posa di eccellenza e rilievo internazionale, sono di proprietà di Cinecittà Luce SPA;
   con la privatizzazione risalente al 1997 è stata costituita la Cinecittà Servizi spa divenuta successivamente Cinecittà Studios spa i cui soci sono: Luigi Abete, Diego e Andrea della Valle, Aurelio De Laurentiis e la famiglia Haggiag, di cui il 20 per cento del pacchetto azionario è detenuto dallo Stato; 
   nell'anno 2008 è avvenuta la scissione da Cinecittà Studios dell'area post-produzione con la nascita di Cinecittà Digital Factory srl di cui l'85 per cento del capitale appartiene a Cinecittà Studios, mentre il restante 15 per cento appartiene a Medusa;
   la nuova società Istituto Luce-Cinecittà Srl, sostituisce di fatto la Cinecittà Luce SpA, che viene trasferita in capo alla società Fintecna e messa in liquidazione insieme al suo patrimonio immobiliare;
   nell'anno 2010 è stato presentato un piano immobiliare su un'area di 7 ettari, mentre degli investimenti in Cinecittà Studios annunciati in precedenza non si hanno più notizie, nonostante l'utile conseguito di oltre 7 milioni di euro;
   il piano immobiliare prevede un albergo con 200 stanze, parcheggi, piscina, centro fitness, palestra di 6.000 metri quadri;
   nell'anno 2012 Cinecittà Studios ha presentato un piano di scissione societaria, con cessioni di ramo d'azienda e relativo trasferimento di tutti i lavoratori dell'area produzione, confermando il Piano immobiliare di 400.000 mila metri cubi di cemento;
   l'indotto complessivo degli addetti ai lavori, delle professioni, delle aziende che operano in Italia nel campo della produzione cinematografica è calcolabile all'incirca in 8 mila persone direttamente impegnate nel settore dello spettacolo e del cinema, 12 mila aziende che lavorano nel settore della produzione di contenuti, 250 mila persone impegnate nella filiera produttiva e delle tecnologie comunque collegate;
   vi è grave incertezza occupazionale per i lavoratori coinvolti nei progetti aziendali ed in accordi interaziendali; infatti, oltre al progetto della costruzione di un albergo all'interno di Cinecittà, secondo i lavoratori, ce ne sarebbe un altro, «una seconda parte», secondo il quale tutta la post-produzione, 90 dipendenti, affittati a Deluxe; 50 unità trasferite sulla Pontina; 6 lavoratori ceduti a Panalight; 45 in attesa di giudizio nel sito storico e 20 dipendenti licenziati;
   il 5 giugno 2012 dalle segreterie regionali di CGIL, CISL e UIL di Roma e del Lazio, hanno avanzato la richiesta di incontro urgente al sindaco di Roma in merito al progetto industriale più volte verbalmente annunciato dal presidente del gruppo I.E.G. dottor Luigi Abete, riguardante il sito e le attività riconducibili alla società Cinecittà Studios Spa ed alle sue controllate, che implicano notevoli ricadute sociali;
   il piano industriale presentato assume le caratteristiche della rinuncia alla vocazione produttiva, per identificarne una legata alla rendita immobiliare; inoltre risultano ineludibili la riduzione del lavoro e delle attività, la tendenziale privatizzazione e la presumibile speculazione edilizia sui terreni, tenendo conto che il «piano casa» del Lazio consente la trasformazione in residenziale delle aree produttive dismesse;
   il 21 giugno 2012 i lavoratori di Cinecittà hanno protestato con una grande manifestazione, organizzata da Slc Cgil di Roma e del Lazio, Fistel Cisl di Roma e del Lazio e Uilcom Uil di Roma e del Lazio;
   ormai è divenuto improrogabile, per l'insieme delle istituzioni pubbliche, l'investimento di risorse per rilanciare l'industria cinematografica nel nostro Paese, investita da un declino derivante da scelte politiche penalizzanti per l'intero settore, con conseguenze nefaste per l'occupazione e risvolti negativi sul piano socio-culturale;
   Cinecittà rappresenta un patrimonio cinematografico, storico, culturale e finanche economico da preservare;
   è necessario un serio e concreto impegno da parte del gestore per mettere in atto politiche del lavoro volte all'incremento dell'utilizzo degli stabilimenti di Cinecittà, oltre ai servizi offerti sul territorio sia regionale che nazionale;
   occorre consentire a Cinecittà di mantenere ed, anzi, incrementare un adeguato livello di competitività a livello internazionale, investendo nelle peculiarità specifiche e caratterizzanti del settore, anziché smantellarla e anche solo lontanamente ipotizzare un maxi-progetto immobiliare che avrebbe soltanto i tratti di una mera speculazione edilizia, che priverebbe l'Italia non solo di un ramo storico-culturale, ma anche economico;
   questo Governo, all'atto del suo insediamento, ha dichiarato di voler porre al centro tema della cultura e Cinecittà rappresenta senz'altro un anello di congiunzione tra il passato ed il futuro, sia a livello storico-culturale, che economico;
   la Corte dei conti, con sua determinazione 98/2010, relativa al controllo sugli enti, ha sancito che nonostante sia prioritario ricercare fonti di finanziamento alternative e una valorizzazione del patrimonio immobiliare, occorre comunque che non vengano pregiudicate le finalità d'interesse generale e tenute presenti le specificità, dell'organismo di diritto pubblico (nonostante lo Stato possegga solo il 20 per cento di Cinecittà Studios) nella legge di stabilità per il 2014, sono presenti disposizioni volte ad accelerare il processo di dismissione di Cinecittà –:
   se intendano redigere un serio percorso programmatico, di concerto con le realtà sociali, le associazioni, la regione e gli enti locali interessati, al fine di mantenere e valorizzare al meglio l'indotto culturale, storico, cinematografico, nonché il potenziale economico di Cinecittà;
   se intendano invertire il percorso avviato dalle operazioni dei precedenti Ministri, quale soprattutto quello riguardante il trasferimento degli immobili in capo alla partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze, Fintecna spa;
   se ritengano necessario agire al fine di impedire la delocalizzazione all'estero di produzioni cinematografiche ed audiovisive, che, nelle diverse forme previste dalla legge, sono sostenute da risorse pubbliche;
   se intendano adottare, nel caso il Governo prosegua sulla strada già tracciata dai precedenti esecutivi, iniziative nell'ambito della tutela dei lavoratori e delle imprese che da decenni animano la vita economica di Cinecittà. (4-03984)


   NASTRI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   una delle conseguenze della mancata conversione in legge del primo decreto cosiddetto «salva-Roma» e della mancata norma ad hoc nel nuovo decreto pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 54, riguarda la detraibilità dall'Irpef relativa al bonus per l'acquisto di mobili e grandi elettrodomestici;
   il beneficio fiscale delle spese effettuate nel 2014 e detraibili al 50 per cento, in dieci anni, previsto in precedenza, non si applica infatti solo nel limite di 10 mila euro, copie previsto nell'anno 2013, ma si considera anche il valore dei lavori di ristrutturazione effettuati dal 26 giugno 2012 al 31 dicembre 2015;
   le spese incentivate per l'arredo infatti non possono pertanto essere superiori a quelle sostenute per i lavori di ristrutturazione;
   i contribuenti che dal 1o gennaio 2014 hanno acquistato mobili ed elettrodomestici per importi inferiori a 10 mila euro, ma superiori a quelli dei lavori edili effettuati, o da effettuare entro il 31 dicembre 2015, resteranno pertanto disorientati a causa degli effetti sfavorevoli in precedenza indicati;
   la legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità per il 2014), aveva previsto che le spese per gli arredi e gli elettrodomestici, potessero essere detraibili dall'Irpef al 50 per cento nel limite di quanto pagato per le spese sostenute per i lavori di ristrutturazione;
   il successivo decreto cosiddetto «salva-Roma», aveva soppresso la suindicata condizione, ma tuttavia con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale avvenuta il 30 dicembre 2013, la proroga del bonus mobili per il 2014 è entrata in vigore il 1o gennaio 2014, senza il nuovo limite di spesa;
   per il suddetto decreto, come in precedenza rilevato, non essendo stato convertito in legge nel termine dei 60 giorni dalla data della sua pubblicazione, è stato applicato l'articolo 77, comma 3 della Costituzione, che in questi casi prevede la perdita della sua efficacia sin dall'inizio, come se non fosse entrato in vigore;
   coloro che hanno considerato che dal 1o gennaio 2014, il decreto cosiddetto «salva-Roma», avesse abrogato il limite dei benefìci fiscali e conseguentemente hanno pagato mobili ed elettrodomestici per importi superiori a quelli pagati per i lavori, non potranno pertanto dei beneficiare del bonus-mobili per importi eccedenti;
   a giudizio dell'interrogante, gli effetti di quanto suesposto, (conferitati da un articolo pubblicato dal quotidiano Il Sole 24 Ore dell'8 marzo 2014), oltre ad accrescere il livello di confusione e scarsa considerazione che i cittadini – contribuenti hanno delle istituzioni, se si valuta la superficialità con la quale vengono introdotte norme che recano benefìci di carattere fiscale a cui gli stessi contribuenti inizialmente aderiscono, ma che in breve tempo perdono l'efficacia, confermano la perseveranza con la quale sono state definite dal Governo Letta norme a giudizio dell'interrogante eterogenee e disparate all'interno di un numero elevato di decreti-legge alcuni dei quali non convertiti in legge;
   la molteplicità di norme disomogenee, alcune delle quali peraltro di rilevante interesse, come quella relativa agli incentivi fiscali per l'acquisto di mobili ed elettrodomestici, per rilanciare la domanda interna ed i consumi, inserite all'interno della decretazione d'urgenza, ha pertanto determinato oltre ad effetti penalizzanti per il tessuto economico delle famiglie e delle imprese, come nel suindicato caso relativo alla mancata conversione del primo decreto cosiddetto «salva-Roma», anche danni alla reputazione del precedente Governo;
   a giudizio dell'interrogante, occorre pertanto ripristinare la norma ad hoc a favore del comparto dei mobili e degli elettrodomestici e riproporre, misure analoghe a quelle contenute nel decreto-legge cosiddetto «salva-Roma», attese sia dalle famiglie che dalle imprese del settore –:
   quali orientamenti, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se non ritengano opportuno prevedere nelle prossime iniziative normative, l'inserimento di una disposizione ad hoc, finalizzata a consentire che ai fini degli incentivi fiscali le spese per l'acquisto di mobili e grandi elettrodomestici possano ritenersi superiori a quelle per i lavori di ristrutturazione. (4-03986)


