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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 7 febbraio 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    la Commissione europea ha adottato, il 6 dicembre 2011, una comunicazione sul futuro dell'IVA (COM (2011) 851) in cui sono definite le caratteristiche fondamentali che devono essere alla base del nuovo regime e le azioni prioritarie da adottare per i prossimi anni;
    secondo la Commissione europea, la frammentazione del sistema comune dell'IVA dell'Unione europea in 27 sistemi nazionali ostacola gli scambi interni e genera complessità e incertezza giuridica che penalizzano soprattutto le piccole e medie imprese, tanto che una riduzione del 50 per cento delle differenze esistenti tra le strutture delle aliquote IVA degli Stati membri è stimata tradursi in un incremento del 9,8 per cento degli scambi intraunionali e in un aumento dell'1,1 per cento del prodotto interno lordo reale;
    l'armonizzazione delle aliquote IVA impedirebbe fenomeni di distorsione nel funzionamento del mercato interno, nonché alterazioni della concorrenza;
    numerosi studi attestano che le divergenze tra le aliquote IVA negli Stati membri dell'Unione europea possono incidere sull'insorgere di fenomeni fraudolenti che sfruttano, tra l'altro, le debolezze insite nel sistema IVA di tassazione nel Paese di destinazione su cui si basa il vigente sistema degli scambi transfrontalieri tra imprese. Tali fenomeni sono all'origine di enormi perdite di gettito e colpirebbero con maggiore frequenza ed intensità i Paesi in cui vigono le aliquote al consumo mediamente più alte poiché in essi, a parità di altre condizioni, risulta più redditizio porre in essere fenomeni di «frodi carosello», di sottofatturazione all'importazione o di vendita sotto costo di beni di largo consumo. Al danno erariale si deve aggiungere il nocumento che simili pratiche recano al sistema della libera e leale concorrenza tra gli operatori economici, che è fondamento dell'Unione europea, e agli operatori coinvolti inconsapevolmente in catene di transazioni della specie;
    lo studio predisposto per la Commissione europea «Study to quantify and analyse the VAT Gap in the EU-27 Member States – Final Report» quantifica per l'Italia in 36 miliardi di euro il divario tra l'IVA teorica e quella riscossa nel 2011, parte del quale è riconducibile ai fenomeni di frode organizzata dell'IVA nell'ambito degli scambi internazionali di beni e servizi;
    gli aumenti avvenuti negli ultimi anni dell'aliquota IVA ordinaria, ora lievemente superiore alla media comunitaria, e gli adempimenti amministrativi rischiano di disincentivare l'adempimento del tributo, alimentando fenomeni di concorrenza sleale,

impegna il Governo:

   a promuovere in sede europea un'armonizzazione del sistema delle aliquote al fine di renderlo più coerente ed equo, eventualmente convergendo verso un'unica aliquota ordinaria ed eliminando o riducendo le differenziazioni nazionali in materia di aliquote ridotte;
   ad adottare il nuovo modello di dichiarazione IVA standard proposto dalla Commissione europea in data 23 ottobre 2013, che prevede un insieme uniforme di requisiti per le imprese relativi alla compilazione delle dichiarazioni IVA, indipendentemente dallo Stato membro in cui vengono effettuate, posto che la dichiarazione IVA standard – che sostituirà le dichiarazioni IVA nazionali – introdurrà procedure semplificate più facili da rispettare e da applicare, determinando una riduzione dei costi di conformità stimata in 15 miliardi di euro in ambito comunitario, contribuendo a migliorare il rispetto della normativa IVA e ad aumentare le entrate pubbliche;
   a favorire il processo di automazione e telematizzazione di tutte le operazioni contabili in materia di determinazione dell'imposta del valore aggiunto: emissione, ricezione e registrazione delle fatture, liquidazione e versamento del tributo, redazione ed invio delle comunicazioni di dati e dichiarazioni fiscali, attraverso la predisposizione di software gratuiti che agevolino i contribuenti nell'esecuzione dei menzionati adempimenti, in un'ottica di potenziamento delle banche dati informatiche, aggiornate in tempo reale a disposizione dell'amministrazione finanziaria per il contrasto all'evasione e alle frodi e, per quanto riguarda il contribuente, di normalizzazione, riduzione dei costi di compliance e progressivo superamento delle attuali e obsolete modalità cartacee di tenuta della documentazione e di tutti gli adempimenti non più necessari;
   ad adottare iniziative per rivedere, coerentemente con le indicazioni fornite dalla Commissione europea nel Libro verde sull'IVA e nella successiva comunicazione sul futuro dell'IVA, i regimi speciali a favore delle piccole imprese, finalizzati principalmente a ridurre gli oneri amministrativi risultanti dall'applicazione delle normali disposizioni in materia di IVA, prevedendo per i soggetti aventi un fatturato annuo inferiore a una determinata soglia un regime semplificato che stabilisca l'esenzione dall'IVA e dalla maggior parte degli adempimenti di carattere documentale e informativo;
   a collaborare alla realizzazione del portale web dell'Unione europea sull'IVA, impegnandosi, altresì, a fornire le informazioni necessarie e ad aggiornarle tempestivamente;
   a proseguire nella partecipazione al forum tripartito (Commissione, Stati membri e parti interessate) dell'Unione europea sull'IVA, al fine di individuare le migliori pratiche per semplificare il sistema dell'IVA transfrontaliera, ridurne i costi di conformità e garantirne il gettito, anche prendendo parte al progetto pilota per l'attività cross-border delle piccole imprese, avviato dal forum sull'IVA e attualmente in corso;
   a proseguire attivamente nell'attività di cooperazione al network Eurofisc per lo scambio di informazioni in materia di evasione fiscale e frode fiscale;
   a destinare il maggior gettito derivante dall'attività di contrasto alle frodi alla riduzione delle aliquote Iva.
(1-00332) «Causi, Bargero, Capozzolo, Carbone, Colaninno, De Maria, De Menech, Marco Di Maio, Marco Di Stefano, Fragomeli, Fregolent, Ginato, Gutgeld, Lodolini, Pelillo, Petrini, Ribaudo, Rostan, Sanga».


   La Camera,
   premesso che:
    la diversa legislazione nazionale in tema di IVA rappresenta un ostacolo importante alla completa realizzazione del mercato unico europeo;
    in particolare, da un punto di vista macroeconomico, privilegiare l'imposizione sugli scambi, rispetto a quella che grava direttamente sui fattori della produzione, rappresenta, di fatto, una «svalutazione fiscale», i cui effetti sono paragonabili a quelli della svalutazione monetaria: dal momento che l'imposta si paga sui prodotti importati, mentre è restituita all'esportazione;
    alcuni Paesi, come la Germania, hanno utilizzato questo strumento per rilanciare ulteriormente le esportazioni, com’è dimostrato dal forte attivo della loro bilancia commerciale, con la conseguenza di determinare asimmetrie che si riflettono negativamente sulla stessa efficacia della politica monetaria;
    il Consiglio e la Commissione europea si sono posti da tempo – Commissione COM (2007) 23 del 21 gennaio 2007 – il tema di una possibile armonizzazione tra i diversi regimi nazionali, al fine di regolare meglio gli scambi intracomunitari, specie nelle zone frontaliere, e ridurre gli oneri amministrativi che gravano sulle imprese a causa dell'eccesso di regolazione fiscale;
    successivamente – il 1o dicembre 2010 – la Commissione europea ha adottato un Libro verde sul futuro dell'IVA (COM (2010) 695) in cui si indicano le linee guide che dovrebbero essere seguite dagli Stati membri per dare a quell'imposta un'impronta effettivamente comunitaria;
    ancora più recentemente – (COM (2011) 851) – la Commissione europea ha fatto proprie le indicazioni contenute nel precedente Libro verde, al fine di ridurre il peso della frammentazione nazionale, rendere più uniformi le aliquote che gravano sui singoli beni, diminuire gli oneri amministrativi e gestionali che gravano sul contribuente, specie se si tratta di piccole e medie imprese, ridurre, infine, l'area dell'evasione fiscale, molto estesa in alcuni Paesi, ma in parte riconducibile alla farraginosità delle regole che sovraintendono la relativa regolamentazione;
    il Consiglio europeo con la raccomandazione del 29 maggio 2003 «sul programma nazionale di riforma 2013» inerente al «programma di stabilità dell'Italia 2012-2017», che ha posto fine alla procedura d'infrazione, ha invitato, tra l'altro, l'Italia a «trasferire il carico fiscale da lavoro e capitale a consumi, beni immobili e ambiente, assicurando la neutralità di bilancio»: proposizione che non sembra tener conto della specificità del caso italiano e della vasta platea degli «incapienti» che sosterrebbe il peso di un eventuale aumento dell'IVA – specie per i generi di prima necessità – senza alcuna contropartita in termini di riduzione del carico fiscale personale;
    lo stesso Consiglio europeo, tuttavia, in precedenza (2013/678/UE) aveva autorizzato l'Italia, in palese contraddizione con quanto richiamato in precedenza, a praticare un regime semplificato di imposizione – fino a determinare l'esenzione al di sotto di una determinata soglia (fatturato compreso tra 65 e 100 mila euro) – per le piccole imprese, anche alla luce del successivo Small business act for Europe (COM (2008) 394 del 25 giugno 2008),

impegna il Governo:

   a partecipare, in sede europea, con grande attenzione agli sviluppi che seguiranno i lavori in tema di armonizzazione del regime IVA, al fine di evitare l'insorgere di ulteriori disposizioni tra loro contraddittorie per quanto riguarda la complessiva situazione italiana e le relative politiche di bilancio, che non possono prescindere dalle nuove regole che l'Europa intende darsi nei vari capitoli della politica fiscale;
   a realizzare un sistema fiscale complessivo – e non limitato solo all'IVA – che tenda a convergere verso standard uniformi, limitando la concorrenza fiscale che determina distorsioni nell'allocazione delle risorse e fenomeni di localizzazione aziendale – l'ultimo caso è quello di Fiat Chrysler automobiles – in contrasto con le regole che dovrebbero presiedere alla realizzazione di «un'area monetaria ottimale» che rappresenta il presupposto stesso dell'esistenza dell'euro;
   a far valere le specificità del sistema produttivo italiano, caratterizzato - a differenza di altri sistemi economici - dalla prevalenza di piccole e medie imprese, rispetto alle quali è necessario introdurre sistemi semplificati di contabilizzazione e riscossione, con un taglio netto degli oneri burocratici che sono a supporto di questa attività;
   ad assumere iniziative per prevedere la possibilità di una maggiore responsabilizzazione delle professioni, quale elemento di certificazione della corretta applicazione della normativa, anche al fine di ridurre l'area d'evasione fiscale, semplificando i relativi adempimenti ed accentuando, semmai, i controlli ex post, coinvolgendo in essi gli stessi professionisti;
   ad assumere iniziative per rendere compensabili debiti e crediti d'imposta, quale elemento di semplificazione amministrativa, prevedendo, altresì, di estendere le possibilità della cosiddetta «IVA per cassa»;
   ad assumere iniziative per prevedere, nel rispetto dei vincoli di bilancio allentati dagli esiti della spending review, che resta la via maestra per una riduzione del carico fiscale complessivo, maggiori aree di esenzione a favore della piccola e media impresa, con effetti immediatamente positivi sulla crescita del prodotto interno lordo e conseguenti benefici per la stessa finanza pubblica;
   a adottare modelli standard per la dichiarazione IVA, come proposto dalla stessa Commissione europea, e meccanismi automatici di pagamento concordati preventivamente con l'Agenzia delle entrate, sulla base di una previsione triennale, con eventuale conguaglio a fine anno.
(1-00333) «Dorina Bianchi, Bernardo».


   La Camera,
   premesso che:
    l'originario spirito di solidarietà e mutualità una volta espresso dal sistema cooperativo è da tempo sempre più sacrificato alla logica del mercato, della competizione e del profitto, alla pari delle imprese di capitale e difatti non accennano a diminuire i fenomeni di sfruttamento del lavoro ad opera di alcune cooperative operanti nell'area industriale sul territorio nazionale;
    la cooperativa rappresenta, in molti casi, un paravento rispetto alla realtà, basata su retribuzioni inferiori ai minimi contrattuali, sulla riduzione delle tutele sociali, sulla precarietà del rapporto di lavoro, senza nessun diritto a partecipare alle decisioni e al capitale della cooperativa, con la sola possibilità di scegliere tra tale condizione e la disoccupazione;
    appare chiaro che in molti casi le cooperative di produzione e lavoro vengono costituite con l'obiettivo unico e solo, di aggirare le leggi e i contratti di lavoro, nella logica di ridurre i costi di produzione a scapito dei lavoratori impiegati; in particolare, questi lavoratori si trovano in una situazione economica particolarmente svantaggiata percependo retribuzioni che spesso non consentono neppure di mantenere una famiglia, dei figli e vivere in una relativa tranquillità. Lo stesso dicasi per la loro situazione assicurativa e previdenziale e le conseguenze sono insostenibili con particolare riferimento ai settori legati all'acquisizione e gestione di appalti e concessioni, settori dove si possono registrare, oltre all'estensione di un precariato diffuso, anche assenza di sicurezza e l'incremento di lavoro nero;
    l'attuale normativa, riconoscendo alle cooperative una funzione di carattere sociale, riserva loro particolari trattamenti e agevolazioni senza che, a fronte delle mutazioni in atto, vi sia un conseguente adeguamento nelle tutele e nella verifica delle effettive condizioni mutualistiche;
    basti pensare che la vigilanza sulle stesse cooperative se associate è affidata direttamente alle stesse Legacoop, AGGI, e Confcooperative;
    si assiste sovente, ad alcune situazioni poco chiare, come quelle legate a cooperative che dichiarano fallimento alla fine di ogni anno, per poi ricostituirsi cambiando denominazione e sede sociale;
    numerose risultano essere le sentenze di condanna da parte di giudici che, oltre ad accertare la natura subordinata del rapporto di lavoro del socio, rilevano molto spesso l'erronea qualificazione del contratto;
    tra gli aspetti più clamorosi risalta l'esclusione dell'applicazione a favore del socio lavoratore delle norme di tutela previste dallo Statuto dei lavoratori (legge n. 300/70) sul reintegro per licenziamento illegittimo e sull'applicazione dei diritti sindacali nonché la possibilità, da parte dei regolamenti interni, di modificare in peggio le norme previste dalla contrattazione collettiva e ciò comporta che le cooperative possano corrispondere ai soci lavoratori, trattamenti contrattuali e previdenziali non conformi alla contrattazione collettiva nazionale del settore affine,

impegna il Governo:

   ad adottare e sostenere ogni iniziativa normativa volta ad estendere ogni tutela ai lavoratori soci di cooperativa, nonché, più in generale, ad eliminare ogni disposizione che consenta l'esclusione dell'applicazione a favore del socio lavoratore di quanto previsto dallo statuto dei lavoratori;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza, anche normativa, affinché siano riconosciuti ai soci lavoratori di cooperativa i trattamenti previsti dalla contrattazione collettiva nazionale del settore affine, attraverso specifiche determinazioni da inserire ope legis negli statuti delle cooperative medesime;
   ad adottare le opportune iniziative volte a contrastare le forme di elusione delle ordinarie procedure relative ai licenziamenti dei soci lavoratori in cooperativa;
   a valutare l'adozione di opportune iniziative normative finalizzate a rendere «esclusivo» lo spirito mutualistico delle cooperative, anche attraverso la fissazione di stringenti parametri di proporzionalità tra il numero di soci ed il numero di beneficiari dell'attività mutualistica;
   a porre in essere tutte le possibili iniziative volte ad accertare, attraverso nuove forme di verifica, la genuinità delle imprese cooperative, ponendo competenze di intervento ed accertamento delle caratteristiche mutualistiche in capo ai competenti servizi territoriali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e non più del Ministero dello sviluppo economico adottando provvedimenti di commissariamento o scioglimento a fronte di palesi irregolarità ed estendendo tale attività di vigilanza e controllo anche nei confronti degli enti cooperativi aderenti alle associazioni nazionali di rappresentanza;
   ad agire sul piano della prevenzione e del contrasto dei fenomeni di peggioramento delle condizioni di lavoro dei soci lavoratori strettamente connesso con l'impiego negli appalti nei vari settori (dal sociale alla logistica), assumendo con iniziativa utile per equiparare il trattamento contrattuale di questi ultimi a quello riconosciuto ai lavoratori impiegati negli appalti come già riconosciuto per i lavoratori impiegati in regime di somministrazione e quindi prevedendo il diritto a un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore rispetto ai dipendenti di pari livello dell'utilizzatore/committente, a parità di mansioni svolte.
(1-00334) «Rostellato, Chimienti, Rizzetto, Baldassarre, Cominardi, Bechis, Tripiedi, Ciprini, Mucci, Prodani».


   La Camera,
   premesso che:
    le malattie cardiovascolari (CV) costituiscono la più frequente causa di morte nel mondo e la loro elevata e crescente prevalenza incide sulla salute pubblica, sulle risorse sanitarie ed economiche. Tali patologie sono state individuate come priorità sanitaria dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e non si è mancato, negli ultimi anni, di attivare programmi di monitoraggio e di fornire indicazioni atte a promuovere programmi di prevenzione. L'invecchiamento della popolazione, un incongruo stile di vita e l'aumentata sopravvivenza dopo eventi cardiaci acuti ne giustificano l'aumento di prevalenza negli ultimi anni e l'ulteriore incremento previsto nei prossimi decenni. Le maggiori malattie croniche non comunicabili (NCD) come le malattie cardiovascolari, sono responsabili del 70 per cento di disabilità e dell'85 per cento delle morti nel mondo;
    oltre che un problema umano di sofferenza e di morte, esse costituiscono un carico pesante di ordine economico, sempre meno sostenibile anche nei Paesi a più elevata copertura sanitaria. Il costo diretto (costi sanitari) e indiretto (perdita di giornate di lavoro) delle malattie cardiovascolari nell'Unione europea nel 2009 è stato superiore ai 200 miliardi di euro. Coloro che sopravvivono ad una forma acuta di cardiopatia divengono malati cronici con qualità della vita decisamente ridotta e con alto consumo di risorse assistenziali, nonché farmaceutiche, a carico del Servizio sanitario nazionale. I recenti dati Istat riportano che 1 italiano su 4 è affetto da malattie cardiache. Sono stati ampiamente studiati i fattori di rischio multiplo delle malattie cardiovascolari ed è stato riconosciuto che quelli ad oggi modificabili (per prevenzione o per intervento medico) ne sostengono oltre il 90 per cento del rischio globale. L'approccio terapeutico e diagnostico è, comunque, in costante evoluzione e grazie ai progressi raggiunti in campo scientifico e tecnologico, vengono immesse sul mercato nuove apparecchiature dotate di una maggiore capacità di risoluzione, vengono introdotti nuovi esami diagnostici che consentono cure più appropriate, vengono prodotti nuovi e sempre più efficaci farmaci e nuove terapie non farmacologiche;
    la fibrillazione atriale (F.A.), in particolare, è l'anomalia del ritmo cardiaco più diffusa tra le persone adulte: interessa l'1-1,5 per cento della popolazione U.S.A e dell'Europa Occidentale. La patologia provoca l'accelerazione o il rallentamento eccessivo della frequenza cardiaca di solito associate alla irregolarità del battito e colpisce più di nove milioni di persone solo fra Unione europea e Stati Uniti;
    il rischio di fibrillazione atriale aumenta con l'età, con un range di prevalenza tra lo 0,9 per cento ed il 2,5 per cento, degli adulti in tutto il mondo: 0,5 per cento nella fascia di età tra 50-59 anni, 1,8 nella fascia di età tra 60-69 anni, 4,8 per cento nella fascia di età tra 70-79 anni e 8,8 per cento nella fascia di età tra 80-89 anni. Una persona su quattro di più di 45 anni ne soffre. In Italia ne sono affette 850 mila persone;
    l’ictus cerebri è la terza causa più comune di morte e la principale causa di incapacità funzionale nei Paesi occidentali, colpendo per il 50 per cento soggetti di età inferiore ai 65 anni e per il 12 per cento soggetti al di sotto dei 45 anni e comporta per il paziente perdita di funzionalità, nonché un peggioramento della qualità della vita. Dati epidemiologici evidenziano che essa è responsabile dell'85 per cento degli ictus dovuti ad aritmie cardiache e di oltre il 50 per cento delle forme cardioemboliche;
    chi soffre di fibrillazione atriale ha un rischio di stroke 7 volte maggiore, con esiti particolarmente gravi: nel 20 per cento dei pazienti l’ictus si rivela fatale, nel 60 per cento è causa di disabilità; ogni anno, nel mondo, circa 3 milioni di persone vengono colpite da ictus come conseguenza di fibrillazione atriale e il 50 per cento muore entro il primo anno. L’ictus da fibrillazione atriale, inoltre, accresce i costi di ricovero ospedaliero di circa il 30 per rispetto a quelli di un ictus non provocato da un'aritmia cardiaca;
    nel nostro Paese sono 40.000 le persone che soffrono della combinazione delle due patologie: secondo recenti stime, il numero complessivo dei casi di fibrillazione atriale raddoppierà entro il 2050, una crescita del tasso d'incidenza che provocherà un incremento della probabilità di essere colpiti da un ictus, con conseguenti ripercussioni sia sulle condizioni di salute dell'intera collettività, sia sulla spesa sanitaria. A questa malattia è associato, inoltre, un aumento della demenza, dello scompenso cardiaco (di circa 3 volte) e della mortalità (di circa 2 volte);
    ad aggravare ulteriormente la complessità di questo scenario è anche la natura asintomatica della fibrillazione atriale, che contribuisce a ritardare una diagnosi tempestiva e finalizzata ad avviare un adeguato trattamento clinico. Le terapie per la fibrillazione atriale gravano sui bilanci dei Paesi europei per circa 6,2 miliardi di euro ogni anno, mentre in USA per 6,65 miliardi di dollari, ovvero circa 3.200 dollari a paziente;
    di questa spesa complessiva, il 52 per cento riguarda i ricoveri in ospedale, il 23 per cento i farmaci, il 9 per cento le visite mediche, l'8 per cento ulteriori esami, il 6 per cento la perdita di reddito da lavoro e il 2 per cento le procedure paramediche. Ciò che, quindi, impatta maggiormente in termini di costi, non è la terapia farmacologica ma i costi relativi al trattamento ospedaliero;
    nell’Health Technology Assessment report 2011 AIAC (Associazione italiana di aritmologia e cardiostimolazione) è stato stimato il costo annuale della fibrillazione atriale in Italia per il periodo 2007-2051. Assumendo come costo medio per paziente euro 3.225 all'anno in base ai dati di costo risultanti dalla Euro Heart Survey, si ha una previsione di costo per il Servizio sanitario italiano per il 2011 di euro 3.845.020.511 ed una stima negli anni futuri, in base all'andamento dell'epidemiologia, che arriverà a euro 7.096.000.000 nel 2051. In considerazione di tali dati, a seguito della crescente prevalenza della fibrillazione atriale, il Servizio sanitario italiano sarebbe dunque di fronte ad un incremento dei costi per il trattamento tradizionale di tale aritmia di circa 700 milioni di euro nel primo decennio, con un trend mediamente crescente, il cui incremento ammonta a circa 70-80 milioni di euro all'anno,

impegna il Governo:

   a favorire la definizione di un quadro normativo adeguato agli obiettivi da perseguire per una piena tutela dei pazienti affetti da fibrillazione atriale (FA);
   ad incentivare la prevenzione e la diagnosi della fibrillazione atriale e a favorire la realizzazione di percorsi terapeutici e di pratiche sanitarie ottimali nella gestione del paziente;
   a rendere organici e fruibili tutti i dati scientifici, medici e statistici sulla fibrillazione atriale;
   a sensibilizzare sia gli operatori sanitari che l'opinione pubblica sull'importanza della prevenzione della fibrillazione atriale attraverso uno stile di vita salubre, ricorrendo a campagne nazionali di sensibilizzazione e di informazione sulla fibrillazione atriale, indispensabili per prevenire e contrastare le malattie cardiovascolari;
   ad incentivare l'uso di dispositivi, sia diagnostici che terapeutici, per la cura e la prevenzione della fibrillazione atriale, dal momento che oggi il processo di innovazione tecnologica ha reso disponibile sul mercato dispositivi medici per la cura della fibrillazione atriale mediante tecnologie che permettono di effettuare l'ablazione transcatetere;
   ad assumere iniziative per prevedere facilitazioni per l'accesso ai farmaci che curano la fibrillazione atriale e ne facilitano la prevenzione e a stimolare la ricerca sui farmaci utili al trattamento della fibrillazione atriale, incentivando l'innovazione e la concorrenzialità dell'industria dei farmaci e dei dispositivi medici per fare in modo che i prodotti più innovativi possano accedere al mercato in modo rapido ed efficiente a vantaggio dei pazienti e degli operatori sanitari;
    a sostenere lo sviluppo della telemedicina in modo che si possa individuare e monitorare la presenza e il grado di severità della fibrillazione atriale attraverso sistemi di monitoraggio ECG (loop recorder esterno, loop recorder impiantabile, event recorder), che consentono la trasmissione a distanza dei parametri rilevati dal dispositivo stesso;
   ad inserire nel nomenclatore tariffario le prestazione fornite in telemedicina per il monitoraggio della fibrillazione atriale.
(1-00335) «Binetti, Vargiu, Monchiero, Gigli, Buttiglione, Cesa, Cera, Adornato, De Mita, Rossi, Fitzgerald Nissoli».


   La Camera,
   premesso che:
    sin dal novembre 2006, la Commissione europea ha proposto di varare un ambizioso programma d'azione per ridurre gli oneri amministrativi imputabili alla legislazione dell'Unione europea in vigore, individuando tra i settori prioritari quello riguardante la legislazione fiscale, in particolare quello relativo all'IVA;
    nella comunicazione «Legiferare con intelligenza nell'Unione europea - Rispondere alle esigenze delle piccole e medie imprese» dell'ottobre 2010 è stato evidenziato, grazie a un'indagine on line presso le piccole e medie imprese, il carattere particolarmente oneroso della direttiva IVA nell'ambito della normativa unionale. La dichiarazione IVA, in particolare, è indicata come il settore in cui le divergenze costituiscono un ostacolo al commercio nell'Unione europea. La gestione dell'IVA rappresenta quasi il 60 per cento dell'onere totale misurato per tredici settori prioritari e questa situazione diminuisce l'interesse degli investitori per l'Unione europea;
    il 1o dicembre 2010 la Commissione europea ha adottato un Libro verde sul futuro dell'IVA, in cui invitava tutte le parti interessate ad esaminare in modo critico gli aspetti del sistema europeo dell'IVA, in vigore ormai da oltre 40 anni;
    al termine della consultazione pubblica le parti interessate ritennero che la frammentazione del sistema comune dell'IVA dell'Unione europea nei ventisette sistemi nazionali dell'IVA rappresentasse l'ostacolo principale a scambi intraunionali efficienti, impedendo così ai cittadini di beneficiare dei vantaggi di un mercato unico autentico;
    il 6 dicembre 2011 la Commissione europea ha inviato al Parlamento europeo, al Consiglio ed al Comitato economico e sociale europeo una comunicazione sul futuro dell'IVA (COM (2011) 851), in cui sono delineate le principali linee di intervento su cui agire, al fine di realizzare un sistema dell'IVA più semplice, più efficace, più resistente ai fenomeni di frode e più adatto al mercato unico europeo;
    secondo quanto riportato nella «Valutazione retrospettiva degli elementi del sistema dell'IVA», una riduzione del 10 per cento nella diversità delle procedure amministrative generali dell'IVA tra i Paesi potrebbe tradursi in un incremento del 3,7 per cento degli scambi all'interno dell'Unione europea, con un aumento del prodotto interno lordo reale e dei consumi rispettivamente dello 0,4 per cento e dello 0,3 per cento;
    sarebbero circa 29,8 milioni le imprese che compilano dichiarazioni IVA nell'Unione europea. Di queste, circa 3,8 milioni presentano dichiarazioni in più di uno Stato membro, con un costo circa 2-3 volte superiore a quello delle dichiarazioni IVA sul mercato interno, che è equivalente a 4 miliardi di euro;
    uno studio della Commissione europea ha quantificato la differenza tra le entrate IVA effettivamente riscosse e quelle che gli Stati membri dovrebbero in teoria percepire sulla base delle rispettive economie. Per l'Italia tale divario ammonta a 36 miliardi di euro, più di Francia (32), Germania (26,9) e Regno Unito (19), una differenza che è riconducibile a fenomeni di evasione e frode fiscale realizzate negli scambi commerciali intraunione;
    il 23 ottobre 2013 la Commissione europea ha depositato la proposta di direttiva recante modifica della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto per quanto riguarda una dichiarazione IVA standard,

impegna il Governo:

   ad adoperarsi sollecitamente presso le istituzioni comunitarie affinché:
    a) si esaminino in tempi rapidi la proposta di direttiva COM (2013) 721, riguardante il nuovo modello di dichiarazione IVA standard, al fine di favorire la definizione dello strumento legislativo;
    b) si proceda ad un'armonizzazione delle aliquote IVA per impedire che il divario delle aliquote, oltre a determinare maggiori oneri per le imprese e diminuire l'interesse degli investitori per l'Unione europea, possa favorire fenomeni di evasione e frode;
   a procedere con maggiore impulso nell'attività di cooperazione al network Eurofisc per lo scambio di informazioni tra autorità fiscali e doganali per contrastare efficacemente le frodi fiscali in materia di IVA;
   a favorire la realizzazione del portale web dell'Unione europea sull'IVA, impegnandosi, altresì, a fornire le informazioni necessarie e ad aggiornarle tempestivamente;
   a partecipare attivamente al forum tripartito (Commissione europea, Stati membri, parti interessate), fortemente voluto ed istituito per scambiare opinioni su questioni pratiche legate all'applicazione dell'IVA e per individuare le migliori pratiche atte a semplificarne il sistema;
   a procedere ad un riesame complessivo della struttura delle aliquote IVA, anche alla luce degli aumenti che si sono recentemente registrati, secondo i principi guida contenuti nel Libro verde e nella comunicazione COM (2011) 851.
(1-00336) «Buttiglione, Fauttilli, Schirò, De Mita, Rossi, Caruso, Sberna, Gigli, Marazziti, Fitzgerald Nissoli, Binetti».


   La Camera,
   premesso che:
    la crisi finanziaria e del debito sovrano che ha colpito il continente europeo negli ultimi anni ha fatto emergere prepotentemente l'esigenza di rafforzare il processo di integrazione europea, con particolare riferimento alla governance economica e al perseguimento degli obiettivi di crescita, occupazione, coesione sociale e sostenibilità sottesi alla «Strategia Europa 2020»;
    i progressi che sono stati recentemente compiuti sul piano del coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri, del potenziamento degli strumenti finanziari e dell'operatività della Banca centrale europea e, da ultimo, sul versante dell'unione bancaria, devono poter essere inquadrati in un disegno più ampio di riforma dell'Unione europea, per la realizzazione del quale è indispensabile accrescere la legittimità democratica dei suoi processi decisionali, anche attraverso il rafforzamento del ruolo chiave dei partiti politici europei nella formazione di una coscienza politica europea e nella rappresentanza della volontà politica dei cittadini dell'Unione europea;
    in questo quadro, le elezioni europee che si terranno nel mese di maggio 2014 rivestono una rilevanza fondamentale ai fini del rafforzamento del processo di integrazione su basi democratiche, poiché esse saranno le prime dopo l'entrata in vigore del trattato di Lisbona, che accresce notevolmente i poteri del Parlamento europeo, il quale per la prima volta eleggerà il Presidente della Commissione europea, su proposta del Consiglio europeo, il quale dovrà tenere conto dell'esito delle elezioni e aver consultato il nuovo Parlamento prima di procedere alla nomina;
    per rendere effettiva la legittimazione democratica del processo decisionale dell'Unione europea è essenziale che i cittadini chiamati a rinnovare il prossimo Parlamento europeo siano messi in grado di valutare compiutamente i programmi dei diversi partiti politici collocandoli entro la dimensione politica europea, evitando, pertanto, che le campagne elettorali continuino ad essere focalizzate prevalentemente su tematiche nazionali, relegando in secondo piano il dibattito sulle questioni specificamente europee e incidendo in tal modo negativamente anche sul tasso di partecipazione alle elezioni del Parlamento europeo;
    al fine di favorire la partecipazione e l'espressione di un voto consapevole dei cittadini dell'Unione europea, che tenga conto anche delle affinità identitarie, dei raccordi e delle affiliazioni intercorrenti tra i partiti politici nazionali e le grandi formazioni politiche europee, sia la Commissione europea, con raccomandazione del 12 marzo 2013, sia lo stesso Parlamento europeo, con risoluzione approvata nella seduta plenaria del 4 luglio 2013, hanno esortato gli Stati membri a promuovere e semplificare l'informazione degli elettori circa i collegamenti tra partiti nazionali e partiti politici europei;
    in particolare, la Commissione europea ha raccomandato agli Stati membri la diffusione all'elettorato delle informazioni sui collegamenti tra partiti nazionali e partiti politici europei, prima e durante le elezioni del Parlamento europeo, anche permettendo e incoraggiando l'indicazione di tali collegamenti sulle schede elettorali e auspicando, altresì, che i partiti politici europei e nazionali rendano «noti, prima delle elezioni del Parlamento europeo, i rispettivi candidati alla carica di presidente della Commissione europea e i relativi programmi»;
    analogamente, il Parlamento europeo si è espresso, tra l'altro, nel senso di esortare «gli Stati membri e i partiti politici a provvedere a che i nomi e, se del caso, i simboli dei partiti politici europei appaiano sulla scheda elettorale»; ha, inoltre, chiesto ai partiti politici europei di nominare i rispettivi candidati alla presidenza della Commissione europea con sufficiente anticipo rispetto alle elezioni, in modo da consentire ai medesimi di organizzare una campagna significativa su scala europea che si concentri su questioni europee basate sul programma del partito e su quello del candidato alla presidenza della Commissione europea proposto dal partito; ha, infine, ribadito l'invito ai «partiti politici nazionali a informare i cittadini, prima e durante la campagna elettorale, in merito alla loro affiliazione a un partito politico europeo e al loro sostegno al candidato di quest'ultimo alla presidenza della Commissione e al programma politico di tale candidato»,

impegna il Governo

ad adottare tempestivamente ogni iniziativa utile affinché, in coerenza con le raccomandazioni europee illustrate in premessa, nelle schede elettorali per le prossime elezioni europee siano indicati i nomi e, se del caso, anche i simboli dei partiti politici europei affiliati a ciascun partito nazionale che si presenti alle elezioni, nonché a promuovere campagne informative circa la rilevanza delle elezioni europee volte a incentivare la partecipazione dei cittadini al voto.
(1-00337) «Dorina Bianchi».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni II e XII,
   premesso che:
    l'articolo 3, comma 1, lettere c) e d), del recente decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 146, reca misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria e contiene disposizioni concernenti l'estensione temporale a quattro anni della misura dell'affidamento in prova al servizio sociale;  
    l'articolo 4 del suddetto decreto contiene disposizioni concernenti l'introduzione della misura della liberazione anticipata speciale;
    con circolare n. 3645/6095 dell'11 giugno 2013 il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha stabilito le regole del «nuovo» contratto di convenzione tra gli istituti dell'amministrazione penitenziaria e gli esperti di psicologia e criminologia clinica prevedendo – tra l'altro – la durata di un anno dell'incarico non rinnovabile per più di quattro anni dalla data della sua sottoscrizione;
    nella predetta circolare l'amministrazione sottolinea «l'utile apporto sinergico degli esperti in parola» la cui collaborazione capillare soprattutto nel front office istituzionale si connota quale sostegno o verifica costante del comportamento dei detenuti o internati;
    la figura dell'esperto psicologo, prevista dall'articolo 80 della legge n. 354 del 1975, rappresenta un tassello fondamentale nel trattamento e nell'osservazione comportamentale del detenuto; l'esperto psicologo è il fulcro per la realizzazione degli obiettivi delineati dall'articolo 27 della Costituzione in tema di rieducazione del condannato e del diritto fondamentale alla salute del detenuto;
    l'esperto psicologo – in base alla normativa vigente – è coinvolto – in maniera primaria – nell'ambito delle attività di osservazione comportamentale del detenuto, nelle procedure di valutazione per l'ammissione alle misure alternative alla detenzione e a tutti i benefìci premiali penitenziari dei detenuti, nell'ambito degli uffici di esecuzione penale esterna (cosiddetti UEPE) per lo svolgimento delle attività di osservazione nei confronti di soggetti libero-sospesi, nonché nelle attività trattamentali nei confronti delle persone in misura alternativa, nelle procedure di osservazione psicologica svolgendo la valutazione psicologica di tutti i nuovi ingressi (nuovi giunti);
    a ciò si aggiunga che recentemente il Governo anche con il decreto-legge 1o luglio 2013, n. 78, approvato dal Senato della Repubblica il 24 luglio 2013, all'articolo 4, comma 1, lettera b-bis), ha previsto, tra i compiti del commissario straordinario per le infrastrutture carcerarie, il «mantenimento e promozione delle piccole strutture carcerarie idonee all'istituzione di percorsi di esecuzione della pena differenziati su base regionale e all'implementazione di quei trattamenti individualizzati indispensabili per la rieducazione e il futuro reinserimento sociale del detenuto»;
    tali provvedimenti normativi sono segno evidente della volontà del legislatore di considerare – in maniera forte – l'importanza della rieducazione e inserimento sociale del detenuto e del trattamento rieducativo anche intramurario dello stesso quale strumento per realizzare gli obiettivi della Carta costituzionale (articolo 27 della Costituzione) e per dare una risposta anche al gravissimo problema del sovraffollamento delle carceri e dei suicidi dei detenuti che nelle carceri italiane hanno raggiunto livelli preoccupanti;
    essenziale è dunque la figura dell'esperto psicologo e criminologo ex articolo 80 ordinamento penitenziario anche quale figura di mediazione tra il detenuto e il personale di polizia penitenziaria nonché quale «ausiliario» del tribunale e del magistrato di sorveglianza per la concessione di tutti i provvedimenti attinenti le misura alternative e di lavoro all'esterno;
    i recenti provvedimenti normativi hanno aumentato sensibilmente il carico di lavoro per il suddetto personale che già oggi soffre la incertezza e la precarietà lavorativa;
    tale volontà legislativa tuttavia deve corrispondere un uguale risposta in termini di dotazione di risorse finanziarie e di personale;
    infatti, proprio gli esperti psicologi – figure cardine per il trattamento, l'osservazione, il sostegno psicologico, la prevenzione del rischio auto lesivo e suicidano del detenuto, nonché nelle procedure di ammissione alle misure alternative e a tutti i benefici premiali penitenziari – oggi vengono confinati in una posizione di incertezza professionale e instabilità lavorativa;
    l'esperto psicologo è soggetto a un monte ore che può arrivare a 64 ore mensili ma nei fatti non supererebbe le 20 ore mensili, svolge l'attività lavorativa in giorni feriali, festivi o notturni (senza alcuna maggiorazione retributiva), non è coperto da rischio professionale, maternità e altro, è privo di qualsiasi strutturazione del servizio fornito ai detenuti, e infine deve sopportare un carico di lavoro (per rapporto tra numero detenuti e numero degli esperti) non tollerabile;
    da ultimo la circolare del Dipartimento amministrazione penitenziaria n. 3645/6095 dell'11 giugno 2013 ha stabilito che l'incarico degli esperti in psicologia e criminologia clinica ha la durata di un anno non rinnovabile per più di quattro anni dalla data della sua sottoscrizione con l'effetto di escludere e «tagliare fuori» numerosissimi esperti psicologi e criminologi qualificati e con una esperienza straordinaria anche ventennale nel settore e che – esauriti quattro anni – non vedranno più rinnovarsi l'incarico e che comunque già oggi non hanno ottenuto il rinnovo dell'incarico perché la suddetta circolare non ha riconosciuto loro – quali titolo utile – l'esperienza e professionalità già maturata;
    è necessario valorizzare e riconoscere la professionalità maturata di tutti gli esperti psicologi e criminologi ex articolo 80 ordinamento penitenziario che vengono quotidianamente coinvolti nelle procedure di valutazione del detenuto in funzione del perseguimento degli obiettivi di rieducazione e cura previsti dalla legge e dalla normativa europea,

impegnano il Governo:

   ad intervenire con idonee iniziative normative al fine di assicurare la continuità lavorativa degli esperti psicologi e criminologi ex articolo 80 dell'ordinamento penitenziario riconoscendone la professionalità e l'esperienza maturata;
   a prorogare le convenzioni stipulate nel 2013 con gli esperti psicologi e criminologi al fine di realizzare in maniera adeguata gli obiettivi previsti dall'articolo 27 della Costituzione in tema di rieducazione del detenuto e così come previsto dalla recente normativa anche europea;
   ad adottare ogni iniziativa normativa – anche in termini di disciplina del rapporto di lavoro e/o di investimento di maggiori risorse finanziarie – idonea a valorizzare e riconoscere l'esperienza, la professionalità, il ruolo e l'apporto degli esperti psicologi e criminologi anche in funzione della realizzazione degli obiettivi previsti dall'articolo 27 della Carta costituzionale in tema di rieducazione e salute del detenuto così come previsto dalla legislazione vigente, dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e dalla normativa europea.
(7-00257) «Businarolo, Grillo, Ciprini».


