Camera dei deputati

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 4 febbraio 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    alla fine del 2010 la Commissione europea ha diramato un Libro verde sul futuro dell'IVA che, dopo un periodo finalizzato a favorire la presentazione di osservazioni, spunti e contributi da parte di imprese, professionisti, esperti e autorità fiscali, si è tradotto, a fine 2011, in una comunicazione sul futuro dell'IVA (COM (2011) 851), nell'ambito della quale sono tratteggiate le principali linee di intervento su cui appare prioritario agire al fine di evolvere la disciplina verso un sistema dell'IVA più semplice, più efficace, più refrattario ai fenomeni di frode e più adatto al mercato unico europeo;
    per un sistema IVA più semplice, la comunicazione (COM (2011) 851) della Commissione europea pone in particolare l'accento: a) sull'istituzione di uno sportello unico, quale strumento essenziale per facilitare, soprattutto per le piccole e medie imprese, l'accesso al mercato unico; b) sulla creazione di un portale web che fornisca informazioni in più lingue su questioni come la registrazione, fatturazione e dichiarazione dell'imposta; c) sull'aumento del livello di integrazione europeo del processo di elaborazione e interpretazione della normativa in materia di IVA, attraverso l'istituzione di un Forum europeo che metta a confronto autorità fiscali nazionali, Commissione europea e rappresentanti delle imprese; d) sull'opportunità di standardizzare a livello europeo gli adempimenti connessi alla gestione dell'IVA;
    per un sistema IVA più efficace, la comunicazione (COM (2011) 851) della Commissione europea pone in particolare l'accento: a) sull'opportunità di un ampliamento della base imponibile, al fine di ridurre gli effetti distorsivi alla concorrenza e al mercato che possono discendere da talune previsioni di esclusione o di esenzione dal tributo, nonché al fine di consentire una riduzione dell'aliquota ordinaria applicata nei diversi Paesi membri e le differenze tra le aliquote ordinarie medesime; b) sull'opportunità di una revisione e riduzione dell'ambito di applicazione delle aliquote previste dai singoli Paesi membri in misura ridotta rispetto alle aliquote ordinarie;
    per un sistema IVA più refrattario a fenomeni di frode, la comunicazione (COM (2011) 851) della Commissione pone in particolare l'accento: a) sulla possibilità di concedere una maggiore flessibilità normativa a livello di legislazione nazionale dei singoli Paesi membri, al fine di consentire l'adozione di risposte immediate, anche se a titolo temporaneo, per porre fine ad alcune pratiche fraudolente; b) sull'intensificazione delle misure finalizzate a combattere le frodi, quali la creazione di Eurofisc e gli scambi di informazioni rafforzati; c) sulle ipotesi di riesame delle modalità di riscossione dell'imposta, con particolare riguardo al modello della rivalsa con, però, scissione dei pagamenti (tale per cui l'IVA addebitata in fattura dal cedente/prestatore viene direttamente pagata dal cessionario/committente su un conto corrente bancario vincolato dalle autorità fiscali) e alla generalizzazione del modello del reverse charge (tale per cui il cedente/prestatore non addebita l'imposta in fattura e quest'ultima è direttamente applicata dal cessionario/committente);
    per un sistema IVA più adatto al mercato unico, la comunicazione (COM (2011) 851) della Commissione pone, in particolare, l'accento sulla necessità di approfondire ulteriormente le soluzioni per evitare che il mantenimento del principio tuttora provvisorio della tassazione nel Paese di destinazione (in luogo di quello «definitivo» dell'origine) continui a determinare un diverso trattamento nelle modalità di applicazione del tributo tra le operazioni interne e quelle transfrontaliere;
    seppur affrontato soltanto in modo marginale dalla comunicazione (COM (2011) 851) della Commissione, pare, altresì, evidente che, nell'ottica di un'evoluzione normativa che consenta di avere un sistema IVA al passo con il progresso tecnologico, siano quanto prima necessari a livello europeo appropriati interventi normativi volti a risolvere le oggettive iniquità di localizzazione della tassazione concernente le attività di vendita per il tramite di siti internet, cui si è recentemente cercato in Italia di dare un'inappropriata soluzione con un intervento normativo a livello nazionale (cosiddetta web tax),

impegna il Governo:

   a dare il proprio fattivo contributo in sede europea, affinché le priorità strategiche di cui alla comunicazione (COM (2011) 851) della Commissione europea, come riepilogate in premessa, trovino celere sviluppo e concreta traduzione in procedure, norme e regolamenti, sottolineando in particolare l'opportunità di un adeguato approfondimento dei positivi effetti che potrebbero determinare:
    a) l'introduzione del modello di riscossione del tributo attraverso il metodo della rivalsa con scissione del pagamento, soprattutto nei casi in cui il debitore dell'imposta è un ente pubblico;
    b) la generalizzazione del metodo del reverse charge a tutte le transazioni «business to business» (b2b);
    c) la generalizzazione del metodo dell'IVA per cassa in luogo di quello per competenza di fatturazione;
    d) il coinvolgimento nell'apposito Forum comunitario di discussione, oltre che delle rappresentanze delle imprese, anche di quelle dei professionisti;
   a procedere quanto prima, mediante l'istituzione di un tavolo che coinvolga anche le parti sociali e le rappresentanze di imprese e professionisti, a una ricognizione dei casi di esenzione ed esclusione che, già sulla base dell'attuale normativa comunitaria, potrebbero essere rimessi in discussione ai fini dell'allargamento della base imponibile, così come delle fattispecie relativamente alle quali risulta attualmente prevista l'applicazione delle aliquote ridotte del 4 per cento e del 10 per cento, ai fini di una valutazione di una possibile prima azione su base nazionale nella direzione di un sistema IVA più efficace, coerentemente alle prospettazioni sul punto della comunicazione della Commissione europea;
   a sensibilizzare la Commissione europea e le altre istituzioni europee ai fini di un rapido adeguamento della disciplina concernente la territorialità IVA delle cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate per il tramite di siti internet, così da risolvere le oggettive iniquità che, in modo giuridicamente inappropriato, ma socialmente corretto, il legislatore italiano ha recentemente cercato di risolvere con l'introduzione della cosiddetta web tax, di cui va quanto prima disposta l'abrogazione e non soltanto la mera proroga dell'entrata in vigore, come prevista dall'articolo 1, comma 1, del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 151.
(1-00331) «Zanetti, Sottanelli, Andrea Romano».

Risoluzioni in Commissione:


   La IV Commissione,
   premesso che:
    con parere espresso il 19 giugno 2013 le Commissioni riunite I e XI hanno motivato il favore sullo schema di decreto del Presidente della Repubblica concernente il regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti (tra cui rientra il personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco), formulando, tra gli altri, la seguente condizione: «provveda, pertanto, il Governo a tenere in considerazione, ai fini della definitiva emanazione del provvedimento, il complesso delle indicazioni e proposte prospettate in premessa e, in questo contesto, ad adottare ogni opportuna iniziativa finalizzata a consentire, immediatamente dopo l'entrata in vigore del decreto in esame, la ripresa della contrattazione collettiva ai soli fini normativi, modificando lo schema di decreto nella parte in cui lo stesso ha congelato fino al 31 dicembre 2014 la stessa contrattazione collettiva, fermo restando che la contrattazione per la parte economica potrà esplicare i suoi effetti a decorrere dall'anno 2015»;
    il blocco concerne i meccanismi di progressione stipendiale dei pubblici dipendenti, sterilizza ai fini contrattuali gli anni 2013 e 2014 e annulla gli incrementi contrattuali eventualmente previsti a decorrere dall'anno 2011 per tutte le amministrazioni pubbliche, blocca gli incrementi dell'indennità di vacanza contrattuale (analoga previsione è contenuta nell'articolo 1, commi 452 e 453, della legge di stabilità 2014 n. 147 del 2013) prevedendone per il triennio contrattuale 2015-2017 il ricalcolo senza riassorbimento degli importi bloccati;
    i tagli imposti, alle retribuzioni del personale del comparto difesa sicurezza e soccorso pubblico solo per il 2014 ammonteranno ad una cifra di oltre 969 milioni euro. All'importo vanno aggiunti i 770 milioni accumulati in forza legge n. 350 del 2003 e destinati al riordino delle carriere, sottratti al personale del comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico con l'articolo 9, comma 30 del decreto-legge n. 78 del 2011;
    l'applicazione dell'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2011 ha avuto anche effetti discriminanti fra il personale del comparto e quello del restante pubblico impiego non in regime di diritto pubblico. La specificità degli ordinamenti del comparto sicurezza e difesa ha, di fatto, ampliato la portata del blocco nei confronti del personale;
    infatti, come emerge dalla circolare n. 12 del 15 aprile 2011 della Ragioneria generale dello Stato:
     sia per il personale del pubblico impiego, sia per quello del comparto devono intendersi escluse le progressioni verticali (ovvero tra aree o tra ruoli per quanto attiene al comparto) effettuate tramite concorso, in quanto equiparate a nuove assunzioni, in forza dell'articolo 24 del decreto legislativo n. 150 del 2009;
     sono assoggettate al blocco le promozioni a dirigente del personale del comparto, in quanto non integrerebbero la fattispecie di «progressione verticale» di cui all'articolo 24 del decreto-legge n. 150 del 2009 perché effettuate all'interno dello stesso ruolo (ufficiali e dirigenti) e non regolate da concorso, per via del diverso stato giuridico, seppure le procedure di avanzamento previste, nei fatti, sono del tutto assimilabili a concorsi per titoli e l'avanzamento produce l'attribuzione di una diversa posizione giuridica (dirigente) con tutti gli effetti di legge che ne derivano. Poiché nel comparto gli avanzamenti sono a scrutinio (ossia, valutazione dei titoli acquisiti nell'arco della carriera) e non per concorso, come nel pubblico impiego, la penalizzazione deriva da un dato di fatto che la legge prevede come specifico in capo alle Amministrazioni militari e della sicurezza;
     sono assoggettate al blocco tutte le altre promozioni intra-ruolo del personale del comparto, in quanto omologate alle progressioni orizzontali del pubblico impiego (ovvero intra-Area), seppure effettuate con cadenza ben superiore a due anni e secondo procedure selettive e tabelle organiche regolate dalla legge. Anche le promozioni intra-ruolo, che nel pubblico impiego sono a concorso, nel comparto avvengono automaticamente, conferiscono, nei fatti, compiti e ruoli più rilevanti di responsabilità;
     sono stati congelati gli incrementi del trattamento economico fondamentale ed accessorio aventi carattere fisso e continuativo. Questi istituti che connotano in maniera particolare e rilevante le retribuzioni del personale del comparto e prevedono una cadenza ben superiore due anni, a differenza del pubblico impiego;
    a dispetto di quanto sostenuto con la suddetta circolare n. 12 del 15 aprile 2011, le promozioni del personale del comparto, invero, non sono automatiche, in quanto costituiscono l'epilogo di procedure di selezione per titoli e, talvolta, anche per esami, in tutto assimilabili a concorsi;
    la maggiore cadenza temporale degli incrementi e delle promozioni incide sulla quantificazione delle economie prodotte dal commi 1 e 21, secondo e terzo periodo, del predetto articolo 9, in quanto la cristallizzazione della retribuzione è perentoria al 31 dicembre 2010 e non tiene conto degli incrementi ancora in corso di maturazione (come ad esempio considera il meccanismo del «pro-rata»);
    pertanto, le particolari dinamiche salariali e di carriera del personale del comparto, caratterizzate da un'estrema gerarchizzazione e da profili di impiego e responsabilità indissolubilmente correlati al grado, inoltre, fanno sì che il taglio incida, in maniera ingiustificatamente diversa sul personale che matura il diritto ad un determinato incremento retributivo (promozione o altro assegno) nel quadriennio 2011-2014 rispetto al personale, con pari qualifica, la stessa anzianità e lo stesso impiego, ma dipendente da amministrazioni diverse da quelle difesa e sicurezza, che ha maturato o maturerà un identico diritto, prima o dopo tale periodo;
    il riconoscimento delle peculiarità del comparto è stato attuato dallo stesso decreto-legge n. 78 del 2010 che, all'articolo 8, comma 11-bis, ha istituito un fondo di 80 milioni di euro per ciascuno degli anni 2011 e 2012 per il finanziamento di misure «perequative» (cosiddetti assegni una tantum) per il personale del comparto sicurezza, difesa e soccorso interessato alle suindicate penalizzazioni, con la volontà espressa di sterilizzarne o quantomeno attenuare gli effetti nel triennio in questione;
    l'incremento di 115 milioni per gli anni 2011, 2012 e 2013 di tale fondo, operato con il successivo decreto-legge 26 marzo 2011, n. 27, convertito con modificazioni nella legge 23 maggio 2011, n.74, recante misure urgenti per la corresponsione di assegni una tantum al personale delle forze di polizia, delle forze armate e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, ne è stata l'ulteriore prova (i richiamati assegni una tantum, avendo natura accessoria, non sono validi a fini pensionistici, né ai fini della buonuscita e nemmeno dell'adeguamento del trattamento economico eventuale ed accessorio);
    tale ammontare è stato sottratto alle disponibilità assegnate per il riordino dei ruoli dall'articolo 3, comma 155, della legge 24 dicembre 2003, n. 350. In ogni caso, le risorse accantonate consentono il ristoro del 100 per cento del taglio 2011, del 46 per cento del taglio 2012 e saranno sufficienti a garantire solo il 16 per cento del taglio del 2013;
    lo stesso decreto-legge n. 27 del 2011 ha anche previsto, all'articolo 1, comma 2, la possibilità di finanziamenti aggiuntivi al citato fondo da attingere ai risparmi delle missioni internazionali di pace e al Fondo unico di giustizia;
    allo stato, per quanto riguarda il 2014, la citata legge n. 147 del 2013) (cosiddetta legge di stabilità 2014), al comma 466, ha stanziato soltanto 100 milioni di euro continuando ad attingere le anzidette risorse dal menzionato articolo 3, comma 155, della legge 350 del 2003, come già evidenziato finalizzate a suo tempo al riordino del ruoli del personale del comparto. Detto stanziamento consentirebbe il ristoro soltanto del 5 per cento) per cento del taglio 2014;
    giova ricordare, a fronte della decisione di estendere il blocco anche per il
2014, che:
     con la risoluzione n. 8-00151, approvata dalla Commissione difesa della Camera dei Deputati nella XVI Legislatura, veniva impegnato il Governo «ad escludere il Comparto sicurezza e difesa, per l'anno 2014, dalla possibilità di prorogare ulteriormente i tagli in questione, almeno con riferimento alla fattispecie del blocco degli effetti economici delle progressioni di carriera»;
     con l'ordine del giorno G/2969/2/5 approvato l'8 novembre 2011 dalla Commissione Bilancio del Senato della Repubblica veniva impegnato il Governo, pur nell'ambito della difficile congiuntura economica e della finanza pubblica, a valutare l'opportunità di adottare con urgenza le opportune iniziative atte a: «impegnare i relativi fondi iscritti nella tabella 8 per assicurare un'interpretazione dell'articolo 9, comma 21, del decreto-legge n. 78 del 2010, nel senso che al personale delle forze armate, delle forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nel triennio 2012-2014 sia assicurata la corresponsione integrale dei trattamenti economici connessi con l'impiego (indennità operative, indennità pensionabile, indennità di trasferimento, assegno funzionale, assegno non pensionabile dirigenziale e indennità di missione), con l'effettiva presenza in servizio e con la maturazione dei requisiti di anzianità e merito»;
    con parere espresso il 18 giugno 2013 la Commissione IV aveva chiesto di stralciare dal provvedimento in questione il comparto difesa, sicurezza e soccorso dall'estensione dell'efficacia al 2014 delle disposizioni dell'articolo 9, commi 1 e 21 terzo periodo del decreto-legge n. 78 del 2010, riconoscendo agli operatori del comparto stesso la condizione di specificità prevista dalle norme in vigore;
    la copertura del fabbisogno relativo poteva essere individuata reperendo le necessarie risorse attraverso il «Fondo unico giustizia», attingendo ai risparmi derivanti dalle missioni internazionali nonché alle risorse disponibili per le spese obbligatorie sui bilanci delle amministrazioni, di cui al comma 3 dell'articolo 1, del decreto-legge n. 27 del 2011;
    va infatti, ricordato all'uopo che l'articolo 16 del decreto-legge n. 98 del 2011 prevede di ottenere dei risultati di finanza pubblica in forza di una serie di misure di contenimento indicate al comma 1, dalla lettera a) alla lettera g), con una clausola di salvaguardia, al comma 3, che prevede, in assenza del conseguimento di detti obiettivi, il ricorso a tagli lineari. Inoltre, la stessa norma stabilisce l'eventuale estensione del blocco dei trattamenti economici del pubblico impiego possa essere differenziato in ragione dell'esigenza di valorizzare ed incentivare l'efficienza di determinati settori;
    condivisi i rilievi mossi dalle Commissioni riunite I e XI con parere del 19 giugno 2013, richiamati in particolare quelli inerenti la contrattazione collettiva ai soli fini normativi e la necessità che la contrattazione per la parte economica esplichi i suoi effetti a decorrere dal primo gennaio 2015, per il comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per finanziare il fondo di cui all'articolo 8, comma 11-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010 con risorse sufficienti a ristorare completamente il taglio previsto per l'anno 2014.
(7-00250) «D'Arienzo, Marantelli».


   La IV Commissione,
   premesso che:
    il 26 giugno 2013 la Camera dei deputati ha approvato la mozione 1-000125 impegnando il Governo:
     a dare impulso, a partire dal Consiglio europeo di dicembre, a concrete iniziative per la crescita della dimensione di difesa comune europea in una prospettiva di condivisa razionalizzazione della spesa;
     al pieno rispetto di quanto previsto dall'articolo 4 della legge 31 dicembre 2012, n. 244, allo scopo di garantire al Parlamento di esercitare le proprie prerogative;
     in particolare, relativamente al programma F35, a non procedere a nessuna fase di ulteriore acquisizione senza che il Parlamento si sia espresso nel merito, ai sensi dell'articolo 4 della legge 31 dicembre 2012, n. 244;
    il Senato, il 17 luglio 2013, ha approvato una mozione identica a quella già approvata alla Camera;
    i decreti previsti all'articolo 4 della legge 31 dicembre 2012, n. 244 non sono a oggi ancora stati pubblicati dal Consiglio dei ministri;
    nell'audizione del dottor Alessandro Pansa, AD di Finmeccanica SpA, tenutasi il 26 settembre 2013 nell'ambito della deliberata indagine conoscitiva in vista del consiglio Europeo di dicembre, lo stesso dottor Alessandro Pansa ha riportato che la perdita in termini di know how che Finmeccanica ha nella dismissione di un ingegnere di 45 anni è valorizzabile in 1,5 milioni di euro;
    sempre nell'audizione del dottor Alessandro Pansa a domanda diretta dell'onorevole Gian Piero Scanu, è stato fatto presente che Finmeccanica nel progetto JSF è un «esecutore intelligente»;
    il dottore Francesco Vignarca, della rete disarmo, il 3 ottobre 2013, sempre nell'ambito della audizione della deliberata indagine conoscitiva in vista del Consiglio europeo di dicembre, ha fatto notare come il Ministero della difesa abbia provveduto a ottemperare a precedenti accordi autorizzando il pagamento di ulteriori acquisizioni di long lead items nonché a stipularne di nuovi;
    il Ministro della difesa, in risposta all'interrogazione a risposta immediata in Assemblea del 9 ottobre 2013, ha specificato che sono stati acquisiti ulteriori long lead item in relazione ad accordi stipulati nel mese di maggio 2012, per i quali si sono formalizzate le acquisizioni in questo anno; si tratta di modifiche all'acquisizione inizialmente stipulata con contratto N00019-12-C-0004, per i lotti VI e VII, come da contratto n. 691-13 pubblicato dal Governo Usa (Defense) il 27 settembre 2013;
    dal contratto inizialmente stipulato il 15 giugno 2012, a parere degli interpellanti, si evince un costo complessivo per tutti gli Stati del progetto Joint Strike Fighter e le Forze armate Usa di dollari 489.528.000, ora modificato fino a dollari 3.405.427.661,00;
    l'analisi dei dati indicati nel contratto del dipartimento della difesa Usa, a giudizio degli interpellanti, è esprimibile in questi termini: il lotto VI, d'importo pari a 545.780.005 dollari, è a carico dell'Italia per il 60 per cento e dell'Australia per il restante 40 per cento. L'Italia acquisirà 3 aerei, l'Australia 2. Il lotto VII, d'importo pari a 612.429.977 dollari, è a carico dell'Italia per il 50 per cento, della Norvegia per il 33 per cento e del Regno Unito per il 17 per cento. Pertanto, l'Italia acquisirà 3 aerei, la Norvegia 2 e il Regno Unito 1;
    da ciò si evince come nel 2013 il Governo italiano sia stato il maggior contributore, verso il Governo Usa, per la prosecuzione del progetto Joint strike fighter nella parte internazionale (60 per cento per un ammontare di 694.925.989,20 dollari);
    il ritorno della FACO di Cameri è minore di quanto ricavato con la produzione dei componenti (5 per cento) e le perdite sono pari a dollari 487.521.752,75,

impegna il Governo:

   a non formalizzare nessun acquisto né ad assumere nessun impegno di acquisto, anche se già precedentemente concordato, per qualsiasi lotto di produzione relativo al programma JSF-F-35;
   a rinegoziare la programmazione dei lotti già concordati con l'obiettivo di spostare la produzione dei velivoli per l'Italia dalle tranche di produzione a basso rateo (LRIP) a quelle di produzione a pieno rateo (Multiyear), al fine di conseguire risparmi immediati nel bilancio Difesa e di eliminare i costi relativi alla cosiddetta «concurrency»;
   a fornire alla Commissione tutti i contratti dei lotti già acquisiti e la loro pianificazione temporale in merito ai finanziamenti eventualmente stipulati e ai pagamenti da effettuare e già effettuati;
   a fornire alla Commissione una valutazione esatta del costo sostenuto fino a oggi in merito al programma F-35 (inclusi i costi attinenti al relativo programma del motore F135 e del motore alternativo F136), anche valutando eventuali voci di bilancio provenienti da altri ministeri (MISE/MIUR), giacché i contratti sono stati comunque sottoscritti dal Ministero della difesa;
   a fornire alla Commissione una valutazione precisa in merito alle spese sostenute e previste per l'adeguamento della portaerei Cavour, della stazione aeromobili della Marina militare (Grottaglie) e delle basi dell'Aeronautica Militare (Ghedi, Istrana e Amendola) destinate a ospitare gli F-35.
(7-00251) «Artini, Rizzo, Basilio, Paolo Bernini, Frusone, Corda, Tofalo».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    l'agricoltura rappresenta uno dei settori maggiormente incisivi sulla bilancia commerciale del Paese, una delle voci principali di export e di produzioni di eccellenza capace di essere, anche nella grave e perdurante crisi economica ed occupazionale, un comparto anticiclico di irrinunciabile valenza;
    da anni le rilevanti criticità determinate dai danni causati all'agricoltura e alla zootecnia da alcune specie di fauna selvatica o inselvatichita, hanno assunto dimensioni allarmanti, con gravi ripercussioni che incidono inevitabilmente, oltre che sui bilanci economici delle aziende agricole (in particolare delle aziende di medie e piccole dimensioni che vedono compromesso gran parte del reddito ed interessando produzioni di grande qualità ed eccellenza come il settore vitivinicolo) e compromettendo in vaste aree l'equilibrata ed integrata coesistenza sostenibile tra attività umane e specie animali;
    la necessità di affrontare e risolvere il problema è stata, nel corso degli anni, sollecitata dalle associazioni agricole di categoria, dagli enti locali territoriali e dalla Conferenza delle regioni;
    il fenomeno dei danni provocati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole e zootecniche continua ad avere i connotati di una vera e propria emergenza, che sollecita l'avvio urgente di iniziative da parte delle istituzioni pubbliche, volte a prevedere un sistema adeguato di efficaci misure preventive e di contrasto;
    dal punto di vista giuridico la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato, così come disposto dalla legge n. 157 del 1992;
    sempre la legge n. 157 del 1992 attribuisce alle regioni la competenza in materia di normativa, di programmazione e gestione dell'attività venatoria (nel rispetto dei princìpi generali della legislazione quadro nazionale e delle norme internazionali recepite), che hanno per lo più normato ed attivato in materia le amministrazioni provinciali e gli ATC determinando attività di prevenzione e di prelievo della fauna presente in eccesso;
    tali attività sembrano non risultare sufficientemente efficaci e, secondo quando segnalato da numerose amministrazioni locali, pare essere divenuto più complesso ed in alcuni casi quasi inapplicabile, l’iter previsto dalla legge per giungere ai prelievi (province, regioni, Ispra, Atc);
    alla luce di queste difficoltà e per contrastare e prevenire tale fenomeno sono state effettuate numerose e diversificate iniziative parlamentari, che hanno interessato vari gruppi politici, sia nella XVI che nell'attuale legislatura. Sul tema sono state infatti presentati atti di sindacato ispettivo, risoluzioni, proposte di legge ed avviate approfondite indagini conoscitive;
    secondo le stime le perdite economiche causate dalla fauna selvatica alle colture, la maggior parte delle quali riconducibili ai cinghiali, sono indicate, da alcune associazioni di categoria, in oltre 70 milioni di euro annui (in molti casi rimborsati solo parzialmente);
    sussiste comunque una palese difficoltà a reperire dati ufficiali ed aggiornati sui danni provocati dalla fauna selvatica. A livello nazionale infatti non esiste ad oggi un «database» complessivo con dati qualitativi e quantitativi provocati dalla fauna selvatica. Possiedono «database» le regioni Toscana, Piemonte, Emilia Romagna ed Umbria;
    nel mese di novembre 2010 la Conferenza delle regioni e delle province autonome ha prodotto un documento relativo ad una indagine conoscitiva sui danni causati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole e zootecniche relative al periodo (2005-2009). Da tale documento sono emerse, in sintesi, le seguenti indicazioni:
     a) i danni causati dalla fauna selvatica sono ingenti e presenti in tutte le regioni, anche se sono differenziati in ragione del territorio, delle culture presenti e delle specie che li causano;
     b) le specie animali che procurano danni sono in particolare: cinghiale, capriolo, daino, lepre, fagiano, storno, lupo, nutria;
     c) le percentuali significative dei danni sono provocate dalle tre specie maggiormente immesse a scopo venatorio: cinghiale, lepre e fagiano;
     d) i maggiori danni sono stati registrati alle coltivazioni, in particolar modo alle produzioni erbacee (oltre 40 milioni di euro) ed alle produzioni arboree (circa 16 milioni di euro);
     e) i danni interessano anche la zootecnia ed i veicoli stradali a seguito di incidenti causati da animali selvatici;
    la Conferenza delle regioni e delle province autonome ha sollecitato in numerose occasioni il Governo a dare completa attuazione alle disposizioni contenute all'articolo 66, comma 14, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria per il 2001), che dispone il trasferimento, da ripartire tra le regioni per la realizzazione di programmi di gestione faunistico-ambientale a decorrere dall'anno 2004, di una somma pari al 50 per cento dell'introito derivante dall'applicazione della tariffa sulle concessioni governative relative alle licenze di porto di fucile a uso caccia. Maggiori risorse, a giudizio della conferenza, sarebbero inoltre di aiuto anche agli osservatori faunistici regionali per svolgere l'attività di monitoraggio degli habitat e della fauna selvatica nonché per i prelievi e per le deroghe;
    nella XVI legislatura la Commissione agricoltura della Camera dei deputati ha approvato un documento a conclusione dell'indagine conoscitiva sul «Fenomeno dei danni causati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole e zootecniche». Nella relazione viene evidenziata:
     a) la necessità di una analisi quantitativa e qualitativa del fenomeno attendibile basata su dati certi, realizzata da un ente terzo qualificato e con protocolli scientifici adatti ai censimenti;
     b) una rivalutazione, anche temporanea, dei criteri di immissione sul territorio di esemplari di fauna per le specie di cui è stato accertato uno squilibrio delle popolazioni che causa danni gravi alle popolazioni agricole;
     c) la valorizzazione, da parte degli organismi pubblici competenti, di una interazione sinergica ed integrata con gli agricoltori ed i cacciatori, anche attraverso collaborazioni specifiche e progetti di filiera;
     d) una puntuale individuazione delle aree da ritenersi vocate alla presenza faunistica e di quelle, invece, ove la presenza delle attività agro-silvo-pastorali impone la riduzione al minimo del numero di cinghiali, al fine di prevenire danni alle persone e cose, nonché alle attività che risultano essere quelle maggiormente colpite;
     e) il concreto funzionamento delle aree contigue (articolo 32 della legge n. 394 del 1991) in modo che le stesse possano svolgere la loro funzione di «zona cuscinetto» tra l'area protetta ed il territorio in cui si esercita la caccia;
     f) una maggiore attenzione alla prevenzione ed ai finanziamenti che questa comporta incoraggiando le amministrazioni locali competenti ad incentivare le aziende nella realizzazione di investimenti strutturali per la difesa dai danni;
    appare quindi evidente che ogni strumento o azione efficace per contrastare adeguatamente tale fenomeno debba essere basato su una conoscenza capillare e certificata dei danni prodotti dalla fauna selvatica. La raccolta di questi dati necessita quindi di un protocollo rigoroso ed omogeneo. L'Ispra (l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, vigilato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare) sembrerebbe quindi rappresentare l'ente statale preposto di riferimento scientifico e di ricerca, per mettere a punto e coordinare, di concerto con i Ministeri competenti e gli enti locali di riferimento, un protocollo rigoroso, omogeneo ed efficace di raccolta dei dati per i danni causati dalla fauna selvatica;
    l'Ispra è stato infatti istituito con la legge n. 133 del 2008 e svolge anche le funzioni, con le inerenti risorse finanziarie, strumentali e di personale, che erano di competenza dell'ex Ispra (Istituto nazionale per la fauna selvatica normato dalla legge n. 157 del 1992);
    l'Istituto nazionale per la fauna selvatica, organo scientifico e tecnico di ricerca e consulenza per lo Stato, le regioni e le province, aveva il compito di censire il patrimonio ambientale costituito dalla fauna selvatica; di studiarne lo stato, l'evoluzione ed i rapporti con le altre componenti ambientali; di elaborare progetti di intervento ricostitutivo o migliorativo sia delle comunità animali sia degli ambienti al fine della riqualificazione faunistica del territorio nazionale; di effettuare e di coordinare l'attività di inanellamento a scopo scientifico sull'intero territorio italiano; di collaborare con gli organismi stranieri ed in particolare con quelli dei Paesi della Comunità economica europea aventi analoghi compiti e finalità; di collaborare con le università e gli altri organismi di ricerca nazionali; di controllare e valutare gli interventi faunistici operati dalle regioni e dalle province autonome; di esprimere i pareri tecnico-scientifici richiesti dallo Stato, dalle regioni e dalle province autonome;
    nonostante i danni interessino tutto il territorio nazionale il fenomeno ha colpito e colpisce in particolare rilevanza alcune regioni, ed in particolare Toscana, Piemonte, Liguria;
    la gravità di tale problematica ha spinto ad esempio la regione Toscana, nei giorni scorsi e per voce dell'assessore all'agricoltura Gianni Salvadori, a chiedere al Governo italiano di farsi promotore nei confronti dell'Unione europea per favorire l'introduzione dello storno fra le specie cacciabili, dal momento che «dopo il cinghiale e il capriolo, è la specie che causa più danni all'agricoltura toscana», e numerose amministrazioni provinciali a scrivere allo stesso Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali segnalando la gravità di danni prodotti da cinghiali e caprioli, come evidenziato da Anna Maria Betti, assessore all'agricoltura e caccia della provincia di Siena e coordinatore Upi Toscana: «Le norme e i regolamenti in materia di gestione della fauna selvatica – ha dichiarato – non sono più adeguati alla situazione attuale e non consentono di mantenere densità sostenibili e giusto equilibrio fra le specie, con l'ambiente circostante e con l'attività agricola»,

impegna il Governo:

   a promuovere tutte le iniziative necessarie urgenti, sia in sede nazionale che in sede comunitaria, per contrastare e prevenire con efficacia il problema dei danni alle colture causati dalla fauna selvatica prevedendo una maggiore sinergia con le regioni e le province autonome;
   a convocare quindi in tempi brevi un tavolo tematico di concertazione con le regioni e le province autonome sul problema dei danni causati dalla fauna selvatica;
   ad istituire, mediante il concerto tra i Ministeri competenti, Ispra, le regioni e le province autonome, un osservatorio permanente in grado di censire con puntualità, certezza e per mezzo di comprovati parametri tecnici e scientifici, i danni provocati dalla fauna selvatica su tutto il territorio nazionale;
   a reperire risorse adeguate per risarcire gli agricoltori dai danni causati dalla fauna selvatica a partire dalla completa attuazione alle disposizioni contenute all'articolo 66, comma 14, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, citata in premessa;
   a promuovere ulteriori strumenti finanziari e fiscali per far fronte ai danni complessivi causati dalla fauna selvatica, prevedendo, con rifinanziamento del medesimo, l'utilizzo del Fondo di solidarietà nazionale per l'agricoltura e l'incentivazione di forme assicurative specifiche;
   ad attivare strumenti e risorse finanziarie per promuovere, da parte dei soggetti pubblici e privati interessati, una reale ed efficace azione di prevenzione e la promozione di azioni sperimentali;
   a valutare iniziative normative straordinarie, qualora venisse documentato scientificamente un grave sovrannumero di alcune specie di fauna selvatica, per vietare temporaneamente l'immissione sul territorio di tali esemplari e per introdurre deroghe alla legislazione vigente per l'attività faunistica e per gli interventi di controllo, ove si rendessero necessari.
(7-00249) «Cenni, Dallai».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, per sapere – premesso che:
   dopo 25 rinvii e nonostante il tentativo della procura indiana di chiedere ulteriori due/tre settimane di tempo, la Corte suprema indiana ha chiesto finalmente al Governo di New Delhi di pronunciarsi entro lunedì prossimo, 10 febbraio, in merito alla vicenda giudiziaria che vede coinvolti i due fucilieri della marina militare, Girone e Latorre accusati della morte di due pescatori, al largo delle coste del Kerala, avvenuta giusto due anni fa;
   in quella udienza la procura dovrà indicare i capi di imputazione fucilieri di Marina che potrebbero anche prevedere l'accusa di aver infranto la legge anti-terrorismo e anti-pirateria, reati che contemplano la pena di morte (Sua Act);
   il Governo per il tramite dell'inviato Staffan De Mistura, ha comunicato che, qualunque sia la decisione è determinato e preparato ad ogni contromossa finalizzata al ritorno a casa dei marò;
   nel frattempo prosegue la mobilitazione in Italia e all'estero finalizzata a restituire la libertà ai due militari che attualmente vivono in libertà condizionata nell'ambasciata italiana a New Delhi e che potrebbero tornare in Italia in attesa che il processo venga istruito e arrivi la sentenza –:
   se non ritengano di fornire ogni utile informazione in loro possesso circa il futuro iter giudiziario riguardante i due fucilieri della marina militare detenuti da circa due anni in India.
(2-00398) «Rossi, Dellai».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   in data 23 gennaio 2014 l'editore dell'agenzia Adnkronos ha inviato una comunicazione al comitato di redazione con cui veniva annunciato l'avvio della procedura di licenziamento di 20 giornalisti e 3 poligrafici;
   si tratta di oltre un quarto dei lavoratori dell'agenzia e la procedura è stata avviata formalmente lunedì 27 gennaio 2014;
   la procedura attivata dall'azienda fa riferimento alla legge n. 223 del 1991, concernente «Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato dei lavoro» che però, fino ad oggi, non ha mai trovato applicazione nel settore dell'editoria, in quanto tale materia è, invece, disciplinata ai sensi della legge n. 416 del 1981;
   la stessa Federazione degli editori, nell'audizione svoltasi presso la commissione Cultura della camera il 30 gennaio 2014, alla quale l'azienda non ha voluto partecipare, ha definito «inusuale» il ricorso alla legge n. 223 del 1991;
   la decisione da parte dell'Adnkronos giunge, tra l'altro, subito dopo il rinnovo di una importante convenzione con la Presidenza del Consiglio, alle stesse condizioni economiche del 2013;
   la stessa Azienda ha inoltre più volte ribadito di non essere in stato di crisi e di avere un solido bilancio cosa che non giustificherebbe pertanto il ricorso alla normativa citata;
   l'assemblea dei lavoratori, giornalisti e poligrafici, ha proclamato una immediata azione di mobilitazione, confermando lo stato di agitazione e deliberando 5 giornate di sciopero, di cui tre già effettuate e a cui hanno aderito in segno di solidarietà anche le altre testate del gruppo;
   il sindacato di categoria, sostenendo la causa dei lavoratori dell'Adnkronos, ha definito l'azione dell'azienda come un «intollerabile atto ritorsivo, illegittimo e fuori da ogni regola che disciplini qualsiasi rapporto di lavoro» –:
   anche in relazione al recente rinnovo della convenzione con la Presidenza del Consiglio dei ministri, quali siano gli orientamenti del Governo in merito alla vertenza in atto e se non ritenga opportuno, nell'ambito delle competenze che gli sono proprie, adottare iniziative finalizzate a favorire una soluzione che salvaguardi i livelli occupazionali della testata.
(2-00399) «Giacomelli, Carbone, Anzaldi, Saltamartini, Lainati, Pierdomenico Martino, Garofani, Costantino, Fratoianni, Marazziti, Buttiglione, Molea, Andrea Romano, Rampelli, Francesco Saverio Romano, Villecco Calipari, Rosato, Carra, Ascani, Zanetti, Misiani, Fiano, Morani, Ermini, Di Lello, Marantelli, Chaouki, Rotondi, Galan, Buonanno, Gregorio Fontana, Bergamini, Richetti, Malpezzi».

Interrogazione a risposta scritta:


   BALDASSARRE, ROSTELLATO, RIZZETTO, BECHIS, CIPRINI, CHIMIENTI, COMINARDI, TRIPIEDI, SILVIA GIORDANO, GRILLO, CANCELLERI e CECCONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'ex Presidente dell'INPS, Antonio Mastrapasqua, esercita le cariche di: sindaco del Pastificio Bettini Zannetto Spa, presidente del collegio sindacale di ADR Engineering Spa, consigliere e presidente del consiglio di amministrazione di IDEAFimit società di gestione del risparmio Spa, presidente del collegio sindacale di Mediterranean Nautilus Italy Spa, sindaco di Coni Servizi Spa, presidente del collegio sindacale di Telenergia Srl, sindaco di Autostrade per l'Italia Spa, liquidatore di Office Automation Products Srl, consigliere e vice presidente del consiglio d'amministrazione di Equitalia Spa, sindaco di Loquendo Spa;
   inoltre Antonio Mastrapasqua ha avuto i seguenti incarichi: sindaco supplente di CE.TE.V – centro tecnologie del vuoto, sindaco di Com.Lab Srl, sindaco supplente di Sviluppo Italia Sardegna Spa, sindaco di Sviluppo Italia Molise Spa, sindaco di Conphoebus Srl, sindaco di Sicos Srl, liquidatore di Telcal – consorzio IRI telematica Calabria, sindaco di S.M.A Spa, presidente del collegio sindacale di Sviluppo attività industriali Anagni Srl, sindaco di Quadrifoglio immobiliare Srl, sindaco di Spiral Tools Spa, presidente del collegio sindacale di Sviluppo attività industriali Anagni Srl, sindaco di In Action Srl, presidente del consiglio di amministrazione di Equitalia Esatri Spa, presidente del collegio sindacale di Euromedia Marketing Service Spa, sindaco supplente di Telecom Italia Audit and Compliance Service, sindaco di Ottogas rete Srl, sindaco di Ottogas Vendita Srl, sindaco supplente di Tim Italia Spa, presidente del collegio sindacale di Telcos Spa, sindaco supplente di B.I.C. Veneto S.C.P.A., sindaco supplente di Ansaldo segnalamento ferroviario Spa, sindaco supplente di Systema BIC Basilicata, sindaco di Accesa società immobiliare per azioni, sindaco di SPI Spa, sindaco supplente di Alenia Oto Sistemi Missilistici Spa, sindaco di COM. STAR Srl, sindaco di Finsiel Spa, liquidatore di ItalSpazio, presidente del collegio sindacale di COS communication services Spa, sindaco di ISI Spa, liquidatore di Consorzio Seafox, sindaco di Finsatel Srl, sindaco supplente di Eurimage Spa, sindaco di Consorzio FO.P.RI, liquidatore di Trainet Spa, sindaco di N.TC. Spa, liquidatore di Consorzio Distributori Associati, liquidatore di Ascai Servizi Srl in liquidazione, sindaco di Teleo Spa, sindaco di BLU Spa, sindaco supplente di Sviluppo Italia Sardegna Srl, sindaco di Sviluppo Italia Molise Srl, sindaco supplente di Sviluppo Italia Basilicata Srl, sindaco di EN. Hydro Spa, liquidatore di Cos Sanità Srl in liquidazione, sindaco di Finanziaria Web Spa – WebFin Spa, sindaco di Water & Industrial Services company Spa, presidente del collegio sindacale di Italia Evolution Spa in liquidazione, sindaco e presidente del collegio sindacale di Almaviva – CNR SCARL, consigliere di Equitalia Gerit Spa, presidente del collegio sindacale Eur Congressi Srl, revisore legale di Consorzio per la certificazione di qualità degli impianti sportivi in liquidazione, sindaco di Telecom italia Lab Spa – Tilab Spa, sindaco supplente di Telecom Italia Mobile Spa – TIM Spa, sindaco di Accesa società immobiliare per azioni, sindaco supplente di Stet International Spa, sindaco supplente di Meteor Spa, sindaco di Seed Spa, sindaco supplente di BIC Veneto SCPA, consigliere di Ansaldo caldaie Spa, sindaco e presidente del collegio sindacale di Spring Srl, consigliere e presidente del consiglio di amministrazione di Equitalia ETR Spa, sindaco di CS Srl in liquidazione, consigliere e vice presidente del consiglio di amministrazione di Equitalia Centro Spa, sindaco di Liricart società cooperativa A.R.L., sindaco di BIC Liguria SCPA, sindaco supplente di Invitalia attività produttive Spa, sindaco di Gesam Spa, sindaco supplente di Sirti Spa, presidente del collegio sindacale di Almaviva Finance Spa, sindaco supplente di NordCom Spa, sindaco di Wisco Spa, sindaco e presidente del collegio sindacale di Almawave Srl, consigliere e vice presidente del consiglio di amministrazione di Equitalia Nord Spa, sindaco supplente di E-Geos Spa, sindaco di Sovis Spa, sindaco di Campania regionale marittima Spa Caremar, sindaco supplente di SESM soluzioni evolute per le sistemistica e i modelli SCARL, sindaco di Castellammare di Stabia Multiservizi Spa, presidente del collegio sindacale di Telecontact Center Spa – TCC Spa, sindaco supplente di Idrosicilia Spa, sindaco supplente di Sviluppo Basilicata Spa, consigliere di gestione di Centro di Sanità Spa, sindaco di Pantanella Sud Spa, sindaco e presidente del collegio sindacale di Emsa Servizi Spa in liquidazione, sindaco supplente di Dimensione Srl, sindaco di Autostar Spa Unipersonale, presidente del collegio sindacale di ViaSat Spa, presidente del collegio sindacale di Atesia Spa, sindaco di Fandango Srl, presidente del collegio sindacale di Groma Srl, consigliere e vice presidente di Equitalia Servizi Spa, sindaco di Avus-Italia Srl, sindaco di Consel SCRL, sindaco supplente di Proteo Spa, presidente del collegio sindacale di Esforax/Tomier associate Srl, sindaco supplente di SKY Italia Srl, sindaco di Garanzia Italia – Confidi in liquidazione, sindaco supplente di Euler Hermes Service Italia Srl, presidente del collegio sindacale di Elettra TLC, sindaco supplente di TeleSpazio Spa, sindaco di Almaviva TSF Spa, sindaco di Almaviva Technologies Srl, sindaco supplente di Invitalia Partecipazioni Spa, sindaco di Telecom Italia Sparkle Spa, sindaco di Unionfidi Lazio Spa, sindaco supplente di Selex Sistemi Integrati Spa, presidente del collegio sindacale di Collocare Srl, sindaco di Autostar Immobiliare Spa, sindaco di Telecom Italia Digital Solution Spa, sindaco supplente di Telecom Italia Media Spa, presidente del collegio sindacale di EUR Spa, sindaco di PMIEQUITY Srl, amministratore unico di Litorale Spa, sindaco di Novisì Spa, sindaco di Almaviva Contact Spa, consigliere amministratore delegato di Italia Previdenza – SISPI Spa, sindaco di TM News Spa, sindaco di Autostar Holding Spa, sindaco di Consorzio Lottomatica giochi sportivi in liquidazione, sindaco supplente di Ferrovie Real Estate Spa, sindaco di Rete Autostrade Mediterranee Spa, sindaco di G.Matica Srl, revisore dei conti e sindaco di Almaviva – The italian innovation company Spa, presidente del collegio sindacale di Quadrifoglio R.E. Srl, sindaco supplente di Cartalis IMEL, presidente del collegio sindacale di Aquadrome Srl, presidente del collegio sindacale di EUR TEL Srl, presidente del collegio sindacale di EUR Power Srl, presidente del collegio sindacale di Roma Convention Group Spa, consigliere e presidente del consiglio di amministrazione di Equitalia Sud Spa, sindaco di SAIAT, sindaco di Alenia SIA Spa, consigliere e vice presidente del consiglio di amministrazione di Equitalia Nomos Spa, presidente del collegio sindacale di Edotel Spa in liquidazione, presidente del collegio sindacale di Coswell Srl, sindaco di Finsatel Srl, sindaco di Vehicle Electronic Manufacturing Solutions Spa, sindaco di Italstem Spa, presidente del collegio sindacale di STT Spa;
   la moglie di Antonio Mastrapasqua, la signora Maria Giovanna Basile, ricopre attualmente svariate cariche: sindaco supplente di Vecar Spa in liquidazione, sindaco di Istituto fiorentino di cura e assistenza Spa, sindaco supplente di Directional Projects Spa, sindaco di Santa Chiara Firenze Spa, sindaco supplente di Ventura Spa, presidente del collegio sindacale di Barocco Roma Srl, sindaco di Ecosuntek Spa, sindaco di S.A.L.I.C. Spa, sindaco supplente di ACI Vallelunga Spa, sindaco di Marcantonio Spa in liquidazione, presidente del collegio sindacale di RAI WAY Spa, sindaco di RAI Cinema Spa, sindaco di RAI – Radiotelevisione Italiana Spa, sindaco supplente di GIOMI – Fingemi Spa, sindaco supplente di GIOMI Spa, sindaco supplente di ACI Global Spa, sindaco supplente di Targa Fleet Management Srl, sindaco di Acea Energia Spa, sindaco supplente di GIOMI Real Estate Spa, sindaco supplente di Giointi Spa, sindaco supplente di FINEMI Spa, sindaco supplente di GIOMI RSA Srl, sindaco di Tredici Spa, sindaco di Targasys Srl, sindaco di Cappellani Giomi Spa, sindaco supplente di ACI Infomobility Spa;
   inoltre Maria Giovanna Basile ha avuto i seguenti incarichi: sindaco supplente di ACI Sardegna SGS Spa, sindaco di Almaviva Sud Spa, sindaco supplente di Auto d'Elite Spa in liquidazione, sindaco supplente di Sicos Srl, sindaco di IN ACTION Srl, sindaco supplente di Euromedia Marketing Service Spa, sindaco supplente di Telcos Spa, sindaco supplente di Semikron Spa, presidente del collegio sindacale di Barocco Roma Srl, sindaco supplente di Finsiel Spa, sindaca supplente di COS Communication Services Spa, sindaco di Atesia Spa, liquidatore di Studio per i progetti d'impresa Srl, sindaco di Bellini & Notarianni Srl in liquidazione, sindaco di Panama media Srl, sindaco supplente di H-Elite Srl, sindaco supplente di Rentest Spa in liquidazione, sindaco supplente di Graziano Buonanno & Figli Srl, sindaco supplente di Spring Srl, sindaco di Vecar Holding Srl, sindaco di Elmec distribuzione energia Srl, sindaco supplente di CS Srl in liquidazione, sindaco di Polomar Srl, sindaco di Cliniche Moderne Spa, sindaco supplente di Almaviva Finance Spa, sindaco supplente di Almawave Srl, sindaco supplente di Telecontact Center Spa, sindaco supplente di IGIT Spa, sindaco supplente di Immobiliare economica Poggio Pertuso Srl, sindaco supplente di Omicron Industriale Srl, sindaco di Plaza Srl, sindaco di Codispre Società cooperativa Edilizia, sindaco di Capital Società Finanziaria Spa, sindaco supplente di Teleippica Lazio Srl, sindaco di Nuova edilizia moderna società cooperativa edilizia, sindaco di CON.E.CO., sindaco di Marcantonio Holding Srl in liquidazione, sindaco di Romana Immobiliare Srl, consigliere di S.A.C. E T. Srl, sindaco di Villaggio 87 società cooperativa edilizia, sindaco di Cliniservice Srl, sindaco di Saviotti & Canuti Srl, sindaco di Radio Flash 89.500, sindaco supplente di Almaviva TSF Spa, sindaco supplente di Almaviva technologies Srl, sindaco supplente di Mutua Italiana Assistenza Sanitaria MIAS, sindaco supplente di Genconit Srl in liquidazione, sindaco di Consorzio Italia – società cooperativa, sindaco di Produzione imballi alimentari Srl in liquidazione, sindaco supplente di Semikron Srl, sindaco di Roses Hotels Srl, sindaco di SIRI Spa, sindaco supplente di ONLY ONE Srl, sindaco supplente di CO.R.R. Srl, sindaco supplente di Almaviva Contact Spa, sindaco di Panama Editore Srl, sindaco supplente di TMD Immobiliare Srl, sindaco supplente di Consorzio Lottomatica giochi sportivi in liquidazione, sindaco di Ceramica Sanitari Faleri Srl, sindaco supplente di GMatica Srl, revisore dei conti e sindaco supplente di Almaviva Spa, sindaco supplente di Centro Carta ed affini Spa, sindaco supplente di AMTEC Spa, sindaco supplente di KRENE Srl, sindaco supplente di Coswell Srl, sindaco di Italstem Spa, sindaco supplente di V.A.R.M. Srl;
   il fratello di Antonio Mastrapasqua, Pietro Mastrapasqua ricopre attualmente svariate cariche: sindaco di Costruzione gestione campeggi alberghi villaggi cogecav Srl, presidente del collegio sindacale di Marsh Spa, sindaco supplente di SIA Spa, consigliere e amministratore delegato di Synergia Consulting Group Srl, sindaco di A.S. Roma Spa, sindaco di Barzanò & Zanardo Milano Spa, socio amministratore di MA.TI Service di Mastrapasqua Pietro e Tirdi Silvio Snc, presidente del collegio sindacale di GN Research Spa, socio amministratore di SILPIE di Tirdi Silvio e Mastrapasqua Pietro Snc, sindaco e presidente del collegio sindacale di IN & OUT Spa, sindaco di A.S. Roma Real Estate Srl, presidente del collegio sindacale di Imprefidi Lazio – Società Cooperativa, sindaco di Brand Management Srl;
   inoltre Pietro Mastrapasqua ha avuto i seguenti incarichi: presidente del collegio sindacale di Ansaldo Energia Holding Spa, sindaco supplente di Holding Banca Sara Spa, presidente del collegio sindacale di H.S. Spa, sindaco di Iniziativa Alfa Srl, sindaco supplente di Organismo Bilaterale Nazionale per la formazione SCRL, sindaco di SARA Life Spa, sindaco supplente di SARA Immobili Spa, membro comitato di sorveglianza di Cassa Rurale ed artigiana di Sicignano degli Alburni, sindaco di Targasys Srl, presidente del collegio sindacale di Villa CE.S.I. Srl, presidente del collegio sindacale di Ansaldo Energia Spa, presidente del collegio sindacale di Skygroup Srl in liquidazione, sindaco supplente di Banca SARA Spa, sindaco supplente di ALA Assicurazioni Spa, sindaco di MC Servizi Srl, sindaco di ACI – Mondadori Spa, sindaco di Glesia Srl, sindaco di ACI Infomobility Spa, presidente del collegio sindacale di Alimentaria Sicilia Srl, sindaco di ACI Vallelunga Spa, presidente del collegio sindacale di ACI Informatica Spa, sindaco di Francesco Pastore Srl, presidente del collegio sindacale di Esforax Italia Srl, sindaco supplente di Agricola Monterosi Spa, presidente del collegio sindacale di Distribuzione Materiale Elettrico D.M.E. Srl, sindaco di Tecnica nella luce Srl, sindaco di Rio Grande Srl, presidente del collegio sindacale di Frigocarni Srl, sindaco supplente di SARA Vita Spa, sindaco supplente di Società Italiana di Monitoraggio Spa, presidente del collegio sindacale di SIULP Collegamento Srl, sindaco di SETECNA Srl, sindaco di Chirone 2000 Srl, socio accomandante di Parika Servizi assicurativi SAS, sindaco di Servizi e Lavoro Srl, sindaco supplente di Esforax/Tornier Associate Srl, sindaco supplente di LIBERETÀ Spa, presidente del collegio sindacale di SOGIT Spa, sindaco di O.L. Agenzia per il Lavoro Spa, sindaco di Commerzbank Spa, sindaco di Housenet Srl, sindaco di Commerzbank Asset Management Italia Spa, sindaco di Gestioni Europa Due Spa, sindaco supplente di SIOA Spa, sindaco e presidente del collegio sindacale di ACI Global Spa, presidente del collegio sindacale di Management Executive New Spa, sindaco di Electronic Warfare Associates Italia Srl, presidente del collegio sindacale di BodyLook Spa in liquidazione, sindaco supplente di Targa Fleet Management Srl, sindaco di Intermedia Spa, sindaco supplente di IT-PCI Payment Srl in liquidazione, presidente del collegio sindacale di Agenzia del Turismo Spa in liquidazione, presidente del collegio sindacale di H.S. Hospital Service Spa, sindaco di Targasys Srl, sindaco di Sviluppo Nucleare Italia Srl, presidente del collegio sindacale di Targa Fleet Management Srl;
   leggendo con attenzione e confrontando gli incarichi suddetti, appare lapalissiano che possano configurarsi svariati conflitti di interessi a causa delle numerose cariche, molte volte coincidenti e nelle medesime società, da parte di Antonio Mastrapasqua, la moglie Maria Giovanna Basile, il fratello Pietro Mastrapasqua –:
   se il Presidente del Consiglio dei ministri e i Ministri interrogati siano a conoscenza degli incarichi suddetti e se tale situazione fosse già nota, a quanto risulta agli atti, e se nel 2008, anno in cui Antonio Mastrapasqua è diventato presidente dell'INPS;
   per quali ragioni, il Presidente del Consiglio dei ministri, Enrico Letta, e i Ministri interrogati, non si siano accorti di tale palese anomalia negli incarichi suddetti e per quale ragione non abbiano rilevato il possibile conflitto di interessi come invece stanno facendo solo adesso;
   se i Ministri interrogati ritengano che si possa configurare un conflitto di interessi tra i molteplici incarichi di Antonio Mastrapasqua, dimissionario ex presidente INPS, di sua moglie Maria Giovanna Basile e di suo fratello Pietro Mastrapasqua;
   se risulti ai Ministri interrogati che si possa configurare un rischio di conflitti di interessi tra i molteplici incarichi suddetti, anche in relazione ad eventuali consulenze e forniture o altra interferenza tra le società in cui costoro svolgono rispettivamente funzioni. (4-03440)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COVELLO e MAGORNO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il 17 gennaio 2014 due operai italiani, Francesco Scalise e Luciano Gallo, originari di Pianopoli (CZ) e Feroleto Antico (CZ) sono scomparsi mentre si trovavano in Libia, in località Terna della Cirenaica, per eseguire dei lavori con la General World, un'impresa edile di Crotone che si occupa della costruzione di strade e di altre opere;
   i due operai sono stati rapiti da un gruppo armato che li ha costretti a scendere dal loro furgone e a salire su un altro veicolo nei pressi del villaggio Martuba, tra le città di Derna e Tobruk;
   il furgone con gli attrezzi da lavoro, utilizzati da Francesco Scalise e Luciano Gallo, è stato ritrovato abbandonato da alcuni operai della General World;
   il sequestro non è stato ancora rivendicato e a tutt'oggi i familiari dei due operai non hanno ottenuto alcuna notizia dalla Farnesina –:
   se e quali iniziative urgenti, nell'ambito delle proprie competenze, il Ministro intenda attivare per fare chiarezza sulla vicenda dei due operai e dare così risposte certe e rassicuranti alle loro famiglie che da giorni vivono nell'angoscia e nell'attesa. (5-02057)

AFFARI REGIONALI E AUTONOMIE

Interrogazione a risposta scritta:


   TERZONI, DE ROSA, MANNINO e PARENTELA. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con l'articolo 2, comma 184, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, legge finanziaria 2010, sono stati ridotti i componenti dei consigli comunali, andando a modificare quanto indicato dall'articolo 37 del decreto-legge 18 agosto 2000 n. 267;
   al comma 10 dell'articolo 73 del suddetto decreto-legge è indicato che «Qualora un candidato alla carica di sindaco sia proclamato eletto al primo turno, alla lista o al gruppo di liste a lui collegate che non abbia già conseguito, ai sensi del comma 8, almeno il 60 per cento dei seggi del consiglio, ma abbia ottenuto almeno il 40 per cento dei voti validi, viene assegnato il 60 per cento dei seggi, sempreché nessuna altra lista o altro gruppo di liste collegate abbia superato il 50 per cento dei voti validi. Qualora un candidato alla carica di sindaco sia proclamato eletto al secondo turno, alla lista o al gruppo di liste ad esso collegate che non abbia già conseguito, ai sensi del comma 8, almeno il 60 per cento dei seggi del consiglio, viene assegnato il 60 per cento dei seggi, sempreché nessuna altra lista o altro gruppo di liste collegate al primo turno abbia già superato nel turno medesimo il 50 per cento dei voti validi. I restanti seggi vengono assegnati alle altre liste o gruppi di liste collegate ai sensi del comma 8;
   quanto riportato in questo comma unito alla riduzione del numero dei consiglieri ha portato a interpretazioni non omogenee sul numero di consiglieri spettanti ai due schieramenti e ha provocato numerosi ricorsi al TAR per stabilire la corretta composizione e divisione dei seggi tra maggioranza e minoranza;
   ricorsi sono stati presentati da tanti primi consiglieri non eletti in tutta Italia, appartenenti a tutte le forze politiche. Purtroppo, i diversi tribunali amministrativi regionali, e lo stesso Consiglio di Stato, istanza superiore della giustizia amministrativa, hanno preso decisioni non omogenee. Il TAR della Toscana ha adottato una linea interpretativa favorevole alle maggioranze, in nome del cosiddetto principio di governabilità; i TAR dell'Abruzzo, sede di Pescara, della Lombardia, e delle Marche si sono espressi a favore dell'arrotondamento all'unità più vicina, in nome di un principio di logicità;
   non poche sono le implicazioni collegate all'interpretazione della norma. Infatti, nel caso in cui il TAR si è espresso in favore delle maggioranze il potere delle opposizioni è stato fortemente limitato. Questo, ad esempio, nella possibilità di presentare atti di sfiducia al sindaco che, sempre secondo il decreto-legge 18 agosto 2000, n. 267, all'articolo 52, prevede che tale documento debba essere sottoscritto da almeno 2/5 dei consiglieri calcolati escludendo il sindaco;
   questo comporta, per fare un esempio, che nei consigli comunali composti da 24 consiglieri (città con popolazione tra 30 mila e 100 mila abitanti), in caso di interpretazione della norma a favore delle maggioranza, questa ha diritto a 15 consiglieri (sindaco escluso) e la minoranza a 9, mentre i 2/5 per la mozione di sfiducia risultano essere pari a 10 consiglieri –:
   se il Ministro sia conoscenza di quanto riportato in premessa;
   se non ritenga opportuno intraprendere tutte le iniziative di competenza necessarie a eliminare lo stato di ambiguità nell'interpretazione della norma consentendo alle opposizioni che siedono nei consigli comunali di poter adempiere in pieno al loro mandato. (4-03441)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta orale:


   DORINA BIANCHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   sulla base di dati raccolti da Legambiente si apprende come, tra il dicembre 2009 ed il giugno 2012, lo Stato abbia stanziato un miliardo e trentasette milioni di euro per fronteggiare i danni causati dalle alluvioni in varie parti d'Italia;
   allo scopo di rafforzare l'opera di prevenzione dei danni da alluvioni e dissesti idrogeologici, sono stati finora erogati solo due miliardi di euro per il piano di assetto idrogeologico, realizzato dalle autorità di bacino, a fronte di un costo totale previsto di ben quarantaquattro miliardi per circa quindici mila interventi;
   in particolare, per quanto concerne i lavori di ripristino e di riparazione dei danni causati dall'alluvione che colpì la località di Sarno in Campania e che provocò la morte di 159 persone, si apprende come lo Stato ad oggi abbia stanziato 600 milioni di euro. Cento di questi milioni sono andati persi in quanto prevedevano, per la loro effettiva erogazione, un piano di programmazione della spesa da presentare entro il 31 dicembre 2001. Tale piano non è stato presentato, rendendo così impossibile lo stanziamento;
   sempre in relazione al disastro di Sarno e dei lavori di ripristino delle condizioni di assetto idrogeologico, si apprende che opere essenziali come la riparazione delle vasche e dei canali borbonici o novecenteschi, essenziali per il contenimento delle acque, non sono state realizzate, così come non è stata messa in atto alcuna azione di manutenzione e prevenzione delle strutture esistenti;
   inoltre, in merito all'alluvione che ha duramente colpito la Sardegna il 18 novembre 2013, causando la morte di 18 persone, si apprende come per le zone colpite dall'evento gli stanziamenti siano stati divisi in due parti, rispettivamente da 20 e 11 milioni di euro, entrambi gestiti dal commissario straordinario per l'emergenza Giorgio Cicalò, direttore regionale della protezione civile;
   ad oggi, i comuni sardi colpiti dall'alluvione non hanno ancora ricevuto fondi per il risanamento ed il ripristino del territorio ed i 300 milioni stanziati a favore dell'ANAS per i lavori infrastrutturali non sono utilizzabili a causa di un cavillo normativo, così prolungando la chiusura del ponte di Loddone, indispensabile per il collegamento della zona colpita dall'alluvione;
   in ultimo, ma non per ordine di importanza, si apprende come il maltempo e le mareggiate che hanno interessato le zone dello Jonio reggino in Calabria, in particolare della località di Monasterace, abbiano causato il crollo parziale del tempio dorico dell'antica Kaulon ed indebolito ulteriormente le difese dell'area archeologica;
   in particolare, è a rischio il più grande mosaico ellenistico della Magna Grecia, minacciato dalla furia del mare che ha provocato il distacco di massi e rocce che si ergevano a protezione del mosaico stesso –:
   se siano a conoscenza di questa situazione di emergenza idrogeologica delle aree geografiche del Paese citate in premessa;
   se siano a conoscenza della situazione dei fondi stanziati ed effettivamente utilizzati per il risanamento dei territori duramente colpiti nel corso degli anni da eventi alluvionali, che non possono più essere considerati come eccezionali;
   se siano a conoscenza dello stato dei lavori di ripristino delle infrastrutture e delle zone archeologiche di cui in premessa, nella quasi totalità dei casi abbandonati o rimasti indietro con i tempi inizialmente previsti per il loro compimento;
   se non ritengano opportuno convocare un tavolo tecnico allo scopo di sbloccare i fondi stanziati dallo Stato per le emergenze idrogeologiche, monitorarne l'effettivo stato di utilizzo e rafforzare l'essenziale opera di manutenzione e prevenzione dell'intero territorio nazionale, unico strumento in grado di evitare il ripetersi di tragedie come quelle già avvenute. (3-00605)