   NESCI e D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 14 novembre 2012 è stata pubblicata la graduatoria finale del concorso per l'ammissione di 400 allievi marescialli all'84o corso presso la scuola ispettori e sovrintendenti della Guardia di finanza, per l'anno accademico 2012/2013;
   in ragione della graduatoria, venivano individuati 552 idonei di cui soltanto 356 candidati sono stati dichiarati vincitori ed ammessi a frequentare la scuola ispettori della Guardia di finanza, mentre, conseguentemente, i rimanenti 196 idonei hanno visto la propria posizione «congelata»;
   a questi ultimi, però, veniva comunque garantito un immediato reinserimento secondo quanto stabilito dall'articolo 21, comma VII, del bando di concorso per l'anno 2012/2013 cui essi avevano preso parte, che rinvia all'articolo 43, comma VII, del decreto legislativo n. 199 del 1995, disposizioni che prevedono l'utilizzo della graduatoria degli idonei per l'ammissione ad analoghi e successivi corsi entro 18 mesi dalla approvazione della medesima;
   ciononostante, a distanza di soli quattro mesi dalla conclusione delle prove del precedente concorso e a meno di tre mesi dall'approvazione della suddetta graduatoria, con determina del 12 febbraio 2013, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale (IV Serie Speciale n. 14 del 19 febbraio 2013), è stato indetto un nuovo concorso per titoli ed esami per l'ammissione di 297 allievi marescialli all'85o corso presso la scuola ispettori e sovrintendenti della Guardia di finanza, per l'anno accademico 2013/2014;
   a partecipare alle prove per l'ammissione degli allievi marescialli svoltesi a Bari nella caserma della Guardia di finanza di Palese tra aprile ed il maggio 2013, sono stati circa 17.000 e, di questi, 1.500 hanno passato il primo test di risposta multipla;
   il 30 novembre 2013, sull'edizione barese del quotidiano «La Repubblica», è stato pubblicato un articolo a firma Gabriella De Matteis in cui si riporta dell'apertura di un fascicolo da parte della procura della Repubblica di Bari, con sette indagati, tra cui — qui si cita testualmente — «un ufficiale delle fiamme gialle in servizio a Roma, ex militari e cittadini che hanno pagato sperando di poter superare il concorso per diventare maresciallo della Guardia di Finanza»;
   secondo la ricostruzione della giornalista, l'ufficiale della guardia di finanza e gli ex militari avrebbero chiesto una somma di denaro (tremila euro), garantendo il superamento del primo passo della selezione e cioè i test a risposta multipla;
   secondo le indagini condotte dal sostituto procuratore Luciana Silvestris, ci sarebbe stato un vero e proprio «tariffario» che andava dai tremila euro per il superamento della prima prova, fino a trentamila euro per superare tutte le prove, con «rateizzazioni» dell'importo complessivo al superamento di ogni singola prova –:
   quali provvedimenti intenda assumere in merito al suddetto concorso, che peraltro non avrebbe avuto ragione di esistere in caso di scorrimento delle graduatorie di idonei ancora in corso di validità, con vantaggio di economicità e speditezza, poiché i summenzionati vincitori e idonei avrebbero potuto immediatamente prender parte ai corsi di formazione. (4-03993)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TURCO, CASO, RIZZETTO, COMINARDI, BONAFEDE e FERRARESI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il Comitato delle Nazioni Unite sull'applicazione della Convenzione per i diritti del fanciullo e dell'adolescenza (adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989), dopo aver analizzato i rapporti periodici (ogni 5 anni) sull'attuazione della Convenzione che gli Stati che hanno aderito sono impegnati a presentare in base a quanto previsto dall'articolo 44 della Convenzione, ha recentemente diffuso un rapporto, dall'ufficio delle Nazioni Unite di Ginevra, nel quale si afferma che sono «decine di migliaia» nel mondo, le vittime degli abusi perpetrati dai preti pedofili;
   il Comitato Onu sui diritti dell'infanzia è un organismo formato da 18 esperti indipendenti di diritti umani, la cui presidente Kirsten Sandberg, ha affermato riferendosi al Vaticano, stato firmatario, che: la Santa Sede ha permesso abusi su migliaia di bambini e alla domanda se la Santa Sede fosse in violazione della Convenzione ha risposto: «Sì, sono in violazione della Convenzione perché non hanno fatto tutte le cose che avrebbero dovuto fare»;
   e ancora «A causa di un codice del silenzio imposto su tutti i membri del clero sotto la pena della scomunica i casi di violenza sono stati anche difficilmente riferiti alle autorità giudiziarie nei Paesi in cui sono stati commessi», lo stesso rapporto chiede che vengano «immediatamente rimossi» e consegnati alle autorità civili tutti i prelati coinvolti in abusi su minori o sospettati di esserlo;
   il Comitato, che appena il 16 gennaio 2014 aveva ascoltato i rappresentanti vaticani, ha anche chiesto alla Santa Sede di rendere accessibili i propri archivi in modo che chi ha abusato e «quanti ne hanno coperto i crimini» possano essere chiamati a risponderne davanti alla giustizia poiché «è gravemente preoccupato dal fatto che la Santa Sede non abbia riconosciuto l'ampiezza dei crimini commessi, non abbia preso le necessarie misure per affrontare i casi di abusi sessuali e per proteggere i bambini, e abbia adottato politiche e pratiche che hanno portato a una continuazione degli abusi e all'impunità dei responsabili»;
   all'incontro del 16 gennaio 2014 si era saputo che sono stati quattrocento i sacerdoti ridotti allo stato laicale da Benedetto XVI tra il 2011 e il 2012 perché accusati di pedofilia;
   il rapporto condanna la pratica di trasferire i responsabili di abusi di parrocchia in parrocchia all'interno dello stesso Paese o anche in un altro, nel tentativo di coprirne i crimini e di sottrarli alla giustizia. Una pratica, viene sottolineato, che «mette a rischio i minori di molti Paesi», con decine di autori di abusi sessuali che sono ancora in contatto con minori;
   è giunta poi la risposta della Santa Sede «rincresce, tuttavia, di vedere in alcuni punti delle osservazioni conclusive un tentativo di interferire nell'insegnamento della Chiesa cattolica sulla dignità della persona umana e nell'esercizio della libertà religiosa»;
   il monsignor Silvano Maria Tornasi, osservatore vaticano presso l'Onu di Ginevra dichiarava che: «La Santa Sede sostiene il diritto e il dovere di ogni Paese a perseguire ogni crimine contro i minori; quindi, non regge la critica per cui si cerca di interferire od ostacolare il corso della giustizia. Al contrario, si vuole, come Papa Francesco insiste, che ci sia trasparenza e che la giustizia abbia il suo corso»;
   l'argomento degli abusi sessuali nei confronti dei minori è un argomento che è assurto al clamore della cronaca già qualche anno addietro quando è scoppiato lo scandalo in molti paesi anglosassoni, quali Regno Unito, Stati Uniti e Canada;
   sulla scia di tali scandali di rilievo internazionale anche in Italia alcune persone sordomute che avevano frequentato da minori l'istituto Antonio Provolo di Verona, prendevano coraggio e si decidevano a denunciare gli abusi subiti;
   tra le mura dell'Istituto religioso per bambini e bambine sordomuti «Antonio Provolo» di Verona, considerato per decenni tra i più rinomati centri a livello internazionale nel campo dell'educazione scolastica per minori sordomuti, dagli anni Cinquanta fino al 1984 si è consumata una reiterata serie di abusi e molestie sessuali ai danni di circa 40 giovani ospiti, di cui ancora oggi troppo poco si parla;
   una quindicina di vittime più forti psicologicamente, dopo aver tentato per anni, inutilmente, di ottenere ascolto e cozzando contro la prescrizione del reato stabilita dalla legge sia italiana sia vaticana, ha deciso di denunciare pubblicamente la vicenda sui media nazionali;
   dopo trattative poste in essere col vescovo di Verona, Giuseppe Zenti le vittime ottennero — per la prima e unica volta in Italia — l'istituzione di una commissione curiale presieduta da un laico, che accertasse la veridicità delle loro denunce;
   la commissione, incaricata dal Vaticano e guidata dall'ex presidente del Tribunale di Verona, dottor Mario Sannite, ha finito il proprio lavoro a febbraio 2011, dopo aver raccolto e videoregistrato le testimonianze sia delle vittime sia di sacerdoti e fratelli laici presenti nell'istituto all'epoca dei fatti contestati;
   i risultati di quell'inchiesta, tuttavia, non sono stati ancora integralmente divulgati;
   si sa che la documentazione completa fu consegnata a distanza di qualche mese al monsignor Giampietro Mazzoni, magistrato del tribunale ecclesiastico della diocesi di Verona; non è noto all'interrogante se sia stata data una copia delle rispettive audizioni ai testimoni;
   le poche notizie divulgate rappresentano uno scenario nel quale alcuni dei sacerdoti accusati, hanno confessato gli abusi sessuali perpetrati a danno dei minori sordomuti, vedendosi comminare delle punizioni canoniche, quali il precetto penale e l'allontanamento dalle attività che comportino la vicinanza con minori; fra i sacerdoti accusati si annovera anche l'ex vescovo di Verona Monsignor Carraio (deceduto nell'anno 1981), nei confronti del quale non sono tuttavia state confermate le attribuzioni da parte della commissione Curiale citata –:
   se siano al corrente della situazione prospettata;
   se e di quali elementi statistici dispongano per rappresentare numericamente i procedimenti, definiti e ancora pendenti, che si sono radicati nelle procure della Repubblica italiane per reati sessuali contro minori, che vedono indagati o imputati ministri di culto;
   se e quali interventi intendano sollecitare, nell'ambito dei rapporti bilaterali con la Santa Sede, al fine di valutare l'opportunità dell'istituzione di un fondo per i risarcimenti a favore delle vittime dei reati di molestie e abusi sessuali perpetrati da ministri di culto in Italia;
   se e quali iniziative ritengano di poter intraprendere, nell'ambito dei rapporti bilaterali con la Santa Sede, per promuovere iniziative volte al rafforzamento dello scambio di informazioni ovvero mezzi e per introdurre strumenti di cooperazione finalizzati alla prevenzione e repressione dei reati di molestie e abusi sessuali perpetrati da ministri di culto in Italia.
(5-02348)

Interrogazione a risposta scritta:


   PILOZZI, PIAZZONI e MIGLIORE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la polizia penitenziaria svolge la funzione essenziale di garantire la sicurezza e le condizioni di legalità all'interno degli istituti penitenziari nazionali collaborando altresì alle attività di reinserimento sociale delle persone condannate, per l'attuazione del fine costituzionale della pena, sancito nell'articolo 27 della Costituzione;
   tra i compiti e le funzioni assegnate al Corpo, quelli di traduzione dei detenuti e degli internati e di piantonamento degli stessi in luoghi esterni di cura, sono balzati all'onore della cronaca negli ultimi tempi per alcuni fatti che hanno notevolmente impressionato la pubblica opinione;
   la clamorosa e sanguinosa evasione di Domenico Cutrì, esponente della malavita organizzata calabrese alla fine di gennaio 2014, e l'evasione di due detenuti dal carcere di Rebibbia dell'11 febbraio 2014, entrambe conclusesi con la cattura dei fuggitivi grazie alla competenza e alla professionalità delle forze dell'ordine, hanno però evidenziato le difficoltà e i disagi che vive il Corpo di polizia penitenziaria italiana;
   carenza di personale, tagli di bilancio, vetustà delle strutture hanno oggettivamente peggiorato la qualità del lavoro del Corpo con conseguente peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro e dei componenti del Corpo e dei detenuti con i quali vengono quotidianamente in contatto. Sono oramai sempre più evidenti i segnali concreti di disagio, come dimostra l'aumento dei casi di suicidio, di cui l'ultimo il 18 febbraio 2014 a Novara;
   tra i compiti svolti dal Corpo di polizia penitenziaria, il servizio delle traduzioni, cioè il servizio di trasporto dei detenuti e degli internati per tutte le esigenze di servizio, processi, esigenze di cura, di spostamento da un istituto ad un altro, è quello che negli ultimi tempi ha sofferto maggiormente delle croniche carenze d'organico del Corpo;
   i dati del rapporto servizio traduzioni del 2012, dicono che, nel corso di un solo anno, sono state effettuate ben 176.836 traduzioni per un totale di 358.304 detenuti spostati per tutti i servizi in precedenza elencati sommariamente;
   la mole impressionante del lavoro svolto quotidianamente, dimostrata dai numeri citati, evidenzia quanto sia importante questa tipologia di servizio ma anche la complessità dello stesso e la necessità di un'adeguata disponibilità di personale al fine di svolgere al meglio i servizi;
   tra le molte difficoltà del Corpo, il caso dell'istituto di Rebibbia e del servizio traduzioni di Roma-Rebibbia è emblematico di tutte le criticità che vivono i lavoratori del Corpo. Il nucleo di Roma è notevolmente sotto organico tanto che, pochissime unità di polizia, devono tradurre quotidianamente al tribunale di Roma tra le 20 e le 30 unità di detenuti per la partecipazione ai processi, senza contare le esigenze di cura o di spostamento che possono insorgere quotidianamente;
   tale situazione ha notevolmente aumentato il rischio di evasione dei detenuti, come appunto i recenti fatti di cronaca hanno chiaramente dimostrato, e creato un disagio e una tensione all'interno dell'istituto che rischia seriamente di avere pesanti conseguenze sul delicato lavoro svolto;
   non ultimo, presso l'istituto di Rebibbia è recentemente esploso il caso della gestione dei rifiuti prodotti tanto che, nelle scorse settimane, il piazzale dell'istituto si era trasformato in una sorta di discarica a cielo aperto con conseguenti gravi problemi di ordine sanitario –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno intervenire per potenziare l'organico complessivo del Corpo della polizia penitenziaria italiana, pesantemente sotto organico e privato delle condizioni minime di efficienza;
   se non ritenga opportuno, in particolare, potenziare il personale in servizio presso l'istituto di Rebibbia in Roma in cui il servizio traduzioni è oramai al limite della sostenibilità a causa della cronica mancanza di personale. (4-03975)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   MATARRESE e BOSSA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a seguito di ricorso straordinario al Capo dello Stato è stato annullato l'articolo 107, comma 2, l'articolo 85, comma 1, lettera b), n. 2 e 3, e l'Allegato A del decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010 — regolamento del codice degli appalti;
   conseguentemente, in quanto atto dovuto è stato recepito il suddetto parere del Consiglio di Stato con decreto del Presidente della Repubblica 30 ottobre 2013 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 280 del 29 novembre 2013;
   l'annullamento dei suddetti articoli del codice degli appalti, determina rilevanti conseguenze sul settore edile ed in particolare sul sistema delle imprese che operano nel restauro di edifici storici di particolare pregio, nel restauro monumentale, negli scavi e nelle attività archeologiche in quanto fa venir meno l'indispensabile requisito di specializzazione che le caratterizza;
   in altri termini, tra le conseguenze c’è quella che le imprese generali, qualificate nella categoria prevalente, potranno partecipare a gare di lavori complessi nelle quali siano previste lavorazioni scorporabili e riconducibili alle categorie che richiedono una particolare specializzazione e professionalità, ivi comprese le lavorazioni inerenti il restauro specialistico (OS 2 A — OS 2 B) e lo scavo archeologico (OS 25);
   tale circostanza se plausibile per talune categorie specialistiche non lo è per le attività di restauro specialistico e scavo archeologico che richiede una organizzazione di impresa, professionalità e competenze, mezzi ed attrezzature del tutto differenti dall'organizzazione tipica di un'impresa generale;
   il far venir meno i requisiti che caratterizzano questo sistema di imprese che ha una grande tradizione e diffusione in Italia a causa dell'attuale stato delle leggi vigenti, costituisce un grave arretramento rispetto alla necessità di garantire un'adeguata specializzazione e qualificazione professionale a imprese che dovranno procedere a lavori di estrema delicatezza sul patrimonio culturale italiano atteso l'interesse pubblico che è sotteso nel restauro monumentale e nello scavo archeologico;
   è interesse prioritario dello Stato garantire che le imprese abilitate ad operare su monumenti, edifici storici di pregio o nello scavo archeologico abbiamo una idonea organizzazione con le necessarie professionalità capaci di tutelare beni pubblici e/o privati la cui valenza artistica e culturale rientra in quei beni di interesse pubblico che rendono attrattivo il nostro Paese per la sua storia e per le sue rilevanti testimonianze del passato;
   a dimostrazione dell'interesse manifestato dal Governo per questa problematica, si evidenzia che il decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 151, cosiddetto «salva Roma», decaduto in data 1o marzo 2014, nella sua formulazione originaria già prevedeva l'adozione di disposizioni regolamentari sostitutive delle disposizioni annullate dal decreto del Presidente della Repubblica 30 ottobre 2013, n. 280 ed in particolare così recitava all'articolo 3, comma 9: «Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono adottate, secondo la procedura prevista all'articolo 5, comma 4, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, le disposizioni regolamentari sostitutive delle disposizioni di cui agli articoli 107, comma 2, e 109, comma 2, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207, annullate dal decreto del Presidente della Repubblica 30 ottobre 2013, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 29 novembre 2013, n. 280 nonché le conseguenti modifiche all'Allegato A del predetto regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010. Nelle more dell'adozione delle disposizioni regolamentari sostitutive, continuano a trovare applicazione, in ogni caso non oltre la data del 30 settembre 2014, le regole previgenti...»;
   lo stato attuale delle leggi vigenti derivante dall'annullamento degli articoli innanzi indicati non tutela la qualificazione professionale necessaria ed indispensabile per l'esecuzione di lavori di restauro e scavo archeologico, pone a rischio l'esistenza di numerose piccole e medie imprese di questo settore specialistico delle costruzioni e pone dubbi interpretativi relativamente alle disposizioni di cui al decreto-legge 12 aprile 2006, n. 163 che pare faccia salvo, invece, il requisito della obbligatorietà della qualifica per le imprese che vogliano partecipare ad appalti inerenti il restauro specialistico e lo scavo archeologico;
   la situazione venutasi a determinare non può che produrre una caduta del livello qualitativo delle imprese che operano in questo settore specialistico del restauro e degli scavi archeologici a tutto danno della collettività e del patrimonio edilizio e monumentale che verrebbe a perdere importanti competenze e specializzazioni;
   l'annullamento ed i conseguenti effetti derivanti delle disposizioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207 apparirebbero in contrasto con i disposti del decreto-legge 2 aprile 2006, n. 163;
   infatti, ai sensi dell'articolo 198 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, gli appalti concernenti lavori pubblici relativi a «... i beni mobili ed immobili [...] sottoposti alle disposizioni di tutela di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42» sono, come noto, assoggettati alla disciplina comune applicabile ai contratti pubblici relativi ai beni culturali (Titolo IV, Capo II, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, articolo 197 e seguenti);
   tanto comporta che le procedure per l'affidamento di detti appalti sembrerebbero essere estranee agli effetti conseguenti all'annullamento degli articoli 107, comma 2, e 109, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207, avvenuto a seguito della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 280 del 29 novembre 2013 del decreto del Presidente della Repubblica 30 ottobre 2013 (che ha concluso, previo parere della Adunanza generale delle sezioni consultive del Consiglio di Stato 26 giugno 2013 n. 3104, la procedura di ricorso straordinario al Capo dello Stato prodotto dall'AGI avverso dette disposizioni regolamentari);
   infatti, per questo tipo di procedure, con riferimento alle categorie OS2-A – OS2-B e OS25, stante la disciplina specifica di cui agli articoli 200 e 201 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (e in particolar modo quella del comma 4, articolo 201, secondo cui «Per l'esecuzione dei lavori indicati all'articolo 198, è sempre necessaria la qualificazione nella categoria di riferimento, a prescindere dall'incidenza percentuale che il valore degli interventi sui beni tutelati assume nell'appalto complessivo»), sembrerebbe persistere in ogni caso — in quanto di origine «legislativa» e non «regolamentare» — il concetto di «qualificazione obbligatoria», viceversa espunto nella generalità dei casi a seguito del citato esito sul ricorso straordinario al Capo dello Stato –:
   quali urgenti iniziative normative intenda adottare affinché sia confermato e tutelato il settore del restauro specialistico e degli scavi archeologici di cui alle categorie OS2A, OS2B e OS25 e affinché sia chiarita la contraddizione tra l'annullamento delle disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207 e le disposizioni previste dall'articolo 198 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 che sembrerebbero sottoporre gli appalti e i lavori pubblici concernenti beni mobili e immobili alla disciplina comune applicabile ai contratti pubblici relativi ai beni culturali (Titolo IV, Capo II, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, articolo 197 e seguenti) e ai quali sembrerebbe non doversi estendere l'effetto conseguente alla pubblicazione del decreto del Presidente della Repubblica 30 ottobre 2013 sulla Gazzetta Ufficiale n. 280 del 29 novembre 2013.
(5-02349)


   PASTORELLI, SCHULLIAN, GEBHARD, ALFREIDER, PLANGGER e OTTOBRE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   i protocolli di attuazione della convenzione internazionale per la protezione delle Alpi fatta a Salisburgo il 7 novembre 1991, dopo un lunghissimo iter che si è protratto per quattro legislature, sono stati finalmente ratificati dal Parlamento italiano con la legge 5 aprile 2012, n. 50;
   questa legge ha ratificato solo otto dei nove protocolli esistenti in quanto il protocollo trasporti, da sempre controverso, fu stralciato nel corso dell’iter di ratifica in Parlamento;
   grazie ad una iniziativa parlamentare fu presentata la proposta di legge per la ratifica del solo protocollo trasporti, approvata con la legge 9 novembre 2012, n. 196;
   durante la discussione parlamentare è stato accolto dal Governo un ordine del giorno che impegnava «ad assumere tutte le iniziative necessarie, sia normative che amministrative, affinché le misure introdotte dal predetto Protocollo siano vagliate, in fase applicativa, in modo da tener conto delle peculiarità citate in premessa e delle esigenze manifestate dai settori produttivi del Paese e a chiarire, all'atto del deposito dello strumento di ratifica del Protocollo in oggetto, eventualmente anche attraverso la formulazione di una dichiarazione interpretativa, che le disposizioni dell'articolo 11 non pregiudicano la possibilità di realizzare progetti stradali di grande comunicazione sul territorio italiano, comprese le infrastrutture necessarie per lo sviluppo degli scambi con i Paesi situati a nord dell'arco alpino, e che le disposizioni relative all'internalizzazione dei costi esterni, di cui agli articoli 3, comma 1, 7, comma 1, e 14 sono da riferirsi all'acquis comunitario»;
   tutti e dieci i protocolli (compreso il protocollo supplementare di Monaco) sono stati depositati il 7 febbraio 2013 e sono entrati in vigore, il 7 maggio 2013, esattamente dopo 3 mesi dal deposito;
   all'atto del deposito dello strumento di ratifica l'Italia ha presentato una dichiarazione interpretativa di cui all'ordine del giorno approvato in Parlamento, del seguente tenore: «L'Italia dichiara che per quanto riguarda le disposizioni dell'articolo 11 del presente Protocollo, esse non pregiudicano la possibilità di realizzare progetti stradali di grande comunicazione sul territorio italiano, comprese le infrastrutture necessarie per lo sviluppo degli scambi con i Paesi situati a nord dell'arco alpino, nonché che le disposizioni relative all'internazionalizzazione dei costi esterni, ci cui agli articoli 3, comma 1, 7 comma 1 e 14, sono da riferirsi all'acquis comunitario»;
   l'articolo 11, comma 1, del protocollo trasporti è stato da sempre alla base della contrarietà manifestata nei confronti della ratifica del protocollo stesso. L'articolo in questione poneva vincoli ostativi non ad infrastrutture sul territorio italiano, ma alla realizzazione di nuove opere stradali transalpine, a tutela dei territori alpini;
   la dichiarazione interpretativa presentata dall'Italia ha suscitato dubbi e perplessità in Austria e in Germania. I due Paesi si sono attivati, con note verbali presentate dalle relative ambasciate, per comprendere se da parte dell'Italia vi fosse una formale riserva all'applicazione del protocollo;
   il 30 gennaio 2014 una nota verbale del Ministero degli affari esteri chiarisce che la «dichiarazione interpretativa non contraddice il testo dell'articolo 11 del Protocollo stesso (articolo che non pregiudica... la possibilità di realizzare progetti stradali di grande comunicazione sul territorio italiano)»;
   il 4 febbraio 2014 è stata presentata alla Camera dei deputati una interpellanza urgente (la 2/00393) che poneva uno specifico quesito al Governo in relazione alla ratifica del protocollo trasporti e alla dichiarazione interpretativa che l'Italia ha presentato in sede di deposito dello strumento di ratifica. Il quesito, riguardante la realizzazione del progetto dell'autostrada Alemagna, non ha di fatto avuto risposta in data 13 febbraio 2014, con l'intervento in Aula del Sottosegretario di Stato per le infrastrutture e i trasporti pro tempore Rocco Girlanda –:
   quali siano gli intendimenti del Governo circa la realizzazione dell'Autostrada Alemagna e, in particolare, se l'eventuale realizzazione del tratto autostradale sul territorio italiano attraversante l'arco alpino fino al confine di Stato, sia ritenuto da parte del Governo una infrastruttura conforme ai vincoli assunti dall'Italia con la ratifica del protocollo trasporti e in particolare con l'articolo 11. (5-02350)


