Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 10 marzo 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    recenti fenomeni alluvionali che hanno interessato il nostro Paese, nel corso degli anni 2013 e 2014, ripropongono nuovamente le criticità relative alla fragilità del territorio nazionale, già sottoposto ad alto rischio di dissesto idrogeologico e la necessità ormai indifferibile della messa in sicurezza e di ripristino del suolo, attraverso il reperimento delle risorse necessarie per eseguire i molteplici interventi per le realizzazioni infrastrutturali;
    gli eventi pluviali di particolare intensità, che hanno interessato le regioni Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna e Toscana, alla fine dell'anno 2013 e all'inizio del 2014, hanno determinato una serie di complesse difficoltà di livello emergenziale, in estese parti degli insediamenti abitati nelle località implicate, provocando frane, allagamenti, esondazioni ed interruzioni della viabilità ordinaria e dei collegamenti ferroviari, causando addirittura numerose vittime;
    nella regione Friuli Venezia Giulia si è registrato, a partire dalla giornata del 30 gennaio 2014, un evento atmosferico di eccezionale portata che ha causato allagamenti nelle province di Udine e Pordenone. Le forti precipitazioni hanno causato l'esondazione del fiume Sile che ha comportato ingenti danni nei seguenti comuni della provincia di Pordenone: Chions, Azzano Decimo, Pravisdomini e Pasiano, con particolare gravità nelle frazioni di Panigai, Barco, Azzanello e Fagnigola. Per quanto riguarda la provincia di Udine, le intense ed eccezionali precipitazioni che hanno interessato il medio Friuli Venezia Giulia hanno determinato non meno di 250 mila euro di danni nel comune di Codroipo, in cui si sono, inoltre, registrati oltre 180 interventi in abitazioni private e attività commerciali, con ingenti danni non ancora stimati, causati dall'eccezionale innalzamento della falda acquifera; allagamenti che hanno provocato danneggiamenti si registrano negli archivi degli edifici pubblici, i cui danni stimati sono pari a 80 mila euro, per il palazzetto dello sport la valutazione degli interventi di ripristino risulta pari a 35 mila euro, mentre per il teatro comunale e per il Museo delle Carrozze, rispettivamente, si registrano danni per 25 mila euro e 40 mila euro; una situazione che, in considerazione di quanto esposto alla data odierna, permane ancora di evidente gravità;
    nelle località di Cordenons, Ruda e Fontanafredda, sono state segnalate una serie di emergenze connesse all'alluvione, che hanno comportato ingenti difficoltà per i cittadini, a cui si sono aggiunte una serie di complessità derivanti dalle esondazioni del fiume Ledra e degli affluenti del Lavia, che hanno provocato l'allagamento della strada provinciale del Cornino e la chiusura di un tratto della strada provinciale 99;
    le conseguenze del maltempo nell'alto Friuli Venezia Giulia, in particolare a Tarvisio, risultano di particolare rilevanza, a causa della straordinaria nevicata che ha comportato diverse e continue interruzioni del servizio di energia elettrica, che, unite agli effetti dell'evento atmosferico alluvionale, hanno procurato un grave danno agli afflussi turistici del fine settimana;
    anche in Carnia e nell'alta montagna friulana le interruzioni di energia elettrica, dovute al maltempo, hanno provocato notevole disagio alla popolazione nell'area dei comuni di Tolmezzo e Amaro con circa 14 mila utenze disalimentate a causa di cadute di alberi sulle linee o per il fenomeno dei manicotti gelati sulle condutture. Una sommaria stima dei danni causati dalla sospensione della fornitura elettrica ammonta a 1 milione e mezzo di euro (fonte Enel);
    nella regione Veneto, a partire dalla medesima e suindicata giornata del 30 gennaio 2014, le piogge persistenti hanno continuato ad insistere con una configurazione di eccezionale stazionarietà, interessando la parte orientale e le province di Padova, Treviso, Vicenza, Verona e Venezia, causando ingenti danni ai centri abitati e alle infrastrutture viarie, le cui interruzioni su diverse tratte montane, pedemontane e collinari hanno aggravato le già precarie condizioni della rete provinciale e secondaria di tutte le aree venete interessate dal dissesto idrogeologico;
    l'intensità delle precipitazioni piovose e nevose, avvenuta in tempi molto ristretti, che ha richiesto addirittura l'intervento dei militari dell'Esercito, impegnati con mezzi speciali a ripristinare la viabilità ordinaria e ad assistere le comunità locali interessate, ha provocato, inoltre, l'innalzamento repentino dei livelli idrometrici di tutti i corsi d'acqua, principali e secondari, causando l'esondazione del canale Loncon ad Annone Veneto, tra i territori di Treviso e Venezia, con l'acqua che ha invaso i collegamenti ferroviari e l'innalzamento del fiume Bacchiglione, ricadente nel paese di Bovolenta in provincia di Padova, minacciando la popolazione locale fatta evacuare in via precauzionale;
    l'eccezionale ondata di maltempo che ha attraversato gran parte del territorio veneto, i cui danni finanziari risultano provvisoriamente quantificati dal presidente della regione Veneto Zaia pari a 475 milioni di euro, ha coinvolto anche l'area dolomitica e prealpina, causando l'interruzione dell'erogazione dell'energia elettrica nei paesi dell'Alto Cadore, rimasti isolati, e la chiusura di passi e impianti sciistici;
    quanto sopra indicato ha determinato conseguenze particolarmente negative, per l'economia turistica veneta e friulana, in considerazione del fatto che, in alcuni casi, la stagione turistica invernale, che rappresenta peraltro in alcune aree montane l'unica fonte di reddito economico, si è interrotta in modo definitivo;
    l'evento alluvionale ha determinato ulteriori effetti ostili a seguito delle tonnellate di detriti, giunti dalle piene dei fiumi Piave e del Sile, spiaggiati sull'arenile di Jesolo e lungo l'intero litorale veneto, che hanno deturpato le spiagge e la costa, creando notevoli problemi, sia per il recupero, che per lo smaltimento dei rifiuti, da parte delle amministrazioni locali coinvolte;
    in considerazione della prospettata situazione meteorologica di rilevante gravità, la regione veneta, nella giornata del 3 febbraio 2014, ha deliberato lo stato di calamità, stanziando 1 milione di euro, per le prime necessità, stabilendo altresì l'urgente richiesta al Governo di recepimento per lo stanziamento delle risorse necessarie per fronteggiare l'emergenza; mentre la regione Friuli Venezia Giulia ha stanziato 4 milioni di euro dal fondo imprevisti destinati alla Protezione civile;
    nell'ambito della decretazione dello stato di crisi, a seguito delle criticità riscontrate in un'ampia area veneta interessata, si è disposto, ai sensi dell'articolo 106, comma 1, lettera c), della legge regionale n. 11 del 2001, di procedere pertanto alla richiesta della dichiarazione dello «stato di emergenza», come previsto dalla legge n. 225 del 1992 e successive modificazioni, alla Presidenza del Consiglio dei ministri;
    la prolungata fase di maltempo che ha continuato ad insistere per diversi giorni, nel corso della prima settimana di febbraio 2014, causando anche una vittima a Montegrotto in provincia di Padova, ha recato, inoltre, gravissimi danni agli edifici pubblici e privati, al sistema infrastrutturale e delle opere pubbliche, soprattutto nelle aree più urbanizzate e negli insediamenti produttivi, indebolendo fortemente l'economia locale, oltre, come in precedenza riportato, a quella turistico invernale, e le attività agricole e commerciali;
    nella regione Emilia Romagna, nelle giornate dal 17 al 19 gennaio 2014, il territorio della provincia di Modena è stato colpito da gravi eventi alluvionali tali da causare una grave situazione di pericolo per l'incolumità delle persone, provocando l'evacuazione di numerose famiglie dalle loro abitazioni;
    l'ammontare dei danni, secondo una valutazione iniziale pari a 400 milioni di euro, è principalmente connesso ai danneggiamenti infrastrutturali verificatisi per le opere di difesa idraulica, nei riguardi degli edifici pubblici e privati, delle infrastrutture viarie e delle attività produttive;
    la rottura arginale del fiume Secchia ha, inoltre, provocato l'allagamento di centri abitati, l'interruzione di collegamenti viari e della rete dei servizi essenziali determinando, quindi, forti disagi alla popolazione interessata;
    le aree ricomprese nei comuni di Bastiglia, Bomporto, Sorbara, Bosco di San Felice, Finale Emilia, Camposanto e Albareto risultano, in particolare, quelle in cui l'intensità della pioggia ha insistito con rilevante costanza, provocando allagamenti e frane in vaste zone della bassa modenese ed altre zone emiliano-romagnole, con inevitabili ripercussioni negative e penalizzanti per l'intera economia territoriale interessata, per l'ambiente ed il paesaggio di un'area ad alta attrattività turistica e agrituristica;
    la decisione del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2014, che ha deliberato lo stato di emergenza nel territorio della provincia di Modena, in deroga ad ogni disposizione vigente e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico, stanziando 11 milioni di euro, a valere sul fondo per le emergenze nazionali, sebbene condivisibile, risulta tuttavia insufficiente nel garantire un adeguato e completo livello di intervento finanziario in grado di ripristinare le condizioni di normalità per l'intera area interessata dall'evento alluvionale;
    nella regione Veneto, la ricognizione dei danni verificatisi e dei relativi fabbisogni finanziari, tali da formalizzare la dichiarazione dello stato di emergenza, per un evento calamitoso che, secondo quanto sostenuto dal medesimo presidente, risulta addirittura peggiore rispetto all'alluvione dell'anno 2010, a cui si aggiungono i gravissimi eventi alluvionali in precedenza esposti, avvenuti nelle regioni Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna, comprovano l'esigenza d'interventi in sede comunitaria, volti all'accesso agli stanziamenti previsti dal Fondo di solidarietà dell'Unione europea (Fsue) istituito allo scopo di far fronte alle grandi catastrofi naturali e offrire un aiuto finanziario agli Stati colpiti;
    l'intervento del medesimo Fondo, previsto dal regolamento (CE) n. 2012 del Consiglio, dell'11 novembre 2002, mirato ad integrare gli sforzi dello Stato beneficiario, prevede, secondo le procedure indicate nella domanda di ammissione, che ogni Stato membro possa presentare alla Commissione europea, non oltre dieci settimane dalla data in cui si è verificato il primo danno, la richiesta delle sovvenzioni concesse, anche se la soglia di intervento normale per questo Stato vicino non è stata raggiunta;
    il riavvio dei numerosi interventi per la messa in sicurezza del territorio danneggiato e delle opere di ricostruzione, finalizzate al ripristino delle condizioni di normalità per la vasta area regionale veneta interessata dall'alluvione, confermano come, in considerazione della gravità degli eventi calamitosi avvenuti nel Veneto, nel Friuli Venezia Giulia e in Emilia Romagna, i requisiti indicati all'interno del sopra esposto regolamento (CE) n. 2012/2002, nell'ambito delle modalità di utilizzazione delle sovvenzioni concesse dal Fondo di solidarietà dell'Unione europea, siano manifestamente fruibili;
    nel caso in cui l'ammontare complessivo dei danni fosse stimato in maniera inferiore, rispetto a quanto indicato dal medesimo regolamento, che considera «grave» qualsiasi catastrofe tale da provocare danni stimati in oltre 3 miliardi di euro o superiori allo 0,6 per cento del reddito nazionale lordo o nell'eventualità che una delle tre regioni sopra indicate non avesse inoltrato richiesta dei benefici previsti dal medesimo Fondo di solidarietà dell'Unione europea entro i termini previsti, è necessario tuttavia prevedere interventi compensativi, a favore delle popolazioni e delle imprese colpite, attraverso la defiscalizzazione e la decontribuzione, per il biennio 2014-2015, in considerazione del fatto che, ad esempio, la sola regione Veneto contribuisce alle entrate dell'amministrazione statale con un «residuo fiscale» di oltre 20 miliardi di euro;
    le priorità d'intervento indicate all'interno del piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici predisposto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per la messa in sicurezza del territorio, che prevedono interventi presso l'Unione europea volti a derogare i vincoli del Patto di stabilità interno, rappresentano proprio le misure urgenti e necessarie da attribuire alle sopra indicate regioni, in considerazione dei gravissimi danni economici, registrati a seguito degli avvenuti disastri ambientali;
    l'esclusione dei vincoli del Patto di stabilità interno per gli anni 2014 e 2015, nei riguardi degli enti locali direttamente coinvolti dall'alluvione, che hanno subito ingenti danni economici tali da non essere in grado di sostenere finanziariamente le opere di ripristino, costituisce un'ipotesi auspicabile e positiva in grado di liberare risorse utili all'attuazione di specifiche azioni identificate nei piani di difesa del suolo;
    nel corso dei mesi precedenti, in cui si sono sfortunatamente verificati disastri ambientali provocati da eventi sismici e alluvionali, nel territorio nazionale, il Governo è intervenuto anche attraverso l'utilizzo della decretazione d'urgenza per fronteggiare gli effetti calamitosi, attraverso un'articolata disciplina degli interventi per la ricostruzione, l'assistenza alle popolazioni e la ripresa economica nei territori coinvolti, sia di carattere finanziario che fiscale, attraverso la sospensione dei termini degli adempimenti tributari e dei mutui in convenzione;
    le decisioni adottate dal Consiglio dei ministri, il 19 novembre 2013, a seguito dell'eccezionale ondata di maltempo che ha colpito la Sardegna, relative agli interventi a favore della regione autonoma isolana, disponendo interventi in deroga, nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico, confermano, infatti, come sia possibile agire coerentemente con analoghe misure anche nei confronti delle sopra esposte regioni, anch'esse investite da eventi naturali di portata straordinaria, non essendo le amministrazioni locali coinvolte in grado di sopportare gli oneri finanziari per la ricostruzione dei territori, colpiti da fenomeni climatici di tale intensità;
    interventi affini e similari si rendono, pertanto, necessari a sostegno del Veneto, del Friuli Venezia Giulia e dell'Emilia Romagna, al fine di fronteggiare le gravissime conseguenze finanziarie dei bilanci degli enti locali coinvolti e consentire il riavvio dell'attività delle imprese le cui sedi operative sono state danneggiate dall'evento summenzionato,

impegna il Governo:

   a deliberare lo «stato di emergenza» per gli eccezionali eventi atmosferici verificatisi nelle regioni del Friuli Venezia Giulia e del Veneto, ai sensi dell'articolo 5, commi 1 e 1-bis, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, e successive modificazioni e integrazioni, a seguito dei fenomeni alluvionali di intensa gravità avvenuti a partire dalla giornata del 30 gennaio 2014 e per i successivi giorni del mese di febbraio 2014;
   ad assumere iniziative finalizzate a sostenere le popolazioni e le attività imprenditoriali, commerciali, artigiane e agricole venete, friulane ed emiliane colpite dai violenti fenomeni alluvionali che hanno interessato i comuni delle province di Udine, Pordenone, Padova, Treviso, Vicenza, Verona e Venezia e i comuni della provincia di Modena, attraverso la defiscalizzazione e la decontribuzione per gli anni 2014 e 2015, anche prevedendo la sospensione immediata dei termini amministrativi dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l'assicurazione obbligatoria, ivi compresi il pagamento delle rate dei mutui e dei finanziamenti di qualsiasi genere, incluse le operazioni di credito agrario, erogati dalle banche e dagli intermediari finanziari e dalla Cassa depositi e prestiti;
   a prevedere iniziative volte all'alleggerimento dei vincoli del Patto di stabilità interno, ai fini del ripristino dei sistemi infrastrutturali della viabilità interrotta o danneggiata, nonché delle opere di difesa idraulica, deteriorate a causa delle abbondanti piogge, attraverso la deroga al 31 marzo 2014 delle disposizioni previste dai commi 547 e 548 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, (legge di stabilità per il 2014), concernente il riparto degli spazi finanziari attribuiti agli enti locali per sostenere i pagamenti di debiti in conto capitale, nei confronti delle regioni Friuli Venezia Giulia, Veneto ed Emilia Romagna;
   ad assumere iniziative per destinare, infine, una quota parte delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione al finanziamento di una serie di interventi, tra cui quelli di messa in sicurezza del territorio, previsti dall'articolo 1, comma 7, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, a favore delle predette regioni.
(1-00365) «Brunetta, Milanato, Sandra Savino, Palmizio».


   La Camera,
   premesso che:
    la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa (CEB) è lo strumento finanziario della politica di solidarietà del Consiglio d'Europa;
    la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa ha come finalità di aiutare i suoi 41 Stati membri a conseguire una crescita sostenibile ed equa, contribuendo alla realizzazione di progetti di investimento sociale, rispondendo a situazioni di emergenza e, in questo modo, migliorando le condizioni di vita nelle regioni meno avvantaggiate dell'Europa;
    finanzia progetti di investimento in campo sociale secondo quattro linee di intervento:
     a) il rafforzamento dell'integrazione sociale;
     b) la gestione dell'ambiente;
     c) il sostegno alle infrastrutture pubbliche a vocazione sociale;
     d) il supporto alle micro, piccole e medie imprese;
    la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa è legalmente e finanziariamente indipendente, basata su un accordo parziale tra gli Stati membri del Consiglio d'Europa che ne hanno sottoscritto le quote e, via via, i progressivi aumenti di capitale. Tuttavia, agisce in collaborazione con altre istituzioni finanziarie internazionali e regionali e con la Commissione europea;
    la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa si autofinanzia a condizioni favorevoli sul mercato dei capitali, gode del rating di tripla «A» e il suo bilancio si mantiene in equilibrio perché concede prestiti e non dà contributi a fondo perduto;
    oggi il nostro Paese è, insieme a Francia e Germania, uno dei maggiori azionisti, con il 16,77 per cento del capitale sottoscritto;
    con la legge 6 luglio 2012, n. 117, l'Italia ha aderito all'ultimo aumento di capitale della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa in ordine di tempo, per un importo complessivo di 366.078.000 euro, comprendenti l'incorporazione di riserve nel capitale liberato per 40.964.000 euro e la sottoscrizione di nuovi titoli per 325.114.000 euro, con conseguente incremento della quota di capitale detenuta fino all'ammontare di 915.770.000 euro;
    a fronte dell'elevata quota di capitale sottoscritta, si registra una scarsissima destinazione dei fondi della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa per progetti italiani. Negli ultimi 3 anni, addirittura, non ci sono stati progetti approvati in Italia, mentre sono stati approvati numerosi progetti finanziati in altri Paesi per scuole, carceri e case di riposo. Si tratta di un dato paradossale avendo, dal 2007 in poi però, la crisi economico-finanziaria peggiorato le condizioni economico-sociali dell'Italia oltre che di altri Paesi europei;
    la Commissione europea, il 20 febbraio 2013, nella comunicazione «Investire nel settore sociale a favore della crescita e della coesione, in particolare attuando il Fondo sociale europeo nel periodo 2014-2020» (COM (2013) 83) pone tra gli obiettivi fondamentali da perseguire il pieno ed efficace utilizzo dei fondi dell'Unione europea e il loro coordinamento con i finanziamenti dalla Banca mondiale, dalla Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa e della Banca europea per gli investimenti;
    considerato il perdurare della crisi, è insostenibile che il nostro Paese, oltre ad essere il terzo contributore netto del bilancio dell'Unione europea, continui a versare quote significative di capitale a fondi e strumenti di solidarietà istituiti nell'ambito dell'Unione europea o di altre organizzazioni e istituzioni finanziarie internazionali, che appesantiscono il debito pubblico già molto elevato e sono computati ai fini dei parametri di finanza pubblica fissati dal Patto di stabilità e crescita,

impegna il Governo:

   a conservare l'attuale misura di partecipazione e di diritto di voto all'interno dell'istituto, considerato il rilievo sociale e politico degli obiettivi perseguiti dalla Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa;
   ad adottare misure per promuovere presso le istituzioni italiane, nazionali e locali, la conoscenza delle opportunità che la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa offre;
   ad adoperarsi affinché sia data attuazione a quanto raccomandato dalla Commissione europea, favorendo il coordinamento delle risorse dell'Unione europea con gli stanziamenti della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa e di altri strumenti finanziari internazionali;
   ad avviare approfondimenti con la Banca di sviluppo del Consiglio di Europa, al fine di verificare la possibilità di interventi straordinari in Italia rivolti, in particolare, all'edilizia scolastica e carceraria, alla salvaguardia del patrimonio storico e culturale, alla prevenzione di catastrofi naturali e alla protezione del territorio, allo sviluppo delle micro, piccole e medie imprese e ai contratti di riallocazione dei licenziati;
   ad adoperarsi affinché i contributi alla Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, nonché a fondi e meccanismi di assistenza finanziaria costituiti nell'ambito dell'Unione europea o di altre organizzazioni sovranazionali e internazionali versati da Stati membri dell'Unione europea, in particolare ove essi si trovino in situazione di recessione o abbiano un elevato indebitamento, non siano computati ai fini del calcolo delle soglie previste per il deficit e il debito pubblico dal Patto di stabilità e crescita.
(1-00366) «Galgano, Quintarelli, Vitelli, Tinagli, Capua, Rabino, Vecchio, Catania, Matarrese, Antimo Cesaro, Vargiu, Mazziotti Di Celso».

Risoluzioni in Commissione:


