Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 5 febbraio 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni VIII e X,
   premesso che:
    come si evince da un articolo pubblicato dal sito web www.ilfattoquotidiano.it in data 6 novembre 2013, e dalle altre maggiori testate online, l'amministratore delegato di ENI Spa Paolo Scaroni ha rilasciato ai microfoni di Radio 1 alcune preoccupanti dichiarazioni riguardo l'approvvigionamento italiano di gas;
    Scaroni nel suo intervento dichiara che, secondo la sua opinione, sarebbe arrivato il momento che «anche l'Europa viva la rivoluzione dello Shale Gas che è all'origine dell'abbassamento dei costi degli Stati Uniti»;
    lo Shale Gas è il gas ottenuto dalla frantumazione delle rocce profonde grazie all'immissione di acqua ad alta pressione mista a sostanze chimiche (detto anche «Fracking»);
    lascia perplessi come ENI, società di fatto controllata dallo Stato considerando una quota azionaria superiore al 30 per cento dei pacchetti del Ministero dell'economia e delle finanze e della Cassa depositi e prestiti, possa tenere pubblicamente una posizione sull'approvvigionamento energetico non prevista dal percorso «ufficiale» avviatosi con la SEN, considerati inoltre i dubbi in merito che resistono nelle comunità scientifica ed economica;
    il «Fracking», dopo essere stato vietato nello Stato di New York grazie ad una moratoria nel 2008 (così come fatto da Argentina e California), è stato recentemente messo in discussione anche in Germania;
    come si apprende infatti dall'agenzia Adnkronos del 7 giugno 2013 «i ricercatori del Consiglio consultivo tedesco per l'ambiente (SRU) hanno [...] pubblicato uno studio nel quale si afferma che il gas estratto dalla frantumazione delle rocce profonde mediante l'immissione di acqua ad alta pressione mista a sostanze chimiche [...] è economicamente poco sostenibile. [...] Gli scienziati anzi raccomandano al governo di Berlino di esercitare la massima cautela per quanto riguarda questa nuova tecnologia di estrazione perché non si è ancora in grado di valutarne l'effettivo impatto ambientale. [...] Riguardo poi alla competizione con gli Stati Uniti gli scienziati sostengono che non è lo Shale Gas a fare la differenza sulla diversa velocità di crescita degli Stati Uniti rispetto all'Europa ed alla Germania, quanto piuttosto l'indebolimento del dollaro calato del 30 per cento rispetto all'euro. Per quanto poi riguarda la corsa allo Shale Gas statunitense, gli scienziati sostengono che c’è il fondato sospetto che questa possa essere una gigantesca bolla speculativa destinata a sgonfiarsi nei prossimi anni»;
    alle dichiarazioni in merito dell'amministratore delegato di ENI S.p.A. si sono aggiunte quelle rilasciate nel giro di pochi giorni dal Ministro dello sviluppo economico Flavio Zanonato che, secondo l'agenzia ANSA, in data 10 ottobre 2013 dichiarò che in Italia lo Shale Gas «non si può estrarre, punto, quindi non lo consentiamo. [...] Non si capisce perché deve continuare la polemica su una cosa che non si può fare. [...] Non c’è lo Shale Gas in Italia in misure significative per poterlo estrarre e vendere, quindi il problema proprio non si pone»;
    all'interno della strategia energetica nazionale (SEN) è chiaramente specificato che «[...] il Governo non intende perseguire lo sviluppo di progetti in aree sensibili in mare o in terraferma, ed in particolare quelli di shale gas»;
    in data 21 maggio 2013, durante il suo discorso al Senato della Repubblica, il Presidente del Consiglio dei ministri Enrico Letta ha dichiarato che «per noi la priorità assoluta in campo energetico resta lo sviluppo delle fonti rinnovabili» rivendicando «un atteggiamento aperto e non penalizzante per lo sfruttamento delle fonti di energia prodotte in Europa, come lo Shale Gas»;
    numerose inchieste condotte in altri Stati da importanti organi di informazione hanno evidenziato i possibili rischi ambientali e sociosanitari legati alle operazioni di fracking;
    secondo l'articolo pubblicato domenica 2 dicembre 2012 sul sito web di «The Independent», parrebbe che durante le operazioni di fracking in Texas (U.S.A.) sia stato utilizzato un componente di cui non si conosce l'esatta composizione, ma solo il nome (EXP-F0173-11). La non identificazione del sopracitato elemento preoccupa la popolazione texana dato il presentarsi di danni a reni e fegato a cittadini direttamente esposti agli scavi;
    come riportato dalla versione online del quotidiano «New York Times» in data 26 febbraio 2011, si sarebbero rilevati altissimi livelli di radiazioni nei pressi dei pozzi artesiani confinanti con i siti di estrazione di shale gas (si è arrivato a rilevare, in alcuni casi, livelli di radiazioni 1500 superiori a quelli consentiti dalla legislazione americana);
    lascia perplessi anche il fattore di sostenibilità del progetto. Come riportato dall'osservatorio internazionale «PR Watch», emergerebbe che ogni pozzo dal quale si estrarrebbe shale gas necessiterebbe dai 2 ai 4 milioni di galloni di acqua per poter essere pienamente operativo (dato che si traduce nella produzione di 7-14 milioni di litri di acqua satura di sostanze chimiche);
    come riportato dall'articolo sulla versione online del Sole 24 Ore del 27 agosto 2013 «Ora ci si mettono anche gli scienziati lanciando l'allarme su una possibile correlazione tra estrazione di Shale Gas e terremoti. A dirlo è uno studio che sarà pubblicato sulla rivista “Hearth and planetary Science letters”. Secondo gli autori, la grande quantità di Shale Gas estratta nel sud del Texas dal giacimento dell'area denominata Eagle Ford Shale, sarebbe la causa di un'ondata di piccoli terremoti registrati nella zona»;
    nel caso italiano, come si può notare dalla «Mappa di pericolosità sismica del territorio nazionale» (ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 3519/2006) aggiornata al luglio 2006, gran parte del territorio è interessato dal rischio sismico e si rischierebbe un potenziale aggravio della situazione considerando l'ingente iniezione di fluidi necessaria durante le operazioni fracking;
    durante l'incontro interparlamentare intitolato «Il mercato interno dell'energia per il XXI secolo», che si è svolto a Bruxelles il scorso 17 dicembre 2013, Randall Bowie, direttore dell’«European Council for an Energy Efficient Economy» (organizzazione non governativa che produce studi ed analisi in materia di efficienza energetica), ha affermato che «[...] il gas di scisto deve essere valutato con attenzione, ma non penso, che possa essere un'opzione sostenibile e percorribile. [...] la parte occidentale degli Stati Uniti non è popolata a causa delle continue estrazioni di Shale Gas e con l'avanzare del tempo vi sarà un progressivo esaurimento delle risorse che porterà ad un aggravarsi della situazione ambientale. [...]»;
    il 7 settembre 2012, la Commissione europea ha pubblicato alcuni studi sui combustibili fossili noi convenzionali, (con particolare allo shale gas). Alcuni di questi studi analizzano il potenziale impatto climatico della produzione di gas di scisto e dei rischi potenziali che il «fracking» che possono presentarsi per la salute umana e per l'ambiente;
    lo studio sull'impatto climatico («Climate impact of potential shale gas production in the EU») arriva a dimostrare che l'estrazione di shale gas nell'Unione Europea causerebbe maggior emissioni di gas serra rispetto all'estrazione dei gas naturali convenzionali;
    l'analisi della Commissione europea sugli impatti ambientali («Environmental Aspects or Unconventional Fossil Fuels») dimostra inoltre che l'estrazione di shale gas in generale ha un impatto ambientale maggiore rispetto all'estrazione dei gas convenzionali. Vengono sottolineati tangibili rischi di contaminazione delle acque superficiali e sotterranee con una conseguente pesante diminuzione delle risorse idriche. Lo studio evidenzia anche le alte probabilità di inquinamento acustico e dell'aria oltre a un eccessivo consumo del suolo e disturbo alla biodiversità,

impegnano il Governo:

   ad escludere tassativamente il ricorso alle operazioni di fracking legate allo shale gas, come previsto dalla strategia energetica nazionale;
   ad adottare nel più breve tempo possibile tutte le iniziative normative necessarie al fine di vietare qualsiasi modalità di estrazione legata al fracking (comprese le sperimentazioni);
   a puntare in via prioritaria sullo sviluppo delle energie rinnovabili e sostenibili.
(7-00253) «Crippa, De Rosa, Da Villa, Fantinati, Vallascas, Petraroli, Prodani, Della Valle, Mucci».


   La XI Commissione,
   premesso che:
    i fondi strutturali sono strumenti finanziari gestiti dalla Commissione europea per riequilibrare e redistribuire le risorse all'interno del territorio europeo. La loro evoluzione è andata di pari passo con lo sviluppo delle priorità e degli obiettivi prefissati a livello comunitario. Nel corso degli anni i fondi sono stati oggetto di riforme, anche rilevanti, hanno visto definiti sempre più dettagliatamente gli obiettivi da conseguire, ma lo scopo ultimo e la relativa ratio è rimasto sempre il raggiungimento della coesione economica e sociale di tutte le regioni dell'Unione e la riduzione del divario tra quelle più avanzate e quelle in ritardo di sviluppo;
    una gestione corretta delle risorse, una migliore governance dei progetti e un più efficace coordinamento nazionale sarebbero decisivi affinché le risorse investite dispieghino reali benefici. A tal proposito le nuove regole varate dall'Unione europea mirano a favorire una migliore gestione delle risorse e da quest'anno, infatti, l'utilizzo di tali fondi dovrà essere regolato da accordi di partenariato concordati con Bruxelles dai singoli paesi membri. Gli Stati membri, insieme alle autorità locali, alle parti sociali e ai rappresentanti della società civile, dovranno definire priorità e modalità di impiego dei fondi e sottoporle al vaglio della Commissione;
    i detti accordi di partenariato sono lo strumento previsto dalla proposta di regolamento della Commissione europea per stabilire la strategia – risultati attesi, priorità, metodi di intervento – di impiego dei fondi comunitari per il periodo di programmazione 2014-2020;
    l'accordo finale, predisposto dallo Stato membro e condiviso al suo interno, sarà approvato dalla Commissione europea;
    l'accordo di partenariato rappresenta dunque il documento base per i fondi del quadro strategico comune (QSC), secondo quanto previsto dalla proposta di regolamento recante disposizioni comuni per la programmazione e la gestione dei fondi strutturali COM(2011)615, in via di approvazione definitiva da parte del Parlamento europeo: fondo sociale europeo (FSE), fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), fondo di coesione (FC), fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) e fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP);
    l'accordo di partenariato è posto quindi alla base dell'accordo sulla programmazione delle risorse finanziarie definite per tutti i Paesi dell'Unione europea dalla Commissione europea, nel mese di febbraio 2013, in un apposito documento denominato «Linee guida sui contenuti dell'Accordo di partenariato», per il periodo 2014-2020 ove gli interventi di programmazione per lo sviluppo rurale sono rivolti in forma innovativa a beneficio dell'integrazione con altre azioni sostenute dall'Unione europea;
    il quadro strategico comune, declinato a livello degli Stati membri in un contratto di partenariato (CP) con la Commissione, mira a riunire gli interventi dei cinque fondi comunitari al fine di realizzare un forte coordinamento di tutte le politiche europee, indispensabile per l'attuazione della Strategia Europa 2020; il nuovo approccio per l'utilizzo dei fondi del quadro strategico comune è volto a garantire impatti economici, ambientali e sociali di lunga durata. Infatti, il forte allineamento con le priorità politiche dell'Agenda Europa 2020, le condizionalità macroeconomiche ed ex ante, la concentrazione tematica e gli incentivi legati al conseguimento di risultati attuano principi che si traducono concretamente in una spesa più efficace. I fondi del quadro strategico comune costituiranno quindi un'importante fonte d'investimento pubblico e fungeranno da catalizzatore per la crescita sostenibile e l'occupazione supportando gli investimenti in capitale fisico e umano;
    nel nostro Paese occorrerà pertanto intervenire sulle criticità strutturali del sistema economico italiano in relazione alla distanza del Paese e dei suoi territori dai traguardi fissati nell'ambito della strategia Europa 2020 e della lettura in termini di contesto macroeconomico e risposte di policy offerta dal programma nazionale di riforma;
    è altresì evidente come nel nostro Paese la situazione occupazionale sia drammatica ed il perdurare della crisi, nonché la massiccia delocalizzazione della produzione, abbia di fatto contribuito a creare un panorama industriale che oggi è caratterizzato per oltre il 95 per cento da piccole aziende con meno di 10 dipendenti;
    il 9 dicembre 2013 è stata presentata la bozza di accordo di partenariato per l'Italia per la nuova programmazione dei fondi strutturali 2014-2020 ed al detto accordo appare mancare il criterio di universalità dell'intervento, soprattutto alla luce di una crisi che attanaglia il nostro paese colpendo cittadini e famiglie senza alcuna distinzione ma in modo realmente globale;
    nel testo presentato e precisamente nell'obiettivo tematico specifico numero 8 si fa, tra l'altro, esplicito riferimento, alle tematiche legate all'occupazione giovanile, ai lavoratori over 50, agli immigrati, alle donne ed ai disoccupati di lunga durata, attraverso un approccio che pare essere settoriale e legato a principi di segmentazione delle problematiche;
    nel testo, gli obiettivi tematici previsti al punto 8 della bozza di accordo di partenariato per l'Italia, prevedono la promozione dell'occupazione sostenibile e di qualità in favore di varie fasce di lavoratori, tuttavia emergono lacune sul piano della pianificazione degli interventi, nel momento in cui non si provvede a programmare misure di carattere strutturale che rilancino effettivamente l'economia del lavoro attraverso percorsi di inserimento, tutela, rilancio, riabilitazione del lavoratore che dovrà assurgere a perno centrale nell'ambito del sistema economico;
    emerge dunque in tutta la sua importanza la necessità di aggredire la crisi ed i mali occupazionali in toto abbandonando l'approccio analitico dei fenomeni ed invece affrontando le criticità in maniera strutturale; un tale approccio avrà ricadute positive su tutto il sistema;
    a tal proposito, in Italia emerge da tempo la necessità di provvedere alla riforma dei centri per l'impiego, la cui organizzazione risulta oramai obsoleta e priva di efficacia; interventi di carattere strutturale dovrebbero, appunto, andare nella direzione della modernizzazione del sistema di raccolta della domanda e dell'offerta di lavoro così ponendo il nostro paese nella reale condizione di pervenire al rafforzamento della rete Eures;
    del pari appaiono privi di efficacia gli interventi di inclusione sociale previsti dal punto 9 della bozza di accordo di partenariato laddove si limitino al sostegno dei soggetti in condizione disagiata, senza altresì provvedere in modo esplicito ad investimenti che vadano nella direzione dello stimolo al reinserimento, nella misura in cui gli interventi dovranno unire al carattere dell'assistenzialità anche quello della spinta ad una reale partecipazione alla vita sociale e lavorativa;
    allo stesso modo occorrerà cogliere l'occasione per poter rapidamente pervenire ad una reale riforma dei sistemi di sostegno alle imprese sociali, attraverso l'istituzione di stringenti criteri attraverso i quali possa essere garantita la serietà delle strutture sia sotto il profilo delle competenze del personale addetto, quanto sotto il profilo dell'assegnazione degli appalti e della rendicontazione delle risorse impiegate; ciò poiché nel recente passato si è spesso assistito al moltiplicarsi di clientele ed abusi a scapito degli effettivi bisogni,

impegna il Governo:

   a garantire che le priorità strategiche indicate nell'accordo di partenariato si traducano in azioni concrete al fine di portare la spesa relativa alle politiche attive sul lavoro allineate alla media europea dei Paesi con il più alto tasso di occupazione;
   a monitorare ogni 6 mesi il successo delle azioni intraprese in modo trasparente tramite pubblicazione, di ogni attività posta in essere, sul sito del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   a rimodulare gli obiettivi strategici posti alla base dell'utilizzo dei fondi strutturali sulla base di criteri che non diano adito a fenomeni discriminanti relativamente all'utilizzo delle risorse;
   a favorire lo sviluppo del telelavoro;
   a favorire la creazione di stage aziendali al termine del percorso di studi, utili quale percorso formativo e finalizzati ad un più agevole inserimento nel mondo del lavoro;
   a porre in essere ogni misura utile a riformare il sistema dell'industria sociale al fine di eludere speculazioni, clientele e qualsivoglia forma di affezione patologica di un sistema per il quale è d'obbligo garantire in senso assoluto l'efficacia dell'azione e l'ottimizzazione delle risorse impiegate;
   a porre in essere ogni azione utile a contrastare le discriminazioni sul lavoro, offrendo la più ampia tutela a tutti i cittadini lavoratori senza distinzione di sesso, razza, religione, orientamento sessuale e identità di genere e condizione sociale, così come previsto dall'articolo 3 della carta costituzionale.
(7-00252) «Bechis, Chimienti, Rizzetto, Rostellato, Baldassarre, Ciprini, Cominardi, Tripiedi».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BRUNO BOSSIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la regione Calabria è interessata in questi giorni da intense precipitazioni atmosferiche, allagamenti ed esondazioni che stanno causando danni rilevanti, disagi e situazioni di pericolo per persone e cose;
   tali eventi stanno determinando situazioni di emergenza in diverse aree del territorio calabrese già pesantemente colpito dal susseguirsi di numerosi e continui fenomeni calamitosi;
   ad essere danneggiato ancora una volta è anche il patrimonio storico-archeologico;
   dopo l'evento alluvionale del fiume Crati che ha colpito l'area archeologica di Sibari, l'evento calamitoso di questi giorni ha danneggiato a Monasterace (RC) i resti dell'antica Kaulon;
   una violenta mareggiata ha eroso pezzi del tempio greco e minacciato il più grande mosaico ellenistico della Magna Grecia;
   il pericolo incombente è stato evidenziato in occasione delle mareggiate che nel mese di novembre del 2013 avevano colpito le protezioni naturali del sito archeologico –:
   quali iniziative di competenza si intendano assumere per un pronto intervento finalizzato a contrastare e prevenire gli effetti dannosi degli eventi calamitosi che continuano ad abbattersi sulla Calabria;
   se il Governo intenda dichiarare lo stato di emergenza anche ai sensi dell'articolo 5 della legge n. 225 del 1992 per i siti colpiti da calamità naturale a partire innanzitutto da Monasterace e dai comuni limitrofi maggiormente interessati della fascia ionica calabrese. (5-02067)

Interrogazione a risposta scritta:


   TOFALO, NICOLA BIANCHI, MANNINO e LOREFICE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito dell'ASL Salerno 1 ed in particolare nel distretto di Nocera Inferiore è stato limitato il servizio della radioterapia oncologica, normalmente praticato in convenzione con il Centro D'AM di Nocera Inferiore (SA), così come pure è stata sospesa la prestazione a titolo gratuito di altri servizi ambulatoriali;
   pertanto oggi i cittadini sono obbligati a migrare presso altre strutture lontane e costretti a subire svantaggi che ricadono sia sui pazienti che sui familiari accompagnatori: svantaggi soprattutto di natura economica che costringono spesso il paziente, sfiduciato, alla rinuncia al trattamento;
   il 29 dicembre 2013 il commissario «ad acta» per il settore sanitario in Campania Stefano Caldoro, di intesa con i sub-commissari Mario Morlacco e Ettore Cinque, con il capo dipartimento della salute Ferdinando Romano e con i direttori generali dell'Arsan Lia Bertoli e della tutela della salute Mario Vasco, ha decretato la programmazione delle dotazioni delle apparecchiature per la radioterapia con accelerazione lineare necessarie per ognuna delle 7 Asl della Campania, sulla base dello standard apparecchi/popolazione, il cui rapporto è pari ad 1 ogni 100 mila-150 mila abitanti, quindi si è determinato un fabbisogno complessivo di circa 40 apparecchiature;
   attualmente in Campania sono disponibili presso le strutture pubbliche e private 25 macchine e, in base al decreto commissariale, la nuova dotazione divisa per ASL sarà la seguente: Avellino 3, Benevento 2, Caserta 6, Napoli Centro 8, Napoli Nord 7, Napoli Sud 6, Salerno 8;
   la provincia di Salerno attualmente dispone di 6 apparecchiature, di cui solo una nell'area dell'agro nocerino-sarnese e paesi limitrofi nonostante il bacino di popolazione che sfiora i 500.000 abitanti –:
   vista l'evidente necessità, se si terrà conto dell'attuale sperequazione nella distribuzione delle macchine per la radioterapia in relazione alla densità abitativa nell'agro nocerino-sarnese dove, oltretutto, si registra il crescente fabbisogno della popolazione dell'area dovuto all'incremento delle patologie neoplastiche, legato alle particolari condizioni ambientali e dove, tra l'altro, è allocato il polo oncologico dell'Ospedale di Pagani. (4-03443)