   MARCO DI STEFANO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi giorni a causa delle avverse condizioni atmosferiche, la città di Roma è stata oggetto di precipitazioni piovose di straordinaria intensità e durata, che hanno provocato ingenti allagamenti e danni ad alcuni quartieri del quadrante Nord-Ovest della Capitale;
   in particolare, come riportato anche dai principali mezzi di informazione, l'esondazione del Rio Galeria ha allagato un deposito di rifiuti speciali ospedalieri ubicato nei pressi di Ponte Malnome provocandone la relativa fuoriuscita;
   tale deplorevole situazione ha destato a ragione un notevole allarme presso la popolazione dei quartieri circostanti, attesa la pericolosità dei rifiuti custoditi e la vicinanza della discarica di Malagrotta;
   è prioritario interesse dei cittadini romani e dell'opinione pubblica nel suo complesso che sia fatta chiarezza su tali vicende, verificando se e in che misura sia stata eventualmente messa a repentaglio la salute pubblica ed accertando le eventuali responsabilità amministrative e l'effettivo rispetto della normativa vigente in materia di tutela ambientale da parte delle autorità competenti –:
   di quali elementi disponga in merito ai fatti descritti in premessa e se intenda avviare una immediata attività di verifica circa la situazione lamentata, avvalendosi anche del competente comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, fornendo con urgenza elementi circa gli esiti della medesima. (3-00607)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MARTELLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'eccezionale ondata di maltempo che ha colpito in questi giorni il Paese e, in particolare, il Veneto ha provocato numerosi danni anche a Portogruaro;
   l'eccezionalità della situazione è stata data dal fatto che mai il centro storico di Portogruaro era stato colpito così duramente dalle esondazioni del Lemene, del Reghena, del Versiola e dei canali vicini che continuano a creare apprensione nella cittadinanza;
   il comune di Portogruaro nei prossimi giorni, in base della normativa vigente attiverà, le procedure per la richiesta dello stato di calamità nei confronti della regione Veneto;
   tuttavia il vero nodo, anche di fronte al ripetersi sistematico di questi eventi eccezionali dal punto di vista climatico, rimane quello del superamento della logica emergenziale e di una più attenta e adeguata programmazione degli interventi finalizzati alla messa in sicurezza del territorio, che anche da un punto di vista economico sarebbe maggiormente vantaggiosa e meno onerosa rispetto agli interventi a posteriori;
   bene ha fatto il Governo nazionale a varare il disegno di legge relativo al contenimento del consumo di suolo, e alla sua valorizzazione come risorsa da tutelare anche ai fini di istigazione e prevenzione del rischio idrogeologico;
   queste misure devono, però, essere accompagnate da risorse adeguate che in questa determinata fase storica assumono anche la veste di strumento strategico per il rilancio economico del Paese;
   la conferenza dei sindaci del Veneto orientale ha un piano di interventi urgenti per 44 milioni di euro; negli ultimi anni il consorzio di bonifica può invece investire nel territorio solo 1,5 milioni di euro l'anno a fronte di un fabbisogno di 5 milioni per la sistemazione dell'area in 10 anni;
   per interventi in questi settori si potrebbe anche pensare ad una deroga temporanea al patto di stabilità in modo da consentire alle amministrazioni virtuose di poter intervenire per la messa in sicurezza dei propri territori;
   l'innalzamento, nei punti a rischio, degli argini dei corsi d'acqua citati, il potenziamento delle opere idrauliche e di bonifica, gli interventi di pulizia delle vie d'acqua dai materiali che ne ostruiscono il normale deflusso, sono ormai interventi indispensabili per evitare il ripetersi di condizioni emergenziali;
   per fare questo occorre anche un indispensabile riassetto delle competenze per evitare sovrapposizioni e burocratizzazioni dannose per il territorio –:
   se e quali iniziative il Governo, per quanto di competenza, intenda porre in essere per affrontare i problemi esposti in premessa e considerare prioritari gli interventi di messa in sicurezza del territorio di Portogruaro al fine di evitare il ripetersi di situazioni come quelle degli ultimi giorni. (5-02056)


   SEGONI, DAGA, BUSTO, TERZONI, ZOLEZZI, DE ROSA, GAGNARLI, BALDASSARRE, ARTINI e BONAFEDE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 19 gennaio 2014, il CERMEC (Consorzio Ecologia e Risorse Massa e Carrara), azienda partecipata che smaltisce i rifiuti urbani di Massa Carrara, ha disposto l'immediata sospensione di tutte le attività nel piazzale di via Longobarda, sito nel comune di Massa al confine con il comune di Carrara, in adiacenza con i terreni dell'ex Damas srl, a causa di sversamento materiali tossici;
   il 3 gennaio 2013 era, infatti, avvenuta, da parte dei lavoratori di CERMEC, una segnalazione di pericolo e il Presidente del Consorzio aveva provveduto ad inviare una comunicazione formale e un successivo sollecito alla provincia, e per conoscenza all'ARPAT (Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana), trasmettendo successivamente alla Procura della Repubblica la documentazione attestante lo stato di fatto dei luoghi in questione. Successivamente la procura disponeva il sequestro l'impianto di trattamento di rifiuti della Damas srl;
   sulla base di queste segnalazioni e relative indagini, è emerso che la Damas srl, società fallita dal 2004, è responsabile dell'abbandono di circa 2.500 tonnellate di rifiuti speciali e pericolosi, stivati all'interno di 42 fatiscenti container, che si trovano in quell'area dal 2000. Tali rifiuti, secondo le testate giornalistiche, proverrebbero da Gioia Tauro;
   il grave allarme ambientale è supportato anche dalla circostanza secondo cui nel 2002 l'allora amministratore della Damas srl era Massimo Dami, noto imprenditore nel campo dello smaltimento dei rifiuti, più volte condannato per traffico illecito di rifiuti pericolosi citato da Schiavone come uno dei maggiori responsabili di trasporto illecito di rifiuti industriali nella discarica Difrabi Spa, in provincia di Napoli;
   nel sito in oggetto le piogge continuano ad aggravare ulteriormente le condizioni igienico sanitarie delle aree di stoccaggio della plastica, del legname e della carta e conseguentemente si evidenzia una estesa compromissione delle matrici ambientali adiacenti;
   infatti, numerose testate locali riportano come di immediata percezione il fluire di percolati di colore giallo provenienti dai container dell'ex Damas srl. Tali percolati finiscono irrimediabilmente nel torrente Lavello che scarica le sostanze tossiche direttamente nel mare, segnalandosi, come riportato da pestate locali, casi di moria di pesci nelle aree richiamate;
   si segnala, inoltre, che i rifiuti in questione risultano di particolare allarme ambientale e sociale in relazione alla loro natura di materiali eco-tossici e mutageni, anche per sola inalazione;
   a supporto della significatività del rischio di danno ambientale esteso si ricorda quanto riportato dall'APAT nel comunicato stampa del 23 gennaio 2013 apparso sul suo sito istituzionale ove si legge che «le modalità di stoccaggio e gestione dei rifiuti adottate dalla ex DAMAS ed il successivo abbandono degli stessi comportava la possibilità di pregiudizio nei confronti dell'ambiente...» e soprattutto come già dal luglio 2002 si giudicasse «improcrastinabile una celere messa in sicurezza e/o invio allo smaltimento di tutti i rifiuti della ditta DAMAS –:
   se, in particolare, anche alla luce del rischio di danno ambientale, il Ministro non ritenga opportuno disporre verifiche e controlli da parte del personale appartenente al Comando carabinieri tutela ambiente (C.C.T.A.), ai sensi dell'articolo 197, comma 4 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, per verificare lo stato di inquinamento delle acque, del suolo e dell'atmosfera sulle zone adiacenti al sito in questione interessato allo stoccaggio e agli sversamenti illeciti di cui in premessa.
(5-02058)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   OLIVERIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'ondata di maltempo che sta investendo l'Italia ha visto particolarmente colpito il versante jonico della Calabria;
   le mareggiate hanno infatti provocato il parziale crollo del tempio dorico di Kaulon e l'invasione delle acque all'interno dell'area archeologica di Monasterace (Reggio Calabria);
   le immagini che arrivano dal sito archeologico sono drammatiche e stridono con quelle giunte nei giorni dei ritrovamenti preziosissimi: meravigliosi mosaici con figure di draghi marini e delfini ritrovati in un complesso termale dal team di archeologi che lavora nel sito reggino;
   l'area in questione già nel corso delle precedenti alluvioni di quest'autunno-inverno aveva subito notevoli danni a causa del crollo di una duna naturale che fungeva da barriera di protezione rispetto al mare;
   la provincia di Reggio Calabria era intervenuta con lavori di somma urgenza, allestendo una barriera in pietra sulla spiaggia che, secondo la Soprintendente ai beni archeologici della Calabria, Simonetta Bonomi, sarà rinforzata non appena le acque torneranno a calmarsi;
   tutta l'area dove si trova il mosaico è senza protezione. «Dovremo quindi verificare col Ministero se ci sono risorse per poter installare la protezione lungo tutto il fronte del parco che dà sulla spiaggia». È quanto dichiara all'Ansa Calabria la Soprintendente ai beni archeologici della Calabria, Simonetta Bonomi;
   per la Calabria si tratta di un ulteriore grave danno al proprio patrimonio archeologico monumentale, dopo quello registrato a Sibari;
   non appena le condizioni atmosferiche lo consentiranno sarà possibile quantificare i danni con giustezza, ma la situazione come è evidente è grave e seriamente compromessa –:
   se e quali iniziative il Governo intenda attivare con la massima urgenza per poter mettere in sicurezza l'area archeologica di Kaulon al fine di evitare che possa subire ulteriori irrimediabili danni e di progettare anche sulla base della prossima programmazione dei fondi dell'Unione europea 2014-2020 un progetto di tutela e valorizzazione di tutti i siti della Magna Grecia della Calabria. (5-02053)

Interrogazione a risposta scritta:


   FANTINATI, BUSINAROLO e TURCO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 29 luglio 2013, il consiglio comunale di Negrar ha approvato il nuovo Piano degli interventi che, a giudizio dell'interrogante, presenta aspetti e decisioni in grado di stravolgere per sempre il patrimonio storico e paesaggistico della Valpolicella, lembo della provincia veronese tra i più belli, area ricca di cultura e tradizioni, custode di una delle produzioni vinicole più prestigiose d'Italia;
   il piano prevede la realizzazione di 393 appartamenti da 100 metri quadrati, per un totale di 110 mila metri cubi residenziali, cui vanno sommate altre cubature per un centro commerciale, un albergo e un parcheggio;
   ad essere interessata dal piano è in particolare l'area di Arbizzano, dove la distribuzione dei metri cubi di cemento e dei permessi di costruzione era stata definita dal Pat, il piano di assetto territoriale, redatto per favorire una distribuzione ragionata delle concessioni di costruzione a privati da parte del comune, prevedendo quindi un insediamento che poteva essere utilizzato per ripopolare frazioni collinari con la realizzazione di case ed edifici;
   il piano di assetto territoriale inoltre, mirava a salvaguardare le aree che nel passato erano state sottoposte a massiccia edificabilità, come nel caso di Arbizzano;
   a tal fine, il territorio comunale è stato suddiviso in 25 Ato (ambiti territoriali omogenei), con indicato il carico insediativo residenziale limite da non superare per ciascuno di essi;
   nel piano degli interventi, deliberato in prima battuta nel luglio 2013, i carichi insediativi massimi per ciascun ambito territoriale omogeneo hanno subito modifiche consistenti rispetti a quanto contenuto nel piano di assetto territoriale;
   ciò che ha reso possibile l'aumento di cubature previste è il meccanismo dei cosiddetti crediti edilizi, «una quantità volumetrica o di superficie edificabile riconosciuta a seguito di demolizione di opere incongrue, l'eliminazione di elementi di degrado, la realizzazione di interventi di miglioramento della qualità urbana, paesaggistica, architettonica e ambientale, anche all'interno degli ambiti di riqualificazione e riconversione urbanistica e ambientale»;
   sono circa 250 le richieste di edificabilità pervenute al comune da parte di privati e di queste una parte considerevole prevede il trasferimento dei crediti edilizi dalle aree montane — dove sono stati abbattuti capannoni fatiscenti — al territorio di Arbizzano, biglietto da visita della Valpolicella e zona commercialmente più appetibile;
   l'approvazione o il rigetto delle richieste di trasferimento del credito edilizio è a totale discrezione dell'Amministrazione comunale;
   il sindaco ha approvato tutte le richieste dei privati;
   è in dirittura d'arrivo l'approvazione definitiva del piano degli interventi prevista dopo la scadenza dei termini per le osservazioni al documento urbanistico;
   la zona maggiormente colpita da questa lottizzazione è quella che comprende le splendide ville venete: Villa Serego Alighieri, Villa Fedrigoni, Villa Beraldini, Villa Zamboni, e altri edifici di enorme interesse storico;
   il piano degli interventi è fortemente contestato dai residenti che hanno dato vita ad un comitato di cittadini «Salva Arbizzano» i quali stanno promuovendo anche una raccolta di firme per una petizione popolare;
   anche il Wwf si sta mobilitando a favore della tutela ambientale dell'area interessata alla lottizzazione;
   la Valpolicella, per i territori compresi nei comuni di Fumane, Marano, Negrar, Sant'Ambrogio di Valpolicella, Sant'Anna d'Alfaedo e San Pietro in Cariano è stata dichiarata, con decreto ministeriale 23 maggio 1957, zona di «... notevole interesse pubblico ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497», «... riconosciuto che la zona predetta, oltre a formare un quadro naturale di non comune bellezza panoramica con le sue ville e parchi famosi, con le chiese romaniche, con le sue quattrocentesche case coloniche e con il verde dei vigneti ed oliveti, che copre per intero la parte collinare della valle, costituisce un insieme di grande valore estetico e tradizionale per la spontanea fusione dell'opera della natura con quella dell'uomo»;
   l'11 giugno 2010 è stato presentato alla regione Veneto un progetto di legge d'iniziativa popolare per l'istituzione del parco regionale della Valpolicella, con l'obiettivo di tutelare un'area di grande valore ambientale e paesaggistico che nell'ultimo mezzo secolo è stata oggetto di un processo inarrestabile di urbanizzazione, antropizzazione e congestione, giunto ormai vicino al punto di non ritorno –:
   quali iniziative s'intendono assumere con urgenze al fine di evitare una colata di cemento senza precedenti che rischia di condannare alla devastazione l'area di Arbizzano con conseguenze gravi e irreversibili sulla vivibilità dell'intera Valpolicella. (4-03437)

COESIONE TERRITORIALE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro per la coesione territoriale, per sapere – premesso che:
   lo scorso mese di dicembre il Ministro per la coesione territoriale, Carlo Trigilia, ha presentato in Consiglio dei Ministri l'informativa «Interventi urgenti a sostegno della crescita» che prevedeva misure di accelerazione dell'utilizzo delle risorse della politica di coesione;
   l'operazione vedrebbe un impegno pari a 6,2 miliardi di euro, provenienti per 2,2 miliardi dalla riprogrammazione del Fondo Sviluppo e Coesione (FSC); per 1,8 miliardi da quella del Piano d'Azione Coesione e per 2,2 miliardi dai Programmi dei Fondi Strutturali 2007-2013;
   di questi 6,2 miliardi, 1,2 sono stati già stanziati attraverso il varo della legge di stabilità a sostegno del Fondo di Garanzia per le Piccole e Medie Imprese;
   l'obiettivo del Governo è certamente quello in questa determinata fase storica di non perdere nemmeno un euro per il rilancio e il sostegno dell'occupazione e di riavviare politiche attive di crescita dell'economia;
   purtroppo il Mezzogiorno fa registrare dati allarmanti come certificano tutti gli istituti competente, dall'Istat alla Svimez senza trascurare la relazione di Bankitalia;
   le risorse riprogrammate si baserebbero su quattro misure principali: a) misure a sostegno delle imprese: 2,2 miliardi che verranno utilizzati per rifinanziare il Fondo Centrale di Garanzia (1,2 miliardi) e per la creazione di nuova imprenditorialità giovanile nel settore della produzione di beni e nella fornitura di servizi (1 miliardo); b) misure per il sostegno all'occupazione: sono previsti 700 milioni che serviranno per la decontribuzione a sostegno dell'occupazione giovanile, femminile e dei lavoratori più anziani; c) verrà sperimentata una misura per il reinserimento lavorativo dei fruitori di ammortizzatori sociali anche in deroga, compresi i lavoratori socialmente utili (Lsu), nonché per il contrasto alla povertà: 300 milioni di euro saranno destinati alle famiglie in grave stato di povertà – il cui numero è fortemente aumentato negli ultimi anni, specie nel Mezzogiorno – attraverso il rafforzamento dello Strumento per l'inclusione Attiva (SIA), che prevede forme di sostegno del reddito e politiche attive volte a favorire l'inserimento scolastico dei minori e l'inserimento lavorativo degli adulti; d) misure a sostegno delle economie locali. Sono previsti 3 miliardi di euro che andranno a finanziare diversi obiettivi: interventi cantierabili e realizzabili in tempi brevi nei comuni sotto i 5mila abitanti (Programma «6.000 campanili»); interventi di riqualificazione urbana (Piano nazionale per le città); interventi per la valorizzazione di beni storici, culturali e ambientali al fine di promuovere l'attrattività turistica, anche in vista dell'Expo 2015; interventi per la riqualificazione, messa in sicurezza ed efficientamento energetico degli edifici scolastici;
   tutti e quattro questi filoni di intervento necessitano di essere operativi al più presto soprattutto per dare ossigeno al Mezzogiorno;
   le emergenze sono legate essenzialmente alla necessità di evitare l'acuirsi delle tensioni sociali soprattutto in riferimento alla progressiva trasformazione degli ammortizzatori sociali ed è per questo che vanno rese operative le linee guida per individuare i soggetti responsabili per il contrasto alle forme di povertà e per le politiche attive per il reinserimento lavorativo di soggetti fruitori di ammortizzatori in deroga;
   anche per quanto riguarda le politiche di contrasto del disagio sociale sarebbe opportuno individuare le aree per la sperimentazione dello strumento di inclusione attiva onde evitare gli errori del passato consumati in occasione della sperimentazione del reddito minimo di inserimento;
   così come i disastri ambientali di questi giorni legati alle calamità atmosferiche che hanno colpito prevalentemente il sud e quella che nell'antichità era la Magna Grecia con le aree archeologiche siciliane calabresi e lucane colpite duramente dalla furia delle acque dimostrano la necessità di intervenire con la massima urgenza per la messa in sicurezza e la valorizzazione del nostro patrimonio culturale monumentale che darebbe possibilità di sbocchi occupazionali;
   questo andrebbe collegato ad un progetto più vasto che dovrebbe interessare la manutenzione idraulica del territorio di quello che Giustino Fortunato definiva «sfasciume pendulo»;
   in considerazione di quanto esposto diventa quindi indispensabile che il Governo si rapporti con il Parlamento per suggerimenti e miglioramenti delle giuste e importanti intuizioni del Governo –:
   quali siano nel dettaglio gli intendimenti del Governo per ciascuna delle quattro linee di intervento annunciate a fine dicembre e se esista già una road map regione per regione degli interventi che si vogliono di conseguenza realizzare sapendo che esistono numerose emergenze che riguardano le politiche di sostegno al reinserimento occupazionale dei lavoratori attualmente in mobilità in deroga e le politiche di contrasto della povertà.
(2-00401) «Burtone, Caruso, Amato, Iacono, Capone, Chaouki, Bossa, Covello, Verini, Ribaudo, Pierdomenico Martino, Culotta, Capozzolo, Albanella, Marco Meloni, Oliverio, Garofani, Piccione, Losacco, Aiello, Antezza, Lauricella, Bonavitacola, Gianni Farina, Magorno, Anzaldi, Bonomo, Famiglietti, Capodicasa, Cani, Marrocu, Cassano».

DIFESA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della difesa, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   nella conferenza stampa, tenuta, nella giornata del 30 gennaio 2014, dal Ministro della difesa Mario Mauro, presso l'aeroporto militare di Amendola (Foggia), si apprende che lo stesso aeroporto militare potrà ospitare, in un prossimo futuro e in via sperimentale, uno scalo civile;
   tale decisione sarebbe stata presa per consentire il completamento dei lavori all'aeroporto foggiano «Gino Lisa»;
   nella stessa sede, il Ministro ha manifestato la volontà di «appoggiare» un tavolo di confronto, su questa proposta, con la regione Puglia, Aeroporti di Puglia, Enac, Enav e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   la possibilità di attuare tale decisione, dipenderà dalla possibilità di trovare vettori disponibili ad utilizzare sperimentalmente l'aeroporto militare di Amendola;
   alla conferenza stampa erano presenti, oltre al Ministro della difesa, il Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica militare e l'assessore al bilancio della regione Puglia;
   appare quantomeno singolare agli interpellanti che una tale decisione stante i numerosi atti di sindacato ispettivo presentati in Parlamento sul futuro dello scalo «Gino Lisa», sia stata presa senza prima dare una adeguata informazione in materia presso competenti commissioni parlamentari;
   questa soluzione sembra un tentativo di rimediare alla decisione presa il 17 gennaio 2014, dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, che ha escluso l'aeroporto «Gino Lisa» di Foggia dagli aeroporti di interesse nazionale;
   nello stesso tempo rischia di «seppellire» definitivamente le speranze di vedere lo scalo «Gino Lisa» inserito tra gli aeroporti d'interesse nazionale dando un duro colpo all'economia della provincia di Foggia che, da anni, invano, aspetta che sia restituita territorio questa importante via di collegamento –:
   se non si ritenga necessario ed urgente, su tale delicata questione, convocare immediatamente un tavolo di confronto, coinvolgendo tutte le Istituzioni a livello nazionale e locale e gli enti interessati, nonché i parlamentari rappresentanti il territorio della provincia di Foggia, affinché si definiscano, in maniera chiara e circostanziata i tempi e i modi con i quali si intenda portare avanti la scelta di utilizzare l'aeroporto di Amendola come scalo civile e, allo stesso tempo, i tempi certi entro i quali verrà ripristinato, con tutti i lavori terminati, lo scalo «Gino Lisa»;
   se non si ritenga, inoltre, alla luce di quanto sopra esposto, necessario riconsiderare il declassamento attuato nei confronti dell'aeroporto «Gino Lisa», restituendo allo stesso il ruolo strategico che gli spetta nel rilancio economico dell'intero territorio e delle province limitrofe di Potenza, Campobasso e Avellino.
(2-00397) «Di Gioia, Pisicchio».

Interrogazioni a risposta immediata:


   TINAGLI e ANDREA ROMANO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   Fastweb, dal 2007 parte del gruppo Swisscom, è un operatore di telecomunicazioni di rete fissa, con circa 1,91 milioni di clienti in Italia, che ha sviluppato una rete nazionale in fibra ottica per fornire servizi di connessione alle famiglie ed alle imprese italiane;
   le «Frecce tricolore», il cui nome per esteso è «Pattuglia acrobatica nazionale», costituiscono il 313o gruppo addestramento acrobatico dell'Aeronautica militare e sono una delle pattuglie acrobatiche più apprezzate al mondo;
   in data 4 gennaio 2014, Fastweb ha lanciato due spot pubblicitari, della durata rispettivamente di 15 e 30 secondi, visibili sulle reti nazionali, sulle reti satellitari e del digitale terrestre, nonché disponibili su internet, che hanno per protagonisti i piloti delle «Frecce tricolore», insieme a circa cento uomini e donne del 313o gruppo addestramento acrobatico;
   la campagna, realizzata presso la base delle «Frecce tricolore» a Rivolto di Udine, è stata ideata dall'agenzia Take e realizzata da Brw film;
   per le attività in volo è stato utilizzato materiale video di repertorio reso disponibile dall'Aeronautica militare, mentre per le attività a terra le immagini sono state girate nella base aerea di Rivolto di Udine, sede del 313o gruppo addestramento acrobatico;
   stando a quanto riportato da Il Corriere della Sera, il generale di brigata aerea Claudio Salerno, capo dell'ufficio generale per la comunicazione dell'Aeronautica militare, ha dichiarato che «la cessione dell'uso del marchio “Frecce tricolore” rappresenta un nuovo aspetto dell'autofinanziamento» e che i proventi della sponsorizzazione saranno incassati dalla società Difesa servizi spa, che li girerà alle Forze armate, che a loro volta li impiegheranno per finanziare progetti in atto, quali il restauro dei propri palazzi ed edifici;
   non si tratta della prima collaborazione tra Fastweb e la pattuglia: già nel 2010, in occasione del cinquantennale delle «Frecce tricolore», la compagnia aveva offerto la copertura di rete alla manifestazione che si era svolta alla base di Rivolto;
   è, tuttavia, la prima volta che le «Frecce tricolore» utilizzano lo strumento della cessione del proprio marchio per autofinanziarsi;
   la società Difesa servizi spa, di cui all'articolo 535 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, è la struttura di cui il Ministero della difesa si avvale, in qualità di concessionario o mandatario, per la gestione economica di beni, anche immateriali, e servizi derivanti dalle attività istituzionali che non siano direttamente correlate alle attività operative delle Forze armate;
   con decreto del Ministro della difesa, in data 7 luglio 2011 è stato approvato il contratto di servizio tra il Ministero stesso e la società Difesa servizi spa;
   ai sensi dell'articolo 1 del suddetto contratto, le strutture del Ministero della difesa, tra cui l'Aeronautica militare, sono competenti a stipulare convenzioni, sottoposte alla previa approvazione del Ministro interrogato, sentiti il Capo di Stato maggiore od il segretario generale della difesa, che abbiano per oggetto la realizzazione dei programmi di gestione economica finalizzata al reperimento di risorse finanziarie, relativamente ai beni, ai servizi e, più in generale, alle capacità tecniche di propria competenza;
   ai sensi dell'articolo 4, comma 2, del contratto di servizio, «la realizzazione di tutti i programmi di gestione economica è perseguita dalla società nel rispetto dei principi di trasparenza, efficienza, efficacia ed economicità, come prescritto all'articolo 2, comma 2, dell'atto di indirizzo (decreto del Ministro della difesa, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, del 19 maggio 2011). In particolare, la società è tenuta all'osservanza della disciplina relativa agli appalti pubblici, sia quando agisce come centrale di committenza, ai sensi dell'articolo 535, comma 3, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, sia quando approvvigiona, con consistenze finanziarie tratte dall'attività di valorizzazione svolta in favore del Ministero, beni o servizi da destinare alle Forze armate»;
   come specificato sul sito web http://www.difesaservizi.it, tra i programmi di valorizzazione di Difesa servizi spa vi è la gestione economica dei marchi, delle denominazioni, degli stemmi, degli emblemi e dei segni distintivi delle Forze armate, attraverso la concessione in uso temporaneo a terzi, a titolo oneroso –:
   se non ritenga opportuno fare chiarezza circa le modalità e le finalità di tale partnership tra un corpo pubblico ed un'azienda privata, rendendo noto il valore del corrispettivo pagato da Fastweb ai fini dell'utilizzo di immagini di repertorio relative alle «Frecce tricolore» all'interno del proprio spot pubblicitario, nonché rendere più trasparente l'impiego dei fondi così reperiti da parte delle Forza armate, e se non intenda verificare, in particolare, se siano state rispettate le procedure ed i principi di trasparenza, efficienza, efficacia ed economicità di cui all'articolo 4, comma 2, del citato contratto di servizio, nonché se imprese private altre rispetto a Fastweb abbiano manifestato il proprio interesse o presentato la propria candidatura. (3-00608)


   RAMPELLI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 10 febbraio 2014 la procura generale di New Delhi dovrebbe – il condizionale è d'obbligo – finalmente formalizzare i capi d'accusa nei confronti dei due militari italiani Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, trattenuti in India da oltre due anni in attesa che le autorità indiane decidano in merito alla loro sorte processuale;
   la data del 10 febbraio 2014 è stata stabilita in seguito all'ennesimo – che dal 12 febbraio 2012 ad oggi è il venticinquesimo – rinvio dell'udienza e solo grazie alla protesta espressa dalla stessa Suprema Corte indiana in merito, posto che nelle intenzioni della procura questo rinvio avrebbe dovuto essere di ulteriori due o quattro settimane;
   tra gli elementi in merito ai quali la procura dovrà pronunciarsi c’è la valutazione se il processo per la morte dei due pescatori del Kerala sarà per reato di terrorismo, che prevede la pena di morte, un rischio che, in base alle dichiarazioni rese in più occasioni dai Governi che hanno seguito la vicenda, doveva già essere stato definitivamente scongiurato;
   allo stato, quindi, ad oltre due anni dall'inizio di questa vicenda i militari italiani continuano ad essere trattenuti all'estero in spregio delle normative internazionali e sono tuttora esposti al rischio di subire una condanna a morte;
   la mancata risolutezza dei Governi italiani nel trattare la questione ha permesso all'India di perpetrare i più svariati abusi di diritto nei confronti dei due connazionali, con il risultato che, nonostante i proclami, le promesse e addirittura la nomina di un inviato speciale del Governo, i due ufficiali sono, a tutt'oggi, a rischio della loro stessa vita;
   pur volendo prescindere dalle ovvie considerazioni circa l'incapacità di ben due Governi nazionali succedutisi nel tempo di garantire ai due militari il rispetto, nei loro confronti, delle più elementari norme di diritto e lo svolgimento del processo nella sede appropriata, non si può non rilevare come sia intollerabile per uno Stato sovrano che dei suoi cittadini siano condannati a morte solo per aver fatto il proprio dovere in base alle normative nazionali vigenti –:
   quali siano, allo stato, le informazioni in possesso del Governo circa il prossimo percorso giudiziario dei due militari.
(3-00609)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, per sapere – premesso che:
   con l'interpellanza urgente presentata dal sottoscritto interpellante lo scorso 8 gennaio 2014 è stata messa in evidenza la necessità dell'attuazione della norma di cui all'articolo 11, comma 2, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, recante «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni», (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, serie generale 30 ottobre 2013, n. 255);
   la suddetta disposizione ha integralmente sostituito, a decorrere dal 1o gennaio 2014, l'articolo 60, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che, nella precedente formulazione, prevedeva che gli enti pubblici economici e le aziende che producono servizi di pubblica utilità nonché gli enti e le aziende di cui all'articolo 70, comma 4, sono tenuti a comunicare alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica – e al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, il costo annuo del personale comunque utilizzato, in conformità alle procedure definite dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   l'intervento operato dal decreto-legge n. 101 del 2013, integra in primo luogo l'ambito soggettivo di riferimento del suddetto articolo 60, estendendo la platea dei soggetti tenuti al rispetto dell'obbligo di comunicazione previsto anche alle società non quotate partecipate direttamente o indirettamente, a qualunque titolo, dalle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, diverse da quelle emittenti strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati e dalle società dalle stesse controllate, e dalla società concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo;
   detto intervento opera, inoltre, sul contenuto informativo dell'obbligo stesso, in particolare per la società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, andando a specificare che il costo annuo del personale comunque utilizzato ed oggetto della comunicazione deve ritenersi riferito ai singoli rapporti di lavoro dipendente o autonomo;
   in virtù di tale disposizione, pertanto, anche la RAI, in quanto società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, è tenuta a comunicare alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica – e al Ministero dell'economia e delle finanze il costo annuo del personale comunque utilizzato, con riferimento ai singoli rapporti di lavoro dipendente o autonomo, in conformità a specifiche procedure definite d'intesa con i predetti dicasteri;
   per la società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo viene, quindi, introdotta una disposizione specifica: per quest'ultima, infatti, che già comunque sarebbe rientrata nell'ambito delle «società non quotate partecipate o direttamente o indirettamente, a qualunque titolo, dalle pubbliche amministrazioni» (e che quindi sarebbe stata comunque soggetta agli obblighi di comunicazione del costo del personale), viene specificato che la comunicazione deve essere relativa ai «singoli rapporti di lavoro dipendente o autonomo»;
   in risposta all'interpellanza presentata, nel corso della seduta dell'assemblea della Camera dei deputati di venerdì 10 gennaio 2014, il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Giovanni Legnini, in relazione alla concreta attuazione della disposizione di cui all'articolo 2, comma 11, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, ha fatto presente che «il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato ha già predisposto una prima bozza di documento di lavoro per la definizione delle procedure di acquisizione dei dati utili a soddisfare le necessità informative previste dalla norma che, peraltro, riguarda una pluralità di soggetti»;
   il sottosegretario Legnini ha poi dichiarato che, «sulla base di tale bozza di documenti nella giornata del 9 gennaio 2014, è stata svolta la prima riunione di coordinamento tra rappresentati del dipartimento della ragioneria generale dello Stato e del dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio con il quale è stato avviato il percorso attuativo della norma per verificare le modalità di rilevazione più idonee all'interno del suddetto sistema conoscitivo che, comunque, con riferimento alla RAI, in ordine alla quale la norma prescrive l'acquisizione di informazioni di maggior dettaglio (ovvero il costo annuo dei singoli rapporti di lavoro), richiederà una specifica modalità di trattazione»;
   il Sottosegretario Legnini ha infine sottolineato che «successivamente, per la piena operatività della norma, si provvedere ad implementare il sistema informativo Sico (Sistema conoscitivo del personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche) ed a svolgere tutte le attività propedeutiche all'avvio della rilevazione, che sarà realizzata senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato»;
   in conclusione, il Sottosegretario ha precisato che «la disciplina normativa che è stata puntualmente richiamata sarà attuata, come è doveroso fare, entro i tempi tecnici strettamente necessari e con le procedure che sono state richiamate»;
   ad oggi non risulta all'interpellante alcuna novità rispetto a quanto affermato dal Sottosegretario Legnini nel corso della seduta della Camera dei deputati dello scorso 10 gennaio 2014;
   predisporre le modalità di attuazione della citata disposizione di legge è un elemento fondamentale, perché il tema esige grande chiarezza e massima trasparenza, soprattutto nei riguardi dell'opinione pubblica e dei cittadini che contribuiscono al finanziamento del servizio pubblico radiotelevisivo –:
   a che punto sia il percorso attuativo della disposizione di cui all'articolo 2, comma 11, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, e quali misure, nell'ambito di competenza dei Ministri interpellati, siano state assunte e quali si intendano assumere con urgenza al fine di dare piena e immediata attuazione alle previsioni normative in tema di trasparenza che riguardano la Rai, per dare finalmente avvio alla pubblicazione dei singoli rapporti di lavoro dipendente o autonomo, a partire da quelli legati alla realizzazione del prossimo Festival di Sanremo.
(2-00400) «Brunetta».

Interrogazione a risposta scritta:


   CANCELLERI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Equitalia, società completamente pubblica della riscossione, ha il dovere di applicare le norme esistenti, in primis è tenuta ad emettere ruoli, cartelle esattoriali e ad attivare le procedure coattive di riscossione senza nessuna distinzione di privilegio verso i contribuenti;
   la situazione del contribuente «Ospedale israelitico» di Roma sembra essere stata di rilevante entità debitoria verso Equitalia, e cioè l'erario, per numerosi anni;
   in effetti Il Corriere della Sera del 31 gennaio pubblica un lungo articolo dal titolo «La santissima trinità» in cui si afferma testualmente «La cifra di cui stiamo parlando non è da poco: dai documenti Inps in nostro possesso il debito per contributi previdenziali non pagati dall'Ospedale Israelitico ammontano a 42.548.753 euro, di cui 10.771.383 per interessi sanzionatori, 2.845.695 per interessi di mora. Dal 2004, gestione Mastrapasqua, l'ospedale ha accumulato ininterrottamente debiti nei confronti dell'ex Inpdap (oggi Inps) a un ritmo di 2-3 milioni all'anno. Ma com’è possibile che siano trascorsi tutti questi anni senza che siano state avviate le procedure di riscossione coattiva nei confronti dell'ospedale, ovvero della regione Lazio, se doveva essere quest'ultima a onorare i debiti dell'ospedale religioso ? Ricordiamo che esiste una normativa (legge n. 388/2000) che impone agli enti previdenziali adempimenti molto stringenti pena la loro prescrizione. In sostanza, l'Inps, come l'ex Inpdap, è tenuto a segnalare all'impresa inadempiente “i contributi dovuti e non pagati alla scadenza... (nei limiti della prescrizione di norma 5 anni, ndr) accertati d'ufficio o tramite l'attività di vigilanza” (dal sito dell'Inps). Dopodiché, entro la fine dell'anno successivo a quello contestato deve provvedere al loro recupero con l'emissione delle famigerate “cartelle esattoriali” gestite da Equitalia di cui il dottor Mastrapasqua è vicepresidente»;
   Sergio Rizzo inoltre Il Corriere della Sera del 2 febbraio 2014, a proposito di Antonio Mastrapasqua, scrive testualmente «Perché fra i suoi incarichi ci sono concessionari pubblici come Autostrade, c’è il Coni, c’è il gruppo Telecom, ci sono aziende statali e private, che magari possono avere in ballo contenziosi con l'Inps. C’è l'Ospedale israelitico, di cui è direttore generale: con un debito, ha rivelato Milena Gabanelli, di 42 milioni per contributi previdenziali non pagati che rischiano di andare in prescrizione e dovrebbe recuperare quell'Equitalia di cui Mastrapasqua, guarda caso, è vicepresidente»;
   Antonio Mastrapasqua è stato vicepresidente di Equitalia presidente di Equitalia Gerit, dove doveva essere incardinata la cartella esattoriale dell'Ospedale israelitico in quanto situato in Roma, direttore generale dell'Ospedale israelitico nonché consigliere d'amministrazione dell'INPS infine presidente dell'INPS –:
   se la cartella dell'Ospedale israelitico sia effettivamente stata sospesa sia fittiziamente o meno e, in caso di risposta positiva, per quanti mesi o anni e ad opera di quale dirigente della catena di comando di Equitalia ovvero sulla base di quali azioni di pressione. (4-03436)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   GRIMOLDI e MOLTENI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nel pomeriggio di sabato 18 gennaio 2014, un detenuto di nazionalità egiziana ubicato nel reparto di osservazione psichiatrica della casa circondariale di Monza ha aggredito ben tre agenti della polizia penitenziaria con calci e pugni;
   a seguito di tale aggressione gli agenti sono stati subito ricoverati all'ospedale San Gerardo di Monza, dove a due di essi sono stati riconosciuti 10 giorni di prognosi mentre al terzo una prognosi guaribile in ben 15 giorni;
   già nei giorni precedenti all'aggressione il detenuto, proveniente da altro istituto lombardo, con evidenti problemi psichici e sorvegliato a vista, aveva manifestato numerosi atteggiamenti aggressivi nei confronti degli agenti, arrivando anche a lanciare contro di essi le proprie urine;
   presso la casa circondariale di Monza vi è la sezione c.d ROP ossia reparto di osservazione psichiatrica, la cui gestione è ormai diventata insostenibile per il personale di polizia penitenziaria, tanto che non sono nuovi o sporadici gli episodi come quello indicato in premessa;
   l'inadeguatezza di tale reparto, in quanto si compone di normalissime celle che non sono adatte ai detenuti con problemi mentali, ricade inevitabilmente e totalmente sul personale di polizia penitenziaria che opera all'interno di questa sezione e a cui sono demandati compiti, come ad esempio la «sorveglianza a vista», che vanno ben oltre quelli indicati dall'articolo 5 della legge n. 395 del 1990;
   anche l'OSAPP (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria) ha chiesto un celere intervento del provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria per la Lombardia per la doglianza sopra esposta, rilevando altresì che la polizia penitenziaria non possa assumersi oneri per fatti che esulano dalla propria specifica competenza, come ben chiarito dal capo del dipartimento con circolare n. 3649/6099 del 22 luglio 2013;
   nell'ambito delle iniziative in materia di politica carceraria, l'attuale Governo pare sempre e solo interessato ai detenuti, che beneficiano di periodici provvedimenti premiali, mentre nessuna attenzione viene data alla sicurezza degli operatori che lavorano all'interno delle strutture carcerarie obsolete o affollate, a causa della attuale mancanza di una effettiva opera di edilizia carceraria e degli accordi con i Paesi di origine dei detenuti stranieri, ma anche dei cittadini, su cui ricadono gli effetti negativi di più o meno mascherati, provvedimenti di «indulto» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto accaduto nel reparto di osservazione psichiatrica della casa circondariale di Monza e denunciato alle competenti autorità dall'organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria, e, in considerazione della delicatezza e dell'importanza della problematica esposta, quali iniziative intenda intraprendere quanto prima al fine di tutelare l'incolumità degli agenti di polizia penitenziaria, che quotidianamente sono esposti ad episodi simili, nonché in merito alla corretta osservanza di quanto indicato nella circolare n. 3649/6099 del 22 luglio 2013.
(4-03431)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   un terribile incidente è avvenuto nella giornata del 30 gennaio sulla variante Aurelia tra l'uscita della galleria e lo svincolo di San Vincenzo sud; un'auto sotto la pioggia battente è sbandata infilandosi nel varco del muretto divisorio della variante Aurelia ed ha invaso l'altra corsia proprio mentre stava arrivando un grosso camion; l'impatto è stato inevitabile ed ha provocato la morte di una donna e della figlia presenti sul veicolo;
   tale grave evento ripropone, ancora una volta, il tema della sicurezza stradale e della manutenzione degli assi viari; infatti sono in molti a denunciare che, da quando è partito il progetto di adeguamento della suddetta variante agli standard autostradali, (nell'ambito del completamento dell'autostrada A12 tra Civitavecchia e Rosignano Marittimo), la sua manutenzione non sia stata più eseguita con regolarità;
   in particolare, il deterioramento dell'asfalto determina il formarsi di grosse buche che, riempiendosi quando piove, provocano pericolosissimi fenomeni di acquaplaning; con grande probabilità è stata una sbandata per acquaplaning la causa determinante dell'incidente che è poi divenuto mortale per la sfortunata circostanza che la macchina ha centrato il varco del muretto new jersey andando, quindi, a sbattere contro il camion che procedeva in senso opposto;
   anche la segnaletica verticale appare in stato di abbandono, con le scritte che non sono più catarifrangenti e che non consentono una lettura agevole e sicura;
   è urgente predisporre le necessarie opere di manutenzione della variante a partire dal ripristino del manto stradale che, come detto, si presenta in pessimo stato, con buche e tratti sconnessi, e tutto ciò deve essere fatto in tempi brevi e compatibili con la tutela della sicurezza dei cittadini, anche in attesa della realizzazione dell'autostrada;
   infatti, è netta l'impressione che, in attesa dell'inizio dei lavori di adeguamento agli standard autostradali, siano cessati i necessari e improrogabili interventi di manutenzione dell'asse viario riducendo la variante Aurelia, strada di grande comunicazione, in pessime condizioni e rendendola pericolosa per la sicurezza degli utenti –:
   quali iniziative il Ministro interpellato intenda adottare per aumentare la sicurezza stradale sulla variante Aurelia mediante interventi di ripristino del manto stradale, di manutenzione delle barriere spartitraffico e di ripristino della segnaletica verticale ed orizzontale ad oggi poco visibile;
   se sia sua intenzione destinare alla sicurezza stradale della variante Aurelia le necessarie risorse, individuandole tra quelle messe a disposizione dall'articolo 1, comma 70, della legge 12 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014), per interventi mirati ad incrementare la sicurezza e a migliorare le condizioni dell'infrastruttura viaria con priorità per le opere stradali volte alla messa in sicurezza del territorio dal rischio idrogeologico.
(2-00392) «Velo, Sani, Cenni, Fossati, Luciano Agostini, Scalfarotto, Mariani, Boschi, Gelli, Biffoni, Bini, Tullo, Marchi, Manciulli, Rocchi, Dallai, Petitti, Realacci, Zoggia, Donati, Pagani, Lattuca, Nardella, Parrini, Moscatt, Gregori, Stumpo, Valeria Valente, Gandolfi, Nicchi, Beni, Pierdomenico Martino, Fontanelli».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   l'Italia, da ultima dei Paesi interessati, con la legge 9 novembre 2012, n. 196, ha ratificato il Protocollo di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi del 1991 nell'ambito dei trasporti, fatto a Lucerna il 31 ottobre 2000;
   in sede di approvazione del disegno di legge di ratifica del suddetto protocollo, il Governo, accogliendo il 17 ottobre 2012 l'ordine del giorno n. 9/05465/001, ha di fatto aperto la strada, ad avviso dell'interpellante, ad una cosiddetta «dichiarazione interpretativa», il cui obiettivo è sostanzialmente quello di esautorare il suddetto Protocollo del suo contenuto centrale, ossia: di ignorare, per quanto al territorio italiano, il divieto della realizzazione della ormai famigerata autostrada Alemagna;
   il suddetto ordine del giorno approvato, testualmente chiedeva di «chiarire, all'atto del deposito dello strumento di ratifica del Protocollo in oggetto, eventualmente anche attraverso la formulazione di una dichiarazione interpretativa, che le disposizioni dell'articolo 11 non pregiudicano la possibilità di realizzare progetti stradali di grande comunicazione sul territorio italiano, comprese le infrastrutture necessarie per lo sviluppo degli scambi con i Paesi situati a nord dell'arco alpino, e che le disposizioni relative all'internalizzazione dei costi esterni, di cui agli articoli 3, comma 1, 7, comma 1, e 14 sono da riferirsi all’acquis comunitario»;
   è evidente secondo l'interpellante quindi l'obiettivo dell'atto di indirizzo accolto, sostenuto in modo per niente velato dalla rappresentanza di categoria degli autotrasportatori: non ostacolare la realizzazione del progetto di collegare il Veneto con «strada di grande comunicazione» con l'area economica a nord delle Alpi, nota sotto il nome di «Auto – o Superstrada Alemagna»;
   detta autostrada, se anche realizzata solo su territorio italiano, avrebbe come effetto un massiccio indotto di traffico, di merci e di persone, sulle reti stradali all'interno dell'arco alpino e oltre;
   ad avviso dell'interpellante, una simile «dichiarazione interpretativa» è da qualificare una riserva indebita. Non si può voler far parte di un accordo internazionale per sostenere contemporaneamente, di «interpretare» lo stesso nel senso di non applicare un punto centrale dell'accordo medesimo;
   è peraltro noto che il Governo austriaco nel frattempo sta sondando la disponibilità del Governo italiano di far chiarezza su questo specifico punto. A Vienna pare si rafforzi la convinzione che la Repubblica austriaca debba intraprendere un passo ufficiale nei confronti del suo Stato partner Italia per deporre ricorso formale contro tale «interpretazione»;
   in base alla normativa internazionale tale ricorso va deposto entro un anno dal relativo atto che, appunto risale al 7 febbraio dell'anno 2013. Di conseguenza, il termine scadrà il 6 febbraio 2014 –:
   se non ritenga indispensabile fornire le opportune e necessarie assicurazioni circa la volontà di garantire il pieno e completo rispetto del protocollo di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi, ratificato dalla legge n. 196 del 2012, con particolare riferimento al diniego circa la realizzazione del progetto di «Auto – o Superstrada Alemagna».
(2-00393) «Migliore, Kronbichler».

Interrogazioni a risposta immediata:


   DORINA BIANCHI, GAROFALO e PISO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il trasporto aereo svolge un ruolo fondamentale per l'integrazione e la competitività del Paese, nonché per la sua interazione con l'Europa ed il resto del mondo. In tale contesto si inserisce la forte attenzione dell'opinione pubblica, dei media e del mondo politico per la vicenda Alitalia, i piani industriali di sviluppo prospettati, le alleanze internazionali possibili;
   infatti, il venir meno di tale realtà imprenditoriale provocherebbe pesanti ripercussioni in termini di occupazione e di sviluppo sugli scali aeroportuali e, in particolare, sull’hub di Fiumicino, principale scalo italiano;
   in queste ultime settimane la trattativa fra Alitalia e la compagnia di bandiera degli Emirati Arabi Uniti, Etihad, sembra essere giunta ad una svolta;
   la stampa parla di un investimento di almeno 300 milioni di euro, fino alla acquisizione del 49 per cento di Alitalia. L'ingresso della compagnia aerea Etihad nel capitale sociale di Alitalia è stato uno dei temi di cui il Presidente del Consiglio dei ministri Letta ha parlato nei suoi incontri con le autorità politiche degli Emirati;
   nonostante questi avvenimenti, perseguiti con decisione dal Ministro interrogato, permangono perplessità e preoccupazioni in alcuni settori dell'opinione pubblica, anche nel nostro Paese. Tali perplessità hanno origine da una storia non breve che ha visto spesso lo Stato italiano nella veste di «ripianatore» delle perdite di gestioni inefficienti;
   oggi il rapporto fra Stato e compagnia di bandiera ha caratteristiche profondamente diverse, ma permane l'esigenza di alcuni chiarimenti;
   sarebbe, infatti, necessario, in primo luogo, chiarire quali effetti occupazionali possa avere l'eventuale accordo con la compagnia araba;
   inoltre, pare opportuno che il Governo informi il Parlamento sulla sua posizione in merito alla dura reazione della compagnia aerea Lufthansa, che denuncia, nel comportamento dell'Esecutivo italiano nell'intera vicenda Alitalia, una forma mascherata di aiuto di Stato;
   medesima informazione al Parlamento dovrebbe essere data su quali conseguenze potrà avere l'eventuale raggiungimento dell'accordo Alitalia-Etihad sulla partnership di Alitalia con Air France-Klm –:
   se il Ministro interrogato ritenga che possano sussistere effetti per il trasporto aereo italiano - e di che natura - in seguito a una eventuale conclusione positiva dell'accordo, sia in termini di livello di interconnessione e di efficienza della rete aeroportuale, che di incremento della domanda turistica. (3-00616)


   SPERANZA, MARTELLA, META, TULLO, BONACCORSI, BRANDOLIN, BRUNO BOSSIO, CARDINALE, CARELLA, CASTRICONE, COPPOLA, CRIVELLARI, CULOTTA, FERRO, GANDOLFI, PIERDOMENICO MARTINO, MAURI, MOGNATO, MURA, PAGANI, PAOLUCCI, ROTTA, VELO, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'esigenza del rilancio del trasporto aereo necessita di molte azioni e il raggiungimento di obiettivi importanti come la ripresa di Alitalia; tra le azioni già adottate vanno registrate positivamente l'approvazione del piano nazionale per gli aeroporti e, sul fronte delle relazioni tra le parti, un'importante trattativa tesa a dare un futuro solido all’Alitalia;
   nei giorni scorsi, il Presidente del Consiglio dei ministri si è recato negli Emirati Arabi dove ha potuto registrare una conferma dell'interesse degli Emirati per il vettore italiano;
   pur trattandosi di una trattativa privata, l'augurio è che, al termine della fase finale della due diligence – della durata di trenta giorni – per la verifica economica, patrimoniale e finanziaria dei conti e dei contratti di Alitalia e per affrontare e risolvere tutte le questioni che possono pregiudicare lo sviluppo di un adeguato piano industriale per la compagnia italiana, sarà definita una strategia comune per il possibile investimento di Etihad airways in Alitalia;
   l'investimento di Etihad potrebbe configurarsi come strategico per il futuro di Alitalia, non solo sotto il profilo finanziario, ma anche per lo sviluppo di una partnership industriale tra aziende che possono collaborare in modo integrato per obiettivi diversi, ma pienamente condivisi;
   in questa fase saranno definiti i termini essenziali e concreti del negoziato, tra cui la riorganizzazione del personale, il ruolo delle banche azioniste, la disciplina da applicare per regolare i voli nei cieli italiani, nel più ampio contesto europeo e internazionale, fugando il rischio della lettura della possibile intesa in argomento quale lesivo della disciplina comunitaria in materia di aiuto di Stato;
   il rilancio di Alitalia è strategico per l'intero sistema-Paese e per l'economia di Roma e del Lazio, anche in considerazione del programma di investimenti di Aeroporti di Roma per lo scalo di Fiumicino;
   occorre impegnare tutte le risorse attivabili e un'ampia e responsabile concertazione tra parti sociali per potenziare e sviluppare il sistema del trasporto aereo nazionale, con un vettore forte e competitivo, soprattutto per i voli a lungo raggio, anche in vista di importanti eventi, come Expò 2015;
   l'accordo Alitalia è un importante punto di partenza per lo sviluppo di proficue relazioni internazionali e per l'attrazione di congrui investimenti esteri –:
   quali siano, per quanto fin qui emerso, le linee portanti della possibile partnership finanziaria e industriale tra Alitalia ed Etihad e le loro ricadute sulle opportunità di sviluppo di Alitalia medesima, anche con riferimento alla necessità di salvaguardare i livelli occupazionali, nel quadro del trasporto aereo europeo ed internazionale. (3-00617)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   AGOSTINELLI, BUSINAROLO, FANTINATI, DELLA VALLE, DE LORENZIS, CECCONI e TERZONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'Autorità Portuale di Ancona – Falconara Marittima è commissariata da quasi un anno benché gli enti preposti (comuni di Ancona e Falconara Marittima, provincia di Ancona e Camera di commercio di Ancona) abbiano comunicato nei modi e nei tempi dovuti la terna prescritta dall'articolo 8 della legge n. 84 del 1994;
   solo a seguito di reiterate proteste e solleciti rivolti dai rappresentanti degli Enti locali e dai parlamentari dei diversi gruppi, la proposta di nomina è stata inviata alle Camere a novembre 2013 per il prescritto parere;
   il 5 dicembre 2013 le competenti Commissioni permanenti (IX Camera e VIII Senato) hanno espresso parere favorevole sulla nomina del Sig. Rodolfo Giampieri sul quale è stata raggiunta l'intesa tra il Ministro interrogato e la Regione Marche;
   a distanza di 60 giorni il decreto di nomina non è stato ancora firmato e l'autorità risulta ancora commissariata al pari di altri porti sede di autorità portuale in totale violazione della legge n. 84 del 1994, determinando seri pregiudizi alla portualità locale e nazionale e all'indebolimento dell'azione di ASSOPORTI, l'Associazione nazionale delle autorità portuali, visto che quasi un terzo delle stesse risultano commissariate, fatto mai avvenuto dalla costituzione delle autorità portuali –:
   se e quando il Ministro interrogato intenda adottare il decreto di nomina del Presidente dell'autorità portuale di Ancona;
   se e quando il Ministro interrogato intenda ottemperare all'articolo 8 della legge n. 84 del 1994 e procedere alle nomine delle autorità portuali ancora commissariate ad avviso degli interroganti indebitamente. (5-02054)

Interrogazioni a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'autostrada pedemontana lombarda è un'opera viabilistica autostradale in costruzione che si pone come obiettivo di velocizzare gli spostamenti nell'area nord di Milano, realizzando una via esterna alla provincia di Milano per collegare la provincia di Varese con quella di Bergamo;
   il sopraddetto progetto raccoglie molte critiche da parte delle popolazioni interessate dall'opera. In particolar modo, le voci contrarie si concentrano sul fatto che nella sua zona centrale in particolare nel comune di Meda, la costruzione del casello e la necessità di distruggere buona parte della superstrada Milano-Meda, provocherà probabilmente un aumento del traffico della zona. Inoltre, i residenti della stessa zona chiedono rassicurazioni in merito a possibili rischi generati da scavi in zone dove sono seppelliti residui di diossina successivamente al disastro dell'ICMesa di Seveso, nel 1976;
   in particolare, in sede di approvazione del progetto definitivo di Pedemontana, in data 6 novembre 2009, il CIPE con la prescrizione n. 3 definiva l'obbligo di effettuare «ulteriori indagini dettagliate sui terreni interessati da contaminazione da diossina, poiché nel corso delle indagini preliminari per la verifica della concentrazione residua sono stati riscontrati superamenti dei valori limite per questo parametro». Le indagini preliminari nelle aeree inquinate sono state effettuate nel 2008, in contraddittorio con ARPA Lombardia, e hanno rilevato che un numero elevatissimo di campioni analizzati (52 su 127) ha fornito valori superiori ai limiti di legge per siti ad uso verde pubblico e privato, e molti ancora addirittura superiori al limite per siti ad uso, industriale, come da «Rapporto sui rilevamenti di diossina 2008» pubblicato da Autostrada pedemontana lombarda. Anche sulla base di queste risultanze in sede di incontro tecnico presso la regione Lombardia del 7 luglio 2008 con «gli Enti interessati e APL» si determinava «l'esigenza di un approfondimento delle aree oggetto delle situazioni di non conformità rilevate... al fine di circoscrivere le zone oggetto di escavazione»;
   tale affermazione richiede, con riferimento alla normativa vigente (si veda il decreto legislativo n. 152 del 2006) la redazione di un piano di caratterizzazione per la definizione dell'estensione degli areali contaminati e per prospettare le conseguenti azioni di bonifica, propedeutiche alla definizione del progetto esecutivo anche per le implicazioni di carattere economico che ne derivassero;
   diversamente da quanto sarebbe tenuto a fare anche qualsiasi soggetto che richieda di operare in un sito a rischio, non si è ottemperato alla prescrizione CIPE, e non si è sviluppato alcun piano di caratterizzazione in contraddittorio con ARPA. In una seduta dedicata al «question time» in Commissione del 6 giugno 2013 alla Camera dei deputati, il Governo ha ribadito tale omissione e ha riferito che le indagini dovranno riguardare le aree interessate dal progetto, prevedendo definizione delle aree contaminate da diossine «allo scopo di definire le modalità di intervento: scavo e smaltimento dei terreni contaminati»;
   sulla base delle sollecitazioni emerse anche con riferimento alle criticità ambientali legate a Pedemontana il 20 giugno 2013 il direttore del dipartimento provinciale di Monza trasmette ai sindaci dei comuni di Seveso, Cesano Maderno e Desio una nota in cui richiede esplicitamente che prima di qualsiasi attività che comporti la movimentazione di terre nelle aree comprese nel perimetro dell'ex zona relativa alle ricadute dell'evento ICMESA, si proceda alla caratterizzazione delle terre con la determinazione analitica dei parametri diossine e furani, nella fase istruttoria al rilascio del premesso di costruire. Anche Pedemontana transita per un lungo tratto all'interno della zona B –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della questione; se non intendano, per tramite degli uffici territorialmente competenti e per quanto di competenza, implementare l'approfondimento delle aree interessate dalle situazioni di non conformità già rilevate univocamente al fine di circoscrivere le zone oggetto di escavazione. (4-03432)


   FUCCI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 24 gennaio 2014 l'esplosione di una bombola del gas che alimentava una stufa ha causato il crollo di una casa ad Andria;
   il sollievo per il fatto che tre persone, di cui due uomini ed una donna, tutti anziani, sono stati tratti in salvo è accompagnato dalla preoccupazione per il rischio che fatti (purtroppo non nuovi nelle cronache nazionali) come quello sopra riportato possano ripetersi;
   le politiche degli ultimi volte a favorire la sicurezza degli edifici sul piano energetico e del riscaldamento hanno in parte consentito una maggiore riqualificazione degli edifici, ma in molti territori le condizioni di sicurezza rimangono precarie –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere per garantire politiche realmente attuabili in favore di una maggiore sicurezza energetica degli edifici. (4-03435)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a Pescara è stata incendiata la macchina della giornalista Patricia Fogaraccio;
   si ignorano i motivi e gli autori dell'attentato, ma è evidente la gravità del gesto tenuto conto della attività professionale della giornalista che è responsabile dell'ufficio stampa del comune di Pescara –:
   di quali elementi disponga circa la matrice dell'attentato e quali misure siano state prese per garantire la difesa personale della giornalista e il ripetersi di simili atti di violenza. (4-03430)


   FRANCESCO SAVERIO ROMANO, GIAMMANCO e CATANOSO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   i documenti di bilancio per l'anno 2014 esitati nei giorni scorsi dall'assemblea regionale siciliana sono stati gravemente e pesantemente impugnati dal commissario dello Stato, prefetto Claudio Aronica che, sottoponendoli come suo obbligo d'ufficio, ad esame, ha rinviato ben 33 articoli su 50 alla valutazione della Corte costituzionale per evidente sospetta incostituzionalità;
   il Commissario dello Stato, con una ampia, documentata e circostanziata relazione dai toni tanto duri quanto ampiamente motivati, ha sottoposto ad impugnativa non solo decine di non irrilevanti aspetti specifici tratti da singoli commi o singoli articoli dei documenti finanziari sottoposti alla sua valutazione, ma ha formalmente sollevato vizio grave di incostituzionalità per l'intero sistema delle entrate così come proposto dalla legge finanziaria esitata dal Parlamento siciliano su cui trova fondamento l'intero bilancio per l'anno 2014;
   il Commissario ha segnalato la infondatezza di copertura di moltissime delle entrate, la infondatezza dei fondi posti a garanzia delle partite debitorie e di non poche operazioni finanziarie, la grave illegittimità di procedere in modo unilaterale alla cancellazione di non pochi residui passivi, alla eccessiva valutazione di residui attivi senza alcuna giustificazione comprovata atti di enorme gravità istituzionale le cui refluenze negative sull'intero sistema amministrativo e contabile della regione siciliana sono di tutta evidenza;
   il Presidente della regione siciliana, Rosario Crocetta, su conforme indicazione dell'Assemblea Regionale (ARS) che si è espressa con voto a maggioranza, ha inteso alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana (GURS) dei documenti di bilancio per l'anno 2014 depurandoli delle parti impugnate dal Commissario dello Stato, che toccano soprattutto il sistema delle entrate, con la seguente dichiarazione apparsa sulla stampa cartacea ed online (ad esempio Repubblica redazione siciliana, 31 gennaio 2013): «Domani sarò costretto a pubblicare una Finanziaria che non mi appartiene, che ripudio, che uccide la Sicilia e canta il de profundis al posto di lavoro di migliaia di lavoratori, che uccide la diversa abilità e impedisce ai non vedenti di studiare, che mette sul lastrico migliaia di famiglie. Per me sarà un giorno di grande tristezza, che trascorrerò pregando per la Sicilia e per il popolo siciliano, perché non debba più subire violenze cieche e irrazionali. Faccio appello ai siciliani a stringersi in questa civile e democratica lotta per la Sicilia, con uno stile quasi ghandiano, quello di un popolo assediato»;
   tali affermazioni appaiono di inaudita gravità e richiedono urgenti ed inderogabili approfondimenti e chiarimenti nelle sedi opportune anche in considerazione del fatto che, come risulta da vari articoli di stampa, il bilancio della regione era stato largamente oggetto di confronto con il Ministro Del Rio e con il Governo nazionale;
   questo gravissimo quadro istituzionale, amministrativo e contabile, sul piano del fatto e del diritto, paralizza l'intero sistema della regione siciliana –:
   se il Commissario dello Stato abbia valutato, alla luce di quanto descritto in premessa, se sussistano i presupposti per avviare le procedure dirette allo scioglimento dell'Assemblea regionale siciliana ai sensi dell'articolo 8 dello Statuto;
   se il Presidente della regione abbia ricevuto, negli incontri ricordati in premessa, un avallo relativo alla modalità di pubblicazione del bilancio nelle forme descritte;
   se ed in che modo i Ministri interrogati intendano valutare i comportamenti del prefetto Aronica, Commissario dello Stato, la cui impugnativa, secondo il presidente della regione, sarebbe responsabile di aver «ucciso la Sicilia», e se intendano chiarire le ragioni che ne avrebbero motivato i supposti comportamenti gravemente lesivi della autonomia regionale. (4-03439)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   il settore scientifico disciplinare Med/02 storia della medicina, va assumendo una crescente rilevanza nella ricerca e nella didattica dei corsi di stadio della facoltà di medicina e chirurgia, sia per gli studenti di medicina che per quelli delle professioni sanitarie, proprio per alcune sue prerogative culturali, che costituiscono interfaccia umanistica della facoltà. Vi si trasmettono infatti conoscenze e competenze nell'area di bioetica, di pedagogica medica, di paleopatologia museologia medica; di epistemologia medica e di storia della sanità, di storia della medicina veterinaria;
   nonostante tutto ciò il settore Med/02 dispone attualmente di soli 7 professori di prima fascia, destinati nel prossimo triennio a ridursi a 3, per l'imminente pensionamento di 4 di essi e per questo nelle recenti ASN 2012 è stato incluso nel raggruppamento 06/A2 patologia generale e patologia clinica;
   la circolare del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 754 dell'11 gennaio 2012 aveva inteso accogliere le domande anche di coloro che non superavano le mediane, senza per altro annullare il valore degli indicatori bibliometrici quale criterio oggettivo di selezione;
   visti i recenti risultati delle ASN 2012 06/A2 per storia della medicina, pubblicati l'8 gennaio 2014 e in considerazione di quanto sopra detto, occorre far presente che la legge n. 240 del 2010, articolo 16, comma 1, recita: «L'abilitazione attesta la qualificazione scientifica che costituisce requisito necessario per l'accesso alla prima e alla seconda fascia dei professori» e sottolinea, al comma, 3 la necessità di una valutazione oggettiva dei titoli e delle pubblicazioni, l'istituzione di una unica commissione per entrambe le abilitazioni di professore ordinario e associato, la trasparenza dei giudizi dei commissari allegati agli atti della procedura e la possibilità che la Commissione possa acquisire pareri scritti pro veritate sull'attività scientifica dei candidati da parte di esperti, soprattutto quando in un determinato settore vengono salutati anche candidati che fanno parte di specifici «sottosettori»;
   è quanto accaduto per i candidati che concorrevano per il settore MED 02, Storia della medicina, nell'ambito del settore di patologia generale ematologia clinica 06/A2, sia per la prima che per la seconda fascia; i candidati della I fascia, hanno avuto due pareri pro veritate, mentre i candidati alla II fascia hanno ottenuto un solo parere pro veritate; vi sono casi in cui il candidato pur avendo ricevuto un parere pro veritate negativo è risultato comunque idoneo alla abilitazione;
   sorprende gli esperti pro veritate, chiamati a valutare di ventuno candidati alla I fascia, abbiano ritenuto di esprimersi negativamente su tutti; in alcuni dei giudizi espressi si dichiara inoltre di conformarsi a criteri illustrati in un documento non verbalizzato, «appositamente prodotto e inviato alla Commissione», i cui criteri adottati in solitaria autonomia, senza il confronto con gli altri professori ordinari di MED/02, potrebbe riflettere una evidente soggettività;
   i pareri pro veritate hanno dato agli altri commissari delle letture che gli interpellanti appaiono parziali ed arbitrarie delle attività svolte dai candidati, che hanno di fatto indotto alla formulazione di giudizi negativi; la lettura di questi pareri mostra ad avviso degli interroganti come gli estensori abbiano espresso giudizi caratterizzati da spiccata soggettività; 9 candidati avevano infatti superato le mediane come da regolamento; 6 candidati avevano tre «semafori verdi» sugli altri parametri in questione e altri tre candidati ne avevano 2/3;
   lo stesso dicasi per i 30 candidati della II fascia: molti dei quali non ritenuti idonei pur avendo i requisiti previsti; ad esempio 3 candidati della II fascia sono stati giudicati non idonei pur superando le mediane e avendo un solido background scientifico alle spalle; e degli 11 abilitati, 4 erano stati giudicati negativamente dall'unico parere pro veritate;
   a quanto consta agli interpellanti il 29 settembre Giuseppe Armocida, decano degli ordinari di storia della medicina (SSD Med/02) e Presidente della Società italiana di storia della medicina, prevedendo cosa di fatto si è puntualmente verificato, avrebbe segnalato come la pubblicazione delle mediane dei settori bibliometrici in ordine alle procedure di abilitazione scientifica nazionale, creasse difficoltà all'interno del SSD Med02; la principale perplessità era relativa al fatto che molti di loro si trovavano ai margini o al di sotto delle mediane, perché il SSD Med/02 ha una differenziazione interna di indirizzi di ricerca e la maggioranza di loro ha una identità di impianto umanistico (storia della medicina, bioetica, pedagogia medica), solo uno ha impianto laboratoristico (paleopatologia). La complessità di questo «piccolo» settore scientifico disciplinare riflette anche percorsi formativi differenziati da parte dei candidati, alcuni dei quali sono laureati in medicina, altri in scienze biologiche, altri ancora in filosofia o lettere. Solo una parte della produzione del SSD, soprattutto la paleopatologia, può essere giudicata in perfetta aderenza ai criteri «bibliometrici». La maggioranza dei professori e ricercatori è invece evidentemente espressione di indirizzi culturali che hanno una produzione non «bibliometrica», avendo pubblicato i loro lavori secondo le linee che segnano il prestigio della Storia della medicina, i cui prodotti non sono «bibliometricamente» censibili secondo i criteri ANVUR. Si delineava quindi una situazione paradossale per la quale diversi docenti – pienamente apprezzati nella valutazione tra pari – risultano inferiori nel calcolo della mediana di riferimento, non perché siano in carenza di produzione scientifica, ma in quanto non hanno pubblicato su riviste «calcolabili bibliometricamente». E ciò mette in discussione l'autorevolezza delle mediane per questo specifico SSD. Per questo si chiedeva che la procedura di valutazione ammettesse tutta la pubblicistica di qualità, compresa quella che per sua natura non può essere «bibliometrica» (libri, capitoli di libro, riviste storico-umanistiche), in quanto espressione di qualità nazionale e internazionale riconosciuta;
   il Consiglio universitario nazionale, nella proposta inviata al Ministro il 9 giugno 2011, aveva riconosciuto una specificità (parte dei docenti del SSD MED/02 storia della medicina hanno attività pubblicistica assimilabile ai SSD dell'Area Umanistica con pubblicazioni prevalentemente in italiano su rivista validate dalle Società scientifiche) che non può essere ignorata. Escluderla di fatto ha esposto, a giudizio degli interpellanti, ad errori di giudizio, penalizzando parte dei concorrenti, svilendo la componente fondamentale della disciplina ed orientando la ricerca futura solo verso una produzione «bibliometrica», con un impoverimento del settore e con la spinta di qualche docente verso altri SSD –:
   se non ritenga opportuna una revisione complessiva delle valutazioni di abilitazioni scientifica nazionale 06/A2 – prima e seconda fascia SSD MED/02 – storia della medicina, valorizzando maggiormente la produzione non bibliometrica dei candidati e una rivalutazione dei pareri pro veritate, che riflettono una visione pesantemente negativa del settore.
(2-00394) «Binetti, Dellai».