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    l'esame comparato del decreto Destinazione Italia fa emergere in tutti i suoi elementi quello che al firmatario della presente risoluzione grande scacco messo in atto sulle bonifiche dei siti inquinati in Italia;
    emerge e viene confermata ad avviso del firmatario della presente risoluzione la strategia messa in campo ripetutamente dai poteri forti e attuata reiteratamente negli ultimi anni, dal decreto Salva Italia a Destinazione Italia, che introducono evidenti attenuazioni del principio chi inquina paga agevolandone di fatto l'elusione. Si è dinanzi al più evidente condono sotterraneo delle bonifiche in Italia. Si tratta di un'operazione già tentata nei mesi scorsi e scongiurata in parte e che ora si riaffaccia prepotentemente con il cosiddetto decreto Destinazione Italia che introduce norme esplicite che sostanzialmente condonano e, anzi, finanziano gli affari di chi avrebbe dovuto bonificare;
    la lettura attenta e comparata delle norme conferma che l'operazione che si sta mettendo in campo è pianificata su larga scala ed appare evidente chi sarà il maggiore «utilizzatore finale» del condono, ossia l'ENI;
    otto sono i punti nevralgici in cui la nuova normativa «Destinazione Italia» consentirà agli inquinatori di utilizzare denaro pubblico per i propri affari:
     1) si prevedono accordi di programma per provvedere alle bonifiche derubricando di fatto a mero provvedimento amministrativo e negoziale un obbligo di legge, civile e penale;
     2) si pongono sullo stesso piano le bonifiche «o» progetti di messa in sicurezza ambientale, lasciando un margine finanziario e oggettivo tra le due soluzioni davvero insostenibile;
     3) individuazione contributi pubblici e misure di sostegno economico finalizzate alle nuove attività, a prescindere dalla realizzazione delle bonifiche;
     4) individuazione interventi di riconversione industriale preventivamente alla bonifica con la definizione di due percorsi separati, sia sulla tempistica che per il finanziamento, ovvero: mera pianificazione finanziaria per le bonifiche e su altra corsia realizzazione di interventi di riconversione industriale;
     5)  avvio esplicito della riconversione che, secondo il decreto, deve avvenire a prescindere dalla bonifica (valutazione economica di dieci anni);
     6) condono tombale – esclude per tali soggetti proprietari dell'area inquinata ogni altro obbligo di bonifica e riparazione ambientale e fa venir meno l'onere reale per tutti i fatti antecedenti all'accordo medesimo;
     7) i soldi pubblici sarebbero erogati non per pagare le bonifiche ma per acquisto beni strumentali per la riconversione industriale e allo sviluppo economico;
     8) la pubblica amministrazione «può» e non «deve» agire autonomamente in tutti gli altri casi di bonifica;
    in particolar modo e nel dettaglio nell'articolo 4 del decreto denominato «Destinazione Italia» che dispone «Misure volte a favorire la realizzazione delle bonifiche dei siti di interesse nazionale e misure particolari per l'area di crisi complessa del porto di Trieste» si prevede:
    al comma 11 «Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministro dello ((sviluppo economico)), d'intesa con la regione territorialmente interessata e, per le materie di competenza, con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, nonché con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo per gli aspetti di competenza in relazione agli eventuali specifici vincoli di tutela insistenti sulle aree e sugli immobili, possono stipulare accordi di programma con uno o più proprietari di aree contaminate o altri soggetti interessati ad attuare progetti integrati di messa in sicurezza o bonifica, e di riconversione industriale e sviluppo economico in siti di interesse nazionale individuati entro il 30 aprile 2007 ai sensi della legge 9 dicembre 1998, n. 426, al fine di promuovere il riutilizzo di tali siti in condizioni di sicurezza sanitaria e ambientale, e di preservare le matrici ambientali non contaminate. Sono escluse le aree interessate dalle misure di cui al decreto-legge 4 giugno 2013, n. 61, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n. 89, e successive modificazioni;
    nel comma 1 dell'articolo 4 del suddetto decreto si determina in modo esplicito e funzionale l'obiettivo di rendere sempre più discrezionale e negoziale la normativa in materia di bonifiche;
    in particolar modo nel comma 1 dell'articolo 4 novellando l'articolo 252-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006 si prevede la stipula di accordi di programma derubricando a fatto amministrativo e negoziale un preciso obbligo di legge, sia civile che penale, per l'applicazione del principio chi inquina paga;
    sempre nel comma 1 si fa riferimento a «soggetti interessati ad attuare progetti integrati di messa in sicurezza o bonifica» ponendo sullo stesso piano i due interventi e lasciando quindi aperto un varco discrezionale assolutamente sia sul piano normativo che sostanziale, considerata la rilevante differenza tra bonifica e messa in sicurezza;
    al comma 2, della novella, alla lettera e) si prevede di disciplinare: «i contributi pubblici e le altre misure di sostegno economico finanziario disponibili e attribuiti»;
    con tale previsione di stanziamento di contributi pubblici in alcun modo codificati e non parametrati si demanda ad una previsione amministrativa del tutto discrezionale che confligge in modo chiaro ed evidente con il principio «chi inquina paga»;
    al comma 5 della novella si prevede: «il termine finale per il completamento degli interventi di riparazione del danno ambientale è determinato in base ad uno specifico piano finanziario presentato dal soggetto interessato tenendo conto dell'esigenza di non pregiudicare l'avvio e lo sviluppo dell'iniziativa economica e di garantire la sostenibilità economica di detti interventi, comunque in misura non inferiore a dieci anni»;
    nel comma 5 si fa esplicita, dunque, menzione di una doppia tempistica relativa agli interventi di «riparazione del danno ambientale», definizione ambigua tra bonifica e messa in sicurezza, rispetto allo sviluppo dell'iniziativa economica;
    in particolar modo al comma 5 della novella si procede all'individuazione di interventi di riconversione industriale preventivamente alla bonifica con la definizione di due percorsi separati, sia sulla tempistica che per il finanziamento, ovvero: mera pianificazione finanziaria per le bonifiche e su altra corsia realizzazione di interventi di riconversione industriale;
    al comma 6 della novella si prevede: «L'attuazione da parte dei soggetti interessati degli impegni di messa in sicurezza, bonifica, monitoraggio, controllo e relativa gestione, e di riparazione, individuati dall'accordo di programma esclude per tali soggetti ogni altro obbligo di bonifica e riparazione ambientale e fa venir meno l'onere reale per tutti i fatti antecedenti all'accordo medesimo»;
    il dispositivo del comma 6 della novella è nella sua formulazione discrezionale, ambiguo e dispone di fatto un condono tombale su «ogni altro obbligo di bonifica»;
    appare evidente che tale formulazione tesa ad escludere ogni altro obbligo di bonifica lascia intendere la sollevazione da oneri di bonifica non individuati o addirittura omessi, consentendo un «condono tombale» e immodificabile proprio per la disposizione che «esclude ogni altro onere»;
    nella formulazione ancora più chiara, assolve tutto il pregresso che di fatto si prende in considerazione ma si punta a «far venir meno» per tutti i fatti antecedenti all'accordo medesimo;
    il proprietario dell'area inquinata finirebbe per ricevere dallo Stato non solo il pagamento degli oneri delle bonifiche ma anche i finanziamenti per gli investimenti dei nuovi impianti che saranno ubicati nei siti inquinati e dichiarati automaticamente di pubblica utilità, per giunta senza disciplinare le caratteristiche dell'investimento, che in teoria potrebbe essere più invasivo del precedente;
    tutto ciò si configura secondo il firmatario della presente risoluzione come un vero e proprio condono tombale proprio per la stessa formulazione adottata che esplicita l'intendimento di chi ha proposto la norma: salvare gli inquinatori ed evitare di far pagare chi ha inquinato o è subentrato all'inquinamento stesso;
    sempre al comma 6 è previsto: «Nel caso di soggetto interessato responsabile della contaminazione, i contributi e le misure di cui alla lettera e) del comma 2 non potranno riguardare le attività di messa in sicurezza, di bonifica e di riparazione del danno ambientale di competenza dello stesso soggetto, ma esclusivamente l'acquisto di beni strumentali alla riconversione industriale e allo sviluppo economico dell'area»;
    in questa norma si esplicita l'obiettivo non solo di non far pagare i danni ambientali ma anche quello di pagare con denaro pubblico coloro che li hanno commessi o che ne hanno l'onere in conseguenze della proprietà del bene;
    aver scisso lo stanziamento pubblico dal finanziamento per il pagamento delle bonifiche e la messa in sicurezza a quello dei beni strumentali per la riconversione è secondo il firmatario della presente risoluzione un chiaro e palese aggiramento del principio chi inquina paga;
    un aggiramento del principio che imporrebbe, secondo il firmatario della presente risoluzione l'accertamento di danni erariali qualora la stessa norma dovesse essere messa in atto con provvedimenti di natura amministrativa da qualsiasi soggetto pubblico;
    si tratta, infatti, di contributi pubblici e misure di sostegno economico finalizzate alle nuove attività, a prescindere dalla realizzazione delle bonifiche;
    il comma 7 della novella dispone: «Al di fuori dei casi che rientrano nel campo di applicazione del comma 5, la pubblica amministrazione può agire autonomamente nei confronti del responsabile della contaminazione per la ripetizione delle spese sostenute per gli interventi di messa in sicurezza e di bonifica individuati dall'accordo nonché per gli ulteriori interventi di bonifica e riparazione del danno ambientale nelle forme e nei modi previsti dalla legge»;
    in tale disposto normativo si allenta ulteriormente l'azione risarcitoria verso chi ha inquinato o non ha eseguito a regola d'arte gli interventi di bonifica e messa in sicurezza delle aree contaminate;
    la formulazione proposta dal comma 7 articolo 4 prevede infatti che la pubblica amministrazione «può» e non già «deve» agire autonomamente. Questa disposizione lascia aperta una variabile discrezionale rilevantissima nell'azione della pubblica amministrazione;
    tale dispositivo normativo appare ispirato e sulla stessa lunghezza d'onda di quello proposto e poi parzialmente modificato nel provvedimento del 2011 denominato «Salva Italia» che apriva di fatto ad una vera e propria moratoria degli obblighi di risanamento da parte delle aziende. In quel caso le disposizioni contenute nell'articolo 40, comma 5, si configuravano di fatto come un condono silenzioso degli obblighi di bonifica dei siti contaminati per le aziende inquinatrici;
    appare evidente che nei Ministeri competenti si continua ad operare con proposte che in modo subdolo tendono a favorire un vero e proprio condono tombale delle bonifiche;
    a tal punto appare davvero una conferma di questo intendimento la ridicola quanto ammissiva dichiarazione resa dal «Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare» che nei giorni stessi dell'approvazione della norma che di fatto «cancella» le bonifiche e pone i relativi oneri a carico degli italiani aveva avuto l'ardire di dichiarare in forma anonima, senza dichiarare l'autore della stessa nota: «Tuttavia, per fugare ogni incertezza in merito ed elaborare risposte che, ove ritenuto indispensabile, potranno eventualmente tradursi anche in maggiori chiarimenti del testo di legge, gli uffici tecnici del ministero stanno lavorando per dissipare qualunque ombra sulla norma in oggetto»;
    il fatto stesso che il Ministero stia lavorando per dissipare qualunque ombra è evidente che ve n’è più di una;
    quelli definiti «accordi di programma» con i soggetti responsabili dell'inquinamento prima del 2007 non sono nient'altro che accordi tesi a porre l'onere finanziario in massima parte in carico allo Stato;
    la mancata definizione di un importo limite al sostegno pubblico, né una proporzione sul valore complessivo dell'accordo di programma rende tutto ancor più grave compresa la determinazione normativa che la parte di stanziamento privato usufruirà anche del credito d'imposta;
    in questo contesto appare del tutto assente un seppur minimo ed elementare concetto di sostenibilità ambientale per i nuovi interventi proposti a partire per esempio dal recupero di aree minerarie dismesse ai fini turistico ricettivi, archeologico industriali;
    si tratta obiettivamente di un vero e proprio condono per chi ha inquinato e chi tenta ora di lucrare sulle stesse aree inquinate;
    le modifiche introdotte alla Camera sull'articolo 4, non hanno di fatto risolto niente, considerato che le risorse pubbliche da parte del privato saranno utilizzate per le spese d'investimento e non per le bonifiche, ma è evidente che, come detto, il prodotto non cambia, perché si tratta sempre di denaro pubblico che finisce nelle tasche degli inquinatori;
    una volta sottoscritto l'accordo di programma che stanzia le risorse pubbliche a favore del privato, qualora venisse successivamente individuata un ulteriore inquinamento rispetto a quello accertato, non sarebbe più a carico dell'inquinatore privato ma del soggetto pubblico,

impegna il Governo:

   ad assumere un'iniziativa normativa urgente per abrogare le norme richiamate in premessa al fine di ribadire, senza nessuna deroga o variabile, l'obbligo alla preventiva bonifica dei siti inquinati e la piena assunzione della responsabilità economica dell'onere della stessa bonifica da parte dei privati o dei soggetti responsabili dell'inquinamento o titolari dell'area stessa;
   ad assumere iniziative normative dirette a escludere qualsiasi previsione di esonero di obblighi per qualsiasi tipo di inquinamento pregresso alla data di sottoscrizione degli accordi stessi;
   ad assumere iniziative dirette a escludere qualsiasi tipo di intervento economico pubblico in favore di chi ha inquinato o ha la titolarità delle aree inquinate;
   ad assumere un'iniziativa normativa diretta a prevedere che qualsiasi intervento di bonifica sia preventivo, sia nella pianificazione che nell'esecuzione, a qualsiasi intervento di riconversione;
   ad assumere iniziative normative dirette a eliminare la possibilità che possano essere avviati processi di riconversione senza aver prima definito e concluso gli interventi di bonifica proprio per evitare che si mettano in atto interventi di riconversione a prescindere da quelli di bonifica;
   ad assumere un'iniziativa urgente al fine di verificare la puntuale costituzione in giudizio da parte dello Stato relativamente alle situazioni di inquinamento con particolare riferimento alla stessa condanna al pagamento dei danni da parte dei soggetti artefici dell'inquinamento o comunque titolari dell'area stessa;
   a valutare i presupposti per segnalare alla Corte dei conti eventuali omissioni relative a mancate costituzioni dello Stato come parte civile in danni all'ambiente e gli eventuali responsabili;
   a sospendere qualsiasi tipo di accordo di programma in attesa di una puntuale e sostanziale modifica della norma conformemente alle indicazioni contenute nella presente risoluzione.
(7-00299) «Pili».


   L'XI Commissione,
   premesso che:
    il direttore generale dell'INPS, in una dichiarazione resa il 28 gennaio 2013 e pubblicata dal quotidiano economico Italia Oggi, ha stimato in 10 miliardi di euro l'ammontare dei contributi «silenti», indicando in «diversi milioni» la platea degli assicurati interessati;
    quanto indicato nel suddetto articolo dovrebbe afferire al totale dei versamenti effettuati dai lavoratori senza distinzione di gestione previdenziale di appartenenza;
    di tale somma non si conosce la destinazione contabile e giuridica costituendo al contempo una entrata per l'istituto previdenziale e una fonte di finanziamento per le gestioni aliene da impegni nei confronti dei soggetti versanti;
    tra le varie gestioni l'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, ha istituito presso l'INPS, a decorrere dal 1o gennaio 1996, la cassa pensionistica denominata gestione separata per i cosiddetti lavoratori atipici (parasubordinati);
    l'obbligo di iscrizione alla gestione sparata grava su milioni di lavoratori in particolare: categorie residuali di liberi professionisti, precari, occasionali, parasubordinati, collaboratori a progetto, addetti vendita porta a porta, per i quali non è stata prevista una specifica cassa previdenziale nonché specializzandi o dottori titolari di assegni di ricerca;
    le suddette categorie di soggetti sono tenuti a versare i contributi presso la gestione separata dell'INPS;
    il conseguimento del diritto all'accesso al trattamento pensionistico a carico della gestione separata è subordinato alla maturazione da parte del lavoratore di un'anzianità contributiva effettiva minima di cinque anni e dei requisiti anagrafici di cui all'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214;
    il lavoratore iscritto alla gestione separata presso l'INPS, che cessi la propria attività prima del perfezionamento del requisito contributivo prescritto per la liquidazione di un autonomo trattamento pensionistico, è ascrivibile alla più ampia categoria dei contribuenti «silenti»;
    i suddetti contribuenti «silenti» sono accomunati dal fatto che adempiono al versamento dei contributi a «fondo perduto» e questa circostanza contravviene a qualsiasi principio sinallagmatico;
    appare evidente l'iniquità della disciplina dei contributi «silenti», tenuto conto della circostanza che i soggetti che non riescono a conseguire l'anzianità contributiva minima, oltre a non poter accedere alla pensione di anzianità, perdono i contributi versati;
    ad oggi i contributi dovuti per effetto delle diverse aliquote riferite ai soli soggetti iscritti alla gestione separata sono dovuti nella misura minima del 22 per cento fino al 28,72 del reddito conseguito,

impegna il Governo:

   ad assumere ogni iniziativa di competenza, al fine di adottare gli opportuni atti normativi per consentire l'utilizzo dei contributi «silenti» per corrispondere un trattamento – a calcolo puro – a favore dei soggetti non titolari di altre prestazioni al raggiungimento dell'età anagrafica di 65 anni, prescindendo dai requisiti minimi richiesti;
   a procedere – con particolare riferimento ai lavoratori iscritti alla gestione sparata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335 – ad una ricognizione per determinare l'ammontare totale dei contributi «silenti» e come tale importo potrà evolversi, nei prossimi 10 anni, alla luce delle innovazioni in materia previdenziale e del mercato del lavoro e, contestualmente, indicare la destinazione attuale della contribuzione non utile alla maturazione di un autonomo trattamento pensionistico versata nella gestione separata.
(7-00300) «Baldassarre, Rostellato, Bechis, Cominardi, Tripiedi, Ciprini, Chimienti, Rizzetto».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   ad avviso dell'interpellante, negli ultimi anni si è fatto ricorso sproporzionato a decreti attuativi di norme licenziate dal Parlamento: questi decreti troppo spesso risultano essere l'ultimo tassello mancante per poter dare piena attuazione a disposizioni di legge, e in alcuni casi produrrebbero positivi effetti economico-finanziari o addirittura risulterebbero necessari per liberare direttamente decine di milioni di euro in favore delle imprese, come nel caso del pagamento dei debiti della pubblica amministrazione;
   tale fenomeno, congiuntamente alla lentezza degli uffici governativi nel predisporre codesti testi, ha prodotto un tangibile ritardo nell'emanazione dei decreti che, conseguentemente, si sono vistosamente accumulati;
   secondo l'ultima rilevazione effettuata dal quotidiano Il Sole 24 Ore, pubblicata in un articolo del 14 febbraio 2014, vi sarebbero quasi 480 decreti attuativi mancanti: i termini per l'approvazione di quasi 150 di questi risulterebbero addirittura scaduti; inoltre, vi sarebbero attualmente circa una cinquantina di decreti attuativi mancanti aventi grave urgenza;
   nell'agosto 2012 i decreti attuavi mancanti ammontavano a circa 340: dunque, in un anno e mezzo, anziché diminuire, il numero dei decreti attuativi da emanare è aumentato di quasi il 40 per cento, nonostante nell'agosto del 2012 fosse stata annunciata la costituzione di una task force incaricata di monitorare l'attività dei vari ministeri chiamati ad applicare le varie disposizioni;
   spesso si tratta di decreti dal contenuto molto limitato, costituiti da pochi od unici articoli, e dunque semplici e rapidi da produrre, verso i quali il Governo ha evidenziato in certe occasioni, ad avviso dell'interpellante, una vera e propria assenza di interesse, ovvero una marcata intenzione di ritardarne o comunque ostacolarne l'emanazione;
   a questo proposito, riportiamo, a mero titolo esemplificativo, la vicenda legata al decreto ministeriale che ha consentito anche a privati cittadini la possibilità di effettuare versamenti nel Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese: in quell'occasione, tale possibilità fu ottenuta grazie ad un emendamento, presentato dal MoVimento 5 Stelle nell'agosto del 2013 durante l'esame della legge di conversione del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, cosiddetto «del fare»; il relativo decreto attuativo, costituito da un unico articolo suddiviso in tre brevissimi commi, è stato adottato dal Ministero dell'economia e delle finanze in data 18 dicembre 2013, solo a seguito di quasi tre giorni di protesta pacifica da parte di semplici cittadini oltre che da simpatizzanti, attivisti ed esponenti del MoVimento 5 Stelle;
   alcuni decreti attuativi mancanti riguardano leggi approvate dal Governo Monti, tra i quali spiccano quelli legati al decreto cosiddetto Crescita 2.0 che conteneva, tra l'altro, norme relative all'Agenda digitale: sono decine in questo caso i decreti mancanti che vanificano importanti sforzi legislativi compiuti in materia di digitalizzazione della pubblica amministrazione e che potrebbero portare ad enormi benefici tanto per lo Stato quanto per le imprese private, in termini di risparmio e maggior efficienza;
   per altri provvedimenti la situazione sullo stato di emanazione dei decreti attuativi appare quasi paradossale, come nel caso della legge 27 dicembre 2013, n. 147, legge di stabilità per il 2014: per una completa attuazione delle norme ivi contenute sarebbero necessari 84 decreti, tra cui, ad esempio, il decreto per definire i criteri per l'accesso ai «progetti di ricerca e innovazione» nell'ambito del già citato Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese: tuttavia, ad oggi, ancora nessuno risulta essere stato emanato –:
   se e quali atti intenda intraprendere a livello collegiale, al fine di velocizzare le procedure di emanazione dei decreti attuativi ancora mancanti, che i vari Ministeri sono chiamati ad emanare;
   in che maniera e con quali tempi il Governo ed i suoi componenti intendano, ognuno per le parti di propria competenza, procedere all'emanazione dei decreti attuativi tuttora pendenti.
(2-00444) «Nuti».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BUSINAROLO, D'UVA, AGOSTINELLI, GAGNARLI, CECCONI, TOFALO e SPADONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   si è concluso con l'udienza del 24 gennaio 2014 il procedimento penale n. 13633/13 (Proc. Pen. n. 22698/08 RG N.R.), innanzi al quarto collegio della VI sezione penale presso il tribunale di Roma, con udienza fissata per il giorno 27 settembre 2013 ore 9,00, poi rinviata, nei confronti di alcuni dei massimi dirigenti di Banco Desio Lazio e Credito Privato Commerciale di Lugano – quest'ultima in liquidazione dal 2012 –, entrambe controllate da Banco Desio, tra i quali l'ex amministratore delegato di Desio Lazio s.p.a., nonché le stesse Credito Privato Commerciale s.a., Banco Desio Lazio s.p.a. e Agorà Finance s.a.;
   il procedimento è relativo a reati contestati nella richiesta di rinvio a giudizio emessa dal pubblico ministero, in data 15 novembre 2011, ossia per accuse gravissime, quali quelle di associazione a delinquere, ed in particolare:
    capo a) il reato di cui agli articoli 416, 648-bis c.p., 4 legge 16 marzo 2006 n. 146 per essersi associati tra loro al fine di commettere più delitti di trasferimento all'estero di denaro di provenienza illecita: per alcuni, con l'aggravante di cui all'articolo 4 della legge n. 146 del 2006, trattandosi di reato al quale dava il suo contributo un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato;
    capo b) il delitto di cui agli articoli 110, 648-bis c.p. per avere, in concorso tra loro, ricevuto la somma in contanti di euro 400.000,00, provento di delitto, che trasferivano in Svizzera accreditandola su un conto cifrato denominato FARAGLIONI presso il Credito Privato Commerciale s.a. di Lugano in modo da ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa;
    capo c) per il delitto di cui agli articoli 110 c.p., 3 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n.74, perché agendo in concorso, evadevano le imposte sui redditi della società suindicata sulla base di una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie e avvalendosi di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento, indicavano nelle dichiarazioni annuali della società suindicata relativa a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo;
    capo d) per il delitto di cui agli articoli 110, 646, 61 nn. 7 e 11 c.p. perché agendo nelle qualità e con i ruoli descritti al capo c), si appropriavano della somma complessiva di euro 3.590.000,00 che sottraevano dalle casse della società SACLI S.p.a. attraverso la fittizia cessione del credito vantato dalla Sacli nei confronti della regione Lazio per un importo di euro 3.595.424,42 al prezzo di euro 75.000,00;
    capo e) per il delitto di cui agli articoli 110, 648-bis c.p., perché agendo in concorso tra loro, quali amministratori della società AGORÀ FINANCE s.a. al fine di realizzare il trasferimento delle somme provento del delitto suindicato in favore di due dei dirigenti imputati, che in data 28 luglio 2006 acquistavano fittiziamente dalla SIFIN Srl i crediti ceduti dalla SACLI Spa; successivamente emettevano titoli obbligazionari che venivano sottoscritti dalla AGEAN SERVICE LIMITED riferibile ai due dirigenti; dopo avere incassato, per il tramite della SACLI Spa, l'importo dei crediti fittiziamente trasferiti, versavano alla AGEAN SERVICE LIMITED la somma di euro 3.455.000,00 a titolo di rimborso del prestito obbligazionario. Tutte operazioni simulate e fraudolente realizzate al fine di ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa del denaro;
    capo f) all'illecito amministrativo previsto dagli articoli 5 e 25-octies del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in relazione alla commissione del delitto di cui agli articoli 110, 648-bis c.p. indicato al capo e) che precede, delitto commesso nell'interesse e a vantaggio della società suindicata da persone che rivestivano al momento del fatto funzioni di rappresentanza dell'ente;
   in particolare, per quanto riguarda Banco Desio Lazio, l'amministratore delegato dell'epoca era finito nel mirino della magistratura con l'accusa di associazione a delinquere al fine di commettere più delitti di trasferimento all'estero di denaro di provenienza illecita, con l'aggravante della transnazionalità (articolo 4 della legge n. 146 del 2006);
   la consuetudine nella filiale di Parma di Banco di Desio e della Brianza s.p.a. era quella di effettuare versamenti/prelevamenti direttamente presso il domicilio di clienti, a conferma delle «sistematiche irregolarità nelle procedure interne, con significativi riflessi sulla normativa antiriciclaggio, inerenti il versamento/prelevamento di assegni effettuato direttamente presso il domicilio dei clienti più facoltosi da dipendenti» di Banco di Desio e della Brianza s.p.a.; tali condotte illecite a detta del GICO (Gruppo investigativo criminalità organizzata) della Guardia di finanza di Roma «rivestono connotati di elevata pericolosità»;
   il tribunale di Roma con l'udienza del processo del 24 gennaio 2014 ha accolto le istanze di patteggiamento presentate da Credito Privato Commerciale di Lugano (CPC) e da Banco Desio Lazio Spa, entrambe controllate da Banco Desio, per un importo rispettivamente di euro 800 mila euro per la prima e di euro 400 mila per la seconda, la cui somma corrispondente era peraltro già stata accantonata prudenzialmente nei rispettivi bilanci;
   si è chiusa in questo modo una vicenda processuale iniziata nel 2011 con la notifica della conclusione delle indagini alle due società coinvolte in fatti risalenti al 2009 addebitati ad alcuni ex esponenti in base al principio della responsabilità amministrativa delle imprese ex decreto legislativo n. 231 del 2001;
   la vicenda era partita da una segnalazione di un dipendente della sede di Parma poi licenziato, unico esempio di whistleblower in ambito privato in Italia, che grazie ad un errore nell'esecuzione di alcune procedure informatiche, aveva scoperto una pericolosa falla nel sistema informativo della banca. Attraverso tale falla, si poteva arrivare a nascondere la reale giacenza di valuta estera presente nel caveau delle filiali;
   a nessuna delle sette udienze, incluse quelle preliminari, si è costituito come parte civile, per tramite dell'Avvocatura dello Stato, il Ministero dell'economia e delle finanze che è invece evidentemente parte offesa nel processo penale e era nelle condizioni di opporsi al patteggiamento –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se risulti agli atti il motivo per cui il Ministero dell'economia e delle finanze non abbia presenziato alle udienze, né tantomeno si sia costituito parte civile in un procedimento penale per associazione a delinquere e riciclaggio internazionale, per il quale lo Stato poteva a giudizio dell'interrogante legittimamente chiedere il risarcimento del danno. (5-02317)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NUTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenda digitale europea è stata presentata dalla Commissione europea tramite la Comunicazione COM (2010) 245 del 19 maggio 2010, e costituisce una delle principali iniziative all'interno della strategia Europea 2020 per la crescita dell'Unione europea;
   il Governo italiano ha deciso di dar seguito alla Comunicazione sopra riportata, tramite alcune norme incluse nel decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, successivamente integrate da disposizioni contenute in ulteriori decreti-legge, come il decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, il decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69;
   le norme richiamate, in linea con quanto stabilito dall'Agenda digitale europea, dovrebbero intervenire per sfruttare al meglio il potenziale delle tecnologie dell'informazione della comunicazione per favorire l'innovazione, la crescita economica e il progresso;
   tuttavia, ad oggi, sono ancora numerosissimi i decreti attuativi che il governo deve emanare per attuare quanto disposto nelle norme sopra richiamate, in assenza delle quali l'Agenda digitale risulta tuttora essere incompiuta;
   tra questi decreti attuativi citiamo, a mero titolo esemplificativo, quelli relativi: alle risorse umane, finanziarie e strumentali dell'Agenzia per l'Italia digitale, alla carta d'identità elettronica e alla tessera sanitaria elettronica, ai certificati ed attestati anagrafici, a certificati sanitari, al trasporto pubblico locale, alle tecniche delle operazioni di scavo per le infrastrutture a banda larga e ultralarga, a garantire la trasparenza e l'accessibilità dei lavori parlamentari su tutto il territorio nazionale, all'ampliamento delle modalità di pagamento mediante tecnologia mobile, alle cosiddette comunità intelligenti, alla cittadinanza intelligente, e altro;
   sono molti i siti web che monitorano lo stato di attuazione dell'Agenda digitale e che quantificano il costo dei mancanti risparmi e delle minori entrate che ne derivano in diversi miliardi di euro ogni anno: ad avviso dell'interrogante appare dunque paradossale non procedere all'emanazione in tempi brevissimi di tutti i decreti relativi all'attuazione dell'Agenda digitale, in un periodo in cui il fabbisogno finanziario dello Stato cresce di anno in anno, congiuntamente al debito pubblico, mentre il prodotto interno lordo continua a diminuire –:
   se siano a conoscenza del grave stato di inadempienza in cui versano attualmente i vari ministeri, in merito al rispetto dei tempi di emanazione dei decreti attuativi relativi all'Agenda digitale;
   in quali tempi e con quali modi i Ministri intendano procedere ad una rapida emanazione dei decreti attuativi relativi all'Agenda digitale. (4-03922)


   CATALANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenda digitale rappresenta una delle sette iniziative principali individuate nella più ampia Strategia EU2020, finalizzata a una crescita inclusiva, intelligente e sostenibile dell'Unione;
   l'Agenda digitale è stata presentata dalla Commissione europea nel maggio 2010, quindi sottoscritta da tutti gli Stati membri che si sono impegnati al suo recepimento. Lo scopo dell'Agenda digitale è di sfruttare al meglio il potenziale delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione per favorire l'innovazione, la crescita economica e la competitività, ottenendo vantaggi socio-economici sostenibili grazie a un mercato digitale unico basato su internet veloce e superveloce e su applicazioni interoperabili;
   non si dispone di elementi sulla effettiva adozione delle diverse tipologie di provvedimenti attuativi (regolamenti, decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, decreti ministeriali, linee guida, regole tecniche, e altro) previsti dai decreti-legge n. 83 del 2012 (cosiddetto «Crescita») e n. 179 del 2012 (cosiddetto «Crescita 2.0») e n. 69 del 2013 (cosiddetto «del Fare»), in materia di Agenda digitale, nel dettaglio:
    decreto-legge n. 83 del 2012 (cosiddetto «Crescita») entrato in vigore il 27 giugno 2012 (la legge di conversione del decreto è entrata in vigore il 12 agosto 2012): articolo 22, commi 6 e 7;
    decreto-legge n. 179 del 2012 (cosiddetto «Crescita 2.0») entrato in vigore il 20 ottobre 2012 (la legge di conversione del decreto è entrata in vigore il 19 dicembre 2012): articolo 1, commi 1 e 2, articolo 2, commi 3 e 5, articolo 3, commi 1 e 4, articolo 4, comma 1, articolo 6, comma 5, articolo 7, comma 3 lettera a), articolo 8, commi 2 e 13, articolo 9, comma 1, lettera a), articolo 10, comma 10, articolo 11, comma 4-bis, articolo 12, commi 11 e 12, articolo 13, commi 2 e 4, articolo 14, comma 8 lettera d) e 10-bis, articolo 14-bis, comma 2, articolo 15, commi 1, 2 e 5-ter, articolo 16, comma 10, articolo 16-bis, comma 15, articolo 16-quater, articolo 19, commi 8 e 9, articolo 20, commi 4, 9 e 16, articolo 20-bis;
   l'Agenzia per l'Italia digitale (AglD) e l'Associazione nazionale Trasporti (ASSTRA) hanno avviato il 28 dicembre 2012 i lavori del tavolo tecnico sulla bigliettazione elettronica;
   l'articolo 13, 2-quater del decreto-legge n. 69 del 2013 (convertito dalla legge n. 98 del 2013) ha previsto che il decreto ministeriale in questione, così come quelli previsti dagli articoli 4, comma 1, 8, comma 13, 10, comma 10, 12, comma 7, 13, comma 2, e 15, comma 2, del decreto-legge n. 179 del 2012, qualora non ancora adottati e decorsi ulteriori trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione (termine scaduto il 20 settembre 2013), sono adottati dal Presidente del Consiglio dei ministri anche ove non sia pervenuto il concerto dei Ministri interessati –:
   come il Governo intenda far fronte agli inadempimenti di cui in premessa, in tempi brevi;
   a che punto siano i lavori del tavolo tecnico sulla bigliettazione elettronica;
   come intendano il Ministro dello sviluppo economico e il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, disciplinare l'accesso ai fondi per la realizzazione dei servizi di ricerca e sviluppo di nuove soluzioni non presenti sul mercato volte a rispondere a una domanda pubblica e delle attività di ricerca finalizzate allo sviluppo di servizi e prodotti innovativi in grado di rafforzare l'utilizzazione della piattaforma per la gestione della rete logistica nazionale;
   come intendano il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'interno e il Ministro dell'economia e delle finanze, definire le modalità per la trasmissione elettronica dei dati di cui ai formulari FAL con l'implementazione dell'interfaccia unica costituita dal sistema PMIS assicurando l'interoperabilità dei dati immessi nel sistema PMIS con il Safe Sea Net e con il sistema informativo delle dogane (semplificazione delle procedure amministrative per le navi in arrivo e in partenza). (4-03932)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'11 gennaio del 2011 durante un travaso da una nave cisterna alla centrale E.On di Porto Torres è stato riversato in mare un quantitativo elevato di olio combustibile che ha invaso e devastato l'intera costa del nord Sardegna;
   l'azienda E.On, responsabile della banchina dalla quale si è verificato lo sversamento, aveva dichiarato che si trattava di 10.000 litri di olio combustibile, ma era apparso da subito evidente, in base a tutti i rilievi effettuati, che si trattasse di quantitativi notevolmente superiori a quelli dichiarati, riversatisi in mare perché la falla non fu individuata in tempo;
   l'incidente accadde nel porto industriale di Porto Torres dove, per un errore tecnico, sono stati sversati in mare molti metri cubi di olio combustibile destinati alla centrale termoelettrica di Fiumesanto, ai vecchi gruppi 1 e 2 che risalgono ai primi anni Ottanta;
   l'olio combustibile riversato in mare è un prodotto petrolifero, un derivato appunto del petrolio. Le conseguenze sono gravemente dannose per l'ambiente proprio perché si tratta di un prodotto non biogeno;
   la dinamica dell'olio combustibile è diversificata: una parte galleggia, una parte si raffredda, si mischia all'acqua di mare e crea grumi neri, una parte ancora cade nei fondali;
   inizialmente sono risultate gravemente interessate le coste dei comuni di Sorso, Porto Torres e Sassari;
   la situazione risultò essere particolarmente grave soprattutto nell'area di Platamona e nella Marina di Sorso dove si è spiaggiata una quantità enorme di catrame; un fronte di oltre 30 chilometri verso est, fino a Marritza e a Punta Tramontana, dove si spostò l'ondata nera;
   risultò gravemente interessata dall'inquinamento petrolifero anche l'area nord della provincia della Gallura, da Santa Teresa di Gallura ad Aglientu, aree vicine al parco nazionale dell'Arcipelago La Maddalena e alla riserva delle Bocche di Bonifacio, in territorio francese;
   la procura della Repubblica di Sassari aprì un'inchiesta;
   l'ipotesi di reato sarebbe disastro ambientale;
   nell'area colpita da questo grave disastro ambientale non risulta in essere alcuna misura specifica di controllo ambientale, nessuna norma speciale di sicurezza per attività pericolose, nessun limite allo sviluppo industriale per proteggere questo prezioso ecosistema marino;
   il Mediterraneo risulta essere il mare più inquinato al mondo da idrocarburi;
   il 30 per cento del traffico commerciale di idrocarburi del pianeta transita nelle nostre acque e innumerevoli sono gli impianti industriali costieri che utilizzano tali risorse. La maggior parte dell'inquinamento arriva proprio dalle operazioni di travaso e trasporto di idrocarburi;
   da notizie di stampa si evince che né lo Stato né la regione si siano costituite parte civile in tale processo per disastro ambientale;
   i termini per la costituzione come parte civile sarebbero scaduti;
   il sottoscritto aveva sollecitato con numerosi e reiterati atti d'indirizzo e di sindacato ispettivo la costituzione come parte civile dello Stato proprio per il grave danno occorso al territorio e all'intero compendio naturalistico;
   il grave danno provocato dallo sversamento nelle coste del nord Sardegna dell'olio combustibile fuoriuscito dalla banchina della società E.On non poteva essere in alcun modo essere ignorato a tal punto da evitare la costituzione come parte civile da parte dello Stato;
   la mancata costituzione come parte civile anche per il risarcimento del danno provocato all'intera costa dal grave sversamento costituisce un gravissimo danno d'immagine e soprattutto si configura come un evidente danno erariale per lo Stato e per la stessa Regione Sardegna –:
   se risultino i motivi della mancata costituzione come parte civile;
   se non ritenga di individuare i responsabili della mancata costituzione e trasmissione degli atti alla Corte dei conti perché proceda alle azioni conseguenti per individuare il danno erariale e la sua compensazione;
   se non ritenga di dover far conoscere quali azioni siano state adottate al fine di ripetersi di simili disastri ambientali, al fine di tutelare le coste della Sardegna;
   se non ritenga di dover con urgenza predisporre un protocollo di sicurezza che metta al sicuro il grande giacimento ambientale delle coste sarde. (5-02316)


   ZARDINI, CARRA, DAL MORO, D'ARIENZO e ROTTA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   presso la direzione VIA della regione Veneto è in corso di istruttoria un procedimento di VIA per un progetto riguardante la realizzazione di una discarica di rifiuti speciali («impianto integrato per operazioni di recupero e smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi costituito da impianto di smaltimento (D 1) di sottocategoria “C” ed impianto per la produzione di energia da fonte rinnovabile, sito in località Cà Baldassarre nel Comune di Valeggio sul Mincio.»), che prevede di localizzare una discarica di rifiuti speciali nell'area interessata dalla discarica Cà Baldassarre, attivata nel 1983 e dal 2000 in fase di post mortem con rilevanti costi per il trattamento del percolato residuo;
   nell'area di interesse da un punto di vista idrogeologico, per effetto della presenza nel sottosuolo di alluvioni ghiaiose ad elevata permeabilità, si riscontra la presenza di una potente e pregiata falda freatica a ridotta soggiacenza rispetto al piano di imposta dell'argilla di tamponamento del fondo dell'invaso della discarica esistente;
   tale conformazione è alla base dell'attribuzione del valore di elevata vulnerabilità idrogeologica dell'area di intervento, che risulta ulteriormente aumentata in funzione delle attività progettate ed, in particolare, in funzione del rischio di sversamento in falda del percolato anche a seguito di eventuali eventi sismici;
   nelle more dell'approvazione del piano regionale del Veneto sui rifiuti speciali, non possono essere rilasciati provvedimenti di approvazione di progetti di impianti di smaltimento o recupero di rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi, né concesse autorizzazioni all'esercizio di nuovi impianti di smaltimento o recupero di rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi, in assenza di una deliberazione del consiglio provinciale competente per il territorio, previo parere dell'osservatorio rifiuti dell'agenzia regionale per la protezione dell'ambiente del Veneto, che accerti l'indispensabilità degli impianti stessi ai fini dello smaltimento o recupero, in ragione dell'osservanza del principio di prossimità tra luogo di produzione e luogo di smaltimento prescritto dall'articolo 11, commi 1 e 2, della legge regionale 21 gennaio 2000, n. 3 e dall'articolo 199, comma 3, lettera d), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
   l'area di intervento ricade nella fascia di ricarica degli acquiferi per la quale la regione Veneto, con delibera n. 952 dell'8 marzo 1994, ha chiesto al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il riconoscimento di area ad «elevato rischio di crisi ambientale» e quindi non idonea alle discariche;
   sono evidenti i notevoli impatti cumulativi tra la vecchia e la nuova discarica sottovalutati dal nuovo progetto, soprattutto in relazione ad un sottofondo che, nella progettazione predisposta, appare in tutta la sua fragilità e rischia di pregiudicare la potabilità della falda;
   relativamente al progetto, i comuni limitrofi e la provincia di Mantova hanno espresso parere contrario, la commissione VIA della provincia di Verona ha dato parere contrario di compatibilità ambientale, confermato anche dai pareri negativi di Arpav provinciale e della provincia di Verona, che «non vedono necessità di discariche di questo tipo per la provincia di Verona»;
   è dunque fondamentale effettuare in via preventiva alla eventuale realizzazione dell'impianto un'approfondita indagine allo scopo di valutare i potenziali rischi di contaminazione degli acquiferi nel medio e lungo periodo e le prevedibili conseguenze sulla fruibilità delle risorse idriche sfruttate, con particolare riguardo a quelle utilizzate a scopo potabile;
   la normativa comunitaria, nonché le vigenti disposizioni normative, in particolare l'articolo 301 del decreto legislativo n. 152 del 2006 prevede l'Attuazione del principio di precauzione in caso di pericoli, anche solo potenziali, per la salute umana e per l'ambiente, dovendosi assicurare un alto livello di protezione ambientale e di tutela della salute umana –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda assumere per garantire un adeguato monitoraggio e controllo dell'inquinamento ambientale delle falde idriche;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno sollecitare l'intervento dei soggetti competenti in materia di controlli ambientali, e in particolare l'ISPRA, al fine di predisporre un accurato piano di monitoraggio e controllo dell'inquinamento del suolo e delle falde superficiali e profonde, pregresso e futuro, in considerazione anche della richiesta della regione Veneto di «dichiarazione di area ad elevata criticità ambientale». (5-02318)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIANCARLO GIORDANO e SCOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la Terna spa ha avviato, nell'ambito del suo programma infrastrutturale nazionale, lavori di scavo nel territorio del comune di Benevento, relativi al cavidotto interrato Benevento Nord-Benevento II/Avellino-Benevento FS da 150 kv dell'elettrodotto Benevento II-Foggia da 380 kv;
   tale intervento incide per alcune centinaia di metri alla località «Pantano» nelle immediate adiacenze di una pista ciclabile provinciale;
   Terna spa dichiara nel progetto esecutivo che i campi elettromagnetici generati dai cavidotti lungo la pista ciclopedonale saranno pari a 97,5 microtesla, valore non consentito dalla normativa vigente;
   la materia è attualmente disciplinata dalla legge 22 gennaio 2001 n. 36 e dal conseguente decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 luglio 2003 che fissa i limiti di esposizioni dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità per la protezione della popolazione dalla esposizione ai campi elettromagnetici alla frequenza di rete (50 hz) generati dagli elettrodotti;
   l'articolo 3 del citato decreto afferma che, a titolo di cautela, nelle aree gioco per l'infanzia, in ambienti abitativi, in ambienti scolastici e nei luoghi adibiti a permanenze non inferiori a quattro ore giornaliere, si assume per l'induzione magnetica il valore di attenzione di 10 microtesla, da intendersi come mediana dei valori nell'arco delle 24 ore;
   l'articolo 4 del citato decreto, inoltre, disciplina la installazione di nuovi elettrodotti in corrispondenza di aree attrezzate, nelle aree gioco per l'infanzia, in ambienti abitativi, in ambienti scolastici e nei luoghi adibiti a permanenze non inferiori a quattro ore giornaliere assumendo per l'induzione magnetica il valore di attenzione di 3 microtesla;
   tali livelli di esposizione saranno però superiori, in quanto la messa in opera dei cavi è avvenuta in difformità rispetto al progetto, e cioè a circa 50 centimetri e non come previsto a 1,05 metri;
   l'autorizzazione ministeriale dell'opera prevede la configurazione elettrica in semplice terna, mentre è evidente sia dalla cartellonistica che dalla posa in opera sulla pista ciclabile che viene realizzato un elettrodotto in doppio terna;
   è necessaria la valutazione complessiva degli interventi fin qui realizzati anche sulle altre parti del cavidotto in oggetto;
   la Terna spa ha modificato in corso d'opera la tipologia di diversi sostegni già realizzati dal tipo monostelo ai tralicci a quanto consta all'interrogante non è nota comunicazione alcuna al comune ed ai Ministeri competenti, ai quali, secondo il decreto di autorizzazione, vanno sottoposte le varianti;
   un esposto dell'associazione «AltraBenevento», datato 10 febbraio 2014, lamenta dalla esecuzione dei lavori in corso gravi danni alla salute pubblica a causa delle immissioni di induzione magnetica;
   con ordinanza sindacale del 14 febbraio 2014 e protocollo 2014/12640 l'amministrazione comunale di Benevento, nella persona dell'ingegner Fausto Pepe, ordinava con decorrenza immediata la realizzazione dei lavori dell'elettrodotto in questione;
   veniamo a conoscenza di tali notizie documentate attraverso atti pubblici e progettuali dopo un elaborato lavoro di connessione alle istanze, alle preoccupazioni ed alle esigenze di risposte rispetto all'operato di Terna spa da parte dei comitati congiunti ed autonomi delle contrade interessate dall'elettrodotto in oggetto –:
   quali iniziative immediate i Ministri intendano, per quanto di competenza, adottare rispetto alla conoscenza del piano di ampliamento nazionale delle infrastrutture che Terna spa intende realizzare;
   se non ritengano opportuno effettuare immediate verifiche sulle autorizzazioni ministeriali in oggetto;
   se e quali azioni di verifica si intendano adottare per garantire che l'esecuzione di tali interventi sia rispondente alla normativa vigente ed agli elaborati di programmazione territoriale nell'elaborare iniziative e percorsi. (4-03920)


   ZAN e AIELLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   numerose associazioni ambientaliste tra cui Legambiente, WWF, Greenpeace, Movimento dell'acqua hanno promosso un appello rivolto ai sindaci azionisti del gruppo Hera dei comuni delle province della Romagna, Bologna, Modena, Ferrara, Padova, Trieste per chiedere che l'Hera esca dal progetto di centrale a carbone di Saline Ioniche;
   nell'appello si legge: questo progetto di nuova centrale a carbone in questa importante area calabrese a vocazione agricola (in particolare per la produzione di bergamotto), ha suscitato una vasta opposizione da parte di associazioni sociali e ambientali, ma più in generale, non ha ragione di essere proseguito, in primo luogo per l'impatto altamente inquinante del carbone, poi per la situazione di sovraccapacità nella produzione elettrica, che vede la Calabria esportare circa l'80 per cento dell'energia prodotta in regione;
   il gruppo Hera partecipa con il 20 per cento del capitale al consorzio SEI, costituito nel 2007 per il progetto di costruzione di una centrale a carbone a Saline Ioniche (RC). Tale consorzio è costituito insieme a Repower che partecipa con il 57,7 per cento Foster Wheeler Italiana srl con il 15 per cento Apri Sviluppo spa con il 7.5 per cento;
   il gruppo Hera, multiutility leader nei servizi ambientali, idrici ed energetici nasce nel 2002 dall'unione di undici aziende di servizi pubblici dell'Emilia Romagna, continuando negli anni successivi la propria crescita territoriale. Al 30 settembre 2013 l'azionariato è così ripartito: 31,2 per cento Free float, 5,3 per cento comuni della provincia di Padova, 5,3 per cento comuni della provincia di Trieste, 21,7 per cento comuni delle province della Romagna, 10,5 per cento comuni della provincia di Modena, 15,4 per cento comuni della provincia di Bologna, 2,6 per cento comuni della provincia di Ferrara, 8 per cento patti soci privati;
   con un comunicato diffuso a mezzo stampa lunedì 16 dicembre 2013, la società elvetica Repower, azionista di maggioranza del gruppo SEI (Saline Energie Ioniche) spa, ha ufficializzato l'uscita dal progetto di costruzione di una centrale a carbone a Saline Ioniche, prendendosi due anni di tempo per dar seguito al «ritiro ordinato dal progetto». Questa scelta è conseguente al risultato del referendum che si è tenuto il 22 settembre 2013 nel Cantone dei Grigioni (che detiene il 58 per cento della società) in cui i cittadini elvetici a maggioranza si sono espressi «Sì all'energia pulita senza carbone». Un risultato ottenuto grazie all'impegno degli ambientalisti svizzeri che hanno lavorato in stretta collaborazione con gli ambientalisti italiani, in particolare calabresi;
   le associazioni chiedono che anche dopo la decisione di Repower il progetto venga cancellato, evitando che attuali o altri azionisti subentrino nelle quote della società elvetica. Se il consorzio — dicono nell'appello — volesse mantenere un interesse nel campo energetico, ci sono ampie possibilità nello sviluppo delle fonti rinnovabili e dell'efficienza energetica e non certo nelle fonti fossili e in una centrale a carbone;
   ai sindaci azionisti di maggioranza del gruppo Hera si chiede che la società esca dal progetto di centrale a carbone a Saline Ioniche, facendo valere quei principi di sostenibilità sociale e ambientale, spesso dichiarati dal gruppo Hera che dovrebbero portare ad un impegno del gruppo per investire nel miglioramento dei servizi pubblici locali nei territori invece che in discutibili partecipazioni;
   l'investimento di Hera appare oltre che ambientalmente insostenibile anche rischioso da un punto di vista finanziario;
   la centrale dovrebbe sviluppare a pieno regime una potenza pari a 1.320 Mwe nominali su un'area già aggravata dalla realizzazione dello stabilimento della Liquichimica, che ha devastato il territorio senza mai entrare in funzione;
   oltre alle varie iniziative di sensibilizzazione di tutte le associazioni ambientaliste nazionali e locali, sono state messe in campo azioni giudiziarie da parte delle associazioni, della regione Calabria, dell'associazione dei produttori di bergamotto che riceverebbero un grave danno dalla presenza della centrale:
   i ricorsi al Tar del Lazio chiedono l'annullamento del decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 5 aprile 2013 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 24 aprile 2013 con cui è stata decretata «la compatibilità ambientale e l'autorizzazione al successivo esercizio del progetto proposto dalla società S.E.I. S.p.A., da localizzare nel comune di Montebello Jonico (RC), località Saline Ioniche» nonché degli atti preparatori quali il provvedimento del Consiglio dei Ministri del 15 giugno 2012 che ha decretato «la compatibilità ambientale e l'autorizzazione all'esercizio» e il parere n. 559 del 21 ottobre 2010 espresso dalla commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA-VAS;
   la regione Calabria ha espresso fin dalla prima seduta al Ministero dell'economia e delle finanze parere negativo perché il progetto si pone in contrasto con il PEAR che prevede investimenti nella direzione dell'energia rinnovabile e con gli obiettivi di sviluppo territoriale; inoltre la Calabria ha già altre centrali termoelettriche; la stessa regione Calabria ritiene che ci sia stato uno sconfinamento dei poteri del Governo che non ha tenuto conto del parere dell'ente;
   il Ministero dei beni e delle attività culturali ha dato parere negativo per la presenza del vincolo archeologico nell'area e per l'impatto paesaggistico. I lavori dell'elettrodotto interesserebbero l'area ZPS (zone di protezione speciale) Cosa Viola e 9 SIC (siti di interesse comunitario);
   la sostenibilità finanziaria dell'investimento appare discutibile anche alla luce del ritiro del gruppo di maggioranza Repower;
   il Governo è impegnato con l'Europa per definire i target di emissioni di anidride carbonica più rigorosi per il 2030 –:
   se il Governo non intenda rivedere il parere favorevole alla costruzione di questa nuova centrale a carbone di Saline Ioniche per tutto quanto esposto in premessa, anche alla luce del fatto che il carbone è il fossile maggiormente responsabile dei cambiamenti climatici ed è altamente inquinante, e registra la vasta contrarietà di ampi settori della società civile e del territorio, delle istituzioni locali, tra cui la regione Calabria, dei sindacati, delle forze produttive. (4-03925)