AFFARI REGIONALI E AUTONOMIE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta da un articolo pubblicato dal quotidiano «Il Gazzettino», nell'edizione del Friuli, il 7 gennaio 2014, il Ministro interrogato avrebbe affidato alla Società geografica italiana, il compito di ridisegnare i confini territoriali della regione Friuli-Venezia Giulia, finalizzati alla revisione delle norme previste all'interno del disegno di legge costituzionale del titolo V che stabilisce l'eliminazione del termine «province» nella Carta e ristrutturazione dell'Italia in 36 regioni, con l'ipotesi a 31 e «l'abolizione di ogni forma di specialità regionale»;
   nella nuova configurazione, riporta il medesimo articolo, la regione Fruili-Venezia Giulia, si configurerebbe come Friuli/Julia – regione policentrica;
   l'assegnazione della competenza alla suddetta società, prosegue il quotidiano, di riformare l'impianto territoriale, conseguente ai nuovi confini regionali, include anche l'utilizzo di un gruppo di lavoro istituito presso il Ministero e coordinato dallo stesso presidente della Società geografica italiana, Sergio Conti;
   a giudizio dell'interrogante inoltre, il Ministro interrogato avrebbe dovuto coinvolgere, in via preventiva, le istituzioni locali e la comunità regionale prima di stabilire l'assegnazione di uno studio per il riassetto del Friuli-Venezia Giulia, ad una organizzazione non lucrativa di utilità sociale, in considerazione del doveroso e naturale coordinamento per delle scelte così importanti come la rielaborazione di una nuova versione regionale, anche alla luce delle ragioni storiche che motivarono l'istituzione dalla regione Friuli-Venezia Giulia;
   da una parte, infatti, vi è l'area friulana, che copre le province di Udine, Pordenone e parte di quella di Gorizia, dove fra l'altro è riconosciuto l'uso paritario della lingua friulana; dall'altra vi è l'area giuliana, costituita dalla provincia di Trieste e da parte di quella di Gorizia, ma che deriva da un territorio nazionale più esteso che venne smembrato, al termine della seconda guerra mondiale a seguito degli accordi di pace. Per i suddetti motivi è stato riconosciuto alla regione Friuli-Venezia Giulia uno status autonomo previsto dallo statuto Speciale –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   quali siano le motivazioni per le quali il Ministro interrogato non ha preso in considerazioni le suindicate ragioni storiche e normative che furono alla base della regione Friuli-Venezia Giulia, e se si intenda predisporre una consultazione con le istituzioni locali, al fine di avere un quadro esaustivo e completo degli equilibri e delle motivazioni che stanno alla base dei principi fondanti dello statuto speciale regionale. (5-02070)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   DONATI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Terna spa ha progettato la costruzione di un elettrodotto da 380 kV tra Santa Barbara e Monte San Savino e di un altro elettrodotto da 132 kV tra Monte San Savino ed Ambra, in provincia di Arezzo;
   contestualmente, il progetto prevede la demolizione degli elettrodotti esistenti, cioè Cavriglia-Monte San Savino e Montevarchi-Monte San Savino;
   il nuovo elettrodotto progettato attraverserebbe un'area di grande pregio paesaggistico e culturale (Valdambra, Valdarno, Chianti, Valdichiana) nella quale operano molte aziende agricole e turistiche, andando ad impattare sul paesaggio e sulle attività stesse;
   il Ministero per i beni e le attività culturali, la regione Toscana e la maggioranza dei comuni interessati si sono, ad oggi, espressi contrariamente alla realizzazione dell'opera;
   ad oggi manca un piano energetico nazionale che evidenzi la necessità di opere come quella in questione –:
   se i Ministri intendano interessarsi affinché venga realizzato un intervento a minore impatto ambientale, ossia una manutenzione straordinaria delle linee già esistenti, oppure, nel caso si valuti l'opera di primaria importanza, la realizzazione di percorsi interrati, al fine di preservare il paesaggio e le attività economiche.
(4-03448)


   DELL'ORCO, SPESSOTTO, MANNINO, CRISTIAN IANNUZZI e TERZONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   In data 7 dicembre 1999 la Società autocamionale della Cisa Spa, concessionaria dell'Autostrada A15 Parma-La Spezia, stipula una convenzione con l'ente concedente ANAS, poi approvata con decreto interministeriale 21 dicembre, n. 611/Segr. Dicoter per la realizzazione di un raccordo autostradale di collegamento tra il Tirreno e il Brennero (Tibre). La Delibera CIPE 121/2001 include la voce «Asse autostradale Brennero-Verona-Parma-La Spezia» tra i sistemi stradali ed autostradali del corridoio plurimodale Tirreno-Brennero e l'asse autostradale Tirreno-Brennero nel Programma nazionale delle infrastrutture strategiche (legge 443 del 21 dicembre 2001). Il progetto, il cui primo stralcio di 9,5 chilometri, da Fontevivo a Trecasali (Parma), è oggi in fase di progettazione esecutiva, prevede la realizzazione di un corridoio autostradale di nuova realizzazione della lunghezza complessiva di 84 chilometri collegamento tra Fontevivo (Parma) e Nogarole Rocca (Verona) attraversando le Regioni Emilia Romagna e Lombardia e Veneto;
   dal punto di vista economico si tratta di un grosso investimento considerando che, come da delibera CIPE n. 2 del 22 gennaio 2010, il costo complessivo dell'opera, è ora di 2.730.965.654,5 euro;
   l'opera in questione è già stata oggetto di una precedente procedura di infrazione da parte della Commissione europea (procedura n. 2006/4419) chiusa con un accordo sottoscritto dal Governo italiano, dietro proposta dell'adora Ministro Altero Matteoli;
   dalla chiusura della procedura di infrazione si evince quanto segue:
    Autocisa spa ottiene la proroga della concessione al 2031 dietro impegno a costruire il tratto autostradale Fontevivo-Nogarole Rocca (84 chilometri);
   entro il 31 dicembre 2010 deve essere presentato il progetto definitivo relativo all'intero tracciato autostradale;
   il piano economico finanziario licenziato dalla VIII Commissione permanente (Ambiente, territorio e lavori pubblici) sottoposto all'approvazione dei due rami del Parlamento ed utilizzato per la rideterminazione al 2031 della durata della concessione, prevedeva il totale autofinanziamento da parte di Autocisa spa, senza nessun tipo di contributo in conto capitale da parte dello Stato italiano;
   dopo la chiusura della procedura di infrazione nei termini suddetti il Governo italiano, per il tramite del CIPE, emana la delibera n. 2 del 2010 del 22 gennaio 2010 che prevede quanto segue:
    a) autorizzazione e progettazione definitiva del solo primo tratto Fontevivo-Trecasali/Terre Verdiane di soli 12 chilometri, il cui costo, quale risulta dal quadro economico, è pari a 513.531.158,1 euro, di cui 302.788.160,4 euro per lavori;
    b) presa d'atto del nuovo piano economico finanziario che passa da 2.039 milioni di euro, autorizzati dal Parlamento italiano in data 22 novembre 2007, a 3.400 milioni di euro e che prevede tra le modalità di riequilibrio: incrementi tariffari nel periodo 2011-2018 del 7,5 per cento annuo; previsione di un contributo statale di 900 milioni di euro oltre IVA, da erogare a stato di avanzamento dei lavori; un valore di indennizzo finale pari a 1.730 milioni di euro, da garantire tramite la prestazione della garanzia a valere sul Fondo di garanzia sulle opere pubbliche (FGOP) di cui all'articolo 2, commi 264-270, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008), ai fini della sua bancabilità. Tali misure, ed in particolare il contributo statale di 900 milioni di euro, non erano contemplate dal piano sottoposto all'Unione europea per la chiusura della procedura di infrazione;
    c) l'inserimento della precisazione «che il primo lotto, oltre a costituire la naturale prosecuzione verso nord dell'autostrada della Ci sa, si collega alla viabilità ordinaria mediante l'autostazione Trecasali/Terre Verdiane e garantisce il futuro collegamento mediante la realizzazione dell'autostrada regionale Cispadana tra Carpi e Ferrara, tra i territori di Parma, Reggio Emilia, Modena e Ferrara e il mare Adriatico». Tale affermazione, a parere dell'interrogante, lascerebbe intendere l'intenzione di fermarsi con la costruzione del solo primo lotto autorizzato, avendo con lo stesso raggiunto l'obiettivo di congiungere le attuali autostrade A15 e A22 (situazione peraltro già esistente mediante l'intersezione dell'autostrada A15 con l'Autostrada A1);
   oltre ai sopra elencati benefici economici, il progetto in questione potrebbe beneficiare del credito d'imposta di cui all'articolo 18 della legge n. 183 del 2011, tenuto conto di quanto dichiarato dall'ex vice ministro dottor Ciaccia che, in un'intervista rilasciata ad un prestigioso quotidiano economico, ha individuato le opere pubbliche già autorizzate (e per le quali la misura del credito di imposta non costituirà base di gara) che potrebbero beneficiare degli aiuti previsti. Tra queste viene riportato il Corridoio Autostradale Tirreno-Brennero ed in particolare la costruenda tratta Fontevivo-Nogarole Rocca;
   complessivamente dunque il quadro finanziario dell'opera risulta estremamente poco chiaro: oltre ai costi lievitati enormemente negli anni, dai 1032,9 milioni di euro del 2001 ai 2731 milioni del 2010, rimane da appurare il previsto finanziamento pubblico di circa 900 milioni di euro, che al momento ancora non risulta coperto, come pure la questione del finanziamento pubblico ai sensi dell'articolo 33 del decreto-legge n. 179 del 2012, nonché la copertura dell'investimento con fondi privati considerato che Autocisa nel bilancio del 2009 ha dichiarato un utile di esercizio di appena 12,9 milioni di euro e debiti per un ammontare di 213 milioni mentre, nell'ultimo esercizio, l'utile è ridotto solo ad 1 milione di euro. Il rischio è che gran parte dei costi siano scaricati sugli aumenti dei pedaggi ovvero sui cittadini già aumentati in questi anni;
   a livello trasportistico il primo stralcio della Tibre non è un'opera strettamente utile a livello europeo ed infatti non rientra tra i trenta progetti prioritari dell'Unione europea (TEN-T). Inoltre per collegarsi all'Europa sarebbe molto più utile e prioritario il raddoppio e il potenziamento della Pontremolese e della tratta Parma-Suzzara-Poggio Rusco o, in alternativa a quest'ultima, della Parma-Piadena-Mantova-Verona che, secondo un recente Studio della Tibre srl, risulterebbe molto più economica e competitiva della Parma-Suzzara-Poggio Rusco. Si tratterebbe in ogni caso di linee ferroviarie che potrebbero realmente creare la connessione con gli assi ferroviari prioritari a livello europeo. Inoltre, come è noto, non solo i dettami europei sono quelli della cura del ferro per il trasporto merci ma, da alcuni anni, Austria e Svizzera hanno posto forti limitazione al traffico su gomma e in particolare ai TIR. Non terminare le suddette opere ferroviarie ricadenti nella stessa area, i cui lavori sono in corso ma non interamente finanziati e, contemporaneamente, iniziare anche il primo stralcio autostradale della Tibre rischia, in questa fase economica, di lasciare, per molto tempo, entrambe le opere incompiute e quindi inutili. Giova anche ricordare che l'Autostrada del Brennero e della Cisa non possono sopportare ulteriore traffico;
   l'inquadramento di questo nuovo raccordo autostradale risulta inoltre problematico a livello di sviluppo economico e ambientale del territorio. Avrà infatti un forte impatto ambientale su un'area agricola della provincia di Parma rinomata particolarmente per la produzione del parmigiano reggiano, un'area che dovrebbe essere valorizzata come Food Valley e che invece vedrà un ulteriore consumo di suolo agricolo e che rischia di diventare una delle zone più inquinate d'Italia. Parma ad esempio ha livelli di PM 10, PM 2.5 sempre molto elevati e, per il 2013, ha riportato oltre 100 sforamenti del limite massimo previsto per il PM 10 ottenendo anche il triste primato 21 giorni consecutivi di sforamenti, con elevati rischi di sanzioni da parte dell'Unione europea. Proprio per ovviare a questa eventualità il ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha convocato per il 4 settembre scorso una riunione con i presidenti delle regioni Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia-Romagna e Val d'Aosta e delle province autonome di Trento e Bolzano per affrontare i problemi dell'inquinamento atmosferico nel bacino padano e analizzare le possibili strategie da attuare per la soluzione. Nella lettera di convocazione il ministro ha ricordato anche che nell'aprile scorso la Commissione europea ha aperto «un nuovo caso di pre-contenzioso contro l'Italia sui temi dell'inquinamento atmosferico» e che «l'Italia sta affrontando da diversi anni un complesso contenzioso comunitario in materia di qualità dell'aria che ha portato, nel dicembre 2012, ad una sentenza di condanna, che non ha determinato seguiti sanzionatori per il nostro Paese per un mero vizio procedurale riscontrato dalla Corte europea di Giustizia nel ricorso inoltrato dalla Commissione europea»;
   è da chiarire inoltre l'attuale validità della valutazione di impatto ambientale (provvedimento del ministero dell'ambiente e tutela del territorio del 20 aprile 2004 resa su uno studio di impatto ambientale che risale al 2002) che non tiene conto delle variazioni territoriali intervenute successivamente a livello ambientale e legislativo. La Tibre interessa infatti le zone SIC-ZPS della Lombardia e del territorio di Parma che fanno parte della rete Natura 2000, nata per la protezione e la conservazione degli habitat. Gli ultimi aggiornamenti sulle Z.P.S., la regione Emilia Romagna li ha effettuati con delibere di giunta n. 167 del 13 febbraio 2006 e n. 456 del 3 aprile 2006, dunque non sembrerebbe essere stato valutato l'impatto ambientale sul Sic-ZpS Basso Taro, né sulla riserva naturale di Torrile e Trecasali istituita con provvedimento della regione Emilia Romagna nel 2010. È dubbio pertanto che la valutazione di impatto ambientale concessa a suo tempo si possa considerare ancora valida. La valutazione di impatto ambientale non può certo considerarsi un «diritto acquisito»: il Codice dell'ambiente (decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive integrazioni) all'articolo 26, comma 6, prevede infatti che: «I progetti sottoposti alla fase di valutazione devono essere realizzati entro cinque anni dalla pubblicazione del provvedimento di valutazione dell'impatto ambientale. Tenuto conto delle caratteristiche del progetto il provvedimento può stabilire un periodo più lungo. Trascorso detto periodo, salvo proroga concessa, su istanza del proponente, dall'autorità che ha emanato il provvedimento, la procedura di valutazione dell'impatto ambientale deve essere reiterata»;
   come già detto, il progetto preliminare della nuova autostrada Parma (Fontevivo)-Verona (Nogarole Rocca), è stato sottoposto a VIA statale e approvato con delibera CIPE n. 94 del 2004 (pubblicata sulla Gazzetta ufficiale n. 115 del 19 maggio 2005) che prendeva atto anche della positiva valutazione di impatto ambientale. Quest'ultima dunque ai sensi di legge risulterebbe essere già scaduta. È pur vero che la scadenza della VIA entro cinque anni è stata introdotta con il decreto legislativo del 16 gennaio 2008 n. 4 che espressamente ne prevede l'applicazione solo sui procedimenti avviati dopo l'entrata in vigore del provvedimento, ovvero dal 13 febbraio 2008, ma è pur vero che tale norma non può interpretarsi come una proroga «sine die» dei procedimenti precedenti dando loro lo statuto di «diritto acquisito». Questa ultima interpretazione sarebbe in palese contrasto non solo con i principi di buona amministrazione ma anche con diversi punti dello stesso Codice dell'ambiente, della Convenzione di Aarhus e della normativa europea in materia ambientale che prevedono continue azioni ex ante, in itinere ed ex post ai processi di decisione, nonché attività informative, di monitoraggio e possibili modifiche della valutazione di impatto ambientale se le condizioni cambiano. Pertanto appare evidente la necessità sottoporrà nuovamente il progetto di valutazione ambientale in rapporto alle mutate condizioni;
   bisogna infine aggiungere che diverse delle prescrizioni contenute nella VIA e nella delibera CIPE n. 2 del 22 gennaio 2010 non risulterebbero ancora applicate come si evincerebbe dalla delibera n. 101 del 2012 del comune di Trecasali dalla quale sembrerebbe che molte delle opere di compensazione, mitigazione e cautela previste dalla delibera del CIPE 2010 risultano disattese –:
   se in vista del perseguimento dell'obiettivo europeo del consumo di suolo zero al 2050 e di una valorizzazione dei territori della parmensi noti in tutto il mondo, tra le altre cose, per la produzione del parmigiano reggiano non si ritenga necessario sospendere la realizzazione del raccordo autostradale Tirreno-Brennero;
   se, in vista di una riduzione delle emissioni inquinanti e affinché sia interrotto il pre-contenzioso europeo sui temi dell'inquinamento atmosferico, non si ritenga sia necessario rivedere l'opportunità della realizzazione di nuove opere viarie previste dalla legge obiettivo ricadenti nell'area della pianura padana;
   se non si ritenga che per realizzare una continuità tra il Tirreno e il Brennero in linea con i dettami europei in termini di consumo di suolo, di inquinamento atmosferico ed in termini trasportistici, che prevedono un passaggio di una quota di trasporto merci dalla gomma al ferro, non sia più idoneo sospendere la realizzazione del raccordo autostradale Tibre spostando i fondi sui progetti ferroviari all'interno dello stesso corridoio Tirreno-Brennero e, in particolare, sulla realizzazione del raddoppio della Pontremolese e sulla tratta ferroviaria Parma-Suzzara-Poggio Rusco o, in alternativa, sulla Parma-Piadena-Mantova-Verona;
   se, in ordine ad una maggiore competitività dal punto di vista economico e trasportistico, non si ritenga di dover procedere ad una valutazione della proposta di tracciato ferroviario Parma-Piadena-Mantova-Verona presentata in un recente studio dalla stessa Tibre srl in alternativa alla tratta ferroviaria Parma-Suzzara-Poggio Rusco;
   se il Governo ha posto in essere tutti gli adempimenti previsti dall'articolo 108 TFUE, posto che le misure previste dall'articolo 18 della legge n. 183 del 2011, di cui potrebbe beneficiare anche Autocisa, così come esplicitate dalla delibera Cipe n. 1 del 2013 potrebbero configurarsi come aiuti di Stato ai sensi dell'articolo 107 TFUE;
   se, alla luce di quanto sopra esposto, non risulti del tutto evidente come il procedimento autorizzativo e gli accordi presi con la Commissione europea in sede di chiusura della procedura di infrazione n. 2006/4419, presentino molti punti in conflitto, e quali siano in proposito gli orientamenti di codesto ministero anche alla luce della concessione dell'ulteriore beneficio del credito di imposta che andrebbe a sommarsi agli incrementi tariffari ed al contributo statale già previsti dall'autorizzazione del CIPE;
   se non si ritenga scaduto il provvedimento di VIA relativo al progetto in questione e, comunque, se non si ritenga indispensabile sottoporre detto progetto ad un nuovo procedimento di VIA in considerazione delle variazioni a livello ambientale e legislativo intervenute successivamente al 2004, anno di emissione del provvedimento. (4-03452)


   MARRONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 7 gennaio 2014 il portale online www.abitarearoma.net pubblica un articolo dal titolo: A Lunghezzina scoperta una nuova Terra dei Fuochi»;
   l'articolo riporta di un'area in zona Lunghezzina nella quale, oltre al persistere di un vecchio fienile in evidente stato di abbandono con tetto in eternit, sono stati ritrovati scarti di vetro e resti di rifiuti chimici industriali in un terreno agricolo;
   l'articolo in questione è corredato anche di alcune foto;
   nell'area suddetta persistono un allevamento di pecore e viene effettuata la coltivazione di ortaggi e verdure;
   se risultasse vero quanto riportato dal portale online ci si troverebbe di fronte ad un'area inquinata e con presenza di rifiuti tossici per le persone;
   varie sono state le segnalazioni fatte dai comitati di quartieri e dalle associazioni ad Arpa Lazio –:
   se le autorità preposte al controllo di discariche abusive siano a conoscenza di suddetto, se la concentrazione di diossina, di altri inquinanti sia superiore ai valori di legge e se si intendano promuovere verifiche da parte del Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente;
   se sia in programma per la città di Roma un'azione coordinata di prevenzione e di individuazione di siti abusivi e come si intenda agire, per quanto di competenza, per salvaguardare la salute dei cittadini romani. (4-03458)