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   l’«opzione donna» è un regime sperimentale che prevede – secondo l'articolo 1, comma 9, della legge n. 243 del 2003 cosiddetta Riforma Maroni – fino al 31 dicembre 2015 il pensionamento anticipato per le lavoratrici dipendenti che abbiano raggiunto 57 anni d'età, o per le autonome che ne abbiano raggiunti 58 anni (ai quali vanno aggiunti 3 mesi per effetto dell'adeguamento alla speranza di vita), con almeno 35 anni di contributi; in tal caso, chi usufruirà di tale opzione avrà la pensione calcolata interamente con il metodo contributivo;
   articolo 24, comma 14, del decreto-legge n. 201 del 2001, cosiddetta «Salva-Italia», ha previsto che le disposizioni in materia di requisiti di accesso e di regime delle decorrenze vigenti prima della data di entrata in vigore del decreto-legge medesimo continuino ad applicarsi, tra l'altro, alle lavoratrici contemplate per l'appunto dall'articolo 1 della riforma Maroni;
   sull'argomento la circolare Inps n. 35 del 14 marzo 2012 ha interpretato la norma di cui al predetto articolo 24 in maniera restrittiva, affermando che per esercitare l'opzione fosse necessario non solo maturare i requisiti entro il 31 dicembre 2015, ma anche percepire effettivamente il trattamento previdenziale, anticipando così il termine ultimo della domanda di oltre un anno;
   nello scorso novembre 2013, si ricorda, le Commissioni lavoro di Camera e Senato hanno approvato, ciascuna, una risoluzione con la quale si è impegnato il Governo «a sollecitare l'Inps (...) a rivedere il punto 7.2 della circolare n. 35 concernente la liquidazione del trattamento pensionistico per le lavoratrici in regime sperimentale, nel senso che per tali lavoratrici non deve essere applicata la finestra mobile per la decorrenza del trattamento pensionistico né le aspettative di vita, ma resta valida la semplice maturazione dei requisiti anagrafici e contributivi entro il 31 dicembre 2015 (...);
   peraltro, dalla discussione in Commissione Lavoro della Camera è emerso un orientamento del Ministro interpellato favorevole ad un riesame della circolare in questione, contrariamente alla posizione del co-vigilante Ministero dell'economia che ritiene il punto 7.2 della circolare pienamente coerente con la norma primaria oggetto di interpretazione (articolo 24, decreto-legge n. 201 del 2011 –:
   se e quali azioni abbia intrapreso da novembre ad oggi per dare seguito al dispositivo della risoluzione citata in premessa e se non convenga sull'opportunità di intervenire con provvedimenti di propria competenza per prolungare anche oltre il 2015 il regime sperimentale cosiddetta «opzione Donna», posto che sebbene tale prosecuzione possa – ad avviso della ragioneria generale dello Stato – compromettere gli effetti complessivi della riforma pensionistica operata con il decreto-legge n. 201 del 2011, convertito con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, giacché consentirebbe l'accesso a pensione ad un età ampiamente inferiore a quelle previste dalla medesima legge, è altrettanto vero che gli stessi sarebbero mitigati, se non addirittura compensati, dalle penalizzazioni derivanti dal conteggio della pensione interamente con il calcolo contributivo, anche per chi avrebbe normalmente usufruito del calcolo misto o puramente retributivo sino al 31 dicembre 2011.
(2-00396) «Giancarlo Giorgetti, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».

Interrogazione a risposta orale:


   SOTTANELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto interministeriale 15 giugno 2010, adottato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, recepisce l'accordo sancito in sede di Conferenza Stato-regioni e province autonome il 29 aprile 2010 riguardante l'avvio dei percorsi di istruzione e formazione professionale a norma dell'articolo 27, comma 2, del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226;
   il decreto direttoriale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali nr. 871/Segr. D.G./2012 del 5 novembre 2012 stabilisce la ripartizione e assegnazione alle regioni e province autonome di Bolzano e Trento delle risorse relative all'annualità 2012 per il finanziamento dei percorsi finalizzati all'assolvimento del diritto-dovere nell'istruzione e alla formazione professionale, ai sensi dell'articolo 28, comma 3, del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226;
   tali risorse relative per il finanziamento dei percorsi finalizzati all'assolvimento del diritto-dovere nell'istruzione e alla formazione professionale per il conseguimento di una qualifica professionale triennale, di cui alle 21 qualifiche previste dall'accordo Stato-regioni del 29 aprile 2010 relative all'annualità 2012 non sarebbero ancora state ripartite ed assegnate alle regioni;
   tale mancanza di risorse avrebbe impedito agli organismi di formazione accreditati in diverse regioni, tra queste l'Abruzzo, l'attivazione dei progetti formativi volti all'attivazione dei percorsi triennali finalizzati all'assolvimento del diritto-dovere nell'istruzione e formazione con gravi ripercussioni anche sull'organizzazione e sulla gestione degli organismi di formazione stessi;
   la mancata attivazione dei progetti formativi genera un danno nell'offerta formativa e quindi un forte svantaggio per i destinatari dei percorsi, ovvero per i giovani che hanno terminato il primo ciclo d'istruzione, privi di qualifica o di altro titolo secondario e di età inferiore a 18 anni, che non hanno potuto accedere ad un'offerta formativa completa rispetto alla gamma di qualifiche previste –:
   quali urgenti iniziative intenda porre in essere per sbloccare e procedere con la ripartizione e l'assegnazione alle regioni e alle province autonome delle risorse 2012 per il finanziamento dei percorsi finalizzati all'assolvimento del diritto-dovere nell'istruzione e alla formazione professionale. (3-00606)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   D'OTTAVIO e BOCCUZZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   alla Fivit-Colombotto di Collegno del gruppo Agrati il 31 gennaio 2014, è arrivata agli 82 dipendenti la comunicazione di chiusura dell'azienda, senza alcun preavviso;
   lo stabilimento produce bulloni e viti di tutti i tipi e non ha mai dato segni di crisi;
   gli interroganti esprimono la più forte vicinanza ai lavoratori –:
   se sia informato della situazione e se intenda avviare la procedura per l'apertura di un tavolo di confronto con la proprietà, le organizzazioni sindacali e gli enti locali al fine di tutelare le prospettive occupazionali;
   a fronte del ripetersi nell'area Torinese ed in particolare nella zona ad ovest di Torino di difficoltà e di chiusure di aziende, soprattutto del settore manifatturiero, che stanno creando problemi sociali senza precedenti, quali iniziative si intendano assumere. (5-02055)


   AIRAUDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'Agrati, multinazionale specializzata in progettazione, produzione e commercializzazione sistemi di fissaggio (viti e bulloni), per automotive, elettrodomestici e distributori, ha annunciato la chiusura dello stabilimento di Collegno (Torino), uno dei cinque che ha in Italia, e il licenziamento degli 82 dipendenti senza ricorrere a nessun ammortizzatore sociale, sui 500 occupati in Italia (ANSA – TORINO, 31 GEN);
   l'Agrati in Italia ha 5 stabilimenti: Veduggio (sede centrale), Dolzago, Cornate d'Adda e Trezzo d'Adda (tutte nel bresciano) e a Collegno;
   ha tre stabilimenti in Francia, uno in Cina, mentre in Germania ha solo la distribuzione;
   l'ultima CIG risale al 2009 e attualmente nessuno stabilimento italiano fa CIGo usa altri ammortizzatori sociali;
   a Veduggio ci sono 5/7 lavoratori interinali e tutti gli stabilimenti italiani (più di 500 addetti) stampano con la stessa tecnologia;
   da fonti sindacali FIOM-CGIL si apprende che da pochi giorni si è conclusa la verifica sul premio di risultato che ha pagato il massimo (circa 1900 euro medi) perché sono stati raggiunti tutti i parametri compreso quello della produttività;
   nonostante i risultati hanno avviato pratica per licenziamento di tutti e 82 i dipendenti per cessazione di attività della sede di Collegno operando una vera delocalizzazione regionale;
   la comunicazione dell'apertura della mobilità è arrivata ai sindacati, che hanno indetto otto ore di sciopero e presidio ai cancelli della fabbrica. «Una decisione inaccettabile perché è un'azienda sana che in altre sedi fa assunzioni», osserva Marinella Baltera della Fiom di Torino –:
   se non ritenga urgente convocare le parti per trovare una soluzione che impedisca la delocalizzazione regionale dal Piemonte alla Lombardia, salvaguardando l'occupazione e scongiurando i licenziamenti. (5-02060)

Interrogazione a risposta scritta:


   OLIVERIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nella provincia di Crotone opera la società elettrica A2A, le cui azioni sono anche possedute dal comune di Milano e che si occupa della vendita di energia elettrica e gas a grandi clienti industriali e clienti domestici;
   la società elettrica A2A utilizza per la manutenzione degli impianti numerosi dipendenti, tra i quali le cronache giornalistiche locali segnalano il caso del signor Mario Angotti che negli anni 2006 e 2009 ha subito due importanti interventi chirurgici derivanti da una neoplasia maligna;
   successivamente a questi drammatici episodi il signor Angotti è dovuto rimanere lontano dal proprio posto di lavoro per diversi mesi e, a seguito di alcune complicanze derivanti dalla patologia, gli sono state attribuite mansioni diverse, non compatibili con l'attività svolta nel passato sulle dighe;
   tali patologie avrebbero, tra l'altro, fornito alla società motivazioni per trattenere a casa il dipendente;
   alla richiesta di riammissione in servizio del signor Angotti sarebbe seguita da parte della società una convocazione che aveva come unico fine l'esodo, incoraggiato da minimi incentivi;
   alla risposta negativa da parte del signor Angotti la società avrebbe deciso di trasferire lo stesso ad altra sede, ovvero in Valtellina, pur avendo la società altri impianti in Calabria;
   l'impossibilità di recarsi in Valtellina, la possibile perdita del proprio posto di lavoro unitamente alla grave malattia cominciano ad assumere per il dipendente Angotti i contorni di un dramma ancora più grande, le cui conseguenze dolorose sono fortemente destabilizzanti in una persona che si è sempre distinta per professionalità, diligenza ed attaccamento al lavoro e che oggi, purtroppo, necessita di cure e assistenza continua;
   la condivisione di queste problematiche da parte dei Ministri interrogati può venire incontro a far superare le difficoltà che vive il signor Angotti e la sua famiglia in un Paese in cui la Costituzione sancisce che l'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, inteso come mezzo che qualifica socialmente l'uomo e lo aiuta a scandire i tempi del vivere quotidiano, valorizzando la capacità di ogni singola persona –:
   se sussistano i presupposti per promuovere, con urgenza, iniziative, anche per il tramite della competente direzione provinciale del lavoro, rispetto ai gravi fatti esposti in premessa che riguardano un dipendente gravemente ammalato, come il signor Mario Angotti, che tanto ha dato all'azienda durante la sua vita lavorativa, e se si intendano assumere iniziative normative per rafforzare le tutele dei lavoratori in casi come quello di cui in premessa. (4-03433)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   RIZZETTO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso che il Copalcons, osservatorio permanente del Codacons sulla presentazione, pubblicità e sicurezza degli alimenti, ha effettuato delle ispezioni presso i supermercati della grande distribuzione Eataly di Roma (Piazzale XII Ottobre 1492), Coop (via Cornelia 154) e Carrefour (Piazzale degli eroi 13), verificando che vengono venduti alcuni prodotti alimentari dei quali si vanta, attraverso l'etichettatura, l'elevata qualità collegata all'origine delle materie prime genuinamente italiane e a chilometro 0;
   al riguardo, sarebbero emersi profili di ingannevolezza e frode, di molti prodotti monitorati, poiché attraverso le informazioni in etichetta e le immagini grafiche, si comunica al consumatore la presenza di ingredienti caratterizzanti di origine italiana, spesso in mancanza di indicazioni rispetto alla quantità effettivamente presente nel prodotto;
   nello specifico, presso lo store Eataly, il Copalcons ha rilevato che vengono messi in vendita prodotti etichettati con modalità non conformi alla normativa vigente, che sebbene segnalati ai referenti di Eataly, con la dettagliata indicazione degli elementi di ingannevolezza, non sono stati ritirati dagli scaffali;
   è stato, altresì, rilevato che presso i locali del predetto supermercato alcuni prodotti vengono pubblicizzati vantando una sostenibilità ambientale degli stessi che in concreto non sussiste;
   ci si riferisce, in particolare, ai cartelloni esposti su degli scomparti frigo, in cui sono esposti in vendita yogurt e prodotti latticini, rispetto ai quali si legge: «Latte, yogurt, latticini a KM zero. Gran bei prodotti abbiamo trovato qui in Lazio di Roma (...)»;
   è stato, tuttavia, verificato che il frigorifero, oltre ad alimenti di altra tipologia, contiene yogurt che per la maggior parte, è prodotto e confezionato in Trentino o in altri territori ben lontani dal Lazio, pertanto, si pubblicizzano degli alimenti attraverso informazioni che evidenziano caratteristiche di genuinità rispetto alla produzione locale che, di contro, non sono valide per tutti i prodotti a cui si riferiscono, e che, di conseguenza, potrebbero trarre in errore il consumatore;
   ed ancora, si apprende che il Copalcons, con lettera, indirizzata a Eataly — e per conoscenza alla ASL Viterbo, servizi veterinari — richiedeva all'azienda la certificazione comprovante i criteri di valutazione sulla sicurezza e qualità del latte Marini e del pane biologico prodotto da Eataly, poiché venivano pubblicizzate rispetto a tali prodotti determinate qualità legate alle materie prime, ai metodi di produzione e lavorazione, in mancanza di una idonea certificazione attestante;
   le richieste del Copalcons non hanno avuto riscontro da Eataly e in data 28 maggio 2013, la ASL di Viterbo riferiva di aver provveduto alla sospensione della produzione e la distruzione di alcune partite del latte Marini, a seguito di specifici controlli;
   il 30 maggio 2013, perveniva anche il verbale di sequestro cautelare dei Nas dei prodotti lattiero-caseari venduti e pubblicizzati dall'azienda Marini e, pertanto, il Copalcons chiedeva a Eataly, con lettere del 10 giugno 2013 e del 1o luglio 2013, di sospendere la distribuzione del latte Marini, poiché a seguito dei predetti controlli era risultato privo di informazioni sulla tracciabilità;
   il 23 luglio 2013, il Copalcons eccepiva l'illegittimità delle etichette di 30 prodotti, compresa quella relativa al latte Marini, rinvenuti sugli scaffali di Eataly di Roma e l'azienda riferiva che avrebbe provveduto a modificare le etichette palesemente ingannevoli;
   il 13 settembre 2013, venivano individuate ulteriori etichette ingannevoli di altri 40 prodotti presi a campione;
   il Copalcons denunciava tali fatti all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, che, con protocollo 0047019 dell'8 ottobre 2013, rif. DS1088, affidava l'esame della segnalazione alla competente direzione generale per la tutela del consumatore, direzione agroalimentare e trasporti, al fine di accertare l'eccepita violazione delle norme del codice del consumo e del codice di autodisciplina della comunicazione commerciale;
   presso il supermercato Coop, sito in via Cornelia 154, il Copalcons verificava che su 50 prodotti alimentari presi a campione sugli scaffali, il 60 per cento dei prodotti alimentari presentavano una etichettatura e rappresentazione grafica che ne garantivano la qualità, spesso rispetto all'origine italiana e a chilometro 0;
   tra i presunti profili di ingannevolezza e frode dei prodotti analizzati si rileva, tra l'altro, che rispetto agli ingredienti caratterizzanti non sussistevano informazioni sulle percentuali contenute (ai sensi dell'articoli 8 del decreto legislativo 27 gennaio 1992 n. 109);
   il Copalcons chiedeva a Coop Italia degli specifici chiarimenti sui prodotti ritenuti ingannevoli e la sospensione della distribuzione di quei prodotti alimentari rispetto ai quali le informazioni apparivano poco trasparenti e non conformi alle norme in materia;
   presso il supermercato Carrefour, il Copalcons contestava l'illiceità delle etichette di circa 30 prodotti poiché non venivano indicate le quantità degli ingredienti caratterizzanti mentre, in altri casi, si affermava una origine genuinamente italiana, in mancanza delle necessarie indicazioni richieste dalla normativa vigente;
   sul punto, con lettera del 19 settembre 2013, il Copalcons eccepiva che produttori e venditori sono responsabili congiuntamente rispetto alla veridicità delle informazioni in etichetta, nonché alla qualità e sicurezza dei prodotti alimentari posti in vendita;
   si fa presente che rispetto all'azione di monitoraggio effettuata dal Copalcons sui prodotti presso i predetti store, alcune società produttrici si sono impegnate a modificare le etichette rendendole conformi alle normative di legge, laddove ne era stata eccepita l'illegittimità;
   nel novembre 2013, il Copalcons/Codacons notificava un atto di denuncia — querela, con istanza di sequestro — al comando carabinieri per la tutela dell'ambiente di Roma, al comando carabinieri nucleo antisofisticazioni e sanità di Roma, alla procura della Repubblica presso il tribunale di Asti, Bologna, Milano e Roma, al Ministero della salute, in persona del Ministro pro tempore Beatrice Lorenzin, Ministero dello sviluppo economico in persona del Ministro pro tempore Flavio Zanonato, Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, in persona del Ministro pro tempore Nunzia De Girolamo ed all'Autorità garante della concorrenza e del mercato — per richiedere il ritiro dal mercato dei prodotti individuati presso Eataly, Coop e Carrefour che potrebbero distorcere le scelte dei consumatori, danneggiarne la salute e falsare il gioco della concorrenza fra imprese;
   si richiedeva, tra l'altro, di effettuare ispezioni igienico-sanitarie nell'ambito della filiera di produzione, vendita e somministrazione degli alimenti, eventualmente provvedendo a sanzionare le imprese che abbiano violato principi di concorrenza e tutela del mercato;
   rispetto alle ispezioni effettuate da Copalcons/Codacons, il 31 dicembre 2013, sul quotidiano «Libero», si leggeva «Codacons contro Eataly e Coop: etichette fuorilegge», mentre, il giornalista Maurizio Gallo su «Il Tempo», il 16 gennaio 2014, pubblicava un articolo dal seguente tenore: «Eataly L'amico di Matteo e le etichette “ingannevoli”»; «Dossier del Codacons sui prodotti dello store di Oscar Farinetti all'Ostiense. Sotto accusa 30 “campioni”: non rispettano la normativa sulle indicazioni ai consumatori»;
   ebbene, per quanto esposto, si ricorda che l'etichettatura di un prodotto alimentare ha, per il consumatore, una fondamentale funzione di tutela, informandolo sul prodotto che sta acquistando e consentendogli di effettuare le scelte che corrispondono alle proprie esigenze di gusto e di salute, si pensi, ad esempio, al caso in cui sussistono allergie o intolleranze alimentari;
   in materia, il decreto legislativo del 27 gennaio 1992, n. 109, su «l'etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari», è stato integrato da successivi provvedimenti, quali: la direttiva europea 2000/13/CE, recepita con il decreto legislativo 23 giugno 2003, n. 181; la direttiva 2003/89/CE, recepita dal decreto legislativo 8 febbraio 2006, n. 114, che, in particolare, indica i prodotti alimentari contenenti sostanze allergeniche che devono essere riportati in etichetta, qualora siano utilizzati come ingredienti; il regolamento (CE) 1924/2006; il regolamento (UE) 432/2012; il regolamento (UE) 1169/2011, «relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori», che ridefinisce la normativa sull'etichettatura dei prodotti alimentari;
   l'articolo 21 del codice del consumo (decreto legislativo n. 206 del 2005), individua i criteri di valutazione dell'ingannevolezza di una pubblicità, prevedendo una verifica relativa: «a) alle caratteristiche dei beni o dei servizi, quali la loro disponibilità, la natura, l'esecuzione, la composizione, il metodo e la data di fabbricazione o della prestazione, l'idoneità allo scopo, gli usi, la quantità, la descrizione, l'origine geografica o commerciale, o i risultati che si possono ottenere con il loro uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove o controlli effettuati sui beni o sui servizi (...)»;
   più in generale, al comma 2, del predetto articolo si afferma l'ingannevolezza di una pratica se in considerazione di tutte le peculiarità del caso, «induce o è idonea ad indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che altrimenti non avrebbe preso (...);
   a tutela del «made in», in particolare, vi è il comma 49- bis dell'articolo 4 della legge 24 dicembre 2003, n. 350, che prevede l'ipotesi di «fallace indicazione dell'uso del marchio», definendo fallace indicazione l'uso del marchio, da parte del titolare o del licenziatario, con modalità tali da convincere il consumatore che il prodotto o la merce sia di origine italiana ai sensi della normativa europea sull'origine, senza che gli stessi siano accompagnati da indicazioni precise ed evidenti sull'origine o provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull'effettiva origine del prodotto, ovvero senza essere accompagnati da attestazione, resa da parte del titolare o del licenziatario del marchio, circa le informazioni che, a sua cura, verranno rese in fase di commercializzazione sulla effettiva origine estera del prodotto. Per i prodotti alimentari, per effettiva origine si intende il luogo di coltivazione o di allevamento della materia prima agricola utilizzata nella produzione e nella preparazione dei prodotti e il luogo in cui è avvenuta la trasformazione sostanziale –:
   se i Ministri siano al corrente dei fatti esposti in premessa;
   se e quali azioni di controllo intendano promuovere per accertare la corrispondenza alla normativa in materia delle etichette apposte sui prodotti esposti in vendita presso Eataly, Coop e Carrefour, alla luce dei fatti esposti in premessa, nonché presso tutti i punti vendita alimentari;
   se e quali provvedimenti di competenza intendano adottare, più in generale, per tutelare il diritto di scelta e la salute dei consumatori, in considerazione del preoccupante aumento di casi di ingannevolezza, italian sounding e contraffazione che si riscontrano nel settore alimentare. (4-03438)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   in ordine all'inchiesta sulla ASL di Benevento che vede coinvolto, tra gli altri, l'ex direttore amministrativo Felice Pisapia, è stata rivelata l'esistenza di una serie di incontri nei quali l'ex Ministro Nunzia De Girolamo – all'epoca dei fatti indagati deputata e responsabile provinciale del PdL – insieme ai vertici dell'azienda sanitaria locale e persone di sua fiducia, affrontava alcune questioni riguardanti l'appalto per il servizio 118, l'ubicazione di presidi e strutture della Asl e i controlli da effettuare in alcuni ospedali;
   il 17 gennaio 2014 l'ex Ministro De Girolamo ha risposto a due interpellanze in merito e ha raffigurato una situazione di corruzione all'interno dell'ASL a dir poco preoccupante, giungendo fino ad ammettere con disinvoltura che «la gestione della sanità nel sud ed, in particolare, in Campania è stata sempre e solamente clientelare. Se provate ad ascoltare chi ha lavorato in sanità vi dirà che il rispetto delle regole, la giustizia, il senso del dovere, la meritocrazia, abitavano molto lontano da quelle strutture»;
   Transparency International Italia e il Centro di Ricerche RiSSC hanno svolto un'analisi cosiddetta «Sanità Malata» relativa al fenomeno della corruzione all'interno del settore sanitario;
   i casi di corruzione analizzati da Transparency Italia rientrano in cinque categorie: nomine, farmaceutica, appalti di beni e servizi, sanità privata e negligenza medica. Nel primo caso lo studio rileva come la politica usi la sanità come serbatoio e spartizione di voti. Qui le merci di scambio sono la nomina a direttore generale, sanitario o primario in cambio di voti e finanziamenti;
   le aziende sanitarie italiane erano tenute entro il 31 gennaio 2014 a rispettare i tre principali parametri sui quali viene valutata la trasparenza: nominare il responsabile locale anticorruzione, pubblicare on line il Piano triennale anticorruzione e fornire informazioni complete sui vertici dell'organo di indirizzo politico: direttore generale, direttore sanitario, direttore amministrativo, curricula e compensi. Abbassare il livello di corruzione è previsto dalla legge n. 190 del 2012 secondo cui tutti gli enti pubblici, aziende sanitarie comprese, devono dotarsi di strumenti per facilitare la trasparenza;
   dal suo insediamento, il Ministro non risulta aver affrontato il tema della corruzione in ambito sanitario, nemmeno in occasione dell'audizione per l'indagine conoscitiva sulla sostenibilità del Servizio sanitario nazionale nelle Commissioni affari sociali e bilancio, quindi al momento non si conoscono le sue intenzioni in merito;
   i costi della corruzione in sanità ammontano a 10 miliardi l'anno, secondo l'istituto per la promozione dell'etica in sanità;
   nel 2012, nel comparto farmaceutico-sanitario sono state segnalate all'autorità giudiziaria 4.136 persone, arrestate 173, la metà per reati di corruzione, peculato e truffa e, secondo i NAS, queste segnalazioni non rappresentano che il 10 per cento di tutti i casi reali;
   secondo lo studio condotto da riparte il futuro – non risulta che ci siano relazioni ufficiali da parte del ministero sullo status di adempimento alla legge n. 190 del 2012 da parte delle ASL – la media nazionale di adempimento è solo al 65 per cento con picchi preoccupanti del 19 per cento in Molise e 22 per cento proprio in Campania;
   la Corte dei conti ogni anno continua a lanciare l'allarme del fenomeno sempre più dilagante della corruzione in ambito sanitario e dei controlli inefficaci da parte delle amministrazioni a diverso livello –:
   se e quando presenterà la ricognizione a livello nazionale dello status di adempimento agli obblighi della legge n. 190 del 2012 cui sono tenute le ASL;
   se e quali iniziative intenda intraprendere, per quanto di sua competenza, nei confronti delle amministrazioni inadempienti, a prescindere dalle misure sanzionatorie che competono all'Autorità nazionale anticorruzione e al dipartimento della funzione pubblica;
   se abbia intenzione di attivarsi e, in che modo, a fronte della vicenda indicata in premessa che ha coinvolto la ASL di Benevento e, più in generale, quali iniziative di competenza il Ministro intenda adottare al fine di contrastare la conclamata corruzione inerente alle nomine nel settore sanitario.
(2-00395) «Dadone, Grillo, Di Vita, Cecconi, Baroni, Silvia Giordano, Dall'Osso, Lorefice, Mantero, Toninelli, Cozzolino, Dieni, Fraccaro, Lombardi, Nuti, D'Ambrosio, Turco, Bonafede, Businarolo, Agostinelli, Colletti, Ferraresi, Sarti, Micillo, Colonnese, Carinelli, Fico, Nesci, Vignaroli, Luigi Di Maio».

Interrogazione a risposta scritta:


   FUCCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il tema delle condizioni in cui versano i pronto soccorso è stato di recente rilanciato da Anaao Assomed (Associazione dei medici dirigenti) evidenziando la crescita del fenomeno del sovraffollamento;
   la causa principale del sovraffollamento dei pronto soccorso è rappresentata dal taglio progressivo dei posti letto ospedalieri che in alcune realtà regionali, secondo l'Associazione, ha raggiunto quota 20 per cento in un decennio;
   queste considerazioni chiamano in causa, a parere dell'interrogante, altre questioni cruciali a partire da quella della necessaria riorganizzazione complessiva della rete ospedaliera italiana;
   in molte aree non vi sono ancora adeguate alternative al ricorso all'ospedale anzitutto per il ritardo generalizzato con cui sarebbe necessario riorganizzare la medicina territoriale, a partire dai servizi domiciliari –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere in merito a quanto esposto in premessa. (4-03434)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata:


   PALAZZOTTO, LACQUANITI, AIRAUDO, DI SALVO, FERRARA, MATARRELLI e PLACIDO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Almaviva contact è leader di mercato in Italia per aziende private ed enti pubblici nell’outsourcing di servizi. Propone una gamma estesa e innovativa di soluzioni ad alto valore aggiunto come consulting and process reengineering, inbound and outbound services, back office & document management, market analysis, adaptive front-end, multichannel customer solutions e case management & quality monitoring per aiutare i propri clienti a sviluppare una strategia di customer experience di successo;
   Almaviva contact fa parte del gruppo Almaviva, leader italiano nell’information & communication technology, e opera a livello globale con 35 sedi e 27.000 persone. È presente anche in Brasile, Tunisia e Cina. In Italia è presente nelle seguenti città: Trento, Milano, Padova, Torino, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli, Cosenza, Palermo, Catania;
   l'elemento distintivo dell'offerta di Almaviva contact è l'utilizzo di innovative tecnologie semantiche almawave, che consentono il riconoscimento del linguaggio naturale per ottimizzare i processi operativi;
   gli operatori di contact center diventano esperti nella gestione della singola problematica attraverso la valorizzazione dell'informazione destrutturata e grazie al presidio integrato di tutti i canali di contatto;
   i principali clienti di Almaviva contact sono: Alitalia, Poste italiane, American express, comune di Milano, comune di Roma, Enel, Eni, Fastweb, gruppo Ferrovie dello Stato italiane, Inpdap, Inps, Leasys, Mediaset, Tim, Equitalia, Sky, Vodafone e Wind;
   Almaviva contact è presente da oltre 12 anni nella città di Palermo con due sedi operative e occupa stabilmente oltre 4.500 persone;
   l'attuale situazione di crisi economica generale e le problematiche che affliggono il mercato specifico, come la crisi dei principali settori di riferimento, la contrazione dei volumi, l'abbattimento delle tariffe con riduzione dei margini, la delocalizzazione delle attività al di fuori del territorio italiano, hanno comportato da parte dell'azienda e delle organizzazioni sindacali una continua ricerca di maggiore efficienza e produttività, sia attraverso specifici accordi, sia tramite l'identificazione di più adeguate soluzioni logistiche;
   in questo senso sono stati sottoscritti da azienda e sindacati importanti accordi sindacali, sia a livello nazionale che locale, che hanno consentito sino ad ora di affrontare le criticità senza ricorrere a misure traumatiche nei confronti dell'organico e della salvaguardia dei livelli occupazionali;
   la tenuta degli accordi sindacali, in particolare per il tessuto produttivo di Palermo, si fonda su tre principi fondamentali:
    a) sostanziale stabilità dei volumi di attività, benché ridotti rispetto al passato;
    b) tenuta dei principali clienti e, in particolare, di Alitalia;
    c) risoluzione delle problematiche logistiche;
   rispetto ai volumi delle attività svolte a Palermo si riscontra una diminuzione del 30 per cento negli ultimi due anni su alcuni importanti clienti, solo parzialmente compensate dall'avvio di nuove attività portate dal gruppo. Tale tendenza al calo di volumi è in ulteriore accelerazione e le prospettive complessive evidenziano una situazione difficile da gestire;
   per quanto riguarda il cliente Alitalia, per il quale lavorano circa 1.000 persone assunte a tempo indeterminato, Almaviva contact continua ad operare in un clima di incertezza per le note vicende legate alle sorti della compagnia di bandiera e per le possibili evoluzioni future. Almaviva ha già assorbito perdite per 3 milioni di euro a seguito del fallimento della vecchia Alitalia e ha un credito di 4,4 milioni di euro residui;
   infine, per quanto riguarda la situazione logistica, nell'accordo sindacale di maggio 2013 è stata evidenziata la necessità di identificare un unico centro produttivo a Palermo, al fine di migliorare l'organizzazione del lavoro e garantire un beneficio economico di circa 2 milioni di euro all'anno;
   ad oggi non è stata ancora identificata una soluzione sostenibile. Nessuna ipotesi percorribile è pervenuta dalle istituzioni locali e gli immobili potenzialmente identificati dall'azienda necessitano, fra opere di ristrutturazione e di trasferimento, di ingenti e insostenibili investimenti. Infatti l'apertura di una nuova sede, tra gli immobili identificati, comportano un investimenti di oltre 7 milioni di euro, che l'azienda sostiene di non poter effettuare;
   in tre anni di relazioni tra l'azienda e le istituzioni locali, sia regione che comune, non è ancora emersa una soluzione realmente praticabile e confacente alle esigenze aziendali e dei lavoratori;
   da un articolo apparso sul quotidiano online Sì24.it si apprende come l'azienda Almaviva abbia chiesto l'assegnazione, da utilizzare come propria sede operativa, di un bene confiscato alla mafia, idoneo ad ospitare il call center Almaviva contact, e in cambio si era detta disponibile a mantenere gli attuali livelli occupazionali, trasferendo la propria sede legale in Sicilia;
   sul bene in questione, un ex edificio Telecom nella zona industriale ad ovest della città di Palermo, da più di un anno si assiste ad un rimpallo di responsabilità tra l'azienda e le istituzioni locali, comune di Palermo e regione Sicilia;
   nell'articolo di stampa citato, a prendere la parola è l'Agenzia nazionale per i beni confiscati, che dichiara come il dialogo con la regione Sicilia era stato avviato nel 2011 e come, «senza alcuna giustificazione», gli incontri per discutere dell'assegnazione del bene ad Almaviva siano andati deserti dai rappresentanti della regione stessa;
   nel frattempo, proprio in conseguenza dell'assenza della regione, la stessa Almaviva avrebbe dichiarato di non essere più interessata ai locali. Da qui la decisione dell'Agenzia nazionale per i beni confiscati di assegnare il bene al comune di Palermo per destinarlo ad altre finalità;
   nei giorni successivi alla pubblicazione dell'articolo sul quotidiano online Sì24.it già richiamato il sindaco di Palermo Leoluca Orlando si è detto disponibile ad assegnare la sede ad Almaviva, qualora da questa scelta dipendesse la tenuta occupazionale dei 4.500 lavoratori del sito palermitano;
   da un comunicato sindacale del 24 gennaio 2014 e da uno successivo diramato dall'azienda il 27 gennaio 2014 si apprende, invece, che l'amministratore delegato Andrea Antonelli ha dichiarato che, anche qualora le istituzioni mettessero a disposizione di Almaviva una sede unica, i reali problemi dell'azienda rimarrebbero comunque, lasciando intendere che possibili interventi sull'organico non sono affatto esclusi;
   tale dichiarazione, oltre a dimostrare ancora una volta le incongruenze con cui Almaviva affronta quelle questioni che per i lavoratori sono di vitale importanza, sono da giudicare ancora più gravi, visto che per quasi 3 anni l'azienda ha sempre identificato il problema della sede unica come fondamentale per la sopravvivenza del sito di Palermo;
   proprio adesso che si potrebbe aprire uno spiraglio per la risoluzione della vertenza sulla sede, l'azienda sposta il tiro su questioni non di competenza delle istituzioni locali ma nazionali, quali il calo dei volumi che scaturisce dalla delocalizzazione e dal costo del lavoro;
   la causa della drastica diminuzione dei volumi di lavoro, denunciata da Almaviva, è dovuta all'elevato costo degli operatori italiani di Almaviva, rispetto a quello di altri competitor che hanno delocalizzato all'estero ed anche rispetto ad altri call center italiani, che inquadrano i lavoratori al primo e al secondo livello non rispettando il contratto collettivo nazionale di lavoro delle telecomunicazioni;
   su questi temi, gli interroganti ritengono che il Governo nazionale debba adoperarsi per trovare una soluzione legislativa per contrastare il fenomeno delle delocalizzazioni e del mancato rispetto dei contratti nazionali di lavoro in materia di inquadramento, che costringerà a breve alla chiusura di buona parte dei siti produttivi italiani o ad una gara al ribasso in tema di diritti, salario e occupazione;
   gli interroganti, considerando strumentali e provocatorie le motivazioni che esulano dal contesto territoriale addotte dall'azienda, ritengono, invece, che i tempi siano maturi per provare a dare una soluzione definitiva ai problemi logistici della sede Almaviva di Palermo;
   purtroppo, è sotto gli occhi di tutti che, alla fine di questo scaricabarile sulle responsabilità e la poca chiarezza dell'azienda rispetto alle sue reali volontà di mantenere il sito produttivo di Palermo, salvaguardando gli attuali livelli occupazionali, a rimetterci saranno i lavoratori, le loro famiglie e la città intera se non si trova una soluzione positiva alla vicenda. È assurdo che la politica industriale di questo Paese venga, di fatto, portata avanti con i salari e i diritti dei lavoratori che attraverso le loro fatiche dovrebbero garantire gli investimenti necessari e pagare di tasca propria il prezzo del loro lavoro –:
   se il Ministro interrogato, acquisiti gli elementi necessari, intenda interessarsi della vicenda descritta in premessa e convocare un tavolo nazionale con i vertici del gruppo Almaviva, la regione Sicilia, il comune di Palermo e le organizzazioni sindacali interessate, al fine di trovare una soluzione positiva sia alla situazione logistica del call center Almaviva contact di Palermo sia a quella produttiva, considerati gli effetti particolarmente pregiudizievoli che si potrebbero determinare in termini occupazionali per circa 4.500 dipendenti effettivi. (3-00610)


   MUCCI, CRIPPA, DA VILLA, PRODANI, DELLA VALLE, FANTINATI, VALLASCAS e PETRAROLI. — Al Ministro dello sviluppo economico— Per sapere – premesso che:
   la nuova Fiat Chrysler automobiles avrà la sede legale ad Amsterdam (Olanda) e quella fiscale a Londra (Regno Unito);
   contemplare passivamente Fiat Chrysler automobiles mentre porta in Olanda e Gran Bretagna le sue sedi, 114 anni dopo la fondazione di Fiat, che ha ricevuto ingenti sussidi statali (a tal proposito, secondo una ricerca della Cgia di Mestre, ammontano poco più di 7,6 miliardi di euro i finanziamenti che lo Stato italiano ha erogato alla Fiat tra il 1977 e il 2009), evidenzia in modo tragico l'assenza da parte del Governo di una politica industriale chiara e organica che arresti il continuo impoverimento del nostro Paese;
   se è vero che ogni impresa è libera di investire dove più gli conviene, tale scelta contraddice la missione produttiva e la strategia di investimenti industriali che la Fiat aveva promesso a questo Paese;
   gli stabilimenti Fiat in Italia sono sei, per un totale di 24.400 dipendenti, e gli impianti italiani saranno completamente integrati con quelli degli altri Paesi in cui opera la neonata multinazionale, per cui la loro performance verrà valutata comparativamente, il che rende necessario scongiurare che la politica della Fiat Chrysler automobiles sia diretta a danno dei lavoratori italiani;
   sarebbe opportuno che il Governo convocasse tutte le parti al tavolo e chiedesse garanzie sul futuro degli stabilimenti italiani –:
   quali iniziative intenda intraprendere al fine di tutelare la continuità produttiva e occupazionale degli stabilimenti italiani della nuova Fiat Chrysler automobiles.
(3-00611)


   FORMISANO. — Al Ministro dello sviluppo economico— Per sapere – premesso che:
   le zone franche urbane sono aree infra-comunali di dimensione minima prestabilita, dove si concentrano programmi di defiscalizzazione volti alla creazione di piccole e medie imprese;
   obiettivo delle zone franche urbane è quello di favorire lo sviluppo economico e sociale di quartieri ed aree urbane caratterizzate da forme di disagio sociale, economico ed occupazionale;
   l'11 luglio 2013 è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il decreto del Ministro dello sviluppo economico del 10 aprile 2013, che, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, stabilisce condizioni, limiti, termini di decorrenza e modalità per le agevolazioni fiscali e contributive per chi investe nelle 33 aree definite, appunto zone franche urbane;
   le agevolazioni previste dal decreto consistono nell'esenzione dall'irpef, dall'irap, dall'imu e dall'esonero del versamento dei contributi di retribuzioni sul lavoro;
   si tratta, quindi, di misure estremamente importanti, che aiuterebbero certamente aree disagiate e in difficoltà economica ed occupazionale;
   purtroppo, però, da varie parti d'Italia si lamentano ritardi nell'attuazione di quanto previsto dal decreto citato, in particolare per quel che riguarda l'emanazione dei bandi da parte del Ministro interrogato, anche sulla base delle indicazioni fornite dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e volte a fornire le disposizioni di attuazione di intervento;
   questi ritardi non sono accettabili perché creano evidenti danni, sia per gli imprenditori sia per i territori interessati, e non appaiono francamente comprensibili –:
   cosa intenda fare il Ministro interrogato per porre rimedio quanto prima a questi incomprensibili ritardi nella concreta attuazione delle zone franche urbane. (3-00612)


   CICU e PALESE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   è stato attivato il procedimento di istituzione di una zona franca urbana a fiscalità di vantaggio nei 23 comuni della provincia di Carbonia Iglesias (zona del Sulcis Iglesiente);
   il Ministero dello sviluppo economico ha pubblicato in data 13 dicembre 2013 il decreto che approva il modello delle istanze di accesso alla zona franca urbana, la tempistica della loro presentazione, nonché le risorse a disposizione;
   l'esclusione del comune di Teulada e delle sue imprese, che insistono sullo stesso territorio e ne condividono il medesimo stato di crisi economica e sociale, costituisce fonte di estrema preoccupazione per i risvolti pratici che esso comporterà;
   le imprese operanti a Teulada dovranno fare fronte a situazioni di concorrenza e questa situazione, di fatto, produrrà un effetto di distorsione del mercato, tale da compromettere la reale possibilità di sopravvivenza delle aziende stesse;
   lo scenario che si prospetta è drammatico, tale da minare nel concreto un tessuto socio economico già di per sé debole e con esso lo sviluppo di una intera comunità che ha dato e dà ancora tanto, ospitando la base militare di Capo Teulada, che occupa un terzo del territorio comunale (7.200 ettari);
   è quanto meno paradossale che lo Stato si «dimentichi» del comune di Teulada quando si tratta di attuare misure volte ad alleviare condizioni di crisi economica ed occupazionale, non inserendolo tra i beneficiari della zona franca urbana –:
   se il Governo non ritenga di includere il comune di Teulada all'interno della zona franca urbana di Carbonia Iglesias, al fine di evitare il declino di una comunità che, per le motivazioni esposte in premessa, ha diritto di ricevere particolare attenzione ed un adeguato sostegno da parte dello Stato. (3-00613)


   PRATAVIERA, FEDRIGA, MARCOLIN, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, GIANLUCA PINI e RONDINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la vicenda Electrolux è l'espressione più drammatica del fallimento dell'azione politica attuata dal Governo per il rilancio del sistema industriale del Paese;
   l'ondata di deindustrializzazione che sta attraversando il Paese, in mancanza di organiche riforme da parte del Governo, sta portando alla progressiva perdita del patrimonio industriale italiano, condannando così l'Italia ad una posizione di emarginazione nell'economia internazionale;
   la presidente della regione Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, in merito alle reali possibilità di chiusura dello stabilimento Electrolux di Porcia, ha espresso grandi criticità sulla condotta tenuta dal Ministro interrogato, accusato di essersi disinteressato della vicenda, ed ha chiesto le sue dimissioni;
   il fallimento dell'operato del Ministro interrogato, oggi dichiarato a parere degli interroganti per fini strumentali dalla presidente della regione Friuli Venezia Giulia, è evidente da tempo e si dimostra nei numeri delle aziende che fino ad oggi hanno fallito e di quante stanno soffrendo drammaticamente e nei tanti posti di lavoro persi;
   il caso Electrolux è emblematico delle difficoltà che vivono le aziende nel nostro Paese, sempre più schiacciate da una pressione fiscale divenuta ormai insostenibile, nonché dall'inefficienza della burocrazia e dall'impossibilità di accesso al credito;
   il tessuto imprenditoriale, costituito in Italia per più del 95 per cento da piccole e medie imprese, ha risentito e continua a risentire del fenomeno del credit crunch, un fenomeno che sta portando alla chiusura di molte imprese che non ricevono dagli istituti di credito il necessario e, in questo periodo, vitale supporto finanziario per il proprio ciclo produttivo. I nuovi accordi europei in tema di patrimonializzazione delle banche, necessari per tentare di ridare stabilità ad un sistema finanziario sull'orlo del collasso, stanno costringendo le banche a continue ricapitalizzazioni, che, insieme ad un sempre più prudenziale approccio degli istituti di credito, strozzano le imprese;
   il nostro è il Paese con l'imposizione fiscale più alta nell'area dell'Unione europea, condizione che spinge molte imprese a delocalizzare verso Paesi vicini, come la Svizzera, l'Austria, la Slovenia, la Slovacchia, la Francia e, nell'area extra-Unione europea, la Serbia;
   in questa fase di crisi sarebbe opportuno attuare una nuova politica di rilancio del sistema industriale italiano, con particolare riferimento alle piccole e medie imprese, riconoscendo l'importante ruolo che queste svolgono per lo sviluppo del sistema produttivo del Paese;
   le piccole e medie imprese, infatti, sono il motore dell'economia italiana, portatrici di valori umani, morali e professionali, che fino ad oggi sono stati fondamentali allo sviluppo del Paese;
   la scelta dell'azienda Electrolux di intraprendere un piano di ristrutturazione industriale dei siti italiani, attraverso licenziamenti e tagli di stipendio, avrà un impatto drammatico sul futuro dei lavoratori e delle loro famiglie, togliendo al territorio le risorse necessarie per la ripresa economica;
   il 29 gennaio 2014 è stato convocato un tavolo di confronto al Ministero dello sviluppo economico, dal quale non sono emerse indicazioni sul futuro industriale dei siti italiani, con particolare riferimento alla chiusura del sito di Porcia e alla conseguente delocalizzazione della produzione in Polonia –:
   quali immediate iniziative intenda adottare per restituire competitività al sistema produttivo italiano e, nel caso specifico dell’Electrolux, se voglia rendersi parte attiva nelle trattative in corso, mettendo in campo tutte le misure necessarie a salvaguardare l'integrità produttiva ed occupazionale dei siti italiani. (3-00614)


   ROSSI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   come è noto, è da tempo in atto il procedimento di istituzione di una zona franca urbana a fiscalità di vantaggio nei 23 comuni della provincia di Carbonia Iglesias. Lo stesso è stato in ultimo concretizzato con la pubblicazione in data 13 dicembre 2013 del decreto del Ministero dello sviluppo economico;
   l'esclusione del comune di Teulada, in provincia di Cagliari, e delle imprese operanti sul suo territorio dall'ambito di applicazione di tali agevolazioni, pur condividendo col territorio circostante il medesimo stato di crisi economica e sociale, costituisce fonte di estrema preoccupazione per i risvolti pratici che esso comporterà;
   le imprese operanti a Teulada dovranno, infatti, fare fronte a situazioni di concorrenza con quelle limitrofe beneficiarie di agevolazioni fiscali, che, di fatto, produrrà un effetto di spiazzamento del mercato tale da comprometterne la reale possibilità di resistere sul mercato. Lo scenario che si prospetta è, senza timore di essere smentiti, drammatico, tale da minare nel concreto l'effettiva condizione di sopravvivenza di un tessuto socio-economico già di per se stesso debole e con esso la sopravvivenza di una intera comunità;
   il comune di Teulada ha ospitato da oltre cinquantanni lo Stato, a mezzo della base militare di Capo Teulada, che impegna un terzo del suo territorio (7.200 ettari) ed in cui si svolge l'attività addestrativa principale dell'esercito italiano, nonché varie attività internazionali;
   è quanto meno paradossale che lo Stato si «dimentichi» di Teulada quando si tratta di attuare misure volte ad alleviare condizioni di crisi economica ed occupazionale, tenendola fuori dai limiti geografici di applicazione delle stesse misure, limiti geografici e amministrativi, ma non certo coincidenti con le realtà di fatto –:
   se non ritenga opportuno, in virtù di quanto esposto in premessa, prendere sollecitamente in considerazione la richiesta del comune di Teulada di essere inserito all'interno della zona franca urbana di Carbonia Iglesias, al fine di evitare il declino di un'intera comunità. (3-00615)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BELLANOVA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   è dal settembre 2010, da quando la multinazionale BAT Italia ha annunciato la chiusura dell'ultimo sito italiano a Lecce, che l'interrogante ha posto attraverso numerosi atti parlamentari la problematicità di tutta la vicenda che ha visto e vede coinvolti ancora oggi 500 lavoratori salentini;
   dall'accordo siglato presso il Ministero dello sviluppo economico il 22 febbraio 2010 che prevedeva la ricollocazione dei lavoratori in tre aziende sono passati quasi quattro anni. Allo stato attuale si registra, purtroppo, il fallimento dell'intera operazione;
   la situazione dell'ultima delle tre aziende, Iacobucci, che risultava essere produttiva, pare non essere affatto confortante. Anche in questo caso l'unica alternativa sembrerebbe essere il ricorso alla cassa integrazione, dopo che i 55 lavoratori della Ip srl sono già a «casa in attesa della cassa integrazione straordinaria» e i 22 di Hds sono stati licenziati;
   la questione è riesplosa sulla stampa e negli articoli si leggono diversi interrogativi che i lavoratori pongono a seguito dell'annuncio di una nuova proroga degli ammortizzatori sociali. I lavoratori chiedono a mezzo stampa: «quanti soldi ha ricevuto Iacobucci da British American Tobacco per riconvertire la ex Manifattura e ricollocarci? E come li ha spesi visto che oggi siamo tutti in cassa?»;
   a quanto consta all'interrogante tutte e tre le aziende individuate per ricollocare i lavoratori sarebbero state agevolate nella riconversione della ex manifattura da Bat Italia con contributi a fondo perduto di start up e outplacement per complessivi 14 milioni di euro, di cui 9,9 per Iacobucci, 3 per Ip Korus, e 1 per Hds;
   nell'articolo apparso sul Nuovo Quotidiano di Puglia il 17 gennaio 2014 si legge che «attraverso la Inser Salento srl, Iacobucci Hf ha ricevuto dalla Bat 9.900.136 euro a fondo perduto, a titolo di contributo start up e di outplacement, ma li ha già spesi, dopo averne destinati alle sue stesse casse 4,5 per i costi della formazione erogata nei primi 8 mesi del 2011. In questo modo, ha ridotto le perdite nel 2011 e prodotto utili nel 2012, sebbene oggi lamenti una nuova crisi di liquidità»;
   proprio in questi giorni i lavoratori della ex manifattura tabacchi hanno manifestato per l'ennesima volta dinanzi alla prefettura di Lecce. Un intero territorio ancora oggi s'interroga sulle motivazioni che hanno portato una multinazionale che produceva utili a chiudere lasciando di fatto senza alcuna prospettiva 500 lavoratori, nell'incertezza del futuro occupazionale ed economico, dato anche il fallimento del piano di ricollocazione che è stato messo in atto;
   più volte l'interrogante ha sottolineato che la responsabilità sociale ed etica di Bat Italia avrebbe dovuto prevalere in tutta questa operazione e più volte è stato sottolineato che non si può definire ricollocazione occupazionale un processo che nei fatti chiama in causa di continuo il ricorso agli ammortizzatori sociali, quando non la mobilità –:
   in che modo il Ministro interrogato, visto quanto sopra riportato, intenda intervenire in questa vicenda e se non ritenga necessario riconvocare Bat Italia per richiamare la multinazionale alle sue responsabilità, evitando così che i lavoratori ed il territorio salentino subiscano ancora una volta una penalizzazione economica ed occupazionale gravosissima. (5-02059)

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Fiano e altri n. 4-03158, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 gennaio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Manfredi.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Paglia n. 1-00330, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 165 del 3 febbraio 2014.