   TERZONI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO e SEGONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo consiliare del Movimento 5 Stelle del comune di Fabriano ha depositato in data 4 febbraio 2014 un esposto alla procura di Ancona nel quale vengono denunciate irregolarità riguardanti alcune attività espletate nell'ambito della costruzione del tratto della strada statale 76 Fossato di Vico-Fabriano e Albacina-Serra San Quirico;
   in particolare, vengono denunciate delle difformità rispetto alle attività di movimentazione, stoccaggio e riutilizzo delle terre e rocce da scavo in riferimento a quanto previsto nello schema esecutivo ed operativo approvato in sede di conferenza dei servizi presso il Ministero della infrastrutture e dei trasporti (con successiva delibera CIPE) e presso la società Quadrilatero spa (per quanto concerne il progetto esecutivo);
   in sintesi, il progetto approvato dal CIPE e dal contraente generale, in perfetta coerenza con la normativa nazionale e regionale, dispone che:
    a) tutti i materiali provenienti dal maxi lotto 2 vengono reimpiegati o per calcestruzzo o per pavimentazione e rilevati o per ritombamento cava in sito Valtreara;
    b) qualora comunque, per caratteristiche morfologiche e/o quantitative dei terreni non precisamente stimate in sede progettuale, si sarebbe proceduto alla vendita dei materiali pregiati, a questi andava applicata — allo scopo di non creare illegittime turbative al mercato dei materiali di cava da banco — la stessa tariffa (a favore degli enti locali) ordinariamente prevista per la estrazione in cava dei medesimi materiali;
   nonostante le previsioni progettuali — sia sotto l'aspetto tecnico che sotto l'aspetto economico — non risulta realizzato alcun sito di stoccaggio provvisorio né, tantomeno, è stato completato il sito industriale di Trocchetti, presso cui, contrariamente a quanto previsto dal piano cantieri approvato, risulta in realtà ubicato il solo impianto di betonaggio. I lavori invece sono proseguiti a pieno ritmo con conseguente ovvia produzione di una considerevole quantità di terre e di rocce da scavo anche di notevole pregio –:
   se non si ritenga necessario e urgente verificare l'effettiva destinazione dei materiali da scavo derivati dalla realizzazione delle gallerie nei cantieri sopra citati intraprendendo nel caso le iniziative atte a rilevare, per quanto di competenza, eventuali responsabilità sia sul mancato controllo delle attività in esame sia delle ditte coinvolte. (5-02351)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BERGAMINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   le difficoltà nella realizzazione della linea C della metropolitana romana sono ben note a partire dagli anni ’90 pur essendo riconosciuta, a parere del CIPE, tra le opere strategiche della legge obiettivo (legge n. 443 del 2001);
   nel luglio del 2011 sono stati finalmente portati a termine gli scavi della tratta prioritaria fino a San Giovanni, ma il problema principale è rimasto la realizzazione dei varchi che collegano le linee A e C che per essere aperti richiedono che la stazione della metropolitana S. Giovanni linea A sia dichiarata a norma;
   i competenti Ministeri delle infrastrutture e dei trasporti e dell'interno (vigili del fuoco), sono impegnati da tempo (circa due anni) nell'emanazione di un nuovo decreto ministeriale recante regole tecniche di prevenzione incendi nelle metropolitane in sostituzione della norma in atto con cui è stato approvato il progetto di ammodernamento della stazione S. Giovanni della linea A;
   con questo nuovo decreto si potrà così finalizzare la soluzione tecnica di ammodernamento dell'esistente stazione, ma prima dell'emanazione dello stesso, gli elementi per finalizzare la soluzione tecnica potranno eventualmente scaturire da una specifica determinazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che approvi il progetto di ammodernamento;
   nella non così remota ipotesi che la stazione della linea C di San Giovanni entri in esercizio in pendenza del rilascio della suddetta certificazione, riguardante l'intera linea A gestita dall'esercente Atac, le connessioni tra le due linee dovranno essere temporaneamente inibite al transito dei passeggeri che dovranno tornare in superficie per passare da una linea all'altra –:
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno provvedere quanto prima all'emanazione dei provvedimenti recanti le regole per la messa a norma della stazione S. Giovanni linea A e necessari per l'approvazione dell'ammodernamento della stessa prima dell'entrata in esercizio della linea C. (5-02342)


   CRIVELLARI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da tempo i soggetti interessati al prolungamento del sottopasso della stazione ferroviaria di Rovigo verso via Chiarugi (lato ovest), ovvero comune di Rovigo, RFI (Divisione territoriale produzione — Venezia) e, per la parte privata, Gestioni Globali srl, proprietaria dei terreni e relativi fabbricati dell'area, hanno offerto la propria disponibilità di massima per la realizzazione dell'opera;
   il sottopasso esistente consente a tutt'oggi il solo accesso in sicurezza ai binari 2, 3, 4, 5 e 6 e l'opera, qualora realizzata, consentirebbe di collegare direttamente anche una parte consistente della città ai servizi ferroviari, con conseguente beneficio per l'utenza;
   da vari anni, a fronte di questa necessità, pur in presenza di una serie di progetti, non è mai stato realizzato alcun intervento in tale direzione per la indisponibilità manifestata da parte di uno o più dei soggetti coinvolti;
   oggi, al contrario, preso atto delle richieste e delle disponibilità espresse per iscritto da comune di Rovigo, RFI (Divisione territoriale produzione — Venezia) e parte privata, il prolungamento del sottopasso appare finalmente realizzabile;
   viste le condizioni di cui sopra, si auspica ed anzi si ritiene necessario un intervento risolutivo da parte del Ministero nei confronti di RFI (Divisione territoriale produzione — Venezia) –:
   se il Ministro intenda farsi parte attiva nel concludere l’iter preliminare per la realizzazione dell'opera succitata sollecitando, in quanto competente, RFI (Divisione territoriale produzione — Venezia) la quale — pur comunicando che tale intervento al momento non rientra tra le priorità della società — offre la propria disponibilità «trattandosi di una soluzione assolutamente condivisibile per ricercare soluzioni di fattibilità». (5-02345)


   PRODANI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 96, della legge di stabilità per il 2014 (n. 147 del 2013) destina 30 milioni di euro nel 2014 e 100 milioni di euro nel 2015 per la realizzazione della terza corsia della tratta autostradale A4 Quarto d'Altino-Villesse-Gorizia;
   il finanziamento – che consente l'attuazione dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri (OPCM) n. 3702 del 5 settembre 2008 con la quale si nomina commissario straordinario per la realizzazione dell'opera il presidente della regione Friuli Venezia Giulia – è stato introdotto durante il primo passaggio al Senato;
   al termine dell’iter parlamentare, la legge di stabilità è stata ampiamente modificata rispetto al disegno di legge in entrata e si è perso il chiaro riferimento alla copertura finanziaria dei 130 milioni di euro destinati alla terza corsia;
   per la quantificazione della somma si sarebbero dovuti indicare i parametri utilizzati «al fine di escludere che lo stanziamento previsto possa costituire la premessa per successivi rifinanziamenti necessari al completamento degli interventi»;
   non bisogna dimenticare, inoltre, che nell'XI allegato infrastrutture al documento di economia e finanza (DEF) 2013, aggiornato nel settembre 2013, per l'opera «A4 Raccordo autostradale Villesse-Gorizia» è indicata come costo presunto, interamente finanziato, la cifra di 151,6 milioni di euro;
   le somme attualmente stanziate dallo Stato sembrano essere insufficienti per garantire il rapido svolgimento dei lavori necessari alla chiusura dei cantieri;
   secondo un articolo pubblicato il 28 dicembre 2013 dal quotidiano Il Messaggero veneto intitolato «Palmanova-Manzano, il giallo dei fondi» il Governo avrebbe revocato le risorse stanziate per la costruzione della Palmanova-Manzano dirottandole sulla terza corsia dell'A4 dopo lo «stop» della procedura di gara deciso dalla giunta regionale, nonostante fosse già stata finanziata con circa 90 milioni di euro di cui 20 a bilancio regionale e 70 a bilancio statale;
   originariamente l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3702 del 2008 prevedeva, all'articolo 6, che i costi di realizzazione della terza corsia e di altre opere collegate fossero a carico del concessionario Autovie Venete spa «nei limiti delle somme previste nel piano economico-finanziario allegato alla convenzione sottoscritta dalla concessionaria Autovie Venete spa con l'ANAS spa»;
   l'aggiornamento del cronoprogramma dei lavori reso noto da Autovie Venete il 10 febbraio 2014 evidenzia un grave ritardo che fa ipotizzare la fine dei lavori per il 2017, due anni in più rispetto a quanto previsto nel primo documento del 2009;
   a questo ritardo si aggiungono le difficoltà economiche evidenziate da un articolo pubblicato il 25 febbraio 2014 dall'edizione online del quotidiano Il Piccolo di Trieste, intitolato «Terza corsia A4, arriva la doppia stangata sulle tariffe»;
   secondo quanto riportato dalla stampa, a seguito di una riunione a Roma tra i vertici della Cassa depositi e prestiti (CDP) e una delegazione composta, tra gli altri, dal presidente della regione Debora Serracchiani, dal presidente di Friulia Pietro Del Fabbro, dall'amministratore delegato di Autovie Venete Maurizio Castagna e dal direttore amministrativo della concessionaria Giorgio Damico, si sarebbe deciso di incrementare il contributo di Cassa depositi e prestiti e il pedaggio autostradale;
   la Cassa depositi e prestiti ha già finanziato con 150 milioni di euro l'opera e Autovie Venete sembra aver chiesto l'incremento significativo del contributo a 400-500 milioni con conseguente estensione delle garanzie da parte della regione Friuli Venezia Giulia tramite la propria finanziaria Friulia;
   in aggiunta, siccome la concessionaria non ha ancora approvato il nuovo piano economico-finanziario, sarebbero possibili ulteriori rincari dei pedaggi oltre a quelli già in vigore dal primo gennaio 2014, sebbene siano stati previsti degli sconti per i pendolari. Questi ultimi rendono poco credibile il rispetto dei piani finanziari e paradossalmente aggraveranno il calo degli incassi visto che la stima del traffico veicolare è in netta diminuzione;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 22 dicembre 2012, è stato prorogato fino al 31 dicembre 2014 lo stato di emergenza per il settore del traffico e della mobilità nell'asse autostradale Corridoio V dell'autostrada A4 nella tratta Quarto d'Altino-Trieste e nel raccordo autostradale Villesse-Gorizia. Ciò vuol dire che il commissario straordinario sarà in carica, salvo ulteriori proroghe, fino alla fine dell'anno in corso –:
   da quale voce di capitolo del bilancio dello Stato saranno recuperati i 30 milioni di euro previsti nel 2014 per la realizzazione della terza corsia summenzionata e quando saranno assegnati al commissario straordinario;
   se i Ministri interrogati ritengano congruo e definitivo lo stanziamento complessivo di 130 milioni di euro previsto dalla legge di stabilità 2014. (5-02346)

Interrogazione a risposta scritta:


   LODOLINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'aeroporto «Raffaello Sanzio», quale unico aeroporto delle Marche, riveste un ruolo di fondamentale supporto all'economia industriale e turistica della regione e, nell'ambito del riassetto nazionale degli aeroporti italiani, è tra gli scali di interesse nazionale, soprattutto per il segmento «cargo», ed avamposto commerciale rispetto ai Paesi ed ai mercati dell'Est;
   il volo Ancona/Falconara-Roma e viceversa è strategico per i cittadini marchigiani, in quanto rappresenta il più vicino collegamento aereo non solo con la capitale ma anche con gli altri grandi aeroporti europei e quindi con i voli internazionali ed intercontinentali che partono e arrivano all'Hub di Fiumicino;
   lo scalo dorico negli ultimi mesi è stato riorganizzato e rifinanziato anche con fondi regionali proprio perché rappresenta uno snodo nevralgico per lo sviluppo delle Marche;
   negli ultimi anni la tratta in questione non è stata servita direttamente da Alitalia e notevoli sono state le difficoltà ed i disservizi, anche evidenti, riscontrati dagli utenti;
   di recente si è verificata una contrazione dei voli giornalieri che collegano lo scalo dorico a Roma;
   a breve si potrebbe verificare anche un nuovo cambio del vettore o addirittura una interruzione (da evitare ad ogni costo) del collegamento in questione;
   occorre garantire un collegamento adeguato alle effettive esigenze delle imprese e dei marchigiani con riferimento alla tratta Ancona/Falconara-Roma e viceversa –:
   se il Ministro sia al corrente della situazione;
   quali siano gli intendimenti del Ministro interrogato circa il riordino del sistema aeroportuale italiano e in particolare circa il futuro dell'aeroporto «Raffaello Sanzio» delle Marche. (4-03972)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BERGAMINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno ha elaborato un progetto di razionalizzazione delle risorse e dei presidi dalla polizia di Stato sul territorio nazionale;
   il progetto è stato sviluppato attraverso due direttrici fondamentali: una diretta alla razionalizzazione dei presidi delle quattro specialità stradale, ferroviaria, postale e di frontiera e l'altra finalizzata ad una rivisitazione sul territorio della dislocazione dei commissariati di pubblica sicurezza, delle compagnie dei carabinieri e dei reparti speciali, a carattere sussidiario, concentrate in alcune sedi e non razionalmente distribuite;
   la razionalizzazione riguarda quasi tutte le province italiane (101 su 110) con un importante taglio di almeno un presidio di sicurezza;
   il progetto di razionalizzazione dei presidi in questione non favorisce l'incremento e il potenziamento del livello di sicurezza su tutto il territorio nazionale, soprattutto in quelle province caratterizzate da una forte presenza di criminalità organizzata e diffusa dal momento che non si fa alcun riferimento a come poter garantire il territorio e la sicurezza dei cittadini in quei luoghi nei quali verranno soppressi i presidi di polizia;
   il segretario nazionale della Consap (Confederazione sindacale autonoma di polizia), Giorgio Innocenzi, ha dichiarato che «lo smantellamento della Polizia postale è un regalo ai pedofili, agli stalker e a tutti quei truffatori che con internet hanno fatto e faranno una fortuna», condannando la chiusura su tutto il territorio di 73 sedi di polizia postale, derivante dalla riorganizzazione delle sedi delle forze dell'ordine presentata dal dipartimento della funzione pubblica;
   il suddetto smantellamento comporterebbe l'interruzione di tutte le indagini in corso lasciando impuniti pedofili e stalker, determinando il trasferimento del 90 per cento del personale alle questure già ingolfate che potranno occuparsi delle indagini in corso non prima dei due anni successivi;
   la polizia postale e delle comunicazioni è una branca specializzata della polizia di Stato che tra i suoi compiti istituzionali principali ha quello di rispondere alle sempre nuove frontiere tecnologiche della delinquenza ed è attualmente costituita da 20 compartimenti dai quali dipendono 76 sezioni. Di queste, 73 verrebbero soppresse dal piano di riordino, eliminando così la quasi totalità di vere e proprie avanguardie sul territorio che contrastano sia i reati consumati mediante chat line, news group, social network, (ingiurie, diffamazioni, minacce, e altro) sia tutti i reati in materia di hacking (intrusione, illeciti postali, diritti di autore e copyright, vigilanza sulle frequenze radiotelevisive, truffe on line, frodi con carte di credito, oscuramento di siti);
   oggi più che mai profonda è l'attenzione che i cittadini e le istituzioni rivolgono al tema della sicurezza, settore su cui è necessario intervenire con rigorosa attenzione e prudenza anche nelle ipotesi di riorganizzazione, al fine di non privare i territori di servizi essenziali e per non disperdere le eccellenti professionalità che da sempre operano con perizia e dedizione nell'ambito del comparto sicurezza;
   la legge assegna alla polizia postale l'esclusività in materia di reati concernenti la prostituzione minorile, la detenzione di materiale pornografico, la pornografia virtuale, le iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile;
   la necessità di razionalizzazione che oggi interessa l'apparato pubblico e che coinvolge anche le forze dell'ordine non può andare a discapito della sicurezza dei cittadini, a maggior ragione in un ambito strategico per la sburocratizzazione e l'innovazione del Paese come il web;
   ridurre le strutture periferiche che realizzano risultati importanti e sono d'aiuto ai cittadini con maggiore efficienza rispetto alle strutture centrali, è un errore dal momento che oltretutto il personale specializzato della polizia postale dispone di strumentazioni e locali a costo zero che vengono forniti gratuitamente dalle Poste italiane –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno rivedere il progetto di razionalizzazione che comporta un drastico taglio ai presidi e alle sezioni della polizia di Stato, proprio in un momento in cui in Italia andrebbero incrementate le misure di controllo e di prevenzione per fronteggiare l'emergenza immigrazione e l'alto tasso di criminalità. (5-02341)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MAZZOLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 4 marzo 2014, il vice capo della polizia di Stato, prefetto Alessandro Marangoni, ha illustrato le linee guida del progetto di spending review riguardante il comparto di sicurezza. Ai tagli già operati in precedenza si andrà ad aggiungere la rimozione delle sezioni ritenute non-strategiche;
   il «piano di razionalizzazione dei presidi sul territorio» comporterebbe la chiusura di 261 presidi territoriali di polizia e la rimodulazione delle competenze di alcuni compartimenti in ambito stradale, ferroviario e della zona di polizia di frontiera;
   la polizia postale è quella sottoposta a maggior rischio in quanto il dipartimento vorrebbe mantenere gli uffici di specialità soltanto nei capoluoghi di regione, sedi delle corti d'appello;
   entro l'estate, 101 province su 110 conteranno un presidio di sicurezza in meno;
   con il suddetto schema di ottimizzazione dei costi verranno colpite anche la polizia ferroviaria e quella postale di Viterbo;
   operativa da circa 30 anni, la polizia postale è ormai un indispensabile apporto contro il crimine informatico che registra un crescente aumento di reati quali transazioni finanziarie illecite, gioco d'azzardo illegale, hacking, e-commerce, phishing, stalking, cyber-bullismo e pedopornografia;
   nella provincia di Viterbo si raccolgono circa 1.200 denunce l'anno e nei primi due mesi del 2014 sono state già denunciate oltre venti persone;
   non meno dannosa sarebbe l'abolizione della polizia ferroviaria che ha fino ad ora soddisfatto ogni esigenza di verifica e controllo nell'area circostante 12 stazioni ferroviarie e all'interno dei treni in transito nelle tratte Viterbo-Roma e Viterbo-Orte;
   il personale altamente qualificato garantisce tranquillità ai numerosi pendolari effettuando assidui interventi e pattugliamenti;
   tra Viterbo, Orte, Monterosi, Civita Castellana e Tarquinia circa 50 agenti rischiano il trasferimento nelle città considerate «di emergenza» per il basso numero di agenti per numero di abitanti, come Roma, Napoli, Reggio Calabria, Palermo e Milano;
   lo smantellamento dei due presidi non garantirebbe alcun risparmio all'amministrazione in quanto le strutture e i mezzi utilizzati sono a carico di Ferrovie dello Stato e di Poste italiane;
   questa operazione ad avviso dell'interrogante non è solo inutile ai fini di una revisione economica ma nociva sia per le figure professionali interessate che per la popolazione viterbese, non più tutelata dalla presenza capillare delle forze di polizia sul territorio –:
   se il Ministro interrogato intenda riesaminare il piano di razionalizzazione per proteggere il servizio efficiente e competente offerto dalla polizia postale e ferroviaria la cui eliminazione comprometterebbe i livelli essenziali di sicurezza e il corso della giustizia. (4-03970)


   TOTARO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel cuore della città di Firenze, si estende il Parco delle Cascine, un'area di circa 500 ettari adibito a parco urbano e metropolitano, luogo per eventi sportivi cittadini, ritrovo di eventi cittadini e principale luogo a livello metropolitano della riappropriazione tra comunità locale e fiume in ottica eco-ambientale, in cui, inoltre, si svolge una funzione di mobilità dell'intera area cittadina (tramvia);
   già nel 2001 vi fu la volontà del comune di Firenze e del Ministero dell'interno, di sostenere il progetto «Parchi Sicuri», programma di valore e interesse a carattere nazionale, e in questi giorni l'attuale vice sindaco ha rimarcato l'impegno dell'amministrazione locale per più risorse e sicurezza in una progettualità di maggiore sviluppo del parco delle Cascine;
   contestualmente si apprende da testare giornalistiche e dalle note N. 559/A/1/131.4.1/02550 del 17 febbraio 2014 e N. 559/A/1/131.4.1/2701 del 3 marzo 2014, del dipartimento della pubblica sicurezza, direzione centrale degli affari generali della polizia di Stato, la notizia di un «Progetto di razionalizzazione delle risorse e dei presidi della Polizia di Stato sul territorio» che comporterebbe il taglio di 267 posti di polizia;
   nel parco delle Cascine i tagli alla sicurezza hanno già determinato la chiusura della polizia a cavallo della Forestale con specifiche di polizia ambientale, seguita dalla soppressione della caserma dei carabinieri a cavallo; oggi sembrerebbe che il Ministero dell'interno abbia intenzione di chiudere anche la squadra a cavallo della polizia di Stato di Firenze, ultimo baluardo della sicurezza all'interno del parco con specifiche di polizia di prevenzione e repressione, di prossimità, e di ordine e sicurezza pubblica;
   in sostanza, la polizia di Stato a cavallo è l'unica forza di polizia rimasta all'interno dell'unico e vero cuore del comune di Firenze e nei suoi giardini più importanti (Giardino di Boboli, Villa Vogel, Parco San Donato e Parco dell'Anconella), e nessun mezzo può garantire la stessa tempestività nelle funzioni di controllo da un'area ad un'altra;
   sembrerebbe tuttavia che esista un accordo tra il comune di Firenze ed il demanio (di cui alla nota prot. N. 16133 del 25 febbraio 2014 della prefettura di Firenze) che prevede la sostituzione dello stabile che ospita la sede della squadra a cavallo della polizia di Stato di Firenze (Palazzina Grilli), con altro immobile demaniale, permettendo così il mantenimento di tale ufficio abbattendone i costi;
   il lavoro svolto dalla squadra a cavallo della polizia di Stato di Firenze è enorme; essa ha la più alta media a carattere nazionale fra tutte le squadre a cavallo, posto che all'interno del Parco delle Cascine opera una media di 40/50 pattuglie mensili con funzione di prevenzione e repressione, contrasto alla microcriminalità, antiabusivismo nel centro cittadino, antincendio boschivo, senza dimenticare i numerosi servizi di ordine e sicurezza pubblica svolti a carattere locale, regionale e nazionale;
   la ipotizzata chiusura della squadra a cavallo della polizia di Stato di Firenze, oltre ad un cospicuo spreco di risorse già investite per l'alta specializzazione di tali operatori della sicurezza, rischia di determinare una situazione di gravissima criticità nelle attività di controllo e vigilanza sul territorio, con conseguenze negative sulla sicurezza dei cittadini e sull'intero tessuto sociale, economico e produttivo di Firenze –:
   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero, e, se del caso, se non ritenga opportuno valutare una eventuale razionalizzazione delle squadre a cavallo della polizia di Stato incidendo laddove ve ne sia un numero maggiore, e preservando, invece, l'ufficio della polizia di Stato a cavallo nella città di Firenze, capoluogo di regione, città patrimonio dell'umanità (UNESCO), seppur procedendo all'abbattimento dei costi previsto dal citato accordo tra comune e demanio. (4-03982)


   MARCON, AIRAUDO e ZAN. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 10 marzo 2014, Zeno Rocca, un ragazzo di 22 anni, attivista del centro sociale padovano Pedro e coinvolto anche nelle mobilitazioni in Valsusa, mentre attendeva un tram in direzione della stazione, a Padova, è stato avvicinato da circa dieci agenti del reparto celere che, scesi da una camionetta che si era fermata bruscamente proprio davanti a lui, dopo averlo strattonato, provocato e perquisito, lo hanno obbligato a tirar fuori tutti gli oggetti in suo possesso;
   come anche riportato nell'articolo a firma di Laura Eduati «Padova, attivista No Tav pestato a sangue in Questura», pubblicato sull’Huffington Post dell'11 marzo 2014, gli agenti, come provocazione, avrebbero rivolto al ragazzo le seguenti parole: «Toccaci così poi ti insacchiamo di mazzate ! Ti arrestiamo. Dacci i documenti !»;
   il Rocca stava spiegando che era appena uscito dalla questura ove si reca tre volte alla settimana, in quanto sottoposto alla misura cautelare dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, e stava estraendo la carta d'identità quando sarebbe stato stretto al centro da parte degli agenti delle celere e colpito alle gambe, al torace, afferrato per le braccia, torte all'indietro, nonché ammanettato;
   il ragazzo — come riportato nell'articolo citato — sarebbe stato lasciato per sette ore in cella di sicurezza senza venir reso edotto circa i reati per i quali era in stato di fermo e, soprattutto, senza avere la possibilità, nonostante le continue richieste, di contattare un difensore;
   una volta uscito dalla Questura — solo in serata e peraltro con una denuncia per minaccia, lesioni, resistenza a pubblico ufficiale, nonché rifiuto di fornire le proprie generalità — Rocca si è recato in ospedale, ove veniva refertato con una costola rotta, distorsione della cervicale e contusioni multiple. E sui polsi i segni evidentemente ricollegabili alle manette troppo strette;
   rispetto a tale gravissima vicenda, che ha visto un ragazzo fermato senza motivo dalla celere, picchiato, lasciato sette ore in cella di sicurezza e privato dell'assistenza legale e medica, è assolutamente necessario ed urgente, a parere degli interroganti, fare chiarezza ed individuare le eventuali responsabilità –:
   di quali informazioni dispongano e quali siano gli orientamenti del Governo circa i gravi fatti riferiti in premessa;
   quali siano le motivazioni per le quali a Zeno Rocca non è stato consentito, come previsto dalle norme a tutela del diritto di difesa, di contattare un difensore;
   quali urgenti iniziative, anche di carattere ispettivo, intendano assumere, negli ambiti di rispettiva competenza, al fine di fare piena luce sulle dinamiche del fermo di Zeno Rocca. (4-03989)


