Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 11 febbraio 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    le incessanti precipitazioni dei primi giorni di febbraio hanno messo in ginocchio gran parte del Paese; l'ondata di maltempo ha creato frane, allagamenti e straripamenti dei fiumi, da Nord a Sud, e ha fatto registrare fino ad oltre 5 metri di neve e rischio valanghe sulle Alpi orientali;
    il livello di criticità nel Veneto ha raggiunto i massimi livelli: oltre 1000 gli evacuati, un morto, danni alle colture e alle cose stimati per ora attorno ai 500 milioni di euro; il padovano, dove sono esondati diversi canali collegati al Bacchiglione, interi quartieri sono stati totalmente allagati da oltre un metro e mezzo di acqua, costringendo molte famiglie ad abbandonare le proprie abitazioni attraverso le barche della protezione civile;
    il disastro è arrivato a pochi giorni di distanza dall'alluvione di Modena del 19 gennaio 2014, quando la rottura dell'argine destro di Secchia nella frazione di San Matteo, ha inondato Modena, Bastiglia, Bomporto, San Prospero, Medolla e altre zone della provincia di Modena, provocando l'allagamento di una superficie di 75 chilometri quadrati, l'evacuazione di 600 persone, il blocco delle strade, frane e smottamenti, oltre duemila ettari di coltivazioni con grano e altri cereali sommerse nell'acqua;
    l'S.O.S. idrogeologico lanciato dalla Protezione civile ha riportato alla ribalta il problema cronico di cui soffre il Paese, ossia la mancanza di un programma organico di pratiche di vigilanza attiva e di manutenzione costante del suolo e dei corsi d'acqua, che sia in grado di mantenere in uno stato di concreta sicurezza le aree più sensibili;
    l'abbandono dei terreni montani, il disboscamento, la forte espansione edilizia soprattutto negli anni ’70 e ’80, la costruzione, spesso abusiva, sui versanti a rischio, la mancata pulizia dei corsi d'acqua, la forte antropizzazione e la cementificazione di lunghi tratti dei fiumi e dei torrenti contribuiscono all'aumento dell'esposizione della popolazione al rischio idrogeologico e ad alluvioni;
    il nostro Paese ha un territorio estremamente fragile e in crescente pericolo di dissesto; secondo uno studio del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il 9,8 per cento della superficie nazionale è ad alta criticità idrogeologica e sono 6.633 i comuni interessati, pari all'81,9 per cento dei comuni italiani. In particolare, il 24,9 per cento dei comuni è interessato da aree a rischio frana, il 18,6 per cento da aree a rischio alluvione e il 38,4 per cento da aree a rischio sia di frana che di alluvione; più di 5 milioni i cittadini italiani ogni giorno vivono o lavorano in aree considerate ad alto rischio; un'indagine mostra che «quasi il 60 per cento degli italiani indica frane e smottamenti come una delle prime tre emergenze ambientali del Paese»;
    secondo i dati elaborati dal Cnr-Irpi, fra il 1960 e il 2012, tutte le 20 regioni italiane hanno subito eventi fatali: 541 inondazioni in 451 località di 388 comuni, che hanno causato 1.760 vittime (762 morti, 67 dispersi, 931 feriti), e 812 frane in 747 località di 536 comuni con 5.368 vittime (3.413 morti compresi i 1.917 dell'evento del Vajont del 1963, 14 dispersi, 1.941 feriti). Le vittime dal 1960 a oggi per frane e inondazioni sono state dunque in totale oltre 4 mila, gli sfollati e i senzatetto per le sole inondazioni superano rispettivamente i 200 mila e i 45 mila;
    secondo i dati apparsi sui giornali in questi giorni, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha quantificato in circa 8,4 miliardi di euro i finanziamenti statali degli ultimi venti anni per politiche di prevenzione e di difesa del suolo, mentre nello stesso periodo sono stati spesi 22 miliardi per riparare i danni causati da frane ed alluvioni;
    tali dati rendono evidente l'impellente necessità di un piano pluriennale di prevenzione e di manutenzione del suolo e dei corsi d'acqua, finanziato dallo Stato e cofinanziato dalle regioni e dagli enti locali, da attuarsi da parte degli enti periferici e territoriali competenti per legge;
    risulta evidente che si tratta di un'emergenza nazionale e che se non si procederà al più presto ad effettuare un vasto piano di prevenzione e messa in sicurezza del territorio, sarà sempre più difficile ed insostenibile fare fronte agli interventi di risarcimento e di ricostruzione delle opere distrutte o danneggiate a seguito di danni provocati dalle alluvioni;
    la ripresa economica di cui abbisogna il Paese è continuamente rallentata e minacciata dall'aumento della fragilità del territorio, dal susseguirsi di drammi umani e danni alle cose; ma sono gli stessi finanziamenti per la prevenzione e per la manutenzione del territorio che possono diventare un volano per l'accelerazione della ripresa economica e per lo sviluppo del Paese, creando indotto e occupazione;
    in questi giorni, i mass media hanno riportato l'esempio del bacino di laminazione di Montebello che ha raccolto, trattenuto ed evitato che si riversassero soprattutto sul basso vicentino e sul padovano circa 4 milioni di metri cubi di acqua. Si tratta di un impianto costruito addirittura nel 1926 che raccoglie a Nord le acque dell'Agno-Gua’ attraverso 12 sifoni di presa e si può trasformare in un lago di 6 milioni di metri cubi d'acqua, su oltre 50 ettari, quasi tutti di proprietà demaniale, raggiungendo una profondità sino a 20 metri; si tratta di un esempio delle soluzioni che servono, certamente costose, in grado di mantenere l'acqua il più possibile in bacini per evitare che a valle i fiumi possano provocare danni;
    il 26 giugno 2013 sono state accolte dal Governo alcune delle mozioni presentate alla Camera da tutti i gruppi che hanno impegnato lo stesso Governo sugli obiettivi da raggiungere in merito al dissesto idrogeologico;
    la legge di stabilità 2014 ha cercato di sbloccare circa 1.400 milioni di euro di finanziamenti per il rischio idrogeologico stanziati dai precedenti governi e ha stanziato ulteriori 180 milioni di euro per il triennio 2014-2016;
    tuttavia, nella scorsa legislatura sono state calcolate necessità di prevenzione del rischio idrogeologico per un ammontare di 44 miliardi di euro, di cui 27 miliardi di euro per l'area del Centro-Nord, 13 miliardi di euro per il Mezzogiorno e 4 miliardi di euro per il patrimonio costiero;
    per raggiungere risultati concreti serve la sinergia tra amministrazioni centrali e locali per il finanziamento degli interventi;
    i veri conoscitori dello stato di salute del territorio e delle relative necessità di interventi per la messa in sicurezza e per la prevenzione dei rischi e dei pericoli derivanti dalle calamità naturali sono gli amministratori locali e, pertanto, gli stessi amministratori sono sempre al centro delle attività relative all'individuazione, alla predisposizione ed esecuzione degli interventi e della mitigazione dei rischi;
    negli ultimi anni, le regole stringenti del patto di stabilità e crescita imposte dalla Commissione europea e le conseguenti norme nazionali sul patto di stabilità interno costituiscono un vincolo insormontabile alla spesa delle amministrazioni locali; anche nei casi di disponibilità di risorse, gli investimenti dei comuni per la prevenzione e la manutenzione del proprio territorio sono frenati dal patto di stabilità interno;
    appare necessaria una revisione delle norme vigenti in campo di prevenzione e di lotta al dissesto idrogeologico, non solo verso la semplificazione delle procedure per l'esecuzione degli interventi e l'assegnazione delle risorse ma anche verso l'eliminazione delle disposizioni che, di fatto, rendono impossibile la spesa, come quelle relative all'inclusione degli interventi, indispensabili per la stessa sopravvivenza dei territori e della popolazione, alla contabilizzazione della spesa per il rispetto dei parametri del patto di stabilità e crescita imposti dalla Unione europea;
    recentemente si è tanto parlato della golden rule sulle infrastrutture, in merito all'uscita delle spese sostenute dal nostro Paese per finanziare gli interventi delle reti infrastrutturali inserite nei corridoi Ten-T europei dal rispetto dei parametri del patto di stabilità e crescita; infatti, nell'ottobre 2013, la Commissione sviluppo regionale del Parlamento europeo ha approvato la necessità di non calcolare nel 3 per cento dei parametri di bilancio le spese per gli investimenti produttivi in infrastrutture, occupazione e formazione; si tratta di una modifica importante ai vincoli di bilancio degli Stati e delle regioni che permette maggiore efficienza all'utilizzo dei fondi europei e sostiene il superamento delle politiche di austerità;
    sulla scia dei provvedimenti adottati per le reti infrastrutturali inserite nei corridoi Ten-T, occorre attuare un passo importante a livello dell'Unione europea, per escludere dal rispetto dei parametri del patto di stabilità e crescita, e conseguentemente dal patto di stabilità interno, le spese sostenute per finanziare interventi di prevenzione del dissesto idrogeologico e di manutenzione del suolo e dei corsi d'acqua,

impegna il Governo

ad assumere le opportune iniziative affinché uno degli obiettivi prioritari e fondamentali del prossimo semestre italiano di presidenza europea diventi l'esclusione, dalla contabilizzazione delle spese ai fini del rispetto dei parametri del patto di stabilità e crescita, delle risorse stanziate dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali per finanziare gli interventi necessari per la prevenzione dei dissesti, la manutenzione del territorio e dei corsi d'acqua e il contrasto del dissesto idrogeologico, provvedendo, conseguentemente, all'esclusione di tali spese dai vincoli previsti dal patto di stabilità interno.
(1-00339) «Giancarlo Giorgetti, Prataviera, Matteo Bragantini, Grimoldi, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Marguerettaz, Molteni, Gianluca Pini, Rondini».

Risoluzione in Commissione:


   La I Commissione,
   premesso che:
    nel tentativo di uscire dalla crisi ed avviare la ripresa, il nostro Paese è da tempo alla ricerca di azioni e risorse per il rilancio dell'economia e dell'occupazione;
    in questo contesto, le esportazioni sono particolarmente importanti alla sopravvivenza ed allo sviluppo delle imprese italiane, stante lo stato di prolungata debolezza della domanda interna, destinato tra l'altro a protrarsi nel tempo a causa del forte inasprimento della pressione fiscale;
    il 90 per cento della produzione di armi leggere del nostro Paese è destinato all'esportazione, con quote crescenti dirette verso i mercati statunitense, brasiliano e sudafricano;
    il comparto armiero del nostro Paese è al momento composto da 108 imprese, alcune delle quali di fama mondiale, con oltre tremila addetti ed un fatturato pari ad almeno 250 milioni di euro;
    in Italia la vendita di armi civili è rigorosamente disciplinata dal Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza sin dal 1931, mentre è più recente l'intervento normativo comunitario, rappresentato dal Regolamento (CE) n. 258/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, risalente al 14 marzo 2012, emanato con l'intento di armonizzare le normative dei singoli Stati dell'Unione, alcuni dei quali non erano sufficientemente strutturati dal punto di vista normativo e in materia di controlli;
    proprio dalle modalità del recepimento interno del recente intervento normativo europeo stanno tuttavia derivando notevoli difficoltà aggiuntive per le imprese del comparto armiero del nostro Paese, che già operavano in un contesto severamente regolamentato;
    si stigmatizza in particolare, la circostanza che a causa delle nuove normative europee, la già complessa istruttoria aziendale delle pratiche è passata da 16 ad 86 pagine, caricando di ulteriore lavoro non solo le strutture d'impresa all'uopo deputate, ma altresì gli uffici competenti delle questure e del Ministero dell'interno, con l'effetto ultimo di allungare sensibilmente i tempi necessari all'ottenimento di tutte le autorizzazioni necessarie;
    infine, come non risulta che tutti gli Stati membri dell'Unione europea abbiano dato attuazione immediata al regolamento (CE) n. 258/2012, né, tanto meno, che quelli che vi hanno già provveduto lo abbiano fatto con la medesima severità del nostro Paese, con l'effetto ultimo di accentuare lo svantaggio competitivo delle imprese nazionali del comparto armiero nazionale,

impegna il Governo

ad intervenire sulla normativa nazionale attuativa del regolamento (CE) n. 258 del 2012 per salvaguardare la competitività del settore armiero, minacciata dalla crescita del gravame burocratico imposto alle imprese del comparto, che le sta ostacolando sui mercati internazionali, con gravi danni economico-finanziari che rischiano di riflettersi sul mantenimento dei livelli produttivi ed occupazionali.
(7-00261) «Matteo Bragantini, Caparini, Invernizzi».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro per l'integrazione, per sapere – premesso che:
   il Ministro senza portafoglio per l'integrazione era atteso il 28 settembre 2013 a Brescia, dove avrebbe dovuto prendere parte alla manifestazione «Brescia incontra il Mondo», organizzata nella locale parrocchia di Santa Maria in Silva;
   il Ministro ha invece rinunciato a parteciparvi, costringendo i promotori di «Brescia incontra il Mondo» ad annullare l'iniziativa;
   stando a ricostruzioni a suo tempo pubblicate da organi di stampa e basate su indiscrezioni attribuite allo staff del Ministro, la rinuncia sarebbe stata riconducibile a raccomandazioni provenienti da non meglio precisati organi del governo locale, causate da temuti problemi di ordine pubblico, a loro volta legati a preannunciate dimostrazioni concomitanti indette dal movimento «Forza Nuova» e dai centri sociali;
   rispondendo in Parlamento ad un'interrogazione a risposta immediata presentata sulla vicenda, il 23 ottobre 2013 il Ministro Kyenge imputava invece la sua assenza a difficoltà dovute all'accavallarsi di altri impegni, peraltro non meglio specificati, attribuendo all'iniziativa autonoma di un suo «fantasioso collaboratore», Paolo Carletti, l'invio di una lettera di giustificazioni immotivatamente allarmistica agli organizzatori di «Brescia incontra il Mondo»;
   lo stesso Paolo Carletti, successivamente all'intervento di Cécile Kyenge in Parlamento, avrebbe rassegnato le proprie dimissioni dallo staff del Ministro;
   il 4 febbraio 2014, il medesimo Carletti ha ribadito però la sua versione dei fatti, aggiungendo che Cécile Kyenge avrebbe rinunciato alla propria presenza in seguito a pressioni esercitate dal sindaco di Brescia, Emilio Del Bono, di cui sussisterebbe traccia indiretta in una email inviata da Giovanna Benini, responsabile del Forum Immigrazione del Pd, alla segretaria del Ministro per l'integrazione;
   nella sua comunicazione al Ministro Kyenge, in effetti, Giovanna Benini farebbe espresso riferimento ad una telefonata ricevuta dal sindaco Del Bono, diretta ad ottenere la cancellazione dell'iniziativa, in ragione delle manifestazioni concomitanti indette da «Forza Nuova» e dai centri sociali;
   il Ministro Kyenge avrebbe infine annullato la propria partecipazione con una nota ufficiale in cui erano espressamente menzionate «questioni di ordine pubblico» –:
   quale sia l'esatta ragione che ha indotto il Ministro per l'integrazione a non partecipare il 28 settembre 2013 a Brescia alla manifestazione «Brescia incontra il Mondo», organizzata nella locale parrocchia di Santa Maria in Silva e se tale ragione sia esattamente quella affermata alla Camera dei deputati il 23 ottobre 2013, in risposta ad una interrogazione a risposta immediata.
(2-00405) «Giancarlo Giorgetti, Borghesi, Caparini, Allasia, Attaguile, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   il 12 e 13 giugno 2011 27 milioni di cittadini si sono espressi sull'acqua e i servizi pubblici locali e la maggioranza assoluta degli italiani ha deciso: sono beni comuni che devono rimanere fuori dai mercati e su cui nessuno deve fare profitti;
   infatti, a seguito dei referendum celebratisi il 12 e 13 giugno 2011, è stato abrogato il primo comma dell'articolo n. 154 del decreto legislativo n. 152 del 2006, nella parte che prevedeva la remunerazione del capitale investito, ovvero nella parte che consentiva di fare profitti sull'acqua;
   poche parole, ma di grande rilevanza simbolica e di immediata concretezza. Perché la parte di normativa che è stata abrogata è quella che consente al gestore di ottenere profitti garantiti sulla tariffa, caricando sulla bolletta dei cittadini un 7 per cento a remunerazione del capitale investito, senza alcun collegamento a qualsiasi logica di reinvestimento per il miglioramento qualitativo del servizio;
   la Corte Costituzionale, con sentenza n. 26 del 2011, chiarisce che l'abrogazione del citato articolo 154 è finalizzata a «rendere estraneo alle logiche del profitto il governo e, la gestione dell'acqua»;
   anche il Consiglio di Stato con il parere n. 267 il 25 gennaio 2013, a seguito dell'adunanza della seconda sezione del 19 dicembre 2012 e riguardo al quesito che l'Autorità per l'energia elettrica e il gas gli aveva rivolto il 23 ottobre 2012, si è espresso sull'eliminazione della remunerazione del capitale investito dalle tariffe;
   la proprietà e la gestione pubblica del servizio idrico integrato e tutte le acque, superficiali e sotterranee, anche se non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa da utilizzare secondo criteri di solidarietà;
   il servizio idrico integrato è un servizio pubblico locale privo di rilevanza economica, in quanto servizio pubblico essenziale per garantire l'accesso all'acqua per tutti e pari dignità umana a tutti i cittadini, di conseguenza la sua gestione va attuata attraverso gli articoli 31 e 114 del decreto legislativo n. 267 del 2000;
   in quest'ottica lo Stato, il Governo e il Parlamento devono prendere in carico questa questione con la massima solerzia e non attraverso un’authority che si è sempre occupata d'altro e che ad avviso degli interpellanti è espressione degli interessi del mercato e non dei cittadini;
   l'articolo 21, commi 13 e 19, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, il cosiddetto «salva Italia», ha trasferito all'Autorità dell'energia e del gas «le funzioni di regolazione e di controllo dei servizi idrici» con i medesimi poteri attribuiti dalla legge n. 481 del 1995, che prescrive che essa debba perseguire, nello svolgimento delle proprie funzioni, «la finalità di garantire la promozione della concorrenza e dell'efficienza (...) nonché adeguati livelli di qualità nei servizi (...) assicurandone la fruibilità e la diffusione in modo omogeneo sull'intero territorio nazionale, definendo un sistema tariffario certo, trasparente e basato su criteri predefiniti, promuovendo la tutela di utenti e consumatori.»;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 luglio 2012 in attuazione del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, ribadisce e specifica, all'articolo 2, comma 1, le funzioni di regolazione e controllo dei servizi idrici, trasferiti all'Autorità per l'energia elettrica e il gas (Aeeg), tra le quali assume un particolare rilievo come finalità: la «tutela dei diritti e degli interessi degli utenti»;
   l'articolo 2, comma 1, del medesimo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 luglio 2012 precisa inoltre che «le funzioni di regolazione e controllo dei servizi idrici trasferite all'Autorità per l'energia elettrica e il gas sono da essa esercitate con i poteri e nel quadro dei princìpi, delle finalità e delle attribuzioni stabiliti dalla legge 14 novembre 1995, n. 481, in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e valutazione, nel rispetto degli indirizzi di politica generale formulati dal Parlamento e dal Governo»;
   l'Autorità, con delibera n. 38 del 31 gennaio 2013, in ottemperanza al parere del Consiglio di Stato, ha avviato il procedimento per la restituzione, agli utenti finali, della componente tariffaria del servizio idrico integrato, relativa alla remunerazione del capitale, indebitamente versata da ciascun utente, in relazione al periodo 21 luglio 2011-31 dicembre 2011;
   l'Autorità, in precedenza, in attuazione dell'articolo 21 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, con delibera n. 585 del 28 dicembre 2012, aveva fissato i criteri per l'adozione di una tariffa transitoria, nelle more dell'adozione di un nuovo metodo tariffario a regime;
   l'Autorità, il 25 giugno 2013, dopo 2 amai dal referendum, ha approvato l'ennesimo provvedimento che secondo gli interpellanti di fatto elude l'esito dei referendum del 2011 e che conferma il mancato rispetto fino ad oggi della volontà popolare da parte dell'Autorithy: infatti l'Autorità per l'energia elettrica e il gas doveva deliberare sulle modalità di restituzione ai cittadini della «remunerazione del capitale investito» illegittimamente percepito dai gestori nel periodo compreso tra luglio 2011 e la fine di quell'anno. Invece l'Autorità ha costruito un metodo che garantirà ai gestori un esborso minimo assai minore di quanto dovuto visto che saranno detratti gli oneri finanziari, quelli fiscali e gli accantonamenti per la svalutazione crediti;
   questa metodologia a giudizio degli interpellanti smentisce in primis quanto la Corte costituzionale aveva chiaramente specificato nella sentenza di ammissibilità del quesito, ovvero che qualora il referendum avesse avuto successo «la normativa residua, immediatamente applicabile [...], non presenta elementi di contraddittorietà». Inoltre, viene completamente contraddetto quanto il Consiglio di Stato aveva stabilito ossia che l'abrogazione del 7 per cento aveva effetto immediato a partire dal 21 luglio 2011 (parere del Consiglio di Stato 267 del 25 gennaio 2013). E quindi che il rimborso ai cittadini dovrebbe riguardare non solo i mesi da luglio a dicembre del 2011 ma tutto il periodo che va dal 21 luglio 2011 ad oggi, per un totale che per esempio solo nella regione Toscana ammonterebbe a 128 milioni di euro secondo i dati ufficiali dell'Autorità idrica toscana e che chissà se le imprese hanno previsto di accantonare;
   è poi evidente che ci siano stati ritardi nella determinazione dei criteri da parte degli enti d'ambito attraverso i quali dovranno essere individuati gli importi indebitamente versati da ciascun utente a titolo di remunerazione del capitale investito in relazione al periodo 21 luglio 2011-31 dicembre 2011;
   inoltre il Tar Toscana nel marzo 2013, sentenza n. 436/2013, ha dato ragione al Forum toscano dei Movimenti per l'acqua dichiarando illegittime le tariffe successive al referendum;
   anche a Chiavari, in Liguria, come riportato dagli organi di stampa, poche settimane fa il giudice di pace ha disposto la restituzione del 22 per cento della bolletta, la quota che in quel comune corrisponde al profitto;
   la sentenza, oltre a ribadire il valore normativo dell'istituto referendario riconosce anche che l'Autorità per l'energia elettrica e il gas, che ha, ad avviso degli interpellanti, prodotto la nuova «tariffa-truffa» reintroducendo il profitto sotto nuovo nome «oneri finanziari», ha un limitato potere amministrativo, comunque subordinato all'esito referendario;
   il metodo tariffario transitorio così come definito dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas condurrà ad una sostanziale sanatoria di tutte le illegittimità, inadempienze e irregolarità attualmente registrate in diverse gestioni. Infatti, tale metodo prende a base di determinazione delle tariffe 2012 e 2013 quelle che erano le tariffe definite dal piano d'ambito, ovvero quelle basate sul presupposto di una gestione impeccabile e dell'effettiva realizzazione degli investimenti previsti negli anni successivi alla redazione del piano d'ambito o della sua ultima revisione. Ovvero non tiene in alcun conto la qualità del servizio reso e gli investimenti pregressi effettivamente effettuati. È in questo che si è in presenza di una sanatoria di fatto del progresso;
   il TAR della Lombardia si esprimerà nei prossimi mesi (nella prima udienza fissata il 23 gennaio 2014 è stato disposto un rinvio al 20 febbraio) relativamente al ricorso (num. reg. gen.: 579/2013) promosso dal Forum italiano dei movimenti per l'acqua e da Federconsumatori in merito alla delibera 585/2013 con cui l'Autorità per l'energia elettrica e il gas ha predisposto il metodo tariffario transitorio per il servizio idrico integrato;
   inoltre, il Ministro Orlando, con un comunicato stampa diramato dal Festival dell'acqua il 9 ottobre 2013, ha annunciato un tavolo di lavoro con i diversi segmenti del settore idrico: «avvieremo gruppo di lavoro anche con chi ha alimentato questo dibattito di oggi. Visto che su iniziative parlamentari non si fanno passi avanti, prendo io l'iniziativa come ministero. Le aziende sono un interlocutore naturale per una collaborazione che è partita bene per fare strada insieme»;
   infine, visto che secondo il Ministro «con le iniziative parlamentari non si fanno passi avanti» gli interpellanti ricordano che il 12 giugno 2013 è nato l'intergruppo parlamentare per l'acqua bene comune di cui fanno parte circa 200 parlamentari e che proprio su questo tema è in discussione presso la Commissione ambiente la risoluzione 7-00036 in materia di introduzione nell'ordinamento nazionale di principi e norme per la tutela e la gestione pubblica delle acque nonché per la ripubblicizzazione del servizio idrico integrato, in cui si espongono problematiche e impegni relativi alla tariffazione del servizio idrico integrato;
   l'Autorità per l'Energia Elettrica ed il Gas ha nuovamente «colpito» nel silenzio delle feste. Il 27 dicembre, infatti, fu approvato il Metodo tariffario idrico 2014-2015 confermando quanto contenuto nel Metodo tariffario transitorio e sancendo nuovamente, nei fatti, la negazione dei referendum del giugno 2011, infatti le criticità già evidenziate permangono tutte, compresa l'incapacità del nuovo metodo tariffario di garantire gli investimenti necessari al comparto idrico. Investimenti che, come i numeri dimostrano da più di 20 anni, non trovano spazio nel metodo del full cost recovery, cioè nell'assioma che vuole tutti i costi del servizio coperti dalla bolletta, profitti del gestore compresi –:
   se e con quali iniziative di sua competenza il Ministro abbia intenzione di dare finalmente attuazione al risultato referendario, che i cittadini attendono da più di 2 anni, in particolare con riferimento alle questioni relative alla tariffazione del servizio idrico integrato;
   se e con quali iniziative intenda portare avanti i principi della proposta di legge di iniziativa popolare «Principi per la tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque e disposizione per la ripubblicizzazione del servizio idrico integrato», depositata dal Forum italiano dei movimenti dell'acqua nel 2007 al fine di avviare un percorso di ripubblicizzazione del Servizio idrico integrato;
   se intenda riportare nell'ambito delle competenze del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare le funzioni di regolazione e controllo dei servizi idrici, togliendo tali competenze all'Autorità per l'energia elettrica e il gas il cui operato come si evince dalle premesse non ha assolutamente tenuto conto dell'esito referendario e ha fallito il suo mandato non tenendo in considerazione «la tutela di utenti e consumatori»;
   se e con quali iniziative di competenza intenda avviare la predisposizione di un nuovo metodo tariffario che recepisca integralmente l'esito del referendum popolare del 12-13 giugno 2011, con particolare riferimento all'eliminazione dalla tariffa di qualsiasi voce riconducibile alla remunerazione del capitale investito e che preveda il rimborso ai cittadini delle quote indebitamente percepite dai gestori dal 2011 ad oggi, un metodo tariffario che oltre che garantire gli investimenti necessari per la ristrutturazione delle reti e la costruzione di nuove opere soprattutto fognarie e di depurazione, superi il principio del full cost recovery e quindi preveda congiuntamente alla leva tariffaria, anche strumenti di finanza pubblica e fiscalità generale;
   se i lavori del tavolo di lavoro con i diversi segmenti del settore idrico, citato in premessa e annunciato dal Ministro il 9 ottobre 2013, abbiano preso avvio e soprattutto quali siano gli obiettivi che si è dato e le tempistiche per realizzarli;
   se e quali iniziative intenda promuovere per quanto di competenza per avviare tutti gli interventi necessari per l'immediata e duratura soluzione della grave contaminazione delle acque potabili di molti comuni italiani, in particolare a causa della concentrazione di arsenico, floruri e vanadio;
   se e quali iniziative intenda assumere per garantire che gli investimenti per i servizi pubblici essenziali vengano esclusi dai vincoli del patto di stabilità interno che «strangolano» sempre di più gli enti locali.
(2-00409) «Daga, Busto, De Rosa, Mannino, Segoni, Terzoni, Tofalo, Zolezzi, Barbanti, Ruocco, Cancelleri, Alberti, Pesco, Pisano, Villarosa, Castelli, Sorial, Caso, Brugnerotto, Cariello, Currò, D'Incà, Nicola Bianchi, De Lorenzis, Dell'Orco, Cristian Iannuzzi, Liuzzi, Paolo Nicolò Romano, Spessotto, Battelli».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SCAGLIUSI, MANNINO, DE LORENZIS, L'ABBATE e MANLIO DI STEFANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   KIPOINT spa nasce nel 2002 ed è, ancora oggi, la rete di negozi in franchising di SDA Gruppo Poste italiane che opera come centro servizi per spedizioni nazionali e internazionali, servizi di imballaggio, servizi di fotocopisteria ed invio fax, stampa digitale, mailing e direct mailing e come rivenditore a catalogo di prodotti di cancelleria e cartoleria;
   Sviluppo Italia (oggi Invitalia), che agisce su mandato del Governo come si legge nella mission sul proprio sito istituzionale www.invitalia.it, proponeva nella propria rete di franchisor convenzionati KIPOINT;
   tra il 2005 e il 2010 oltre 100 franchisee hanno chiuso il proprio punto vendita KIPOINT dal momento che le previsioni, indicate dai proponenti il franchising, di fatturato annuo realizzabile «a regime» di 200.000 euro, sono risultate a dir poco azzardate, inattendibili e infondate;
   l'Associazione CODICI di Pescara si è fatta portavoce di 107 piccoli imprenditori affiliati al franchising KIPOINT per denunciare Poste Shop Spa;
   altre numerose denunce individuali di aderenti all'iniziativa KIPOINT si sono susseguite nel corso di questi ultimi anni;
   in data 30 marzo 2010, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato (bollettino n. 13 del 19 aprile 2010 provv. N. 20951) ha condannato a una sanzione amministrativa pecuniaria di 100.000 euro Posteshop spa per aver ingannato gli aspiranti franchisee con una serie di messaggi definibili nella «fattispecie di pubblicità ingannevole»;
   nello specifico, le informazioni acquisite in fase istruttoria, evidenziano il carattere ingannevole, ai sensi degli articoli 1, 2, 3 del decreto legislativo n. 145 del 2007, dei messaggi diffusi da Posteshop sulle riviste AZ Franchising e Millionaire nel 2008 e 2009 e tramite la brochure e i dépliant diffusi negli stessi anni;
   dopo che il TAR del Lazio ha confermato la sentenza dell'Antitrust; con l'ordinanza collegiale n. 201206636, in data 21 dicembre 2012 il Consiglio di Stato ha sospeso il giudizio e rinviato a una pronuncia della Corte di giustizia dell'Unione europea;
   nel frattempo, la maggior parte dei piccoli imprenditori che avevano aderito a KIPOINT, hanno perso decine di migliaia di euro in investimenti e rischiano di vendere la propria prima abitazione per rispettare gli impegni economici presi con gli istituti di credito;
   oggi KIPOINT non è più fra i franchisor convenzionati con Invitalia –:
   se sia al corrente della situazione e quali provvedimenti intenda adottare per affrontare le difficoltà in cui versano più di un centinaio di aderenti e delle rispettive famiglie;
   quali siano stati i requisiti che, fino a qualche anno fa, hanno permesso al marchio KIPOINT di figurare tra i franchisor convenzionati con l'allora Sviluppo Italia e quali siano le ragioni per le quali oggi KIPOINT non sia più tra questi;
   se non ritenga urgente valutare l'assunzione di iniziative per l'erogazione in tempi rapidissimi di un indennizzo sufficiente a consentire ai franchisee danneggiati di ottemperare agli impegni economici intrapresi, evitando soluzioni limite, quali la vendita della prima casa. (5-02112)