   La Camera,
   premesso che:
    il 6 dicembre 2011 la Commissione europea ha presentato una comunicazione sulla nuova strategia dell'Unione europea in materia di imposta sul valore aggiunto (COM(2011)851), che fa seguito alla consultazione svolta sul verde presentato il 1o dicembre 2010 (COM(2010)695 definitivo);
    le entrate IVA, nel 2009, hanno rappresentato circa 784 miliardi di euro, pari al 21 per cento del gettito fiscale nazionale, inclusi i contributi previdenziali;
    secondo il rapporto allegato al Libro verde, la complessità del sistema provoca un mancato introito da IVA, dovuto a frodi IVA, mancati pagamenti, errori ed altro, che per il 2009 può essere prudentemente stimato pari al 6,9 per cento del prodotto interno lordo e al 12 per cento delle entrate IVA dell'Unione europea. Ciò significa un'evasione pari a circa 118,8 miliardi di euro;
    secondo il rapporto, in Italia la percentuale salirebbe al 22 per cento, per un totale di circa 29 miliardi di euro di IVA evasa rispetto ad un gettito complessivo pari a oltre 130 miliardi di euro;
    mentre, secondo uno studio pubblicato sulla rivista della società italiana di statistica, il gap IVA rispetto a quella potenziale risulta superiore al 25 per cento e si colloca su livelli più elevati di circa il 15 per cento rispetto alla media europea;
    ad avviso della Commissione europea, il nuovo sistema IVA dovrebbe perseguire i seguenti tre obiettivi principali:
     a) riduzione degli oneri amministrativi delle imprese, per agevolare il commercio transfrontaliero, attraverso l'introduzione dello «sportello unico» e la standardizzazione delle dichiarazioni IVA;
     b) ampliamento della base imponibile e limitazione del ricorso alle aliquote ridotte;
     c) potenziamento degli attuali meccanismi antifrode, tra cui Eurofisc, per ridurre la perdita di entrate dovute all'IVA non versata;
    il 15 maggio 2012 il Consiglio Ecofin ha approvato le conclusioni sulla nuova strategia dell'Unione europea in materia di IVA. Il Consiglio, tra le altre cose:
     a) sostiene la proposta di creare uno sportello unico IVA entro il 2015;
     b) invita la Commissione europea a chiarire meglio il valore legale e le funzioni del portale web sull'IVA che verrebbe creato al fine di fornire informazioni in più lingue su questioni come la registrazione, la fatturazione, le dichiarazioni IVA, le aliquote IVA, nonché gli obblighi speciali e limitazioni del diritto a detrazione;
     c) concorda sull'opportunità di esaminare nel dettaglio il vigente regime IVA dei servizi pubblici, al fine di promuovere una migliore concorrenza tra settore pubblico e settore privato;
     d) prende atto che la Commissione europea è a favore di un uso limitato delle aliquote ridotte da parte degli Stati membri;
    il processo di riforma avviato dal Libro verde dovrebbe alla fine portare a un sistema dell'IVA caratterizzato dagli attributi seguenti:
     a) «semplice»: un soggetto passivo che opera all'interno dell'Unione europea dovrebbe essere tenuto a rispettare un unico insieme di norme chiare e semplici in materia di IVA, un codice europeo dell'IVA. Tale codice stabilirebbe norme adattate ai modelli di business moderni e agli obblighi normalizzati che tengono pienamente conto dei progressi realizzati nelle nuove tecnologie. Un soggetto passivo dovrebbe avere a che fare unicamente con le autorità fiscali di un solo Stato membro;
     b) «efficiente e neutrale»: l'introduzione di una base imponibile più ampia e l'attuazione del principio di imposizione all'aliquota normale permetterebbero di generare un gettito maggiore a un costo inferiore oppure, in alternativa, di ridurre l'aliquota normale senza incidenze sul gettito. Eventuali deroghe a tali principi dovrebbero essere razionali e definite in modo uniforme. La neutralità richiede, inoltre, norme identiche in materia di diritto a detrazione e restrizioni molto limitate all'esercizio di tale diritto;
     c) «solido e a prova di frode»: i metodi moderni di riscossione e di controllo dell'IVA dovrebbero massimizzare le entrate effettivamente percepite e limitare, per quanto possibile, la frode e l'elusione fiscale. Questo modo di procedere renderà più agevole il rispetto degli obblighi di conformità per le imprese, ma esigerà che le autorità fiscali nazionali si concentrino sui comportamenti a rischio e sugli autori effettivi delle frodi e che, in ultima analisi, esse si comportino come un'amministrazione europea dell'IVA. Per conseguire questo obiettivo sarà essenziale uno scambio di informazioni intensificato, automatizzato e rapido tra le amministrazioni fiscali nazionali;
    dare priorità alla semplificazione nei prossimi anni è in linea con il principio del «pensare anzitutto in piccolo», contenuto nello «Small business act per l'Europa», che promuove l’e-government e soluzioni a sportello unico per semplificare il contesto normativo e amministrativo in cui le piccole e medie imprese operano;
    il Libro verde IVA ricorda, tra l'altro, che tanto lo Small business act quanto la «Strategia per la crescita e l'occupazione UE 2020» auspicano un regime speciale a favore delle piccole e medie imprese atto a ridurre gli oneri amministrativi risultanti dall'applicazione delle normali disposizioni in materia di IVA: le imprese aventi un fatturato annuo inferiore a una determinata soglia possono beneficiare dell'esenzione IVA. Tuttavia, questi regimi costituiscono una risposta frammentaria al fatto che i costi di conformità dell'IVA sono proporzionalmente più elevati per le piccole imprese che per quelle grandi, soprattutto se esercitano la loro attività in tutta l'Unione europea. La soluzione più ovvia, ad avviso della Commissione europea, consisterebbe nell'istituire un regime esteso a tutta l'Unione europea, caratterizzato da una soglia comune;
    da uno studio effettuato per la Commissione europea alcuni anni fa è emerso che, in generale, il 12 per cento dell'IVA teorica non è percepito. La frode rappresenta un aspetto importante del cosiddetto divario dell'IVA, divario che consiste, però, anche di altri aspetti, come l'IVA non riscossa a seguito di errori, negligenza e fallimenti;
    alcune disposizioni della direttiva IVA sono superate e non tengono conto del mercato unico. Si tratta, in particolare, del regime per le piccole imprese e delle disposizioni relative all'IVA di gruppo;
    per meglio assicurare la neutralità dell'imposta sarà, inoltre, necessario riesaminare le norme complesse e divergenti in materia di diritto a detrazione e predisporre un meccanismo atto a risolvere le questioni di doppia imposizione;
    per quanto concerne l'attuazione del regime del gruppo IVA, mentre la direttiva comunitaria riconosce un unico soggetto passivo giuridico e fiscale, pur in presenza di soggetti giuridici indipendenti, l'ordinamento italiano mantiene l'autonomia delle singole società interessate;
    la frammentazione del sistema comune dell'IVA dell'Unione europea in 27 sistemi nazionali dell'IVA rappresenta l'ostacolo principale a scambi intra-unionali efficienti, impedendo così ai cittadini di beneficiare dei vantaggi di un mercato unico autentico;
    le imprese attive a livello internazionale ritengono di pagare un prezzo per questa mancanza di armonizzazione sotto forma di complessità, costi di conformità supplementari e incertezza giuridica;
    le piccole e medie imprese spesso non dispongono delle risorse necessarie per far fronte a questi aspetti e rinunciano, pertanto, ad intraprendere attività transfrontaliere;
    queste carenze possono esercitare sui comportamenti commerciali un impatto tale da impedire alle imprese di prendere le decisioni più efficaci. Nel momento in cui la normativa fiscale influenza la decisione di acquistare o vendere merci o servizi, la neutralità economica dell'IVA non è più garantita e il funzionamento del mercato unico è gravemente pregiudicato;
    le aliquote ridotte assolvono una funzione redistributiva: contribuiscono alla progressività del sistema tributario, tassando ad aliquota inferiore consumi «necessari», e sono state, pertanto, classificate tra le misure a rilevanza sociale nel rapporto finale del gruppo di lavoro sull'erosione fiscale, istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze in vista della riforma fiscale di cui alla delega fiscale in corso di esame da parte del Parlamento (Atto Camera n. 282 – Atto Senato n. 1058);
    il decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, ha disposto un progressivo aumento delle aliquote IVA: l'aliquota ordinaria è passata dal 20 al 21 per cento da agosto 2011. A seguito delle modifiche introdotte dal decreto-legge n. 76 del 2013, a decorrere dal 1o ottobre 2013, l'aliquota ordinaria è rideterminata nella misura del 22 per cento, mentre resta ferma l'attuale aliquota ridotta del 10 per cento (anch'essa originariamente destinata ad aumentare). In sostanza dal 1o ottobre 2013 le aliquote IVA sono le seguenti: 22 per cento (ordinaria), 10 per cento (ridotta) e 4 per cento (super-ridotta); esse risultano superiori alle aliquote medie applicate nei Paesi aderenti all'Unione europea,

impegna il Governo:

   a prendere le opportune iniziative, nell'ambito degli organismi europei, al fine di:
    a) ottenere una graduale armonizzazione delle aliquote IVA standard;
    b) disporre di una base giuridica che consenta di adottare misure nazionali immediate, anche se a titolo temporaneo, per porre fine ad alcune pratiche fraudolente, come suggerito dalla comunicazione della Commissione europea al Parlamento, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo (COM(2011)851 definitivo);
    c) dare attuazione alla creazione di Eurofisc (regolamento (UE) n. 904/2010 del Consiglio del 7 ottobre 2010) ed a scambi automatizzati di informazioni rafforzati e prevedere un ampliamento della gamma di informazioni a cui gli Stati membri che lo desiderano possano avere accesso automatizzato;
    d) prevedere la creazione, nel quadro di Eurofisc, di un gruppo transfrontaliero di revisori composto da esperti delle amministrazioni fiscali nazionali, per procedere più sistematicamente ad audit transfrontalieri e trarre profitto dalle conoscenze e dall'esperienza già acquisite in questo campo dai revisori e dai coordinatori dei controlli multilaterali;
    e) disporre che una parte delle maggiori entrate degli Stati membri, conseguente alla diminuzione delle possibilità di frode, sia assegnata al bilancio dell'Unione europea;
   a predisporre le opportune iniziative, anche normative, sul piano nazionale, al fine di:
    a) introdurre l'obbligo di transazione tracciata per tutte le operazioni tra soggetti IVA indipendentemente dai limiti di importo;
    b) migliorare il flusso di informazioni riguardanti la formazione dell'IVA a debito e a credito, allineandosi alle best practice a livello europeo, verificando, in particolare, la possibilità di reinserire le dichiarazioni IVA periodiche;
    c) verificare la possibilità di introdurre meccanismi di disincentivo all'evasione dell'IVA sui beni e servizi intermedi, con particolare riferimento ai meccanismi di reverse-charge, di applicazione del meccanismo di deduzione base da base per alcuni settori e di versamento dell'imposta da parte degli enti della pubblica amministrazione che acquistano beni o servizi soggetti all'imposta;
    d) ottenere un'armonizzazione del regime IVA dei prodotti culturali, applicando l'aliquota ridotta anche ai prodotti musicali e agli audiovisivi, nonché ai prodotti dell'editoria elettronica on-line e agli audiolibri, che sono attualmente soggetti ad un trattamento fiscale penalizzante rispetto al cartaceo;
    e) predisporre misure più efficaci nel contrasto all'evasione ed all'elusione fiscale, un aumento dell'aliquota dell'imposta sostitutiva sulle rendite finanziarie e una revisione dell'imposta sulle transazioni finanziarie, destinando il maggior gettito derivante da queste misure alla riduzione delle aliquote IVA.
(1-00330)
(Nuova formulazione) «Paglia, Lavagno, Migliore, Di Salvo, Marcon, Boccadutri, Melilla».

  Si pubblica il testo riformulato dell'interrogazione a risposta in Commissione Fraccaro n. 5-01980, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 158 del 23 gennaio 2014.

   FRACCARO e MANLIO DI STEFANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 6 giugno 2013, il Consiglio della Provincia Autonoma di Bolzano ha approvato una legge sulla democrazia diretta, al fine di regolamentare referendum e iniziativa popolare, dal titolo «Partecipazione civica in Alto Adige», pubblicata sul Bollettino regionale il 25 giugno 2013;
   nell'estate 2013, ai sensi dell'articolo 47 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, è stata depositata una richiesta di referendum confermativo di tale legge, sia dai cittadini, sia dai consiglieri provinciali. Un comitato composto da 58 cittadini e sostenuto da quasi 40 associazioni, tra le quali Iniziativa per Più Democrazia, ha raccolto 17.633 firme. Due ulteriori richieste sono state depositate dai consiglieri provinciali. Contestualmente alla richiesta di referendum confermativo, il comitato promotore ha depositato il testo di una nuova iniziativa popolare supportato da circa 18.000 firme;
   la richiesta di referendum confermativo depositata dal Comitato di 58 cittadini è stata valutata negativamente dalla Commissione per i procedimenti referendari istituita presso il Consiglio provinciale e solo successivamente ritenuta valida dal Tribunale di Bolzano; invece, le due richieste presentate dai consiglieri provinciali sono state dichiarate procedibili;
   presso la Provincia di Bolzano è in corso di svolgimento la procedura referendaria che si concluderà con il referendum confermativo del 9 febbraio 2014 sui contenuti di tale legge;
   il testo della legge che sarà oggetto di referendum confermativo non rispecchia la volontà popolare manifestata attraverso numerose iniziative popolari che vi sono state in passato e non rispetta le indicazioni contenute nel Code of good practice for referendums (Codice delle buone pratiche in materia di referendum) redatto dalla Commissione di Venezia e approvato dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa nel marzo 2007;
   in Europa è in atto un processo di rafforzamento degli strumenti di democrazia diretta per una più ampia partecipazione democratica, mentre in Italia, lo stato di diritto è sempre più soggetto e minacciato dagli interessi della finanza, dalle gerarchie dei partiti e da un'informazione distorta e i cittadini possono solo assistere passivamente al continuo degrado del Paese;
   la Commissione europea per la Democrazia attraverso il diritto, nota come Commissione di Venezia, è un organo consultivo del Consiglio d'Europa che svolge un ruolo chiave in relazione al rispetto degli standard del patrimonio costituzionale europeo. Essa contribuisce in modo significativo alla sua diffusione, elaborando norme e consigli in materia costituzionale e svolgendo altresì un ruolo essenziale nell'ambito delle riforme istituzionali;
   ai sensi dell'articolo 3 dello Statuto della Commissione di Venezia, adottato dal Comitato dei ministri il 21 febbraio 2002, «la Commissione può emettere dei pareri, nell'ambito del suo mandato, su richiesta del Comitato dei Ministri, dell'Assemblea Parlamentare, del Congresso dei Poteri Locali e Regionali d'Europa, del Segretario Generale, su richiesta di uno Stato, di un'organizzazione internazionale, o di un organismo internazionale che partecipa ai lavori della Commissione»;
   richiedere il parere della Commissione di Venezia in merito alla legge «Partecipazione civica in Alto Adige», nonché in ordine alla consultazione popolare indetta nella Provincia di Bolzano per il 9 febbraio 2014, offrirebbe l'opportunità di raccogliere un parere qualificato, terzo e imparziale sullo stato della democrazia locale come ad esempio negli anni recenti hanno fatto Paesi Bassi (1999), Slovenia (2011), Svizzera e Spagna (2013), il quale, peraltro, risulterebbe utile ad arricchire la qualità del dibattito sul federalismo in Italia –:
   se sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e se ritenga opportuno interessare la Commissione di Venezia in ordine alla legge «Partecipazione civica in Alto Adige», nonché alla consultazione popolare indetta nella Provincia di Bolzano per il 9 febbraio 2014 al fine di valutare il rispetto delle regole minime destinate ad assicurare il funzionamento del referendum secondo i princìpi enunciati nel Codice delle buone pratiche in materia di referendum e negli altri documenti redatti dalla Commissione di Venezia. (5-01980)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Tidei n. 5-01885 del 16 gennaio 2014;
   interrogazione a risposta immediata in Commissione Piepoli n. 5-01966 del 22 gennaio 2014;
   interpellanza Tinagli n. 2-00382 del 23 gennaio 2014;
   interpellanza Kronbichler n. 2-00384 del 28 gennaio 2014;
   interpellanza Palazzotto n. 2-00390 del 30 gennaio 2014.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta orale Fantinati e altri n. 3-00374 del 10 ottobre 2013 in interrogazione a risposta scritta n. 4-03437.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta orale Binetti n. 3-00543 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 148 del 9 gennaio 2014. Alla pagina 8476, prima colonna, dalla riga settima alla riga ottava, deve leggersi «BINETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere –» e non «BINETTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere –», come stampato.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BALDELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel corpo nazionale dei vigili del fuoco vi sono alcune attività di re-training espletate dal personale, necessarie al mantenimento di specialità, effettuate al di fuori dell'orario ordinario di lavoro, che non vengono remunerate dal Ministero dell'interno, dipartimento vigili del fuoco, per carenza di fondi;
   su quesito del sindacato Conapo al dipartimento dei vigili del fuoco si è chiesto l'istituzione di un apposito «monte ore» nazionale, o in subordine, di dare almeno autorizzazione all'utilizzo dei cosiddetti «risparmi di gestione» dello straordinario che il personale, per vari motivi, non dovesse effettuare;
   il dipartimento con nota prot. n. 3235/S116/3 del 31 maggio 2013 ha risposto che non è possibile istituire apposito fondo per ristrettezze economiche, mentre per quanto attiene la possibilità di utilizzare i cosiddetti «risparmi di gestione», il dipartimento prevede che la «liquidazione dello straordinario è fissata nel limite massimo di 22 ore pro capite, in funzione di comprovate esigenze di servizio e nell'ambito di eventuali risparmi di gestione» come previsto anche dall'articolo 42, comma 3, del Contratto integrativo di lavoro del C.N.VV.F. sottoscritto in data 30 luglio 2002;
   anche la circolare prot. n. 12331 del 7 giugno 2011 a firma del Capo dipartimento, prefetto Tronca, conferma tale possibilità (limite di 22 ore mediante utilizzo di risparmi di gestione laddove disponibili) per il «personale del Corpo Nazionale Vigili del Fuoco» senza operare distinzione alcuna. Va poi analogamente osservato che la circolare prot. n. 12331 del 7 giugno 2011 a firma del Capo dipartimento, prefetto Tronca, in riferimento alle diverse quote esistenti di assegnazione di fondi per lo straordinario chiarisce che «dette quote, infatti, non devono intendersi a destinazione rigidamente vincolata»;
   il comandante provinciale dei vigili del fuoco di Ancona, a seguito di specifica richiesta del sindacato Conapo di tale provincia, con nota prot. n. 8497 del 30 maggio 2011, ha formulato quesito al dipartimento dei vigili del fuoco per conoscere, tra l'altro, se sia possibile remunerare l'attività di re-training mediante l'utilizzo dei «risparmi di gestione» e, comunque, segnalando, anche in tal caso, le difficoltà dovute all'insufficienza del budget annuale del comando per procedere alla remunerazione di tutte le attività di re-training. La relativa risposta, con nota prot. n. 7733 del 7 giugno 2013 a firma di un sostituto del vice capo dipartimento dei vigili del fuoco, ingegner Pini, è stata del seguente tenore «si evidenzia che l'esiguità delle risorse disponibili sul relativo capitolo di spesa non consente il pagamento delle prestazioni per tutte le attività di re-training e pertanto le stesse dovranno essere compensate con recupero ore»;
   la risposta del vice capo dipartimento vigili del fuoco da una parte ammette l'esistenza di tale attività, ma dall'altra non chiarisce esaustivamente se alcune attività di re-training, come per esempio quelle obbligatorie ed autorizzate dal comandante ai fini del mantenimento della specialità, possano essere retribuite con i risparmi di gestione in considerazione anche del fatto che l'articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica 7 maggio 2008 prevede che ai «Vigili del Fuoco che espletano prestazioni lavorative regolarmente autorizzate aggiuntive all'orario d'obbligo è riconosciuto il diritto al pagamento delle prestazioni straordinarie entro i limiti fissati dall'amministrazione sulla base delle disponibilità di bilancio»;
   facendo riferimento, solo a titolo di esempio, al comando di Ancona che ha formulato il quesito, da un accesso agli atti del sindacato Conapo è risultato un «risparmio di gestione» di 1.854 ore nel 2011, di 2.458 ore nel 2012, e le proiezioni del 2013 sembrano destinate a superare le 2.500 ore, ovvero, in tal caso, 2.500 ore disponibili ed inutilizzate, mentre di contro si nega la retribuzione al personale che rischia la vita;
   il dipartimento dei vigili del fuoco, con nota prot. n. 3235/S116/3, ha affermato che «l'obbligo di svolgere re-training deriva, invece, dall'applicazione di norme di carattere generale sulla sicurezza sul lavoro» ma non ha chiarito se tale obbligo è da ritenersi cogente anche al di fuori dell'orario di lavoro e di turnazione, ed in tal caso come può l'amministrazione imporre un obbligo durante un orario non di lavoro peraltro pretendendo poi di non corrispondere la relativa retribuzione per le ore prestate;
   l'attività svolta dai vigili del fuoco è particolarmente impegnativa dal punto di vista fisico ed è soggetta a continui rischi di incolumità e l'attività di addestramento, in sé molto impegnativa e anch'essa esposta al rischio di incidenti, ha l'obiettivo di cercare di ridurre al massimo tali rischi e di mantenere tono fisico idoneo e capacità professionali allo svolgimento del lavoro;
   qualche mese fa, un vigile del fuoco di Livorno è deceduto proprio mentre era impegnato in un'attività di addestramento al di fuori del normale orario di servizio e questo dimostra quanto siano delicate queste attività e, soprattutto, quanto sia ancor più delicata e pericolosa l'attività dei vigili del fuoco senza necessario addestramento che si continua a pretendere a spese e rischio del dipendente –:
   se risulti possibile per i comandanti del CNVVF di procedere alla remunerazione di talune attività di re-training, individuate, come recita l'articolo 42, comma 3, del CCNLI 30 luglio 2002 «previa intesa con le OO.SS territoriali» e «nell'ambito delle risorse finanziarie disponibili nel pertinente capitolo ovvero utilizzando il rispettivo risparmio di gestione»;
   se l'obbligo di effettuare i re-training sussista anche al di fuori dell'orario ordinario di lavoro e di turnazione nel caso in cui il dipartimento dei vigili del fuoco non dovesse corrispondere alcuna retribuzione ai vigili del fuoco. (4-01748)

  Risposta. — A favore dei Comandi provinciali dei vigili del fuoco, viene disposta, periodicamente, l'assegnazione di risorse finanziarie destinate al pagamento delle prestazioni per servizio straordinario reso dal personale del Corpo nazionale sulla base delle effettive esigenze, per le prestazioni di lavoro oltre l'orario di servizio obbligatorio, per le attività di soccorso urgente e per il servizio reso in turno libero in conformità alle disposizioni normative e regolamentari.
  Le attività relative all'addestramento professionale e all'aggiornamento formativo, si svolgono con specifici istruttori attraverso modelli organizzativi che prevedono una puntuale programmazione, con una diversa articolazione dell'orario di lavoro sostitutiva e non aggiuntiva ai turni di servizio obbligatorio, senza dare luogo, pertanto, a prestazioni di lavoro che implicano il diritto al compenso per lavoro straordinario.
  Al riguardo, l'articolo 12 del regolamento di servizio del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, in coerenza con quanto espressamente previsto dall'articolo 142 del decreto legislativo 13 ottobre 2005, n. 217, pone l'obbligo al personale di seguire corsi di formazione, aggiornamento, perfezionamento professionale e addestramento organizzati dall'Amministrazione.
  In applicazione del succitato articolo 12 e delle norme di carattere generale sulla sicurezza sul lavoro, l'attività di re-training è obbligatoria e, pertanto, si deve svolgere durante l'orario di lavoro.
  Da quanto sopra evidenziato emerge, pertanto, che non sussiste automatismo tra lo svolgimento dell'attività di re-training ed il ricorso a prestazioni di lavoro straordinario.
  Anche a fronte di una programmazione della predetta attività, infine, laddove dovessero risultare nell'ambito dell'orario ordinario ore di lavoro eccedenti a detto orario, il personale ha diritto alla remunerazione del relativo compenso o, su richiesta, al recupero delle stesse mediante i vigenti istituti compensativi.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   BORGHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 sono state attribuite al Ministero dell'ambiente e tutela del territorio e del mare le funzioni e i compiti spettanti allo Stato in materia di ambiente e di tutela del territorio;
   le vigenti disposizioni in materia di bonifica, messa in sicurezza d'emergenza e ripristino ambientale;
   la legge 9 dicembre 1988 n. 426 che istituisce il sito di bonifica di interesse nazionale di Pieve Vergonte;
   il verbale della conferenza di servizi decisoria del 27 ottobre 2011, all'interno del quale sono individuati gli interventi necessari per la bonifica del sito di interesse nazionale di Pieve Vergonte nonché i soggetti obbligati alla loro realizzazione;
   secondo le vigenti disposizioni in materia, i soggetti così individuati hanno l'obbligo di adempiere alle prescrizioni stabilite dall'amministrazione precedente;
   con decreto direttoriale il direttore generale ad interim dottor Renato Grimaldi ha decretato di «approvare e considerare come definitive tutte le prescrizioni stabilite nel verbale della Conferenza di Servizi decisoria del 27 ottobre 2011»;
   l'articolo 14-ter, commi 6-bis e 9, della legge 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i., che prescrive l'adozione del provvedimento finale del procedimento conformemente alle determinazioni conclusive della citata conferenza dei servizi;
   il Progetto operativo di bonifica del sito di Pieve Vergonte (VB) presentato da Syndial e già oggetto di valutazione da parte della giunta regionale della regione Piemonte con delibera n. 28 – 5712;
   la legge 426/1998 all'articolo 1, definendo le modalità di adozione da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati, identifica tra i primi interventi di interesse nazionale quello di Pieve Vergonte;
   l'articolo 252 del decreto legislativo n. 152 del 2006 prevede che i progetti di bonifica riguardanti siti di interesse nazionale siano approvati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sentito il Ministero delle attività produttive, ora sviluppo economico;
   la lunghezza dell’iter autorizzativo legato alla procedura di bonifica (iniziato nel 1996), va considerata alla luce anche dell'estrema importanza che tale intervento di bonifica possa essere realizzato nel più breve tempo possibile;
   a seguito di numerosi incontri tra Syndial ed i comuni interessati dalla bonifica, si è giunti alla formulazione di una serie di opere complementari concertate con gli enti locali;
   all'interno di tali opere complementari concordate sono ricomprese opere essenziali per la sicurezza e la salvaguardia dei cittadini che abitano nei comuni interessati, quali ad esempio il rifacimento e potenziamento delle difese spondali nei comuni di Vogogna, Pieve Vergonte e Pallanzeno, opere che, vista la criticità in cui versa l'alveo del Fiume Toce, non sono più differibili –:
   se non ritenga di emanare con la massima celerità consentita, il decreto citato al fine di permettere l'avvio delle opere di bonifica del sito di Pieve Vergonte. (4-01398)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, riguardante le problematiche concernenti la bonifica del sito di Pieve Vergonte, si rappresenta che tale sito, con la legge 9 dicembre 1998, n. 426, è stato inserito tra quelli la cui bonifica è stata ritenuta di interesse nazionale ed è stato perimetrato con successivo decreto del Ministro dell'ambiente del 10 gennaio 2000. Ricomprende le aree dello stabilimento di competenza Syndial (ex-Enichem) e Tessenderlo, il torrente Marmazza, il fiume Toce, il lago Mergozzo, parte del lago Maggiore, l'intero territorio comunale di Pieve Vergonte, porzioni di aree degli ulteriori comuni inseriti nella perimetrazione del sito di interesse nazionale e la conoide del torrente Anza.
  La superficie complessiva, inclusa nel perimetro del sito, è pari a 15.150 ha e le zone che presentano la maggiore criticità ambientale sono quelle occupate dallo stabilimento Syndial, attualmente gestito dalla società a responsabilità limitata Tessenderlo Italia, dove viene svolta l'attività produttiva (produzione cloro-soda, acido solforico e composti cloroaromatici).
  Nella conferenza decisoria del 27 ottobre 2011, la direzione competente per materia di questo Ministero ha approvato, con prescrizioni, il progetto operativo di bonifica dei suoli e delle acque di falda presentato da Syndial nell'agosto 2011.
  Il progetto, per quanto riguarda gli interventi di bonifica dei suoli, prevede, oltre alla realizzazione di un impianto di confinamento in situ, anche interventi di bonifica dei terreni nell'area produttiva Tessenderlo, da attuare successivamente alla cessazione delle attività industriali e allo smantellamento degli impianti ivi esistenti, nonché interventi di bonifica delle acque di falda mediante implementazione della barriera idraulica già esistente e interventi di air sparging e soil vapour extraction sui nuclei di contaminazione interni all'area Tessenderlo. Oltre a ciò, è previsto, nello stesso progetto, anche lo spostamento del torrente Marmazza nel vecchio paleo alveo; operazione, questa, bisognevole di un iter articolato e complesso sia dal punto di vista tecnico che burocratico.
  Detto ciò, per poter emanare il decreto ministeriale di approvazione del progetto di bonifica, il Ministero dell'ambiente deve essere prima in possesso, per quanto dettato dall'articolo 252, comma 7, del decreto legislativo n. 152 del 2006, della valutazione di impatto ambientale regionale e di tutte le autorizzazioni necessarie previste nel progetto operativo di bonifica presentato dalla società.
  Espletate le necessarie istruttorie, il 3 maggio 2013, la regione Piemonte ha trasmesso la delibera di Giunta regionale n. 28 – 5712 del 23 aprile 2013 con la quale è stato rilasciato il giudizio di compatibilità ambientale relativo alle opere e agli impianti necessari alla realizzazione del progetto operativo di bonifica. In tale provvedimento, che esprime un giudizio di compatibilità ambientale positivo con prescrizioni, sono ricomprese anche le autorizzazioni previste dal progetto.
  Ricevuta tale documentazione, il 12 luglio 2013, la predetta direzione generale ha convocata una riunione al fine di verificare se parte delle prescrizioni della conferenza di servizi decisoria del 27 ottobre 2011 potessero intendersi superate alla luce della deliberazione della regione Piemonte del 23 aprile 2013.
  Valutata positivamente tale circostanza, lo schema di decreto di approvazione è stato trasmesso, per l'intesa prevista dalla legge, al Ministero dello sviluppo economico che, con nota del 15 ottobre 2013, ha comunicato di non avere osservazioni ostative in merito allo schema di decreto trasmesso.
  Pertanto, ricevuta l'intesa, il 21 ottobre 2013 è stato firmato il decreto definitivo di approvazione del progetto operativo di bonifica dello stabilimento Syndial che, una volta ricevuta la necessaria registrazione alla Corte dei conti, diverrà operativo.
Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   BOSSA. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   Il giorno 15 aprile 2013 il quotidiano «Roma» ha dato la notizia della presenza nella casa circondariale di Napoli-Poggioreale «G. Salvia», e all'interno del padiglione «Avellino», di detenuti portatori di disagio psichico e in condizioni di isolamento;
   il quotidiano raccoglieva la denuncia del presidente dell'associazione «Antigone-Campania», Mario Barone;
   stando a quanto denunciato, nella casa circondariale già sovraffollata (2900 detenuti contro una capacità di circa 1400 posti), ci sarebbe una sorta di «reparto psichiatrico» di fatto, con detenuti con problemi specifici di carattere psichico ristretti in isolamento, senza assistenza medica continuata;
   le condizioni detentive del reparto appaiono, quindi, inumane e degradanti ed in contrasto con i principi dell'ordinamento penitenziario e con le stesse circolari in materia emesse dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria –:
   se siano a conoscenza di quanto sopra riportato;
   quali siano le regole che disciplinano il funzionamento del Padiglione Avellino della Casa Circondariale di Napoli-Poggioreale «G. Salvia»;
   quali siano i criteri con i quali vengono ristretti i detenuti con disagio psichico;
   quanto e quale sia il personale medico e infermieristico in servizio presso questo Padiglione e se, e in quali forme, sia assicurato un presidio medico permanente;
   quali accordi e/o protocolli operativi vi siano tra amministrazione penitenziaria e A.s.l. per la gestione di questa sezione e se vi siano relazioni in merito alle condizioni igienico-sanitarie;
   quanti siano i detenuti sottoposti in isolamento, per quali motivi e per quanto tempo, nel corso dell'ultimo semestre in questa sezione;
   quali interventi vengano effettuati dall'amministrazione penitenziaria, dalla direzione e, se nota, dall'Asl per prevenire l'allocazione coatta delle persone detenute in isolamento. (4-00649)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, va preliminarmente precisato che presso l'istituto di Poggioreale non è presente alcun reparto psichiatrico. Deve pertanto ritenersi che l'interrogante abbia inteso fare riferimento alla sezione dell'ala destra del padiglione Avellino, al cui piano terra è situata un'infermeria – assente negli altri piani – proprio per consentire una più frequente presenza e un più rapido intervento, in caso di necessità, del personale sanitario.
  Tale sezione, dotata di 14 stanze singole, ospita infatti due tipologie di detenuti: quelli che, a seguito di prescrizione sanitaria, necessitano di allocazione provvisoria in stanza singola, priva degli oggetti potenzialmente pericolosi, e i detenuti che presentano problematiche di incolumità personale e che, pertanto, devono essere tenuti separati dagli altri reclusi a scopo precauzionale. In ogni caso, per entrambe le dette categorie di detenuti si tratta di una allocazione provvisoria che dipende dalle valutazioni dei sanitari o dell'autorità giudiziaria. Ne consegue che il numero dei detenuti che occupano le stanze di tale sezione varia in relazione ad esigenze di natura contingente.
  Ciò chiarito, nel corso del primo semestre del 2013 sono stati registrati complessivamente 177 ingressi nella sezione, di cui 11 per motivi di incolumità e 166 per motivi sanitari.
  Va precisato, peraltro, che coloro che sono ospitati in tale sezione per motivi sanitari non risultano comunque affetti da malattie mentali. Si tratta di persone per le quali il medico generico o lo specialista psichiatra, durante la visita all'atto dell'ingresso o durante la detenzione, valutato il quadro psico-fisico del detenuto e rilevato il rischio di gesti auto o etero-lesivi, ritiene necessaria l'allocazione in stanza singola, a scopo precauzionale, privata di tutti gli oggetti potenzialmente atti ad offendere, fino ad ulteriore valutazione psichiatrica.
  Per l'assistenza dei detenuti ristretti in detta sezione non esiste un protocollo operativo ad hoc. La direzione sanitaria, d'intesa con la direzione dell'istituto, ha stabilito che gli specialisti psichiatri e il medico di prima assistenza visitino quotidianamente i detenuti ivi ospitati per monitorarne costantemente il quadro psicofisico e valutarne la riammissione, in tempi il più possibile celeri, alle sezioni di detenzione comune.
  Infine, si deve evidenziare che, in considerazione del sovraffollamento e della presenza di detenuti affetti da svariate patologie, appare necessario aumentare la presenza di personale sanitario, ma l'aumento dei livelli di assistenza rientra nella esclusiva competenza e disponibilità dell'azienda sanitaria locale.
Il Ministro della giustiziaAnnamaria Cancellieri.


   CAPELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   isola di Budelli, autentica perla del parco nazionale dell'arcipelago della Maddalena, che comprende la famosa «spiaggia rosa», è tutelata da vincoli di conservazione che includono anche il divieto di calpestio. È un vero paradiso naturale, sottoposto a vincoli paesaggistici, ambientali e idrogeologici. L'isola si trova in un'area incontaminata di 1,6 chilometri quadri dove non è possibile costruire nulla;
   L'Ente parco nazionale dell'arcipelago de «La Maddalena» con l'ordinanza n. 4 del 3 agosto 2011 – disposizioni per la salvaguardia della Spiaggia rosa – ha disposto che: nell'area di Cala di Roto, denominata «Spiaggia Rosa», nello specchio acqueo delimitato antistante nonché nella fascia demaniale nella parte terrestre sabbiosa compresa tra la linea dell'arenile e il sentiero sono vietati: il prelievo, la raccolta, l'asportazione anche parziale, il danneggiamento delle formazioni litologiche concrezioni e minerali, ivi inclusa la sabbia; il calpestio dell'arenile e il posizionamento sullo stesso di qualsiasi oggetto; la navigazione, il transito, l'ancoraggio e la sosta di qualsiasi unità navale la pesca professionale, sportiva e l'attività di immersione subacquea anche in apnea; la balneazione nel settore compreso tra la linea dell'arenile e le boe sferiche di delimitazione; l'alterazione diretta o indiretta, con qualsiasi mezzo dell'ambiente bentonico e delle caratteristiche chimiche, fisiche e biologiche delle acque, nonché la discarica dei rifiuti solidi e liquidi ed in genere immissione di qualsiasi sostanza che possa modificare, anche transitoriamente, le caratteristiche dell'ambiente marino;
   l'isola, è stata venduta all'asta, a seguito del fallimento della vecchia proprietà il 2 ottobre 2013, per 2,94 milioni di euro ad un imprenditore neozelandese;
   entro 90 giorni il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e l'ente parco potrebbero far valere il diritto di prelazione, versando però la stessa cifra battuta all'asta;
   sussiste però l'impossibilità giuridica dell'esercizio del diritto di prelazione imposta dalla legge di stabilità 2013, confermata nel mese di agosto 2013, dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in seguito alle richieste formulate in più di un'occasione da parte dell'ente parco, circa la possibilità di acquisire al patrimonio pubblico un bene che dal punto di vista ambientale è giudicato inestimabile;
   infatti, l'articolo 1, comma 138, della legge n. 228 del 2012, ha inserito all'articolo 12 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, il comma 1-quater che prevede: «Per l'anno 2013 le amministrazioni pubbliche... non possono acquistare immobili a titolo oneroso né stipulare contratti di locazione passiva salvo che si tratti di rinnovi di contratti... Sono fatte salve, altresì, le operazioni di acquisto di immobili già autorizzate con il decreto previsto dal comma 1, in data antecedente a quella di entrata in vigore del presente decreto»;
   in tal senso, la Corte dei Conti con deliberazione n. 9 del 31 gennaio 2013 ha fornito le seguenti coordinate interpretative: «Il divieto di acquistare immobili sancito per il 2013, e l'acquisto condizionato a decorrere dal 2014, si estendono ad ogni tipo di immobile e non solo ai fabbricati, e hanno ad oggetto sia l'acquisto in proprietà sia l'acquisto di altri diritti reali. I limiti introdotti devono ritenersi applicabili anche all'acquisizione di immobili per la realizzazione di opere assistite da dichiarazione di pubblica utilità, fatta eccezione per quelle avviate prima del 1° gennaio 2013. Le condizioni si applicano anche alle ipotesi di contratti preliminari di compravendita stipulati prima del 1° gennaio 2013. Il divieto di acquisto sancito per il 2013 si applica anche ai diritti di prelazione, compresi quelli aventi fonte legale. Gli enti locali, a partire dall'esercizio 2014, potranno partecipare ad aste pubbliche per l'acquisto di immobili, ma le offerte non potranno superare il valore indicato nell'attestazione di congruità del prezzo rilasciata dall'Agenzia del demanio» –:
   quali iniziative urgenti, visto il breve arco temporale di 90 giorni per esercitare il diritto di prelazione, il Ministro interrogato abbia intenzione di assumere al fine di superare le limitazioni imposte dalla legge di stabilità 2013 che inibisce l'esercizio del diritto di cui sopra determinato in tal modo la perdita della disponibilità di un bene unico ed inestimabile del nostro Paese. (4-02070)

  Risposta. — Il 2 ottobre 2013, a seguito di una seconda procedura concorsuale attivata dal tribunale di Tempio Pausania, in quanto andata deserta la prima asta, la vendita dell'isola di Budelli è stata aggiudicata a un imprenditore neozelandese per il prezzo a base d'asta fissato in 2,945 milioni di euro.
  Tale operazione di vendita si è resa necessaria poiché la società immobiliare milanese che deteneva la proprietà dell'isola è stata dichiarata fallita.
  L'isola di Budelli, com’è noto, fa parte del parco nazionale dell'arcipelago della Maddalena ed è, pertanto, soggetta ad un rigido sistema di tutele, sia nella parte terrestre che nella parte marina.
  Infatti, nella parte terrestre sono vietati l'apertura di campeggi, l'accesso in aree di nidificazioni, l'apertura di cave e miniere, la realizzazione di nuovi edifici, la ristrutturazione delle costruzioni di proprietà demaniale per uso turistico-residenziale, fermo restando che tali strutture possono essere recuperate e ristrutturate per usi di interesse generali compatibili con le finalità di protezione.
  Per quanto riguarda, più in particolare, il sito della cosiddetta «spiaggia rosa», il 3 agosto 2011 l'ente parco ha emesso l'ordinanza n. 4, con la quale è stato disposto che nell'area di Cala di Rota, più comunemente denominata, appunto, «spiaggia rosa», nello specchio acqueo delimitato antistante nonché nella fascia demaniale nella parte terrestre sabbiosa compresa tra la linea dell'arenile e il sentiero, sono vietati: il prelievo, la raccolta, l'asportazione anche parziale, il danneggiamento delle formazioni litologiche, concrezioni e minerali, ivi inclusa la sabbia; il calpestio dell'arenile e il posizionamento sullo stesso di qualsiasi oggetto; la navigazione, il transito, l'ancoraggio e la sosta di qualsiasi unità navale; la pesca professionale, sportiva e l'attività di immersione subacquea anche in apnea; la balneazione nel settore compreso tra la linea dell'arenile e le boe sferiche di delimitazione; l'alterazione diretta o indiretta, con qualsiasi mezzo, dell'ambiente bentonico e delle caratteristiche chimiche, fisiche e biologiche delle acque, nonché la discarica dei rifiuti solidi e liquidi e, in genere, immissioni di qualsiasi sostanza che possa modificare, anche transitoriamente, le caratteristiche dell'ambiente marino.
  Alle prescrizioni di cui sopra vanno, poi, ad aggiungersi gli ulteriori vincoli previsti dal Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, quali la tutela dell'isola come bene paesaggistico tipizzato, ai sensi dell'articolo 143, e come bene paesaggistico, ai sensi dell'articolo 142 dello stesso codice, in quanto rientrante nel parco nazionale.
  In ultimo, si ricorda che l'intero parco nazionale, e quindi anche l'isola di Budelli, è sito di importanza comunitaria (Sic) e zona di protezione speciale (Zps).
  Non si può sul punto non sottolineare che l'efficacia della normativa di tutela e la perfetta tenuta delle regolazioni in essere – nei quali si sostanziano gli appena riferiti vincoli ambientali – nonché la efficiente azione di vigilanza posta in essere da parte dei soggetti istituzionalmente preposti, non hanno consentito, ad oggi, nessun intervento di trasformazione dell'isola di Budelli nonostante che la precedente proprietà fosse già posta in capo ad una società immobiliare privata.
  È, pertanto, evidente che una eventuale acquisizione dell'isola da parte di «nuovi» soggetti privati non pregiudicherebbe in alcun modo la tutela e la salvaguardia del suo patrimonio naturalistico, considerata, appunto, l'esistenza dei medesimi e sopra richiamati rigidissimi vincoli ambientali.
  A questo punto, e in disparte quanto appena riferito, occorre richiamare le circostanze «oggettive» che non consentono, a legislazione vigente, di esercitare il diritto di prelazione previsto dall'articolo 15, comma 5, della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (legge quadro sulle aree protette).
  Per prima cosa, sovviene l'assenza di una adeguata provvista finanziaria da trasferire all'ente parco per l'esercizio della possibile prelazione. È a tutti noto, sul punto, la gravissima carenza di risorse che caratterizza da anni il settore del funzionamento del sistema dei parchi nazionali che non consente, oggettivamente, di dedicare risorse per l'eventuale acquisto e per la successiva gestione dell'area.
  Risultano, infatti, ridottissime le provviste finanziarie da dedicare agli «investimenti», da ripartire, peraltro, tra tutti i parchi per consentire di ottemperare, per la quasi totalità, a precisi obblighi di legge (manutenzioni straordinarie, interventi strutturali, e altro).
  In secondo luogo, appare indispensabile richiamare l'impossibilità giuridica dell'esercizio del diritto di prelazione, sopra richiamato. Infatti, l'articolo 1, comma 138, della legge n. 228 del 2012 ha inserito all'articolo 12 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, il comma 1-quater, il quale prevede per l'anno 2013 l'impossibilità per le amministrazioni pubbliche di acquistare immobili a titolo oneroso.
  Sul punto è, poi, intervenuta la Corte dei conti che con deliberazione n. 9 del 31 gennaio 2013 ha fornito le pertinenti coordinate interpretative, nel senso che «il divieto di acquistare immobili sancito per il 2013, e l'acquisto condizionato a decorrere dal 2014, si estendono ad ogni tipo di immobile e non solo ai fabbricati, e hanno ad oggetto sia l'acquisto in proprietà sia l'acquisto di altri diritti reali. I limiti introdotti devono ritenersi applicabili anche all'acquisizione di immobili per la realizzazione di opere assistite da dichiarazioni di pubblica utilità, fatta eccezione per quelle avviate prima del 1o gennaio 2013. Le condizioni si applicano anche alle ipotesi di contratti preliminari di compravendita stipulati prima del 1o gennaio 2013. Il divieto di acquisto sancito per il 2013 si applica anche ai diritti di prelazione, compresi quelli aventi fonte legale...»
  Alla luce di tale parere si evince con chiarezza che nel divieto di procedere ad acquisti a titolo oneroso è ricompreso anche un eventuale esercizio del diritto di prelazione finalizzato ad acquisire al patrimonio dello Stato determinati beni immobili.
  Per quanto sopra riferito è di lapalissiana evidenza il cappio normativo che stringe questo Ministero, il quale, da un lato, non dispone delle indispensabili risorse da trasferire all'Ente parco affinché possa azionare il diritto di prelazione, e, dall'altro, l'esistenza di una specifica disposizione di legge, al quale l'ente gestore, in quanto amministrazione pubblica, deve necessariamente attenersi, che mira ad impedire, insieme ad altre iniziative analoghe, l'esercizio di tale facoltà.
  Allo stato delle cose, pertanto, non si può non ritenere che il Parlamento sia l'unica sede titolata per correggere, aggiornare e/o comunque derogare alle cogenti norme di diritto primario che vietano l'acquisto di beni immobili da parte delle amministrazioni pubbliche, nonché ad assicurare la necessaria provvista di risorse finanziarie, indispensabili per consentire l'acquisto e la gestione dell'immobile in questione.
  Ed è appunto in sede parlamentare e, in particolare, in occasione dell'esame della legge di stabilità 2014 da parte delle competenti commissioni Bilancio di Camera e Senato, che, com’è noto all'interrogante, si sta tuttora affrontando la problematica connessa al possibile acquisto al patrimonio dello Stato dell'isola di Budelli.
Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   CARRA, GRASSI e BORGHI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 29 giugno 2013 l'agenzia di stampa Ansa ha pubblicato una inchiesta condotta in collaborazione con il sito www.vuotoaperdere.org nella quale si dà conto di alcune novità legate al caso Moro;
   in particolare, una testimonianza molto importante di Vitantonio Raso, il giovane antisabotatore che arrivò per primo in via Caetani, consente di rivedere gli orari dei fatti accaduti la mattina del 9 maggio, prima della telefonata delle Brigate rosse, giunta alla 12.13 a casa del collaboratore del presidente della DC, Nicola Tritto, con la quale Valerio Morucci avvertiva che il cadavere di Aldo Moro era stato lasciato all'interno dell'auto parcheggiata in quella via situata nel centro storico della capitale;
   Vitantonio Raso rivela oggi che la sua opera fu richiesta ben prima dell'ora di quella telefonata, divenuta poi tristemente famosa, e cioè alle ore 11 di quella mattina, e che lui arrivò davanti alla R4 amaranto in via Caetani poco dopo quell'ora;
   in un suo recente libro («La bomba umana») Raso aveva lasciato indeterminata la questione degli orari che ora, tuttavia, chiarisce dopo 35 anni con il giornalista Paolo Cucchiarelli e lo scrittore Manlio Castronuovo, spiegando anche che l'allora Ministro dell'interno, Francesco Cossiga, e un certo numero di alti funzionari assistettero, ben prima delle famose riprese televisive di Gbr, girate a cavallo delle 14, alla prima identificazione del corpo fatta proprio da Raso;
   l'inchiesta riferisce anche di una testimonianza dell'esponente socialista Claudio Signorile il quale si trovava nello studio del Ministro dell'interno Cossiga proprio la mattina del 9 maggio e lì arrivò una telefonata dal capo della polizia Parlato che annunciò a Cossiga l'uccisione di Aldo Moro, secondo Signorile l'episodio si verificò tra le 10 e le 11, ben prima della telefonata brigatista;
   dopo la pubblicazione dell'inchiesta, la procura di Roma ha aperto un fascicolo per valutare il valore investigativo della testimonianza di Raso;
   esistono tuttora molti documenti relativi al Caso Moro non disponibili perché secretati. In particolare quattro di essi – appunto: foglio manoscritto con note informative e mappa della zona di via Caetani, 11 maggio 1978; lettera: primo distretto di polizia al questore di Roma, 11 maggio 1978; fonogramma: ispettorato generale di pubblica sicurezza presso il Quirinale al Capo di Gabinetto del Ministero dell'interno, al capo della Polizia, al prefetto e al questore di Roma, 12 maggio 1978; appunto: informativa su una telefonata anonima ricevuta dal capo della Polizia, 12 maggio 1978 – potrebbero essere utili agli inquirenti romani per lo svolgimento dell'inchiesta in corso;
   il presidente della Commissione stragi, Giovanni Pellegrino, in una famosa intervista al settimanale Panorama (13 marzo 2008), parlò dell'esistenza di 27 faldoni relativi al caso Moro custoditi presso la «Segreteria speciale del Ministero dell'interno», di 60 faldoni che, pur non riferendosi direttamente al caso Moro, potrebbero tuttavia contenere atti di interesse: 22 faldoni sono riferiti a «Brigate rosse», 9 ad attentati, risoluzioni e sequestri di carteggio nei loro covi, 22 ad «Autonomia operaia», 7 a «Unione comunisti combattenti» e «Partito comunista combattente», e di altri 24 faldoni inerenti il rapimento e l'uccisione di Moro archiviati dal Servizio segreto civile (l'allora Sisde) –:
   se non intenda contribuire alla ricostruzione della verità con una grande operazione di trasparenza provvedendo a desecretare, per quanto di competenza, tutti gli atti esistenti relativi al caso Moro. (4-01468)

  Risposta. — In relazione all'atto di sindacato ispettivo indicato in oggetto, concernente la desecretazione di tutti gli atti relativi al «caso Moro», si trasmette la risposta elaborata in conformità a quanto comunicato dall'ufficio del segretariato generale – segreteria speciale.
  Il dipartimento delle informazioni per la sicurezza ha rappresentato che nel 2008, il Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, con direttiva dell'8 aprile, sollecitò i vertici politici delle Amministrazioni detentrici della documentazione relativa alla vicenda del rapimento e dell'uccisione del Presidente della democrazia Cristiana a «dar luogo alla declassifica degli atti classificati».
  Successivamente, l'autorità delegata per la sicurezza della Repubblica pro tempore, con una direttiva del 24 aprile 2008, ha ravvisato l'opportunità che il corpus documentario fosse integralmente custodito presso un unico istituto di conservazione, al fine di rispondere tanto alle esigenze degli studiosi, quanto a quelle dei soggetti aventi titolo all'accesso. Nel 2010, concluse le complesse operazioni di declassifica della documentazione, la suddetta autorità delegata per la sicurezza della Repubblica pro tempore ha individuato, in data 22 settembre, nell'archivio centrale dello Stato, istituzionalmente deputato alla consultazione di documenti per fini storici, il luogo ove concentrare le «carte Moro» conservate presso gli archivi degli organismi di informazione per la sicurezza e dei dicasteri interessati e ne ha sollecitato il versamento, con netto anticipo rispetto ai termini cronologici stabiliti dal codice dei beni culturali (decreto legislativo n. 42 del 2004).
  Tra il maggio e l'agosto 2011 sono stati versati – a cura dell'ufficio centrale degli archivi del DIS – in originale e integralmente all'archivio centrale dello Stato n. 57 fascicoli (1978-1995) tratti dagli archivi del DIS (cessata segreteria generale del CESIS), n. 140 fascicoli tratti dagli archivi dell'AISE (cessato SISMI) nonché gli atti relativi al sequestro Moro, contenuti in 52 «volumi», tratti dagli archivi dell'Aisi – agenzia informazioni e sicurezza interna (cessato SISDe).
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministriFilippo Patroni Griffi.


   CATANIA e SCHULLIAN. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   è necessario evitare incertezze nell'applicazione dell'articolo 45-bis (allegato 1) inserito nel decreto-legge n. 69 del 21 giugno 2013 e convertito dalla legge di conversione n. 98 del 9 agosto 2013 recante «Abilitazione all'uso delle macchine agricole» anche tenuto conto di quanto disposto dall'accordo 22 febbraio 2012, n. 53, tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano –:
   se intenda confermare che il termine «macchine» sia da interpretare come attrezzature di lavoro individuate dal citato accordo ai sensi dell'articolo 73, comma 5, e il termine «agricole» sia da interpretare in modo che si riferisca al loro utilizzo nell'ambito delle attività agricole di cui all'articolo 2135 cc. (4-02128)

  Risposta. — In risposta all'interrogazione in esame, si ritiene necessario premettere sinteticamente il riepilogo del quadro normativo di riferimento, anche se noto, perché l'interpretazione attuativa della fattispecie «macchine agricole» non può che coniugare le norme vigenti con le realtà concrete tutelate.
  L'argomento è, pertanto, il combinato disposto delle disposizioni cui è collegato l'articolo 45-bis del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 98 del 2013.
  Tale disposizione si riferisce alle «macchine» il cui impiego nelle attività agricole necessita di un'abilitazione specifica da parte dell'operatore e con l'esplicito intento di garantire gli obiettivi di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro di cui all'articolo 73 del decreto legislativo n. 81 del 2008 che riferendosi alla più ampia gamma delle «attrezzature di lavoro» messe a disposizione dal datore di lavoro, ne demanda (articolo 5) l'elencazione alla Conferenza permanente Stato, regioni e province autonome che ha provveduto con l'accordo n. 53 del 22 febbraio 2012.
  L'accezione giuridica dell'aggettivo “agricole” deriva dall'articolo 2135 del codice civile (come modificato dal decreto legislativo n. 228 del 2001) e ricomprende le attività di coltivazione del fondo, la selvicoltura, l'allevamento di animali, le attività connesse ed anche le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali. Inoltre, sono ricomprese le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature e risorse dell'azienda ovvero quelle che normalmente sono impiegate nell'attività agricola, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge. 
  Premesso ciò, la fattispecie «macchine agricole» di cui al richiamato articolo 45-bis afferisce, dunque, alle attrezzature di lavoro elencate al punto 1 dell'allegato A del citato accordo n. 53 del 2012 che vengono utilizzate nelle attività agricole o forestali, o ad esse riconducibili, da lavoratori del settore agricolo e cioè da tutti i lavoratori impiegati nelle attività di cui all'articolo 2135 del codice civile, come tra l'altro richiamato anche dal punto 11 della circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 10 giugno 2013, n. 21, riguardante espressamente il predetto accordo.
  Conseguentemente, il differimento al 22 marzo 2015 dell'obbligo di abilitazione per l'utilizzo delle «macchine agricole» di cui all'articolo 45-bis in esame riguarda tutte le attrezzature di lavoro individuate al punto 1 dell'allegato A del citato accordo laddove impiegate nelle attività agricole, forestali e connesse.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliNunzia De Girolamo.


   CATANOSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   situazione del personale della polizia di Stato, composto da circa 94 mila unità, vede la presenza di circa 65 mila tra agenti ed assistenti, ed il resto suddiviso tra ispettori e sovrintendenti e il ruolo dei funzionari direttivi (capo della polizia compreso);
   come si potrà ben evidenziare, la stragrande maggioranza del personale rientra nella categoria della «truppa» a voler usare un termine mutuato dalle caserme. In questo momento vi sono, però, tuttora vigenti ed utilizzabili ben due graduatorie definitive ed una terza in via di pubblicazione per Vice sovrintendenti in cui rientrerebbero circa 8 mila poliziotti al netto di doppie/triple idoneità e fisiologiche rinunce;
   il decreto legge n. 227 del 2012 ha autorizzato l'amministrazione ad attivare procedure e modalità concorsuali semplificate per la copertura dei posti relativi a detta qualifica e a detta delle maggiori organizzazioni sindacali fra le quali gli «Autonomi di Polizia» e del «comitato tutti sovrintendenti», l'unico ostacolo allo scorrimento era rappresentato da una speciale disciplina normativa (decreto legislativo n. 53 del 2001) che imponeva concorsi a cadenza annuale. Ma oggi alla luce del nuovo decreto questo vincolo non si pone più, ragion per cui non esiste più alcun motivo ostativo allo scorrimento delle graduatorie;
   nel caso in cui l'amministrazione volesse procedere ugualmente a bandire il concorso questa sarebbe soggetta ad uno stringente obbligo di motivazione derivante dalle nuove recenti dottrine che pongono dei nuovi principi giuridici di massima stabiliti in via definitiva dall'adunanza plenaria (Consiglio Stato sentenza 28 luglio 2011, n. 14);
   pur apprezzando il fatto che l'amministrazione dell'interno abbia riconosciuto una grave situazione dovuta ad uno squilibrio di organico pauroso di 8.000 unità nel ruolo dei sovrintendenti, classificandola come non più prorogabile e che questa si stia impegnando a fondo per risolverla, non vuol dire che le soluzioni proposte siano le migliori applicabili sia in termini di tempi per la loro realizzazione che per il punto di vista del costo da sostenere a carico del bilancio dello Stato;
   l'idea di recuperare con concorsi plurimi semplificati i 18 concorsi mancanti, oltre ad essere una scelta eticamente scorretta che promuoverebbe dei dipendenti sulla base di regole diverse da quelle prestabilite e condivise da tutti, darebbe il via a modalità concorsuali che non garantirebbero un'adeguata trasparenza ed imparzialità;
   stante la volontà di coprire i posti vacanti e risolvere la questione attraverso «procedure di emergenza» di carattere «straordinario» previsti dal decreto in questione si è certi che l'amministrazione dell'interno converrà che il principio dell'efficienza amministrativa della pubblica amministrazione implica il raggiungimento degli obiettivi con il minor impiego di tempo e il minor impiego di risorse, attraverso scelte responsabili e lungimiranti finalizzate al solo e unico dallo scopo di perseguire l'interesse pubblico generale;
   a giudizio dell'interrogante, la soluzione di procedere all'indizione di nuovi concorsi senza dare luogo prima ad un semplice e coerente scorrimento delle graduatorie, appare essere una soluzione irresponsabile e inopportuna, prima ancora che giuridicamente illegittima alla luce della nuova dottrina giuridica sopra specificata;
   in presenza di circa 8.000 idonei, con anzianità media di 18 anni di servizio, che potrebbero essere avviati facilmente e senza alcun ulteriore aggravio economico al corso di formazione, per essere impiegati su strada in pochi mesi, continuare a percorrere la strada dei concorsi cosiddetti «semplificati», con i tempi e i rischi che questi potrebbero comportare, si palesa come una scelta miope e senza senso;
   appare a dir poco discutibile ritenere che 8.000 idonei, frutto di leggi, regole e criteri preesistenti condivisi da tutti, per i quali sono già stati spesi milioni di euro, poliziotti inseriti in graduatorie ufficiali le quali producono effetti giuridici tutelati da norme di rango legislativo a portata generale, possano venire sacrificati per dare spazio ad ulteriori concorsi che produrrebbero altrettanti poliziotti idonei con un grado di preparazione inferiore oltretutto sulla base di regole non altrettanto condivise e accettate da tutti;
   questo non potrebbe che generare solo iniquità, malcontento e demotivazione tra il personale. Questi «pseudo-concorsi» non servirebbero a produrre elementi professionalmente più preparati, visto che verrebbe abolita completamente la prova d'esame scritta;
   una corretta ed equa valutazione del «merito» e della «preparazione professionale», infatti, presuppone il contemperamento di due elementi fondamentali inscindibili essendo un risultato che scaturisce da un giudizio ponderato ed equilibrato basato certamente sull'anzianità, sull'esperienza operativa e sui titoli di servizio ottenuti ma anche e soprattutto sulle conoscenze teorico-giuridiche del dipendente. Sono fattori ineludibili che vivono in simbiosi e che non possono fare a meno l'uno dell'altro;
   togliendo uno di questi due elementi verrebbe a mancare un dato oggettivo essenziale per una corretta e meritocratica valutazione professionale del dipendente;
   queste maxi-procedure concorsuali comporterebbero tra l'altro un abissale allungamento dei tempi, visto l'immenso e difficilissimo lavoro di selezione di titoli che dovrebbe realizzarsi a priori, attraverso un preventivo conteggio dei titoli per 65.000 operatori di polizia, aggiornando anno per anno dal 2004 fino al 2012 i titoli di ognuno di questi. Un lavoro immane che nella migliore delle ipotesi avrebbe termine non prima di 5 anni e con esiti incerti, con tempi di attuazione biblici per una grave emergenza come questa, che dovrebbe essere sanata entro l'anno 2013 e al massimo entro il 2014;
   la modalità dei concorsi «per soli titoli» ridurrebbe di fatto drasticamente il campo della trasparenza, con il rischio di dare origine a clientelismi di ogni sorta e a contenziosi di ogni genere;
   il «sacrificio» di questi idonei non servirebbe nemmeno a produrre personale più giovane e motivato visto che i concorsi per titoli avvantaggerebbero inesorabilmente il personale più anziano che è anche il meno motivato e il meno produttivo in termini di presenze e di disponibilità, con il risultato che queste elefantiache procedure concorsuali non garantiranno nel tempo adeguati livelli di efficienza con un conseguente assottigliamento di servizi essenziali per il cittadino, il tutto a danno dell'amministrazione e, soprattutto, della collettività;
   l'interrogante ritiene che questo giudizio sia equidistante dagli interessi di parte, un giudizio formatosi su elementi oggettivi di fatto e di diritto. Un giudizio basato sulla logica e sulla razionalità che nasce dal senso di responsabilità e dalla conoscenza approfondita delle problematiche;
   se lo scorrimento fosse stato un provvedimento giuridicamente scorretto, dispendioso come inopportuno o insensato, non lo si sarebbe mai proposto anche in presenza di interessi legittimi;
   lo «scorrimento delle graduatorie» è la procedura più economica e più rapida. Il provvedimento obbiettivamente più opportuno e risolutivo, il più economico per eccellenza, che ogni pubblica amministrazione è solita adottare in via discrezionale quando pienamente e abbondantemente giustificata, tanto più che oggi c’è un decreto-legge che permette di coprire i posti attraverso procedure semplificate;
   lo scorrimento delle graduatorie è un istituto giuridico riconosciuto da tutti gli ordinamenti dello Stato e non esiste alcuna ragione valida perché non possa essere riconosciuto anche in questo caso –:
   quali iniziative di competenza abbia intenzione di adottare il ministro interrogato per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-02617)