   FABRIZIO DI STEFANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dalle confederazioni sindacali dei lavoratori della polizia di Stato e da diverse associazioni impegnate contro la lotta alla criminalità, che si sta attuando un piano di riordino delle sedi di polizia, che si muove sulla scia della spending review e che prevede la soppressione di 267 sedi di polizia in tutto il territorio nazionale, così ripartite: 74 presidi di polizia ferroviaria, 73 presidi di polizia postale, 55 presidi di squadre nautiche e nuclei sommozzatori, 27 presidi di polizia stradale, 15 presidi di polizia di frontiera, 12 presidi di reparti a cavallo e 11 presidi di pubblica sicurezza. Gli obbiettivi che si vogliono raggiungere sono la riduzione del personale da 107 mila a 92 mila con un risparmio stimato, tagliando anche le sedi, quantificato in circa 600 milioni di euro;
   interessata dei tagli è anche la regione Abruzzo che vedrebbe la chiusura: della polizia ferroviaria di Sulmona, ubicata in stabile di proprietà delle Ferrovie dello Stato e che quindi non comporta nessun costo; del distaccamento di polizia strada di Sulmona, ubicato all'interno di uno stabile che ospita il commissariato e di proprietà del demanio e che quindi non comporta nessun costo; del distaccamento polizia stradale di Castel di Sangro, per il quale il sindaco di quel centro si è offerto di concedere uno stabile in comodato gratuito; della polizia di frontiera presso l'aeroporto d'Abruzzo, ubicato dentro l'aeroporto senza costi per il dipartimento; della squadra nautica di Pescara, i cui uffici sono ubicati all'interno della questura; del distaccamento di polizia stradale di Penne, ubicato in uno stabile per il quale si paga la locazione, ma per il quale il sindaco ha già dato disponibilità di altro stabile in comodato d'uso gratuito; della polizia ferroviaria di Vasto, ubicato in stabile delle ferrovie e senza nessun costo; della polizia postale di Chieti, ubicata in stabile di proprietà delle Poste e quindi senza costi a carico dello Stato; del distaccamento della polizia stradale di Ortona, ubicato in uno stabile per il quale si paga l'affitto ma per il quale anche in questo caso il sindaco ha già dato la disponibilità di altro stabile in comodato d'uso gratuito; della polizia ferroviaria di Giulianova, ubicata in uno stabile di proprietà delle Ferrovie quindi privo di costi e della polizia postale di Teramo, ubicata in stabile di proprietà delle Poste;
   nella maggior parte dei casi si tagliano servizi indispensabili alla sicurezza del cittadino; in casi specifici come quelli della polizia postale si assiste ad un aumento esponenziale dei reati che tali presidi combattono come la pedofilia, lo stalking e le truffe informatiche;
   la diminuzione dei servizi comporterebbe una minor sicurezza per il cittadino e non sono da sottovalutare le entrate economiche la lotta alla criminalità produce ogni anno, che in questo caso diminuirebbero;
   la riforma dilapida una serie di professionalità, soprattutto in quella postale, che sono invidiate in tutta l'Europa;
   la chiusura della polizia di frontiera presso l'aeroporto di Pescara potrebbe essere il preludio all'azzeramento dei voli internazionali;
   il personale dei distaccamenti di Sulmona e Ortona andrebbe ad incrementare le sottosezioni autostradali di Pratola Peligna e di Vasto, rendendo il servizio unicamente alle società private che gestiscono le autostrade, e sopprimerebbe di fatto la vigilanza nella viabilità ordinaria che dalle ultime statistiche è quella più interessata da sinistri di rilevante gravità;
   è necessario segnalare che probabilmente le spese aumenteranno visto che al personale che si dovrà spostare dovrà essere corrisposta l'indennità di trasferimento, in tendenza opposta a quanto si prefigge la stessa spending review –:
   se quanto indicato in premessa trovi conferma e se intenda intervenire per modificare il disegno di riordino dei presidi di polizia sul territorio abruzzese e salvaguardare gli uffici di polizia di Stato, importanti presidi di legalità e controllo del territorio, pur tenendo conto delle esigenze di economicità e razionalizzazione. (4-03992)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DI BENEDETTO, BRESCIA, LUIGI GALLO, MARZANA, VACCA, SIMONE VALENTE, BATTELLI, D'UVA, NESCI e CHIMIENTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   6.415 edifici scolastici sono stati realizzati prima del 1919, 6.026 fra il 1919 e il 1945, 28.127 tra il 1945 e il 1971; questo vuol dire che il 62 per cento del patrimonio ha più di 40 anni e versa in stato precario per scarsa o nulla attività di manutenzione straordinaria;
   Cittadinanzattiva – nel suo ultimo dossier – ha affermato che in un'aula su quattro sono presenti segni di fatiscenza, umidità, muffe, in una su cinque distacchi di intonaco e il 28 per cento di esse ha le finestre rotte; barriere architettoniche e pavimenti sconnessi rendono impossibile la vita agli studenti con disabilità;
   il 37 per cento degli edifici scolastici – per un totale di 24.073 scuole – si trova in aree ad alto rischio sismico e il 9,6 per cento a elevato rischio idrogeologico; nel 30,7 per cento degli edifici scolastici la verifica non è stata fatta e per quasi sei edifici su dieci (59,8 per cento) non si hanno dati;
   con lo scopo di affrontare, parzialmente, tale problematica, l'articolo 10 del decreto-legge n. 104 del 12 settembre 2013 (cosiddetto decreto istruzione) convertito, con modificazioni, dalla legge 12 novembre 2013, n. 128, ha introdotto una disposizione tesa ad autorizzare le regioni da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, d'intesa con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, a stipulare appositi mutui trentennali volti alla riqualificazione degli edifici scolastici, con oneri di ammortamento a totale carico dello Stato – che pagherà le rate direttamente agli Istituti finanziatori – con la Banca europea per gli investimenti, con la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, con la Cassa depositi e prestiti spa e con i soggetti autorizzati all'esercizio dell'attività bancaria;
   al perseguimento di questo obiettivo sono stati destinati contributi pluriennali per 40 milioni di euro annui per la durata dell'ammortamento del mutuo, a decorrere dall'anno 2015;
   le modalità di attuazione della suindicata disposizione sono state delegate ad un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, che avrebbe dovuto essere adottato entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del «decreto istruzione» e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, in conformità ai contenuti dell'intesa, sottoscritta in sede di Conferenza unificata il 1o agosto 2013, tra il Governo, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano e le autonomie locali, sull'attuazione dei piani di edilizia scolastica formulati ai sensi dell'articolo 11, commi da 4-bis a 4-octies, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221;
   la legge di conversione del decreto istruzione è entrata in vigore il 12 novembre 2013; pertanto il 12 febbraio 2014 è scaduto il termine previsto per l'emanazione del decreto attuativo citato;
    ad oggi non è ancora stato emanato il decreto attuativo di cui all'articolo 10, comma 1, del decreto-legge n. 104 del 2013;
   il problema dell'edilizia scolastica è stato indicato tra le priorità dell'attuale Governo –:
   come mai il decreto citato in premessa, anche in considerazione dell'urgenza dagli interventi in materia di edilizia scolastica, non sia stato emanato e quali siano i tempi previsti per la tardiva emanazione. (5-02339)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZAN. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la cosiddetta riforma Gelmini della scuola e dell'università ha provocato, tra le altre conseguenze, un drastico ridimensionamento degli insegnamenti della geografia e della storia dell'arte nelle scuole italiane;
   già numerose iniziative di insegnanti e associazioni hanno chiesto al precedente Governo di intervenire per ripristinare le ore di insegnamento di queste due materie;
   il 25 febbraio 2014 la petizione #salvArte è stata lanciata sulla piattaforma change.org dal Presidente della fondazione Univerde, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore Pecoraro Scanio, e ha raccolto in pochi giorni decine di migliaia di firme, giungendo ormai alle 90.000 adesioni di cittadini italiani che chiedono di «salvare gli insegnamenti della geografia e della storia dell'arte» anche tenendo conto del grande rilievo del turismo culturale e naturalistico del Bel Paese;
   anche una realtà scientifica di grande tradizione storica e di rilievo internazionale come la Società geografica italiana sostiene la suddetta petizione #salvArte;
   queste decine di migliaia di cittadini e moltissimi tra docenti, associazioni, realtà di impegno civile e sociale chiedono al Governo e in particolare al Ministro interrogato di assicurare in modo chiaro il ripristino e il potenziamento dell'insegnamento di tali materie, e meritano una risposta;
   non risulta all'interrogante finora nessuna risposta da parte del Ministro interrogato nonostante il proclamato impegno del Presidente del Consiglio sulla priorità da assegnare al rilancio della scuola –:
   se il Ministro non intenda invertire la rotta per evitare un ulteriore peggioramento dei danni provocati alla scuola italiana dalle cosiddette riforme Gelmini;
   se intenda dare una risposta positiva ai 90.000 italiani che hanno finora sottoscritto la petizione #salvArte e, nel caso, quale concreto impegno intenda assumere per assicurare fin dal prossimo anno scolastico il rilancio effettivo dell'insegnamento della geografia e della storia dell'arte nelle scuole italiane. (4-03978)


   CIPRINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 13 luglio 2011 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca bandiva un concorso per esami e titoli per il reclutamento, nell'ambito dell'amministrazione scolastica periferica, di n. 2.386 dirigenti scolastici dei ruoli regionali per la scuola primaria, secondaria di primo grado, secondaria di secondo grado e per gli istituti educativi;
   il numero dei posti messi a concorso per la regione Lombardia veniva determinato in 355 dirigenti scolastici come previsto nell'allegato 1 del bando;
   il concorso terminava nel giugno del 2012 con la proclamazione di 406 vincitori ma, a seguito di impugnative da parte di alcuni candidati innanzi al TAR e il conseguente appello al Consiglio di Stato, la procedura concorsuale subiva numerosi rinvii tanto che nel luglio del 2013 il Consiglio di Stato ordinava una nuova correzione di tutti gli elaborati dei candidati;
   la procedura concorsuale riceveva un ulteriore rinvio fino al mese di ottobre del 2013 e veniva nominata anche una nuova commissione per procedere alle nuove operazioni di correzione delle prove di concorso;
   solamente nel gennaio del 2014 iniziavano le prove orali per i candidati ammessi a seguito di nuova correzione e finalmente con decreto n. 78 del 25 febbraio 2014 dell'ufficio scolastico regionale per la Lombardia e successiva nota di rettifica prot. Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca AOODRLO R.U. 3668 del 27 febbraio 2014 veniva pubblicata la graduatoria generale di merito e l'elenco dei vincitori del concorso di cui sopra;
   con decreto n. 86 del 4 marzo 2014 l'ufficio scolastico regionale individuava i candidati destinatari di proposta di contratto individuale di lavoro per l'assunzione in qualità di dirigente scolastico nel ruolo dell'amministrazione scolastica periferica della regione Lombardia e la sede scolastica a ciascuno di essi assegnata fissando il giorno 10 marzo 2014 per l'effettiva presa di servizio;
   l'ufficio dunque convocava a Milano tutti i 355 vincitori destinatari di proposta di contratto per il 7 marzo 2014 per la firma del contratto con presa in servizio il successivo 10 marzo;
   tuttavia del tutto inaspettatamente con nota del 6 marzo 2014 prot. n. 0000702 il capo dipartimento del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sulla base di «numerose segnalazioni, anche da parte delle organizzazioni sindacali, in merito all'immissione in servizio dei dirigenti scolastici» comunicava al direttore generale dell'ufficio scolastico per la regione Lombardia «l'impossibilità dell'adozione del provvedimento di immissione in ruolo e contestuale assunzione in servizio in qualità di dirigenti scolastici» sulla base dell'articolo 17, comma 6, della legge n. 128 del 2013 poiché «ciò comporterebbe il conseguente allontanamento dall'insegnamento ad anno scolastico già ampiamente iniziato, con negative ripercussioni sulla continuità didattica e sullo svolgimento delle valutazioni finali e degli esami di Stato»;
   ciò gettava nello sconforto e frustrazione i 355 vincitori che apprendevano la notizia proprio il 7 marzo 2014 a Milano negli uffici dell'amministrazione in attesa della stipula del contratto per l'immissione in servizio sulla quale avevano fatto legittimo affidamento;
   i vincitori del concorso hanno immediatamente censurato il comportamento dell'amministrazione che comunicava il diniego della stipula del contratto solo dopo averli convocati a Milano e la pretestuosità e l'infondatezza del richiamo – da parte dell'amministrazione – alla norma dell'articolo 17, comma 6, della legge n. 126 del 2013 poiché essa riguarda la mobilità dei docenti e non la continuità didattica;
   molti candidati hanno affrontato notevoli costi e sacrifici per partecipare alle selezioni di cui sono risultati vincitori in attesa della sospirata immissione in servizio anche a seguito dell'esito di numerose battaglie giudiziarie e burocratiche;
   molti di essi sono docenti vicari dirigenti scolastici e dunque esonerati dall'insegnamento in classe e altri sono distaccati nei vari uffici scolastici regionali e non giustificano né comprendono la preoccupazione da parte dell'amministrazione ad asserite «ripercussioni sulla continuità didattica e sullo svolgimento delle valutazioni finali e degli esami di Stato» tanto più che in un caso analogo l'amministrazione scolastica dell'Abruzzo recentemente ha proceduto all'immissione in servizio dei dirigenti scolastici ad anno scolastico già avviato;
   a ciò si aggiunga che molte scuole della Lombardia hanno solo un reggente e molti dirigenti scolastici si trovano in estrema difficoltà poiché da soli sono costretti ad amministrare più plessi scolastici con evidente disagio e sofferenza anche per le amministrazioni scolastiche lombarde che attendono l'immissione in servizio di nuovi dirigenti scolastici;
   infine la nota del 6 marzo del 2014 del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca è foriera di ricorsi ed ulteriore contenzioso giudiziario;
   anche il Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi ha più volte sottolineato l'importanza dell'educazione scolastica e della scuola come «punto di ripartenza del Paese. Al governo dobbiamo guardare allo spread e ai mercati ma poi i Paesi si salvano solo se le scuole funzionano» –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione descritta;
   se il Ministro intenda sospendere/annullare/revocare l'efficacia della nota del 6 marzo 2014 prot. n. 0000702 del capo dipartimento del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in quanto secondo l'interrogante lesiva dei diritti e degli interessi dei vincitori del concorso di cui in premessa e lesiva del buon andamento della amministrazione scolastica;
   quali misure concrete e urgenti intenda adottare per garantire il diritto dei vincitori del concorso ad essere immessi in servizio in tempi celeri in conformità alla normativa vigente. (4-03983)