   GUIDESI e GIANLUCA PINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in data 21 maggio 2012, adottato, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, del decreto-legge 4 novembre 2002, n. 245, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2002, n. 286, nonché le delibere del Consiglio dei ministri del 22 e del 30 maggio 2012, è stato dichiarato fino al 31 luglio 2012 lo stato di emergenza in ordine agli eventi sismici che hanno colpito nei giorni 20 e 29 maggio 2012 il territorio delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Reggio Emilia, Mantova e Rovigo; tale stato di emergenza è stato poi prorogato, con successivi interventi, complessivamente fino al 31 dicembre 2014;
   il decreto-legge n. 74 del 6 giugno 2012 recante «Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici che hanno interessato il territorio delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo il 20 e 29 maggio 2012», convertito dalla legge n. 122 del 2012 prevede la costituzione di un Fondo per la ricostruzione delle aree terremotate le cui risorse sono ripartite fra le regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, sulla base di criteri oggettivi aventi a riferimento l'effettività e la quantità dei danni subiti e asseverati delle singole;
   il decreto-legge n. 74 del 2012 prevede, al comma 2 dell'articolo 2, che la ripartizione del fondo fra le regioni avvenga con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze su proposta dei presidenti delle regioni;
   previa intercorsa intesa, il riparto fra le regioni interessate del fondo di cui all'articolo 2 del decreto-legge n. 74 del 2012 è intervenuto – con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 luglio 2012 pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 156 del 6 luglio 2012 – per il solo anno 2012;
   già nei primi giorni del mese di marzo 2013 le regioni beneficiarie hanno espresso intesa circa la proposta di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri predisposta dalle competenti strutture della Presidenza del Consiglio dei ministri per la ripartizione delle risorse del fondo per la ricostruzione per l'esercizio 2013;
   nonostante il tempo trascorso e le sollecitazioni formulate (si ricordano, a titolo esemplificativo, nota del presidente della regione Lombardia del 22 maggio 2013 e, a seguire, nota a firma congiunta dei presidenti delle tre regioni interessate, indirizzata al Presidente del Consiglio Letta il 24 luglio 2013) il provvedimento di assegnazione delle risorse per l'anno 2013 non ha ancora trovato formalizzazione;
   inoltre, regione Lombardia – così come le altre regioni interessate – con nota al vicesegretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri del 4 dicembre 2013 ha espresso intesa circa le percentuali di riparto del fondo per la ricostruzione sia per l'esercizio 2013 (aggiornate) che per l'esercizio 2014;
   anche in questo caso, il conseguente provvedimento non ha ancora avuto seguito;
   ad oggi, a fronte di stato di emergenza dichiarato a tutto l'anno 2014, sono state assegnate e riversate alle regioni le sole risorse relative all'esercizio 2012, mentre ancora non sono stati formalizzati i provvedimenti che consentirebbero l'assegnazione delle risorse per il 2013 e il 2014 e conseguentemente di andare verso il definitivo superamento delle situazioni di emergenza che, a causa dei ricordati ritardi procedurali, ancora non si è in grado di assicurare –:
   quali siano le ragioni per cui le proposte di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di riparto del fondo per la ricostruzione nei territori colpiti dagli eventi sismici del maggio 2012 di cui all'articolo 2, comma 3, del decreto-legge 6 giugno 2012, n. 74, pur avendo raccolto – ormai da tempo – le necessarie intese da parte delle regioni interessate, non hanno ancora trovato formalizzazione;
   come intenda agire il Governo, al fine di consentire il definitivo superamento delle situazioni di precarietà e disagio conseguenti al verificarsi degli eventi sismici, attraverso lo sblocco ed in trasferimento agli enti beneficiari entro tempi certi e rapidi delle risorse già all'uopo stanziate. (5-02113)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SORIAL. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo i recenti risultati del progetto Acqua Drugs, relativo al consumo di droga nel nostro Paese, Brescia e la sua provincia hanno il preoccupante primato per il consumo di eroina, con una media di quasi 3 dosi al giorno;
   la ricerca, realizzata dall'istituto Mario Negri, ha come titolo: «Stima del consumo di sostanze stupefacenti nella popolazione mediante analisi delle acque reflue» e ancora, «studio dei trend di consumo e della comparsa di nuove sostanze mediante una rete di rilevamento nazionale», ed ha analizzato le acque degli scarichi fognari per monitorare e misurare il consumo di droga nella popolazione;
   dai risultati ottenuti, la Lombardia sarebbe la regione italiana più colpita dalla piaga della droga, a confermare quanto avevano segnalato già precedenti studi e se il record della cannabis riguarda Monza, a Brescia e Montichiari vi sarebbero, rispettivamente, consumi record di eroina e cocaina;
   secondo fonti di stampa, il mercato lombardo della droga è in assoluto il più redditizio in Italia, con ricavi stimati tra gli 840 milioni e i 2,4 miliardi di euro, di cui beneficiano organizzazioni criminali «tradizionali» e gruppi di criminalità organizzata stranieri;
   il consumo di droga è molto grave sia per gli adulti che per i minori: sono molto gravi le conseguenze del consumo di droga per i figli dei tossicodipendenti, riscontrabili dalla fase fetale all'età adulta, con un 50 per cento di probabilità in più di cadere a loro volta nell'abuso di alcol e droga, manifesta depressione, difficoltà scolastiche, un rischio 6 volte maggiore di suicidio, più alte probabilità di comportamenti delinquenziali e di essere oggetto o soggetto di violenza (V. Dubini, 2008) –:
   se il Governo sia al corrente della situazione illustrata in premessa;
   in caso affermativo, quali iniziative si stiano adottando, che non siano esclusivamente provvedimenti di carattere repressivo, e quali nuove strategie si intendano approntare dal punto di vista sociale, di prevenzione, di cura e di assistenza per il recupero, al fine di contrastare la drammatica piaga della tossicodipendenza, con particolare attenzione alla tutela della popolazione delle città più colpite e soprattutto dei minori che si trovino loro malgrado coinvolti dal dramma dell'uso di sostanze stupefacenti. (4-03532)


   RIZZO, CORDA, ARTINI e BASILIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'istituto d'istruzione superiore «Vincenzo Almanza» di Pantelleria, si viene a costituire nell'anno scolastico 1995/96 per l'aggregazione all'istituto Magistrale «Vincenzo Almanza» di Pantelleria della sezione di Istituto tecnico commerciale, sino ad allora sezione staccata dell'I.T.C. «G. Garibaldi» di Marsala;
   dall'anno scolastico 2000/2001, per effetto del piano di dimensionamento delle istituzioni scolastiche della regione siciliana, fa parte di un «istituto comprensivo superiore» assieme alla Scuola Media Statale «Dante Alighieri» di Pantelleria;
   l'istituto magistrale nasce il 27 agosto 1953 per la volontà dell'amministrazione comunale di allora, sindaco Vincenzo Almanza e nel corso degli anni, dopo aver operato come sezione staccata dell'istituto magistrale «R. Salvo» di Trapani, una sua «vita» autonoma, operando con rispetto e stima per le necessità del territorio e dei suoi abitanti;
   la sezione di istituto tecnico commerciale inizia la sua attività nell'anno scolastico 1985/86, come sezione staccata dell'istituto tecnico commerciale «G. Garibaldi» di Marsala, riuscendo rapidamente ad affermarsi nel territorio per la sua qualificata offerta formativa nel campo economico-aziendale;
   dall'anno scolastico 1995/96, l'Istituto di istruzione superiore «V. Almanza» accoglie in una unica istituzione scolastica i due indirizzi esistenti, in una costante azione tesa all'ammodernamento dei curricoli, ad una qualificazione dei processi didattici, dell'organizzazione, dei sussidi e dei laboratori, nella consapevolezza di essere l'unico polo di aggregazione culturale, per un'isola che altra alternativa non ha;
   l'edificio che ospitava l'istituto superiore in Via Napoli a Pantelleria è stato costruito negli anni ‘70 con destinazione residenziale, poi utilizzato temporaneamente per ospitarvi le scuole medie e l'istituto tecnico commerciale negli anni ‘80, successivamente parzialmente acquistato dalla provincia regionale di Trapani;
   da circa 35 anni risulta essere sprovvisto di tutte le necessarie misure di sicurezza così come denunciato dall'associazione AGE Onlus di Pantelleria con lettera prot 8/14 del 22 gennaio 2014 indirizzata a tra l'altro al Presidente del Consiglio;
   a seguito di comunicazione del comune di Pantelleria, con nota n. 1075 del 22 gennaio 2014 il dirigente scolastico dichiarava «non utilizzabili» i locali di via Napoli, regolamentando i doppi turni nei locali di Via Salibi, sede della scuola media, per le attività didattiche;
   ad oggi molti sono i problemi che la affliggono: dalla mancanza di certificati statici di agibilità a continui interventi di manutenzione straordinaria derivanti da una cattiva gestione dell'immobile da parte della provincia –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere il Governo in riferimento alla tutela della sicurezza dello stabile ed in particolar modo alla difesa del diritto allo studio degli abitanti delle isole minori come Pantelleria;
   se risultino avviate le procedure previste dal comma 1 dell'articolo 10 della legge n. 104 del 12 settembre 2013 da parte della regione siciliana che prevedono la possibilità di richiedere mutui trentennali con oneri di ammortamento a carico dello Stato, con la Banca europea per gli Investimenti, la Banca di Sviluppo del Consiglio d'Europa e la Cassa Depositi e Prestiti, tra l'altro prevedendo anche l'esclusione dei limiti del patto di stabilità interno delle regioni per i pagamenti che queste annualmente sono tenute a versare (comma 2 dell'articolo 10 della legge n. 104 del 12 settembre 2013). (4-03541)


   BOSSI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica», in particolare all'articolo 15, comma 1, prevede che «Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ... sono stabiliti criteri e modalità per l'applicazione del pedaggio sulle autostrade e sui raccordi autostradali in gestione diretta dell'ANAS spa in relazione ai costi di investimento e di manutenzione straordinaria oltre che quelli relativi alla gestione nonché l'elenco delle tratte da sottoporre a pedaggio»;
   detto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri individuava ben 26 tratte autostradali da sottoporre a pedaggio, tra cui: il grande raccordo anulare di Roma e alcuni tratti della Salerno-Reggio Calabria, della Palermo-Catania, della Siena-Firenze, della Salerno-Avellino;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è stato emanato in data 25 giugno 2010, dando così piena operatività alla legge;
   i giudici del TAR del Lazio, in data 30 luglio 2010 bloccavano il decreto;
   nelle motivazioni, emesse in data 22 febbraio 2011, affermavano che «(il decreto) avrebbe individuato caselli o stazioni di esazione collocati in luoghi non direttamente o comunque non necessariamente interconnessi con tratte autostradali per le quali è stato imposto il pagamento di un pedaggio con conseguente imposizione agli automobilisti di una prestazione patrimoniale aggiuntiva che prescinderebbe dall'utilizzo in concreto dal tratto viario interessato al pedaggio»;
   tali motivazioni appaiono all'interrogante del tutto speciose e strumentali, atteso che è indubbio che il grande raccordo anulare abbia tutte le caratteristiche di un'arteria autostradale;
   nei fatti, si consente ad alcuni cittadini di percorrere del tutto gratuitamente un tratto autostradale, dando luogo ad un'ingiustizia rispetto a milioni di altri cittadini italiani che invece sono costretti a pagare in identiche situazioni e creando una discriminazione in patente contrasto con l'articolo 3 della Costituzione;
   tale discriminazione risulta ancora più odiosa alla luce dei recenti forti rincari, applicati alle tariffe autostradali del Nord;
   il decreto-legge n. 78 del 2010 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 30 luglio 2010 e tuttora in vigore;
   era, secondo l'interrogante, nella potestà del Governo ripresentare un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che tenesse conto delle contestazioni del TAR;
   a causa dell'inerzia del Governo, ad avviso dell'interrogante, sono stati creati all'ANAS danni economici, in termini di mancati introiti, per oltre un miliardo di euro che si traducono in mancanza di manutenzione delle strade di sua competenza, con grave riverbero sulla sicurezza delle stesse –:
   se il Governo abbia intenzione di applicare la legge e di emanare un nuovo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. (4-03542)


   FABRIZIO DI STEFANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione europea, con avviso pubblico n. 2012/S 223-366462 del 20 novembre 2012, ha indetto, in nome e per conto della Repubblica popolare cinese nazione beneficiaria, una gara con procedura ristretta per l'assistenza tecnica al progetto «Urbanizzazione sostenibile. Europa eco-cities link»;
   dopo una prima valutazione dei requisiti tecnici e finanziari delle imprese partecipanti alla gara, la Commissione ha stilato una prima short list di otto consorzi idonei;
   in un secondo momento, l'autorità contrattuale ha ritenuto non procedere all'assegnazione della gara per l'assenza di progetti qualitativamente idonei, formalizzando la non assegnazione del contratto sul sito web preposto dalla gara;
   la Commissione aveva indicato come unica possibilità per procedere all'assegnazione del contratto la pubblicazione di una nuova gara;
   contrariamente a quanto sopra menzionato, la Commissione ha provveduto all'assegnazione del contratto, con trattativa diretta, in favore di un raggruppamento anch'esso selezionato nella short list, ma sostanzialmente modificato nella sua composizione dalla cooptazione di un quarto soggetto estraneo appartenente in precedenza ad un altro consorzio presente nella short list;
   il consorzio beneficiario del contratto di assegnazione è stato modificato di fatto con l'aggiunta di una componente già partecipante ad altro consorzio, creando, di fatto, un nuovo candidato alla gara, cosa non consentita dalla normativa di cui alla pratical guide paragrafo 2.4.13 –:
   se sia noto perché la Commissione abbia ritenuto opportuno di affidare con trattativa diretta i lavori di assistenza tecnica per un importo di oltre 9.000.000,00 di euro;
   se il Governo intenda assumere ogni iniziativa di competenza per ottenere certezza sul fatto che la procedura adottata abbia rispettato i princìpi di trasparenza, pari opportunità e libera concorrenza che devono contraddistinguere tutte le procedure finanziate dall'Unione europea e che siano stati rispettati gli interessi legittimi dei partecipanti alla gara. (4-03549)


   D'INCÀ, DE LORENZIS, BUSINAROLO, COLLETTI, CASTELLI, GAGNARLI, DE ROSA, SPADONI, L'ABBATE, BONAFEDE, TONINELLI, DAGA, BRESCIA, TOFALO, BRUGNEROTTO e BARBANTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 14 marzo 2013 numero 33 («Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni»), prevede l'obbligo di pubblicazione degli emolumenti percepiti dai manager delle società partecipate dallo Stato;
   i dati sulle retribuzioni, relative agli esercizi 2010-2012, resi noti sul sito istituzionale del Ministero dell'economia e delle finanze e riportati dai maggiori organi di stampa, configurano quella che agli interroganti appare una vera e propria «Paperopoli di Stato»;
   dal dettaglio degli emolumenti complessivi percepiti a qualsiasi titolo dagli amministratori delle varie società partecipate dallo Stato spiccano i compensi percepiti dall'amministratore delegato di Poste Italiane Massimo Sarmi, che nel 2012 ha ottenuto 2.201.820,20 euro; il compenso dell'amministratore delegato della Cassa depositi e prestiti Giovanni Gorno Tempini 1.035.000,00 euro; quello dell'amministratore delegato di Ferrovie dello Stato Mauro Moretti, con uno stipendio erogato nel 2012 di 873.666,03 euro, di Invitalia Domenico Arcuri 788.985 euro, dell'amministratore delegato di Anas Pietro Ciucci 750 mila euro, del presidente e amministratore delegato dell'Istituto Poligrafico Zecca dello Stato Maurizio Prato (601.370 euro), dell'amministratore delegato di Sogin Giuseppe Nucci (570.500 euro) e dell'amministratore delegato di Enav Massimo Garbini (502.820 euro). Ci sono poi l'amministratore delegato di Consip Domenico Casalino (475.410,25 euro), l'amministratore delegato di Consap Mauro Masi (473.768,33 euro), l'amministratore delegato di Expo 2015 Giuseppe Sala (428 mila euro), il presidente e amministratore delegato di Sogei Cristiano Cannarsa (415.844,78 euro) e il presidente e amministratore delegato di Sogesid Vincenzo Assenza (326 mila euro);
   peraltro il decreto-legge n. 95 del 2012 convertito dalla legge n. 135 del 2012 entrata in vigore il 15 agosto 2012, la cosiddetta «spending review», prevede, di regola, un limite di massima, per i compensi degli amministratori delegati delle società che non emettono strumenti finanziari quotati nei mercati, direttamente o indirettamente controllate da pubbliche amministrazioni, pari al trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione, fissato per l'anno 2011 in euro 293.658,95;
   malgrado la previsione del decreto-legge n. 95 del 2012 convertito dalla legge n. 135 del 2012 entrata in vigore il 15 agosto 2012, questa situazione inaccettabile continua a persistere;
   pare a questo punto improrogabile assumere le necessarie iniziative volte a recuperare somme eventualmente percepite in maniera illegittima –:
   se e quali iniziative intendano adottare, al fine di adeguare i compensi degli amministratori delle società partecipate dallo Stato, a quanto prescritto dalla legge n. 135 del 2012 anche attraverso lo smantellamento delle odiose prassi di deroga e proroga. (4-03551)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MAESTRI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   le consistenti piogge delle ultime settimane hanno riacceso l'attenzione dei media e dell'opinione pubblica sul grave dissesto idrogeologico in cui versa il nostro Paese;
   in particolare, il territorio della provincia di Parma a cicli temporali ormai sempre più frequenti, si trova a dover fronteggiare movimenti franosi che causano, soprattutto nell'area appenninica, danni e interruzioni alla viabilità e alle infrastrutture, sfollamenti della popolazione residente, grave pregiudizio alle attività economiche insediate in loco;
   nel marzo 2010 l'amministrazione provinciale di Parma, dopo aver attivato un tavolo di concertazione e tavoli tecnici con gli enti territorialmente competenti (comuni, comunità montane, consorzi di bonifica, servizio tecnico di bacino degli affluenti del Po, AIPO, protezione civile), ha predisposto un programma di interventi per affrontare in modo coerente e coordinato, sulla base di precise priorità emergenziali, il problema dei dissesto idrogeologico del territorio: la provincia di Parma, infatti, è la prima a livello regionale e la seconda a livello nazionale nella classifica delle aree a maggior rischio;
   nella lettera che la provincia di Parma ha inviato al Ministero si precisava che «l'ammontare economico complessivo di tali interventi (...) per 302 milioni di euro (62,4 milioni per interventi prioritari), è un dato certamente destinato a crescere se non saranno rapidamente promosse e adottate le prime e indispensabili misure di mitigazione del rischio e attivate le prioritarie opere di messa in sicurezza, consolidamento e prevenzione»;
   gli investimenti di regimentazione e manutenzione del suolo avrebbero indubbi e considerevoli effetti positivi non solo sui territori che ne beneficerebbero ma anche sul sistema economico nel suo complesso, senza contare i significativi risparmi nel fronteggiare le situazioni di criticità per tempo invece che in emergenza;
   a quanto risulta all'interrogante, il Ministero interrogato non ha mai risposto alla missiva inviata dall'amministrazione provinciale –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di prendere in considerazione e sostenere anche finanziariamente il piano di interventi proposto dalla provincia di Parma nel 2010 a fronte del grave dissesto idrogeologico che caratterizza il territorio provinciale e che è stato ulteriormente aggravato dalle piogge del gennaio 2014.
(5-02111)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il parco delle colline metropolitane di Napoli si estende nel quartiere di Chiaiano ed ospita decine di cave;
   il geologo Franco Ortolani ha scoperto che una di queste è letteralmente scomparsa, poiché riempita in tutta la sua profondità da materiali di cui non si conosce l'origine;
   il sospetto degli amministratori locali è che si tratti di rifiuti, visti i precedenti nella zona;
   in tanti, infatti, tra cittadini ed amministratori del territorio, ricordano numerosi episodi di sversamenti di rifiuti pericolosi nelle cave dalla fine degli anni Novanta fino a tempi recentissimi;
   un reportage pubblicato online il 5 febbraio 2014 dal sito di informazione «Fanpage» con il titolo «Chiaiano: La cava scomparsa tra i rifiuti» ha mostrato come, entrando nelle cave e nelle grotte della Selva di Chiaiano è possibile trovare ogni tipo di rifiuto;
   il servizio in questione mostra ciò che è immediatamente visibile ad occhio nudo, ma c’è da interrogarsi su cosa potrebbe nascondere il sottosuolo di quest'area e di quali materiali potrebbero giacere sotto le cave scomparse tra i rifiuti;
   il comune di Napoli ha dichiarato di essere a conoscenza del fenomeno, ma di non averlo approfondito, nonostante l'Osservatorio sui tumori dello stesso ente indichi chiaramente il quartiere di Chiaiano tra quelli con la più alta mortalità per tumore della città;
   sempre dal reportage si evince come la situazione delle cave di Chiaiano sia ormai nota alla magistratura, agli enti locali ed alla cittadinanza;
   sono già due le cave sequestrate per la presenza di sversamenti abusivi e pericolosi, e tutta la zona è stata negli anni area di abbandono di rifiuti di ogni specie;
   tra il 2003 ed il 2004 la cava in questione è stata riempita con materiale non identificato;
   l'articolo pubblicato dal quotidiano d'informazione indipendente online Il desk il 2 agosto 2013 dal titolo «Chiaiano, le cave dimenticate nel giro dell'ecomafia» già dipingeva con estrema precisione l'inquietante quadro relativo alle cave presenti sul territorio di Chiaiano;
   l'articolo, infatti, spiega come il quartiere della periferia nord sia famoso per la presenza di una discussa discarica, all'interno della cava del Poligono, che ha ingoiato per tre anni la spazzatura cittadina fino alla sua chiusura nel novembre 2011, dopo lotte dei comitati civici ed inchieste della magistratura;
   sospeso il conferimento del tal quale, si attende ancora la tombatura definitiva di tale cava, affinché se ne scongiuri definitivamente un eventuale riutilizzo in tempi di possibile emergenza rifiuti;
   a preoccupare sono anche le altre cave, troppo spesso utilizzate come sversatoio abusivo a cielo aperto;
   il professor Antonio Marfella, dell'istituto nazionale per lo studio e la cura dei tumori Fondazione «G. Pascale» di Napoli, intervistato dall'autrice dell'articolo ha dichiarato che nelle cave di Chiaiano si scaricano soprattutto amianto e pneumatici senza alcun tipo di controllo, e che nonostante le coltivazioni portate avanti nei dintorni siano principalmente alberi da frutto piante non così vicine al terreno da essere fortemente esposte a contaminazione diretta come in altri casi (ad esempio il cavolo a Caivano), vi è forte preoccupazione per la falda acquifera, dato che, essendo il tufo poroso, l'amianto sbriciolato ed il pneumatico bruciato vengono assorbiti lentamente e vanno in falda;
   secondo il professor Marfella è assurdo che la regione non abbia impianti per lo smaltimento dei rifiuti industriali quando in Campania se ne producono 20 mila tonnellate al giorno contro le 7 mila di rifiuti urbani, e che si scelga di costruire inceneritori inutili, giacché di certo non smaltiscono amianto o copertoni;
   peraltro è da sottolineare come l'ecomafia nasca proprio sull'esigenza del rifiuto industriale, con la camorra che si infiltra là dove il sistema non funziona;
   le cave censite della selva che fa parte del parco metropolitano delle colline sono ventisei, tutte private tranne una, di proprietà comunale;
   queste cave sono state dismesse a partire dagli anni Settanta, e le ultime attive, fino a qualche anno fa erano la cava Contessa, la cava Zara e la cava Canditone;
   quest'ultima, sotto il cimitero di Chiaiano, venne poi sequestrata per la presenza di rifiuti ospedalieri;
   nel 2008, pochi mesi prima che si decidesse di destinare una cava come deposito di ecoballe, era stato presentato un progetto per fare delle cave di tufo di Chiaiano un grande distretto eco-energetico della periferia nord di Napoli, così da renderle un autentico volano economico e di riscatto per un hinterland dove il disagio sociale ed occupazionale è forte;
   questo progetto, però, non ha mai trovato attuazione, nonostante i sette milioni e mezzo di euro di investimento finanziati dalla regione Campania, un PUA (piano urbanistico attuativo) per la salvaguardia e la valorizzazione della selva partendo dalla cava Tirone, dotandola di area pic-nic, negozi per i prodotti tipici, campi di calcetto e di basket, e da quella comunale, con la creazione di un bosco umido, attraverso la messa in sicurezza di Cupa Fragolara ed il restyling del Belvedere;
   nella cava Zara, invece, era previsto l'impianto fotovoltaico, con tanto di lago artificiale balneabile;
   tutto ciò è rimasto finora solo sulla carta, ed anzi nella cava Zara le analisi dell'Arpac nel maggio 2008 hanno rilevato uno sforamento nelle acque di un pozzo nei limiti previsti dalla legge di floruri, arsenico e idrocarburi;
   gli approfondimenti richiesti dalla commissione regionale ecomafie e bonifiche all'allora commissariato per l'emergenza rifiuti non ci sono mai stati;
   la realizzazione di progetti di questo tipo, peraltro, dovrebbe necessariamente essere preceduta da bonifiche del territorio, o altrimenti alla prima pala meccanica gli operai si dovrebbero fermare, perché si imbatterebbero in tutti i rifiuti, anche tossici, sversati impunemente in quelle cave, in cui non c’è stato mai alcun sondaggio per verificare la presenza di veleni;
   nel piano bonifiche, già approvato dalla giunta regionale ma in attesa di essere sottoposto al consiglio e per cui l'Unione europea ha stanziato già 250 milioni di euro, sono contemplate anche le cave di Chiaiano, ma per la loro riqualificazione è previsto l'utilizzo di un solo milione di euro, una copertura finanziaria palesemente insufficiente;
   gli stessi clan impegnati nello smaltimento illecito dei rifiuti ora sono interessati allo stesso risanamento della terra da loro inquinata, in un circolo vizioso reso possibile dall'incontro tra cosche, politica corrotta e mala imprenditoria –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali iniziative, per quanto di competenza, siano già state prese in merito e quali azioni si intenda intraprendere al riguardo, anche attivando verifiche del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente;
   quali iniziative intenda assumere per controllare che il processo di bonifica del territorio non diventi un nuovo core business della criminalità organizzata;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per reinvestire i capitali sequestrati alla camorra nelle stesse bonifiche ambientali, usandoli cioè per risanare quei luoghi contaminati dagli stessi clan, recuperando fondi e, contestualmente, dando un segnale concreto sul concetto che chi inquina paga. (4-03540)