  Risposta.   Con l'interrogazione in esame, nel porre all'attenzione del Governo la questione relativa al regolamento per l'accesso alla qualifica iniziale dei vice sovrintendenti della Polizia di Stato, si chiede che l'amministrazione ricorra, ai fini dell'attribuzione di tale qualifica, allo scorrimento delle graduatorie dei concorsi precedentemente svolti.
  A tale proposito va ricordato che, il Consiglio di Stato ha formulato alcune osservazioni in merito allo schema di decreto recante la modifica del suddetto regolamento. Tale schema è stato predisposto sulla base del decreto legge n. 227 del 2012 che autorizza, in deroga, l'attivazione di «procedure e modalità semplificate per l'accesso alla qualifica di vice sovrintendente».
  L'iniziativa normativa intende realizzare un sistema concorsuale per soli titoli, in luogo del ben più complesso e oneroso sistema ordinario che prevede invece l'accesso alla qualifica iniziale del ruolo dei sovrintendenti mediante il ricorso a due distinte procedure concorsuali interne: per titoli e per titoli ed esame scritto.
  Inoltre, la previsione di un'unica procedura concorsuale, volta a coprire i posti disponibili dal 31 dicembre 2004 al 31 dicembre 2012, assicura la riserva dei posti disponibili per ciascuna annualità al personale in possesso – al 31 dicembre dell'anno di riferimento – dei requisiti di partecipazione alla corrispondente procedura selettiva.
  In tal modo si intende sopperire alla rilevante carenza nel ruolo dei sovrintendenti – che si attesta ormai su quasi 8.000 unità – entro un arco temporale e con oneri a carico dell'amministrazione sensibilmente più contenuti rispetto a quelli che sarebbero necessari ove, in ottemperanza all'obbligo dell'annualità dei concorsi, fosse stata prevista una pluralità di procedure concorsuali in relazione a ciascuno degli anni compresi nell'intervallo di tempo 2004-2012.
  Proprio al fine di realizzare la massima semplificazione e rapidità di svolgimento della procedura concorsuale è stato inoltre previsto che i posti disponibili per gli assistenti capo siano riservati a quanti, al 31 dicembre 2012, ricoprivano una posizione in ruolo compresa entro il doppio del totale dei posti riservati.
  Sul piano organizzativo in un'ottica di efficienza, efficacia, economicità e trasparenza dell'azione amministrativa, è in corso di predisposizione un programma informatico volto a consentire l'acquisizione on line delle domande di partecipazione al concorso, nonché una valutazione preliminare automatizzata dei titoli in possesso dei candidati.
  Inoltre – nella consapevolezza dell'importanza di assicurare un'adeguata preparazione al personale – verranno approntati specifici moduli formativi di lingua inglese, informatici e telematici nell'ambito del corso di formazione professionale on line destinato ai vincitori del concorso.
  Il ricorso alla procedura concorsuale straordinaria mira anche a colmare la grave carenza di organico nel ruolo dei sovrintendenti e, quindi, a sanare l'attuale «disallineamento» della Polizia di Stato rispetto alle altre Forze di polizia.
  La procedura concorsuale ipotizzata, pertanto, costituisce la massima semplificazione possibile nel vigente quadro normativo che impone lo svolgimento annuale dei concorsi interni in modo tale da assicurare la progressione in carriera degli appartenenti al ruolo degli agenti e assistenti della Polizia di Stato.
  È importante evidenziare che la disposizione derogatoria del predetto decreto legge n. 227 del 2012, da un lato, autorizza l'introduzione di procedure e modalità semplificate per l'accesso alla qualifica di vice sovrintendente, dall'altro lato, nulla dispone in merito alla possibilità di derogare al principio dell'annualità dei concorsi.
  Va anche ricordato che proprio in tema di ricorso alle graduatorie pubbliche si è di recente espressa l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, statuendo che la regola generale dello scorrimento «non è comunque assoluta e incondizionata», essendo individuabili casi in cui la determinazione di procedere al reclutamento mediante concorsi «risulta pienamente giustificabile».
  In tal contesto si collocano proprio le ipotesi in cui speciali disposizioni legislative impongono una precisa cadenza periodica del concorso collegata anche a peculiari meccanismi di progressione nelle carriere, tipici di determinati settori del pubblico impiego.
  Peraltro, il decreto legge 31 agosto 2013, n. 101 – in tema di immissione in servizio di idonei e vincitori di concorsi, attualmente in fase di conversione – non trova applicazione nei confronti del personale della pubblica sicurezza, in virtù della specificità della normativa di riferimento.
  Anche per quanto riguarda la validità delle graduatorie, bisogna tener presente la specialità della norma contenuta nell'articolo 24-quater del decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile 1982, n. 335 relativa all'obbligatorietà dell'annualità delle procedure concorsuali.
  In tale contesto, dunque, l'opzione dello scorrimento delle graduatorie provocherebbe un grave vulnus alle legittime aspettative di progressione in carriera del personale della Polizia di Stato che abbia maturato i requisiti di anzianità o di qualifica prescritti.
  In ultimo, il Ministero dell'interno, sulla base dei rilievi sollevati sul piano formale dal Consiglio di Stato, ha provveduto a modificare lo schema di decreto recante la modifica al regolamento sulle modalità di accesso alla qualifica iniziale del ruolo dei vice sovrintendenti.
  Lo schema dunque verrà riproposto, unitamente alle sopra esposte considerazioni di questa Amministrazione, alle valutazioni dello stesso Consiglio di Stato, che potrà determinarsi anche sulla specialità delle procedure di assunzione previste per le Forze di Polizia, alla luce della normativa introdotta dal citato decreto legge n. 101 del 31 agosto 2013.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   CENNI e DALLAI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il Governo ha esplicitato, sin dal suo insediamento, la volontà di concentrare i suoi sforzi e la sua azione a sostegno della ripresa economica ed occupazionale, sostenendo i settori che esprimono eccellenza e potenzialità ed incentivando l'innovazione;
   il comparto della produzione di camper in Italia rappresenta una fetta molto consistente dell'intero settore europeo;
   dopo oltre due decenni di ininterrotta crescita di mercato, con significativi incrementi di volumi di produzione, di fatturato e di occupati per le imprese della filiera, il settore italiano della produzione di «Camper» sta registrando da alcuni anni una sensibile inversione di tendenza. Tra il 2006 ed il 2011 si è passati infatti da circa 14.400 a circa 7 mila immatricolazioni annue; (i caravan sono 1.698 per un totale di 8.714). Nell'anno 2012 le immatricolazioni di camper in Italia sono state 4.731;
   il settore della camperistica genera in Italia oltre 600 milioni di euro di fatturato, di cui il 58 per cento destinato all'export, con oltre 7.000 dipendenti, 4.000 diretti e oltre 3.000 indiretti;
   nella zona della Valdelsa, (tra le province di Siena e di Firenze) è presente un distretto industriale della camperistica dove viene attualmente realizzato oltre l'80 per cento della produzione nazionale del comparto (nello specifico nei comuni di Barberino Val d'Elsa, Casole d'Elsa, Colle Val d'Elsa, Monteriggioni, Poggibonsi, San Casciano Val di Pesa, San Gimignano, Tavarnelle Val di Pesa). In tale territorio si registra un fatturato annuo di oltre 500 milioni di euro;
   sono qui presenti alcune delle aziende leader del settore a livello nazionale ed internazionale che, per le ragioni appena citate, hanno dovuto affrontare una forte riorganizzazione, fusioni, incorporazioni, con conseguenti crisi occupazionale, ricorso alla cassa integrazione e una forte riduzione del personale;
   ultima in ordine di tempo ad essere interessata l'azienda Rimor, azienda storica della Valdelsa, che conta circa 300 dipendenti dei quali 160 diretti e circa 120 indiretti (indotto). L'azienda in gravi difficoltà economiche e finanziarie legate ad esposizioni con istituti di credito e difficoltà nell'accesso al credito, pur avendo in portafoglio importanti ordini per i mercati internazionali quantificabili in circa 500 camper per un valore di circa 20 milioni di euro, ha annunciato nei giorni scorsi la messa in mobilità di tutti i dipendenti. Tale decisione è stata poi ritirata in seguito ad un tavolo di confronto che ha visto partecipare, oltre all'azienda, le parti sociali e le istituzioni locali fra cui la regione Toscana. È stato infatti raggiunto un accordo condiviso che prevede, in alternativa alla procedura di mobilità, la richiesta di apertura di cassa integrazione straordinaria. Negli ultimi giorni ha avanzato una richiesta di «concordato in bianco». Il Tribunale di Siena ha nominato un Commissario giudiziale;
   complessivamente dal 2007 ad oggi, dai dati resi noti dalle amministrazioni locali e dalle associazioni dei produttori, a fronte di un crollo delle immatricolazioni in Italia che supera il 50 per cento e di una diminuzione dei volumi prodotto nell'ordine leggermente inferiore del 40 per cento, l'occupazione del distretto della Valdelsa, riferita soltanto alle aziende produttrici e non alle imprese totali della filiera, è scesa di 400 unità (da 1700 a 1300 addetti). Negli ultimi 5 anni il numero dei veicoli prodotti è sceso da 20 mila a 12 mila unità;
   in questi anni la regione Toscana e le istituzioni locali hanno seguito con attenzione lo sviluppo e le problematiche del settore della camperistica, riconoscendone potenzialità e peculiarità e cercando di intervenire tempestivamente con politiche adeguate in grado di supportare soprattutto azioni tese ad accrescere la qualità del prodotto, la ricerca e l'innovazione, nonché la infrastrutturazione logistica sul territorio;
   si ricorda nello specifico che nel luglio 2007 è stato sottoscritto un protocollo d'intesa fra regione Toscana, la provincia di Siena, la provincia di Firenze, i comuni dei territori interessati, le associazioni imprenditoriali e sindacali per la riqualificazione della zona produttiva locale e la nascita di una filiera strutturata del camper anche attraverso finanziamenti in settori strategici di intervento come le infrastrutture, la logistica, la ricerca e la formazione;
   in seguito sono state inoltre avviate le procedure per realizzare uno snodo ferroviario della Valdelsa, in località Zambra: una infrastruttura logistica, che comporta un investimento di 1,2 milioni di euro, necessaria per supportare l'attività delle industrie della zona;
   vanno inoltre segnalate le iniziative a sostegno della camperistica presenti anche nell'ambito del «Progetto integrato per la meccanica» che la regione Toscana ha approvato nelle scorse settimane. Il progetto prevede complessivamente in quattro anni risorse per circa 200 milioni di euro;
   le imprese Laika Caravans e Trigano hanno già attivato progetti di innovazione e di ricerca, cofinanziati con bando della regione Toscana che coinvolgono l'intera filiera ed i principali dipartimenti universitari dei tre atenei toscani (Pisa, Siena e Firenze) e che riguardano i consumi, materiali di costruzione più leggeri, tecnologia hi-tech e domotica;
   risulta evidente come tali sforzi rappresentino la volontà dei gruppi italiani ed europei di mantenere, e concentrare, in questa area il cuore e l'eccellenza della camperistica italiana, con l'intento di rendere più competitiva l'offerta nazionale;
   il mercato della camperistica risente non solo della crisi generalizzata economica e dei consumi, ma anche di una carenza di politiche fiscali ed infrastrutturali a sostegno del settore. La tassazione sui veicoli costituisce infatti la quinta voce di gettito erariale governativo e manca sul territorio italiano, a differenza di altri paesi europei, una efficace e moderna rete di strutture atte alla fruibilità del turismo all'aria aperta (come aree di sosta attrezzate e di accoglienza, e altro). Emerge da alcuni studi, con chiarezza, come per rilanciare il comparto sarebbe utile, in linea con la normativa già adottata da altri paesi europei, modificare l'articolo 116 del decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285, per introdurre l'innalzamento della guidabilità, per la patente «B», dei camper da 3,5 a 3,7 tonnellate. Con questa modifica i camper potrebbero essere dotati di dispositivi ed accessori capaci di elevare i livelli di sicurezza e di comfort aumentando al tempo stesso la platea di potenziali clienti;
   va inoltre rimarcato che molto spesso i camper rappresentano per alcune categorie di soggetti disabili una delle rare opportunità ricreative e di vacanza. In alcune nazioni (come ad esempio in Inghilterra) sono state introdotte, per promuovere ed incentivare tale fruizione, specifiche agevolazioni fiscali per i disabili e gli invalidi. Sarebbe opportuno quindi prevedere, anche nel nostro ordinamento, detrazioni e aiuti finanziari equiparando gli autocaravan ai mezzi di uso precipuo degli stessi disabili (come ad esempio le carrozzine) estendendo quindi le disposizioni già previste dall'articolo 8 della legge 27 dicembre 1997, numero 449;
   all'industria del camper si devono inoltre importanti effetti indiretti sull'indotto turistico del nostro paese: nel 2012 sono stati 5,6 milioni i turisti «en plein air» che hanno scelto di visitare l'Italia, di cui 3,1 milioni italiani e 2,5 milioni stranieri (ricerca condotta dal CISET-Centro internazionale di studi sull'economia turistica dell'università Ca’ Foscari di Venezia), per un totale di 21 milioni di notti ed una spesa complessiva di 1,2 miliardi di euro (dati dell'Osservatorio della Banca d'Italia). I turisti italiani determinano una spesa complessiva di circa 1,4 miliardi di euro. Il turismo «en plein air», secondo i dati Istat, rappresenta circa il 6 per cento del movimento turistico straniero in Italia. Nonostante l'Italia sia la destinazione più ambita per la bellezza dei luoghi da visitare rispetto alle principali nazioni europee in cui è più diffusa la cultura del «camper style», come Germania e Francia, risulta carente per offerta di luoghi di sosta, facilità di accesso alle strutture ricettive e servizi offerti;
   questa mancanza di politiche, rispetto alle altre nazioni europee, è testimoniata soprattutto dai dati: se in Italia dal 2006 al 2011 si è passati, per le immatricolazioni di nuovi camper, da 14.400 a poco più di 7.000 unità, nello stesso lasso temporale in Francia si è passati da 20.200 a 19.300 nel 2011 e 17.786 nel 2012, mentre in Germania da 18.400 a 21.700 nel 2011 e ben 24.062 immatricolazioni nel 2012;
   alla luce di quanto esposto emerge quindi l'opportunità e l'utilità di un formale riconoscimento di questa filiera industriale della Valdelsa quale «distretto italiano della camperistica». In tale territorio è infatti concentrato oltre l'80 per cento della produzione italiana; qui si stanno già svolgendo importanti ricerche e potrebbe meglio caratterizzarsi uno spazio pubblico e privato di ricerca ed innovazione del prodotto, utilissimo a far camminare ulteriormente la camperistica, per tutelare i siti produttivi ed i livelli occupazionali, per far crescere fatturato, produzione e capacità di competere sul mercato;
   si è insediato da tempo in Valdelsa un tavolo di lavoro, a cui partecipano regione Toscana, la provincia di Siena, la provincia di Firenze, i comuni dei territori interessati e l'Associazione produttori caravan e camper (Apc), le imprese, le organizzazioni sindacali, che sta ulteriormente lavorando per affinare il funzionamento del distretto e per chiedere al Ministero dello sviluppo economico il riconoscimento formale di questo ambito quale «distretto del camper italiano»;
   il riconoscimento del «distretto italiano della camperistica» è già stato oggetto di atti di sindacato ispettivo nella XVI Legislatura ed in particolare di una risoluzione in Commissione Attività Produttive sottoscritta da più parti politiche, della Camera dei deputati la cui discussione era già stata avviata e non conclusa anche a causa delle elezioni anticipate;
   presso il Ministero dello sviluppo economico si sono svolti, durante la XVI legislatura, incontri relativi ai problemi ed allo sviluppo della camperistica, a cui hanno preso parte oltre alle istituzioni e ai soggetti interessati sul territorio, anche rappresentanti del dicastero del turismo e delle infrastrutture e dell'istituto del commercio estero;
   il Governo ha accolto come raccomandazione, il giorno 25 luglio 2013, un ordine del giorno al «Decreto del Fare» (numero 9/1248-AR/34 a prima firma del deputato Susanna Cenni) che lo impegna a valutare la possibilità di inserire, nei prossimi provvedimenti, iniziative urgenti utili anche a rilanciare con efficacia il comparto della camperistica italiana sostenendo concretamente le azioni, i progetti ed i finanziamenti già assunti dalle istituzioni territoriali (esposti in premessa). Nello specifico:
    norme finalizzate ad incentivare la ricerca e l'innovazione di prodotto nella camperistica, per tutelare i siti produttivi ed i livelli occupazionali, per far crescere il fatturato, la produzione e la capacità di competere sul mercato;
    norme a sostegno all'export ed in particolare per favorire l'accesso al credito delle aziende per le commesse destinate ai paesi esteri, dal momento che quasi il 60 per cento della produzione italiana di caravan è destinata ai mercati internazionali;
    norme ed agevolazioni fiscali nei confronti delle famiglie con soggetti disabili che usufruiscono del camper;
    la possibilità di modificare il Codice della Strada per introdurre l'innalzamento della guidabilità, per la patente «B», dei camper da 3,5 a 3,7 tonnellate;
    la promozione della realizzazione di una efficace e moderna rete di strutture atte alla fruibilità del turismo all'aria aperta;
    a riprendere, attraverso un tavolo con la regione Toscana, le province di Siena e Firenze ed i Comuni interessati, un lavoro organico teso al rilancio del comparto, alla sua innovazione, all'ipotesi o riconoscimento del distretto in oggetto quale produttore del Camper italiano per eccellenza –:
   quali iniziative urgenti intende intraprendere per far fronte agli impegni sopra richiamati, per supportare con efficacia il comparto della camperistica italiana sostenendo concretamente le azioni, i progetti ed i finanziamenti già assunti dalle istituzioni territoriali, coerentemente con quanto espresso in premessa ed in particolare con i contenuti dell'ordine del giorno numero 9/1248-AR/34; (4-02909)

  Risposta. — Il periodo di crisi che, a livello mondiale, ma in maniera più intensa per il nostro continente, caratterizza i mercati ormai da qualche anno ha determinato una flessione della domanda di tutti i beni durevoli, in particolare di autoveicoli.
  Con riferimento al settore specifico dei cosiddetti veicoli ricreazionali (camper e caravan, questi ultimi rimorchiabili), il prolungarsi della crisi economica ha continuato a influenzare negativamente l'andamento dell'industria autocaravan in Italia, in linea con quanto accaduto nel settore caravanning dei principali Paesi europei e nel comparto automotive in Italia.
  Se, infatti, nel 2011 il mercato auto ha registrato un –10,8 per cento, secondo quanto comunicato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il 2012 si è concluso con una contrazione delle immatricolazioni del 20 per cento; analogamente il comparto dei veicoli a due ruote a motore ha registrato una flessione del 19 per cento rispetto al 2011.
  Il mercato autocaravan nel 2012 registra in Italia un calo del 32,659 rispetto al 2011, decremento su cui pesano la difficile congiuntura recessiva, la riduzione del potere di acquisto delle famiglie, la difficoltà di accesso al credito al consumo e l'incremento dei prezzi del carburante.
  In questo scenario, le aziende italiane hanno reagito con una spinta verso le esportazioni: il Made in Italy continua infatti a registrare interesse all'estero, come testimonia la quota export delle autocaravan che, pur risentendo di un trend deflattivo conseguente al perdurare della crisi, nel 2012 si attesta al 74,4 per cento della produzione, contro il 62,3 per cento nel 2011 e il 55,4 per cento nel 2010.
  A livello europeo, il comparto dei veicoli ricreazionali registra un calo più contenuto (-6 per cento rispetto al 2011), con decrementi che si attestano al –2 per cento per gli autocaravan e al –9,7 per cento) per i caravan. A partire dal 2011 si rileva un sensibile incremento della quota di mercato camper sul totale dei veicoli ricreazionali, con il numero di camper immatricolati che raggiunge i volumi delle caravan, a testimonianza di un cambiamento nelle abitudini di viaggio, verso veicoli più compatti e stili di viaggio più dinamico.
  Ciò premesso, in merito alle misure contenute nell'ordine del giorno n. 9/1248-AR/34, accolto dal Governo il 25 luglio 2013 per il rilancio del settore cameristico, si evidenzia che il 24 ottobre 2013 si è insediata, presso il Ministero dello sviluppo economico, la consulta nazionale per l'automotive, composta dai principali attori della filiera automobilistica e dalle Istituzioni (oltre al Ministero dello sviluppo economico, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, e Conferenza unificata Stato-Regioni) con l'obiettivo di individuare possibili linee di intervento per la ripresa dell'intero settore automotive, compreso quindi anche il comparto della camperistica, duramente colpito dalla crisi e di particolare rilevanza per l'economia italiana.
  Nell'incontro è stata espressa la volontà comune di collaborare per individuare le più opportune soluzioni per il rilancio dell'intero comparto automotive, anche attraverso la promozione della ricerca e dell'innovazione ed il sostegno all'export.
  In tale contesto potranno essere valutate soluzioni specifiche per il settore della camperistica.
  Per quanto concerne, infine la possibilità di modificare il codice della strada per introdurre l'innalzamento della guidabilità per la patente B dei camper da 3,5 a 3,7 tonnellate, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha precisato che la normativa concernente la patente di guida e, quindi anche i limiti di ogni singola categoria, si uniforma alla direttiva 2006/126/CE). Tale normativa stabilisce che con la patente di guida di categoria B è possibile condurre «autoveicoli la cui massa massima autorizzata non supera i 3500 chilogrammi e progettati e costruiti per il trasporto di non più di otto persone oltre il conducente». Di conseguenza, attualmente, non è ammissibile un provvedimento legislativo che, in Italia, modifichi unilateralmente i limiti stabiliti dalla citata normativa comunitaria.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   CENSORE, D'ATTORRE e STUMPO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il tribunale di Vibo Valentia si trova in una provincia ad alta densità mafiosa ed il numero dei reati è in continuo aumento;
   al tribunale di Vibo Valentia sono in corso importanti procedimenti penali contro le più forti consorterie mafiose locali che operano a livello internazionale;
   oltre ai già citati provvedimenti ci sono in corso un numero elevato, oltre la media nazionale, di cause penali soprattutto per quanto riguarda il settore ambientale ed un numero elevato di procedimenti civili;
   ad oggi si registra una pesante carenza di organico determinata da recenti trasferimenti disposti dal Consiglio Superiore della Magistratura in conseguenza dei quali il tribunale di Vibo Valentia registra una scopertura di organico pari al 60 per cento, su 15 giudici solo 6 sono in servizio di cui 2 sono destinati all'ufficio gup-gip, compito dal quale non è possibile distoglierli (dovendo gestire le richieste e le iniziative della procura), scopertura tale quindi da creare una sostanziale impossibilità di rendere un servizio efficiente ai cittadini in concomitanza all'istruttoria di numerosi e gravi procedimenti relativi a fatti di criminalità –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione descritta in premessa circa le condizioni di carenza di organico del tribunale di Vibo Valentia;
   se non sia il caso che il Governo intraprenda, per quanto di competenza, una serie di iniziative urgenti per far fronte ad una situazione drammatica che rende impossibile riuscire a fornire alla comunità un servizio giudiziario minimamente accettabile. (4-00375)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, deve premettersi che l'organico dei magistrati togati del tribunale di Vibo Valentia (composto, oltre che dal presidente del tribunale, da un presidente di sezione e da 17 giudici, due dei quali con funzione di giudice del lavoro) presenta, allo stato, una vacanza di 10 posti.
  Ciò detto, otto delle suddette vacanze verranno coperte da altrettanti magistrati nominati con decreto ministeriale 8 giugno 2012 e un ulteriore posto vacante è stato pubblicato con delibera del Consiglio superiore della magistratura del 25 settembre 2013. Pertanto, una sola vacanza è ancora priva di copertura, in quanto non assegnata a magistrati ordinari in tirocinio, né pubblicata a cura del Consiglio superiore della magistratura. In tale contesto, deve aggiungersi che, a seguito del trasferimento della dott.ssa Nadia Zampogna dal tribunale di Vibo Valentia al tribunale di Napoli (disposto con decreto ministeriale 16 settembre 2013 e in corso di perfezionamento), il Ministero ha respinto la richiesta di anticipato possesso avanzata dall'ufficio campano (rispetto alla quale sia la Corte di Appello di Catanzaro che il tribunale di Vibo Valentia hanno già espresso parere contrario), proprio alla luce delle condizioni di scopertura organica del tribunale calabrese.
  Infatti, la competente Direzione generale del Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, pur dovendo dare attuazione ai trasferimenti dei magistrati in uscita dal tribunale di Vibo Valentia disposti dal Consiglio superiore della magistratura, presta ogni possibile cura nel posticipare nella misura massima le immissioni in possesso dei detti magistrati trasferiti ad altra sede, stimolando al contempo l'utilizzo dell'istituto dell'applicazione distrettuale allo scopo di sopperire, per quanto possibile, alle carenze di organico a mano a mano prodottesi nei periodi antecedenti l'assegnazione (deliberata dal Consiglio superiore della magistratura 9 maggio 2013) degli otto magistrati ordinari in tirocinio sopra citati.
Il Ministro della giustiziaAnnamaria Cancellieri.


   CHAOUKI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a Roma sulla base di un'operazione, voluta in primis dal comune, sul quale ricade l'onere dell'accoglienza e soprattutto il dovere di tutela ai minori senza famiglia, si sta mettendo in campo una sorta di censimento-accertamento, per mezzo di controlli forzosi, di moltissimi giovanissimi stranieri, a fronte di un oggettivo abbassamento dell'età dei nuovi flussi migratori, in particolare provenienti dal Bangladesh;
   si tratta di un fenomeno che andrebbe, ovviamente, studiato e affrontato adeguatamente, che registra la presenza di nuovi giovanissimi migranti per i quali Roma non è più città di transito, come nel caso dei minori afghani o iraniani, che da anni transitano in città senza che il comune o le autorità se ne siano occupati in alcun modo, ma per i quali la capitale pare diventata la meta finale;
   in particolare, l'interrogante segnala il caso di tre giovanissimi ragazzi bengalesi, precedentemente portati al Celio per l'accertamento dell'età in seguito ad una visita piuttosto invasiva, che sono stati prelevati dal centro di accoglienza San Michele e, in quanto giudicati maggiorenni resi destinatari di un decreto di espulsione, accompagnati direttamente al Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria per non aver ottemperato all'obbligo di recarsi all'ufficio operativo dove avrebbero dovuto prelevare il foglio di via: i tre, visibilmente molto giovani anche agli occhi del personale del Centro di identificazione ed espulsione, sono stati sottoposti ad una nuova visita presso l'ambulatorio del centro;
   per uno solo di loro la minore età è stata immediatamente accertata e dichiarata, ma il minore ha comunque trascorso la notte nel Centro di identificazione ed espulsione, nella sezione maschile, dal quale è potuto uscire e fare ritorno al centro solo la mattina seguente;
   per gli altri due invece l'attesa è stata più lunga: in seguito alle pressioni esercitate dalle associazioni e, probabilmente in virtù dei dubbi ancora legati alla loro età anagrafica, i due ragazzi hanno trascorso la notte di venerdì nella sezione femminile, in una stanza a parte, e sono stati fatti uscire solo nel pomeriggio di sabato;
   i ragazzi erano già stati tradotti al Centro di identificazione ed espulsione a fine di marzo dalla polizia locale di Roma Capitale per essere poi riaffidati, data la visibile giovanissima età, al centro per minori che li aveva in carico e il 13 maggio 2013 i due ragazzini sono stati tuttavia riconvocati dagli uffici comunali e poi ricondotti al Centro di identificazione ed espulsione, dove si trovano attualmente in condizioni di vulnerabilità estrema. Alla base di quello che l'interrogante considera un vero accanimento, vi sarebbe un provvedimento del giudice tutelare di Roma a seguito di una comunicazione della polizia di Roma Capitale: intanto lo stesso giudice tutelare ha disposto la sospensione o la revoca di tutte le tutele per minore età, gettando nella paura gli oltre mille ragazzi accolti nei centri: si è trattato, come ha rilevato l'ASGI, di un decreto «che espressamente si rivolge ai minori di origine bengalese e stabilisce che dovranno considerarsi maggiorenni tutti i ragazzi che si rifiutano di sottoporsi a una seconda visita di accertamento dell'età»;
   tutto ciò accade mentre il mondo intero guarda con preoccupazione alla gravissima emergenza umanitaria e sociale in corso in Bangladesh, e a pochissimi giorni dalle elezioni a Roma: un'amministrazione uscente che sembra accanirsi fino all'ultimo con una delle comunità straniere più radicate in città;
   i controlli sommari del comune sono infatti ripartiti proprio in questi giorni, dopo una pausa di qualche settimana e tantissimi ragazzi continuano ad allontanarsi spaventati dai centri, sprofondando nella clandestinità;
   i legali dell'Asgi segnalano che si tratta di un controllo a tappeto a partire dagli ultimi arrivi per andare a ritroso nel tempo fino agli arrivi della cosiddetta emergenza nord Africa, ma la procedura è di carattere amministrativo, dunque non c’è un ordine individuale da parte della magistratura, che diventa penale solo successivamente, quando l'ospite, dichiarato maggiorenne, oltre al decreto di espulsione viene accusato di reati pesantissimi –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei gravi fatti suesposti, e se non ritenga, per quanto di competenza, di dover far luce sulle procedure messe in atto nei confronti dei giovani bengalesi, nonché quali iniziative urgenti intenda mettere in atto per intervenire, anche sotto il profilo normativo, su una situazione che coinvolge minori, della cui tutela e protezione è direttamente responsabile lo Stato italiano nelle sue varie articolazioni. (4-00594)

  Risposta.   Il 28 marzo 2013 il personale della polizia di Roma Capitale ha accompagnato presso la locale questura tre cittadini bangladesi privi di documenti di identità, i quali hanno esibito un certificato di nascita dichiarandosi minori. I tre stranieri sono stati condotti presso l'ospedale Fatebenefratelli per essere sottoposti a una visita medica che ne ha accertato la minore età e, di conseguenza, sono stati collocati presso un centro di accoglienza per minori gestito dal comune di Roma.
  Al fine di contrastare il fenomeno dei falsi minori, il dipartimento per le politiche sociali del comune di Roma ha istituito un'apposita commissione medica per la valutazione presuntiva dell'età, con sede presso l'ospedale militare Celio. Nella stessa giornata, quindi, i tre stranieri sono stati accompagnati presso tale commissione che, in seguito ad accertamenti radiografici, ha attribuito loro un'età presunta di 19 anni. Pertanto, sono stati denunciati all'autorità giudiziaria per i reati di cui agli articoli 495 e 640 del codice penale (falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sull'identità o su qualità proprie o altrui e truffa), sono stati accompagnati all'ufficio immigrazione e, successivamente, presso il Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria.
  Il giorno seguente, in seguito alla richiesta – da parte del medico di turno del Centro di identificazione ed espulsione – di una conferma della loro maggiore età, i cittadini bangladesi sono stati sottoposti a un'ulteriore visita medica: per due di loro il policlinico Casilino ha certificato l'età presunta di 18 anni, mentre l'ospedale Grassi di Ostia ha certificato la minore età per uno dei tre. Quest'ultimo è stato dunque riaffidato al centro di accoglienza San Michele, mentre nei confronti dei suoi connazionali è stato emesso un provvedimento di espulsione con l'ordine di trattenimento presso il Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria. In sede di udienza di convalida del trattenimento, però, il successivo 30 marzo, il giudice di pace non ha ravvisato elementi di certezza circa l'effettivo compimento della maggiore età, perciò anche gli altri due stranieri sono stati riaccompagnati presso il centro di accoglienza San Michele.
  Successivamente, il giudice tutelare ha confermato la maggiore età dei tre cittadini bangladesi, sulla base del parere già espresso dalla commissione medica. Di conseguenza, il 13 maggio 2013 sono stati riaccompagnati presso l'ufficio immigrazione, con esclusione di uno di essi, che si era già allontanato volontariamente dal centro di accoglienza. Nei loro confronti è stato emesso un nuovo provvedimento di espulsione, con relativo trattenimento presso il di Ponte Galeria, dove sono rimasti fino all'8 giugno scorso, data in cui il giudice di pace non ha convalidato la proroga del trattenimento e, pertanto, i due cittadini stranieri sono stati dimessi dalla struttura.
  La vicenda – che ha avuto ampio risalto sulla stampa – è oggetto di due distinti procedimenti penali che riguardano la presenza sul territorio capitolino di numerosi ragazzi dichiaratisi minorenni, sulla base di certificati di nascita apparentemente rilasciati dalle autorità del loro paese d'origine, e successivamente riconosciuti come maggiorenni. In molti casi, infatti, dai riscontri fotodattiloscopici è emerso che alcuni stranieri ospitati presso i centri per minori risultavano essere già stati fotosegnalati come maggiorenni con generalità diverse. Tali criticità – emerse in particolare nella fase dell'emergenza Nord Africa, che ha determinato un significativo incremento della presenza di minori stranieri non accompagnati nel territorio capitolino – hanno reso necessari gli accertamenti effettuati sui minori, che sono stati disposti direttamente dal comune di Roma.
  Più in generale, le procedure relative al sistema di accoglienza e protezione dei minori stranieri non accompagnati rintracciati sul territorio nazionale sono state definite in occasione della chiusura dello stato di emergenza umanitaria connesso alla crisi in Nord Africa, e in seguito al rientro delle amministrazioni competenti nella gestione ordinaria (con circolare congiunta del Ministero dell'interno e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 24 aprile 2013). In particolare, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è competente per i minori stranieri non accompagnati, cioè coloro che non hanno presentato domanda di asilo, mentre il Ministero dell'interno è competente esclusivamente per i minori stranieri non accompagnati richiedenti asilo.
  Nel caso in cui la presenza di un minore straniero non accompagnato venga rilevata sul territorio nazionale, la procedura ordinaria prevede il suo collocamento in una struttura di accoglienza autorizzata o accreditata e la sua presa in carico da parte dei servizi sociali del comune nel cui territorio la struttura è presente. Inoltre, viene data immediata segnalazione al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che aggiorna l'apposito censimento della presenza dei minori stranieri non accompagnati sul territorio nazionale, con cadenza almeno trimestrale.
  La copertura dei relativi oneri è a carico del fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Per l'anno 2012, la dotazione di tale fondo ammonta a 5 milioni di euro, che sono stati ripartiti tra i comuni che hanno sostenuto costi per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati entrati nel territorio nazionale e segnalati nei primi nove mesi del 2012, con esclusione dei minori per i quali gli oneri dell'accoglienza sono imputabili all'emergenza Nord Africa. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha richiesto un'analoga copertura finanziaria anche per l'anno 2013 e, d'intesa con le regioni, ha previsto la destinazione di una quota del Fondo nazionale per le politiche sociali alle finalità dell'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati. Inoltre, il 9 ottobre 2013, il governo ha incrementato di 20 milioni di euro il fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati.
  Per quanto riguarda i minori stranieri non accompagnati richiedenti asilo, il Ministero dell'interno, d'intesa con il Ministero della giustizia, ha destinato la somma di 5 milioni di euro ai rimborsi che possono essere richiesti dagli enti locali delle spese sostenute durante il 2013 per l'accoglienza del minore straniero non accompagnato richiedente asilo, solo dalla formalizzazione della domanda di asilo e sino all'inserimento nelle strutture dello Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). Infine, con decreto del Ministro dell'interno del 30 luglio 2013, la capacità di accoglienza dello Sprar è stata ampliata a 16.000 posti per/il triennio 2014/2016.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   CIPRINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Selex Electronic Systems è stata costituita dal 1° gennaio 2013 ed è frutto di una importante riorganizzazione aziendale per fusione tra le società Selex Galileo, Selex Elsag e Selex Sistemi Integrati (gruppo Finmeccanica). La società Selex è una delle società leader nel settore della tecnologia e della ricerca e occupa in Italia dal 1° gennaio 2013 circa 10.784 dipendenti;
   è noto al Governo che la Selex ES, secondo il piano di riorganizzazione aziendale, prevede oltre 2.500 esuberi, di cui 1.938 in Italia, nonché il ridimensionamento dei siti italiani; i tagli prospettati sono fonte di preoccupazione non solo per i lavoratori attualmente occupati e le parti sociali ma anche per le conseguenze che comporta il futuro di una realtà all'avanguardia e strategica per l'economia locale e nazionale;
   la società Selex, a fronte di esuberi strutturali, ha proposto il ricorso allo strumento della cassa integrazione guadagni straordinaria per i 10.784 lavoratori. Tutti i siti della Selex Italia sembrano interessati e coinvolti da tale ridimensionamento: Toscana, Lazio, Campania, Liguria e Lombardia. Il giorno 11 giugno 2013 si è svolto lo sciopero dichiarato da Fim, Fiom e Uilm che ha visto, secondo i dati del sindacato, una massiccia partecipazione dei lavoratori. I sindacati hanno aperto trattative con l'azienda per gestire gli esuberi con le forme dei contratti di solidarietà;
   il lavoro e l'occupazione rappresentano nel programma di Governo «la priorità» e senza di esso il Paese rischia di affondare;
   il gruppo Finmeccanica (con circa 40.000 dipendenti) è uno dei pochi gruppi industriali italiani in grado di competere nel mondo dei settori avanzati dell'alta tecnologia, della ricerca e dello sviluppo, quelli che possono ancora creare occupazione. Il Ministero dell'economia e delle finanze, è inoltre l'azionista di riferimento di Finmeccanica, gruppo «strategico» (di cui fa parte Selex) che ha incentrato la propria forza proprio sull'innovazione tecnologica e sul collegamento tra mondo del lavoro e ricerca –:
   se i Ministri, ciascuno per le proprie competenze, conoscano i dati dei lavoratori interessati dagli esuberi e il piano di riorganizzazione aziendale della Selex;
   se i Ministri intendano assumere iniziative e quali a tutela dell'occupazione e degli effetti sociali degli annunciati esuberi;
   quali iniziative urgenti i Ministri intendano assumere per promuovere il dialogo con le parti sociali allo scopo di predisporre un piano industriale credibile per salvaguardare la produzione e i livelli occupazionali del gruppo;
   se i Ministri, ciascuno per le proprie competenze, abbiano predisposto una strategia per gestire la situazione e quali impegni intendano assumere per lo sviluppo del gruppo. (4-00935)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame concernente la riorganizzazione aziendale della Selex electronic systems (Selex ES) e la salvaguardia dei livelli produttivi e occupazionali dell'azienda.
  In proposito, acquisiti elementi di conoscenza presso la direzione territoriale del lavoro (Dtl) competente per territorio nonché presso gli uffici centrali di questo Ministero e il Ministero dello sviluppo economico, si rappresenta quanto segue.
  La società Selex Es, acronimo di Selex electronic system, costituita il 1° gennaio 2013 attraverso la fusione per incorporazione di Selex sistemi integrati, Selex Elsag e Selex Galileo, opera nel settore dell'elettronica per la difesa e sicurezza, e risulta avere in organico n. 10532 unità lavorative, occupate presso 48 sedi dislocate sul territorio nazionale.
  In data 27 giugno 2013 la società Selex ES e le società controllate, assistite da Unindustria-Confindustria Roma e dalle aziende meccaniche meccatroniche associate di Torino, hanno sottoscritto con le organizzazioni sindacali un accordo quadro inerente il piano industriale che si svilupperà nel quinquennio 2013/2017, finalizzato al raggiungimento dell'obiettivo di maggior competitività fondato sul mantenimento del know out aziendale e sul consolidamento delle attuali strutture aziendali in grado di assicurare la continuità aziendale.
  Il piano prevede l'ottimizzazione dell'ingegneria e della produzione, l'efficientamento degli acquisti nonché il contenimento di tutte le voci di costo aziendale e il dimensionamento dei siti da 48 a 26 mediante un'operazione di concentrazione di attività e risorse.
  Il piano quinquennale prevede, altresì, un investimento complessivo pari ad un miliardo di euro e la riduzione degli organici aziendali nella misura di n. 1098 di risorse indirette e di n. 840 dirette.
  Per quanto riguarda la riduzione del personale, in data 22 luglio 2013, presso la direzione generale delle relazioni industriali e dei rapporti di lavoro di questo Ministero, alla presenza, altresì, di rappresentanti della regione Lombardia e della regione Lazio, la Selex ES ha sottoscritto con tutte le organizzazioni sindacali quattro accordi di cui:
   due riguardano la cassa integrazione guadagni straordinaria per riorganizzazione aziendale della durata di 24 mesi a decorrere dal 2 settembre 2013 per un numero massimo di 500 lavoratori che verranno sospesi a zero ore e senza rotazione. Nell'ambito di tali accordi, le parti hanno concordato l'attivazione di percorsi di formazione e riqualificazione in favore dei lavoratori sospesi, in misura non inferiore al 30 per cento del personale coinvolto dalla Cigs, finalizzati alla valorizzazione del livello tecnico professionale delle risorse umane e all'esigenza di sostenere con adeguati strumenti il cambiamento organizzativo. Le parti hanno, altresì, previsto di attivare procedure di licenziamento collettivo secondo il requisito della non opposizione e finalizzate alla ricollocazione esterna, ad iniziative di auto imprenditorialità ed al raggiungimento dei requisiti pensionistici;
   altri due prevedono il ricorso alla stipula di un contratto di contratto di solidarietà di tipo difensivo della durata di 24 mesi con decorrenza 5 agosto 2013 che coinvolgerà n. 9104 unità, al fine di evitare esuberi strutturali di 1.010 lavoratori.

  Nell'ambito del contratto di solidarietà si è concordata una riduzione dell'orario di lavoro individuale mensile con media settimanale nella misura massima del 10 per cento per 11 mesi e del 25 per cento per 1 mese l'anno. Sono esclusi dalla riduzione dell'orario di lavoro i dipendenti interessati alla Cigs, alla mobilità ordinaria e il personale con contratto a tempo parziale.
  Inoltre, la Selex ES si è impegnata ad anticipare ai lavoratori il trattamento economico previsto sia per la Cigs che per il contratto di solidarietà.
  Si informa, infine, che il management di Selex e i sindacati, d'intesa con il Governo, si sono impegnati nell'individuare scelte di politica industriale nel settore dell'elettronica, della sicurezza e della difesa finalizzate alla crescita dell'azienda e nel perseguire una politica di nuovi investimenti in innovazione e sviluppo, possibili anche in seguito ai risparmi derivanti dalla riorganizzazione.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiCarlo Dell'Aringa.


   COSTANTINO, PILOZZI, DURANTI, KRONBICHLER, PELLEGRINO e PIAZZONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è notizia di questi giorni che, a Roma, tre minorenni stranieri non accompagnati, dopo essere stati mandati via dal centro di accoglienza, abbandonati in strada senza soldi e «scambiati» per maggiorenni, sarebbero stati condotti al centro di identificazione ed espulsione (CIE) di Ponte Galeria, salvo poi scoprire, dopo accertamenti medici cui sarebbero stati invitati a sottoporsi, che si trattava effettivamente di minori;
   l'operazione sarebbe partita nelle ultime tre settimane, a Roma: l'unità operativa di sicurezza pubblica della polizia locale di Roma Capitale (la stessa impiegata per gli sgomberi nei campi rom) è stata inviata infatti ad eseguire ispezioni nei centri di accoglienza, e circa una quarantina di ragazzi stranieri, senza alcuna autorizzazione da parte della magistratura, e dunque senza alcuna garanzia processuale, sono stati invitati a presentarsi all'ospedale militare del Celio dove un’equipe specializzata li ha sottoposti a una visita, un'ennesima visita, per accertare la loro età. Trattasi di una seconda visita, peraltro molto invasiva, in quanto le persone che si trovano nei centri di accoglienza sono già state dichiarate minori da una struttura ospedaliera pubblica;
   tali controlli sanitari, e «di massa», disposti su minori stranieri non accompagnati ad avviso degli interroganti non possono che essere assolutamente illegittimi: il comune non ha alcuna autorità per disporli, in quanto, come noto, solo un magistrato può disporre una simile verifica e, peraltro, nell'ambito di un procedimento penale a carico di singole persone; certamente non è, quindi, consentito sottoporre una persona a visite mediche nel contesto di una mera procedura amministrativa;
   se le procedure per l'accertamento dell'età sono disciplinate dettagliatamente dalla normativa italiana solo con riferimento ai minori sottoposti a procedimento penale (decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988, articolo 8) e ai minori richiedenti protezione internazionale (decreto legislativo n. 25 del 2008, articolo 19), e non in specifico riguardo ai minori che non rientrino in tali fattispecie, tuttavia, alcune imprescindibili indicazioni relative ai diritti degli stessi sono già contenute nella circolare del Ministero dell'interno prot. 17272/7;
   tale circolare risulta ad oggi largamente inapplicata;
   peraltro, l'unico effetto ottenuto finora dall'operazione avviata dal comune di Roma è che alcuni minori stranieri, avendo saputo di tali controlli, a giudizio degli interroganti illegittimi, sono scappati dai centri di accoglienza, entrando nel circuito della clandestinità, mettendo quindi a repentaglio i loro diritti e la loro condizione di minori senza riferimenti familiari;
   forte è poi il dubbio che dietro una simile operazione vi sia una questione meramente economica: ad oggi, infatti, a Roma, si trovano circa 2.800 minori stranieri non accompagnati, molti dei quali giunti sull'onda della cosiddetta «emergenza Nord Africa» e per legge, il comune nel quale i ragazzi vengono identificati è tenuto alla loro accoglienza e protezione, garantendo loro tutti i diritti sanciti dalla convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989;
   in una comunicazione inviata dal sindaco di Roma, a fine febbraio 2013, al Ministro dell'interno, sarebbe riportato che «questi ragazzi hanno comportato una spesa straordinaria nel 2012 di quasi 20 milioni», risorse che dovrebbero ancora essere rimborsate dal Governo;
   non si può sottolineare che già nel 2009 il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali ha redatto un «protocollo per l'accertamento dell'età dei minori secondo il modello dell'approccio multidimensionale» (cosiddetto protocollo Ascone), in cui sono stabiliti fondamentali principi e garanzie riguardo alle relative procedure che seppur non ancora formalmente adottato, rappresenta un importante riferimento per la comunità scientifica e per le istituzioni, al fine di tutelare i diritti dei minori;
   nelle more dell'adozione di specifici provvedimenti per l'identificazione dei minori stranieri non accompagnati e di accertamento della loro età è in ogni caso imprescindibile rispettare una procedura basata su garanzie e rispetto degli stessi:
    a) l'accertamento dell'età attraverso esami medici può essere effettuato, su disposizione dell'autorità giudiziaria, solo ove sussistano fondati dubbi sulla minore età e ove non sia possibile ottenere prove documentali a riguardo;
    b) fino a quando non siano disponibili i risultati di tali accertamenti, la minore età deve essere presunta e, dunque, si devono applicare le norme in materia di protezione dei minori; il minore deve essere informato della possibilità che la sua età possa essere determinata attraverso visita medica e sulle sue conseguenze;
    c) l'accertamento medico può essere effettuato solo previo consenso informato del minore stesso o del suo rappresentante legale;
    d) l'accertamento dell'età deve essere effettuato in strutture pubbliche, da professionisti: a) indipendenti, il cui ruolo non sia in conflitto di interessi rispetto al minore; b) dotati di adeguata expertise e formazione sulle metodologie per l'accertamento dell'età (preferibilmente pediatri); c) consapevoli delle specificità relative all'origine etnica e culturale del minore;
    e) l'accertamento dell'età deve essere effettuato attraverso i metodi meno invasivi possibili, rispettando la dignità del minore e con modalità adeguate rispetto al genere. Deve essere adottato un approccio multidisciplinare, che tenga in considerazione lo sviluppo fisico e psico-sociale del minore. Sul referto deve essere sempre indicato il margine di errore relativo alla metodologia utilizzata;
    f) qualora anche dopo la perizia, tenendo in considerazione tale margine di errore, permangano dubbi circa la minore età dell'interessato, questa è presunta ad ogni effetto, come previsto in ambito penale dall'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988. Il risultato delle procedure di accertamento dell'età deve essere comunicato per scritto all'interessato, in una lingua a lui comprensibile, e con l'indicazione delle modalità per la presentazione del ricorso –:
   di quali informazioni disponga il Ministro sulla vicenda esposta in premessa e, in particolare, sulle ispezioni, ad avviso degli interroganti assolutamente illegittime, che sarebbero state avviate nei centri di accoglienza nel comune di Roma;
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere perché operazioni, come quella di cui in premessa, secondo gli interroganti, assolutamente ingiustificate ed illegittime, non si verifichino mai più;
   se non ritenga urgente garantire il rispetto di quanto stabilito nella circolare prot. 17272/7, rimasta largamente inapplicata, nonché più in generale il rispetto dei diritti e delle garanzie nelle procedure per l'identificazione e l'accertamento dell'età dei minori stranieri, in ossequio agli obblighi costituzionali, internazionali e comunitari del nostro Paese e in conformità con le raccomandazioni elaborate a livello internazionale in materia, attraverso una apposita iniziativa normativa che attenga anche ai minori stranieri non accompagnati. (4-00255)

  Risposta. — Il 28 marzo 2013 il personale della polizia di Roma Capitale ha accompagnato presso la locale questura tre cittadini bangladesi privi di documenti di identità, i quali hanno esibito un certificato di nascita dichiarandosi minori. I tre stranieri sono stati condotti presso l'ospedale Fatebenefratelli per essere sottoposti a una visita medica che ne ha accertato la minore età e, di conseguenza, sono stati collocati presso un centro di accoglienza per minori gestito dal comune di Roma.
  Al fine di contrastare il fenomeno dei falsi minori, il dipartimento per le politiche sociali del comune di Roma ha istituito un'apposita Commissione medica per la valutazione presuntiva dell'età, con sede presso l'ospedale militare Celio. Nella stessa giornata, quindi, i tre stranieri sono stati accompagnati presso tale commissione che, in seguito ad accertamenti radiografici, ha attribuito loro un'età presunta di 19 anni. Pertanto, sono stati denunciati all'autorità giudiziaria per i reati di cui agli articoli 495 e 640 del codice penale (falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sull'identità o su qualità proprie o altrui e truffa), sono stati accompagnati all'ufficio immigrazione e, successivamente, presso Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria.
  Il giorno seguente, in seguito alla richiesta – da parte del medico di turno del Centro di identificazione ed espulsione – di una conferma della loro maggiore età, i cittadini bangladesi sono stati sottoposti a un'ulteriore visita medica: per due di loro il policlinico Casilino ha certificato l'età presunta di 18 anni, mentre l'ospedale Grassi di Ostia ha certificato la minore età per uno dei tre. Quest'ultimo è stato dunque riaffidato al centro di accoglienza San Michele, mentre nei confronti dei suoi connazionali è stato emesso un provvedimento di espulsione con l'ordine di trattenimento presso il Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria. In sede di udienza di convalida del trattenimento, però, il successivo 30 marzo, il giudice di pace non ha ravvisato elementi di certezza circa l'effettivo compimento della maggiore età, perciò anche gli altri due stranieri sono stati riaccompagnati presso il centro di accoglienza San Michele.
  Successivamente, il giudice tutelare ha confermato la maggiore età dei tre cittadini bangladesi, sulla base del parere già espresso dalla commissione medica. Di conseguenza, il 13 maggio scorso, sono stati riaccompagnati presso l'ufficio immigrazione, con esclusione di uno di essi, che si era già allontanato volontariamente dal centro di accoglienza. Nei loro confronti è stato emesso un nuovo provvedimento di espulsione, con relativo trattenimento presso il Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria, dove sono rimasti fino all'8 giugno scorso, data in cui il giudice di pace non ha convalidato la proroga del trattenimento e, pertanto, i due cittadini stranieri sono stati dimessi dalla struttura.
  La vicenda – che ha avuto ampio risalto sulla stampa – è oggetto di due distinti procedimenti penali che riguardano la presenza sul territorio capitolino di numerosi ragazzi dichiaratisi minorenni, sulla base di certificati di nascita apparentemente rilasciati dalle autorità del loro Paese d'origine, e successivamente riconosciuti come maggiorenni. In molti casi, infatti, dai riscontri fotodattiloscopici è emerso che alcuni stranieri ospitati presso i centri per minori risultavano essere già stati fotosegnalati come maggiorenni con generalità diverse. Tali criticità – emerse in particolare nella fase dell'emergenza Nord Africa, che ha determinato un significativo incremento della presenza di minori stranieri non accompagnati nel territorio capitolino – hanno reso necessari gli accertamenti effettuati sui minori, che sono stati disposti direttamente dal comune di Roma.
  Più in generale, le procedure relative al sistema di accoglienza e protezione dei minori stranieri non accompagnati rintracciati sul territorio nazionale sono state definite in occasione della chiusura dello stato di emergenza umanitaria connesso alla crisi in Nord Africa, e in seguito al rientro delle amministrazioni competenti nella gestione ordinaria (con circolare congiunta del Ministero dell'interno e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 24 aprile 2013). In particolare, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è competente per i minori stranieri non accompagnati, cioè coloro che non hanno presentato domanda di asilo, mentre il Ministero dell'interno è competente esclusivamente per i minori stranieri non accompagnati richiedenti asilo.
  Nel caso in cui la presenza di un minore straniero non accompagnato venga rilevata sul territorio nazionale, la procedura ordinaria prevede il suo collocamento in una struttura di accoglienza autorizzata o accreditata e la sua presa in carico da parte dei servizi sociali del comune nel cui territorio la struttura è presente. Inoltre, viene data immediata segnalazione al Ministero del lavoro, che aggiorna l'apposito il censimento della presenza dei minori stranieri non accompagnati sul territorio nazionale, con cadenza almeno trimestrale.
  La copertura dei relativi oneri è a carico del fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Per l'anno 2012, la dotazione di tale fondo ammonta a 5 milioni di euro, che sono stati ripartiti tra i comuni che hanno sostenuto costi per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati entrati nel territorio nazionale e segnalati nei primi nove mesi del 2012, con esclusione dei minori per i quali gli oneri dell'accoglienza sono imputabili all'emergenza Nord Africa. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha richiesto un'analoga copertura finanziaria anche per l'anno 2013 e, d'intesa con le Regioni, ha previsto la destinazione di una quota del Fondo nazionale per le politiche sociali alle finalità dell'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati. Inoltre, il 9 ottobre 2013, il Governo ha incrementato di 20 milioni di euro il Fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati.
   Per quanto riguarda i minori stranieri non accompagnati richiedenti asilo, il Ministero dell'interno, d'intesa con il Ministero della giustizia, ha destinato la somma di 5 milioni di euro ai rimborsi che possono essere richiesti dagli enti locali delle spese sostenute durante il 2013 per l'accoglienza del minore straniero non accompagnato richiedente asilo, solo dalla formalizzazione della domanda di asilo e sino all'inserimento nelle strutture dello Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). Infine, con decreto del Ministro dell'interno del 30 luglio 2013, la capacità di accoglienza dello Sprar è stata ampliata a 16.000 posti per il triennio 2014/2016.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro dell'interno, con proprio decreto del 12 novembre 2012, disponeva l'istituzione di una commissione, affidandole il mandato di procedere ad una verifica amministrativa finalizzata ad accertare la regolarità di alcune procedure di appalto gestite dal dipartimento della pubblica sicurezza e dal dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, ed in particolare:
    a) le procedure di affidamento gestite dal dipartimento della pubblica sicurezza comprese nel P.O.N. «Sicurezza per lo sviluppo del Mezzogiorno», denominato «PON Sicurezza», ed evocate in un esposto anonimo del 26 luglio 2012;
    b) le procedure di affidamento relative a opere e contratti pubblici segretati o caratterizzati da particolari misure di sicurezza, gestite da entrambi i dipartimenti sopra menzionati;
   veniva inoltre affidato alla commissione il compito di approfondire il tema del ricorso alla segretazione dei contratti poiché tale istituto consente all'amministrazione procedente di derogare alle procedure ordinarie di affidamento degli appalti pubblici;
   all'interno della relazione di questa commissione, datata 21 febbraio 2013, si evidenziano criticità in relazione alle quali già precedentemente la Corte dei Conti, scrutinando alcune procedure di gara, aveva riscontrato e segnalato frequenti scelte amministrative non collimanti con i precetti posti dalla legislazione vigente, individuando, in particolare:
    a) il ricorso troppo generalizzato alla segretazione;
    b) l'assenza, in molti casi, dei presupposti di fatto che legittimano il ricorso alla segregazione;
    c) la competenza all'adozione del provvedimento;
    d) il carattere assolutamente generico della dichiarazione di segregazione;
    e) una non sempre efficace funzione di programmazione dei lavori;
   nel rassegnare le osservazioni conclusive circa l'analisi delle procedure contrattuali verificate, la commissione evidenziava un sensibile scostamento da alcune fondamentali regole poste a presidio degli obiettivi di trasparenza e di apertura al mercato, di reiterate violazioni delle regole che disciplinano le procedure di scelta del contraente, risultando così compromessi i principi di libertà di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione e trasparenza;
   a conferma di quanto più volte segnalato dalla Corte dei Conti, anche la commissione, pur avendo lavorato su un numero esiguo di procedimenti e per un arco temporale breve, sostanzialmente è giunta alle stesse conclusioni –:
   se si intenda avviare una verifica completa di tutti gli appalti segretati e quali iniziative si intendano adottare per il futuro, in modo tale da restituire completa trasparenza alle procedure di gara utilizzate nell'ambito del dipartimento della pubblica sicurezza e dal dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile. (4-01688)

  Risposta. — Con decreto del 12 novembre 2012 il Ministro dell'interno ha istituito una commissione ministeriale per la verifica amministrativa della regolarità delle procedure di appalto gestite dai Dipartimenti della pubblica sicurezza e dei Vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, nonché per individuare e proporre modelli e modalità organizzative capaci di garantire una maggiore trasparenza e funzionalità delle procedure contrattuali di competenza dell'amministrazione.
  La commissione ha svolto un'attività conoscitiva per approfondire gli aspetti inerenti le procedure di affidamento nell'ambito del programma operativo nazionale «Sicurezza per lo sviluppo del Mezzogiorno d'Italia», nonché quelli di affidamento delle opere e contratti pubblici secretati o caratterizzati da particolari misure di sicurezza.
  Il 21 febbraio 2013, la relazione conclusiva è stata consegnata al Ministro dell'interno. Copia della stessa è stata trasmessa all'autorità giudiziaria e alla magistratura contabile per i diversi profili di interesse.
  Alla luce dei rilievi evidenziati dalla commissione, il 19 aprile 2013 sono state diramate specifiche linee di indirizzo ai dipartimenti interessati con l'obiettivo di superare le criticità emerse. In particolare sono state tracciate diverse linee di intervento che prevedono l'attualizzazione del quadro normativo interno, l'elaborazione di strumenti di carattere amministrativo a supporto delle procedure di affidamento più complesse, l'utilizzo di una puntuale programmazione in grado di limitare il ricorso alle procedure derogatorie.
  In questa direzione, il Ministero dell'interno ha già avviato presso i propri uffici i necessari approfondimenti in vista dell'iter di adozione del regolamento di cui all'articolo 4, comma 2, del decreto legislativo n. 208 del 2011 – in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture nei settori della difesa e della sicurezza – quale strumento di regolamentazione del procedimento di segretazione e di qualificazione delle situazioni in presenza delle quali l'amministrazione sarà legittimata ad apporre vincoli di segretezza.
  A tale proposito si rappresenta che, nell'ambito delle procedure relative piano operativo nazionale sicurezza nel periodo compreso tra gli anni 2007 e 2012, il ricorso ai procedimenti derogatori di cui agli articoli 17 e 57 del codice dei contratti pubblici ha riguardato l'8 per cento del totale dei progetti finanziati.
  Anche il dipartimento dei Vigili del fuoco del soccorso pubblico e della difesa civile ha fatto ricorso a gare segretate in una minima percentuale e, in particolare, nei casi in cui è stato necessario tutelare strutture e relative pertinenze per esigenze di difesa civile in aree riservate.
  Si fa presente che gli appalti segretati o che esigono particolari misure di sicurezza sono sottoposti esclusivamente al controllo successivo della Corte dei conti, la quale si pronuncia altresì sulla regolarità, sulla correttezza e sull'efficacia della gestione.
  Uno degli aspetti approfonditi nella predetta attività di verifica ha riguardato il tema della scelta del contraente. Anche per questo delicato profilo sono state avviate numerose attività di collaborazione inter-istituzionale, come quella con la CONSIP spa, per addivenire, tra l'altro, alla stipula di convenzioni e di accordi-quadro, attraverso i quali l'amministrazione potrà negoziare con i fornitori selezionati dalla suddetta Società.
  La necessità di una formazione professionale continua, inoltre, ha suggerito di avviare una collaborazione più stabile e strutturata con FORMEZ.
  Ulteriori contatti sono stati avviati con ambienti accademici e con altri organismi istituzionali (da ultimo, la scuola di alta formazione «E. Vanoni» del Ministero dell'economia e finanze) con l'intento di accrescere le competenze in materia economico finanziaria e contrattualistica.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   DADONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   la linea transfrontaliera diretta Nizza-Breil-Cuneo, istituita da oltre trent'anni, riveste un importante nodo nel collegamento internazionale Torino-Cuneo-Nizza, oltre ad una funzione di comunicazione regionale fondamentale tra le province di Cuneo-Imperia-Nizza; la convenzione a suo tempo firmata dai Governi italiano e francese, accollò all'Italia la quasi totalità degli oneri della ricostruzione in quanto si sostenne che la linea era di esclusivo interesse delle popolazioni italiane nonché il deficit di esercizio e gli oneri di manutenzione della linea; nel corso degli anni tale convenzione è risultata un effettivo ostacolo al potenziamento della ferrovia Cuneo-Nizza, stante la palese ingiustizia dell'addebito all'Italia di tutte le spese, facendo nascere rilevanti difficoltà nell'attuazione dei lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria;
   sempre più spesso si parla di sicura chiusura di questa linea ferroviaria, che crea vivissime preoccupazioni e fortissime proteste perché questa eventuale decisione accentuerebbe ulteriormente l'isolamento della provincia di Cuneo, e non solo, i viaggiatori saranno costretti a prendere la coincidenza alla stazione di Breil, a causa dell'incompatibilità tra i sistemi di sicurezza delle ferrovie italiane e francesi;
   con il nuovo sistema di sicurezza imposto dalla RFI (il gestore della rete ferroviaria nazionale italiana), il materiale rotabile di cui le ferrovie francesi si sono dotate risulta non omologato per la rete ferroviaria italiana. Tutte le linee transfrontaliere tra i due paesi sono interessate dal problema;

i tecnici delle regioni Piemonte e Liguria in passato hanno tentato di collaborare con gli omologhi della regione Provence-Alpes-Còte d'Azur al fine di ottenere speciali deroghe e risolvere il problema creando un impianto di sicurezza doppio, ma nulla di fatto;
   forte è stata ed è ancora la protesta dei cittadini e delle amministrazioni locali che vorrebbero azioni ed iniziative adeguate a perseguire una soluzione definitiva che garantisca a questa linea ferroviaria risorse sufficienti al suo ruolo di collegamento internazionale e che rappresenta non solo un collegamento indispensabile ma altresì un patrimonio a livello ingegneristico e paesaggistico che meriterebbe di essere inserita tra i patrimoni tutelati dall'Unesco –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali misure intenda adottare anche alla luce del possibile protrarsi dello stato di agitazione e delle conseguenze per il territorio:
    al fine di realizzare una nuova convenzione con la Francia sulla divisione degli oneri di gestione e di investimento per la riqualificazione di questa linea ferroviaria alla luce dei volumi di traffico rilevanti;
    per avviare il trasporto merci, così da risollevare il deficit della linea ferroviaria in questione;
    per definire un piano di interventi globale ed organico, a più lunga scadenza, con il quale raggiungere l'obiettivo di assicurare a questo collegamento ferroviario lo svolgimento del ruolo internazionale che gli compete in relazione allo sviluppo socio-economico generale delle regioni;
    per realizzare una valutazione d'impatto riguardo all'interruzione di questa linea, analizzando fattori quali le relazioni economiche e commerciali, il turismo, il traffico stradale e la reazione dei cittadini. (4-01009)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta. 
  La linea Cuneo-Breil-Ventimiglia, ricostruita negli anni ’70, ha una lunghezza pari a 96 chilometri totali cui 49 in territorio italiano: Piemonte e Liguria e 47 in territorio francese: Provence-Alpes-Còte d'Azur – «Paca»; il relativo esercizio è attualmente regolato dai seguenti atti:
   Convenzione intergovernativa Italia-Francia del 24 giugno 1970 che disciplina la ricostruzione e l'esercizio del solo tratto di linea in territorio francese;
   Accordo di attuazione fra l'allora Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato e la SNCF-Société Nationale des Chemins de Fer del 6 ottobre 1979.
  Ad oggi la gestione dell'intera linea Cuneo-Breil-Ventimiglia, è affidata per il tratto ricadente in territorio italiano a Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. (Rfi) e per il tratto in territorio francese da Réseau Ferré de France (Rff) (originariamente Sncf).
  In virtù della sopracitata Convenzione del 1970, gli oneri connessi con l'esercizio e la manutenzione della tratta francese sono praticamente interamente a carico della parte italiana, che ha l'obbligo di ripianare il conto economico di linea, benché il servizio ferroviario sia offerto anche in territorio francese.
  Tale conto, presentato annualmente da Sncf (Société Nationale des Chemins de Fer), ha mostrato un deficit che negli ultimi 10 anni è passato da circa 1 milione di euro l'anno a 3.2 milioni di euro l'anno, considerando anche che i costi-unitari della manutenzione svolta da Rff sono significativamente più alti dei costi unitari medi sulla rete italiana.
  Inoltre, sono previsti nel breve-medio periodo ulteriori costi di manutenzione straordinaria e upgrading della tratta francese valutati in oltre 100 milioni di euro.
  Gli oneri imposti all'Italia dalla predetta convenzione diventano ancor più insostenibili nell'attuale contesto di limitata disponibilità di risorse pubbliche, che rende necessaria la concentrazione dei costi di investimento e manutenzione sulle linee di più elevato interesse nazionale o regionale, dove si hanno le più forti richieste di mobilità e dove viene assicurata da parte delle regioni nell'ambito dei contratti di servizio la disponibilità di fondi per l'effettuazione di servizi locali.
  Va evidenziato, inoltre che le profonde modifiche apportate al settore ferroviario dalla normativa europea in materia hanno reso, di fatto, la convenzione, per la quale non è prevista una scadenza ed alla quale sono legate validità e durata dell'accordo sopracitato, non conforme al diritto comunitario come, peraltro, confermato dalla Commissione europea che, nell'aprile del 2012, precisava che «anche se forme di monopoli de jure relativi a servizi regionali e nazionali possono essere ancora compatibili con il diritto dell'Unione europea, la Convenzione contiene diverse norme discriminatorie».
  Questo Ministero ha da tempo avviato un confronto con l'omologo Ministero francese sul delicato tema della revisione della Convenzione, mirando ad una ripartizione dei costi sulla base di territorialità, con il coinvolgimento delle regioni interessate e del Gruppo Ferrovie dello Stato italiane, nell'ambito della commissione intergovernativa Alpi del Sud. In tale quadro hanno avuto luogo finora incontri tecnici, che non hanno condotto, peraltro, ad un accordo sui princìpi da porre alla base della nuova convenzione.
  Tale confronto è tuttora in corso.
  In attesa di una definizione della problematica, Rfi ha sospeso i pagamenti degli oneri connessi al ripianamento del deficit a partire dal 2012, che restano attualmente in carico al gestore francese, concentrando le risorse sulle tratte di linea ricadenti in territorio italiano, che continuano ad essere manutenute secondo i massimi standard di sicurezza previsti.
  Pertanto, l'esito positivo del confronto con la parte francese sul rinnovo della Convenzione nonché l'eventuale contributo da parte degli enti locali interessati al mantenimento in esercizio della linea rivestono un ruolo determinate circa il mantenimento in esercizio dell'intero collegamento.
  Occorre evidenziare, altresì, che Rff ha comunicato a Rfi che a partire dal 15 dicembre 2013, per motivi di carattere manutentivo, essendosi ulteriormente accentuato il degrado dell'infrastruttura sulla sezione francese, reputa necessario stabilire una limitazione permanente di velocità a 40 chilometri orari su tutta la parte francese della linea Cuneo-Ventimiglia.
  A testimonianza dell'interesse del Governo per la linea in argomento, si ricorda che nel corso dell'esame del disegno di legge di stabilità sono stati presentati, nelle competenti sedi parlamentari, alcuni emendamenti, che tuttavia non hanno trovato esito favorevole, i quali prevedevano per la manutenzione e messa in sicurezza della linea medesima un'autorizzazione di spesa di 29 milioni di euro per l'anno 2014.
  Nel concludere, si assicura che il ministero delle infrastrutture e dei trasporti continuerà a proseguire il dialogo avviato con l'omologo francese al fine di pervenire alla conclusione della nuova convenzione, che consenta il superamento dell'incompatibilità di quella attualmente vigente con la normativa comunitaria, una ripartizione dei costi su base territoriale, nonché il potenziamento del servizio di trasporto.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   DADONE, NUTI, DELLA VALLE, CASTELLI, BECHIS, BUSTO, CHIMIENTI, CRIPPA e PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 20 novembre 2013 si è tenuto a Roma, presso Villa Madama, il vertice bilaterale italo-francese al quale hanno preso parte il Presidente del Consiglio Enrico Letta e il Presidente François Hollande;
   in tale sede i Governi di Italia e Francia hanno dichiarato, per voce del Presidente Letta, di considerare la costruzione della nuova linea ferroviaria Lione-Torino un cantiere aperto, sottolineando il carattere prioritario della realizzazione;
   accanto alle chiare prese di posizione in favore di una grande opera come il TAV, il Presidente Letta ha altresì dichiarato che entrambi i Governi vogliono spingere anche per la realizzazione della Torino-Cuneo-Ventimiglia-Nizza per rendere i due Paesi ancora più «osmotici» ed ha concluso la conferenza stampa, tenutasi al termine del vertice, affermando che: «I due Governi si impegnano a proseguire i negoziati sull'attualizzazione della Convenzione franco-italiana del 1970 relativa alla linea ferroviaria e a stabilire un meccanismo istituzionale di condivisione delle responsabilità ben equilibrato, riguardante il futuro della linea, sia dal punto di vista operativo che del finanziamento;
   è stato confermato l'impegno da parte di Italia e Francia ad adottare il prima possibile le misure necessarie per ottenere il cofinanziamento comunitario all'inizio dei lavori. Partirà infatti nel 2014 la presentazione alla Commissione europea di una domanda congiunta per avere il massimo sostegno finanziario nel periodo 2014-2020 (finanziamenti già in parte promossi a Bruxelles il 17 ottobre 2013);
   contrariamente alle dichiarazioni del Presidente del Consiglio sulla necessità di preservare la linea Torino-Cuneo-Ventimiglia-Nizza perché ritenuta «strategica», dal 15 dicembre 2013, a seguito di una riduzione ulteriore delle corse, si passerà a 4 transiti al giorno, lasciando presumere che i tempi per la dismissione di suddetta linea ferroviaria siano molto prossimi;
   in data 28 novembre 2013 il Ministro Lupi è intervenuto sul caso, tramite una lettera pubblicata su La Stampa e indirizzata al professor Andrea Carandini, ribadendo il massimo impegno del Governo e annunciando un emendamento alla legge di stabilità 2014, all'interno del quale verranno destinati 29 milioni di euro per il mantenimento, la gestione e la modernizzazione della Cuneo-Nizza;
   il MoVimento 5 Stelle ha sottoscritto una mozione finalizzata a impegnare il Governo ad abbandonare la costruzione del TAV Torino-Lione e a investire le somme necessarie per la realizzazione di tale opera nelle linee locali già esistenti, quali ad esempio la Cuneo-Nizza ma essa è stata respinta dalla maggioranza;
   il MoVimento 5 Stelle ha proposto una risoluzione in Commissione trasporti (n. 7-00130) in favore della linea Cuneo-Nizza non ancora calendarizzata;
   la prima firmataria del presente atto ha presentato già una interrogazione (n. 4-01009) sulla medesima linea alla quale non ha fatto seguito alcuna risposta –:
   quale sia la ragione per la quale il Governo ha ritenuto di fissare il vertice bilaterale con la Francia in data 20 novembre 2013, data in cui si era approvato il disegno di legge di ratifica dell'accordo Italia-Francia sul TAV solo in uno dei due rami del Parlamento e dunque vi era un iter di ratifica incompleto;
   quale sia il motivo per il quale a tali affermazioni non corrisponde un lavoro apposito nelle sedi di Governo opportune;
   quale sia la ragione per la quale il Ministro interpellato ha dichiarato che presenterà un emendamento alla legge di stabilità, sperando nell'approvazione dello stesso da parte della maggioranza, piuttosto che agire con un diverso atto del Governo, visto che ad oggi risulta presentato un solo emendamento a firma Oliverio e risulta essere stato respinto;
   quali siano le linee programmatiche del Governo in tema di trasporti, con specifico riguardo, al rapporto di priorità tra costruzione di grandi opere e mantenimento delle linee di trasporto già esistenti;
   quali siano le iniziative concrete che il Ministro intende assumere per scongiurare la chiusura di una linea storica quale la Cuneo-Nizza, oltre all'auspicio dell'approvazione di un emendamento alla legge di stabilità (emendamento peraltro già respinto);
   se infine non ritenesse opportuno, laddove non vi fossero coperture finanziarie adeguate, destinare le somme stornate dalle grandi opere in favore della manutenzione, del mantenimento, della valorizzazione e del riammodernamento delle linee ferroviarie già esistenti. (4-02926)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione parlamentare in esame cui si risponde per delega della Presidenza del Consiglio dei Ministri, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  La linea Cuneo-Breil-Ventimiglia, ricostruita negli anni ’70, ha una lunghezza pari a 96 chilometri totali di cui 49 in territorio italiano: Piemonte e Liguria e 47 in territorio francese:
   Provence-Alpes-Cóte d'Azur – «Paca»; il relativo esercizio è attualmente regolato dai seguenti atti:
    convenzione intergovernativa Italia-Francia del 24 giugno 1970 che disciplina la ricostruzione e l'esercizio del solo tratto di linea in territorio francese;
    accordo di attuazione fra l'allora Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato e la Sncf – Société Nationale des Chemins de Fer del 6 ottobre 1979.