   CARFAGNA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il lago artificiale in località «Petrosa» del comune di Ceraso (Salerno) «diga Fabbrica», sito in area strettamente contigua al parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano, una delle più suggestive e peculiari componenti del panorama cimentano, è stato oggetto di numerosi atti di sindacato ispettivo a causa delle terribili condizioni ambientali in cui versa, causate da una discarica abusiva ai margini del lago, discarica che si estende per oltre 1.500 metri quadrati di superficie e contenente rifiuti pericolosi tossici;
   la discarica è stata scoperta dal Corpo forestale dello Stato e accertata dall'ARPAC, ma, nonostante le interrogazioni e nonostante il clamore giustamente dato dagli organi di stampa locali alla totale inerzia dell'ente deputato al controllo e alla vigilanza, nulla è stato ancora compiuto per bonificare il territorio e restituirlo alla bellezza e specialmente alla salubrità di un tempo;
   la discarica abusiva, contenente tra l'altro rifiuti tossici, è stata anche denunciata dal sindaco di Ceraso con ordinanza n. 31 del 25 giugno 2012, nella quale si legge che la situazione delittuosa è ascrivibile alla responsabilità del consorzio Velia, con sede a Prignano Cilento (Salerno) in località Piano della Rocca, nella persona del legale rappresentante avvocato Francesco Chirico;
   il possesso e la manutenzione del lago sono infatti esercitati dal consorzio di bonifica Velia, ente pubblico strumentale della regione Campania che lo controlla ai sensi e per gli effetti della legge regionale n. 4 del 2003;
   a presiedere il consorzio di bonifica Velia è, da oltre 34 anni, lo stesso presidente, avvocato Francesco Chirico, senza alcun ricambio. In maniera che all'interrogante appare dispotica, l'avvocato Chirico non procede ad inserire all'ordine del giorno del consiglio dei delegati, che è l'organo che lo ha nominato presidente, la verifica della maggioranza che a suo tempo lo ha eletto presidente e che ormai non esiste più;
   a parte quello che all'interrogante appare un totale abuso gestionale, non provvedendo in alcun modo a bonificare il lago, il Consorzio di bonifica Velia, nella persona del suo legale rappresentante avvocato Chirico, si rende responsabile della mancata osservanza dei suoi doveri istituzioni ed in particolare della palese violazione di quanto disposto dalla legge regionale della Campania n. 4 del 2003, che all'articolo 1, comma 1, dispone che la regione, attraverso i consorzi di bonifica, promuova ed attui la salvaguardia dell'ambiente, nonché la conservazione e tutela del territorio;
   in data 28 agosto 2012, un componente del consiglio dei delegati del consorzio «Velia», dottor Cosimo Damiano Bortone, presentando istanza diretta all'acquisizione delle risultanze degli accertamenti sulle acque del lago, si è sentito rispondere dall'avvocato Chirico (con nota del 21 settembre 2012, protocollo n. 1745) che, per le acque dell'invaso Fabbrica, non sarebbero disponibili analisi sulla condizione e qualità delle acque, essendo esse destinate ad usi irrigui. La risposta ignora del tutto che le acque a destinazione irrigua entrano comunque, con tutto il loro potenziale tossico ed inquinante, nel circuito alimentare, provocando grave danno alla salute dei consumatori dei prodotti agricoli;
   non è necessario ricordare che il decreto-legge n. 136 del 2013, recante «Disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali ed a favorire lo sviluppo delle aree interessate», nell'inasprire le pene per i reati ambientali previsti dal codice dell'ambiente (decreto legislativo n. 152 del 2006) e dal codice penale, persegue, come finalità primaria, proprio la lotta a tutte quelle situazioni che compromettono non solo la bellezza del nostro Paese ma, soprattutto, la salubrità delle persone che vi abitano;
   restano da chiarire i motivi della prolungata permanenza del medesimo presidente alla guida del consorzio Velia, eventuali responsabilità in merito alla presunta violazione dei doveri istituzionali di bonifica del territorio prescritti dalla legge e all'omesso controllo delle acque dell'invaso nonostante il loro utilizzo per usi irrigui e il loro conseguente ingresso nel circuito alimentare –:
   quali interventi urgenti i Ministri interrogati intendano porre in essere, ciascuno per la propria competenza, anche mediante il coinvolgimento dei competenti comandi dei carabinieri per la tutela della salute e dell'ambiente, al fine di tutelare la salute pubblica gravemente compromessa dalla discarica abusiva di rifiuti pericolosi e tossici e l'ambiente. (4-03465)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PETITTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   secondo l'Unwto, nei primi nove mesi del 2013, il turismo internazionale è cresciuto del 5 per cento con 41 milioni di visitatori mondiali in più rispetto allo stesso periodo del 2012;
   il numero globale si aggira intorno agli 845 milioni, con una crescita trainata da Europa e Asia-Pacifico, entrambi con un aumento di turisti del 6 per cento. Il Medio Oriente è l'unica area mondiale in fase di stallo con un +0,3 per cento;
   per quanto riguarda la bilancia dei pagamenti turistici, secondo Bankitalia, nel periodo gennaio-ottobre 2013 l'Italia ha registrato un avanzo di 12.076 milioni di euro, a fronte di uno di 10.940 milioni nello stesso periodo dell'anno precedente;
   le spese dei viaggiatori stranieri in Italia, per 29.646 milioni, sono aumentate del 3,1 per cento, quelle dei viaggiatori italiani all'estero, per 17.570 milioni, si sono ridotte dell'1,3 per cento;
   nello stesso periodo la spesa degli stranieri provenienti dall'Unione europea è diminuita del 3,2 per cento rispetto allo stesso periodo del 2012, mentre è cresciuta del 13,0 per cento la spesa dei viaggiatori provenienti dai Paesi esterni all'Unione europea;
   l'Italia è solo al terzo posto per il contributo diretto del settore turistico al prodotto interno lordo dopo Francia e Spagna;
   particolarmente sofferente il turismo balneare, uno dei target più rilevanti del turismo nazionale;
   grave, appare, il ritardo in vista della grande sfida dell'Expo 2015, un evento che potrebbe divenire epocale per il turismo nazionale se è vero che sono previsti arrivi pari a 20 milioni di visitatori secondo le stime attuali;
   anche il decreto «Destinazione Italia», in discussione alla Camera, riserva risorse solo alle regioni dell'obiettivo convergenza, senza tenere conto della necessità che tutto il territorio si attrezzi all'accoglienza dei turisti in vista dell'EXPO;
   il settore turistico è un pilastro dell'economia italiana per il suo contributo al prodotto interno lordo, il volume di posti di lavoro che genera e gli effetti indiretti favorevoli su altri comparti dell'economia italiana, ma non è sufficientemente considerato come settore economico, forse a causa della sua trasversalità e della carenza di luoghi istituzionali dove tale trasversalità possa essere effettivamente governata;
   da mesi si attende che il nuovo Ministero competente per le politiche del turismo proponga un serio programma di sviluppo del settore, per altro più volte annunciato e del quale si conosce attualmente solo la denominazione, «Valore Turismo» –:
   se intenda effettivamente presentare un progetto di sviluppo del turismo e in quali tempi e quali misure intenda proporre per consentire al turismo italiano di approfittare pienamente dell'occasione offerta da EXPO 2015. (5-02071)

Interrogazione a risposta scritta:


   PETRINI, PETITTI, PICCIONE e PELILLO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'arte di strada è uno dei settori dello spettacolo in maggiore fermento, come testimoniato dalle 200 manifestazioni che vengono organizzate ogni anno nelle città del nostro Paese e che danno la possibilità agli artisti provenienti da tutto il mondo di esprimere la propria creatività sul territorio nazionale;
   tra i festival di strada italiani più importanti vi sono: «Mercantia» a Certaldo (Firenze), il più antico, con i suoi 26 anni di storia, il «Ferrara Busker Festival», gli «Artisti In Piazza» a Pennabilli (RN), il «Mirabilia» a Fossano (Cuneo), riconosciuto come evento culturale dalla stessa Unione europea e infine il più recente «Veregra Street» a Montegranaro (FM);
   a seguito del grande successo del Veregra Street, l'amministrazione comunale di Montegranaro avvia il progetto Open Street, che si dedica a svolgere le proprie attività nelle periferie, nei luoghi abbandonati e nei centri chiave della vita sociale per creare momenti di scambio e condivisione culturale, creando una rete di amministrazioni comunali europee sensibili verso le forme di spettacolo di strada;
   si tratta di eventi che fondono insieme l'intrattenimento, la valorizzazione delle bellezze dei nostri territori e la promozione turistica, ma che tuttavia non ricevono i finanziamenti necessari per svolgere tali funzioni;
   la legge n. 163 del 30 aprile 1985 stabilisce l'istituzione di un Fondo unico per lo Spettacolo (FUS) per il sostegno finanziario a enti, istituzioni, associazioni, organismi e imprese operanti nei settori delle attività artistiche di ogni genere, dal cinema, alla musica, dal teatro alla danza fino allo spettacolo viaggiante;
   ai sensi dell'articolo 15 della legge n. 163 del 1985, le quote del Fondo unico per lo spettacolo vengono aggiornate ogni anno con la legge finanziaria e vengono ripartite tra i vari settori con un decreto del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MIBAC);
   la legge di stabilità, per il triennio 2012-2014, stabilisce uno stanziamento di circa 411 milioni di euro per il FUS ma, nonostante lo spessore socio-culturale e il considerevole volume di attività da finanziare, dal 2003 l'arte di strada riceve dalla massima istituzione culturale del nostro Paese meno di 80.000 euro di contributo annuo, vale a dire lo 0,019 per cento del totale;
   tali contributi non prevedono sostegni ad artisti e compagnie per la loro attività di esercizio e creazione artistica, ma riguardano solo la promozione di quest'ultima, caso unico nel panorama delle sovvenzioni allo spettacolo e fatto quantomeno singolare;
   data la portata del fenomeno, la Federazione nazionale arte di strada (FNAS) da molti anni cerca un dialogo con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per ottenere un aumento delle quote di finanziamento, ma non ha mai ottenuto un riscontro positivo. Delle 24 istanze di contributo presentate dai promotori dell'arte di strada, 17 sono state rigettate;
   a seguito di queste ennesime richieste di finanziamenti respinte, la Federazione nazionale artisti di strada avvia un'azione legale contro il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, denunciando un sistema di assegnazione ingessato, rigido e iniquo;
   il 23 dicembre 2013 la Federazione nazionale artisti di strada richiede al Ministero l'accesso a tutte le pratiche istituite in sede di assegnazione dei contributi del Fondo unico per lo spettacolo e, una volta esaminati tutti gli atti, proporrà ricorso al TAR con un'azione che impegnerà tutti gli associati, nel caso fossero provati i dubbi sulla correttezza formale dei procedimenti esperiti, con l'obiettivo tra l'altro di aprire un dibattito fra gli operatori culturali in vista della riforma del sistema di finanziamento, prevista per il 2015;
   il settore dell'arte di strada dà occupazione a migliaia di giovani che, dopo aver conseguito una formazione professionale di alto livello, si riuniscono in compagnie e viaggiano sul territorio nazionale ed europeo, alimentando una fiorente imprenditoria;
   la portata del fenomeno in termini di guadagni per le città e i borghi interessati è ben espressa da un'indagine condotta a Certaldo, dalla quale è emerso che per ogni euro investito dalle istituzioni locali nel Festival del paese, gli esercizi e le strutture turistiche ne ricevono di ritorno 7 dai visitatori;
   secondo una ricerca multicliente commissionata dal Ferrara Buskers Festival a IPSOS/Stage UP lo scorso anno, oltre 26 milioni di italiani, con un'età compresa tra i 14 e i 64 anni, dichiarano di aver partecipato negli ultimi 12 mesi ad un festival di arte di strada. Si tratta di un pubblico giovane, istruito, con redditi superiori alla media. Pertanto la composizione del pubblico, che è molto vicina a quella del teatro e delle rassegne cinematografiche, testimonia a favore della grande importanza socio-culturale delle manifestazioni e del livello qualitativo delle attività del settore;
   tali dati confermano ancora una volta che la rilevanza di questa forma di spettacolo in termini numerici è comparabile con altri settori ben più sostenuti dalla pubblica amministrazione, come il teatro, la lirica e il cinema;
   promuovere l'arte di strada significa evidenziare il valore degli spazi urbani destinati alla vita sociale, rafforzare l'identità e la coesione all'interno delle comunità, incrementare l'attività turistica locale e quindi anche il settore occupazionale;
   la storia della cultura nasce in strada e aprire le strade agli artisti permette anche di avvicinare la cultura ai cittadini. Gli artisti di strada sono visti spesso come un problema di ordine pubblico, mentre la loro presenza concorre anche a riqualificare lo spazio urbanistico a loro assegnato, rivitalizzando vecchie e nuove aree delle città e rendendole più attrattive per i turisti –:
   quali iniziative il Ministro intenda intraprendere al fine di rispondere alle domande di contributo che la Federazione nazionale artisti di strada ha più volte rivolto al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, affinché la cultura non sia più considerata una spesa, quanto piuttosto un investimento per l'economia nazionale, aprendo così un dialogo con coloro che, mediante le proprie doti artistiche, contribuiscono a valorizzare i nostri centri storici e a portare un'immagine positiva dell'Italia e nel mondo. (4-03463)

DIFESA

Interrogazione a risposta immediata in Commissione:
IV Commissione:


   ARTINI, FRUSONE e RIZZO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il MoVimento 5 Stelle è da tempo impegnato sulla questione riguardante le operazioni di avvio dello sversamento delle acque di raffreddamento del reattore nucleare sperimentale della Marina militare (Cisam – Centro interforze studi e applicazioni militari) di S. Piero in Grado (Pisa);
   oltre alla distillazione delle acque del reattore e all'operazione di sversamento, come metodo alternativo è prevista la possibilità di stoccare l'acqua in fusti di metallo piombati al cui interno unire malta cementizia all'acqua distillata;
   l'operazione riguarda materiale acquoso contenente parti di radionuclidi, conteggiate in trizio, e sta suscitando allarme nella popolazione residente nelle zone interessate;
   la direttiva 2011/70/Euratom del Consiglio dell'Unione europea del 19 luglio 2011, al punto 31 dei considerando, definisce anche i doveri di informazione verso le popolazioni e il dovere di coinvolgimento nelle decisioni delle autorità locali interessate;
   la convenzione di Aarhus (convenzione sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale), ratificata dall'Italia, è uno strumento internazionale volto a garantire all'opinione pubblica e ai cittadini il diritto alla trasparenza e alla partecipazione in materia di processi decisionali di governo locale, nazionale e transfrontaliere concernenti l'ambiente;
   il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, all'articolo 3-ter, sancisce la previsione del principio di precauzione; l'Agenzia internazionale dell'energia atomica regola le disposizioni sulle pratiche di dismissione; il decreto legislativo n. 230 del 1995, recante «Attuazione delle direttive 89/618/Euratom, 90/641/Euratom, 96/29/Euratom, 2006/117/Euratom in materia di radiazioni ionizzanti e 2009/71/Euratom, in materia di sicurezza nucleare degli impianti nucleari», fissa le regole generali in materia di radiazioni ionizzanti ivi comprese tutte le attività che riguardano i rifiuti nucleari;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 24 giugno 2005, n. 183, recante «Regolamento di sicurezza nucleare e protezione sanitaria per l'Amministrazione della difesa», attribuisce la competenza al Ministero della difesa, implicitamente escludendo quella dei Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dello sviluppo economico, del lavoro e delle politiche sociali, della salute e dell'interno e gli enti locali –:
   quale sia la motivazione per la quale non è stato scelto di inglobare le relative acque in malta cementizia per uno stoccaggio permanente delle acque del reattore. (5-02069)

Interrogazione a risposta scritta:


   FANTINATI, BUSINAROLO e TURCO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 3o stormo da bombardamento venne costituito il 1o luglio 1944 presso l'Aeroporto di Campo Vesuvio (Napoli) e denominato 1o stormo Baltimore». Al termine del conflitto mondiale, nel giugno del 1945, lo stormo fu, dapprima, trasferito prima presso l'aeroporto di Guidonia (Roma) e dopo, dal 1o novembre del 1948, presso quello di Bari Palese, dove assunse la denominazione di «3o Stormo Caccia». Nel marzo del 1954, avvenne il trasferimento presso l'aeroporto di Villafranca (Verona) dove si insediò, ufficialmente, dal 1o luglio di quell'anno;
   il 19 luglio 1999, il 3o stormo diviene «reparto mobile di supporto» e da quell'anno, all'aeroporto militare di Villafranca, cessano tutte le attività e i voli degli aerei militari da caccia e da ricognizione, in quanto, nel settembre del 1997, il 28o gruppo, allora operativo, viene dismesso (tecnicamente collocato in «posizione quadro») e nel settembre del 1999, il 132o gruppo viene trasferito all'aeroporto di Istrana (TV);
   il 2 maggio 2008, il «reparto mobile di supporto» viene ridenominato in 3o stormo «supporto operativo». L'11 settembre 2008, l'aeroporto di Villafranca, da aeroporto militare aperto al traffico civile, diventa aeroporto civile appartenente allo Stato, aperto al traffico militare;
   il 31 luglio 2010, a seguito di un decreto dei Ministri della difesa, delle infrastrutture e dei trasporti e dell'economia e delle finanze, conseguente il decreto dell'11 settembre 2003, il compito di fornire parte dei servizi della navigazione aerea (servizio radar d'avvicinamento) dal 3o stormo «supporto operativo» di Villafranca è trasferito all'ENAV, mentre lo stormo continua a fornire il servizio di aerodromo (torre di controllo ed ufficio informazioni volo). Dal 15 ottobre del 2012, il 3o stormo «supporto operativo» è stato ridenominato «3o stormo di Verona Villafranca»;
   il 3o stormo dipende dal vice comandante del comando logistico AM (Roma) e ha sede sull'aeroporto di Villafranca di Verona. Attualmente lo stormo ha il compito principale di assicurare le capacità di «sopravvivenza operativa» e il «sostegno logistico» ai reparti e alle componenti mobili del sistema di comando e controllo proiettati a operare al di fuori delle proprie sedi stanziali. Inoltre, cura la predisposizione di procedure, metodologie, attrezzature idonee a ottimizzare e razionalizzare l'attività delle dipendenti articolazioni in occasioni di rischieramenti campali, assicurando la manutenzione degli equipaggiamenti e attrezzature in dotazione;
   attualmente lo stormo rappresenta l'unità di supporto operativo principale per l'invio nella fase «expeditionary» di:
    deployment Team per l'allestimento del campo sino al raggiungimento dell'IOC (enabling party);
    re-deployment Team per la chiusura del campo a termine operazione (closing party);
   in tale quadro, il 3o stormo assicura, in completa autonomia o con il concorso di altre unità (4o reparto tecnico manutentivo, infermeria principale di Villafranca, 27o gruppo genio campale), i necessari approntamenti logistico-operativi per fornire le componenti combat service support (CSS) base servicing, CIS, genio campale (ENG), gestione transiti aeroportuali (AOU/ATOC/CATO), operazioni linea di volo (RWY OPS e Cross Servicing), antincendi (CFR), supporto sanitario (MED), assistenza al volo, controllo traffico aereo e meteo (ATC/MET), rifornimento campale (POL/OX), protezione delle forze e difesa CBRN (FP-C2, CD e COLPRO), sala operativa di base (WOC), national support element (NSE);
   il 3o stormo è responsabile, inoltre, della gestione amministrativa e contabile delle attività legate alle operazioni nazionali ed internazionali, con particolare riferimento all'acquisizione di beni e servizi da impiegare fuori sede, e al flusso di contanti per le esigenze dei reparti schierati fuori area;
   in ambito prettamente nazionale, lo stormo è attualmente designato anche quale aeroporto di imbarco e sbarco (APOD ed APOE) principalmente per il materiale destinato ai teatri fuori area, fornendo di conseguenza le attività di ATOC (air terminal operation center) per velivoli militari e «wide body» commerciali noleggiati dalla difesa. Attraverso il centro addestrativo personale fuori area, provvede alla formazione di tutto il personale dell'Aeronautica militare di previsto impiego in operazioni fuori dai confini nazionali. Infine, lo stormo continua a fornire il servizio di aerodromo;
   l'aeroporto militare, detto «di Villafranca», è così denominato perché il comando del 3o stormo, le caserme per i militari e il «Villaggio Azzurro» (dove risiedono le famiglie dei dipendenti civili e militari) sono tutti ubicati nel comune di Villafranca;
   in realtà, più di metà della pista principale dell'aeroporto, più di quattro quinti della superficie della pista di rullaggio e tutte e tre le «Margherite» dove si sono svolte e si svolgono tutte le attività aeromilitari e dove erano di base il «28o gruppo» e il «132o gruppo» sono ubicati nel territorio del comune di Sommacampagna e pertanto, circa l'80 per cento dell'intero sedime del aeroporto militare di Villafranca, è ubicato in prossimità del centro abitato di Caselle di Sommacampagna, la cui popolazione, dal 1954 al 1999, ha subito tutti gli impatti ambientali (aria e rumore) che hanno generato le attività aero militari (prove motori e decolli di aerei da caccia e ricognizione);
   anche il sedime dell'aeroporto civile «Valerio Catullo», detto di Villafranca, per l'80 per cento insiste sul territorio del comune di Sommacampagna (area sosta aerei, aerostazione, edifici di servizio e parcheggi) e sul territorio di Villafranca ci sono solo i parcheggi delle auto prossimi all'ingresso;
   recentemente è stato approvato il «piano di rischio aeroportuale» dell'aeroporto civile (aree interessate del comune di Villafranca); detto piano è stato sottoposto a verifica di assoggettabilità e alla Vas – la valutazione ambientale strategica, e dal verbale della commissione regionale VAS n. 113 del 30 ottobre 2012, si apprende il parere favorevole è stato concluso con raccomandazione: «Atteso che il piano riduce il potenziale aumento di consumo del suolo e favorisce il mantenimento delle specificità ecologiche e la conservazione del paesaggio rurale, al fine di promuovere l'evoluzione del paesaggio stesso verso obiettivi di migliore qualità, si suggerisce di potenziare l'inserimento di aree a verde limitrofe ai centri abitati e alle zone residenziali e di potenziare gli aspetti ecologici del paesaggio con la riqualificazione a verde delle sponde dei canali irrigui con specie vegetali autoctone, nonché di potenziare le qualità ecologiche con l'introduzione, dove è possibile, di zone a rimboschimento»;
   il 20 gennaio 2014, la società Aeroporto Valerio Catullo spa ha diffuso un comunicato stampa a titolo: «Efficienza energetica e attenzione all'ambiente come investimento strategico. Avviato un percorso eco-sostenibile che coinvolge la struttura aeroportuale e i suoi partner» dal quale si estraggono questi paragrafi:
  «Nello sviluppo dell'attività dell'aeroporto di Verona, Catullo Spa è impegnata per una crescita che sia compatibile con l'ambiente e il territorio circostante, attraverso il confronto con gli Enti Locali, l'ARPAV e il territorio. La tutela dell'ambiente è parte della politica di sviluppo della società, attraverso il monitoraggio continuo degli effetti delle attività aeroportuali (come aria, rumore e rifiuti) e il supporto alla pianificazione e manutenzione di infrastrutture più green, grazie a nuove tecnologie e materiali. Lo scorso anno sono state attuate numerose iniziative a tutela dell'ambiente e di sensibilizzazione, che hanno comportato adeguamenti infrastrutturali, nuove attività di monitoraggio e coinvolto lo staff dell'aeroporto e i partner. Ottemperando la normativa, per l'ottenimento della gestione totale e con il passaggio dello scalo da aeroporto militare a civile, la società ha predisposto il Piano di Sviluppo Aeroportuale (PSA) che progressivamente tiene conto delle esigenze di adeguamento ai flussi di traffico e richieste di modifica da parte dei comuni limitrofi. Il Piano di Sviluppo Aeroportuale, che la società di gestione sta valutando con ENAC (l'Ente Nazionale per l'Aviazione Civile, unica Autorità di regolazione tecnica, certificazione, vigilanza e controllo nel settore dell'aviazione civile in Italia), recepisce anche le linee guida del piano industriale approvato dai Soci. Solo dopo una definitiva approvazione del piano di sviluppo, ENAC attiverà la procedura presso il Ministero dell'ambiente per la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), come avviene per gli altri aeroporti, e non per la Valutazione Ambientale Strategica (VAS), in piena coerenza con gli indirizzi della Commissione Europea e secondo approcci metodologici condivisi con il Ministero dell'ambiente –:
   se le attività aeromilitari ora presenti nell'aeroporto militare di Villafranca e svolte dal 3o stormo (quasi tutte effettuate sul territorio del comune di Sommacampagna) verranno dismesse e trasferite ad altra base aeromilitare nell'ottica di «spending review»;
   se, nel 2008, una parte del sedime dell'aeroporto militare sia già stata trasferita al Demanio civile e, in caso affermativo e vista la predisposizione da parte della Catullo spa del nuovo piano di sviluppo aeroportuale, quali altre aree aero-militari verranno trasferite al Demanio civile;
   qualora parte delle attività aero-militari dovessero rimanere operative presso l'aeroporto di Villafranca, se non si ritenga di concentrarle in aree ben delimitate (ad esempio, nella «Margherita Sud»), al fine così di recuperare aree ad usi civili e per la realizzazione di opere di mitigazione ambientale da poter realizzare nella «Margherita Centrale» e nella «Margherita Nord»;
   qualora parte delle attività aero-militari dovessero rimare operative presso l'aeroporto di Villafranca, quali altri interventi, come opere di compensazione ambientale, oltre a quelle di mitigazione ambientale, possano essere realizzate a sollievo della popolazione di Caselle di Sommacampagna. (4-03461)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARCHI, INCERTI, GANDOLFI e IORI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel 2011, di fronte all'emergenza che ha evidenziato l'insufficienza dei centri di accoglienza per accogliere i profughi libici, il Governo ha chiesto la collaborazione di regioni ed enti locali;
   diversi enti territoriali, tra cui la provincia di Reggio Emilia e molti comuni reggiani, hanno risposto positivamente a tale richiesta, sottoscrivendo uno specifico contratto con la protezione civile regionale dell'Emilia Romagna;
   a emergenza ormai superata e a distanza di due anni e mezzo lo Stato non ha ancora provveduto a liquidare tutte le somme dovute ai comuni;
   nella sola provincia di Reggio Emilia ben ventidue comuni, una unione di comuni e la provincia sono in attesa di tale liquidazione ammontante a euro 1.152.433,47;
   in sostanza nei primissimi mesi si è provveduto alla liquidazione nei tempi concordati, mentre nell'ultimo anno non si e più pagato nulla, salvo l'ultimissimo periodo da parte della prefettura;
   il contratto con la protezione civile regionale prevede la liquidazione delle somme dovute solo dopo averle incassate dal Ministero –:
   in che tempi si preveda di completare i pagamenti agli enti locali reggiani e agli altri enti locali che si sono fatti carico dell'emergenza relativa ai profughi libici. (5-02068)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ROSATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 10 aprile 2012 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale, un bando di concorso pubblico del comando generale della Guardia di finanza per titoli ed esami, per il reclutamento di 750 allievi finanzieri della Guardia di finanza, riservato ai volontari in ferma prefissata di un anno o quadriennale ovvero in rafferma annuale delle Forze armate;
   per quanto attiene al contingente ordinario la graduatoria riporta 1.346 candidati idonei di cui 562 vincitori da arruolare direttamente nella Guardia di finanza, 98 vincitori da avviare alla ferma prefissata nelle Forze Armate e 659 idonei in soprannumero;
   in una risposta del Sottosegretario ad un precedente atto di sindacato ispettivo (4-00346), il comando generale della Guardia di finanza aveva riferito che l'amministrazione aveva deciso di «salvaguardare tutti i vincitori di concorso mantenendo inalterato il numero dei posti a concorso, dovendo, tuttavia scaglionare l'incorporamento in più anni a causa delle risorse finanziarie che si (sarebbero rese) disponibili nelle successive annualità»;
   il mutato quadro normativo ha visto in legge di stabilità 2014 incrementare il turn over al 55 per cento con riserva assunzionale per il Corpo della guardia di finanza di 600 unità nell'anno in corso;
   si ricorda che la graduatoria di merito finale è valida fino al 28 luglio 2014 (per effetto dell'articolo 7, comma 2 del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 199) e, comunque, prorogata al 31 dicembre 2016 (per effetto del cosiddetto decreto D'Alia) e consente, quindi, di poter procedere ad immediate assunzioni conseguendo un risparmio di spesa per l'amministrazione, rispetto ad altre e diverse soluzioni;
   all'interrogante preme ricordare che l'attività di lotta all'evasione fiscale – portata avanti dalla Guardia di finanza – è particolarmente importante e dirimente alla luce degli allarmi lanciati anche dalle istituzioni europee sul peso economico degli evasori. Peraltro, le azioni della Guardia di finanza appaiono al centro dell'azione governativa, intenzionata a ridurre il carico fiscale gravante sulle famiglie ma a fronte di un rafforzamento delle misure di controllo da parte delle autorità competenti –:
   se l'amministrazione, alla luce dell'aumento del turn over, intenda procedere con le assunzioni dei candidati vincitori ancora non assunti, idonei non vincitori e delle seconde aliquote dell'ultimo concorso per l'arruolamento di 750 allievi finanzieri bandito il 10 aprile 2012;
   quali tempi preveda il Ministro per l'avvio ai corsi degli allievi di cui in premessa. (4-03455)


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da diverso tempo si registra su tutto il territorio nazionale il moltiplicarsi di disservizi nella consegna della posta, con grave danno dell'utenza la quale si vede recapitare quest'ultima con molti giorni di ritardo;
   tali disagi, se connessi ad attività commerciali sono ancora più dannosi, dato che, ad esempio, chi riceve in ritardo la corrispondenza inerente a fatturazioni deve pagarne la relativa mora, essendo per lui impossibile dimostrare quando effettivamente gli sia stata consegnata detta corrispondenza;
   molti di questi problemi potrebbero essere risolti mediante l'apposizione di due timbri-data, uno al momento della spedizione e l'altro al momento della consegna, a tutta la corrispondenza gestita da Poste italiane s.p.a., in modo da consentire al destinatario di conoscere la data della spedizione e di dimostrare quando ha realmente ricevuto la corrispondenza;
   alla luce di tali disservizi, i costanti aumenti del costo dei servizi postali diventano ancora più intollerabili, oltreché inspiegabili –:
   di quali informazioni disponga il Ministro interrogato sui fatti esposti in premessa;
   se non reputi necessario, data la gravità della situazione, assumere ogni iniziativa di competenza, al fine di far assumere a Poste italiane adeguati protocolli operativi, inclusa l'apposizione di timbri-data inerenti all'accettazione e alla consegna di tutta la posta. (4-03457)


   BORGHI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con l'avvento del digitale terrestre numerosi territori periferici, tra i quali i territori di montagna, risultano avere numerosi e gravi disservizi dovuti all'assenza di segnale, con intere vallate e paesi alpini ed appenninici totalmente isolati dal punto di vista della ricezione del segnale digitale;
   tali disservizi sono stati oggetto di una specifica indagine conoscitiva realizzata da Corecom Piemonte a partire dal mese di settembre volta all'individuazione delle cosiddette «zone al buio»;
   è di queste ore un'iniziativa di protesta promossa da Uncem Piemonte e supportata da numerosi amministratori locali delle Terre Alte della regione Piemonte volta a sottolineare l'inadeguatezza del servizio su ampie porzioni di territorio piemontese e nazionale;
   nelle scorse settimane i vertici Rai hanno deciso di cancellare dal palinsesto delle trasmissioni il Tgr Montagne, nonostante un'ampia mobilitazione dei parlamentari dell'intergruppo parlamentare per lo sviluppo della montagna che ha promosso diverse interrogazioni parlamentari volte a bloccare questa incomprensibile decisione;
   questa scelta ha comportato un'ulteriore indebolimento della qualità dell'informazione e del servizio pubblico nei territori di montagna;
   le decisioni sopracitate unitamente alle mancate decisioni in merito ad interventi di ammodernamento delle infrastrutture digitali in montagna comporta un progressivo e sempre più grave aumento del «divario digitale» tra le zone periferiche del nostro Paese ed i centri urbani;
   tale aumento rappresenta un indubbio grave danno alle popolazioni abitanti i territori marginali che non si vedono riconosciuti diritti e pari opportunità di crescita e sviluppo rispetto alle aree più urbanizzate del nostro Paese –:
   se non ritengano di assumere iniziative affinché sia posto fine a questo sempre maggiore digital divide tra territori urbani e territori montani;
   se non ritengano al fine di procedere nel senso sopraindicato di promuovere una mappatura nazionale di tutte le zone che con il passaggio dal sistema analogico a quello digitale risultano essere in condizioni di forte criticità;
   se non ritengano, a fronte dei dati emersi, di promuovere un piano di ammodernamento delle infrastrutture digitali delle zone periferiche del nostro Paese affinché si possano garantire pari diritti di fruizione del servizio a tutti i territori nazionali. (4-03460)


   PETRINI, PETITTI, PICCIONE e PELILLO. —Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in Italia la commercializzazione dei prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri è regolata dalla legge n. 55 dell'8 aprile 2010, che prevede un sistema di etichettatura obbligatoria dei prodotti finiti e intermedi, destinati alla vendita, che evidenzi il luogo di origine di ciascuna fase di lavorazione e assicuri la tracciabilità dei prodotti stessi;
   l'introduzione di un marchio di origine rappresenta un risultato importante per i consumatori e per l'industria manifatturiera del nostro Paese in quanto risponde sia alla necessità di far osservare gli standard normativi in materia di sicurezza, lavoro e ambiente, sia al bisogno di tutelare le capacità artigianali del nostro settore manifatturiero, che caratterizzano il prestigio del «made in Italy» nel mondo;
   in ambito comunitario, già nel 2005, a seguito di consultazioni con i Paesi membri e all'interno del Comitato 133, l'allora Commissario europeo al commercio, Peter B. Mendelson, propose l'introduzione di un Regolamento europeo con l'obiettivo di disciplinare la marcatura di origine obbligatoria per i prodotti importati nell'Unione Europea da Paesi terzi;
   da allora, la proposta legislativa è stata sottoposta all'esame del Parlamento europeo che, nell'ottobre del 2010, ha approvato a larghissima maggioranza il testo in prima lettura (relazione onorevole Muscardini), mentre all'interno del Consiglio dell'Unione europea non è mai emersa una maggioranza favorevole alla sua adozione;
   ciò che impedisce a questa proposta di diventare Regolamento è l'opposizione da parte di 15 Paesi del Nord Europa, capeggiati dalla Germania e dalla Gran Bretagna, che pongono un freno all’iter di approvazione;
   questi Paesi, non essendo produttori di beni manufatti, sostengono che l'etichettatura obbligatoria sia una misura discriminatoria nei confronti dei beni prodotti al di fuori del continente europeo e che sia insufficiente a garantire la sicurezza del consumatore; nonostante la situazione di impasse, nel 2013, il Parlamento e la Commissione europea hanno approvato, a grande maggioranza, la proposta del Vice presidente della Commissione e Commissario all'industria, Antonio Tajani e del Commissario alla salute, Tonio Borg, di riordinare le norme sulla tutela e sicurezza dei consumatori;
   in particolare, la richiesta dei 15 di eliminare l'articolo 7 della proposta di Regolamento, che disciplina l'obbligo per i fabbricanti e per gli importatori di apporre l'indicazione del Paese di origine del prodotto non solo per i Paesi terzi, ma anche per quelli europei, è stata prontamente respinta dai Paesi favorevoli al «made in»;
   se da un lato, la difesa dell'articolo 7, assicura parità di condizioni tra i produttori europei e quelli di Paesi terzi, quali Stati Uniti, Cina e Giappone, che già dispongono di una legislazione analoga, dall'altro, sottolinea quanto siano importanti nel mercato globale il diritto di informazione dei consumatori e la tutela delle regole per il mondo dell'impresa manifatturiera, soprattutto in un Paese come l'Italia in cui il fenomeno della contraffazione del marchio, come dimostrato dalle indagini della guardia di finanza, rappresenta una vera e propria economia parallela;
   l'apposizione del marchio d'origine per i beni manufatti permette infatti agli imprenditori di difendersi dalla concorrenza di chi immette sul mercato prodotti di bassa qualità o contraffatti, che aggrediscono la struttura manifatturiera, rafforzano le mafie, il sommerso, l'evasione e in alcuni casi aumentano anche i rischi per la salute;
   il mercato calzaturiero, in cui l'Italia è leader indiscusso con le sue 5.356 aziende e 79.254 addetti (dati del 2012), e un saldo commerciale da sempre attivo, è uno tra i comparti che più risente della contraffazione dei marchi e del falso;
   secondo le stime dell'Associazione nazionale calzaturifici italiani, ANCI, la perdita di fatturato annua per i soli produttori ammonta a 240 milioni di euro con conseguente perdita di posti di lavoro, non solo per le grandi aziende, ma soprattutto per le piccole e medie imprese;
   sebbene l'Agenzia delle dogane, abbia registrato nel triennio 2008-2010, un forte calo nel numero di sequestri di scarpe contraffatte, è anche vero che, secondo una ricerca realizzata da Convey nel 2013, su incarico del Ministero dello sviluppo economico, su 54 importanti marchi del settore calzature, è stata registrata una forte propensione alla contraffazione via Internet –:
   quali misure il Governo intenda adottare al fine di tutelare le imprese manifatturiere italiane e quali strategie adotterà per superare l'opposizione dei Paesi del Nord Europa e quindi sollecitare l'adozione del regolamento in materia di etichettatura obbligatoria di origine, oggetto di votazione in sede comunitaria nel marzo 2014. (4-03462)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'istituto penitenziario di Chieti ha un sovraffollamento della popolazione carceraria del 33 per cento avendo una capienza massima di 81 detenuti mentre quelli ospitati sono 111;
   ciò determina un livello inaccettabile delle condizioni di vita dei detenuti;
   nell'ultimo anno si è verificato 1 tentativo di suicidio e 1 atto di grave autolesionismo tra i detenuti;
   il personale di polizia penitenziaria subisce le difficoltà derivanti dal sovraffollamento della popolazione carceraria con turni e condizioni di lavoro pesanti –:
   quali iniziative intenda intraprendere per riportare entro i limiti di capienza massima la popolazione carceraria dell'istituto penitenziario di Chieti.
(4-03450)


   MELILLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'istituto penitenziario di Avezzano (L'Aquila) ha un sovraffollamento della popolazione carceraria del 39,20 per cento avendo una capienza massima di 8;
   51 detenuti mentre quelli ospitati sono 71;
   ciò determina un livello inaccettabile delle condizioni di vita dei detenuti;
   nell'ultimo anno si sono verificati 4 tentativi di suicidio e ben 26 atti di grave autolesionismo tra i detenuti;
   il personale di polizia penitenziaria subisce le difficoltà derivanti dal sovraffollamento della popolazione carceraria con turni e condizioni di lavoro pesanti –:
   quali iniziative intenda intraprendere per riportare entro i limiti di capienza massima la popolazione carceraria dell'istituto penitenziario di Avezzano.
(4-03451)