   FRUSONE, ZOLEZZI, VIGNAROLI, DAGA, MASSIMILIANO BERNINI, DE ROSA, TERZONI, SEGONI e BUSTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   al confine con il Molise e la Campania, nel comune di San Vittore del Lazio in provincia di Frosinone è situato l'inceneritore di rifiuti per recupero energetico di San Vittore alimentato per mezzo di CDR – combustibile da rifiuto – proveniente in parte dalla SAF spa di Colfelice. A tale impianto sono state aggiunte due nuove linee messe in esercizio tra ottobre (Linea 2) e dicembre (Linea 3) del 2011. L'inceneritore viene a collocarsi nelle immediate vicinanze di nuclei abitati ed è poco distante ad aree di importante valore naturalistico per la presenza di alcuni siti di interesse comunitario SIC–ZSC (Monti di Mignano Montelungo e Catena di Monte Cesima in provincia di Caserta e Monte Corno – Monte Sammucro in provincia di Isernia) e di aree di interesse ambientale e storico (Abbazia di Montecassino in provincia di Frosinone e Parco regionale di Roccamonfina – Foce del Garigliano in provincia di Caserta), alle porte di paesi appartenenti alle Valle dei Santi, come Sant'Andrea sul Garigliano, Sant'Ambrogio sul Garigliano, Sant'Apollinare, San Giorgio al Liri, Cassino, Cervaro (comuni ubicati nella provincia di Frosinone), San Pietro Infine, Rocca d'Evandro, Mignano Montelungo, RoccaMonfina e Galluccio (comuni ubicati nella provincia di Caserta). Come riportato nel DGR Lazio 217/2012, l'impianto ricade all'interno della zone della Valle del Sacco (SIR – siti di interesse regionale – ) che rappresenta, nel suo complesso e insieme all'agglomerato di Roma, una delle zone più critiche a livello regionale. In parte il territorio dove grava l'impianto è già in parzialmente compromesso dalla presenza dell'autostrada E45, della linea TAV Roma-Napoli, della SP81, della SS480, della Zona industriale di Rocca D'Evandro, dalla SS430, da un deposito di materiale ferroso e da un impianto di betonaggio oramai inattivo da alcuni anni destinato a bonifica mai portata a compimento;
   al grave stress territoriale a cui è sottoposta l'area interessata dall'inquinamento atmosferico («cumulo» dell'inquinamento preesistente e «sommatoria» delle due nuove linee dell'inceneritore) non è corrisposto un numero adeguato di centraline rimaste sempre e solo due (appartenenti all'ACEA spa) dall'avvio della prima linea. Non essendo mai stato elaborato un registro tumori non c’è l'esatta percezione del reale rischio sanitario che corrono le popolazioni pertinenti al perimetro del comune di San Vittore. La rete regionale di monitoraggio dell'ARPA Lazio ha in attivo una sola centralina che si trova ad una decina di chilometri dall'inceneritore nella città di Cassino. Tale rischio risulta maggiormente elevato nelle aree con vocazione agricola;
   il comune di Forlì ha prodotto uno studio analitico pubblicato sul suo sito istituzionale: la «Relazione finale del sui lavori del Tavolo Interistituzionale in tema di diossine/furani e PCB nelle matrice ambientali ed alimentari del territorio forlivese». In esso sono riportati i risultati delle indagini condotte dall'Asl per la ricerca di diossine, furani e PCB eseguiti nel 2011 in allevamenti rurali del forlivese. A questi campioni si aggiungono altri condotte dall'ISDE. I risultati emersi da questa ulteriore e più nutrita indagine confermano in pieno quanto già segnalato dall'ARPA territoriale che i livelli previsti già superavano i limiti previsti dal regolamento 1881 della CEE. In Italia non è previsto un limite di legge per la presenza di diossina su terreni dedicati alla pastorizia e all'allevamento di animali;
   da un articolo del Fatto quotidiano del 27 aprile 2011 la dottoressa Patrizia Gentilini e il dottor Stefano Raccanelli, parlando di diossine/furani e PCB, dichiarano: «Queste sostanze non sono assunte attraverso l'aria che si respira, ma attraverso il cibo: infatti le diossine, una volta emesse attraverso i fumi, contaminano terreno e pascoli ed entrano nella catena alimentare». Per le diossine, infatti, il pericolo non è rappresentato dall'aria che si respira, ma dagli alimenti contaminati che finiscono nei nostri piatti ogni giorno. «Si tratta di molecole molto stabili e perciò persistenti, sono insolubili in acqua ma hanno un'elevata affinità per i grassi», hanno spiegato gli autori dello studio. «Si accumulano negli organismi viventi in concentrazioni anche molte migliaia di volte superiori rispetto all'ambiente»;
   da quanto riportato nell'interrogazione a risposta scritta 4-11106 del 2 marzo 2011 (in corso), depositata dall'onorevole Ermete Realacci, risulta che presso l'inceneritore di San Vittore del Lazio e stato rinvenuto materiale radioattivo proveniente dall'impianto di Colfelice, così come affermato dall'ARPA LAZIO – sezione Frosinone – nella nota n.  0025546 del 9 aprile 2010 indirizzata all'assessore all'ambiente della provincia di Frosinone. Al fine di verificare la presenza di materiale radioattivo conferito all'impianto di Colfelice, la regione Lazio, con determinazione dirigenziale n. C1628 del 15 luglio 2010 ha autorizzato la SAF spa a dotarsi di un contatore geiger. Il materiale radioattivo all'interno dell'impianto rappresenta un'ulteriore pericolo per la salute dei cittadini, ai quali non potrà mai essere assicurata la completa neutralizzazione delle sostanze contaminanti –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della grave situazione ambientale in cui versa l'area del Cassinate;
   se si intendano assumere iniziative normative al fine di fissare un limite legale alla presenza di diossine su terreni destinati alla pastorizia e all'allevamento degli animali;
   se i Ministri interrogati, ciascuno secondo le proprie competenze, non ritengano necessario valutare se predisporre un piano nazionale di screening territoriale specifico sugli allevamenti di animali all'aperto nel rispetto del regolamento (CE) n. 1881/2006 del 19 dicembre 2006 con particolare riferimento alla verifica dei tenori massimi di alcuni contaminanti nei prodotti alimentari. (4-03545)


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel settembre del 2008 nel territorio della città di Desio (MB), presso la cava di via Molinara, è stato rinvenuto un traffico illecito di rifiuti, controllato dalla ’ndrangheta, che ha portato all'arresto di 8 persone;
   la cava di via Molinara è vissuta dalla gente locale come un angolo della «terra dei fuochi» in Brianza; sono state avviate indagini sull'inquinamento del sottosuolo che non sono state concluse per mancanza di fondi; attualmente mancano 200 mila euro per terminare le analisi;
   da un primo esame sembra che serviranno almeno 5 milioni di euro per bonificare la cava di via Molinara, con l'asportazione dei rifiuti inquinanti;
   la bonifica dell'area è assolutamente necessaria ed urgente perché, oltre ai rifiuti generici e al materiale inerte (tra cui carcasse di automobili), nella cava sarebbero sepolti rifiuti pericolosi, quali cromo, eternit, piombo e metalli, tutte sostanze cancerogene;
   sotto esame vi sono almeno 110 mila metri cubi di scavo abusivo, per una profondità di circa 6 metri; in alcuni punti però ci sono buche che raggiungono gli 11 metri;
   per capire quanto sia grave il danno per la salute dei cittadini, occorre analizzare anche la falda acquifera, installando dei «piezometri» a monte e a valle, e prelevare dei campioni di terreno estratti ad una profondità che va oltre i 12 metri;
   il cromo è l'inquinante più preoccupante che potrebbe arrivare in falda e mettere in pericolo la vita dei cittadini;
   al momento non è stato ancora deciso chi dovrà pagare le costose analisi e soprattutto le operazioni di bonifica;
   nella scorsa legislatura, il 7 luglio 2010 è stata presentata l'interrogazione 4-07944, di analogo contenuto, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore che non ha mai ricevuto risposta –:
   se il Ministro intenda acquisire elementi in relazione alla bonifica citata in premessa in modo da tutelare la sicurezza dell'ambiente e della salute delle persone. (4-03546)


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da due anni, e sempre con maggiore insistenza, si avverte un cattivo odore, di materiale plastico bruciato, in località Pagliarese e in località Corsalone, nel comune di Chiusi della Verna ed in località Terrossola nel comune di Bibbiena;
   già numerosi cittadini hanno segnalato il problema all'amministrazione comunale senza, ad oggi, ottenere alcun risultato di miglioramento, anzi il cattivo odore si fa sempre più frequente durante tutto l'arco della giornata;
   ultimamente il cattivo odore è aumentato sino a livelli insopportabili e interessa e degrada l'intera zona; numerose persone, abitanti nelle zone limitrofe all'area industrializzata di Corsalone, lamentano disagi sempre più pressanti, anche perché i cattivi odori fanno preoccupare i cittadini per la propria salute;
   da quanto si legge sulla stampa (Arezzo oggi del 10 febbraio 2014), nella risposta ad una interrogazione a livello regionale, «la presunta origine della problematica dei cattivi odori al Corsalone sarebbe da ricondurre alle emissioni in atmosfera provenienti dalla ditta Air Beton, ma le maleodoranze possono essere frutto anche di altri contributi emissivi per i quali sono state previste ulteriori indagini (...) è stato verificato che all'origine delle maleodoranze vi sono gli sfiati di depressurizzazione delle autoclavi in uso presso questa impresa dove vengono utilizzate alcune tipologie di sostanze organiche con funzione di distaccanti. Attualmente gli sfiati delle autoclavi non sono campionabili perché sono considerati emissioni poco significative e pertanto i condotti di emissione non sono dotati di prese per il campionamento»;
   nella scorsa legislatura, il 14 novembre 2012 è stata presentata l'interrogazione 4-18548, di analogo contenuto, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore che non ha mai ricevuto risposta –:
   quali iniziative il Governo intenda porre in essere, anche promuovendo un sopralluogo da parte del Comando dei Carabinieri per la tutela dell'ambiente per del far sì che si svolgano quanto prima le necessarie verifiche, al fine della tutela dell'ambiente e della salute pubblica.
(4-03547)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PARENTELA, NESCI, DIENI, LUIGI GALLO, GALLINELLA, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI, GAGNARLI, L'ABBATE e TOFALO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il castello di Carlo V sorge nella parte antica di Crotone. Costruito nell'840 per difendere la città dalle incursioni dei Saraceni, fu modificato nel 1541 da Carlo V. Presenta una pianta poligonale, e due torri: una più massiccia detta «Torre Aiutante», e un'altra detta «Torre Comandante»;
   attualmente il castello ospita una sezione del museo archeologico nazionale di Crotone;
   il castello è stato oggetto di due interventi di ristrutturazione esterni: un primo intervento sul versante est (tra i bastioni S. Giacomo e S. Caterina, a monte di Via Verdogne) e la «sistemazione a verde del fossato verso la città». Interventi peraltro molto discussi e criticati dall'opinione pubblica cittadina in quanto non rispettano i canoni storici del castello e non hanno garantito la sistemazione a verde del fossato;
   a breve distanza di tempo dell'avvio dei lavori, alla cittadinanza sono note solo le versioni sintetiche dell'elaborato del 2008 nel sito web dell'architetto Marco Dezzi Bardeschi, e nella brochure presentata al salone internazionale di Ferrara (2012), dove l'intervento previsto, a parere degli interroganti, ha palesi caratteri di incompatibilità con la fisionomia del monumento che nel corso dei secoli è rimasto uno dei più importanti del Mezzogiorno;
   il progetto «Castello di Carlo V: recupero funzionale degli spazi interni ai bastioni per la nuova localizzazione del museo archeologico nazionale di Crotone» rientra nella lista di progetti selezionati nell'ambito del nuovo POIn «Attrattori»;
   non risulta agli interroganti che sia stato indetto alcun bando gara pubblico per la realizzazione del progetto di ristrutturazione;
   ad opinione degli interroganti, tale ristrutturazione, se attuata nei termini previsti dall'elaborato del 2008 dell'architetto Bardeschi, muterà completamente e irreparabilmente il volto del castello, intervenendo sull'unico fronte ancora percepibile da terra nel suo intero sviluppo;
   l'associazione culturale «sette soli» e l'associazione culturale «gettini di vitalba» hanno presentato formale richiesta di accesso agli atti presso la soprintendenza per i beni archeologici della Calabria per visionare il progetto di ristrutturazione, alla quale non hanno ricevuto ancora risposta nonostante la decorrenza dei termini –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e se non ritenga opportuno vigilare e garantire affinché l'intervento esposto in premessa venga effettuato tutelando il valore storico e paesaggistico del castello;
   se il Ministro non ritenga opportuno chiarire le modalità dell'affidamento dell'incarico di progettazione;
   se non intenda rendere pubblico il progetto definitivo di ristrutturazione affinché sia garantita la trasparenza e l'informazione ai cittadini. (5-02107)


   DE LORENZIS, DE ROSA e L'ABBATE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nella città di Nociglia in provincia di Lecce da diversi mesi è in corso una pacifica mobilitazione popolare sempre più crescente e formata da cittadini, comitati ed associazioni, locali e non, in difesa degli alberi di «pino italico»;
   ben 22 grandi alberi di pino italico in perfetta salute oggi rischiano di essere abbattuti per una contestatissima recente delibera comunale adottata al fine di dare seguito al progetto di una pista ciclabile, «realizzazione di pista ciclabile nell'Unione dei Comuni Terre di Mezzo» di cui fa parte Nociglia, finanziata dalla regione Puglia con 2.707.500 euro di fondi destinati alla «linea 5.2 del Programma operativo Fondo europeo di Sviluppo Regionale», di competenza dell'assessorato ai trasporti, servizio reti ed infrastrutture per la mobilità, Organismo responsabile per la ricezione dei pagamenti (5.2.2. FESR 2007-2013) della regione Puglia;
   l'opera proposta consisterebbe in un intervento che ha nella sua ratio il godimento lento in bici di borghi e natura, e che a Nociglia si vorrebbe realizzare distruggendo invece la natura e gli alberi fornitori di importante ombra vitale per i ciclisti e pedoni nei caldi mesi estivi;
   gli alberi in questione appartengono alla specie «Pinus pinea» (anche detti pini domestici, o da pinoli, per i commestibili pinoli che producono, o ad ombrello, o italici, o d'Italia), che impreziosiscono uno scorcio incantevole e pittoresco della città, il corso di via Onorevole Manfredi, che borda il borgo sul lato occidentale della sua periferia, e che dai locali viene chiamato il «Vignale», da cui ci si affaccia con vista panoramica sul «parco naturale dei Paduli e della antica Foresta Belvedere», nel cuore del basso Salento, del quale Nociglia e diversi comuni dell'entroterra apulo-salentino tra Otranto e Gallipoli fanno parte;
   dal punto di vista paesaggistico, per chi osserva Nociglia dal cuore del parco dei Paduli, è necessario sottolineare che con la loro presenza questi pini schermano alla vista le più recenti abitazioni di periferia, di minor pregio artistico e architettonico, facendo apparire la città, con gli altri suoi pini che bordano le strade di accesso al paese, un borgo incantevole caratteristicamente abbracciato da una cintura verde pittoresca di pini italici;
   questi alberi son particolarmente distanti dalle abitazioni più prossime, poste sul versante opposto della strada, e le loro radici svolgono anche una palese funzione di prevenzione contro il dissesto idrogeologico, dato che l'intero corso del «Vignale» poggia su un terrapieno addossato al declivio della collina, detta localmente la «serra», su cui sorge la città di Nociglia;
   detti pini fanno parte di un prezioso contesto periurbano progettato con valori architettonico-urbanistici di rilievo per cui il filare è diviso in due gruppi di 11 alberi ciascuno, equidistanti, e con ai due bordi ed al centro delle strutture ad esedra corrispondenti a simil-torrioni in pietra, così come in pietra è tutto il muro di contenimento del terrapieno ed è progettato a modo di simil-struttura difensiva medioevale;
   un muraglione a pareti inclinate, e con persino la riproduzione della tipica cornice marcapiano a toro delle antiche fortificazioni locali. Una soluzione urbanistica di alto pregio, resa ancor più esteticamente gradevole da balaustre con colonnine in pietra locale tornite, e da dieci lampioni in ferro artistico. Un «organismo» unico, il Vignale, come è stato definito anche dai funzionari della stessa regione (durante gli incontri che essi hanno avuto con i cittadini sensibili alla tutela di quei pini), con i suoi alberi e i suoi elementi architettonici e decori artistici;
   nella relazione agronomica che accompagna il contestato progetto di pista ciclabile, l'agronomo incaricato dal comune evidenzia l'attuale ottimo stato di salute e stabilità degli alberi in oggetto, ed evidenzia, altresì, l'instabilità per gli alberi che invece conseguirebbe dal loro mantenimento nell'esecuzione dei lavori per la pista ciclabile nell'ambito del progetto attuale, il quale, non prevedendo il mantenimento degli alberi, andrebbe a comprometterne gravemente gli apparati radicolari, perché nel progetto attuale di pista ciclabile infatti, questa la si vorrebbe lì realizzare non al livello dell'attuale marciapiede esistente, ma rimuovendo il marciapiede e portandola al livello del manto stradale, eliminando l'attuale copertura delle radici e della base degli alberi;
   si deduce che sarebbe pertanto questa scelta progettuale, di rimozione del marciapiede esistente intorno agli alberi, a decretare la pericolosità futura e non presente dei 22 pini;
   lo stesso agronomo scelto dal comune di Nociglia, nella sua relazione, indica che esiste la possibilità di evitare i problemi ai marciapiedi, migliorando al contempo le condizioni radicali dei pini. Per cui modificando il progetto attuale di costruzione della pista ciclabile, nel verso del mantenimento degli alberi nella loro integrità, con una variante progettuale e costruendo la pista ciclabile a livello del marciapiede e non al livello del manto stradale, gli alberi manterrebbero invariata la loro sicurezza statica attuale e non si potrebbe addurre la pericolosità potenziale degli alberi per giustificarne l'abbattimento, giustificazione che sarebbe, a detta dell'interrogante, non accettabile, a meno di non volere considerare pericoloso qualsiasi albero solo perché un tifone potrebbe abbatterlo;
   sono poi irrisori i danni all'asfalto e alla strada arrecati da alcune radici e sono facilmente aggiustabili (come indicato possibile nella relazione tecnica agronomica stessa allegata al progetto ufficiale, come anche più estesamente e dettagliatamente riportato nella relazione del dottor forestale Valentino Traversa; si tratta di uno studio tecnico dell'alberatura dei Pini italici del Vignale, con una dettagliata presentazione delle modalità tecniche per preservare gli alberi garantendo l'ottimale fruizione di strade, marciapiedi e piste ciclabili adiacenti. Tale relazione è stata fatta pervenire nei mesi scorsi dal forestale al comune di Nociglia e ai funzionari della regione Puglia, ente quest'ultimo stanziatore dei finanziamenti per la pista ciclabile, presso l'assessorato alle infrastrutture strategiche e alla mobilità;
   nel marciapiede del Vignale talune mattonelle in cemento sono state sollevate in prossimità dei tronchi degli alberi poiché per questi non son state previste adeguate aiuole sufficientemente larghe, ma sono stati soffocati erroneamente dal cemento e dunque, a detta dell'interrogante, le mattonelle dovrebbero essere rimosse al più presto per fare respirare maggiormente le radici degli alberi e migliorare la pedonabilità garantendo la sicurezza del luogo;
   sebbene si adducano infondate e indimostrate ragioni di pericolosità, come ragioni di danno ai marciapiedi, per giustificare l'eccidio dei grandi pini, questi son invece forti, ben eretti e godono di ottima salute (come attestato nella stessa relazione tecnica associata al progetto ufficiale di pista ciclabile);
   nel progetto contestato, inoltre, si prevede di piantare al posto dei bei pini autoctoni mediterranei oggi presenti, e che offrono tanta gradevole ombra anche per i futuri ciclisti fruitori della pista ciclabile, ben 40 alberi di canfora, pianta alloctona della quale si conosce l'effetto arrecato a strade e marciapiedi, notoriamente ben più aggressivo dei pini;
   lungo il Vignale, sull'ampio marciapiede alberato del corso, la pista ciclabile è stata progettata sul lato della balaustra, mettendo a rischio i pedoni che si affacciano per godere del panorama del parco dei Paduli, e non invece sul lato, più ampio, posto sul margine strada dove la pista potrebbe essere realizzata invece senza danneggiare gli alberi;
   a detta dell'interrogante, sarebbe utile realizzare, alternativamente al progetto, un marciapiede da portare in sterrato per allargare le aiuole, e una pista che potrebbe così essere ubicata in parte sul marciapiede stesso e in parte sulla carreggiata;
   in alternativa, sempre a detta dell'interrogante, la suddetta pista potrebbe essere ubicata sul lato strada del marciapiede, e spostando una delle due corsie della pista ciclabile, o entrambe, nella parte bassa, ai piedi del terrapieno del Vignale, adiacente alla struttura simil-fortificata in pietra del muro di contenimento del terrapieno. Una soluzione ubicativa intelligente quest'ultima, anche per valorizzare il luogo olivetato in basso, e la struttura in pietra del Vignale, con in alto le balaustre e i pini;
   si deve segnalare la strana rimozione dal Vignale di Nociglia delle preesistenti strutture di illuminazioni di pregio urbanistico consistenti in 10 lampioni in ferro artistico di gusto liberty ben associati al complesso architettonico del Vignale, con le sue colonnine in calcarea «pietra leccese» tornita, i bastioni e muraglioni di terrazzamento, la simmetricità perfetta della struttura con i 22 grandi pini. Gli alti eleganti lampioni erano lì ancora nei primi di giugno 2011 come attestano alcune foto. Averli rimossi rappresenta una grave danno al complesso del Vignale, ed inoltre uno spreco di denaro pubblico inaccettabile se poi fossero sostituiti dai nuovi lampioni previsti nel progetto di pista ciclabile, e poi persino in altro stile. Opportuno invece, a detta degli interroganti, il ripristino in loco di quei lampioni coerenti con l'impianto urbanistico del «Vignale» che dai locali vien anche chiamato il «lungomare di Nociglia» per l'alto pregio paesaggistico di quel viale di passeggio e di belvedere, sebbene guardi non sul mare, ma sul mare argenteo degli ulivi del Parco dei Paduli;
   la recente legge n. 10 del 2013 «Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani», pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 1o febbraio 2013, stabilisce all'articolo 7 le «disposizioni per la tutela e la salvaguardia dei filari e delle alberate di particolare pregio paesaggistico, naturalistico, monumentale, storico e culturale, ivi compresi quelli inseriti nei centri urbani» ed entro sei mesi dall'entrata in vigore, i comuni dovevano identificare principi e criteri per il censimento degli alberi ed alberature di pregio nel proprio territorio, quali appunto proprio i pini della città di Nociglia, tra cui quelli del suo Vignale, e fornire questa informazione alla rispettiva regione, la quale, a sua volta, entro i successivi sei mesi (quindi pressappoco entro febbraio 2013), doveva redigere l'elenco regionale e trasmetterlo al Corpo forestale dello Stato, che ha il compito di gestire l'elenco nazionale, che deve essere reso pubblico e disponibile a tutti sui siti internet delle competenti istituzioni, e per le regioni afflitte da «persistente inerzia» il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali attiva i poteri sostitutivi;
   la legge regionale 25 agosto 2003, n. 19, è una legge antecedente al progetto di pista ciclabile pertanto doveva e deve esser tenuta in considerazione per la progettazione e realizzazione della pista ciclabile; l'articolo 12 della legge n. 19 del 2003 rubricato come «Tutela alberi di piazze, viali e dimore storiche» così recita: «1. All'albo dei monumenti vegetazionali istituito con l'articolo 30, comma 1, della legge regionale 31 maggio 2001, n. 14, sono iscritti anche gruppi di alberature quando questi rappresentano nella loro complessità e interezza elemento caratterizzante di piazze, viali o dimore pubbliche e private di elevato interesse storico, artistico o culturale per il territorio di pertinenza». Ed i 22 Pini di Via Onorevole Manfredi nel loro insieme costituiscono proprio quell'elemento «caratterizzante», come indica il su citato articolo, il bel corso del Vignale di Nociglia. L'elevata importanza storico-culturale della bellissima via alberata è incrementata poi anche dal luogo rinomato sul quale la via si affaccia: il Parco dei Paduli, motivo per cui ancor più i Pini italici di Nociglia meritano di essere salvaguardati e tutelati essendo un prezioso patrimonio arboreo della collettività pienamente rispondenti ai requisiti menzionati dalla legge regionale n. 19 del 2003;
   a detta dell'interrogante bisogna impiegare i fondi pubblici per rimboschire, non per demolire gli alberi che ci sono, e per sostituirli con virgulti pertanto, se nel progetto della pista ciclabile si è previsto di acquistare anche 40 piante di canfora, si ritiene che sia più utile prevedere alberi autoctoni, ad esempio gli stessi pini domestici, al fine di piantumarli intorno ad altri tratti spogli della pista ciclabile a Nociglia o in uno degli altri paesi in cui si snoda la pista stessa, ma non certo sul Vignale e al posto dei pini presenti da preservare massimamente ed integralmente, e da assumere come invariante paesaggistica di qualunque progetto urbanistico;
   nel Salento, si assiste da alcuni anni ad un disdicevole diffuso sterminio di centinaia, di pini mediterranei, delle specie autoctone in Puglia da millenni, e di grande pregio naturalistico, quali i pini di Aleppo (Pinus halepensis) e i pini domestici (Pinus pinea) con autorizzazioni, a detta dell'interrogante, fondate su discutibilissime perizie tecniche che adducono strumentalmente a infondatezze scientifiche che tentano di farli passare per piante alloctone paventando, in maniera mistificatoria, danneggiamenti d'ogni sorta, che ben potrebbero trovare invece più facili soluzioni atte a garantire insieme fruibilità, risoluzione dei danni e conservazione degli alberi nella loro integrità;
   a giudizio degli interroganti le eventuali dannosità sarebbero prevenibili con saggi interventi minimali anche in relazione agli eventuali danni da radici a manufatti, marciapiedi e strade (come ben evidenziato, per il caso di Nociglia e non solo, nella relazione sopra citata del dottor Valentino Traversa);
   tutto questo agire albericida contro i pini nel Salento sembra il più delle volte essere permesso al fine di favorire appalti pubblici d'ogni tipo, di cosiddetta «rigenerazione urbana», tra cui inclusi gli appalti per la paradossale ripiantumazione in loco di altri alberi, anche alti diversi metri con grande spreco di denaro pubblico;
   vi è da aggiungere che il legno ricavato dalla potatura degli alberi, che viene fatto passare come rifiuto e di cui si perde la tracciabilità, arricchisce invece il sottobosco del lucroso mercato delle biomasse legnose per la produzione solitamente di energia elettrica e di cippato alimentando il rischio che beni pubblici, quali sono le alberature urbane e stradali, finiscono nei circuiti fumosi del mercato poco trasparente delle biomasse e delle energie iper-incentivate e falso-verdi, anzi «verdicide» in tal caso;
   nel caso di Nociglia, pur essendo stato depositato presso il comune uno studio tecnico del dottore forestale e paesaggista Valentino Traversa, che prevede la costruzione della pista ciclabile mantenendo in vita i 22 Pinus pinea, le varie pubbliche amministrazioni coinvolte non stanno rispettando i princìpi amministrativi comunitari e nazionali del «Buon andamento della pubblica amministrazione», avendo approvato un progetto, che, per una scelta politica ed errata valutazione tecnica, prevede il taglio degli alberi, con conseguenti sprechi di denaro pubblico, ingiustificato arricchimento di soggetti terzi a cui si vorrebbero affidare i lavori di espianto degli alberi, e deminutio del valore economico e paesaggistico di un bene che è invece da tutelare e salvaguardare;
   la crescente mobilitazione civica a difesa dei pini di Nociglia, in un momento storico in cui in tutto il Mediterraneo si alza una voce civica unica e forte a difesa della natura e degli spazi verdi urbani, come testimonia il caso emblematico del Gezi Park di Istanbul, è volta anche nel verso della coerenza burocratica-amministrativa, del buon governo e gestione del territorio a sua vera tutela, e nel verso della riaffermazione della spesso mancante saggezza, contro inutili sprechi e non-sensi meramente speculativi;
   una mobilitazione pacifista, ma non per questo meno ferma e decisa, che sta vedendo la partecipazione on line, nelle petizioni, di centinaia di persone, che stanno scrivendo a tutti gli organi competenti per sollecitare la salvezza degli alberi, una mobilitazione seguita da tv e giornali locali, ma anche da siti on line nazionali, come quello del giornale «la Repubblica», con l'articolo pubblicato il 27 giugno 2013, dal titolo «in lotta per salvare i pini di Nociglia». Inoltre risale allo scorso 25 novembre 2013 l'azione dimostrativa di incatenamento di diversi ambientalisti a quegli alberi, le cui foto hanno fatto il giro d'Italia in poche ore. L'azione di incatenamento è stata scaturita da un'imminente ordinanza di taglio degli alberi, emessa dal comune di Nociglia, poi subito ritirata anche a seguito della deposizione di un esposto alla procura della Repubblica di Lecce, motivato dalla massima urgenza dell'ordinanza verdicida emessa dal comune e che da lì a poche ore avrebbe sancito la fine degli alberi –:
   se non ritengano opportuno adoperarsi, per quanto di competenza, affinché l'area dell'intero Vignale di Nociglia sia sottoposta a vincolo ambientale, architettonico e paesaggistico, anche alla luce della suddetta legge n. 10 del 2013 «Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani», in modo da salvaguardare i pini e tutto il loro corollario di elementi architettonici di pregio, a partire dal ripristino in loco dei recentemente rimossi lampioni in ferro artistico del Vignale.
(5-02109)