   PILI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'esame comparato del decreto Destinazione Italia fa emergere in tutti i suoi
elementi quello che all'interrogante appare il grande scacco messo in atto sulle bonifiche dei siti inquinati in Italia;
   emerge e viene confermata ad avviso dell'interrogante la strategia messa in campo ripetutamente dai poteri forti e attuata reiteratamente negli ultimi anni, dal decreto Salva Italia a Destinazione Italia, che introducono evidenti attuazioni del principio chi inquina paga agevolandone di fatto l'elusione. Siamo dinanzi al più evidente condono sotterraneo delle bonifiche in Italia. Si tratta di un'operazione già tentata nei mesi scorsi e scongiurata in parte e che ora si riaffaccia prepotentemente con il cosiddetto decreto Destinazione Italia che introduce norme esplicite che, sostanzialmente condonano e, anzi, finanziano gli affari di chi avrebbe dovuto bonificare;
   la lettura attenta e comparata delle norme conferma che l'operazione che si sta mettendo in campo è pianificata su larga scala ed appare evidente chi sarà il maggiore «utilizzatore finale» del condono, ossia l'ENI;
   otto sono i punti nevralgici in cui la nuova normativa «Destinazione Italia» consentirà agli inquinatori di utilizzare denaro pubblico per i propri affari:
   1) si prevedono accordi di programma per provvedere alle bonifiche derubricando di fatto a mero provvedimento amministrativo e negoziale un obbligo di legge, civile e penale; (articolo 4 comma 1);
   2) si pongono sullo stesso piano le bonifiche «o» progetti di messa in sicurezza ambientale, lasciando un margine finanziario e oggettivo tra le due soluzioni davvero insostenibile;
   3) individuazione contributi pubblici e misure di sostegno economico finalizzate alle nuove attività, a prescindere dalla realizzazione delle bonifiche;
   4) individuazione interventi di riconversione industriale preventivamente alla bonifica con la definizione di due percorsi separati, sia sulla tempistica che per il finanziamento, ovvero: mera pianificazione finanziaria per le bonifiche e su altra corsia realizzazione di interventi di riconversione industriale;
   5) avvio esplicito della riconversione che, secondo il decreto, deve essere avvenire a prescindere dalla bonifica (valutazione economica di dieci anni);
   6) condono tombale-esclude per tali soggetti proprietari dell'area inquinata ogni altro obbligo di bonifica e riparazione ambientale e fa venir meno l'onere reale per tutti i fatti antecedenti all'accordo medesimo;
   7) i soldi pubblici non sarebbero erogati per pagare le bonifiche ma per acquisto beni strumentali per la riconversione industriale e allo sviluppo economico;
   8) la pubblica amministrazione «può» e non «deve» agire autonomamente in tutti gli altri casi di bonifica;
   in particolar modo e nel dettaglio nell'articolo 4 del decreto denominato «Destinazione Italia» che dispone «Misure volte a favorire la realizzazione delle bonifiche dei siti di interesse nazionale e misure particolari per l'area di crisi complessa del porto di Trieste» si prevede:
    al comma 11 «Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministro dello (sviluppo economico), d'intesa con la regione territorialmente interessata e, per le materie di competenza, con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, nonché con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo per gli aspetti di competenza in relazione agli eventuali specifici vincoli di tutela insistenti sulle aree e sugli immobili, possono stipulare accordi di programma con uno o più proprietari di aree contaminate o altri soggetti interessati ad attuare progetti integrati di messa in sicurezza o bonifica, e di riconversione industriale e sviluppo economico in siti di interesse nazionale individuati entro il 30 aprile 2007 ai sensi della legge 9 dicembre 1998, n. 426, al fine di promuovere il riutilizzo di tali siti in condizioni di sicurezza sanitaria e ambientale, e di preservare le matrici ambientali non contaminate. Sono escluse le aree interessate dalle misure di cui al decreto-legge 4 giugno 2013, n. 61, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n. 89, e successive modificazioni.
    nel comma 1 dell'articolo 4 del suddetto decreto si determina in modo esplicito e funzionale l'obiettivo di rendere sempre più discrezionale e negoziale la normativa in materia di bonifiche;
    in particolar modo nel comma 1 articolo 4, novellando l'articolo 252-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006 si prevede la stipula di accordi di programma derubricando a fatto amministrativo e negoziale un preciso obbligo di legge, sia civile che penale, per l'applicazione del principio che inquina paga;
   sempre nel comma 1 si fa riferimento a «soggetti interessati ad attuare progetti integrati di messa in sicurezza o bonifica» ponendo sullo stesso piano i due interventi e lasciando quindi aperto un varco discrezionale assolutamente sia sul piano normativo che sostanziale, considerata la rilevante differenza tra bonifica e messa in sicurezza;
   al comma 2 della novella, lettera e) si prevede di disciplinare «contributi pubblici e le altre misure di sostegno economico finanziario disponibili e attribuiti»;
   con tale previsione di stanziamento di contributi pubblici in alcun modo codificati e non parametrati si demanda ad una previsione amministrativa del tutto discrezionale che confligge in modo chiaro ed evidente con il principio «chi inquina paga»;
   al comma 5 della novella si prevede: «il termine finale per il completamento degli interventi di riparazione del danno ambientale è determinato in base ad uno specifico piano finanziario presentato dal soggetto interessato tenendo conto dell'esigenza di non pregiudicare l'avvio e lo sviluppo dell'iniziativa economica e di garantire la sostenibilità economica di detti interventi, comunque in misura non inferiore a dieci anni»;
   nel comma 5 si fa esplicita, dunque, menzione di una doppia tempistica relativa agli interventi di «riparazione del danno ambientale», definizione ambigua tra bonifica e messa in sicurezza, rispetto allo sviluppo dell'iniziativa economica;
   in particolar modo al comma 5 della novella si procede all'individuazione interventi di riconversione industriale preventivamente alla bonifica con la definizione di due percorsi separati, sia sulla tempistica che per il finanziamento, ovvero: mera pianificazione finanziaria per le bonifiche e su altra corsia realizzazione di interventi di riconversione industriale;
   al comma 6 della novella si prevede: «L'attuazione da parte dei soggetti interessati degli impegni di messa in sicurezza, bonifica, monitoraggio, controllo e relativa gestione, e di riparazione, individuati dall'accordo di programma esclude per tali soggetti ogni altro obbligo di bonifica e riparazione ambientale e fa venir meno l'onere reale per tutti i fatti antecedenti all'accordo medesimo».
   il dispositivo del comma 6 della novella è nella sua formulazione discrezionale, ambiguo e dispone di fatto un condono tombale su «ogni altro obbligo di bonifica»;
   appare evidente che tale formulazione tesa ad escludere ogni altro obbligo di bonifica lascia intendere la sollevazione da oneri di bonifica non individuati o addirittura omessi, consentendo un «condono tombale» e immodificabile proprio per la disposizione che «esclude ogni altro onere»;
   nella formulazione ancora più chiara, assolve tutto il pregresso che di fatto si prende in considerazione ma si punta a «far venir meno» per tutti i fatti antecedenti all'accordo medesimo;
   il proprietario dell'area inquinata finirebbe per ricevere dallo Stato non solo il pagamento degli oneri delle bonifiche ma anche i finanziamenti per gli investimenti dei nuovi impianti che saranno ubicati nei siti inquinati e dichiarati automaticamente di pubblica utilità, per giunta senza disciplinare le caratteristiche dell'investimento, che in teoria potrebbe essere più invasivo del precedente;
   tutto ciò si configura secondo l'interrogante come un vero e proprio condono tombale proprio per la stessa formulazione adottata che esplicita l'intendimento di chi ha proposto la norma: salvare gli inquinatori ed evitare di far pagare chi ha inquinato o è subentrato all'inquinamento stesso;
   sempre al comma 6 è previsto: «Nel caso di soggetto interessato responsabile della contaminazione, i contributi e le misure di cui alla lettera e) del comma 2 non potranno riguardare le attività di messa in sicurezza, di bonifica e di riparazione del danno ambientale di competenza dello stesso soggetto, ma esclusivamente l'acquisto di beni strumentali alla riconversione industriale e allo sviluppo economico dell'area»;
   in questa norma si esplicita l'obiettivo non solo di non far pagare i danni ambientali ma anche quello di pagare con denaro pubblico coloro che li hanno commessi o che ne hanno l'onere in conseguenze della proprietà del bene;
   aver scisso lo stanziamento pubblico dal finanziamento per il pagamento delle bonifiche e la messa in sicurezza a quello dei beni strumentali per la riconversione è, secondo l'interrogante un chiaro e palese aggiramento del principio chi inquina paga;
   un aggiramento del principio imporrebbe ad avviso dell'interrogante l'accertamento di danni erariali qualora la stessa norma dovesse essere messa in atto con provvedimenti di natura amministrativa da qualsiasi soggetto pubblico;
   si tratta, infatti, di contributi pubblici e misure di sostegno economico finalizzate alle nuove attività, a prescindere dalla realizzazione delle bonifiche;
   il comma 7 della novella dispone: «Al di fuori dei casi che rientrano nel campo di applicazione del comma 5, la pubblica amministrazione può agire autonomamente nei confronti del responsabile della contaminazione per la ripetizione delle spese sostenute per gli interventi di messa in sicurezza e di bonifica individuati dall'accordo nonché per gli ulteriori interventi di bonifica e riparazione del danno ambientale nelle forme e nei modi previsti dalla legge»;
   in tale disposto normativo si allenta ulteriormente l'azione risarcitoria verso chi ha inquinato o non ha eseguito a regola d'arte gli interventi di bonifica e messa in sicurezza delle aree contaminate;
   la formulazione proposta dal comma 7 articolo 4 prevede infatti che la pubblica amministrazione «può» e non già «deve» agire autonomamente. Questa disposizione lascia aperto una variabile discrezionale rilevantissima nell'azione della pubblica amministrazione;
   tale dispositivo normativo appare ispirato e sulla stessa lunghezza d'onda di quello proposto e poi parzialmente modificato nel provvedimento del 2011 denominato «Salva Italia» che apriva di fatto ad una vera e propria moratoria degli obblighi di risanamento da parte delle aziende. In quel caso le disposizioni contenute nell'articolo 40 comma 5 si configuravano di fatto come un condono silenzioso degli obblighi di bonifica dei siti contaminati per le aziende inquinatrici;
   appare evidente che nei ministeri competenti si continua ad operare con proposte che in modo subdolo tendono a favorire un vero e proprio condono tombale delle bonifiche;
   a tal punto appare davvero una conferma di questo intendimento la ridicola
quanto ammissiva dichiarazione resa dal «Ministero dell'ambiente» che nei giorni stessi dell'approvazione della norma che di fatto «cancella» le bonifiche e pone i relativi oneri a carico degli italiani aveva avuto l'ardire di dichiarare in forma anonima, senza dichiarare l'autore della stessa nota: «Tuttavia, per fugare ogni incertezza in merito ed elaborare risposte che, ove ritenuto indispensabile, potranno eventualmente tradursi anche in maggiori chiarimenti del testo di legge, gli uffici tecnici del ministero stanno lavorando per dissipare qualunque ombra sulla norma in oggetto».
   il fatto stesso che il ministero stia lavorando per dissipare qualunque ombra è evidente che ve n’è più di una;
   quelli definiti «accordi di programma» con i soggetti responsabili dell'inquinamento prima del 2007 non sono nient'altro che accordi tesi a porre l'onere finanziario in massima parte in carico allo Stato;
   la mancata definizione di un importo limite al sostegno pubblico, né una proporzione sul valore complessivo dell'accordo di programma rende tutto ancor più grave compresa la determinazione normativa che la parte di stanziamento privato usufruirà anche del credito d'imposta;
   in questo contesto appare del tutto assente un seppur minimo ed elementare concetto di sostenibilità ambientale per i nuovi interventi proposti a partire per esempio dal recupero di aree minerarie dismesse ai fini turistico ricettivi, archeologico industriali;
   si tratta obiettivamente di un vero e proprio condono per chi ha inquinato e chi tenta ora di lucrare sulle stesse aree inquinate;
   le modifiche introdotte alla Camera sull'articolo 4, non hanno di fatto risolto niente, considerato che le risorse pubbliche da parte del privato saranno utilizzate per le spese d'investimento e non per le bonifiche, ma è evidente che, come detto, il prodotto non cambia, perché si tratta sempre di denaro pubblico che finisce nelle tasche degli inquinatori;
   una volta sottoscritto l'accordo di programma che stanzia le risorse pubbliche a favore del privato, qualora venisse successivamente individuata un ulteriore inquinamento rispetto a quello accertato, non sarebbe più a carico dell'inquinatore privato ma del soggetto pubblico –:
   se non ritenga il Governo di assumere un'iniziativa normativa urgente tesa ad abrogare le norme richiamate in premessa al fine di ribadire, senza nessuna deroga o variabile, l'obbligo alla preventiva bonifica dei siti inquinati e la piena assunzione della responsabilità economica dell'onere della stessa bonifica da parte dei privati o dei soggetti responsabili dell'inquinamento o titolari dell'area stessa;
   se non ritenga di dover assumere un'iniziativa normativa diretta a escludere qualsiasi previsione di esonero di obblighi per qualsiasi tipo di inquinamento pregresso alla data di sottoscrizione degli accordi stessi;
   se non ritenga di dover assumere iniziative dirette a escludere qualsiasi tipo di intervento economico pubblico in favore di chi ha inquinato o ha la titolarità delle aree inquinate;
   se non ritenga di dover assumere un'iniziativa normativa che preveda che qualsiasi intervento di bonifica sia preventivo, sia nella pianificazione che nell'esecuzione, a qualsiasi intervento di riconversione;
   se non ritenga di dover assumere iniziative normative per eliminare la possibilità che possano essere avviati processi di riconversione senza aver prima definito e concluso gli interventi di bonifica proprio per evitare che si mettano in atto interventi di riconversione a prescindere da quelli di bonifica;
   se non ritenga di dover assumere un'iniziativa urgente al fine di verificare la puntuale costituzione in giudizio da parte dello Stato relativamente alle situazioni di inquinamento con particolare riferimento alla stessa condanna al pagamento dei danni da parte dei soggetti artefici dell'inquinamento o comunque titolari dell'area stessa;
   se non ritenga di dover valutare i presupposti per segnalare alla Corte dei conti eventuali omissioni relative a mancate costituzioni dello Stato come parte civile in danni all'ambiente e gli eventuali responsabili;
   se non ritenga di dover sospendere qualsiasi tipo di accordo di programma in attesa di una puntuale e sostanziale modifica della norma così come indicato nella premessa di questo atto di sindacato ispettivo. (4-03926)