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    i recenti accadimenti alluvionali hanno riportato al centro dell'attenzione il tema della sicurezza idrogeologica che, in Veneto, per caratteristiche geomorfologiche, necessita di particolare attenzione. Alcune aree del territorio veneto, in particolare parti significative della fascia costiera veneziana, il delta del fiume Po e un ampio settore del suo entroterra, sono interessati da fenomeni di subsidenza, i cui effetti hanno ricadute sull'assetto idraulico, geologico e di tutela del territorio e risulta, quindi, necessario mettere in atto ogni azione che possa limitare tali fenomeni irreversibili;
    in nome del principio di precauzione va anteposta la sicurezza e la tutela di un territorio fragile, in difficile equilibrio e già pesantemente sfruttato e compromesso, ad ogni possibile interesse economico derivante dall'estrazione degli idrocarburi dal sottosuolo, anche perché gli introiti sarebbero in ogni caso incommensurabilmente inferiori a quanto necessario per ulteriori interventi sulle opere di difesa a mare e per la messa in sicurezza del bacino idrografico del Po e dell'Adige. Senza contare il rischio a cui verrebbero sottoposti non solo centri urbani, ma anche beni storico-artistici, monumentali ed ambientali disposti lungo il corso dei fiumi e lungo le coste;
    la fascia padana in generale e nello specifico l'area al largo delle coste venete (Alto Adriatico) è notoriamente ricca di idrocarburi;
    dagli anni Trenta e soprattutto negli anni Quaranta e Cinquanta del secolo scorso, fino alla sospensione decisa dal Governo nazionale nel 1961, furono estratti nel territorio del Delta del Po miliardi di metri cubi di metano e gas naturali, contribuendo ad aggravare notevolmente il fenomeno della subsidenza, che determina un progressivo abbassamento del suolo;
    la subsidenza «antropica», derivata all'estrazione del gas metano, ha contribuito ad aggravare notevolmente la situazione idrogeologica di un territorio, il Polesine – l'attuale provincia di Rovigo – che nel 1951 è stato colpito da una rovinosa alluvione;
    nel periodo 1951-1960 è stimato che gli abbassamenti del suolo raggiunsero i 2 metri, ma le conseguenze del fenomeno non si sono fermate con l'interruzione delle estrazioni e, fino al 1980, gli abbassamenti hanno raggiunto e superato i 3 metri. Studi recenti effettuati dall'università di Padova hanno dimostrato una «coda» della subsidenza nel periodo 1983-2008, che ha raggiunto i 50 cm nella zona meridionale del Delta del Po, al confine tra Veneto ed Emilia Romagna;
    in questa stessa zona, a ridosso delle coste polesane, è attualmente presente un rigassificatore e l'impatto sul territorio di questa recente struttura si somma alla presenza trentennale della centrale Enel di Porto Tolle, situata nell'estremo Delta del Po: un impatto ambientale che deve fare i conti con l'equilibrio di un delicato ecosistema e con le previsioni, avanzate da più parti, di un progressivo innalzamento del livello del mare, destinato ad interessare nei prossimi anni anche il territorio deltizio;
    buona parte del territorio polesano deltizio è area protetta in quanto già parco regionale veneto del Delta del Po;
    rispetto al fenomeno della subsidenza, cronicità di questa porzione costiera d'Italia, si sono registrati nel tempo attenzione e sensibilità di vari Governo, che hanno adottato politiche di tutela del territorio e determinato anche significativi interventi pubblici;
    numerosi provvedimenti legislativi regionali e nazionali hanno allontanato dalla costa il pericolo della subsidenza indotto dalle estrazioni a mare, a maggior ragione le estrazioni a terra contrasterebbero con i concetti tecnici che costituiscono presupposto della normativa citata, e quindi non possono ritenersi ammissibili nell'entroterra delle suddette zone di mare nelle quali è posto il divieto in questione;
    è urgente la necessità di tutelare il territorio della pianura così come quello lagunare e costiero dal rischio di subsidenza e quindi anche dai conseguenti pericoli di eventi alluvionali, di erosione dei litorali, dell'aumento di forze distruttive delle onde, della risalita del cuneo salino, che invece risultano favoriti dalle attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi;
    l'area del permesso di ricerca intestata a AleAnna Resources, LLC, interessa alvei, invasi e corsi d'acqua tutelati; zone soggette a dissesto idrogeologico, zone esondabili o a ristagno idrico, zone di riconosciuta fragilità ambientale, zone a rischio di incidente rilevante, zone sottoposte a continua attività di bonifica anche mediante opere e manufatti idrovori, complessi archeologici (siti e monumenti) ufficialmente riconosciuti, edifici di pregio architettonico, ville venete, centri storici; aree naturali protette; aree SIC-ZPS;
    in data 25 gennaio 2011, il consiglio regionale del Veneto ha già approvato una proposta di legge statale, da trasmettere al Parlamento nazionale, denominata «Interventi di tutela dal fenomeno della subsidenza dei territorio delle province di Padova, Rovigo e Venezia», primo firmatario il consigliere regionale Graziano Azzalin, che ha già illustrato il testo in Commissione ambiente;
    la vicenda della subsidenza e dei rischi derivanti dalla ricerca di idrocarburi è da tempo ormai posta all'attenzione della commissione VIA della regione Veneto;
    appare necessario un ruolo attivo del Governo nazionale per monitorare i fenomeni della subsidenza, dell'erosione delle coste, dell'impatto ambientale di strutture già esistenti – impatto particolarmente rilevante nel Delta del Po, come si è accennato – e del progressivo innalzamento del livello del mare, nonché per mettere in atto strategie complessive finalizzate alla tutela della specificità del territorio del Delta del Po, che partano dal pronto coinvolgimento di tutti gli attori locali e da una rinnovata elaborazione di carattere generale rispetto alla valenza nazionale dei problemi in essere e delle questioni che qui sono state richiamate,

impegna il Governo:

   a tener conto, per le ragioni di cui sopra, della specificità del territorio dell'Alto Adriatico, con particolare riferimento alla costa polesana e quella veneziana, al Delta del Po e all'entroterra padovano e veneziano prossimo all'area polesana, e della necessità di un intervento rispetto ai fenomeni della subsidenza, a dell'erosione delle coste e ai rischi derivanti dall'innalzamento progressivo del livello del mare;
   a istituire e a convocare, per quanto di competenza un tavolo di coordinamento con la regione Veneto, l'Ente parco regionale Veneto Delta del Po, le istituzioni locali dei comuni del rodigino, del veneziano e del padovano interessati da tale fenomeno, e le forze sociali del territorio, rispetto ai temi richiamati e alle possibili strategie da mettere in campo;
   a verificare la possibilità di adottare ulteriori iniziative normative volte a modificare l'articolo 6 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 «Norme in materia ambientale», al fine di vietare le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi, di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9, nel territorio delle province di Padova, Rovigo e Venezia anche relativamente ai procedimenti in corso.
(7-00256) «Moretto, Crivellari, Mariastella Bianchi».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CARRA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 74 del 6 giugno 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 1o agosto 2012, stabilisce l'entità delle risorse finanziarie, stanziate dallo Stato per gli anni 2012, 2013 e 2014, da destinare alla ricostruzione di strutture ed infrastrutture pubbliche danneggiate dal terremoto che ha colpito alcuni territori dell'Emilia Romagna, della Lombardia e del Veneto nel maggio del 2012;
   il sopracitato decreto stabilisce, inoltre, le modalità per addivenire alla ripartizione di quei fondi tra le tre gestioni commissariali;
   per quanto riguarda il territorio lombardo, ovvero per la provincia di Mantova, i fondi destinati per l'anno 2013 ammontano a circa 37 milioni di euro;
   è opportuno ricordare che quei fondi sono fondamentali per garantire la ricostruzione, ancorché parziale, di scuole, municipi, chiese ed altro dei comuni ricompresi nel «cratere»;
    ad oggi, nonostante i lodevoli impegni verbali che il Governo si è assunto in diverse circostanze circa la rapida erogazione di questi fondi, nulla è accaduto;
   quanto evidenziato in precedenza alimenta una comprensibile insofferenza e sfiducia nei confronti dello Stato da parte degli amministratori locali e delle comunità colpite dal terremoto –:
   se il Presidente del Consiglio intenda dare rapidamente attuazione a quanto stabilito dal decreto-legge n. 74 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2012, attraverso l'erogazione del contributo per la ricostruzione che ammonta a circa 37 milioni di euro.
(5-02089)


   MURER. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'11 ottobre 2013 il Senato della Repubblica ha approvato, in via definitiva, la legge 15 ottobre 2013, n. 119 di conversione del decreto 14 agosto 2013, n. 93, approvato due giorni prima anche alla Camera dei deputati, recante nuove «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere;
   la nuova normativa, sulla base delle indicazioni provenienti dalla convenzione del Consiglio d'Europa, fatta ad Istanbul l'11 maggio 2011, concernente la lotta contro la violenza sulle donne mira a rendere più incisivi gli strumenti del contrasto dei fenomeni di maltrattamenti, violenza e di atti persecutori;
   con la legge si è provveduto a varare un percorso per un nuovo piano straordinario di protezione delle vittime di violenza sessuale e di genere che prevede azioni di intervento multidisciplinari, a carattere trasversale, per prevenire il fenomeno, potenziare i centri antiviolenza e i servizi di assistenza, formare gli operatori;
   con la legge sono state stanziate risorse (10 milioni di euro per il 2013, sette per il 2014 e dieci a partire dal 2015) per centri anti-violenza e case-rifugio, al fine di sostenerne l'azione che viene ritenuta fondamentale per una politica efficace contro femminicidio e violenza;
   la legge prevede anche lo stanziamento di 10 milioni di euro per un piano anti-violenza elaborato dal dipartimento per le pari opportunità, che avrà come obiettivo l'informazione e la prevenzione della violenza contro le donne, la promozione dell'uguaglianza di genere nelle scuole, la sensibilizzazione della stampa su come trattare l'argomento, la formazione di operatori in grado di aiutare le persone che hanno subito stalking e maltrattamento e il recupero degli autori delle violenze –:
   a che punto sia la procedura di ripartizione dei fondi per centri antiviolenza e case rifugio, e se esista un piano che fissi fin da ora quantità, caratteristiche, localizzazioni degli interventi previsti dalla normativa stessa, di cui al finanziamenti indicati nel decreto-legge;
   in che tempi e con quali modalità il Governo intenda pervenire all'adozione del piano nazionale antiviolenza previsto dalla normativa di cui in premessa. (5-02090)

Interrogazione a risposta scritta:


   GIOVANNA SANNA e MARIANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dell'alluvione che ha colpito la Sardegna il 18 novembre 2013 si sono determinati ingenti danni alle infrastrutture viarie e ai ponti di quei territori. In quella circostanza fra i tanti è crollato anche il ponte sul Rio Loddone, che ha di fatto isolato, rispetto all'essenziale collegamento con Olbia, i comuni di Loiri – Porto S. Paolo, Padru, Berchideddu, Alà dei Sardi e Buddusò;
   numerose sono state le segnalazioni e le richieste di intervento urgente da parte dei sindaci dei citati comuni ai vertici dell'ANAS e della Protezione civile, ma a tutt'oggi l'isolamento non è finito;
   la strada provinciale 24 nel tratto Olbia-Loiri è l'unica via di collegamento con il porto e l'aeroporto di Olbia, sia per i comuni citati che per altri centri limitrofi del nuorese;
   ai notevoli disagi che le popolazioni di questi territori hanno subito a seguito dell'alluvione si aggiunge anche quello di dover tuttora affrontare quotidianamente un percorso notevolmente più lungo e tortuoso per raggiungere Olbia –:
   quali tempi prevede il ministro interrogato per la ricostruzione del ponte sul Rio Loddone;
   per quando sia previsto l'avvio dei lavori per la realizzazione di una bretella provvisoria per collegare Olbia ai predetti comuni, soluzione prospettata un mese fa dal responsabile ANAS Sardegna;
   se sia stata già firmata l'ordinanza che conferisce al presidente ANAS l'incarico di commissario della Protezione civile per la ricostruzione in Sardegna, al fine di accelerare i lavori di ricostruzione.
(4-03498)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta scritta:


   PORTA, LA MARCA, GIANNI FARINA, FEDI e GARAVINI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   sono più di dieci anni che lo Stato italiano ha sospeso i negoziati con i Paesi di emigrazione italiana per la stipula e il rinnovo delle convenzioni bilaterali di sicurezza sociale;
   l'attuale accordo bilaterale di sicurezza sociale tra Italia e Argentina è in vigore dal 1° gennaio 1984 e cioè da ben 30 anni;
   l'accordo (o convenzione) ha garantito, in materia di sicurezza sociale la parità di trattamento dei lavoratori che si spostavano da un Paese all'altro, l'esportabilità delle prestazioni previdenziali e soprattutto la totalizzazione dei contributi ai fini del perfezionamento dei requisiti contributivi minimi previsti dalle varie legislazioni per la maturazione di un diritto a prestazione;
   sono oltre 50.000 le pensioni Inps pagate in Argentina a fronte di una popolazione di «oriundi» di circa 15.000.000 di persone e di 400.000 cittadini italiani residenti nel Paese sud americano;
   purtroppo, come molti altri accordi in materia previdenziale stipulati dall'Italia, si tratta di un accordo oramai evidentemente obsoleto nello spirito, nei contenuti e nella forma che non può più tutelare adeguatamente diritti e interessi o doveri degli attuali e soprattutto dei futuri pensionati italiani e argentini perché non è stato adeguato alle evoluzioni e agli aggiornamenti, talvolta radicali, delle legislazioni e dei sistemi previdenziali dei due Paesi contraenti;
   l'accordo con l'Argentina infatti non prevede, e quindi disciplina, nel suo campo di applicazione oggettivo il nuovo sistema contributivo introdotto in Italia (il calcolo della pensione teorica e del relativo pro-rata sono regolamentati esplicitamente con il metodo retributivo), ma soprattutto, in un periodo caratterizzato dalla ripresa di fenomeni migratori anche di nuovi soggetti professionali, non contempla nel proprio campo di applicazione soggettivo i liberi professionisti e i dipendenti pubblici italiani i quali quando si spostano dall'Italia in Argentina, o viceversa, sono esclusi da ogni forma di tutela previdenziale convenzionale (una intollerabile disparità di trattamento con i dipendenti privati che è stata invece da tempo colmata dai regolamenti comunitari di sicurezza sociale);
   è bene quindi essere consapevoli che le convenzioni bilaterali di sicurezza sociale non devono tutelare solo la vecchia emigrazione: stanno emergendo, infatti, moderne figure di nuovi migranti italiani, come i ricercatori, i piccoli imprenditori, gli artigiani, gli insegnanti, gli studenti, i lavoratori al seguito delle imprese, i tanti giovani che si recano a lavorare all'estero, anche per lunghi periodi, dove versano i contribuii e pagano le tasse, e i quali rischiano poi, a causa delle convenzioni oramai obsolete, di non essere adeguatamente tutelati negli ambiti previdenziale, fiscale e sanitario;
   le trattative per il rinnovo dell'accordo italo-argentino di sicurezza sociale durano oramai da molti anni con alterne vicende, ad avviso degli interroganti, anche per la mancanza di volontà politica dei Governi che si sono succeduti, preoccupati più che altro di «risparmiare» riducendo la presenza, gli interventi e la politica dello Stato italiano a favore del mondo dell'emigrazione;
   il nuovo accordo introdurrebbe importanti e positive modifiche e integrazioni a favore di lavoratori e pensionati, come ad esempio: l'estensione del campo di applicazione ai dipendenti pubblici e ai liberi professionisti, attualmente esclusi dall'accordo; il ricorso all'autocertificazione per tutta una serie di documenti di cui si potranno avvalere anche gli italiani i quali hanno acquisito la cittadinanza argentina; la previsione formale della possibilità di esercitare nuovamente la facoltà di opzione tra pensione autonoma argentina e pro-rata italiano; una norma che prevede la possibilità per i lavoratori italiani i quali si impieghino in Argentina presso imprese o datori di lavoro che versano i contributi sociali in Italia, di versare e vedersi accreditati i contributi nell’ assicurazione obbligatoria italiana, in modo tale da costituirsi una posizione assicurativa italiana che possa garantire loro importanti diritti previdenziali; la copertura relativa all'indennità di disoccupazione, prestazione attualmente esclusa dall'accordo; l'applicabilità dell'accordo anche ai regimi di previdenza integrativa a capitalizzazione individuale sia per quanto riguarda l'Italia che l'Argentina –:
   nel rispetto delle esigenze di controllo della spesa pubblica e degli attuali vincoli di natura finanziaria, quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare per garantire la revisione dell'accordo in materia di sicurezza sociale con l'Argentina visto che essa non comporterebbe spese aggiuntive onerose in quanto trattasi di rinnovare un accordo già in vigore e che le previste novità normative convenzionali arrecherebbero un beneficio alle istituzioni e ai soggetti interessati, e consentirebbero allo Stato italiano di esercitare meglio una doverosa tutela delle nuove migrazioni ma anche dei diritti socio-previdenziali di una parte non marginale della comunità italiana in Argentina, costituita da anziani che spesso vivono in realtà dove i sistemi di protezione sociale non assicurano livelli di tutela adeguati. (4-03503)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARZANA, GRILLO, DAGA, TERZONI, ZOLEZZI, LOREFICE, DI VITA, CANCELLERI, VILLAROSA, LUPO, BUSTO, RIZZO, CURRÒ e DI BENEDETTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la tutela dell'ambiente è riconosciuta dal secondo comma dell'articolo 9 della Costituzione, secondo cui la Repubblica «tutela il paesaggio», mentre la disciplina contenuta nell'articolo 32 della Costituzione tutela la salute come diritto fondamentale dell'individuo e della collettività;
   nonostante queste tutele, la gestione dei rifiuti in Sicilia è diventata un'emergenza infinita, ma anche la situazione delle discariche dismesse è preoccupante, proprio a causa della grande quantità di rifiuti convogliati nel corso degli armi, spesso in assenza di adeguata protezione e controllo;
   orbene, nel comune di Noto (SR), in contrada Bommiscuro, in territorio contiguo al Comune di Rosolini (SR), ad una quota di 80 metri sul livello del mare, con una pendenza di 6 gradi circa, con inclinazione verso la Saia Baroni, normalmente utilizzata per fini irrigui, è ubicata una discarica dove sarebbero stati sversati, ed illecitamente interrati, rifiuti speciali altamente tossici e nocivi per la salute pubblica, declassati in rifiuti ordinari, provenienti anche dalla zona industriale del petrolchimico di Priolo-Melilli-Augusta;
   la base della discarica presenta un'alta permeabilità per fessurazione poiché risulta impostata su di un terreno marnoso con strati calcarei molto fratturati, costituenti il tetto della falda; l'area della predetta discarica risultava gestita e di proprietà della ditta BODEIN srl, allo stato in fallimento, la cui gestione a far data dal 3 agosto 1995, è passata alla ditta SBI, Smaltimento bonifiche industriali srl;
   in data 18 settembre 1992 viene disposto il sequestro della discarica e i periti d'ufficio nominati dal pubblico ministero della procura della Repubblica presso la Pretura Circondariale di Siracusa (procedimento penale n. 9116/92), nella perizia da loro redatta, evidenziavano: «Lo stato dei luoghi (...) è sicuramente difforme dalle condizioni di progetto (...). Infatti l'area interessata allo smaltimento dei rifiuti presenta: una quota di gran lunga superiore (...) con quanto progettato dalla stessa BODEIN sin dal 1986; un sistema di intercettazione delle acque “defluenti” dal corpo della discarica assolutamente non idoneo (...) la presenza di evidenti fenomeni di ruscellamento con conseguente spandimento di materiale della discarica sia in direzione del varco di accesso, sia nel vicino uliveto. La tecnica di smaltimento adottata per la posa dei rifiuti (...) sicuramente difforme (...)»; per quanto attiene ai volumi di rifiuti presenti in discarica: «Il valore totale stimato è (...) superiore alla capacità autorizzata»;
   nel triennio 2000/2002 a seguito del riscontro di un alto tasso di mortalità causata da tumori nella popolazione del comune di Rosolini, presumibilmente riconducibile all'inquinamento delle falde acquifere della Saia Baroni utilizzata per l'agricoltura, dai reflui provenienti dalla discarica in questione, il sindaco di Rosolini, pro tempore, con delibera della giunta comunale n. 316/2 e successiva integrazione istituì una «Commissione di studio per indagine sul problema malattie tumorali nel territorio comunale»;
   l'indagine della commissione ha prodotto un elenco di 139 soggetti deceduti per tumore nel territorio comunale, evidenziando una maggiore mortalità per tumori nel sesso maschile (anni 2000/02 numero di morti attese 66,69 – numero di morti rilevati 98) e che interessa maggiormente tumori del polmone (numero di morti attese 17,15 – numero di morti rilevati 32) e del colon retto (numero di morti attese 6,90 – rilevati 17);
   cosicché, sulla scorta dei risultati prodotti dalla (Commissione si avviò un secondo procedimento penale nei confronti dei proprietari della discarica, accusati di aver conferito in concorso tra loro rifiuti tossici e nocivi non compatibili con la tipologia « 2B» e cagionanti l'inquinamento delle acque attigue;
   nel corso del dibattimento del suddetto procedimento pendente avanti la corte di assise di Siracusa, ove la provincia regionale ed i comuni di Rosolini e Noto si sono costituiti parte civile, è emerso che la discarica continua a produrre percolato che si spande nei terreni circostanti, coltivati ad ortofrutta, con ulteriore pericolo di infiltrazioni e avvelenamento per la falda acquifera ed il torrente Passo Corrado;
   difatti, da un decennio a questa parte, Rosolini presenta un tasso di mortalità per tumore decisamente superiore alle medie provinciali, regionali e nazionali, la discarica rimane ancora luogo da cui le sostanze inquinanti altamente nocive si diffondono nell'ambiente circostante: i rilievi compiuti dall'autorità giudiziaria sui luoghi hanno rivelato l'avvelenamento delle acque di un laghetto attiguo alla discarica, risultate avvelenate dalla presenza di mercurio, nonché di cloruri e fosfati di gran lunga superiori ai parametri di legge, dei pozzi circostanti l'area interessata, nonché della faglia superficiale contaminata da idrocarburi policiclici aromatici;
   le indagini e i relativi procedimenti penali avrebbero dovuto portare ad immediati interventi di messa in sicurezza, in vista dell'approvazione di un piano di caratterizzazione e bonifica, invece, ad oggi, quel sito, rinominato «discarica dei veleni», non risulta ancora bonificato, nonostante l'area in questione figurerebbe nel piano regionale bonifiche redatto dall'Ufficio del commissario delegato per l'emergenza rifiuti e per la tutela delle acque in Sicilia, con alta priorità di intervento;
   con decreto del Presidente della Repubblica 17 gennaio 1995 è stato approvato il «Piano di disinquinamento per il risanamento del territorio della provincia di Siracusa-Sicilia Orientale»;
   la legge 9 dicembre 1998, n. 426, «Nuovi interventi in campo ambientale», all'articolo 1, disciplina la realizzazione di interventi di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati, anche in caso di loro dismissione;
   anche, il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, all'articolo 250, è molto chiaro: «Qualora i soggetti responsabili della contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti disposti dal presente titolo ovvero non siano individuabili e non provvedano né il proprietario del sito né altri soggetti interessati, le procedure e gli interventi [...] sono realizzati d'ufficio dal comune territorialmente competente e, ove questo non provveda, dalla regione, secondo l'ordine di priorità fissati dal piano regionale per la bonifica delle aree inquinate [...]. Al fine di anticipare le somme per i predetti interventi le regioni possono istituire appositi fondi nell'ambito delle proprie disponibilità di bilanci»;
   l'articolo 20 della legge 23 marzo 2001, n. 93, ha stanziato complessivi euro 934.967,59 per la realizzazione di una mappatura completa della presenza di amianto sul territorio nazionale nonché per la realizzazione degli interventi di bonifica urgente; il decreto ministeriale n. 101 del 2003, articolo 3, prevede, inoltre, che i risultati della mappatura siano organizzati avvalendosi di sistemi informativi territoriali e trasmessi annualmente, entro il 30 giugno, dalle regioni al Ministero dell'ambiente e tutela del territorio e del mare, eppure la regione siciliana e la Calabria non hanno trasmesso alcun dato –:
   se ritengano possibile assumere iniziative, anche normative, per sostenere l'ente locale e la regione siciliana qualora, con proprie risorse, intervengano per la bonifica dell'area citata in premessa, prevedendo l'allentamento degli obblighi del patto di stabilità interno;
   se, in riferimento al decreto ministeriale n. 101 del 2003, non intendano richiamare le regioni che non hanno trasmesso alcun dato e contestualmente esigere informazioni di dettaglio sui finanziamenti pubblici utilizzati;
   se non reputino opportuno promuovere, d'intesa con gli enti territoriali competenti, linee guida, per una continua ed effettiva sorveglianza e monitoraggio del territorio;
   quali iniziative intendano promuovere al fine di sensibilizzare la popolazione, a cominciare dall'ambiente scolastico, sulla corretta gestione dei rifiuti e sui danni provocati alla salute pubblica dalla contaminazione del suolo e dell'aria. (5-02096)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, PARENTELA, BUSTO, DAGA, SEGONI, MANNINO, TERZONI, DE ROSA, ZOLEZZI, COLONNESE, NESCI, CARINELLI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il Governo croato senza alcuna gara pubblica e senza alcuno studio di impatto ambientale, ha contattato direttamente la società norvegese Geo Spectrum Limited, che dall'inizio di settembre 2013 sta conducendo la scansione del versante marittimo croato in Adriatico di un'area di 12 mila chilometri quadrati alla ricerca di giacimenti di idrocarburi (greggio e metano) intrappolati nei fondali;
   la società conta di rifarsi delle spese vendendo i dati ottenuti nel corso delle rilevazioni alle compagnie petrolifere, mettendo quindi sul mercato i risultati delle scansioni;
   l'organizzazione internazionale per la difesa del mare «Ocean Care» chiede al Governo croato di fermare l'attività di ricerca sottomarina per avviare un confronto pubblico, visto che quella stessa attività costituisce un enorme rischio per il patrimonio ittico croato e porterebbe grave nocumento anche allo sviluppo turistico del Paese;
   secondo il presidente di «Ocean Care», Sigrid Lüber, come riportato dal quotidiano di Zagabria Ve>ernji list, la tecnica adoperata nella ricerca dei giacimenti di gas o di petrolio cosiddetta «2D» prevede il rilascio di vere e proprie bombe di onde sonore ogni dieci secondi pari a 260 decibel ciascuna, mentre il rumore di un jet non supera i 125, 140 decibel;
   secondo il presidente del Blue World Insitute, Draško Holcer, le specie ittiche più danneggiate sarebbero quelle dei delfini e delle balene che possono percepire le onde sonore anche a chilometri di distanza. L'intensità con cui queste vengono «sparate» danneggia il loro sistema uditivo provocando lesioni ed emorragie e, a lungo andare, la fuga di queste due specie dal loro habitat;
   una interrogazione dell'eurodeputato Zanoni chiede alla commissione europea indagini sullo svolgimento di attività di ricerca subacquea di giacimenti di idrocarburi nel mar adriatico mediante l'utilizzo di onde sonore, segnalando inoltre che, lungo alcune coste italiane dell'alto adriatico si sta assistendo ad una concomitante ecatombe di tartarughe marine comuni con 165 esemplari morti in meno di due mesi, rendendo necessarie indagini anche sulla strana concomitanza del fenomeno italiano con le ricerche in corso in Croazia;
   con l'attuazione della direttiva 2008/56/CE (recepita in Italia con decreto legislativo n. 190 del 13 ottobre 2010) il rumore diventa un parametro di qualità dell'ambiente marino, imponendo agli Stati membri di affrontare il problema agendo in via precauzionale ed evitando ogni tipo di inquinamento transfrontaliere. La Commissione europea ha applicato il principio secondo cui l'assenza di certezza scientifica, qualora sussista il pericolo di danni gravi o irreversibili, non esonera gli Stati dal dovere di predisporre misure efficaci per evitare il degrado ambientale (principio 15 della dichiarazione di Rio). Tutti i Paesi devono inoltre assicurare che «le attività condotte sotto la propria giurisdizione e sotto il proprio controllo avvengano in modo tale da non provocare danno da inquinamento ad altri Stati e al loro ambiente»;
   pertanto, a prescindere dalla mancanza di disposizioni specifiche sia a livello interno che internazionale, vige il principio di carattere generale correlato all'obbligo di vigilare affinché il rumore sottomarino prodotto da attività soggette alla propria giurisdizione non determini effetti dannosi sugli ecosistemi di altre nazioni, coerentemente con il generale «obbligo di proteggere e preservare l'ambiente marino» (articolo 192 della convenzione UNCLOS);
   si tratta di una cooperazione dai tratti variabili in quanto gli Stati devono cooperare, direttamente o tramite le competenti organizzazioni internazionali, al fine di promuovere studi e sviluppare programmi di ricerca scientifica sull'inquinamento acustico sottomanno, garantendo la protezione di tutte le specie a rischio, sulla base di quanto disposto dalla convenzione sulla diversità biologica e del relativo patto d'azione del 2006 della Comunità europea (PAB);
   si legge nel rapporto tecnico 2012 dell'ISPRA «valutazione e mitigazione dell'impatto acustico dovuto alle prospezioni geofisiche nei mari italiani», che il concetto di inquinamento acustico è stato esteso all'ambiente acquatico quando si è giunti alla certezza che alcuni suoni antropogenici hanno effetti negativi su diversi phyla di organismi, in particolare sui cetacei;
   l'esposizione al rumore di origine antropica può produrre un ampia gamma di effetti sugli organismi acquatici, in particolare sui mammiferi marini. L'esposizione a rumori molto forti può addirittura produrre danni fisici permanenti ad altri organi oltre a quelli uditivi e può in alcuni casi portare al decesso del soggetto colpito;
   lo studio di Bowles e altri (1994) ha dimostrato la tendenza dei capodogli a cessare i loro click (sistemi di segnali sonori per l'ecolocalizzazione e la socializzazione) interrompendo l'attività di feeling (alimentazione) in risposta agli impulsi sismici emessi da una nave a più di 300 chilometri di distanza;
   uno studio di Miller e altri (2009) ha ampiamente dimostrato la tendenza dei capodoglio a non spostarsi dalla zona dr impatto acustico, nonostante il ramp up (suoni di allarme usati come deterrenti per non fare avvicinare i mammiferi alla fonte del rumore);
   lo studio di Madsen e altri 2006 ha inoltre dimostrato come la propagazione sonora sia molto più complicata di quella generalmente rappresentata dai modelli utilizzati per le misure di mitigazione. L'impatto acustico potrebbe verificarsi a distanze maggiori di quelle previste e ben oltre l'area di mare che gli osservatori a bordo nave possono efficacemente monitorare;
   le specie di cetacei che frequentano i nostri mari sono inserite nelle liste rosse dell'IUCN (Unione internazionale per la conservazione della natura) in categorie che evidenziano la necessità di maggiori informazioni e di ungenti azioni di conservazione e protezione;
   molte specie sono incluse in direttive convenzioni e accordi di carattere internazionale per la protezione degli habitat, delle specie e della biodiversità (CBD, direttiva habitat, convenzione di Bonn, CITES, convenzione di Barcellona protocollo ASPIM, IWC) che sono state ratificate dall'Italia;
   anche la nuova strategia per l'ambiente marino (2008/56/EC – Marine Strategy Framework Directive) prevede il mantenimento della diversità biologica marina oltre agli specifici programmi di monitoraggio per la valutazione dello stato dell'ambiente sulla base di specifici elementi, fra i quali i mammiferi marini;
   il 1o luglio 2013 la Croazia è diventato il 28o Stato membro dell'Unione europea;
   da notizie di stampa pare che la Croazia si appresterebbe a liberalizzare il settore della ricerca e dell'estrazione di risorse naturali di metano e di petrolio sul suo territorio, incluso il sottofondo marino nell'Adriatico, che finora era monopolio della società petrolifera nazionale Ina;
   sarebbero previste semplificazione delle procedure burocratiche per ottenere permessi per la ricerca e lo sfruttamento di risorse dì idrocarburi gassosi e liquidi –:
   se il Governo croato abbia informato ufficialmente a mezzo di formale notificazione il Governo italiano delle attività di scansione mediante l'utilizzo di onde sonore del versante marittimo croato in Adriatico di un'area di 12 mila chilometri quadrati alla ricerca di giacimenti di idrocarburi (greggio e metano) intrappolati nei fondali;
   se il Governo italiano, indipendentemente dalla formale notificazione di attività frontaliera posta in essere dal Governo croato, sia comunque a conoscenza dei fatti e delle suddette attività poste in essere dal Governo croato o da società da esso incaricate;
   quali garanzie di misure idonee ed efficaci siano state offerte dal Governo croato al fine di proteggere e preservare l'ambiente marino ai sensi e per gli effetti dell'articolo 192 della convenzione UNCLOS, di evitare il degrado ambientale alla luce del principio 15 della dichiarazione di Rio, di protezione della diversità biologica marina disciplinata dalla direttiva 2008/56/EC, ed ogni via precauzionale per evitare l'inquinamento transfrontaliero, anche in considerazione che il delta del Po è candidato ad essere riconosciuto riserva di biosfera dall'Unesco e la laguna di Venezia è già nell'elenco dei siti patrimonio dell'umanità;
   se, indipendentemente dalle eventuali garanzie offerte dal Governo croato, sia intenzione del Governo italiano promuovere un'indagine conoscitiva al fine di accertare se allo stato esiste il rischio che dalle suddette attività possano derivare danni e inquinamento di ogni tipo ai danni del nostro Stato;
   se sia intenzione del Governo italiano, a seguito delle risultanze di indagini conoscitive sullo stato delle attività poste in essere dal Governo croato, giungere alla ratifica di un protocollo di intervento congiunto al fine di predisporre misure idonee ed efficaci per prevenire ogni tipo di danno e inquinamento, e, comunque, disciplinare le ipotesi di responsabilità per tutti i danni che dovessero essere eventualmente procurati ai cittadini italiani e al nostro Stato dalle suddette attività. (4-03492)


   CRISTIAN IANNUZZI, TERZONI, VIGNAROLI, LOREFICE e PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella premessa alla «relazione sugli assetti societari delle imprese operanti nel ciclo dei rifiuti» della Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti della XIII legislatura, il presidente e relatore Massimo Scalia afferma: «il 24 ottobre 1997 una delegazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti, nel corso di un sopralluogo a Pontinia, individuò in collaborazione con la locale polizia provinciale un'area ufficialmente destinata al trattamento e alla pulizia di fusti per il trasporto di rifiuti pericolosi liquidi: il sito risultò privo di qualsiasi macchinario adatto allo scopo e molti dei fusti in attesa del «trattamento» erano ancora pieni di materiale vario. Inoltre, i registri di carico e scarico dell'impianto risultarono compilati in maniera non conforme alla legge, addirittura con operazioni riportate non nell'esatta sequenza temporale. Per tali motivi i parlamentari presenti ritennero di convocare sul posto l'autorità giudiziaria per procedere all'immediato sequestro dell'area, supponendo anche il già avvenuto smaltimento illecito di ingenti quantità di rifiuti pericolosi liquidi. Le operazioni di sequestro consentirono di accertare la presenza in quel sito di oltre 11.600 fusti e di due cisterne colme di liquido da classificarsi come rifiuto pericoloso. Gran parte dei fusti proveniva da aziende di rilevanza internazionale, operanti nel campo del l'informatica e della farmaceutica. La ditta responsabile dell'impianto è stata individuata nella SIR SRL di Roma che aveva iniziato ad utilizzare l'area sin dal febbraio 1997, dando la comunicazione di inizio attività alla regione Lazio solo nel luglio 1997»;
   la Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti della XIII legislatura nel documento XXIII n. 16 afferma: «Da tale episodio è scaturita un'attività d'indagine della Commissione che ha portato all'individuazione di collegamenti tra la società titolare dell'impianto, alcuni personaggi collegati alla criminalità organizzata ed altre società operanti in altre aree del territorio nazionale, già oggetto di indagini giudiziarie per reati commessi nel ciclo dei rifiuti»;
   i titolari della Sir srl di Roma erano Vittorio Ugolini e Vincenzo Fiorillo;
   a distanza di sedici anni non sono note ulteriori informazioni e per quanto riguarda la bonifica del sito, ad oggi, non c’è traccia del completamento del progetto da parte della regione Lazio –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopraesposti e quali iniziative siano state intraprese o se si intendano intraprendere, anche promuovendo verifiche da parte del Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, in relazione al territorio del comune di Pontina di cui in premessa;
   se sia noto dove sono stati smaltiti gli oltre 11.600 fusti rinvenuti. (4-03496)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   GASPARINI, RAMPI, MAURI, CIMBRO, LAFORGIA, PELUFFO, QUARTAPELLE PROCOPIO, COVA e CASATI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   è volontà del Governo e del Parlamento sostenere i comuni che decidono di gestire in forma associata servizi sociali e culturali, e sostenere lo sviluppo della lettura e della cultura anche come strumenti per garantire nel concreto quella formazione permanente così necessaria per la crescita civile ed economica del nostro Paese, come elemento di reale integrazione, di emancipazione, di supporto a chi ha più difficoltà e rimozione degli svantaggi;
   la provincia di Milano ha effettuato un taglio del 73 per cento delle risorse trasferite annualmente ai sistemi bibliotecari presenti sul territorio provinciale. Questa scelta avrà effetti negativi sul servizio bibliotecario ai cittadini nel suo complesso, in una area geografica che da anni è una eccellenza su scala nazionale in termini di innovazione delle politiche bibliotecarie territoriali;
   quanto deciso ha riflessi non solo sul bilancio preventivo 2014 dei sistemi bibliotecari, in quanto la comunicazione della provincia riguarda anche il contributo per il bilancio 2013, fatto questo ultimo molto grave perché i bilanci sono stati chiusi il 31 dicembre e a gennaio 2014 nulla si può fare per ricercare risorse sostitutive –:
   se il Governo intenda favorire, nel riordino dei diversi livelli di governo e nell'auspicata riforma del titolo quinto della costituzione, un processo che favorisca lo sviluppo di soggetti bibliotecari solidi, autonomi, con dimensionamenti adeguati a sviluppare efficienza gestionale e progettuale, e li supporti verso lo sviluppo di un reale sistema nazionale di promozione della lettura e di sviluppo delle biblioteche come centri di formazione permanente, educazione all'informazione, emancipazione culturale. (4-03494)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   CANCELLERI, GRILLO e COLONNESE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   alcuni funzionari di Equitalia e dell'Agenzia delle entrate sono state coinvolte, da gran tempo, per numerosi episodi criminali connessi alla riscossione, tra cui episodi di manipolazioni e aggiustamenti di cartelle esattoriali, peraltro riportate nell'interrogazione a risposta immediata in Commissione 5-01868;
   di recente l'indagine e l'arresto del faccendiere Oliverio a Roma ha scoperchiato un contenitore dove era preminente l'accesso ai dati Equitalia e l'aggiustamento di cartelle esattoriali in quanto esisteva una torbida rete di affari e di malaffare assai raffinata;
   il quotidiano Il Tempo del 5 febbraio 2014 riporta la seguente notizia «La camorra nella Capitale gestiva un tesoro da oltre 400 milioni di euro con la presunta complicità di insospettabili, come un direttore di banca e due ispettori dell'Agenzia delle entrate. L'operazione è di ieri mattina, dopo tre anni di indagine della Direzione investigativa antimafia del colonnello Renato Chicoli e dalla Squadra mobile di Renato Cortese, coordinati dalla Procura di Napoli. Il patrimonio sequestrato faceva capo al clan Zaza (...). Nella lista dei presunti complici gli insospettabili servivano a far girare gli affari, i criminali avevano vita facile, potevano riciclare meglio. Il direttore di banca Paolo Sbrana (ai domiciliari) della Intesa San Paolo, in via Napoleone III, nel rione Esquilino, è accusato di aver fornito al gruppo malavitoso informazioni coperte da segreto bancario. Ci sono due ispettori dell'Agenzia delle entrate di Roma, Guido De Mari e Salvatore Iannì. E ancora, nel napoletano: l'ispettore di polizia Francesco Pisa del Commissariato San Paolo (Napoli), sospettato di aver preso soldi in cambio della sua collaborazione infedele e di essere diventato socio dell'impresa di costruzione Ri.Na di Simone Di Maio (tra gli arrestati). E l'appuntato scelto Mario Perrella della Stazione dei carabinieri, congedato nel 2009. C’è anche un'infermiera del carcere di Tolmezzo (Udine), dove il boss Salvatore Zazo era recluso ma riusciva lo stesso a comandare: sia attraverso il telefono cellulare, sia nascondendo i fogli nella biancheria sporca, intercettata dalla polizia penitenziaria il 2 luglio 2009. È questo l'anno quando cominciano le indagini»;
   La Repubblica del 5 febbraio 2014, sostiene a proposito dell'indagine in questione: «tra i comprimari, Guido De Mari e Salvatore Iannì, impiegati infedeli dell'Agenzia delle entrate di Roma3 che commettevano un numero indeterminato di reati tributari e di truffe in danno allo Stato (...). Mario Pannella, un carabiniere che consultava gli archivi di Equitalia/Gerit/Gestline per segnalare le varie posizioni»;
   la denominazione di Gerit e Gestline nell'articolo de La Repubblica fa arguire che si tratta di attività criminose messe in atto a partire da qualche anno fa, prima delle fusione di Gerit e Gestline in altre società di Equitalia;
   il 10 marzo 2010 fu reso noto dal giornale La Stampa un accesso importante di faccendieri esterni a Gerit alle cartelle esattoriali di Equitalia a Roma in relazione al caso Mokbel/di Girolamo –:
   se il Ministro interrogato non sia preoccupato dell'ennesima presenza criminale presso l'Agenzia delle entrate;
   come sia potuto accadere, se non tramite complici o, a dir poco, tramite forti pressioni di suasion, che un carabiniere in congedo abbia avuto accesso ai file di archivio di Equitalia;
   se non ritenga inefficiente la funzione dell'audit in Equitalia, dato che proprio in Gerit il sistema dei dati risultava essere stato già «bucato» notoriamente nel 2010. (4-03497)


   MELILLA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i latti vegetali (di riso o di soia, farro, miglio, avena eccetera) sono ormai alimenti comuni per milioni di italiani;
   questi alimenti sono usati da chi ha fatto una scelta «vegan» (sono 400 mila i vegan in Italia), da chi è intollerante al latte, dai celiaci, da chi per scelta alimentare ha deciso di eliminare i grassi animali dalla propria dieta e da chi semplicemente apprezza tali bevande;
   insomma milioni di italiani bevono latte vegetale, ma al contrario di quanto avviene per tutti i generi di prima necessità che hanno l'IVA al 4 per cento, devono pagare l'IVA al 22 per cento;
   si tratta di una tassazione ingiusta essendo evidente che per queste persone il latte vegetale è un bene di prima necessità –:
   se non ritengano di esaminare il superamento di questa assurdità di assumere iniziative per applicare anche per il latte vegetale l'IVA al 4 per cento. (4-03502)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta orale:


   BAZOLI e AMODDIO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il primo comma dell'articolo 518 codice di procedura civile dispone: «L'ufficiale giudiziario redige delle sue operazioni processo verbale nel quale dà atto dell'ingiunzione di cui all'articolo 492 e descrive le cose pignorate, nonché il loro stato, mediante rappresentazione fotografica ovvero altro mezzo di ripresa audiovisiva, determinandone approssimativamente il presumibile valore di realizzo con l'assistenza, se ritenuta utile o richiesta dal creditore, di un esperto stimatore da lui scelto. Se il pignoramento cade su frutti non ancora raccolti o separati dal suolo, l'ufficiale giudiziario ne descrive la natura, la qualità e l'ubicazione»;
   da quanto sopra si evince l'obbligatorietà della rappresentazione fotografica o audiovisiva nell'espropriazione in cui l'ufficiale giudiziario è l'artefice del pignoramento, trattandosi, in conformità con i commentatori della riforma e con le prassi applicative degli uffici ai quali quest'ultima si è manifestamente ispirata, di una modalità esclusiva di formazione di quel particolare atto, consistente nel pignoramento di beni mobili: modalità destinata a conferire certezza al contenuto dell'atto, nonché efficacia del processo esecutivo mobiliare che su quello si fonda, per l'impossibilità di dubbi o di condotte illegittime;
   il coordinatore UNEP di Napoli, con nota prot. n. 5 dell'11 gennaio 2014, aventi ad oggetto rappresentazione fotografica ed audiovisiva dei beni pignorati, ha dato disposizioni ai funzionari UNEP e agli ufficiali giudiziari circa il comportamento da assumere nell'esecuzione dei pignoramenti ed ha disposto, tra l'altro, quanto segue: «Appare opportuno, qualora la parte, benché notiziata ab initio dell'obbligo di fornire il fotografo, non vi provveda bisogna recarsi sul luogo dell'esecuzione (il debitore ben potrebbe onorare il suo debito pagando a mani dell'ufficiale giudiziario) e dare atto dell'impossibilità di descrivere i beni da sottoporre a pignoramento per inattività della parte. Infatti rileva questa dirigenza che la descrizione fotografia e/o audiovisiva è la sola prevista dall'articolo 518 c.p.c. e che, pertanto, non vi sono forme alternative alla stessa che è assolutamente necessaria, come evidenziato in precedenti disposizioni. La riproduzione fotografica e/o audiovisiva, giusti i rilievi dell'ispettorato generale, non deve essere mai fatta personalmente dall'ufficiale giudiziario procedente. Qualora gli utenti non mettano a disposizione il fotografo e/o il cineoperatore, signori Funzionari UNEP ed Ufficiali Giudiziari, recatisi sul posto per eseguire il pignoramento, diano atto di tale mancanza e restituiscano gli atti all'ufficio perché li metta a disposizione dei richiedenti. Qualora questi ultimi, benché reiteratamente notiziati circa le attività di propria competenza, ripresentassero la richiesta di pignoramento senza provvedere a quanto richiesto, i signori Funzionari UNEP ed Ufficiali Giudiziari, secondo quanto indicato dal superiore Ministero, solleveranno incidente di esecuzione perché il G.E. dichiari improcedibile l'esecuzione;
   il preposto ufficio esecuzione dell'UNEP di Napoli con nota del 13 gennaio 2014 ha disposto, tra l'altro, che «i Funzionari UNEP e/o Ufficiali Giudiziari che non si attengono alle disposizioni date dall'Ufficio in conseguenza delle istruzioni impartite dal superiore Ministero violino, di fatto, le norme del codice disciplinare»;
   il Ministero della giustizia con nota di risposta, prot. VI-DOG/1678/03-1/2012/CA del 24 ottobre 2012 a firma del direttore generale indirizzata al presidente della corte di appello di Campobasso (rif. prot. n. 3975 del 13 agosto 2012) e per conoscenza all'Ispettorato generale del Ministero della giustizia ha disposto, per la rappresentazione fotografica di cui all'articolo 518 del c.p.c. tra l'altro con richiamo all'articolo 610 del codice di procedura civile, che non ha niente a che vedere con l'istituto del pignoramento, in quanto non è una norma dell'espropriazione ma attiene solo ed esclusivamente all'esecuzione per consegna e rilascio di cui all'articolo 605 e seguenti del c.p.c, quanto segue: «Quest'Amministrazione è già intervenuta con le indicazioni contenute nelle circolari DOG prot. n. 6/381/035/CA del 14 marzo 2007 («Riforma delle esecuzioni mobiliari – Legge 24 febbraio 2006 n. 52, pubblicata in Gazzetta Ufficiale 28 febbraio 2006, n. 49 – Modifiche rilevanti aventi riflesso sull'attività dell'ufficiale giudiziario), e prot. n. 6/491/035/2010/CA del 26 marzo 2010 («Esecuzione del pignoramento mobiliare – Modalità della rappresentazione fotografica dei beni pignorati»), consultabili nella sezione intranet del sito web di questo Ministero;
   premesso che la prescrizione normativa di cui all'articolo 518, comma 1, c.p.c. richiede tra le modalità attuative del pignoramento mobiliare che la descrizione delle cose pignorate avvenga «mediante rappresentazione fotografica ovvero altro mezzo di ripresa audiovisiva», nel caso in cui tale rappresentazione sia ritenuta assolutamente necessaria l'ufficiale giudiziario, ove il creditore procedente non abbia assicurato la propria disponibilità a pagare l'operatore fotografico, potrà sollevare incidente di esecuzione ai sensi dell'articolo 610 c.p.c., chiedendo «i provvedimenti temporanei occorrenti» riguardo al conferimento dell'incarico al professionista (fotografo) e alle modalità della immediata liquidazione delle spese della prestazione d'opera all'atto della consegna del referto fotografico da allegare al verbale di pignoramento.
  Pertanto, i suddetti provvedimenti potranno rendersi necessari per l'attuazione in concreto della rappresentazione fotografica dei beni staggiti e di conseguenza per il prosieguo della procedura esecutiva, soprattutto in considerazione degli oneri di pagamento della prestazione che devono essere assicurati dalla parte procedente nei termini sopra indicati (anche nei ricorsi di lavoro) ed a prescindere dall'esito (che può essere negativo nel caso in cui in sede di accesso al domicilio della parte esecutata, lo si rinvenga chiuso).
  Si prega di portare a conoscenza del Presidente del Tribunale di Larino il contenuto della presente nota, affinché renda edotti del medesimo i dirigenti dell'Ufficio NEP in sede e di quello presso la Sezione distaccata di Termoli»;
   l'ufficiale giudiziario, nell'esecuzione dei pignoramenti può avvalersi, per le foto, di ausiliari (articolo 68 cpc) – se non ricorre allo stimatore ex articolo 518 comma 2 – e le relative spese sono liquidate dal tribunale in base alle disp. att. cpc;
   le note innanzi citate si fondano su interpretazioni del tutto innovative, ma decisamente opinabili e criticabili della novella del 2006, che potrebbero rallentare notevolmente le operazioni esecutive, danneggiando i creditori oltre che l'immagine dell'amministrazione giudiziaria –:
   quali iniziative intenda adottare per ricondurre nell'ambito della stretta osservanza del dettato della normativa le iniziative di singoli uffici NEP, come quelle appena ricordate, ribadendo che è illegittimo vietare all'ufficiale giudiziario procedente di eseguire la riproduzione fotografica ed audiovisiva dei beni pignorati, costituendo essa elemento formale indefettibile del verbale di pignoramento;
   in particolare, se il Ministro, accertato quanto in premessa, intenda assumere iniziative affinché siano rimossi, a tutela dell'immagine dell'amministrazione della giustizia, con provvedimento immediato e se del caso in via di autotutela o con qualunque mezzo ritenuto opportuno, gli effetti delle note sopra ricordate, al fine di ripristinare la stretta legalità nelle procedure di pignoramento sia nell'UNEP di Napoli che su tutto il territorio nazionale;
   se, al fine di evitare il ricorso agli ausiliari di cui all'articolo 68 del c.p.c o allo stimatore di cui all'articolo 518, comma 2, cpc, o essere di peso al creditore procedente per le ovvie difficoltà e per ragioni di economia processuale, intenda predisporre una iniziativa normativa con la quale si riconosca, anche forfettariamente, all'ufficiale giudiziario, un compenso a carico della parte istante per l'espletamento di tale attività, così come avviene, in materia di rimborso dell'indennità di trasferta, ex articolo 133 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1229 del 1959 trasfuso nel testo unico delle spese di giustizia, posto che tale sistema consentirebbe una più celere attività di espropriazione da parte degli ufficiali giudiziari e funzionari UNEP nonché un risparmio notevole per il creditore istante. (3-00621)


   PIEPOLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la stratificazione normativa in Italia ha comportato notevoli criticità in merito a molteplici aspetti, relativi al sistema giudiziario, al tessuto produttivo, all'aumento del contenzioso, alla competitività del sistema in generale, come peraltro ricordato durante la scorsa legislatura nella relazione presentata dal presidente onorevole Doris Lo Moro e pubblicata in allegato al resoconto della seduta del Comitato per la legislazione del 5 febbraio 2013, dal titolo «I costi per la competitività italiana derivanti dall'instabilità normativa: cause e possibili rimedi»;
   si ricorda che in sede europea vi sono state molte iniziative volte alla diminuzione del fenomeno dell'instabilità normativa: in particolare si evidenzia l'importanza dell'accordo interistituzionale «Legiferare Meglio» adottato nel 2003;
   tale accordo tra Parlamento, Commissione e Consiglio prevede, in particolare: una maggiore sincronizzazione dei lavori; maggiore trasparenza; scelta dello strumento legislativo designato seguendo al criterio della maggiore semplicità possibile; motivazione della base giuridica utilizzata per ogni proposta; metodi di regolazione alternativi, in particolare la coregolazione e l'autoregolazione; miglioramento della qualità della legislazione, in particolare attraverso il ricorso alla consultazione prelegislativa e all'analisi degli effetti; semplificazione e riduzione del volume della legislazione;
   secondo il rapporto 2013 sulla legislazione, prodotto dall'Osservatorio sulla legislazione della Camera dei deputati, si è osservata una diminuzione nel tempo della quantità totale di leggi approvate dal Parlamento, ma questa diminuzione è inversamente proporzionale alla concentrazione degli atti normativi, in altre parole quel fenomeno che vede un'espansione della quantità di disposizioni, spesso eterogenee tra loro, contenute nello stesso provvedimento;
   tale incremento di concentrazione degli atti normativi, in particolare per quanto concerne quelli d'iniziativa governativa, comporta un aumento della frammentazione degli interventi normativi e la multisettorialità dei provvedimenti approvati;
   in particolare, questo fenomeno si è reso evidente per quanto concerne lo «tsunami normativo» nel settore della giustizia civile: da uno studio del Consiglio nazionale forense si evidenziano 17 riforme del codice di procedura civile in 7 anni, che hanno prodotto effetti negativi sulla durata, di circa due anni, e dei costi, del 55 per cento, dei processi;
   ciò produce un arretrato estremamente elevato, essendo arrivati alla cifra abnorme di 9 milioni di procedimenti civili pendenti nell'anno 2013 –:
   quali iniziative, anche di natura normativa, intenda il Ministro intraprendere, nello specifico, al fine di contrastare l'aumento della durata e dei costi del contenzioso, nonché, in generale, per semplificare e ridare coerenza al sistema normativo italiano, al fine di risolvere le criticità riportate in premessa. (3-00625)

Interrogazione a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con P.D.G. 23 novembre 2003, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale – IV serie speciale – n. 30 del 16 aprile 2004, è stato indetto un concorso pubblico a 50 posti nell'area C, posizione economica C2, profilo professionale di educatore (Ministero della giustizia – dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria);
   la graduatoria è stata pubblicata nel 2010 e, ad oggi, sono state assunte solo 27 unità sui 50 posti messi a concorso;
   l'assunzione dei restanti 23 vincitori non solo renderebbe giustizia a coloro i quali hanno maturato il diritto all'assunzione, ma consentirebbe altresì di rafforzare le azioni di rieducazione e di recupero dei detenuti previsti dall'articolo 27 della Costituzione;
   la situazione di soprannumero dei reclusi negli istituti di pena (60 mila circa, quando ne potrebbero essere accolti solo 40 mila) e la conseguente condizione di invivibilità delle carceri è stata oggetto di ripetuti e recenti richiami del Capo dello Stato, volti a porre all'attenzione urgente del Parlamento le stringenti esigenze dell'intero settore penitenziario;
   allo stato, tuttavia, il completamento delle procedure di assunzione di tutti i vincitori del concorso sopra ricordato non è possibile poiché (non essendo state rideterminate le piante organiche, come previsto dal decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n.135, cosiddetta «spending review») il blocco delle assunzioni è operativo anche per l'amministrazione penitenziaria;
   il 14 novembre 2013, il Sottosegretario di Stato alla giustizia Cosimo Maria Ferri, intervenendo in Commissione giustizia nell'ambito dello svolgimento dell'interrogazione n. 5-01389, ha dichiarato di aver posto tale problema all'attenzione del competente Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e che, sul punto, erano in corso contatti con il dipartimento della funzione pubblica –:
   quale sia il numero esatto degli educatori C2 previsti dall'attuale pianta organica;
   se sia possibile, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, interpretare il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, nel senso di ricomprendere anche l'intero personale penitenziario (polizia penitenziaria, educatori, psicologi ex articolo 80, assistenti sociali) tra le ipotesi di deroga alla vigente disciplina sulla riduzione delle piante organiche già previste per il cosiddetto comparto sicurezza. (4-03491)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


   RICCIATTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 22 dicembre 2013, un gruppo di circa cinquanta cittadini – per la maggior parte stranieri con lo status di rifugiati politici, ma anche italiani – hanno pacificamente occupato uno stabile in disuso, la scuola Regina Margherita, in via Ragusa, ad Ancona;
   i cittadini in questione – uomini, donne e bambini – versano in gravi condizioni economiche, anche a causa della grave crisi economica, al punto da non poter provvedere autonomamente al reperimento di una abitazione;
   molti di loro hanno, invece, perso l'abitazione a seguito di sfratto per morosità incolpevole;
   di fronte alla carenza di strutture adibite ad abitazioni popolari, nonché alla lentezza delle procedure amministrative di assegnazione delle stesse, i cittadini in questione hanno deciso di occupare pacificamento uno stabile in disuso di proprietà pubblica;
   nel corso dell'occupazione, durata 45 giorni, i cittadini coinvolti hanno provveduto a ripulire la struttura pubblica abbandonata ed hanno avviato una esperienza di co-housing sociale;
   il progetto è caratterizzato dall'integrazione sociale, un esempio di convivenza tra persone provenienti da Paesi asiatici, africani, dall'Europa dell'Est e cittadini anconetani in stato di indigenza;
   tra le attività promosse dagli occupanti, oltre alla condivisione degli spazi, vi sono l'autoproduzione alimentare attraverso un orto urbano ed un piccolo forno per la panificazione, ma anche l'attivazione di corsi di lingua italiana;
   l'ex scuola è stata ribattezzata «Casa dè niantri», ed è diventata in poco tempo un centro di aggregazione spontanea, che ha ricevuto il sostegno di molte organizzazioni, civili e religiose, nonché singoli cittadini, che hanno donato cibo, coperte, vestiario ed attrezzi vari;
   il 5 febbraio 2014, le forze dell'ordine, su impulso del sindaco di Ancona, hanno provveduto allo sgombero dello stabile, provvedendo a smistare gli occupanti in diverse residenze temporanee;
   a causa della prolungata crisi economica, che sta interessando il nostro Paese, la scarsità di soluzioni abitative per soggetti indigenti sta divenendo un problema di natura strutturale, mentre sovente viene affrontato con misure emergenziali, per loro natura temporanee –:
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Governo al fine di fronteggiare con maggiore incisività la carenza di strutture abitative per soggetti indigenti;
   se non si ritenga di dover incentivare – ed in caso positivo, con quali iniziative – progetti di co-housing sociale, così come avviene in altre esperienze comunitarie. (3-00623)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'AGOSTINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 28 ottobre 2013 è stato convertito nella legge n. 124 il decreto-legge n. 102 del 31 agosto 2013;
   all'articolo 6 di detto decreto-legge vengono disciplinate le «Misure di sostegno all'accesso all'abitazione e al settore immobiliare», ovvero vengono stabiliti criteri e priorità che definiscono le condizioni di morosità incolpevole, in virtù delle quali gli aventi diritto possono accedere al fondo istituito presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nella misura di 20 milioni di euro per il 2014 ed altrettanti per il 2015;
   allo stato attuale ancora manca il decreto attuativo delle disposizioni citate;
   sono decine di migliaia i soggetti che si trovano nelle condizioni oggettive di morosità incolpevole e si tratta soprattutto di persone che hanno perso il lavoro in conseguenza dei tagli occupazionali effettuati dalle aziende in crisi;
   su tali soggetti incombono i decreti esecutivi di sfratto –:
   quali siano gli eventuali motivi ostativi che ancora ritardano l'emanazione del decreto attuativo di cui sopra;
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato per accelerare al massimo l'emanazione di detto decreto attuativo. (4-03489)


   SIMONE VALENTE, MANTERO, BATTELLI, DE LORENZIS, PAOLO NICOLÒ ROMANO, CRISTIAN IANNUZZI, NICOLA BIANCHI, SIBILIA e SCAGLIUSI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la variante SS1 Aurelia, in seguito Aurelia-bis, è nata alla conclusione degli anni ’90 come progetto stradale finalizzato al collegamento dei comuni limitrofi lungo la conurbazione costiera del territorio savonese, da Varazze a Vado Ligure;
   dopo oltre due decenni, la società ANAS spa ha stabilito di realizzare solo un ramo della variante, ovvero il tratto che parte da Albisola Superiore, nella località come Grana, e finisce a Savona, nella zona «a monte» di corso Ricci, dopo l'attraversamento di buona parte della città attraverso gallerie sotterranee, alcune delle quali scenderanno sotto la quota di livello del mare;
   la ditta appaltatrice si è aggiudicata il bando, con un ribasso circa del 38 per cento, alla cifra di 107 milioni di euro circa. Solo in seguito è stata richiesta una variante finanziata totalmente con la differenza tra la base d'asta ed il ribasso, pari a 46,5 milioni circa, portando quindi l'ammontare totale della spesa intorno ai 150 milioni di euro;
   ad avviso degli interroganti, tale procedura è in aperto contrasto con alcune norme del decreto legislativo n. 163 del 2006, nello specifico l'articolo 132;
   dai progetti definitivi si evince come il percorso sia per il 75,8 per cento in galleria, per 3894,91 metri su 5137,79 metri totali, comportando quindi necessari interventi di sterro e conseguentemente più di un milione di metri cubi di detriti cui trovare stazionamento;
   la posizione dell'Aurelia bis non è adatta ad intercettare il traffico sulla SS1 Aurelia, visto che è situata molto a monte della strada stessa, non intersecando le direttrici principali dei flussi di traffico. Si calcola che la strada intercetterà appena tra l'8 per cento ed il 12 per cento del traffico veicolare, andando, al contrario, a creare solo disagi alla viabilità, vista la non immediata accessibilità e la presenza di svincoli monodirezionali, oltre che la totale assenza di aree di parcheggio periferiche con annessi mezzi pubblici di collegamento;
   i lavori preparatori stanno solo creando notevoli disagi dei cittadini, che trovano le strade di accesso alle proprie abitazioni chiuse da mesi; inoltre va segnalata la scelta della stazione appaltante di procedere all'esproprio di ben due palazzine, motivando che il passaggio della nuova strada avrebbe causato gravi danni alla stabilità delle suddette;
   non si comprende come, dopo quasi vent'anni in cui il progetto e rimasto nei cassetti, si sia proceduto in tempi brevissimi, da parte delle amministrazioni interessate, da parte degli organi preposti alle dipendenze del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e da parte di ANAS, all'approvazione ed all'avvio del progetto stesso, privo di continuazione a Ponente e a Levante, con un'assenza totale di progettualità infrastrutturale e di pianificazione della mobilità;
   ad avviso degli interroganti la comprensione dell'impatto del progetto da parte dell'amministrazione del comune di Savona, appare piuttosto limitata; essa sembra scoprire solo ora l'entità dei lavori e l'impatto sui cittadini, senza quindi avere adottato per tempo soluzioni o proposte che potessero limitare i disagi e senza mai avere sostenuto vie o soluzioni alternative;
   il problema del traffico nella zona costiera del savonese sarebbe risolvibile investendo le stesse ingenti somme in trasporto pubblico leggero, e adeguando i piani urbani della mobilità e del traffico ai tempi ed ai traffici attuali con opportuni sistemi di rilevazione e monitoraggio dei flussi di traffico, tramite una visione complessiva della viabilità e non limitando a quanto accade in una sola strada;
   sempre a giudizio degli interroganti, l'Aurelia bis parte da un presupposto errato, ovvero far defluire il traffico dalla SS1 Aurelia, senza affrontare con decisione e progettualità a lungo termine gli interi flussi di traffico che attraversano non solo la città, ma che arrivano da più parti;
   nel resto d'Europa ed ormai anche in alcune grandi città italiane, il centro cittadino è precluso al traffico veicolare privato, vengono estese da più parti zone a traffico limitato e, per far fronte al traffico eccessivo, si punta sempre più alla riduzione del traffico stesso, favorendo mezzi pubblici sostenibili e mobilità alternative, puntando anche al bike sharing, car sharing o car pooling; inoltre come detto prima si spostano i parcheggi dal centro città verso l'esterno creando delle aree dedicate connesse al centro tramite trasporto pubblico. La città di Savona è ben lontana, sia come popolazione che come densità urbana, dalle grandi città europee e l'Aurelia bis dimostra a giudizio degli interroganti solo una mania di protagonismo misto ad una mentalità anacronistica, con cui gli amministratori, soprattutto locali, puntano solo ad opere che nulla hanno a che fare con il contesto della riduzione del traffico e di mettere al centro di tutto la propria città, fornendola di infrastrutture che lasciano il tempo che trovano, anzi, procrastinano nel tempo l'opportunità di avere una città più vivibile; il traffico veicolare della provincia non può giustificare un'opera di tale portata economica, ma soprattutto di tale impatto ambientale;
   i rilievi geologici, oltre a dimostrare l'instabilità di molti edifici che si vedranno passare sotto le gallerie della nuova strada, hanno rilevato nel materiale risultante dagli scavi, detto «smarino», le anfiboliti che potrebbero costituire una complicazione, per la presenza al loro interno di crocidolite, un minerale, detto anche «amianto blu», che ha gli stessi effetti patologici dell'amianto comunemente inteso e che i cittadini savonesi ed albisolesi si vedrebbero passare sotto il naso all'interno di centinaia di camion;
   a tal proposito le ditte sub-appaltanti che hanno effettuato gli scavi hanno dovuto attendere alcuni mesi prima di ottenere il permesso per depositare i detriti da parte della regione Liguria; lo smarino verrà depositato per il riempimento a mare per la costruzione della piattaforma Maersk nel porto di Vado Ligure, stanti le previsioni delle amministrazioni coinvolte. I lavori della piattaforma proseguono però a rilento, o forse non sono ancora finanziati; ciò è dovuto anche, a quanto risulta agli interroganti, dall'assenza dei progetti esecutivi, pertanto si è reso necessaria l'individuazione di depositi temporanei, al momento non ancora individuati: pare quindi che ci siano milioni di metri cubi di terra che non si sa dove mettere –:
   se il Ministro sia a conoscenze dell'impatto economico ed ambientale del progetto, sproporzionato rispetto alla realtà savonese;
   se il Ministro non ritenga che la variante in corso d'opera finanziata con la differenza tra base d'asta ed offerta al massimo ribasso, non sia in contrasto con l'articolo 132 del decreto legislativo n. 163 del 2006;
   se l'Anas abbia effettuato tutti i passaggi burocratici per l'avvio dei lavori;
   quali siano stati i pareri ed i vincoli espressi dal Consiglio superiore dei lavori pubblici su tutti gli atti in cui è stato chiamato in causa, con particolare attenzione sulla variante in corso d'opera, anche fornendo eventualmente la documentazione completa che comprovi tali pareri;
   come sia possibile che si dia avvio ora ad un progetto pensato circa vent'anni or sono con un modello di sviluppo urbano che oggi deve necessariamente cambiare, pertanto se sia realmente necessario proseguire con quello che agli interroganti appare un ennesimo scempio del territorio o reinvestire l'ingente cifra in altre soluzioni più sostenibili. (4-03495)


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   diverse fonti stampa riportano la notizia che il Governo avrebbe aperto alla possibilità di rifinanziare la legge n. 211 del 1992 sulla mobilità alternativa, grazie alla quale, tra le altre cose, è stata realizzata tra il 2001 ed il 2008 la linea di Minimetrò nella città di Perugia;
   una tale apertura – sempre secondo quanto si apprende da diversi articoli del Giornale dell'Umbria – avrebbe indotto il comune umbro e la società realizzatrice dell'opera, la Minimetrò spa, a predisporre il progetto, finalizzato alla richiesta di finanziamento a fondo perduto, per la realizzazione della seconda tratta del Minimetrò che dovrebbe collegare le zone di Pincetto e Monte Luce;
   il Minimetrò perugino è un'opera costata circa 98 milioni di euro (finanziata per il 60 per cento dai ministeri delle infrastrutture e dei trasporti e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e per il restante 40 per cento da soggetti privati) ma che continua a costare alla città umbra circa 25 mila euro al giorno, senza contare il costo del biglietto;
   è evidente che l'impatto dell'infrastruttura incide molto sull'economia della città, ma non incide altrettanto sulla diminuzione del traffico privato: a fronte di una capacità di 18/20 mila passeggeri al giorno, ne serve meno di 10 mila. Ciò è dovuto con molta probabilità al fatto che la tratta realizzata non risponde alle esigenze dei cittadini, in quanto i luoghi di lavoro ormai si trovano soprattutto nella parte bassa della città, mentre il Minimetrò collega alla parte alta del centro storico;
   le fermate del Minimetrò non risultano efficientemente collegate con gli altri mezzi pubblici operanti sul territorio perugino e ciò ne rende più complicata la fruizione da parte dei cittadini;
   molte associazioni, gruppi o singoli cittadini, hanno espresso forti critiche su quest'opera e soprattutto su un suo possibile, quanto paventato, completamento, in quanto l'eventuale denaro messo a disposizione dallo Stato potrebbe servire a potenziare e migliorare il trasporto locale già esistente e non certo a realizzare una struttura che, pur avendo un'elevata sostenibilità ambientale, comporterebbe, in fase di realizzazione, un grosso impatto sul territorio perugino non introducendo, come dimostrato dai dati degli ultimi sette anni, adeguati benefìci –:
   se il Ministro sia effettivamente intenzionato al rifinanziamento della legge sulla mobilità alternativa;
   se, sulla base di quanto accaduto con la vicenda del Minimetrò della città di Perugia, non intenda assumere iniziative per introdurre requisiti più stringenti per l'accesso al finanziamento pubblico per la realizzazione di progetti di mobilità alternativa, quali, ad esempio, un adeguato studio di efficienza, efficacia ed economicità dell'infrastruttura da realizzare;
   se, per quanto nelle sue competenze, non intenda avviare uno studio complessivo dei benefici apportati in termini di mobilità pubblica, dalle opere finanziate dallo Stato attraverso la legge n. 211 del 1992. (4-03499)


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nella giornata del 29 gennaio 2014 a Milano si è svolta una protesta spontanea dei tassisti, con parziale interruzione del servizio e conseguenti disagi, e le sigle sindacali di categoria hanno indetto uno sciopero ai sensi di legge per la giornata del prossimo 20 febbraio;
   analogo stato di crescente preoccupazione si percepisce in altre grandi città, quali Roma, Torino e altre;
   a detta dei rappresentanti della categoria le mobilitazioni scaturiscono dall'avvento sul mercato del trasporto di persone della multinazionale UBER e per il mancato rispetto da parte della stessa delle normative vigenti, sia nell'ambito del servizio taxi quanto in quello del servizio di noleggio con conducente, rispetto al quale si accusa l'amministrazione comunale;
   il servizio UBER consente – attraverso un'applicazione o un sito web mobile – di prenotare un servizio di autovettura con autista; il cliente, una volta registrato fornendo i propri dati e quelli della propria carta di credito, può richiedere il servizio, e tramite GPS viene localizzata e inviata l'auto libera più vicina;
   il servizio, nato negli Stati Uniti, è arrivato negli scorsi mesi anche in città europee come Londra, Parigi, Amsterdam, Stoccolma, Milano e Roma, e si configura come un ibrido tra taxi e noleggio auto con conducente, agendo, tuttavia, in assenza dei permessi e delle autorizzazioni necessari;
   in Italia tale tipologia di servizio contrasta sia con la legge quadro per il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea (legge n. 21 del 1992) sia con il testo unico delle leggi regionali in materia di trasporti, in particolare per quel che riguarda l'obbligo di stazionamento dei veicoli utilizzati all'interno delle autorimesse, nonché rispetto al divieto di stazionamento su suolo pubblico delle autovetture;
   il prezzo della corsa non viene concordato preventivamente con l'utente come previsto per il servizio di noleggio con conducente, né viene determinato tramite tassametro omologato come per i taxi, ma pagato direttamente alla società UBER tramite l'applicazione, e in virtù della distanza e della velocità calcolate via GPS;
   la società UBER, a quanto consta all'interrogante, si appresterebbe a lanciare anche in Italia il servizio «UBER X», già attivo in altri Stati, che si servirebbe non più di autisti con regolare licenza ma arruolerebbe privati cittadini privi di licenza dopo un breve colloquio e senza effettuare alcuna verifica psicofisica o giudiziaria;
   il mercato della mobilità privata nelle aree urbane è in continua evoluzione, ma questa deve avvenire nel rispetto delle normative vigenti e tenendo conto l'esigenza di non svalutare sostanziosi investimenti fatti nell'acquisizione delle licenze per i servizi taxi e noleggio con conducente –:
   se sia informato dei fatti esposti in premessa e, se del caso, quali urgenti iniziative, anche normative, intenda assumere per inibire il proliferare di tali servizi, che appaiono in palese contrasto con la normativa vigente e con i principi di una concorrenza leale e trasparente. (4-03508)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   AGOSTINELLI, BUSINAROLO, CECCONI, TERZONI, COLLETTI, BONAFEDE e SARTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in dieci anni, tra il 2001 e il 2010, i reati denunciati dai marchigiani alle forze dell'ordine sono passati da 36.327 a 54.119 con un incremento del 49 per cento: una percentuale doppia rispetto al tasso di crescita dei reati in Italia che è pari al 21,1 per cento (fonte sito CNA);
   in questo contesto i reati riconducibili in qualche modo a forme di criminalità organizzata sfiorano i 500 episodi ogni anno, con una media di 30 reati ogni 100 mila abitanti (fonte sito CNA);
   è soprattutto necessario prestare particolare attenzione al fenomeno della mafia che si fa impresa: ciò che avviene attraverso il reinvestimento dei proventi di attività illecite in attività imprenditoriali; è notorio, poi, che le imprese collegate alla criminalità organizzata si aggiudicano appalti o ricevono finanziamenti pubblici;
   si tratta di episodi rispetto ai quali la Regione Marche è da tempo sotto osservazione;
   già nel giugno 2012 il presidente della corte di appello di Ancona, il dottor Paolo Angeli, in occasione di un convegno organizzato dalla Confederazione nazionale dell'artigianato e della piccola e media impresa insieme alla associazione «Libera», ebbe modo di dichiarare che «le infiltrazioni mafiose nella Marche non sono un fenomeno allarmante, ma presentano un andamento in crescita» (fonte sito CNA);
   in quella stessa occasione il segretario nazionale della Confederazione nazionale dell'artigianato e della piccola e media impresa, Sergio Silvestrini, sottolineò «l'importanza di monitorare il fenomeno» (fonte sito CNA); a tal fine il presidente della CNA Marche, Renato Picciaiola, suggerì la costituzione di un «Osservatorio regionale antimafia», sulla scorta di una proposta di legge regionale poi arenatasi;
   recentemente, da fonti stampa locale, in occasione della cerimonia di apertura dell'anno giudiziario 2014, il procuratore generale della corte d'appello di Ancona, il dottor Vincenzo Macrì, ha parlato di «presenza di aggregati associativi simili a quelli mafiosi»;
   secondo il procuratore alcuni di questi aggregati fanno capo alla criminalità organizzata italiana, mentre altre alle nuove mafie, come quella cinese, romena, nigeriana e dell'Europa dell'Est. Si tratta di organizzazioni che si occupano di «droga, riciclaggio, attività turistiche lungo la costa delle Marche, altre di lavori pubblici»;
   con specifico riguardo al settore dei lavori pubblici, risulta da fonti stampa, a seguito delle dichiarazioni del dottor Macrì che «l'ombra delle organizzazioni criminali si allunga sugli appalti per l'ampliamento della A/14 e su quelli per la realizzazione del «Quadrilatero» Marche-Umbria, riferendo di segnali, anche da parte degli organi investigativi, della presenza di aziende che fanno capo a persone potenzialmente legate ad organizzazioni criminali;
   si tratta di dichiarazioni estremamente gravi ed allarmanti per la regione Marche. Sulla questione «Quadrilatero», in data 18 settembre 2013, la prima firmataria del presente atto ha già provveduto a depositare una interrogazione al Ministro delle infrastrutture e trasporti rimasta ancora senza risposta;
   sarebbe opportuno, ad avviso degli interroganti, una ricognizione presso gli enti locali marchigiani, al fine di individuare eventuali soggetti (amministratori o funzionari) direttamente o indirettamente ricollegabili a organizzazioni criminali o ad aziende della regione o extra regionali implicate in indagini per criminalità organizzata –:
   quali iniziative di competenza abbia adottato o intenda adottare allo scopo di prevenire e contribuire a perseguire l'infiltrazione mafiosa nelle Marche, ed in particolare con riguardo al cosiddetto «Quadrilatero»;
   se risultano segnalazioni di tipiche situazioni a rischio coinvolgimento criminalità organizzata, come traffici «Nord-Sud» con sosta o appoggi in regione, anche con provenienze extra italiane, con destinazioni sospette verso aree fortemente a rischio criminalità organizzata;
   se risultino segnalazioni per operazioni tipicamente a rischio infiltrazioni mafiose o della criminalità organizzata, che procurano miliardi di euro di soldi pubblici e che comportano movimenti terra e grandi opere, oltreché riguardanti rifiuti, energia, insediamento di aziende fortemente insalubri;
   se risultino per le Marche segnalazioni o indagini da parte della Direzione investigativa antimafia;
   se risultino interdittive antimafia emesse dalle prefetture della regione Marche e, in caso affermativo, nei confronti di quali società e/o imprese. (5-02091)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CAPARINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il territorio della provincia di Brescia è sempre più sguarnito di forze dell'ordine a causa della continua quanto inesorabile riduzione del personale operata in questi anni che ormai ha raggiunto livelli di cronica, grave, insufficienza a cui si aggiunge anche quella dei mezzi e strumenti;
   la grave carenza degli organici delle forze dell'ordine comporta un superlavoro per coloro che restano in servizio aggravando le già onerose quanto difficili condizioni in cui operare. Alla questura di Brescia, così come al commissariato Carmine e a quello di Desenzano l'organico è in sofferenza come già dallo scorso ottobre 2013 ha denunciato il Siulp, il Sindacato italiano unitario lavoratori polizia, in un comunicato che a fronte dei numeri di agenti, funzionari e dirigenti delle diverse sezioni indica anche i dati relativi alla sicurezza bresciana, con numeri che aumentano del 10, del 20 e pure di oltre il 40 per cento, per quanto riguarda gli scippi, i furti e le truffe informatiche;
   il segretario generale del sindacato bresciano del Siulp, Rosario Morelli, ha evidenziato come «la sicurezza è garantita solo ed esclusivamente grazie alla buona volontà, al senso del dovere e di attaccamento alle istituzioni e alla professionalità degli operatori di Polizia in servizio nella nostra provincia». I carichi di lavoro sono «impressionanti per l'ufficio immigrazione e alla divisione amministrativa» con la contestuale diminuzione del 10 per cento del personale della squadra mobile e della Digos mentre la volante, al massimo dell'organico, ha 3 pattuglie ogni quadrante orario e delle 7 zone istituite nel 2002 siamo passati a 4. Negli ultimi 5 anni la Questura ha perso – per pensionamento e riforma dal servizio per inabilità fisica – ben 70 professionisti della sicurezza mai sostituiti mentre dal Ministero, tra trasferimenti e nuove assegnazioni, tra il 30 settembre e il 7 ottobre sono in arrivo 17 persone, ma ben 11 è già previsto che se ne vadano e il saldo è di sole sei unità a fronte delle 70 mai più «rimpiazzate»;
   secondo i dati del Ministero dell'interno sono 62.376 i reati denunciati nella provincia di Brescia nel 2012, un dato in continuità con l'anno precedente. Sono state denunciate in libertà 18.072 persone e si ben 3.993 arresti;
   fra i reati con maggior numero di denunce ci sono i danneggiamenti, con oltre 10.272 delitti, seguiti dalle truffe e frodi informatiche (3.154), dalle minacce (1.922), dalle ingiurie (1.667), dalle lesioni dolose (1.558) e dalle percosse (481). Un posto di rilievo nella graduatoria dei delitti con più denunce spetta ai reati connessi agli stupefacenti (808) e alle rapine, che, complessivamente sono state ben 692. Gli omicidi volontari (11),i tentati omicidi (14), gli omicidi colposi (47), di cui ben 41 determinati da incidente stradale. 112 sono le denunce di violenza sessuale a cui si sommano le 14 relative ad atti sessuali e corruzione di minorenne. 46 sono le denunce relative allo sfruttamento della prostituzione e una decina i reati connessi alla pedo-pornografia. Tra i più diffusi reati economici figura la ricettazione (412 denunce) ma, anche in questo caso, la capacità descrittiva delle statistiche della delittuosità appare ampiamente lacunosa se si considerano le 130 denunce per estorsione, le 99 per contraffazione di marchi e prodotti industriali e, soprattutto, le sole 10 denunce registrate per il reato di usura;
   i 32.194 furti rappresentano il 51,6 per cento dei reati denunciati del totale e tra le undici diverse tipologie di furto quello in abitazione è il più diffuso con 6.251 nel 2012;
   in base alle denunce registrate nel 2013 in tutta la provincia di Brescia ogni giorno vengono rubate circa cinque autovetture, un'auto rubata ogni cinque ore. Un fenomeno che si è inasprito proprio negli ultimi due anni: dal 2011 al 2013 c’è stato un incremento dell'8 per cento (da 1.645 a 1.783). Non si è certo alle cifre di qualche decennio fa, quando le denunce superavano abbondantemente le 3 mila unità;
   tra le zone più colpite ci sono quelle che garantiscono numerose e facili vie di fuga: laddove esistono autostrade e tangenziali i furti crescono esponenzialmente. Oltre a Brescia (prima nella classifica con quasi un terzo delle auto rubate), Desenzano (55) seguita da Roncadelle, Lonato e Mazzano –:
   quali misure intenda adottare il Ministro interrogato al fine di mettere in condizione gli operatori della sicurezza di Brescia di lavorare a pieno organico e con i mezzi necessari. (4-03493)


   POLVERINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 4, comma 3, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, nella legge 28 gennaio 2009, n. 2, prevedeva una riduzione d'imposta per il personale appartenente al comparto sicurezza-difesa, rinviando ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri l'individuazione della misura e delle modalità applicative della stessa;
   la disposizione di cui al menzionato articolo 4, comma 3, è stata prorogata per l'anno 2010 con l'articolo 2, comma 156, della legge 23 dicembre 2009, n.  191; per l'anno 2011 con l'articolo 1, comma 47, della legge 13 dicembre 2010, n. 200; per l'anno 2012 con l'articolo 33, comma 13, della legge 12 novembre 2011, n. 183;
   così come più volte segnalato dalla Federazione UGL Polizia di Stato, analoga disposizione non è stata riproposta per il 2013 e 2014;
   l'omessa proroga della sopra citata previsione di legge ha impedito che gli operatori del comparto sicurezza-difesa potessero operare la conseguente riduzione dell'imposta sul reddito, fino al limite di 149,50 euro, connessa proprio alla specificità dei compiti e delle condizioni di stato e di impiego del comparto –:
   quali iniziative normative urgenti il Governo intenda predisporre, tenuto conto dell'eccezionale contributo offerto dalle forze di polizia in un contesto sociale che richiede un loro straordinario impegno a garanzia dell'ordine e della sicurezza pubblica, per prorogare, anche per il 2013, le richiamate disposizioni di legge. (4-03506)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   gli agenti della polizia ferroviario che operano in stazione centrale a Milano hanno arrestato la sera del 4 febbraio 2014 un algerino che aveva poco prima aggredito e cercato di uccidere un tunisino a colpi di mannaia;
   la cruenta e gravissima aggressione, pare a seguito di futili motivi, è avvenuta di sera all'interno del mezzanino della stazione centrale, in una galleria tra l'ingresso e il piano binari, e avrebbe potuto avere ancor più tragiche conseguenze poiché si tratta di un transito particolarmente frequentato dai passanti, stante la prossimità dell'importante scalo ferroviario milanese;
   a quanto emerge anche dalle impressionanti immagini registrate dalle telecamere a circuito chiuso installate nel mezzanino della stazione centrale, il tunisino è stato colpito al volto e al braccio più volte con un coltello da macellaio con lama larga circa 5 centimetri e lunga 30 centimetri;
   da quanto emerso successivamente al tempestivo intervento degli agenti, che hanno poco dopo arrestato l'aggressore, sia quest'ultimo, Abdel Kader Farth, algerino di 31 anni e già con precedenti penali, sia il tunisino accoltellato, medicato poi all'ospedale Niguarda con oltre 50 punti di sutura soltanto sul viso, risultano entrambi irregolari, senza tetto e dunque abituali e noti frequentatori della stazione Centrale di Milano;
   si tratta di un'altra aggressione violenta a Milano che avrebbe potuto trasformarsi in tragedia e che riporta alla memoria, anche per le modalità cruente, l'aggressione solo di qualche mese ad opera di Adam Kabobo che ha ucciso ben tre persone inermi a colpi di piccone per le strade della medesima città;
   i due extracomunitari protagonisti della violenta lite nel mezzanino della stazione centrale di Milano, benché irregolari e con precedenti penali, si trovavano liberi di girare per le vie di Milano, anziché già espulsi o in apposito centro per l'immediata espulsione;
   a causa di una serie di incendi dolosi ad opera dei clandestini ospitati che ne hanno danneggiato le strutture, il centro di identificazione ed espulsione di via Corelli a Milano è stato chiuso per lavori di ristrutturazione;  
   il tema dell'ordine pubblico, della sicurezza, soprattutto alla luce dei gravissimi episodi sopra riportati e sempre più frequenti, ma anche del rispetto delle regole, così come il giusto riconoscimento per il lavoro svolto dalle forze dell'ordine, impone che tale intervento sia fatto in tempi brevi in modo da rendere la struttura nuovamente agibile e utilizzabile;
   nel merito anche la senatrice Emanuela Munerato ha presentato al Ministero dell'interno un'interrogazione (n. 4-01512) alla quale non è ancora stata data risposta;
   i cittadini devono potersi sentire tutelati e protetti e ciò significa intervenire prontamente sui temi della sicurezza e della legalità, pertanto alla loro preoccupazione le istituzioni debbano dare una pronta risposta –:
   se il Ministro sia a conoscenza del gravissimo episodio avvenuto nella stazione centrale di Milano e quali siano i suoi orientamenti su quanto accaduto;
   quali siano i motivi per cui i due protagonisti della violenta lite a colpi di mannaia non risultano già espulsi e neppure trattenuti in un centro di identificazione e d'espulsione; infine, quale sia la data precisa in cui il centro di identificazione ed espulsione di via Corelli sarà riaperto e a chi sarà affidata la sua gestione. (4-03509)