  Ad oggi la gestione dell'intera linea Cuneo-Breil-Ventimiglia, affidata per il tratto ricadente in territorio italiano a Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. (Rfi) e per il tratto in territorio francese da Réseau Ferré de France (Rfi) (originariamente Sncf).
  In virtù della sopracitata Convenzione del 1970, gli oneri connessi con l'esercizio e la manutenzione della tratta francese sono praticamente interamente a carico della parte italiana, che ha l'obbligo di ripianare il conto economico di linea, benché il servizio ferroviario sia offerto anche in territorio francese.
  Tale conto, presentato annualmente da Sncf (Société Nationale des Chemins de Fer), ha mostrato un deficit che negli ultimi 10 anni è passato da circa 1 milione di euro a 3.2 milioni di euro, considerando anche che i costi unitari della manutenzione svolta da Rff sono significativamente più alti dei costi unitari medi sulla rete italiana.
  Inoltre, sono previsti nel breve-medio periodo ulteriori costi di manutenzione straordinaria e upgrading della tratta francese valutati in oltre 100 milioni di euro.
  Gli oneri imposti all'Italia dalla predetta Convenzione diventano ancor più insostenibili nell'attuale contesto di limitata disponibilità di risorse pubbliche, che rende necessaria la concentrazione dei costi di investimento e manutenzione sulle linee di più elevato interesse nazionale o regionale, dove si hanno le più forti richieste di mobilità e dove viene assicurata da parte delle Regioni nell'ambito dei contratti di servizio la disponibilità di fondi per l'effettuazione di servizi locali.
  Va evidenziato, inoltre che le profonde modifiche apportate al settore ferroviario dalla normativa europea in materia hanno reso, di fatto, la convenzione, per la quale non è prevista una scadenza ed alla quale sono legate validità e durata dell'accordo sopracitato, non conforme al diritto comunitario come, peraltro, confermato dalla Commissione europea che, nell'aprile del 2012, precisava che «anche se forme di monopoli de jure relativi a servizi regionali e nazionali possono essere ancora compatibili con il diritto dell'UE, la Convenzione contiene diverse norme discriminatorie (...)».
  Questo Ministero ha da tempo avviato un confronto con l'omologo Ministero francese sul delicato tema della revisione della convenzione, mirando ad una ripartizione dei costi sulla base di territorialità, con il coinvolgimento delle regioni interessate e del Gruppo Ferrovie dello Stato italiane, nell'ambito della commissione intergovernativa Alpi del Sud. In tale quadro hanno avuto luogo finora alcuni incontri tecnici, che non hanno condotto, peraltro, ad un accordo sui principi da porre alla base della nuova/convenzione. Tale confronto è tuttora in corso.
  In attesa di una definizione della problematica, Rfi ha sospeso i pagamenti degli oneri connessi al ripianamento del deficit a partire dal 2012, che restano attualmente in carico al gestore Francese, concentrando le risorse sulle tratte di linea ricadenti in territorio italiano, che continuano ad essere manutenute secondo i massimi standard di sicurezza previsti.
  Pertanto, l'esito positivo del confronto con la parte francese sul rinnovo della Convenzione nonché l'eventuale contributo da parte degli enti locali interessati al mantenimento in esercizio della linea rivestono un ruolo determinate circa il mantenimento in esercizio dell'intero collegamento. 
  Occorre evidenziare, altresì, che Rff ha comunicato a Rfi che a partire dal 15 dicembre 2013, per motivi di carattere manutentivo, essendosi ulteriormente accentuato il degrado dell'infrastruttura sulla sezione francese, reputa necessario stabilire una limitazione permanente di velocità a 40 chilometri orari su tutta la parte francese della linea Cuneo-Ventimiglia.
  A testimonianza dell'interesse del Governo per la linea in argomento, si ricorda che nel corso dell'esame del disegno di legge di stabilità sono stati presentati, nelle competenti sedi parlamentari, alcuni emendamenti, che tuttavia non hanno trovato esito favorevole, i quali prevedevano per la manutenzione e messa in sicurezza della linea medesima una autorizzazione di spesa di 29 milioni di euro per l'anno 2014.
  Nel concludere, si assicura che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti continuerà a proseguire il dialogo avviato con l'omologo francese al fine di pervenire alla conclusione della nuova Convenzione, che consenta il superamento dell'incompatibilità di quella attualmente vigente con la normativa comunitaria, una ripartizione dei costi su base territoriale, nonché il potenziamento del servizio di trasporto.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   DALL'OSSO, TACCONI, LOREFICE, CECCONI, LOMBARDI, BARONI, DI VITA, SILVIA GIORDANO, MANTERO, D'AMBROSIO, DIENI, COZZOLINO, DI BENEDETTO e MANLIO DI STEFANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   la crisi occupazionale ed economica che interessa il nostro Paese ha creato non solo nuova disoccupazione ma ha anche negato eventuali prospettive alle nuove generazioni intese tra i 18 ed i 40 anni di età;
   si è appresa notizia di numerosi giovani che, in assenza di prospettive hanno preferito sia acquisire una maggiore formazione recandosi a studiare all'estero, sia hanno preferito altri luoghi per finalizzare la ricerca di un impiego soddisfacente, affrontando tutte le problematiche relative a quel fenomeno che il nostro Paese ha già vissuto ampiamente nel dopoguerra detto emigrazione;
   le Associazioni riconosciute a livello regionale che si occupano di corregionali all'estero hanno avuto notizia di gruppi giovanili che si stanno organizzando, anche attraverso le nuove modalità via web, al fine di aiutarsi a vicenda e reperire il know how dai soggetti che sono emigrati nel Paese antecedentemente al fine ultimo di evitare di incappare in situazioni di impasse;
   è compito di ogni Paese cercare di evitare l'emigrazione o per lo meno favorire il rientro dei soggetti che abbiano deciso di operare scelte di distacco dai propri affetti e dalle proprie radici –:
   se il Governo abbia monitorato i flussi migratori giovanili degli ultimi ventiquattro mesi;
   come il Governo intenda operare, di concerto con le associazioni dell'emigrazioni delle singole regioni, per far sì che il legame, non solo affettivo, dei giovani e non solo, emigranti venga rinsaldato. (4-01423)

  Risposta. — Con l'interrogazione parlamentare in esame si pone all'attenzione del Governo il problema della disoccupazione giovanile e il conseguente fenomeno della recente emigrazione.
  Tenuto conto di quanto previsto dalla legge n. 470 del 1988, relativa all'istituzione dell'Aire – Anagrafe dei cittadini italiani residenti all'estero – il monitoraggio da parte delle sedi diplomatico-consolari dei flussi emigratori italiani, incluso quello degli italiani di età compresa tra i 18 e i 40 anni, avviene nella misura in cui i cittadini italiani che si trasferiscono all'estero richiedono l'iscrizione all'Aire.
  Il Ministero degli affari esteri attraverso la rete diplomatico-consolare mantiene i rapporti con tutti gli organismi rappresentativi degli italiani all'estero e con le associazioni, comprese quelle regionali, ove presenti. Ai sensi dell'articolo 45 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967, gli uffici consolari, svolgono, tra le altre funzioni, quelle volte a favorire le attività educative, assistenziali e sociali presso la collettività italiana e promuovono, assistono, coordinano e, nei casi previsti dalla legge, vigilano l'attività delle associazioni, delle Camere di commercio, degli enti italiani. In tale ambito è stata avviata dal Ministero degli affari esteri una ricognizione delle associazioni italiane all'estero per pervenire ad un quadro aggiornato della realtà associativa, in vista di una possibile inclusione anche delle associazioni che sono riflesso delle recenti migrazioni per valorizzarne le esperienze più concrete e positive.
  Si rappresenta, altresì, che presso la direzione generale per le politiche dei servizi per il lavoro di questa amministrazione è incardinato il coordinamento nazionale di Eures (European Employment Services) che è la rete europea dei servizi per l'impiego, cui partecipano anche i sindacati e le organizzazioni dei datori di lavoro. La mission della rete Eures è quella di informare lavoratori e aziende sulle possibilità di vivere un'esperienza di lavoro in un altro Paese dell'Unione europea e di avvalersi delle professionalità di lavoratori con competenze diverse, nell'ambito del mercato del lavoro europeo. Detta rete, infatti, ha l'obiettivo di migliorare il mercato del lavoro europeo stimolando l'occupazione attraverso una maggiore mobilità europea dei lavoratori, nonché facilitare la libera circolazione all'interno dello spazio europeo e promuovere l'incontro tra domanda e offerta di lavoro. Appare opportuno precisare che Eures non si occupa di flussi migratori, ma di azioni di supporto alla mobilità internazionale dei lavoratori, al fine di valorizzarne le capacità e aumentarne l'occupabilità.
  Si tratta di una mobilità circolare che mira a realizzare un flusso di ritorno, rendendo appetibile il mercato del lavoro italiano anche per i giovani stranieri, tramite la realizzazione di progetti di partnership con altri Stati membri.
  Il coordinamento Nazionale Eures, in particolare, ha il compito di pianificare annualmente le strategie e le attività della rete nazionale Eures e di monitorarne i risultati, attraverso i rapporti redatti dai consulenti Eures sul territorio, sulle singole azioni svolte, e tramite un monitoraggio che i consulenti sono tenuti ad effettuare periodicamente, relativo alla loro attività di informazione (sul vivere e lavorare in altri Paesi, sulle opportunità di lavoro o di lavoratori in Europa) e all'attività di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro a livello europeo.
Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.


   DI LELLO. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   con decreto sindacale n. 281/Gab del 22 aprile 2013, il sindaco del comune di Sessa Aurunca, dottor Luigi Tommasino, conferiva l'incarico di responsabile del settore affari generali, segreteria e personale al signor Umberto Valletta;
   il summenzionato dipendente comunale svolgeva al momento della nomina, come negli ultimi 15 anni circa, attività sindacale piena ed era parte della rappresentanza sindacale unitaria;
   successivamente all'atto di nomina, datato 3 maggio 2013, il signor Valletta Umberto provvedeva a dimettersi dalla rappresentanza sindacale unitaria conservando comunque le cariche che aveva ricoperto negli ultimi anni all'interno della sua organizzazione sindacale;
   l'articolo 53 del decreto legislativo n. 165 del 2001 come modificato dall'articolo 52 comma 1, lettera a) del decreto legislativo n. 150 del 2009 recita testualmente: «Non possono essere conferiti incarichi di direzione di strutture deputate alla gestione del personale a soggetti che rivestano o abbiano rivestito negli ultimi due anni cariche in partiti politici o in organizzazioni sindacali o che abbiano avuto negli ultimi due anni rapporti continuativi di collaborazione o di consulenza con le predette organizzazioni»;
   la circolare ministeriale n. 11/2010 esplicativa della summenzionata legge in particolare al punto 2, tra l'altro così recita: «Ciò che si vuole evitare è un eventuale influenza sulla gestione che può derivare dal coinvolgimento attuale o passato del responsabile della struttura in particolari e significative attività sindacali o politiche o dall'aver avuto con tali organizzazioni particolari rapporti. In quest'ottica, la disposizione pone una norma percettiva che non prevede alternative, vola ad evitare un potenziale conflitto di interessi tra due uffici o tra l'interesse personale e l'interesse pubblico. La situazione di “incompatibilità” dovuta alla circostanza di rivestire una carica in organizzazioni sindacali o in partiti politici o di avere collaborazioni continuative con tali organizzazioni non è rimovibile, a nulla valendo il fatto che l'interessato possa eventualmente dimettersi. Solo il decorso del tempo previsto può rendere possibile il conferimento dell'incarico nell'amministrazione»;
   non si ha notizia dell'esistenza e/o della resa dichiarazione di notorietà ai sensi dell'articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, che l'amministrazione comunale, dovendo conferire un incarico per la gestione di struttura deputata al personale, avrebbe dovuto acquisire per assicurarsi che il nominato non si trovasse in alcuna situazione di incompatibilità prevista dal decreto legislativo sopra citato;
   in data 26 agosto 2013, i consiglieri comunali delle opposizioni: Giuseppe Aniello, Vincenzo Codella, Tommaso Lefano, Ciro Marcigliano, Carmela Messa e Basilio Vernile, nell'espletamento del proprio mandato istituzionale, a sensi del decreto legislativo n. 267 del 2000 (T.U.E.L.) dallo statuto e regolamenti comunali, inviano un regolare esposto/richiesta indirizzata al sindaco di Sessa Aurunca (Caserta) al fine di revocare, in autotutela di decreto di conferimento n. 281/GAB del 22 aprile 2013;
   la medesima richiesta veniva inoltrata al segretario comunale, attualmente responsabile prevenzione corruzione, al prefetto di Caserta, all'ispettorato della funzione pubblica di Roma, alla CIVIT-Roma e per conoscenza ai presidenti dei gruppi consiliari e, infine alle rappresentanze sindacali unitarie aziendale;
   le missive di cui sopra sono state corredate, supporto delle ragioni esposte, dalla seguente documentazione:
    a) verbale delegazione trattante (RSU) del 14 marzo 2013 (allegato alla delibera di G. M. n. 72 del 17 aprile 2013);
    b) decreto n. 281/Gab del 22 aprile 2013 «Conferimento incarico di responsabilità gestionale del Settore Affari Generali e Segreteria» al signor Umberto Valletta;
    c) determina n. 623/reg. gen. del 2 maggio 2013 «Dott. ... collocamento a riposo a decorrere dal 1° agosto 2013 – Cessazione dal servizio al 31 luglio 2013...» sottoscritta dal signor Valletta in qualità di responsabile del settore personale;
    d) nota n. 9463 del 3 maggio 2013 «Dimissioni del Sig. Valletta dalla RSU»;
    e) determinazione n. 933/reg. gen. del 26 giugno 2013 «Dip.te ... Presa d'atto verbale mod. BL/B n. 12889 del 23 maggio 2013 della Commissione Medica di Verifica-Napoli» sottoscritta dal signor Valletta in qualità di responsabile del settore personale;
    f) determinazione n. 1225/Reg Gen. del 31 luglio 2013 «Dip.te ... Collocamento a riposo a domanda a decorrere dal 1° novembre 2013 – calcolo contributivo» sottoscritta dal signor Valletta in qualità di responsabile del settore personale;
    g) disposizione n. 1224 del 31 luglio 2013 «Atto di liquidazione dei diritti di segreteria per contratti stipulati nel secondo trimestre 2013 (aprile-giugno)» sottoscritta anche dal signor Valletta in qualità di responsabile del settore personale –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali risposte intenda fornire in relazione alle rimostranze dei consiglieri comunali indirizzate al dipartimento della funzione pubblica, eventualmente avvalendosi dei poteri di cui all'articolo 60, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001;
   quali iniziative, anche normative, il Ministro interrogato intenda assumere al fine di evitare casi come quello di cui in premessa e di garantire il rispetto dei principi di buon andamento e trasparenza della pubblica amministrazione. (4-01873)

  Risposta. — In via generale, va segnalato quanto disposto al riguardo dall'articolo 53, comma 1-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001, in particolare ove si stabilisce che «Non possono essere conferiti incarichi di direzione di strutture deputate alla gestione del personale a soggetti che rivestano o abbiano rivestito negli ultimi due anni cariche in partiti politici o in organizzazioni sindacali o che abbiano avuto negli ultimi due anni rapporti continuativi di collaborazione o di consulenza con le predette organizzazioni».
  Con riferimento, poi, al caso specifico si rappresenta che, a seguito dell'istruttoria avviata dall'ispettorato per la funzione pubblica, il sindaco del comune di Sessa Aurunca ha trasmesso una dettagliata relazione a sostegno della correttezza e della trasparenza dell'incarico conferito, nonché della legittimità del provvedimento censurato.
  Si richiama in particolare la circolare n. 11 del 2010 del dipartimento della funzione pubblica laddove, con riferimento all'interpretazione dell'articolo summenzionato, esclude l'incompatibilità/inconferibilità precisando che: «il citalo articolo pone il regime di vincolo solo in riferimento ad incarichi di direzione di strutture deputate esclusivamente alla gestione del personale. Il termine “deputate” individua la specifica competenza in materia di gestione del personale; pertanto, la locuzione è da riferirsi propriamente ai soli uffici cui istituzionalmente, in base agli atti di organizzazione, è attribuita la competenza sulla gestione del personale in ciascuna amministrazione. Dunque, non è compresa nella previsione la preposizione ad uffici che, tra le altre competenze, svolgono anche l'attività di gestione del personale (come, ad esempio, i capi dipartimento ed i segretari generali preposti a strutture organizzative complesse nel cui ambito sono collocati gli uffici dirigenziali generali competenti in materia di affari generali e personale, mentre rientrano nel regime restrittivo i Capi Dipartimento degli affari generali e del personale) e, in generale, la preposizione alle strutture alle quali, specie in amministrazioni di dimensioni ridotte, fanno capo tutte le competenze generali di gestione, tra cui quella relativa al personale interno».
  Nella citata relazione viene, inoltre, evidenziato che la struttura amministrativa del comune di Sessa Aurunca risulta suddivisa in diversi settori nei quali ciascun responsabile gestisce il proprio personale agendo come datore di lavoro; all'interno di tale struttura il responsabile del settore affari generali e segreteria gestisce, in via primaria, alcuni specifici uffici, quali il gabinetto del sindaco, l'archivio, il protocollo e notifiche, le politiche giovanili e l'ufficio relazioni con il pubblico, l'ufficio contratti e gare, la segreteria e organi istituzionali, ed infine il personale, ma quest'ultimo non in modo esclusivo.
  In conclusione, nel ricordare che in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico è recentemente intervenuto il decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, recante un'ampia disciplina – ex novo – anche per i responsabili di settore, si evidenzia che, alla luce di quanto sopra rilevato, la previsione di cui al citato articolo 53, comma 1-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001 non appare applicabile alla fattispecie in esame, in quanto trattasi della preposizione ad uffici che, tra le altre competenze, e quindi non in via esclusiva, svolgono anche l'attività di gestione del personale.
Il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazioneGianpiero D'Alia.


   FANTINATI, BECHIS, CIPRINI, MUCCI e BALDASSARRE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la H.J. Heinz Company è presente in Italia dal 1963, quando acquisisce Plasmon, un organico di circa 950 dipendenti, dislocati tra la sede di Milano e gli stabilimenti produttivi di Ozzano Taro, in provincia di Parma, e Latina;
   nel maggio 2010, Heinz Italia Spa è stata riconosciuta Head Quarter per il business Global Infant & Nutrition, business strategico dell'alimentazione per l'infanzia di cui l'Italia ha la responsabilità al fine di guidarne la ricerca, la crescita e la performance su scala globale;
   a giugno 2013 è mutato l'assetto societario con l'acquisto di Heinz Company da parte di Berkshire Hathaway dell'americano Warren Buffett e del fondo brasiliano 3G, una transazione valutata 23,3 miliardi di dollari;
   nel settembre scorso, la Plasmon ha annunciato l'intenzione di licenziare 204 lavoratori: 112 nella sede amministrativa del capoluogo lombardo, 36 a Ozzano e 56 a Latina. Si tratta del 25 per cento della forza lavoro;
   la società non risulta essere in crisi: nel 2012 ha realizzato un utile netto per 34 milioni di euro. Ha un patrimonio netto di quasi un miliardo di euro e quasi nessun debito bancario (dati Sole24ore);
   l'11 luglio 2013, durante l'annuale confronto informativo sulle strategie industriali presso l'Associazione industriale lombarda a Milano, i responsabili Heinz Italia SpA hanno presentato a lavoratori e sindacati un quadro tranquillizzante della situazione di mercato, delle prospettive occupazionali e industriali;
   in questa sede, l'azienda ha annunciato il riconoscimento del premio economico di risultato, pagato ai lavoratori Heinz per aver raggiunto i massimi livelli performance-obiettivi di produttività e soprattutto di redditività aziendali;
   nelle dichiarazioni di procedura di licenziamenti proprio le funzioni di ricerca e sviluppo verrebbero fortemente compromesse insieme al marketing e alla rete di vendita, lasciando intendere un possibile ridimensionamento di Plasmon, del suo valore di made in Italy, del suo patrimonio di know how;
   impressione dell'interrogante è che attraverso il taglio occupazionale ci sia come unico scopo solo l'immediato recupero delle risorse economiche per sanare il costo dell'acquisto;
   quali azioni urgenti s'intendono adottare al fine di impegnare la nuova proprietà della Heinz Company a definire un piano industriale credibile che garantisca il mantenimento e l'investimento della presenza del gruppo in Italia –:
   se non si ritenga necessario prevedere anche il ricorso agli ammortizzatori sociali, utili per una riorganizzazione meno traumatica, evitando così i licenziamenti e salvaguardando il futuro dei lavoratori e delle lavoratrici della Plasmon.  (4-02107)

  Risposta. — La società Plasmon, acquisita dalla H.J. Heinz Company, vanta un organico di circa 950 dipendenti, dislocati tra la sede di Milano e gli stabilimenti produttivi di Ozzano Taro, in provincia di Parma, e Latina. Così come emerge dalle richieste degli interroganti, sembrerebbe che nel giugno 2013 sia mutato l'assetto societario e che la Heinz Company sia stata a sua volta acquistata da parte della Berkshire Hathaway, dell'americano Warren Buffett, e del fondo brasiliano 3G. A seguito di ciò la Plasmon ha manifestato delle criticità e l'intenzione di procedere al licenziamento dei dipendenti.
  Il Ministero dello sviluppo economico segue attentamente gli sviluppi delle problematiche relative all'azienda in oggetto, per affrontare le quali, è già stato aperto un tavolo di confronto. All'ultimo incontro, tenuto presso il Ministro dello sviluppo economico in data 5 novembre 2013, hanno partecipato i rappresentati della società Heinz Italia S.p.A., la regione Lombardia e le organizzazioni sindacali nazionali e territoriali FLAI CISL, FAI CGIL, UIL A UIL. Nel corso dell'incontro è stato presentato il lavoro svolto tra le parti, che ha portato a importanti risultati che dovranno trovare completamento negli ulteriori appuntamenti più avanti richiamati.
  È stata confermata, come richiesto dalle organizzazioni sindacali, la disponibilità dell'azienda all'utilizzo di ammortizzatori sociali al fine di consentire il superamento della procedura di mobilità avviata ed è stato approfondito anche il piano aziendale che ha evidenziato come una delle origini dell'attuale crisi sia da individuare nell'andamento negativo riscontrato nel mercato della «nutrizione per l'infanzia». Tale mercato ha, infatti, risentito in maniera rilevante della generale contrazione della capacità di spesa nel nostro Paese, e del manifestarsi di vari fattori negativi per la produzione, quali ad esempio, una continua recessione nel trend di mercato del baby food, in tutte le principali categorie di prodotto commerciale dalla società (omogeneizzati, biscotti, latte per l'infanzia, pasta per neonati), un notevole incremento nella diffusione di prodotti di primo prezzo e marche private. Del pari si è sempre di più diffusa una crescita di neonati con differenti abitudini alimentari e un continuo perdurare di tensioni con la «grande distribuzione» per la riduzione dei margini commerciali.
  Le parti interessate hanno condiviso il quadro generale di riferimento e, conseguentemente, hanno deciso di proseguire il confronto già avviato per raggiungere una complessiva intesa che possa ridurre l'impatto della crisi sul reddito dei lavoratori e sulla occupazione all'interno del gruppo Heinz/Plasmon in Italia.
  Per raggiungere tale obiettivo sono previsti ulteriori incontri tra le parti e altri appuntamenti, presso le competenti sedi del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Il Ministero dello sviluppo economico si è impegnato a monitorare l'evoluzione del percorso individuato convocando nuovamente, ove richiesto dalle parti, il tavolo di confronto già aperto.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   FEDI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con la legge 7 ottobre 1986, n. 735, è stato ratificato l'accordo amministrativo tra Italia e Tunisia sottoscritto a Tunisi il 17 dicembre 1984 che protegge dai rischi relativi a malattie, maternità, infortuni sul lavoro;
   la predetta convenzione non si applica ai dipendenti pubblici ed agli agenti diplomatici e le ASL di provenienza non rilasciano ai pensionati INPDAP il Modello I/TN9 necessario ai fini della applicazione dell'accordo tra Italia e Tunisia, la convenzione venne sottoscritta al fine di tutelare i lavoratori migranti ai fini previdenziali escludendo i pubblici dipendenti in attività di servizio;
   sono esclusi dall'assistenza sanitaria i pensionati provenienti dal settore pubblico mentre questa viene invece garantita ai pensionati provenienti dal settore privato;
   i pensionati italiani residenti in Tunisia perdono il diritto all'assistenza sanitaria in Italia, se non per casi urgenti e per un periodo massimo di 90 giorni l'anno;
   se pensionati del pubblico impiego e residenti in Tunisia non possono accedere all'assistenza sanitaria in quel Paese;
   il ricorso ad assicurazione sanitaria privata risulta complesso e particolarmente oneroso, il ricorso a cure mediche, spesso per malattie croniche, rappresenta una priorità per i connazionali residenti in Tunisia;
   questa palese disparità di trattamento tra cittadini italiani, pensionati e pensionati privati, appare in contrasto con il dettato costituzionale;
   sembra inoltre iniquo e ingiusto escludere dai servizi sanitari una categoria di cittadini che, in ragione dell'età, è maggiormente bisognosa di cure mediche e di accertamenti diagnostici e clinici, talvolta vitali, per esempio per i cardiopatici e per i diabetici;
   è, ad avviso dell'interrogante, fortemente contraddittorio riconoscere in Italia talune patologie, tanto da giustificarne il riconoscimento per l'invalidità, e poi non curarsi di garantire agli stessi cittadini l'accesso a cure mediche adeguate se questi risiedono all'estero e sono ex-dipendenti dello Stato –:
   se la convenzione di cui alla legge n. 735 del 1986 sia correttamente interpretata ed applicata anche in relazione agli ex-dipendenti pubblici ed ai pensionati pubblici;
   se non sia possibile, anche mediante un apposito scambio di note, una revisione dell'accordo amministrativo;
   quali iniziative il Governo italiano intenda promuovere per garantire, ai cittadini italiani e ai pensionati pubblici e privati residenti in Tunisia, parità di trattamento in campo sanitario e nell'accesso ai servizi sanitari;
   quali misure urgenti il Governo intenda adottare, immediatamente, in vista di una successiva modifica dell'accordo, per consentire ai soggetti interessati di poter beneficiare dei servizi sanitari.
(4-01163)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, concernente l'accordo tra Italia e Tunisia in materia di sicurezza sociale, si rappresenta quanto segue.
  La convenzione in materia di sicurezza sociale tra la Repubblica italiana e la Repubblica tunisina del 7 dicembre 1984, ratificata ad opera della legge 7 ottobre 1986, n. 735, disciplina ambiti e competenze eterogenee anche se tra loro collegati: protezione dai rischi relativi a malattie, maternità e infortuni sul lavoro.
  A norma dell'articolo 3, comma 2, della convenzione, le disposizioni nella stessa contenute non sono applicabili ai pubblici dipendenti e al personale delle carriere diplomatiche in servizio nelle missioni diplomatiche e nei consolati, di cui alle convenzioni di Vienna.
  Ciò premesso, pertanto, non vi sono purtroppo margini interpretativi per l'applicazione amministrativa della convenzione, considerata l'univocità della disposizione che esclude i dipendenti pubblici.
  D'altra parte, nessuna convenzione bilaterale in materia di sicurezza sociale stipulata dall'Italia, attualmente in vigore, prevede disposizioni in favore dei dipendenti pubblici.
  Si aggiunge, per completezza, che l'accordo bilaterale tra Italia e Tunisia prevede un complesso meccanismo per l'estensione dei benefici a nuove categorie di soggetti che preclude la possibilità di allargare in via amministrativa la platea dei beneficiari. Infatti, l'articolo 2, comma 2, della convenzione stabilisce che questa non può essere applicata ad eventuali atti legislativi o regolamentari che riconoscano nuovi beneficiari, a meno che non vi sia, al riguardo, opposizione del Governo dello Stato contraente interessato, notificata al Governo dell'altro Stato contraente entro 3 mesi dalla data della pubblicazione ufficiale dei suddetti atti.
  Conclusivamente, la richiesta inclusione dei dipendenti pubblici tra i destinatari delle tutele previste nell'ambito della sicurezza sociale, pertanto, renderebbe necessaria la stipula di un nuovo accordo bilaterale in materia. Tuttavia, l'esiguità di fondi disponibili per le successive ratifiche – che ha comportato il blocco delle ratifiche di molte convenzioni bilaterali di sicurezza sociale già negoziate – non consente di rinegoziare, allo stato attuale, il richiesto ampliamento dell'accordo tra la Repubblica italiana e quella tunisina.
Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.


   FEDRIGA e MOLTENI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 19 novembre 2013, accogliendo un ricorso presentato dalle associazioni «Studi Giuridici sull'Immigrazione» ed «Avvocati per Niente Onlus» per conto di quattro giovani stranieri, il tribunale di Milano, sezione lavoro, ha ordinato alla Presidenza del Consiglio di riaprire il «Bando per la selezione di 8.146 volontari da avviare al servizio nell'anno 2013 nei progetti di servizio civile in Italia e all'estero», pubblicato il 4 ottobre 2013;
   l'ordine è stato disposto in ragione del presunto carattere discriminatorio del bando, aperto ai soli cittadini italiani, a dispetto del fatto che sulla base dell'articolo 2 della Costituzione dovrebbe essere permesso anche allo straniero residente in Italia «di concorrere al progresso materiale e spirituale della società e all'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale attraverso la sua partecipazione al servizio civile nazionale»;
   nella predetta sentenza è altresì presente un'interpretazione innovativa del concetto giuridico di cittadinanza, che permetterebbe di identificare come cittadino anche «il soggetto che appartiene stabilmente e regolarmente alla comunità italiana»;
   la ragione per la quale i bandi per l'ammissione al servizio civile sono ristretti ai cittadini è l'equiparazione dell'istituto del servizio civile volontario a quello del servizio militare volontario;
   l'accoglimento della nuova accezione del concetto di cittadinanza adombrato nella sentenza del tribunale di Milano, sezione lavoro, del 19 novembre 2013, comporterebbe, di necessità, l'immediata apertura agli stranieri soggiornanti nel territorio nazionale anche del reclutamento nelle Forze armate e di polizia, oltreché l'allargamento in loro favore della platea delle persone titolari dell'elettorato attivo e passivo, non solo amministrativo ma politico;
   è evidentemente in gioco, secondo gli interroganti, un'interpretazione della Costituzione rispetto alla quale sarebbe opportuno un pronunciamento della Corte costituzionale –:
   se il Governo intenda o meno ottemperare all'ingiunzione del tribunale di Milano generalizzata nelle premesse, preveda o meno di darvi applicazione fino alle logiche conseguenze, o se invece intenda considerare l'opportunità di resistervi, utilizzando all'uopo gli strumenti posti a disposizione dall'ordinamento, fino al punto di determinare un intervento dirimente della Corte costituzionale. (4-02630)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, l'interrogante pone una serie di quesiti in merito all'ordinanza del tribunale di Milano del 18 novembre 2013 per riaprire i termini del bando di selezione 2013 per la partecipazione al servizio civile nazionale.
  Con tale ordinanza il tribunale di Milano ha infatti disposto la modifica del bando nella parte in cui prevede il requisito della cittadinanza italiana per l'accesso al servizio civile nazionale.
  Ricordo che la problematica riguardante l'ammissione degli stranieri al servizio civile nazionale è già stata oggetto di due contenziosi alla fine del 2011 presso i tribunali ordinari di Brescia e di Milano, con i quali è stato denunciato il comportamento discriminatorio dell'Amministrazione perché prescriveva la cittadinanza italiana quale requisito di ammissione alla selezione, secondo quanto previsto dalla normativa tuttora vigente.
  I due contenziosi hanno avuto sviluppi processuali opposti. In particolare, il tribunale di Brescia, con sentenza depositata il 9 maggio 2012, ha rigettato il ricorso, ritenendo ragionevole la differenziazione tra cittadini e stranieri perché coerente con l'ordinamento nel suo complesso e, soprattutto, con i principi costituzionali.
  Tale orientamento è stato confermato dalla corte di appello di Brescia con decisione del 21 ottobre 2013.
  Diversamente il tribunale di Milano (ordinanza del 12 gennaio 2012), e successivamente la corte di appello (decisione n. 2183 del 2012), hanno dichiarato il carattere discriminatorio del bando.
  Contro la decisione della corte di appello di Milano l'amministrazione ha proposto ricorso innanzi alla Corte di Cassazione.
  Considerata la rilevanza della problematica e in attesa della definizione del giudizio in Cassazione, il dipartimento della gioventù e del servizio civile nazionale, prima dell'adozione dei bandi per il 2013, ha ritenuto quindi opportuno interessare l'Avvocatura generale dello Stato in ordine agli adempimenti da porre in essere.
  Infatti da un lato, l'ammissione degli stranieri alle selezioni imposta dalla decisione della corte di appello di Milano avrebbe concretizzato una palese violazione della normativa vigente, dall'altro la previsione del requisito della cittadinanza italiana per partecipare alle selezioni, avrebbe potuto essere interpretata come una mancata osservanza della pronuncia del giudice del lavoro.
  L'avvocatura dello Stato, con i pareri resi il 24 luglio 2012 e il 26 settembre 2013, si è espressa in favore della riserva ai soli cittadini italiani, secondo quanto previsto dalla attuale normativa, considerandola non in contrasto con i principi comunitari e coerente con quelli affermati dalla Corte costituzionale nel 2004 e nel 2005.
  L'avvocatura ha inoltre affermato che la decisione della corte d'appello di Milano era circoscritta al bando 2011, non avendo il giudice disposto nella decisione l'inserimento di una clausola di ammissione degli stranieri nei bandi futuri.
  Ciò premesso sono stati emanati nel 2013 due bandi straordinari e, da ultimo, il bando ordinario del 4 ottobre, mantenendo il requisito della cittadinanza italiana per la partecipazione al servizio civile nazionale.
  Quest'ultimo bando, come già ricordato, è stato oggetto di un ulteriore contenzioso, provvisoriamente deciso con l'ordinanza n. 14219 del 18 novembre 2013, per garantire la parità di accesso alle selezioni dei volontari anche ai cittadini comunitari ed extracomunitari regolarmente soggiornanti sul territorio nazionale.
  Al riguardo si fa presente che, a seguito della notifica dell'ordinanza avvenuta il 25 novembre 2013, l'Amministrazione ha chiesto all'avvocatura distrettuale dello Stato di proporre appello, in quanto il giudice ha formulato una accezione ampia del termine «cittadino» da intendersi riferito al soggetto che appartiene stabilmente e regolarmente alla comunità italiana. Ciò attraverso una interpretazione estensiva della disposizione di legge.
  La legittimità di questa interpretazione è già al vaglio della Corte di Cassazione.
  Contestualmente l'Amministrazione, tenuta a dare comunque esecuzione all'ordinanza, ha chiesto la collaborazione dell'avvocatura generale perché esistono obiettive difficoltà ad ottemperare all'ordinanza del giudice di Milano.
  Infatti l'autorità giudiziaria non ha fornito elementi sufficienti ad individuare correttamente la categoria dei soggetti destinatari della decisione, né ha tenuto conto delle criticità derivanti dall'apertura agli stranieri in relazione ai requisiti per la selezione (come ad esempio, la conoscenza della lingua italiana o la valutazione dei titoli di studio conseguiti all'estero che comporta l'attribuzione di un punteggio rilevante nel giudizio complessivo).
  In seguito agli elementi chiarificatori forniti dalla avvocatura generale, il dipartimento della gioventù e del servizio civile nazionale il 4 dicembre 2013 ha riaperto fino al 16 dicembre i termini dei bandi (nazionale e delle regioni e province autonome).
  Questa riapertura consentirà di presentare le domande per la partecipazione a progetti di volontariato in Italia e all'estero ai cittadini dell'Unione europea, ai familiari dei cittadini dell'Unione europea non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, ai titolari del permesso di soggiorno Comunità europea per soggiornanti di lungo periodo, ai titolari di permesso di soggiorno per asilo e ai titolari di permesso per protezione sussidiaria.
  Questo elenco deriva dalle sole ipotesi possibili in base alle attuali leggi sull'immigrazione e l'asilo.
  Si è dovuto ricorrere a tali specificazioni per superare la generica indicazione del tribunale di Milano, con riserva dell'esito del relativo giudizio di appello. Pertanto anche la valutazione delle domande di partecipazione alla selezione sarà necessariamente effettuata con riserva.
  Al riguardo è bene tener presente che l'orientamento della giurisprudenza non è univoco e si è comunque in attesa delle decisioni della Corte di Cassazione.
  In tale ottica, sarebbe opportuna una riflessione sul sistema del servizio civile nazionale ad iniziare dal collegamento con l'obiezione di coscienza e la sospensione della leva obbligatoria.
  Torno ad auspicare che il Parlamento, con la partecipazione di tutte le forze politiche presenti, possa affrontare la tematica dei requisiti per la partecipazione al Servizio civile nazionale nell'ambito della sua riforma complessiva.

Il Ministro per l'integrazioneCécile Kyenge.


   FRATOIANNI, DURANTI, MATARRELLI, PANNARALE e SANNICANDRO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 19 maggio 2013 tre persone venivano assassinate in un agguato a colpi di kalashnikov nel quartiere «San Paolo» nella città di Bari;
   il bilancio dell'agguato poteva essere ancor più grave perché avveniva in pieno giorno davanti a un bar e ad alcuni esercizi commerciali, alcuni aperti, e tra la gente che passeggiava dopo aver lasciato la vicina chiesa di «Santa Cecilia», nel quartiere;
   come riportato da diverse fonti di stampa e, confermato dagli investigatori, il presunto obbiettivo dell'agguato era Vitantonio Fiore, il quale indossava un giubbotto antiproiettile e aveva un'arma da fuoco infilata nella cintola dei pantaloni;
   questo agguato non rappresenta un fatto isolato; il 15 maggio 2013 il sorvegliato speciale, Saverio Lorusso, veniva colpito alla spalle da tre proiettili sotto la sua abitazione nel quartiere San Girolamo. Il pregiudicato si salvava, perché indossava un giubbotto antiproiettile;
   il 16 aprile 2013 veniva colpito a morte invece Giacomo Carraciolese, ucciso per strada a pochi passi dalla sua abitazione e dal vicino mercato rionale di via Nizza nel quartiere di «San Pasquale»;
   questi due ultimi episodi menzionati, sono soltanto l'apice di una situazione drammatica vissuta in provincia di Bari. Secondo l'ultima relazione semestrale (1° semestre 2012) della direzione investigativa antimafia (DIA), la criminalità organizzata in quel territorio ha una «diffusa disponibilità di armi» ed «elevate capacità criminali». Nella relazione si evidenzia anche che l'equilibrio tra i clan storici potrebbe essere stato alterato da alcuni gruppi che scalpitano per tornare alla ribalta, questo potrebbe portare ad una escalation di vendette criminali e di spietati episodi delinquenziali;
   anche nel resto della Puglia lo scenario dei gruppi criminali si presenta caratterizzato da dinamiche particolarmente aggressive e violente e si riscontra un significativo aumento dei reati di omicidio, di rapina e di estorsione. Secondo la relazione citata della direzione investigativa antimafia, in particolare, l'aumento dei reati di omicidio conferma l'esistenza di «dinamiche di scontro dettate dalla ricerca nuovi assetti nonché della competitiva espansione territoriale» della criminalità pugliese;
   profonda preoccupazione viene espressa anche attraverso una nota del 20 maggio 2013 dalla giunta distrettuale dell'Associazione nazionale magistrati (ANM) di Bari, in cui si afferma che il territorio «vive un allarmante ed aumentata recrudescenza criminale». Continua l'Associazione nazionale magistrati di Bari: «al riguardo si deve riaffermare l'evidenziata carenza degli organici dei Magistrati e del personale amministrativo, che si trovano ad affrontare e contrastare i locali fenomeni criminali in situazione ormai emergenziale. Si rappresenta ancora l'assoluta inadeguatezza delle strutture a disposizione di tutti gli operatori della giustizia, compresi i Magistrati, con il relativo disagio che ostacola ulteriormente il nostro quotidiano lavoro» –:
   quali provvedimenti immediati i Ministri intendano porre in essere per garantire la sicurezza dei cittadini alla luce della escalation criminale in corso;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda intraprendere per contrastare i processi di riorganizzazione della criminalità organizzata sul territorio pugliese e in particolare, sul capoluogo;
   quali misure concrete intenda adottare il Governo per garantire idonee risorse economiche e di personale a sostegno della magistratura e delle forze dell'ordine, pesantemente colpite negli anni passati dai tagli e dal sottodimensionamento. (4-00538)

  Risposta. — La criminalità organizzata di Bari ha una struttura orizzontale, caratterizzata da confederazioni di clan prive di un vertice comune in grado di impartire disposizioni univoche; ciò determina una sostanziale fluidità degli equilibri criminali, causando cicliche e improvvise aperture di nuovi fronti di conflittualità.
  Attualmente si sta assistendo ad un periodo di forte instabilità, sia per effetto dello stato di detenzione di alcune delle figure di spicco dei clan «storici», sia come conseguenza degli omicidi di alcuni loro esponenti. La recrudescenza delittuosa alla quale fa riferimento l'interrogante è quindi determinata da un mutamento degli assetti all'interno di una geografia rinnovata della malavita organizzata: l'evidente indebolimento dei clan storici permette alle giovani leve di creare nuove alleanze per la scalata delle gerarchie criminali.
  Le relative indagini, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia, hanno consentito, sinora, il sequestro di alcune armi da fuoco e l'arresto di elementi gravitanti nell'orbita della criminalità locale. La diffusa disponibilità di armi – spesso collegata al traffico di sostanze stupefacenti, che rappresenta una delle principali fonti di liquidità – favorisce il facile ricorso alla violenza anche per risolvere semplici contrasti personali, che sfociano frequentemente in episodi cruenti.
  Per contrastare la situazione criminale in cui operano i numerosi clan del luogo, il Ministro dell'interno ha ritenuto opportuno estendere il cosiddetto «modello Caserta» anche al territorio in questione. Inoltre, con decreto del Ministro dell'interno di concerto con il Ministro della difesa, il 21 dicembre 2012 è stato prorogato fino al 31 dicembre 2013 il piano d'impiego di un contingente militare appartenente alle Forze armate nei servizi di vigilanza a siti e obiettivi sensibili, nonché di perlustrazione e pattuglia in concorso e congiuntamente alle Forze di polizia. In particolare, nella provincia di Bari sono state confermate 46 unità destinate ai servizi di perlustrazione e pattuglia e 130 unità destinate al controllo dei centri per immigrati.
  È opportuno sottolineare come questa Amministrazione sia particolarmente attenta all'evoluzione delle dinamiche criminali e, in relazione a particolari contingenze, produca «modelli d'intervento tematici» costituendo dei «
desk interforze». Il desk è composto da rappresentanti delle Forze di polizia – Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri, Guardia di finanza, direzione investigativa antimafia – che operano d'intesa con il procuratore distrettuale antimafia. Il suo compito è quello di elaborare a livello centrale specifiche misure di prevenzione patrimoniale, per poi individuare sul territorio i beni ascrivibili direttamente o in via mediata alle famiglie mafiose. A Bari e Foggia è attivo un desk istituito il 30 ottobre 2009 con circolare della direzione centrale della Polizia criminale.
  A ciò si deve aggiungere il progetto Ma.Cr.O., che prevede la realizzazione di una mappa nazionale dei sodalizi criminali attraverso un sistema informatico integrato con le banche dati SDI ed SSD. La mappatura consente il censimento delle organizzazioni criminali di tipo mafioso, italiane e straniere, delle quali siano state individuate la denominazione, l'area d'influenza, le attività illecite e lecite e dei soggetti ad esse collegati.
  Il patrimonio informativo viene preventivamente condiviso in seno a gruppi provinciali interforze (GPI), costituiti presso gli uffici territoriali del Governo, coordinati da un delegato del prefetto e composti dai rappresentanti provinciali delle Forze di polizia e della direzione investigativa antimafia.
  Lo scambio informativo fra i GPI costituisce uno dei maggiori punti di forza dell'applicativo e viene alimentato con informazioni «certificate» attraverso il vaglio delle strutture investigative che, sul territorio provinciale, svolgono ai più alti livelli l'attività operativa di contrasto al crimine organizzato. Nella regione Puglia il progetto ha trovato la sua realizzazione nella costituzione dei GPI presso tutte le prefetture; in particolare, per quella di Bari si è provveduto all'avvio il 30 marzo 2012.
  Infine, a seguito dell’
escalation criminale, la situazione dell'ordine e della sicurezza pubblica del capoluogo pugliese è stata oggetto di esame nel vertice svoltosi presso prefettura di Bari il 22 maggio 2013, presieduto dal Ministro dell'interno. Alla riunione hanno partecipato i vertici nazionali e provinciali delle Forze dell'ordine, i capi delle procure della Repubblica di Bari e di Trani, il presidente della giunta della regione Puglia, il presidente della provincia di Bari e il sindaco di Bari.
  Dopo un'attenta analisi della situazione, il Ministro dell'interno ha suggerito un ulteriore programma di base per contrastare la criminalità organizzata, che dovrà svilupparsi lungo tre direttrici: rafforzamento dei dispositivi di vigilanza e di controllo del territorio, potenziamento delle strutture investigative per la ricerca dei latitanti e tavolo interforze per l'aggressione dei patrimoni criminali. Nel rispetto del suddetto programma, a partire dal mese di maggio 2013, è stato attuato un potenziamento dei dispositivi di controllo del territorio di Bari e provincia con personale di rinforzo pari a 30 unità della Polizia di Stato specializzate nel settore investigativo e 30 unità dell'Arma dei Carabinieri. Sono state, altresì, disposte nuove assegnazioni di personale della Polizia di Stato ai vari uffici e reparti ubicati nella provincia di Bari con decorrenza dal 7 ottobre 2013. Si tratta di complessive 86 unità, di cui 20 già anticipate alla questura a decorrere dal 9 settembre 2013.
  Si segnala, inoltre, nel quadro del complessivo potenziamento del controllo del territorio da parte delle Forze di Polizia, l'avvenuto stanziamento per l'intera regione Puglia di euro 46.668.902,73 nell'ambito del programma operativo nazionale sicurezza, da utilizzare in un progetto di sistema integrato di videosorveglianza territoriale e di monitoraggio del traffico veicolare.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   GAGNARLI, MASSIMILIANO BERNINI, PARENTELA, BENEDETTI, L'ABBATE, GALLINELLA e LUPO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha inviato alla Conferenza Stato regioni una bozza di testo di revisione della legge n. 157 del 1992 sulla protezione della fauna selvatica e regolamentazione della concessione venatoria;
   la legge n. 157 del 1992 rappresenta il recepimento della direttiva «Uccelli» n. 79/409/CEE, che impone agli Stati membri l'obbligo di mantenere o adeguare le popolazioni di uccelli selvatici in uno stato di conservazione soddisfacente, requisito fondamentale, indispensabile e prioritario per lo svolgimento dell'attività venatoria;
   proprio per raggiungere queste finalità, la direttiva europea impone il silenzio venatorio e ogni forma di disturbo biologico durante le fasi della migrazione e della riproduzione della fauna selvatica, secondo quanto espresso dalla «guida alla stesura dei calendari venatori» dell'ISPRA, inviata ormai da tempo a tutte le regioni italiane;
   le modifiche proposte dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali prevedono una serie di misure tra cui l'introduzione di un articolo specifico per la gestione degli ungulati e sulla gestione delle specie alloctone con l'obiettivo dichiarato della «densità zero», prevedendo altresì per questi animali abbattimenti durante tutto l'anno, nelle oasi di protezione e in ogni condizione climatica derogando ad alcuni divieti imposti dall'attuale legge n. 157 del 1992. Per attuare tale deroga, l'articolo 19 viene riformulato sottolineando come l'attività di controllo faunistico non costituisca esercizio di caccia, per poi ricorrere anche all'ausilio dei cacciatori per gli abbattimenti;
   per le specie alloctone non è prevista alcuna misura relativa alle metodologie ecologiche proposte e verificate dall'ISPRA, condannando quindi gli animali ad un inutile uccisione anche laddove, come nel caso della nutria, le popolazioni vivono ormai stabilmente e in stato di libertà naturale tanto che tecnicamente sarebbe impossibile procedere ad una eradicazione;
   sempre per la fauna alloctona, ad eccezione dello scoiattolo grigio, non è stato introdotto nessun divieto alla commercializzazione delle specie ritenute «problematiche»;
   continuano invece i dannosi ripopolamenti a fini venatori, che creano gravi squilibri alle popolazioni naturali e rappresentano una minaccia per la biodiversità nonché causa principale di ingenti danni all'agricoltura così come risulta da documenti delle regioni;
   il nostro Paese è ormai sotto osservazione dell'Unione europea non solo per l'annosa questione della caccia in deroga, con la procedura 2131/2006 che sta giungendo a seconda condanna, ma anche perché si continua ad esercitare l'attività venatoria in periodi che secondo l'ISPRA – istituto a cui la cui autorevolezza è riconosciuta in sede europea – coincidono con la migrazione e la riproduzione permettendo di sparare anche a specie riconosciute come SPEC2 e SPEC3 – ovvero con gravi problemi relativi alla loro conservazione;
   quindi, diverse potrebbero essere le azioni da intraprendere per riscrivere una legge che, in ogni caso, in vent'anni non ha mai visto un'applicazione corretta –:
   se non intenda ripensare alla proposta di revisione della legge n. 157 del 1992 già consegnata alla Conferenza Stato regioni, affinché essa mantenga i reali obiettivi per cui è stata scritta ed in particolare la tutela della biodiversità;
   se non intenda risolvere l'annosa questione delle deroghe di caccia, strumento che, grazie agli abusi commessi dalle regioni, sta «fruttando» al nostro Paese una nuova condanna europea, con relative sanzioni pecuniarie;
   se non intenda escludere dall'attività venatoria le 19 specie considerate SPEC2 e SPEC3, evitando così al nostro Paese possibili conseguenze da parte dell'Unione europea;
   se non intenda assumere iniziative per vietare i ripopolamenti di ungulati e di altre specie reimmesse per fini venatori e accusati di arrecare danni all'agricoltura;
   se non intenda valutare una strategia globale per affrontare il problema delle specie alloctone partendo dal divieto di commercializzazione e di reimmissione, nonché di individuare ed attuare una serie di metodologie ecologiche che prevedano dati scientifici certi e interventi prioritari sul ripristino di habitat favorevoli alle specie selvatiche e non a quelle alloctone, o l'utilizzo di altri metodi che non contemplino una inutile uccisione di animali. (4-01171)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in oggetto, riguardante la proposta di modifica della legge n. 157 del 1992 recante norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio (cosiddetto «legge sulla caccia»), si evidenzia, innanzitutto, che tale proposta fu elaborata in funzione delle problematicità applicative emerse negli anni ed è stata concertata con le amministrazioni competenti, tra le quali, in particolare, le regioni ed il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare supportato, in appositi gruppi di lavoro, dagli esperti dell'Ispra.
  Tra le priorità d'intervento sono state discusse e affrontate le questioni relative alla gestione venatoria del cinghiale valutando i danni causati alla produzione agricola, e degli ungulati selvatici con riferimento ai periodi e alle modalità di prelievo in selezione.
  Sono stati, inoltre, affrontati i temi dell'adeguamento del quadro normativo italiano in materia di uso di munizioni prive di piombo, della gestione delle specie alloctone e della modifica dell'articolo 19-
bis della legge n. 157 del 1992, in relazione alla procedura di infrazione comunitaria 2006/2131.
  La modifica dell'articolo 19-
bis è stata, dunque, dettata dalla necessità di adeguare la normativa nazionale di recepimento della direttiva 2009/147/CE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, alla sentenza di condanna della Corte di giustizia europea del 15 luglio 2010 (causa C/573/08) correlata alla procedura di infrazione predetta.
  L'articolo 19-
bis della legge n. 157 del 1992, sulla base degli esiti delle concertazioni istruttorie suddette, è stato interamente riscritto e sostituito dall'articolo 26, comma 2, della legge 6 agosto 2013, n. 97, recante «Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea – Legge europea 2013».
  Le nuove disposizioni introdotte attribuiscono alle regioni la disciplina dell'esercizio delle deroghe previste dalla direttiva 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009, conformandosi alle prescrizioni dell'articolo 9, ai principi e alle finalità degli articoli 1 e 2 della stessa direttiva.
  Le deroghe possono essere disposte dalle regioni e dalle province autonome soltanto in assenza di altre soluzioni soddisfacenti, in via eccezionale e per periodi limitati. Devono essere giustificate da un'analisi puntuale dei presupposti e delle condizioni e devono indicare espressamente le specie che ne formano oggetto, i mezzi, gli impianti e i metodi di prelievo autorizzati, le condizioni di rischio, le circostanze di tempo e di luogo del prelievo, il numero dei capi giornalmente e complessivamente prelevabili nel periodo, i controlli e le particolari forme di vigilanza.
  I soggetti abilitati al prelievo sono individuati dalle regioni e sono assoggettati ad obblighi nonché a controlli specifici periodici.
  Le analisi di presupposti e condizioni sono delineate sentito l'Ispra è, comunque, le deroghe non possono avere ad oggetto specie in
status sfavorevole e cioè con consistenza numerica in grave diminuzione, in ordine alle quali era stato adottato il decreto ministeriale 6 novembre 2012, sempre ai sensi della direttiva 2009/147/CE.
  È disciplinato un sistema di controllo da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sulle regioni, ed è stato altresì previsto che, fatto salvo il potere sostitutivo d'urgenza di cui all'articolo 8, comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131, nel caso di provvedimenti di deroga adottati in violazione della legge e della predetta direttiva, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro competente, diffida la regione interessata ad adeguarsi entro 15 giorni e, laddove non ottemperi, l'annullamento è disposto dal Consiglio dei ministri.
  Le deroghe, a carattere temporaneo, devono rispondere all'interesse della salute e della sicurezza pubblica, nonché essere funzionali a prevenire gravi danni alle colture, al bestiame, ai boschi, alla pesca nonché a proteggere la flora e la fauna ai sensi dell'articolo 9, paragrafo 1, lettera
a), della citata direttiva.
  Inoltre, le regioni, nell'esercizio delle attribuzioni in questione, devono attenersi alle linee guida nazionali emanate con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta interministeriale d'intesa con la conferenza unificata, e annualmente sono tenute a relazionare, sulle deroghe adottate, al Presidente del Consiglio dei ministri ovvero al Ministro per gli affari regionali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per gli affari europei, all'Ispra, al mio Ministero e alle competenti commissioni parlamentari. Le relazioni sono altresì trasmesse dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare alla Commissione europea.
  La regione in cui risulti superato il numero massimo di capi prelevabili è esclusa dall'esercizio derogatorio nell'anno successivo.
  È evidente che si tratta di realtà complesse per le quali le nuove disposizioni introdotte delineano un sistema tassativo e sottoposto a controlli rigidi, sistematici e multilivello.
  È, altresì, evidente che le problematiche riguardanti l'ambiente, la flora, la fauna, e le interazioni con le attività umane svolte sul territorio – come l'agricoltura e non solo – sono in continuo mutamento e, pertanto, impongono di mantenere una prospettiva dinamica nella volontà condivisa di pervenire ad una strategia globale di riordino complessivo del quadro normativo, in modo da riuscire ad adottare soluzioni di lungo periodo, individuando tra queste anche le opportune misure per fronteggiare le criticità connesse alle specie alloctone, sotto il profilo delle immissioni, della commercializzazione e del controllo necessario a contenerne l'impatto sui naturali equilibri eco-sistemici del nostro territorio in funzione dell'interesse generale alla tutela della biodiversità.

Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliNunzia De Girolamo.