   AMATO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   le misure di sicurezza detentive, frutto dell'indirizzo di una parte del pensiero giuridico in voga ormai oltre un secolo fa, risultano problematicamente compatibili con un sistema penale moderno; tuttavia, rispondendo esse essenzialmente ad una richiesta securitaria, particolarmente evidente in periodi di crisi economica, si vedono riconosciute una inattesa attualità. Di fatto esse si sono ridotte, nella stragrande maggioranza dei casi, a contenitori di situazioni di disagio e talvolta di sofferenza psico-fisica o addirittura di pauperismo che non riescono a trovare adeguate risposte nei servizi territoriali. Problema quest'ultimo notoriamente accentuatosi nell'ultimo scorcio di storia, a causa della perdurante «ritirata» dei presidi dello stato sociale;
   tuttavia, se alle misure di sicurezza (detentive), nonostante il continuo intervento della Consulta che più volte ne ha modificato l'impianto normativo originario, va ancora riconosciuta cittadinanza nel sistema sanzionatorio italiano, è evidente che tale riconoscimento è subordinato all'adempimento del precetto istituzionale che ne fonda l'essenza e lo scopo. L'istanza riabilitativa, infatti, per una casa di lavoro, si concretizza essenzialmente nella possibilità di attività lavorative, che non si riscontra nella casa di lavoro di Vasto, in quanto:
    nei mesi di aprile-maggio 2013 su decisione del Ministero della giustizia — dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, in attuazione del progetto dei circuiti penitenziari regionali, la casa circondariale di Vasto mutò la propria destinazione istituzionale, assumendo quella di casa di lavoro per internati sottoposti alla corrispondente misura di sicurezza detentiva;
    alla predetta struttura furono destinati i circa 180 internati provenienti dalla omologa di Sulmona, a sua volta destinata totalmente a reclusorio di condannati del circuito differenziato alta sicurezza;
    tale cambiamento repentino non è stato né preceduto né seguito sollecitamente da una riorganizzazione delle attività lavorative destinate agli internati, che comunque nella struttura sulmonese erano impegnati in laboratori di sartoria e calzoleria;
    il programmato insediamento nell'istituto vastese di una lavorazione di sartoria sta incontrando notevoli rallentamenti: dapprima è stata scartata l'ipotesi di adattare a tale bisogna almeno una parte dell'esistente magazzino, a seguito di eventuale adeguamento impiantistico; successivamente, la proposta della costruzione di un nuovo manufatto da adibire originariamente a sede di laboratorio di sartoria e ancora in fase progettuale, al punto da richiedere un'apposita procedura di rinvio al successivo esercizio finanziario l'utilizzo di fondi (circa euro 250.000) che comunque erano già disponibili nel bilancio 2013;
    il nuovo progetto risulta ancora in fase di elaborazione, e nel frattempo sarebbero aumentati i relativi costi, arrivati a circa 350.000 euro; tuttavia non è ancora verosimilmente ipotizzabile una data di avvio dei lavori, mentre invece sono state concluse le procedure per l'acquisto dei macchinari, consegnabili entro il prossimo settembre 2014;
   sussiste una imprescindibile esigenza che gli internati della casa di lavoro svolgano un'attività lavorativa, e a poco rileva che nel frattempo circa 20 di essi siano impegnati in attività lavorative esterne –:
   quali siano i tempi previsti per la definitiva realizzazione dell'elaborando Laboratorio di Sartoria presso la casa di lavoro di Vasto, che permetterà finalmente l'avviamento al lavoro di un numero considerevole di internati ivi ristretti. (4-03453)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CATALANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Confederazione elvetica ha messo a punto un programma di intervento per la maggior sicurezza delle strade;
   il 15 giugno 2012 è stato approvato il secondo pacchetto vis Sicura;
   il nuovo pacchetto di misure «vis Sicura» per il quale si trovano informazioni ulteriori al seguente link: non prevede cambiamenti riguardo al riconoscimento di permessi stradali;
   si apprende dalla stampa che la Confederazione ha tolto l'equipollenza tra le patenti di valenza europea e quelle svizzere;
   è previsto che tutti i conducenti provenienti dai paesi dell'Unione europea che circoleranno al di fuori dei confini nazionali, debbano avere una patente su cui siano esplicitamente indicate le lettere A o A1, corrispondenti alle licenze per moto e scooter;
   possono tuttavia insorgere problemi legati al fatto che le patenti italiane rilasciate precedentemente del 1985 non indicano chiaramente la validità estesa ai motoveicoli;
   di conseguenza a partire da gennaio, le patenti rilasciate prima del 1985 dovranno essere aggiornate con l'apposizione dei codici per evitare possibili problemi ai motociclisti che attraversano il confine;
   in caso di mancato adeguamento si potrebbe incorrere nella contravvenzione di guida senza patente;
   vi sono numerosi cittadini italiani che attraversano quotidianamente il confine con un mezzo a due ruote;
   risulterebbe all'interrogante che le modifiche succitate non sarebbero state sufficientemente comunicate ai diretti interessati;
   in caso di incidente potrebbero verificarsi problemi –:
   se ciò corrisponda al vero;
   cosa intenda fare nei rapporti bilaterali con la Svizzera. (5-02063)

Interrogazione a risposta scritta:


   MOSCATT. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il sistema viario della regione Sicilia, presenta molte carenze sul piano della sicurezza ed infrastrutturale, specie per quanto riguarda i principali assi viari che collegano i principali punti di interesse;
   la strada statale 624 Palermo-Sciacca (SS 624), importante arteria stradale, che attraversa le province di Palermo, Agrigento, Trapani e interessa 24 comuni della Valle del Belice e dello Jato, nei 37 anni dalla sua apertura ha registrato una lunga serie di incidenti, solo nell'anno 2013 il bilancio delle vittime ammonta a 12 morti;
   nel solo mese di gennaio 2014, nel tratto di strada summenzionato, si sono già registrati altri gravi incidenti;
   la Fondovalle Palermo-Sciacca risulta, infatti, molto pericolosa a causa dell'alternanza tra tratti a due corsie e a una corsia, che si ripetono durante il tragitto;
   il manto stradale della strada statale 624, inoltre, si presenta in diversi tratti inadeguato e dissestato, sono presenti anche avvallamenti, dunque a seconda delle condizioni climatiche il livello di pericolosità aumenta notevolmente;
   analoghe considerazioni posso farsi anche per altri importanti assi viari che collegano le principali città della Sicilia, come la strada statale 115 Sud Occidentale Sicula, che attraversa la regione da Trapani a Siracusa, passando per l'agrigentino;
   la provincia di Agrigento, in particolare, patisce l'inadeguatezza delle infrastrutture di collegamento con le città più importanti della regione e gli aeroporti di Palermo, Trapani, Comiso e Catania;
   tale carenza di infrastrutture rappresenta indubbiamente un freno per il pieno sviluppo e della valorizzazione delle risorse turistiche, portuali, produttive e commerciali della provincia di Agrigento;
   solo un anno fa, a causa delle insistenti piogge invernali, crollava il ponte «Verdura» che collega Sciacca e Ribera, producendo un grave pregiudizio per le comunità del luogo, le attività agricole (Ribera è un'importate centro per la produzione di arance) e dei collegamenti viari;
   il potenziamento e la messa in sicurezza della rete viaria siciliana in generale e più nello specifico quella agrigentina, dunque è un importante punto di partenza per il rilancio e lo sviluppo dell'intera isola;
   dagli organi di stampa si apprendono con vivo interesse le parole del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il quale ha dichiarato che: «Il Sud e la Sicilia non sono un pezzo del Paese e non sono un peso sulla crescita, ma sono un tassello per far tornare l'Italia a guardare con positività al proprio futuro»;
   si concorda con quanto dichiarato espressamente dal Ministro, ovvero che: «Serve dunque un cambio di passo e quindi partire dalle risorse che ci sono e iniziare a spenderle» –:
   se siano effettivamente previsti investimenti per il potenziamento della rete viaria siciliana; se, ove previsti tali investimenti, riguardino la strada statale 624 Sciacca-Palermo e la strada statale 115 Sud Occidentale Sicula;
   se non ritenga in ogni caso di intervenire per il potenziamento e la messa in sicurezza della rete viaria che collega strategicamente la provincia di Agrigento con i porti, gli aeroporti ed i principali centri della regione siciliana. (4-03449)

INTERNO

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni molti comuni campani sono stati sciolti per infiltrazioni di carattere malavitoso;
   tra questi vi sono i comuni di Casal di Principe, San Cipriano d'Aversa, Casapesenna e Castel Volturno, nella provincia casertana, centri assai noti per vicende legate alla criminalità organizzata;
   nelle stesse condizioni vi è anche il comune di Pagani, in provincia di Salerno;
   tali scioglimenti sono avvenuti attraverso l'emanazione di decreti del Presidente della Repubblica a norma dell'articolo 143 del decreto legislativo del 18 agosto 2000, n. 267;
   in particolare, il comune di Castel Volturno è stato sciolto il 17 aprile 2012 con decreto registrato alla Corte dei conti il 20 aprile 2012;
   anche il comune di Casal di Principe è stato sciolto il 17 aprile 2012 con decreto registrato alla Corte dei conti il 20 aprile 2012, e lo stesso vale per quanto riguarda il comune di Casapesenna;
   il comune di San Cipriano d'Aversa è stato invece sciolto il 10 agosto 2012;
   il comune di Pagani, infine, è stato sciolto il 30 marzo 2012 –:
   se ritenga che il risanamento delle suddette istituzioni locali nelle quali sono state riscontrate forme di condizionamento da parte della criminalità organizzata possa dirsi effettivamente completato;
   quali iniziative di competenza, in tal caso, intenda adottare affinché sia assicurato al più presto il diritto al voto delle cittadinanze di codesti comuni, attraverso elezioni da tenersi in occasione della prima tornata elettorale utile.
(2-00402) «Scotto, Giancarlo Giordano, Ragosta».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FABBRI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i vigili del fuoco costituiscono una risorsa indispensabile per fronteggiare le emergenze, piccole o grandi che siano, di un territorio;
   con la costituzione delle colonne mobili per le emergenze di protezione civile il personale a disposizione dei vari comandi regionali dei vigili del fuoco può essere chiamato ad intervenire in altre regioni colpite da gravi calamità;
   gli interventi di questo tipo sono normati dal Contratto collettivo nazionale di lavoro dei vigili del fuoco (articolo 35 e articolo 37) e dalla circolare EM 01/2011;
   negli scorsi mesi la colonna mobile dell'Emilia Romagna è stata chiamata ad intervenire nelle emergenze verificatesi in Sardegna, Marche e Abruzzo e di recente nelle zone del modenese in particolare con nove uomini e relativi mezzi provenienti dal comando provinciale di Bologna;
   la disposizione che consente il richiamo in servizio di una parte del personale inviato in missione, precisamente il 60 per cento ha provocato la chiusura forzata di alcuni distaccamenti per l'impossibilità di utilizzare tutti i mezzi di soccorso disponibili;
   allo stato attuale appare difficile regolamentare le micro emergenze, che ormai caratterizzano con cadenza quasi giornaliera il lavoro dei vigili del fuoco, rispetto alle specifiche norme contrattuali previste per la gestione delle grandi calamità –:
   se le unità di personale dei vigili del fuoco inviate in soccorso delle popolazioni di Sardegna, Marche e Abruzzo sono state regolarmente sostituite come previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro, da quali tipologie di figure professionali e con quali modalità;
   se sia stata concessa la possibilità di prestare lavoro straordinario al personale richiamato per sostituire le unità inviate in emergenza e se ciò abbia determinato una riduzione del livello del servizio di soccorso e della sicurezza sul territorio di Bologna. (5-02064)


   MAGORNO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 16 gennaio 2014 si è tenuto a Borgia (Catanzaro) il consiglio comunale in merito alla vicenda relativa alla realizzazione della discarica in località «Battaglina»;
   al termine della seduta, un gruppo di facinorosi ha impedito l'uscita degli amministratori dal palazzo di città aggredendoli e rendendosi responsabili di lesioni nei confronti di alcuni loro familiari;
   l'amministrazione comunale di Borgia, al fine di garantire la partecipazione democratica di tutti i cittadini ai lavori del consiglio, ha proceduto all'installazione di un maxi schermo all'esterno del municipio;
   un analogo episodio di violenza è accaduto il 3 gennaio 2014 anche a San Floro (Catanzaro), sempre a conclusione di una seduta del consiglio comunale;
   a parere dell'interrogante si tratta di gravi atti di intolleranza e di inciviltà, lesivi della libertà di istituzioni democraticamente elette –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto e quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, intenda attivare per favorire l'accertamento di quanto accaduto e per individuare i responsabili materiali, ed eventuali mandanti, delle aggressioni;
   quali fossero i dispositivi di sicurezza posti in essere, anche in considerazione della delicatezza dei temi trattati e, se, per evitare il ripetersi di tali incidenti, si intendano adottare, in sede di competente comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica, dispositivi maggiormente efficaci finalizzati al corretto svolgimento delle sedute di consiglio comunale. (5-02066)

Interrogazioni a risposta scritta:


   TOFALO, MANNINO, SIBILIA, LOREFICE e TERZONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la città di Sarno è considerata zona ad alto rischio idro-geologico e ha già pagato un tributo in vite coi suoi oltre 100 morti nel 1998 a causa di una spaventosa alluvione (Sarno e Quindici);
   fino a gennaio 2013 nel comune era presente in zona Episcopio, un presidio dei vigili del fuoco, il cui canone di locazione per la struttura veniva corrisposto dall'amministrazione comunale, sostenuta in questo dal Ministero dell'interno;
   alla richiesta del comune, rivolta al Ministero dell'interno, di farsi carico dell'intero del canone di locazione, è seguita la chiusura del presidio, a fronte della dichiarazione di detto Ministero di non voler far più fronte a questa spesa;
   nel mese di agosto 2013 dopo varie manifestazioni dei cittadini di richiesta della riapertura del presidio dei vigili del fuoco, il corpo forestale locale ha messo a disposizione dei locali per ospitarli;
   da un sopralluogo risalente ad agosto 2013, risulta che i suddetti locali, seppur nuovi, sono in condizione di totale degrado e abbandono;
   in seguito all'apertura della caserma a Mercato San Severino (SA), è montata l'indignazione dei cittadini, preoccupati di vedersi sottratta la presenza del corpo dei vigili del fuoco –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se e come intenda garantire ai cittadini del comune di Sarno, già colpiti da alluvioni e in zona ad alto rischio idrogeologico, la presenza permanente e in una sede idonea del corpo nazionale dei vigili del fuoco per la sicurezza dei cittadini. (4-03442)


   LOMBARDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 68 del decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile 1982, n. 335, recita: «...sulle questioni attinenti allo stato giuridico del personale direttivo e dirigente di cui al presente decreto legislativo si esprime il consiglio di amministrazione di cui alla lettera d) dell'articolo 146 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, modificato dalla legge 28 ottobre 1970, n. 775 e dalla legge 2 agosto 1975, n. 387. I rappresentanti elettivi del personale sono fissati in numero di quattro. Con decreto del Ministro dell'interno saranno dettate norme per l'elezione dei rappresentanti del personale, in modo da assicurare la presenza di almeno un funzionario appartenente al ruolo dei dirigenti o a quello dei commissari...»;
   l'articolo 9, comma 2) del decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487, individua le modalità di composizione delle «commissioni di avanzamento», enunciando chiaramente, ai sensi dell'articolo 6, lettera d) del decreto legislativo 23 dicembre 1993, n. 546, che sono esclusi i componenti dell'organo di direzione politica dell'amministrazione interessata, coloro che ricoprano cariche politiche o che siano che siano rappresentanti sindacali o designati dalle confederazioni ed organizzazioni sindacali o dalle associazioni professionali;
   lo scorso 28 giugno 2013 si è riunito il consiglio di amministrazione della Polizia di Stato che ha provveduto anche alla promozione del personale alle qualifiche di primo dirigente e di dirigente superiore;
   il Consiglio di amministrazione della polizia di Stato è presieduto dal Ministro dell'interno (che è un organo di direzione politica) e i suoi componenti sono: il Capo della Polizia – direttore generale della pubblica sicurezza, i capi dei dipartimenti per gli affari interni e territoriali, per le libertà civili e l'immigrazione, dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, per le politiche dell'amministrazione civile e per le risorse strumentali e finanziarie, nonché il vice direttore generale della pubblica sicurezza con funzioni vicarie;
   ai sensi dell'articolo 59, comma 6, del decreto legislativo 5 ottobre 2000, n. 334, la Commissione per la progressione in carriera del personale appartenente ai ruoli dei direttivi e dei dirigenti della polizia di Stato formula al consiglio di amministrazione la proposta di graduatoria di merito relativa ai funzionari scrutinati, sulla base dei criteri di valutazione determinati dal consiglio di amministrazione stesso su proposta della commissione, mentre il consiglio di amministrazione approva la graduatoria, motivando le decisioni eventualmente adottate in difformità rispetto alla proposta formulata dalla commissione;
   dalla norma sopra citata (articolo 59, comma 6, del decreto legislativo 5 ottobre 2000, n. 334), si evince in modo inconfutabile che il consiglio di amministrazione della polizia di Stato funge da vera e propria commissione d'esame per la promozione del personale scrutinato, in quanto la commissione di avanzamento si limita a proporre la graduatoria di merito degli scrutinandi allo stesso consiglio che approva ovvero motiva le decisioni eventualmente adottate in difformità dalla proposta avanzata, di fatto assumendo le vesti di organo decisionale per l'avanzamento in carriera parimenti ad una commissione d'esame;
   in base al descritto contesto normativo, la composizione del consiglio di amministrazione appare all'interrogante contra legem poiché in contrasto con il richiamato articolo 9, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487, in base al quale «la commissione esaminatrice deve essere composta esclusivamente da tecnici esperti nelle materie oggetto del concorso, scelti tra funzionari delle amministrazioni, docenti ed estranei alle medesime, che non siano componenti dell'organo di direzione politica dell'amministrazione interessata, che non ricoprano cariche politiche e che non siano rappresentanti sindacali o designati dalle confederazioni ed organizzazioni sindacali o dalle associazioni professionali»;
   quindi, il Ministro dell'interno non sembra legittimato a presiedere la commissione, in quanto organo di direzione politica;
   quella dello scorso 28 giugno 2013 è stata solo l'ultima – in ordine di tempo – delle promozioni effettuate con questo sistema che va avanti da anni –:
   quali iniziative, alla luce di quella che appare all'interrogante una grave antigiuridicità dei fatti esposti, il Ministro intenda adottare per risolvere alla radice questo conflitto che ha creato e crea continui e notevoli malumori e disincentivazione nel personale della polizia di Stato, a causa di mancanza di trasparenza nelle procedure. (4-03447)


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nelle prime ore del 19 gennaio 2014, sull'argine destro del Secchia, tra le sezioni di Ponte Alto e Ponte Bacchello, nei pressi della frazione San Matteo, si è aperta una breccia che ha fatto defluire le acque nella pianura circostante;
   la situazione che si presentava era la seguente: la sommità arginale, per un tratto di almeno 15 metri, risultava crollata e sormontata da una lama d'acqua che aveva già allagato le aree al piede dell'argine, confinanti con un paio di aziende. L'apertura è andata progressivamente aumentando, fino a circa 80 metri, a causa della pressione della corrente del fiume;
   gli allagamenti sono stati cospicui come documentato dagli organi di informazione;
   nell'opera di soccorso come sempre si sono distinti i reparti dei vigili del fuoco della zona;
   notizie di stampa riportano l'incredibile notizia che mentre gli stessi cittadini si rimboccavano le maniche per darsi da fare a favore della collettività, c’è chi non ha potuto farlo, come era già accaduto con il terremoto: il riferimento è per i vigili del fuoco volontari, che nella Bassa peraltro vantano due importanti distaccamenti, uno a Finale e l'altro a Mirandola, con i quali collaborano numerosi volontari, ormai esperti anche di emergenza;
   a quanto consta all'interrogante a questi volontari che hanno a disposizione mezzi e competenze (nella vita civile sono lavoratori, laureati, tecnici), sarebbe stato ordinato di permanere nei distaccamenti o di rientrarci, come accadde con il terremoto. Una situazione nota da un paio d'anni, tra l'indifferenza delle istituzioni e anzi una certa ostilità di quanti hanno «remato» e proclamato in senso contrario all'impiego di questi vigili del fuoco;
   è stata inviata una lettera di denuncia dell'accaduto alle più alte cariche istituzionali –:
   se il Ministro intenda verificare le responsabilità circa il mancato utilizzo dei volontari dei vigili del fuoco emiliani nelle ultime due calamità che hanno devastato zone importanti della regione, predisponendo procedure di intervento che prevedano il pieno impiego di risorse che per spirito di sacrificio e senso di responsabilità si mettono al servizio della collettività. (4-03454)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MICHELE BORDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 1° gennaio 2013 è entrata in vigore la legge n. 214 del 2011, la «riforma Fornero» in materia di pensioni, applicata anche ai lavoratori iscritti al fondo speciale istituito presso l'INPS;
   in conseguenza di tale previsione, l'innalzamento di 8 anni dell'età minima per accedere al trattamento di vecchiaia riguarda il personale «viaggiante, di macchina, di manovra», compresi i macchinisti e i manovratori, di fatto, esclusi dai trattamenti agevolati, tuttora esistenti, riservati agli addetti a lavorazioni «usuranti»;
   la normativa non considera affatto la particolarità delle mansioni svolte da macchinisti e manovratori, dei rischi a cui sono esposti quotidianamente – turni irregolari, ambienti nocivi – e dei requisiti psicofisici necessari all'esecuzione dei compiti, praticamente impossibili da conservare fino al compimento del 66° anno di età;
   rispetto agli addetti a lavorazioni «usuranti», la «riforma Fornero» realizza, di fatto, una discriminazione tra ferrovieri perché, ad esempio, gli autoferrotranvieri e i marittimi, che svolgono mansioni non più usuranti di macchinisti e manovratori, restano beneficiari di trattamenti agevolati –:
   se e come il Governo intenda agire per rimuovere tale discriminazione, restituendo a questa categoria di lavoratori (macchinisti e manovratori) diritti conquistati negli anni in virtù della conclamata atipicità del pesante e rischioso lavoro svolto. (5-02061)


   BOCCUZZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 31 gennaio 2014, il Gruppo Agrati – uno dei maggiori nel campo della produzione e distribuzione di viteria, che impiega 1.700 lavoratori in Italia e possiede centri di produzione in Francia, Germania, Repubblica Ceca, Stati Uniti e Cina – ha comunicato ai sindacati la chiusura dello stabilimento di Collegno (Torino) e il licenziamento degli 82 dipendenti;
   l'annuncio ha provocato sorpresa e sconcerto, poiché fino a oggi l'azienda, nonostante l'intensità della crisi economica, non aveva mai fatto ricorso ad alcuna forma di ammortizzatore sociale;
   la proprietà ha motivato la decisione sostenendo che la diminuzione dei volumi di produzione non consente di mantenere aperti cinque stabilimenti in Italia e che la sede di Collegno non è più competitiva;
   i rappresentanti sindacali obiettano che la fabbrica piemontese aveva appena raggiunto gli obiettivi richiesti per ottenere il premio di risultato e che negli altri siti produttivi l'attività abbonda e vengono assunte persone con contratti interinali;
   appresa la notizia, gli 82 lavoratori hanno reagito con un presidio davanti ai cancelli della fabbrica annunciando altre forme di protesta;
   l'interrogante ritiene necessario un intervento volto a garantire il proseguimento della produzione e la salvaguardia degli attuali livelli occupazionali –:
   se non intendano adoperarsi con la massima urgenza al fine di convocare un tavolo di lavoro con l'azienda, le rappresentanze sindacali e le istituzioni locali, finalizzato alla ricerca di una soluzione che preservi l'attività dello stabilimento di Collegno e il posto di lavoro degli 82 dipendenti. (5-02062)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la campagna di controlli effettuati dagli ispettori di vigilanza dell'Istituto nazionale della previdenza sociale in collaborazione con la Guardia di Finanza sta producendo un enorme e positivo ridimensionamento del fenomeno delle cosiddette «aziende agricole fasulle produttrici di braccianti agricoli fantasma»;
   in questa benemerita azione di contrasto, tuttavia, ne stanno facendo le spese anche molti rapporti di lavoro legittimi, concreti e storici, determinandone l'annullamento e la conseguente restituzione delle prestazioni indebite a carico dell'assistenza sociale dell'Inps;
   riaffermare il principio di legalità, a giudizio dell'interrogante e del Movimento braccianti e forestali/SiFUS, significa salvaguardare il rapporto di lavoro subordinato tra le aziende oneste ed i lavoratori veri;
   a giudizio del Movimento braccianti e forestali/SiFUS, questi danni si manifestano perché l'Istituto effettua i controlli ispettivi a distanza di anni rispetto alla data in cui si sarebbe verificato l'illecito contributivo ed il rapporto di lavoro contestato;
   il giudizio degli ispettori dell'Istituto si fonderebbe, quasi esclusivamente, su documenti forniti dalla stessa azienda agricola, su controlli incrociati ed, in ogni caso, su materiale attinente la ditta oggetto di verifica;
   le aziende agricole, in tal modo, risulterebbero irregolari o fasulle quando presentano una manifesta incongruenza tra il fabbisogno dei braccianti impegnati nelle varie fasi del ciclo produttivo e l'estensione ed il tipo di lavorazione, nonché con il fatturato e senza sentire i lavoratori coinvolti o sentendone una parte di essi;
   una volta accertata induttivamente l'incongruenza, gli ispettori dell'Inps cancellano il rapporto di lavoro e chiedono la restituzione della prestazione, a questo punto, indebita;
   nel giudizio a cui pervengono gli ispettori, l'azienda ed il lavoratore sono messi sullo stesso piano di responsabilità come se fossero portatori di identici interessi;
   l'attività d'indagine degli ispettori dovrebbe proseguire approfondendo tutti gli aspetti del rapporto di lavoro quali il fabbisogno di braccianti, l'estensione aziendale, continui accessi diretti nei fondi e nelle aziende;
   il bracciante agricolo non ha colpe e non dovrebbe pagarne le conseguenze se il datore di lavoro, per esempio, è titolare di cooperativa e lo assume senza che questi ne abbia i requisiti per inquadrarlo come bracciante;
   l'Inps e la Guardia di finanza non dovrebbero assumersi la responsabilità di cancellare rapporti di lavoro senza avere la certezza dell'assenza di prestazioni lavorative, certezza che è possibile avere solo in merito all'eventuale irregolarità dell'azienda che, in questo caso sì, deve essere bloccata e condannata a tutela dei braccianti e degli agricoltori onesti;
   la cancellazione del rapporto di lavoro con questo metodo «induttivo» provoca tre tipi di danno al bracciante cosiddetto «storico»: a) se il rapporto di lavoro viene cancellato nell'anno in corso non percepisce l'indennità di disoccupazione; b) è costretto, se vuole farsi giustizia, ad adire le vie legali e scontrarsi con i tempi enormi del processo civile e con problemi di natura pratica in sede di dibattimento in quanto i magistrati tendono a non credere alle prove testimoniali dei «colleghi» braccianti considerandole tecnicamente inaccettabili; c) qualora ad un bracciante vengano cancellati i rapporti di lavoro avuti in più anni non solo è costretto a restituire l'indebita prestazione ma, se nel frattempo è andato in pensione, può vedere decaduti i requisiti che gli hanno consentito di accedervi;
   a giudizio dell'interrogante e del Movimento braccianti e forestali/SiFUS bisognerebbe evitare di cancellare le giornate dagli elenchi anagrafici e non chiedere, di conseguenza, la restituzione delle prestazioni indebite fino a quando non sia intervenuta una sentenza del giudice del lavoro;
   bisognerebbe, inoltre, che le azioni ispettive volte a contrastare il fenomeno dei rapporti di lavoro irregolari a partire da quest'anno vengano svolte durante l'attività lavorativa comunicata dall'azienda all'Inps in modo tale da poter verificare «de visu» e con prova certa l'esistenza reale o fittizia dell'azienda, l'ubicazione dei terreni, il nome e la quantità dei braccianti, il numero delle ore e delle giornate lavorate –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-03444)


   LAVAGNO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la regione Piemonte nel 1979 ha istituito con legge regionale l'IPLA spa (istituto per le Piante da legno e l'ambiente con sede in Torino in corso Casale 476 nel territorio della Circoscrizione 7) che per 33 anni ha svolto attività di ente strumentale su tutti gli aspetti collegati al rilevamento dei dati ambientali, alla conservazione delle risorse naturali, alle energie rinnovabili ed alla pianificazione territoriale;
   l'IPLA spa una società per azioni a totale capitale pubblico, che nei confronti della regione Piemonte, azionista di maggioranza, accanto alla regione autonoma Valle d Aosta e al comune di Torino, ricopre il ruolo di struttura tecnica di riferimento per lo sviluppo di azioni innovative e per il supporto alle politiche nel campo forestale, ambientale e in quello delle risorse energetiche;
   l'operatività dell'IPLA spa è riconosciuta da tutti per il suo supporto delle politiche ambientali, territoriali, di tutela del paesaggio e di pianificazione e per tutto il comparto relativo alla cosiddetta green economy e della filiera legno-energia, nonché della lotta alle zanzare; tali competenze peraltro sono riconosciute attualmente in alcune leggi regionali o delibere relativamente ad esempio al comparto tartufi e sugli aspetti legati alla capacità d'uso dei suoli;
   l'IPLA Spa sta vivendo una seria difficoltà dal punto di vista finanziario, dovuta essenzialmente alla diminuzione degli incarichi da parte degli enti proprietari (regione Piemonte, regione Valle d'Aosta e comune di Torino);
   l'Istituto ha oggi una forza lavoro pari a 50 unità (nessun dirigente), molti dei quali sono tecnici laureati ad alta specializzazione e competenza nel settore dell'ambiente, dei suoli, delle foreste, delle energie rinnovabili e della pianificazione territoriale;
   le ipotesi di vendita e chiusura dell'IPLA spa erano basate essenzialmente sulla necessità di rispettare la legge nazionale sulla «spending review» e in particolar modo la disposizione della manovra Salva Italia (decreto-legge 6 dicembre 2011 n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, articolo 27) approvata dal Governo Monti, che ri-disciplina, sotto alcuni aspetti, le procedure per la dismissione e la valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico;
   dal 7 gennaio 2013 è cominciata per tutti i dipendenti la cassa integrazione in deroga, prorogata fino alla fine di marzo del 2014, con l'evidente rischio di perdere competenze ed efficacia dell'azione dell'Istituto, senza peraltro nessuna garanzia per il futuro, utilizzando peraltro un istituto assolutamente inadeguato per un Ente di ricerca applicata e di supporto alle politiche ambientali come IPLA;
   il 5 novembre del 2013 il consiglio regionale del Piemonte ha approvato l'ordine del giorno n. 1075 con il quale si chiedeva alla giunta regionale, in accordo al comune di Torino e agli altri soci, di impegnarsi per un fattivo rilancio del ruolo dell'IPLA nelle politiche della nostra istituzione intervenendo entro la fine dell'anno –:
   se il Governo intenda, alla luce di quanto sopra espresso, assumere ogni iniziativa di competenza, per la salvaguardia dell'azienda e con essa di 50 posti di lavoro, in gran parte operai e impiegati da un anno in cassa integrazione. (4-03459)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E SEMPLIFICAZIONE

Interrogazione a risposta orale:


   OTTOBRE. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da articoli apparsi sulla stampa nei giorni scorsi (la Notizia e Il Sole 24 ore del 22 gennaio) si apprende di una «rivolta» in atto all'interno della Guardia di finanza;
   il Cocer – il sindacato delle Fiamme Gialle – ha diffuso un comunicato dai toni durissimi, senza precedenti, in cui denuncia che se gli stipendi verranno mantenuti a livelli così bassi saranno a rischio tutti i servizi;
   il Cocer chiede che venga superato il blocco degli stipendi cominciato il primo gennaio 2011, analogamente a come è avvenuto per gli insegnanti, in base a quanto è stato deciso nel Consiglio dei ministri dello scorso venerdì;
   «tutti gli altri dipendenti pubblici hanno potuto utilizzare la contrattazione integrativa – si legge nel testo del Cocer Gdf – per ottenere, sotto forma di premi, incrementi stipendiali molto superiori ai nostri e poi per attenuare gli effetti dei tagli stipendiali, girando gli oneri sul turn-over e sulla funzionalità delle proprie amministrazioni»;
   per la Guardia di finanza, invece, il taglio degli stipendi è stato più pesante rispetto agli altri pubblici dipendenti (proprio a causa della specificità delle carriere e della dinamica salariale), a causa di interpretazioni più restrittive di alcune norme contrattuali e per la riduzione delle spese per missioni, vitto e sicurezza sul lavoro;
   la Guardia di finanza – denuncia il Cocer – non riceve nemmeno un euro di tutti i risparmi derivati dal blocco del turn-over (migliaia di unità in meno) o dalla razionalizzazione delle amministrazioni;
   l'indice è puntato anche contro la norma sulla «specificità» del comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico, che avrebbe dovuto essere una garanzia di retribuzioni migliori rispetto al resto del pubblico impiego e che si è rivelato, invece, secondo il Cocer «una favola»;
   al Ministero dell'interno, tra l'altro, si sta discutendo di un disegno di legge delega sul riordino delle carriere «ma su quel provvedimento non c’è un euro in più» denuncia il generale Bruno Bartoloni, presidente del Cocer Gdf;
   inoltre, il Cocer avverte che se la situazione non migliorerà non sarà possibile continuare a garantire gli stessi servizi con risorse minori, scaricando costi e sacrifici sul personale;
   il comandante generale della Guardia di finanza, Saverio Capoluogo, ha incontrato i sindacati di polizia e i rappresentanti delle forze armate, ma «è indispensabile, anzi imprescindibile – secondo il Cocer – trovare subito le risorse per superare il blocco stipendiale almeno per il 2015» –:
   se non ritenga il Governo di dover intervenire con urgenza, anche in considerazione dell'enorme evasione fiscale che proprio la Guardia di finanza dovrebbe contrastare per il bene del Paese e delle sue finanze, per porre fine a questo trattamento economico ingiusto con provvedimenti analoghi a quelli adottati per altri comparti della pubblica amministrazione. (3-00618)

Interrogazione a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   regione Lombardia ha recentemente approvato, come molte altre regioni, una legge, la n. 16 del 2013, dal titolo «Istituzione di borse di studio per lo svolgimento di tirocini e attività di ricerca presso le strutture del Consiglio regionale»;
   la lettera f) del comma 1 dell'articolo 3 della suddetta norma, prevede che l'ufficio di Presidenza del Consiglio regionale possa indicare, nei bandi di selezione, ulteriori requisiti oltre a quelli, già previsti, del conseguimento diploma di laurea, un'età non superiore ai trenta anni e il godimento dei diritti civili e politici;
   tra gli ulteriori requisiti si intenderebbe indicare quello della cittadinanza italiana o di Stati aderenti all'Unione europea;
   da contatti informali avuti con il dipartimento della funzione pubblica, è stato segnalato che il requisito della cittadinanza potrebbe essere in contrasto con l'articolo 38 del D.Lgs. 165/2001 s.m.i., che disciplina i requisiti di accesso all'impiego alle dipendenze di pubbliche amministrazioni, nel punto in cui estende tale accesso anche ai cittadini di Paesi terzi che siano titolari del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo o che siano titolari dello status di rifugiato ovvero dello status di protezione sussidiaria;
   tuttavia è pur vero che ai sensi dell'articolo 35 del citato decreto legislativo n. 165 del 2001 è possibile indicare tra i requisiti nel bando anche la residenza, qualora tale requisito sia strumentale all'assolvimento di servizi altrimenti non attuabili con identico risultato –:
   se il Ministro interrogato ritenga che il conferimento di borse di studio possa configurare l'instaurazione di un rapporto d'impiego pubblico;
   se quindi debba estendersi alle borse di studio l'applicazione del riformato articolo 38 del D.Lgs. n. 165 del 2001 ovvero si possa invocare l'attuazione del principio citato in premessa di cui all'articolo 35 del medesimo decreto. (4-03445)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   OLIVERIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   più di un anno fa il Ministero della salute pubblicava un bando destinato alla ricerca finalizzata e ai giovani ricercatori;
   i fondi stanziati per finanziare il citato bando ammontavano a 135 milioni di euro con l'obiettivo di sostenere la ricerca nell'ambito delle nuove strategie diagnostiche, terapeutiche e clinico-assistenziali nella cura in particolare di neoplasie, patologie neurologiche e cardiovascolari;
   in un settore come quello della ricerca con poche risorse a disposizione il bando rappresentava una boccata di ossigeno e una opportunità per tanti ricercatori under quaranta, così come richiesto tra i requisiti;
   il bando ha fatto registrare una precisa modalità di presentazione dei progetti, infatti le università non erano tra i «destinatari istituzionali» del bando, per cui i ricercatori si erano dovuti rivolgere alla Regione;
   questa previsione in Calabria ha rappresentato una vera calamità per i giovani ricercatori interessati a questa opportunità;
   nei giorni scorsi infatti quando sono state pubblicate le graduatorie dei progetti ammessi a finanziamenti e quelli esclusi, i ricercatori calabresi hanno constatato con sorpresa che dei loro progetti non vi era alcuna traccia;
   i ricercatori colpiti da questa assenza, persino nella lista dei progetti esclusi, hanno voluto vederci chiaro e avrebbero scoperto con amara sorpresa che la responsabilità sarebbe dipesa da un disguido avvenuto proprio in regione;
   è evidente che questo presunto disguido ha fatto perdere una opportunità a chi magari avrebbe potuto vedere finanziato il proprio progetto o quanto meno concorrere;
   e risulta ancora più anomalo questo disguido in quanto la regione Calabria aveva previsto che le proposte di progetto fossero presentate in via preliminare tra il 19 e il 21 febbraio 2013, un mese prima dei termini stabiliti dal bando;
   si è in presenza di un fatto di assoluta gravità che ha penalizzato una comunità di ricercatori e che non può passare sotto silenzio –:
   se sia a conoscenza dei motivi che hanno determinato il mancato invio dei progetti dalla regione Calabria, e se ritenga possibile promuovere iniziative ed atti che ripristinino le pari opportunità che ripristino per i ricercatori calabresi.
(5-02065)