   GUIDESI. —Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 30 gennaio 2014 è apparso sulla Gazzetta di Mantova un articolo dal titolo che non lascerebbe spazio ad alcun dubbio: «I mafiosi al telefono: “Viadana è in mano nostra”»;
   la frase sopracitata sarebbe al centro di una intercettazione effettuata dal servizio di analisi criminale del Girer, Gruppo interforze per la ricostruzione dell'Emilia Romagna;
   l'intercettazione risalirebbe al marzo 2006 e la direzione distrettuale antimafia (DDA) identificherebbe l'attuale assessore del comune di Viadana, Carmine Tipaldi, come una delle persone citate dai mafiosi;
   il comune di Viadana è retto da un'amministrazione di centro-sinistra, sostenuta da una coalizione composta da PD, IDV ed UDC, con a capo il sindaco Giorgio Penazzi;
   secondo la cronaca del giornale locale mantovano, la frase precedentemente citata sarebbe stata pronunciata proprio a Viadana da Nicola Lentini, oggi in carcere, che allora era l'astro nascente della ’ndrina di Isola di Capo Rizzuto, durante una conversazione telefonica con tale Luigi Morelli, alias Pinguino, che si trovava a Cutro (Crotone), anch'esso presunto affiliato alla ’ndrangheta, in cui direbbe altresì: «Ci possono dare 30, 40, 50 anni che importa? Ormai Viadana è nostra»;
   l'intercettazione sarebbe stata autorizzata, a favore della direzione distrettuale antimafia, per il lavoro di raccolta prove per smantellare le cosche del Crotonese;
   nella circostanza, Lentini non sarebbe solo: lo direbbe chiaramente al telefono. Tra gli amici, citerebbe un certo Carmine, «Pizzimenti», il figlio di Santo;
   il testo dell'intercettazione, che è agli atti del faldone dell'operazione Pandora, è trascritto in un documento ufficiale, che il servizio analisi criminale del Girer, il gruppo interforze per la ricostruzione dell'Emilia Romagna, ha inviato il 21 marzo 2013 alle prefetture di Mantova, Modena e Reggio, nell'ambito dell'accesso alla white list, l'elenco delle aziende pulite a cui attingere per gli interventi di ricostruzione nelle zone terremotate;
   le prefetture avevano chiesto al Ministero dell'interno, come è prassi, il monitoraggio della società Tipaldi Costruzioni Srl, ditta dell'assessore ai servizi sociali del comune di Viadana, per inserirla nella white list;
   il Ministero avrebbe risposto con una relazione di sei pagine, che comprenderebbe l'elenco dei dipendenti della ditta di Tipaldi, tra cui figurano alcuni curricula non proprio immacolati, e l'intercettazione della telefonata tra Lentini e Morelli;
   alla fine della trascrizione del testo, sarebbe stilato l'elenco dei personaggi: secondo gli investigatori, «Pizzimenti» sarebbe identificabile in Carmine Tipaldi, figlio di Santo, nato a Crotone il 24 maggio del 1972, emigrato a Viadana il 3 maggio del 1993;
   tale Nicola Lentini è figlio di Paolo Lentini, alias Pistola, storico sicario degli Arena, ritenuto killer e contabile della cosca. Un altro signore citato nella conversazione è Giovanni U Giannuzzu, nato nel 1971, sposato con Daniela Arena;
   la trascrizione dell'intercettazione riporta i saluti da parte di «zio Tonino» – «Sarò sempre al suo fianco» – e l'invito di Nicola a raggiungerlo a Viadana: «ti pago io il viaggio», «c’è Tonino Muto a disposizione». Nicola racconta la serata: «abbiamo mangiato, bevuto e fatto». Fino alla dichiarazione di vittoria: «Gisellè, qua Viadana è nostro. Ora ci possiamo prendere 30, 40 e 50 anni, l'ergastolo, ma Viadana è il nostro»;
   secondo i riscontri della direzione distrettuale antimafia, Lentini a Viadana aveva l'ordine di controllare gli affari della cosca. Affari, che, stando alle sue parole, stavano già andando a gonfie vele, nel 2006;
   otto mesi dopo, nel novembre 2006, Nicola Lentini e Luigi Morelli verranno arrestati nell'operazione Pandora, che spedisce in carcere 37 persone presunte affiliate ai clan Nicoscia e Arena di Isola Capo Rizzuto e dispone il sequestro di beni mafiosi per 40 milioni di euro, proventi del traffico di stupefacenti e di estorsioni, reinvestiti nel settore edilizio;
   nel 2009 il giovane Nicola sarà condannato a 17 anni di carcere, riconosciuto colpevole (con l'aggravante mafiosa) del tentato omicidio di Vincenzo Riillo, ferito in un agguato l'11 aprile 2006 ad Isola. Una condanna che la corte d'appello, l'anno scorso, ha ridotto a 13 anni;
   nel 2010, Nicola Lentini verrà condannato pure a sei anni in primo grado nell'ambito dell'operazione antimafia Ghibli, in cui finisce invischiato anche Morelli, condannato a sei anni poi ridotti a 4;
   incredibilmente, dato il curriculum di questi personaggi che catturano la scena della relazione del Girer, la prefettura dà comunque l’«ok» all'inserimento della ditta Tipaldi nella white list. Gli elementi emersi nelle sei pagine non vengono infatti ritenuti sufficienti ad escluderla. La prefettura dà il via libera e dà un colpo di spugna ai sospetti sull'assessore Carmine Tipaldi;
   il sindaco di Viadana, Penazzi, continua tuttavia a difendere e sostenere il proprio assessore;
   dopo due settimane dalla telefonata intercettata, come risulta scritto nella relazione del Girer, a Viadana si tengono le elezioni per il rinnovo del consiglio comunale, nelle quali Carmine Tipaldi sarà il consigliere più votato, con 316 preferenze;
   le indagini relative all'operazione Pandora delineano il traffico delle attività delle cosche dei Nicoscia e degli Arena, padroni di Isola di Capo Rizzuto, di cui gli investigatori seguono il percorso delle ramificazioni in Lombardia e in Emilia;
   dagli atti del processo si comprende come gran parte delle risorse finanziarie delle cosche crotonesi provengano da imprenditori che stanno facendo fortuna al Nord, nei settori degli appalti pubblici, degli autotrasporti e nell'edilizia privata. Un'economia legata all'usura e alla pratica delle false fatture. Nel Viadanese, già prima del 2000, bazzicano soggetti «di profonda caratura criminale»;
   l'assessore viadanese Carmine Tipaldi, nella bufera per la pubblicazione delle intercettazioni dell'Antimafia in cui viene associato alla ’ndrangheta, si è autosospeso dal PD ma non ha lasciato il suo posto in giunta a Viadana, perché il sindaco Penazzi gli ha confermato la fiducia. Questa è la decisione resa nota dal PD al termine dell'incontro che il segretario provinciale Antonella Forattini ha avuto con lo stesso Tipaldi, il segretario del circolo di Viadana Centro, Fabrizio Nizzoli, e il sindaco di Viadana, Giorgio Penazzi;
   secondo quanto emerge dagli scritti del giornalista-saggista Tizian Giovanni, presidente dell'associazione antimafia «DASUD», il quale ha svolto investigazioni sul fenomeno ’ndranghetista, il territorio sul quale agisce la ’ndrangheta emiliana è vasto e comprende una parte di Lombardia. Di questa mappa criminale il Mantovano è parte integrante, strategico per i business dei clan insediati nella pianura padana;
   i capitali riconducibili agli affiliati delle cosche originarie dalla provincia di Crotone hanno trovato fertili impieghi nell'economia locale, da Modena, Reggio Emilia, Parma, Brescello e Gualtieri;
   gli inquirenti sospettano l'esistenza di una vera e propria organizzazione distaccata da quella calabrese, anche se non interamente autonoma, una cellula strutturata che in gergo viene chiamata «locale» di ’ndrangheta. E la provincia di Mantova, seppure in Lombardia, ricadrebbe sotto la giurisdizione delle ’ndrine reggiane anziché della struttura chiamata «La Lombardia»: una sorta di consiglio di amministrazione con il compito di coordinare l'azione delle singole famiglie ’ndranghetiste sparse sul territorio, la cui esistenza è stata certificata con le sentenze dei processi «Crimine-Infinito» (300 arresti tra Calabria e Lombardia nel luglio 2010);
   la cosca emiliana sarebbe composta dai clan Arena, Grande Aracri, Nicoscia. Gli stessi che in Calabria fino al 2006 hanno insistito su Isola Capo Rizzuto e Cutro. Non a caso, uno dei personaggi di spicco è Michele Pugliese, che risiedeva a Gualtieri, e a Viadana veniva a trovare il padre, Franco Pugliese;
   le dinamiche ancora in atto nel Mantovano non lasciano ben sperare. Gli incendi dolosi sono sempre più numerosi, così come risultano in ascesa le minacce, l'usura, il recupero crediti con metodi mafiosi ed, ancora, l'accaparramento di appalti e subappalti nei cantieri del post terremoto da parte delle aziende legate ai Grande Aracri e agli Arena;
   appare conseguentemente opportuno che il Ministero dell'interno disponga l'acquisizione delle relazioni degli inquirenti e provveda, qualora vi siano i presupposti, a sciogliere l'amministrazione in carica per infiltrazioni mafiose –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti di cronaca sopra riferiti, se abbia già approntato tutte le iniziative opportune per far luce sulla vicenda, se abbia convocato il prefetto di Mantova, quale organo periferico del Ministero dell'interno, al fine di acquisire le motivazioni per le quali abbia ritenuto di inserire il nominativo della Tipaldi Costruzioni Srl nella white list, e se non ritenga, infine, opportuno assumere le iniziative di competenza per lo scioglimento dell'amministrazione in carica a Viadana e la conseguente nomina, di commissari che portino il comune a nuove elezioni in primavera. (4-03512)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   SBERNA e SANTERINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   attualmente il reclutamento del corpo docente avviene attraverso tre tipi di graduatoria:
    graduatorie ad esaurimento: in cui vi sono iscritti i docenti provvisti di abilitazione all'insegnamento. Sono strutturate su base provinciale, vengono aggiornate ogni tre anni per quanto riguarda i titoli e le posizioni degli iscritti. Articolate in tre fasce, sono chiuse all'inserimento di nuovi nominativi dal 1998, salvo l'inserimento degli abilitati SSIS vincitori del ricorso nazionale. Tutti i nominativi presenti sono, di fatto, corrispondenti alla prima fascia delle graduatorie d'istituto;
    graduatorie di merito: in cui sono presenti i docenti vincitori di concorso pubblico a cattedre;
    graduatorie d'istituto: che sono articolate in 3 fasce:
     I fascia: comprende i docenti iscritti a pieno titolo o con riserva nelle graduatorie ad esaurimento;
     II fascia: comprende i docenti abilitati ma non iscritti nelle graduatorie a esaurimento;
     III fascia: comprende i docenti non abilitati in possesso del titolo di studio valido per l'accesso all'insegnamento;
   l'immissione in ruolo avviene attingendo per metà dei posti disponibili dalle graduatorie ad esaurimento, per metà dalle graduatorie di merito;
   l'assegnazione delle sostituzioni (supplenze) avviene partendo dal primo nominativo disponibile della prima fascia delle graduatorie d'istituto e procedendo a scalare;
   l'aggiornamento delle graduatorie non avviene annualmente, ma «l'apertura» delle graduatorie è stabilita dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e l'ultima risale al 2011;
   con la sospensione delle SSIS, dall'anno accademico 2008/2009 non sono stati attivati percorsi abilitanti, fino all'attivazione del tirocinio formativo attivo (TFA), con il decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 249 del 10 settembre 2010. La reale attivazione di questi corsi, organizzati dalle università, è della fine del 2012 (anche se l'anno accademico ufficiale è 2011/2012) e la loro conclusione è del luglio 2013;
   il decreto ministeriale n. 249 del 2010 e le successive modifiche prevedono due tipologie di corsi:
    i tirocini formativi attivi;
    i percorsi abilitanti speciali (PAS).
   l'accesso ai primi prevede il superamento di una triplice prova (pre-test nazionale di 60 domande a risposta chiusa; prova scritta redatta dalle università che attivano il corso; prova orale);
   va anche sottolineato che il numero di posti disponibili in ciascun ateneo è stato determinato sulla base del fabbisogno regionale;
   il tirocinio formativo attivo si articola in insegnamenti di scienze dell'educazione, in insegnamenti di didattica disciplinare e in 475 ore di tirocinio. Sono previste prove d'esame in itinere e un esame finale. I neo-insegnanti hanno diritto, a conclusione del corso, e col massimo dei voti, a 18 punti per l'iscrizione nella II fascia delle graduatorie d'istituto;
   l'accesso ai percorsi abilitanti speciali, invece, si basa sul rispetto dei requisiti previsti dal decreto ministeriale n. 39 del 1998 e dal successivo decreto ministeriale n. 22 del 2005: possono accedere gli insegnanti non di ruolo che abbiano maturato tre anni di servizio, a decorrere dall'anno scolastico 1999/2000 all'anno scolastico 2011/2012, nelle scuole statali, nelle scuole paritarie o nei centri di formazione professionale. In questo caso, inoltre, il numero di abilitandi è svincolato dal fabbisogno regionale;
   se l'accesso al primo percorso prevede una selezione sulla base del merito, il secondo non offre alcuna garanzia in questo senso, ma il titolo e i diritti risultanti da entrambi i corsi sono i medesimi: l'abilitazione all'insegnamento nella propria classe di concorso e l'immissione in seconda fascia nelle graduatorie d'istituto;
   chi ha frequentato i corsi di tirocinio formativo attivo, tuttavia, è in una condizione, paradossalmente, di svantaggio;
   in primo luogo, le graduatorie verranno aperte, presumibilmente, nell'aprile-luglio del 2014, col risultato che chi si è abilitato con il tirocinio formativo attivo nel luglio 2013 non ha potuto sfruttare, in quest'anno scolastico, il titolo abilitante (le scuole nel 2013/2014, dunque, hanno assunto insegnanti non abilitati, piuttosto che insegnanti abilitati, ma non risultanti nelle liste d'istituto);
   in secondo luogo, essendo tra i requisiti dell'accesso ai percorsi abilitanti speciali l'aver insegnato tre annualità e, dando ogni annualità diritto a 12 punti, risulta che all'atto di immissione nelle graduatorie i partecipanti ai percorsi abilitanti speciali avranno un vantaggio di 36 punti sugli abilitati con il tirocinio formativo attivo;
   essendo in fase di attivazione, i percorsi abilitanti speciali non possono più essere bloccati e, per i motivi sopra elencati, si andrà necessariamente incontro ad una doppia procedura abilitante che non premia il merito ma, anzi, lo deprime –:
   se non ritenga di procedere all'apertura delle graduatorie il più rapidamente possibile, in modo da evitare l'iscrizione in queste di coloro che stanno per frequentare i percorsi abilitanti speciali e consentire, da qui alla successiva apertura, almeno un parziale livellamento del gap tra abilitati con tirocinio formativo attivo e abilitandi attraverso percorsi abilitanti speciali, nonché all'iscrizione di chi ha frequentato i tirocini formativi attivi nelle graduatorie ad esaurimento (a prescindere dall'esito del ricorso sul tema, in atto presso il TAR del Lazio promosso dall'associazione ANIEF) per riconoscere, da un lato, la qualità della selezione per l'accesso al corso e dall'altro per evitare che chi ha superato un duro test di selezione si trovi in una condizione di svantaggio rispetto a chi ha evitato di sottoporsi a qualsiasi selezione. (3-00624)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ZAN, COSTANTINO, FRATOIANNI e GIANCARLO GIORDANO. —Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 240 del 30 dicembre 2010 «Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario», cosiddetta «Legge Gelmini», ha previsto, all'articolo 24, la possibilità per le università di istituire la figura dell'RTD, ricercatore a tempo determinato e, quindi, di stipulare contratti di lavoro subordinato a tempo determinato distinguendo due tipologie di incarico:
    di tipo «a»: di durata triennale, con la possibilità di estendere il contratto, previa disponibilità di un ulteriore finanziamento, per altri due anni e per una sola volta;
    di tipo «b»: di durata triennale, non rinnovabile, che prevede alla fine dei tre anni l'immissione in ruolo;
   per l'accesso ai posti di tipo «b» la condizione necessaria è quella di aver usufruito:
    1. di un contratto triennale di tipo «a», oppure;
    2. di tre anni di assegni di ricerca ex lege n. 449 del 1997 o borse postdoc ex lege n. 398 del 1989: (entrambe le figure sono state ridefinite dalla stessa legge n. 210 del 2010), ovvero;
    3. di analoghi contratti, assegni o borse in atenei stranieri;
   la seconda condizione è stata introdotta per permettere l'attribuzione dei contratti di tipo «b» immediatamente dopo l'entrata in vigore della legge n. 240 del 2010, senza dover attendere i tre anni necessari alla conclusione dei primi contratti di durata triennale (di tipo «a»);
   tale condizione, originariamente pensata per agevolare le carriere dei precari con maggiore anzianità, si è però tradotta in un meccanismo distorsivo delle condizioni di reclutamento. Infatti, per ragioni ben note, il numero di posizioni ricercatore a tempo determinato nei tre anni successivi all'entrata in vigore della cosiddetta «Legge Gelmini» è stato irrisorio;
   in particolare, il fatto che anche i contratti di tipo «a» consumino punti-organico, ha di fatto contribuito a bloccare il meccanismo di arruolamento per tutto il passato triennio;
   agli interroganti risulta del tutto incomprensibile il motivo per cui una posizione a tempo determinato di tre anni (più due anni, previa disponibilità di ulteriori finanziamenti) dovrebbe consumare punti-organico come una posizione a tempo indeterminato, ad esempio di professore associato;
   inoltre, tra i vari effetti negativi introdotti da questa norma si è creata una condizione di disparità fra «vecchi» precari (con i tre anni di assegni postdoc ex lege n. 449 del 1997 e n. 398 del 1989), che possono partecipare sia a posti banditi per posizioni di ricercatore a tempo determinato di tipo «a» che di tipo «b», e «giovani» precari, che non avendo maturato i tre anni di assegno di ricerca pre legge n. 240 del 2010 possono accedere solo a posizioni di tipo «a»;
   in pratica, la norma in questione finisce col creare una discriminazione in base all'età, e non in base al merito, poiché i «giovani» precari non hanno potuto maturare i requisiti necessari per mere ragioni anagrafiche;
   il fatto che questa discriminazione sia completamente slegata da criteri di merito è confermato da un paradosso: in questi giorni, molti ricercatori precari «giovani», che non hanno i requisiti per accedere a posizioni di tipo «b», hanno o stanno ricevendo l'abilitazione scientifica nazionale (ASN). Al contrario, non c’è alcuna assicurazione che i «vecchi» precari, che magari hanno interrotto la loro carriera, abbiano una produzione scientifica o un'esperienza di ricerca superiore ai «giovani»;
   in tempi così avari di opportunità, sembra veramente scoraggiante continuare a riproporre limitazioni che, seppur sensate nel 2010, hanno perso oggi ogni ragion d'essere. Non si capisce, infatti, quale sia il vantaggio di tale restrizione, visto che l'obiettivo non dovrebbe essere quello di allungare il percorso di reclutamento, ma semmai di accelerarlo su base meritocratica –:
   se il Ministro non ritenga opportuno assumere iniziative per estendere la possibilità di accedere ai concorsi di tipo «b» a tutti i candidati con una documentata esperienza di ricerca almeno triennale, maturata anche grazie all'attribuzione di assegni di ricerca previsti dall'articolo 22 della legge n. 240 del 2010, proponendo una modifica normativa urgente, in questa direzione, all'articolo 24, comma 3, lettera b) della legge citata. (5-02095)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SBERNA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per l'integrazione, al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   nel 1992 la Agenda per la Pace proposta dall'ex Segretario Generale ONU, B.B. Ghali, e poi approvata dalla Assemblea ONU, ha istituito corpi di peacemaking, peacekeeping e peacebuilding nei quali i civili sono inclusi alla pari dei militari (così come le donne alla pari degli uomini);
   l'articolo 11 della Costituzione italiana dichiara che «l'Italia ripudia la guerra...», frase che comunque intesa lascia aperta la possibilità di scegliere di difendere la patria in altra maniera che con le armi;
   la Corte Costituzionale, in più di un occasione, a partire dalla sentenza n. 164 del 1985 per finire alla 228 del 2004, ha sostenuto l'esistenza di una alternativa alla difesa nazionale armata indicandola nel Servizio civile nazionale;
   come risultato di numerose iniziative che si sono proposte da lungo tempo, il Parlamento italiano ha disposto con l'articolo 8, comma 2, lettera e), della legge 8 luglio 1998, n. 230, di affidare all'Ufficio nazionale per il servizio civile il compito di «predisporre, d'intesa con il Dipartimento della Protezione civile, forme di ricerca e di sperimentazione di difesa civile non armata e nonviolenta» per gli obiettori di coscienza riconosciuti dalla stessa legge; poi, già a partire dal 2001, l'Ufficio proponeva iniziative relative a forme di ricerca e sperimentazione di difesa civile non armata e nonviolenta;
   il Parlamento italiano, dopo la decisione di sospendere il servizio di leva, ha finalizzato il Servizio civile nazionale con l'articolo 1 della legge istitutiva n. 64 del 2001 a «contribuire alla difesa della Patria con mezzi ed azioni non militari»;
   l'Ufficio suddetto ha proposto di costituire un comitato «di carattere tecnico e ad elevata specializzazione» ai sensi dell'articolo 8, comma 1, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, in quanto il perseguimento di questo importante obiettivo di una difesa alternativa richiede il coinvolgimento di soggetti pubblici e privati che garantiscano l'apporto di specifiche competenze professionali;
   a seguito di ciò il 18 febbraio del 2004 la Presidenza del Consiglio dei ministri con un decreto ha istituito un Comitato consultivo sulla difesa civile non armata e nonviolenta. Il primo Comitato è stato costituito con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 18 febbraio 2004 successivamente integrato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 aprile 2004 ed ha operato fino al termine della XIV legislatura. Successivamente il Ministro della solidarietà sociale pro tempore ha confermato il Comitato con decreto in data 27 dicembre 2007; inoltre il Comitato è stato ricostituito dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 gennaio 2010, integrato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27 aprile 2010, decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 ottobre 2010, decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 dicembre 2010; tale organismo è composto da diciotto membri, sei dei quali rappresentano le amministrazioni centrali maggiormente coinvolte (dipartimento per la protezione civile; esteri; difesa; interno; regioni e province autonome; ANCI), mentre i restanti sono individuati in quanto esperti in materia di difesa civile non armata e nonviolenta; il 28 aprile 2011, il Comitato per la difesa civile non armata e nonviolenta (Dcnan) ha iniziato una prima sperimentazione, sia pure molto ridotta e molto poco indicativa; comunque, il fatto appare di importanza straordinaria: è la prima volta che uno Stato prova a realizzare ufficialmente una difesa civile non armata e non violenta;
   nel 2008 grazie al vice-Ministro pro tempore Sentinelli è stato disposto un finanziamento di 170 mila euro per la formazione agli interventi di pace all'estero, formazione che è stata compiuta da un gruppo qualificato di associazioni operanti nel settore, in tutta Italia, in particolare con quattro corsi di formazione a Torino, Genova, Firenze e Napoli, ed infine la appena approvata legge di stabilità ha aggiunto un altro importante riconoscimento della volontà dello Stato di proseguire nella costruzione di una difesa non armata, in quanto in questa legge è stato inserito un finanziamento di 9 milioni in tre anni per missioni di pace all'estero nell'ambito del Servizio civile nazionale;
   sono consentite le visite di ufficiali della difesa nazionale armata nelle scuole superiori italiane per invitare i giovani a scegliere questa direzione di vita nonostante lo Stato italiano abbia già deliberato da vari anni e cercato di attuare una difesa non armata –:
   se non si ritenga che gli studenti abbiano il diritto di essere informati su tutte le possibilità che lo Stato offre, come su tutte quelle fornite dall'ONU che ogni anno pone a concorso un consistente numero di posti di lavoro nei cosiddetti volontari (analogamente esistono posti di lavoro nelle associazioni private di cooperazione internazionale, che danno luogo a una ulteriore forma di sostegno della pace senza armi);
   se non si ritenga opportuno emanare una direttiva che, fatta salva l'autonomia dei consigli scolastici, indichi la necessità pedagogica di aprire i giovani a tutte le possibilità che lo Stato italiano ha deciso a proposito di difesa nazionale e internazionale;
   se non si ritenga di invitare i consigli scolastici a prevedere visite di esponenti di ambedue i tipi di difesa che lo Stato italiano ha deliberato le quali avvengano o in tempi successivi o, ancor meglio assieme sotto forma di dibattito-confronto tra i loro rappresentanti, tipo di intervento sicuramente molto più adeguato alla maggiore età degli studenti dell'ultimo anno delle scuole superiori. (4-03507)


   MINARDO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   sembra che gli atenei siciliani siano orientati a non attivare alcuni percorsi abilitanti speciali (PAS) operando in questo modo scelte discrezionali inaccettabili e spesso immotivate;
   in particolare, si ritiene grave l'ipotesi per cui anche i conservatori musicali non attiveranno i percorsi per la A077 – «strumento musicale» (avviso del 5 febbraio 2014 dell'ufficio scolastico regionale per la Sicilia) dopo una loro iniziale disponibilità, nonostante il significativo numero di aspiranti ai quali in questo modo viene negato il diritto alla formazione e al conseguimento del titolo abilitante;
   la conferenza dei direttori di conservatorio ha avanzato dubbi sulla liceità del decreto che istituisce il PAS, e ha chiesto chiarimenti al MIUR. Ad oggi, tali chiarimenti non risultano essere arrivati, pertanto l'attivazione dei PAS per la classe A077 è stata sospesa; sui PAS per le classi di concorso A31/32 non ci sono dubbi di liceità, ma avendo questi, alcune attività formative in comune con il PAS per la classe A077, si è preferito sospenderli;
   inoltre, vi sono docenti risultati idonei a partecipare ad un PAS per una specifica classe di concorso che non potranno parteciparvi nella propria regione di appartenenza, come nel caso della Sicilia, perché per quella specifica classe non è stato ancora attivato il corso;
   tale decisione è lesiva per le legittime aspettative di migliaia di precari che attendono da tempo questi percorsi abilitanti speciali (PAS) per conseguire, dopo tanti anni di servizio, l'abilitazione all'insegnamento dopo che una legge dello Stato li ha previsti, per cui è imprescindibile la loro attivazione, così come previsto dal decreto n. 45 del 22 novembre 2013 del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, garantendo i precari che attendono, con giustificata apprensione e che sarebbero penalizzati in previsione del prossimo aggiornamento delle graduatorie;
   considerato, inoltre, che l'attivazione dei PAS comporta un onere non indifferente per i docenti precari che devono sborsare fino a 2.500 euro per lo svolgimento degli stessi e la cui attività di formazione obbligatoria, a cui è tenuta l'Amministrazione per legge, non deve influire sul contingente del 3 per cento fissato per la fruizione dei permessi per il diritto allo studio di cui all'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 395 del 1988;
   se il Ministro interrogato, in base a quanto si è appreso e descritto in premessa, intenda nell'immediato chiarire la questione relativa all'avvio dei PAS per le classi A077;
   se intenda intervenire, nell'ambito delle sue competenze, per l'attivazione in tempi brevi dei corsi abilitanti speciali (PAS) al fine di consentire che i soggetti interessati possano avere il titolo già nelle prossime graduatorie per il triennio 2014/2017;
   se intenda promuovere l'attivazione dei PAS a costi contenuti;
   se intenda garantire i diritti dei docenti precari che da anni garantiscono il funzionamento della scuola pubblica.
(4-03510)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FREGOLENT. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Agrati è un gruppo industriale internazionale con sedi in Europa (Italia, Francia Germania Repubblica Ceca), Nord America e Cina;
   Agrati, fondata in Italia negli anni 30 del secolo scorso, impiega oggi in numerosi siti produttivi ed amministrativi, circa 1700 dipendenti per un fatturato annuo (2012) che supera i 325 milioni di euro;
   il sito di «Fivit – Colombotto», nel comune di Collegno (provincia di Torino), è uno dei cinque stabilimenti italiani del gruppo lombardo Agrati dove sono occupate 82 persone. La produzione della divisione di Agrati Collegno è principalmente costituita (si legge nel sito istituzionale del gruppo industriale) «da viti a resistenza medio – alta, viti speciali, autofilettanti per metallo, per materiali teneri e con rondella imperdibile. Automotive (applicazioni di carrozzeria in particolare) ed elettrodomestico costituiscono le principali destinazioni dei prodotti di questa divisione, anch'essa caratterizzata da una forte propensione verso il prodotto speciale»;
   nonostante queste premesse, è emerso negli organi di informazione, che l'azienda starebbe per dismettere completamente l'attività nonostante non siano mai emersi problemi o richieste di cassa integrazione»;
   i rappresentanti della Fiom – Cgil hanno dichiarato a mezzo stampa che dal 31 gennaio 2014 «l'azienda ha improvvisamente deciso di cessare l'attività e ha avviato la procedura di licenziamento per tutti quanti»;
   sempre secondo i mass media «il gruppo Agrati ha fatto sapere che il mercato internazionale è in difficoltà, che i volumi di produzione sono diminuiti e che dunque non c’è più lavoro sufficiente per mantenere aperti cinque stabilimenti»;
   i sindacati hanno controbattuto rispondendo che la fabbrica «ha appena centrato tutti gli obiettivi richiesti per ottenere il premio di risultato. Senza contare in altri siti produttivi del gruppo il lavoro abbonda, tanto che vengono assunti degli addetti con contratti interinali»;
   è attualmente in corso un presidio di protesta dei dipendenti davanti al cancello della fabbrica –:
   se e quando sia stata assunta dal gruppo Agrati per il sito produttivo di «Fivit-Colombotto» la procedura di licenziamento per tutti i dipendenti e per quali reali e giustificati motivi;
   quali iniziative urgenti si intendano assumere per assicurare tutele e diritti ai lavoratori del sito di «Fivit – Colombotto», a partire dalla convocazione di un tavolo interministeriale fra azienda, rappresentanti dei lavoratori ed enti locali al fine di salvaguardare la continuità produttiva ed i livelli occupazionali dello stabilimento. (5-02097)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si apprende a mezzo stampa che dal 15 febbraio 2014 saranno licenziate le circa 50 operaie ancora in cassa integrazione straordinaria dell'azienda «La Perla» di Roseto degli Abruzzi (Teramo);
   l'ammortizzatore sociale, attivato dal 15 gennaio 2011, finirà il 14 febbraio;
   i sindacati in una nota sottolineano come purtroppo le 50 operaie non ricollocate andranno in mobilità, per cui avranno solo un'indennità per un periodo che va da due a quattro anni, a seconda dell'età;
   la chiusura dell'ennesima azienda storica in provincia di Teramo è un fatto molto grave che chiude una lunga agonia iniziata nel settembre 2010 quando la multinazionale americana che aveva precedentemente acquistato il gruppo bolognese di biancheria di alta qualità annunciò che avrebbe chiuso lo stabilimento di Roseto perché voleva trasferire la produzione al Sud –:
   se non ritenga doveroso promuovere una iniziativa urgente con le parti sociali e gli enti locali per cercare soluzioni produttive e occupazionali e scongiurare questo dramma occupazionale. (4-03500)


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si apprende a mezzo stampa che i vertici aziendali dell'ex Ofetal, i siriani della Madar, hanno annunciato di essere in cerca di un partner o di un eventuale acquirente: l'asta, indetta dal curatore fallimentare Omero Martella, dovrebbe svolgersi il 27 febbraio 2014;
   l'odissea dell'ex Otefal di Bazzano (L'Aquila), che contava 230 unità ed era di proprietà della famiglia bergamasca Pozzoli, è iniziata nel 2008, dopo un investimento sbagliato in Sardegna, il crollo del prezzo delle materie prime, la stretta creditizia e infine il terremoto del 2009;
   a luglio 2010 il tribunale approva il ricorso al concordato preventivo e si fa una gara per l'affitto di un ramo d'azienda, vinta dalla Madar: i siriani, a causa del conflitto bellico che sta dilaniando il loro Paese, decidono di investire in Italia e puntano sulla fabbrica aquilana, che opera in un settore parallelo. Le procedure per la riattivazione del sito e il riassorbimento del personale non sono facili. Ma alla fine, dopo un anno mezzo di concordato preventivo e sei mesi di chiusura totale, si firma l'accordo per l'ingresso dei siriani e all'inizio del 2013 la fabbrica riapre i battenti;
   era il gennaio del 2013 quando si insediarono gli attuali vertici. La Madar sembrava intenzionata all'acquisto definitivo dell'immobile e vedeva in prospettiva una produzione di 24 mila tonnellate di alluminio all'anno;
   fu riavviata la linea di verniciatura dell'alluminio e 120 dipendenti rientrarono in fabbrica, con altri 60 in cassa integrazione a rotazione;
   ora, dopo soli 12 mesi ci sono molte notizie negative e un futuro molto incerto: troppe spese per l'affitto dello stabilimento di Bazzano, poche commesse, l'asta per la vendita del sito che ritarda;
   anche gli stipendi vengono pagati a rate, e così è partita la richiesta per la cassa integrazione straordinaria, si contano 47 esuberi;
   in una nota i lavoratori sottolineano tutta la loro preoccupazione per il futuro dell'azienda ed evidenziano come ci sia un evidente problema di liquidità: ancora non viene erogata la terza rata dello stipendio di dicembre e non si sa quando sarà pagata la mensilità di gennaio;
   mancano le commesse, ed è stata già richiesta l'attivazione della cassa integrazione straordinaria fino a giugno;
   infine i lavoratori lanciano un appello alle istituzioni in cui chiedono di intervenire subito per capire se ci sono margini per salvare lo stabilimento di Bazzano –:
   se non ritenga doveroso promuovere una iniziativa urgente con le parti sociali e gli enti locali per cercare soluzioni produttive e occupazionali e scongiurare questo dramma occupazionale. (4-03501)


   LODOLINI e FRAGOMELI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda «Bizzarri Spa», con sede a Corinaldo (AN), è una storica impresa marchigiana che da trentacinque anni opera nel settore della lavorazione del legno e da oltre venti è fornitore ufficiale del «Gruppo IKEA», nota azienda multinazionale specializzata nella vendita di mobili e complementi d'arredo;
   l'azienda «Bizzarri spa», dopo essere ricorsa a tutti gli strumenti previsti dall'attuale normativa in tema di ammortizzatori sociali, ha infine deciso di annunciare il licenziamento di tutto il personale assunto per un totale di oltre 150 lavoratori;
   in un'intervista rilasciata a «Economiaweb.it» Giancarlo Battistelli, direttore generale di «Bizzarri Spa», dichiara che «per “Ikea” è importante avere aziende che reagiscono in tempi brevissimi ad un input. Tuttavia, qui in Italia, rischiamo in ogni momento di andare fuori mercato, visto che i Paesi dell'Est Europa, o il Portogallo, pagano l'energia il 20 per cento in meno e la manodopera il 40 per cento in meno. Noi abbiamo invece un costo del lavoro altissimo, pur erogando stipendi netti molto bassi»;
   l'azienda «Bizzarri Spa» fattura oltre 20 milioni di euro di ricavi l'anno grazie proprio alle forniture di componenti a «Ikea» e, dichiara Battistelli, «questa cifra rappresenta l'80 per cento del nostro fatturato»;
   il direttore generale Battistelli ammette inoltre come «negli anni ci siamo "lasciati trasportare" un po’ e, al di fuori dal rapporto con gli svedesi, abbiamo sì maturato altre possibilità, ma su quantitativi ridotti» –:
   quali iniziative di competenza intendano assumere al fine garantire, da un lato, la salvaguardia del posto di lavoro per i dipendenti di «Bizzarri Spa» e, dall'altro, le prospettive industriali dell'azienda stessa. (4-03505)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GALLINELLA, GAGNARLI, L'ABBATE, PARENTELA, LUPO, BENEDETTI e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   anche a seguito di una recente indagine conoscitiva svolta dalla Commissione agricoltura della Camera dei deputati nel corso della precedente legislatura, è emerso che una delle principali criticità del comparto primario è la sperequata distribuzione del valore all'interno della filiera a causa della presenza di soggetti operanti in regime di oligopolio;
   è noto infatti che nel settore di alcuni indispensabili mezzi tecnici di produzione, quali gli agro farmaci e le sementi, si sono consolidati, nel corso del tempo, processi di concentrazione di imprese produttrici, spesso organizzate su basi multinazionali, che incidono profondamente sui costi di produzione a carico delle aziende agricole;
   nel mercato europeo è autorizzata una quantità di fitofarmaci molto limitata, le imprese produttrici sono in grado di condizionare i prodotti che intendono collocare sul mercato con il rischio di incentivare un utilizzo di fitofarmaci non sempre perfettamente confacente alla tipologia di coltivazione e conseguente perdita di biodiversità;
   a conclusione dell'attività conoscitiva di cui sopra, la Commissione agricoltura ha deliberato di trasmettere i risultati alla Autorità garante della concorrenza e del mercato, al fine di segnalare la mancanza di concorrenza nel mercato degli agro farmaci e delle sementi e il rischio che la concentrazione di imprese che forniscono i mezzi tecnici di produzione e che svolgono sempre più un ruolo di «price maker», configuri l'illecito di abuso di posizione dominante incidendo pesantemente sui rapporti contrattuali tra i soggetti della filiera –:
   di quali ulteriori elementi disponga il Ministro in relazione a quanto espresso in premessa e quali utili iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere al fine di contribuire a rimuovere le cause che determinano la prospettata situazione di oligopolio nel mercato delle sementi e degli agro farmaci con grave nocumento per le aziende agricole. (5-02092)


   BURTONE e OLIVERIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il comparto agrumicolo siciliano sta attraversando una delle crisi più acute di mercato che mettendo a rischio la sopravvivenza di tante imprese;
   in dieci anni i costi di produzione sono aumentati di quasi il 40 per cento, mentre contestualmente i prezzi di vendita sono diminuiti anche a causa di una concorrenza non regolamentata e spesso sleale che si nasconde tra le pieghe delle direttive comunitarie;
   decine di migliaia di posti di lavoro sono a rischio;
   diventa assolutamente prioritario istituire un tavolo nazionale presso il quale convocare tutti i soggetti interessati per valutare gli opportuni interventi a partire dall'aumento del prezzo di ritiro da parte delle imprese multinazionali che rappresentano in questo momento il peggiore nemico di un corretto funzionamento del mercato –:
   se e quali iniziative il Governo intenda adottare per convocare in tempi rapidi questo tavolo per il settore agrumicolo e per pervenire a una serie di misure finalizzate al sostegno delle imprese e dell'occupazione nel settore come:
    a) dichiarare lo stato di crisi per tutto il settore agrumicolo e conseguente esenzione dal pagamento degli oneri fiscali e previdenziali;
    b) promuovere l'estensione dei benefici previsti per le avversità atmosferiche anche ai danni economici provocati dalla crisi di mercato;
    c) promuovere il finanziamento, in maniera adeguata, del fondo di solidarietà nazionale e, di concerto con la regione siciliana e la regione Calabria, un intervento finanziario per favorire il conferimento del prodotto a scopi umanitari;
    d) determinare per il prossimo triennio la riduzione degli oneri previdenziali per le aree montane e svantaggiate;
    e) promuovere le sospensioni sull'obbligatorietà del durc;
    f) bloccare per le aree agrumetate la rivalutazione degli estimi catastali;
    g) promuovere un'intesa fra Ministero dell'economia e delle finanze, ABI e organizzazioni agricole per riconoscere ai produttori agrumicoli crediti agevolati;
    h) modificare i rapporti all'interno della filiera agro-alimentare, per un riequilibrio della catena del valore, al fine di assicurare la giusta remunerazione dei produttori e favorire la ripresa dei consumi alimentari. (5-02094)

SALUTE

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   la Conferenza delle regioni ha proposto il rinvio al 1o aprile 2017 della chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari in quanto non sono pronte le residenze in cui eseguire le misure di sicurezza detentive;
   in questo senso per le regioni REMS si configurano come inaccettabili mini ospedali psichiatrici giudiziari che regionalizzano semplicemente la condizione intollerabile vigente;
   Gli OPG sono stati giustamente definiti ai più alti livelli istituzionali come «indegni per un Paese civile»;
   la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari va affrontata attraverso il rafforzamento della cultura della responsabilità e della presa in carico delle persone internate da parte dei dipartimenti di salute mentale con un necessario aumento delle risorse finanziarie a loro disposizione e attraverso l'applicazione da parte della magistratura delle sentenze della Corte Costituzionale del 2003 e del 2004 che favoriscono le misure alternative all'internamento;
   occorre dare priorità alla definizione di programmi regionali a favore dei «percorsi terapeutico-riabilitativi» che assicurino il diritto alle cure e al reinserimento sociale –:
   se non ritenga di assumere iniziative per evitare una ulteriore proroga della chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari senza l'introduzione di precisi vincoli di legge che favoriscano le dimissioni e le misure alternative alla detenzione e pongano fine alle proroghe delle misure di sicurezza spesso motivate dalla mancanza di presa in carico da parte dei servizi del territorio.
(2-00403) «Melilla».