Interrogazione a risposta scritta:


   RIZZETTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dal Messaggero Veneto del 9 febbraio 2014 che il Coordinamento provinciale delle associazioni dei disabili, con una lettera al Ministro Massimo Bray, denuncia la condotta di Giulia Picchione, soprintendente per i beni archeologici del Friuli Venezia Giulia, per non aver adottato alcun intervento per lo sviluppo del progetto di realizzazione di una nuova rampa, indispensabile per consentire l'accessibilità ai disabili al plateatico di piazza San Giacomo, la piazza più importante di Udine;
   è dal 2012 che, il comitato, che rappresenta gli interessi delle principali associazioni di persone con disabilità della provincia di Udine e che fa parte della consulta regionale delle associazioni delle persone disabili e delle loro famiglie Fvg Onlus, collabora con gli assessori comunali competenti in tema di accessibilità e lavori pubblici, nonché con i relativi tecnici per trovare una soluzione al dislivello, rappresentato da pochi gradini, che rialza la parte centrale di piazza San Giacomo al centro di Udine, in una zona interamente pedonale;
   la collaborazione del comitato con l'amministrazione comunale ha portato alla redazione di ben tre diversi progetti per la realizzazione della rampa, che renderebbe possibile l'accesso a tutti i cittadini, anziani, bambini e persone con disabilità, al plateatico della piazza;
   detti progetti, di cui il primo è del marzo 2012 e l'ultimo del maggio 2013, sono stati poi modificati rispetto alle osservazioni e indicazioni ricevute in forma non ufficiale da soggetti vicini agli uffici della Soprintendenza, al fine di presentare una soluzione definitiva e risolutoria;
   tuttavia, la soprintendente per i beni architettonici e ambientali del Friuli Venezia Giulia, a quanto consta all'interrogante, non si è concretamente attivata per risolvere tale rilevante questione, né ha provveduto a trasmettere un formale e motivato riscontro alle proposte avanzate;
   pertanto, ad oggi, non si è a conoscenza di quali siano le ragioni che hanno determinato tale disinteresse sotto il profilo tecnico nonché umano ed etico della problematica;
   appare, dunque, all'interrogante che la condotta della soprintendente Giulia Picchione, sia in contrasto con le norme nazionali che obbligano le pubbliche amministrazioni a fornire risposte chiare in tempi definiti, affinché il richiedente possa avere un riscontro univoco e motivato, per consentirgli di presentare e modificare le proprie istanze in modo conforme alle direttive dell'amministrazione –:
   se e quali iniziative di competenza intenda adottare il Ministro interrogato affinché si proceda all'adozione di un progetto che consenta l'accesso ai disabili nonché a tutti cittadini, bambini ed anziani, al plateatico di piazza San Giacomo poiché detto accesso, ad oggi, non è reso possibile a causa della presenza di un dislivello che rialza la parte centrale della piazza, come esposto in premessa;
   se e quali iniziative si intendano intraprendere nei confronti di Giulia Picchione, in qualità di soprintendente per i beni archeologici del Friuli Venezia Giulia, la cui condotta, nel caso di specie, appare all'interrogante negligente e non conforme alle norme nazionali in materia, come messo in evidenza in premessa. (4-03548)

COESIONE TERRITORIALE

Interrogazione a risposta immediata:


   VACCA, LUIGI GALLO, BRESCIA, SIMONE VALENTE, BATTELLI, D'UVA, DI BENEDETTO e MARZANA. — Al Ministro per la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:
   per l'espletamento delle procedure dell'abilitazione scientifica nazionale è necessario costituire le commissioni nazionali per ciascun settore composte da cinque membri;
   con decreto il direttore generale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca costituisce un'apposita lista composta, per ciascun settore concorsuale, dai nominativi dei professori ordinari del settore concorsuale di riferimento che hanno presentato domanda per esservi inclusi;
   quattro dei membri della commissione sono individuati mediante sorteggio all'interno della lista medesima;
   per la procedura per il conseguimento dell'abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore universitario di prima e seconda fascia per il settore concorsuale 14/D1 (sociologia dei processi economici, del lavoro, dell'ambiente e del territorio) è stato sorteggiato membro della commissione il professor Carlo Trigilia;
   con decreto del Presidente della Repubblica del 28 aprile 2013, il professor Trigilia è nominato Ministro senza portafoglio del Governo Letta;
   l'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, stabilisce l'aspettativa obbligatoria dei professori universitari per situazioni di incompatibilità per la durata della nomina alla carica di Ministro;
   lo stesso articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, per quanto concerne l'esclusione dalla possibilità di far parte delle commissioni di concorso, è di dubbia interpretazione;
   la presenza di un Ministro della Repubblica, quale membro della commissione per l'abilitazione scientifica nazionale, potrebbe alterare, anche involontariamente, gli equilibri e l'imparzialità della commissione, pregiudicandone anche i giudizi sui concorrenti –:
   per quale motivo il Ministro interrogato non abbia ritenuto opportuno dimettersi da membro della commissione per il conseguimento dell'abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore universitario di prima e seconda fascia per il settore concorsuale 14/D1. (3-00635)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROSATO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio dei ministri ha adottato nell'agosto 2013, uno schema di decreto legislativo sulla riduzione degli organici del personale militare e civile della Difesa, nel quale si è esteso per la prima volta anche a soggetti privati la possibilità di acquisire, mediante concessione decennale, a titolo gratuito, gli immobili posti in dismissione dal Ministero della difesa;
   il provvedimento introduce il meccanismo della «valorizzazione d'onore»: una concessione gratuita (con obbligo di valorizzazione e utilizzo effettivo del medesimo entro tre anni dall'acquisizione e patto di riscatto a favore dell'Agenzia del demanio), garantita dal versamento di una cauzione nel caso si verifichi la mancata valorizzazione o venga accertato un deterioramento dell'immobile. È previsto, infine, il diritto di prelazione per il concessionario al termine della concessione;
   sono circa 700 gli immobili in dismissione – la stragrande maggioranza situati nel Nord-est italiano – ed entro due mesi, come annunciato anche sui quotidiani, dovrebbe essere avviato il primo bando –:
   quali siano gli immobili che il Ministero della difesa intende bandire nell'ambito della nuova strategia «valorizzazione d'onore». (5-02118)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   GEBHARD e SCHULLIAN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il comma 17 del disegno di legge di stabilità per il 2014, nel testo giunto dal Senato, conteneva una norma inserita dall'altro ramo del Parlamento, che eliminava l'obbligo per i produttori agricoli esonerati dalla dichiarazione IVA di comunicare all'amministrazione finanziaria le operazioni rilevanti a fini IVA (cosiddetto «spesometro»);
   il comma in questione abrogava l'articolo 36, comma 8-bis del decreto-legge n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221; tale norma aveva assoggettato i produttori agricoli esonerati dalla dichiarazione IVA, all'obbligo di comunicazione all'amministrazione finanziaria delle operazioni rilevanti a fini IVA (cosiddetto «spesometro»);
   si ricorda che i produttori agricoli che hanno realizzato, o in caso di inizio di attività prevedono di realizzare, un volume d'affari non superiore a 7 mila euro sono esonerati dal versamento dell'Iva e da tutti gli obblighi documentali e contabili dall'articolo 34, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto);
   nel corso dell'esame del disegno di legge di stabilità presso la Commissione Bilancio della Camera il comma, contenente l'abrogazione dell'articolo 36, comma 8, è stato sorprendentemente soppresso;
   sfugge la logica sottesa a tale intervento soppressivo, in quanto l'abrogazione del comma 17 non comportava per lo Stato un recupero di risorse e l'intervento rappresentava una mera semplificazione che non poteva che essere positivamente accolta dal mondo agricolo;
   infatti l'obbligo previsto dal comma 8-bis dell'articolo 36 del decreto-legge n. 179 del 2012 non rappresentava altro che un ulteriore onere burocratico per i produttori agricoli, senza rappresentare nessun vantaggio diretto ne per l'imprenditore né per il consumatore; peraltro, le disposizioni di cui all'articolo 8-bis, di fatto annullano le esenzioni di cui all'articolo 34, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972;
   nel corso dell'esame in Commissione Bilancio del disegno di legge di Stabilità risulta dai resoconti il parere positivo dato dal Governo alla soppressione del comma 17 –:
   per quale motivo il Governo abbia condiviso la proposta emendativa di soppressione di un'utile semplificazione burocratica per il mondo agricolo e se non ritenga di ripristinare la norma soppressa durante l'esame del disegno di legge di Stabilità presso la Commissione Bilancio, in uno dei provvedimenti che saranno all'esame del Parlamento nella prima parte del 2014. (5-02121)


   ZANETTI e SOTTANELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la remunerazione dei dirigenti di prima fascia dell'Agenzia delle Entrate si compone di stipendio tabellare (55.397,39 euro), retribuzione di posizione fissa (36.299,70 euro), retribuzione di posizione variabile (da un minimo di 34.218,10 a un massimo di 163.729,00 euro) e retribuzione di risultato (da un minimo di 27.887,68 a un massimo di 107.981,43 euro), tale per cui detta remunerazione complessiva oscilla da un minimo di 153.802,87 euro a un massimo di 363.407,52;
   la remunerazione dei dirigenti di seconda fascia dell'Agenzia delle Entrate si compone di stipendio tabellare (43.310,90 euro), retribuzione di posizione fissa (12.155,61 euro), retribuzione di posizione variabile (da 6.713,94 euro per un dirigente di 4 livello a 33.569,70 euro per un dirigente di 1 livello) e retribuzione di risultato (da un minimo per un dirigente di 4 livello di 5.690,12 euro a un massimo per un dirigente di 1 livello di 25.483,11 euro), tale per cui tale remunerazione complessiva oscilla da un minimo di 67.870,57 a un massimo di 114.519,31 euro);
   ai fini del diritto alla percezione della retribuzione di risultato, la Convenzione tra Ministero dell'economia e delle finanze e Agenzia delle Entrate fissa una serie di obiettivi incentivati che devono essere raggiunti, suddivisi tra obiettivi «area controlli», obiettivi «area servizi» e obiettivi «area staff», attribuendo ad ogni obiettivo uno specifico punteggio;
   tra questi obiettivi incentivati si annoverano anche:
    a) un incasso da versamenti diretti e da ruoli pari almeno a 10,2 miliardi di euro, derivante dall'azione complessiva dell'Agenzia per il contrasto degli inadempimenti dei contribuenti;
    b) una percentuale pari almeno al 59 per cento di pronunce in tutto o in parte favorevoli all'Agenzia nei vari gradi di giudizio, sul totale di pronunce divenute definitive nell'anno corrente;
   considerata l'aleatorietà intrinseca dell'attività di controllo, la previsione di un obiettivo quantitativo di tipo monetario (il riscosso per il tramite dell'attività dell'Agenzia), peraltro con il peso maggiore tra quelli assegnati ai diversi obiettivi incentivati, pare a dir poco incoerente e suscettibile di trasformare la mission dell'Agenzia da quella di «cercare gli evasori» a quella di «trovare gli evasori» (e, quando il compito non è cercare, ma trovare, imbattersi in contribuenti onesti può diventare una diseconomia operativa rispetto agli obiettivi incentivati da «correggere» forzando magari pro fisco alcune interpretazioni);
   lascia inoltre significativamente perplessi che l'obiettivo correlato alla percentuale di vittorie dell'Agenzia in sede contenziosa sia considerato soddisfacente quando la percentuale, comprese le vittorie soltanto parziali, raggiunge il 59 per cento, posto che ciò implica un giudizio di soddisfazione in un contesto in cui l'Agenzia si trova a soccombere integralmente nel 41 per cento dei casi, essendo invece chiaro che di fronte a percentuali di soccombenza integrale superiori al 20-25 per cento bisognerebbe implementare un meccanismo penalizzante piuttosto che premiante;
   altro aspetto che appare delicato è quello della ripartizione a livello locale degli obiettivi nazionali, atteso che la loro suddivisione e ripartizione con riferimento al singolo ufficio (e, quindi, al singolo dirigente) avviene sulla base di criteri che non sono pubblicizzati all'esterno e di difficile individuazione e ricostruzione anche da parte di coloro che sono oggetto della valutazione con il sistema interno all'Agenzia denominato SIRIO –:
   se non ritenga opportuno rivedere quanto prima la convenzione tra Ministero dell'economia e delle finanze e Agenzia delle entrate nella parte connessa all'individuazione degli obiettivi incentivati che rilevano ai fini della parte variabile della remunerazione dei dirigenti dell'Agenzia delle entrate, al fine di ridurre la sua potenzialità di fattore di aggravamento del tasso di litigiosità tra Fisco e contribuenti e al fine di accrescere la trasparenza nei rapporti interni all'Agenzia delle entrate agendo con modifiche alla Convenzione lungo queste tre direttrici:
    a) eliminazione dell'obiettivo monetario quantitativo e sua sostituzione con altri obiettivi più consoni alla reale mission che lo Stato affida all'Agenzia delle entrate nell'interesse dei cittadini;
    b) rimodulazione dell'obiettivo connesso agli esiti del contenzioso in corrispondenza di soglie significativamente più elevate, prevedendo altresì forme di penalizzazione ove la percentuale di pronunce integralmente a favore dei contribuenti superi il 20-25 per cento del totale;
    c) condivisione e chiara esplicitazione dei criteri di suddivisione a livello locale e di singoli uffici degli obiettivi individuati a livello nazionale. (5-02122)


   BUSIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la RAI-Radiotelevisione Italiana è società per azioni controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo;
   l'offerta RAI a partire dalla fine del 2010 comprende un ampio spettro di servizi, che spazia dai canali televisivi (19 emittenti), distribuiti attraverso l'analogico terrestre, il digitale terrestre e il satellite, alle stazioni radiofoniche (6), all'erogazioni di contenuti via web;
   nel 2010 la RAI, che opera in virtù di un contratto di servizio triennale stipulato con il Ministero dello sviluppo economico, ha realizzato ricavi per 3 miliardi di euro, di cui 1,7 derivanti dal canone e 1 miliardo di euro dalla pubblicità, con un organico di 11.400 persone;
   la Rai spa è designata, ai sensi dell'articolo 49, comma 1, del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177 quale concessionaria – fino al 6 maggio 2016 – del servizio pubblico generale radiotelevisivo;
   il prossimo 31 Gennaio, così come ricordato ogni giorno sulle reti RAI, scade il termine ultimo per il pagamento annuale del canone, il quale la natura tributaria;
   organi di stampa nazionale di questi giorni riportano la notizia secondo la quale la percentuale d'evasione sullo stesso canone RAI ammonta a circa il 25 per cento, ovvero una famiglia su quattro dunque non paga, per un importo complessivo circa di 450 milioni di euro evasi ogni anno;
   stando alle notizie della stampa, in numerosi comuni del casertano gli ispettori Rai si rifiutano di visitare, come Casal di Principe o Parete, in regola con il tributo pare vi sia solo il 9 per cento delle famiglie, mentre il Comune con il più alto tasso di versamento del tributo è quello di Collobiano, provincia di Vercelli, dove da anni non si trova neppure un evasore –:
   quanto ammonti, ogni anno, il minor incasso dovuto all'evasione RAI per ciascuna regione italiana e quali iniziative il Governo intenda attuare, particolarmente nei territori dove l'elusione fiscale è un fattore radicato e particolarmente diffuso, per recuperare il minor incasso generato dall'evasione medesima. (5-02123)


   BARBANTI, ALBERTI, CANCELLERI, PESCO, PISANO, RUOCCO e VILLAROSA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 23, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha ridotto da cinque a tre il numero dei componenti della Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (CONSOB);
   attualmente la CONSOB è presieduta da Giuseppe Vegas e Paolo Troiano ricopre la figura di commissario, mentre la carica del commissario Michele Pezzinga è terminata;
   la CONSOB è preposta a vigilare su molte questioni particolarmente delicate, come ad esempio i «casi» Monte Paschi di Siena e Telecom, motivo per il quale sarebbe preferibile che essa fosse completa nella sua composizione –:
   quale sia il motivo per il quale non sia ancora avvenuta la nomina del nuovo commissario, entro quali tempi gli Organi preposti provvederanno alla nomina, e quali siano i criteri selettivi che verranno utilizzati. (5-02124)


   PAGLIA, MIGLIORE e LAVAGNO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'8 febbraio 2014, nel corso del suo intervento all'annuale convegno di Assiom-Forex, il Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, non ha escluso l'ipotesi di una «Bad bank» di sistema per gestire i crediti deteriorati delle banche, anche al fine di consentire la liberazione, a costi contenuti, di ingenti risorse da utilizzare per il finanziamento dell'economia;
   lo stesso Governatore non ha nascosto di guardare in maniera positiva alle iniziative ambiziose in corso da parte di alcune banche, che non cita, ma con chiaro riferimento ad Intesa Sanpaolo e Unicredit, volte a razionalizzare la gestione dei crediti deteriorati con la creazione di strutture dedicate in grado di aumentare l'efficienza delle procedure e la trasparenza di questi attivi rispetto a quelle attuabili delle singole banche; si tratterebbe di interventi, seppur da valutare nella loro compatibilità con l'ordinamento europeo, tutti in grado di «liberare, a costi contenuti, risorse da utilizzare per il finanziamento dell'economia» –:
   quali siano le reali intenzioni in merito del Governo, e se, eventualmente ed in quali misura, le finanze pubbliche sarebbero coinvolte nel suddetto sistema.
(5-02125)


   CAUSI, BOBBA e GINATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il gioco pubblico, nonostante la grave crisi economica, ha conosciuto, in questi ultimi anni, una crescita esponenziale; il comparto rappresenta il 4 per cento del PIL italiano; secondo i dati dell'Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato (AAMS) il valore complessivo delle giocate è aumentato, dal 2008 al 2012, da 47,5 a 88,6 miliardi di euro, determinando un incremento, nell'ultimo quinquennio, di oltre l'86 per cento; tale fenomeno rappresenta la fase finale di un lungo trend positivo che ha visto una crescita esponenziale del settore dal 1990 ad oggi (nel 1990 la raccolta dai giochi pubblici si attestava complessivamente a 5,1 miliardi di euro);
   tra il 1999 e il 2009, i giochi hanno fatto incassare in media all'Erario il 4 per cento sul totale delle imposte indirette e, in termini assoluti, hanno contribuito alle casse statali con una media di 9,2 miliardi di euro all'anno (confronta Simone Sarti e Moris Triventi, «Il gioco d'azzardo. L'iniquità di una tassa volontaria», La voce.info);
   il sostenuto aumento della raccolta non è coinciso con un analogo incremento delle entrate erariali, le quali hanno invece registrato una sensibile contrazione; considerando il dato della raccolta relativo al 2010 (61,4 miliardi), in due anni c’è stato un aumento della raccolta del 44 per cento, a fronte di una diminuzione delle entrate erariali del 7 per cento che per il 2012 ammontano a 8,1 miliardi (mentre nel 2010 ammontavano a 8,7 miliardi e nel 2011 a 8,6 miliardi);
   le ragioni di tale fenomeno deriverebbero dalla decisa diminuzione delle entrate derivanti dai giochi tradizionali (Lotto, Superenalotto e Scommesse) e dal rilevante aumento della raccolta derivante dalle slot machine, dovuto alla introduzione delle Videolotteries (VLT) e dai giochi on-line: tale aumento, stante il livello di tassazione basso rispetto a quello degli altri giochi, non produrrebbe entrate idonee ad assorbire il decremento delle entrate erariali;
   da un confronto sulla tassazione effettiva, calcolata sulla spesa netta, – tecnicamente definita Gross Gaming Revenues (GGR) –, ovvero delle imposte che gravano sull'utile loro al netto delle somme restituite in vincita, emergerebbe che i giochi tradizionali, quali la lotteria nazionale, sono soggetti ad una tassazione più elevata rispetto ad altre forme di gioco: la lotteria nazionale per ogni 100 euro di utile netto pagherebbe 75 euro di tasse; il gratta e vinci 58 euro; il Win for Life 66,5 euro; il lotto 51,6 euro; mentre le slot machines per ogni 100 euro di utile netto pagherebbero 49,6 euro di imposte e le videolotterie 43,5 euro; il gioco on-line risulterebbe, secondo questo schema, tassato ancor meno, al 20 per cento;
   a detta degli operatori, il valore sottotassato, per la categoria di giochi on-line, sarebbe tale in ragione dell'elevatissimo ritorno in termini di vincite ai giocatori, che si attesterebbe al 97 per cento, con la conseguenza che alla filiera (Concessionari + Stato) rimane il 3 per cento della raccolta totale; tuttavia una variazione del valore del ritorno in termini di vincita comporterebbe una migrazione dei giocatori su piattaforme illegali dove avrebbero vincite certamente superiori, con la conseguenza di un'ulteriore riduzione del gettito erariale e una minor tutela dei giocatori in termini di sicurezza;
   a decorrere dal 1o gennaio 2013, la misura del prelievo erariale unico (PREU) sull'ammontare delle somme giocate con gli apparecchi cosiddetti videolotterie (VLT), come da ultimo fissato dal comma 479 dell'articolo unico della legge 24 dicembre 2012, n. 228, (legge di stabilità 2013), è del 5 per cento, con un'addizionale pari al 6 per cento sulla parte della vincita eccedente i 500 euro, mentre per quanto riguarda le cosiddette newslot (AWP) il prelievo, per gli anni 2013 e 2014, è del 12,70 per cento sull'ammontare delle somme giocate e, a decorrere dal 1o gennaio 2015, aumenterà al 13 per cento; la percentuale destinata alle vincite è fissata per legge in misura non inferiore al 74 per cento;
   la determinazione dell'aggio e del compenso verso il concessionario del gioco e gli altri operatori varia, allo stato attuale, a seconda della tipologia del gioco; il disegno di legge delega per la riforma del sistema fiscale, all'articolo 14 prevede, tra l'altro, l'armonizzazione delle percentuali di aggio o compenso riconosciute ai concessionari, ai gestori e agli esercenti secondo un criterio di progressività legata ai volumi di raccolta delle giocate;
   un approccio sistematico ai problemi del settore non può prescindere da un'analisi di dettaglio delle specifiche tassazioni che vengono applicate ai singoli giochi, ai ricavi erariali ed agli introiti che ne derivano, con l'obiettivo di capire quali siano gli interventi di politica fiscale che possano garantire almeno il mantenimento di tale gettito, limitando al contempo, quanto più possibile, i danni derivanti dal gioco d'azzardo ed il pericolo di un massiccio ritorno all'illegalità che ha caratterizzato questo settore fino ai primi anni duemila –:
   quali iniziative intenda porre in essere per recuperare la riduzione del gettito fiscale del settore dei giochi pubblici, a tal fine anche prevedendo di uniformare le basi imponibili sulle quali è applicata l'aliquota, modificando la misura del prelievo erariale unico così da eguagliare l'aliquota applicata agli apparecchi VLT a quella più elevata applicata agli AWP, allineando gli aggi applicati a giochi affini, incentivando i giochi che garantiscano occupazione e maggiori possibilità di effettuare controlli efficaci e prevedendo un incremento delle aliquote sui giochi che creano una maggior dipendenza patologica, quali quelli ad alta velocità di gioco come i giochi on-line. (5-02126)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MAESTRI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con nota prot. n. 1016 del 15 gennaio 2014, il Ministero dell'economia e delle finanze — ragioneria territoriale dello Stato, sede di Parma, ha disposto nuove modalità operative per le variazioni stipendiali relative a iscrizioni e revoche sindacali;
   la nota precisa che si riterranno regolari solamente le deleghe sindacali sottoscritte in originale e trasmesse, a cura degli uffici di appartenenza, con note a firma del dirigente, ovvero le deleghe trasmesse dalle organizzazioni sindacali solo se corredate da nota sottoscritta dal dirigente dell'ufficio di servizio;
   le organizzazioni sindacali confederali, CGIL, CISL e UIL, il 27 gennaio 2014, hanno avanzato alla direttrice della RTS di Parma una richiesta di incontro finalizzata a chiedere la revoca della nota prot. n. 1016 la quale definisce una procedura aggravata e ridondante rispetto alle modalità operative previgenti;
   le organizzazioni sindacali ritengono che la nuova procedura di iscrizione e revoca, a quanto risulta adottata solo nella città di Parma, sia lesiva della dovuta riservatezza che la legge riconosce ai lavoratori che aderiscono ad un'organizzazione sindacale ed in particolare ritengono che la nota della RTS sia in palese contrasto con lo statuto dei lavoratori e con il codice di comportamento dei dipendenti pubblici (decreto del Presidente della Repubblica n. 62 del 2013) che, all'articolo 5, recita: «il dipendente comunica tempestivamente al responsabile di appartenenza la propria adesione ad associazioni od organizzazioni. Il presente comma non si applica all'adesione a partiti politici o a sindacati»;
   alcuni lavoratori hanno inoltre rappresentato che, nell'incertezza applicativa della nota sopraccitata, alcuni dirigenti non avrebbero avviato le comunicazioni circa le variazioni stipendiali relative a iscrizioni e revoche sindacali, arrecando pregiudizio tanto alle organizzazioni sindacali quanto ai lavoratori –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della circolare prot. n. 1016 della RTS di Parma e se la ritengano conforme alla normativa vigente. (4-03534)


   CANCELLERI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   sul giornale L'Unità il giorno 2 febbraio 2014 è apparso un lungo articolo inerente Antonio Mastrapasqua, presidente dimissionario dell'Inps, e Attilio Befera, direttore dell'Agenzia delle entrate;
   nell'articolo si osserva testualmente a proposito di Befera «Quello che pochi sanno, tuttavia, è che il capo assoluto del fisco italiano è già pensionato da anni, e da ex dipendente dell'Agenzia è stato rinominato come dirigente esterno a termine. Rinominato alle Entrate e rinominato in Equitalia. C’è da scommettere che lo status di Befera non provocherà un terremoto nelle prime file della burocrazia, per un motivo molto semplice: di pensionati che cumulano assegno previdenziale e trattamenti dirigenziali se ne contano a decine. Ma il direttore generale può vantare un record assoluto: oggi resta in servizio pur avendo superato il limite massimo d'età consentito dalla legge per la dirigenza pubblica. E qui l'anomalia raddoppia. La notizia è già filtrata sulla stampa nell'autunno scorso, senza tuttavia suscitare alcun clamore né apparente imbarazzo da parte dell'interessato. Befera ha compiuto 67 anni a giugno scorso, eppure è ancora lì ben piazzato sulla sua poltronissima, che anzi con il tempo è diventato un trono grazie alla fusione di tutte le Agenzie del Tesoro sotto la sua guida. Esattamente come per Mastrapasqua, anche lui è equiparabile a un monarca del fisco. Secondo una legge del 2001 i dipendenti pubblici dovrebbero andare in pensione a 65 anni (esclusi alcuni casi specifici come i professori universitari e i militari), con una proroga di massimo due anni, quindi fino a 67 anni. Il caso di Befera comunque non rientra nell'ipotesi di proroga, perché il direttore delle Entrate è andato in pensione prima, all'età di 65 anni. Ed è rimasto con un contratto da esterno confermato da diversi governi. Anche dallo stesso Letta. Il quale ha avuto l'accortezza di non citare nell'atto di nomina la legge 2001 sulle scadenze di legge. Altro fatto assai singolare (...) Per Befera e Mastrapasqua ad esempio fu scritta una norma ad hoc per consentire che gli emolumenti di Equitalia non fossero conteggiati ai fini del tetto previsto per i dirigenti pubblici. Per evitare ulteriori incidenti diplomatici Befera ha deciso di rinunciare allo stipendio di Equitalia, premurandosi di annunciarlo in una audizione parlamentare. Insomma, in quella sede confermò di intascare più o meno quello che prevede il tetto, ovvero circa 310 mila euro l'anno. Peccato che non abbia fatto parola della pensione, grazie a cui il tetto viene aggirato» –:
   quale sia l'interezza della cifra che Attilio Befera percepisce sia come direttore dell'Agenzia delle entrate che come pensionato;
   quali altre persone si trovino nella condizione di Attilio Befera, essendo ormai Antonio Mastrapasqua dimissionario dall'INPS, e cioè abbiano la garanzia che gli emolumenti di un incarico pubblico o in società pubblica, nella fattispecie in Equitalia, non siano conteggiati ai fini del tetto previsto per i dirigenti pubblici;
   al di là delle deroghe concesse e della legittimità tortuosa di disposizioni ad hoc degli emolumenti oggi percepiti dal direttore delle Agenzie delle entrate, sia sotto forma di compenso per l'incarico all'agenzia delle entrate sia sotto forma della pensione, se non sia il caso di un intervento immediato per ristabilire l'inveramento dei principi di trasparenza e di equità, e cioè un emolumento per il capo dell'Agenzia delle entrate in linea con quella generale dei dirigenti pubblici.
(4-03550)