   PILI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il GUP del Tribunale di Sassari Carla Altieri ha dichiarato prosciolti per intervenuta prescrizione gli imputati Gianfranco Righi, rappresentante legale Syndial, Guido Safran, rappresentante legale Sasol, Diego Carmello e Francesco Maria Apeddu, rappresentante legale e direttore stabilimento Ineos;
   in caso di condanna gli imputati rischiavano pene superiori ai 15 anni di reclusione, perché, per la prima volta in Italia in questo tipo di processo, l'accusa sosteneva che ci fosse stato il dolo;
   a nessuno è stata imputata la responsabilità per le sostanze inquinanti scaricate in mare da alcuni impianti dell'ex petrolchimico della cittadina portuale del nord Sardegna, attraverso le fogne dello stabilimento;
   gli ex dirigenti del petrolchimico erano accusati di avvelenamento colposo del mare di La Marinella (lo specchio davanti allo stabilimento di Porto Torres), disastro ambientale colposo e violazione delle norme che fissano quali sostanze possano essere smaltite attraverso gli scarichi industriali;
   in mare – fu accertato – erano finiti per anni flussi di cadmio, mercurio, Pcb (il letale policlorobifenile), e ancora benzene, rame, zinco, cianuri. Sostanze che avrebbero avvelenato i pesci e la flora della darsena;
   sotto indagine erano finiti gli scarichi industriali immessi dalle fabbriche nella rete fognaria, ma soprattutto il sistema di depurazione. Un sistema che, secondo le accuse, sarebbe stato costruito in modo da realizzare «la mutua diluizione dei reflui immessi nell'impianto». Una sorta di miscelazione preventiva per confondere la provenienza e le responsabilità;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha competenza diretta e primaria in materia di tutela risarcitoria contro i danni all'ambiente;
   in particolar modo il Titolo I – articolo 299 del codice ambientale dispone in materia di Competenze ministeriali:
    «1. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio esercita le funzioni e i compiti spettanti allo Stato in materia di tutela, prevenzione e riparazione dei danni all'ambiente, attraverso la Direzione generale per il danno ambientale istituita presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio dall'articolo 34 del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 4, e gli altri uffici ministeriali competenti;
    2. L'azione ministeriale si svolge normalmente in collaborazione con le regioni, con gli enti locali e con qualsiasi soggetto di diritto pubblico ritenuto idoneo;
    3. L'azione ministeriale si svolge nel rispetto della normativa comunitaria vigente in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, delle competenze delle regioni, delle province autonome di Trento e di Bolzano e degli enti locali con applicazione dei principi costituzionali di sussidiarietà e di leale collaborazione;
    4. Per le finalità connesse all'individuazione, all'accertamento ed alla quantificazione del danno ambientale, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si avvale, in regime convenzionale, di soggetti pubblici e privati di elevata e comprovata qualificazione tecnico-scientifica operanti sul territorio, nei limiti delle disponibilità esistenti;
    5. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, con proprio decreto, di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e delle attività produttive, stabilisce i criteri per le attività istruttorie volte all'accertamento del danno ambientale e per la riscossione della somma dovuta per equivalente patrimoniale ai sensi del titolo III della parte sesta del presente decreto. I relativi oneri sono posti a carico del responsabile del danno;
    6. Ai fini dell'attuazione delle disposizioni contenute nel presente articolo, il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le necessarie variazioni di bilancio»;
   all'articolo 300 della medesima disposizione si disciplina il danno ambientale:
    «1. È danno ambientale qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell'utilità assicurata da quest'ultima;
    2. Ai sensi della direttiva 2004/35/CE costituisce danno ambientale il deterioramento, in confronto alle condizioni originarie, provocato:
     a) alle specie e agli habitat naturali protetti dalla normativa nazionale e comunitaria di cui alla legge 11 febbraio 1992, n. 157, recante norme per la protezione della fauna selvatica, che recepisce le direttive 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979; 85/411/CEE della Commissione del 25 luglio 1985 e 91/244/CEE della Commissione del marzo 1991 ed attua le convenzioni di Parigi del 18 ottobre 1950 e di Berna del 19 settembre 1979, e di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, recante regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche, nonché alle aree naturali protette di cui alla legge dicembre 1991, n. 394, e successive norme di attuazione;
     b) alle acque interne, mediante azioni che incidano in modo significativamente negativo sullo stato ecologico, chimico e/o quantitativo oppure sul potenziale ecologico delle acque interessate, quali definiti nella direttiva 2000/60/CE, ad eccezione degli effetti negativi cui si applica l'articolo 4, paragrafo 7, di tale direttiva;
     c) alle acque costiere ed a quelle ricomprese nel mare territoriale mediante le azioni suddette, anche se svolte in acque internazionali;
     d) al terreno, mediante qualsiasi contaminazione che crei un rischio significativo di effetti nocivi, anche indiretti, sulla salute umana a seguito dell'introduzione nel suolo, sul suolo o nel sottosuolo di sostanze, preparati, organismi o microrganismi nocivi per l'ambiente»;
   appare evidente che tali condizioni di danno ambientale sono tuttora presenti, e in alcun modo attenuate, nell'ambito del sito oggetto di indagini e di prescrizione del reato;
   risulta, infatti, che nessun tipo di intervento di bonifica sostanziale sia stato messo in atto da parte dei soggetti titolari dell'onere e dell'obbligo alla bonifica;
   risulta, quindi, evidente che esistano tutti i presupposti non solo per la riapertura del procedimento giudiziario, proponendo eventualmente una nuova e reiterata denuncia sul grave danno compiuto e che reiteratamente viene messo in atto verso l'area industriale di Porto Torres e i compendi naturalistico-ambientali dell'area circostante;
   tale conferma si evince dalla situazione di stallo che esiste ormai da oltre dieci anni sulla questione relativa alle bonifiche di quell'area, considerato l'atteggiamento dilatorio messo in atto proprio dal soggetto responsabile delle bonifiche stesse e dell'inquinamento che ancor oggi persiste in quell'area;
   è evidente che il danno ambientale è in essere considerato che, non sono state avviate e tantomeno, conseguentemente, concluse le opere di messa in sicurezza e bonifica delle aree e degli specchi acquei interessati;
   le analisi compiute anche recentemente confermano il grave pericolo e la compromissione ambientale conseguente alla mancata bonifica del sito;
   tali analisi confermano che persiste l'inquinamento di specchi acquei, a partire dalla stessa darsena;
   in tal senso è in capo al Ministero competente la possibile reiterazione della denuncia per colpa nei confronti delle società resesi responsabili del danno e del reato stesso di inquinamento;
   dalla cronistoria delle procedure di attivazione delle bonifiche si evince poi un chiaro ed evidente intento dilatorio avvallato da più soggetti teso ad eludere l'obbligo alle bonifiche stesse;
   in tal senso si ricorda che il primo atto disposto al fine dell'attivazione delle bonifiche fu siglato il 14 luglio 2003 nella sede della Presidenza del Consiglio dei ministri, a Palazzo Chigi, attraverso l'accordo di programma tra la regione Sardegna, il Governo e numerosi altri soggetti istituzionali, datoriali, sociali e privati per la qualificazione dei poli chimici della Sardegna e le relative bonifiche;
   l'accordo veniva sottoscritto dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, Ministero dell'economia e delle finanze, Ministero per le attività produttive, Ministero dell'ambiente e tutela del territorio, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dalla regione autonoma della Sardegna, Sviluppo Italia spa, Osservatorio nazionale per la Chimica, Osservatorio regionale per la Chimica, provincia di Cagliari, provincia di Nuoro, provincia di Sassari, comune di Assemini, comune di Ottana, comune di Porto Torres, comune di Sarroch, comune di Uta, organizzazioni sindacali Regionali: CGIL, CISL, UIL, organizzazioni sindacali territoriali: CGIL, CISL, UIL, FULC Nazionale, FULC Regionale, FULC Territoriale, Confindustria regionale, Confindustria Cagliari, Confindustria Nuoro, Confindustria Sassari, Api Sarda, Federchimica, Unionchimica, Consorzio per l'area di sviluppo industriale di Cagliari, Consorzio per lo sviluppo industriale della Sardegna centrale, Area di sviluppo industriale di Sassari-Porto Torres, Syndial, Polimeri Europa, EVC (European Vinyls Corporation), Montefibre, AES, DOW, SASOL (Italy), Fluorsid, Lorica, Mini Tow, Territorio e Impresa, Endesa;
   nell'ambito dell'accordo, relativamente ai principali siti chimici di Assemini, Ottana e Porto Torres, si prendeva atto della presenza di vaste aree dismesse o sottoutilizzate, nonché dall'obsolescenza o assenza di molte infrastrutture primarie e da fenomeni di inquinamento che presupponevano l'avvio immediato di interventi di bonifica e riqualificazione in funzione delle previste politiche di reindustrializzazione e rinnovata promozione dei sistemi economici locali;
   in data 22 gennaio 2002 era stato sottoscritto il protocollo per gli interventi di risanamento ambientale dei siti EniChem SpA e Polimeri Europa Srl, sottoscritto dagli enti interessati, inerente le procedure da adottare nel rispetto del decreto legislativo n. 22 del 1997 e del decreto ministeriale n. 471 del 1999 ed in conformità alla delibera di giunta regionale n. 34/22 del 10 ottobre 2001;
   nell'ambito di tali accordi e protocolli si prevedeva di risanare e tutelare l'ambiente attraverso azioni di disinquinamento, bonifica e messa in sicurezza dei siti, di riduzione delle emissioni in atmosfera e di prevenzione dei rischi di incidenti rilevanti, non solo con riferimento a quelli previsti dai piani di caratterizzazione ai sensi del decreto legislativo n. 22 del 1997 di competenza delle imprese, ma anche a quelli esterni interessati da fenomeni di inquinamento specifico;
   all'articolo 5 (Tutela dell'ambiente) dell'accordo del 14 luglio 2003 si prevedeva: «Le azioni a tutela dell'ambiente, funzionali alla attuazione degli interventi previsti dal presente Accordo, nel rispetto della vigente normativa regionale e nazionale, prevedono: lo smantellamento degli impianti dismessi e la messa in sicurezza e/o bonifica dei siti; l'individuazione dei piani di miglioramento sui temi dell'ambiente e della sicurezza»;
   all'articolo 10 (impegni delle imprese) era previsto: «Le Imprese firmatarie dell'Accordo si impegnano a creare le condizioni per rafforzare le proprie attività industriali nel quadro dei rispettivi piani strategici. Su tali basi, il contributo per il consolidamento possibile e la riqualificazione dei siti, finalizzata a favorire i processi di valorizzazione delle filiere esistenti e reindustrializzazione, anche nell'ottica della valorizzazione dell'imprenditoria locale, si articola in misure e tipologie diverse in rapporto alla specifica situazione industriale propria di ciascuna azienda, con riferimento a: investimenti per il miglioramento della sicurezza, anche in funzione delle recenti normative in materia e/o di riduzione dell'impatto ambientale; investimenti per la bonifica e messa in sicurezza dei siti produttivi anche in funzione dei previsti piani di reindustrializzazione delle aree di crisi»;
   l'articolo 14 della legge 31 luglio 2002, n. 179, concernente disposizioni in materia ambientale, su indicazione della regione Sardegna aveva precedentemente individuato il sito di interesse nazionale di «Aree industriali di Porto Torres»;
   il 7 febbraio 2003 (Gazzetta Ufficiale n. 94 del 23 aprile 2003), su richiesta del Presidente della regione Sardegna, è stato emanato il decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con il quale è stato perimetrato il sito di interesse nazionale di «aree industriali di Porto Torres»;
   il 22 settembre 2009 è stato stipulato a Roma l'accordo di programma tra la regione autonoma della Sardegna, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la provincia di Sassari, i comuni di Porto Torres e di Sassari per la definizione degli interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza d'emergenza e bonifica nel sito di interesse nazionale di «Porto Torres»;
   la firma dell'accordo di programma segue il decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 7 febbraio 2003 che ha perimetrato il sito di interesse nazionale di «Porto Torres»;
   il sito di interesse nazionale (SIN) «Aree industriali di Porto Torres» è situato nel comprensorio nord-occidentale della Sardegna, si sviluppa a ridosso del Golfo dell'Asinara (area protetta), a ponente della città di Porto Torres e si estende sul territorio dei comuni di Porto Torres e Sassari, per una superficie complessiva di oltre 4.500 ettari;
   l'area perimetrata si estende su oltre 1.800 ettari e comprende il Polo Petrolchimico (stabilimenti Syndial e discariche controllate e non interne agli stabilimenti medesimi quali l'area Minciaredda, la discarica «Cava Gessi», discariche industriali ed altre aree interessate dallo smaltimento di rifiuti, stabilimenti Ineos Vinyls-ex EVC, Sasol ed altri), il Polo Elettrico (centrale E.ON.-ex Endesa e impianti Terna), le aree del Consorzio ASI di Porto Torres;
   l'area marina antistante il nucleo industriale, già definita dalla perimetrazione di cui al citato decreto ministeriale 7 febbraio 2003, comprende il porto industriale di Porto Torres e si estende tra la foce del Rio Mannu (confine orientale) e lo Stagno di Pilo (confine occidentale) per una superficie complessiva di circa 2.700 ettari;
   nell'ambito della complessa situazione ambientale dell'area di Porto Torres risultano emblematici i dati relativi all'inquinamento riscontrato nella darsena del porto industriale di Porto Torres: il rapporto predisposto dalla Direzione per la tutela del territorio e dall'Ispra allegato al verbale della conferenza dei servizi rileva livelli di benzene 417 mila volte oltre i parametri consentiti dalla normativa, toluene 3300 volte, etilbenzene 226 volte, e altre decine di sostanze cancerogene – tutte riconducibili comunque alle lavorazioni dello stabilimento chimico e dell'area industriale – ben al di sopra dei limiti consentiti;
   il 5 settembre 2011 la provincia di Sassari attraverso un'ordinanza del settore ambiente intima alla Syndial di provvedere immediatamente alla messa in sicurezza di emergenza, alla predisposizione del piano di caratterizzazione e alle conseguenti attività di bonifica dello specchio d'acqua nella darsena servizi del porto industriale di Porto Torres;
   l'ordinanza della provincia di Sassari rileva una particolare recrudescenza del già grave fenomeno di inquinamento per la quale la capitaneria aveva chiesto all'Arpas di procedere alle verifiche del caso;
   le Indagini dell'Arpas avevano rilevato le anomalie di funzionamento del sistema di emungimento e barrieramento idraulico a causa delle quali le acque di falda contaminate, che circolano sotto l'area industriale, sono in diretta correlazione con lo stato di contaminazione dello specchio d'acqua antistante la darsena, constatando così un chiaro rapporto di causa-effetto fra lo stato di contaminazione a monte del sistema di barrieramento e quello della darsena;
   il 10 novembre 2011 il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, firma il decreto che autorizza l'avvio dei lavori previsti dal progetto operativo di bonifica e trattamento delle acque di falda. L'importo dell'intervento è stimato in circa 125 milioni di euro;
   i lavori di bonifica e trattamento delle acque di falda, come previsto dal decreto, sarebbero dovuti iniziare entro quattro mesi;
   il cronoprogramma delle bonifiche che Syndial prevede ad oggi, una spesa totale di circa 530 milioni di euro;
   in data 15 novembre 2011 (cinque giorni dopo la firma del decreto del Ministro) la Syndial presentò ricorso avverso le ordinanze della provincia di Sassari relativamente alle bonifiche e all'urgente intervento di messa in sicurezza della darsena;
   il comportamento della Syndial, società del gruppo ENI, risulta essere per l'interrogante non solo dilatorio ma inaccettabile sia sul piano amministrativo, politico e istituzionale considerato che la società del gruppo Eni non solo è responsabile del più imponente inquinamento della Sardegna ma con questo ulteriore ricorso reitera la strada perversa dei ricorsi per bloccare il ripristino di aree a terra e a mare dall'inquinamento provocato negli anni;
   nel ricorso presentato dalla Syndial per bloccare la bonifica della darsena di Porto Torres appare all'interrogante palese il tentativo di sviare le responsabilità che appaiono evidenti rispetto all'inquinamento di benzene registrato nell'area;
   il tentativo, ad avviso dell'interrogante pretestuoso, che l'Eni persegue attraverso il nuovo ricorso risulta essere inaccettabile in considerazione della gravissima crisi ambientale dell'intera area e sul fatto che i livelli di inquinamento registrano ancora livelli insostenibili e inimmaginabili;
   la richiesta di annullamento delle ordinanze emesse dalla provincia di Sassari rivolta dalla Syndial al TAR Sardegna appare all'interrogante l'ennesima dimostrazione di un atteggiamento dilatorio dell'ente di Stato che attraverso la Syndial continua a sfuggire alle responsabilità di una devastazione ambientale gravissima;
   le misure di messa in sicurezza richieste per la darsena di Porto Torres sono una priorità assoluta e il ricorso dell'Eni che si oppone a tale intervento rappresenta un grave elemento che rischia di pregiudicare gli interventi di bonifica che ancora non sono stati avviati;
   il Governo in data 28 giugno 2012 rispondendo ad analogo atto di sindacato ispettivo sulla questione (interrogazione n. 5-05905) riguardante, in particolare, la bonifica delle aree di proprietà della Syndial SpA all'interno del sito di bonifica «Aree industriali di Porto Torres», sostenne quanto segue:
    «L'area di proprietà Syndial SpA, di circa 1.144 ettari, occupa la quasi totalità dell'area del Polo Petrolchimico e comprende l'Area Parco Serbatoi Aromatici, ubicata all'interno del Settore A, con una superficie di circa 7 ettari. Per tale area, ritenuta critica per la contaminazione del terreno insaturo al disotto del piano di posa del serbatoio, la Conferenza di Servizi decisoria del 14 ottobre 2011 ha già approvato, con prescrizioni, il Piano di caratterizzazione;
    Il predetto Settore A, esteso per circa 310 ettari, ospita gli impianti produttivi e i serbatoi in esercizio e delimita, a sud, l'area della darsena servizi del porto industriale, che conta una superficie complessiva di circa 38.000 mq. Proprio in quest'area sono state rilevate criticità ambientali, citate anche nelle premesse dell'interrogazione, dovute alla presenza di valori di concentrazione di benzene nelle acque dello specchio marino della darsena, nell'aria sovrastante la darsena e nelle aree limitrofe, superiori ai limiti fissati dalla vigente normativa per le rispettive matrici ambientali certificati dall'ARPA Sardegna – Dipartimento Provinciale di Sassari;
    la presenza delle criticità ambientali suddette ha indotto il comune di Porto Torres ad emettere varie ordinanze contingibili e urgenti: la prima, in data 18 agosto 2010 e l'ultima in data 6 aprile 2012, con le quali è stata interdetta e successivamente reiterata l'interdizione all'accesso all'area della darsena servizi e alle zone limitrofe;
    con la prima ordinanza, è stato ordinato alla Syndial anche: “di procedere all'attività di monitoraggio delle matrici aria e acqua della Darsena servizi del Porto Industriale di Porto Torres, secondo la specifica di THEOLAB SpA inviata in data 13 agosto 2010, e alla redazione di un piano di indagine del suolo e sottosuolo che sarà illustrata dalla medesima società nell'ambito di una Conferenza di Servizi che verrà all'uopo convocata dal Sindaco di Porto Torres”;
    a seguito di tale ordinanza, la Syndial SpA, in data 31 agosto 2010, ha trasmesso il “Piano di indagine della Darsena Servizi del porto industriale di Porto Torres”, che è stato approvato con prescrizioni dalla Conferenza di Servizi tenutasi in sede locale e dalla Conferenza di Servizi decisoria del 18 novembre 2010;
    nonostante ciò, con ricorso ritualmente notificato al TAR Sardegna, la Syndial SpA ha chiesto l'annullamento del verbale della predetta Conferenza di Servizi decisoria, lamentando che le prescrizioni indicate circa il Piano di indagine della Darsena Servizi si inserirebbero in uno speciale procedimento di esclusiva competenza dell'autorità comunale, adottato nell'ambito dell'emergenza sanitaria e di igiene pubblica, del tutto svincolato dal procedimento di bonifica di competenza ministeriale;
    in ordine al suddetto contenzioso, il Ministero dell'ambiente ha già fornito i propri elementi all'Avvocatura distrettuale dello Stato al fine di una efficace difesa dell'amministrazione in sede di trattazione del merito in udienza pubblica, allo stato non ancora fissata;
    la Syndial SpA ha avviato le indagini previste dal piano approvato in sede locale ma, attualmente, risulta siano state interrotte in attesa dell'esecuzione di un incidente probatorio, disposto dalla Procura della Repubblica di Sassari, essendo in corso anche un'indagine giudiziaria da parte della stessa Autorità Giudiziaria;
    anche lo stato di contaminazione delle acque di falda sottostanti le aree del citato Settore A risulta particolarmente grave in quanto si tratta di contaminazione di tipo diffuso, con la presenza di metalli, Solventi organici aromatici (BTEXs), Solventi clorurati, Idrocarburi policiclici aromatici (IPA), altri Idrocarburi e Clorobenzeni, nonché di notevoli spessori di prodotto surnatante e, talvolta, anche di sottonatante (concentrazioni di sostanze non mescibili con acqua in cui la fase liquida – surnatante – si sia separata da quella solida);
    anche se all'interno dell'area dello Stabilimento Petrolchimico sono presenti interventi di messa in sicurezza di emergenza, costituiti da una trincea drenante e da una barriera idraulica, la Conferenza di Servizi decisoria del 14 ottobre 2011 ha espresso una posizione decisamente critica nei confronti di tali attività poste in essere dalla Syndial SpA, in quanto non è garantita la chiusura idraulica della barriera e l'efficacia della trincea. Pertanto, a valle di tali interventi non è garantito il contenimento del flusso delle acque di falda contaminate, costituendo, così, la causa più probabile dei fenomeni gravissimi dal punto di vista ambientale verificatisi nella Darsena Servizi del Porto Industriale;
    la medesima Conferenza di Servizi decisoria del 14 ottobre 2011 ha ritenuto approvabile, con prescrizioni, il Progetto Operativo di Bonifica delle acque di falda dell'intero Stabilimento Petrolchimico Syndial SpA e con decreto ministeriale del 28 ottobre 2011, notificato alla Syndial SpA in data 8 novembre 2011, è stata concessa l'autorizzazione provvisoria all'avvio dei lavori;
    in ordine, poi, al ricorso presentato dalla Syndial SpA al TAR Sardegna in data 15 novembre 2011, si precisa che lo stesso è stato promosso avverso l'ordinanza della provincia di Sassari del 31 agosto 2011, emessa ai sensi dell'articolo 244 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni, con la quale si è intimato alla Società Syndial di provvedere immediatamente alla messa in sicurezza di emergenza, alla predisposizione del piano di caratterizzazione e alle conseguenti attività di bonifica dello specchio d'acqua della Darsena Servizi. In risposta a tale ordinanza, la Syndial avrebbe dovuto ottemperare agli ordini contenuti nella stessa entro 30 giorni dalla notifica, avvenuta il 5 settembre 2011. La società intimata, non solo non ha provveduto a quanto richiesto con l'ordinanza di cui trattasi ma, il 15 novembre 2011, ha notificato alla Provincia il ricorso al TAR Sardegna avverso il predetto atto. A fronte di ciò, la provincia di Sassari ha nominato un legale di fiducia per essere rappresentata e difesa innanzi al TAR Sardegna;
    in relazione a ciò, anche il Ministero dell'ambiente sta predisponendo i propri elementi a supporto di quelli della Provincia di Sassari, che saranno trasmessi all'Avvocatura Distrettuale dello Stato;
    da quanto detto, appare chiaro che il procedimento amministrativo di bonifica di cui trattasi, è all'attenzione non solo del Ministero dell'ambiente ma anche delle altre Amministrazioni istituzionalmente coinvolte, compresa l'Autorità Giudiziaria;
    anche in pendenza di un giudizio, nonché di una indagine della magistratura, nel corso dei quali, come accennato, il Ministero dell'ambiente sta già esercitando ogni sua prerogativa, il Ministero non mancherà di assumere ogni altra iniziativa utile ad evitare ulteriori ritardi nello svolgimento delle necessarie attività di bonifica;
    da ultimo, appare utile ricordare che la procedura operativa ed amministrativa per la bonifica di cui all'articolo 242 del decreto legislativo n. 152 del 2006 per siti di interesse nazionale è attribuita alla competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentito il Ministero dello sviluppo economico, avvalendosi anche del supporto dell'ISPRA, delle Agenzie regionali per la protezione dell'ambiente, delle regioni interessate e dell'istituto Superiore di Sanità. Pertanto, da quando l'area è stata inserita tra i siti di interesse nazionale, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha proceduto e procede alla conduzione del complesso e articolato procedimento amministrativo di bonifica ai sensi della normativa vigente, che prevede il ricorso all'istituto della Conferenza di Servizi»;
   dalla risposta del Ministero all'atto di sindacato ispettivo si evince che alla data del 28 giugno 2012 la situazione del danno ambientale e di rischio era in essere considerato che nella risposta si dice esplicitamente: «la Conferenza di Servizi decisoria del 14 ottobre 2011 ha espresso una posizione decisamente critica nei confronti di tali attività poste in essere dalla Syndial S.p.A., in quanto non è garantita la chiusura idraulica della barriera e l'efficacia della trincea. Pertanto, a valle di tali interventi non è garantito il contenimento del flusso delle acque di falda contaminate, costituendo, così, la causa più probabile dei fenomeni gravissimi dal punto di vista ambientale verificatisi nella Darsena Servizi del Porto Industriale»;
   tali affermazioni supportate, è evidente, da analisi e supporti scientifici costituiscono di fatto notizie di reato sulle quali è indispensabile procedere sia sul piano civile che penale;
   il Ministero ha l'obbligo di intervenire al fine di sanare sotto ogni punto di vista una situazione che rende di fatto impuniti i responsabili dell'inquinamento lasciando passare nell'opinione pubblica la convinzione che il reato ambientale sia raggirabile e che non sia perseguito con la necessaria e dovuta severità –:
   se non intenda il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare denunciare alla magistratura ordinaria il reiterato inquinamento dell'area industriale di Porto Torres da parte dei soggetti che di tale reato si fossero resi artefici e responsabili, compresa la sostanziale denuncia già richiamata nella risposta all'atto di sindacato ispettivo citato;
   se non ritenga di dover mettere in essere tutte le procedure di competenza relative al danno ambientale e al suo risarcimento così come previsto dal codice ambientale, con particolare riferimento all'articoli 299 - 300 e seguenti;
   se non ritenga il Ministro dell'ambiente di dover procedere anche attraverso forme commissariali ad adottare atti tesi ad avviare le azioni di bonifica dell'area di Porto Torres e il suo pieno risanamento.
(4-03931)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta scritta:


   LATRONICO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo in data 5 marzo 2014 ha firmato il decreto che autorizza 46 nuovi interventi di restauro nelle regioni dell'Obiettivo convergenza: Campania, Calabria, Puglia e Sicilia. Il valore complessivo degli interventi, tutti immediatamente cantierabili, è di oltre 135 milioni di euro. Essi si aggiungono agli 87 interventi già finanziati a settembre 2013 per 222 milioni di euro, con procedure in corso di attuazione;
   le risorse provengono dai fondi Poin (Programmi operativi interregionali) e Pac (Piano azione coesione). Si tratta in particolare di 43 milioni di euro per la Campania (suddivisi in 5 interventi tra cui Carditello e la Reggia di Caserta), 26,8 milioni per la Calabria (14 interventi), 31,8 milioni per la Puglia (15 interventi), 33,7 milioni per la Sicilia (11 interventi);
   si rileva che il decreto succitato ingiustamente ha escluso interventi per il patrimonio della regione Basilicata;
   la regione Basilicata vanta un patrimonio storico di grandissima importanza come la città dei Sassi di Matera patrimonio dell'UNESCO, i siti archeologici di Metaponto, Venosa, Heraclea, Grumentum eccetera;
   non si comprende effettivamente le ragioni dell'esclusione della regione Basilicata la quale è stata riammessa a titolo transitorio nell'Obiettivo di convergenza;
   inoltre i dati dell'economia lucana sono tutt'altro che positivi secondo lo studio di Banca d'Italia nel 2012, ha registrato una caduta del prodotto interno lordo del 3,1 per cento. La produzione industriale, è calata bruscamente nel 2012 (-9,5 per cento, –4,3 nel 2011), come nel Mezzogiorno ma in misura più marcata rispetto al resto del Paese –:
   quali siano le motivazioni che hanno escluso la regione Basilicata dal provvedimento descritto in premessa;
   se intenda adottare ogni iniziativa, anche normativa, a favorire interventi di restauro a favore della regione Basilicata. (4-03914)


   LEVA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro per gli affari regionali. — Per sapere – premesso che:
   la regione Campania ha attivato una conferenza di servizi il 3 marzo 2014 per autorizzare l'installazione di pale eoliche nel comune di Morcone (BN) al confine con la regione Molise e nelle strette vicinanze di un sito archeologico di inestimabile valore storico e culturale risalente al IV secolo a.C. (Saepinum – Altilia);
   ai sensi del decreto legislativo n. 387 del 2003, articolo 12 parte seconda dell'allegato articolo 10.6 stabilisce che: «qualora gli effetti di un progetto interessino il territorio di altre regioni... la regione competente al rilascio dell'autorizzazione è tenuta a coinvolgere nel procedimento la regione interessata»;
   al punto 14.9 lettera c, dell'allegato, del decreto ministeriale 10 settembre 2010 si prevede che le strutture periferiche del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo abbiano diritto a partecipare «al procedimento per l'autorizzazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili localizzati in aree contermini a quelle sottoposte a tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante il Codice dei beni culturali e del paesaggio»;
   la regione Molise con note ufficiali del 14 ottobre 2013 e del 3 marzo 2014 ha chiesto formalmente di partecipare alla conferenza di servizio e che la direzione regionale dei beni culturali del Molise ha chiesto con nota del 3 marzo 2014 di rinviare la conferenza di servizi convocata dalla regione Campania perché non contemplava la presenza della stessa direzione Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo Molise;
   la regione Campania ha ignorato sia l'istanza della regione Molise che quella della direzione Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo Molise come si evince dai verbali della conferenza di servizi del 3 marzo 2014 e dall'invito per la nuova riunione programmata per il 12 marzo 2014 in cui continuano a non essere convocati né la regione Molise e né la direzione Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo Molise;
   gli impianti eolici in questione verrebbero installati nella Valle del Tammaro ai piedi del Parco regionale del Matese e nelle vicinanze del sito archeologico di SAEPINUM-ALTILIA ubicato nel comune di Supino (CB) che vede tutto il territorio comunale sottoposto a vincolo paesaggistico ai sensi del decreto ministeriale del 9 maggio 1975 e che nei territori in questione passa l'antico percorso tratturale Pescasseroli – Candela sottoposto a tutela ai sensi del decreto ministeriale 15 giugno 1976 –:
   quali iniziative intendano assumere a salvaguardia del sito archeologico di Saepinum-Aitilia. (4-03917)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VALIANTE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   all'attenzione dell'interrogante sono stati posti alcuni fatti rilevanti, di seguito indicati, relativi all'azienda sanitaria locale di Salerno:
    proroghe di contratti per forniture di beni e servizi risalenti a molti anni prima;
    mancata fruizione delle ferie prima del collocamento in quiescenza;
    turni di servizio massacranti, imposti agli operatori sanitari, tali da minarne l'equilibrio psicofisico e diretta conseguenza della mancata razionalizzazione della rete ospedaliera;
    conferimenti di incarichi di dirigenza di struttura non conformi alla normativa;
    ingente impiego di risorse economiche e inquinamento ambientale per mantenimento di vetuste caldaie a combustibile per il riscaldamento di ospedali e mancata trasformazione a gas;
    ritardato pagamento di fatture scadute da anni;
    utilizzo spropositato dell'orario di lavoro straordinario e dell'attività libero professionale intramoenia, come attività di routine per assicurare i turni di servizio. Secondo la relazione 2011 sullo stato di attuazione dell'esercizio dell'attività libero-professionale intramuraria, a cura dell'Osservatorio nazionale per l'attività libero-professionale, l'azienda di Salerno non figura tra quelle in cui il servizio di prenotazione delle prestazioni affidato a personale aziendale, o comunque dall'azienda a ciò destinato ed eseguito in sede o tempi diversi rispetto a quelli istituzionali, consente il monitoraggio e il controllo del volume delle prestazioni erogate. L'azienda non risulterebbe dotata di un sistema di contabilità analitica che consenta di distinguere nelle tariffe le voci che le determinano (ad esempio: compenso del professionista, dell’equipe, del personale di supporto costi pro-quota per l'ammortamento e la manutenzione delle apparecchiature), non effettuerebbe la rilevazione oraria dell'attività libero-professionale, non svolgerebbe attività di controllo relative al progressivo allineamento dei tempi di erogazione delle prestazioni nell'ambito dell'attività istituzionale ai tempi medi di quelle rese in regime di libera professione, non avrebbe definito annualmente, in sede di contrattazione del budget o di specifica negoziazione con le strutture aziendali, i volumi di attività istituzionale dovuti, tenuto conto delle risorse umane, finanziarie e tecnologiche effettivamente assegnate, anche con riferimento ai carichi di lavoro misurati, non avrebbe determinato con i singoli dirigenti e con le equipe i volumi di attività libero-professionale complessivamente erogabili, che, ai sensi delle leggi e contratti vigenti, non possono superare quelli istituzionali, né avrebbe previsto un impegno orario superiore a quello contrattualmente dovuto, non avrebbe definito in modo specifico le prestazioni aggiuntive di cui all'articolo 55, comma 2, del CCNL 8 giugno 2000 e successive integrazioni, ai fini del progressivo conseguimento degli obiettivi di allineamento dei tempi di erogazione delle prestazioni nell'ambito dell'attività istituzionale ai tempi medi di quelle rese in regime di libera professione intramoenia, non avrebbe costituito appositi organismi paritetici di verifica del corretto ed equilibrato rapporto tra attività istituzionale e attività libero-professionale, con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative delle categorie interessate, non avrebbe adottato misure dirette a prevenire l'insorgenza di conflitto di interessi o di forme di concorrenza sleale. In essa le prenotazioni delle prestazioni erogate in intramoenia allargata avrebbero effettuate con modalità diverse dal servizio di prenotazione dedicato e centralizzato, gli onorari delle prestazioni erogate in intramoenia allargata non sarebbero riscossi direttamente dalla stessa azienda, la rilevazione oraria dell'attività libero-professionale svolta in intramoenia allargata non sarebbe effettuata dall'azienda;
    mancata predisposizione della dotazione organica ai sensi del decreto del Commissario ad acta n. 67 del 2011;
    frazionamento delle gare per beni e servizi –:
   alla luce di quanto premesso, se si intenda promuovere una immediata verifica attraverso le strutture ministeriali competenti. (5-02312)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


   FURNARI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da alcuni mesi si susseguono, attraverso i mezzi di stampa, notizie in merito alla richiesta da parte della Compagnia aerea CityLine SWISS di Lugano di operare, per il traffico passeggeri sull'aeroporto Taranto Grottaglie a partire dal prossimo mese di aprile 2014;
   tale richiesta, sempre da notizie di stampa, sembra essere stata avanzata per Citylines, dal Tour Operator Esafly all'ENAC, per l'operatività dei voli Parma-Taranto e Taranto-Roma;
   il sistema aeroportuale pugliese è gestito, attraverso la concessione totale da parte di Enac, dalla Società Aeroporti di Puglia s.p.a. la quale con particolare riferimento all'aeroporto di Grottaglie, che ha una vocazione specificatamente cargo ed industriale, è tenuta ad applicare anche la normativa di riferimento in materia di regolazione tariffaria in ambito aeroportuale dell'attività di aviazione commerciale destinata al traffico passeggeri da/per gli aeroporti in gestione;
   con riferimento a quest'ultimo aspetto in ordine alle tariffe richieste per l'espletamento dei servizi di assistenza a terra presso l'aeroporto di Grottaglie da parte di Aeroporti di Puglia s.p.a., dovendosi garantire per principio comunitario l'economicità della prestazione, l'ammontare relativo alla copertura dei costi, a fronte di un esiguo numero di movimenti passeggeri annui, risulta, purtroppo, superiore a quello operato presso altri scali del sistema aeroportuale pugliese;
   ciò sembra essere la diretta conseguenza dell'obbligo di ottemperare alla normativa comunitaria e nazionale di riferimento che – a partire dalla direttiva 96/67/CE, recepita nell'ordinamento nazionale con decreto legislativo n. 18 del 1999, dalla delibera CIPE n. 86/2000 e, successivamente, dagli articoli 11-novies e successivi del decreto-legge n. 203 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2005, dalla delibera CIPE n. 38/2007 e n. 51 del 2008, dalle linee guida applicative dell'ENAC approvate con decreto ministeriale n. 231 del 2008, fino alla più recente difettiva 2009/12/Ce, recepita dagli articoli 71 e successivi del decreto-legge n. 1 del 2012 – ha sancito i princìpi della necessaria correlazione ai costi, trasparenza e non discriminatorietà dei corrispettivi (diritti o tariffe) da richiedere per l'offerta di beni e servizi da parte del gestore aeroportuale;
   con riferimento a ciò, è previsto l'espletamento di un'attività autorizzatoria da parte dell'autorità di settore e del Ministero vigilante Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; inoltre, riguardo alla richiesta della società sopra citata, nel caso specifico di Grottaglie, si può valutare la congruità dei costi prima dell'operatività del nuovo collegamento aereo;
   riguardo poi alla richiesta della Compagnia aerea svizzera, se si considera che, attualmente, il servizio di assistenza al volo fornito da ENAV s.p.a. presso lo scalo di Grottaglie è garantito dalle 8,00 alle 20,00 e che i voli proposti necessitano di un arco orario più ampio per consentire partenze prima delle 7,00 e rientri dopo le 20,00, occorre, altresì, verificare la disponibilità di ENAV s.p.a., unico fornitore dei servizi di assistenza al volo, ad ampliare l'orario di operatività della torre di controllo e, conseguentemente, determinare i maggiori costi di presidio;
   l'aeroporto di Taranto-Grottaglie è stato, di recente, anche a seguito di sollecitazioni, inserito nel piano nazionale degli aeroporti e classificato come scalo nazionale; eppure, la destinazione d'uso di questa struttura, oggi utilizzata soprattutto da Alenia-Aermacchi – il cui stabilimento è contiguo – per imbarcare a bordo dei Dreamlifter, destinazione Usa, le fusoliere in fibra di carbonio per il Boeing 787, sembra ancora incerta;
   vi è dunque la presa d'atto da parte del Governo di aprire definitivamente lo scalo ai voli passeggeri –:
   quali iniziative abbia intenzione di assumere al fine di chiarire in modo definitivo, a seguito dell'adozione del nuovo piano nazionale aeroporti, la destinazione dell'aeroporto Taranto-Grottaglie.
(4-03919)