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta orale:


   RABINO e MONCHIERO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   gli abitanti delle comunità montane, pur se assoggettati al pagamento del canone Rai, non ricevono il segnale della tv pubblica; specialmente dopo l'avvenuta transizione da analogico a digitale. Intere vallate ed interi paesi alpini ed appenninici hanno totalmente perduto la ricezione del segnale;
   il canone è un'imposta sulla detenzione di apparecchi atti alla ricezione di radioaudizioni televisive, ma nel caso delle comunità montane, i ripetitori (che altrimenti non esisterebbero) sono gestiti direttamente dagli enti locali su mandato della regione. Questi, infatti, hanno sopperito al problema sorto in seguito alla transizione al digitale, riuscendo a coprire il segnale in alcune vallate rimaste totalmente al buio, come, nello specifico, le Valli di Orco e Soana, nelle quali la tv non sarebbe in alcun modo visibile senza i pali montati, negli ultimi anni, dall'ente sovra comunale;
   se non fosse per la lungimiranza di alcuni giornalisti, le terre alte sarebbero totalmente tagliate fuori dal piccolo schermo, in quanto, il servizio pubblico, nel palinsesto di tutte le reti, non trasmette più alcuna trasmissione dedicata alla montagna, alle sue storie o alla sua gente, ed inoltre nel 2013 è stato definitivamente sospeso il Tgr Montagne;
   il Corecom Piemonte (Comitato regionale per le comunicazioni) allertato dalle istanze degli abitanti di numerosi paesi, ha avviato un'indagine per pubblicare dati dettagliati in merito alla situazione effettiva di quei comuni, che, nonostante paghino il canone Rai, non ricevono alcun servizio al fine di sollecitare l'intervento dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) ed evitare l'accrescimento del divario digitale e di accesso all'informazione tra aree montane ed urbane –:
   quali urgenti iniziative, per quanto di competenza, intenda attuare per venire incontro agli utenti che, pur pagando il canone RAI, non godono dei servizi ad esso connessi, e se non ritenga opportuno avviare una ricognizione delle zone effettivamente servite dall'emittenza pubblica attraverso un puntuale monitoraggio sul rapporto tra canone Rai e territorio servito dall'emittenza pubblica, ponendo particolare attenzione al disagio subito dagli abitanti delle comunità montane. (3-00622)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BELLANOVA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda Officine meccaniche e ferroviarie del Salento Srl ha rappresentato un punto di riferimento locale e nazionale nel settore della manutenzione ferroviaria. La principale commessa, prima che la stessa entrasse in un vortice di crisi – fino a fallire – arrivava dalla società Trenitalia;
   in data 8 gennaio 2014 si è tenuto un incontro per affrontare la vertenza Omfesa presso il ministero dello sviluppo economico;
   nel sopra citato incontro, come da resoconto di verbale pubblicato sul sito del Ministero dello sviluppo economico il rappresentante di Assifer Service Srl ha confermato la disponibilità a «presentare in tempi brevi alla curatela una manifestazione di interesse a seguito di un sopralluogo dello stabilimento. Egli ha altresì confermato confermato l'intenzione di proseguire l'attività di Omfesa attraverso un affitto di Ramo d'azienda, che non preclude l'acquisizione alla fine del percorso, purché se ne manifestino le opportunità. La suddetta manifestazione di interesse riguarderà tutti i lavoratori già in forza ad Omfesa al 31 gennaio 2013 (circa 80 unità)»;
   a margine del sopra citato incontro tante sono state le dichiarazioni di soddisfazione per l'avvio di una trattativa di rilancio dell'azienda, attraverso l'acquisizione di una manifestazione di interesse aziendale e soprattutto per l'apertura di una prospettiva lavorativa per le tante persone che operano nell'azienda. Dagli articoli di stampa si registrava anche la possibilità che nella settimana successiva l'incontro ministeriale si potessero avviare i sopralluoghi necessari propedeutici al fitto del ramo d'azienda;
   tanti sono i lavoratori che in questi giorni sono tornati a porre la necessità di poter tornare a lavorare insieme a quella di far presto in tutto questo iter. Una necessità impellente che viaggia di pari passo con le problematiche di bilancio familiare e le necessità primarie di queste 80 famiglie;
   si è a conoscenza che il Ministero «conferma che il tavolo rimane aperto per la verifica ed il monitoraggio del percorso qui delineato fissando già la prima data entro febbraio 2014 per una prima verifica –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dello stato dell'arte dei sopralluoghi propedeutici al fitto del ramo d'azienda, se sia già stata calendarizzata la data utile per la verifica per il mese di febbraio e che cosa intenda fare affinché questi lavoratori riprendano l'attività lavorativa e non continuino a rimanere in una condizione di incertezza. (5-02093)

Interrogazioni a risposta scritta:


   INVERNIZZI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Cologno al Serio sito nella provincia di Bergamo ha una popolazione di quasi 11 mila abitanti;
   i cittadini sono costretti giornalmente ad affrontare lunghe attese agli Uffici Postali, in quanto vi sono solo due sportelli che consentono di effettuare le operazioni;
   sono già stati segnalati nelle passate legislature, con numerosissimi atti di sindacato ispettivo (solo nella XVI legislatura: 4/17347, 4/14531, 4/13410, 4/13294, 4/12704, 4/12418, 4/12224, 4/10623, 4/09537, 4/09469, 4/08137, 4/07966, 4/07663, 4/07289, 4/06186, 4/05933, 4/05900, 4/05801, 4/05200, 4/04302, 4/03679) i disservizi nella provincia di Bergamo e in altre province della Lombardia oltre che di regioni limitrofe causati dalla inadeguata organizzazione dell'azienda Poste Italiane spa sul territorio orobico –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare affinché Poste italiane eroghi un servizio puntuale ed efficiente alla popolazione della provincia di Bergamo.
   (4-03490)


   PAGLIA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'evoluzione del mercato dell'energia indica un progressivo spostamento della capacità produttiva dalle centrali a combustione verso le fonti rinnovabili;
   tale processo mette in discussione la stessa sostenibilità economica di medio periodo degli impianti di tipo tradizionale, tanto da aver indotto di recente il Parlamento a riconoscere sul piano economico i costi di messa a disposizione della capacità produttiva;
   in particolare sono gli impianti a carbon fossile a doversi ritenere superati, per ragioni di impatto ambientale, e tali sono considerati in prospettiva anche dalla strategia economica nazionale;
   si potrebbe ipotizzare una riconversione ad altra fonte di alimentazione delle centrali a carbone, che risultano peraltro oggi alimentate essenzialmente da combustibile acquistato all'estero –:
   quale sia la quantità di carbone in tonnellate che ogni anno viene utilizzato nelle singole centrali;
   quali siano i Paesi di provenienza del carbone utilizzato e per ciascun Paese di provenienza quali siano le quantità tonnellate/anno importate;
   quali siano i costi necessari per acquistare la materia prima;
   quali e quante siano le società di trading che si occupano degli acquisti di carbone;
   quali e quante siano le società di trasporto coinvolte per la gestione della logistica. (4-03504)


   CIMBRO, CIVATI, CASSANO, CASATI, COMINELLI, COVA, COLANINNO, DANIELE FARINA, LORENZO GUERINI, MAURI, MOSCA, GUERRA, GIUSEPPE GUERINI e LAFORGIA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 21 novembre 2013 è stata presentata  un'interpellanza urgente avente per oggetto la Franco Tosi Meccanica e in particolare la preoccupante situazione di stallo sul piano occupazionale e produttivo della medesima che si è aggravata con il passare del tempo principalmente a causa della mancanza di interventi risolutivi per la messa in sicurezza dell'integrità e della continuità dell'azienda;
   è stata richiesta la cassa integrazione in deroga il 25 luglio 2013 per circa 250 persone e a oggi non è stata ancora approvata. Di fatto da diversi mesi molte di questi dipendenti non percepiscono alcuna entrata ed è, invece, assolutamente necessario, nel pieno rispetto della dignità delle lavoratrici e dei lavoratori, approvare nel più breve tempo possibile la procedura di cassa integrazione in deroga e provvedere ad un'azione di Governo che, in questo particolare momento di crisi finanziaria per il Paese, sostenga le primarie esigenze economiche di operai ed impiegati specializzati che nel corso degli anni hanno reso la Franco Tosi Meccanica un'azienda rinomata a livello mondiale;
   a oggi l'azienda si trova nella procedura di amministrazione straordinaria in base alla legge Prodi bis che prevede come prerogative essenziali il mantenimento dell'integrità del valore dell'azienda e la continuità dell'attività al fine di tutelare creditori, dipendenti ed agire nel rispetto delle politiche industriali del Ministero dello sviluppo economico;
   la procedura di amministrazione straordinaria prevede la presentazione di un piano industriale entro 60 giorni dall'inizio del mandato e la nomina di un comitato di garanzia, elementi fondamentali per un approccio lineare e formalmente corretto per la procedura;
   lo stato delle finanze a disposizione dell'azienda, provenienti dai flussi di cassa interna, sono determinanti rispetto alla scelta di un affitto o vendita dell'azienda in quanto le finanze a disposizione dettano un preciso arco temporale per le possibili soluzioni da attuare a tutela della procedura. Di fatto le cronache riportano la recente perdita di due importanti contratti in Centro e Sudamerica: Bolivia e Nicaragua. Dall'inizio della procedura di amministrazione straordinaria la perdita di commesse ha danneggiato l'integrità del valore dell'azienda, i possibili flussi di cassa proveniente da tali commesse e il valore dell'azienda stessa nei confronti di futuri acquirenti;
   tema assolutamente necessario per mantenere in essere la procedura è la continuità aziendale. Il ricorso alla procedura di commissariamento è stata omologata dal tribunale di Milano in seguito alla relazione dell'avvocato Barazzoni che lega la continuità aziendale alla manifestazione di interesse per l'affitto d'azienda da parte di quattro soggetti di livello internazionale ricevute nel mese di settembre 2013. Rispondendo alla precedente interpellanza presentata il 6 novembre 2013, il Ministero dello sviluppo economico aveva dichiarato «Dopo aver analizzato il percorso delineato dal bando, finalizzato all'affitto dell'azienda, il commissario straordinario ha incontrato tutti coloro che hanno manifestato interesse in detta procedura» ed ancora «Il Commissario sta predisponendo un programma di cessione del complesso aziendale, in contatto con il Ministero, avuto, in particolare, riguardo alle iniziative da assumere anche in via di urgenza, ove indispensabili. Da questo punto di vista le ultime notizie citate dall'onorevole Cimbro, sono oggetto in questo momento di verifica, potrebbero rientrare appunto nelle iniziative da assumere in via d'urgenza, dove però l'obiettivo comunque rimane quello del programma di cessione del complesso aziendale.». Inoltre, le cronache hanno riportato le dichiarazioni del commissario straordinario dottor Andrea Lolli alle organizzazioni sindacali incontrate il giorno 20 novembre 2013 alle quali lo stesso garantiva di procedere con una gara d'affitto entro il 31 dicembre 2013; a tale incontro erano presenti Mirco Rota, segretario generale Fiom Cgil Lombardia e Luigi Dedei, segretario regionale Fim Cisl Lombardia. Ad oggi, tali dichiarazioni non trovano riscontro. Le cronache riportano inoltre che alcuni soggetti industriali abbiano fatto capire informalmente del decadere del loro interesse, mentre non si conosce la formale posizione degli altri soggetti ancora interessati o di altri eventuali nuovi soggetti;
   la situazione della Franco Tosi è allarmante a tal punto da riaccendere le memorie dello spettro del fallimento chiesto da tre aziende nel mese di luglio 2013. La legge Prodi bis prevede la conversione dell'amministrazione straordinaria in fallimento qualora non siano rispettati i tempi dettati dal piano industriale, ovvero quando i risultati di legge non siano raggiungibili; nel caso della Tosi, le finanze per l'attuazione non sono note e non si conoscono le posizioni delle aziende possibilmente interessate alla luce della recente perdita di importanti commesse internazionali. Il fattore tempo è determinante, così come riportato dall'interpellanza urgente presentata nel novembre 2013 nella quale già si avvisava del possibile aggravarsi della situazione;
   il 24 gennaio 2014 si è tenuto un incontro presso il Ministero dello sviluppo economico durante il quale le rappresentanze sindacali hanno espresso severi dubbi inerenti gestione della procedura. Il tema espresso chiaramente è il seguente: più lunghi i tempi, più alto il rischio di depauperamento del patrimonio industriale e più certa l'ipotesi «spezzatino». Tale tesi sindacale è stata chiaramente supportata da una lettera inviata al Ministero dello sviluppo economico e al commissario Andrea Lolli nel mese di dicembre 2013 firmata da oltre 200 dipendenti gli stessi che, preoccupati per il loro destino lavorativo, durante l'incontro tenutosi a Roma la settimana scorsa hanno manifestato davanti al Ministero dello sviluppo economico e davanti alle portineria della storica azienda di Legnano;
   in questo contesto la soluzione dell'affitto potrebbe portare nell'immediato ulteriori vantaggi per il rilancio industriale ed il mantenimento dell'integrità del valore dell'azienda stessa in quanto il mercato esige al più presto un dialogo ed un confronto con un soggetto industriale. Tale soggetto deve essere credibile e in grado di garantire la propria capacità tecnico-finanziaria per la gestione dell'azienda dal punto di vista operativo, la presentazione di garanzie bancarie necessarie ai progetti internazionali, la formulazione di preventivi e l'esecuzione di ordini, nonché la rinegoziazione e mantenimento degli stessi. La perdita di commesse è sicuramente legata alla stringente esigenza di un mercato che necessita di una controparte industriale il prima possibile. Si ricorda anche il delicato tema della denominazione aziendale;
   un'ulteriore considerazione nasce dal fatto che quanto prima si affitta il ramo produttivo dell'azienda, tanto prima si può legare un soggetto industriale alla stipula di un contratto che obbliga lo stesso a presentare un'offerta per l'acquisto dell'attività. La nota più grave ad oggi è che tergiversando su quale fosse la migliore via da percorrere, la gestione da parte del tribunale di Milano e successivamente da parte del Ministero dello sviluppo economico non abbia portato alla stipula e firma di nessun accordo vincolante da parte di alcun soggetto industriale né per l'affitto né tanto meno per la vendita dell'attività;
   ad oggi appare altamente improbabile la possibilità di completare le procedure burocratiche previste per un acquisto dell'azienda entro il mese di giugno 2014. La procedura di vendita potrebbe richiedere un lasso di tempo molto più importante, tale da costringere i termini per la cessione nell'anno 2015. La conseguenza del dilatarsi dei tempi a tal punto metterebbe chiaramente a repentaglio l'integrità del valore dell'azienda e l'esistenza stessa della fabbrica, fino a non rendere possibile il configurarsi di un piano industriale per il rilancio in continuità operativa. A tale data gli unici interessi per l'acquisto potrebbero provenire da realtà industriali di più ridotte dimensioni e scopi interessate solamente a tante piccole porzioni del tutto e «l'ipotesi spezzatino» diventerebbe l'unico possibile epilogo alla vicenda Tosi. Si sottolinea che il core business da un punto di vista impiegatizio della fabbrica di Legnano è infatti costituito dalla produzione di turbine a vapore che potrebbe impiegare centinaia di dipendenti. I rami d'azienda service e «idraulica» possono essere gestiti impiegando solo pochi tecnici dislocati in altre sedi e con produzione conto terzi. Alcune aziende concorrenti stanno già tentando di assumere specifici dipendenti della Franco Tosi e disperdere il know-how tecnologico. Il tempo è un fattore di assoluta importanza per la conservazione di questo asset aziendale chiaramente legato all'integrità del valore aziendale da mantenersi;
   in questo contesto è emersa una circostanza che desta gravissima preoccupazione riguardante la gestione aziendale. In assenza di un piano industriale approvato dal Ministero, senza alcuna forma di pubblicità, in totale assenza di una procedura competitiva che avrebbe sicuramente tutelato il più alto valore di cessione, sembrerebbe siano stati ceduti o si stiano per cedere disegni e/o l'utilizzo di tecnologia con cartiglio Franco Tosi Meccanica relativo a turbine a vapore. Come riportano diversi articoli, i sindacati dell'azienda intendono, qualora tali fatti siano confermati e accertati, rivolgersi alla procura della Repubblica e al tribunale di Milano e presentare formalmente un esposto al fine di sorvegliare sulla procedura di amministrazione straordinaria ed evitare qualsiasi frazionamento in una fase così delicata per l'azienda –:
   quali ulteriori iniziative i Ministri, per quanto di competenza, intendano intraprendere al fine di garantire il mantenimento dei livelli occupazionali e produttivi della società Franco Tosi Meccanica s.p.a. ed entro quale data tali iniziative verranno intraprese, soprattutto, per quanto concerne la cassa integrazione straordinaria;
   quale sia l'orientamento del Ministro dello sviluppo economico, sulla base dei dati forniti dal commissario straordinario e a fronte della precisa analisi della situazione effettuata dal medesimo, rispetto alla scelta da attuarsi, posto che risulta evidente che, nel rispetto delle competenze e responsabilità specifiche, il problema della Franco Tosi richieda una risposta politica che sia lungimirante e, pur in una situazione di gravissima crisi economica, possa garantire quel patrimonio produttivo e di competenze che hanno reso l'Italia competitiva sul piano internazionale. (4-03511)

Apposizione di firme ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Di Lello ed altri n. 1-00157, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Garavini, Quartapelle Procopio e, contestualmente con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Di Lello, Garavini, Scotto, Locatelli, Mogherini, Ragosta, Migliore, Del Basso De Caro, Di Gioia, Pastorelli, Boccadutri, Franco Bordo, Lavagno, Melilla, Nicchi, Paglia, Piazzoni, Quaranta, Ricciatti, Pilozzi, Giancarlo Giordano, Di Salvo, Kronbichler, Manciulli, Amendola, Paolucci, Quartapelle Procopio».

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Fiano e altri n. 4-03158, pubblicata nell'allegato B della seduta del 16 gennaio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Roberta Agostini, Incerti, Miotto, Carnevali, Baruffi.

  L'interrogazione a risposta scritta Miotto n. 4-03421, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 febbraio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Lenzi, Patriarca, Amato, Scuvera, D'Incecco, Capone, Bellanova, Casati, Cenni.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato dell'interrogazione a risposta scritta Miotto n. 4-03421, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 165 del 3 febbraio 2014.

   MIOTTO, LENZI, AMATO, SCUVERA, D'INCECCO, CAPONE, BELLANOVA, CASATI e CENNI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali con proprio decreto in data 10 dicembre 2013 ha istituito il tavolo tecnico del settore piante officinali al quale partecipa il Ministero della salute, con lo scopo di valutare il piano triennale del settore piante officinali, presentato al costituendo tavolo in data 16 luglio 2013;
   il piano di settore triennale delle piante officinali in realtà prescinde dalla legge n 99 del 1931 «disciplina della coltivazione, raccolta e commercio delle piante officinali», e dal regolamento di applicazione, e non può essere buon motivo la evidente obsolescenza della norma, che opportunamente può e deve essere aggiornata, come risulta confermato dalla presentazione di proposte di legge sia al Senato che alla Camera dei deputati – con atto 1961 – nonché dalle numerose leggi regionali che nel frattempo si sono succedute;
   nel piano compare un unico cenno all'erborista – al capitolo n. 6 – ma risulta evidente, nel complesso del documento, il tentativo di rimuovere il vincolo delle competenze specifiche derivanti da un adeguato percorso formativo che ora può essere identificato nella laurea in scienze e tecniche erboristiche, a vantaggio di una sorta di liberalizzazione nella coltivazione, trasformazione e commercio delle piante officinali, attività che erroneamente verrebbero considerate come generica pratica agricola;
   eppure fra le azioni per affrontare le criticità del sistema, individuate dal predetto documento, compare l'esigenza di investire sulla qualità e l'erborista può rappresentare un fattore decisivo per qualificare l'intera filiera del sistema, fermo restando che un disconoscimento della figura dell'erborista sarebbe sicuramente negativo anche per le aziende di coltivazione, indirizzando, in un certo senso la produzione su una minore quantità di specie con sicure ricadute negative anche sulla qualità delle materie prime vegetali. Invece, come afferma la bozza del piano di settore triennale, le piante officinali costituiscono una categoria ampia di specie botaniche, non classificabili nelle classiche categorie agronomiche per via della loro peculiarità, che le rende una classe di piante trasversali dal punto di vista botanico, agronomico ed ecologico che si caratterizzano per una molteplicità di destinazioni;
   proprio sulla base di questi presupposti quando si parla di piante officinali per uso erboristico, alimentare, farmaceutico, cosmetico, l'assistenza della figura professionale dell'erborista nella coltivazione e prima trasformazione è essenziale per arrivare ad un prodotto di buona qualità e sicuro per il consumatore, in grado di competere con il prodotto importato;
   in particolare le implicazioni di carattere sanitario per le ovvie ricadute sulla salute dei cittadini, rivestono un ruolo importante nel documento, in particolare al capitolo 5, e quindi appare contraddittorio prescindere da una figura professionale che di fatto svolge un lavoro capillare di educazione sanitaria, di informazione sulle piante medicinali e sull'uso delle stesse e una consulenza all'automedicazione responsabile con le piante officinali. Un lavoro sicuramente importante per la salute della popolazione che si trova sempre più in balìa di stimoli, suggestioni e messaggi pubblicitari a volte fuorvianti e che necessita di un orientamento qualificato e professionale –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover considerare con attenzione le osservazioni che gli erboristi italiani hanno proposto;
   se non ritenga di dover considerare con attenzione la circostanza che un documento importante come il piano di settore delle piante officinali non possa prescindere dal rispetto della normativa vigente ed in particolare della legge n. 99 del 1931 a tutela anche della salute dei cittadini. (4-03421)

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Prodani n. 5-02050 del 3 febbraio 2014.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta orale Cimbro e altri n. 3-00600 del 31 gennaio 2014 in interrogazione a risposta scritta n. 4-03511.

ERRATA CORRIGE

  Interpellanza urgente Brunetta n. 2-00400 pubblicata nell'allegato B ai resoconti della Seduta n. 166 del 4 febbraio 2014. Alla pagina 9419, prima colonna, dalla riga quarantaduesima alla riga quarantatreesima, deve leggersi: «cui all'articolo 2, comma 11, del decreto legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito,» e non «cui all'articolo 11, comma 2, del decreto legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito,», come stampato.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BARUFFI e RICHETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la «Ceramiche Progres» è una ditta di produzione di piastrelle ceramiche avente il proprio stabilimento nel comune di Serramazzoni, ai confini con Pavullo, nell'Appennino modenese;
   l'azienda occupa attualmente una cinquantina di addetti, prevalentemente residenti nella zona, e risulta quindi per il territorio montano una realtà produttiva significativa anche per dimensioni;
   la ditta, sebbene già toccata negli anni scorsi dalla crisi economica, tanto da avere adottato la misura della cassa integrazione ordinaria, costituisce ancora un'importante risorsa economica per la montagna modenese e resta un presidio contro lo spopolamento del territorio appenninico;
   sebbene non fossero sconosciute le difficoltà economiche dell'impresa, non era stata rappresentata alcuna emergenza significativa alle istituzioni locali nei mesi e nelle settimane passate;
   l'8 novembre 2013 la proprietà, in modo del tutto inaspettato e dirompente, ha comunicato ai lavoratori la volontà di mettere in liquidazione la società;
   una simile eventualità rappresenterebbe un colpo fortissimo non solo per le decine di lavoratori coinvolti, ma per le loro famiglie e l'intera comunità coinvolta, stante la specificità del tessuto socioeconomico dell'appennino modenese;
   l'immediata messa in liquidazione vanificherebbe qualsiasi possibilità di rilancio di quella realtà produttiva, vanificando al tempo stesso ogni tentativo, anche da parte dei sindacati e della amministrazioni locali, di trovare una soluzione condivisa alla crisi aziendale stessa;
   appare quindi indispensabile agire in fretta per evitare il depauperamento del territorio e del suo tessuto economico, e soprattutto il precipitare della situazione per i lavoratori coinvolti e le rispettive famiglie;
   occorre in via prioritaria ricercare una soluzione che consenta il mantenimento degli ammortizzatori sociali per gli addetti coinvolti in attesa di un auspicabile rilancio dell'impresa che passi, eventualmente, anche attraverso un cambio della proprietà –:
   se siano a conoscenza dei fatti riportati e dispongano di ulteriori informazioni in merito;
   se non ritengano necessario assumere ogni utile iniziativa, di concerto con le amministrazioni locali coinvolte e con la regione Emilia Romagna, affinché possa essere salvaguardata questa realtà produttiva così significativa per il territorio interessato;
   quali strumenti di protezione sociale intendano predisporre, d'intesa con gli enti locali e la regione, al fine di accompagnare i lavoratori coinvolti verso un auspicabile rilancio dell'azienda e, in ogni caso, affinché sia tutelata la capacità reddituale dei lavoratori. (4-03006)

  Risposta. — Per quanto concerne il comparto delle piastrelle di ceramica prodotte in Italia, di cui chiedono gli interroganti, in tale settore si registrano segnali di rallentamento nell'economia europea, dovuti all'aggravamento della congiuntura immobiliare italiana con la conseguente grave perdita di posti di lavoro e notevoli difficoltà nel tessuto socio economico delle zone del distretto in cui insistono.
  La suddetta crisi ha coinvolto la ditta «Ceramiche Progres» avente il proprio stabilimento nel comune di Serramazzoni, nell'Appennino modenese che, come specificato anche dagli interroganti, costituisce un'importante risorsa economica per la zona del modenese.
  Al riguardo il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha comunicato che la società usufruisce della cassa integrazione ordinaria dall'anno 2008 fino all'anno 2012; peraltro, attualmente la ditta risulta dal settembre 2012 essere in concordato preventivo ed attualmente in fase di liquidazione.
  Nella nuova situazione in cui si trova la società, i lavoratori potranno fruire degli ammortizzatori generali previsti come da legge. Sarà cura dei Ministeri competenti verificare con gli organi della procedura la situazione concretamente esistente.
  Il Ministero dello sviluppo economico consapevole dell'importanza del settore ceramico, assicura il proprio impegno a continuare nella individuazione di obiettivi e risorse che concorrano ad attenuare e indirizzare su binari positivi la pesante situazione in cui versano le imprese del settore. A tal riguarda si ricordano gli incentivi alla ristrutturazione delle abitazioni che, come dimostrano i recenti dati statistici, hanno indubbiamente apportato benefici anche al settore della ceramica sanitaria oltre che delle piastrelle in ceramica. Su questa strada continuerà l'impegno.
  Il Ministero dello sviluppo economico, infine, ha avviato contatti con le parti interessate al fine di concordare un incontro che consenta di verificare la possibilità di riprendere la produzione anche con una nuova proprietà.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   BOCCUZZI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   viene definito acufene quella sensazione uditiva un suono continuo, costante (ad esempio fischi, ronzii, e altro) percepito in un orecchio o in entrambi o nella testa. Questa patologia non è semplicemente un disturbo molto fastidioso, come si usa spesso liquidarlo, ma una vera e propria malattia invalidante che affligge in Italia il 10 per cento della popolazione priva di difetti uditivi;
   vivere per mesi, anni, sentendo ininterrottamente nelle orecchie e nella testa rumori, anche multipli è un vero stillicidio, che provoca uno stato invalidante dal punto di vista dell'assetto psicologico ed emozionale, del livello di attenzione e concentrazione, della vita di relazione. Si tratta di fattori che spesso portano ad uno stato di forte depressione, a volte con risvolti drammatici quali la morte per suicidio;
   varie sono le classificazioni degli acufeni proposte dagli studiosi nell'arco di mezzo secolo. Alcuni distinguono gli acufeni in oggettivi e soggettivi. Gli acufeni oggettivi sono molto rari e si presentano come suoni che si generano all'interno del corpo umano, come ad esempio quelli originati da un flusso vascolare particolare o da contrazioni muscolari;
   gli acufeni soggettivi sono i più comuni e si individuano nei casi in cui il soggetto percepisce un suono che non è ascoltabile dall'esterno e che può essere provocato da farmaci, ma anche da alcool, caffeina e antidepressivi;
   ad oggi i portatori in Italia sono oltre cinque milioni –:
   quali iniziative intenda adottare per avviare studi e ricerche su questa patologia un po’ dimenticata, ma che può colpire tutti indistintamente. (4-01671)

  Risposta. — L'acufene è un problema otologico assai frequente. Studi condotti negli ultimi due lustri in Paesi europei, quali la Germania e il Regno Unito, hanno dimostrato come, mediamente, circa il 10-20 per cento della popolazione del nostro continente abbia sofferto di acufene almeno una volta nella vita. Per quanto riguarda l'Italia, a seguito di una serie di studi risulterebbe che nel nostro Paese vi sia una prevalenza di tale problema otologico pari a circa il 15 per cento.
  L'acufene consiste in sensazioni acustiche endogene, sotto forma di fischi, ronzii, fruscii o altro, percepiti in una o in entrambe le orecchie o nella testa. Tale disturbo può incidere sulla qualità della vita di chi ne soffre soprattutto a livello psicologico, arrivando, nei casi più gravi, a compromettere seriamente il benessere del paziente. La ricerca clinica ha chiaramente dimostrato come, in una alta percentuale dei casi, questo disturbo debba essere affrontato mediante una strategia terapeutica di cui la psicoterapia sia parte integrante.
  Purtroppo, la causa dell'acufene non è chiara nella maggioranza dei casi.
  Tuttavia, nuove tecniche e metodi di ricerca, come le tecniche di «neuroimaging», che permettono di osservare l'attivazione delle aree del cervello deputate all'elaborazione dei segnali acustici, sembrano promettere importanti passi avanti per la comprensione dell'eziologia della patologia in questione.
  Al fine di valutare quali iniziative adottare per gestire i problemi sanitari legati all'acufene e considerata la necessità di sviluppare ulteriormente la ricerca mirata alla comprensione delle basi fisiopatologiche del disturbo, occorre effettuare un attento studio dello stato dell'arte delle conoscenze di base e cliniche, ottenute tramite la revisione sistematica della letteratura disponibile e l'esame delle scoperte scientifiche più recenti. Potranno anche essere messe a disposizione della comunità scientifica le competenze esistenti presso l'istituto superiore di sanità, per promuovere la ricerca e la conoscenza delle problematiche relative all'acufene presso Istituzioni, centri di ricerca e opinione pubblica.
  Tali iniziative sono necessarie ai fini della valutazione dell'eventuale inserimento dell'acufene nei livelli essenziali di assistenza, ai sensi del decreto ministeriale n. 329 del 1999 e successive modifiche, come malattia cronica invalidante. Occorre infatti sviluppare una serie di approfondimenti, legati, ad esempio, all'accertamento del quadro nosologico non unicamente basato sull'autovalutazione da parte del paziente stesso.
  Attualmente, non è possibile prevedere l'inserimento dell'acufene tra le malattie croniche ed invalidanti di cui al decreto ministeriale n. 329 del 1999, poiché esso non costituisce una vera e propria malattia, ma è un sintomo con diversi livelli di gravità, determinato da patologie vascolari (fistole del collo, tumori carotidei, aneurismi intracranici o meningei, patologie dei grossi vasi del collo) o, più frequentemente, associato a patologie audiologiche, vestibolari, neurologiche, autoimmuni, cerebrovascolari, dismetaboliche ed ematologiche.
  Inoltre, la condizione in questione non sembra rispondere ai criteri di inclusione previsti dal decreto legislativo n. 124 del 1998 (gravità, invalidità ed onerosità del relativo trattamento) e sarebbe difficoltosa l'individuazione delle prestazioni erogabili in esenzione (appropriate per il monitoraggio della patologia e la prevenzione di aggravamenti e complicanze).
  Peraltro, si rammenta che i pazienti affetti da acufene sono tutelati dal Servizio sanitario nazionale attraverso i livelli essenziali di assistenza e che gran parte delle condizioni che determinano l'acufene sono già comprese tra le malattie previste dal decreto ministeriale 329 del 1999, per le quali sussiste l'esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni specialistiche.
Il Sottosegretario di Stato per la salutePaolo Fadda.


   CARRESCIA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   a far data dal 20 aprile 2013 è stata soppressa la commissione medica ospedaliera di Chieti con determina del Capo di Stato Maggiore della difesa;
   a seguito di detta determina il personale delle varie forze armate della polizia, del Corpo forestale dello Stato, dei vigili del fuoco, della Guardia di finanza, delle Marche, si trova oggi a doversi recare a Roma per tutte le pratiche medico legali e per gli esami medici necessari ed obbligatori ai fini della verifica dell'idoneità al servizio;
   le motivazioni all'origine della determina sopra citata stanno correttamente nella necessità di riduzione della spesa, ma nel caso specifico delle Marche, considerando i tempi di percorrenza e quindi i tempi per i quali il personale non è disponibile al servizio d'Istituto, considerando le spese di viaggio e di missione ed il disagio cui il personale dovrà essere necessariamente sottoposto, si rischia, in realtà, di ottenere un «locale» incremento delle spese senza benefici di rilievo, con pregiudizio di quei criteri di ottimizzazione e mantenimento dei livelli prestazionali che invece si riteneva di migliorare;
   in quest'ottica la presenza ad Ancona di una struttura MM di selezione (MARICENSELES), già dotata di apparecchiature, laboratori e di adeguate competenze specialistiche potrebbe rappresentare una soluzione atta a ridurre le spese, i disagi ed i tempi necessari alle prestazioni sanitarie. Tale struttura, stando a notizie accreditate, a partire dal mese di giugno 2013, si doterà di una CMO utilizzabile però dal solo personale MM, con esclusione degli appartenenti alle Forze armate;
   poiché la sanità militare è già operante in senso interforze sarebbe opportuno, proprio nell'ottica di riduzione dei costi e di ottimizzazione nell'uso delle risorse disponibili attivare una CMO «interforze» in detta sede, per altro già in essere per la selezione M.M., con l'utilizzo delle competenze specialistiche disponibili localmente nelle altre F.A.;
   attualmente il personale militare risulta penalizzato da detta direttiva: il personale civile operante negli enti militari viene infatti già avviato presso le competenti commissioni del Ministero dell'economia e delle finanze, istituite su base almeno regionale, a differenza del personale militare che deve sobbarcarsi disagi considerevoli, come nello specifico caso delle Marche;
   alla luce della normativa vigente non appare elemento ostativo alla costituzione della già richiamata CMO presso MARICENSELES ANCONA la determina sopra richiamata;
   infatti, il Ministero dell'economia e delle finanze (decreto interministeriale del 12 febbraio 2005 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 44 del 23 febbraio 2004, formulato di concerto con i Ministeri della giustizia, dell'interno, della difesa e della salute, recante i criteri organizzativi per l'assegnazione delle domande agli organismi di accertamento sanitario di cui all'articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica 29 ottobre 2001, n. 461 (commissioni mediche AASSLL e CMV), ha inteso dare concreta attuazione alle norme in materia di semplificazione dei procedimenti per il riconoscimento della dipendenza delle infermità da causa di servizio per la concessione delle pensioni privilegiate ordinarie e dell'equo indennizzo secondo quanto previsto dall'articolo 6, comma 13, del decreto del Presidente della Repubblica n. 461 del 2001 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 5 del 7 gennaio 2002. Tale complesso normativo, oltre a disciplinare le procedure per gli accertamenti sanitari ai fini del riconoscimento della dipendenza della causa di servizio, dell'attribuzione della pensione privilegiata ordinaria, dell'equo indennizzo e di altri conseguenti benefici spettanti per infermità dipendente da causa di servizio, regola anche le procedure per l'accertamento dell'inidoneità e di altre forme di inabilità, non dipendenti da causa di servizio, ai fini del cambio mansioni, della dispensa dal servizio e dell'eventuale conseguimento di trattamenti pensionistici;
   all'esame sostanziale del testo del provvedimento, come già sopra esposto, si può individuare una diversa «attenzione» rivolta ai dipendenti civili ed al personale militare della Difesa laddove l'articolo 3 del citato decreto prevede al primo comma una dicotomia sostanziale di trattamento tra «personale civile e militare pur appartenente, come nel caso degli enti periferici, alla stessa sede di servizio; vi è un ambito territoriale «provinciale» per il personale civile e un ambito almeno «regionale» o addirittura più vasto, come nel caso specifico delle Marche per il personale militare;
   per quanto precedentemente esposto e tenuto conto della legislazione esistente in materia la presenza di ufficiali medici effettivi a MARIDIPART ANCONA, CME «MARCHE» di Ancona, regione carabinieri Marche, questura di Ancona e regione Guardia di finanza di Ancona rende possibile la composizione di una commissione medica «interforze» ai sensi dell'articolo 6, comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 2001, n. 461, presso MARICENSELES Ancona;
   tale Commissione, opportunamente strutturata con il personale specifico in forza agli enti afferenti, potrebbe utilmente adempiere i compiti sopra richiamati per le commissioni mediche. In tale ottica una siffatta commissione «interforze» insediata presso i locali dell'ex infermeria autonoma M.M. (ora MARICENSELES) eviterebbe lunghi tragitti e i costi, sia diretti in termini di spese di viaggio/missione sia indiretti come la mancanza di, disponibilità temporale del personale dipendente in missione presso la «lontana» commissione medica ospedaliera di Roma; nel contempo permetterebbe di sanare la diversità di «trattamento logistico» – con il personale civile, che come è noto e per le norme sopra richiamate, si avvale delle strutture sanitarie più vicine, quali ad esempio la commissione medica di verifica del Ministero dell'economia e delle finanze di Ancona;
   tale commissione «interforze», una volta attivata, nello spirito del decreto del Presidente della Repubblica n. 461 del 29 ottobre 2001, produrrà certamente la riduzione sostanziale dei tempi tecnici di esame dell'istanza/visita medica risolvendo nel contempo sia i disagi «logistici» che le problematiche medico-legali per il personale della Marina Militare, Esercito, Aeronautica, Carabinieri, Polizia di stato, Corpo Forestale, vigili del fuoco delle province della regione Marche ed eventualmente delle province confinanti, quali Rimini, Forlì-Cesena e Perugia –:
   se sia a conoscenza del problema sopra esposto;
   se e in che tempi intenda adottare iniziative che permettano di attivare una commissione medica ospedaliera «interforze» presso MARICENSELES di Ancona fruibile dal personale delle varie forze ARMATE, della polizia, del Corpo forestale dello Stato, dei vigili del fuoco, della Guardia di finanza dell'intera regione Marche ed eventualmente delle province confinanti, quali Rimini, Forlì-Cesena e Perugia. (4-00452)

  Risposta. — La questione sollevata con l'interrogazione in esame rientra nel più ampio quadro del processo di ristrutturazione e snellimento dell'organizzazione militare, caratterizzato da vari provvedimenti di soppressione, accorpamento e riorganizzazione delle strutture, avviato da alcuni anni e tuttora in divenire, in attuazione di una serie di atti normativi, tesi a meglio modulare le Forze armate alle nuove esigenze.
  Tale processo in chiave riduttiva, non suscettibile di comportare nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato, è volto ad ottimizzare tutte le componenti delle Forze armate, ossia quelle di vertice, dell'area operativa-logistica, dell'organizzazione territoriale e della formazione.
  In sostanza, s'intende perseguire soluzioni tese ad ottenere un migliore rapporto costo/efficacia, attraverso la soppressione di strutture ormai non più funzionali, nonché la ridefinizione delle funzioni di comandi/enti e il loro accorpamento, per quanto possibile, in chiave interforze e, comunque, di non sovrapponibilità funzionale e territoriale.
  Nell'ambito della più ampia revisione dello strumento militare, il riordino della sanità militare – già avviato nel corso del 2012 attraverso una profonda opera di revisione della sua organizzazione per aumentare l'efficienza delle strutture in relazione alla riduzione delle risorse disponibili – riveste particolare importanza, trattandosi di un settore strategico ad alta valenza operativa per l'assolvimento delle missioni internazionali.
  Tale riordino si è concretizzato sia nell'attribuzione al Capo di Stato maggiore difesa della direzione, coordinamento delle attività e dei servizi sanitari militari, della formazione del relativo personale (decreto del Presidente della Repubblica 15 dicembre 2010, n. 270), sia in una riorganizzazione in senso riduttivo delle strutture sanitarie, sia attraverso la loro razionalizzazione in senso interforze per aumentarne l'efficienza e il rapporto costo/efficacia.
  Sulla base delle specifiche esigenze, emerse nel corso di specifici studi e di riunioni con i vertici delle Forze armate/Arma dei carabinieri, sono stati individuati i provvedimenti e/o gli obiettivi da perseguire.
  In particolare, l'area della medicina legale è stata interessata da un consistente ridimensionamento con la riduzione da 13 a 7 dei dipartimenti militari di medicina legale.
  Con specifico riferimento al dipartimento militare di medicina legale di Chieti, com’è consuetudine della difesa nell'affrontare le delicate tematiche connesse alla riorganizzazione delle proprie strutture ordinative, anche la questione relativa alla sua soppressione è stata oggetto di opportuna valutazione, con l'obiettivo di contemperare le aspettative del personale interessato con quelle istituzionali.
  Quanto all'opportunità di «attivare una commissione medica ospedaliera... presso MARICENSELES di Ancona», devo osservare che sulla base degli elementi informativi acquisiti dal competente ispettorato generale della sanità militare, non si ravvisano i presupposti né sono emersi elementi di criticità che giustifichino la costituzione di una commissione medico ospedaliera ovvero di un'ulteriore struttura sanitaria militare interforze presso il centro selezione della Marina militare di Ancona.
  Ciò, anche in considerazione di quanto esposto in premessa, nonché alla luce dei vigenti vincoli in materia di «spending review».
Il Ministro della difesaMario Mauro.


   CHIMIENTI, MANLIO DI STEFANO, GRANDE, SPADONI, TACCONI, SIBILIA, PAOLO BERNINI, ALBERTI, DI BATTISTA, SCAGLIUSI e DEL GROSSO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il 21 febbraio 2012 le tre cantanti russe del gruppo punk «Pussy Riot», Yekaterina Samutsevich, Maria Alyokhina e Nadezhda Tolokonnikova, hanno improvvisato sul sagrato della cattedrale del Cristo Salvatore di Mosca una performance musicale intitolata «Oh Madonna, liberaci da Putin» per protestare contro il regime del presidente della Federazione Russa Vladimir Putin;
   un mese dopo la performance le tre ragazze sono state arrestate e accusate del reato di «teppismo e vilipendio dei luoghi sacri»;
   il 17 agosto 2012, al termine del processo, le tre ragazze sono state dichiarate da un tribunale di Mosca colpevoli di «vandalismo per motivi di odio religioso» e condannate a due anni di carcere senza condizionale;
   due di loro, Nadezhda «Nadya» Tolokonnikova e Maria «Masha» Alekhina, stanno scontando le condanne a due anni di reclusione in colonie penali, mentre la condanna di Ekaterina Samutsevich, che dal 10 ottobre si trova in libertà vigilata, è stata sospesa in appello;
   il caso delle Pussy Riot ha scatenato un coro unanime di reazioni internazionali e da molti è stato interpretato come l'ennesimo esempio di violazione di diritti fondamentali quali la libertà di informazione, di dissenso e di parola, da parte del Governo russo;
   il 24 luglio 2013 un tribunale russo ha respinto l'appello di Maria Alekhina, 25 anni, madre di un bambino piccolo, contro la decisione della corte di grado inferiore di negarle la scarcerazione prima del termine fissato dalla condanna;
   nel mese di agosto 2013 Nadezhda Tolokonnikova, che scontava la sua pena nella colonia penale n. 14 del paese di Parts, è stata trasferita nel campo di lavoro di Nizhnii Novgorod e in una lettera aperta diffusa il 23 settembre ha denunciato il trattamento disumano inflittole nel campo di lavoro, reso ancora più insostenibile a seguito della denuncia da parte del suo legale alla procura generale contro le condizioni di vita nella colonia, dichiarando quanto segue: «Il tenente-colonnello Kuprianov, vicedirettore del campo, ha immediatamente introdotto condizioni insostenibili nel campo: perquisizioni a ripetizione, rapporti su tutte le persone in relazione con me, confisca dei vestiti caldi e minaccia di confiscare pure le calzature calde. Al lavoro si sono vendicati dandomi lavori di cucito particolarmente complessi, aumentando le quote di produzione e provocando imperfezioni artificiali. La capa della brigata vicina alla mia, braccio destro del tenente-colonnello Kuprianov, spingeva apertamente le detenute a strappare la produzione sotto la mia responsabilità nel laboratorio, affinché fossi spedita in cella per “degrado di beni pubblici”. La stessa ha ordinato a delle detenute della sua unità di provocarmi a una rissa (...)»;
   nella stessa lettera aperta, Nadezhda Tolokonnikova ha reso noto di aver intrapreso uno sciopero della fame in segno di protesta per il trattamento ricevuto nella colonia penale, tra cui l'obbligo di lavori forzati in «un modo che ricorda la schiavitù» e le minacce di morte ricevute da un dirigente del campo di lavoro e da altre detenute;
   il 2 ottobre 2013 Amnesty International ha lanciato un appello al procuratore generale, chiedendo che Maria Alekhina e Nadezhda Tolokonnikova vengano rilasciate immediatamente e senza condizioni, con la garanzia che durante la loro permanenza in carcere non vengano maltrattate dal personale carcerario o dai detenuti, che siano loro assicurati regolari contatti con le loro famiglie e i legali, e che le autorità russe si adoperino per rispettare e sostenere il diritto alla libertà di espressione nella Federazione russa, rimediando immediatamente al trattamento ingiusto nei confronti di queste giovani donne;
   dopo il ricovero ospedaliero subìto a seguito della prima settimana di sciopero, Nadezhda è tornata in carcere il 18 ottobre, iniziando un secondo sciopero della fame, e successivamente, il 21 ottobre, è stata trasferita in un altro carcere, rimasto sconosciuto anche ai famigliari fino al 12 novembre;
   il 13 novembre 2013 l'amministrazione penitenziaria russa ha confermato che Nadia Tolokonnikova si trova «in quarantena in un carcere del territorio di Krasnoyarsk, nel nord della Siberia» e il responsabile della Ong per i diritti umani della Russia, Vladimir Lukin, ha dichiarato all'agenzia Interfax che «al momento la donna si trova in infermeria nel penitenziario del territorio di Krasnoyarsk. Non appena la quarantena sarà terminata, i legali e i familiari di Nadia Tolokonnikova saranno informati, nel giro di due o tre giorni, su dove si trova», spiegando infine di «aver dovuto chiedere notizie sulla Tolokonnikova alla sede centrale del Servizio penitenziario russo, dato che l'ufficio di Krasnoyarsk continuava a smentire che la donna si trovasse in un carcere della zona» –:
   se non ritenga necessario accertarsi delle condizioni detentive di Nadezhda Tolokonnikova e dei motivi che l'hanno costretta in quarantena;
   se non intenda manifestare pubblicamente e nelle sedi opportune il proprio dissenso nei confronti del trattamento riservato alle prigioniere;
   se non ritenga opportuno esercitare iniziative affinché la Corte europea dei diritti umani intervenga in favore di queste donne, definite «prigioniere di coscienza»;
   se non intenda adoperarsi, per quanto di sua competenza, per la scarcerazione delle due ragazze. (4-02671)

  Risposta. — Nell'ambito di una strategia complessiva di azione esterna che considera la tutela dei diritti umani come parte integrante e fondamentale della politica estera, sia nei rapporti bilaterali, sia nel contesto delle azioni intraprese in sede europea, il Ministero degli affari esteri ha seguito costantemente gli sviluppi della vicenda che ha coinvolto le componenti del gruppo musicale punk «Pussy Riot» Maria Alyokhina, Nadezhda Tolokonnikova ed Ekaterina Samutsevich. Da parte italiana si è colta ogni utile occasione di dialogo bilaterale per rinnovare con fermezza l'auspicio che la vicenda fosse trattata nel rispetto dell'autonomia della magistratura russa e dei principi fondanti dello stato di diritto e che venissero assicurate alle tre cittadine russe adeguate condizioni carcerarie. Da ultimo, in occasione del vertice intergovernativo di Trieste (26 novembre 2013), si è fatto specifico riferimento alla vicenda delle «Pussy Riot», attirando l'attenzione delle massime autorità russe sull'evidente mancanza di proporzione tra colpa e pena, reiterando l'auspicio per un rapido e positivo esito della questione. Anche in sede UE, l'Italia ha insistito perché il tema del rispetto dei diritti civili, con particolare riguardo alla libertà d'espressione, costituisse un elemento caratterizzante del dialogo sui diritti umani con la Russia ed in tale contesto, abbiamo ottenuto che il caso delle cittadine russe Alyokhina, Tolokonnikova e Samutsevich fosse sempre citato tra quelli più problematici.
  Anche grazie alle nostre ininterrotte pressioni, le autorità russe, venendo incontro alle aspettative della comunità internazionale e nel quadro di una più ampia amnistia decisa all'unanimità dalla Duma di Stato e promulgata con legge nazionale il 18 dicembre 2013, hanno disposto la scarcerazione di Maria Alyokhina e di Nadezhda Tolokonnikova. La terza componente del gruppo, Ekaterina Samutsevich, già scarcerata il 10 ottobre 2012. ha ottenuto la libertà vigilata.
Il Viceministro degli affari esteriMarta Dassù.


   CIRIELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in una situazione di crisi del mercato immobiliare, che negli ultimi anni ha investito il nostro Paese, la città di Roma sta registrando una vera e propria emergenza abitativa;
   a tale già preoccupante situazione si aggiungono le dismissioni del patrimonio immobiliare di numerosi enti, previdenziali e, in particolare, quella della Cassa ragionieri e periti commerciali, nata nel 1963 come ente di diritto pubblico, costituito per garantire trattamenti di previdenza e assistenza agli iscritti e ai loro superstiti;
   in particolare, come si legge nella stessa relazione sulla gestione del bilancio 2011 della Cassa, l’iter di dismissione sarebbe stato avviato con l'apporto della maggior parte del patrimonio immobiliare al fondo Scoiattolo, costituito e gestito dalla BNP Paribas REIM Italy SGR p.A.;
   da notizie riportate da organi di stampa locali e nazionali, la Cassa avrebbe intenzione di dismettere il suo patrimonio, in forme che non sembrano conformi alla disciplina normativa che regola la dismissione degli immobili degli enti pubblici;
   gli attuali inquilini degli immobili avrebbero, infatti, ricevuto dalla BNP Paribas una proposta irrevocabile di acquisto, relativa agli appartamenti dagli stessi condotti in locazione;
   tale procedura secondo l'interrogante viola in primo luogo la legge del 7 agosto 2012, laddove non riconosce il diritto di prelazione ai conduttori, diritto che sussiste in capo agli inquilini di tutti gli enti privatizzati, esclusa unicamente l'ENASARCO a seguito della legge n. 228 del 2012;
   la suindicata norma al comma 11-bis dell'articolo 3 prevede, a riguardo, che «in considerazione delle particolari condizioni del mercato immobiliare e delle difficoltà di accesso al credito, al fine di agevolare e semplificare le dismissioni immobiliari da parte degli enti previdenziali inseriti nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuati dall'ISTAT ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, il termine per l'esercizio da parte dei conduttori del diritto di prelazione sull'acquisto di abitazioni oggetto delle predette procedure non può essere inferiore a centoventi giorni a decorrere dalla ricezione dell'invito dell'ente»;
   tale disposizione interviene anzitutto a chiarire la sussistenza del diritto di prelazione in capo agli inquilini di tutti gli enti previdenziali individuati dall'elenco ISTAT e conferma la natura pubblica dei suddetti enti, poiché regolandone la dismissione immobiliare, realizza un'ingerenza nelle modalità di gestione del loro patrimonio che, qualora si trattasse di soggetti privati, non sarebbe consentita dai princìpi della Costituzione;
   la Cassa non potrebbe agire quale soggetto di diritto privato, gestendo il proprio patrimonio liberamente, bensì dovrebbe ottemperare alle norme statuite per gli enti pubblici e, di conseguenza, seguire le relative procedure di dismissione;
   non da ultimo tale dimissione non può sottrarsi all'applicazione del complesso normativo relativo alla dismissione degli immobili degli enti pubblici soltanto perché è ricorsa all'utilizzo dello strumento dei fondi per attuare l'alienazione del suo patrimonio immobiliare;
   l'istituzione di un fondo comune di investimento non comporta, infatti, la creazione di un soggetto giuridico autonomo, ma di un mero patrimonio separato, per cui la Cassa non può esimersi dall'essere ancora considerata proprietaria degli immobili;
   a ciò si aggiunga il fatto che la proposta di compravendita indicherebbe un prezzo di vendita notevolmente elevato rispetto al valore di mercato, che non terrebbe affatto conto né delle condizioni attuali in cui versano gli immobili, né della totale assenza di manutenzione ordinaria mai effettuata in tutti questi anni, né del fatto che si tratta di immobili realizzati in ambito di edilizia popolare;
   tale comportamento costituisce un serio ostacolo all'acquisto degli immobili per tutti gli inquilini, data l'elevata consistenza degli stessi valori e tenuto anche conto dell'attuale situazione di crisi economica generale;
   è interesse della maggioranza degli inquilini pervenire, con tempistiche brevi, all'acquisto della propria abitazione a condizioni economiche ragionevoli, similmente a quanto è accaduto negli anni scorsi per migliaia di famiglie in affitto presso enti previdenziali pubblici e privati;
   il quadro delineato desta non poche preoccupazioni, soprattutto quando è in gioco la possibilità per molte famiglie di acquistare la casa che già abitano, obiettivo che ha da sempre condizionato scelte di vita e di investimento di interi nuclei familiari –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intendano adottare per garantire l'applicazione della disciplina normativa che regola la dismissione degli immobili degli enti pubblici, anche al fine di risolvere l'emergenza abitativa legata alla gestione dei patrimoni immobiliari da parte degli enti previdenziali privatizzati, un fenomeno che si sta allargando a macchia d'olio sul territorio della Capitale.
(4-00584)

  Risposta. — In via preliminare occorre considerare che le questioni poste dall'interrogante non sono tutte riconducibili alle competenze che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali può esercitare nell'ambito della sua attività di vigilanza sugli enti gestori della previdenza obbligatoria privata finalizzata alle garanzie di sostenibilità di lungo periodo del sistema previdenziale, a tutela dei professionisti iscritti.
  In merito al quadro normativo relativo alle procedure di dismissione immobiliare che interessano gli enti previdenziali trasformati in associazioni o fondazioni senza scopo di lucro ai sensi del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 (attuazione della delega conferita dall'articolo 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in materia di trasformazione in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza), occorre rilevare che alcuni enti di previdenza sono stati trasformati in persone giuridiche di diritto privato, determinando così, in via di principio, l'inapplicabilità nei loro confronti, stante la disposizione di interpretazione autentica di cui all'articolo 1, comma 38, della legge 23 agosto 2004, n. 243 (norme in materia pensionistica e deleghe al Governo nel settore della previdenza pubblica, per il sostegno alla previdenza complementare e all'occupazione stabile e per il riordino degli enti di previdenza ed assistenza obbligatoria), della normativa relativa alla dismissione del patrimonio immobiliare degli enti pubblici (decreto legislativo 16 febbraio 1996, n. 104) e delle speciali procedure di vendita previste per le operazioni di dismissione del patrimonio immobiliare.
  Tuttavia, nel corso degli anni si è manifestata, in modo evidente, l'oggettiva difficoltà sistematica nel conciliare diverse esigenze che inseriscono da un lato, il carattere comunque privato degli enti previdenziali di cui al decreto legislativo n. 509 del 1994 con ciò che ne consegue in termini di autonomia anche nella gestione del patrimonio e, dall'altro, il fatto che tali enti operano nell'ambito di un settore estremamente sensibile – quello della tutela previdenziale di base, intesa quale bene primario ed intangibile, sì da giustificare la fissazione di regole e controlli di fonte pubblica diversi e più incisivi rispetto a quelli che sarebbero ordinariamente giustificabili nei confronti di soggetti di natura comunque privatistica.
  È altresì opportuno ricordare che i principi, ma anche le singole disposizioni, del decreto legislativo n. 509 del 1994 non hanno subito fino ad oggi alcuna modifica e sono tuttora pienamente operanti, nonostante nel tempo si siano moltiplicate le spinte del legislatore ad incrementare il complesso dei vincoli finanziari e amministrativi imposti alle gestioni, attraendo nell'orbita della finanza pubblica anche le casse private di previdenza, sulla scorta della loro inclusione nell'elenco ISTAT, di individuazione delle amministrazioni pubbliche.
  D'altra parte va anche considerato che, se taluni interventi hanno reso poco distinguibile la linea di demarcazione tra autonomia privata e interesse pubblico, deve anche sottolinearsi come alcune iniziative hanno invece contribuito a rafforzare proprio l'autonomia originariamente riconosciuta agli enti previdenziali privatizzati, salvaguardando gli equilibri delle gestioni in funzione dell'autosostenibilità di lungo periodo, ad ulteriore garanzia degli assicurati nella effettività e ottimizzazione del proprio bagaglio contributivo, una volta maturati i requisiti pensionistici.
  In definitiva, pur dandosi atto di importanti spinte normative nel senso del rafforzamento dei controlli pubblicistici sull'attività degli enti, non può affermarsi allo stato l'esistenza di un orientamento legislativo volto ad affermare la natura pienamente pubblicistica di talenti.
  Al fine di individuare una disciplina uniforme in materia di gestione del patrimonio immobiliare, nel corso della passata legislatura è stato istituito presso la direzione generale per le politiche previdenziali e assicurative di questo Ministero un tavolo tecnico interistituzionale al quale hanno partecipato i rappresentanti del Ministero dell'economia e delle finanze – Dipartimento del tesoro e degli enti previdenziali pubblici. I lavori del suddetto tavolo interistituzionale si sono conclusi con la elaborazione di alcune ipotesi normative volte a razionalizzare e semplificare le procedure di dismissione del patrimonio immobiliare.
  Con l'avvio della nuova legislatura, i risultati di tale lavoro possono certamente rappresentare un'utile base sulla quale avviare un confronto tra tutti i soggetti interessati, nella prospettiva di individuare un percorso condiviso che, nel rispetto del quadro normativo vigente, possa dare definitiva soluzione alle questioni sollevate dall'interrogante.
  Tuttavia appaiono fin da ora poco percorribili interventi non adeguatamente ponderati, volti a modificare i rapporti contrattuali in atto tra inquilini ed enti previdenziali laddove, ad esempio, siano state accertate ipotesi di morosità.
  Del resto, occorre sottolineare che le casse privatizzate, nel quadro normativo delineato dai decreti legislativi n. 509 del 1994 e n. 104 del 1996, in materia di gestione e disposizione del proprio patrimonio immobiliare, hanno piena autonomia gestionale da esercitarsi al fine del raggiungimento dell'equilibrio economico-finanziario e del contenimento del rischio della gestione del proprio attivo nell'ottica di assicurare tutela agli interessi previdenziali ed assistenziali degli iscritti alle casse stesse e, quindi, del perseguimento della funzione pubblica ad esse affidata dall'articolo 38 della Costituzione.
  Anche la recente sentenza del Consiglio di Stato n. 6014 del 2012 sostanzialmente ha ribadito un principio già consolidato nell'ordinamento, laddove ha affermato che «la trasformazione operata dal decreto legislativo n. 509 del 1994 ha lasciato, quindi, immutato il carattere pubblicistico dell'attività istituzionale del carattere pubblicistico dell'attività istituzionale di previdenza e assistenza svolta dagli Enti in esame, che conservano una funzione strettamente correlata all'interesse pubblico, costituendo la privatizzazione un'innovazione di carattere essenzialmente organizzativo.
  Con riferimento più specifico alle questioni sollevate dall'interrogante in merito alla cassa ragionieri e periti commerciali (CNPR), si precisa, quanto all'affidamento dell'incarico a Reag Tekna srl, società subentrata alla Previra immobiliare, che la medesima cassa ha dichiarato che i servizi di property e di facility management del patrimonio immobiliare dell'associazione sono stati affidati a Reag Tekna srl a seguito di procedura negoziata esperita ai sensi dell'articolo 57, comma 2, lettera c) del decreto legislativo n. 163 del 2006, nel rispetto degli obblighi di pubblicità e di informazione previsti dal medesimo decreto.
  Inoltre l'articolo 3, comma 11-bis, del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni, urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario) convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, nel fissare un termine (120 giorni a decorrere dalla ricezione dell'invito dell'ente all'acquisto della proprietà) per l'esercizio, da parte dei conduttori, del diritto di prelazione, particolare e diverso rispetto al termine ordinario, non ha attribuito alcun diritto di prelazione. In altri termini la norma ha semplicemente fissato un termine per l'esercizio del diritto di prelazione a chi gode di un tale diritto.
  Tuttavia, i conduttori degli immobili – rappresenta la CNPR – già di proprietà della cassa ragionieri non possono vantare un diritto di prelazione, dal momento che esso deve essere attribuito da un contratto o da una legge.
  Ad ogni modo, per confermare l'interesse del Governo alle importanti tematiche segnalate, si ritiene di richiamare il contenuto di alcuni impegni recentemente assunti dal Governo a seguito dell'approvazione di talune mozioni inerenti, appunto, la dismissione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici e privatizzati.
  In particolare, con specifico riferimento al patrimonio degli enti privatizzati, il Governo si è impegnato «a farsi promotore di una decisa iniziativa presso i medesimi enti che, nel richiamarli alle responsabilità che anche essi rivestono quali attori del sistema sociale, sia volta a favorire, nel rispetto e nell'ambito della loro autonomia gestionale, organizzativa e contabile – avvalendosi anche di apposite procedure di negoziazione con le organizzazioni sindacali degli inquilini – politiche di gestione del mercato delle locazioni e dei processi di dismissione immobiliare (prevedendo eventualmente anche l'alienazione in favore dei conduttori delle unità abitate). Le politiche in questione dovranno ispirarsi a criteri di tutela e salvaguardia, in ogni caso, dei nuclei familiari che presentino condizioni di maggiore svantaggio e disagio economico, ovvero che siano a rischio di esclusione sociale, così come individuati dal decreto-legge 20 ottobre 2008, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2008, n. 19. Le medesime politiche dovranno, più in generale, ispirarsi a criteri che, nel rispetto della funzione di garanzia economico-finanziaria che il loro patrimonio assume per le rispettive gestioni previdenziali, siano quanto più aderenti a quelli di carattere sociale previsti per la dismissione del patrimonio immobiliare degli enti pubblici di previdenza».
  Il Governo si è impegnato, inoltre, «a monitorare che i processi di dismissione immobiliare degli enti previdenziali, sia pubblici che privatizzati, siano conformi ai criteri di piena trasparenza, conoscibilità e rendicontazione».
Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.


   DI SALVO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il 17 agosto tre ragazze appartenenti al gruppo punk-rock Russo «Pussy Riot» (Yekaterina Samutsevich, Maria Alyokhina e Nadezhda Tolokonnikova) sono state condannate a due anni di carcere. A febbraio, per protestare contro il regime di Vladimir Putin, le tre ragazze erano entrate nella cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca e avevano suonato sull'altare. Un mese dopo sono state arrestate con l'accusa di comportamenti violenti e oltraggiosi. In Russia e nel resto del mondo sono nate molte manifestazioni di solidarietà. Il 10 ottobre Yekaterina Samutsevich è stata rilasciata e ora si trova in libertà vigilata;
   nell'agosto 2013, Maria Alekhina è stata trasferita in un campo di lavoro di Nizhnii Novgorod. In una lettera aperta diffusa il 23 settembre, Nadezhda Tolokonnikova aveva reso noto di aver intrapreso uno sciopero della fame in segno di protesta per il trattamento ricevuto nella colonia penale in cui è detenuta da quasi un anno, tra cui l'obbligo di lavori forzati in «un modo che ricorda la schiavitù» e le minacce di morte ricevute da un dirigente del campo di lavoro e da altre detenute. Per questo è stata messa in isolamento;
   il 26 agosto 2013 Maria Alekhina ha informato telefonicamente alcuni amici che la colonia penale ha fatto distruggere alcune lettere a lei indirizzate, perché contenevano «critiche di regime e nei confronti del sindaco di Mosca Sergei Sobianin»;
   il 30 agosto l'avvocato Irina Khrunova, difensore di Maria Alekhina, ha depositato un appello alla Corte di Nizhnii Novgorod chiedendo che venga rivista la sentenza e che le venga concesso di scontare la pena svolgendo lavori di pubblica utilità, in alternativa alla detenzione. La data dell'udienza di appello non è stata stabilita;
   Amnesty International ha denunciato che dal 22 ottobre, giorno in cui è stata prelevata dalla colonia penale, non è chiaro dove si trovi Nadezhda Tolokonnikova. Una fonte dell'amministrazione penitenziaria avrebbe informato il marito circa il possibile trasferimento verso una colonia penale in Siberia;
   l'amministrazione penitenziaria russa ha confermato il giorno 13 novembre che Nadia Tolokonnikova si trova in quarantena in un carcere del territorio di Krasnoyarsk, nel nord della Siberia. Lo ha reso noto il responsabile della Ong per i diritti umani della Russia, Vladimir Lukin, all'agenzia Interfax. «Mi è stato detto che al momento la donna si trova in infermeria nel penitenziario del territorio di Krasnoyarsk. Non appena la quarantena sarà terminata, i legali e i familiari di Nadia Tolokonnikova saranno informati, nel giro di due o tre giorni, su dove si trova», ha spiegato Lukin. Il responsabile per i diritti umani della Russia ha fatto sapere all'agenzia Interfax di «aver dovuto chiedere notizie sulla Tolokonnikova alla sede centrale del Servizio penitenziario russo, dato che l'ufficio di Krasnoyarsk continuava a smentire che la donna si trovasse in un carcere della zona»;
   Amnesty International ha lanciato un appello alle autorità russe per la scarcerazione di Nadia e Maria, essendo state arrestate solo per aver espresso pacificamente le proprie idee e quindi essendo prigioniere di coscienza. Si chiede che le due donne siano rilasciate immediatamente e senza condizioni, di garantire che durante la loro permanenza in carcere non vengano maltrattate dal personale carcerario o dai detenuti, e che siano loro assicurati regolari contatti con le loro famiglie e i legali –:
   quali misure la Ministra interrogata intenda adottare per difendere i diritti umani e per sostenere il diritto alla libertà di espressione;
   se non ritenga necessario assumere iniziative per verificare le condizioni di Nadezhda Tolokonnikova e perché si trovi in quarantena;
   se non ritenga necessario, per quanto di competenza, agire per la scarcerazione di queste due prigioniere di coscienza.
(4-02541)

  Risposta. — Nell'ambito di una strategia complessiva di azione esterna che considera la tutela dei diritti umani come parte integrante e fondamentale della politica estera, sia nei rapporti bilaterali, sia nel contesto delle azioni intraprese in sede europea, il Ministero degli affari esteri ha seguito costantemente gli sviluppi della vicenda che ha coinvolto le componenti del gruppo musicale punk «Pussy Riot» Maria Alyokhina, Nadezhda Tolokonnikova ed Ekaterina Samutsevich. Da parte italiana si è colta ogni utile occasione di dialogo bilaterale per rinnovare con fermezza l'auspicio che la vicenda fosse trattata nel rispetto dell'autonomia della magistratura russa e dei principi fondanti dello stato di diritto e che venissero assicurate alle tre cittadine russe adeguate condizioni carcerarie. Da ultimo, in occasione del vertice intergovernativo di Trieste (26 novembre 2013), si è fatto specifico riferimento alla vicenda delle «Pussy Riot», attirando l'attenzione delle massime autorità russe sull'evidente mancanza di proporzione tra colpa e pena, reiterando l'auspicio per un rapido e positivo esito della questione. Anche in sede UE, l'Italia ha insistito perché il tema del rispetto dei diritti civili, con particolare riguardo alla libertà d'espressione, costituisse un elemento caratterizzante del dialogo sui diritti umani con la Russia ed in tale contesto, abbiamo ottenuto che il caso delle cittadine russe Alyokhina, Tolokonnikova e Samutsevich fosse sempre citato tra quelli più problematici.
  Anche grazie alle nostre ininterrotte pressioni, le autorità russe, venendo incontro alle aspettative della Comunità internazionale e nel quadro di una più ampia amnistia decisa all'unanimità dalla Duma di Stato e promulgata con legge nazionale il 18 dicembre 2013, hanno disposto la scarcerazione di Maria Alyokhina e di Nadezhda Tolokonnikova. La terza componente del gruppo, Ekaterina Samutsevich, già scarcerata il 10 ottobre 2012. ha ottenuto la libertà vigilata.
Il Viceministro degli affari esteriMarta Dassù.


   MANLIO DI STEFANO, ARTINI, DI BATTISTA, DEL GROSSO, GRANDE, SCAGLIUSI, SIBILIA, SPADONI, RIZZO, FRUSONE e TACCONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 17 dicembre 2013 un servizio del TG2 ha mostrato alcune immagini relative al Centro di accoglienza e di primo soccorso di Lampedusa;
   si tratta di immagini sconcertanti in cui gli ospiti in fila e nudi, vengono sottoposti a una «doccia» di disinfestazione, mediante spruzzatori, che avrebbe dovuto preservarli da eventuali malattie infettive come la scabbia;
   non risulta essere stata rilevata, in nessuno dei presenti, alcuna traccia di infezione da scabbia;
   la disinvoltura e la naturalezza con le quali gli operatori del centro agiscono, lasciano presupporre che questo trattamento «da lager» sia già divenuto, da tempo, una prassi del centro di accoglienza;
   quest'ultimo, come spiegano i funzionari Onu che si occupano di rifugiati, ha la mera funzione di «fornire un primo supporto ai migranti e richiedenti asilo soccorsi in mare in attesa del loro rapido trasferimento, entro 48 ore al massimo, verso appositi centri dislocati su tutto il territorio nazionale» dove i loro casi verranno presi in esame;
   tra gli ospiti «disinfettati» vi sono uomini e donne di nazionalità eritrea, ghanese, siriana, kurda, e, pare, anche alcuni sopravvissuti dei naufraghi della più grave, recente tragedia accaduta nel Mediterraneo che ha causato la morte di più di 300 migranti –:
   come intenda intervenire per porre fine a questa vergognosa violazione dei diritti umani inaccettabile per un Paese civile come il nostro;
   quali misure intenda adottare al fine di migliorare gli standard di accoglienza nel centro di Lampedusa per tutti coloro che, costretti alla fuga da guerre e persecuzioni, giungono sul nostro territorio in cerca di protezione;
   come intenda agire per risolvere il problema del sovraffollamento del centro che, di fatto, blocca i lavori di ampliamento dello stesso;
   se il padiglione attualmente non utilizzabile a causa dell'incendio del 2011 sia in fase di ristrutturazione ovvero, in caso contrario, quali siano le tempistiche per la conclusione di detti lavori di ristrutturazione, atteso che ciò comporterebbe la creazione di nuovi 400 posti letto.
(4-03029)

  Risposta. — In seguito al grave episodio verificatosi nel centro di soccorso e prima accoglienza di Lampedusa – citato nell'interrogazione – è stata immediatamente avviata la procedura di risoluzione della convenzione con la cooperativa affidataria della gestione, per grave inadempienza contrattuale. Non appena la risoluzione sarà operativa, seguirà l'affidamento a un nuovo gestore, che potrebbe essere individuato in un soggetto di indiscussa capacità e di assoluto prestigio internazionale quale la Croce rossa italiana, previa verifica della percorribilità giuridica di tale soluzione.
  Inoltre, sono state fornite precise indicazioni alle singole prefetture interessate affinché – d'intesa con le organizzazioni umanitarie aderenti al progetto Praesidium – dispongano un piano straordinario di ispezioni, volte a verificare che, nell'espletamento dei servizi erogati nei centri per l'immigrazione, siano sempre tutelati la dignità e i diritti umani dei migranti.
  Peraltro, dall'inizio di questa legislatura sono state avviate molte iniziative sul tema dell'asilo e dell'accoglienza, sia sul piano operativo, sia su quello normativo, anche in risposta al massiccio afflusso di migranti verificatosi sulle nostre coste; nel corso del 2013, infatti, sono giunti in Italia oltre quarantatremila stranieri, più di quattordicimila dei quali sono sbarcati proprio a Lampedusa.
  In particolare, sono state attivate circa sessanta strutture temporanee di primissima accoglienza ed è prevista la prossima istituzione, a San Giuliano di Puglia, di un nuovo centro governativo dedicato ai migranti vulnerabili, famiglie e minori in particolare, nel quale potranno essere ospitate fino a mille persone. Nei prossimi mesi si concluderanno pure i lavori di ristrutturazione del centro di Lampedusa, iniziati il 10 novembre 2013, che consentiranno di ampliarne la capienza fino a più di trecentocinquanta posti. Queste iniziative avranno positive ripercussioni sulla gestione del centro, riducendo la possibilità che si verifichino condizioni di sovraffollamento e di eccessiva sollecitazione della ricettività della struttura.
  In ogni caso, nell'ambito del piano dei trasferimenti predisposto dal competente Dipartimento del Ministero dell'interno, i cittadini stranieri giunti sull'isola di Lampedusa vengono rapidamente condotti, a mezzo nave o voli charter, verso altri centri e strutture della rete Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) dislocati sul territorio nazionale. Attualmente, quindi, presso il centro di Lampedusa sono presenti tredici persone, a disposizione dell'autorità giudiziaria; dopo aver partecipato a due udienze che si svolgeranno nelle prossime settimane presso il tribunale di Palermo, essi saranno accompagnati presso il centro di accoglienza di Pozzallo. Il cittadino siriano autore del video trasmesso dagli organi di informazione, invece, si è allontanato arbitrariamente dal centro nella mattinata del 29 dicembre 2013, con una nave diretta a Porto Empedocle.
  Per quanto riguarda le fasi successive alla prima accoglienza e i percorsi finalizzati all'inclusione sociale, si evidenziano gli sforzi, anche finanziari, sostenuti per l'ampliamento dello Sprar. Tale Sistema, che garantisce già oggi quasi diecimila posti in accoglienza (erano tremila negli anni scorsi), sarà ulteriormente potenziato, nel corso del prossimo triennio, fino a raggiungere sedicimila posti. Gli enti locali restano comunque obbligati a garantire una percentuale di posti aggiuntivi, qualora se ne ravvisi l'esigenza, sulla base di un modello di accoglienza volto sempre più al coinvolgimento attivo e responsabile dei territori. In questo contesto, è stata potenziata anche la rete delle commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, con l'istituzione di sei sezioni in aggiunta alle dieci commissioni esistenti, che potranno essere ulteriormente aumentate fino a un massimo di dieci.
  L'impegno del Ministero dell'interno proseguirà con la revisione del capitolato generale di appalto per la gestione dei centri di accoglienza, in un'ottica di razionalizzazione e miglioramento dei servizi attualmente resi. Inoltre, sarà emanata una direttiva generale sulle buone prassi individuate dalle organizzazioni umanitarie che curano il monitoraggio dei centri per immigrati e saranno fornite precise indicazioni sui correttivi da apportare per una migliore organizzazione dei servizi. Saranno altresì rivisti i prezzi posti a base delle gare per l'affidamento della gestione dei centri, anche in rapporto alla loro capienza, al fine di elevare gli standard dei servizi erogati.
  Sarà cura del Ministero dell'interno accelerare i tempi di attuazione delle nuove direttive comunitarie in materia di accoglienza dei richiedenti la protezione internazionale (cosiddetta «direttiva accoglienza») e di procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (cosiddetta «direttiva procedure»). Ciò consentirà di giungere, nel minore tempo possibile, a una definizione più puntuale delle regole che presiedono al sistema di accoglienza italiano, anche con riguardo all'attività di monitoraggio e alla regolamentazione degli accessi ai centri, mediante l'introduzione di norme che semplifichino le procedure di esame delle domande di protezione internazionale.
  Infine – pur nelle attuali ristrettezze di bilancio – il Governo intende affrontare con risolutezza i problemi connessi al funzionamento e alla gestione dei centri per l'immigrazione, promuovendo un significativo miglioramento degli standard di accoglienza e un maggiore livello di sicurezza degli stranieri e degli operatori dei centri. Peraltro, la riforma complessiva dell'intero sistema di accoglienza richiede un percorso normativo di più ampio respiro, che necessita di un sostanziale contributo parlamentare.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   FEDI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le retribuzioni del personale a contratto locale, impiegato dal Ministero degli affari esteri presso la rete diplomatico-consolare italiana in Marocco, sono soggette alla legislazione italiana ed a norme previste dalle convenzioni bilaterali in vigore tra Italia e Marocco;
   il personale a contratto locale impiegato presso ambasciata, consolato e istituto italiano di cultura, pertanto, è sottoposto al regime fiscale previsto dalla convenzione in vigore con il Marocco ed alla ritenuta fiscale operata alla fonte secondo le percentuali previste dalla normativa in vigore;
   l'articolo 19 della convenzione tra la Repubblica italiana ed il Regno del Marocco per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito, firmata a Rabat il 7 giugno 1972 con protocollo aggiuntivo firmato il 28 maggio 1979, e resa esecutiva in Italia con legge 5 agosto 1981, n. 504, prevede che:
  «1. Le remunerazioni pagate da uno Stato contraente, da una sua suddivisione amministrativa, da un suo ente locale o da una persona giuridica di diritto pubblico, ad una persona fisica residente dell'altro Stato contraente in corrispettivo di servizi resi, sono imponibili nel primo Stato. Tali remunerazioni sono esonerate da imposizione nell'altro Stato quando il beneficiario possieda la nazionalità del primo Stato, senza contemporaneamente possedere la nazionalità dell'altro Stato»;
   l'articolo 21 della convenzione tra la Repubblica italiana ed il Regno del Marocco per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito, firmata a Rabat il 7 giugno 1972 con protocollo aggiuntivo firmato il 28 maggio 1979, e resa esecutiva in Italia con legge 5 agosto 1981, n. 504, prevede che:
  «1. Nel caso dei residenti nel Marocco, la doppia imposizione viene eliminata nel modo seguente:
    a) allorché un residente del Marocco ritrae redditi, diversi da quelli considerati negli articoli 10, 11 e 12, che sono imponibili in Italia in conformità delle disposizioni della presente Convenzione, il Marocco esenta dall'imposizione detti redditi, ma può, per calcolare le sue imposte sugli altri redditi di detto residente, applicare l'aliquota d'imposta che sarebbe stata applicata se i redditi in questione non fossero stati esentati»;
   al personale a contratto in servizio in Marocco si applicano quindi le norme dell'accordo Italia-Marocco per evitare le doppie imposizioni fiscali;
   esiste quindi un obbligo da parte della amministrazione degli affari esteri nella applicazione puntuale di tali norme;
   le autorità fiscali del Marocco avrebbero chiesto agli interessati a quanto risulta all'interrogante, con varie modalità, di pagare quanto dovuto sulle retribuzioni e risultano imminenti azioni esecutive nei confronti dei dipendenti, ai quali sarebbero stati congelati i conti correnti bancari personali;
   il Ministero degli affari esteri, quale datore di lavoro, assolve il compito e la responsabilità di sostituto d'imposta, dovendo operare, in forza di disposizione normative, le ritenute previste per legge;
   il dipartimento delle finanze del Marocco avrebbe, a quanto risulta all'interrogante, avviato una serie di accertamenti fiscali a cui hanno fatto seguito ingiunzioni di pagamento nei confronti del personale a contratto –:
   quali urgenti misure si intendano adottare per garantire che non vi siano indebiti prelievi fiscali a danno dei lavoratori a contratto presso la rete diplomatico-consolare e degli istituti italiani di cultura in Marocco;
   se non si ritenga indispensabile acquisire informazioni su accordi, procedure e specifiche regolamentazioni in vigore tra Marocco e rappresentanze diplomatico-consolari di altri Paesi dell'Unione europea;
   se non si ritenga indispensabile verificare la precisa e puntuale applicazione delle norme anche in relazione alle ritenute fiscali già versate all'erario italiano;
   quali iniziative si adotteranno per garantire in futuro la piena applicazione delle norme della convenzione fiscale in vigore tra Italia e Marocco garantendo i diritti del personale a contratto anche nei confronti delle autorità locali. (4-02633)

  Risposta. — In Marocco prestano servizio complessivamente 24 impiegati a contratto assoggettati a ritenute alla fonte dell'erario italiano, in applicazione dell'articolo 19 della convenzione tra la Repubblica italiana e il Regno del Marocco per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito. La convenzione riconosce la potestà impositiva esclusiva all'Italia unicamente nel caso di personale a contratto in possesso della sola cittadinanza italiana. Nel caso di doppi cittadini, di cittadini marocchini e cittadini in possesso di terza cittadinanza, la convenzione rimanda ad un criterio impositivo concorrente, riconoscendo ad entrambi gli Stati il diritto a prelevare le imposte e demandando al meccanismo di cui all'articolo 21 della convenzione la soluzione di casi di doppia imposizione.
  A seguito della decisione assunta nel 2012 dalle autorità marocchine di assoggettare fiscalmente in via esclusiva le retribuzioni del personale a contratto di cittadinanza marocchina, esigendo dal personale il pagamento delle imposte e degli arretrati relativi agli ultimi 5 anni ed escludendo l'applicazione dei meccanismi di compensazione previsti dall'articolo 21 della convenzione, questa Amministrazione ha interessato il dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia che, il 18 novembre 2013, ha chiesto formalmente alle autorità marocchine l'avvio di una procedura amichevole per giungere ad un'interpretazione condivisa del testo convenzionale. Contestualmente, l'ambasciata d'Italia a Rabat sta esercitando i suoi buoni uffici al fine di ottenere la riduzione o la dilazione dei debiti pregressi.
  Occorre sottolineare che gli obblighi fiscali dei dipendenti nei confronti delle autorità marocchine hanno natura personale e la normativa locale non prevede per il datore di lavoro l'obbligo di fungere da sostituto d'imposta. I contratti d'impiego del personale di più recente assunzione recano infatti una precisa clausola che ricorda come l'assoggettamento al regime fiscale italiano non esoneri l'interessato dagli obblighi nei confronti del fisco locale.
  In merito alla possibilità suggerita dall'interrogante di compiere un'indagine presso le altre rappresentanze diplomatiche, si fa presente come tale strada sia già stata percorsa sebbene gli esiti siano stati alquanto incerti. Prima dell'Italia, altri Paesi come Francia, Stati Uniti, Germania e Spagna hanno incontrato difficoltà nell'applicazione della convenzione ed ognuno di essi ha optato per una soluzione concordata con le autorità del Marocco. Vale la pena osservare come non tutte le convenzioni sulla doppia imposizione sono uguali e casi specifici riguardanti altri Stati potrebbero essere difficilmente paragonabili a quello italiano.
  In conclusione, atteso che esiste un obbligo per gli impiegati a contratto di cittadinanza marocchina o doppia cittadinanza di onorare i propri debiti col fisco locale, questa Amministrazione si impegna a seguire costantemente il negoziato tra il Ministero dell'economia e le autorità marocchine, favorendo il raggiungimento di una soluzione il più possibile indolore per il nostro personale.
  Sono altresì allo studio ulteriori misure, laddove le autorità marocchine non dimostrassero disponibilità a raggiungere un accordo soddisfacente.
Il Viceministro degli affari esteriMarta Dassù.


   FUCCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   le cure palliative, secondo la definizione dell'Organizzazione mondiale della sanità, si occupano in maniera attiva e totale dei pazienti colpiti da una malattia che non risponde più a trattamenti specifici e la cui diretta evoluzione è la morte;
   nei giorni scorsi si è svolto a Bologna il congresso della Fondazione ANT durante il quale si è svolto un significativo dibattito sulla necessità di ampliare le cure palliative e in particolare l'assistenza domiciliare;
   le cure palliative, è emerso nei lavori in sintonia anche con i trend per il futuro disegnati dall'Organizzazione mondiale della sanità, sono indispensabili e lo saranno sempre di più per la tenuta dei sistemi sanitari, vista la tendenza all'allungamento medio della vita e al contemporaneo aumento della popolazione anziana con patologie tumorali che necessitano di assistenza domiciliare –:
   quali eventuali iniziative il Governo intenda programmare (o stia eventualmente già attuando) in merito a quanto esposto in premessa in relazione alle cure palliative e alle cure domiciliari. (4-01894)

  Risposta. — La legge 15 marzo 2010 n. 38, «Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore», detta un quadro organico di principi e disposizioni normative per garantire un'assistenza qualificata e appropriata in ambito palliativo e della terapia del dolore, per il malato e la sua famiglia.
  L'articolo 2 della citata legge definisce il malato come «la persona affetta da una patologia ad andamento cronico ed evolutivo, per la quale non esistono terapie o, se esse sussistono, sono inadeguate o sono risultate inefficaci ai fini della stabilizzazione della malattia o di un prolungamento significativo della vita...», individuando la rete assistenziale di cure palliative sia per i malati oncologici che non oncologici.
  La legge n. 38 del 2010 impegna il sistema ad occuparsi di cure palliative in tutti gli ambiti assistenziali ed in ogni fase della vita e per qualunque patologia ad andamento cronico ed evolutivo, individuando le modalità assistenziali attraverso cui è possibile accedere alla rete assistenziale di cure palliative.
  In particolare, la stessa legge individua nell'assistenza domiciliare una delle sedi deputate a erogare l'insieme degli interventi sanitari, socio-sanitari e assistenziali di cure palliative, sia per ciò che riguarda gli interventi di base, coordinati dal medico di medicina generale, sia per quei gruppi specialistici di cure palliative, in cui il medico di medicina generale è in ogni caso parte integrante, garantendo così la continuità assistenziale di cura nelle diverse modalità assistenziali.
  Gli atti normativi successivi e di attuazione della legge n. 38 del 2010, hanno definito in modo organico, sia le modalità organizzative delle tre reti assistenziali previste dalla normativa (cure palliative, terapia del dolore e paziente pediatrico), sia gli standard qualitativi e quantitativi che devono possedere le strutture facenti parte del modello organizzativo di cure palliative e terapia del dolore.
  In particolare, l'intesa siglata in data 25 luglio 2012 in sede di conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, recante «Definizione dei requisiti minimi e delle modalità organizzative necessari per l'accreditamento delle strutture di assistenza ai malati in fase terminale e delle unità di cure palliative e della terapia del dolore», individua, come previsto dall'articolo 5, comma 3, della legge n. 38 del 2010, le dimensioni strutturali e di processo che caratterizzano la rete locale di cure palliative.
  Tale intesa pone particolare attenzione ai livelli di qualità necessari per l'assistenza domiciliare in cure palliative, affinché sempre più pazienti possano essere curati ed assistiti presso il proprio domicilio, luogo privilegiato di cura, evitando ricoveri impropri presso le strutture ospedaliere.
  Sono nove, ad oggi, le regioni italiane che hanno recepito, con delibera regionale, l'intesa sottoscritta in data 25 luglio 2012. È, infatti, attraverso tali atti normativi che l'avvio di un modello assistenziale di cure palliative può svilupparsi nel territorio regionale. È dunque auspicabile che, nel corso di breve tempo, tutte le regioni italiane recepiscano tale documento tecnico, rispondendo all'esigenza primaria di fornire cure adeguate ai bisogni del paziente, per ogni età e in ogni luogo di cura, nell'intero territorio nazionale, garantendo equità nell'accesso ai servizi e qualità delle cure erogate.
  Si assicura che è un preciso impegno del Ministero della salute monitorare il processo di attuazione di quanto previsto dalla citata normativa.
Il Sottosegretario di Stato per la salutePaolo Fadda.


   GAGNARLI, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GALLINELLA, L'ABBATE, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il riconoscimento degli animali quali esseri senzienti, e quindi portatori di diritto, è uno dei capisaldi della politica dell'Unione europea; le fasi di trasporto e scarico degli animali, rappresentano uno dei maggiori fattori di stress per gli animali avviati al macello, influenzando in maniera significativa la qualità delle carni da esse derivate;
   in osservanza del Regolamento (CE) 853/2004 (Norme specifiche in materia di igiene degli alimenti di O.A.) allegato III, sezione I cap. I, chi effettua il trasporto degli animali vivi al macello deve accertarci che durante la raccolta e il trasporto, gli animali vengano manipolati con cura evitando inutili sofferenze;
   in osservanza del regolamento (CE) 1099/2009, applicativo dal 1° gennaio 2013 «gli animali feriti o malati devono essere macellati e abbattuti sul posto; il veterinario ufficiale può tuttavia, autorizzare il loro trasporto per la macellazione o l'abbattimento, purché non comporti ulteriori sofferenze»;
   lo stesso regolamento comunitario stabilisce che le condizioni relative al benessere degli animali di ogni partita devono essere valutate sistematicamente al momento dell'arrivo del responsabile della tutela del benessere animale o da una persona che renda conto direttamente al responsabile della tutela del benessere animale, al fine di individuare le priorità definendo in particolare quali animali hanno specifiche esigenze di benessere e le relative misure da adottare;
   secondo quanto si apprende da diverse fonti stampa e a seguito della denuncia della Lega Anti Vivisezione, dopo 56 giorni di controlli, effettuati dalla task force della polizia stradale, in collaborazione con Lav e Animals’ Angels, sulle strade e autostrade italiane di Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia Romagna, Marche, Toscana, Lazio e Calabria, sono state riscontrate 534 violazioni su 650 veicoli controllati (8 veicoli su 10), per un totale di 345 mila euro di sanzioni;
   altre migliaia sarebbero le violazioni riscontrate, durante controlli di routine, dagli agenti formati dalla Lav;
   il trasporto degli animali vivi verso i mattatoi, si legge in una nota della stessa LAV, coinvolge ogni anno, solo in Italia, 500 milioni di animali, 5 milioni dei quali affrontano distanze incredibili, con viaggi che durano diversi giorni, in condizioni drammatiche, a temperature che d'estate superano i 40° C, a volte senza soste o cibo e acqua adeguati; condizioni che portano alla morte prematura molti animali, quasi sempre dopo una terribile agonia, e che configurano molte delle illegalità riscontrate nei controlli della task force;
   la Lav si batte da anni per portare alla luce la sofferenza degli animali trasportati, chiedendo, sia in sede nazionale che comunitaria, normative che mettano fine a queste inutili sofferenze –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non intenda intervenire, nell'ambito delle proprie competenze, sia in sede nazionale che comunitaria, per migliorare la normativa sul trasporto animale introducendo limiti temporali massimi al trasporto degli animali su lunga distanza;
   se il Governo non intenda porre in essere iniziative volte all'adozione di politiche che non prevedano la sovvenzione, attraverso fondi pubblici, per l'apertura di grandi macelli industriali che richiedano la movimentazione di decine di migliaia di animali. (4-01930)

  Risposta. — Il Ministero della salute è costantemente impegnato sia nelle attività di vigilanza e controllo rivolte a contrastare le violazioni di carattere amministrativo e gli illeciti penali che possono essere perpetrati durante il trasporto di animali vivi, sia nelle attività di informazione e formazione in materia, nonché nella partecipazione a gruppi di lavoro in sede comunitaria per contribuire alla evoluzione della normativa di settore.
  In particolare, il Ministero della salute ha emanato numerose note circolari per uniformare nel territorio nazionale le modalità interpretative della normativa vigente sulla protezione degli animali durante il trasporto, con particolare riferimento al regolamento (CE) n. 1 del 2005, e per richiamare l'attenzione degli organi competenti deputati ai controlli sulle procedure operative a cui devono attenersi al fine di garantire l'attuazione delle norme sul benessere animale.
  Per uniformare le modalità di esecuzione e la programmazione dei controlli sulla protezione degli animali durante il trasporto, nel piano nazionale benessere animale 2010 è stata introdotta la programmazione annuale minima dei controlli, da attuarsi sulla base di criteri di valutazione del rischio che tengono conto di situazioni in cui vi è una più alta probabilità di riscontro di irregolarità.
  Inoltre, per implementare l'efficacia delle attività di controllo su strada, alla fine del 2011 è stato siglato e messo in atto un protocollo d'intesa tra il Ministero della salute e il Ministero dell'interno, finalizzato al coordinamento delle diverse autorità competenti (uffici veterinari per gli adempimenti comunitari, servizi veterinari delle ASL e Polizia stradale) e quindi al miglioramento quali-quantitativo dei controlli su strada dei veicoli che trasportano animali vivi, nonché alla necessità di presidiare con maggiore efficacia sia le direttrici della rete stradale nazionale sulle quali si sviluppano i maggiori volumi di traffico di animali vivi, sia quelle su cui è più alta la probabilità di riscontrare irregolarità nel trasporto di animali vivi.
  Molta importanza è stata data agli aspetti informativi e formativi inerenti lo specifico settore del trasporto di animali vivi, che il Ministero della salute ha curato in collaborazione con il centro di referenza nazionale sul benessere animale e la Federazione nazionale degli ordini dei veterinari Italiani.
  Tra le altre iniziative, vi sono l'elaborazione e diffusione di manuali operativi come ausilio per facilitare i controlli sul campo, nonché l'elaborazione di un «poster» che è in corso di distribuzione agli allevatori per sensibilizzarli in maniera più immediata al problema della idoneità degli animali al trasporto, aspetto che riveste particolare criticità, specie in alcune regioni italiane.
  La formazione erogata è stata indirizzata non solo ai veterinari ma anche agli allevatori, ed ha visto sino ad oggi la formazione di circa 13.000 allevatori, poiché attraverso il miglioramento della gestione e delle tecniche di allevamento è possibile ridurre il numero di animali che sono in condizioni di grave precarietà fisica e quindi di probabile inidoneità al trasporto.
  Per i veterinari è stato organizzato un percorso formativo a distanza sull'applicazione del regolamento (CE) n. 1 del 2005, comprendente il rilievo e la gestione delle criticità, riscontrate in allevamento e al macello, sull'idoneità degli animali al trasporto.
  Tutte queste azioni messe in atto dal Ministero della salute sono la testimonianza della ferma volontà di migliorare le misure di applicazione delle norme in materia di protezione degli animali durante il trasporto, in quanto l'attuale impianto normativo comunitario, se correttamente attuato, ha in sé gli strumenti necessari per apportare miglioramenti significativi nel settore del trasporto degli animali vivi.
  Tuttavia, si ritiene che l'introduzione, nella normativa comunitaria vigente, di limiti temporali massimi per il trasporto di animali su lunga distanza, possa essere presa in considerazione qualora non crei ulteriori disuguaglianze commerciali tra gli operatori delle imprese di trasporto; peraltro la Commissione europea, nella sua relazione 2011 al Parlamento ed al Consiglio sull'impatto del regolamento (CE) 1 del 2005 sulla protezione degli animali durante il trasporto, non ritiene prioritaria una modifica di quest'ultimo per risolvere nella maniera più adeguata i problemi finora riscontrati nell'applicazione dello stesso regolamento.
  È opportuno, inoltre, evidenziare che l'Italia ha un saldo commerciale negativo per quanto riguarda l'approvvigionamento di animali vivi dai Paesi comunitari, che permette però di alimentare numerose strutture di macellazione di piccola-media dimensione, dislocate soprattutto nel centro-sud Italia, che danno vita ad una microeconomia fondamentale per il mantenimento di delicati equilibri socio-economici, specie nelle aree più marginali del nostro Paese.
  Pertanto, una modifica normativa dev'essere attentamente valutata e supportata da un adeguato sostegno economico che consenta attività alternative alla macellazione, al trasporto e a tutto l'indotto, oppure da una incentivazione degli allevamenti nelle stesse aree ove insistono le strutture di macellazione.
Il Sottosegretario di Stato per la salutePaolo Fadda.