   GRIMOLDI e INVERNIZZI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   con l'interrogazione a risposta scritta n. 4-09973 presentata in data 14 dicembre 2010, nella seduta n. 408, l'interrogante ha già rappresentato la necessità di interventi urgenti per la tutela della basilica romanica dei Santi Pietro e Paolo sita nel comune di Carate Brianza;
   la predetta «basilica» è uno degli esempi più significativi di architettura romanica in Brianza: edificata nel IX secolo, presenta una bella facciata in ciottoli di fiume, con un bel portale sovrastato da due monofore con la figura del Cristo nella lunetta, e due porte laterali: l'interno è a tre navate, con archi e colonne in pietra di riuso risalenti al IV-V secolo con scritte sui capitelli;
   originariamente la pieve, così come l'attiguo battistero, doveva essere ricoperta da affreschi del XI-XV secolo, mentre ora sopravvivono solo minime porzioni di intonaco affrescato sulle due ultime arcate della navata di sinistra e nella volta a botte; il battistero, a cui si accede dalle absidi laterali, è uno dei pochi esempi di battistero a sette lati con piccola nicchia absidale, probabilmente coevo e uguale alla basilica nella tecnica costruttiva, al cui interno, si conservano affreschi altomedievali, trecenteschi e quattrocenteschi: interessanti sono inoltre la cripta, realizzata nel XII secolo, e la settecentesca sacrestia; verso la fine dell'800, il complesso religioso di Agliate subì massicci lavori di restauro coordinati dall'architetto Luca Beltrami; della stessa epoca è anche il campanile di forma quadrata;
   il sopra citato atto di sindacato ispettivo ha posto all'attenzione del Ministro interrogato il pericolo derivante dalle copiose infiltrazioni d'acqua e forti vibrazioni all'interno della Basilica, causate dal passaggio di tir lungo la strada limitrofa alla Basilica stessa;
   per far fronte a tale fenomeno già nel 2008 la soprintendenza per i beni architettonici di Milano ha eseguito un sopralluogo con i tecnici della parrocchia di Agliate, (proprietaria del monumento), il parroco stesso e il presidente del parco della valle del Lambro, al fine di vagliare lo stato delle infiltrazioni e delle vibrazioni all'interno della Basilica;
   nel 2011 la parrocchia di Agliate avrebbe incaricato due tecnici per redigere un progetto di restauro della copertura della Basilica e, attraverso l'uso di un cestello aereo, sarebbe stata eseguita una prima ispezione sulla copertura al fine di verificarne lo stato di conservazione –:
   se il progetto di restauro della copertura della Basilica dei Santi Pietro e Paolo in parola abbia messo in sicurezza l'edificio dalle infiltrazioni d'acqua;
   se, in considerazione dei danni provocati alla stabilità della basilica dal traffico veicolare pesante dalla strada provinciale 155, non ritenga opportuno intervenire per sollecitare un'ispezione urgente da parte della competente soprintendenza, in modo tale da valutare le eventuali e ulteriori gravi ripercussioni causate dalle citate scosse sismiche sulla struttura dell'edificio medesimo. (4-00625)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione parlamentare indicata in oggetto, con la quale l'interrogante chiede informazioni in ordine alla tutela della Basilica romanica dei Santi Pietro e Paolo sita nel comune di Carate Brianza (MB), si comunica quanto segue.
  La parrocchia dei SS Ambrogio e Simpliciano di Carate Brianza, proprietaria del bene, ha riferito per vie brevi che, a seguito delle ispezioni eseguite sulle coperture del complesso da parte dei tecnici incaricati dalla proprietà, si è provveduto a contestuali limitati interventi di ricorsa del manto che garantiscono, allo stato attuale, una soddisfacente tenuta agli agenti atmosferici; è comunque intenzione della proprietà predisporre e sottoporre alla approvazione della competente soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Milano un generale progetto di manutenzione e conservazione delle strutture del complesso, finalizzato in particolare alla risoluzione di problematiche legate alla presenza di umidità di risalita nelle murature, da realizzarsi presumibilmente nel prossimo anno 2014.
  A tal fine, la suddetta soprintendenza, non appena ricevuto il predetto progetto, eseguirà un sopralluogo per la verifica delle problematiche e delle soluzioni progettuali prospettate.
  Relativamente, poi, al problema delle vibrazioni derivanti dal passaggio del traffico veicolare e del loro effetto sulla stabilità della Basilica, si ricorda che la medesima Soprintendenza, a seguito di pregressi sopralluoghi, ha già richiesto e sollecitato l'attivazione di una campagna di monitoraggio delle vibrazioni all'interno della chiesa, nonché la predisposizione di una analisi strutturale dell'edificio al fine di consentire la valutazione del fenomeno e delle possibili ripercussioni sulle strutture in base ad una concreta e dettagliata conoscenza dello stato di fatto; tali approfondimenti, a carico della proprietà, non risultano ancora eseguiti.
  Si precisa, infine, che la strada provinciale 155, per il tratto limitrofo alla Basilica, è inibita al passaggio di autocarri con peso superiore ai 35 quintali, con eccezione dei mezzi diretti alle ditte con sede nelle vicinanze della Basilica, che non potrebbero altrimenti accedere all'interno delle ditte stesse; allo stato attuale non risultano ancora individuate dai comuni competenti ulteriori soluzioni viabilistiche che possano consentire il totale spostamento del traffico veicolare pesante dal tratto di strada interessato.
Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismoMassimo Bray.


   GRIMOLDI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   diverse imprese denunciano da mesi il verificarsi di pratiche ingannevoli compiute ai loro danni;
   la società Kuadra Srl ha inviato a molte imprese iscritte alla camere di commercio dei bollettini postali relativi all'adesione ad una proposta commerciale con messaggi ambigui, tali da indurre i destinatari della proposta in inganno;
   nei bollettini appare la seguente dicitura: «Quota d'iscrizione – l'iscrizione è obbligatoria, per le ditte iscritte a: Camera di commercio, Industria Agricoltura e Artigianato, qualora si desideri usufruire dei servizi offerti, totalmente detraibili ai fini IVA. L'accettazione della nostra proposta e l'utilizzo del nostro portale multiservizi ha finalità esclusivamente commerciale e non surroga, né in alcun modo sostituisce gli adempimenti imposti dallo Stato italiano e/o dalla Pubblica Amministrazione in tema di iscrizione al Registro delle Imprese (C.C.I.A.A. e quant'altro) ed in tema di esazione di diritti dovuti per legge»;
   la camera di commercio è intervenuta ribadendo la propria estraneità a tale iniziativa e ricordando che l'unico tributo da corrispondere all'ente, tramite modello F24, è quello relativo al diritto annuale;
   il pagamento per l'iscrizione al portale multiservizi, non sembra quindi un diritto effettivamente dovuto ma esclusivamente un costo di inserimento ad un portale, tra l'altro non obbligatorio;
   la società Kuadra, con sede a Napoli, sembra abbia negato ogni coinvolgimento nella vicenda, dichiarandosi essa stessa parte lesa;
   servirebbe un chiarimento sulla vicenda anche per capire se il comportamento dell'azienda possa rappresentare un illecito ai danni delle imprese coinvolte –:
   di quali elementi disponga il Ministro in relazione a quanto esposto in premessa;
   se intenda adottare iniziative normative al fine di contrastare pratiche come quelle descritte ed eventualmente prevedere forme di ristoro economico per le imprese danneggiate. (4-02065)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione di cui all'oggetto relativa all'impresa Kuadra S.r.l., si rappresenta quanto segue.
  L'interrogante avrebbe segnalato un caso di pratica commerciale scorretta, consistente nell'invio da parte della società a molte imprese, iscritte alle camere di commercio, di bollettini postali relativi all'adesione ad una proposta commerciale con messaggi ambigui (in particolare, si richiedeva il pagamento per l'iscrizione ad un portale multi-servizi, iscrizione di fatto non obbligatoria, ma formulata in maniera da apparire dovuta da parte degli iscritti al registro delle imprese tenuto dalle Camere di commercio e, quindi, tale da indurre i destinatari in inganno su detto aspetto).

  La pratica dei cosiddetti «falsi bollettini registro imprese» e, prima ancora, dei «falsi bollettini registro ditte», è nota da diverse decine di anni e non sempre è facilmente contrastabile, al punto da essere stata oggetto di specifica risoluzione da parte del Parlamento europeo.
  Tuttavia, deve rilevarsi come il quadro giuridico vigente preveda già strumenti specifici per perseguire e sanzionare fenomeni quali quello denunciato, cui devono aggiungersi campagne di sensibilizzazione delle categorie di utenti colpiti da dette pratiche, così come auspicato dalle stesse istituzioni comunitarie. Il ricorso a uno specifico intervento normativo, come da richiesta dell'interrogante, appare quindi ultroneo, essendo la disciplina già sottoposta al codice del consumo, a norma dell'articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229 (decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206), e in particolare all'articolo 18 dello stesso qualora si tratti di pratiche commerciali scorrette tra professionisti e microimprese, ovvero alla normativa prevista in materia di pubblicità ingannevole negli altri casi. Non si può d'altra parte dimenticare che spesso tali forme di comunicazione vengono utilizzate nell'ambito di attività imprenditoriali del tutto lecite, quali, ad esempio, le elaborazioni e la distribuzione di dati acquisiti per il tramite del registro delle imprese tenuto dalle Camere di commercio. Un’over-regulation nell'ottica di perseguire alcune imprese scorrette, finirebbe per impattare negativamente sull'attività di tutte le altre imprese che operano correttamente sul mercato.
  Sembra allora più opportuno segnalare le pratiche «sospette» all'autorità garante della concorrenza e del mercato che, in virtù dei propri poteri istruttori e sanzionatori, da una parte può valutarne la complessiva compatibilità con le norme generali in tema di correttezza nelle pratiche commerciali e dall'altra può provvedere ad aumentare la consapevolezza dei soggetti destinatari di tali pratiche sui rischi o sulle ambiguità connesse a determinati tipi di comunicazioni.
  Il Ministero dello sviluppo economico, pertanto, anche sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale e delle richieste dell'interrogante, ha provveduto ad inoltrare un esposto relativo all'attività della Kuadra S.r.l. alla predetta autorità e contestualmente ha diramato alle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, e in particolare agli uffici del registro delle imprese, uno schema di comunicato relativo al caso segnalato.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoSimona Vicari.


   LAFFRANCO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'allarme sulle penalizzazioni che la riforma Fornero in materia pensionistica riserva ai lavoratori che hanno fruito di permessi mensili ex legge n. 104 del 1992 sta creando notevole preoccupazione per le famiglie in cui vi sono persone disabili;
   le penalizzazioni interessano coloro che hanno chiesto la pensione anticipata (i cosiddetti «lavoratori precoci»), concessa al di là dell'età anagrafica, che abbiano i requisiti previsti dalla normativa;
   nello specifico, in base all'articolo 24, comma 10, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, se il pensionamento anticipato avviene prima del compimento dei 62 anni di età è applicata, sulla quota di trattamento di pensione relativa all'anzianità contributiva maturata fino al 31 dicembre 2011, una riduzione dell'1 per cento per i primi due anni mancanti al raggiungimento dei 62 anni di età ed elevata al 2 per cento per gli ulteriori anni mancanti alla suddetta età, a partire dalla data del pensionamento;
   la situazione è stata resa ancora più difficoltosa con l'introduzione di una deroga alla penalità per chi raggiunge i requisiti entro il 2017 senza avere i 62 anni di età;
   infatti l'articolo 6, comma 2-quater, del decreto-legge n. 216 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14 (cosiddetto «decreto mille proroghe») ha disposto che la suddetta riduzione non trova applicazione limitatamente ai soggetti che maturano il requisito di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017, qualora la contribuzione ivi prevista derivi esclusivamente da «prestazione effettiva di lavoro», escludendo in tal modo: l'astensione facoltativa per maternità, i periodi di mobilità, di cassa integrazione straordinaria o in deroga, di disoccupazione; i permessi ex legge n. 104; l'astensione dal lavoro per donazione di sangue e di emocomponenti; le giornate di sciopero; le aspettative senza assegni a qualsiasi titolo;
   dunque, nel caso specifico di coloro che usufruiscono di permessi ex legge n. 104 del 1992, le nuove regole hanno previsto che, se non vogliono subire una penalizzazione, devono allungare l'attività lavorativa del corrispondente periodo «perduto»;
   la legge 5 febbraio 1992, n. 104, è stata istituita per assicurare e garantire una adeguata tutela ai cittadini disabili, prevedendo alcuni permessi lavorativi, definiti nelle modalità e nei tempi, per il disabile stesso o per il familiare che garantisce assistenza e sostegno;
   la situazione venutasi a creare con la normativa attuale succitata crea una grave discriminazione per coloro che assistono familiari disabili e che quindi svolgono un ruolo di importante valore sociale, già gravati da situazioni personali difficili e comunque per tutte le famiglie in cui vive una persona disabile –:
   se il Ministro interrogato, alla luce di quanto descritto in premessa, non ritenga opportuno adottare iniziative, anche di tipo normativo, finalizzate a superare le sostanziali discriminazioni nei confronti di coloro che usufruiscono dei permessi lavorativi ex legge n. 104 del 1992;
   se non ritenga opportuno assimilare alla «prestazione affettiva di lavoro» anche l'astensione dal lavoro riguardante i permessi ex legge n. 104 del 1992.
(4-02153)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame si chiede di conoscere il parere del Governo sulla opportunità di adottare iniziative, anche di carattere normativo, volte ad includere tra le «prestazioni effettive di lavoro» previste dal comma 2-quater dell'articolo 6 del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216 anche i permessi per l'assistenza ad un parente disabile, previsti dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104.
  La questione segnalata si sta con ogni probabilità avviando verso la soluzione normativa auspicata dall'interrogante.
  Ed infatti, nel corso dell’iter di approvazione del disegno di legge di stabilità per il 2014 al Senato (AS 1120) è stato approvato un emendamento del seguente tenore: «All'articolo 6, comma 2-quater, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: “nonché per i congedi e i permessi concessi ai sensi dell'articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104”».
  Ciò significa, appunto, che laddove l'emendamento in questione fosse trasfuso nel testo finale della legge, la lamentata situazione di svantaggio per i lavoratori che assistono persone con disabilità troverebbe una soluzione del tutto positiva.
Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la SACCI spa ha deciso di chiudere il cementificio di Pescara per cessazione della attività;
   le motivazioni addotte sono la crisi nazionale del settore delle costruzioni e la decisione dell'amministrazione comunale di Pescara di chiederne la delocalizzazione per motivi ambientali e sanitari essendo in una zona densamente abitata della città di Pescara;
   a perdere il posto di lavoro sarebbero un centinaio di persone, molte delle quali già in cassa integrazione guadagni da mesi;
   i sindacati hanno chiesto una riconversione dell'impianto e un piano per la ricollocazione produttiva dei lavoratori, molti dei quali lontani dall'età minima pensionabile –:
   se non intendano accogliere la richiesta dei sindacati per un incontro con le parti sociali, la regione Abruzzo e il comune di Pescara per una soluzione condivisa della crisi aziendale con l'obiettivo di tutelare, nelle forme concordate, l'occupazione. (4-01856)

  Risposta. — L'interrogazione in esame riguarda la crisi della Sacci spa, che opera nel settore della produzione di cemento e calcestruzzo, con varie sedi dislocate nel territorio nazionale, fra cui il cementificio di Pescara di cui fa cenno l'interrogante.
  In proposito, si informa che la Sacci spa, il 6 novembre 2012 ha sottoscritto con le organizzazioni sindacali un verbale di accordo per il ricorso alla cassa integrazione guadagni straordinaria (Cigs) per crisi aziendale della durata di 12 mesi decorrenti dal 19 novembre 2012 per un numero massimo di 270 lavoratori.
  In data 6 maggio 2013, è stato pubblicato nel registro delle imprese della camera di commercio di Roma un accordo di ristrutturazione del debito ai sensi dell'articolo 182-bis della legge fallimentare, accordo poi omologato con decreto del Tribunale di Roma-sezione fallimentare del 24 luglio 2013.
  Conseguentemente, la società ha presentato a questo Ministero istanza di esame congiunto al fine di addivenire alla stipula di un accordo per il ricorso alla Cigs per ristrutturazione del debito ai sensi dell'articolo 3 della legge n. 223 del 1991.
  In data 18 settembre 2013, presso la sede di questo Ministero, si è dunque tenuto un incontro con i rappresentanti della società Sacci spa e delle organizzazioni sindacali, nel corso della quale è stato stipulato un accordo per il ricorso da parte della Sacci spa alla cassa integrazione guadagni straordinaria, ai sensi dell'articolo 3 della legge n. 223 del 1991, per 12 mesi decorrenti dal 6 maggio 2013 fino al 5 maggio 2014, in favore di un numero massimo di 335 lavoratori.
  Nel corso della predetta riunione, la società Sacci ha dichiarato che nell'ambito del piano complessivo di ristrutturazione del debito, così come omologato dal Tribunale di Roma, si prevede, altresì, la fusione per incorporazione nella Sacci delle società Sicabeton spa e Ali – Autotrasporti leganti idraulici spa, con conseguente costituzione all'interno della struttura organizzativa di Sacci, di una divisione calcestruzzo (ex Sicabeton spa) e di un servizio trasporto (ex Ali spa). Tale operazione societaria si è concretizzata producendo effetti a partire dal 1o settembre 2013.
  Stante la situazione di crisi dell'azienda dovuta anche alla crisi del settore delle costruzioni e considerate le iniziative contemplate nel piano industriale e finanziario a fondamento dell'accordo di ristrutturazione del debito, le parti hanno concordato di ricorrere alla Cigs al fine di supportare l'attuazione di detto piano e di salvaguardare nel contempo i livelli occupazionali.
  Nello specifico, l'integrazione salariale interesserà 106 dipendenti dello stabilimento di Castelraimondo in provincia di Firenze, 70 lavoratori occupati presso lo stabilimento di Pescara, 41 lavoratori dell'ex Ali spa e 41 lavoratori della ex-Sicabeton Spa.
  Contestualmente, si è convenuto che il trattamento di integrazione salariale già richiesto dalla Sacci spa per crisi aziendale a far data dal 19 novembre 2012 si interrompe al 5 maggio 2013 così come si interrompono al 1o agosto 2013 i trattamenti di integrazione salariale già richiesta dalla Ali spa e dalla Sicabeton spa.
  Le parti hanno, inoltre, concordato che durante il periodo di fruizione della Cigs si potrà fare ricorso allo strumento dei licenziamenti collettivi subordinatamente alla non opposizione dei lavoratori, per favorire la ricollocazione presso aziende terze, il raggiungimento dei requisiti pensionistici e iniziative di autoimprenditorialità.
  Le parti si sono altresì impegnate ad attivarsi presso le istituzioni locali, al fine di favorire il ricorso a misure di politica attiva del lavoro, attraverso programmi di formazione e riqualificazione del personale sospeso.
  Infine, nell'ambito del citato accordo è stato stabilito che le parti si incontreranno con cadenza trimestrale per monitorare l'andamento della Cigs e l'evoluzione della situazione aziendale.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiCarlo Dell'Aringa.


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da 5 mesi, 120 lavoratori dell'azienda ex-Finmek di Sulmona (AQ), messa in liquidazione nel 2011, aspettano la cassa integrazione straordinaria scaduta ad aprile e mai corrisposta;
   gli stessi 120 operai ex-Finmek da ottobre 2012 hanno erroneamente percepito l'indennità di mobilità (anche se solo parzialmente) dato che tale somma andava corrisposta solo ad esaurimento della cassa integrazione straordinaria che invece, a quel tempo, non era ancora scaduta;
   ora l'Inps chiede la restituzione delle somme assegnate direttamente ai lavoratori a titolo di mobilità (nella misura dell'80 per cento della retribuzione teorica lorda che comprende le sole voci fisse che compongono la busta paga) perché a loro parere l'assegno non era dovuto;
   attualmente dunque ogni lavoratore dovrebbe restituire all'Istituto pensionistico circa 4 mila e 300 euro (lordi);
   la restituzione della prestazione di disoccupazione è stata chiesta dall'Inps e non sarebbe nemmeno possibile una compensazione con il credito che i lavoratori hanno maturato per la cassa integrazione straordinaria perché quest'ultima viene erogata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   la somma da erogare a favore dei 120 lavoratori è superiore a quella che dovrebbero restituire alle casse dell'Inps;
   l'ingorgo amministrativo nasce dal fatto che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, anziché procedere all'approvazione della richiesta di cassa integrazione, inoltrata a dicembre scorso, ha ritenuto opportuno inviare gli ispettori negli stabilimenti dell'Aquila e Sulmona. Da allora, non vi è stato alcun pronunciamento da parte degli organi ministeriali;
   i lavoratori sono ovviamente preoccupati per il loro futuro dato che il mancato pagamento della cassa integrazione straordinaria blocca questioni piuttosto rilevanti come il Tfr e le pensioni –:
   se non intenda procedere in tempi brevissimi sbloccando la procedura per approvare la cassa integrazione straordinaria ai 120 lavoratori della ex Finmek. (4-01954)

  Risposta. — La vicenda posta all'attenzione con l'interrogazione in esame, riguarda i 120 lavoratori in forza presso lo stabilimento, sito in Sulmona (L'Aquila), dell'impresa Finmek spa, avente sede legale in Padova ed unità operative dislocate in varie parti del territorio nazionale.
  A decorrere dal 19 ottobre 2012, i predetti lavoratori sono stati collocati in mobilità a seguito del licenziamento ad essi intimato dalla impresa sottoposta alla procedura concorsuale dell'amministrazione straordinaria.
  Il licenziamento, in particolare, era intervenuto al termine del trattamento straordinario di integrazione salariale (Cigs), autorizzato, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, della legge n. 223 del 1991, per il periodo dal 20 ottobre 2011 al 19 ottobre 2012.
  Alla scadenza del periodo di Cigs, la Finmek spa ha provveduto a collocare in mobilità i lavoratori che, pertanto, hanno subito iniziato a usufruire della relativa indennità.
  Successivamente, allorquando si è profilata la possibilità di instaurare delle trattative con altra azienda interessata a rilevare il sito industriale, la Finmek spa ha provveduto a revocare i licenziamenti in precedenza intimati, reintegrando i lavoratori in questione ed attivando per essi la procedura per la proroga di sei mesi del trattamento di Cigs precedentemente concesso.
  In data 7 marzo 2013, infatti, presso i competenti uffici del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, i vertici aziendali e le rappresentanze sindacali dei lavoratori hanno sottoscritto un verbale di accordo con il quale la Finmek spa si è impegnata a richiedere per i predetti lavoratori, ai sensi dell'articolo 3, comma 2, della legge n. 223 del 1991, la proroga dell'intervento di Cigs per amministrazione straordinaria senza prosecuzione di attività, relativamente al periodo dal 20 ottobre 2012 al 19 aprile 2013.
  Con riferimento al blocco dell’iter di approvazione del decreto per la concessione della proroga, il competente ufficio del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha precisato che lo stesso è da ascriversi alla mancata produzione, nel corso dell'istruttoria, della relazione approvata dal giudice delegato o dall'autorità che ne esercita il controllo sulle prospettive di cessazione dell'azienda o di sue parti e sui riflessi della cessione sull'occupazione aziendale. Ciò, in conformità a quanto disposto dal più volte citato articolo 3, comma 2, della legge n. 223 del 1991.
  Riguardo poi alla richiesta di restituzione delle somme in precedenza assegnate, a titolo di indennità di mobilità, l'Inps ha precisato che il recupero delle stesse sarebbe avvenuto nei tempi e con le modalità concordate nel corso di un incontro con le rappresentanze sindacali dei lavoratori e, in ogni caso, all'atto della concessione della proroga del trattamento di Cigs, sulla base di un piano di rientro rateale.
  L'Inps ha altresì comunicato di aver proceduto a notificare ai soggetti debitori la somma oggetto di recupero, al fine di interrompere i termini di prescrizione e di non incorrere in responsabilità contabili sanzionabili.
  Da ultimo, per completezza di informazione, si precisa che, a decorrere dal 19 aprile 2013 (data di scadenza del periodo di proroga del trattamento di Cigs), i lavoratori in argomento sono stati nuovamente inseriti nelle liste di mobilità e che gli stessi percepiscono regolarmente la relativa indennità.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiCarlo Dell'Aringa.


   MELILLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   agli inizi di ottobre uno dei simboli del Parco Nazionale dell'Arcipelago della Maddalena, l'isola di Budelli, di 1,60 chilometri quadrati con 12 chilometri di costa, è stata venduta all'asta ad un banchiere neozelandese per appena 2 milioni e 940 mila euro;
   il Parco Nazionale ai sensi della legge quadro 391 del 1991 può esercitare entro 90 giorni il diritto di prelazione; non esercitare tale diritto sarebbe semplicemente una resa dello Stato nei confronti di una delle aree più belle d'Italia e del mondo;
   dinanzi alla norma che impedisce agli enti pubblici di acquistare immobili, potrebbe essere promossa una raccolta di fondi e donazioni finalizzata all'acquisizione dell'isola Budelli –:
   se non intenda, nell'ambito delle proprie competenze, promuovere una iniziativa comune con il Ministero dell'economia e delle finanze, la regione Sardegna e il Parco nazionale della Maddalena affinché l'isola di Budelli diventi un bene dello Stato. (4-02281)

  Risposta. — Andata deserta la prima asta pubblica, il 2 ottobre 2013, a seguito di una seconda procedura concorsuale attivata dal Tribunale di Tempio Pausania, la vendita dell'isola di Budelli è stata aggiudicata a un imprenditore neozelandese per il prezzo a base d'asta fissato in 2,945 milioni di euro.
  Tale operazione di vendita si è resa necessaria poiché la società immobiliare milanese che deteneva la proprietà dell'isola è stata dichiarata fallita.
  L'isola di Budelli, com’è noto, fa parte del parco nazionale dell'arcipelago della Maddalena ed è, pertanto, soggetta ad un rigido sistema di tutele, sia nella parte terrestre che nella parte marina.
  Infatti, nella parte terrestre sono vietati l'apertura di campeggi, l'accesso in aree di nidificazioni, l'apertura di cave e miniere, la realizzazione di nuovi edifici, la ristrutturazione delle costruzioni di proprietà demaniale per uso turistico-residenziale, fermo restando che tali strutture possono essere recuperate e ristrutturate per usi di interesse generali compatibili con le finalità di protezione.
  Per quanto riguarda, più in particolare, il sito della cosiddetta «spiaggia rosa», il 3 agosto 2011 l'ente parco ha emesso l'ordinanza n. 4, con la quale è stato disposto che nell'area di Cala di Rota, più comunemente denominata, appunto, «spiaggia rosa», nello specchio acqueo delimitato antistante nonché nella fascia demaniale nella parte terrestre sabbiosa compresa tra la linea dell'arenile e il sentiero, sono vietati: il prelievo, la raccolta, l'asportazione anche parziale, il danneggiamento delle formazioni litologiche, concrezioni e minerali, ivi inclusa la sabbia; il calpestio dell'arenile e il posizionamento sullo stesso di qualsiasi oggetto; la navigazione, il transito, l'ancoraggio e la sosta di qualsiasi unità navale; la pesca professionale, sportiva e l'attività di immersione subacquea anche in apnea; la balneazione nel settore compreso tra la linea dell'arenile e le boe sferiche di delimitazione; l'alterazione diretta o indiretta, con qualsiasi mezzo, dell'ambiente bentonico e delle caratteristiche chimiche, fisiche e biologiche delle acque, nonché la discarica dei rifiuti solidi e liquidi e, in genere, immissioni di qualsiasi sostanza che possa modificare, anche transitoriamente, le caratteristiche dell'ambiente marino.
  Alle prescrizioni di cui sopra vanno, poi, ad aggiungersi gli ulteriori vincoli previsti dal Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, quali la tutela dell'isola come bene paesaggistico tipizzato, ai sensi dell'articolo 143, e, come bene paesaggistico, ai sensi dell'articolo 142 dello stesso codice, in quanto rientrante nel parco nazionale.
  In ultimo, si ricorda che l'intero parco nazionale, e quindi anche l'isola di Budelli, è sito di importanza comunitaria (Sic) e Zona di protezione speciale (Zps).
  Non si può sul punto non sottolineare che l'efficacia della normativa di tutela e la perfetta tenuta delle regolazioni in essere – nei quali si sostanziano gli appena riferiti vincoli ambientali – nonché la efficiente azione di vigilanza posta in essere da parte dei soggetti istituzionalmente preposti, non hanno consentito, ad oggi, nessun intervento di trasformazione dell'isola di Budelli nonostante che la precedente proprietà fosse già posta in capo ad una società immobiliare privata.
  È, pertanto, evidente che una eventuale acquisizione dell'isola da parte di «nuovi» soggetti privati non pregiudicherebbe in alcun modo la tutela e la salvaguardia del suo patrimonio naturalistico, considerata, appunto, l'esistenza dei medesimi e sopra richiamati rigidissimi vincoli ambientali.
  A questo punto, e in disparte quanto appena riferito, occorre richiamare le circostanze «oggettive» che non consentono, a legislazione vigente, di esercitare il diritto di prelazione previsto dall'articolo 15, comma 5, della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (legge quadro sulle aree protette).
  Per prima cosa, sovviene l'assenza di una adeguata provvista finanziaria da trasferire all'ente parco per l'esercizio della possibile prelazione. È a tutti noto, sul punto, la gravissima carenza di risorse che caratterizza da anni il settore del funzionamento del sistema dei parchi nazionali che non consente, oggettivamente, di dedicare risorse per l'eventuale acquisto e per la successiva gestione dell'area.
  Risultano, infatti, ridottissime le provviste finanziarie da dedicare agli «investimenti», da ripartire, peraltro, tra tutti i parchi per consentire di ottemperare, per la quasi totalità, a precisi obblighi di legge (manutenzioni straordinarie, interventi strutturali, e altro).
  In secondo luogo, appare indispensabile richiamare l'impossibilità giuridica dell'esercizio del diritto di prelazione, sopra richiamato. Infatti, l'articolo 1, comma 138, della legge n. 228 del 2012 ha inserito all'articolo 12 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, il comma 1-quater, il quale prevede per l'anno 2013 l'impossibilità per le amministrazioni pubbliche di acquistare immobili a titolo oneroso.
  Sul punto è, poi, intervenuta la Corte dei conti che con deliberazione n. 9 del 31 gennaio 2013 ha fornito le pertinenti coordinate interpretative, nel senso che «il divieto di acquistare immobili sancito per il 2013, e l'acquisto condizionato a decorrere dal 2014, si estendono ad ogni tipo di immobile e non solo ai fabbricati, e hanno ad oggetto sia l'acquisto in proprietà sia l'acquisto di altri diritti reali. I limiti introdotti devono ritenersi applicabili anche all'acquisizione di immobili per la realizzazione di opere assistite da dichiarazioni di pubblica utilità, fatta eccezione per quelle avviate prima del 1o gennaio 2013. Le condizioni si applicano anche alle ipotesi di contratti preliminari di compravendita stipulati prima del 1o gennaio 2013. Il divieto di acquisto sancito per il 2013 si applica anche ai diritti di prelazione, compresi quelli aventi fonte legale...».
  Alla luce di tale parere si evince con chiarezza che nel divieto di procedere ad acquisti a titolo oneroso è ricompreso anche un eventuale esercizio del diritto di prelazione finalizzato ad acquisire al patrimonio dello Stato determinati beni immobili.
  Per quanto sopra riferito è di lapalissiana evidenza il cappio normativo che stringe questo Ministero, il quale, da un lato, non dispone delle indispensabili risorse da trasferire all'ente parco affinché possa azionare il diritto di prelazione, e, dall'altro, l'esistenza di una specifica disposizione di legge, al quale l'ente gestore, in quanto amministrazione pubblica, deve necessariamente attenersi, che mira ad impedire, insieme ad altre iniziative analoghe, l'esercizio di tale facoltà.
  Allo stato delle cose, pertanto, non si può non ritenere che il Parlamento sia l'unica sede titolata per correggere, aggiornare e/o comunque derogare alle cogenti norme di diritto primario che vietano l'acquisto di beni immobili da parte delle amministrazioni pubbliche, nonché ad assicurare la necessaria provvista di risorse finanziarie, indispensabili per consentire l'acquisto e la gestione dell'immobile in questione.
  Ed è appunto in sede parlamentare e, in particolare, in occasione dell'esame della legge di stabilità 2014 da parte delle competenti commissioni Bilancio di Camera e Senato, che, com’è noto all'interrogante, si sta tuttora affrontando la problematica connessa al possibile acquisto al patrimonio dello Stato dell'isola di Budelli.
Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   MINARDO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la sindrome chimica multipla o MSC è una patologia cronica invalidante che comporta reazioni multi organo, anche gravi, per esposizioni a sostanze chimiche, anche in minime tracce, di varia origine, soprattutto se volatile (ad esempio deodoranti, profumi, detersivi, vernici, farmaci, smog);
   si tratta di una malattia rarissima, una patologia ereditaria genetica, le cui cause sono ancora sconosciute, dalla quale non è possibile guarire e che però può regredire attraverso cure specifiche;
   la MCS, ufficialmente riconosciuta come malattia invalidante in Paesi come gli Stati Uniti o il Canada, non è riconosciuta come tale dal nostro Paese;
   tale patologia comporta anche dei risvolti a livello socio-relazionale in quanto il malato di MSC è costretto a vivere quasi sempre in casa, con evidenti difficoltà a relazionarsi con altre persone o in contesti socio-lavorativi;
   in Italia i casi accertati di MCS sono 19 e, tra questi, vi è quello di una 28enne di Ragusa, la signora Mariella Russo, che da anni vive il calvario legato alla malattia e che si sta sottoponendo, con esiti positivi, alle cure necessarie presso il centro specializzato «Braskspear» di Londra;
   tali cure comportano numerose difficoltà, soprattutto di carattere economico: basti pensare infatti che la signora Russo per recarsi a Londra è costretta a viaggiare su un jet privato e non su voli di linea, perché impossibilitata proprio dalla MSC, dovendo così sostenere costi molto elevati per le spese di viaggio;
   il prossimo ricovero della signora Russo è programmato per il mese di gennaio e, senza un valido sostegno economico, la stessa difficilmente potrà continuare le cure a Londra;
   la regione siciliana e l'asp di Ragusa hanno concesso un contributo economico che però non è sufficiente a coprire i costi elevati da sostenere almeno ogni due o tre mesi;
   lo Stato italiano non riconosce questo tipo di malattia e quindi non è previsto il rimborso del 100 per cento delle spese sostenute;
   le difficoltà e i disagi affrontati dalla signora Russo e dalla sua famiglia sono uguali a quelli degli altri 18 malati di MCS per i quali è necessario avviare azioni importanti ed improcrastinabili affinché sia data loro la possibilità di curarsi in Italia;
   il malato affetto da una malattia rara ha eguali diritti di un malato affetto da una malattia con larga diffusione –:
   quali iniziative, alla luce di quanto descritto in premessa, il Ministro intenda porre in essere, per quanto di competenza, al fine di garantire alla signora Mariella Russo la necessaria assistenza e la possibilità di sottoporsi a cure adeguate in Italia;
   se non ritenga opportuno adottare le opportune iniziative al fine di prevedere l'inserimento della MSC nel registro nazionale delle malattie rare e garantire ai soggetti affetti da tale patologia il diritto alla salute costituzionalmente garantito.
(4-02257)

  Risposta. — Le problematiche relative alla sindrome da sensibilità chimica multipla (Multiple chemical sensitivity — Mcs) sono all'attenzione del Ministero della salute, anche grazie alle numerose segnalazioni da parte di malati e associazioni di familiari e alle precedenti interrogazioni parlamentari sulla tematica.
  Si precisa, in primo luogo, che gli interventi di assistenza economica per sostenere le spese di viaggio e soggiorno per cure all'estero, non essendo prestazioni di assistenza sanitaria, non sono previste tra i livelli essenziali di assistenza.
  Riguardo al riconoscimento delle malattie, intese come singole entità nosologiche poste a carico del servizio sanitario nazionale, si ricorda che tutte le malattie e condizioni godono di tutela nell'ambito del S.S.N., in quanto gli assistiti possono accedere alle prestazioni e ai servizi offerti a fronte del pagamento di una quota di partecipazione al costo (ticket).
  Il diritto all'esenzione dalla partecipazione al costo delle prestazioni incluse nei livelli essenziali di assistenza può, invece, essere riservato alle malattie per le quali sia scaturito un consenso della comunità medico-scientifica sulla definizione nosologica, sulle loro caratteristiche e sui criteri diagnostici.
  Infatti, il «riconoscimento» della malattia, non si fonda su un atto amministrativo, ma discende esclusivamente dal consenso espresso dalla comunità scientifica: nel caso della Multiple chemical sensitivity, è in corso da anni un serrato dibattito tra gli esperti della materia, che vede posizioni assai distanti, in quanto alcuni affermano l'esistenza della sindrome come entità nosologica ben definita, altri negano tale evidenza.
  Quanto ad un eventuale inserimento della Multiple chemical sensitivity tra le malattie oggetto di particolari tutele, come le malattie rare (decreto ministeriale n. 279 del 2001), ciò non appare al momento possibile, in quanto la mancanza di consolidate conoscenze epidemiologiche, cliniche e terapeutiche, rende difficile la condivisione dei criteri e dei metodi necessari per effettuare una precisa diagnosi ed una efficace gestione del paziente.
  Solo tali condizioni consentono, infatti, di identificare correttamente i destinatari dei benefici, evitando pericolose generalizzazioni che provocherebbero solo un aumento della spesa sanitaria, senza vantaggi concreti per gli interessati.
  Della problematica si è interessata anche la seconda sezione del Consiglio superiore di sanità, che nel 2008, esprimendo parere sul documento di sintesi prodotto dal gruppo di lavoro istituito presso il centro nazionale per le malattie rare dell'istituto superiore di sanità (finalizzato ad individuare possibili criteri diagnostici, prestazioni sanitarie rispondenti a criteri di appropriatezza ed efficacia ed eventuali tutele assistenziali), ha ritenuto che la indisponibilità di evidenze nella letteratura scientifica internazionale non consentisse di considerare la MCS come entità nosologicamente individuabile e che, comunque, il servizio sanitario nazionale, attraverso i livelli essenziali di assistenza, fosse già in grado di fornire una adeguata assistenza a tutti coloro che mostrano intolleranza all'esposizione a sostanze chimiche.
  Il Ministero della salute ha preso atto del parere del Consiglio superiore di sanità, e in attesa che venissero sciolti i dubbi relativi al riconoscimento della MCS come entità nosologica definita, ha ritenuto utile garantire agli assistiti alcune semplici misure, al fine di evitare costosi trattamenti all'estero, dove, in taluni casi, vengono erogate prestazioni di dubbia efficacia.
  Infatti, tra le principali criticità, è stato spesso riportato il rifiuto da parte dei pazienti di sottoporsi alle prestazioni sanitarie per il timore di possibili reazioni avverse scatenate dalla contaminazione chimica di ambienti ed attrezzature.
  D'altro canto, anche alcuni medici hanno segnalato qualche perplessità, a causa della scarsa conoscenza dei meccanismi eziopatogenetici di tale sindrome, che rende difficile l'applicazione di specifici protocolli di ospedalizzazione e di validi orientamenti volti a ridurre l'esposizione ad inquinanti ambientali, materia quest'ultima comunque già oggetto dell'accordo del 27 settembre 2001 tra il Ministero della salute, le Regioni e le province autonome sul documento concernente: «linee guida per la tutela e la promozione della salute negli ambienti confinati», sancito in sede di conferenza Stato-Regioni.
  È indubbio che l'allestimento di specifici ambienti nell'ambito delle strutture sanitarie, così come l'adozione di alcune precauzioni da parte del personale che si trovi ad interagire con questi pazienti, sarebbe di grande aiuto per favorire un approccio positivo con il SSN; In tale ottica, presso questo Ministero è stato attivato un tavolo tecnico, che si è avvalso anche di professionalità esperte, segnalate dalle stesse associazioni di pazienti.
  Nel corso dei lavori è tuttavia emerso che le ipotesi oggetto di analisi risultano essere ancora in fase di approfondimento e di verifica e che i risultati sperimentali raggiunti non sono, purtroppo, sufficienti a supportare decisioni di natura amministrativa, né ad intraprendere iniziative utili nell'immediato.
  Pertanto, anche al fine di non alimentare false aspettative, è sembrato ragionevole sospendere le attività del tavolo almeno fin quando le conoscenze in materia siano maggiormente consolidate, assicurando comunque la disponibilità del Ministero a prendere in esame sia eventuali iniziative sia le proposte che dovessero emergere dalle commissioni o dai gruppi tecnici istituiti da Regioni e province autonome.
  In conclusione, si deve ancora una volta segnalare come, allo stato, le iniziative più efficaci per venire incontro alle richieste degli assistiti, consistono nella ulteriore promozione di studi e ricerche che possano colmare le lacune ancora imponenti nella conoscenza della MCS, definendone l'eziologia e la patogenesi, producendo stime epidemiologiche affidabili e proponendo validati schemi di trattamento.
Il Sottosegretario di Stato per la salutePaolo Fadda.


   MOLTENI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro per l'integrazione Cécile Kyenge, in una sua dichiarazione all'agenzia ASCA del 31 luglio 2013, parlando dell'accesso al servizio civile da parte di non cittadini italiani in possesso di regolare permesso di soggiorno, ha affermato testualmente: «il punto fondamentale è parlare di persone residenti in Italia che vogliono dare un contributo come lavoro e volontariato a un servizio che esiste già: il ragionamento deve partire da qui»;
   il Ministro Kyenge parrebbe conseguentemente orientato a proporre un intervento sul decreto legislativo n. 77 del 2002, volto a modificarne l'articolo 3, comma 1, secondo cui «Sono ammessi a svolgere il servizio civile i cittadini italiani», sostituendo il requisito della cittadinanza con quello della residenza;
   in base a consolidata dottrina, una simile trasformazione si ripercuoterebbe anche sulle disposizioni di legge recanti i requisiti per l'ammissione alla prestazione del servizio militare volontario, imponendone la modifica nella stessa direzione, in quanto equiparato;
   peraltro, già nel 2007, il costituzionalista Emanuele Rossi, docente presso la Scuola Santa Anna di Pisa, aveva sottolineato come il decreto legislativo n. 77 del 2002 fosse modificabile solo tramite un nuovo intervento normativo dello stesso rango;
   il decreto legislativo n. 77 del 2002 è già stato tra l'altro oggetto di modifiche nel 2005, insieme alla legge n. 64 del 2001 istitutiva del servizio civile nazionale, tramite il decreto legge n. 7 del 31 gennaio 2005, convertito in legge n. 43 del 31 marzo 2005 –:
   che significato vada attribuito alle esternazioni del Ministro per l'integrazione generalizzate nella premessa e se il Governo nella sua interezza condivida o meno l'idea di sostituire il requisito della cittadinanza con quello della residenza per l'ammissione alla prestazione del servizio civile volontario (e di quello militare, in quanto equiparato). (4-01765)

  Risposta. — La normativa tuttora vigente prevede come requisito il possesso della cittadinanza italiana (articolo 3, comma 1, decreto legislativo n. 77 del 2002), tuttavia, negli ultimi tempi, tale tema è stato ampiamente discusso anche in sede parlamentare.
  Nella scorsa legislatura sono state presentate diverse proposte di legge di riforma del servizio civile nazionale che toccavano anche questo specifico aspetto, senza però giungere ad una conclusione dirimente.
  In questo quadro, l'ammissione degli stranieri al servizio civile nazionale è stata oggetto di due contenziosi alla fine del 2011 presso i tribunali ordinari di Brescia e di Milano, con i quali è stato denunciato il comportamento discriminatorio dell'Amministrazione laddove prescriveva la cittadinanza italiana quale requisito di ammissione alla selezione.
  I due contenziosi hanno avuto sviluppi processuali opposti. In particolare, il tribunale di Brescia, con sentenza depositata il 9 maggio 2012, ha rigettato il ricorso, ritenendo ragionevole la differenziazione tra cittadini e stranieri perché coerente con l'ordinamento nel suo complesso e, soprattutto, con i principi costituzionali.
  Tale orientamento è stato confermato dalla corte di appello di Brescia con decisione del 21 ottobre 2013.
  Diversamente il tribunale di Milano (ordinanza del 12 gennaio 2012), e successivamente la corte di appello (decisione n. 2183 del 2012), hanno dichiarato il carattere discriminatorio del bando.
  Contro la decisione della corte di appello di Milano l'Amministrazione ha proposto ricorso innanzi alla Corte di Cassazione.
  Considerata la rilevanza della problematica e in attesa della definizione del giudizio in Cassazione, il dipartimento della gioventù e del servizio civile nazionale, prima dell'adozione dei bandi per il 2013, ha ritenuto quindi opportuno interessare l'avvocatura generale dello Stato in ordine agli adempimenti da porre in essere.
  Infatti da un lato, l'ammissione degli stranieri alle selezioni imposta dalla decisione della corte di appello di Milano avrebbe concretizzato una palese violazione della normativa vigente, dall'altro la previsione del requisito della cittadinanza italiana per partecipare alle selezioni, avrebbe potuto essere interpretata come una mancata osservanza della pronuncia del giudice del lavoro.
  L'avvocatura dello Stato, con i pareri resi il 24 luglio 2012 e il 26 settembre 2013, si è espressa in favore della riserva ai soli cittadini italiani, secondo quanto previsto dalla attuale normativa, considerandola non in contrasto con i principi comunitari e coerente con quelli affermati dalla Corte costituzionale (sentenze n. 228 del 2004 e n. 431 del 2005).
  L'avvocatura ha inoltre affermato che la decisione della corte d'appello di Milano era circoscritta al bando 2011, non avendo il giudice disposto nella decisione l'inserimento di una clausola di ammissione degli stranieri nei bandi futuri.
  Ciò premesso sono stati emanati nel 2013 due bandi straordinari e, da ultimo, il bando ordinario del 4 ottobre che ha mantenuto il requisito della cittadinanza italiana per la partecipazione al servizio civile nazionale.
  Quest'ultimo bando è stato oggetto di un ulteriore contenzioso. Con l'ordinanza n. 14219 del 18 novembre 2013 il tribunale di Milano ha infatti disposto la modifica del bando di selezione dei volontari nella parte in cui prevede il requisito della cittadinanza italiana per l'accesso al servizio civile nazionale per garantire la parità di accesso alle selezioni dei volontari anche ai cittadini comunitari ed extracomunitari regolarmente soggiornanti sul territorio nazionale.
  Al riguardo si fa presente che, a seguito della notifica dell'ordinanza avvenuta il 25 novembre 2013, l'Amministrazione ha chiesto all'avvocatura distrettuale dello Stato di proporre appello, in quanto il Giudice ha formulato una accezione ampia del termine «cittadino» da intendersi riferito al soggetto che appartiene stabilmente e regolarmente alla comunità italiana. Ciò attraverso una interpretazione estensiva dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 77 del 2002, la cui legittimità è già al vaglio della Corte di Cassazione nel giudizio instaurato avverso la sentenza n. 2183 del 2012 della corte di appello di Milano.
  Contestualmente l'Amministrazione, tenuta a dare comunque esecuzione all'ordinanza, ha chiesto la collaborazione dell'avvocatura generale riscontrando obiettive difficoltà ad ottemperare all'ordinanza del giudice di Milano.
  Infatti l'autorità giudiziaria non ha fornito elementi sufficienti ad individuare correttamente la categoria dei soggetti destinatari della decisione, né ha tenuto conto delle criticità derivanti dall'apertura agli stranieri in relazione ai requisiti per la selezione (come ad esempio, la conoscenza della lingua italiana o la valutazione dei titoli di studio conseguiti all'estero che comporta l'attribuzione di un punteggio rilevante nel giudizio complessivo).
  In seguito agli elementi chiarificatori forniti dalla avvocatura generale, il dipartimento della gioventù e del servizio civile nazionale il 4 dicembre 2013 ha riaperto fino al 16 dicembre i termini dei bandi (nazionale e delle regioni e province autonome).
  Questa riapertura ha riguardato i cittadini dell'Unione europea, i familiari dei cittadini dell'Unione europea non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, i titolari del permesso di soggiorno Comunità europea per soggiornanti di lungo periodo, i titolari di permesso di soggiorno per asilo e i titolari di permesso per protezione sussidiaria.
  Questo elenco deriva dalle sole ipotesi possibili in base alle attuali leggi sull'immigrazione e l'asilo.
  Si è dovuto ricorrere a tali specificazioni per superare la generica indicazione del tribunale di Milano, con riserva dell'esito del relativo giudizio di appello.
  Pertanto anche la valutazione delle domande di partecipazione alla selezione sarà necessariamente effettuata con riserva.
  Al riguardo è bene tener presente anche che l'orientamento della giurisprudenza non è univoco e si è in attesa delle decisioni della Corte di Cassazione.
  In tale ottica, sarebbe opportuna una riflessione sul sistema del servizio civile nazionale ad iniziare dal collegamento con l'obiezione di coscienza e la sospensione della leva obbligatoria e un approfondito esame in sede parlamentare che affronti la riforma complessiva del servizio civile nazionale.
Il Ministro per l'integrazioneCécile Kyenge.


   OLIVERIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la vecchia azienda di laterizi di Santa Caterina Albanese in provincia di Cosenza, ormai dismessa, occupa un'area di 20 mila metri quadrati, ed è in uno stato di particolare abbandono e degrado, che causa l'affioramento di fibre d'amianto, rifiuti tecnicamente pericolosi;
   l'eternit sulla copertura si sta sbriciolando giorno dopo giorno determinando una vera e propria emergenza ambientale;
   è noto che la pericolosità dell'amianto dipende dal grado di libertà delle fibre, ossia dalla capacità dei materiali di rilasciare fibre potenzialmente inalabili;
   diversi studi sui rischi sanitari hanno messo in evidenza un nesso di causalità tra l'esposizione all'amianto e alcune patologie oncologiche;
   a richiamare l'attenzione su questa questione sono stati il comune di Santa Caterina Albanese e la comunità montana che hanno lanciato l'allarme a causa dei pericoli che una massiccia esposizione all'amianto potrebbe creare alla popolazione e all'ambiente circostante;
   la vecchia struttura dei laterizi rappresenta una bomba ecologica che, se non verrà disinnescata in tempo, l'impatto con l'ambiente potrebbe essere irreversibile;
   è assolutamente necessario promuovere i previsti interventi per tutelare gli abitanti di quest'area geografica già duramente provata da diversi disagi sociali;
   è importante attivare l'attenzione delle istituzioni, sollecitando gli organismi preposti ad effettuare gli urgenti e indispensabili interventi –:
   se il Ministro interrogato non intenda, a tutela della salute dei cittadini, diritto sancito dall'articolo 32 della Costituzione, assumere ogni iniziativa di competenza affinché venga bonificato il suddetto sito e gli abitanti di quel territorio siano messi nella possibilità di potersi godere il territorio e l'ambiente circostante, senza incorrere nei pericoli derivanti dalla dispersione di un quantitativo così rilevante di fibre di amianto. (4-00902)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, con la quale si richiedono quali azioni si intendano adottare al fine della messa in sicurezza e bonifica degli opifici ex fornace FIL, siti in contrada Triscioli di Santa Caterina Albanese (Cosenza), si rappresenta quanto segue.
  In merito, il Dipartimento politiche dell'ambiente della regione Calabria ha sottolineato che, nel prendere atto dell'emanazione dell'ordinanza contingibile emanata dal sindaco, allo stato inattuata, non può che concordarsi sulla circostanza per cui non appaia ulteriormente eludibile l'onere di esecuzione, a fronte degli ovvi rischi per l'ambiente.
  Tuttavia, con riferimento alle competenze regionali in materia, si intende ribadire che «qualora i soggetti responsabili della contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti disposti dal presente titolo ovvero non siano individuabili e non provvedano né il proprietario del sito né altri soggetti interessati, le procedure e gli interventi di cui all'articolo 242 sono realizzati d'ufficio dal comune territorialmente competente» ai sensi del combinato disposto di cui agli articoli 244 e 250 decreto legislativo n. 152 del 2006, in danno dei responsabili ovvero degli altri interessati inadempienti, con l'assistenza del privilegio previsto dall'articolo 253 comma 2 (le spese sostenute per gli interventi di cui al comma 1 sono assistite da privilegio speciale immobiliare sulle aree medesime, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 2748, secondo comma, del codice civile. Detto privilegio si può esercitare anche in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi sull'immobile). L'eventuale intervento regionale è ammissibile solo secondo l'ordine di priorità fissato dal piano regionale amianto.
  Nel caso in esame, quindi, rientra tra le competenze del comune provvedere in danno del soggetto interessato, a fronte degli oneri ricadenti sulla curatela, per come cristallizzati dalla pronuncia del giudice amministrativo.
  Quanto alla esplicazione delle competenze regionali, giova precisare che con l'approvazione della legge regionale 27 aprile 2011, n. 14, pubblicata sul Bollettino ufficiale 4 maggio 2011, supplemento straordinario n. 2 al n. 8 del 2 maggio 2011, «Interventi urgenti per la salvaguardia della salute dei cittadini: norme relative all'eliminazione dei rischi derivanti dall'esposizione a siti e manufatti contenenti amianto», la regione Calabria si è dotata di uno strumento legislativo di fondamentale importanza per la salvaguardia della salute ed il progressivo smaltimento delle strutture di amianto ancora presenti sul territorio regionale.
  In questo contesto, attraverso una speciale unità organizzativa a carattere temporaneo, l'unità speciale amianto, istituita con deliberazione della Giunta regionale n. 207 del 4 maggio 2012, si sta provvedendo alla predisposizione ed all'aggiornamento del «Piano Regionale Amianto per la Calabria» (Prac). Il Prac, istituito ai sensi dell'articolo 3 della legge regionale 14 del 2011, sarà approvato con deliberazione di Giunta e conterrà il censimento, la mappatura georeferenziata delle zone interessate ed il conseguente smaltimento, nonché la definizione degli obblighi per i proprietari, le attività di competenza dei comuni e le competenze dei singoli enti coinvolti nel processo.
  Sono di imminente pubblicazione e divulgazione gli atti amministrativi prodromici alle azioni di censimento e mappatura delle aree di concentrazione dell'amianto, la cui compilazione verrà curata dagli enti locali interessati, anche con l'eventuale ausilio delle strutture regionali competenti, procedimenti sui quali il Ministero dell'ambiente vigilerà con la dovuta attenzione.

Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   risulta da alcuni articoli di stampa locale del 23 giugno 2013 che una serie di incendi di vaste proporzioni, alimentati anche dall'intenso caldo e dal vento, stanno preoccupando tutta la popolazione della zona di Longobucco provocando profonda preoccupazione tra gli abitanti del posto;
   le fiamme sviluppatesi in direzione di Lorica hanno creato gravi problemi, nella località turistica, deturpando gravemente il paesaggio e le infrastrutture con conseguenti danni ambientali irreversibili;
   i danni economici alla collettività sono vasti e sono accentuati dalle difficoltà incontrate dai comuni calabresi che non riescono ad applicare in maniera adeguata le norme esistenti (legge n. 353 del 2000) al fine di arginare la drammatica piaga degli incendi boschivi che sta determinando lo scempio di ampie aree creando fenomeni di erosione e desertificazione;
   i controlli, che dovrebbero essere svolti dagli enti locali preposti risultano insufficienti, così come gli interventi dei vigili del fuoco, del Corpo forestale e delle forze dell'ordine, i quali, pur impegnandosi oltre i propri limiti, evidenziano un sentimento di impotenza di fronte alle continue richieste di intervento;
   la scarsità dei mezzi utilizzati dai comuni, la carenza delle risorse umane disponibili, le lungaggini burocratiche, impediscono a volte l'utilizzo dei mezzi aerei anche a causa dei notevoli costi di gestione, determinato anche dalla attuale difficoltà economica;
   è necessario mettere a disposizione degli enti locali adeguate risorse per affrontare le tante emergenze che vivono i territori anche al fine di un'azione di monitoraggio del territorio, in particolare durante i mesi in cui gli incendi potrebbero arrecare seri danneggiamenti al patrimonio naturale e ambientale, utilizzando ogni iniziativa utile alla risoluzione di queste problematiche;
   quelli di Longobucco potrebbero essere, così come riportato dai mezzi di comunicazione locali, incendi di origine dolosa e, pertanto, sarebbe auspicabile attivare delle azioni di controllo sul territorio arginando questi gravi fenomeni ormai consolidati da anni;
   risulterebbe, inoltre che il reiterarsi di questo fenomeno criminale potrebbe favorire la concessione delle autorizzazioni al taglio degli alberi, che, nell'ambito delle zone interessate, verrebbero concesse più facilmente, anche se il fenomeno del disboscamento abusivo risulta molto praticato;
   è assolutamente necessario intervenire drasticamente sul territorio, incentivando le azioni di controllo, anche attraverso programmi di prevenzione degli incendi ai quali potrebbero partecipare giovani del posto, favorendo in questo modo l'occupazione locale e concentrando l'attenzione sulle aree boschive prossime alle grandi arterie autostradali –:
   se il Governo sia al corrente di tali fatti e quali iniziative intenda adottare per fronteggiare le emergenze incendi, garantendo altresì la sicurezza del patrimonio ambientale e dei cittadini residenti;
   se il Governo intenda promuovere un'attività di vigilanza e controllo finalizzata a prevenire in tutte le aree che risultano a rischio gli incendi dolosi anche attraverso la collaborazione con le amministrazioni locali e l'utilizzo dei vigili del fuoco, del Corpo forestale dello Stato, della protezione civile e delle associazioni di volontariato. (4-01097)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame riguardante gli incendi che hanno colpito la Regione Calabria durante l'estate di quest'anno, sulla base dei dati che mi sono stati riferiti dal comando regionale del Corpo forestale dello Stato per la Calabria, risulta che un primo incendio si è verificato il 22 giugno 2013 in un'area di proprietà privata del Comune di Longobucco, e cioè in una località denominata «Vallegrande» esterna al Parco nazionale della Sila.
  Questo primo episodio ha interessato una zona di pascolo cespugliato, con sporadiche piante di quercia ed è stato fronteggiato nella stessa giornata. Il giorno seguente si è riattivato a causa di alcune ceppaie rimaste accese nel sottosuolo e si è estinto in serata, riguardando una superficie complessiva di circa 10 ettari.
  Un secondo incendio si è sviluppato il 26 giugno 2013 nel Comune di San Giovanni in Fiore ed ha, in particolare, interessato la località «Ceraso-Cagno» interna al Parco Nazionale della Sila. Si è trattato di un incendio di tipo radente che ha percorso una pineta di pino laricio per circa 3 ettari senza procurare danni gravi al bosco. Per le azioni di spegnimento è stata impiegata anche un'autobotte del Comune.
  In entrambi i casi, il comando del Corpo forestale dello Stato ha provveduto ad attivare le necessarie procedure investigative, informando dei fatti accaduti l'autorità giudiziaria competente.
  In relazione alla difficoltà, segnalata dall'interrogante, sulle problematicità che gli enti locali riscontrano nell'applicazione della legge 21 novembre 2000, n. 353, che ha attribuito l'attività di prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi proprio alla competenza regionale, evidenzio che, allo scopo condiviso di fronteggiare l'emergenza incendi nello specifico della Regione Calabria, il Corpo forestale dello Stato ha istituito sul territorio una centrale operativa regionale, costantemente attiva e contattabile con il numero verde di emergenza ambientale.
  Sempre sul territorio calabrese sono state anche dislocate le pattuglie specializzate nel controllo preventivo, sia in relazione al rischio incendi boschivi che all'attività investigativa connessa al reato di incendio boschivo di cui all'articolo 423-
bis del codice penale.
  Analoghi sistemi operativi e collaborativi sono stati attivati anche in altre zone del territorio nazionale considerate a rischio di incendi, in modo da assicurare il monitoraggio continuo necessario alla tempestività degli interventi.
  Tali azioni di prevenzione e repressione sono svolte dal Corpo forestale dello Stato quale organismo istituzionale specificatamente preposto alla lotta anti-incendi che assicura, attraverso un'articolazione periferica capillare, la sinergia con le autorità locali e con le altre forze di polizia al fine di tutelare efficacemente, in relazione alle realtà territoriali e alle dinamiche delle azioni dolose, sia i cittadini che il patrimonio forestale ed ambientale del nostro Paese.

Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliNunzia De Girolamo.