   CRISTIAN IANNUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nell'anno 2004, con le delibere della giunta comunale n. 586/2004 e n. 626/2004, e le deliberazioni del consiglio comunale n. 47/2004 e n. 139/2004, il comune di Latina ha approvato il progetto relativo all'opera denominata «Metropolitana leggera di superficie» finalizzata al collegamento dello scalo ferroviario del comune di Latina con il centro ed i quartieri periferici della città, da realizzare e finanziare in regime di project financing;
   il CIPE, con delibere del 18 marzo 2005 e del 27 maggio 2005, ha disposto lo stanziamento di 81,425 milioni di euro, pari al 60 per cento del costo totale per la realizzazione dell'opera;
   in seguito il comune di Latina ha pubblicato un avviso per la ricerca del soggetto promotore della procedura di project financing, attraverso la quale realizzare il finanziamento dell'opera. Ad esito di tale procedura il progetto veniva affidato al raggruppamento di imprese denominato «Metrolatina s.p.a.», a mezzo di convenzione sottoscritta in data 24 settembre 2007;
   in base a tale convenzione il gestore privato ha assunto l'impegno di fornire il 40 per cento del capitale necessario al finanziamento dell'opera, ottenendo in cambio la possibilità di gestire la stessa per la durata di 30 anni. Il costo dell'opera è stato stabilito in euro 139.612.390,00, di cui:
    a) euro 81.425.000,00 quale finanziamento pubblico statale, derivante dal contributo in conto capitale concesso dal Cipe con le delibere anzidette, a valere sulle risorse della legge n. 211 del 1992;
    b) euro 2.342.000,00 a carico dell'amministrazione comunale;
    c) euro 55.845.390,00 a carico di Metrolatina spa;
   è stato inoltre previsto un ulteriore contributo a carico della regione Lazio per la gestione della tramvia, in relazione ai km*vetture prodotti nella misura ipotizzata di euro 7,50/km*vettura;
   ad oggi, nonostante l'inizio dei lavori fosse previsto per dicembre 2007 e sia già stato versato dallo Stato un acconto di euro 3.767.816,25, l'opera non è ancora stata avviata, ed il contributo è stato utilizzato principalmente per le spese di progettazione e la realizzazione delle vetture che, nel frattempo, è presumibile che si siano già ammalorate;
   con nota del 24 aprile 2012, la direzione generale per il trasporto pubblico locale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nella preoccupazione che i lavori di realizzazione delle infrastrutture necessarie per la circolazione delle vetture non potessero essere ultimati in concomitanza con la fornitura dei veicoli, ha disposto la sospensione dell'erogazione del finanziamento statale, paventando di sottoporre la questione alla Commissione di alta vigilanza, ex decreto ministeriale 37T del 13 aprile 1995, per le conseguenti valutazioni da sottoporre al CIPE;
   il progetto prevede un contributo regionale pari ad euro 7,50/km*vettura, mentre attualmente la regione Lazio stanzia un contributo al comune di Latina a copertura dei costi del trasporto pubblico locale pari ad euro 1,89/km*vettura. In caso di mancato versamento del contributo regionale, in base agli articoli 25, 26 e 27 della Convenzione, sarebbe il comune di Latina a farsi carico della differenza, con inevitabili ripercussioni sulla situazione finanziaria del suo bilancio, già ampiamente deficitaria;
   qualora il contributo regionale dovesse attestarsi sui livelli di questi anni, il comune di Latina dovrebbe sobbarcarsi un esborso annuo di circa 5,5 milioni, che, moltiplicato per la durata della concessione (30 anni), determinerebbe un importo complessivo stimabile tra i 150 e i 200 milioni di euro;
   ad eccezione di una generica delibera del luglio 2012 in cui la regione Lazio dichiara il proprio interesse alla realizzazione e gestione della metropolitana di Latina, sostenendone la realizzazione anche attraverso l'azienda regionale COTRAL s.p.a., non risulta l'esistenza di alcun atto ufficiale in cui la regione Lazio si assuma l'impegno di finanziare l'opera nella misura stabilita dalla convenzione stipulata tra il comune di Latina e Metrolatina spa;
   mentre non è stato ancora realizzato ancora il primo tratto della tranvia, la situazione di stallo persiste ed il comune di Latina tuttora non decreta se sia il caso di affondare definitivamente il progetto, pagando pesanti penali per la risoluzione del contratto, oppure se proseguire nello stesso, realizzando un'opera che potrebbe costare al comune quasi 200 milioni di euro nell'arco di 30 anni –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopraesposti;
   se e quali provvedimenti si intendano adottare per risolvere l’impasse creatasi per la realizzazione di un'opera in forte ritardo, eccessivamente costosa e con un forte impatto ambientale per il territorio, e se, in particolare, si abbia l'intenzione di sottoporre la questione alla Commissione di alta vigilanza, ex decreto ministeriale 37T del 13 aprile 1995, per le conseguenti valutazioni da sottoporre al CIPE in un'ottica di possibile definanziamento dell'opera. (4-03929)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro della difesa, per sapere – premesso che:
   in occasione dell'esposizione universale «Expo Milano 2015», per far fronte alle esigenze di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, il Ministro dell'interno, nei giorni scorsi, ha dichiarato come il blocco del turnover delle forze dell'ordine avrebbe subito una deroga del 55 per cento;
   la legge di stabilità per il 2014, legge n. 147 del 2013 prevede importanti risorse economiche anche per le dotazioni di mezzi e la logistica, per le strutture ed i servizi;
   a ciò si deve aggiungere che la forza disponibile, in base alle esigenze riscontrate dal Ministro, va utilizzata, da parte dell'amministrazione di PS, in ossequio alla direttiva del 2013 emanata dal Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione con apposito provvedimento a proposito dello scorrimento delle graduatorie dei concorsi pubblici, prorogabili sino al 31 dicembre 2015;
   le unità da assumere, per essere effettivamente disponibili entro la data di inizio dell'evento, dovrebbero iniziare il corso di allievi agenti entro e non oltre il mese di aprile 2014; pertanto, non sussistono i normali tempi tecnici per avviare una nuova procedura concorsuale (questa, infatti, terminerebbe a fine 2014 e renderebbe operativi i nuovi agenti nel dicembre 2015);
   a tal proposito si ricorda che vi sono ad oggi, diverse graduatorie di merito in corso di validità nelle quali risultano essere disponibili candidati idonei immediatamente arruolabili. Tra questi i 512 candidati idonei non vincitori, oltre alle seconde aliquote e VFP4 idonei dell'ultimo concorso per l'arruolamento di 964 allievi agenti bandito nel mese di marzo 2013;
   in tal senso nei giorni scorsi, l'Arma dei carabinieri, mediante decreto dirigenziale, ha avviato una procedura di arruolamento mediante scorrimento degli idonei della graduatoria 2012 per 1.886 allievi carabinieri. In particolare, sono stati assunti i vincitori ma anche i 48 idonei non vincitori, ossia i restanti idonei presenti in graduatoria e, pertanto, la stessa è stata del tutto esaurita;
   tale decreto cita testualmente: «Ravvisata l'esigenza di disporre, con immediatezza, di XXX Allievi Carabinieri, senza dover attendere i tempi tecnici richiesti per portare a termine una nuova procedura di reclutamento mediante il bando di un concorso pubblico. Tenuto conto dei principi di economicità e speditezza dell'azione amministrativa e della necessità di contenere i costi gravanti sull'amministrazione per la gestione delle procedure di reclutamento»;
   l'iniziativa assunta dall'Arma dei carabinieri risponde ai princìpi di economicità ed efficienza della pubblica amministrazione che, se adottati anche con riferimento alle forze di polizia permetterebbero l'immediata assunzione degli interessati evitando, per la recentissima idoneità conseguita, la necessità di effettuare anche le visite mediche di controllo per il mantenimento dell'idoneità psico-fisica –:
   quali iniziative i Ministri interrogati, ognuno per le proprie competenze, abbiano intenzione di assumere, al fine di incrementare il numero delle forze dell'ordine per far fronte da un lato alle esigenze di sicurezza dell'intero Paese e dall'altro alla necessità di assumere nuovi agenti di polizia in vista della manifestazione di Expo 2015, alla luce delle considerazioni sopra esposte;
   se non ritengano opportuno, ai sensi del decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e al fine di ridurre i costi gravanti sull'amministrazione e consentire una celere disponibilità delle necessarie forze dell'ordine in tempo per l'evento sopra richiamato, procedere all'assunzione immediata delle 672 unità dichiarate idonee all'ultima procedura concorsuale per il concorso per 964 allievi agenti della polizia di Stato.
(2-00445) «Di Lello, Labriola, Pisicchio».

Interrogazione a risposta orale:


   MELILLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si apprende a mezzo stampa che l'ufficio di polizia di frontiera marittima e aerea di Pescara, è a rischio chiusura;
   il provvedimento, che riguarda circa 50 poliziotti che con molta probabilità finiranno dislocati una ventina alla Polfer (promossa da sottosezione a sezione) e una trentina alla questura di cui una parte destinati a dar vita al distaccamento di Montesilvano, rientra nel programma di riorganizzazione degli uffici in via d'approvazione, in un'ottica di razionalizzazione delle risorse che il dipartimento di pubblica sicurezza ha deciso di avviare e che potrebbe diventare operativo già entro settembre 2014;
   la denuncia arriva dal sindacato di polizia che chiede alle istituzioni locali di non pregiudicare, con tagli irrazionali che prevedono la soppressione della polizia di frontiera e la squadra nautica, l'intero sistema sicurezza; decisione che appare superficiale tanto da prevedere la chiusura di due presidi di polizia che, in una città turistica come Pescara, operano in un settore così importante e delicato;
   il sindacato rileva infine come sia importante recuperare risorse e tagliare gli sprechi per abbassare il costo del lavoro, incrementare gli stipendi e rilanciare i consumi. Ma con questa chiusura il risparmio è pari allo zero visto che questi due uffici di polizia non costano nulla al Ministero dell'interno, in quanto per la polizia di frontiera i locali sono messi gratuitamente a disposizione dalla società Saga, comprese tutte le spese di manutenzione e consumi; idem per lo scalo portuale che fino al 2013 era a carico della provincia e che dal 2014 è passato alla capitaneria di porto e quindi sotto un diverso Ministero;
   è gravissimo chiudere un ufficio di polizia di frontiera che garantisce la vigilanza e il controllo di frontiera presso un aeroporto internazionale e quindi sotto la vigilanza della Unione europea, con un traffico annuo di circa 5.000 voli e un transito superiore al mezzo milione di passeggi;
   con questa decisione anche la vigilanza e il controllo di frontiera dello scalo marittimo, con la previsione dell'arrivo del collegamento con la Croazia, dovranno necessariamente essere garantiti dalla polizia di Stato, con mezzi e personale propri. Una volta smantellato quest'ufficio, non sarà sufficiente attribuire le funzioni di polizia di frontiera alla questura, che ha già i suoi problemi logistici e di mancanza di personale, per poter garantire l'attuale operatività e funzionalità –:
   se non intenda intervenire per salvaguardare l'operatività degli uffici di polizia di frontiera marittima e aerea di Pescara, importanti presidi di legalità e controllo per il territorio. (3-00676)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GINEFRA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da quanto si apprende da una nota congiunta dei sindacati di polizia «si è svolto nella giornata del 4 marzo, un primo interlocutorio incontro sul progetto di riorganizzazione degli uffici territoriali della Polizia di Stato»;
   le organizzazioni sindacali unitariamente hanno aspramente criticato il metodo di condurre le relazioni sindacali che da alcuni mesi i vertici del dipartimento avrebbero adottato, un sistema che a detta delle stesse «segna l'inasprimento del confronto sindacale ed il tentativo mal celato di sfuggire al dovuto confronto»;
   la delegazione dell'amministrazione è guidata dal V. Capo Vicario Prefetto Marangoni e composta dal direttore dell'ufficio per le relazioni sindacali V. Prefetto Ricciardi e dal direttore centrale degli affari generali Prefetto Truzzi;
   il Vice Capo Vicario della polizia ha esposto le linee guida del progetto di razionalizzazione e chiusura dei 261 presidi territoriali di polizia ed ha rappresentato che le previsioni di chiusura riguardano 11 commissariati distaccati che espletano le funzioni di autorità locale di PS, 73 uffici di polizia ferroviaria, 73 sezioni di polizia postale, 27 sezioni/sotto sezioni polizia stradale, 4 nuclei artificieri, 11 squadre a cavallo, 4 sezioni sommozzatori, 50 squadre nautiche oltre agli accorpamenti e rimodulazione delle competenze di alcuni compartimenti in ambito stradale, ferroviario e della zona di polizia di frontiera, ferma restando la struttura organizzativa dei compartimenti della polizia postale nei capoluoghi di regione;
   le organizzazioni sindacali hanno così sintetizzato l'esito dell'incontro denunciando che sarebbe stato proposto un progetto meramente ragionieristico, dal quale «non si rinviene un solo criterio, una sola garanzia o anche una sola parola con riferimento alle tante specifiche professionalità acquisite nel tempo e alle migliaia di uomini e donne che dovrebbero essere ricollocati e che si celano dietro la freddezza di quei numeri»;
   acquisito parzialmente l'intendimento dell'amministrazione della P.S. le organizzazioni sindacali hanno contestato con ferma durezza il «progetto», prendendo atto, nel corso della riunione, che quanto rappresentato è parziale e incompleto, che successivamente dovrà interessare la razionalizzazione/chiusura di alcuni istituti di formazione e dei commissariati sezionali e la rivisitazione degli organici e delle competenze del dipartimento di P.S.;
   le organizzazioni sindacali hanno criticato ulteriormente il comportamento del dipartimento della P.S., che tenterebbe di parcellizzare un programma di sostanziale ripiegamento del sistema sicurezza del Paese ridefinendo concretamente ambiti di competenza e funzioni della polizia di Stato;
   le stesse organizzazioni sindacali avrebbero chiesto che, in considerazione dell'importanza delle tematiche trattate, «il confronto sia condotto anche con chi ha la responsabilità politica della sicurezza interna del Paese, ossia il Ministro dell'interno, al fine di illustrare ai Poliziotti ed ai Cittadini quale modello di sicurezza si concretizzerà in futuro, dopo la proposta di riorganizzazione e chiusura dei presidi territoriali della Polizia di Stato»;
   l'amministrazione della P.S. come denunciano le organizzazioni sindacali «anche in questa occasione ha dimostrato di non considerare le grandi professionalità acquisite sul campo nel corso del tempo dal personale della Polizia di Stato, e su cui l'amministrazione ha investito in formazione attraverso corsi di specializzazione»;
   le organizzazioni sindacali, nel corso dello stesso incontro, hanno rivendicato la necessità di sbloccare gli automatismi stipendiali e realizzare concretamente il riordino delle carriere chiarendo anche quali siano le risorse finanziarie necessarie, temi su cui il Capo della polizia si sarebbe direttamente impegnato con le organizzazioni sindacali;
   come denunciato dal quotidiano «LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO» tale piano avrebbe una pesante ricaduta in Puglia –:
   quale sia il reale progetto di razionalizzazione proposto dal Ministero e quali siano le garanzie che intende dare alle organizzazioni sindacali di settore in merito alle richieste da queste avanzate;
   quali siano le motivazioni che indurrebbero alla soppressione delle sezioni di polizia postale i cui oneri operativi, da quanto si apprende, sarebbero oggi a carico delle Poste Italiane spa e, infine, se sia stato valutato l'impatto sulla sicurezza pubblica di tale cosiddetto intervento di «razionalizzazione», con particolare riferimento al denunciato rischio di «ripiegamento del Sistema Sicurezza del Paese ridefinendo concretamente ambiti di competenza e funzioni della Polizia di Stato». (5-02314)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in questi ultimi anni, termini come «precariato» e «disoccupazione giovanile» riempiono gli spazi dei quotidiani nazionali;
   nonostante la risonanza mediatica del problema, troppo poco si sta facendo per sopperire alla grave e peculiare situazione di precarietà in cui versano i giovani oggi e, in particolare, i precari delle forze dell'ordine;
   una importante occasione potrebbe essere rappresentata dall'esposizione universale Expo 2015 che si terrà a Milano e richiederà uno sforzo, in termini di impiego di personale di sicurezza, certamente di notevole rilievo;
   al riguardo, il Ministro dell'interno pro tempore ha dichiarato «Sbloccato il turnover delle Forze dell'Ordine, che subirà una deroga del 55 per cento. Abbiamo ottenuto un risultato importante sulle nuove assunzioni in vista di Expo 2015. Questa operazione è finalizzata a incrementare la presenza di Forze dell'Ordine in vista dell'Esposizione universale. Expo sarà una vetrina per l'Italia e siamo tutti in campo per fare una bella figura e per dimostrare che Milano è un'eccellenza. La firma del protocollo “Milano Expo 2015-Mafia free” vede schierata una squadra unita, vincente, che si chiama Italia, Governo, Milano: una squadra che gioca sotto una stessa bandiera, senza distinzioni di fazioni politiche. Questa squadra, questo Stato, è più forte dell'anti-Stato e di chi intende violare le sue regole»;
   gli agenti da assumere in occasione dell'Expo 2015 dovrebbero iniziare il corso entro aprile 2014, ma non si può dimenticare che ci sono 512 idonei non vincitori in attesa, oltre le cosiddette seconde aliquote di VFP4 idonei dell'ultimo concorso per «964 Allievi Agenti»;
   tale forza disponibile andrebbe certamente utilizzata da parte dell'amministrazione della pubblica sicurezza, in ossequio alla direttiva del 2013 emanata dal Ministro pro tempore D'Alia con apposito provvedimento, a proposito dello scorrimento di graduatorie dei concorsi pubblici, prorogabili e quindi utilizzabili sino al 31 dicembre 2015;
   sarebbe un esempio di buon senso, oltre che di forte presenza dello Stato l'immediata assunzione dei tanti giovani in attesa di essere immessi nel ruolo di agenti della polizia di Stato, peraltro senza la necessità di ulteriori costose procedure, con un risparmio di diversi milioni di euro per lo Stato;
   la stessa legge di stabilità peraltro, ha previsto una riserva di 1.000 posti, oltre i fondi per nuove assunzioni, derogando così in parte alle ultime limitazioni imposte in tema di turnover del personale;
   a parere dell'interrogante, nulla osta alla creazione dei presupposti procedurali e amministrativi per assumere i circa 500 idonei non vincitori e i ragazzi vincitori di concorso pubblico appartenenti alle seconde aliquote –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se intenda procedere in armonia con i propositi espressi nelle dichiarazioni pubbliche di cui in premessa procedendo allo scorrimento delle graduatorie in essere in occasione della fiera universale Expo 2015. (5-02315)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MARZANA, MANNINO, LOREFICE, GRILLO, DI BENEDETTO, CANCELLERI, DI VITA, NUTI, D'UVA, VILLAROSA, CURRÒ e RIZZO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 28 ottobre 2012 si sono svolte le consultazioni elettorali per l'elezione del presidente della regione siciliana per il rinnovo dell'assemblea regionale siciliana;
   a seguito del risultato elettorale e alla assegnazione dei seggi previsti per la provincia di Siracusa, il signor Midolo Salvatore, candidato nella lista dell'MPA, il signor Di Pietro Salvatore, nella qualità di cittadino elettore, avverso il suddetto risultato elettorale, proponevano ricorso innanzi il T.A.R. Sicilia – sez. di Palermo, al fine di ottenere l'annullamento dei seguenti atti: verbale delle operazioni dell'ufficio centrale circoscrizionale per l'elezione del presidente della regione e dell'assemblea regionale siciliana – anno 2012 – per il collegio elettorale circoscrizionale di Siracusa con data 15 novembre 2012; verbale di proclamazione degli eletti alla carica di deputato dell'assemblea regionale siciliana per il collegio elettorale circoscrizionale di Siracusa con data 15 novembre 2012; verbali delle operazioni elettorali delle sezioni 2, 3, 7, 9 e 11 di Rosolini; delle sezioni 2, 6, 11, 13, 14, 15, 18 e 23 di Pachino; della sezione 16 di Floridia e delle sezioni 21 e 22 di Avola, nonché ogni altro atto presupposto, connesso o conseguente;
   tale ricorso era finalizzato ad ottenere anche l'annullamento e il rinnovo delle operazioni elettorali con riferimento alle sezioni 2, 3, 7, 9 e 11 di Rosolini; alle sezioni 2, 6, 11, 13, 14, 15, 18 e 23 di Pachino; alla sezione 16 di Fioridia e alle 21 e 22 di Avola, con conseguente ripetizione delle operazioni di voto;
   con sentenze nn. 361/13 e 450/13 il Tar Sicilia, sezione di Palermo, rigettava, in quanto inammissibili i ricorsi proposti, rispettivamente dal signor Di Pietro Salvatore e dal signor Midolo Salvatore, i quali con separati atti, proponevano appello avverso dette sentenze;
   con le sentenze n. 46/14 n. 47/14 il Consiglio della giustizia amministrativa di Palermo si pronunciava sui ricorsi ritenuti ammissibili (R.G. 219/13) e (R.G. 218/13);
   quindi, con ordinanza istruttoria n. 874 del 18 ottobre 2013 Consiglio della giustizia amministrativa disponeva che il prefetto di Siracusa verificasse se «... la somma delle schede comunque votate più le schede rimaste inutilizzate dopo essere state autenticate fosse pari al numero delle schede che il seggio aveva autenticato all'inizio o nel corso delle operazioni elettorali...» e restringeva la verifica alle sezioni elettorali nn. 3, 7 e 11 del comune di Rosolini e nn. 2, 11, 13, 14, 15 e 23 del comune di Pachino;
   va precisato che il Consiglio della giustizia amministrativa disponeva tali incombenze istruttorie tenuto conto delle doglianze sollevate dagli appellanti circa l'omessa indicazione del dato relativo alle schede autenticate ma non utilizzate per la votazione, l'assenza di elementi idonei alla identificazione del numero di schede rimaste nel pacco e non firmate e, soprattutto, visti i dubbi sollevati circa l'uso del meccanismo della cosiddetta «scheda ballerina»;
   sì da ritenere necessario accertare se le denunziate anomalie e irregolarità avessero in concreto comportato un'alterazione del risultato elettorale;
   tuttavia la disposta verifica non veniva effettuata perché il materiale richiesto dall'organo verificatore della prefettura di Siracusa era andato «irrimediabilmente perduto» in conseguenza di un allagamento verificatosi il 20 novembre 2013 dei locali adibiti ad archivio ove le schede erano custodite (nota del 18 dicembre 2013 inviata allo stesso verificatore dal presidente del tribunale di Siracusa);
   secondo il Consiglio della giustizia amministrativa «... le formalità inerenti la necessaria corrispondenza tra il numero delle schede complessivamente consegnate alla sezione ed autenticate e la somma delle schede utilizzate dagli elettori e di quelle autenticate, ma non utilizzate ed indicate nel verbale ai sensi dell'articolo 53 cit. è preordinata a garantire la trasparenza del comportamento dei componenti del seggio elettorale... la mera identità numerica tra schede votate e numero dei votanti non è, in sé considerata, prova della correttezza del procedimento elettorale, laddove sia rilevata la mancanza di schede autenticate e non votate, per la cui integrità la legge prescrive le particolari operazioni sopra richiamate, potendo tale anomalia essere di per sé causa di nullità per il pericolo di alterazione dei risultati elettorali...».
   pertanto, lo stesso Consiglio della giustizia amministrativa rilevava: «... la violazione di tali regole imporrebbe l'obbligo di annullare le operazioni di voto indipendentemente dalla circostanza che il ricorrente riesca a dare la prova che le irregolarità rilevate siano tali da incidere sul risultato elettorale (cosiddetto principio di resistenza) trattandosi di regole poste a presidio della legittimità, trasparenza e regolarità della votazione e dello scrutinio...»;
   il Consiglio della giustizia amministrativa, definitivamente pronunciando, ha disposto «... che i vizi denunziati dall'odierno appellante, possano assumere carattere sostanziale ed invalidante, dando comunque corpo a fondati sospetti in ordine alla attendibilità del risultato elettorale, sia alla luce di una non corretta utilizzazione di un cospicuo numero di schede elettorali in diverse sezioni, sia anche alla luce del possibile meccanismo fraudolento della cd. “scheda ballerina” (consistente nel far uscire dal seggio una scheda vidimata e non votata, sulla quale viene poi scritto il nome del candidato e consegnata all'elettore che, entrando nel seggio, ritira la scheda bianca assegnatagli, depositando nell'urna non già quest'ultima ma quella consegnatagli all'esterno del seggio)...»;
   il disposto rinnovo delle operazioni elettorali nelle nove sezioni «incriminate» pare frutto di due fatti: la mancata verbalizzazione del numero di schede e la successiva distrazione stesse, che possono avere chiara rilevanza penale, secondo quanto disposto dall'articolo 96 del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960 n. 570;
   infatti, non può lasciare sereni la circostanza che il danneggiamento e la successiva distruzione o dispersione del materiale elettorale siano avvenuti poco dopo l'emissione dell'ordinanza istruttoria del Consiglio della giustizia amministrativa con la quale la prefettura di Siracusa veniva delegata per la verifica delle schede poi non rinvenute;
   a fronte della comunicazione del presidente del tribunale si Siracusa in ordine all'impossibilità di consegnare le citate schede perché perdute in conseguenza di un allagamento verificatosi il 20 novembre 2013 nei locali dell'archivio del tribunale, non risulta compiuto alcun accertamento sulla condotta del personale che aveva la custodia delle schede stesse e che avrebbe avuto il dovere di preservarle, anche nelle condizioni eventualmente deteriorate in cui erano state ridotte dall'allagamento, non potendosi certo procedere alla distruzione di atti pubblici anche quando gli stessi, per qualsiasi ragione, risultino danneggiati, per di più allorquando proprio quegli atti siano stati richiesti da un'autorità giudiziaria;
   in ultima analisi, deve evidenziarsi come il, Consiglio della giustizia amministrativa abbia disatteso le conclusioni cui era pervenuto il TAR in merito alla inammissibilità del ricorso in quanto avente ad oggetto «... mere irregolarità formali inidonee a pregiudicare le garanzie connesse alle operazioni elettorali o a comprimere la libertà di voto, in quanto si sostanziano essenzialmente in errori di verbalizzazione non incidenti sull'accertamento della reale volontà del corpo elettorale...» –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano intraprendere, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di approfondire la sussistenza di eventuali responsabilità sul piano amministrativo dei soggetti in servizio presso l'archivio del tribunale tenuti alla custodia delle schede elettorali andate perdute;
   se non ritengano opportuno, tenuto conto dell'alto rischio che un ritorno al voto nelle sezioni incriminate del comune di Rosolini e di Pachino possa essere caratterizzato da condotte illegittime, predisporre, per quanto di competenza, ogni dovuto controllo ed ogni mezzo per contrastare un'eventuale compravendita di voti ovvero presunto fenomeno della «scheda ballerina», intervenendo anche in via preventiva al fine di evitare distorsioni del risultato elettorale. (4-03913)