   LAVAGNO e PIAZZONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   presso l'Istituto comprensivo di Cossato, in provincia di Biella, è in atto dal 1994, un progetto di bilinguismo «lingua italiana/lingua italiana dei segni (LIS) per l'integrazione dei bambini sordi nella scuola comune». Il progetto si propone di integrare i bambini sordi nella scuola comune dell'infanzia, primaria e secondaria di primo grado, formando un gruppo di alunni sordi che acquisiscono la LIS come lingua naturale assieme ad alunni udenti che la impiegano come seconda lingua il più precocemente possibile (cioè partendo dalla scuola dell'infanzia) con l'apporto di operatori esperti (interpreti e docenti);
   l'esperienza maturata dal progetto biellese dimostra che l'intervento linguistico in LIS sui bambini sordi (dalla nascita o prelinguali) è efficace se è iniziato fin dalla scuola dell'infanzia, o, ancor meglio, fin dall'asilo nido, nel rispetto delle previsioni dell'articolo 12 della legge 5 febbraio 1992, n. 104;
   il progetto ha raggiunto risultati decisamente lusinghieri in termini di apprendimento degli alunni sordi e in termini di reale integrazione fra sordi e udenti, ed una notorietà a livello nazionale, come attestato dalle verifiche compiute dal Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) di Roma, dalle ricerche compiute dai consulenti del progetto, dai numerosi convegni nazionali ed internazionali cui la scuola ha partecipato e dal libro sul progetto stesso pubblicato nel 2003;
   tutti gli alunni sordi nel progetto hanno proseguito gli studi, dopo la scuola secondaria di primo grado, e 7 ragazzi sordi si sono diplomati, 2 di essi lavorano e 4 frequentano l'università;
   la gestione dei finanziamenti del progetto è da sempre affidata all'IIS Q. Sella come scuola capofila. Il dirigente del «Q. Sella» ha dato comunicazione ufficiale ai dirigenti dei due istituti frequentati dagli studenti sordi che gli attuali contratti stipulati con gli interpreti LIS sono scaduti il 28 febbraio 2014;
   nelle casse restano 10.000 euro provenienti da un contributo della Fondazione CRT. Di questi 5.000 sono destinati all'istituto comprensivo e 5.000 agli istituti superiori. Con tale somma si potrà garantire ancora qualche settimana di retribuzione degli interpreti LIS, ma non si potrà andare oltre la seconda metà del mese di marzo 2014 –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle problematiche sopra esposte e come intenda procedere, in tempi rapidi e per quanto di competenza, con iniziative volte a dare un riconoscimento formale al progetto che ne garantisca la copertura finanziaria promuovendo un diretto coinvolgimento di tutte le istituzioni interessante. (4-03991)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   BECHIS, COMINARDI, BALDASSARRE, CIPRINI, RIZZETTO, ROSTELLATO e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   un milione di bambini italiani vivono sotto la soglia di povertà assoluta, con un trend di crescita preoccupante che ha visto il loro numero salire del 30 per cento nel solo 2013;
   con l'articolo 60 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, al fine di favorire la diffusione della carta acquisti, istituita dall'articolo 81, comma 32, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, tra le fasce di popolazione in condizione di maggiore bisogno, anche al fine di valutarne la possibile generalizzazione come strumento di contrasto alla povertà assoluta, è stata avviata una sperimentazione nei comuni con più di 250.000 abitanti;
   al comma 3 del suddetto articolo di legge viene stabilito: «per le risorse necessarie alla sperimentazione si provvede, nel limite massimo di 50 milioni di euro, a valere sul Fondo di cui all'articolo 81, comma 29, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, che viene corrispondentemente ridotto»;
   con la legge n. 147 del 2013, articolo 1, comma 216, il fondo sopramenzionato viene incrementato di 250 milioni di euro e nel contempo viene destinata una quota di tale fondo al fine di estendere la sperimentazione su tutto il territorio nazionale;
   un monitoraggio svolto dalle associazioni evidenzia che ad oggi nessuna famiglia ha ricevuto il contributo, che in tutti i comuni si è ancora in attesa delle graduatorie definitive e che i ritardi nell'attuazione sono dovuti principalmente all'incompatibilità dei sistemi informatici dell'INPS con quelli dei comuni e ai ritardi attribuibili all'INPS nella definizione delle graduatorie, provvisoria prima e definitiva poi;
   l'opinione degli interroganti sullo strumento della carta acquisti rimane invariata; essi ritengono che, benché rappresenti un minimo risultato rispetto a quello che c’è da fare, l'uso di questo strumento, se applicato in termini rapidi, avrebbe comunque potuto dare qualche sollievo alle famiglie e che ogni ritardo nell'erogazione del contributo ridurrebbe ancor di più i pochi benefici attesi a discapito dei bambini italiani –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente della situazione descritta;
   quali siano i dati risultanti dalla sperimentazione, fin qui ottenuti, che hanno portato alla decisione di estendere la stessa su tutto il territorio nazionale;
   quali iniziative intenda adottare, anche di tipo normativo, per velocizzare le procedure di erogazione del contributo.
(4-03969)


   BALDASSARRE, CHIMIENTI, COMINARDI, BECHIS, CIPRINI, RIZZETTO, TRIPIEDI e ROSTELLATO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   come si evince da un articolo a firma di Nicola Mondelli, pubblicato su Italia Oggi, in data 11 marzo 2014, intitolato «Pensioni a rischio per contributi incerti», sembra che ai terminali INPS di Milano ci siano delle criticità;
   le suddette criticità consistono nell'assenza di traccia — sui terminali INPS — «dei contributi previdenziali relativi al periodo di servizio, prestati in qualità di supplenti, da docenti e personale amministrativo, tecnico e ausiliario nell'arco di tempo che va dall'inizio del 1970 fino al 31 dicembre 1987»;
   a parere degli interroganti la suddetta situazione, appare anomala e degna di un intervento chiarificatore al fine di verificarne le reali cause e le possibili soluzioni e altresì, al fine di verificare se l'anomalia descritta, sia o meno, attinente solo alla sede di Milano o ci possano essere altre province con la stessa criticità –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suddetti;
   se e quali interventi, il Ministro interrogato, intenda porre in essere al fine di verificare le possibili cause di tale criticità;
   se il Ministro interrogato intenda porre in essere un'attenta analisi al fine di verificare se la suddetta anomalia dei terminali INPS sia solo una eccezione o si possa configurare una più ampia criticità su eventuali altri terminali di altre province. (4-03971)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   GAGNARLI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il gioco d'azzardo patologico (definito anche azzardopatia o ludopatia) è un disturbo del comportamento rientrante nella categoria dei disturbi del controllo degli impulsi che comporta un aumento della frequenza delle giocate, del tempo passato a giocare, della somma spesa nell'apparente tentativo di recuperare le perdite, investendo più delle proprie possibilità economiche e trascurando gli impegni che la vita gli richiede;
   il settore dei giochi e delle scommesse ha subito in Italia, nel corso degli ultimi anni, una notevole evoluzione con una proliferazione dell'offerta derivante da un numero sempre più ampio di possibilità di gioco, anche attraverso l'introduzione di giochi on line;
   il fenomeno ha assunto dimensioni preoccupanti interessando ampi strati della popolazione, soprattutto tra le fasce sociali più esposte: gli anziani, i disoccupati, le persone a basso reddito, gli adolescenti;
   nel rapporto Italia Eurispes 2014 più di un italiano su tre (il 34,5 per cento) considera il gioco un semplice divertimento, il 12,1 per cento lo ritiene un modo per vivere un momento emozionante. Il 32,7 per cento spera di ottenere una grossa vincita (nell'indagine «L'Italia in gioco» del 2009 erano il 25,4 per cento);
   secondo il Codacons il costo sociale del gioco d'azzardo ammonterebbe a circa 7 miliardi di euro. Ogni singolo giocatore costerebbe allo Stato 38 mila euro annui. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità in Italia i malati si aggirano intorno ad 1 milione, con 800 mila persone a rischio in conseguenza della legalizzazione, avvenuta circa dieci anni fa sul piano normativo, di alcune forme di gioco d'azzardo, come i gratta e vinci e le slot machine;
   secondo i dati dell'Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato (AAMS) in Italia sono in esercizio più di 400.000 apparecchi da intrattenimento con vincita in denaro e più di 6.000 locali e agenzie autorizzate al gioco legale che risultano frequentate da circa 15 milioni di giocatori abituali;
   in tutti i centri urbani si assiste al proliferare di sale giochi, centri scommesse, centri di trasmissione dati (CTD), anche per la mancanza di poteri effettivi da parte dei comuni di imporre norme restrittive in grado di impedire almeno la vicinanza delle sale giochi con i luoghi cosiddetti «sensibili» o per far rispettare una distanza congrua fra una sala e l'altra;
   a titolo di esempio, nel territorio del comune di Cortona (Arezzo) nella piccola frazione di Camucia, vi è una sala da gioco, un centro scommesse SNAI, un'altra agenzia di scommesse ed infine l'ultima sorta alcune settimane fa in via XXV aprile, alcune delle quali a meno di 500 metri da strutture scolastiche e centri di aggregazione sociale di anziani, in contrasto con le disposizioni di cui alla legge regionale n. 57 del 2013; questa legge regionale approvata il 18 ottobre 2013, all'articolo 4 comma 1, vieta infatti l'apertura di sale gioco e di spazi per il gioco che siano ubicate in un raggio di 500 metri da istituti scolastici di qualsiasi grado, luoghi di culto, centri di aggregazione sociale, centri giovanili o altre strutture culturali, ricreative e sportive frequentate principalmente dai giovani, o da strutture residenziali o semiresidenziali operanti in ambito sanitario o socio-assistenziale;
   un comitato ristretto in Commissione affari sociali alla Camera sta lavorando su un testo base unificato contenente disposizioni per la prevenzione, la cura e la riabilitazione della dipendenza dal gioco d'azzardo patologico, ad integrazione e completamento del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni dalla legge 8 novembre 2012, n. 189 –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e non intenda assumere iniziative per predisporre una nuova disciplina omogenea del settore, che dia alle amministrazioni locali gli strumenti per limitare e rendere più restrittivi i parametri in materia di autorizzazione all'esercizio dell'attività di gioco, che fissi obblighi puntuali per i luoghi adibiti al gioco, nonché in materia di assistenza per la cura delle ludopatie, e che disciplini l'informazione e l'educazione sui fattori di rischio e le misure a tutela dei minori e dei soggetti vulnerabili. (4-03988)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   CARFAGNA. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   un servizio di una nota trasmissione televisiva, andato in onda su una delle principali emittenti televisive italiane, ha filmato numerosi dipendenti del comune di Roma che, dopo aver effettuato la timbratura del «cartellino segnatempo» di inizio lavoro, tornavano indietro ed uscivano per effettuare altre mansioni, diverse da quelle lavorative, come andare a fare la spesa, passeggiare e altro;
   sempre dai filmati del servizio, si è scoperto inoltre che altri dipendenti del comune di Roma, non avendo assegnata alcuna mansione, trascorrevano il loro tempo seduti alle scrivanie ma facendo parole crociate o leggendo romanzi, a fronte dei limitrofi uffici aperti al pubblico dove, a causa della carenza del personale agli sportelli, ogni giorno i cittadini romani sono costretti ad ore interminabili di file d'attesa;
   nonostante le denunce sull'accaduto al sindaco di Roma, Ignazio Marino, gli inviati della trasmissione si sono nuovamente recati presso gli uffici comunali e, a distanza di qualche mese, hanno costatato che nulla è cambiato;
   intervistato per la seconda volta dall'inviato della trasmissione, il sindaco Marino ha affermato che avrebbe provveduto al più presto a far installare i tornelli per gli impiegati: misura certamente insufficiente, visto che dovrebbe essere sua cura prevedere un piano di riorganizzazione interna delle risorse umane, al fine non solo di implementare la partecipazione del personale, la valorizzazione dello stesso e la realizzazione di forme organizzative finalizzate al miglior conseguimento dei fini istituzionali del comune, ma anche, e forse specialmente, al fine di razionalizzare in maniera intelligente le spese di gestione del comune, senza dover poi correre ai ripari con gli aiuti economici dallo Stato e la decretazione del Governo;
   l'essersi allontanati dal posto di lavoro, anche solo per pochi minuti, non giustifica il dipendente pubblico che non timbra il cartellino. Lo sottolinea la Cassazione (sent. 25781/2012) spiegando che «le assenze non giustificate dall'ufficio» anche se brevi, sono da censurare non tanto per il «danno economico cagionato all'ente» ma per la violazione dei doveri del dipendente pubblico che è tenuto ad esercitare le sue funzioni con «disciplina e onore»;
   il comune di Roma dovrebbe dare corretta applicazione alle norme di cui al decreto legislativo n. 150 del 2009 (cosiddetta Riforma Brunetta) in materia di ottimizzazione e produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza della pubblica amministrazione, per ripristinare l'immagine svilita dell'amministrazione e di tutti coloro che ogni giorno vi lavorano con diligenza –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e se intenda promuovere ogni verifica di competenza anche ai sensi dell'articolo 60, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001.
(4-03997)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   VALLASCAS e CRIPPA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 6 agosto 2013, con legge di delegazione europea n. 96 è stato conferito mandato al Governo per il recepimento della direttiva del Parlamento e del Consiglio sull'efficienza energetica n. 2012/27/UE 25 ottobre 2012;
   la suddetta direttiva prevede l'obbligo di redigere un piano d'azione nazionale per l'efficienza energetica (di seguito PAEE) ed introduce una serie di scadenze e oneri a carico dei singoli Stati. In particolare:
    a) entro il 31 dicembre 2013 gli Stati membri stabiliscono e rendono pubblico un inventario degli edifici riscaldati e/o raffreddati del Governo centrale con una superficie coperta utile totale superiore a 500 metri quadrati;
    b) entro il 30 aprile di ogni anno a partire dal 2013 (articolo 24) gli Stati membri devono trasmettere una relazione alla Commissione sui risultati della attività di efficientamento energetico svolta;
    c) dal 1o Gennaio 2014, in virtù dell'articolo 5, ogni Stato membro garantisce che sia prevista la ristrutturazione degli edifici delle amministrazioni centrali con superfici superiori a 500 metri quadri (250 metri quadri dal 2015) che non soddisfano i requisiti minimi di prestazione energetica (direttiva EPBD 2010/31/UE), nella misura del 3 per cento della superficie totale ogni anno, o in alternativa a tale misura, che siano state previste azioni che conducano al medesimo risultato in termini di consumo totale di energia;
    d) entro il 30 aprile 2014, il PAEE deve essere presentato alla Commissione europea che lo valuterà –:
   se siano stati espletati gli adempimenti descritti in premessa, quali siano gli enti preposti e, in caso affermativo, attraverso quali strumenti ne sia stata data pubblicità;
   come e da chi siano stati definiti gli obiettivi di efficienza energetica di cui all'articolo 3, paragrafo 1 della direttiva;
   in caso contrario, quali siano le immediate iniziative che il Governo intende adottare ai fini dell'attuazione della direttiva n. 27 del 2012. (5-02340)