GIUSTIZIA

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   il sito web del Corriere della sera in data 6 febbraio 2014, ha pubblicato una videoinchiesta sul drammatico fenomeno delle morti in carcere che in poco più di un decennio sono state 2230: si tratta di decessi avvenuti per cause naturali o suicidio, ma dall'inchiesta emergono anche casi di morte dovuta a malasanità in carcere e pestaggio;
   nelle settimane passate la stampa italiana si era soffermata inoltre sul caso della cosiddetta «cella zero» del carcere di Napoli Poggioreale, dove, secondo le testimonianze, vengono perpetrate violenze e vere e proprie azioni di pestaggio contro i detenuti, episodi tra l'altro denunciati anche dal Garante regionale dei detenuti della Campania, Adriana Tocco, sui quali la magistratura ha deciso di aprire un'inchiesta;
   un'istituzione fondamentale come quella che amministra le carceri della Repubblica e una Forza di polizia democratica, come il Corpo di polizia penitenziaria, a cui sono affidate la vita e l'integrità fisica delle persone in esecuzione di pena o sottoposte a custodia cautelare, non possono essere esposte ai gravissimi sospetti di abusi, con ipotesi di violenze intollerabili e perfino ombre che riportano a responsabilità sconcertanti –:
   se sia a conoscenza dei fatti emersi dalla videoinchiesta del Corriere della sera e quali indagini amministrative siano state avviate in quegli istituii penitenziari dove accadrebbero violenze verso le persone recluse e quali risultanze siano a sua disposizione, nonché quali azioni intenda mettere in atto al fine di prevenire abusi nelle carceri, rendere gli istituti di pena più trasparenti e garantire il rispetto dei più elementari diritti umani dei detenuti.
(2-00407) «Morani, Bressa, Lodolini, Vazio, Malpezzi, Richetti, Manfredi, Leva, Bruno Bossio, Lauricella, D'Attorre, Peluffo, Patriarca, Miccoli, Greco, Ginoble, Gozi, Guerra, Verini, Rampi, Scalfarotto, Ferranti, Rocchi, Faraone, Marco Di Maio, Del Basso De Caro, Genovese, Gullo, Rostan, Rotta, Sanga, Gadda, Coccia, Carrescia, Carnevali, Cardinale».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   come è noto, la riforma delle circoscrizioni giudiziarie ha creato disparità e molteplici disfunzioni, senza ottenere affatto il miglioramento del servizio per i cittadini, nonché il risparmio economico che erano alla base della legge n. 148 del 14 settembre 2011;
   il 6 febbraio 2014, una delegazione di parlamentari di Scelta Civica ha rappresentato al Guardasigilli la necessità di rafforzare, almeno per il presente, l'attività civile in atto presso il soppresso tribunale di Alba (che la riforma ha accorpato ad Asti), in attesa che la commissione ministeriale, appositamente costituita con decreto 19 settembre 2013, potesse compiutamente valutare le difficoltà incontrate dagli operatori del settore, successivamente alla data del 14 settembre 2013;
   è opportuno ricordare che il Ministro, con decreto 13 settembre 2013, ha individuato otto tribunali che, per dimensione, carichi pendenti, specifiche situazioni territoriali, si distinguevano dalle altre sedi soppresse ed erano ritenuti meritevoli di ulteriori valutazioni;
   il giorno seguente l'incontro suddetto, il Presidente del tribunale di Asti, senza alcun preavviso al Consiglio dell'ordine o al sindaco di Alba – città proprietaria dell'immobile – ha revocato la disposizione di utilizzo dell'edificio già sede del soppresso tribunale per la trattazione dei giudizi civili e delle controversie di lavoro, pendenti alla data del 13 settembre 2013 –:
   se non ritenga doveroso rappresentare al presidente del tribunale di Asti l'irritualità di una decisione che – sebbene assunta nell'esercizio di una funzione organizzativa normalmente attribuita a quell'ufficio – si appalesa in evidente contrasto con la procedura eccezionale intrapresa dal dicastero con il ricordato decreto del 13 settembre 2013.
(2-00410) «Andrea Romano, Monchiero, Rabino».

Interrogazione a risposta immediata:


   CIRIELLI e RAMPELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la scorsa settimana è stato approvato l'ennesimo provvedimento «svuota carceri», ultimo di una lunga serie;
   sembrerebbe che gli unici interventi realizzati in materia di giustizia siano quelli volti ad agevolare l'uscita dal carcere di parte dei detenuti, senza che alcuna attenzione sia rivolta ad altri temi, pur rilevanti;
   tra questi, ad esempio, rientra quello dei costi della giustizia, vale a dire le spese che i cittadini devono sopportare per veder riconosciuti e tutelati i propri diritti nelle aule dei tribunali;
   alcuni organi di stampa hanno riportato, nelle scorse settimane, la notizia dell'imminente varo di un disegno di legge di riforma del processo civile prioritariamente finalizzato allo smaltimento dei processi arretrati, che in Italia, ad oggi, si concretizzano in oltre cinque milioni di giudizi pendenti;
   posto che adottare una riforma nel campo della giustizia civile con l'unico obiettivo di decongestionare la mole dei procedimenti accumulatisi rischia di non dedicare attenzione sufficiente ad altri aspetti del problema, la normativa in arrivo, inoltre, secondo molti legali porterà ad una compressione dei diritti della difesa;
   sembrerebbe, infatti, che in base al testo del provvedimento citato sia previsto che il cittadino, all'atto della condanna, otterrà solo il dispositivo e che, laddove intenda ottenere anche le motivazioni, dovrà anticipare parte delle spese per l'appello;
   ove siano confermate tali notizie, appare evidente agli interroganti la violazione del diritto alla difesa che si verrebbe a realizzare, in spregio alle tutele costituzionali ad essa accordate, e in danno dei cittadini onesti che si rivolgono ai tribunali per vedersi riconoscere giustizia –:
   se le notizie riportate in premessa corrispondano al vero e come intenda intervenire al fine assicurare un corretto funzionamento della giustizia nel nostro Paese, senza danneggiare i diritti dei cittadini. (3-00629)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TURCO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), fu introdotto nell'ordinamento italiano il principio generale del divieto dell'uso personale di sostanze stupefacenti (articolo 72, comma 1);
   a seguito del referendum del 18-19 aprile 1993, la volontà popolare si è espressa in senso favorevole all'abrogazione di tale divieto;
   la legge «Fini-Giovanardi» n. 49 del 2006, di conversione del decreto-legge n. 272 del 2005, ha soppresso la distinzione tabellare fra droghe leggere e droghe pesanti, introducendo un'unica tabella delle sostanze stupefacenti;
   la contestuale detenzione di sostanze stupefacenti di tipo e natura diversi integra, quindi, un'unica fattispecie penale, sanzionata dall'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (Cassazione penale, sez. IV, sentenza 17 giugno 2011, n. 33448);
   il decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 232, nella sua formulazione originaria era un provvedimento sostanzialmente necessario e urgente poiché diretto a fronteggiare le spese e le esigenze di sicurezza delle Olimpiadi invernali di Torino 2006, tuttavia, conteneva in sè l'articolo 4, norma a giudizio dell'interrogante già eccentrica rispetto alla materia delle Olimpiadi invernali, inteso ad abrogare uno degl'iniqui automatismi normativi appena introdotti dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251, cosiddetta «Cirielli», prevedendo un'ipotesi speciale di sospensione dell'esecuzione di pene detentive nei confronti di tossicodipendenti recidivi, mirando così a favorirne il recupero;
   solo questo articolo del decreto prevedeva, quindi, una marginale affinità normativa con la disciplina sugli stupefacenti poiché trattava dell'esecuzione della pena per i tossicodipendenti recidivi;
   in sede di conversione in legge del decreto, lo stesso articolo 4, ha offerto un pretesto normativo per consentire ai parlamentari estensori, Fini-Giovanardi, d'inserire una riforma sistematica di tutt'altra portata;
   attraverso l'abusata tecnica del maxiemendamento con l'apposizione della questione di fiducia, il Governo otteneva così dal Parlamento la fiducia e quindi l'approvazione anche di un'inedita disciplina in materia di stupefacenti: venivano inseriti 23 nuovi articoli, a parere dell'interrogante punitivi e proibizionisti, introdotti sulla scorta di una scelta programmatica di equiparare sul piano sanzionatorio le sostanze stupefacenti «leggere» a quelle «pesanti», inasprendone l'unitaria cornice edittale che prende le forme dell'articolo 4-bis, legge 21 febbraio 2006, n. 49;
   così operando, il procedimento di conversione previsto dall'articolo 77 della Costituzione «viene utilizzato come escamotage per far approvare un'iniziativa legislativa del tutto nuova, di fatto inemendabile, eludendo le regole ordinarie del procedimento legislativo» (così la Corte di Cassazione, sez. III penale, nell'ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale);
   il Governo, pur avendo piena contezza della forzatura compiuta, procede ignorando numerosi rilievi critici emersi nel corso del dibattito parlamentare espressi anche in sede di Comitato per la legislazione della Camera dei deputati;
   lo stesso esecutivo travalica i limiti all'emendabilità di un decreto-legge posti dai regolamenti parlamentari e dalla legge, n. 400 del 1988, ponendo il Presidente della Repubblica innanzi ad una scelta obbligata;
   a parere dell'interrogante era impossibile esercitare il legittimo eventuale rinvio presidenziale, poiché le Camere erano sul punto di essere sciolte in vista delle future elezioni politiche del 2006, e si sarebbe potuta provocare la mancata conversione anche delle norme relative al finanziamento delle Olimpiadi invernali 2006, a ridosso del giorno dell'inaugurazione, mettendo in pericolo il regolare svolgimento dei Giochi Olimpici in condizioni di sicurezza;
   la legge Fini-Giovanardi, approvata con siffatti modi, viene quindi promulgata, in data 21 febbraio 2006, unitamente alle necessarie norme relative ai Giochi Olimpici invernali 2006;
   si ritiene perciò vi sia stata una vistosa forzatura dei poteri esercitati dal Governo mediante decretazione d'urgenza e, ad avviso dell'interrogante, dal Parlamento in sede di conversione in legge del decreto-legge;
   sul tema della decretazione d'urgenza e delle leggi di conversione si riprendono alcuni passaggi della più recente giurisprudenza della Corte costituzionale:
    a) l'assenza dei presupposti di necessità e urgenza quale vizio formale del decreto-legge e vizio in procedendo della legge di conversione, la cui evidente mancanza è censurabile dalla Corte costituzionale (sentenze nn.ri 171/2007 e 128/2008);
    b) l'incostituzionalità di emendamenti «non estranei» al decreto-legge inseriti in sede di conversione, se privi dei requisiti di cui all'articolo 77 della Costituzione (sentenza n. 355/2010);
    c) l'incostituzionalità degli emendamenti «estranei» al decreto-legge, per violazione del peculiare procedimento normativo stabilito dall'articolo 77 della Costituzione (sentenza n. 22/2012);
    d) il divieto per il decreto-legge di veicolare riforme ordinamentali, perché incomprimibili nella contingenza dei casi straordinari di necessità e urgenza (sentenza n. 220/2013);
    e) l'incostituzionalità di norme introdotte mediante decretazione d'urgenza se prive di immediata operatività (sentenza n. 220/2013);
   questi rilievi della Corte Costituzionale hanno indotto la Corte ad annullare le leggi di conversione di decreti-legge, di volta in volta oggetto del suo sindacato;
   anche le disposizioni del decreto qui in esame a parere dell'interrogante sono suscettibili di incorrere nell'annullamento in sede di giudizio di costituzionalità –:
   se sia a conoscenza della situazione prospettata;
   se sia in grado di fornire dati aggiornati, relativi al progressivo incremento di incriminazioni a seguito dell'introduzione della legge n. 49 del 2006 «Fini-Giovanardi» che ha provocato un sostanziale inasprimento del carico sanzionatorio delle fattispecie relative agli stupefacenti;
   se sia stato valutato l'effetto dell'applicazione di tale riforma ed in quale misura abbia contribuito al cronico sovraffollamento delle carceri;
   se sia stato quantificato il costo causato all'amministrazione della giustizia, dal punto di vista dell'aggravio di procedimenti per i tribunali e di spese per l'esecuzione delle pene a livello carcerario di detta riforma, tacciata d'incostituzionalità;
   se, indipendentemente dall'esito che potrà avere la decisione della Corte Costituzionale a seguito dell'udienza del 12 febbraio 2014, abbia valutato comunque l'opportunità di riformare, attraverso una apposita iniziativa normativa la previgente normativa in materia, cosiddetta legge n. 162 del 1990 «Iervolino-Vassalli», come modificata dai referendum dell'anno 1993;
   se siano stati calcolati i risparmi di spesa che si potrebbero verificare a seguito della deflazione del carico processuale e carcerario connesso al superamento della cosiddetta legge Fini-Giovanardi;
   se, in caso di declaratoria d'incostituzionalità della legge n. 49 del 2006 «Fini-Giovanardi», sia stato calcolato il conseguente impatto sulla deflazione carceraria in relazione agli effetti perseguiti con la conversione in legge del recente decreto-legge n. 146 del 2013. (5-02127)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   nel 2010, con il regolamento 913, l'Unione europea ha introdotto dei corridoi merci (linee ferroviarie principali nazionali che collegano differenti paesi senza interruzione, per agevolare il trasporto merci ferroviario tra le nazioni europee);
   per ognuno di questi corridoi l'Unione europea ha istituito una cabina unica, alla quale chi vuole organizzare un treno merci dovrà rivolgersi;
   con la risoluzione del 19 novembre 2013, i corridoi merci europei sono stati aggiornati. Il sud Italia sarà compreso nel corridoio merci numero 3 (Scandinavia-Mediterraneo) che dovrà essere istituito entro il 10 novembre 2015;
   l'Italia ha già nominato i propri rappresentanti della cabina di regia del corridoio merci numero 3, composta da un comitato esecutivo (rappresentanti dei Ministeri dei Paesi dell'Unione europea coinvolti) e da un comitato di gestione (rappresentanti dei gestori delle ferrovie);
   i container che transiteranno nei corridoi merci hanno altezze standard stabilite internazionalmente;
   allo scopo di migliorare il carico per singolo container si è diffuso l'uso, per il traffico marittimo, di un container definito «high cube», poco più alto del tradizionale. La percentuale di «high cube» che circola via mare è in crescita;
   le linee ferroviarie merci vengono classificate in base alle altezze delle gallerie in cui passano i container. Esistono linee PC22 e PC30 per il trasporto tradizionale di container, linee PC32 per casse mobili e semirimorchi, linee PC45 per il trasporto di «high cube» e linee PC60 e PC80 per l'autostrada viaggiante, cioè autotreni su carri ferroviari;
   la mappa delle linee, presente nel sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, mostra che da nord arrivano sino a Napoli-Salerno linee molto alte (PC80), mentre a sud da Villa a Gioia (Rosarno) troviamo classificazione PC32, da Gioia a Paola PC45 e da Paola a Salerno PC32;
   a Gioia Tauro, esistendo un importante porto, una certa quantità di container in arrivo è di tipo marittimo, cioè «high cube», e necessita di gallerie PC45, tuttavia, come sopra evidenziato, da Paola a Salerno i treni con container «high cube» non risultano passare dalle gallerie perché queste ultime sono troppo basse (PC32 invece di PC45);
   la Sicilia, regione nella quale si trovano diversi importanti porti tra cui quello di Augusta (classificato come «core»), non ha attualmente alcun percorso per i container «high cube» –:
   quali documenti ufficiali abbiano finora prodotto il comitato esecutivo e il comitato di gestione del corridoio merci numero 3;
   con riferimento al «registro infrastrutture», la banca dati recentemente istituita da Rfi, quanti siano i chilometri di gallerie del corridoio merci numero 3 al di sotto del parametro P45 (in particolare da Augusta a Napoli-Salerno);
   come transiteranno i container «high cube» dal porto di Augusta verso il nord del corridoio merci numero 3, nonché i container «high cube» da Gioia Tauro a Napoli.
(2-00406) «Vecchio, Andrea Romano».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   AGOSTINELLI, BONAFEDE, CECCONI, TERZONI e COLLETTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il comma 9-bis dell'articolo 19 del decreto-legge n. 78 del 2009, convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, ha previsto che la misura del canone annuo corrisposto direttamente ad ANAS spa, ai sensi del comma 1020 dell'articolo 1 della legge n. 296 del 2006, e successive modificazioni, è integrata di un importo, calcolato sulla percorrenza chilometrica di ciascun veicolo che fruisce dell'autostrada, pari a 3 millesimi di euro a chilometro per le classi di pedaggio A e B e a 9 millesimi di euro per le classi di pedaggio 3, 4 e 5. ANAS spa provvede a dare distinta evidenza nel proprio piano economico-finanziario dell'integrazione del canone di cui al periodo precedente e destina tali risorse alla manutenzione ordinaria e straordinaria nonché all'adeguamento e al miglioramento delle strade e delle autostrade in gestione diretta. Al fine di assicurare l'attuazione delle disposizioni del presente comma, i concessionari recuperano il suddetto importo attraverso l'equivalente incremento della tariffa di competenza, non soggetta a canone. Dall'applicazione della presente disposizione non devono derivare oneri aggiuntivi per gli utenti;
   il comma 4, dell'articolo 15 del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, ha previsto che la misura del canone annuo corrisposto direttamente ad ANAS spa ai sensi del comma 1020 dell'articolo 1 della legge 296 del 2006 e del comma 9-bis dell'articolo 19 del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 102 del 2009, è integrata di un importo, calcolato sulla percorrenza chilometrica pari a:
    a) 1 millesimo di euro a chilometro per le classi di pedaggio A e B e a 3 millesimi di euro a chilometro per le classi di pedaggio 3, 4 e 5 a decorrere dal primo giorno del secondo mese successivo a quello di entrata in vigore del presente comma;
    b) 2 millesimi di euro a chilometro per le classi di pedaggio A e B e a 6 millesimi di euro a chilometro per le classi di pedaggio 3, 4 e 5 a decorrere dal 1o gennaio 2011;
   per effetto delle suddette maggiorazioni le tariffe chilometriche unitarie applicate all'utenza autostradale risultano maggiorate di 6 millesimi per le classi A e B e di 18 millesimi per le classi 3, 4 e 5. La maggiorazione a favore di ANAS spa ammonta, sulla base del bilancio di esercizio 2012, a circa 600 milioni di euro (IVA esclusa) e comporta di fatto un incremento medio della tariffa a carico dell'utenza di circa il 14 per cento;
   quanto sopra dimostra, ad avviso degli interroganti, che tale maggiorazione è applicata in violazione della normativa nazionale e comunitaria. Infatti per quanto attiene la normativa nazionale si evidenzia come l'ulteriore incremento di tali maggiorazioni tariffarie, applicate in attuazione dell'articolo 15 del decreto-legge n. 78 del 2010, è in netto contrasto con quanto disposto dal comma 9-bis dell'articolo 19 del decreto-legge n. 78 del 2009 che espressamente prevede: «dall'applicazione della presente non devono derivare oneri aggiuntivi per gli utenti». Nei fatti, invece, come si rileva dalle tariffe vigenti e pubblicate, tutti i pedaggi che pagano gli utenti sono stati aumentati anche al fine di ricomprendere le ulteriori maggiorazioni a favore di ANAS spa con una incidenza media di incremento delle tariffe del 14 per cento circa. Per quanto riguarda la normativa comunitaria, si evidenzia come la tariffa finale applicata agli utenti autostradali comprende anche le maggiorazioni in favore di ANAS in contrasto con quanto disposto dalla direttiva comunitaria 2006/38/CE (eurovignette) ed in particolare con i princìpi fondamentali per l'attribuzione dei costi e il calcolo dei pedaggi riportati nell'allegato II della direttiva medesima. Tale direttiva prevede espressamente che nel calcolo della tariffa a carico degli utenti vengano ricompresi esclusivamente i costi sostenuti per la realizzazione della singola infrastruttura, in applicazione del principio «chi usa paga», e non altri costi estranei all'infrastruttura utilizzata come nel caso delle maggiorazioni in favore dell'ANAS che le utilizza per altri fini. E proprio a tale proposito, appare agli interroganti, singolare, come l'ANAS abbia utilizzato tali ingenti risorse solo ed esclusivamente per coprire le spese per la manutenzione ordinaria, chiudendo il bilancio in utile, e non, come prevede la norma anche per la realizzazione di investimenti di adeguamento e di manutenzione straordinaria;
   pertanto, ad avviso degli interroganti, dal 2010 ad oggi, a seguito della violazione delle leggi italiane e delle direttive comunitarie, l'ANAS avrebbe introitato annualmente tali ingenti maggiorazioni a carico degli utenti che avrebbero pagato le tariffe dei pedaggi indebitamente aumentate di circa il 14 per cento, esponendo, in caso affermativo lo Stato alla formalizzazione di ricorsi da parte delle associazioni dei consumatori, già allarmati dagli ulteriori recenti aumenti tariffari –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti suesposti, se rispondano al vero e, in tal caso, se e quali interventi intendano assumere nei confronti della vigilata ANAS spa, affinché gli effetti degli aumenti vengano annullati e vengano restituite agli utenti le somme non dovute e per quali motivi e come l'ANAS abbia potuto usare l'ingente somma per le proprie esigenze ordinarie di bilancio, anziché, come dovuto, anche per la realizzazione di investimenti di adeguamento e manutenzione straordinaria della rete.
(5-02117)

INTEGRAZIONE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GRANDE. — Al Ministro per l'integrazione, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la RAI ha recentemente trasmesso nella nota trasmissione televisiva «Chi l'ha visto» un servizio relativo alla presunta scomparsa di due dei tre figli della famiglia siriana Hazima, Ahmad e Mohammad, naufragata nel Mediterraneo in uno dei ben noti attraversamenti per fuggire dall'orrore della guerra e confidare in un avvenire più sereno. I fatti riportati tuttavia, se da un lato rassicurano sulla circostanza che i genitori ed il terzo fratello sono stati tratti in salvo dalla guardia costiera maltese e che successivamente gli stessi hanno trovato ospitalità in Svezia, di converso aprono uno scenario di completa incertezza sulla sorte dei due fratelli minori. Testimoni asseriscono infatti che Ahmad e Mohammad sono stati soccorsi da una nave italiana e portati a Lampedusa;
   la scomparsa risale all'11 ottobre 2013 e da allora i genitori non ne hanno notizia. Si parla di due bambini di 8 e 12 anni che non conoscono la lingua italiana e la cui sorte appare allo stato della conoscenza ignota e tale da ingenerare anche sospetti sulla possibilità che, qualora non riparati nelle struttura di accoglienza possano anche essere stati oggetto di attenzione di soggetti di cui la cronaca è purtroppo oggigiorno piena delle loro inqualificabili azioni;
   si auspica tuttavia che Ahmad e Mohammad siano sani e salvi da qualche parte in Italia e magari nel centro di accoglienza di Lampedusa –:
   se il Governo intenda porre in essere tutte le azioni atte ad accertare se gli stessi siano presenti a Lampedusa ed, in tale caso, quali siano lo stato del ricongiungimento familiare e le tempistiche di avviso degli omologhi svedesi per informare la famiglia;
   se il Governo intenda accertarsi delle condizioni psico-fisiche dei bambini e assicurare la riapertura di un immediato canale di comunicazione tra i bambini e la famiglia;
   se il Governo intenda attivare tutte le procedure di competenza per ricongiungere la famiglia il prima possibile.
(5-02108)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, per sapere – premesso che:
   i documenti di bilancio per l'anno 2014 esitati nei giorni scorsi dall'Assemblea regionale siciliana sono stati gravemente e pesantemente impugnati dal commissario dello Stato, prefetto Claudio Aronica che, sottoponendoli come suo obbligo d'ufficio, ad esame, ha rinviato ben 33 articoli su 50 alla valutazione della Corte costituzionale per evidente sospetta incostituzionalità;
   il commissario dello Stato, con una ampia, documentata e circostanziata relazione dai toni tanto duri quanto ampiamente motivati, ha sottoposto ad impugnativa non solo decine di non irrilevanti aspetti specifici tratti da singoli commi o singoli articoli dei documenti finanziari sottoposti alla sua valutazione, ma ha formalmente sollevato vizio grave di incostituzionalità per l'intero sistema delle entrate così come proposto dalla legge finanziaria esitata dal Parlamento siciliano su cui trova fondamento l'intero bilancio per l'anno 2014;
   il commissario ha segnalato la infondatezza di copertura di moltissime delle entrate, la infondatezza dei fondi posti a garanzia delle partite debitorie e di non poche operazioni finanziarie, la grave illegittimità di procedere in modo unilaterale alla cancellazione di non pochi residui passivi, alla eccessiva valutazione di residui attivi senza alcuna giustificazione comprovata, atti di enorme gravità istituzionale le cui refluenze negative sull'intero sistema amministrativo e contabile della regione siciliana sono di tutta evidenza;
   il presidente della regione siciliana, Rosario Crocetta, su conforme indicazione dell'Assemblea regionale (ARS) che si è espressa con voto a maggioranza, ha inteso procedere alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della regione siciliana (GURS) dei documenti di bilancio per l'anno 2014 depurandoli delle parti impugnate dal commissario dello Stato, che toccano soprattutto il sistema delle entrate, con la seguente dichiarazione apparsa sulla stampa cartacea ed online (ad esempio Repubblica redazione siciliana, 31 gennaio 2013): «Domani sarò costretto a pubblicare una Finanziaria che non mi appartiene, che ripudio, che uccide la Sicilia e canta il de profundis al posto di lavoro di migliaia di lavoratori, che uccide la diversa abilità e impedisce ai non vedenti di studiare, che mette sul lastrico migliaia di famiglie. Per me sarà un giorno di grande tristezza, che trascorrerò pregando per la Sicilia e per il popolo siciliano, perché non debba più subire violenze cieche e irrazionali. Faccio appello ai siciliani a stringersi in questa civile e democratica lotta per la Sicilia, con uno stile quasi ghandiano, quello di un popolo assediato»;
   tali affermazioni appaiono di inaudita gravità e richiedono urgenti ed inderogabili approfondimenti e chiarimenti nelle sedi opportune anche in considerazione del fatto che, come risulta da vari articoli di stampa, il bilancio della regione era stato largamente oggetto di confronto con il Ministro Del Rio e con il Governo nazionale;
   questo gravissimo quadro istituzionale, amministrativo e contabile, sul piano del fatto e del diritto, paralizza l'intero sistema della regione siciliana –:
   se il commissario dello Stato abbia valutato, alla luce di quanto descritto in premessa, se sussistano i presupposti per avviare le procedure dirette allo scioglimento dell'Assemblea regionale siciliana ai sensi dell'articolo 8 dello Statuto;
   se il Presidente della regione abbia ricevuto, negli incontri ricordati in premessa, un avallo relativo alla modalità di pubblicazione del bilancio nelle forme descritte;
   se ed in che modo i Ministri interpellati intendano valutare i comportamenti del prefetto Aronica, commissario dello Stato, la cui impugnativa, secondo il presidente della regione, sarebbe responsabile di aver «ucciso la Sicilia», e se intendano chiarire le ragioni che ne avrebbero motivato i supposti comportamenti gravemente lesivi della autonomia regionale.
(2-00408) «Brunetta, Francesco Saverio Romano, Giammanco, Catanoso».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LOSACCO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra il 10 e l'11 febbraio è stata assaltata da un commando di una decina di persone ed una ruspa la sede dell'agenzia di vigilanza Secir Service di Bari;
   nell'azione criminale è stata usata una grossa ruspa con cui è stato sfondato il caveau portando via l'intero contenuto;
   per facilitarsi la fuga sulla strada hanno poi disseminato chiodi a tre punte sulla carreggiata, chiodi spesso usati dai contrabbandieri sulle strade di Puglia;
   alcune auto delle volanti della questura di Bari hanno intercettato il commando e ne è nato un lungo inseguimento sulla strada che conduce verso Bitonto con un conflitto a fuoco e che si è concluso con un fermo;
   non è la prima volta che vengono utilizzate modalità del genere in azioni di rapina;
   desta molta preoccupazione questa recrudescenza dell'attività criminale sul territorio barese e più in generale della Puglia –:
   se e quali iniziative il Governo intenda assumere per fare luce sull'accaduto sostenendo il grande sforzo degli inquirenti al fine di assicurare alla giustizia i responsabili della rapina nonché quali misure strutturali siano previste per rafforzare gli organici e le dotazioni, in termini di mezzi, delle forze dell'ordine operanti sul territorio barese. (5-02114)