   GOZI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), l'Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) e Save the Children – che dal 2006 operano come partner nell'ambito del progetto Praesidium finanziato dal Ministero dell'interno – hanno dichiarato che dall'inizio dell'anno sono stati centinaia i migranti egiziani e tunisini rimpatriati senza avere avuto la possibilità di entrare in contatto con le organizzazioni umanitarie, che svolgono un'importante attività di tutela nei confronti di persone bisognose di protezione tra cui rifugiati, vittime di tratta e minori non accompagnati. Secondo le convenzioni che tali organizzazioni hanno stipulato con il Ministero dell'interno, esse hanno il compito di assistere i migranti che sbarcano sulle coste italiane per garantire il rispetto dei loro diritti e delle procedure di accoglienza;
   il mancato accesso delle organizzazioni ai migranti è stato criticato anche da François Crepeau, special rapporteur delle Nazioni Unite per i diritti umani dei migranti al termine della sua missione in Italia del mese di ottobre 2012 e sembrerebbe riguardare esclusivamente i cittadini di nazionalità tunisina ed egiziana per i quali sembra che vi siano degli accordi di riammissione specifici ma non pubblici;
   come già accaduto più volte, anche il 30 aprile 2013, per diverse ore, alle organizzazioni è stato negato l'accesso ai 78 migranti egiziani sbarcati a Siracusa, tra cui 25 minori non accompagnati. Le organizzazioni, così come stabilito anche dalla convenzione con il Ministero dell'interno, avevano richiesto di poter incontrare i migranti a conclusione delle ordinarie operazioni da parte delle forze dell'ordine e prima che fossero adottati provvedimenti lesivi che riguardassero il loro status giuridico, come eventuali misure di allontanamento dal territorio italiano. Solo dopo l'ingresso delle organizzazioni sul luogo di sbarco, 5 cittadini egiziani cristiani copti hanno potuto presentare richiesta di asilo;
   in data 7 maggio 2012, sono arrivati in Calabria a Cariati (provincia di Cosenza) altri 70 migranti egiziani e nuovamente alle organizzazioni è stato consentito di parlare soltanto con i minori, identificati come tali dalle forze dell'ordine e solo dopo l'intervento della garante regionale per diritti dei minori della regione Calabria, mentre gli altri migranti sono stati rimpatriati senza aver potuto vedere le organizzazioni;
   in questi mesi l'UNHCR, l'OIM e Save the Children hanno più volte ribadito che comprendono l'importanza che lo Stato eserciti il legittimo controllo delle frontiere nell'ambito di flussi migratori misti, la necessità di effettuare indagini e di rispettare eventuali esigenze di ordine pubblico;
   le organizzazioni hanno fatto però presente che tali circostanze non possono fare venire meno la necessità di tutelare i diritti di tutti i migranti, a prescindere dal Paese di origine degli stessi, e hanno chiesto alle autorità che venga concesso loro la possibilità di svolgere pienamente le attività di tutela previste dal proprio mandato e dalle rispettive convenzioni con il Ministero –:
   per quale motivo l'accesso alle organizzazioni sia negato e le esigenze di effettuare verifiche vengano sollevate soltanto quando sbarcano cittadini egiziani e tunisini e non anche quando gli arrivi via mare riguardano altre nazionalità (ad esempio eritrei, somali, nigeriani), considerato che si immagina che le stesse indagini vengano effettuate anche in questi casi;
   quale sia il contenuto degli accordi di riammissione con il Governo tunisino ed egiziano, e quali siano le procedure poste in essere per l'identificazione della nazionalità dei migranti;
   quali iniziative intendano assumere per garantire all'UNHCR, all'OIM e a Save the Children di avere accesso a tutti i migranti che sbarcano sulle coste italiane, indipendente dalla loro nazionalità – e prima che nei loro confronti vengano presi dei provvedimenti lesivi, come il rimpatrio forzato. (4-00690)

  Risposta. — Il primo sbarco menzionato nel testo dell'interrogazione risale al 29 aprile 2013, quando a largo delle coste siracusane è stato intercettato un peschereccio con a bordo settantotto cittadini egiziani. Sono state immediatamente prestate le prime cure mediche e poi, alle operazioni di soccorso, sono seguite quelle di identificazione giudiziaria, oltre ai colloqui con rappresentanti dell'Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (UNHCR) e dell'organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM).
  L'attività info-investigativa ha consentito di identificare quarantanove uomini adulti e ventinove minori. Nei confronti di questi ultimi – prima di procedere all'affidamento ai competenti enti locali – sono stati effettuati gli esami antropometrici necessari a dissipare ogni incertezza sulla loro minore età. In relazione ai maggiorenni, cinque sono stati condotti presso un centro di accoglienza per richiedenti asilo, trentadue sono stati rimpatriati, tre scafisti sono stati arrestati per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e nove testimoni sono stati messi a disposizione della procura di Siracusa.
  Il secondo sbarco citato nel testo dell'interrogazione è avvenuto nella tarda serata del 6 maggio 2013, quando a largo delle coste di Cariati (Cosenza) è stato intercettato un peschereccio con a bordo settanta cittadini stranieri. Anche in questo caso, nell'immediatezza dell'evento sono state prestate le prime cure mediche e, alle operazioni di soccorso, sono seguite le procedure di identificazione.
  In particolare, sono stati identificati cinquantuno maggiorenni e diciannove minori. Questi ultimi sono stati affidati al sindaco di Cariati e, il giorno successivo, hanno incontrato i rappresentanti dell'OIM e di Save the Children. Tra i maggiorenni, cinque hanno chiesto la protezione internazionale e, pertanto, sono stati condotti in un centro di accoglienza richiedenti asilo: due di loro erano di cittadinanza egiziana, uno siriana, uno mauritana e uno yemenita; inoltre, un cittadino egiziano è stato ricoverato perché bisognoso di cure mediche, mentre gli altri quarantacinque, sempre di nazionalità egiziana, sono stati rimpatriati.
  In entrambe le circostanze hanno trovato applicazione le intese operative stipulate dall'Italia con l'Egitto, secondo cui il primo riscontro identificativo viene effettuato sul luogo di sbarco o di rintraccio, attraverso l'intervento di interpreti e mediatori culturali particolarmente qualificati, che prestano ausilio al personale della polizia italiana, in conformità alla normativa vigente. Nei casi in questione, il questore competente per territorio ha emesso un motivato provvedimento di respingimento dall'Italia nei confronti di ciascun cittadino egiziano, ai sensi dell'articolo 10, comma 2, del novellato decreto legislativo 286 del 1998. Infatti, i suddetti cittadini egiziani erano tutti privi di passaporto, si erano resi responsabili del reato di ingresso illegale sul territorio nazionale, e nessuno di loro aveva presentato domanda di asilo, né aveva espresso la volontà di accedere a qualsiasi altra forma di protezione internazionale.
  Più in generale, le intese in materia di riammissione dei cittadini rintracciati in posizione irregolare, stipulate nell'ambito delle relazioni bilaterali con i paesi di origine dei migranti che giungono in Italia, sono finalizzate alla cooperazione nella gestione dei flussi migratori. In particolare, l'accordo di riammissione con l'Egitto, in vigore dal 25 aprile 2008, prevede che i due Paesi non possano arrecare pregiudizio ai diritti, agli obblighi e alle responsabilità derivanti dal diritto internazionale.
  Con la Tunisia, invece, si applicano le misure operative concordate dai rispettivi ministri dell'interno nel processo verbale del 5 aprile 2011, che prevedono procedure semplificate di identificazione dei cittadini tunisini sbarcati illegalmente sulle coste nazionali e programmi di rimpatrio settimanale. I rimpatri si svolgono per gruppi di 30 persone – identificate come cittadini tunisini direttamente dalle autorità italiane, presso le località di sbarco – tramite due voli charter a settimana. Nel giorno programmato per il rimpatrio, un funzionario consolare tunisino ratifica l'identificazione e, contestualmente, emette il necessario lasciapassare. Tali circostanze non consentono di trattenere i tunisini sbarcati nei centri di identificazione ed espulsione, in quanto la normativa nazionale, conforme alla direttiva 2008/115/CE, prevede il ricorso a tale misura solo laddove si renda necessario superare eventuali ostacoli all'esecuzione immediata dell'allontanamento.
  Tutto ciò premesso, si ribadisce che l'attività identificativa svolta nell'immediatezza degli sbarchi avviene sempre in modo da garantire il pieno rispetto dei diritti e della dignità degli stranieri che entrano nel nostro Paese; peraltro, tale attività è svolta con l'ausilio di interpreti e di mediatori culturali qualificati, che comunicano prontamente al personale della Questura eventuali esigenze di protezione rappresentate dagli immigrati stessi. Pertanto, nessuno straniero viene allontanato dall'Italia qualora paventi il timore di essere perseguitato in caso di rimpatrio; inoltre, i suddetti accertamenti di polizia giudiziaria consentono di identificare le vittime di tratta, i minori e le persone vulnerabili, che secondo la legge italiana sono inespellibili. Al termine delle attività info-investigative, dunque, i minori non accompagnati sono avviati ai percorsi di assistenza previsti dalla normativa vigente.
  Infine, le attività svolte dalle competenti questure sono finalizzate a contrastare le organizzazioni criminali dedite al traffico di esseri umani e, nel contempo, a salvaguardare i diritti degli stranieri, soprattutto se richiedenti asilo o appartenenti a categorie vulnerabili. Tali attività sono sempre improntate al rispetto della normativa vigente, che prevede che l'attività informativa in favore dei richiedenti asilo, come quella svolta tramite il progetto Praesidium, sia prestata dopo che lo straniero abbia richiesto di essere protetto.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   GRIMOLDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si parla da tempo di iniziative volte ad assicurare il cosiddetto «reddito di cittadinanza», nella provincia autonoma di Trento è in vigore il «reddito di garanzia»;
   la finalità del «reddito di garanzia», secondo la legge trentina, è quella di sostenere il reddito dei lavoratori colpiti dalla crisi economica e di prevenire e contrastare situazioni di povertà secondo un criterio di equità;
   il «reddito di garanzia» è destinato a nuclei familiari particolarmente fragili dal punto di vista economico e lavorativo;
   tra i requisiti per accedere al «reddito di garanzia» vi sono la residenza in un comune della provincia di Trento da almeno tre anni, al momento di presentazione della domanda con riferimento anche ad uno solo dei componenti; un indicatore ICEF attualizzato (che sostituisce l'ISEE nazionale) inferiore a 0,13, tenendo conto di tutti i componenti del nucleo; impegno alla ricerca attiva di un lavoro, cioè sottoscrizione della dichiarazione di disponibilità immediata all'accettazione di un impiego, da parte di tutti i componenti in grado di assumere o riassumere un ruolo lavorativo;
   oltre al reddito di garanzia, spettano un contributo per il canone di locazione (qualora il nucleo non benefìci al momento della domanda di altre agevolazioni analoghe), un contributo riscaldamento, un tesserino per la gratuità dei trasporti pubblici e buoni pasto;
   è notizia recente di stampa che la maggior parte di questi contributi, che possono arrivare anche ad oltre 2.000 euro mensili, sia destinato a cittadini extracomunitari, in quanto per un cittadino italiano è difficile soddisfare i requisiti posti dalle norme trentine;
   considerata la grave situazione economica del Paese e quella lavorativa dei nostri concittadini appare prioritario attuare politiche differenti da quelle suddette, al fine di incentivare l'occupazione e di non discriminare i cittadini italiani nella concessione di sussidi e contributi –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti descritti e se, qualora intendesse assumere iniziative normative di carattere simile a quella delineata in premessa, non intenda evitare che siano stabiliti presupposti e requisiti di accesso tali da risultare, alla luce dei fatti, lesivi dei diritti dei cittadini italiani, favorendo invece quasi esclusivamente i cittadini extracomunitari. (4-00638)

  Risposta. — La direttiva europea 2003/109/CE, recepita con il decreto legislativo n. 3 del 2007, stabilisce la parità di trattamento tra i cittadini di Paesi membri dell'UE e gli stranieri lungo soggiornanti per quanto riguarda le prestazioni sociali, l'assistenza sociale e la protezione sociale ai sensi della legislazione nazionale, mentre la direttiva 2004/38/CE, recepita con il decreto legislativo n. 30 del 2007, estende tale principio ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, che siano titolari del diritto di soggiorno permanente.
  La Commissione europea sottolinea che secondo la giurisprudenza costante della Corte di giustizia le norme relative alla parità di trattamento previste dal diritto della UE «vietano non solo le discriminazioni palesi, in base alla cittadinanza, ma anche qualsiasi discriminazione dissimulata che, fondandosi su altri criteri di distinzione, pervenga in effetti al medesimo risultato.»
  Le iniziative dedicate alle politiche di inclusione sociale, pertanto, alla luce della normativa vigente e degli attuali orientamenti comunitari, anche al fine di evitare di incorrere in procedure di infrazione, devono ispirarsi al principio di parità di trattamento, attraverso criteri e requisiti di accesso alle provvidenze sociali idonei ad evitare situazioni di discriminazione sia diretta che indiretta.
  Al riguardo si evidenzia che la Commissione europea ha chiesto informazioni in merito alla compatibilità dell'articolo 20, comma 10, del decreto-legge n. 112 del 2008, con la direttiva 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri. Il suddetto articolo 20, infatti, ha introdotto per l'erogazione dell'assegno sociale l'ulteriore requisito del soggiorno legale e continuativo sul territorio nazionale per almeno dieci anni. Tale requisito di anzianità di residenza, secondo la Commissione, sembrerebbe voler impedire o rendere più difficoltoso l'accesso a tale prestazione di assistenza sociale agli stranieri comunitari ed extracomunitari, costituendo una forma di discriminazione dissimulata.
  Si rappresenta, inoltre, che la Commissione ha avviato una procedura di infrazione nei confronti dello Stato italiano in merito alla non conformità delle disposizioni nazionali relative alla carta acquisti, agli assegni per il nucleo familiare e di maternità con la Direttiva 2003/109/CE relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo.
  La Commissione, infine, ha richiesto informazioni supplementari in merito alla compatibilità dell'articolo 81, comma 32, del decreto-legge n. 112 del 2008, che ha istituito la carta acquisti, con la direttiva 2003/109/Ce, in merito alla posizione dei cittadini di paesi terzi che beneficiano della carta acquisti nell'ambito della sperimentazione, prevista dall'articolo 60 del decreto-legge n. 5 del 2012.
  In conclusione, sembra che le proposte avanzate dall'interrogante, in specie laddove mirano a rendere più difficoltoso per i cittadini extracomunitari l'accesso alle prestazioni di carattere sociale e assistenziale, risultino difficilmente armonizzabili con i richiamati princìpi comunitari. Inoltre, le medesime proposte sembrano porsi in contrasto con la costante giurisprudenza costituzionale che ascrive le richiamate prestazioni all'ambito dei diritti inviolabili dell'individuo che, in quanto tali, devono essere assicurati senza distinzione alcuna ai cittadini italiani e agli stranieri.
Il Viceministro del lavoro e delle politiche socialiMaria Cecilia Guerra.


   GRIMOLDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 81 del 9 aprile 2008 concernente la sicurezza sul lavoro equipara i volontari ai lavoratori dipendenti; ciò comporta che i volontari debbano necessariamente essere visitati da un medico del lavoro per ottemperare agli obblighi del decreto;
   per un'associazione di volontariato i costi relativi alle visite prestate ai propri volontari da un medico del lavoro, quindi esterno all'associazione, sono molto elevati e difficili da sostenere;
   i volontari della Croce Bianca di Brescia sono sottoposti ad un'accurata visita medica da parte del direttore sanitario della stessa associazione, anch'esso volontario e quindi non pagato;
   la visita medica prestata dal direttore sanitario dell'associazione soddisfa pienamente le disposizioni del succitato decreto sulla sicurezza del lavoro; nella sostanza, cambia solamente la qualifica del medico visitante –:
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative normative volte a equiparare, ai soli fini del decreto legislativo n. 81 del 9 aprile 2008, il direttore sanitario dell'associazione al medico del lavoro. (4-00718)

  Risposta. — Preliminarmente, è opportuno precisare che la disciplina in materia di salute e sicurezza sul lavoro applicabile alle associazioni di volontariato, di cui alla legge n. 266 del 1991 (cosiddetta legge quadro sul volontariato), si rinviene nell'articolo 3, comma 12-bis, del decreto legislativo n. 81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni.
  Tale disposizione, nel richiamare la disciplina relativa ai lavoratori autonomi di cui al successivo articolo 21, stabilisce che i volontari che effettuano servizio civile sono soggetti ad una serie di obblighi e di facoltà in materia di salute e di sicurezza.
  Sotto quest'ultimo aspetto, infatti, gli stessi possono beneficiare, in relazione ai rischi propri delle attività svolte e con oneri a proprio carico, della sorveglianza sanitaria (secondo le previsioni dell'articolo 41 del testo unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro e fermi restando gli obblighi previsti da norme speciali), nonché partecipare a corsi di formazione specifici in materia di salute e sicurezza sul lavoro, in conformità a quanto previsto dall'articolo 37 del testo unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
  Tutto ciò premesso, facendo riferimento a quanto auspicato dall'interrogante, occorre precisare che la posizione del direttore sanitario e quella del medico competente sono, in concreto, nettamente differenti, in particolare, per quanto attiene la peculiarità del percorso universitario e/o formativo richiesto al medico competente, in relazione alle funzioni che lo stesso è chiamato a svolgere.
  Di conseguenza, una generalizzata equiparazione, agli effetti della salute e sicurezza sul lavoro, delle due figure potrebbe risultare non coerente con la necessità di garantire i livelli di tutela in ogni luogo di lavoro, obiettivo perseguito dalla normativa di cui al decreto legislativo n. 81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni.
  In ogni caso, si può assicurare l'attenzione di questo Ministero in ordine alla proposta formulata dall'interrogante qualora si vada nella direzione di elaborare disposizioni di modifica del testo unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro dirette a tener conto delle peculiarità delle specifiche situazioni di lavoro, comprese quelle delle associazioni di volontariato.
  In tale contesto, pertanto, potrà essere valutata l'opportunità dell'intervento ipotizzato dall'interrogante.
Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.


   LODOLINI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Beta spa, in qualità di editrice dell'emittente televisiva delle Marche Tvrs, ha fatto domanda di operatore di rete, ottenendo dal Ministero i numeri Lcn 11 e 111, in virtù dei requisiti previsti dalla legge tra cui il numero dei dipendenti;
   la Beta spa in data 11 maggio 2013 ha avviato la procedura di messa in mobilità per tutto il personale per cessazione dell'attività, affermando di voler mantenere lo status di «operatore di rete»;
   il consiglio dell'ordine dei giornalisti delle Marche ha espresso in una nota «sorpresa e sconcerto per la decisione della Società Beta Spa di cessare, dopo 35 anni, l'attività di Tvrs, una delle principali e storiche emittenti televisive della regione Marche», dichiarando che «l'annuncio assume contorni particolarmente gravi e soprattutto oscuri»;
   la Beta spa in tutti questi anni ha beneficiato di contributi pubblici e ha avuto finanziamenti dagli enti locali attraverso la stipula di convenzioni;
   gli stessi bilanci presentati dalla società non giustificherebbero una scelta così drastica e che quindi la volontà di cessare l'attività e di licenziare tutti i dipendenti sembra nascondere ipotesi molto diverse dalle paventate difficoltà economiche –:
   come sia possibile che Beta spa, che nel passaggio dall'analogico al digitale terrestre ha usufruito di notevoli contributi statali in base ad una serie di parametri tra cui il numero dei dipendenti e in particolare di giornalisti assunti a tempo indeterminato, possa, oggi che ha deciso di cessare l'attività di produzione mettendo in mobilità tutto il personale, continuare a trasmettere sugli stessi canali 11 e 111, senza variazione alcuna;
   come sia possibile che ai privati concessionari di frequenze televisive sia consentito di sviluppare attività di impresa senza un vincolo reale a che questa avvenga nel rispetto dei posti di lavoro e delle professionalità ad essa collegate;
   se la decisione di conservare solo lo status di operatore di rete, modificando di fatto il piano editoriale che con il numero di dipendenti rappresentava requisito fondamentale per l'assegnazione degli Lcn, non faccia venir meno due importanti prerogative che dovrebbero appartenere ad un concessionario di frequenze;
   come evitare che i numeri Lcn rimangano in capo ad un privato che senza i dipendenti non avrebbe ottenuto i numeri 11 e 111 sul telecomando prevalendo su altre realtà televisive territoriali, posto che appare evidente che la gara di assegnazione sia stata inficiata da un comportamento ad avviso dell'interrogante scorretto e sleale da parte della stessa azienda nei confronti delle principali emittenti concorrenti, mentre sarebbe preferibile favorire i lavoratori – riuniti in una delle forme societarie previste dalla legge – nel percorso di acquisizione dello status di «operatore di rete» subentrando a Beta spa e avere le frequenze oggi in possesso della Beta stessa, salvaguardando così i posti di lavoro. (4-00560)

  Risposta. — Dagli atti in possesso degli uffici competenti del Ministero dello sviluppo economico non risulta che la società Beta spa abbia cessato l'attività di fornitore di servizi media audiovisivi ma che abbia, invece, inoltrato in data 23 giugno 2013 una richiesta di autorizzazione per fornitore di servizi media per la regione Marche per un ulteriore marchio.
  Per quanto riguarda i dipendenti applicati, si evidenzia che la delibera AGCOM 353/11/CONS, all'articolo 3 comma 5, prevedeva che per poter rilasciare la suddetta autorizzazione bisognava essere in possesso, tra l'altro, del requisito di almeno «4 dipendenti in regola con le vigenti disposizioni di legge in materia previdenziale». Tale requisito è stato superato con l'entrata in vigore della delibera 350/12/CONS che nella circolare esplicativa allegata alla stessa ha chiarito come il predetto requisito trovasse applicazione «fino alla data stabilita dalla legge per la definitiva cessazione delle trasmissioni televisive in tecnica analogica». Pertanto, dalla data dello swich-off, ovvero dal 4 luglio 2012 tale requisito è venuto meno.
  Alla luce di quanto stabilito dalla normativa citata, la società BETA spa, anche in assenza di personale dipendente, risulta pertanto attualmente legittimata a svolgere sia l'attività di fornitore di servizi media sia l'attività di operatore di rete.
  Per quanto riguarda la numerazione LCN assegnata in sede di switch-off della regione Marche, si fa presente che la stessa è stata attribuita dal Ministero dello sviluppo economico ai sensi della delibera 366/10/CONS, tenendo conto della collocazione derivante dalla media dei punteggi conseguiti da ciascuna emittente nelle ultime tre graduatorie approvate dal CORECOM alla data di entrata in vigore della citata delibera.
  Per completezza di informazione, si evidenzia che la delibera n. 237/13/CONS del 21 marzo 2013 recante «Nuovo piano di numerazione automatica dei canali della televisione digitale terrestre, in chiaro e a pagamento, le modalità di attribuzione dei numeri ai fornitori di servizi di media audiovisivi autorizzati alla diffusione di contenuti audiovisivi in tecnica digitale terrestre e relative condizioni di utilizzo» ha annullato la precedente delibera n. 366/10/CONS, rinviando le modalità operative di attribuzione delle nuove numerazioni in un apposito Bando di formazione del Ministero.
  Per ciò che attiene, in particolare, alla assegnazione delle numerazioni LCN, occorre rilevare che le stesse sono assegnate ai singoli fornitori di servizi di media audiovisivi cui è riconducibile la responsabilità editoriale della scelta del contenuto audiovisivo del servizio di media audiovisivo e ne determina le modalità di organizzazione e non agli operatori di rete (soggetto titolare del diritto di installazione, esercizio e fornitura di una rete di comunicazione elettronica su frequenze terrestri in tecnica digitale, e di impianti di messa in onda, multiplazione, distribuzione e diffusione delle risorse frequenziali che consentono la trasmissione dei programmi agli utenti). Conseguentemente nell'ipotesi di dismissione dell'attività di fornitore di servizi media audiovisivi, la relativa autorizzazione e l'attribuzione della numerazione assegnata decade a meno che la stessa autorizzazione per la fornitura di servizi di media non venga trasferita dalla società titolare (editore) ad un soggetto terzo, tramite regolare atto notarile.
  Non risultando infine, come già detto, dagli atti in possesso degli uffici competenti del Ministero dello sviluppo economico che la Beta spa abbia cessato l'attività di fornitore di servizi media audiovisivi ed essendo stato il requisito dei dipendenti superato con l'entrata in vigore della delibera 350/12/CONS ne consegue che ad oggi la società Beta risulta legittimata ad operare.
Il Viceministro dello sviluppo economicoAntonio Catricalà.


   LOREFICE, CIPRINI, DI VITA, BENEDETTI, GRILLO, BALDASSARRE, MARZANA, DI BENEDETTO, CHIMIENTI, SILVIA GIORDANO, BRESCIA, ZOLEZZI, CECCONI e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in Italia sono circa 5000 le persone ammalate di mcs (sindrome sensibilità chimica multipla), una malattia che colpisce prevalentemente tra i 30 e i 40 anni generando nei soggetti affetti una forte intolleranza e allergia a quasi tutti gli agenti chimici;
   nonostante molti scienziati abbiano individuato le cause di questa malattia, superando la vecchia tesi dell'origine psicologica della patologia, la stessa in Italia non viene considerata dal servizio sanitario nazionale;
   secondo quanto riportato da un articolo su laspia.it del 9 settembre 2013, a causa di tale circostanza la signora Mariella Russo residente a Marina di Ragusa, affetta da questa malattia, deve recarsi a Londra periodicamente per curarsi, con un jet privato (non potendo prendere aerei di linea) e solo con un piccolo sussidio fornito dalla regione –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario assumere immediatamente iniziative per fornire sussidi economici alle numerose persone malate presenti sul territorio nazionale che sono costrette a recarsi all'estero a proprie spese per usufruire di cure che l'Italia nega loro oppure per riconoscere la mcs come malattia posta a carico del servizio sanitario nazionale, in attesa che vengano calendarizzate e discusse in Parlamento le proposte di legge presentate in materia. (4-01823)

  Risposta. — Le problematiche relative alla sindrome da sensibilità chimica multipla (Multiple chemical sensitivity — Mcs) sono all'attenzione del Ministero della salute, anche grazie alle numerose segnalazioni da parte di malati e associazioni di familiari e alle precedenti interrogazioni parlamentari sulla tematica.
  Si precisa, in primo luogo, che gli interventi di assistenza economica per sostenere le spese di viaggio e soggiorno per cure all'estero, non essendo prestazioni di assistenza sanitaria, non sono previste tra i livelli essenziali di assistenza.
  Riguardo al riconoscimento delle malattie, intese come singole entità nosologiche poste a carico del servizio sanitario nazionale, si ricorda che tutte le malattie e condizioni godono di tutela nell'ambito del S.S.N., in quanto gli assistiti possono accedere alle prestazioni e ai servizi offerti a fronte del pagamento di una quota di partecipazione al costo (ticket).
  Il diritto all'esenzione dalla partecipazione al costo delle prestazioni incluse nei livelli essenziali di assistenza può, invece, essere riservato alle malattie per le quali sia scaturito un consenso della comunità medico-scientifica sulla definizione nosologica, sulle loro caratteristiche e sui criteri diagnostici.
  Infatti, il «riconoscimento» della malattia, non si fonda su un atto amministrativo, ma discende esclusivamente dal consenso espresso dalla comunità scientifica: nel caso della Mcs, è in corso da anni un serrato dibattito tra gli esperti della materia, che vede posizioni assai distanti, in quanto alcuni affermano l'esistenza della sindrome come entità nosologica ben definita, altri negano tale evidenza.
  Quanto ad un eventuale inserimento della Mcs tra le malattie oggetto di particolari tutele, come le malattie rare (decreto ministeriale n. 279 del 2001), ciò non appare al momento possibile, in quanto la mancanza di consolidate conoscenze epidemiologiche, cliniche e terapeutiche, rende difficile la condivisione dei criteri e dei metodi necessari per effettuare una precisa diagnosi ed una efficace gestione del paziente.
  Solo tali condizioni consentono, infatti, di identificare correttamente i destinatari dei benefici, evitando pericolose generalizzazioni che provocherebbero solo un aumento della spesa sanitaria, senza vantaggi concreti per gli interessati.
  Della problematica si è interessata anche la seconda sezione del consiglio superiore di sanità, che nel 2008, esprimendo parere sul documento di sintesi prodotto dal gruppo di lavoro istituito presso il centro nazionale per le malattie rare dell'istituto superiore di sanità (finalizzato ad individuare possibili criteri diagnostici, prestazioni sanitarie rispondenti a criteri di appropriatezza ed efficacia ed eventuali tutele assistenziali), ha ritenuto che la indisponibilità di evidenze nella letteratura scientifica internazionale non consentisse di considerare la Mcs come entità nosologicamente individuabile e che, comunque, il servizio sanitario nazionale, attraverso livelli essenziali di assistenza, fosse già in grado di fornire una adeguata assistenza a tutti coloro che mostrano intolleranza all'esposizione a sostanze chimiche.
  Il Ministero della salute ha preso atto del parere del consiglio superiore di sanità, e in attesa che venissero sciolti i dubbi relativi al riconoscimento della MCS come entità nosologica definita, ha ritenuto utile garantire agli assistiti alcune semplici misure, al fine di evitare costosi trattamenti all'estero, dove, in taluni casi, vengono erogate prestazioni di dubbia efficacia.
  Infatti, tra le principali criticità, è stato spesso riportato il rifiuto da parte dei pazienti di sottoporsi alle prestazioni sanitarie per il timore di possibili reazioni avverse scatenate dalla contaminazione chimica di ambienti ed attrezzature.
  D'altro canto, anche alcuni medici hanno segnalato qualche perplessità, a causa della scarsa conoscenza dei meccanismi eziopatogenetici di tale sindrome, che rende difficile l'applicazione di specifici protocolli di ospedalizzazione e di validi orientamenti volti a ridurre l'esposizione ad inquinanti ambientali, materia quest'ultima comunque già oggetto dell'accordo del 27 settembre 2001 tra il Ministero della salute, le regioni e le province autonome sul documento concernente: «Linee Guida per la tutela e la promozione della salute negli ambienti confinati», sancito in sede di conferenza Stato-regioni.
  È indubbio che l'allestimento di specifici ambienti nell'ambito delle strutture sanitarie, così come l'adozione di alcune precauzioni da parte del personale che si trovi ad interagire con questi pazienti, sarebbe di grande aiuto per favorire un approccio positivo con il SSN. In tale ottica, presso questo Ministero è stato attivato un tavolo tecnico, che si è avvalso anche di professionalità esperte, segnalate dalle stesse associazioni di pazienti.
  Nel corso dei lavori è tuttavia emerso che le ipotesi oggetto di analisi risultano essere ancora in fase di approfondimento e di verifica e che i risultati sperimentali raggiunti non sono, purtroppo, sufficienti a supportare decisioni di natura amministrativa, né ad intraprendere iniziative utili nell'immediato.
  Pertanto, anche al fine di non alimentare false aspettative, è sembrato ragionevole sospendere le attività del tavolo almeno fin quando le conoscenze in materia siano maggiormente consolidate, assicurando comunque la disponibilità del Ministero a prendere in esame sia eventuali iniziative sia le proposte che dovessero emergere dalle commissioni o dai gruppi tecnici istituiti da regioni e province autonome.
  In conclusione, si deve ancora una volta segnalare come, allo stato, le iniziative più efficaci per venire incontro alle richieste degli assistiti, consistono nella ulteriore promozione di studi e ricerche che possano colmare le lacune ancora imponenti nella conoscenza della MCS, definendone l'eziologia e la patogenesi, producendo stime epidemiologiche affidabili e proponendo validati schemi di trattamento.
Il Sottosegretario di Stato per la salutePaolo Fadda.


   LOREFICE, CATALANO, DE LORENZIS, TURCO, TANCREDI, TRIPIEDI e COLONNESE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   circa il 10 per cento della popolazione italiana soffre di una patologia devastante di cui si parla raramente sui mezzi di comunicazione di massa, denominata acufene, che genera dei suoni continui e costanti percepiti in un orecchio, in entrambi o nella testa;
   questa patologia non può essere definita semplicemente un «disturbo molto fastidioso», ma una vera e propria malattia invalidante in quanto influisce sull'assetto psicologico ed emozionale della persona, sul ritmo sonno-veglia, sul livello di attenzione e concentrazione, nonché sulla vita di relazione;
   tali fattori spesso generano nell'individuo affetto dalla patologia uno stato di grave depressione che culmina, in alcuni casi, in episodi drammatici quali la morte per suicidio;
   l'articolo 32 della Costituzione riconosce la salute come diritto fondamentale dell'individuo che lo Stato ha il dovere di tutelare e garantire –:
   se il Ministro interrogato intenda sollecitare l'avvio di studi e ricerche sulle cause e le possibili cure di questa patologia che è in grado di annientare lentamente la salute psico-fisica di chi ne è colpito. (4-02147)

  Risposta. — L'acufene è un problema otologico assai frequente. Studi condotti negli ultimi due lustri in Paesi europei, quali la Germania e il Regno Unito, hanno dimostrato come, mediamente, circa il 10-20 per cento della popolazione del nostro continente abbia sofferto di acufene almeno una volta nella vita. Per quanto riguarda l'Italia, a seguito di una serie di studi risulterebbe che nel nostro Paese vi sia una prevalenza di tale problema otologico pari a circa il 15 per cento.
  L'acufene consiste in sensazioni acustiche endogene, sotto forma di fischi, ronzii, fruscii o altro, percepiti in una o in entrambe le orecchie o nella testa. Tale disturbo può incidere sulla qualità della vita di chi ne soffre soprattutto a livello psicologico, arrivando, nei casi più gravi, a compromettere seriamente il benessere del paziente. La ricerca clinica ha chiaramente dimostrato come, in una alta percentuale dei casi, questo disturbo debba essere affrontato mediante una strategia terapeutica di cui la psicoterapia sia parte integrante.
  Purtroppo, la causa dell'acufene non è chiara nella maggioranza dei casi.
  Tuttavia, nuove tecniche e metodi di ricerca, come le tecniche di «neuroimaging», che permettono di osservare l'attivazione delle aree del cervello deputate all'elaborazione dei segnali acustici, sembrano promettere importanti passi avanti per la comprensione dell'eziologia della patologia in questione.
  Al fine di valutare quali iniziative adottare per gestire i problemi sanitari legati all'acufene e considerata la necessità di sviluppare ulteriormente la ricerca mirata alla comprensione delle basi fisiopatologiche del disturbo, occorre effettuare un attento studio dello stato dell'arte delle conoscenze di base e cliniche, ottenute tramite la revisione sistematica della letteratura disponibile e l'esame delle scoperte scientifiche più recenti. Potranno anche essere messe a disposizione della comunità scientifica le competenze esistenti presso l'istituto superiore di sanità, per promuovere la ricerca e la conoscenza delle problematiche relative all'acufene presso Istituzioni, centri di ricerca e opinione pubblica.
  Tali iniziative sono necessarie ai fini della valutazione dell'eventuale inserimento dell'acufene nei livelli essenziali di assistenza, ai sensi del decreto ministeriale n. 329 del 1999 e successive modifiche, come malattia cronica invalidante. Occorre infatti sviluppare una serie di approfondimenti, legati, ad esempio, all'accertamento del quadro nosologico non unicamente basato sull'autovalutazione da parte del paziente stesso.
  Attualmente, non è possibile prevedere l'inserimento dell'acufene tra le malattie croniche ed invalidanti di cui al decreto ministeriale n. 329 del 1999, poiché esso non costituisce una vera e propria malattia, ma è un sintomo con diversi livelli di gravità, determinato da patologie vascolari (fistole del collo, tumori carotidei, aneurismi intracranici o meningei, patologie dei grossi vasi del collo) o, più frequentemente, associato a patologie audiologiche, vestibolari, neurologiche, autoimmuni, cerebrovascolari, dismetaboliche ed ematologiche.
  Inoltre, la condizione in questione non sembra rispondere ai criteri di inclusione previsti dal decreto legislativo n. 124 del 1998 (gravità, invalidità ed onerosità del relativo trattamento) e sarebbe difficoltosa l'individuazione delle prestazioni erogabili in esenzione (appropriate per il monitoraggio della patologia e la prevenzione di aggravamenti e complicanze).
  Peraltro, si rammenta che i pazienti affetti da acufene sono tutelati dal Servizio Sanitario Nazionale attraverso i livelli essenziali di assistenza e che gran parte delle condizioni che determinano l'acufene sono già comprese tra le malattie previste dal decreto ministeriale n. 329 del 1999, per le quali sussiste l'esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni specialistiche.
Il Sottosegretario di Stato per la salutePaolo Fadda.


   MATTIELLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel 1952 a Trappeto, in Sicilia, morirono di stenti un bambino e poi un uomo che aveva scelto di vivere e lottare accanto agli ultimi di Trappeto, e che decise di sdraiarsi proprio sul pagliericcio dove era morto quel bambino e di iniziare lo sciopero della fame per provocare l'intervento delle istituzioni: si chiamava Danilo Dolci;
   il collega parlamentare Khalid Chaouki ha deciso di entrare e poi chiudersi dentro il centro di identificazione ed espulsione di Lampedusa;
   il deputato Chaouki ha dichiarato che non uscirà dal Centro di identificazione ed espulsione di Lampedusa fino a quando non verrà ripristinata la legalità, e non saranno trasferiti i profughi siriani ed eritrei, i sopravvissuti al terribile naufragio dello scorso ottobre, e l'autore del video, girato di nascosto con un telefono cellulare, che ha testimoniato le condizioni inaccettabili nelle quali avveniva nello stesso centro il trattamento sanitario contro la scabbia, mandato poi in onda dal Tg2;
   tra il gesto di Danilo Dolci e quello di Chaouki sono passati più di sessant'anni: gesti estremi di questo genere non dovrebbero più essere necessari, ma, se c’è chi ancora sente il bisogno di porli in essere è perché le soluzioni, pur tante volte annunciate, tardano ad arrivare;
   nei centri di identificazione ed espulsione, nei centri di prima accoglienza (CDA) e nei CARA, centri di accoglienza richiedenti asilo, distribuiti su tutto il territorio nazionale, si concentra una quantità di sofferenza insopportabile, che offende sia chi in queste strutture è costretto a rimanere sia chi in quelle strutture deve lavorare: si tratta di una sofferenza tanto più odiosa perché figlia di scelte politiche, non di tragiche fatalità, una sofferenza e un'ingiustizia contrarie ai fondamenti dello Stato di diritto, di cui soprattutto i parlamentari non possono non sentirsi responsabili –:
   quali iniziative il Ministro abbia intenzione di adottare al fine di ripristinare la legalità all'interno del centro di identificazione ed espulsione di Lampedusa e se non ritenga di dover intervenire con urgenza al fine di far trasferire tutti i profughi dal centro di prima accoglienza di Lampedusa e il giovane siriano autore del video. (4-03057)

  Risposta. — In seguito al grave episodio verificatosi nel centro di soccorso e prima accoglienza di Lampedusa – citato nell'interrogazione – è stata immediatamente avviata la procedura di risoluzione della convenzione con la cooperativa affidata affidataria della gestione, per grave inadempienza contrattuale. Non appena la risoluzione sarà operativa, seguirà l'affidamento a un nuovo gestore, che potrebbe essere individuato in un soggetto di indiscussa capacità e di assoluto prestigio internazionale quale la Croce rossa italiana, previa verifica della percorribilità giuridica di tale soluzione.
  Inoltre, sono state fornite precise indicazioni alle singole prefetture interessate affinché – d'intesa con le organizzazioni umanitarie aderenti al progetto Praesidium – dispongano un piano straordinario di ispezioni, volte a verificare che, nell'espletamento dei servizi erogati nei centri per l'immigrazione, siano sempre tutelati la dignità e i diritti umani dei migranti.
  Peraltro, dall'inizio di questa legislatura sono state avviate molte iniziative sul tema dell'asilo e dell'accoglienza, sia sul piano operativo, sia su quello normativo, anche in risposta al massiccio afflusso di migranti verificatosi sulle nostre coste; nel corso del 2013, infatti, sono giunti in Italia oltre quarantatremila stranieri, più di quattordicimila dei quali sono sbarcati proprio a Lampedusa.
  In particolare, sono state attivate circa sessanta strutture temporanee di primissima accoglienza ed è prevista la prossima istituzione, a San Giuliano di Puglia, di un nuovo centro governativo dedicato ai migranti vulnerabili, famiglie e minori in particolare, nel quale potranno essere ospitate fino a mille persone. Nei prossimi mesi si concluderanno pure i lavori di ristrutturazione del centro di Lampedusa, iniziati il 10 novembre 2013, che consentiranno di ampliarne la capienza fino a più di trecentocinquanta posti. Queste iniziative avranno positive ripercussioni sulla gestione del centro, riducendo la possibilità che si verifichino condizioni di sovraffollamento e di eccessiva sollecitazione della ricettività della struttura.
  In ogni caso, nell'ambito del piano dei trasferimenti predisposto dal competente dipartimento del Ministero dell'interno, i cittadini stranieri giunti sull'isola di Lampedusa vengono rapidamente condotti, a mezzo nave o voli charter, verso altri centri e strutture della rete Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) dislocati sul territorio nazionale. Attualmente, quindi, presso il centro di Lampedusa sono presenti tredici persone, a disposizione dell'autorità giudiziaria; dopo aver partecipato, a due udienze che si svolgeranno nelle prossime settimane presso il tribunale di Palermo, essi saranno accompagnati presso il centro di accoglienza di Pozzallo. Il cittadino siriano autore del video trasmesso dagli organi di informazione, invece, si è allontanato arbitrariamente dal centro nella mattinata del 29 dicembre scorso, con una nave diretta a Porto Empedocle.
  Per quanto riguarda le fasi successive alla prima accoglienza e i percorsi finalizzati all'inclusione sociale, si evidenziano gli sforzi, anche finanziari, sostenuti per l'ampliamento dello Sprar. Tale Sistema, che garantisce già oggi quasi diecimila posti in accoglienza (erano tremila negli anni scorsi), sarà ulteriormente potenziato, nel corso del prossimo triennio, fino a raggiungere sedicimila posti. Gli enti locali restano comunque obbligati a garantire una percentuale di posti aggiuntivi, qualora se ne ravvisi l'esigenza, sulla base di un modello di accoglienza volto sempre più al coinvolgimento attivo e responsabile dei territori. In questo contesto, è stata potenziata anche la rete delle commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, con l'istituzione di sei sezioni in aggiunta alle dieci commissioni esistenti, che potranno essere ulteriormente aumentate fino a un massimo di dieci.
  L'impegno del Ministero dell'interno proseguirà con la revisione del capitolato generale di appalto per la gestione dei centri di accoglienza, in un'ottica di razionalizzazione e miglioramento dei servizi attualmente resi. Inoltre, sarà emanata una direttiva generale sulle buone prassi individuate dalle organizzazioni umanitarie che curano il monitoraggio dei centri per immigrati e saranno fornite precise indicazioni sui correttivi da apportare per una migliore organizzazione dei servizi. Saranno altresì rivisti i prezzi posti a base delle gare per l'affidamento della gestione dei centri, anche in rapporto alla loro capienza, al fine di elevare gli standard dei servizi erogati.
  Sarà cura del Ministero dell'interno accelerare i tempi di attuazione delle nuove direttive comunitarie in materia di accoglienza dei richiedenti la protezione internazionale (cosiddetta «direttiva accoglienza») e di procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (cosiddetta «direttiva procedure»). Ciò consentirà di giungere, nel minore tempo possibile, a una definizione più puntuale delle regole che presiedono al sistema di accoglienza italiano, anche con riguardo all'attività di monitoraggio e alla regolamentazione degli accessi ai centri, mediante l'introduzione di norme che semplifichino le procedure di esame delle domande di protezione internazionale.
  Infine – pur nelle attuali ristrettezze di bilancio – il Governo intende affrontare con risolutezza i problemi connessi al funzionamento e alla gestione dei centri per l'immigrazione, promuovendo un significativo miglioramento degli standard di accoglienza e un maggiore livello di sicurezza degli stranieri e degli operatori dei centri. Peraltro, la riforma complessiva dell'intero sistema di accoglienza richiede un percorso normativo di più ampio respiro, che necessita di un sostanziale contributo parlamentare.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   MAZZOLI e TERROSI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il modello di sviluppo economico fondato su sistemi locali di piccole e medie imprese è in seria difficoltà a causa del mutamento del mercato internazionale che ha causato l'ingresso di nuovi competitor e un processo di frammentazione produttiva che ha messo in ginocchio la cultura distrettuale a vocazione manifatturiera, specie quella di derivazione artigianale;
   al riguardo, è opportuno sottolineare la tragica situazione del distretto della ceramica di Civita Castellana che sta affrontando da oltre un decennio una crisi senza precedenti, sia in termini di fatturato, sia sul fronte occupazionale;
   inizialmente il malessere ha interessato il comparto delle ceramiche delle stoviglierie domestiche, causando la perdita di 1.800 posti di lavoro con la chiusura di 30 aziende, ma alla metà del 2008 si è esteso anche al comparto degli articoli igienico sanitari – che all'epoca contava ben 37 aziende sulle 43 totali presenti nel territorio italiano – registrando un calo nella produzione e nelle vendite;
   secondo dati Filctem-CGIL nel distretto dal 2010 a giugno 2013 si è passati da 3.424 occupati a 2.729, sono stati licenziati o pensionati 814 lavoratori e sono stati dichiarati 153 esuberi; 314 lavoratori sono sottoposti a cassa integrazione guadagni ordinaria, 933 a cassa integrazione guadagni straordinaria, 164 a cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga, 152 a mobilità in deroga, 93 a contratto di solidarietà;
   solo nelle ultime settimane, la Ceramica Flaminia e Catalano srl, due tra le più grandi aziende del distretto di Civita Castellana, hanno comunicato ai sindacati l'intenzione di avviare le procedure di mobilità per una parte dei propri dipendenti;
   si tratta di 119 posti di lavoro: Ceramica Flaminia ha dichiarato 39 eccedenze (24 per cento), compresi gli impiegati, su 162 dipendenti; Catalano srl ne ha annunciate 80 (34 per cento) su 237 lavoratori;
   numerose altre aziende sono destinate a conoscere la medesima sorte che contempla, purtroppo, solo due alternative: la chiusura o il licenziamento di gran parte dell'organico, dovute al permanere di una tendenza negativa che non accenna a fermarsi;
   è necessario attivare un monitoraggio sistematico per individuare i principali fattori di criticità, elaborare strategie unitarie per l'intero polo e centralizzare i troppo dispersivi canali di vendita;
   occorre intervenire mettendo in atto provvedimenti volti a promuovere e a tutelare l'industria della ceramica italiana, di cui Civita Castellana rappresenta il polo manifatturiero d'eccellenza;
   è necessario rilanciare la competitività, con la creazione di una task-force che agisca da catalizzatore del sistema locale, promuovendo progetti in comune, avviando la costruzione di nuove reti di relazione tra le istituzioni locali e le imprese, procedendo all'individuazione, ove inevitabile, di possibili strategie di riconversione produttiva, anche puntando ad alleanze con altre imprese del settore –:
   quali misure intenda mettere in campo per invertire la tendenza negativa del comparto nazionale della ceramica e se ritenga opportuno convocare con urgenza un tavolo del settore, con le parti sociali e gli enti locali, al fine di decidere e formalizzare l'attivazione degli interventi più urgenti per favorire la ripresa produttiva, l'accesso a finanziamenti agevolati per le imprese e il prepensionamento dei ceramisti più anziani. (4-03005)

  Risposta. — Il distretto industriale di Civita Castellana costituisce un polo produttivo importante, non solo perché centrale nell'economia locale, ma anche per aver contribuito all'affermazione nel mondo del prodotto made in Italy.
  Nell'ultimo decennio il polo ceramico viterbese è stato interessato da una forte crisi strutturale, che ha messo in seria difficoltà la competitività dell'intero sistema produttivo locale, sempre più incapace di essere protagonista anche nel solo mercato nazionale.
  Il «sistema ceramico» di Civita Castellana ha pesantemente subito l'ingresso nei mercati occidentali di prodotti provenienti dal Far east e imposti a prezzi talvolta molto inferiori ai costi di produzione delle nostre imprese. Ma soprattutto, non ha saputo offrire alternative di alta qualità caratterizzate da design e tecnologie innovative sia per i materiali utilizzati, sia per i processi produttivi adottati. Il distretto viterbese, nel quale le piccole imprese (assai numerose) non hanno saputo creare in modo stabile le necessarie sinergie produttive, commerciali e di ricerca, ha quindi vissuto un costante degrado che la crisi economica generale (in particolare si ricorda la caduta degli investimenti in nuove abitazioni oltre che nelle ristrutturazioni del parco esistente) ha reso ancora più grave.
  Su questo stato delle cose, il Ministero dello sviluppo economico, in stretto raccordo con la regione Lazio, ha più volte manifestato la disponibilità a costruire strumenti di intervento e di supporto a progetti di riorganizzazione e sviluppo della struttura produttiva della ceramica viterbese. Anche in questa occasione, pur conoscendo i limiti finanziari che un intervento in quella area incontra, si rinnova quella disponibilità, auspicando che insieme alla regione Lazio ed alle amministrazioni locali interessate sia possibile addivenire rapidamente ad un quadro concreto di riferimento.
  Per quanto concerne gli interventi richiesti dagli interroganti quali l'accesso a finanziamenti agevolati per l'impresa ed il prepensionamento dei ceramisti più anziani, di prevalente competenza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, si ricorda che non sono possibili interventi a favore del costo del lavoro che siano limitati a settori specifici od a singoli territori. La legislazione, peraltro, di recente ampiamente innovata, non prevede il ricorso al cosiddetto prepensionamento ritenuto eccessivamente costoso per la finanza pubblica. La normativa, tuttavia, ha introdotto alcune disposizioni legislative finalizzate a facilitare, con oneri finanziari posti a carico del datore di lavoro, l'uscita anticipata di lavoratori vicini al raggiungimento dei requisiti per il pensionamento.
  In particolare, proprio nei casi di eccedenza di personale, l'articolo 4 della legge n. 92 del 2012 recante «Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita» ha previsto, previo accordi tra datori di lavoro che impieghino più di 15 dipendenti e organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, la corresponsione al lavoratore, da parte del datore di lavoro, di una prestazione di importo pari al trattamento di pensione che spetterebbe in base alle regole vigenti, nonché il pagamento all'INPS, sempre da parte del datore di lavoro, della contribuzione fino al raggiungimento dei requisiti minimi per il pensionamento. A tal proposito si sottolinea che il requisito per i lavoratori per accedere al sopra citato trattamento di pensione è il raggiungimento dei requisiti minimi per il pensionamento di vecchiaia, anticipato nei quattro anni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro.
  Per quanto concerne più specificatamente le società Ceramica Flaminia srl e Castellano srl espressamente richiamate dall'interrogante, il medesimo Ministero ha comunicato che con proprio decreto del 13 febbraio 2013 è stato approvato un programma di crisi aziendale per il periodo decorrente dal 5 novembre 2012 al 4 novembre 2013 che coinvolgeva i lavoratori degli stabilimenti siti in Civita Castellana (Viterbo) ed in Fabbrica di Roma (Viterbo). A seguito della sopradetta approvazione è stata autorizzata la concessione del trattamento di integrazione salariale in favore di n. 126 lavoratori dipendenti del sito di Civita Castellana (Viterbo) e n. 7 lavoratori del sito di Fabbrica di Roma (Viterbo), per il medesimo periodo sopra indicato.
  Allo stato attuale è presente un ulteriore istanza presentata dalla suddetta società, tuttora in fase istruttoria, per l'accesso al trattamento di integrazione salariale a seguito della stipula di un contratto di solidarietà che coinvolge i lavoratori dei due stabilimenti sopra indicati per il periodo decorrente dal 18 novembre 2013 al 17 novembre 2014.
  Il Ministero dello sviluppo economico consapevole dell'importanza del settore ceramico, inteso nella sua complessità e dimensione nazionale ove la crisi sta colpendo anche importanti gruppi multinazionali come Ideal Standard, assicura il proprio impegno a continuare nella individuazione di obiettivi e risorse che concorrano ad attenuare e indirizzare su binari positivi la pesante situazione in cui versano le imprese del settore. A tal riguardo si ricordano gli incentivi alla ristrutturazione delle abitazioni che, come dimostrano i recenti dati statistici, hanno indubbiamente apportato benefici anche al settore della ceramica sanitaria oltre che delle piastrelle in ceramica. Su questa strada continuerà l'impegno.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   L'INPDAP, dal 27 ottobre 1995, ha avviato a Pescara l'attività della casa albergo «La Pineta»; questa apertura avviene a fronte dell'esperienza acquisita con la casa albergo di Monteporzio Catone (Roma) in attività dal 1961;
   la casa albergo di Pescara è in grado di ospitare 119 persone. Una struttura moderna costruita per i pensionati autosufficienti (accertati da una commissione di valutazione geriatrica) iscritti al fondo di previdenza e credito per dipendenti civili e militari dello Stato;
   questa prestazione, così come tutte le altre prestazioni di welfare (creditizie e sociali), sono finanziate in via esclusiva dalla gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali (il cosiddetto «Fondo credito»), alimentato dal prelievo obbligatorio – sulle retribuzioni dei dipendenti pubblici in servizio – dello 0,35 per cento per quanto riguarda la gestione dipendenti pubblici (ex Inpdap); dello 0,80 per cento per quanto riguarda la gestione assistenza magistrale (ex Enam) e dello 0,40 per cento per quanto riguarda la gestione (ex Ipost); nonché dalla trattenuta dello 0,15 per cento per quanto riguarda i pensionati pubblici;
   la struttura offre integrazione sociale e sicurezza personale. La vita nella comunità è cadenzata da numerosi momenti durante i quali si svolgono attività ricreative, culturali e sportive al fine di favorire integrazione e socialità fra gli ospiti. Particolare attenzione è rivolta all'attività fisica, seguita da personale specializzato. Accanto a ginnastica, cinema, teatro, conferenze e giochi di società anche assistenza medica e infermieristica. La casa garantisce vitto, alloggio, servizi comuni, assistenza sociale, medica, dietetica e infermieristica;
   per effetto del decreto-legge n. 201 del 6 dicembre 2011 «decreto salva Italia»), poi convertito con modificazioni dalla legge n. 214 del 27 dicembre 2011, dal 1° gennaio 2012 l'Inpdap è confluito in INPS e di conseguenza tutto il patrimonio di immobili e di servizi che venivano erogati;
   il 30 marzo 2012 il CIV riunito in seduta congiunta delibera (Del. n. 351) nel suo rapporto di fine mandato, le linee guida 2011-2013 indicando tra le priorità strategiche l'ampliamento dell'offerta nei confronti di anziani e giovani; riguardo alle case albergo sottolinea in un passaggio: «Il servizio rappresenta un esempio di eccellenza che non dovrebbe restare appannaggio di pochi utenti. Nell'ambito del più ampio progetto di valorizzazione del patrimonio immobiliare ad uso sociale, che ha subito un arresto a seguito della soppressione dell'INPDAP, una delle proposte è quella di utilizzare strutture di proprietà dell'ente che risultino a tutt'oggi inutilizzate o sottosviluppate. Viene sollecitata quindi la presentazione di un piano di razionalizzazione e valorizzazione delle strutture al fine di evitare il depauperamento del patrimonio stesso»;
   a fronte del quadro illustrato si evidenziano alcune preoccupanti criticità:
    1) dal luglio 2011 l'amministrazione cambia le spese a carico degli ospiti: non più con una quota fissa e uniforme per tutti ma con una quota mensile legata all'indicatore ISEE così da determinare maggiore equità contributiva e nel contempo una più adeguata correlazione tra costi e contribuzioni per gli utenti. (Determina n. 299 del 09 marzo 1999 del Presidente sull'adeguamento delle rette). Tuttavia il suddetto adeguamento e la differenziazione per fasce ISEE, ha generato negli ospiti un forte malcontento tanto da aprire un contenzioso ancora in corso che ha prodotto un abbandono di numerosi ospiti della struttura, al punto tale che lo stesso presidente del CIV ha dichiarato: «L'adeguamento delle rette è intervenuto con un approccio e metodo sbagliato dell'istituto in quanto avvenuto senza consultazione preventiva (verbale della seduta congiunta del CIV del 21 febbraio 2012);
    2) a fronte dell'aumento numerosi servizi (fisioterapia, ginnastica, animazione, elioterapia eccetera) dall'anno 2012 vengono sospesi e poi, solo alcuni, nuovamente erogati dopo lunghissime pause (anche sei mesi di attesa);
    3) il bando di accesso per la graduatoria 2013 non ancora viene pubblicato lasciando numerosi posti letto inutilizzati e danneggiando così numerosi anziani e le loro famiglie che potrebbero usufruirne;
   questi disagi destano preoccupazioni sia per i numerosi ospiti della struttura che per i lavoratori rispetto al futuro della struttura –:
   quali iniziative intenda mettere in campo per valorizzare e promuovere le case-albergo di Pescara e Monteporzio Catone (Roma) e se intenda aumentare l'offerta complessiva ad uso sociale come auspicato dal CIV recuperando e valorizzando il patrimonio immobiliare acquisito negli anni con i soldi dei contribuenti. (4-01491)

  Risposta. — Attualmente sono presenti presso la casa di soggiorno di Pescara «La Pineta» 104 ospiti, che costituiscono la quasi totalità dei soggiornanti che la struttura può ospitare.
  Per quanto riguarda gli aspetti relativi all'aumento della quota mensile di contributo alle spese, addebitato agli ospiti della casa albergo di Pescara, il cui costo è legato all'ISEE (indicatore della situazione economica equivalente), si ritiene che il riferimento a tale indicatore rappresenta la modalità più oggettiva per correlare i costi alla contribuzione degli utenti. L'ISEE infatti è il valore assoluto dato dalla somma dei redditi e dal 20 per cento dei patrimoni mobiliari e immobiliari dei componenti il nucleo familiare. Esso consente ai cittadini di accedere, a condizioni agevolate, alle prestazioni sociali o ai servizi di pubblica utilità.
  Tenendo quindi in considerazione tale parametro, le linee di indirizzo del Consiglio di indirizzo e vigilanza per gli anni 2011-2013 hanno previsto esplicitamente l'adeguamento delle rette, differenziate per fasce di reddito, a carico dei pensionati ospiti delle case albergo. Ciò anche alla luce delle osservazioni che già dall'anno 1998, la ragioneria generale dello Stato aveva sollevato con riguardo all'inadeguatezza delle rette rispetto al servizio offerto.
  In effetti la determinazione presidenziale INPDAP n. 299 del 1999 faceva presente che, a titolo di quota di partecipazione alle spese, ogni ospite corrispondeva, in precedenza, rapportati ad euro 537,11 mensili in camera singola e euro 914,12 per i coniugi in camera matrimoniale, a fronte di un costo pro capite pari a 18.000 euro annui, al netto degli oneri per il personale interno e per i costi di manutenzione ordinaria e straordinaria dell'immobile.
  Ai fini di una corretta e adeguata pianificazione delle nuove tariffe, l'Amministrazione ha preliminarmente provveduto a richiedere alle case albergo i dati relativi alle attestazioni ISEE degli ospiti presenti al momento della variazione, al fine di verificarne il livello e la distribuzione.
  Quanto ai servizi integrativi della prestazione, erogati agli ospiti, quali quelli fisioterapici, di ginnastica o animazione, essi sono previsti dai contratti con la società vincitrice della gara di appalto per la gestione della casa albergo. Eventuali ritardi sono da attribuire ai tempi legati all'attivazione delle rinnovate gare di appalto e, al mese di ottobre 2013, essi risultano superati.
  In ordine al bando di accesso per la graduatoria 2013, si evidenzia che il bando per l'ammissione alla casa albergo è un bando di tipo “aperto”, annuale, senza vincoli temporali per la presentazione della domanda di accesso da parte dei pensionati. In tal modo si offre una maggiore possibilità riguardo al numero di accoglimento delle richieste, e si garantisce, con l'applicazione dell'ISEE, maggiore equità.
  Da ultimo si rappresenta che, nelle more della ridefinizione della nuova architettura dell'Inps conseguente all'assorbimento dell'Inpdap e dell'Enpals, sono allo studio interventi complessivi di valorizzazione di tutte le strutture sociali complessivamente confluite nell'istituto, in modo da metterle a disposizione degli iscritti, con particolare attenzione per coloro che versano in condizioni di disagio.
Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.


   MOGHERINI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Turchia è interessata da diverse settimane da un ampio movimento di protesta nei confronti del Governo del Primo Ministro Erdogan, contestazione nata da una specifica mobilitazione sul futuro di Gezi Park ad Istanbul e sulla contrarietà a progetti di speculazione edilizia che avrebbero dovuto coinvolgere quell'area, e ben presto sviluppatasi in un moto ben più generalizzato per rivendicare il rispetto da parte delle autorità nazionali dei principi di libertà, di laicità e di partecipazione democratica nella vita dello Stato turco;
   i movimenti di protesta hanno registrato una larga adesione popolare, in particolare nelle grandi città come Istanbul e Ankara, e una grande attenzione dei media internazionali, circostanze che tuttavia non hanno impedito il verificarsi di numerosi e gravi episodi di scontri e di violenze tra manifestanti e forze dell'ordine;
   nel prossimo anno accademico 2013/2014, secondo dati forniti dalla Commissione europea, circa 4.000 studenti provenienti da tutta Europa si recheranno in Turchia per svolgere il programma LLP ERASMUS (Lifelong Learning Programme – Erasmus), tra cui anche un centinaio di studenti italiani;
   in questi giorni, a seguito degli avvenimenti citati che stanno interessando la Turchia, molte università italiane si trovano in una condizione di incertezza in merito alla decisione di rilasciare o meno ai propri studenti i contratti finanziari e le relative cartelle Erasmus necessarie per l'effettivo svolgimento del periodo di studio nello Stato turco;
   le stesse università italiane, secondo quanto riferito da diversi rappresentanti degli studenti, rivolgerebbero informalmente a coloro che saranno coinvolti nella partecipazione al programma Erasmus l'invito ad attivarsi autonomamente per verificare le reali condizioni di praticabilità per la loro partenza e di sicurezza per il periodo di loro permanenza in Turchia –:
   quali siano le valutazioni del Ministero degli affari esteri e dell'Agenzia nazionale Lifelong Learning Programme Italia – ufficio Erasmus sulle reali condizioni di sicurezza, di ordine pubblico, di incolumità e di piena libertà di movimento da assicurare agli studenti italiani che abbiano in programma di svolgere nei prossimi mesi un periodo di permanenza presso un ateneo turco nell'ambito del programma europeo Erasmus, se effettivamente sussistano o meno tali condizioni e se intendano dare specifiche indicazioni alle università italiane per il rilascio o il diniego di tutte le autorizzazioni necessarie a riguardo. (4-02374)

  Risposta. — La situazione in Turchia è complessivamente sicura. Dalla fine del 2002 non vi sono state zone dichiarate soggette a stato di emergenza. Allo stato attuale vanno considerate ancora zone di cautela quelle situate ad est della linea che unisce le città di Sivas, Malatya e Mardin, ovvero le zone di confine con l'Iraq e la Siria. Con riferimento alle specifiche situazioni di sicurezza relative agli studenti italiani che effettueranno un periodo di studio in Turchia, e con riferimento alle manifestazioni che la scorsa estate hanno coinvolto, tra gli altri, il movimento studentesco locale, non si registrano ripercussioni sulla libertà di movimento e sulla sicurezza degli studenti italiani e stranieri.
  Resta vivamente raccomandabile, tuttavia, evitare assembramenti e manifestazioni, e controllare costantemente le informazioni che vengono rese note dall'unità di crisi sulla situazione sicurezza (http://www.viaggiaresicuri.it/), valide anche per i lavoratori italiani in Turchia e per tutti coloro che vi si recano, anche per motivi turistici.
  L'Agenzia nazionale LLP (Lifelong Learning Program) Italia ha preso di recente contatti con l'Agenzia nazionale turca, che ha rassicurato sulla situazione nel loro Paese. La stessa Commissione europea non si è espressa su una eventuale sospensione della mobilità verso la Turchia. L'indicazione data dell'agenzia nazionale LLP Italia alle università è stata quella di valutare caso per caso, rispetto al luogo di destinazione e di consultare sempre il succitato sito del Ministero degli affari esteri per informazioni sulla sicurezza dei Paesi esteri. Ad oggi solamente l'università degli studi di Teramo con delibera del senato accademico dell'11 giugno 2013 ha deciso di sospendere per l'anno accademico 2013-2014 la mobilità studentesca verso le università turche.
  Si rammenta e si consiglia agli studenti la possibilità di inserire i dati relativi al proprio soggiorno all'estero, a partire da 30 giorni prima del viaggio, nel sito www.dovesiamonelmondo.it. Si tratta di un servizio del Ministero degli affari esteri che consente agli italiani che si recano temporaneamente all'estero di segnalare – su base volontaria – i dati personali, al fine di permettere all'unità di crisi, nell'eventualità che si verifichino situazioni di emergenza, di pianificare con maggiore rapidità e precisione interventi di soccorso.
  Questo Ministero degli affari esteri non ravvisa elementi ostativi al normale svolgimento dei programmi ERASMUS in Turchia, previsti per l'anno accademico 2013-2014, con l'accorgimento di adottare le misure sopra richiamate di prudenza e di vigilanza durante la permanenza nel Paese.
Il Viceministro degli affari esteriMarta Dassù.


   MONGIELLO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il territorio settentrionale della Puglia è storicamente noto anche con la designazione di «Daunia», una vasta area geografica che nel primo Millennio a.c. si estendeva dal fiume Tiferno (l'odierno Biferno) all'Ofanto;
   secondo la mitologia, infatti, le popolazioni indigene di questa area geografica discenderebbero dal dio Dauno, figlio di Licaone, re dell'Arcadia;
   attualmente l'area geografica in questione, appartenente alla provincia di Foggia, ospita numerosi siti archeologici, tra cui quello di Arpi, un esteso insediamento dauno risalente al III-II Millennio a.c. All'interno del sito di Arpi è presente l'Ipogeo della Medusa ed in esso è ospitata l'omonima tomba della Medusa;
   si tratta di un'opera funeraria a camera di tipo ipogeico, ricca di valore storico e simbolo della immensa ricchezza archeologica della città di Arpi. Essa è interrata a più di 5 metri ed era abbellita da decorazioni pittoriche di straordinaria bellezza;
   la tomba della Medusa nel corso degli anni è stata oggetto di gravi atti vandalici e di furti. Fin dal 1980, quando fu individuata dai «tombaroli», venne completamente saccheggiata dei suoi reperti e del suo corredo e successivamente, nel 1984, sempre i predetti tombaroli la deturparono con un escavatore meccanico, distruggendone la copertura del vestibolo e trafugandone il frontone che raffigurava la Medusa. Di tutto il materiale fino ad allora trafugato, solo i capitelli figurati e lo stesso frontone furono ritrovati e riportati nel sito;
   nel 1998 la regione Puglia, nell'ambito dei programmi operativi europei «pop 94/99», ha assegnato specifici fondi (3 miliardi di lire) al comune di Foggia (anche quest'ultimo ha contribuito al finanziamento con 555 milioni di lire), per la realizzazione del parco archeologico della Medusa. L'ipotesi progettuale prevedeva, tra l'altro, la realizzazione di un percorso museale lungo la rete autostradale della A14;
   nel corso dei successivi tre anni, a causa di complicazioni amministrative e di contenziosi nella gestione degli appalti relativi alla realizzazione del sito museale, i lavori di recupero e di restauro della Tomba hanno subito gravi rallentamenti e numerose sospensioni, per poi riprendere nuovamente nell'aprile del 2001, a seguito di una perizia tecnica suppletiva chiesta dalla competente Soprintendenza per i beni archeologici della Puglia. Tuttavia, nel luglio del 2002 i lavori furono nuovamente interrotti in ragione di problematiche connesse alla revisione dei prezzi di appalto;
   da ultimo, per consentire la prosecuzione dei predetti lavori, sono stati assegnati al parco archeologico della Medusa oltre un milione e mezzo di euro nell'ambito dell'accordo di programma tra regione Puglia e Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   a seguito dei lavori di restauro, la tomba della Medusa è stata quindi racchiusa in una infrastruttura di cemento armato, dotata di cupole in vetro, di zone di accesso, di ampie aree per accogliere il pubblico e per erogare servizi di informazione e approfondimento culturale, con all'esterno un'area a verde e locali per gli addetti alla sorveglianza;
   purtroppo, allo stato attuale, la tomba della Medusa versa nel più totale stato di incuria, con le strutture di protezione e di arredo rimosse, i servizi e gli impianti elettrici danneggiati e le vetrature distrutte. Inoltre, a causa del deterioramento delle strutture, essa è soggetta a infiltrazioni di acqua che ne mettono a rischio il prezioso patrimonio archeologico e artistico, già seriamente compromesso a causa dei continui atti vandalici;
   in tale contesto di abbandono sono anche riprese le azioni di furto e di saccheggio dei reperti archeologici da mite dei «tombaroli». Si è calcolato che il numero dei reperti trafugati dagli anni ’80 a oggi nella tomba della Medusa, ammonti a oltre 200.000;
   va infine fatto presente che questo sito, ove fosse gestito e valorizzato in maniera adeguata, potrebbe rappresentare uno tra i più importanti beni archeologici del nostro Paese, capace di richiamare milioni di appassionati e di studiosi da tutto il mondo, trasformandosi in prezioso volano economico e di occupazione per un territorio del Sud che ancora oggi è considerato nell'ambito «obiettivo convergenza» dell'Unione europea –:
   se sia a conoscenza dello stato di degrado e di abbandono in cui versa la tomba della Medusa, come meglio descritto in premessa;
   se non intenda intraprendere iniziative urgenti volte al recupero, alla protezione e alla valorizzazione del parco archeologico della Medusa e della tomba della Medusa;
   quali ulteriori provvedimenti e iniziative di competenza intenda adottare per salvaguardare il valore del sito in questione, nonché per promuoverlo e renderlo ancora più noto a livello nazionale e internazionale. (4-01998)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, con il quale l'interrogante chiede quali iniziative questa Amministrazione intenda assumere al fine di recuperare e valorizzare il parco archeologico della Medusa e della tomba della Medusa del sito di Arpi si comunica quanto segue.
  La tomba della Medusa, che insiste nella vasta area della metropoli daunia di Arpi, purtroppo nota per la sistematicità degli scavi clandestini e l'impatto catastrofico di tali attività illegali sul patrimonio archeologico, costituisce una delle principali testimonianze dell'edilizia funeraria delle aristocrazie daune, caratterizzata dalla ricchezza degli apparati architettonici e decorativi.
  Il monumento, noto in seguito al saccheggio da parte di scavatori clandestini alla metà degli anni ottanta, fu recuperato e restaurato dalla soprintendenza per i beni archeologici, in collaborazione con l'istituto superiore per la conservazione e il restauro, con fondi ordinari del ministero, tra il 1989 e il 1990. Parti delle membrature architettoniche furono rimosse e esposte presso il museo civico di Foggia.
  La strategia di intervento per la copertura e la musealizzazione del sito archeologico ha, di fatto, creato un «recinto archeologico» con un breve percorso che immette nell'area coperta, in cui insistono le strutture ipogee. Il sistema di protezione, la cui realizzazione si è conclusa nel 2007, ha di fatto isolato il monumento dall'ambiente circostante, con soluzioni costruttive che, per dimensioni e invasività degli elementi portanti e delle copertura in cemento, nonché le eccessive dimensioni dell'area coperta, riflettono una metodologia progettuale risultata, fin da subito, problematica per il completamento delle opere e la fruibilità del sito archeologico.
  Va anche ricordato che per il completamento dei lavori, rimasti incompiuti, nell'ambito dell'Accordo di programma quadro, sottoscritto tra la regione Puglia e la direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici pugliese, furono stanziati ulteriori euro 1.500.000,00. Il comune di Foggia, individuato quale soggetto attuatore, non ha mai trasmesso il progetto alle competenti Soprintendenze e i lavori non sono mai stati avviati.
  Allo stato attuale, il progetto denuncia la scarsa validità del modello adottato, privo di connessione visiva con le memorie della città antica e con scelte non calibrate nell'ideazione degli spazi fruibili. Si tratta di un'opera non finita per il protrarsi delle fasi attuative di intervento e il venir meno delle risorse finanziarie, oltre che per contenziosi amministrativi che vanno riferiti alla stazione appaltante rappresentata dal comune di Foggia.
  Ciò ha avuto gravi ripercussioni sul sito archeologico per il convergere di attività sistematiche di saccheggio e manomissione delle strutture già realizzate.
  Occorre evidenziare come abbia influito negativamente, nel tempo, l'assenza di un piano condiviso che individuasse, con il concorso di tutti gli Enti competenti, un modello di gestione dell'area posta in un territorio rurale caratterizzato da orticoltura e da produzioni agro-alimentari, privo di reti infrastrutturali che possano definire percorsi razionali di accesso e visita a un sito archeologico.
  Da quanto detto sopra, emerge chiaramente come le problematiche relative alla tromba della Medusa siano ben chiare all'amministrazioni dei beni culturali. Nel 2012, su sollecitazione della Soprintendenza competente, la direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Puglia, al fine di risolvere le problematiche di natura tecnica e amministrativa e attuare un progetto di bonifica e recupero (anche di natura architettonica e ambientale) riferito alla struttura di moderna realizzazione, profondamente degradata, e, soprattutto, di affrontare le prospettive di gestione dell'area, ha istituito un tavolo tecnico di cui fanno parte anche la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici delle province di Bari, Foggia, Barletta, Andria e Trani, la regione Puglia e il comune di Foggia.
  Il predetto tavolo tecnico ha svolto già alcune riunioni (l'ultima risale al 25 ottobre 2013) ed in esse sono state avanzate ipotesi progettuali a cui la regione Puglia ha garantito sostegno finanziario.
  È opinione condivisa del tavolo tecnico, tuttavia, riesaminati gli elementi di criticità già a suo tempo riscontrati in ordine al problematico rapporto relazionale tra la forma architettonica ed il contesto paesaggistico-ambientale ed alle condizioni di precaria accessibilità ad un'area destinata alla musealizzazione ma decentrata rispetto alla rete della viabilità principale, che la formulazione di proposte progettuali migliorative non possa prescindere dalla preliminare definizione di un piano di gestione che, accanto alle forme della cooperazione tra i soggetti a vario titolo coinvolti nei processi di ricerca, fruizione e valorizzazione culturale del sito, individui una priorità d'interventi sostenibili sotto il profilo economico-finanziario, seguendo un percorso metodologico ispirato dalle linee guida in materia di costituzione dei parchi archeologici, di cui al decreto del Ministro per i beni e le attività culturali 18 aprile 2012, e dalla normativa regionale di riferimento.
  Risulta, inoltre, necessario, sempre secondo il predetto tavolo tecnico, porre in condizioni di sicurezza la principale emergenza archeologica, l'ipogeo della Medusa, il cui stato di conservazione risulta progressivamente compromesso dalle cospicue infiltrazioni di acqua piovana provenienti dal manufatto di copertura in cemento armato, in condizioni di grave degrado a causa della mancata esecuzione di opere di completamento e dei continui atti vandalici perpetrati in assenza di qualsiasi forma di sorveglianza attiva e/o passiva dei luoghi; pertanto, si devono attuare, in tempi brevi, inderogabili interventi che assicurino nell'immediato la conservazione di una delle più significative testimonianze dell'architettura funeraria daunia, in attesa della messa a punto di un piano coordinato di azioni volti alla tutela ed alla valorizzazione integrata del sito.
  A tal proposito, si deve ricordare che, con nota prot. 40402 del 7 novembre 2013 della direzione generale per l'organizzazione, gli affari generali, l'innovazione, il bilancio ed il personale dello scrivente Ministero, è stato attribuito alla Soprintendenza per i beni archeologici della Puglia un finanziamento pari ad euro 150.000,00 per interventi di tutela e messa in sicurezza della tomba della Medusa e, a tal fine, la predetta Soprintendenza sta provvedendo all'elaborazione di un progetto che prevede interventi urgenti di restauro, consolidamento, rilievo anche tridimensionale ed elaborazione di un supporto multimediale, in collaborazione con l'università di Foggia, che sarà avviato all'inizio del 2014.
Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismoMassimo Bray.


   SCALFAROTTO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   gli organi di stampa hanno dato notizia che domenica 1° dicembre si è tenuto in Croazia un referendum sull'emendamento costituzionale che intende limitare l'istituto giuridico del matrimonio alle coppie eterosessuali;
   sempre da organi di stampa si apprende che alle urne si è recato solo il 37,86 per cento degli elettori. La maggioranza dei votanti, il 65,77 per cento si è espressa a favore del «sì» al quesito in cui si chiedeva: «Vuoi definire il matrimonio come l'unione tra un uomo e una donna ?». Contro questa modifica costituzionale si è schierato invece il 33,62 per cento dei votanti;
   il 24 giugno 2013 il Consiglio dell'Unione europea ha adottato il documento n. 11492/13 recante «Gli orientamenti per la promozione e la tutela dell'esercizio di tutti i diritti umani da parte di lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuali (LGBTI)»;
   sia l'Italia sia la Croazia sono membri del Consiglio d'Europa e sottoscrittori della Convenzione europea dei diritti umani. Da ultimo con la raccomandazione CM/Rec(2010)5 del Consiglio dei ministri agli Stati membri è stata avanzata la richiesta di adottare misure per combattere la discriminazione sulla base dell'orientamento sessuale e dell'identità di genere –:
   quali azioni intenda intraprendere per conto dell'Italia o di quali iniziative intenda farsi promotore presso altri Paesi al fine di verificare e garantire che i diritti umani in Croazia siano pienamente tutelati e che il referendum in questione, per quanto formalmente insindacabile da parte dell'Unione europea, non risulti essere un espediente che nella sostanza mira ad aggirare gli standard democratici, di rispetto e di inclusione di tutti i cittadini – indipendentemente dal loro orientamento sessuale – che devono inderogabilmente caratterizzare tutti gli Stati membri. (4-02859)

  Risposta. — In riscontro all'interrogazione in esame, il nostro Paese mantiene una posizione di sostegno nei confronti di tutte le iniziative multilaterali volte a prevenire o a contrastare ogni forma di discriminazione basata sull'identità di genere e l'orientamento sessuale.
  In ambito europeo abbiamo contribuito alla stesura delle linee guida operative europee per la tutela dei diritti delle persone LGBTI (lesbian, gay, bisexual, transgender, intersexual). Le linee guida sono destinate a fornire indicazioni sulla tutela della categoria LGBTI alle delegazioni dell'Unione e alle missioni diplomatiche dei Paesi membri e sono state approvate dal Consiglio affari esteri del 24 giugno 2013.
  L'Unione europea ha inoltre incluso i diritti LGBTI tra le proprie priorità, assieme all'abolizione della pena di morte, alla promozione della libertà di religione, all'abbandono della pratica delle mutilazioni genitali femminili, della tortura, del razzismo e la protezione dei diritti delle popolazioni indigene e dei disabili.
  Non vanno, tuttavia, taciute anche alcune ritrosie sull'argomento, manifestate da alcuni partners dell'Unione in sede di negoziato sulle menzionate linee guida europee. Si tratta segnatamente di Bulgaria, Lituania, Polonia e Slovacchia, che non sembrano avere il sostegno dell'opinione pubblica nazionale, attestata su una linea più conservatrice.
  L'Italia partecipa al gruppo di Paesi più impegnati sull'argomento. Abbiamo cofirmato, il 17 maggio 2013, un appello contro la discriminazione in occasione della giornata mondiale contro l'omofobia e la transfobia. L'appello chiede fra l'altro un'azione più incisiva e coerente dell'Unione europea.
  Siamo anche attivamente impegnati sul versante della discriminazione contro la categoria LGBTI, in connessione con la tutela della libertà di espressione anche in forma collettiva, con azioni di tipo bilaterale, nonché sostenendo le principali iniziative multilaterali, sia in ambito Nazioni unite che Consiglio d'Europa.
  In merito all'estensione dell'istituto matrimoniale alle coppie formate da persone dello stesso sesso oggetto dell'interrogazione in esame, si fa presente che il dibattito ed i negoziati multilaterali attualmente in corso in ambito Nazioni unite, Unione europea e Consiglio d'Europa non riguardano almeno per ora tale problematica.
Il Viceministro degli affari esteriMarta Dassù.


   VARGIU. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 2, comma 3, della legge 1o febbraio 2006, n. 43, disposizioni in materia di professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione e delega al Governo per l'istituzione dei relativi ordini professionali, stabilisce l'obbligatorietà dell'iscrizione all'albo professionale anche per i pubblici dipendenti, subordinandola al conseguimento del titolo universitario abilitante e salvaguardando comunque il valore abilitante dei titoli già riconosciuti come tali alla data di entrata in vigore della stessa legge;
   in apparente contraddizione con tale principio generale si è espressa la Cassazione penale che con sentenza n. 6491 del 13 febbraio 2009 stabilisce: «(...) L'obbligo d'iscrizione non sussiste per gli infermieri professionali che non svolgono attività autonoma e libera, ma sono legati da un rapporto di lavoro dipendente anche con una struttura privata, direttamente o indirettamente accreditata presso la Pubblica Amministrazione, considerato che in tale caso non esplicano “attività professionale mediante contratti d'opera direttamente con il pubblico dei clienti”, non necessitano di una sorveglianza sulle tariffe applicate, in quanto percepiscono uno stipendio fisso, rispondono disciplinarmente al loro datore di lavoro al quale sono legati da rapporto gerarchico, devono incontrare — nello svolgimento delle loro funzioni — il gradimento e la piena soddisfazione della struttura sanitaria presso lo quale lavorano, anche se quest'ultima non è pubblica ma è comunque accreditato e convenzionata con il Servizio Sanitario Nazionale»;
   sostanzialmente, con la sua sentenza, la Corte di Cassazione ha ritenuto di sottolineare come l'iscrizione all'albo professionale configuri un atto di accertamento costitutivo, operante erga omnes, dello status di professionista ed è pertanto imposta soltanto a coloro che esercitano la «libera professione» mediante contratti d'opera direttamente con il pubblico dei clienti. L'obbligo d'iscrizione nell'apposito albo degli esercenti la libera professione di infermiere (decreto legislativo C.P.S. n. 233 del 1946, articolo 8) sarebbe, in definitiva, strettamente connesso alla necessità di portare a conoscenza del pubblico quali siano le persone autorizzate ad esercitare tale professione e di garantire che le stesse siano sottoposte alla vigilanza dei competenti collegi per eventuali aspetti disciplinari e per l'osservanza delle tariffe predisposte;
   esercitare liberamente una professione significa compiere atti caratteristici della stessa, ovvero che una persona, dotata di un corredo particolare di cognizioni tecnico-scientifiche, pone tale suo bagaglio culturale, in piena autonomia e a fine lucrativo, a disposizione della potenziale utenza con continuità e sistematicità. Ciò presuppone il notevole rilievo etico-sociale della professione medesima e la necessità che la stessa sia monitorata attraverso l'iscrizione dell'esercente nell'apposito albo previsto dalla legge;
   risulta all'interrogante che alcuni collegi provinciali IPASVI, misconoscendo la richiamata sentenza della Corte di Cassazione, stiano attualmente inviando delle diffide di pagamento agli infermieri che si trovano nelle condizioni giuridiche di cui alla predetta sentenza della Corte di Cassazione n. 6491 e si sono cancellati dagli albi provinciali di residenza ovvero che non hanno versato le quote annuali, paventando, in difetto, di rivolgersi direttamente alle strutture pubbliche di cui sono dipendenti al fine di verificarne la posizione relativamente all'iscrizione all'albo;
   la creazione e la regolamentazione degli albi è competenza esclusiva del Governo centrale, anche nelle materie di competenza concorrente di Stato e regioni, restando invece nella competenza delle regioni la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale;
   nello specifico, non risulta essere mai avvenuta la trasformazione dei collegi in ordini e albi professionali, pure prevista dall'articolo 3 della legge 1o febbraio 2006, n. 43;
   la normativa e la giurisprudenza stanno attualmente creando conflitti interpretativi nella prassi applicativa delle disposizioni in materia di iscrizione agli albi professionali –:
   se non ritenga opportuno assumere con tempestività iniziative normative per chiarire la questione della non obbligatorietà d'iscrizione agli albi professionali degli infermieri dipendenti di strutture pubbliche, tenendo conto del pronunciamento della Corte di Cassazione richiamato in premessa. (4-01048)

  Risposta. — Per quanto riguarda l'interrogazione in esame, a cui si risponde a seguito di delega della Presidenza del Consiglio dei ministri, è opportuno osservare che il caso esaminato dalla Suprema Corte (sentenza n. 6491 del 13 febbraio 2009 della sezione VI della Corte di cassazione penale, concernente l'annullamento di una sentenza della Corte d'appello di Torino, circa l'obbligatorietà dell'iscrizione all'albo professionale degli infermieri dipendenti dalle pubbliche amministrazioni), si riferisce ad un episodio isolato precedente alla emanazione della legge n. 43 del 2006, che fa stato solo tra le parti.
  Infatti, la sentenza della Corte di Cassazione prende in considerazione solo il decreto legislativo del capo provvisorio dello Stato n. 233 del 1946 e non la più recente legge n. 43 del 2006, che, al comma 3 dell'articolo 2, prevede l'obbligatorietà dell'iscrizione all'albo professionale per gli esercenti le professioni sanitarie, estesa anche ai pubblici dipendenti, quale requisito essenziale ed indispensabile per poter svolgere senza condizioni l'attività sanitaria sia come libero professionista sia nell'ambito del rapporto di servizio in regime di lavoratore dipendente.
  Pertanto permane valido, allo stato attuale, quanto previsto dalla citata legge n. 43 del 2006.
  Per quanto attiene alla operatività della stessa legge n. 43 del 2006 e, di conseguenza, alla possibilità di attuazione dei principi ivi contenuti, si osserva che soltanto l'articolo 4, concernente la concessione della delega al Governo per l'istituzione degli ordini e degli albi professionali, risulta essere inapplicabile, in quanto il termine temporale per la presentazione del relativo decreto legislativo è scaduto.
  I restanti articoli della legge n. 43 del 2006, e quindi anche l'articolo 1, sono vigenti.
Il Sottosegretario di Stato per la salute: Paolo Fadda