   BELLANOVA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Costituzione italiana all'articolo 32, reca «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti»;
   gli organi di stampa odierni riportano la notizia di una donna salentina affetta da carcinoma mammario che non riusciva a reperire il farmaco Alkeran, medicinale che peraltro da quanto si legge pare non abbia un corrispondente generico con lo stesso principio attivo;
   sembrerebbe che il farmaco non fosse reperibile in Italia, ma poteva essere acquistato all'estero ad un prezzo maggiorato, passando così dal costo nostrano di 5,65 euro a ben 40 euro;
   da quanto si legge sembrerebbero essere 180 i farmaci che sul territorio nazionale si fa fatica a reperire, medicinali che per lo più si impiegano ad esempio per patologie tumorali, antidepressive, ipertensive e per il morbo di Parkinson;
   dai resoconti di stampa emerge un pericolo, vale a dire che i farmaci siano esportati e collocati su mercati esteri per una mera questione di utili, visto che sono venduti a prezzi molto più alti;
   sono numerose le associazioni italiane che nel corso delle ultime settimane hanno denunciato la mancanza nelle farmacie di una serie di importantissimi medicinali;
   si è a conoscenza che l'esportazione parallela è una pratica prevista dalla normativa europea, applicata quando il mercato estero offre condizioni di vendita sensibilmente più vantaggiose di quelle presenti sul mercato interno. Ma a parere dell'interrogante i diritti dei cittadini che necessitano di cure non possono essere piegati alla logica di alcun mercato o alcun profitto, come peraltro impone la Costituzione –:
   è stato attribuito all'AIFA il potere di redigere «specifici elenchi di farmaci dei quali sarà per tale via limitata l'esportazione, al fine di garantire il servizio pubblico sanitario e soddisfare le esigenze di tutti i pazienti. Tali farmaci dovranno necessariamente essere detenuti dai grossisti e dalle farmacie». Una misura che evidentemente non è sufficiente, dato che le associazioni dei consumatori e dei malati continuano a denunciare un fenomeno che tende, purtroppo, a crescere e a creare forti preoccupazioni nelle persone che necessitano di cure –:
   quali iniziative il Ministro intenda intraprendere affinché i diritti dei cittadini bisognosi di cure siano rispettati e se non ritenga opportuno avviare con celerità un confronto serrato con tutti gli attori della filiera del mercato farmaceutico affinché tutti assumano la responsabilità di una problematica, con un conseguente impegno ad affrontarla rapidamente, che non certamente può essere scaricata sulle spalle delle persone malate. (5-02072)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VALLASCAS. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il quadro generale dell'informazione regionale in Sardegna permane in uno stato di sostanziale monopolio determinato dall'egemone presenza del gruppo editoriale Unione Sarda spa proprietaria, oltre che del quotidiano regionale a stampa L'Unione Sarda anche dell'emittente televisiva regionale Videolina e dell'emittente radiofonica regionale Radiolina;
   in assenza di vere e proprie alternative alla stampa regionale, considerato il limitato impatto zonale rappresentato dall'unico quotidiano a stampa alternativo La Nuova Sardegna facente capo al gruppo editoriale L'Espresso Spa, l'ultimo baluardo possibile a difesa del pluralismo dell'informazione isolana che possieda un certo rilievo in termini di ascolti è rappresentato dall'emittente televisiva regionale Sardegna 1;
   in questi mesi le condizioni di difficoltà economica e gestionale dell'emittente Sardegna 1, che si protraggono ormai da troppo tempo, hanno portato alla sostanziale paralisi dell'attività editoriale;
   i passaggi che hanno anticipato questa situazione sono rappresentati dal tentativo della proprietà di attuare una serie di licenziamenti poi rientrati attraverso il ricorso ai contratti di solidarietà risalenti a oltre due anni fa, fino alla loro definitiva conferma il giorno 4 del mese di febbraio del corrente anno con la comunicazione di licenziamento collettivo di 13 dipendenti su 26;
   tale blocco è stato attuato successivamente alla cessione delle quote di proprietà dell'emittente in quanto società editoriale e in qualità di detentrice delle concessioni pubbliche per l'emittenza radiotelevisiva, a un gruppo di investitori i quali in un fantomatico piano di rilancio avrebbero dovuto riportare l'azienda a un livello minimo di sostenibilità economica;
   la proprietà dell'emittente ha più volte manifestato un atteggiamento di chiusura nei confronti dei lavoratori che è sfociata nella decisione della direzione editoriale di diffondere l'informazione anche in presenza di una totale adesione allo sciopero dei giornalisti della testata, contravvenendo alle più elementari norme di corretta gestione delle relazioni sindacali;
   tale cessione, ad avviso dell'interrogante di facciata, ha esentato la proprietà cedente da ogni pendenza nei confronti dei lavoratori che oggi si trovano a non sapere più a chi chiedere conto della loro situazione;
   a detta della nuova proprietà le difficoltà economiche discendono da alcuni crediti che la pubblica amministrazione non ha mai soddisfatto e per la precisione; a) residui a saldo dei fondi 2011 ex legge n. 488; 2) crediti mai riscossi dall'emittente nei confronti del Ministero, andati in perenzione per i quali ci sarebbe la possibilità di recupero in ragione del recente provvedimento del Governo sul pagamento alle aziende dei debiti della pubblica amministrazione, in questo caso per oltre 250.000 euro; 3) crediti che l'azienda vanta per il 2011 e il 2012 come contributi INPS per l'attuazione del contratto di solidarietà; 4) mancato contributo per il 2012, relativi ai fondi previsti dalla legge n. 448, che ammontano a circa 600-700.000 euro, per un vizio formale riguardante i dovuti pagamenti dei contributi previdenziali, subordinati alla esibizione del DURC all'atto della presentazione; vizio che il Corecom, applicando una recente e sconosciuta sentenza del Consiglio di Stato, ha rilevato, impedendo che all'emittente venisse attribuito il punteggio relativo al personale per il 2012, comportando così l'esclusione della stessa dal finanziamento per il quale l'azienda ha peraltro già versato i contributi necessari –:
   se la nuova compagine sociale di cui alla premessa sia stata adeguatamente autorizzata al subentro nella concessione di Sardegna TV srl, così come dovrebbe essere a norma dell'Allegato I della delibera n. 78 del 1o dicembre 1998 relativa al «Regolamento per il rilascio delle concessioni per la radiodiffusione televisiva privata su frequenze terrestri», in termini di: a) requisiti penali dei singoli componenti della società subentrante; b) requisiti penali e patrimoniali della società subentrante; c) regolarità negli adempimenti fiscali; d) organico minimo destinato alla operatività editoriale; e) percentuale di partecipazione alle quote societarie dei componenti della compagine sociale; f) quota di capitale interamente versato; g) partecipazioni societarie esterne ammesse;
   se il Ministero sia a conoscenza della documentazione che attesti che tali controlli siano stati effettuati;
   se il Ministero interrogato sia in grado di fornire a ragguagli in tal senso ed eventualmente quando;
   se il Ministero sia interessato a intervenire per sbloccare le numerose situazioni su cui l'azienda vanta dei crediti nei confronti della pubblica amministrazione.
(5-02073)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   le Zone franche urbane (ZFU) sono aree infra-comunali di dimensione minima prestabilita dove si concentrano programmi di defiscalizzazione per la creazione di piccole e micro imprese;
   obiettivo prioritario delle Zone franche urbane è favorire lo sviluppo economico e sociale di quartieri ed aree urbane caratterizzate da disagio sociale, economico e occupazionale, e con potenzialità di sviluppo inespresse;
   si ispirano all'esperienza francese delle zones franches urbaines, lanciata nel 1996 ed oggi attiva in oltre 100 quartieri;
   per il finanziamento del dispositivo, la legge finanziaria 2007 (legge n.  296 del 2006, articolo 1, comma 340 e successivi) ha istituito un Fondo di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009;
   la legge finanziaria 2008 (legge n. 244 del 2008, commi 561, 562 e 563) ha confermato tale stanziamento ed ha definito in maggior dettaglio le agevolazioni fiscali e previdenziali che, oggi, trovano la loro definizione particolareggiata all'interno del decreto interministeriale 10 aprile 2013 in attuazione di quanto previsto dall'articolo 37 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179;
   l'individuazione delle Zone franche urbane prevede agevolazioni fiscali e previdenziali per rafforzare la crescita imprenditoriale e occupazionale nelle micro e piccole imprese localizzate all'interno dell'obiettivo convergenza (Campania, Calabria, Sicilia e Puglia), nonché nel territorio dei comuni della provincia di Carbonia-Iglesias;
   tali agevolazioni, della durata di 5 anni con graduale phasing out negli anni successivi, consistono in esenzione dalle imposte sui redditi, esenzione dall'IRAP, esenzione dall'imposta municipale propria ed esonero dal versamento dei contributi sulle retribuzioni da lavoro dipendente;
   nel suo disegno definitivo il dispositivo approvato estende l'ammissibilità ai benefici ad aree urbane, caratterizzate da significativi fenomeni di disagio sociale, individuate nel territorio di 33 comuni dell'area dell'obiettivo convergenza e nel distretto di Carbonia-Iglesias, mettendo a disposizione, per quest'ultima, circa 124 milioni di euro;
   in Campania sono state individuate 9 Zone franche urbane ad Aversa, Benevento, Casoria, Mondragone, Napoli Est, Portici (centro storico), Portici (zona costiera), San Giuseppe Vesuviano e Torre Annunziata;
   l'importo totale degli incentivi da assegnare alle imprese campane localizzate in questi territori ammonta a 98 milioni di euro;
   le zone urbane che assorbiranno le maggiori risorse sono in Campania Napoli Est (quasi 16 milioni di euro), Casoria (oltre 14 milioni di euro) e Torre Annunziata (quasi 12 milioni di euro);
   le imprese beneficiarie sono indicate nella maggior parte delle Zone franche urbane individuate in Campania come imprese di nuova o recente costituzione, di dimensione piccola o micro, ma vi sono anche previsioni relative ad imprese femminili (come a Benevento, Mondragone e nelle due Zone franche urbane individuate sul territorio comunale di Portici) ed imprese operanti nel settore manifatturiero (come nel caso di Napoli Est);
   dopo una lunghissima gestazione di circa 7 anni, finalmente le Zone franche urbane campane stanno per essere realizzate;
   ci sono voluti infatti 2 anni perché il Comitato interministeriale per la programmazione economica deliberasse i criteri per individuare e delimitare queste zone e le selezionasse;
   sono occorsi altri 3 anni perché il Governo riprogrammasse gli incentivi indicati nel 2007;
   solo nell'aprile del 2013 è stato definito il quadro delle agevolazioni destinate alle regioni meridionali;
   tra luglio e dicembre 2013 si è avuto un fitto scambio di note, osservazioni e controdeduzioni tra la regione Campania ed il Ministero dello sviluppo economico per definire l'entità dei finanziamenti già programmati con in fondi europei ed ora riprogrammati per le Zone franche urbane e per trasmettere la somma complessiva all'Agenzia delle entrate;
   in questi giorni, finalmente, le imprese che intendono usufruire delle agevolazioni fiscali previste per le Zone franche urbane sono state invitate a presentare domanda al Ministero dello sviluppo economico dal 7 febbraio 2014 al 28 aprile 2014;
   nel frattempo, però, a causa della drammatica crisi dell'apparato produttivo di questi anni molte imprese che avrebbero potuto da subito approfittare di un'immediata operatività delle Zone franche urbane sono state costrette ad un ridimensionamento se non addirittura espulse dal mercato, e quelle che sono sopravvissute stentano a recuperare i normali ritmi di produzione;
   ciò rischia di rendere gli effetti dell'intervento del Ministero dello sviluppo economico molto più modesti di come sarebbero potuti essere;
   inoltre la dotazione finanziaria del provvedimento è piuttosto esigua, tale da interessare poche decine di operatori, e la lentezza con cui ha operato l'amministrazione pubblica (come spesso accade quando è chiamata a dare un impulso alle attività produttive) rischia di scoraggiare gli imprenditori ed aumentare lo scetticismo sulla reputazione e sulla credibilità delle istituzioni;
   ciononostante, è innegabile come le Zone franche urbane possano rappresentare uno strumento utile per favorire la nascita di nuove imprese su territori in crisi ed agevolare la crescita di quelle già esistenti attraverso le esenzioni dagli oneri fiscali previste –:
   se non ritenga di dover assicurare che tutte le restanti fasi procedurali vengano completate in breve tempo, così che gli imprenditori beneficiari possano finalmente iniziare a godere degli incentivi previsti;
   se non ritenga opportuna una riprogrammazione in itinere delle aree comunali interessate alla zona no tax, in virtù del fatto che la lungaggine dei procedimenti di attuazione ha completamente cambiato, anche per le ragioni sopra esposte, il quadro economico e di sviluppo territoriale, ed eventualmente assumere iniziative dirette ad aumentarne la dotazione finanziaria;
   se non ritenga di dover assicurare che i beneficiari di tale provvedimento rispondano ai requisiti richiesti ed abbiano dipendenti rigorosamente in regola dal punto di vista contrattuale e del pagamento dei contributi previsti, magari anche prevedendo che per accedere alle agevolazioni fiscali si debba sottoscrivere un protocollo per la legalità nei luoghi di lavoro, per non dover più assistere ai ricatti del lavoro nero e di quello sottopagato che subiscono i dipendenti degli esercizi commerciali e delle attività imprenditoriali. (4-03446)


   PETRINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 147 dell'11 settembre 2004 istituisce la provincia di Fermo, definisce la sua circoscrizione territoriale, istituisce la prefettura e i suoi rispettivi organi;
   ai sensi dell'articolo 3, stabilisce il dovere per la provincia di Ascoli Piceno di procedere alla ricognizione della propria dotazione organica di personale e di deliberare lo stato di consistenza del proprio patrimonio ai fini delle conseguenti ripartizioni, da effettuare con apposite deliberazioni della giunta, in proporzione al territorio e alla popolazione trasferiti alla nuova provincia, non prima del termine di tre anni e non oltre il termine di quattro anni dalla data di entrata in vigore della presente legge;
   in virtù dell'articolo 1, comma 2, della legge 29 dicembre 1993, n. 580, che prevede l'istituzione di una camera di commercio in ogni capoluogo di provincia, il 1o marzo 2006, con decreto ministeriale, l'allora Ministero delle attività produttive nomina un commissario per l'istituzione della camera di commercio, agricoltura, industria e artigianato di Fermo, riconosciuta a norma di legge con il decreto ministeriale del 26 luglio 2007;
   tale decreto stabilisce che si può avviare la procedura per la ripartizione dei consiglieri camerali nei diversi settori economici, che avviene attraverso l'emanazione di un altro decreto, il numero 123 del 14 luglio 2008;
   nel 2009, i presidenti della camera di commercio di Ascoli Piceno e di Fermo, mediante la nota 2083 del 26 gennaio, chiedono al Ministro dello sviluppo economico precise indicazioni per proseguire l’iter di spartizione patrimoniale;
   il Ministero dello sviluppo economico, con nota n. 31343 del 7 aprile 2009, dichiara che la ripartizione del patrimonio deve avvenire in base a quanto disposto dall'articolo 69 del regio decreto del 20 settembre 1934, n. 2011, in virtù del quale «in caso di modificazioni delle circoscrizioni provinciali, il Ministro per le corporazioni provvede con suoi decreti all'approvazione dei progetti, da stabilirsi d'accordo fra i Consigli interessati, o d'ufficio, in caso di dissenso, per la separazione patrimoniale e del riparto delle attività e delle passività, anche di carattere continuativo, dei Consigli stessi.»;
   dal 2009 a oggi è stato avviato il procedimento relativo alla ripartizione patrimoniale tra le due camere di commercio, ma non è stato ancora portato a compimento, nonostante si siano susseguiti nel frattempo diversi interventi da parte degli ispettori del Ministero, che hanno confermato l'immediata esigenza di definire l’iter di separazione patrimoniale in tempi brevi;
   da ultimo, con la lettera del 18 ottobre 2013, i servizi ispettivi del Ministero dell'economia e delle finanze hanno ravvisato la mancata adozione di un atto formale congiunto, previsto dalle istruzioni ministeriali, per la definizione delle operazioni volte a completare la separazione del patrimonio tra le due camere e hanno esortato le stesse a procedere quanto prima alla definitiva chiusura di tali operazioni;
   il mancato completamento di tale procedimento è da imputare alle difficoltà tecniche nella valutazione della ripartizione a livello monetario, mentre non può creare ostacoli alla chiusura di tale operazione, il disegno di legge costituzionale, n. 1543, presentato dal Governo in carica, che prevede l'abolizione delle province al fine di contenere la spesa pubblica dell'amministrazione territoriale;
   infatti, il percorso di autoriforma del sistema nazionale camerale evidenzia molto chiaramente che le camere di commercio non sono enti territoriali, quindi il territorio non è un elemento costitutivo, bensì un'indicazione sugli ambiti della loro sfera di azione che, «di norma» ma non necessariamente, coincidono con quelli provinciali;
   essendo istituzioni pubbliche locali, le camere di commercio sono dotate di autonomia funzionale e si collocano in una posizione intermedia tra lo Stato e gli enti territoriali;
   pertanto, non sono un mero soggetto amministrativo, bensì istituzioni portanti per lo sviluppo e la coesione economico-sociale locale, aventi come elemento costitutivo lo svolgimento di funzioni di alta valenza strategica per le imprese del territorio;
   in quest'ottica è opportuno quindi distinguere nettamente la natura e il ruolo delle province da quelli delle camere di commercio, istituzioni che non necessariamente devono coesistere e le cui stesse esistenze non sono subordinate l'una all'altra;
   la camera di commercio di Fermo, fin dal 2008, è stata centro di servizio e d'animazione per il sistema economico del Fermano, curando numerose e importanti iniziative nel campo della valorizzazione delle produzioni locali, dell'innovazione, del turismo e della promozione del territorio;
   assiste le imprese della provincia nell'internazionalizzazione delle loro attività, fornendo informazione e prima assistenza sulle opportunità offerte dai mercati esteri nonché sugli aspetti di natura operativa e normativa;
   ha utilmente e costruttivamente collaborato con le istituzioni nazionali e locali, segnatamente con la regione, la provincia e i comuni, riscuotendo condivisione e apprezzamento da parte dell'intera comunità;
   la mancata conclusione del procedimento di separazione patrimoniale introduce immeritati ostacoli all'attuale svolgimento delle attività della camera di commercio di Fermo, genera grande incertezza in merito alle rispettive disponibilità finanziarie e non consente un adeguato svolgimento delle proprie funzioni nella promozione dello sviluppo del sistema delle imprese della circoscrizione di competenza e, più in generale, dell'economia locale –:
   quali iniziative il Ministro intenda intraprendere al fine di ultimare l’iter di separazione patrimoniale e di riparto delle attività e delle passività tra le camere interessate al fine di garantire un legame diretto ed efficace tra le aziende, i cittadini e il territorio. (4-03456)


   OTTOBRE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   sul giornale La Repubblica del 31 gennaio 2014 è apparso un articolo dal titolo «Olio italiano ma solo sull'etichetta, ecco la truffa che indigna l'America»;
   l'articolo riporta un'inchiesta del New York Times – corredata da 15 vignette satiriche – che si chiede quanto è puro il nostro extravergine d'oliva e, soprattutto, se è davvero «italiano», l'attacco frontale del NYT entra nelle pieghe di un fenomeno che un'inchiesta di Repubblica aveva già portato alla luce alla fine del 2011;
   infatti, se è vero che quando è di qualità l'olio ottenuto spremendo le olive nostrane è il migliore, o certamente tra i migliori del mondo, è altrettanto vero – senza generalizzare – che sulla produzione e la commercializzazione dell'olio extravergine «made in Italy» si allungano da qualche anno ampie zone d'ombra;
   Spagna, Grecia, Tunisia, Marocco sono i principali Paesi dai quali l'Italia olio e quell'olio – lo hanno accertato in questi tre anni indagini giudiziarie concluse con massicci sequestri – in alcuni casi viene manipolato, miscelato e imbottigliato in modo fraudolento, mischiato con olio italiano, corretto per lo più con beta-carotene (per mascherare il sapore) e clorofilla (per modificarne il colore) e, infine, venduto infine con etichetta «extravergine made in Italy»;
   olio di semi e olio di sansa sono le «basi» più utilizzate da produttori disonesti, per lo più sono imbottigliatori e non produttori, tecnicamente si tratta di adulterazione e contraffazione;
   «È una metastasi che danneggia il settore penalizzando i produttori onesti, un “tutti contro tutti” che ha finito per rendere tutti più poveri» – dice Pietro Sandali, direttore generale di Unaprol, un fenomeno che, stando anche ai risultati di recenti indagini, non si arresta, un po’ per le maglie larghe della legge in materia e un po’ perché il business dell'olio, magagne comprese, è diventato un mare troppo grande;
   «Abbiamo denunciato questa piaga in tempi non sospetti e per questo ci consideravano dei matti pericolosi che non avevano a cuore le sorti del settore – spiega Stefano Masini, responsabile consumi della Coldiretti – Le lobby che proteggono l'agromafia, perché di questo stiamo parlando, ci hanno persino portato in tribunale. Pensavano di chiudere la partita così, di metterci a tacere. Poi sono arrivate le indagini, i sequestri, le tonnellate di olio che partivano per gli Stati Uniti e altri paesi con etichette «bugiarde»;
   il Nafs del Corpo forestale dello Stato nel 2013 ha smascherato 204 ditte contraffattrici e ha comminato sanzioni per quasi 5 milioni di euro, «La legge “salva olio” approvata a febbraio 2013 è stata ed è di straordinaria importanza – ragiona il vicecomandante Amedeo De Franceschi – ci ha consentito di utilizzare le intercettazioni telefoniche e ambientali per i reati alimentari, ha introdotto nuove misure di repressione e contrasto alle frodi, ma non basta»; soprattutto, non risulta ancora pienamente applicata;
   grazie all'azione delle forze dell'ordine partite di olio contraffatto spuntano fuori dai container in partenza (lo scorso anno 110 milioni di litri sono stati esportati negli Stati Uniti, un calo del 13 per cento rispetto a dodici mesi prima), o vengono prelevate direttamente nelle aziende; a dicembre 2013 i carabinieri dei Nac hanno scoperto un circuito che commercializzava olio contraffatto e privo di etichettatura: 14 tonnellate erano già pronte per arrivare sulle tavole natalizie;
   contro l'articolo del NYT e le relative vignette satiriche, tese a diffondere l'idea che gran parte dell'olio d'oliva in commercio sia adulterata, sì è scagliato il presidente della sezione agroalimentare di Confindustria Bari Francesco Divella, ma in precedenza era intervenuta anche l'Associazione dei produttori della Toscana, «Ancora una volta – afferma Divella – questo settore subisce l'onta di un uso distorto e tendenzioso delle informazioni sui media, dettato da interessi concorrenti. Questo episodio non rende ragione ad una delle risorse più preziose della nostra economia»;
   mentre le associazioni di categoria aderenti a Confindustria Assitol e Federolio chiedono un incontro urgente con il Ministero dello sviluppo economico per difendere l'immagine dell'olio italiano negli Usa, Divella fa notare che «l'episodio del New York Times è solo un esempio eclatante delle tante notizie di stampa contenenti informazioni e giudizi sommari diffuse continuamente dai media, anche nazionali, sul settore agroalimentare»;
   il discredito gettato sul comparto oleario e, con questo, su tutto l'agroalimentare italiano è, a parere dell'interrogante, un fatto inaccettabile che richiede importanti misure di tutela, infatti l'attacco alla produzione italiana potrebbe tradursi in grave danno economico per tutte le regioni produttrici di olio extravergine d'oliva: Toscana, Umbria, Liguria, Puglia, Trentino, Sicilia;
   ad essere danneggiati non sono solo i grandi produttori ma, soprattutto, i piccoli produttori che con grande fatica e dedizione sono riusciti a crearsi un loro spazio nel mercato internazionale, grazie non solo alla elevata qualità del loro prodotto ma anche alla loro onestà, tra questi i produttori della zona del Garda Trentino, il cui olio extravergine riceve da tempo importanti riconoscimenti sia a livello nazionale e sia internazionale –:
   quali misure intenda intraprendere per dare piena attuazione alla legge «salva olio» del 2013, al fine di tutelare l'immagine e garantire l'autenticità dell'olio di oliva extravergine, di cui l'Italia è, dal punto di vista qualitativo e quantitativo, di gran lunga, il maggior produttore e per la salvaguardia di tutto il comparto agroalimentare che rappresenta la principale fonte di fatturato nell'export italiano. (4-03464)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Di Lello e altri n. 1-00157, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Manciulli, Amendola.

  La mozione Gigli e altri n. 1-00325, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 gennaio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Rossi, Santerini.

  La mozione Zampa e altri n. 1-00328, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 31 gennaio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Bellanova, Baruffi, Lorenzo Guerini, La Marca, Manzi, Rocchi, Tentori.

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza urgente Giacomelli e altri n. 2-00399, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 febbraio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sereni.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Fiano e altri n. 4-03158, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 gennaio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rampi.