   FIANO e CIMBRO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a Novate Milanese, un comune alla periferia nord di Milano, per la prima volta è stato ufficialmente rappresentato in consiglio comunale il Movimento neo-fascista denominato Casa Pound, noto alle cronache per essere un'organizzazione dichiaratamente neo-fascista, xenofoba e omofoba, che si auto-riconosce come vicina al movimento razzista e neo-fascista greco «Alba Dorata», e la cui attività è stata più volte oggetto d'indagine da parte della magistratura, mentre i suoi principali dirigenti sono stati condannati per violenze ed aggressioni;
   l'avvenuto riconoscimento istituzionale, peraltro, non è stato la conseguenza del processo elettorale, ma sarebbe derivato dall'iniziativa della consigliera Angela de Rosa, eletta all'opposizione come esponente del Popolo della libertà, che – a seguito di dissidi interni alla Forza Italia locale – sarebbe giunta ad una scissione politica e avrebbe fondato, come unica rappresentante, un gruppo autonomo in consiglio comunale, denominato per l'appunto Casa Pound;
   tale circostanza ha determinato un grave allarme sociale, anche alla luce del fatto che Casa Pound, pur avendo partecipato in passato ad alcune tornate elettorali, non era mai riuscita ad eleggere alcun rappresentante nelle istituzioni;
   da notizie a mezzo stampa alcune associazioni anti-fasciste della zona martedì 4 febbraio 2014 avrebbero organizzato un presidio, sarebbero intervenute durante i lavori del gruppo consiliare e avrebbero fatto sospendere la seduta stessa del consiglio comunale –:
   se il Ministro interrogato intenda mantenere un costante monitoraggio nei confronti dell'attività di gruppi politici come Casa Pound che, ad avviso degli interroganti, si ispirano a valori non conciliabili con la Costituzione italiana.
(5-02120)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in vista dell'Esposizione universale che si terrà a Milano dal 1o maggio al 31 ottobre 2015 e della conseguente necessità di incrementare la presenza delle forze dell'ordine nella città, senza pregiudicare il livello di sicurezza nel resto del Paese, il Governo ha previsto una deroga del 55 per cento al blocco del turnover delle forze dell'ordine;
   non sussistono i sufficienti tempi tecnici per portare a termine una nuova procedura concorsuale finalizzata al reclutamento di diverse centinaia di allievi agenti di pubblica sicurezza, in quanto i medesimi debbono prima essere avviati a corsi di addestramento e non sarebbero di fatto operativi prima del dicembre 2015;
   una soluzione alternativa e rappresentata da una rettifica della graduatoria finale; ed ampliamento, in prima aliquota, di 672 posti dei candidati risultati idonei alle prove di efficienza fisica e agli accertamenti dell'idoneità fisica, psichica ed attitudinale, con la relativa posizione in graduatoria ed il voto finale risultante dalla somma dei voti della prova scritta e della valutazione dei titoli del concorso per 964 allievi agenti della polizia di Stato;
   l'ampliamento e lo scorrimento delle graduatorie vigenti garantirebbe la copertura delle unità necessarie di agenti di pubblica sicurezza per il prossimo giugno 2014, quindi in tempo utile per l'Esposizione universale di Milano;
   tale soluzione è stata, peraltro, adottata mediante decreto dirigenziale dall'Arma dei carabinieri, la quale ha avviato una nuova procedura di arruolamento mediante scorrimento degli idonei della graduatoria 2012 per 1886 allievi carabinieri. Nella fattispecie, non solo sono stati assunti i vincitori, ma anche 48 idonei non vincitori, ovvero tutti i restanti idonei presenti in graduatoria, che è stata così esaurita;
   va tenuto conto dei principi di economicità e speditezza dell'azione amministrativa e della necessità di contenere i costi gravanti sull'amministrazione pubblica per la gestione delle procedure di reclutamento e addestramento di nuovi agenti di pubblica sicurezza –:
   se non ritenga opportuno assumere immediatamente le restanti 672 unità (160 vincitori in seconda aliquota nonché 512 idonei non vincitori) dichiarate idonee all'ultima procedura concorsuale per il concorso di allievi agenti della polizia di Stato. (4-03533)


   TOTARO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 1o dicembre 2013 un incendio scoppiato in una fabbrica al «Macrolotto» di Prato ha causato la morte di sette lavoratori cinesi;
   in data 6 febbraio 2014 si è verificato un incendio doloso in una fabbrica cinese di valigie nella zona dell'Osmannoro, a Firenze, sul quale sta svolgendo accertamenti la direzione distrettuale antimafia di Firenze;
   l'attenzione degli inquirenti della direzione distrettuale antimafia è concentrata su di un doppio binario: il primo e legato a Cheng Gouliang, il titolare della ditta di import-export «Jolly» da dove si sono sviluppate le fiamme che hanno poi devastato l'immobile, mentre il secondo riguarda due misteriosi incendi che hanno colpito, questa estate, aziende di proprietà di cittadini cinesi nel territorio di Prato;
   gli inquirenti non escludono la pista del racket della criminalità organizzata orientale, molto ramificata nel nostro territorio e particolarmente aggressiva;
   negli scorsi decenni la presenza sempre più massiccia sul territorio di operai cinesi, che lavorano in condizioni disumane, senza regole né controlli, nella totale illegalità, ha portato ad una concorrenza insostenibile rispetto agli imprenditori italiani, con la conseguente chiusura di duemila aziende e la perdita di quasi diecimila posti di lavoro;
   nei mesi scorsi il comune di Prato, nella persona dell'assessore Milone, ha denunciato il fatto che alcune banche, tra cui il Monte dei Paschi di Siena, hanno concesso mutui e prestiti tra i 150 mila e i 300 mila euro a persone della comunità cinese, che avevano denunciato tra i 6 mila e gli 8 mila euro l'anno di reddito; la somma elargita dagli istituti bancari ammonterebbe a circa 200 milioni di euro, e in merito è in atto un'indagine della procura di Prato e della Banca d'Italia;
   inoltre, a Firenze vengono aperte e chiuse con frequenza irrituale sia aziende che operano nel campo delle manifatture e delle confezioni, sia centri estetici e di massaggi, che spesso nascondono giri di prostituzione –:
   quali iniziative intenda assumere al fine di contrastare l'espansione delle aziende che operano senza rispettare le normative vigenti, e al fine di tutelare il territorio prima che la situazione degeneri in un danno economico, sociale e di immagine;
   in che modo intenda intervenire per combattere la criminalità organizzata orientale sul territorio toscano e fiorentino. (4-03537)


   BIONDELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sono passati quasi 14 anni dalla ricostituzione della banda musicale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, i sacrifici fatti in questi anni e le illusorie prospettive offerte non hanno mai trovato un riscontro positivo alla richiesta di costituzione giuridica e normativa, elemento essenziale per poter dare vita ad una struttura organizzata e riconosciuta nel panorama musicale nazionale ed internazionale;
   la banda musicale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco è formata prevalentemente da personale volontario richiamato in servizio discontinuo per tali esigenze;
   lo statuto interno per l'organizzazione dei lavori è una necessità primaria al quale non si può più derogare e da tempo è necessario l'istituzione di un tavolo di lavoro tecnico/politico per valutare i provvedimenti necessari alla normazione giuridica e stesura di uno statuto per poter procedere ad un riconoscimento capace di inserire il tutto in un contesto di assunzione;
   il decreto legislativo 13 ottobre 2005, n. 217, «Ordinamento del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco a norma dell'articolo 2 della legge 30 settembre 2004, n. 252», è assai lacunoso per quanto attiene alla formazione e alla composizione della banda musicale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, rimandando in quanto compatibili a quanto stabiliti dall'articolo 148 che «Per il reclutamento e la sopravvenuta inidoneità del personale della banda musicale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, composta da trenta orchestrali, rinvia alle disposizioni di cui agli articoli 145, 146 e 147, che, a loro volta, fanno riferimento alla qualità di atleta, ai gruppi sportivi e ai titoli sportivi;
   ovviamente i contenuti nei predetti articoli, si intendono riferiti, rispettivamente, alla qualità di orchestrale, alla banda musicale e ai titoli musicali –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione drammatica in cui versa la banda musicale del Corpo dei vigili del fuoco e se non ritenga opportuno intervenire non solo per dare stabilità ai componenti della banda ma anche per definirne con più chiarezza il ruolo e la composizione. (4-03539)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   ANTIMO CESARO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   ammonta a circa 14 mila il numero dei precari, ex lavoratori socialmente utili, utilizzati per la pulizia delle scuole, che fra un mese rischiano di restare a casa a causa dei tagli imposti al bilancio dal 2010;
   lavorano tra le nove e le 35 ore settimanali e percepiscono compensi che oscillano tra i 300 e gli 800 euro mensili;
   l'ultima legge di stabilità, all'articolo 1, comma 748, ha disposto l'attivazione di un tavolo di confronto che entro la data del 31 gennaio 2014 doveva individuare soluzioni normative o amministrative ai problemi occupazionali connessi alla successiva utilizzazione delle convenzioni;
   quel tavolo, tuttavia, ad oggi non risulta ancora aperto e la data del 31 gennaio 2014 è ormai passata, con conseguenze davvero gravi;
   dai 620 milioni di euro che si spendevano per le pulizie degli edifici scolastici si è passati a non più di 390 milioni di euro, con gare gestite dalla Consip;
   questo taglio ha avuto ripercussioni inevitabili su un numero rilevante di personale precario accumulatosi negli anni;
   le situazioni più critiche si registrano nelle regioni dove quei lavoratori risultano particolarmente numerosi;
   in Sicilia, ad esempio, le risorse per le pulizie nelle scuole si ridurrebbero del 40 per cento, in Campania del 60 per cento, in Puglia del 50 per cento;
   la vicenda è stata fino ad ora sottovalutata ed i dati suesposti sono sicuramente un segnale preoccupante di quello che potrà succedere in altre regioni via via che i tagli saranno più consistenti –:
   quali iniziative, anche di tipo normativo, si ritenga opportuno assumere al fine di sanare una situazione che se non affrontata in tempi certi rischia non solo di compromettere il bilancio, già precario, di numerose famiglie, ma anche di porre in difficoltà moltissimi istituti scolastici con gravi conseguenze sul regolare svolgimento delle lezioni e sul diritto allo studio degli studenti. (3-00628)

Interrogazione a risposta scritta:


   ALBANELLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   per l'anno accademico 2013/2014 i posti disponibili a livello nazionale per le immatricolazioni al corso di diploma accademico di II livello ad indirizzo didattico, classe di abilitazione A077, in attuazione del comma 3, dell'articolo 3 del decreto ministeriale 10 settembre 2010, n. 249, sono stati rideterminati secondo quanto previsto nella tabella allegata al decreto ministeriale 7 novembre 2013, n. 914;
   i laureati in canto non hanno potuto accedere all'abilitazione non essendo stata loro riconosciuta l'appartenenza alla classe di strumento A077;
   nelle scuole ad indirizzo musicale le attività corali oggi sono particolarmente diffuse, sarebbe opportuno dare agli studenti la possibilità di apprendere da docenti tecnicamente preparati e dare ai tanti laureati la possibilità di abilitarsi e insegnare una disciplina, quale il canto, che, è entrata a far parte della didattica –:
   quali iniziative il Ministro intenda adottare al fine di venire incontro alle esigenze di chi ha tutte le competenze e i requisiti per accedere all'abilitazione di una disciplina quale il canto, entrata tra le attività didattiche nelle scuole ad indirizzo musicale. (4-03531)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta immediata:


   DI SALVO, MIGLIORE, AIRAUDO e PLACIDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'Inps ha diffuso un breve rapporto contenente i dati relativi alla situazione al 20 gennaio 2014 dei lavoratori cosiddetti salvaguardati;
   dal rapporto emerge che gli esodati che hanno effettivamente ottenuto la liquidazione della pensione sono 33.147, a fronte di 162.147 posizioni salvaguardate con 5 differenti provvedimenti;
   le posizioni certificate dall'Inps sono nel complesso 82.458, di cui 62.383 relative alla prima salvaguardia, su 65.000 lavoratori da salvaguardare; 14.450 alla seconda salvaguardia, su 55.000 lavoratori da salvaguardare e 5.625 alla terza, su 10.130 lavoratori da salvaguardare;
   le ultime due salvaguardie, per 32.000 lavoratori in totale da salvaguardare, il rapporto precisa che per la quarta – relativa a 9.000 coperture – è in corso la presentazione delle domande alle direzioni territoriali del lavoro delle istanze degli interessati con termini di scadenza fissati al 26 e 27 febbraio 2014, a seconda della categoria di appartenenza. Le attività di certificazione – si legge nel rapporto – saranno concluse entro giugno 2014. Per la quinta salvaguardia relativa a 23.000 posizioni deve ancora essere pubblicato il decreto interministeriale di attuazione. Il rapporto Inps prevede che le attività di certificazione saranno concluse entro il 2014;
   il rapporto analizza nel dettaglio la tipologia dei lavoratori salvaguardati e il relativo anno di decorrenza della pensione limitatamente alle 82.458 posizioni certificate, di cui 33.147 già liquidate;
   i dati non sono per nulla soddisfacenti: se si considerano solo le prime tre salvaguardie, a fronte di 120 mila lavoratori da salvaguardare in totale, non sono state certificate 37.542 posizioni, pari al 31,3 per cento del totale (ben un terzo degli aventi diritto);
   se, invece, si considera il dato delle pensioni effettivamente liquidate, queste non arrivano neppure a coprire per intero il numero delle posizioni certificate relative al solo anno di decorrenza 2013, senza considerare il numero di quanti avrebbero dovuto percepire la pensione già nel 2012;
   la situazione è gravissima perché persone e famiglia si trovano nella condizione di non percepire ancora una pensione e non percepire più uno stipendio o una misura di sostegno del reddito a causa della lentezza della burocrazia;
   il Governo, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e l'Inps devono necessariamente intervenire perché le posizioni personali e le certificazioni vengano rilasciate in tempi più celeri, per dare certezze e serenità a chi oggi vive situazioni di estremo disagio;
   l'Inps occupa lavoratrici e lavoratori che sicuramente stanno profondendo il massimo impegno per il disbrigo delle domande di salvaguardia, ma evidentemente vi è un problema organizzativo a monte, che inevitabilmente porta al problema della governance dell'ente e alla necessità di intervenire con solerzia per eliminare la sua gestione monocratica;
   non va sottaciuto anche un altro importante problema che è relativo all'accesso alle informazioni e ai dati in possesso dell'Inps. Bisogna intervenire perché tutti i dati degli iscritti all'Inps, opportunamente anonimizzati, siano immediatamente accessibili da parte di enti di ricerca e statistici e delle altre istituzioni pubbliche, considerato che appare sempre molto problematico ottenere dati dall'Inps, anche quando la richiesta proviene da organi del più alto livello;
   la conoscenza dei dati in possesso dell'Inps è di fondamentale importanza, per esempio, per conoscere finalmente con certezza il numero dei lavoratori e delle lavoratrici cosiddetti esodati e poter individuare le coperture necessarie a risolvere questo assurdo problema generato dalla «manovra» previdenziale di cui al decreto-legge n. 201 del 2011 –:
   quali misure concrete e urgenti intenda adottare per consentire che – tenuto conto di quanto in premessa – i lavoratori esodati, conosciuta la loro effettiva consistenza numerica, e i lavoratori salvaguardati possano accedere alla pensione e ottenere la sua effettiva erogazione, senza che la burocrazia aggiunga ulteriore danno a quello già prodotto dalla «manovra» pensionistica, cosiddetta «riforma Fornero». (3-00636)


   GIANCARLO GIORGETTI, MOLTENI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la situazione degli oltre 60 mila cittadini italiani lavoratori frontalieri in Svizzera, all'indomani del referendum elvetico «contro l'immigrazione di massa», è improvvisamente oggetto di dibattito politico tra i diversi partiti;
   è bene ricordare, tuttavia, che ad oggi solo Lega Nord si è battuta a difesa dei diritti dei lavoratori italiani frontalieri in Svizzera;
   con più di un atto di sindacato ispettivo, infatti, la Lega Nord ha chiesto lumi sui 270 milioni di euro di risorse disponibili esistenti nella gestione separata Inps appositamente istituita dalla legge n. 147 del 1997 per l'erogazione dei trattamenti speciali di disoccupazione a favore dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera;
   sempre la Lega Nord ha sollevato la problematica derivante dall'applicazione anche ai frontalieri delle regole del nuovo redditometro, il cui rischio era per i frontalieri italiani di essere vessati come evasori (si veda l'interrogazione a risposta in commissione n. 5-00124);
   oggi gli interroganti evidenziano anche la questione dei ristorni, ovvero la quota di tasse pagate dai lavoratori frontalieri che torna ai comuni italiani di confine; si teme, infatti, che il Ministro dell'economia e delle finanze possa concedere la revisione del trattato sui ristorni – che in ottobre compirà 40 anni – per ottenere qualcosa in più sullo scambio dei dati riguardo ai depositi bancari;
   è indubbio che l'eventuale cancellazione o revisione in peius del trattato di ristorno creerebbe nefaste conseguenze per i comuni di confine, i cui residenti pagano le tasse in Svizzera ma beneficiano delle prestazioni sociali ed assistenziali italiane;
   se dunque il referendum svizzero – apprezzabile e lodevole espressione di democrazia e di civiltà – scaturisce dalla preoccupazione che l'immigrazione sia causa degli abbassamenti dei salari e della saturazione del mercato del lavoro interno, ad avviso degli interroganti una concreta misura per evitare la concorrenza sleale e territoriale per quanto riguarda i posti di lavoro potrebbe essere quella di istituire una zona franca in Lombardia e Piemonte, in cui la tassazione delle attività produttive sia allineata a quella della Svizzera, così da non indurre le imprese nostrane a delocalizzare oltre confine –:
   se e quali misure urgenti di propria competenza il Governo intenda adottare per tutelare gli oltre 60 mila lavoratori italiani frontalieri in Svizzera e per risolvere i problemi dei ristorni per i comuni di confine e se non ritenga opportuno che alla rinegoziazione con Berna del trattato riguardante i frontalieri partecipino la Lombardia ed il Piemonte, in quanto regioni direttamente interessate dal fenomeno, nonché se intenda valutare attentamente l'istituzione di una zona franca di frontiera per le fasce di confine con la Svizzera. (3-00637)


   MORASSUT, MARROCU, SCANU, GNECCHI, BELLANOVA, ALBANELLA, BARUFFI, BOCCUZZI, CASELLATO, FARAONE, CINZIA MARIA FONTANA, GIACOBBE, GREGORI, GRIBAUDO, INCERTI, MADIA, MAESTRI, MARTELLI, MICCOLI, PARIS, GIORGIO PICCOLO, SIMONI, ZAPPULLA, MARTELLA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi, in concomitanza con le dimissioni del Presidente Inps Antonio Mastrapasqua, richieste dal gruppo del Partito democratico e accolte dal Presidente del Consiglio dei ministri, sono circolate notizie relative ai conti dell'Inps che suscitano allarme e preoccupazione;
   in particolare, alcuni quotidiani nazionali, hanno pubblicato documenti interni – presumibilmente ufficiali – riguardanti il bilancio Inps 2014, dai quali risulterebbe un deficit dell'ente previdenziale pubblico nazionale pari a quasi 14 miliardi di euro;
   tali notizie – smentite, tuttavia, da una nota dell'istituto – rilanciano alcune dichiarazioni rese mesi fa dallo stesso ex presidente Mastrapasqua a seguito di una audizione presso la Commissione bicamerale di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale, in cui affermava che i conti dell'Inps presentavano forti elementi di criticità a seguito di una tendenziale riduzione delle contribuzioni, di un contestuale crescente aumento delle prestazioni e anche a causa degli effetti dell'incorporazione in Inps di Inpdap ed Enpals;
   attualmente gli organi parlamentari – né la Camera dei deputati, né il Senato della Repubblica, né le commissioni di merito, né la Commissione bicamerale – hanno mai avuto dettagliate e ufficiali informazioni sul tema dell'eventuale sbilanciamento dei conti e delle presunte criticità finanziarie;
   una particolare attenzione va riposta, con riferimento alla capacità dell'Inps di affrontare gli obblighi di legge derivanti dalla riforma del sistema pensionistico recentemente approvata, alla politica di investimenti mobiliari e in titoli attuati dall'istituto negli ultimi anni, nonché alla definizione di un piano industriale adeguato a valorizzare ed utilizzare al meglio le risorse umane e tecniche disponibili dopo le incorporazioni di Inpdap ed Enpals –:
   quali siano gli elementi a disposizione del Governo ai fini di una sua puntuale valutazione in merito al delicato tema dell'equilibrio finanziario e patrimoniale dell'Inps, che ha evidenti riflessi sulla vita concreta di milioni di cittadini pensionati e di lavoratori. (3-00638)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CHIMIENTI, COMINARDI, TRIPIEDI, CIPRINI, BALDASSARRE e RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 2, del decreto-legge 23 gennaio 2014, n. 3, prevede che, al fine di scongiurare l'adozione di provvedimenti di retrocessione a una classe stipendiale inferiore del personale scolastico che ne abbia acquisita una superiore nell'anno 2013 in virtù dell'anzianità economica attribuita nel medesimo anno, «è accantonata la somma di euro 120 milioni a valere, sulle somme iscritte nel conto dei residui sul Fondo di cui all'articolo 64, comma 9, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, di cui 58,1 milioni relativi a somme già corrisposte nell'anno 2013. Rimane salva la facoltà di disporre delle predette somme con la sessione negoziale»;
   l'articolo 64, comma 9, del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, prevede che «una quota parte delle economie di spesa di cui al comma 6 è destinata, nella misura del 30 per cento, ad incrementare le risorse contrattuali stanziate per le iniziative dirette alla valorizzazione ed allo sviluppo professionale della carriera del personale della scuola a decorrere dall'anno 2010, con riferimento ai risparmi conseguiti per ciascun anno scolastico. Gli importi corrispondenti alle indicate economie di spesa vengono iscritti in bilancio in un apposito Fondo istituito nello stato di previsione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, a decorrere dall'anno successivo a quello dell'effettiva realizzazione dell'economia di spesa, e saranno resi disponibili in gestione con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca subordinatamente alla verifica dell'effettivo ed integrale conseguimento delle stesse rispetto ai risparmi previsti»;
   l'articolo 8, comma 14 del decreto-legge 31 maggio 2010 n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010 n. 122, richiama le risorse di cui all'articolo 64, comma 9, del decreto 25 giugno 2008 n. 112 e conferma che le medesime «(...) sono comunque destinate, con le stesse modalità di cui al comma 9, secondo periodo, del citato articolo 64, al settore scolastico», aggiungendo poi che «alle stesse finalità possono essere destinate risorse da individuare in esito ad una specifica sessione negoziale concernente interventi in materia contrattuale per il personale della scuola, senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato e nel rispetto degli obiettivi programmati dei saldi di finanza pubblica. La destinazione delle risorse previste dal presente comma è stabilita con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative»;
   all'interno dello stesso decreto-legge, 31 maggio 2010 n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010 n. 122, l'articolo 9 comma 23 sconfessa il contenuto dell'articolo precedente, non considerando che le risorse di cui all'articolo 64, comma 9, del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112, erano destinate espressamente ad incrementare le risorse contrattuali stanziate per le iniziative dirette alla valorizzazione ed allo sviluppo professionale della carriera del personale della scuola a decorrere dall'anno 2010 e affermando che «Per il personale docente, Amministrativo, Tecnico ed Ausiliario (A.T.A.) della Scuola, gli anni 2010, 2011 e 2012 non sono utili ai fini della maturazione delle posizioni stipendiali e dei relativi incrementi economici previsti dalle disposizioni contrattuali vigenti. È fatto salvo quanto previsto dall'articolo 8, comma 14»;
   nel 2011 con il decreto interministeriale n. 3 del 14 gennaio recante: «Disposizioni sulla destinazione delle somme di cui all'articolo 64, comma 9, della legge 133 del 2008 in applicazione dell'articolo 8 comma 14 della legge 30 luglio 2010, n. 122» il ministro dell'economia e delle finanze pro tempore Tremonti stabilì al all'articolo 4 che: «Le risorse di cui all'articolo 64, comma 9, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, relative agli esercizi finanziari successivi al 2010, sono prioritariamente dedicate alle medesime finalità di cui all'articolo 2, entro il limite di quanto effettivamente reso disponibile ai sensi dell'ultimo periodo del medesimo articolo 64 comma 9»;
   l'articolo 1, comma 1, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 2013, n. 122 prevede che il blocco degli incrementi contrattuali per tutto il personale della pubblica amministrazione, e dunque anche per il comparto scuola, venga esteso fino al 31 dicembre 2014, e precisamente afferma che «si dà luogo, alle procedure contrattuali e negoziali ricadenti negli anni 2013-2014 del personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche così come individuate ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni, per la sola parte normativa e senza possibilità di recupero per la parte economica. Per il medesimo personale non si dà luogo, senza possibilità di recupero al riconoscimento degli incrementi contrattuali eventualmente previsti a decorrere dall'anno 2011;
   l'articolo 1, comma 453, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, reca disposizioni in materia di blocco della contrattazione ed incrementi stipendiali nella pubblica amministrazione e prevede che «all'articolo 9, comma 17, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, dopo il primo periodo è inserito il seguente: «Si dà luogo alle procedure contrattuali e negoziali ricadenti negli anni 2013 e 2014 del personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, per la sola parte normativa e senza possibilità di recupero per la parte economica”»;
   le amministrazioni scolastiche, in accordo con le organizzazioni sindacali rappresentative e vista la necessità di reperire con urgenza i fondi per corrispondere al personale scolastico quanto meno gli scatti stipendiali dell'annualità 2012, avrebbero deciso di prelevare i 350 milioni di euro necessari dal fondo per il miglioramento dell'offerta formativa, che ammonta a 985 milioni di euro, che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca destina ogni anno per le attività pomeridiane, i progetti a completamento della formazione ordinaria e le visite culturali;
   la riduzione di oltre un ulteriore terzo di questi fondi determinerebbe una riduzione dei fondi destinati ai docenti per le numerose attività svolte nelle scuole, come ad esempio quella dei coordinatori a supporto della didattica, le cosiddette le funzioni strumentali, quelle dei progetti, quelle del personale Ata –:
   a quanto ammontino i risparmi effettuati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca nel triennio 2009-2011 con l'applicazione dell'articolo 64 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112;
   a quanto ammontino i risparmi effettuati negli anni successivi al 2011 dal permanere degli effetti della riduzione del personale della scuola realizzata con l'applicazione dell'articolo 64 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112; 
   a quanto ammonti complessivamente il 30 per cento di detti risparmi 2009-2011 riservato dal comma 9 dell'articolo 64 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, «ad incrementare le risorse contrattuali stanziate per le iniziative dirette alla valorizzazione ed allo sviluppo professionale della carriera del personale della Scuola» e a quanto ammonta il 30 per cento degli risparmi degli anni successivi;
   per quale motivo il 30 per cento di questi risparmi, che ammontano a oltre 8 miliardi di euro e che, essendo strutturali dovrebbero coprire tutte le annualità, non è mai stato interamente impiegato per le finalità che erano state determinate dall'articolo 64, comma 9, del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112;
   per quale motivo l'articolo 1, comma 2, del decreto-legge 23 gennaio 2014, n. 3, destini solo 120 milioni di euro dal fondo di cui all'articolo 64, comma 9, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 al recupero dell'utilità dell'anno 2012 ai fini della maturazione dell'anzianità stipendiale;
   se intenda chiarire se e come sia stata impiegata la quota parte delle economie di spesa, stabilita nella misura del 30 per cento, ottenuta dal piano quadriennale di razionalizzazione del settore scolastico stabilito dal decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112, e destinata al riconoscimento degli incrementi contrattuali del personale della scuola per gli anni 2010 e seguenti, così come statuito dall'articolo 64, comma 9, del decreto in questione. (5-02106)