   LATRONICO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da organi di stampa si apprende che il Ministero dell'interno abbia elaborato un piano per la razionalizzazione della spesa pubblica volto alla chiusura di 267 presidi di polizia su tutto il territorio nazionale;
   tale piano ha come finalità quella di ridurre le spese sostenute del dicastero e a quanto si apprende le strutture interessate sono i presidi di polizia stradale, ferroviaria, nautica e di frontiera, postale;
   nel quadro di revisione dei presidi e degli uffici della polizia sul territorio nazionale, in particolare per la Basilicata sono previste le chiusure del compartimento polizia stradale di Potenza, della sezione di polizia postale di Matera e il posto di polizia ferroviaria di Metaponto;
   i reparti suindicati sono impegnati ogni giorno a combattere la criminalità organizzata e operano il controllo del territorio in una zona di passaggio tra la Puglia e la Calabria;
   la Polfer di Metaponto dista molti chilometri dagli altri presidi ed è impegnata quotidianamente nei controlli sui treni dei passeggeri e dello snodo ferroviario. La sezione di polizia postale di Matera è specializzata nel contrasto alla lotta contro i reati informatici, ormai sempre più numerosi, i quali non hanno confini territoriali e avere solo un centro speciale nei capoluogo regionale costituirebbe un freno alle indagini a discapito della sicurezza dei cittadini –:
   quali siano i criteri con cui il Ministro starebbe procedendo all'opera di riorganizzazione dei presidi di polizia volta ad una riduzione della spesa;
   se non ritenga opportuno, alla luce di quanto premesso, riconsiderare l'orientamento emerso nell'ambito della stesura del piano di revisione per salvaguardare i reparti descritti in premessa della regione Basilicata. (4-03916)


   QUARANTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella relazione sull'amministrazione della giustizia per l'anno giudiziario 2012-2013 pubblicata a gennaio 2014, in riferimento alla Liguria, emerge come sia «particolarmente notevole e preoccupante l'incremento del numero dei furti nella abitazioni» che passano da 2.750 nello scorso anno a 3.254. Allo stesso modo è aumentato il numero delle rapine (da 622 a 745 unità), degli omicidi volontari (da 21 a 38), dei reati di stalking (da 487 a 523), dei reati tributari (da 1.026 a 1.113), delle frodi informatiche (da 211 a 261) nonché dei reati per traffico illecito dei rifiuti (da 596 a 758). Viene inoltre segnalato, fra altri, il caso del processo alla ’ndrangheta di Ventimiglia, apertosi a dicembre dello scorso anno e che dovrà valutare gli elementi di prova nei confronti di 36 imputati, tra i quali spiccano Giuseppe Marciano (indiscusso boss ventimigliese secondo gli investigatori), l'ex sindaco Gaetano Scullino e il city manager Marco Prestileo;
   martedì 4 marzo 2014 esce un articolo su il Secolo XIX intitolato «Scure sulla polizia, il piano: in 4 anni via 22 mila agenti». Nel testo si dà notizia che tramite una e-mail trasmessa sabato 1° marzo a tutte le questure e alle prefetture d'Italia dall'ufficio ordine pubblico del ministero dell'interno, si «prevede la soppressione di 227 uffici della polizia di Stato». Il giornalista scrive ancora che «secondo alcune indiscrezioni l'organico della polizia attualmente assestato su 95 mila unità, dovrebbe scendere a 73 mila»;
   una delle regioni più penalizzate è la Liguria, è lo stesso segretario del Coisp Matteo Bianchi a dichiarato. Secondo quanto riportato dall'articolo si apprende che il cosiddetto «piano di razionalizzazione» mette a rischio oltre 20 presidi;
   in totale a Genova verrebbero soppressi 3 uffici: il posto di polizia ferroviaria di Chiavari e di Ronco Scrivia, la squadra nautica di Genova;
   a Savona verrebbero sopressi 7 uffici: il Commissariato e distaccamento nautico di Alassio, il distaccamento di polizia stradale di Finale Ligure, la sezione di polizia postale, la squadra nautica di frontiera marittima di Savona, il nucleo artificieri uff. front. Savona;
   a la Spezia verrebbero soppressi 5 uffici: il posto di polizia ferroviaria di Sarzana, la sezione di polizia postale e nucleo artificieri frontiera della Spezia, l'ufficio di frontiera marittima e squadra nautica. Il «piano di razionalizzazione» del Viminale prevede anche molti accorpamenti e declassamenti di uffici che dovrebbero toccare un po’ tutte le province;
   la situazione più grave si verifica nel ponente ligure territorio dove sono presenti alcune famiglie legate alla criminalità organizzata. In questa zona due comuni sono stati sciolti per mafia: Bordighera (2011) e Ventimiglia (2012);
   a Imperia verrebbero soppressi: la polizia e squadra nautica di Imperia, il distaccamento polizia stradale di Sanremo il settore di polizia di frontiera terrestre di Ventimiglia verrebbe accorpato al commissariato di PS con attribuzioni di frontiera;
   verrebbe inoltre chiusa la Polposte di Oneglia e Sanremo, che negli ultimi anni ha svolto un'importante azione investigativa, ed è diventata punto di riferimento «nel quadro delle inchieste della Dda di Genova contro la ’ndrangheta del ponente ligure», si legge sulle pagine del Secolo XIX di Imperia del 1° marzo 2014 –:
   a fronte dei tagli annunciati come intenda garantire un adeguato presidio del territorio. (4-03924)


   MELILLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito della riorganizzazione della presenza nel territorio delle forze dell'ordine al fine di operare risparmi della spesa pubblica, si dice che sia stata prevista la chiusura della storica stazione dei carabinieri nella zona di Pescara Colli;
   questa scelta interviene in un quartiere abitato da oltre 30 mila persone e particolarmente bisognoso di un presidio per il pieno controllo del territorio al fine di rafforzare l'azione di prevenzione e repressione delle varie forme di criminalità urbana;
   tra la popolazione residente è forte la preoccupazione per gli effetti della chiusura della stazione dei carabinieri che ha sempre operato con grande professionalità ed efficacia nel territorio –:
   se la notizia diffusa corrisponda al vero e se non intenda, nel caso, rivedere questa scelta per l'evidente necessità di confermare a Pescara Colli un presidio di legalità come la stazione dei carabinieri. (4-03927)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   PIAZZONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 31 luglio 2013 il TAR del Lazio, sezione terza bis, con sentenza n. 07783 accoglieva il ricorso presentato da genitori di minori interessati da disabilità grave ex articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, contro una serie di provvedimenti con i quali, le scuole presso cui i minori in questione studiano, avevano assegnato un numero di ore di sostegno inferiore al rapporto 1/1 per carenze di organico;
   la sentenza accoglieva chiaramente le censure dei ricorrenti in quanto l'assegnazione ai loro figli di un numero di ore inferiore di sostegno scolastico comportava una chiara lesione dei diritti inviolabili della persona costituzionalmente garantiti, con particolare riferimento agli articoli 2, 3, 34 e 38 della Carta fondamentale;
   tali diritti sono puntualmente ribaditi nelle sentenze n. 215/1987 e n. 80/2010 della Corte Costituzionale che hanno chiaramente sancito il diritto all'educazione e all'istruzione della persona disabile, con riferimento non solo alla scuola dell'obbligo, ma anche alla scuola secondaria di secondo grado. Il diritto all'insegnante di sostegno, inoltre, secondo la Corte, va riconosciuto all'alunno diversamente abile dal primo anno di scuola d'infanzia sino all'università;
   nelle motivazioni a fondamento della pronuncia del TAR viene richiamato l'articolo 9 comma 15, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, secondo il quale è consentita alle istituzioni scolastiche la possibilità di attivare posti per l'insegnamento di sostegno in deroga al rapporto docenti-alunni, per situazioni di particolare gravità, ai sensi dell'articolo 3, comma 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104. Inoltre, i giudici amministrativi hanno stabilito come l'esiguità dell'organico e delle risorse complessivamente assegnate ai plessi scolastici non possa pregiudicare il diritto fondamentale all'istruzione del disabile grave (sentenza 17 giugno 2011, n. 5415);
   con ricorso al Consiglio di Stato, notificato in data 11 settembre 2013, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca chiedeva l'annullamento della sentenza n. 07783/2013. Tra le motivazioni addotte a sostegno dell'annullamento il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha affermato l'insussistenza, nel nostro ordinamento, di un diritto del minore disabile ad avere un insegnante di sostegno e altresì, quale parametro di valutazione della lesione o meno del diritto, l'insussistenza di un numero di ore di sostegno che possa dirsi sufficiente. La pretesa di ottenere un insegnante di sostegno non sarebbe, ad opinione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, identificabile tout court con il diritto allo studio o con il diritto alla salute, essendo invece assimilabile alle più generali aspettative di ricevere dallo Stato, quale erogatore di servizi pubblici, specifiche prestazioni;
   ciò determinerebbe un'attuazione graduale della tutela del diritto costituzionalmente garantito, a seguito di un bilanciamento con altri interessi che godono di pari protezione costituzionale e con la possibilità reale e concreta di disporre delle risorse necessarie a tale attuazione;
   sostiene inoltre il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca che, in forza della legge n. 104 del 1992, sono previsti molteplici interventi a carico delle amministrazioni pubbliche per agevolare la scolarizzazione, l'inserimento e l'integrazione del disabile, che non possono essere ridotti alla semplice assegnazione di un docente specializzato per il sostegno. Ad opinione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca il quadro normativo attuale non prevede la misura specifica di tale intervento per cui, gli istituti scolastici, sarebbero tenuti a garantire il sostegno scolastico entro i vincoli delle risorse di bilancio;
   ad opinione dell'interrogante la posizione sostenuta dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca nel citato ricorso d'appello appare lesiva del fondamentale diritto allo studio dei minori disabili, in quanto affermare il necessario bilanciamento di quest'ultimo e della sua misura con le esigenze di bilancio significa accettare la possibilità di un suo sacrificio –:
   se non ritenga pregiudizievole per il diritto allo studio dei minori disabili la posizione assunta dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca nel citato ricorso d'appello;
   quali iniziative intenda intraprendere per garantire il rispetto delle previsioni della legge n. 104 del 1992 relative al diritto allo studio dei minori disabili. (4-03918)


   DI BENEDETTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il comma 2-ter dell'articolo 14 del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14, ha istituito una fascia aggiuntiva alle graduatorie ad esaurimento (GaE) di cui all'articolo 1, commi 605, lettera c), e 607, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni;
   il decreto ministeriale n. 53 del 2012 ha stabilito i termini per l'inserimento nelle predette graduatorie aggiuntive a decorrere dall'anno scolastico 2012/2013;
   l'articolo 1, comma 1, prevede che i docenti che negli anni accademici 2009/2010 e 2010/2011 hanno conseguito l'abilitazione dopo aver frequentato il secondo e il terzo corso biennale di secondo livello finalizzato alla formazione dei docenti di strumento musicale nella scuola media della classe di concorso 77/A, possano presentare domanda di inclusione in una fascia aggiuntiva alla III fascia delle graduatorie ad esaurimento, costituite in applicazione del decreto ministeriale n. 44 del 2011, modificato dal decreto ministeriale n. 47 del 2011;
   il decreto ministeriale n. 42 dell'8 aprile del 2009 ha stabilito i termini per l'inserimento nella III fascia delle graduatorie ad esaurimento per le stesse categorie di docenti che nell'anno accademico 2008/2009 hanno conseguito l'abilitazione dopo aver frequentato il primo corso biennale di secondo livello finalizzato alla formazione dei docenti di strumento musicale nella scuola media della classe di concorso 77/A, di cui ai commi 1, 2 e 3 dell'articolo 3 del decreto ministeriale 137/07 (articolo 5-bis, comma 2, legge n. 169 del 2008);
   la disparità tra docenti che hanno avviato un percorso formativo con indicazioni del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca — causata dal mancato inserimento nella III fascia di coloro hanno conseguito il titolo abilitante negli anni accademici 2009/2010 e 2010/2011 — pone in una condizione oggettivamente diversa gli studenti iscritti al medesimo corso abilitante;
   la normativa vigente risulta illogica e fortemente discriminatoria, atteso che gli abilitati in strumento musicale classe di concorso A77, malgrado si trovino in identica situazione di carriera e di titolo abilitante rilasciato al conseguimento del titolo di studio, si vedono riconosciuti diversi effetti circa l'utilizzabilità del titolo per l'iscrizione nella III fascia delle graduatorie a esaurimento solo e unicamente in relazione alla data di conseguimento del titolo stesso;
   nel 2008 e nel 2009 il Ministero ha continuato ad attivare corsi abilitanti per la formazione di docenti di strumento musicale classe di concorso A77 con numero di accessi limitato tramite test;
   gli ordini del giorno n. 9/01574-A/077 (presentato dall'onorevole Malpezzi Simona Flavia e approvato dal Parlamento il 31 ottobre 2013) e n. 9/4865-B/21 (presentato dall'onorevole Russo e approvato dal Parlamento in data 23 febbraio 2012), che impegnano il Governo a valutare l'opportunità di predisporre atti di propria competenza, prima dell'aggiornamento triennale previsto nel 2014, al fine dell'inserimento nella terza fascia, secondo il rispettivo punteggio delle graduatorie ad esaurimento, dei docenti collocati nella fascia aggiuntiva, all'atto dell'aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento previsto per l'anno scolastico 2014/2015;
   si sono succeduti numerosi contenziosi che hanno coinvolto l'amministrazione e, in particolare, la Corte costituzionale si è espressa dichiarando il sistema delle «code» anticostituzionale con le sentenze n. 168 del 2004 e n. 41 e n. 242 del 2011 –:
   se il Ministro interrogato intenda adottare con urgenza ed entro il prossimo aggiornamento (2014-2017), le opportune iniziative, anche di carattere normativo, al fine di ristabilire una condizione di equità, includendo nella III fascia della graduatoria ad esaurimento tutti coloro che si trovano nella fascia aggiuntiva, in modo da parificare situazioni identiche che ad oggi secondo dell'interrogante sono trattate in modo diseguale, in violazione del principio di uguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione. (4-03921)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GARAVINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il CUD (certificato unico dipendente) rilasciato dall'INPS è indispensabile ad alcune categorie di italiani all'estero per compilare la dichiarazione dei redditi nel Paese di residenza;
   l'Istituto nazionale di previdenza sociale (INPS) ha recentemente attivato una modifica della procedura con la quale gli istituti di patronato e di assistenza sociale, su mandato dei propri assistiti residenti all'estero, possono rilasciare in via telematica il CUD e il modello Obis-M;
   il cambiamento della procedura è stato attivato senza che gli istituti di patronato e di assistenza sociale fossero preventivamente messi dall'INPS nella condizione di poter suggerire proposte di modifica o, almeno, di essere tempestivamente informati, nonostante ciò sia previsto espressamente dall’«Accordo tecnico-operativo fra l'INPS e gli enti di patronato per la telematizzazione e la decertificazione dei procedimenti amministrativi»;
   tale nuova procedura allunga sensibilmente i tempi di rilascio del CUD e del modello Obis-M. Questo perché essa condiziona il rilascio in via telematica dei predetti documenti all'invio, da parte dei patronati, della scansione in formato digitale del mandato rilasciato in loro favore dall'assistito, unito al suo numero di pensione;
   a quanto consta all'interrogante l'INPS ha giustificato l'attivazione della nuova procedura di rilascio con la necessità di adeguarsi a una non meglio precisata sollecitazione del Garante per la protezione dei dati personali;
   dilatare sensibilmente i tempi di rilascio dei documenti sopra menzionati comporta un notevole disagio per gli utenti dei patronati residenti all'estero, che spesso sono in età avanzata, non hanno dimestichezza con la burocrazia e talvolta neanche con la lingua italiana;
   è anche nell'interesse dell'INPS, che non dispone di sedi all'estero, snellire le procedure di ottenimento di documenti in via telematica, in modo da evitare di suscitare rancore e sfiducia negli utenti residenti all'estero verso lo stesso Istituto. Rancore e sfiducia che scaturiscono anche dal fatto che, a seguito dei tagli sulla rete consolare, le autorità diplomatiche non sono in grado di far fronte alla domanda di servizi e indirizzano i pensionati verso i patronati che, in Paesi molto grandi, si trovano anche a centinaia di chilometri di distanza dalle loro abitazioni –:
   per quanto di competenza, se il Ministro non intenda intraprendere iniziative presso l'INPS affinché l'istituto:
    a) come previsto espressamente dall’«Accordo tecnico-operativo fra l'INPS e gli enti di patronato per la telematizzazione e la decertificazione dei procedimenti amministrativi», in futuro coinvolga i patronati durante la fase di approntamento di nuove procedure e li informi tempestivamente delle procedure in corso di attivazione;
    b) chiarisca quale pronuncia del Garante per la protezione dei dati personali richieda l'eliminazione della precedente e più snella procedura per l'ottenimento in via telematica del CUD e del modello Obis-M, operativa fino a qualche settimana fa per i patronati che agiscono su mandato di cittadini italiani residenti all'estero;
   nel caso una pronuncia del Garante per la protezione dei dati personali in tal senso non esista se non ritenga il Ministro interrogato di intervenire urgentemente affinché l'INPS ripristini la precedente e più snella procedura per l'ottenimento in via telematica del CUD e del modello Obis-M e, più in generale, al fine di realizzare quella necessaria e tanto proclamata semplificazione per il rilascio dei documenti sopra menzionati. (5-02313)

Interrogazione a risposta scritta:


   PINNA, RIZZETTO e ROSTELLATO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la diffida accertativa, introdotta con l'articolo 12 del decreto legislativo n. 124 del 2004, consente di imporre con effetto diretto e immediato in favore del lavoratore il rispetto degli obblighi contenuti nei contratti e accordi collettivi, che siano stati oggetto di accertamento in sede ispettiva;
   nello specifico il procedimento in questione si compone di due fasi: la prima consiste in un accertamento tecnico, avente ad oggetto la sussistenza del diritto di credito vantato dal lavoratore, e si concretizza con l'emanazione da parte dell'ispettore del lavoro di un atto amministrativo di certazione del diritto di credito del lavoratore (diffida accertativa]. Decorso il termine di trenta giorni dalla notifica della diffida accertativa senza che il soggetto diffidato abbia promosso un tentativo di conciliazione, o nel caso di mancata conciliazione fra le parti, prende l'avvio la seconda fase, condotta dal direttore della direzione territoriale del lavoro alla quale appartiene l'ispettore che ha emanato la diffida, che è finalizzata al controllo e all'integrazione dell'efficacia della diffida medesima e si conclude con l'emanazione di un atto di validazione;
   lo strumento sopra descritto è volto ad agevolare uno snellimento del contenzioso giudiziario, nonché a fornire ai lavoratori un mezzo rapido e privo di oneri economici per il recupero degli emolumenti e delle somme dovute, garantendo l'effettività della tutela dei crediti pecuniari dei lavoratori che derivano dall'inosservanza da parte del datore di lavoro della disciplina contrattuale o legale;
   la diffida accertativa rappresenta la traduzione a livello normativo della delega conferita al Governo volta a definire «un quadro regolativo finalizzato alla prevenzione delle controversie individuali di lavoro in sede conciliativa, ispirato a criteri di equità e efficienza» e il cui principio ispiratore è la «semplificazione della procedura per la soddisfazione dei crediti di lavoro, correlata alla promozione di soluzioni conciliative in sede pubblica», ai sensi dell'articolo 8 legge n. 30 del 14 febbraio 2003, «Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro»;
   tuttavia, nonostante specificazioni da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che ha tentato di fornire chiarimenti e istruzioni operative sulla corretta adozione del provvedimento, lo strumento della diffida accertativa spesso non viene utilizzato a causa della sua scarsa pubblicizzazione e di diversi problemi tecnico applicativi –:
   quali siano le ragioni ostative a causa delle quali tuttora, a distanza di dieci anni dalla introduzione dell'istituto della diffida accertativa, gli ispettori del lavoro non sono dotati dei software necessari per calcolare la retribuzione dei lavoratori né possono condividere con l'INPS i software necessari per quantificare i contributi in busta paga;
   se valuti utile conferire maggiore visibilità allo strumento della diffida accertativa, mediante campagne informative che rendano edotto il lavoratore delle possibilità a sua disposizione. (4-03915)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, GALLINELLA, L'ABBATE, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   un articolo di Repubblica del 5 marzo 2014 riporta l'attenzione sul Sian, il sistema informativo agricolo nazionale famoso per i suoi sprechi e per la gestione tutt'altro che trasparente, aggiungendo nuovi dettagli e informazioni. Si apprende infatti che la procura di Roma ha aperto un fascicolo sul caso e una squadra speciale della guardia di finanza indaga in tutta Italia sui finanziamenti concessi agli agricoltori sulla base delle informazioni contenute nel Sian;
   sono molte le irregolarità riscontrate nella maggiore banca dati del settore agricolo e forestale, ad esempio scostamenti tra le superfici richieste ed effettive, casi di immobili ad uso agricolo che ricevono fondi per metrature più del doppio rispetto a quelle reali, e nonostante le irregolarità i fondi vengono erogati ugualmente in automatico. Si arriverebbe addirittura a milioni pagati a chi non ha coltivato mai un metro quadrato di terra, a prestanome di clan mafiosi e fondi per una fattoria concessi a chi non aveva che un garage, a società agricole che accumulano penalità di 200 mila euro e ottengono comunque il denaro;
   gli sprechi di denaro pubblico non sono solo verso l'esterno, sotto forma di finanziamenti, ma anche verso l'interno, a favore delle stesse società che sono tra i soci del Sian, ai cui vertici starebbero da vent'anni sempre gli stessi imprenditori privati. Nell'esposto alla procura, che l'ex presidente e amministratore delegato di Sin Carbone presentò, si legge che «i fornitori di Agea sono stati sempre gli stessi, sebbene in compagnie societarie diverse nella forma, ma immutate nella sostanza»;
   nella relazione finale dell'avvocato Francesco Carluccio, incaricato da Carbone per una consulenza legale, si legge che la trasformazione di Sin da SRL in SPA è stata una sorta di favore nei confronti dei soci privati, «la Sin sembra aver impegnato i suoi maggiori sforzi quasi unicamente per aumentare i compensi e i rimborsi agli amministratori». In altre parole, «peggioramento nella gestione della società» e «aumento ingiustificato dei costi»;
   da segnalare inoltre che, nonostante il Sin disponga di un'area della direzione audit e comunicazione dedicata all'organizzazione della società, con un direttore che percepisce 163 mila euro l'anno, e nonostante abbia anche una direzione amministrativa per le questioni finanziarie, con un altro direttore che di euro ne prende 123 mila, il primo febbraio è stato stipulato un contratto di consulenza da 43.084 euro con Antonio D'Angelo, il quale dovrà «affiancare il direttore generale nella supervisione degli aspetti amministrativi, organizzativi, finanziari, procedurali della società»;
   dal 2010 ad oggi il Sian ha drenato l'incredibile cifra di 780 milioni di euro, tra dossier, relazioni di collaudo, audit interni e perizie legali. Una cifra esorbitante che non ha impedito, però, il rinnovo del contratto con i privati che lo gestiscono, aumentato di altri 90 milioni di euro per il triennio 2014-2016 –:
   se in un'ottica di razionalizzazione dei costi non si ritenga di disporre del personale interno anziché costose consulenze esterne, e qualora il ricorso a consulenze esterne sia dovuto a mancanza di fiducia nell'operato delle risorse interne, non si ritenga di procedere con l'allontanamento di coloro che hanno dato prova di incompetenza e mancanza di trasparenza nel loro operato;
   visti i risultati negativi, se non si ritenga di dover mettere in discussione il sistema di gestione Sin e il legame con le società partecipate, le medesime da molti anni. (5-02319)