  L'interrogazione a risposta scritta Tofalo e altri n. 4-03375, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 gennaio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Capozzolo.

  L'interrogazione a risposta scritta Locatelli e Quartapelle Procopio n. 4-03381, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 gennaio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fiano.

  L'interrogazione a risposta scritta Lacquaniti e altri n. 4-03417, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 febbraio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Zan.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Zampa n. 1-00328, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 164 del 31 gennaio 2014.

   La Camera,
   premesso che:
    le nuove tecnologie offrono ai creatori di qualsiasi genere di opera – musica, film, libri, fotografie, software, multimedia – la possibilità di distribuire la loro creazione in modo diretto ed immediato attraverso modelli di business ieri inesistenti e, soprattutto, garantiscono – o, almeno, potrebbero garantire – a ciascun creatore il diritto di percepire un compenso direttamente proporzionato all'utilizzo, da parte della collettività del proprio sforzo creativo;
    in tale nuovo «ecosistema creativo» si sono, progressivamente, sgretolati i confini geografici e si è aperto un mercato globale nel quale ogni autore, per la prima volta nella storia, può mettere la propria opera a disposizione di una comunità costituita da miliardi di cittadini di Paesi diversi;
    il sistema creativo e culturale italiano e, in particolare, il mercato dei contenuti protetti da diritto d'autore, tuttavia, rimane drammaticamente chiuso, asfittico e quasi impermeabile all'affermazione di nuovi modelli di produzione e distribuzione di opere creative;
    tale fenomeno è, ovviamente, imputabile ad una pluralità di concause, difficilmente riconducibili ad unità, di matrice sensibilmente diversa: sociale, economica, culturale e giuridica;
    è, tuttavia, fuor di dubbio che tra tali concause vi sia l'inadeguatezza della vigente disciplina della materia con particolare riferimento al mercato dell'intermediazione dei diritti, un'inadeguatezza che minaccia di paralizzare il sistema creativo e culturale, facendo venir meno stimoli ed incentivi che la legge sul diritto d'autore – se correttamente applicata – dovrebbe garantire a chiunque, attraverso il proprio sforzo creativo, mette a disposizione della collettività nuove opere;
    oggi la reale tutela del lavoro intellettuale rischia di essere minacciata; il problema principale è quello di riconoscere al lavoro intellettuale, dell'ingegno, al lavoro degli artisti e di chi lavora nel campo dello spettacolo e della cultura la pienezza del diritto, e della remunerazione, sul proprio lavoro;
    la legge sul diritto d'autore, attribuisce l'esclusiva dell'intermediazione dei diritti, alla SIAE – società italiana autori ed editori – che la vigente disciplina qualifica «ente pubblico economico a base associativa», attribuendole una «natura mista», metà pubblica e metà privata;
    nella scorsa legislatura è stata realizzata un'importante indagine proprio sulla Siae e sulla tutela del diritto d'autore;
    l'indagine ha evidenziato diversi problemi di inefficienza e mancanza di trasparenza di gestione come i problemi dei lavoratori di questo ente, delle persone che organizzano concerti anche di grande entità, delle persone che si occupano di discografia, magari piccoli produttori di musica, siano legati all'efficienza, alla trasparenza, alla modernizzazione della raccolta del diritto d'autore e alla sua tutela e in particolare alla copia libera, ovvero in quei casi in cui l'autore deve poter mettere a disposizione la propria opera quando ha un grande valore pubblico come le scuole, l'attività delle associazioni di volontariato;
    la SIAE incassa centinaia di milioni di euro ogni anno che deve poi ripartire tra i titolari dei relativi diritti d'autore, un'operazione che richiede tempi lunghi e che genera depositi di diverse centinaia di milioni, che, solo nel 2012, hanno generato proventi finanziari di circa 40 milioni di euro;
    se si considera che il bilancio 2012 della società, il primo in attivo dopo anni, è stato chiuso con un saldo attivo di appena 18 milioni di euro diventa decisivo analizzare il nesso tra questo meccanismo di distribuzione dei proventi, dato che il margine operativo, al netto dei suddetti proventi finanziari, presenta una perdita di oltre 31 milioni di euro;
    nel 2012, infatti, la Siae, ha incassato – a titolo di diritti d'autore – oltre 25 milioni di euro in meno rispetto a quanto incassato nel 2011;
    è un dato preoccupante che diventa allarmante se si considera che la Società, nel 2012, ha visto assottigliarsi ulteriormente anche i già esigui risultati relativi ai diritti incassati in ambito multimediale in assoluta controtendenza rispetto a quanto accade nel resto del mondo. Una società di raccolta e gestione dei diritti d'autore che, nell'era di Internet, vede contrarre gli incassi per le utilizzazioni on line è una società dal futuro almeno incerto;
    l'articolo 106 comma 2 del Trattato di funzionamento dell'Unione europea esprime il dichiarato intento di favorire «la creazione di nuove imprese nel settore della tutela dei diritti mediante lo sviluppo del pluralismo competitivo e consentendo maggiori economicità di gestione nonché l'effettiva partecipazione e controllo da parte dei titolari dei diritti»;
    nella maggior parte degli altri Paesi europei esiste un monopolio di fatto, suddiviso per tipologie di diritto e monopolisti che si occupano in maniera esclusiva di cinema piuttosto che di teatro, piuttosto che di editoria, piuttosto che di musica mentre in Italia, la società di gestione collettiva del diritto d'autore, cioè la SIAE, è unica per tutte le diverse forme di manifestazione della creatività;
    proprio la natura generalista della SIAE ha consentito di attuare politiche per così dire solidaristiche o mutualistiche, in virtù delle quali le arti più «ricche» sostengono quelle più povere;
    l'Unione europea sta per varare una direttiva sulle cosiddette collecting society ovvero le società di gestione del diritto, attraverso la quale intende impegnare tutti gli stati membri a garantire maggiore efficienza e trasparenza nel relativo mercato e, soprattutto, a riconoscere agli autori ed editori il diritto di scegliere liberamente la collecting society cui affidare l'intermediazione dei propri diritti d'autore; come ha affermato la Commissaria UE per l'Agenda Digitale, Neelie Kroes, «le attuali regole sul copyright non sono adatte alla realtà» e «il complicato sistema di licenze sta facendo perdere all'Europa grandi opportunità, scoraggiando l'innovazione e non riuscendo neanche nell'intento di servire le persone per cui è stato creato»;
    nel nostro Paese non esiste alcun obbligo di iscrizione alla SIAE per un autore o editore ma l'intermediazione dei diritti è un'esclusiva della SIAE con l'ovvia conseguenza che la più parte degli artisti non vede altra soluzione che iscriversi alla società,

impegna il Governo:

   ad adottare tutte le iniziative di propria competenza in quanto titolare dei poteri di vigilanza sulla SIAE al fine di verificare che la società sia attualmente gestita nell'effettivo interesse di tutti gli iscritti e che la sua attività sia protesa al raggiungimento degli obiettivi affidati alla società dalla legge;
   a valutare l'adozione di ogni provvedimento che semplifichi il rapporto tra titolari dei diritti ed utilizzatori consentendo, ove possibile, ai primi di scegliere ed adottare il modello di distribuzione delle proprie opere, che eviti comunque il formarsi di nuovi monopoli o oligopoli, anche favorendone la diffusione libera laddove non esista un guadagno e non vengano utilizzate in maniera lucrativa, e che al tempo stesso non solo li tuteli, ma permetta loro di godere del valore aggiunto che queste opere producono sul mercato, sia quello tradizionale sia quello in rete;
   a prevedere un nuovo welfare per i lavoratori del settore che ad esempio li accompagni nelle fasi di non lavoro, in virtù della particolarità della loro attività, spesso saltuaria analizzando a tal fine risorse quali quelle ex ENPALS o del Fondo di solidarietà SIAE;
   ad assumere iniziative, di propria competenza, risolutive dei problemi sopra enunciati, in particolare in relazione al diritto connesso, tema su cui è già stato effettuato un recente intervento di liberalizzazione, anche in conformità con quanto sarà stabilito dalla direttiva in materia di diritto d'autore, oggi in fase di lavorazione da parte della Commissione europea.
(1-00328)
(nuova formulazione) «Zampa, Rampi, Bonomo, Coscia, Rotta, Bellanova, Baruffi, Ascani, Blazina, Bossa, Carocci, Coccia, D'Ottavio, Ghizzoni, Lorenzo Guerini, La Marca, Malisani, Malpezzi, Manzi, Narduolo, Orfini, Pes, Raciti, Rocchi, Tentori, Zoggia».

  Si pubblica il testo riformulato della interpellanza urgente Liuzzi n. 2-00375, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 156 del 21 gennaio 2014.

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   le autorità portuali in Italia, sono state istituite con la legge n. 84 del 28 gennaio 1994. Inizialmente l'articolo 6, istituiva quelle di Ancona, Bari, Brindisi, Cagliari, Catania, Civitavecchia, Genova, La Spezia, Livorno, Marina di Carrara, Messina, Napoli, Palermo, Ravenna, Salerno, Savona, Taranto, Trieste, Venezia. Successivamente, ne sono state istituite altre sino ad arrivare ad un totale di 24 autorità portuali;
   in base alla legge vigente, l'autorità portuale, ha compiti di «indirizzo, programmazione, coordinamento, promozione e controllo delle operazioni portuali e delle altre attività commerciali e industriali esercitate nei porti, con poteri di regolamentazione e di ordinanza anche in riferimento alla sicurezza rispetto ai rischi di incidenti connessi a tale attività»;
   l'autorità portuale è costituita dai seguenti organi: il presidente, nominato con Decreto del Ministero delle infrastrutture e trasporti e della navigazione, previa intesa con la regione interessata, che rimane in carica quattro anni (articolo 12 legge n. 84 del 28 gennaio 1994) e può essere confermato solo una volta, il comitato portuale, il segretario generale e il collegio dei revisori dei conti. Il presidente, così come sancito dalla legge, deve essere nominato nell'ambito di una terna di esperti di massima e comprovata qualificazione professionale nei settori dell'economia dei trasporti e portuale, designati rispettivamente dalla provincia, dai comuni e dalle camere di commercio competenti territorialmente. La terna è comunicata al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti tre mesi prima della scadenza del mandato. L'atto conclusivo di nomina della presidenza dell'autorità portuale è il voto in sede parlamentare nelle Commissioni competenti sia alla Camera e al Senato;
   la gestione patrimoniale e finanziaria è disciplinata da un regolamento di contabilità approvato dal Ministero delle infrastrutture e trasporti di concerto con il Ministero dell'economia. Così come si evince dalle relazioni della Corte dei conti, gli emolumenti dei soggetti delle autorità sono molto elevate. Ad esempio, il presidente dell'autorità portuale di Genova nel 2011 ha percepito 308.653,00 euro, quello di Civitavecchia 228.508,00 euro, quello di Napoli 223.091,00. Solo per la retribuzione dei presidenti delle 24 autorità portuali, il costo per ognuna si aggira mediamente intorno ai 250.000 euro, con una cifra totale di circa 6 milioni di soldi pubblici. A questo bisogna aggiungere anche i costi dei revisori dei conti e del comitato portuale, nonché dei segretari generali e di tutta una serie di dirigenti che fa lievitare il costo delle autorità;
   il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Maurizio Lupi, il 26 novembre 2013, ha nominato commissario straordinario dell'autorità portuale di Cagliari l'ex parlamentare di Forza Italia Piergiorgio Massidda che era stato già precedentemente nominato come presidente della medesima autorità cagliaritana il 21 dicembre 2011 ed aveva annunciato le proprie dimissioni dall'incarico di Senatore a causa dell'incompatibilità tra il ruolo parlamentare e quello di presidente affidatogli dall'allora Ministro Altero Matteoli;
   subito dopo la nomina del 2011, il Consiglio di Stato, accogliendo il ricorso presentato dal professor Massimo Deiana, docente di diritto della navigazione all'università di Cagliari, con sentenza del 26 settembre 2013 n. 04768 aveva stabilito che il dottor Massidda non era in possesso delle competenze per svolgere il ruolo ricoperto all'autorità portuale sarda, annullando la precedente sentenza del Tar n. 00520 del 2012 che invece aveva lasciato Massidda a capo dell'autorità;
   dopo il 26 settembre 2013, Massidda era stato estromesso dalla guida dello scalo per poi essere rinominato commissario straordinario, come precedentemente detto, il 26 novembre dal Ministro Lupi;
   il giorno 15 gennaio 2014, in Commissione trasporti è terminata la discussione della risoluzione n. 202 presentata dal deputato Nicola Bianchi avente come oggetto la revoca della nomina di commissario dell'autorità portuale di Cagliari. In tale data, non si è svolta la votazione finale poiché, su proposta del Governo, la discussione della risoluzione è stata spostata in Assemblea, in base al comma 3 dell'articolo 117 del regolamento della Camera che recita: «alla fine della discussione, il Governo può chiedere che non si proceda alla votazione di una proposta di risoluzione e che di questa sia investita l'Assemblea»;
   la votazione in Aula della risoluzione n. 202 sopra citata, calendarizzata per martedì 25 gennaio 2014, non ha avuto luogo per il protrarsi dell'esame del decreto legge n. 133. Il giorno 29 gennaio 2014, il Consiglio di Stato ha respinto la richiesta del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di sospendere la sentenza con cui gli stessi giudici avevano annullato la nomina di Piergiorgio Massidda a Presidente dell'Autorità portuale di Cagliari. La IV sezione non ha ritenuto ci fossero evidenti ragioni di «eccezionale gravità e urgenza» che giustificassero la sospensione di una sentenza;
   il Ministro Lupi, dopo la sentenza del 29 gennaio 2014, ha spiegato in una nota pubblicata sul sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che: «A seguito del pronunciamento del Consiglio di Stato il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Maurizio Lupi ha dichiarato decaduto Piergiorgio Massidda da Commissario straordinario e nominato al suo posto Vincenzo De Marco, attuale Comandante della capitaneria di porto di Cagliari. Si resta ora in attesa del pronunciamento della Corte di cassazione, presso la quale il Ministero ha impugnato la citata sentenza del Consiglio di Stato»;
   a detta degli interpellanti la nomina del Ministro non ha seguito alcun criterio normativo, dato che la sentenza del Consiglio di Stato recita chiaramente che il dottor Massidda «per la sua storia personale, non poteva avere certo conseguito la massima e comprovata qualificazione professionale nei settori dell'economia dei trasporti e portuali ed era carente in radice del requisito prescritto dalla legge, per cui doveva probabilmente la sua nomina alle sue capacità politico-relazionali (di deputato, senatore e consigliere provinciale, ecc.). In sostanza – continua la sentenza – il soggetto prescelto non solo possedeva titoli di studio del tutto estranei alla materia, ma nella sua pur pluriennale esperienza parlamentare si era sempre interessato delle materie direttamente o indirettamente affini alle sue capacità professionali e alle sue specifiche competenze mediche»;
   a parere degli interpellanti, il modus operandi del Ministro Lupi è stato inaccettabile, sia alla luce della sentenza del Consiglio di Stato e sia perché in forte contrasto con i principi di trasparenza e meritocrazia che devono contraddistinguere la scelta di chi ricopre i ruoli in un'amministrazione al servizio del cittadino;
   a fronte di ciò, va nuovamente sottolineato come l'articolo 8 della legge n. 84 del 28 gennaio 1994 prevede che il Presidente, e di conseguenza il commissario straordinario chiamato a ricoprire analoghe funzioni, venga nominato «nell'ambito di una terna di esperti di massima e comprovata qualificazione professionale nei settori dell'economia dei trasporti e portuale»;
   l'interpellante aggiunge che quando la legge n. 84 del 1994 è entrata in vigore, si sono susseguiti diversi tentativi volti a nominare presidenti che non rispettano le caratteristiche non sono rispondenti alla qualificazione richiesta dalla legge (annullati da Tar e Consiglio di Stato) solo con lo scopo, evidentemente, di collocare ex-politici;
   a titolo di esempio rispetto a quanto accaduto nella presente legislatura, sono state proposte e votate le nomine di Riccardo Villari come Presidente dell'autorità portuale di Napoli e Lorenzo Forcieri come presidente dell'autorità portuale di La Spezia, anch'esse fonte di enormi perplessità in quanto, privi di comprovata esperienza tecnica nel settore, ma preferiti in quanto probabilmente personalità politiche che non hanno a che vedere con la gestione del settore portuale;
   la nomina di Villari è stata oggetto di accesa discussione in sede di Commissione trasporti. Infatti Villari, medico di professione, ha lavorato in commissioni che si occupavano di cultura, lavori pubblici e comunicazioni, sanità e criminalità organizzata, che nulla hanno a che vedere con la gestione di un porto. La commissione trasporti della Camera il 23 ottobre 2013 ha dato parere negativo alla nomina di Riccardo Villari alla presidenza dell'Autorità portuale di Napoli anche in virtù della sentenza del Consiglio di Stato sul caso Massidda;
   altra nomina priva dei requisiti richiesti dalla legge, è quella conferita il 6 settembre 2013 al commissario straordinario dell'autorità portuale del Nord Sardegna. La nomina riguarda l'ex senatore Fedele Sanciu, definito «persona idonea a garantire la gestione dell'Ente fino al perfezionamento della nomina del Presidente» così come si legge nel decreto di nomina. Tale nomina è stata oggetto di interrogazione parlamentare presentata il 23 settembre 2013 (n. 5-01051) in cui è stata sottolineata la mancanza totale di competenze inerenti le materie portuali, oltre che di titoli di studio qualificanti, in quanto Sanciu possiede solamente la licenza media;
   la succitata interrogazione ha ricevuto risposta dal Governo il 5 dicembre 2013 in cui si legge che: «la sua candidatura alla nomina di Presidente dell'Autorità portuale da parte degli enti locali interessati costituisce la riprova che lo stesso è dotato delle caratteristiche previste dal menzionato articolo 8 per la nomina presidenziale in parola». A detta dell'interpellante tale risposta non fa altro che perpetuare la totale non curanza della sentenza del Consiglio di Stato del 26 settembre 2013 n. 04768;
   nel corso di una conferenza stampa tenuta a Napoli nella sede dell'ente autonomo Volturno il 2 dicembre 2013, in riferimento alla gestione dei Porti il Ministro Lupi ha dichiarato che «dobbiamo avere il coraggio del cambiamento. Non ha più senso avere 24 Autorità portuali»;
   a tal proposito, si ricorda che l'autorità portuale di Manfredonia è stata istituita, senza alcuna verifica dei requisiti richiesti dal comma 8 dell'articolo 6 legge n. 84 del 1994, con la legge n. 350/2003 (Legge finanziaria 2004) che ha modificato il comma 1 dell'articolo 6 legge n. 84 del 1994, inserendo il porto di Manfredonia nell'elenco dei porti sedi di Autorità portuale. Tale procedura anomala ha eluso nei fatti il coinvolgimento del Ministero dei trasporti e della regione Puglia la quale, con la riforma del titolo V della Costituzione, è chiamata a svolgere un ruolo significativo in materia di portualità, anche al fine di assicurare l'integrazione tra gestione del sistema portuale e assetto territoriale generale –:
   se il Ministro interpellato intenda porre in essere quanto dichiarato pubblicamente, procedendo alla massiccia riduzione delle autorità portuali, soprattutto quelle che non possiedono i requisiti previsti dalla legge;
   se intenda – nel rispetto della trasparenza, della meritocrazia e in virtù delle sentenze del Consiglio di Stato e della legge vigente – rivedere i criteri di nomina delle autorità portuali al fine di garantire una maggiore competenza e capacità gestionale dei porti, scongiurando il rischio di nomine fatte secondo logiche clientelari e politiche che rischiano di minare efficienza, produttività e gestione.
(2-00375)
«Liuzzi, Nicola Bianchi, Catalano, De Lorenzis, Dell'Orco, Cristian Iannuzzi, Paolo Nicolò Romano, Spessotto, Alberti, Artini, Barbanti, Basilio, Benedetti, Paolo Bernini, Cecconi, Colonnese, Corda, Crippa, Da Villa, Dall'Osso, Del Grosso, Della Valle, Manlio Di Stefano, Fantinati, Gagnarli, Gallinella, Silvia Giordano, L'Abbate, Mantero, Mucci, Vallascas».

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Catalano n. 4-03403 del 31 gennaio 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-02063.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta scritta Rizzetto n. 4-03364 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 162 del 29 gennaio 2014. Alla pagina 9215, seconda colonna, alla riga trentacinquesima deve leggersi: «1992 nonché alla crisi dell'anno 2011;» e non 1992 nonché alla crisi dell'anno 2001;», come stampato.