   FERRO e TIDEI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   circa 75 lavoratori dello stabilimento ARCA di Pomezia, storica azienda produttrice di camper appartenente alla multinazionale francese TRIGANO SPA, da 24 mesi in cassa integrazione ordinaria e straordinaria, rischiano di perdere definitivamente il posto di lavoro;
   questi lavoratori, quasi tutti semplici operai, in una riunione del 20 febbraio 2014 presso la FEDERLAZIO, sono stati informati del trasferimento dell'impianto e della forza lavoro alla SEA di Poggibonsi (ex ELNAGH), anch'essa società acquisita recentemente dal gruppo TRIGANO;
   ad oggi, nonostante gli impegni presi e la forte mobilitazione dei lavoratori, che dal 16 febbraio 2014 sono entrati in sciopero, nell'ottica di una necessaria ristrutturazione industriale, non è stato presentato nessun piano per il rilancio dell'azienda, in particolare dello stabilimento di Pomezia;
   a questo punto, dovessero restare così le cose, ai lavoratori dell'ARCA di Pomezia, che in maggioranza hanno un'età superiore ai 45 anni, non resterebbe altro che scegliere tra l'adesione alla proposta dell'azienda di trasferirsi a Poggibonsi o rassegnare le dimissioni e rinunciare al posto di lavoro;
   a sentire gli operai e i loro rappresentanti sindacali, l'eventuale trasferimento a Poggibonsi, che comunque implicherebbe un allontanamento coatto dalla famiglia e un sensibile aumento delle spese a carico dei lavoratori, potrebbe non garantire una immediata e duratura assunzione nella nuova azienda;
   la chiusura dell'ARCA, con le sue inevitabili ricadute negative sull'indotto, sarebbe un ulteriore grave colpo alle precarie condizioni economiche e sociali di Pomezia, che registra da anni una pesante perdita occupazionale e una crisi economica e sociale senza precedenti –:
   se, i Ministri interrogati, intendano verificare il rispetto, da parte dell'azienda, delle procedure previste e delle norme vigenti in materia e adoperarsi, per quanto di competenza, per attivare un tavolo di confronto in merito a tale vertenza occupazionale, al fine di individuare possibili soluzioni in termini di mantenimento dei livelli d'impiego o, eventualmente, di un adeguato ricollocamento lavorativo.
(5-02344)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BALDASSARRE, CHIMIENTI, COMINARDI, BECHIS, TRIPIEDI, CIPRINI, RIZZETTO, ROSTELLATO, CRIPPA, PRODANI, DA VILLA, FANTINATI e MUCCI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, all'articolo 32, comma 7, stabilisce che: «(...) il Ministero dello sviluppo economico presenta alle Camere entro il primo marzo di ogni anno una relazione sullo stato di attuazione delle disposizioni contenute nella presente sezione, indicando in particolare l'impatto sulla crescita e l'occupazione e formulando una valutazione comparata dei benefici per il sistema economico nazionale in relazione agli oneri derivanti dalle stesse disposizioni, anche ai fini di eventuali modifiche normative. La prima relazione successiva all'entrata in vigore del presente decreto è presentata entro il 1° marzo 2014»;
   con il decreto ministeriale del 31 gennaio 2014 il Ministero dello sviluppo economico, ha istituito il «Comitato tecnico per il monitoraggio e la valutazione delle politiche a favore dell'ecosistema delle startup innovative»;
   il suddetto comitato, presieduto dal direttore generale per la politica industriale e la competitività del Ministero dello sviluppo economico, è composto da rappresentanti del Ministero delle sviluppo economico, dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), della Commissione nazionale per la società e la borsa (CONSOB), del sistema camerale e del mondo accademico;
   l'articolo 3 del suddetto decreto ministeriale stabilisce che il «Comitato» fornisce supporto tecnico-scientifico per la stesura della relazione annuale sullo stato di attuazione delle disposizioni a favore della nascita e lo sviluppo di imprese startup innovative, entro il primo di marzo di ogni anno;
   da organi di stampa si apprende che il «Comitato» suddetto si è insediato venerdì 14 febbraio 2014 al Ministero dello sviluppo economico –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suddetti e se non ritenga che i pochi giorni rimasti — alla data del primo marzo 2014 — per insediarsi e redigere una relazione di tale importanza, sia un tempo insufficiente per svolgere un lavoro accurato e di analisi realmente utile al fine di valutare l'impatto sulla crescita e l'occupazione, comparando i benefici per il sistema economico nazionale delle disposizioni a favore della nascita e lo sviluppo di imprese startup innovative;
   se il Ministro interrogato possa fornire le motivazioni che hanno portato a tale decisione organizzativa, con criticità nel ristretto tempo a disposizione del «Comitato» per svolgere il proprio lavoro;
   se il Ministro interrogato intenda fornire un aggiornamento sullo sviluppo del lavoro da parte del «Comitato», visto che a tutt'oggi non risulta ancora presentata alle Camere la relazione di cui all'articolo 32, comma 7, del decreto 18 ottobre 2012, n. 179. (4-03973)


   RIZZETTO e PRODANI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dal sito web del GSE, www.gse.it, che sono imposti al proprietario di un impianto fotovoltaico una serie di nuovi adempimenti derivanti anche dalla necessità di reperire dati statistici rispetto all'energia prodotta;
   al riguardo, risulta che un proprietario di impianto fotovoltaico, anche domestico di potenza 3 kW, ha l'onere di registrare i dati che seguono: anagrafica del produttore, ubicazione impianto, dati relativi al censimento già effettuato sul sistema Gaudì di Terna, dati tecnici d'impianto, dati mensili relativi all'energia prodotta, dati mensili relativi all'energia immessa in rete, dati mensili relativi all'energia auto consumata, dati relativi all'utenza associata all'impianto di produzione;
   vengono introdotti, pertanto, una serie di oneri burocratici per i proprietari di impianti fotovoltaici che, a parere dell'interrogante, sovraccaricano di ulteriori adempimenti un settore rispetto al quale dovrebbero, di contro, essere promosse iniziative atte a diminuire gli oneri relativi alla realizzazione ed alla gestione degli impianti, in conformità alla normativa in materia;
   in particolare, appare gravoso per il proprietario dell'impianto dover procedere, addirittura mensilmente, alla contabilità di energia prodotta, autoconsumata ed immessa in rete;
   la richiesta degli adempimenti in questione, non sembra essere giustificata da concrete motivazioni che possano, in qualche modo, far ritenere necessari tali oneri a carico dei proprietari, soprattutto, allorché si tratti di impianti ad uso domestico istallati per autoconsumo;
   si evidenzia, altresì, che le informazioni richieste possono essere ricavate dal GSE attraverso la registrazione delle unità produttive sul sistema Gaudi, nonché dai dati che il GSE ha facoltà di ottenere con diretta richiesta agli enti gestori;
   ebbene, come l'interrogante ha già evidenziato in altre sedi, si riscontra che nell'ambito del settore delle energie rinnovabili, vengono adottati di frequente dei provvedimenti che invece di incentivare tali virtuosi investimenti, come prevede la normativa, li scoraggiano o addirittura, determinano un danno attraverso l'addebito di costi/oneri retroattivi per coloro che hanno già provveduto ad investire in queste tecnologie;
   è bene rammentare che la normativa comunitaria e nazionale promuove lo sviluppo dell'energia da fonti rinnovabili prefiggendosi l'obiettivo di potenziare e razionalizzare il sistema per incrementare l'efficienza dell'energia alternativa, anche diminuendo gli oneri relativi alla realizzazione degli impianti da essa alimentati;
   al riguardo, si ritiene che è in contrasto con la normativa in materia, anche l'imposizione di adempimenti, oneri e costi burocratici non giustificati congruamente da motivazioni che ne comprovino la necessarietà;
   l'imposizione di oneri non giustificati è ancor più di dubbia legittimità, allorché si richiede una contabilizzazione di dati che possono essere reperiti dall'ente richiedente attraverso altre fonti, senza oberare il proprietario dell'impianto di ulteriori adempimenti che sono, a parere dell'interrogante, sintomo di una burocrazia vessatoria –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se e quali iniziative di competenza intenda adottare affinché il proprietario di un impianto fotovoltaico non sia onerato di adempimenti ingiustificati e non necessari, quali quelli indicati in premessa;
   se e quali iniziative, anche normative, intenda intraprendere, affinché vengano maggiormente incentivati gli investimenti nel settore delle energie rinnovabili e, altresì, vengano superate, le contraddizioni descritte in premessa che hanno, ingiustamente danneggiato il comparto scoraggiando tali investimenti. (4-03981)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Giancarlo Giordano e altri n. 5-00684, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rampi.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Tidei e altri n. 5-01968, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 gennaio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rampi.

  L'interrogazione a risposta orale Binetti n. 3-00680, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 marzo 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Catalano.

  L'interrogazione a risposta immediata in Assemblea Dorina Bianchi n. 3-00688, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 marzo 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Tancredi.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Schullian n. 4-03683 del 20 febbraio 2014.

ERRATA CORRIGE

  L'interrogazione a risposta scritta Cozzolino e altri n. 4-03940 pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 187 dell'11 marzo 2014. Alla pagina 10725, prima colonna, alla riga ventitreesima, deve leggersi: «COZZOLINO, DADONE, D'AMBROSIO, DIENI e TONINELLI. — Al Ministro per» e non: «COZZOLINO, DADONE, D'AMBROSIO, DIENI e FONTANELLI. — Al Ministro per», come stampato.