   CASTELLI, TRIPIEDI, COMINARDI e CIPRINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il Governo sin dal suo insediamento, ha espresso l'intenzione di sostenere il livello occupazionale attraverso il sostegno alle aziende produttive italiane in difficoltà in questo momento congiunturale;
   il Presidente del Consiglio dei ministri al festival dell'economia così dichiarava a giugno 2013: «abbassare la disoccupazione e far costare meno il lavoro»;
   il 30 gennaio 2014 è stata recapitata alla rappresentanza sindacale dello stabilimento di Collegno (Torino) della A. Agrati spa con unico socio, azienda metalmeccanica che produce e commercializza sistemi di fissaggio, la lettera di licenziamento collettivo ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge n. 223 del 1991;
   il gruppo A. Agrati spa consiste in cinque società controllate, nove siti produttivi, tra cui quello di Collegno; tre società partecipate, due produzione, una distribuzione; l'area totale 500.000 metri quadrati – area ricoperta 200.000 metri quadrati, la capacità produttiva – 150.000 tons, 300 macchine stampaggio a freddo – 3 a caldo;
   come dichiarato sul sito, il fatturato totale del gruppo del 2012 e di 325.200.000 euro, i dipendenti totali 1.700;
   nel sito industriale di Collegno, dove si producono viti speciali, il personale è costituito da 82 unità, quelle interessate al licenziamento;
   i motivi su cui si fonda la decisione della società di cessazione dell'attività produttiva nella suddetta unità di Collegno (Torino) sono i seguenti:
    a) la fase di crisi e di ridimensionamento del mercato europeo degli autoveicoli e la conseguente riduzione delle vendite e delle immatricolazioni europee;
    b) la mancanza di prospettive di ripresa;
    c) la carenza di competitività del sito di Collegno rispetto alla produzione nell'Estremo Oriente dello stesso prodotto unificato;
   da cinque anni l'azienda non è ricorsa a nessuno tipo di ammortizzatore sociale, inclusa la cassa integrazione e non si è verificato alcuno sciopero;
   il giorno 28 gennaio 2014 è stato firmato (congiuntamente tra azienda e rappresentanza sindacale) il verbale d'accordo riguardante il premio di risultato in cui viene evidenziato il pieno raggiungimento degli obbiettivi di produttività e qualità riguardanti l'anno 2013;
   in tutti i siti localizzati sul territorio nazionale non si registrano sensibili contrazioni della produzione, come dimostra l'assunzione anche di personale interinale;
   non è stata denunciata una necessità economico-finanziaria per la chiusura dello stabilimento di Collegno –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno e urgente aprire quanto prima un tavolo di crisi sulla situazione occupazionale dell'A. AGRATI spa per preservare i livelli occupazionali dell'azienda, senza che il contesto di crisi internazionale sia utilizzato come giustificazione per compromettere la garanzia occupazionale dei dipendenti dello stabilimento di Collegno (Torino), e promuovere l'esposizione, al tavolo di crisi, del piano industriale della A. Agrati spa. (5-02119)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO e DI SALVO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 10, comma 3, del decreto- legge 28 giugno 2013, n. 76, convertito dalla legge 9 agosto 2013, n. 99, ha disposto il trasferimento all'INPS, con decorrenza in data 1o gennaio 2014, della gestione diretta delle attività inerenti all'accertamento e riscossione di contributi e all'erogazione delle prestazioni previdenziali con riferimento all'indennità di malattia, maternità, disabilità e donazione di sangue per il personale assicurato presso l'ex-IPSEMA;
   le competenze dell'IPSEMA, ente oramai disciolto, erano precedentemente state trasferite all'INAIL;
   l'originalità del passaggio delle competenze dell'ex-IPSEMA dall'INAIL all'INPS sta nel fatto che, mentre solitamente ad accorpamenti di funzioni, a partire da quello storico dell'INAM fino a quelli recenti dell'ENPALS e dell'INPDAP passando per quello dello SCAU, era corrisposto anche il trasferimento delle relative risorse umane, in questo caso il personale addetto alla funzione in argomento resta presso l'ente di provenienza;
   tutto ciò desta molte perplessità: innanzitutto, va sottolineato come le assenze per malattia (in senso lato) del personale marittimo non siano soggette alla normativa generale dei lavoratori dipendenti; 
   non esiste, infatti, una certificazione di un medico di parte che attesti la malattia e che venga a sua volta sottoposta a forme di verifica da parte di medici di controllo, ma esiste un organismo, il SASN, che ha dignità di centro medico legale ed è preposto all'attestazione delle certificazioni di malattie del personale di mare;
   il medico convenzionato con il SASN viene pagato sulla base della singola visita e/o certificato, secondo criteri che ci riportano ad epoche antecedenti la riforma sanitaria di fine anni ’70;
   sindacalisti dei marittimi hanno affermato che questo regime di cose corrisponde a un vero e proprio ammortizzatore sociale, e che se pure ciò può risultare ammissibile per alcuni livelli professionali e retributivi, risulta certamente meno accettabile per ufficiali che percepiscono retribuzioni superiori anche ai 10.000 euro al mese;
   in una fase storica in cui sono tanti i tagli effettuati verso la generalità dei lavoratori, questo stato di cose sta creando non poche tensioni all'interno dell'INPS a causa dell'impatto con una nuova utenza particolarmente motivata ed aggressiva, una normativa incerta e lacunosa (ad esempio, delle quote di retribuzione indennizzabili variano per ogni singola compagnia di navigazione e per ogni figura professionale), dell'inadeguatezza del software informatico, il mancato recepimento da parte dell'INPS delle circolari applicative dell'IPSEMA e, successivamente, dell'INAIL;
   basti pensare che la prima circolare in materia dell'INPS, stante l'assunzione dei relativi obblighi al 1o gennaio 2014, è la 179 del 23 dicembre 2013, risalente cioè a sei mesi dopo la normativa che aveva disposto il trasferimento delle competenze, e per di più in pieno periodo di festività natalizie;
   la direzione generale e, a cascata, le singole direzioni locali hanno pensato di destinare a tale attività, assolutamente non marginale, non unità a tempo pieno, bensì personale dalle varie sedi di competenza;
   va segnalato in ultimo come tale incombenza sia stata affidata a quattro sedi dell'INPS, più precisamente alle sedi di Genova, Napoli, Palermo e Trieste, come un prodotto quasi marginale a dispetto della importanza che rivestiva presso l'ente di provenienza, con un dirigente preposto al locale settore navigazione ed una piramide gerarchica conseguente;
   i dipendenti della sede di Napoli attraverso i sindacati CGIL, Cisl, UIL e CISAL e di Trieste attraverso la RSU hanno chiesto il trasferimento delle risorse umane assegnate a tale attribuzione, vista la specifica professionalità, l'attivazione di forme di deroga ai criteri della spending review in vista dell'aggravio di onere lavorativo e l'adeguamento dei criteri di valutazione dei livelli di produttività del personale ai fini dell'incentivo;
   la questione in esame incide in maniera considerevole sul reddito dei marittimi ed ha dei risvolti in termini di spesa pubblica, omogeneizzazione del sistema sanitario e verifiche delle certificazioni mediche di malattia;
   i fatti narrati sono stati riportati anche dall'articolo pubblicato il 7 gennaio 2014 dal quotidiano La Voce di Mantova dal titolo «All'Inps la gestione della maternità e malattia del settore marittimo e volo», dall'articolo pubblicato da Il Sole 24 Ore il 2 gennaio 2014 dal titolo «Malattia, maternità, disabilità, donazione sangue per l'ex-Ipsema: istruzioni Inps per il versamento dei contributi» e dall'articolo pubblicato il 31 dicembre 2013 dall'edizione online di Avvenire dal titolo «Marittimi, lo sportello per malattie e maternità approda all'Inps» –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa;
   quali misure siano già state prese in merito e quali azioni si intendano intraprendere a riguardo;
   se non ritenga opportuno agire affinché il passaggio delle competenze ex-IPSEMA all'INPS avvenga con il trasferimento di almeno una parte del personale precedentemente impegnato in tale tipo di lavorazione, sia per garantire una continuità nell'erogazione del servizio, sia per il mantenimento di una memoria storica per la gestione delle pratiche in essere;
   se non ritenga opportuno aprire un tavolo tecnico attraverso il quale monitorare gli sviluppi di questo trasferimento. (4-03535)


   FANTINATI e BUSINAROLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Elcograf spa nasce dalla fusione delle attività di stampa della tipografia fratelli Pozzoni e della Mondadori Printing;
   entrambe le società vantano una storia centenaria, essendo la Pozzoni stata fondata nel 1913 e la Mondadori Printing nel 1907;
   un lungo percorso, compiutosi tra l'ottobre del 2008 ed il gennaio del 2012 con l'acquisizione da parte della Pozzoni spa del 100 per cento del capitale della Mondadori Printing, ha portato le due società ad unirsi sotto lo storico marchio Elcograf, conosciuto per la qualità dei suoi prodotti e servizi;
   Elcograf, soprattutto nel settore dei periodici, si posiziona come assoluto leader della stampa in Italia e tra le prime tre aziende tipografiche in Europa;
   sono 1060 i dipendenti che lavorano nei sei stabilimenti presenti sul territorio nazionale: Verona, Melzo, Cles e Pomezia (centri ex Mondadori Printing), Pozzo d'Adda e Madone (gruppo Pozzoni);
   lo scorso anno, dopo una revisione degli accordi commerciali, la casa editrice Mondadori ha chiesto ad Elcograf una riduzione del 20 per cento delle tariffe;
   per far fronte alle nuove condizioni e dopo una riorganizzazione del proprio asset, la Elcograf ha elaborato un piano che prevede: tagli agli stipendi, esternalizzazione di alcune attività e concentramento dei siti produttivi con un ruolo centrale per quello veronese di Borgo Venezia;
   nel luglio 2013, i lavoratori Elcograf avevano rinunciato ad una quota di salario (200 euro lordi) per ridare competitività alla fabbrica;
   come sottolineato dalle organizzazioni sindacali «i sacrifici dei lavoratori non devono servire solo per evitare licenziamenti ed esternalizzazioni ma anche per consentire di superare il delicato passaggio del 2017», anno in cui è prevista la scadenza del contratto di esclusiva tra Elcograf e la Mondadori che oggi rappresenta circa il 60 per cento dei volumi e l'80 per cento del fatturato del gruppo grafico;
   il 3 febbraio 2014, nel corso di un incontro al Ministero del lavoro e delle politiche sociali tra azienda e rappresentanti dei lavoratori è stata chiesta la cassa integrazione straordinaria per 310 dipendenti (su 500) dello stabilimento di Borgo Venezia e per 47 di quello di Madone nel Bergamasco;
   i vertici della Elcograf dichiarano che «in considerazione del grave momento congiunturale, l'azienda non può sostenere i pesanti oneri connessi all'acquisizione di commesse a marginalità negativa» con riferimento alla stampa del catalogo generale del colosso svedese Ikea che, da decenni, veniva stampato nello stabilimento di Borgo Venezia, a Verona;
   il 7 gennaio 2014, azienda e sindacati avevano raggiunto un accordo sui futuri prepensionamenti che avrebbero interessato 72 lavoratori, di cui 60 nello stabilimento di Verona;
   il 16 gennaio, in Gazzetta Ufficiale è stato pubblicato un decreto del Presidente della Repubblica che interviene sulla legge dell'editoria n. 416 del 1981 e ha un valore retroattivo al 31 agosto 2013, secondo cui i dipendenti di aziende in crisi non potranno più andare in prepensionamento dopo aver versato 32 anni di contributi ma dopo almeno 35 anni di anzianità contributiva, a decorrere dal 1o gennaio 2014, 36 anni dal 2016 e 37 dal 2018 –:
   quali iniziative s'intendano adottare per tutelare la continuità produttiva e occupazionale degli stabilimenti Elcograf;
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato circa le disposizioni contenute nel decreto del Presidente della Repubblica pubblicato il 16 gennaio 2014 in materia di prepensionamento, se esse, cioè, debbano essere applicate anche agli siglati prima del 1o gennaio 2014.
(4-03543)

SALUTE

Interrogazioni a risposta immediata:


   LABRIOLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sono almeno un milione i bambini e i ragazzi italiani che vivono nelle immediate vicinanze di un sito di interesse nazionale;
   essi rischiano più degli altri in quanto, in alcuni siti (come, per esempio, a Massa Carrara, a Taranto, a Mantova) l'aumento del rischio è consistente. Questo è, almeno, quanto sostiene uno studio «La salute infantile nei siti inquinati italiani», pubblicato di recente da alcuni epidemiologi dell'Istituto superiore di sanità e dell'università La Sapienza di Roma;
   gli studiosi sono partiti da un dato: in Italia sono stati censiti e definiti «sin», siti di interesse nazionale per le bonifiche, 57 diverse aree. Sono aree molto inquinate, da contaminanti diversi (amianto, mercurio, arsenico, composti organici persistenti o anche da un insieme di queste e altre sostanze);
   si tratta di aree anche molto estese: coprono il 3 per cento del territorio nazionale e sono dislocate in tutte le regioni italiane, anche se le aree più estese sono in Sardegna e in Campania e sono abitate complessivamente da 5,5 milioni di abitanti, di cui il 20 per cento con età massima di 19 anni;
   il progetto «Sentieri» dell'Istituto superiore di sanità ha indagato gli effetti sulla salute delle persone che vivono in prossimità di questi siti. In particolare, ne ha preso in esame 44 su 57, trovando un aumento sia della mortalità sia delle morbilità per diverse cause;
   non esisteva, sino ad oggi, uno studio specifico sui bambini e sui ragazzi. Uno studio necessario, perché, come è noto, nella letteratura scientifica bambini e ragazzi rispondono in maniera diversa dagli adulti all'esposizione a diversi inquinanti;
   i motivi sono, in estrema sintesi, due. I bambini sono esposti agli inquinanti in maniera diversa rispetto agli adulti anche in un medesimo ambiente. I bambini, per esempio, hanno una superficie esposta relativa maggiore degli adulti. Cosicché, sempre in termini relativi, assorbono più inquinanti atmosferici. Inoltre, il rapporto tra il peso e l'aria e il cibo assunti nei bambini è inferiore. Insomma, in termini relativi, i piccoli inspirano più aria e mangiano di più. Se l'aria e/o il cibo sono inquinati ecco che il rischio aumenta. Infine, i bambini hanno una fisiologia diversa da quella di un adulto e un corpo in rapida crescita. Sanno difendersi meno dagli inquinanti. Anche a parità di esposizione relativa, dunque, i bambini sono più a rischio;
   l'Istituto superiore di sanità ha elaborato uno studio denominato «Sentieri Kids», ovvero uno studio specifico e di lungo periodo incentrato sui bambini e sui ragazzi;
   è stato attivato uno studio preliminare relativo alla sola mortalità e ad alcune malattie nella fascia d'età compresa tra 0 e 19 anni e per il periodo compreso tra il 1995 e il 2009 nei 44 siti già analizzati da «Sentieri»;
   risultati seppur non definitivi sembrano essere significativi. Tale studio sembra aver rilevato che la mortalità per tutte le cause – cioè quella di genere – è superiore del 4 per cento alla media nazionale per i neonati fino a un anno, mentre è del tutto in linea con la media nazionale nelle altre fasce di età. Inoltre, nella stessa fascia di età, la mortalità di origine perinatale è superiore del 5 per cento rispetto alla media;
   altro dato rilevante è che da un'analisi dettagliata si è dimostrato che le condizioni cambiano da sito a sito. Nei siti vicino ad ambienti industriali complessi, per esempio, la mortalità ha un picco. Nel sito di interesse nazionale di Massa Carrara, per esempio, la mortalità per tutte le cause è del 25 per cento più alta nella fascia di età 0-1 e addirittura del 48 per cento nella fascia di età tra 0 e 14 anni. A Taranto è più alta del 21 per cento nella fascia di età 0-1 e del 24 per cento nella fascia 0-14. A Mantova è più alta del 63 per cento nella fascia 0-1 e del 23 per cento nella fascia di età 0-14; un aumento della mortalità infantile per tutte le cause, dimostra lo studio, si osserva anche a Biancavilla, Broni e Casale Monferrato, siti caratterizzati da inquinamento da amianto. Mentre nei siti con presenza diffusa di discariche illegali, come, per esempio, il litorale domizio flegreo/agro aversano e l'area litorale vesuviano e il sito di Priolo, con complesse attività industriali, si registra una riduzione significativa della mortalità per tutte le cause in tutte le fasce di età –:
   quali siano i risultati, anche se parziali, dello studio denominato «Sentieri Kids» e, sulla base delle informazioni provenienti da tale studio, quali iniziative abbia intenzione di adottare per tutelare la salute dei bambini e dei ragazzi esposti a così elevati fattori inquinanti, anche magari attraverso l'adozione di un piano di tutela sanitaria specifica e di screening prenatali e neonatali. (3-00630)


   CAPUA, VARGIU e MONCHIERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la comunità scientifica internazionale ha più volte lanciato l'allarme per la crescente diffusione del retrovirus umano HTLV-1, la cui infezione può essere responsabile di gravissime e incurabili forme di leucemia e di linfoma dell'adulto a cellule T e, verosimilmente, di forme paraparetiche su base degenerativa simili alla paraparesi spastica tropicale;
   tale virus è particolarmente diffuso nelle popolazioni africane, del sud Giappone, caraibiche e dell'America latina, con una popolazione infettata che si aggira intorno ai 10 milioni di individui;
   l'attuale situazione dei flussi migratori, del turismo di massa e, più in generale, della libera circolazione degli individui comporta l'estensione ubiquitaria del rischio di infezione, che si trasmette attraverso il contatto sessuale e l'allattamento, ma anche per via ematica;
   molti altri Paesi europei, tra cui la Gran Bretagna, la Francia e la Spagna, hanno preso atto della crescita dello specifico fattore di rischio e hanno già disposto presidi di prevenzione, tra i quali l'obbligo del test di evidenziazione del virus nelle donazioni di sangue e nei pazienti nosocomiali;
   l'eventuale aumento dei sieropositivi HTLV-1 nel nostro Paese potrebbe comportare conseguenti e disastrosi incrementi delle patologie neoplastiche attese;
   un gruppo di ricercatori afferente l'autorevole organizzazione internazionale «Global Virus Network», a margine dell'incontro sulle patologie tumorali virus correlate svoltosi a Napoli il 16-18 ottobre 2013, ha invitato con determinazione le autorità sanitarie italiane ad intervenire in merito con adeguate misure cautelari –:
   quali iniziative immediate e concrete intenda intraprendere per garantire nel Paese adeguate misure di prevenzione della diffusione del retrovirus HTLV-1, in particolare agendo sul controllo delle donazioni di sangue, in ambito ospedaliero e nei soggetti a rischio. (3-00631)


   DORINA BIANCHI, ROCCELLA e CALABRÒ. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, sin dal febbraio 2013, sta conducendo un'indagine per accertare una presunta intesa restrittiva della concorrenza esistente tra le società dei gruppi Roche, produttrici del farmaco Avastin, e Novartis, produttrici del farmaco Lucentis; entrambi detti farmaci rappresentano trattamenti per la maculopatia, malattia degenerativa della retina;
   la Società oftalmologica italiana, attraverso svariati comunicati diffusi dai media, ha segnalato l'esistenza di un cartello tra i gruppi Roche e Novartis per impedire l'uso sul mercato dell’Avastin, a favore del Lucentis; dagli stessi comunicati emerge l'equivalenza sia in termini di sicurezza, che di efficacia terapeutica dei due farmaci, nonché viene resa nota la rilevante differenza di costo esistente; in particolare, la Società oftalmologica italiana segnala che Avastin costa 60 volte meno del Lucentis: un'iniezione al mese di Lucentis costerebbe 1.000 euro, rispetto ai 15 euro di Avastin;
   la medesima Società oftalmologica italiana ha pubblicamente chiesto che il farmaco Avastin sia reinserito nell'elenco dei farmaci previsto dalla legge n. 648 del 1996, affinché ne sia consentita l'erogazione a totale carico del servizio sanitario nazionale, come avviene per i farmaci di cui al predetto elenco, impiegati anche per un'indicazione diversa da quella autorizzata;
   il rappresentante del Governo, nella seduta del 27 novembre 2013, rispondendo ad un'interrogazione in Commissione affari sociali della Camera dei deputati, ha comunicato che, con decisione del 18 ottobre 2012, l'Agenzia italiana del farmaco ha escluso l’Avastin dall'elenco dei farmaci rimborsabili ai sensi della legge n. 648 del 1996, in quanto porrebbe problematiche sotto il profilo della sicurezza dei pazienti –:
   se il Ministro interrogato, al fine di garantire l'effettività delle cure e, nel contempo, ridurre i costi a carico del servizio sanitario nazionale, non intenda adottare ogni iniziativa ritenuta necessaria per verificare la sussistenza dei presupposti per il reinserimento del farmaco Avastin nell'elenco di cui alla legge n. 648 del 1996.
(3-00632)


   GIGLI e BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da diversi mesi è stata segnalata, attraverso i mezzi di comunicazione, la difficoltà di reperire farmaci importanti per la salute dei pazienti;
   si tratta di numerosi medicinali introvabili sugli scaffali delle farmacie, tra cui molti di interesse neurologico, usati – tra l'altro – per il trattamento del dolore neuropatico, della depressione, dell'epilessia, di malattie neurodegenerative come il morbo di Parkinson e per la prevenzione dei fenomeni tromboembolici;
   sono, il più delle volte, farmaci innovativi, di recente introduzione in prontuario, ad elevato valore terapeutico, ad alto costo e senza un equivalente alternativo disponibile. Farmaci anche essenziali, assenti dagli scaffali o perché la ditta distributrice non consegna o perché «contingentati», dei quali, cioè, ne viene consegnano solo un pezzo ogni tanto;
   ne derivano spesso autentici viaggi della speranza da una farmacia all'altra e spiacevoli quanto inutili diatribe tra pazienti e farmacisti. La conseguenza è fortemente ai danni della salute dei cittadini, specialmente quando si tratta di sostanze la cui interruzione può essere molto fastidiosa (come per gli antidolorifici) o pericolosa (come per gli antiepilettici o gli antitrombotici);
   alcune articolazioni territoriali di Federfarma sono arrivate a presentare esposti alla procura della Repubblica per denunciare «le gravi carenze sul territorio», se non addirittura «l'irreperibilità per lunghi periodi (più di 20 giorni) di alcuni farmaci»;
   stando alle informazioni in possesso degli interroganti, la carenza di questi farmaci nel circuito della distribuzione non è dovuta a deficit di produzione (in Italia o – più spesso – all'estero), né ad un insufficiente approvvigionamento per deficit di destinazione al nostro Paese rispetto ad altri da parte delle aziende estere produttrici;
   sembra, infatti, che la quota percentuale di produzione assegnata all'Italia sia, anzi, più alta del fabbisogno reale e che il sistema di distribuzione non presenti difficoltà fino a livello dei grossisti. Il sistema distributivo si arresterebbe, invece, nel passaggio dal grossista alle farmacie, con l'eccezione forse delle grandi catene di farmacie, che lamentano minori difficoltà di approvvigionamento;
   si tratterebbe di una mancata consegna da parte del grossista alla rete capillare delle piccole farmacie. I grossisti, peraltro, sarebbero stati regolarmente riforniti dai produttori. Lecito chiedersi, dunque, perché essi siano disponibili ad investire acquistando il farmaco, per poi apparentemente rinunciare al loro legittimo guadagno, visto che mancano di trasferire i prodotti all'ultimo anello della catena di distribuzione;
   detti farmaci, dal momento che all'estero costano molto di più, hanno una breve permanenza sul mercato, perché vengono tempestivamente ceduti al miglior acquirente. Si instaura in questo modo un parallel trade, un circuito di commercio parallelo, capace di assicurare a chi lo pratica un ritorno economico dettato dalla plusvalenza. L'esportazione a danno della distribuzione italiana, infatti, avviene solo per quei farmaci che in Italia hanno un prezzo al pubblico inferiore rispetto a quello di altri Paesi;
   in alcuni casi il differenziale di costo è talmente elevato da lasciare al grossista ampi margini di guadagno. È questo il caso, ad esempio, di un noto farmaco, molto utilizzato per la malattia del Parkinson, che costa alla farmacia in Italia 53,10 euro, contro gli oltre 270 euro della farmacia in Germania;
   in Italia i medicinali sono sottoposti a un regime controllato dei prezzi, oggetto abitualmente di estenuanti «braccia di ferro» tra i rappresentanti delle aziende produttrici e l'Agenzia italiana del farmaco. Questo meccanismo per la definizione dei prezzi dei farmaci, se, da un lato, si è dimostrato capace di controllare efficacemente la spesa farmaceutica del servizio sanitario nazionale, dall'altro è, tuttavia, causa di inaccettabili ritardi nell'immissione in commercio dei nuovi prodotti autorizzati, posticipata dalle aziende produttrici fino a quando si determinino condizioni di redditività minime e accettabili per l'azienda;
   accanto al ritardo nell'immissione dei farmaci, che provoca un'indesiderata obsolescenza delle capacità terapeutiche del servizio sanitario nazionale, si sta ora determinando un'altra pericolosa distorsione. Il medicinale che, grazie alla capacità virtuosa dell'Agenzia italiana del farmaco, riesce ad essere venduto in Italia a prezzi decisamente più contenuti, sparisce dai banconi delle farmacie per essere rivenduto all'estero a prezzi più competitivi, in base alla normativa europea sul libero scambio. Il parallel trade all'interno dell'Unione europea, infatti, è una forma di scambio in seno al mercato interno fondata sull'articolo 28 del Trattato istitutivo della Comunità economica europea del 1957, dalla quale peraltro alcuni Governi ritengono di avvantaggiarsi per ottenere attraverso di essa una riduzione consistente della spesa farmaceutica;
   la carenza di farmaci nel circuito distributivo può essere risolta, ovviamente, solo con il coinvolgimento delle istituzioni e di tutti gli operatori coinvolti nella filiera; nondimeno, alcune azioni sono tuttavia possibili, e pertanto doverose, anche nell'immediato;
   è possibile, ad esempio, per i titolari fronteggiare episodi di irreperibilità utilizzando gli strumenti previsti dall'articolo 105, comma 4, del decreto legislativo n. 219 del 2006, che obbliga i titolari di un'autorizzazione all'immissione in commercio a evadere direttamente gli ordinativi alle farmacie richiedenti senza nessuna specifica restrizione;
   occorrerebbe un'azione di concertazione in sede europea per arrivare a concordare uno stesso prezzo per i farmaci in tutto il territorio dell'Unione europea, al livello più basso che sia possibile spuntare con le aziende, certamente interessate a non perdere un mercato di enormi dimensioni;
   sarebbe necessario, a parere degli interroganti, inoltre, predisporre un efficace sistema di controllo sulle autorizzazioni ad immissioni in commercio, per dare priorità nella fornitura a favore della distribuzione diretta alle farmacie, evitando di alimentare quei grossisti per i quali vi sia evidenza di attività di esportazione parallela –:
   quali iniziative urgenti intenda porre in essere per predisporre un aggiornato elenco dei farmaci introvabili e per un più incisivo intervento teso a contrastarne l'esportazione parallela. (3-00633)