Interrogazione a risposta scritta:


   MASSIMILIANO BERNINI e SIBILIA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il concorso pubblico per esami per la nonnina di quattrocento (400) allievi vice ispettori del Corpo forestale dello Stato, è stato indetto il 23 novembre 2011, come pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana – IV serie speciale «Concorsi ed esami» n. 94 del 29 novembre 2011;
   gli accertamenti di idoneità psico-fisica ed attitudinale che secondo l'articolo 5 del bando dovevano essere eseguiti tra la prova preliminare e la prova scritta, sono stati posticipati dal DCC del 31 ottobre 2012 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 6 novembre 2012, dopo la prova scritta;
   le date della prova scritta sono comparse sul sito della società Selex, incaricata di compilare ed organizzare le prove scritte, circa una settimana prima della comunicazione ufficiale in Gazzetta Ufficiale, agevolando in tal modo quei candidati che sono venuti a conoscenza in anticipo delle date delle prove scritte tramite web, ottenendo un vantaggio per lo meno sotto il profilo psicologico, rispetto ai candidati che hanno appreso le date degli esami scritti dagli organi ufficiali di comunicazione (Gazzetta Ufficiale);
   in merito alle prove di accertamento di idoneità psico-fisica ed attitudinale dei candidati, le cui date sono state rese note il 23 luglio 2013, sono in seguito usciti due aggiornamenti sulle modalità di esecuzione delle prove stesse nella sezione «domande frequenti F.A.Q.» in data 25 luglio 2013 ed in data 22 agosto 2013, quando ormai alcuni candidati avevano già eseguito le visite mediche richieste per partecipare alla selezione;
   per gli stessi accertamenti non sono stati resi noti i valori dei limiti inferiori e superiori dei parametri ematici per i quali si possa o meno risultare idonei e questo a differenza di quanto accade in concorsi di altri corpi, ove i valori per l'idoneità vengono resi noti, anche in anticipo rispetto allo svolgimento delle prove e delle visite mediche. Rimanendo tutt'ora questa indicazione ignota, come minimo gli aspiranti allievi vice ispettore risultano tutt'ora privati dell'opportunità di auto-valutazione delle propria idoneità, soprattutto nel caso di coloro che non abbiano superato questa fase del concorso;
   per gli stessi accertamenti alcuni candidati hanno richiesto delucidazioni telefoniche al numero indicato dal concorso, ma non hanno ricevuto risposte esaurienti;
   per quanto concerne le prove orali, in corso di svolgimento dal giorno 14 gennaio 2014, non sono stati indicati, a differenza di precedenti concorsi per il Corpo forestale, testi di riferimento utili a consentire ai candidati di finalizzare la preparazione sulle materie di esame effettivamente previste, comportando evidentemente una disparità di condizioni tra gli esaminati nei primi giorni e quelli dei giorni successivi, avendo quest'ultimi la possibilità di individuare gli argomenti e gli aspetti salienti delle materie d'esame prese in maggiore considerazione da parte delle commissioni esaminatrici;
   negli esami orali la metodologia di selezione delle tre domande di esame, per ciascun candidato, prevede l'estrazione dei testi dei quesiti da tre distinte urne, ciascuna contenente un numero di testi pari al numero degli esaminati in lista nella specifica giornata d'esame, ciò comporta che nella stessa sessione d'esame, vi siano candidati che si trovano a sorteggiare tra un numero significativo di quesiti ed altri che hanno opportunità di estrarre i quesiti da un campione contenente un numero di domande tendente ad uno –:
   quali iniziative si intendano porre in essere, o siano già state poste in essere, per fare sì che le procedure ed il percorso di valutazione degli aspiranti allievi vice ispettori rispettino il principio di equità di condizioni tra tutti i candidati, soprattutto alla luce delle succitate possibili irregolarità procedurali delle diverse fasi del concorso pubblico oggetto di questa interrogazione. (4-03923)

SALUTE

Interrogazioni a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   risulta difficile quantificare il costo dell'assistenza sanitaria per gli immigrati, analogamente a quanto accade anche per alcune categorie di italiani (ad esempio, anziani, disabili, malati oncologici e altri), per i quali costi diretti e costi indiretti, costi di natura sanitaria e costi di natura sociale si intrecciano profondamente;
   la stima dei costi sostenuti per l'assistenza sanitaria agli immigrati può essere effettuata con una metodologia messa a punto negli anni dal gruppo di lavoro nazionale «Salute immigrati» a partire dalle prime valutazioni relative agli anni 2003-2005, pubblicate nel 2008; ma il diverso grado di affidabilità dei dati forniti dalle regioni e le diverse modalità di contabilizzazione impiegate dalle stesse rendono possibile effettuare solo delle stime e rendono difficile il benchmark;
   gli immigrati «irregolari» sono per lo più extra-comunitari senza permesso, spesso in condizioni di marginalità sociale e senza possibilità di iscriversi al servizio sanitario nazionale;
   nelle Marche, ad esempio, sembra che l'assistenza agli «irregolari» costi di più di quella agli italiani per due ragioni almeno: troppi ricoveri e poca medicina di base; nel 2010, nelle Marche, la spesa media stimata per singolo ricovero per gli immigrati residenti regolari è stata inferiore del 30 per cento di quella per gli italiani. Ma quella degli immigrati irregolari, soprattutto bambini, è stata superiore del 22 per cento, tenendo conto che i bambini in questo caso non hanno un pediatra di base;
   se si confrontano le due sottopopolazioni di immigrati, i regolarmente residenti e gli «irregolari», il «peso» dei ricoveri per questi ultimi è maggiore rispetto a quello degli italiani e può essere addirittura superiore, soprattutto nella classe di età pediatrica (0-14 anni), a quello degli italiani. Questo ultimo dato suggerisce la necessità di una presa in carico da parte del pediatra di base per evitare il ricorso al ricovero in condizioni di maggiore gravità con conseguenze sulla salute e sui costi;
   se è comprensibile che gli italiani, in quanto popolazione più anziana e con patologie croniche necessitino di un'assistenza ospedaliera più complessa e quindi più costosa, la differenza tra immigrati regolarmente residenti e quelli «irregolari» – che hanno caratteristiche anagrafiche analoghe – dovrebbe suscitare attenzione maggiore a livello politico-sanitario;
   nell'attuale contesto nazionale in cui la necessità di ottimizzare le risorse suggerisce di fornire le cure di base a chi ne ha bisogno, a partire dai gruppi più vulnerabili, ciò significa anche assumere la responsabilità di operare in termini di efficienza, oltre che contrastare le diseguaglianze, che hanno ricadute negative su tutta la collettività –:
   come intenda rivalutare le esigenze degli immigrati, anche irregolari, in termini di assistenza da erogare sia per gli ovvi valori umani che a ciò sono correlati, come descrittore del grado di cultura e di apertura verso le persone più indigenti, sia per gli effetti che tale scelta produce come precisa misura di risparmio sul piano dei costi del servizio sanitario nazionale, dal momento che più prevenzione e più assistenza di base ridurrebbero il ricorso all'ospedale, strutturalmente più caro.
(3-00677)


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Corte costituzionale ha recentemente «bocciato» la legge Fini-Giovanardi considerandola incostituzionale;
   la questione di legittimità della legge era stata sollevata dalla Cassazione per violazione dell'articolo 77 della Costituzione, perché nel 2006 nella norma di conversione, afferma la Corte, furono inseriti emendamenti estranei all'oggetto e alle finalità del decreto;
   la legge Fini-Giovanardi equiparando droghe leggere e pesanti, prevedeva sanzioni analoghe per l'uso e lo spaccio di entrambe;
   questa decisione fa rivivere la legge Iervolino-Vassalli modificata dal referendum del 1993, che prevede invece pene più basse per le droghe leggere;
   la legge Iervolino-Vassalli punisce con l'arresto e il carcere sia lo spaccio di cannabis che quello di altri tipi di droghe, ma non precisa quale sia la quantità di sostanza che fa scattare la sanzione penale e prevede tabelle diverse per classificare le cosiddette droghe leggere e pesanti;
   Francis S. Collins, direttore del National Institutes of Health (Nih), una delle massime autorità di ricerca negli Stati Uniti, ha sollevato preoccupazioni verso la legalizzazione della marijuana che sta prendendo piede negli Stati Uniti dove due Stati, il Colorado e lo Stato di Washington, l'hanno già legalizzata; altri Stati stanno considerando la legalizzazione delle droghe leggere o la loro decriminalizzazione per uso medico o ricreazionale;
   Collins ha sottolineato che l'uso regolare di marijuana in adolescenti, in particolare in adolescenti sotto i 18 anni, ha un impatto significativo per tutta la vita sul cervello portando a una tossicità associata a una perdita media di circa 10 punti di quoziente di intelligenza (IQ), cioè una perdita di capacità cognitiva;
   Tirelli, direttore del dipartimento di oncologia medica dell'istituto tumori di Aviano, citando uno studio del direttore dei Nih, Francis Collins, ha lanciato l'allarme sui pericoli derivanti dalla legalizzazione di queste sostanze, tra le altre ragioni perché «il fumo di cannabis può portare ad un maggiore rischio di cancro al polmone»;
   un lavoro statunitense pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences, riporta danni neurologici delle cosiddette droghe leggere suggerendo un effetto neurotossico della cannabis nel cervello degli adolescenti, cervello che è in fase di sviluppo; un recente studio condotto dalla British Lung Foundation dimostra che il fumo della cannabis aumenta anche il rischio del tumore del polmone –:
   quali iniziative intenda assumere per intensificare le misure di prevenzione nei confronti degli adolescenti per evitare una possibile banalizzazione nell'uso e nel consumo delle cosiddette droghe leggere, che lascia pensare ad una presunta differenziazione di pericolosità dei vari tipi di sostanza. (3-00678)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da alcuni mesi (novembre 2013) l'ASL di Avellino ha drasticamente cancellato per buona parte dei pazienti i servizi di assistenza domiciliare integrata (ADI) compreso il servizio di fisioterapia domiciliare;
   molti anziani allettati non vengono più seguiti in quanto definiti cronici e per tanto si coprono di piaghe da decubito per mancanza di fisioterapia;
   le piaghe non vengono più curate attraverso l'ADI e quindi portano rapidamente l'ammalato all'aggravamento, a meno che non abbia possibilità economiche che gli garantiscano un servizio di tipo privato;
   in definitiva la regione Campania, attraverso la ASL di Avellino, non garantisce i livelli essenziali di assistenza;
   gli anziani pertanto, non hanno altra soluzione che il ricovero ospedaliero con gravi ricadute sulla spesa sanitaria e sulla loro qualità di vita –:
   come intenda intervenire, per quanto di competenza, per verificare che anche in Irpinia siano garantiti il diritto alla salute e i livelli essenziali di assistenza. (4-03928)


   BRAMBILLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo l'articolo 47 della direttiva europea 2010/63/UE sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici, le Autorità nazionali sono chiamate a contribuire allo sviluppo e alla convalida dei metodi alternativi di ricerca;
   secondo la stessa direttiva europea gli Stati Membri devono altresì: a) prendere misure che implementino i metodi alternativi; b) individuare laboratori specializzati e qualificati idonei ad operare in conformità a tali metodi; c) promuovere gli approcci alternativi e la divulgazione delle relative informazioni;
   le persone di riferimento nominate dall'Italia all'interno del «PARERE Network (Preliminary Assessment of REgulatory RElevance)» per l'attuazione dell'articolo sopra citato sono le dottoresse Maura Ferrari e Emma Di Consiglio;
   la dottoressa Maura Ferrari, in quanto responsabile del Centro di referenza nazionale del Ministero della salute per i metodi alternativi, presso l'istituto zooprofilattico sperimentale Lombardia ed Emilia Romagna sede di Brescia, nelle considerazioni sui metodi alternativi finalizzati alla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici in relazione all'approvazione dell'articolo 13 della legge di delegazione europea 96-2013 (documento trasmesso dalla dottoressa Ferrari alla XII Commissione affari sociali della Camera dei deputati il 18 luglio 2013), pur affermando la necessità di velocizzare il processo di validazione dei metodi alternativi, non fornisce dettagli sulle nuove attività del Centro dopo essere stata nominata più di due anni fa, non propone, come avviene in altri Paesi, nuove tecniche di replacement, fondamentali per ottemperare al principio delle «3R», e scrive che il gruppo di lavoro costituito da esperti, istituito presso il Ministero della salute, ha comunicato «di limitare, ove possibile, il ricorso alla sperimentazione sugli animali applicando due delle 3Rs rappresentate da refinement e reduction». Tale affermazione non  rispecchia la posizione di tutti gli esperti del gruppo di lavoro poiché almeno tre degli esperti del medesimo Gruppo di lavoro ministeriale da anni ritengono urgente e inderogabile l'applicazione anche della terza R rappresentata dal replacement degli animali;
   la dottoressa Emma Di Consiglio dell'Istituto superiore di sanità non sembrerebbe avere, secondo l'interrogante, preparazione specifica nei metodi alternativi alla sperimentazione sugli animali, sia come percorso di studi che come presenze in convegni in tale campo o pubblicazioni in merito –:
   se risulti sulla base di quale criterio sia stata scelta la dottoressa Emma Di Consiglio come persona di riferimento a livello europeo per l'Italia nel campo delle alternative e quali attività abbia realizzato in favore dei metodi alternativi alla sperimentazione sugli animali;
   quali orientamenti intenda fornire, e con quali atti conseguenti, su quanto esposto in riferimento all'attività e alla relazione trasmessa alla XII Commissione della Camera dei deputati da parte della dottoressa Maura Ferrari;
   quale sia l'elenco dei laboratori nazionali individuati come atti a sperimentare i metodi alternativi che avrebbe dovuto stilare il Centro di referenza nazionale del Ministero della salute per i metodi alternativi rappresentato dalla dottoressa Maura Ferrari;
   quali siano i piani approvati e attuati di promozione di approcci alternativi all'uso di animali e per l'adeguata diffusione delle informazioni relative, come previsto al comma 4 dell'articolo 47 della direttiva europea 2010/63/UE. (4-03930)


   SAMMARCO, CICCHITTO e SALTAMARTINI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con ordinanza 36 del 21 febbraio 2014, il sindaco di Roma ha disposto il divieto di utilizzo dell'acqua per il consumo umano fino al 31 dicembre 2014 in alcune aree dei municipi XIV e XV di Roma Capitale; le acque recano tracce di inquinamento batteriologico e di arsenico, eccedenti i limiti ammessi dalla normativa vigente;
   con la medesima ordinanza il sindaco ha richiesto ad ACEA ATO2 spa di porre in essere interventi di risanamento, assicurando la fornitura di acqua per il consumo umano mediante punti di rifornimento opportunamente dislocati sul territorio dei municipi XIV e XV e provvedendo al tempo stesso all'eliminazione dell'inquinamento, dandone riscontro all'amministrazione;
   il sindaco ha inoltre richiesto alte aziende sanitarie locali Roma C e Roma E di effettuare – con il concorso dell'Agenzia regionale per la protezione ambientale del Lazio – i controlli esterni previsti dall'articolo 8 del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 31 al fine di verificare che le acque provenienti dagli acquedotti in premessa soddisfino i requisiti di qualità necessari;
   le acque non a norma provengono da una rete di acquedotti, che originariamente erano al servizio di aziende agricole e che oggi sono gestiti dall'ARSIAL; la citata rete è dal 1998 in corso di trasferimento di competenza dall'ARSIAL all'Acea Ato 2; tale processo non è ancora stato portato a compimento e anzi, nelle more della sua attuazione, non è stato possibile procedere nemmeno alla normale manutenzione delle strutture;
   questo stallo ha finito per generare non solo criticità e disagi per i residenti, ma anche un gravissimo rischio per la salute pubblica nei due citati municipi a nord della capitale –:
   ad avviare un procedimento volto ad utilizzare i fondi Cipe stanziati per le emergenze idriche, al fine di alleviare i disagi dei cittadini. (4-03933)

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Grillo e altri n. 7-00288, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 marzo 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Catalano.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Fiano e altri n. 5-02236, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 febbraio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Plangger.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Prodani e Mucci n. 5-02288, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 marzo 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Catalano.

Cambio di presentatore di interrogazione a risposta in Commissione.

  Interrogazione a risposta in Commissione n. 5-02010, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 gennaio 2014, è da intendersi presentata dall'onorevole Guerra, già cofirmatario della stessa.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Dorina Bianchi n. 1-00281, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 135 del 10 dicembre 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    le malattie rare sono un insieme molto vasto e allo stesso tempo eterogeneo di patologie, con una bassa frequenza nella popolazione (in Europa la soglia è di meno di 5/10.000 (Regolamento (EC) No. 141/2000) ed un elevato grado di complessità. Si tratta di malattie poco conosciute e studiate, spesso di tipo cronico, accompagnate da disabilità pesanti, che frequentemente limitano la durata della vita. Chi ne è affetto deve convivere con i sintomi e le difficoltà che ne conseguono per tutta la vita, spesso fin dalla nascita o comunque dalla più tenera età; una situazione che si riversa necessariamente sulle famiglie, le quali si trovano ad affrontare situazioni dolorose e straordinariamente complesse, anche dal punto di vista della organizzazione familiare necessaria per affrontare la quotidianità; spesso, le famiglie si trovano ad affrontare spese molto onerose per raggiungere i centri specializzati di cura e sono costrette a devolvere cure personali in assenza di personale dedicato reperibile, con conseguente diminuzione dell'attività lavorativa da cui necessariamente sono distolti per attendere alle incombenze continue che l'assistenza assidua al malato impone;
    appare indispensabile integrare le famiglie nel percorso assistenziale attraverso la più profonda «alleanza terapeutica» tra medici, personale sanitario e genitori, altri affidatari del malato, specie se minore: solo attraverso il coordinamento e l'integrazione tra servizi e professionalità distinte si può costruire un'assistenza rispondente e adeguata alle esigenze del bambino portatore di malattia rara e della sua famiglia che ne soffre le dolorose conseguenze di stress e di sovraccarico di impegno morale e fisico;
    oggi, nell'Unione europea, possiamo stimare l'esistenza di 5.000-7000 malattie rare che colpiscono circa 30 milioni di persone, la metà delle quali sviluppa la malattia già in età pediatrica; di origine genetica nell'80 per cento dei casi, acquisite per il restante 20 per cento dei casi;
    in Italia si stimano circa 2 milioni di malati, gran parte dei quali in età pediatrica;
    si è creato il paradosso per cui la somma di tantissime rarità ha come risultato una numerosità elevata di malati, colpiti da patologie che, singolarmente considerate, non destano interesse da parte dei ricercatori e delle case farmaceutiche, non motivate a investire in questo settore; di conseguenza troppo spesso chi è affetto da patologie rare e ultrarare non ha cure o terapie adeguate, contribuendo così in modo rilevante ad aumentare ancora di più i costi umani ed economici per le famiglie;
    anche l'Italia, come l'Unione europea, a partire dal 1999, ha identificato nelle malattie rare un'area di priorità nella sanità pubblica; negli anni seguenti sono stati esplicitati priorità e obiettivi, e sono state numerose le iniziative a livello ministeriale, regionale e da parte dell'AIFA, per organizzare questo ambito sanitario. Nonostante l'impegno profuso, però, complice anche la modifica del Titolo V della Costituzione che ha affidato alle regioni l'organizzazione sanitaria, senza prevedere un coordinamento centrale efficace (indispensabile in questo settore), il quadro normativo complessivo non è stato in grado di fornire un'assistenza adeguata a questi malati e alle loro famiglie, che troppo spesso si trovano senza un sostegno efficace;
    il comitato nazionale di bioetica, in data 25 novembre 2011, ha approvato il parere «Farmaci orfani per le persone affette da malattie rare», nel quale indica le seguenti misure:
     1. la raccomandazione, al legislatore europeo e nazionale, di adottare una nuova definizione di malattia rara, sulla base di criteri epidemiologici più restrittivi, e di stabilire un tetto di fatturato sopra al quale revocare la designazione di farmaco orfano e i relativi vantaggi e incentivi, al fine di scoraggiare politiche speculative basate sull'estensione delle indicazioni cliniche dei prodotti molto costosi;
     2. la promozione della presa in carico e del trattamento, farmacologico e non farmacologico, delle malattie rare, ereditarie e non, anche riducendo il numero dei casi non diagnosticati, abbattendo i tempi della diagnosi e aumentando la disponibilità della consulenza genetica per le malattie ereditarie;
     3. la promozione delle sperimentazioni cliniche su base multicentrica, nazionale e internazionale, nel pieno rispetto dei soggetti sui quali viene effettuata la sperimentazione (bambini o altre condizioni di particolare vulnerabilità) e dei criteri di eticità (consenso informato; confidenzialità della informazione; eccetera); a tale scopo viene auspicata la realizzazione di un fondo europeo destinato alla ricerca traslazionale di nuovi farmaci orfani;
     4. la promozione del trasferimento dei risultati delle ricerche nelle cure delle malattie rare e la contestuale adozione di un maggiore rigore nei criteri di valutazione del tasso di innovazione dei farmaci orfani prima della loro immissione sul mercato, garantendo le migliori pratiche cliniche nazionali e internazionali a tutti i pazienti, senza eccezioni o differenze a livello regionale;
     5. il monitoraggio dell'efficacia e della tollerabilità dei farmaci concessi ad uso compassionevole o utilizzati in forma off-label;
     6. il recupero di risorse in grado di sostenere l'onere dei trattamenti orfani attraverso la redistribuzione del carico di spesa per alcune classi di farmaci, di largo impiego e basso costo, dal SSN ai pazienti, ma anche promuovendo campagne affinché grandi aziende, sia farmaceutiche sia produttrici di beni di largo consumo, siano incoraggiate ad «adottare» l'una o l'altra delle malattie orfane, considerando che «l'eticità» di un prodotto, una volta pubblicizzato, può rappresentare un valore aggiunto.
    Esistono in Europa, per esempio in Francia, forme di autorizzazione di farmaci per queste malattie che ne accelerano la possibilità di accesso per i pazienti: si tratta sostanzialmente di autorizzazioni temporanee concesse quando ancora l’iter di per la commercializzazione è ancora in corso, a condizione che non esistano valide alternative terapeutiche con prodotti regolarmente validati. Una modalità regolatoria di questo tipo consente ai «pazienti rari» di avere a disposizione farmaci innovativi e potenzialmente validi in tempi più veloci rispetto a quelli normalmente necessari alla conclusione delle sperimentazioni e dell’iter autorizzativo per la commercializzazione, contribuendo a evitare quei «viaggi della speranza» che troppo spesso si rivelano truffe a scapito di famiglie disperate; una razionalizzazione dei processi di autorizzazione è doverosa sempre, ma in particolare in situazioni di complessità come quelle della gran parte delle malattie rare,

impegna il Governo:

   ad istituire, a livello nazionale, e a promuovere, a livello regionale, i registri delle patologie rare, in modo da fare chiarezza sul numero reale di pazienti che ne sono affetti, consentendo l'utilizzo mirato delle risorse pubbliche;
   ad istituire il Comitato nazionale delle malattie rare, presso il Ministero della salute, tenendo conto nella composizione dei rappresentanti delle regioni, dell'istituto superiore della sanità e delle associazioni di tutela dei malati e delle famiglie, nonché dei rappresentanti dei ministeri competenti in merito;
   a dare una definizione in tempi rapidi delle «malattie rare» da includere nell'elenco delle patologie da sottoporre a screening neonatale obbligatorio, considerando che la diagnosi prenatale consentirebbe di iniziare precocemente, ove fosse disponibile, la terapia riducendo i danni derivati dalla patologia;
   ad assumere iniziative normative che permettano ai farmaci orfani di beneficiare, così come avviene negli Stati Uniti d'America, dell'esenzione dei diritti da versare per l'immissione in commercio, di una accelerata procedura di registrazione e di un credito di imposta pari al 50 per cento delle spese sostenute per la sperimentazione clinica;
   ad attuare ogni iniziativa, anche normativa, finalizzata a facilitare e velocizzare, per questo tipo di patologie, l'accesso a farmaci potenzialmente efficaci di cui si sia rigorosamente accertata la non nocività, limitatamente ai casi in cui manchino valide alternative terapeutiche per cui sia concluso l’iter di sperimentazione e autorizzazione al commercio.
(1-00281) (nuova formulazione) «Dorina Bianchi, Roccella, Calabrò, Bosco, Saltamartini, Alli».

Ritiro di un documento di indirizzo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: risoluzione in Commissione Baldassarre n. 7-00275 del 26 febbraio 2014.

Ritiro di un documento del Sindacato Ispettivo.

   Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Porta n. 5-02254 del 4 marzo 2014.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta orale Sammarco e altri n. 3-00675 del 7 marzo 2014 in interrogazione a risposta scritta n. 4-03933.