   LAFFRANCO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la sclerosi sistemica è una complessa malattia cronica del tessuto connettivo tra le più invalidanti e spesso anche mortale se non adeguatamente controllata, caratterizzata da diffuse alterazioni vascolari, fibrosi e indurimento della cute e di alcuni organi, in particolare polmoni, apparato gastrointestinale, reni e cuore;
   in Italia gli affetti da sclerosi sistemica sono oltre 25 mila e ogni anno si ammalano circa 1.200 nuove persone. Si tratta di una patologia poco conosciuta e la sottovalutazione dei primi sintomi può essere fatale mentre una diagnosi precoce può ritardare la disabilità;
   attualmente la sclerosi sistemica (progressiva) è inclusa nell'elenco delle malattie croniche ed invalidanti di cui al decreto ministeriale n. 329 del 1999 e successive modifiche, consentendo a chi ne è affetto di poter usufruire in esenzione di una serie di prestazioni, conformemente a quanto stabilito dal decreto legislativo n. 124 del 1998;
   sono, invece, escluse le prestazioni per la diagnosi, che vengono garantite in esenzione per le malattie rare (decreto ministeriale n. 279 del 2001). Il non aver ancora inserito questa patologia nell'elenco delle malattie rare rende ancora più difficile la diagnosi precoce e la quotidianità di chi ne è affetto;
   nella XVI legislatura l'allora Ministro della salute presentò i nuovi livelli essenziali di assistenza con gli aggiornamenti agli elenchi delle patologie croniche e rare, ma l’iter del provvedimento si bloccò per incertezze sui saldi del «paniere» del servizio sanitario nazionale. Nonostante le rassicurazioni del Ministro interrogato, si è ancora in attesa del decreto, la cui pubblicazione cambierebbe la vita di numerosi malati, ma che è attualmente bloccato perché sottoposto ad ulteriori riflessioni sul reperimento delle risorse –:
   se il Ministro interrogato, nel rispetto delle competenze regionali in materia sanitaria e nelle more della revisione complessiva dei livelli essenziali di assistenza, non intenda porre in essere ogni iniziativa diretta a riconoscere la sclerosi sistemica tra le malattie rare, anche provvedendo all'inserimento della patologia nell'allegato n. 1 del regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità n. 279 del 2001 contenente l'elenco delle malattie rare, in modo da assicurare finalmente diagnosi tempestive e cure uniformi sull'intero territorio nazionale. (3-00634)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NARDI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la sindrome fibromialgica è una forma comune di dolore muscoloscheletrico diffuso e di affaticamento (astenia) che colpisce approssimativamente 1.5 – 2 milioni di Italiani. Il termine fibromialgia significa dolore nei muscoli e nelle strutture connettivali fibrose (i legamenti e i tendini). Questa condizione viene definita «sindrome» poiché esistono segni e sintomi clinici che sono contemporaneamente presenti (un segno è ciò che il medico trova nella visita; un sintomo è ciò che il malato riferisce al dottore). La fibromialgia spesso confonde poiché alcuni dei suoi sintomi possono essere riscontrati in altre condizioni cliniche;
   nel 1990 alcuni studiosi americani di reumatologia pubblicarono un multi-center-criteria-study nel quale arrivarono alla definizione dei criteri clinici la cui sussistenza è necessaria per effettuare la diagnosi fibromi algia;
   la fibromialgia è una malattia dei tessuti connettivi, accompagnata da dolori molteplici e da stati di stanchezza. Le fibre, i muscoli e i tendini sono affetti da uno stato fortemente doloroso. Riguardo alle cause, si può dire che la fibromialgia è una malattia a genesi multifattoriale, ma principalmente si tratta di un'alterazione nei livelli di alcuni neurotrasmettitori, in particolare la serotonina e la noradrenalina;
   i dolori causati dalla fibromialgia sono senza confini, sia dal lato di intensità, sia dal lato di ubiquità. Possono prevalere di continuo. Possono però cambiare di intensità, durata, frequenza e cambiare la parte dolorante del corpo, si tratta perciò della sindrome «mi fa tutto male». In latino si parla del «dolor migrans». I pazienti descrivono i dolori come bruciori, crampi muscolari, lancinanti in profondità, persino come una lama di coltello graffiante per esempio la scapola. Al mattino i dolori sono spesso più acuti, le membra bloccate, i gruppi di muscoli spesso usati fanno più male degli altri. Dolori alle giunture della mandibola si spandono alla faccia, producendo mal di denti, mal di testa, dolori da sinusite cronica;
   veramente estesa è la sintomatologia di questa malattia: dolori al torace, al cuore, alle vie urinarie, all'inguine, alla vagina, dismenorrea;
   importanti sono poi i disturbi del sonno. I pazienti non hanno problemi nell'addormentarsi ma il sonno è irregolare, come se i dolori cercassero di svegliare il paziente, ogni volta che si gira nel sonno. Spesso il paziente è colto da apnea, stridore di denti, tremore di muscoli e spasmi che possono arrivare all'intensità della sindrome da restless legs;
   in molti casi si presenta anche la tipica sindrome della fatica cronica. I pazienti descrivono diversamente la fatica sentita. Gli uni sono prostrati fisicamente, gli altri mentalmente e hanno perso la possibilità di concentrarsi. Altri sentono di avere come dei pesi di piombo allacciati agli arti, ogni passo e ogni mossa costano uno sforzo. Dal 20 al 40 per cento dei pazienti soffrono di mal di pancia, costipazione, diarrea, nausea. Certe volte i dolori sembrano appesi all'arco costale o sembrano partire dalla cistifellea;
   i dolori fibromuscolari sono accompagnati da cephalee posteriori, tinnitus, edema alle palpebre, anche da emicrania vera;
   non mancano sintomi neuropatologici, caratterizzati da parestesie a tutti gli arti, iperestesie in certe aree, edemi alle mani e ai piedi, disturbi della motorica e dell'andatura;
   una donna affetta da questa malattia così descrive il proprio stato: «i fibromialgici non hanno il viso sofferente, non urlano dal dolore ma soffrono costantemente, 24 ore su 24 senza tregua... diminuisce la forza muscolare, rallentano i movimenti e ci si sente vecchi prima del tempo, tutto cambia, qualsiasi azione che prima era normale... ora è dolorosa e rallentata. È una malattia difficile da accettare, ti cambia la vita da un giorno all'altro»;
   sussistono, attualmente, i presupposti per una collocazione della fibromialgia tra le patologie soggette a specifica tutela (decreto ministeriale n. 329 del 1999), in quanto la difficoltà ad identificare correttamente le forme cliniche da prendere in considerazione nel rispetto dei criteri previsti dal decreto legislativo n. 124 del 1998 (gravità clinica, grado di invalidità ed onerosità), è stata ampiamente studiata a livello nazionale e internazionale con conseguente necessità di effettuare una corretta valutazione riguardante tale inserimento rispetto al profilo sia economico che organizzativo;
   allo stato attuale delle conoscenze, è possibile individuare prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale rispondenti ai criteri previsti dal decreto legislativo n. 124 del 1998 (appropriatezza efficacia, onerosità del costo del trattamento), che siano effettivamente utili per il monitoraggio e per la prevenzione degli eventuali aggravamenti, anche considerando che il trattamento consigliato è prevalentemente farmacologico;
   la fibromialgia è tabellata nell’«International Statistical classification of diseases and related health problems (ICD-10)» alle voci M79, Other soft tissue disorders, not elsewhere classified, e M79.O, Rheymathism, Unspecified-Fibromyalgia-Fibrositis;
   in Europa, secondo la dichiarazione del Parlamento europeo sulla fibromialgia, approvata il 13 gennaio 2009, circa 14 milioni di persone nell'Unione europea e l'1-3 per cento della popolazione mondiale soffrono di fibromialgia;
   nel 2008 il Parlamento europeo ha approvato una dichiarazione che dà mandato ai rappresentanti nazionali di attivarsi nei confronti dei Governi a favore della sindrome fibromialgica;
   la maggior parte delle nazioni riconosce la fibromialgia come una precisa entità nosologica con conseguente riconoscimento di esenzione per tale patologia;
   la fibromialgia ha ottenuto un riconoscimento nel Trentino la giunta provinciale di Trento con deliberazione n. 239 del 12 febbraio 2010 ha recentemente approvato un provvedimento che riconosce, a partire dal primo gennaio di quest'anno, alle persone affette da tale patologia esenzione dalla compartecipazione alla spesa sanitaria da parte dell'utente (ticket) ai cittadini e residenti in provincia di Trento ed iscritti al sistema sanitario nazionale. «La fibromialgia deve essere riconosciuta e attestata dall'O.O. di Reumatologia dell'Ospedale Santa Chiara di Trento. Ne hanno diritto gli iscritti all'SSP residenti in provincia di Trento affetti da fibromialgia riconosciuta. Le prestazioni sanitarie sono quelle appropriate per il monitoraggio della patologia e delle relative complicanze, per la riabilitazione e per la prevenzione di ulteriori aggravamenti. Le prestazioni sono fruibili esclusivamente delle strutture del Servizio Sanitario Provinciale». Il codice di esenzione valido in provincia di Trento è: 046.729.0 e 046.729.1, con decorrenza 1° gennaio 2010 e validità illimitata. La definizione della malattia è «mialgia e miosite non specificate», in codice di esenzione è BZ 3.737.3;
   il consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia con l'ordine del giorno (collegato disegno di legge n. 116) impegna l'assessore alla salute:
    a) ad attivare un monitoraggio sull'incidenza di tale patologia nella nostra regione;
    b) ad assumere ulteriori iniziative affinché a livello parlamentare siano approvate le normative necessarie a prevedere il riconoscimento, ai lavoratori affetti da questa patologia, di permessi di astensione dal lavoro per la cura della sintomatologia nonché per prevedere l'esenzione dal pagamento dei ticket e dei farmaci eventualmente prescritti;
   attualmente in Italia per gli esami di monitoraggio delle patologie non riconosciute non è prevista alcuna esenzione dal pagamento del ticket;
   la regione Lombardia ha inserito nel PSSR la fibromialgia come malattia degna di attenzione e per la quale viene assunto un impegno formale di studio e approfondimento a favore dei diritti del malato;
   la regione Veneto nel marzo 2011 ha visto l'approvazione all'unanimità del consiglio regionale di un ordine del giorno bipartisan che raccomanda nel merito la dovuta attenzione agli uffici competenti;
   nel 2010 la regione Toscana ha approvato la costituzione di un tavolo tecnico di confronto e di proposta per il problema in questione;
   dovrebbe essere affrontata da subito a livello multispecialistico, ma purtroppo manca un centro di riferimento al quale possano rivolgersi i molti pazienti che ne vengono colpiti. Così chi soffre è costretto a limitare la propria attività quotidiana, a dosare le forze, per l'impossibilità di vivere una completa vita di relazione. Con conseguenze immaginabili su piano sociale, considerato che questa malattia misconosciuta non viene presa in considerazione, nella sua complessità, dalle commissioni che valutano il grado di invalidità dei lavoratori;
   i pazienti non possono usufruire delle prestazioni contenute nei livelli essenziali di assistenza (LEA), erogabili attraverso le strutture del servizio sanitario nazionale a titolo gratuito ma con numerosi ed esosi esami a pagamento –:
   quali iniziative intenda assumere per garantire il trattamento della fibromialgia omogeneo su tutto il territorio nazionale, superando le differenze di approccio delle diverse regioni che si sono attivate già da tempo nel senso del riconoscimento di questa patologia;
   se non ritenga necessario, per quanto di competenza, assumere iniziative per introdurre il riconoscimento dei criteri di esenzione per gradi di malattia cronica invalidante ai pazienti affetti dalla sindrome fibromialgica;
   quali iniziative di competenza intenda assumere per garantire l'accesso alle cure e creare centri specializzati nel trattamento di tali patologie;
   se non intenda assumere iniziative per consentire l'uso gratuito di farmaci che, pur non avendo fra le indicazioni approvate quella della fibromialgia, risultano efficaci sulla base della letteratura internazionale (cosiddetto utilizzo «off label»). (4-03536)


   VARGIU. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   le malattie rare rappresentano una delle sfide di sostenibilità del sistema sanitario nazionale, raggruppando un numero ormai notevolissimo di patologie, rare se considerate singolarmente, ma ben più diffuse e socialmente gravose, quando considerate nel loro complesso;
   alcune delle patologie ricomprese nell'ambito delle malattie rare rappresentano un significativo carico sociale non soltanto per i pazienti, ma anche e soprattutto per le famiglie, su cui gravano le necessità di assistenza;
   molte di tali patologie sono diagnosticate in età perinatale o comunque pediatrica, ma richiedono adeguato accompagnamento di supporto e terapeutico sino all'età adulta, mettendo in gioco differenti specialità mediche, che devono essere adeguatamente coordinate nell'interesse dell'appropriatezza delle prestazioni sanitarie da erogare al paziente;
   sicuramente tra le patologie di maggior impegno individuale e familiare vanno annoverate le condrodisplasie, che necessitano di assistenza costante e di raffinate competenze di coordinamento perché sia garantita la miglior tutela dei pazienti affetti e la protezione dei diritti delle loro famiglie;
   nelle regioni insulari, e in particolar modo in Sardegna, a causa della vastità del territorio e della dispersione della popolazione, è assai difficile garantire i presidi sanitari indispensabili ad erogare livelli essenziali di assistenza coerenti alle aspettative sanitarie dei pazienti;
   in particolare, il centro di riferimento per le malattie rare della regione Sardegna, istituito presso l'Ospedale microcitemico di Cagliari, appare dotato di risorse professionali, organizzative e finanziarie inadeguate rispetto al notevole carico di lavoro che grava su di esso;
   le associazioni delle famiglie dei pazienti affetti dalle varie forme di acondroplasia, e in particolare l'Associazione Acondroplasia – Insieme per crescere Onlus, hanno più volte segnalato le criticità del servizio che opera presso l'ospedale microcitemico di Cagliari –:
   quali iniziative si intendano assumere per il potenziamento della rete nazionale per le malattie rare, con particolare riguardo al centro di riferimento per le malattie rare dell'ospedale microcitemico di Cagliari, per renderlo adeguato rispetto alla domanda specifica e alla risposta sanitaria di qualità indispensabile a presidiare un territorio insulare, come quello sardo. (4-03538)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PIAZZONI e PILOZZI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la società SISTEMI INFORMATIVI Srl è una società di progettazione e realizzazione di soluzioni IT complesse, parte integrante del gruppo IBM Italia, che occupa oltre 1.000 dipendenti sparsi su tutto il territorio nazionale;
   la società attraversa da alcuni mesi una grave crisi economica e finanziaria che ha costretto i vertici aziendali ad attivare, nel mese di giugno 2013, la cassa integrazione guadagni ordinaria per un numero massimo di 292 dipendenti;
   pur avendo attivato la cassa integrazione, la società non ha ancora presentato un piano industriale volto al rilancio delle attività da essa svolte e anzi, come apparso nei giorni scorsi sulla stampa nazionale, la casa madre IBM ha in programma tagli drastici di personale delle società da essa controllate sul territorio nazionale;
   la Sistemi Informativi in realtà è una società delle grandi potenzialità e possibilità che però, a causa soprattutto in errori nella gestione manageriale, come ad esempio gli alti costi sostenuti dall'azienda per incentivare l'esodo anticipato di alcuni dipendenti nell'anno 2012, ha conosciuto un aggravamento della situazione finanziaria;
   nel corso dell'incontro del 17 gennaio 2014 con le organizzazioni sindacali, l'azienda, accettando finalmente l'apertura di un tavolo di discussione formale con le organizzazioni sindacali, ha riconosciuto il ritardo nella presentazione di un piano industriale, ma non ha rassicurato i lavoratori circa le intenzioni future dell'azienda relative al rilancio degli investimenti;
   data la complessità della vicenda e il numero dei lavoratori coinvolti, sarebbe opportuno che venisse aperto un tavolo ministeriale al fine di seguire non solo la vicenda Sistemi informativi ma, nel complesso, tutta l'attività del gruppo Ibm in Italia;
   i lavoratori, prime vittime dell'inefficienza dei vertici aziendali, hanno già dimostrato grande capacità di sopportazione ma anche capacità di organizzazione e solidarietà quando hanno organizzato delle attività per recuperare delle somme da assegnare ai lavoratori in cassa integrazione al fine di recuperare parte degli emolumenti perduti;
   le attività svolte da Sistemi Informativi e da IBM, soluzioni e sistemi informatici, possono a pieno titolo definirsi di interesse strategico per l'Italia –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno farsi parte attiva nella vertenza occupazionale relativa alla Sistemi Informativi srl, società del gruppo IBM Italia, attraverso l'apertura di un tavolo di confronto ministeriale volto a ricercare tra le parti le soluzioni migliore al fine di mantenere inalterati i livelli occupazionali di confronti dell'azienda e rilanciare le attività imprenditoriali della stessa. (5-02110)


   TERZONI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con la sentenza 93/2013 la Corte Costituzionale ha cassato la legge regionale della regione Marche n. 3 del 2012 nelle parti in cui escludeva gli impianti biogas e biomassa per la produzione di energia elettrica da verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale (screening) e conseguentemente, dalla stessa valutazione di impatto ambientale (VIA);
   successivamente alla sentenza il TAR Marche ha accolto i ricorsi presentati contro la realizzazione di queste centrali revocandone le autorizzazioni (sentenze 559/2013; 215/2014);
   la regione Marche sta cercando di porre rimedio approvando una nuova legge con la quale si riattivano tali autorizzazioni imponendo una VIA postuma e realizzando così quello che appare all'interrogante l'ennesimo palese strappo normativo e costituzionale;
   le autorizzazioni per questo tipo di centrali rappresentano condizione vincolante per accedere ai contributi rilasciati dal GSE –:
   se il Ministro sia informato sulla possibilità che il GSE, a fronte della revoca delle autorizzazioni di cui sopra ad opera del TAR, stia continuando a versare i contributi relativi alla produzione di energia elettrica;
   se il Ministro, nel caso in cui il versamento non sia stato interrotto, non ritenga necessario e urgente assumere iniziative affinché siano sospesi tali versamenti e sia recuperato quanto indebitamente ricevuto dai proprietari degli impianti. (5-02115)


   FAMIGLIETTI e PARIS. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   è di questi giorni di dominio pubblico a seguito delle dichiarazioni rilasciate dal manager Stefano Del Rosso al Corriere della Sera l'interesse della King Long, azienda cinese operante nel settore della produzione di autobus nei confronti dello stabilimento ex Irisbus di Flumeri in provincia di Avellino;
   l'interesse sembrerebbe essere solido e con possibilità di partnerariato con la Breda Menarini;
   questa prospettiva rappresenta una opportunità per la ripresa produttiva del sito e il ritorno al lavoro dei trecento dipendenti attualmente in cassa integrazione;
   onde evitare speculazioni è fondamentale non perdere tempo e valutare la presenza di un piano industriale per Flumeri –:
   se e quali iniziative il Governo intenda adottare nel più breve tempo possibile per convocare il tavolo ministeriale con le parti interessate e verificare la reale esistenza di un piano industriale per rilanciare il sito di Flumeri anche utilizzando gli strumenti posti in essere dal decreto-legge «Destinazione Italia».
(5-02116)

Interrogazione a risposta scritta:


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la società AIDAS è una cooperativa sociale con sede a Terni e svolge servizi privati di assistenza domiciliare a persone disabili ed anziani. Ha partecipato a gare di appalto indette dall'ASL per l'affidamento dei servizi di assistenza domiciliare e residenziale rivolti alle persone non autosufficienti, assumendo nel tempo la gestione di strutture socio sanitarie con un ruolo di preminenza nella provincia di Terni nel settore dell'assistenza geriatrica;
   la cooperativa AIDAS occupava circa 170-180 persone tra soci lavoratori e dipendenti;
   la AIDAS ha fatto parte di una cordata di imprese con capofila la società ACTL, guidata da Sandro Corsi esponente del Partito Democratico ternano; quest'ultima da sola o in associazione con altre cooperative, per conto del comune o della asl, opera anch'essa nel campo dell'assistenza ai disabili, agli anziani e nella gestione di alcuni centri diurni;
   a seguito di difficoltà economiche e anche di «incomprensioni» con la ACTL di Sandro Corsi (da www.umbria24.it del 19 giugno 2013) sfociati successivamente anche in un contenzioso giudiziario davanti al TAR dell'Umbria per una vicenda di assegnazione di appalti dall'AUSL di Terni (sentenza n. 427 del 6 agosto 2013), nel dicembre del 2013 la AIDAS è stata commissariata dal Ministero e la dottoressa Silvia Volpini è stata nominata commissario;
   nonostante la nomina del commissario, forte è la preoccupazione tra i soci lavoratori in merito alle scelte che verranno prese poiché – come affermano le socie lavoratrici – «l'assemblea dei soci è condizionata in modo determinante, in virtù di una contestata delibera del Consiglio di amministrazione, dalla massiccia presenza con diritto di voto di dipendenti (anche con contratto a tempo determinato e dunque in condizioni precarietà) dell'ACTL. Si ha così che a decidere per i proprietari soci lavoratori AIDAS siano anche dipendenti di una cooperativa concorrente» (da www.ternioggi.it del 3 febbraio 2014) e dunque in evidente conflitto di interessi;
   ad oggi numerose lavoratrici della AIDAS (circa 70) sono senza stipendio da ben tredici mesi e ciò nonostante hanno continuato a lavorare al servizio delle persone vulnerabili garantendo l'assistenza agli anziani e disabili ricoverati nelle strutture residenziali;
   si apprende di recente che dieci lavoratrici hanno iniziato lo sciopero della fame non avendo ottenuto le risposte che si aspettavano dal commissario (da www.ternioggi.it del 5 febbraio 2014);
   l'AGCI (Associazione generale cooperative italiane), in un comunicato di Eugenio de Crescenzo, ha – tra l'altro – affermato che «A tal fine è opportuno sciogliere l'ambiguità della presenza di una parte dei soci in due Cooperative concorrenti; ripristinare il flusso di cassa che permetta l'erogazione degli stipendi e un rientro progressivo del pregresso; attivare una valorizzazione del patrimonio ed alle autorizzazioni di posti letto» (da www.ternioggi.it del 5 febbraio 2014);
   ad oggi nonostante la nomina del commissario Volpini, nulla è cambiato e forte è la preoccupazione dei soci lavoratori sul futuro occupazionale e sulle spettanze retributive;
   la vicenda merita di essere evidenziata non solo per gravità della situazione economica in cui versano i soci lavoratori (senza stipendio da tredici mesi), ma anche perché emblematica della rete di rapporti tra le cooperative e la politica locale di cui da parte di alcuni si è denunciato il silenzio;
   è necessario un intervento forte e trasparente per tutelare i diritti dei soci lavoratori che legittimamente reclamano le spettanze retributive e di cui è messo a rischio anche il futuro occupazionale nonché il mantenimento dei servizi socio-sanitari fino ad ora erogati –:
   quali concrete iniziative intendano assumere i Ministri, ciascuno per le proprie competenze, anche sensibilizzando a tal fine il commissario nominato, per assicurare il pagamento integrale delle retribuzioni spettanti ai soci lavoratori della AIDAS senza stipendio da tredici mesi nonché prospettive certe di lavoro per i soci lavoratori valorizzando il patrimonio di professionalità maturate e di autorizzazioni di posti letto della AIDAS;
   quali iniziative intendano assumere i Ministri, ciascuno per le proprie competenze, per garantire il rispetto delle norme vigenti e la trasparenza nelle scelte della cooperativa AIDAS commissariata al fine di evitare fenomeni di concorrenza sleale e potenziali conflitti di interesse tenendo conto anche delle aspettative dei soci lavoratori rimasti privi di reddito nelle scelte che riguardano la AIDAS e il loro futuro occupazionale. (4-03544)

Apposizione di firme ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Di Lello e altri n. 1-00157, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Dorina Bianchi e Andrea Romano e, contestualmente con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Di Lello, Dorina Bianchi, Garavini, Scotto, Andrea Romano, Locatelli, Mogherini, Ragosta, Migliore, Del Basso De Caro, Di Gioia, Pastorelli, Boccadutri, Franco Bordo, Lavagno, Melilla, Nicchi, Paglia, Piazzoni, Quaranta, Ricciatti, Pilozzi, Giancarlo Giordano, Di Salvo, Kronbichler, Manciulli, Amendola, Paolucci, Quartapelle Procopio».

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Bergamini e altri n. 1-00217, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 ottobre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rotondi.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Di Lello n. 1-00157, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 61 del 30 luglio 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    l'attuazione dei Trattati costitutivi dell'Unione europea e l'applicazione delle norme comunitarie e delle decisioni politiche e tecniche conseguenti non può che avvenire attraverso un'ampia partecipazione democratica, che renda l'Europa un progetto condiviso dai popoli e da ciascun cittadino e cittadina;
    le prossime elezioni europee del 2014 saranno in questo senso un appuntamento di particolare importanza, anche perché il Presidente della Commissione europea verrà per la prima volta eletto dal Parlamento europeo, tenendo conto del risultato delle elezioni;
    nel corso degli anni si è rafforzato il ruolo dei partiti politici europei, a cui i partiti politici nazionali, anche italiani, sono affiliati o con i quali hanno comunque rapporti assai stretti, non solo ai fini della costituzione di gruppi omogenei nel Parlamento europeo ma anche per iniziative e campagne transnazionali;
    la Commissione europea in data 12 marzo 2013, con propria raccomandazione sul rafforzare l'efficienza e la democrazia nello svolgimento delle elezioni del Parlamento europeo ha indicato che prima e durante le elezioni, i partiti politici nazionali dovrebbero indicare chiaramente a quale partito politico europeo sono affiliati «anche permettendo e incoraggiando l'indicazione di tali collegamenti sulle schede elettorali»; i partiti politici dovrebbero rendere noto quale candidato sostengono alla presidenza della Commissione europea; che i partiti nazionali dovrebbero informare gli elettori durante la campagna in merito al loro candidato alla presidenza della Commissione europea;
    anche in sede di Parlamento europeo, la Commissione del Parlamento europeo, Affari costituzionali, si è espressa in maniera simile, in data 28 maggio 2013, in particolare esortando gli Stati membri a prevedere sulla scheda elettorale i nomi e quando appropriato i simboli dei partiti politici europei, in attesa che su questo si esprimesse anche il Parlamento europeo in seduta plenaria, che effettivamente si è pronunciato con una risoluzione approvata il 4 luglio 2013;
    sarebbe atto di particolare valore ideale e rilievo istituzionale se l'Italia fosse il primo Stato membro ad accogliere tali raccomandazioni, secondo la tradizione europeista che nel tempo ha contraddistinto in maniera particolare l'impegno italiano in sede europea;
    l'esplicita indicazione sulla scheda elettorale e durante la campagna elettorale dell'appartenenza ai partiti europei dei partiti nazionali impegnati sarebbe un'opportuna informazione agli elettori, utile per scelte consapevoli e informate;
    i firmatari del presente atto di indirizzo che aderiscono formalmente e/o idealmente al Partito del Socialismo Europeo, al PPE, all'ALDE ovvero ad altre formazioni della sinistra, progressiste, ambientaliste esprimono la ferma convinzione che l'impegno proposto sia di eguale utilità e opportunità per ogni forza politica italiana a qualsiasi partito europeo essa aderisca,

impegna il Governo

ad assumere le necessarie e urgenti iniziative dirette a recepire la raccomandazione della Commissione europea relativamente all'indicazione dell'affiliazione europea dei partiti concorrenti alle elezioni europee 2014 nelle schede elettorali, nonché a promuovere campagne di informazione circa la rilevanza delle elezioni europee volte a incentivare la partecipazione dei cittadini al voto.
(1-00157)
(Nuova formulazione) «Di Lello, Dorina Bianchi, Garavini, Scotto, Andrea Romano, Locatelli, Mogherini, Ragosta, Migliore, Del Basso De Caro, Di Gioia, Pastorelli, Boccadutri, Franco Bordo, Lavagno, Melilla, Nicchi, Paglia, Piazzoni, Quaranta, Ricciatti, Pilozzi, Giancarlo Giordano, Di Salvo, Kronbichler, Manciulli, Amendola, Paolucci, Quartapelle Procopio».

Ritiro di un documento di indirizzo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: mozione Dorina Bianchi n. 1-00337 del 7 febbraio 2014.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Daga n. 4-02461 dell'8 novembre 2013;
   interrogazione a risposta orale Gigli n. 3-00526 del 20 dicembre 2013;
   interrogazione a risposta orale Capua n. 3-00532 dell'8 gennaio 2014;
   interrogazione a risposta scritta Laffranco n. 4-03300 del 24 gennaio 2014;
   interpellanza urgente Rossi n. 2-00398 del 4 febbraio 2014;
   interrogazione a risposta scritta Francesco Saverio Romano n. 4-03439 del 4 febbraio 2014.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Scagliusi altri n. 4-03346 del 28 gennaio 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-02112;
   interrogazione a risposta scritta Grande n. 4-03526 del 10 febbraio 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-02108.

ERRATA CORRIGE

  Mozione Ruocco e altri n. 1-00288 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 141 del 19 dicembre 2013.
  Alla pagina 8166, seconda colonna, alla riga quarantatreesima deve leggersi: «e) collaborare alla realizzazione» e non «f) collaborare alla realizzazione», come stampato.
  Alla pagina 8166, seconda colonna, alla riga quaranttottesima deve leggersi: «f) proseguire nella partecipazione» e non «g) proseguire nella partecipazione», come stampato.
  Alla pagina 8167, prima colonna, dalla riga quinta alla riga sesta deve leggersi: «g) proseguire attivamente nell'attività di cooperazione al network Eurofisc» e non «l) proseguire attivamente nell'attività di cooperazione al network Eurofisc», come stampato.
  Alla pagina 8167, prima colonna, alla riga nona deve leggersi: «h) destinare il maggior gettito» e non «m) destinare il maggior gettito», come stampato.

  Interrogazione a risposta scritta Benedetti e altri n. 4-03492 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 169 del 7 febbraio 2014. Alla pagina 9570, seconda colonna, alla riga quarta, deve leggersi: «Insitute, Drasko Holcer, le specie marine» e non «Insitute, Drasko Holcer, le specie ittiche», come stampato.