   PARENTELA, NESCI, BARBANTI, DIENI, ZOLEZZI, DE ROSA, DAGA, SEGONI, TERZONI, TOFALO, GALLINELLA, GAGNARLI, L'ABBATE, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI e LUPO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto n. 468 del 2001 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare l'ex area industriale di Crotone è inserita nei siti di interesse nazionale (SIN);
   tale area si estende su una superficie molto vasta, di cui circa 80 ettari rappresentano le aeree delle ex fabbriche Pertusola, Agricoltura, Fosfotec e Sasol, oltre a due discariche messe in «sicurezza permanente» (oggetto di inchiesta giudiziaria a causa della tipologia dei rifiuti interrati);
   dopo una serie di conferenze di servizi decisorie, nel 2008 è stato affidato alla Syndial Spa, società del gruppo ENI che si occupa di bonifiche e di siti dismessi, il progetto operativo di bonifica (POB), che riguarda i siti di Pertusola, Agricoltura, Fosfotec e la discarica di servizio in località «Armeria»;
   l'attuale progetto operativo di bonifica (POB) come obiettivo principale non ha il recupero dell'area ma una messa in sicurezza permanente di gran parte dei suoli, ad eccezione di una decina di ettari, sui quali sono previste procedure come la «fitorimediazione» e la «rimediazione elettrocinetica» (EKRT);
   nelle aree interessate dalla messa in sicurezza permanente la concentrazione media del piombo è 5.888 mg/kg, l'arsenico è 320 mg/kg e il cadmio è 240 mg/kg;
   le tecniche non possono essere applicate con successo sul sito di Pertusola, che da solo costituisce la metà dell'area industriale, perché sono state proposte su terreni in cui la concentrazione di metalli pesanti ed arsenico è troppo elevata e, a parere degli interroganti, rischiano di compromettere irrimediabilmente lo sviluppo di un'area confinante con la città, oltre a fare ipotizzare potenziali gravi ripercussioni di carattere sanitario/epidemiologico/ambientale;
   la tecnica della messa in sicurezza permanente è prevista: «...nei casi in cui, nei siti non interessati da attività produttive in esercizio, non sia possibile procedere alla rimozione degli inquinanti pur applicando le migliori tecnologie disponibili a costi sopportabili» (decreto legislativo n. 152 del 2006, allegato 3, parte IV);
   un'altra area di Crotone, di analoghe dimensioni, denominata «area archeologica» e ricadente anch'essa in area SIN, è destinataria di un finanziamento con delibera CIPE di circa 100 milioni di euro, ed è attualmente interessata da un parziale progetto di bonifica finanziato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dalla regione Calabria attraverso l'APQ (accordo di programma quadro) stipulato tra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Ministero dello sviluppo economico e regione Calabria «tutela e risanamento ambientale nel territorio della regione Calabria del 28 giugno 2006» per un importo pari a 10.964.447 euro complessivi, di cui 6.964.000 finanziati attraverso l'APQ e la rimanente parte a carico del solo Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Questo finanziamento è stato attualmente revocato, per decorrenza dei tempi di attuazione, ma la gara d'appalto è stata svolta e regolarmente vinta da una ATI;
   la caratterizzazione del sito «area archeologica» è stata effettuata antecedentemente all'entrata in vigore della legge quadro decreto legislativo n. 152 del 2006 in base alla quale, per i siti potenzialmente contaminati, l'analisi di rischio non era prevista. Dai risultati delle caratterizzazioni dell'area archeologica, emerge che dei circa 80 ettari risultano effettivamente contaminati solo 22,5 ettari, pari al 27,6 per cento del totale. Più specificatamente, sulla base dei 77 sondaggi eseguiti in assenza di analisi di rischio: 29 risultano non contaminati, 23 risultano contaminati almeno da cadmio e quindi da bonificare, 25 risultano potenzialmente contaminati soltanto da zinco (se fosse stata fatta l'analisi di rischio sito-specifica, a parere degli interroganti anche questa parte risulterebbe da non bonificare) –:
   se non ritengano opportuna la realizzazione di un quadro programmatico che individui scadenze e capisaldi per le attività di bonifica delle aree ricadenti nel comune di Crotone per le quali al momento sono state contrattualizzate azioni prive di ogni efficacia se non realizzate secondo le procedure di bonifica ambientale previste dal decreto legislativo n. 152 del 2006 e pertanto previa applicazione delle opportune «analisi di rischio»;
   se non ritengano opportuno verificare le procedure che hanno consentito l'approvazione del progetto di bonifica del sito ex industriale, sul quale giacciono almeno 528.000 tonnellate di rifiuti pericolosi e 410.000 tonnellate di rifiuti non pericolosi che, in base al progetto di bonifica approvato, rimarranno intatte su quello stesso suolo (circa 80 ettari), tenendo conto che sul sito di Pertusola sono concentrate la maggior parte delle sostanze pericolose e la bonifica in corso prevede, solo su 10 dei circa 50 ettari, tecniche di bonifica come la «fitorimediazione» i cui tempi effettivi, dimostrabili scientificamente, sarebbero pari all'incirca a 4.000 (quattromila) anni, tempi che nel progetto in corso sono indicati in soli 10 anni, nonché «rimediazione elettrocinetica» che non ha alcun effetto di bonifica sull'arsenico, semimetallo presente sul sito in concentrazioni elevatissime;
   se non sia opportuno intervenire per l'attuazione coordinata dei piani organici di sviluppo e riqualificazione delle aree ricadenti nel comune di Crotone interessate alle operazioni di bonifica, con azioni permanenti di monitoraggio e controllo;
   per quale motivo, se il progetto di bonifica prevede aree di interventi con la fitorimediazione e la rimediazione elettrocinetica, le stesse tecniche non vengano applicate nelle aree interessate semplicemente dalla messa in sicurezza permanente. (4-00950)

  Risposta. — La prima questione sottoposta dall'interrogante riguarda l'opportunità di realizzare un quadro programmatico che individui scadenze e capisaldi per le attività di bonifica delle aree ricadenti nel comune di Crotone per le quali al momento sono state contrattualizzate azioni prive di ogni efficacia se non realizzate secondo le procedure di bonifica ambientale previste dal decreto legislativo n. 152 del 2006 e, pertanto, previa applicazione delle opportune «analisi di rischio».
  Al riguardo, è opportuno segnalare che la messa in sicurezza permanente è stata prevista solo per le aree fronte mare («Discarica Farina-Trappeto Ex-Fosfotec» e «Discarica Armeria Ex-Pertusola») già interessate da conferimenti abusivi di rifiuti, con presenza di riporti di materiali che rappresentano una problematica ambientale ancora aperta nell'ambito del sito d'interesse nazionale, soprattutto a livello locale.
  Il primo progetto di bonifica presentato dall'Azienda Syndial spa, riguardante gli interventi di rimozione delle discariche ex Pertusola ed ex Fosfotec, prevedeva la realizzazione di una discarica di servizio agli interventi di bonifica da realizzare in località Giammiglione (Crotone), nel comune di Crotone, al confine con il territorio del comune di Scandale.
  A seguito della pronuncia negativa di compatibilità ambientale sulla discarica in località Giammiglione da parte della regione Calabria, la Syndial spa, trasmetteva il progetto di bonifica, consistente in una messa in sicurezza permanente delle discariche medesime.
  Con nota del 25 ottobre 2011 il comune di Crotone esprimeva la propria contrarietà a qualsiasi soluzione progettuale che non considerava la rimozione integrale dei rifiuti presenti nelle discariche a mare. Il comune, inoltre, comunicava che il proprio piano regolatore generale (PRG), per tutta l'area industriale, e, nello specifico, per le aree in esame, prevedeva la trasformazione da sito industriale a sito destinato a funzioni innovative e compatibili con lo sviluppo turistico legato alla presenza di siti archeologici e del mare. Il comune, quindi, esprimeva il proprio parere negativo, definendo tali trasformazioni incompatibili con il progetto di messa in sicurezza permanente proposto dalla Syndial spa.
  Con nota dell'8 novembre 2011 la provincia di Crotone esprimeva il proprio parere negativo anche alla luce del piano regolatore generale del comune di Crotone, che risultava essere incompatibile con la messa in sicurezza permanente delle discariche a mare.
  Con nota dell'8 novembre 2011 la regione Calabria rilasciava parere sfavorevole al progetto di messa in sicurezza permanente.
  Altresì, la ASL di Crotone, con nota dell'11 novembre 2011, esprimeva parere igienico-sanitario non favorevole al progetto di messa in sicurezza permanente delle discariche a mare.
  Infine, nella conferenza di servizi istruttoria del 9 maggio 2013, veniva richiesta all'azienda, preliminarmente alla presentazione di un nuovo elaborato progettuale, l'esecuzione di indagini di caratterizzazione delle discariche a mare anche al fine di definire l'estensione reale della contaminazione e la tipologia di rifiuti presenti nelle discariche medesime.
  La seconda questione posta dall'interrogante concerne l'opportunità di verificare le procedure che hanno consentito l'approvazione del progetto di bonifica del sito ex industriale, sul quale giacciono almeno 528.000 tonnellate di rifiuti pericolosi e 410.000 tonnellate di rifiuti non pericolosi che, in base al progetto di bonifica approvato, rimarranno intatte su quello stesso suolo (circa 80 ettari), tenendo conto che sul sito di Pertusola sono concentrate la maggior parte delle sostanze pericolose e la bonifica in corso prevede, solo su 10 dei circa 50 ettari, tecniche di bonifica come la «fitorimediazione», i cui tempi effettivi, dimostrabili scientificamente, sarebbero pari all'incirca a 4.000 (quattromila) anni, tempi che nel progetto in corso sono indicati in soli 10 anni, nonché «rimediazione elettrocinetica» che non ha alcun effetto di bonifica sull'arsenico, semimetallo presente sul sito in concentrazioni elevatissime.
  Al riguardo, occorre segnalare che il progetto di bonifica mediante
phitoremedetion ed electrochemical remedetion ed enhanced monitored natural attenuation (EKRT), contenuto nel documento «Progetto operativo di bonifica ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006 – Aree Syndial – sito d'interesse nazionale di Crotone – Stabilimenti ex Pertusola», trasmesso da Syndial AD spa e individuato dalla stessa Syndial quale «Primo lotto di intervento relativamente agli interventi di bonifica in situ dei suoli dell'area dello stabilimento ex Pertusola (volume I)», è stato autorizzato all'avvio dei lavori con prescrizioni con decreto ministeriale n. 1098/TRI/DI/B del 25 gennaio 2011.
  Si tratta di un progetto sperimentale che ha lo scopo di «testare» le metodologie sopra riportate, applicate in una limitata area situata all'interno dell'area ex-Pertusola. In caso di esito positivo tale intervento potrà essere esteso a tutti i 50 ettari della ex-Pertusola.
  Un'ulteriore richiesta attiene all'opportunità di intervenire con azioni permanenti di monitoraggio e controllo per attuare in maniera coordinata i piani organici di sviluppo e riqualificazione delle aree ricadenti nel comune di Crotone interessate alle operazioni di bonifica.
  In particolare, l'area archeologica, che occupa una superficie di circa 79 ettari (786.300 metriquadri), è stata individuata, da tempo, quale sito di grande valenza archeologica. L'iter istruttorio per la bonifica dell'area medesima è iniziato, ai sensi del decreto ministeriale n. 471 del 1999, con l'approvazione/autorizzazione da parte della conferenza di servizi decisoria del 15 aprile 2003 del piano di caratterizzazione, trasmesso dal comune di Crotone nel febbraio 2003.
  Successivamente, la conferenza di servizi decisoria del 16 settembre 2004 aveva preso atto, con prescrizioni, dei risultati della caratterizzazione dei suoli, eseguita da ARPACAL. La medesima conferenza di servizi aveva ritenuto approvabile, con prescrizioni, il progetto definitivo stralcio – area archeologica – trasmesso dall'ufficio del commissario delegato per l'emergenza ambientale della regione Calabria (redatto ai sensi del decreto ministeriale n. 471 del 1999) in data 15 settembre 2004, che prevedeva il raggiungimento dei valori limite previsti nella colonna A, tabella 1, allegato 1 del decreto ministeriale n. 471 del 1999, allora vigente, in un periodo di quattro anni, eventualmente prolungabili, mediante un intervento di fitodepurazione.
  La conferenza di servizi decisoria del 19 luglio 2005, alla luce dei risultati di caratterizzazione delle acque di falda, aveva deliberato di chiedere al commissario delegato per l'emergenza Calabria di attivare immediati interventi di messa in sicurezza d'emergenza delle acque di falda e di trasmettere, al fine della elaborazione del decreto interministeriale di approvazione del progetto definitivo di bonifica, un documento di recepimento delle prescrizioni già formulate dalla conferenza di servizi del 16 settembre 2004.
  Con le ordinanze del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3585 del 24 aprile 2007 e n. 3731 del 16 gennaio 2009 veniva trasferita alla regione Calabria la competenza sulle attività di bonifica nel sito d'interesse nazionale «Crotone, Cassano e Cerchiara».
  Il comune di Crotone (individuato dall'accordo di programma quadro del 2006 quale soggetto attuatore dell'intervento medesimo) trasmetteva ulteriore documentazione integrativa, relativa al «Progetto definitivo di bonifica – stralcio dell'area archeologica» nel novembre 2009.
  Infine, nel novembre 2010, il comune di Crotone inviava il «Progetto integrato per la bonifica dell'area archeologica», quale compendio dell'iniziale progetto redatto ai sensi del decreto ministeriale n. 471 del 1999 e delle sue successive integrazioni.
  Pertanto, è opportuno evidenziare che il progetto iniziale, redatto ai sensi del decreto ministeriale n. 471 del 1999, è stato ritenuto approvabile con prescrizioni dalla conferenza di servizi decisoria del 16 settembre 2004. In data 28 giugno 2006, è stato firmato l'accordo di programma quadro in materia di tutela e risanamento ambientale per il territorio della regione Calabria, nel quale sono stati programmati gli interventi di bonifica dell'area archeologica. L'articolo 265, comma 4 del decreto legislativo n. 152 del 2006 prevede che entro 180 giorni dall'entrata in vigore del decreto legislativo medesimo può essere presentata una adeguata relazione tecnica al fine di rimodulare gli obiettivi di bonifica già autorizzati. Tale relazione prevede l'analisi di rischio sito-specifica che deve essere redatta secondo le indicazioni contenute nel manuale «Criteri metodologici per l'applicazione dell'analisi assoluta di rischio ai siti contaminati», quale documento di riferimento per la determinazione e la validazione dei parametri sito-specifici utilizzati nell'applicazione dell'analisi di rischio ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006. Tali parametri sono caratteristici del sito e, ai fini dell'elaborazione di un'analisi di rischio sito-specifica, debbono essere determinati esclusivamente mediante verifiche e/o indagini dirette. Tale relazione non è mai stata presentata dal commissario delegato.
  Lo scrivente ministero, considerata anche la scadenza dei tempi per l'utilizzo dei finanziamenti stanziati dall'accordo di programma per un importo pari ad euro 6.964.446,98 (a valere, originariamente sui fondi della delibera CIPE n. 35 del 2005, poi coperti con le cosiddette «risorse liberate») e la richiesta del decreto di autorizzazione avanzata dal comune di Crotone in via provvisoria per motivi d'urgenza all'avvio dei lavori di bonifica, autorizzava con prescrizioni il medesimo comune all'avvio dei lavori con decreto n. 1124/TRI/M/DI/B del 1o febbraio 2011.
  Tuttavia, il comune di Crotone perdeva i finanziamenti stanziati dall'accordo di programma quadro, in quanto non aveva impegnato le risorse stanziate dall'accordo di programma quadro medesimo nei termini previsti dalla delibera CIPE del 31 dicembre 2010.
  Successivamente, nel maggio 2013, il Ministero dello sviluppo economico trasmetteva allo scrivente ministero il verbale del tavolo dei sottoscrittori del 5 marzo 2013, nel quale era stata approvata la proposta di riprogrammazione di euro 6.964.446,98 (rinvenienti dalle economie accertate nell'ambito degli accordi di programma quadro) a favore dell'intervento afferente alla bonifica dell'area archeologica ricadente nel sito di interesse nazionale di Crotone, Cassano e Cerchiara che, pertanto, ad oggi, dispone della necessaria copertura finanziaria.
  Giova sottolineare che nel 2006 questo Ministero, unitamente alla Presidenza del Consiglio dei ministri ed al commissario delegato per l'emergenza ambientale nel territorio della regione Calabria, ha promosso innanzi al tribunale civile di Milano (competente in ragione della sede legale della convenuta) un'azione risarcitoria nei confronti di Syndial spa per i danni provocati nel comune di Crotone ed in quelli limitrofi.
  Le responsabilità imputabili alla società concernono attività di gestione illecita di rifiuti che hanno determinato la contaminazione del suolo e della falda dell'area industriale e dell'area archeologica limitrofa all'impianto nonché dei sedimenti della fascia costiera antistante lo stabilimento.
  All'esito del giudizio di primo grado, il tribunale di Milano ha pronunciato la sentenza n. 2536 depositata il 28 febbraio 2012, che ha disposto a carico della società convenuta l'obbligo di adempiere al piano di risanamento previsto nel piano operativo di bonifica (POB) nonché la condanna al pagamento della somma di euro 56.200.000,00, oltre interessi, a titolo di risarcimento del danno ambientale.
  La suddetta sentenza, non impugnata da alcuna delle parti, è passata in giudicato e, pertanto, sarà cura di questo ministero porre in essere le procedure per il recupero del credito.

Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   PARISI e FAENZI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 29 giugno 2013, il questore di Siena ha emanato un'ordinanza avente per oggetto l'impiego di personale presso i corpi di guardia. Il suddetto provvedimento prevede che, per sopperire alle esigenze di sostituzione dei corpi di guardia, l'ufficio servizi possa attingere personale anche dal nucleo poliziotto di quartiere; tale decisione determina che gli agenti in servizio presso il nucleo poliziotto di quartiere, recentemente ridotti da 6 a 4 unità, sebbene una circolare ministeriale del 2002 lo vieti tassativamente, possano essere impiegati anche nei servizi di ordine pubblico, volante 113 e piantonamenti presso i vari corpi di guardia;
   a giudizio degli interroganti quanto esposto in precedenza rischia di provocare un ridimensionamento dell'importante figura del poliziotto di quartiere e genera gravi problemi di tutela dei cittadini, rendendo, quasi impraticabile, tale servizio, che ha raggiunto, fin dalla sua istituzione, importanti risultati garantendo la sicurezza per i cittadini;
   gli interroganti rilevano come la questura suddetta risulti essere carente di personale, impiegato tra l'altro in modo disomogeneo e non considera i profili professionali, dei ruoli e delle capacità; gli interroganti evidenziano altresì che se si fossero considerate le reali esigenze di tutela della cittadinanza e di effettivo controllo del territorio non si sarebbe dovuto ricorrere all'impiego di personale di altri uffici, quali quelli operativi per i turni ai corpi di guardia, così come risulta altresì impensabile che si demandi al nucleo poliziotto di quartiere di svolgere una pluralità di servizi che non rientrano nella sua competenza;
   appaiono discutibili ed illogiche a giudizio degli interroganti le decisioni adottate dal questore di Siena, il quale oltre a non aver ascoltato adeguatamente le sollecitazioni provenienti dalle rappresentanza sindacali della Polizia di Stato, in un'ottica di normale confronto, ha accresciuto le problematiche che coinvolgono la città senese, nell'ambito della sicurezza e della tutela dei cittadini da parte delle forze di polizia;
   il poliziotto di quartiere rappresenta, infatti per la città di Siena, un importante punto di riferimento per la sua competenza e professionalità, tale da essere riconosciuto indispensabile sia per il suo particolare addestramento, sia per l'operato giornaliero, nonché per il servizio che ogni giorno rende ai cittadini;
   il bilancio di dieci anni di attività della suddetta figura è stato tra l'altro, riconosciuto, da tutte le istituzioni locali e dallo stesso Questore, positivo e indispensabile per tutelare i cittadini;
   risulta indispensabile in definitiva intervenire attraverso un potenziamento dell'organico del personale della polizia di Stato nei confronti della città di Siena, i cui profili di criticità in precedenza esposti richiedono misure di sostegno da parte del Ministro interrogato –:
   se sia a conoscenza della situazione riportata in premessa e quali iniziative urgenti intenda adottare al fine di evitare il ridimensionamento della figura del poliziotto di quartiere che rappresenta un importante e fondamentale punto di riferimento per la cittadinanza senese e per le istituzioni locali. (4-01819)

  Risposta. — Nella città di Siena il servizio del «Poliziotto di quartiere» è assicurato quotidianamente e non ha subito alcuna significativa conseguenza a seguito dalle nuove disposizioni del questore, finalizzate, peraltro, alla maggior tutela dei senesi e dei numerosi ospiti e turisti.
  Infatti, il questore di Siena, per migliorare i servizi di controllo nel capoluogo e per assicurare la presenza continuativa di due volanti sul territorio comunale, articolato in più frazioni e località, ha emanato, nel mese di giugno scorso, provvedimenti di riorganizzazione dei servizi.
  Nel corso dell'estate, grazie a tali provvedimenti, i servizi di vigilanza nei posti fissi sono stati coperti, nei casi di assenza del personale assegnato, anche dagli agenti ed assistenti di tutti gli uffici e servizi della questura, compreso il poliziotto di quartiere.
  Le disposizioni del questore, che hanno comportato solo occasionalmente l'assegnazione ai corpi di guardia del personale di volta in volta individuato, non hanno inciso sull'operatività dei servizi, consentendo una più equa ripartizione delle incombenze tra gli uffici, senza sottrarre risorse al controllo ed alla presenza sul territorio.
  Si evidenzia, altresì, che in occasione delle recenti nuove immissioni di personale è stata disposta l'assegnazione in favore della questura di Siena di 5 unità della Polizia di Stato con decorrenza dal 7 ottobre 2013.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   PASTORELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nei comuni di Marcon (Venezia) e di Mogliano Veneto (Treviso) è situato un ex-impianto di gestione rifiuti denominato «NUOVA ESA» in cui si trattavano rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi;
   il volume di rifiuti annualmente trattati si aggirava intorno alle 200.000 tonnellate in ingresso ed in uscita;
   la gestione di detto impianto è stato operata dalla società «NUOVA ESA»; s.a.s., spesso oggetto di procedimenti giudiziari penali, i quali nel 2004 hanno portato all'arresto di undici persone e al sequestro giudiziario dell'impianto;
   successivamente la ditta Europambiente Srl acquisiva il residuo ramo d'azienda dalla ditta Nuova Esa Sas senza però provvedere allo smaltimento totale dei rifiuti presenti nell'impianto, i quali nel 2008 vengono stimati nel volume di 5.767,97 di tonnellate;
   le attività di smaltimento da parte della ditta Europambiente Srl cessavano nel corso del 2009, stante la mancanza in capo alla suddetta società dei presupposti per il rilascio di un provvedimento di autorizzazione integrale ambientale (AIA) provvisoria, necessaria allo svolgimento di dette attività;
   già nel 2009, a seguito di sopralluoghi condotti dall'ARPAV Veneto e di pronunce giudiziarie di condanna, veniva riconosciuta l'esigenza che i rifiuti presenti nell'impianto fossero rimossi, stante la pericolosità di alcuni di essi;
   a complicare il suesposto quadro, è intervenuto il 27 giugno 2012 un incendio divampato presso i luoghi dell'impianto, che ha messo a rischio la salubrità delle zone limitrofe all'impianto (con relativa messa in sicurezza dei materiali combusti a spese del comune di Marcon);
   nel luglio del 2012 venivano indirizzate Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministero dell'economia e delle finanze, nonché alla Presidenza del Consiglio dei ministri, due interrogazioni parlamentari, una a firma dell'onorevole Zamparutti (atto Camera 4/16819) ed una a firma dell'onorevole Viola (atto Camera 5/07331), nelle quali si dava conto della situazione suesposta e si chiedevano misure volte alla soluzione della vicenda;
   nel periodo di febbraio-marzo 2012 i comuni, nel cui territorio ricadeva l'impianto in questione, provvedevano ad emettere delle ordinanze con le quali ingiungevano alla ditta Europambiente Srl ed alla proprietà (signora Sarzetto Maria) la rimozione dei rifiuti in deposito incontrollato e in stato di abbandono, con contestuale avvio degli stessi a smaltimento e ripristino dello stato e decoro dei luoghi;
   con apposito sopralluogo (verbale del 23/08/2012 prot. n. 19541 del comune di Marcon) si accertava che i soggetti destinatari delle suddette ordinanze non avevano ottemperato alle stesse;
   in data 7 agosto 2012, nell'ambito di una conferenza dei servizi tra comune di Marcon, di Mogliano Veneto, provincia di Venezia, provincia di Treviso, Arpav Venezia, Arpav Treviso, Ulss12 Venezia, Ulss9 Treviso, VVF Venezia, VVF Treviso, veniva inoltre approvato il documento redatto congiuntamente da Arpav e VVF Venezia in data 27 luglio 2012, indicante le 10 priorità di intervento per la messa in sicurezza dell'area mediante l'allontanamento dei rifiuti dall'impianto in questione;
   nel bilancio 2009, la regione Veneto iscriveva a favore del solo comune di Marcon la cifra di 2.000.000,00 di euro, del tutto insufficiente per gli interventi di messa in sicurezza dei luoghi;
   nello stesso periodo i comuni di Marcon e Mogliano Veneto, data la complessità dell'intervento di bonifica dell'area, richiedevano l'intervento sostitutivo della regione Veneto, la quale, con delibera della giunta regionale n. 2314 del 20 novembre 2012, individuava nella società «Veneto Acque Spa» il soggetto attuatore dello smaltimento dei rifiuti presenti nell'area interessata;
   quest'ultima società emetteva bando (n. 3/2013) di gara a procedura aperta denominato «Servizio di caratterizzazione analitica, rimozione, trasporto e incenerimento dei rifiuti pericolo all'interno dell'area EX NUOVA ESA pentasolfuro di fosforo C.E.R. 16.05.07», con scadenza il 7 maggio 2013;
   detto bando riguardava la rimozione dei 400 fusti contenti pentasolfuro di fosforo C.E.R. 16.05.07, la quale rappresenta solamente la prima delle 10 priorità d'intervento segnalate nella perizia congiunta dell'Arpav e dei vigili del fuoco;
   la situazione dell'impianto in questione, lungi dall'esser risolta, necessita dunque di interventi di portata radicalmente differente, onde garantire prioritariamente la sicurezza ed evitare l'ulteriore aggravarsi di danni, ambientali ed economici, già arrecati al territorio ed alla popolazione interessati;
   a riprova della gravità della situazione in data 30 aprile 2013 veniva presentata al Parlamento europeo apposita interrogazione a risposta scritta indirizzata alla Commissione europea, a firma dell'eurodeputato Andrea Zanoni, per sapere se questa non ritenesse «opportuno approfondire le ragioni per le quali la Regione del Veneto ha stanziato un contributo ritenuto insufficiente a risolvere l'emergenza ambientale ed eliminare per sempre i rischi di contaminazione»;
   si auspica che la regione Veneto chiarisca quali ulteriori misure essa intenda adottare rispetto alla vicenda suesposta –:
   di quali informazioni disponga il Governo per quanto di competenza, in merito ai fatti riferiti in premessa e quali iniziative di competenza intenda promuovere ai fini dell'accertamento delle sostanze ancora depositate nel piazzale della Nuova Esa e della loro regolare rimozione.
(4-00561)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo n. 4-00561 del deputato Pastorelli, vertente gli accertamenti posti in essere per accertare la tipologia delle sostanze ancora depositate nel piazzale della ex Nuova Esa, sulla base degli elementi forniti dalla regione Veneto, si rappresenta quanto segue.
  In ordine alla cronologia delle attività relative allo smaltimento dei rifiuti abbandonati nell'area
ex Nuova Esa, ubicata nei comuni di Marcon (VE) e Mogliano Veneto (TV), oltre ai fatti riportati nell'interrogazione, vi è da aggiungere che, a seguito del completamento delle procedure di gara esperite da Veneto Acque spa, i lavori di smaltimento del rifiuto costituito da penta solfuro di fosforo sono iniziati in data 28 ottobre 2013 e sono attualmente in corso.
  L'importo dei lavori relativo a questo primo intervento di smaltimento, così come risultante dall'aggiudicazione della gara a tal fine espletata, è pari a euro 573.790,40. La durata dei lavori citati è prevista in 161 giorni.
  Tutte le attività sono svolte sotto costante controllo delle Autorità preposte.
  Completato lo smaltimento dei rifiuti citati (circa 70.000 kg.) la Regione Veneto programmerà lo smaltimento degli altri rifiuti presenti nell'area, utilizzando a tale scopo le residue somme stanziate con la delibera della Giunta della Regione Veneto 2314 del 2011/2012 (circa 1.500.000 euro), secondo le priorità già stabilite dai Vigili del fuoco e da Arpav.
  Solo ad esaurimento dell'importo stanziato sarà possibile stabilire la necessità di smaltire ulteriori rifiuti che dovessero residuare e tale evenienza dovrà essere segnalata dalle autorità competenti, sulla base degli effettivi rischi per la salute pubblica e per l'ambiente eventualmente ancora presenti.
  Allo stato attuale, pertanto, non è possibile definire la necessità di ulteriori interventi.
  Infine, si rappresenta che la Regione Veneto è impegnata a risolvere un problema ambientale in sostituzione dei soggetti obbligati ed ai comuni interessati e che si procederà al recupero delle somme utilizzate, in conformità alla normativa vigente.

Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   PES. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la società Saras spa ha presentato nel giugno 2011, e regolarizzato ad agosto 2011, l'istanza di verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale relativa alla «realizzazione di un pozzo esplorativo per la ricerca di idrocarburi nel permesso di ricerca denominato Eleonora»;
   il progetto prevede la realizzazione di un pozzo denominato Eleonora 1 Dir, della profondità di 2.850 metri, entro l'area del permesso di ricerca «Eleonora» che si estende su una superficie di circa 44.300 ettari nell'entroterra del Golfo di Oristano;
   il pozzo sarà realizzato con tecnica a rotazione e circolazione inversa di fanghi bentonitici e dopo i primi 450 metri verrà direzionato, con un angolo di deviazione di circa 30° dalla verticale, in modo da consentire il raggiungimento di cinque obiettivi minerari a profondità variabile, non allineati sulla stessa verticale ma traslati progressivamente verso nord-nord-est;
   il punto di intesto del pozzo è situato a circa 4,5 chilometri dall'abitato di Arborea e a circa 180 metri dal SIC ITB 030016 «Stagno di S'Ena Arrubia e territori limitrofi» e dalla ZPS ITB 034001 «Stagno di S'Ena Arrubia», la cui perimetrazione coincide con quella della zona umida di importanza internazionale IT 016 «Stagno di S'Ena Arrubia»;
   per l'allestimento del cantiere, che occupa una superficie di 570 metri quadri sono previsti la rimozione preliminare dello strato superficiale di circa 40 centimetri di terreno vegetale, la realizzazione di una pavimentazione superficiale costituita da uno strato di pietrisco costipato e rullato, la messa in opera delle opere civili (cantina, basamenti degli impianti, canalette di raccolta acque, e altro) oltre che l'installazione di impianti (torre di perforazione di altezza 45 metri, top drive, generatori elettrici, circuito fanghi, bacini di stoccaggio fanghi esausti, e altro);
   le operazioni di perforazione prevedono l'infissione nel suolo mediante battipalo di un tubo guida del diametro di 20” fino alla profondità di 50 metri o fino a rifiuto totale, la perforazione, all'interno del tubo guida, del primo tratto del pozzo fino a una profondità di 450 metri, successivo rivestimento con colonna da 13 3/8” (colonna di ancoraggio) e cementazione dell'intercapedine tra pareti del foro e superficie esterna della colonna, la perforazione del tratto intermedio del pozzo (da 450 metri a 1.550 metri), rivestimento con colonna da 9 5/8” e cementazione dell'intercapedine; la perforazione dell'ultimo tratto, da 1.550 metri a 2.850 metri, rivestimento con liner da 7” e cementazione;
   il paese di Arborea è il principale distretto agricolo e di allevamento bovino di tutta la Sardegna;
   vi sono circa 200 aziende e oltre 30.000 capi bovini che producono il 98 per cento del latte vaccino sardo per un giro d'affari di diverse centinaia di milioni di euro;
   la realizzazione del pozzo avrebbe un grosso impatto sull'economia locale;
   è nato un comitato civico per opporsi al «Progetto Eleonora» che ha evidenziato da subito le carenze del progetto e la totale incompatibilità con la storia e l'identità di Arborea e di tutta la provincia di Oristano;
   una delibera dell'assessorato regionale all'industria del 2009 autorizzava la Saras spa ad ispezionare il territorio in esame;
   inizialmente la regione Sardegna non aveva ritenuto necessaria la valutazione di impatto ambientale;
   in seguito alle richieste e alle osservazioni pervenute al servizio SAVI da parte del comitato civico «no al Progetto Eleonora», di diverse associazioni ambientaliste, di centinaia di cittadini e di ProgReS Progetu Repùblica si è ritenuto di dover richiedere la valutazione di impatto ambientale;
   con delibera del 18 aprile 2012, infatti, la giunta regionale ha deciso di sottoporre alla procedura di valutazione di impatto ambientale l'intervento in questione, proprio «in considerazione delle criticità legate, principalmente, all'ubicazione dell'intervento in aree ad elevata sensibilità ambientale, con particolare riferimento al fatto che l'area di cantiere ricade all'interno della fascia costiera; è interna all'Oasi di protezione faunistica «S'Ena Arrubia» (istituita con decreto dell'ass. dif. ambiente n. 111 del 20 luglio 1978), si trova a meno di 150 metri da SIC, ZPS e aree umide Ramsar, è interna alla perimetrazione dell'ISA 218 «Sinis e stagni di Oristano». Nondimeno è risultata critica la vicinanza dell'area di intervento a recettori sensibili (aziende, abitazioni, e altro), da cui il cantiere dista poche centinaia di metri»;
   il 7 maggio 2012 il comune di Arborea ha deliberato la propria opposizione al «Progetto Eleonora» così come aveva fatto in precedenza l'amministrazione comunale di Marrubiu, consapevole del fatto che il territorio non è organizzato per compartimenti stagni e che eventuali danni al territorio di Arborea si sarebbero inevitabilmente riversati anche sui comuni limitrofi;
   con comunicazione del 27 marzo 2012 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare richiamava l'assessorato regionale e il comune di Arborea a fornire informazioni in merito alle possibili incidenze negative sullo stagno S'Ena Arrubia SIC-ZPS e zone limitrofe;
   il Ministro era già intervenuto in proposito con nota del 23 dicembre 2011 nella quale aveva chiesto rassicurazioni alla regione Sardegna e all'amministrazione comunale;
   come già evidenziato nella prima nota di dicembre, il Ministero scriveva che «in relazione ad eventuali alterazioni dello stato di conservazione del sito Stagno di S'Ena Arrubia, ipotizzabili come derivate dalla compromissione della falda freatica durante le attività di trivellazione, si sottolinea l'importanza di condurre un approfondito studio da parte della Società proponente di tutte le possibili interferenze indirette nei confronti dei siti Natura 2000 presenti»;
   inoltre, il Ministro ha ricordato che la zona riceve dei finanziamenti (progetto LIFE) per scopi ambientali –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga che la realizzazione di un pozzo esplorativo per la ricerca di idrocarburi nel permesso di ricerca denominato Eleonora possa recare grave pregiudizio all'ambiente e alla popolazione di quei luoghi;
   se sia sua intenzione porre in opera tutte le azioni necessarie per tutelare le aree ad elevata sensibilità ambientale interessate dal progetto «Eleonora» e la popolazione ivi residente. (4-00164)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, appare opportuno sottolineare preliminarmente la circostanza che con il decreto legislativo n. 112 del 31 marzo 1998 le competenze relative alla ricerca e coltivazione di idrocarburi sulla terraferma sono state trasferite alle regioni.
  L'articolo 34 di tale disposizione normativa, in particolare, prevede che le funzioni relative al rilascio dei permessi di ricerca e alle concessioni di coltivazioni di minerali solidi e delle risorse geotermiche sulla terraferma sono delegate alle regioni; il successivo articolo 35 assegna, poi, alle medesime regioni, anche gli adempimenti relativi alla valutazione di impatto ambientale (Via) dei relativi progetti di ricerca e di coltivazione.
  Nondimeno, in merito ai possibili effetti derivanti dalla attività esplorativa in corso di autorizzazione da parte della Regione autonoma Sardegna, non si può non temere la possibilità di un impatto negativo anche non irrilevante sull'ambiente circostante il progettato pozzo esplorativo, tenuto conto della contiguità del sito interessato dalle prospezioni con ecosistemi tutelati da normative comunitarie.
  Ed è questo il motivo per il quale lo scrivente Ministero ha ritenuto, a suo tempo, di richiedere ai competenti uffici regionali, per tramite della propria struttura tecnica interessata e nell'ambito delle pertinenti funzioni istituzionali, ogni utile elemento conoscitivo al riguardo e di segnalare la necessità di garantire il rispetto delle tutele previste, in particolare, dall'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997.
  Ma si ritiene opportuno, a questo punto, procedere con ordine.
  Nel corso del 2006, la Regione autonoma Sardegna, d'intesa con gli altri enti locali interessati, ha rilasciato alla Saras spa il permesso di ricerca, da questa richiesto, che consentiva la sola attività di esplorazione per la ricerca di gas naturale nel sottosuolo della Provincia di Oristano (cosiddetto «Progetto Eleonora»). L'area inizialmente interessata era pari a 22.500 ettari di territorio ricadente nei comuni di Oristano, Arborea, Marrubbiu, Terralba, San Nicolò d'Arcidano e Mogoro, successivamente ampliata agli attuali 44.300 ettari includendo ulteriori territori ricadenti nei comuni di Cabras, Riola Sardo, Nurachi, Baratili San Pietro, Zeddiani, Tramatza, Solarussa, Siamaggiore, Palmas Arborea, Santa Giusta, Uras e Guspini, quest'ultimo in provincia del Medio Campidano.
  Gli esiti delle conseguenti campagne d'indagine hanno consentito alla società Saras di poter prevedere, con un alto margine di probabilità, la presenza nel sottosuolo di un giacimento costituito da cinque serbatoi geologici, a profondità variabili tra i 600 e i 2.850 metri, della capacità di svariati miliardi di metri cubi di gas naturale.
  Al fine di pervenire, quindi, alla quantificazione dell'effettivo potenziale di tali giacimenti, sinora preliminarmente evidenziato solo attraverso indagini indirette, la società Saras ha chiesto alla amministrazione regionale l'autorizzazione per realizzare un pozzo esplorativo nella piana di Oristano, nel territorio del comune di Arborea, con l'obiettivo di confermare la presenza di gas naturale e determinarne la qualità.
  La fase di esplorazione prevede, da progetto, solo opere temporanee della durata complessiva di circa 6 mesi, di cui circa 50 giorni di perforazione vera e propria. È prevista la realizzazione di una piazzuola della dimensione di circa 10.000 mq. Al centro del piazzale sarà dislocato l'impianto di perforazione per realizzare l'unico pozzo previsto in questa fase di ricerca. All'interno dell'area è previsto che vengano allestiti gli uffici, in appositi container, nonché gli impianti ausiliari alle opere di trivellazione.
  Nel corpo della interrogazione che si riscontra, peraltro, sono sapientemente illustrate, con dovizia di particolari, le opere che si intendono realizzare e le procedure tecnico-operative da seguire per la trivellazione, richiamando l'attenzione dei lettori sulla circostanza che l'ubicazione dell'intervento ricade in aree ad elevata sensibilità ambientale.
  In particolare, viene sottolineato che il punto di innesto del pozzo esplorativo è previsto a circa 4,5 chilometri dall'abitato di Arborea e a circa 180 metri dal SIC ITB 030016 «
Stagno di S'Ena Arrubia e territori limitrofi» e dalla ZPS ITB 034001 «Stagno di S'Ena Arrubia», la cui perimetrazione coincide con quella della zona umida di importanza internazionale IT 016 «Stagno di S'Ena Arrubia».
  Sul punto, la società Saras ha precisato che pur essendo vicina ad un'area di pregio naturalistico, l'area di trivellazione è stata scelta per ridurre al minimo le attività di perforazione ed il loro impatto sull'ambiente. Solo da quel particolare punto sarà possibile, infatti, raggiungere con una unica perforazione tutti e 5 i serbatoi geologici sovrapposti di metano, anziché trovarsi nella necessità di perforare 2 o addirittura 3 pozzi, in caso di diversa localizzazione, con un inevitabile aumento dell'impatto ambientale ed un allungamento dei tempi di esecuzione dei lavori.
  Tuttavia, una volta presentato, il progetto denominato «Realizzazione di un pozzo esplorativo per ricerca di idrocarburi nel permesso di ricerca denominato “Eleonora”» ha destato grande preoccupazione presso l'opinione pubblica e le istituzioni locali. La Regione autonoma Sardegna rispondendo alla richiesta di informazioni di questo Ministero aveva già fatto presente che erano state numerosissime le osservazioni e i reclami ad essa pervenuti in ordine al progetto della società Samas, da parte di associazioni ambientaliste, operatori dell'economia locale e privati cittadini, anche riuniti in comitati.
  Anche per questo, si ritiene, il competente ufficio regionale (servizio sostenibilità ambientale, valutazione impatti e sistemi informativi ambientali, in sigla Savi), dopo aver richiesto alla società Samas determinate integrazioni e chiarimenti su vari aspetti ritenuti particolarmente critici, ha completato la propria istruttoria proponendo alla Giunta regionale (competente alla conclusione dei procedimenti in materia di Via ai sensi della legge regionale Sardegna n. 9 del 2006), che ne ha condiviso il merito, l'assoggettamento del progetto alla procedura di valutazione di impatto ambientale. E questo, anche al fine di consentire – per quanto sopra appena detto – un più esteso coinvolgimento della popolazione, per una maggiore e più approfondita conoscenza del progetto e dei suoi potenziali e possibili effetti negativi, diretti ed indiretti, sulla salute, sull'ambiente, sul paesaggio, sulle attività produttive, eccetera.
  La società Saras ha presentato nel marzo 2013 la pertinente istanza di Via, ivi includendo la relazione per la «valutazione d'incidenza» prevista all'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997. A seguito di una integrazione documentale richiesta dalla Amministrazione Regionale per regolarizzare l'istanza, si è dato corso all'avvio del procedimento di Via in data 5 aprile 2013.
  A seguito della pubblicazione del pertinente avviso sulla stampa a diffusione locale nonché della presentazione pubblica del progetto presso il comune di Arborea il 30 maggio 2013, con ampia partecipazione di cittadini e degli altri soggetti comunque interessati, sono pervenute alla competente struttura regionale numerosissime osservazioni, anche informate, approfondite e meticolose.
  Al fine di consentire l'analisi e la predisposizione delle risposte a tali osservazioni, si era concordato originariamente il termine del 31 ottobre 2013 per la consegna del progetto aggiornato da parte della società Samas, successivamente prorogato al 30 novembre 2013 su richiesta di quest'ultima. Da notizie di stampa si è appreso che la società Samas intendeva utilizzare tale periodo di proroga per rendere il documento fruibile anche dai non addetti ai lavori, al fine di pervenire a una completa e chiara illustrazione delle risposte alle numerose osservazioni formulate da cittadini, associazioni e istituzioni pubbliche.
  Ad oggi, per quanto sopra riferito, la procedura di Via rimessa alla esclusiva competenza della amministrazione regionale non si è ancora conclusa, talché non è possibile – e non lo sarà ancora per un po’ di tempo, in relazione alle dinamiche proprie e alla relativa tempistica delle pertinenti attività valutative – conoscere gli esiti, in particolare, e per quanto qui più specificatamente interessa, della valutazione di incidenza.
  Per quanto attiene, infatti, agli aspetti della questione più direttamente riconducibili alle competenze istituzionali di questo Ministero, gli interroganti hanno opportunamente fatto riferimento ad una prima comunicazione del 23 dicembre 2011, alla quale ne è poi seguita una successiva di sollecito del 19 marzo 2012.
  Con esse, riscontrando una segnalazione pervenuta dal Gruppo consigliare «Obiettivo Comune» del comune di Arborea, la competente struttura ministeriale, nel prendere atto della localizzazione dell'intervento esplorativo oggetto dell'intervento da sottoporre a Via, aveva richiamato alla attenzione degli uffici regionali che il sito naturalistico «minacciato» dalla realizzazione degli interventi esplorativi aveva beneficiato di un sostegno finanziario nell'ambito del Progetto LIFE 97NAT/IT/4177, e che i programmi di cofinanziamento LIFE prevedono, nella stipula del contratto, la garanzia del mantenimento a lungo termine degli interventi condotti e dei risultati ottenuti, anche dopo il termine del progetto.
  Era stato fatto presente, altresì, che in relazione ad eventuali alterazioni dello stato di conservazione del sito «
Stagno di S'Ena Arrubbia», ipotizzabili come derivate dalla compromissione della falda freatica in relazione alle attività di trivellazione, emergeva l'importanza che la Società proponente conducesse un approfondito studio su tutte le possibili interferenze indirette nei confronti dei siti Natura 2000 presenti, con particolare riferimento all'aspetto appena citato.
  Quale ulteriore argomento posto alla attenzione dell'interlocutore, venivano, infine, richiamate le tutele introdotte in Italia dal decreto del Presidente della Repubblica n. 357 dell'8 settembre 1997, e, in particolare, dall'articolo 5, il cui comma 3 prevede che i proponenti di interventi non direttamente connessi e necessari al mantenimento in uno stato di conservazione soddisfacente delle specie e degli
habitat presenti nel sito, ma che possono avere incidenze significative sul sito stesso, singolarmente o congiuntamente ad altre iniziative, presentano, ai fini della valutazione di incidenza, uno studio volto ad individuare e valutare i principali effetti che detti interventi possono avere sul sito interessato, tenuto conto dei relativi obiettivi di conservazione.
  In altre parole, la valutazione di incidenza ambientale ha lo scopo di accertare preventivamente se determinati progetti possano avere incidenza significativa sui siti di importanza comunitari (Sic) e sulle zone di protezione speciale (Zps), e ciò al fine di salvaguardare l'integrità dei predetti Siti attraverso l'esame delle interferenze di piani e progetti non direttamente connessi alla conservazione degli
habitat e delle specie per cui essi sono stati individuati, ma in grado di condizionarne l'equilibrio ambientale.
  La valutazione di incidenza è previsto che venga svolta nell'ambito della procedura di VIA la cui competenza, come già sottolineato, è rimessa alla Amministrazione regionale.
  Allo stato, si è appreso, la società Saras ha presentato il 29 novembre 2013, e quindi entro i termini di proroga concessi, la ulteriore documentazione concernente le controdeduzioni alle osservazioni a suo tempo formulate sul progetto, le quali sono visionabili sul sito
web della regione. Le attività valutative di competenza regionale hanno quindi ripreso corso.
  Pur trattandosi, si ripete ancora, di competenza autorizzativa rimessa alla competenza della amministrazione regionale, questo Ministero, tuttavia, alla luce delle funzioni specifiche rimesse sulla materia, quale garante della integrità dei siti di Natura 2000 nei confronti dell'Unione europea, e nell'ambito di una più generale funzione di tutela dell'ambiente e del territorio, stante la rilevanza degli interessi ambientali in gioco, provvederà ad adottare ogni lecita e possibile iniziativa, anche mediante un costante monitoraggio della situazione in atto, finalizzata a garantire il massimo rispetto delle procedure valutative e di conformità ambientale appositamente dettate a salvaguardia della integrità degli ambienti interessati dagli interventi esplorativi per i quali è stata richiesta l'autorizzazione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareAndrea Orlando.


   PES e BORGHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la società Saras spa ha presentato nel giugno 2011, e regolarizzato ad agosto 2011, l'istanza di verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale relativa alla «realizzazione di un pozzo esplorativo per la ricerca di idrocarburi nel permesso di ricerca denominato Eleonora»;
   il progetto prevede la realizzazione di un pozzo denominato Eleonora 1 Dir, della profondità di 2.850 metri, entro l'area del permesso di ricerca «Eleonora» che si estende su una superficie di circa 44.300 ettari nell'entroterra del Golfo di Oristano;
   il pozzo sarà realizzato con tecnica a rotazione e circolazione inversa di fanghi bentonitici e dopo i primi 450 metri verrà direzionato, con un angolo di deviazione di circa 300 dalla verticale, in modo da consentire il raggiungimento di cinque obiettivi minerari a profondità variabile, non allineati sulla stessa verticale ma traslati progressivamente verso NNE;
   il punto di intesto del pozzo è situato a circa 4,5 chilometri dall'abitato di Arborea e a circa 180 metri dal SIC ITB 030016 «Stagno di S'Ena Arrubia e territori limitrofi» e dalla ZPS ITB 034001 «Stagno di S'Ena Arrubia», la cui perimetrazione coincide con quella della zona umida di importanza internazionale IT 016 «Stagno di S'Ena Arrubia»;
   per l'allestimento del cantiere, che occupa una superficie di 570 metri quadri sono previsti la rimozione preliminare dello strato superficiale di circa 40 centimetri di terreno vegetale, la realizzazione di una pavimentazione superficiale costituita da uno strato di pietrisco costipato e rullato, la messa in opera delle opere civili (cantina, basamenti degli impianti, canalette di raccolta acque, e altro) oltre che l'installazione di impianti (torre di perforazione di altezza 45 metri, top drive, generatori elettrici, circuito fanghi, bacini di stoccaggio fanghi esausti, e altro);
   le operazioni di perforazione prevedono l'infissione nel suolo mediante battipalo di un tubo guida del diametro di 20 fino alla profondità di 50 metri o fino a rifiuto totale, la perforazione, all'interno del tubo guida, del primo tratto del pozzo fino a una profondità di 450 metri, successivo rivestimento con colonna da 13 3/8 (colonna di ancoraggio) e cementazione dell'intercapedine tra pareti del foro e superficie esterna della colonna, la perforazione del tratto intermedio del pozzo (da 450 metri a 1.550 metri), rivestimento con colonna da 9 5/8 e cementazione dell'intercapedine; la perforazione dell'ultimo tratto, da 1.550 metri a 2.850 metri, rivestimento con liner da 7 e cementazione;
   il paese di Arborea è il principale distretto agricolo e di allevamento bovino di tutta la Sardegna;
   vi sono circa 200 aziende e oltre 30.000 capi bovini che producono il 98 per cento del latte vaccino sardo per un giro d'affari di diverse centinaia di milioni di euro;
   la realizzazione del pozzo avrebbe un grosso impatto sull'economia locale;
   è nato un comitato civico per opporsi al «progetto Eleonora» che ha evidenziato da subito le carenze del progetto e la totale incompatibilità con la storia e l'identità di Arborea e di tutta la provincia di Oristano;
   una delibera dell'assessorato regionale all'industria del 2009 autorizzava la Saras spa ad ispezionare il territorio in esame;
   inizialmente la regione Sardegna non aveva ritenuto necessaria la valutazione di impatto ambientale;
   in seguito alle richieste e alle osservazioni pervenute al servizio SAVI da parte del comitato civico «no al Progetto Eleonora», di diverse associazioni ambientaliste, di centinaia di cittadini e di ProgReS Progetu Repùblica si è ritenuto di dover richiedere la valutazione di impatto ambientale;
   con delibera del 18 aprile 2012, infatti, la giunta regionale ha deciso di sottoporre alla procedura di valutazione di impatto ambientale l'intervento in questione, proprio «in considerazione delle criticità legate, principalmente, all'ubicazione dell'intervento in aree ad elevata sensibilità ambientale, con particolare riferimento al fatto che l'area di cantiere ricade all'interno della fascia costiera; è interna all'Oasi di protezione faunistica “S'Ena Arrubia” (istituita con decreto dell'ass. dif. ambiente n. 111 del 20 luglio 1978), si trova a meno di 150 metri da SIC, ZPS e aree umide Ramsar, è interna alla perimetrazione dell'IBA 218 “Sinis e stagni di Oristano”. Nondimeno è risultata critica la vicinanza dell'area di intervento a recettori sensibili (aziende, abitazioni, e altro), da cui il cantiere dista poche centinaia di metri»;
   il 7 maggio 2012 il comune di Arborea ha deliberato la propria opposizione al «progetto Eleonora» così come aveva fatto in precedenza l'amministrazione comunale di Marrubiu, consapevole del fatto che il territorio non è organizzato per compartimenti stagni e che eventuali danni al territorio di Arborea si sarebbero inevitabilmente riversati anche sui comuni limitrofi;
   con comunicazione del 27 marzo 2012 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare richiamava l'assessorato regionale e il comune di Arborea a fornire informazioni in merito alle possibili incidenze negative sullo stagno S'Ena Arrubia SIC-ZPS e zone limitrofe;
   il Ministro era già intervenuto in proposito con nota del 23 dicembre 2011 nella quale aveva chiesto rassicurazioni alla regione Sardegna e all'amministrazione comunale;
   come già evidenziato nella prima nota di dicembre, il Ministero scriveva che «in relazione ad eventuali alterazioni dello stato di conservazione del sito Stagno di S'Ena Arrubia, ipotizzabili come derivate dalla compromissione della falda freatica durante le attività di trivellazione, si sottolinea l'importanza di condurre un approfondito studio da parte della Società proponente di tutte le possibili interferenze indirette nei confronti dei siti Natura 2000 presenti»;
   inoltre, il Ministro ha ricordato che la zona riceve dei finanziamenti (progetto LIFE) per scopi ambientali –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga che la realizzazione di un pozzo esplorativo per la ricerca di idrocarburi nel permesso di ricerca denominato Eleonora possa recare grave pregiudizio all'ambiente e alla popolazione di quei luoghi;
   se sia sua intenzione porre in opera tutte le iniziative di competenza necessarie per tutelare le aree ad elevata sensibilità ambientale interessate dal progetto «Eleonora» e la popolazione ivi residente.
(4-00725)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo indicato in esame, appare opportuno sottolineare preliminarmente la circostanza che con il decreto legislativo n. 112 del 31 marzo 1998 le competenze relative alla ricerca e coltivazione di idrocarburi sulla terraferma sono state trasferite alle regioni.
  L'articolo 34 di tale disposizione normativa, in particolare, prevede che le funzioni relative al rilascio dei permessi di ricerca e alle concessioni di coltivazioni di minerali solidi e delle risorse geotermiche sulla terraferma sono delegate alle regioni; il successivo articolo 35 assegna, poi, alle medesime regioni, anche gli adempimenti relativi alla valutazione di impatto ambientale (Via) dei relativi progetti di ricerca e di coltivazione.
  Nondimeno, in merito ai possibili effetti derivanti dalla attività esplorativa in corso di autorizzazione da parte della Regione autonoma Sardegna, non si può non temere la possibilità di un impatto negativo anche non irrilevante sull'ambiente circostante il progettato pozzo esplorativo, tenuto conto della contiguità del sito interessato dalle prospezioni con ecosistemi tutelati da normative comunitarie.
  Ed è questo il motivo per il quale lo scrivente Ministero ha ritenuto, a suo tempo, di richiedere ai competenti uffici regionali, per tramite della propria Struttura tecnica interessata e nell'ambito delle pertinenti funzioni istituzionali, ogni utile elemento conoscitivo al riguardo e di segnalare la necessità di garantire il rispetto delle tutele previste, in particolare, dall'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997.
  Ma si ritiene opportuno, a questo punto, procedere con ordine.
  Nel corso del 2006, la Regione autonoma Sardegna, d'intesa con gli altri enti locali interessati, ha rilasciato alla Saras spa il permesso di ricerca, da questa richiesto, che consentiva la sola attività di esplorazione per la ricerca di gas naturale nel sottosuolo della Provincia di Oristano (cosiddetto «Progetto Eleonora»). L'area inizialmente interessata era pari a 22.500 ettari di territorio ricadente nei comuni di Oristano, Arborea, Marrubbiu, Terralba, San Nicolò d'Arcidano e Mogoro, successivamente ampliata agli attuali 44.300 ettari includendo ulteriori territori ricadenti nei comuni di Cabras, Riola Sardo, Nurachi, Baratili San Pietro, Zeddiani, Tramatza, Solarussa, Siamaggiore, Palmas Arborea, Santa Giusta, Uras e Guspini, quest'ultimo in provincia del Medio Campidano.
  Gli esiti delle conseguenti campagne d'indagine hanno consentito alla società Saras di poter prevedere, con un alto margine di probabilità, la presenza nel sottosuolo di un giacimento costituito da cinque serbatoi geologici, a profondità variabili tra i 600 e i 2.850 metri, della capacità di svariati miliardi di metri cubi di gas naturale.
  Al fine di pervenire, quindi, alla quantificazione dell'effettivo potenziale di tali giacimenti, sinora preliminarmente evidenziato solo attraverso indagini indirette, la società Saras ha chiesto alla amministrazione regionale l'autorizzazione per realizzare un pozzo esplorativo nella piana di Oristano, nel territorio del Comune di Arborea, con l'obiettivo di confermare la presenza di gas naturale e determinarne la qualità.
  La fase di esplorazione prevede, da progetto, solo opere temporanee della durata complessiva di circa 6 mesi, di cui circa 50 giorni di perforazione vera e propria. È prevista la realizzazione di una piazzuola della dimensione di circa 10.000 metriquadrati. Al centro del piazzale sarà dislocato l'impianto di perforazione per realizzare l'unico pozzo previsto in questa fase di ricerca. All'interno dell'area è previsto che vengano allestiti gli uffici, in appositi container, nonché gli impianti ausiliari alle opere di trivellazione.
  Nel corpo della interrogazione che si riscontra, peraltro, sono sapientemente illustrate, con dovizia di particolari, le opere che si intendono realizzare e le procedure tecnico-operative da seguire per la trivellazione, richiamando l'attenzione dei lettori sulla circostanza che l'ubicazione dell'intervento ricade in aree ad elevata sensibilità ambientale.
  In particolare, viene sottolineato che il punto di innesto del pozzo esplorativo è previsto a circa 4,5 chilometri dall'abitato di Arborea e a circa 180 metri dal SIC ITB 030016 «
Stagno di S'Ena Arrubia e territori limitrofi» e dalla ZPS ITB 034001 «Stagno di S'Ena Arrubia», la cui perimetrazione coincide con quella della zona umida di importanza internazionale IT 016 «Stagno di S'Ena Arrubia».
  Sul punto, la società Saras ha precisato che pur essendo vicina ad un'area di pregio naturalistico, l'area di trivellazione è stata scelta per ridurre al minimo le attività di perforazione ed il loro impatto sull'ambiente. Solo da quel particolare punto sarà possibile, infatti, raggiungere con una unica perforazione tutti e 5 i serbatoi geologici sovrapposti di metano, anziché trovarsi nella necessità di perforare 2 o addirittura 3 pozzi, in caso di diversa localizzazione, con un inevitabile aumento dell'impatto ambientale ed un allungamento dei tempi di esecuzione dei lavori.
  Tuttavia, una volta presentato, il progetto denominato «Realizzazione di un pozzo esplorativo per ricerca di idrocarburi nel permesso di ricerca denominato “Eleonora”» ha destato grande preoccupazione presso l'opinione pubblica e le istituzioni locali. La Regione autonoma Sardegna rispondendo alla richiesta di informazioni di questo Ministero aveva già fatto presente che erano state numerosissime le osservazioni e i reclami ad essa pervenuti in ordine al progetto della società Samas, da parte di associazioni ambientaliste, operatori dell'economia locale e privati cittadini, anche riuniti in comitati.
  Anche per questo, si ritiene, il competente ufficio regionale (servizio sostenibilità ambientale, valutazione impatti e sistemi informativi ambientali, in sigla Savi), dopo aver richiesto alla società Samas determinate integrazioni e chiarimenti su vari aspetti ritenuti particolarmente critici, ha completato la propria istruttoria proponendo alla Giunta Regionale (competente alla conclusione dei procedimenti in materia di Via ai sensi della legge regionale Sardegna n. 9 del 2006), che ne ha condiviso il merito, l'assoggettamento del progetto alla procedura di valutazione di impatto ambientale. E questo, anche al fine di consentire – per quanto sopra appena detto – un più esteso coinvolgimento della popolazione, per una maggiore e più approfondita conoscenza del progetto e dei suoi potenziali e possibili effetti negativi, diretti ed indiretti, sulla salute, sull'ambiente, sul paesaggio, sulle attività produttive, eccetera.
  La società Saras ha presentato nel marzo 2013 la pertinente istanza di Via, ivi includendo la relazione per la «valutazione d'incidenza» prevista all'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997. A seguito di una integrazione documentale richiesta dalla Amministrazione Regionale per regolarizzare l'istanza, si è dato corso all'avvio del procedimento di Via in data 5 aprile 2013.
  A seguito della pubblicazione del pertinente avviso sulla stampa a diffusione locale nonché della presentazione pubblica del progetto presso il Comune di Arborea il 30 maggio 2013, con ampia partecipazione di cittadini e degli altri soggetti comunque interessati, sono pervenute alla competente Struttura regionale numerosissime osservazioni, anche informate, approfondite e meticolose.
  Al fine di consentire l'analisi e la predisposizione delle risposte a tali osservazioni, si era concordato originariamente il termine del 31 ottobre 2013 per la consegna del progetto aggiornato da parte della società Samas, successivamente prorogato al 30 novembre 2013 su richiesta di quest'ultima. Da notizie di stampa si è appreso che la società Samas intendeva utilizzare tale periodo di proroga per rendere il documento fruibile anche dai non addetti ai lavori, al fine di pervenire a una completa e chiara illustrazione delle risposte alle numerose osservazioni formulate da cittadini, associazioni e istituzioni pubbliche.
  Ad oggi, per quanto sopra riferito, la procedura di Via rimessa alla esclusiva competenza della amministrazione regionale non si è ancora conclusa, talché non è possibile – e non lo sarà ancora per un po’ di tempo, in relazione alle dinamiche proprie e alla relativa tempistica delle pertinenti attività valutative – conoscere gli esiti, in particolare, e per quanto qui più specificatamente interessa, della valutazione di incidenza.
  Per quanto attiene, infatti, agli aspetti della questione più direttamente riconducibili alle competenze istituzionali di questo Ministero, gli interroganti hanno opportunamente fatto riferimento ad una prima comunicazione del 23 dicembre 2011, alla quale ne è poi seguita una successiva di sollecito del 19 marzo 2012.
  Con esse, riscontrando una segnalazione pervenuta dal Gruppo consigliare «Obiettivo Comune» del Comune di Arborea, la competente struttura ministeriale, nel prendere atto della localizzazione dell'intervento esplorativo oggetto dell'intervento da sottoporre a Via, aveva richiamato alla attenzione degli uffici regionali che il sito naturalistico «minacciato» dalla realizzazione degli interventi esplorativi aveva beneficiato di un sostegno finanziario nell'ambito del Progetto LIFE 97NAT/IT/4177, e che i programmi di cofinanziamento LIFE prevedono, nella stipula del contratto, la garanzia del mantenimento a lungo termine degli interventi condotti e dei risultati ottenuti, anche dopo il termine del progetto.
  Era stato fatto presente, altresì, che in relazione ad eventuali alterazioni dello stato di conservazione del sito «
Stagno di S'Ena Arrubbia», ipotizzabili come derivate dalla compromissione della falda freatica in relazione alle attività di trivellazione, emergeva l'importanza che la Società proponente conducesse un approfondito studio su tutte le possibili interferenze indirette nei confronti dei siti Natura 2000 presenti, con particolare riferimento all'aspetto appena citato.
  Quale ulteriore argomento posto alla attenzione dell'interlocutore, venivano, infine, richiamate le tutele introdotte in Italia dal decreto del Presidente della Repubblica n. 357 dell'8 settembre 1997, e, in particolare, dall'articolo 5, il cui comma 3 prevede che i proponenti di interventi non direttamente connessi e necessari al mantenimento in uno stato di conservazione soddisfacente delle specie e degli
habitat presenti nel sito, ma che possono avere incidenze significative sul Sito stesso, singolarmente o congiuntamente ad altre iniziative, presentano, ai fini della valutazione di incidenza, uno studio volto ad individuare e valutare i principali effetti che detti interventi possono avere sul sito interessato, tenuto conto dei relativi obiettivi di conservazione.
  In altre parole, la valutazione di incidenza ambientale ha lo scopo di accertare preventivamente se determinati progetti possano avere incidenza significativa sui siti di importanza comunitari (Sic) e sulle zone di protezione speciale (Zps), e ciò al fine di salvaguardare l'integrità dei predetti Siti attraverso l'esame delle interferenze di piani e progetti non direttamente connessi alla conservazione degli
habitat e delle specie per cui essi sono stati individuati, ma in grado di condizionarne l'equilibrio ambientale.
  La valutazione di incidenza è previsto che venga svolta nell'ambito della procedura di Via la cui competenza, come già sottolineato, è rimessa alla Amministrazione regionale.
  Allo stato, si è appreso, la società Saras ha presentato il 29 novembre 2013, e quindi entro i termini di proroga concessi, la ulteriore documentazione concernente le controdeduzioni alle osservazioni a suo tempo formulate sul progetto, le quali sono visionabili sul sito
web della Regione. Le attività valutative di competenza regionale hanno quindi ripreso corso.
  Pur trattandosi, si ripete ancora, di competenza autorizzativa rimessa alla competenza della amministrazione regionale, questo Ministero, tuttavia, alla luce delle funzioni specifiche rimesse sulla materia, quale garante della integrità dei siti di Natura 2000 nei confronti dell'Unione europea, e nell'ambito di una più generale funzione di tutela dell'ambiente e del territorio, stante la rilevanza degli interessi ambientali in gioco, provvederà ad adottare ogni lecita e possibile iniziativa, anche mediante un costante monitoraggio della situazione in atto, finalizzata a garantire il massimo rispetto delle procedure valutative e di conformità ambientale appositamente dettate a salvaguardia della integrità degli ambienti interessati dagli interventi esplorativi per i quali è stata richiesta l'autorizzazione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareAndrea Orlando.


   PILI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   gli agenti sardi dei corsi 164° e 165° avendo preso visione delle 30 assegnazioni effettuate verso le sedi di Cagliari e Sassari di personale di Polizia penitenziaria proveniente dalle scuole di formazione e neo assunti nel Corpo, tra i quali risulta siano presenti circa 20 agenti non sardi probabilmente con poco interesse a permanere a lungo nell'isola, hanno manifestato al sottoscritto interrogante il profondo disagio verso tale situazione;
   tale situazione, come è facilmente comprensibile, rischia di provocare rilevanti disagi a tali lavoratori influenzando negativamente non soltanto il loro presente ma anche il prossimo futuro considerati i tempi per gli interpelli di mobilità a domanda;
   l'essere stati completamente ignorati in questo passaggio fondamentale della realtà penitenziaria della Sardegna costituisce per tali lavoratori motivo di sdegno e sentita protesta;
   tali lavoratori, infatti, rivendicano il diritto di precedenza rispetto a chi è appena entrato a far parte dell'amministrazione penitenziaria, in quanto hanno già maturato un anno di servizio nella sede di prima assegnazione, per quanto riguarda il 164° corso, mentre il 165° si avvia a completarlo nell'ormai vicino mese di dicembre –:
   se non ritenga il Ministro di individuare una soluzione all'annosa questione;
   se non ritenga di dover eliminare quella che appare una pesante e grave penalizzazione nei riguardi di questi agenti penitenziari sardi costretti a stare lontani dalla proprie famiglie;
   se non ritenga, anche in considerazione del fatto che tali lavoratori sono gli unici rimasti praticamente esclusi da tutto questo meccanismo, senza motivo, di adottare o far adottare atti utili a ripristinare il diritto ad un interpello nazionale fra tutti gli agenti sardi che prestano servizio nella penisola prima di procedere al trasferimento dei colleghi dalle scuole di formazione. (4-01946)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, debbo evidenziare che con provvedimento del Capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del 5 novembre 2012 (relativo alle procedure per la mobilità ordinaria annuale del personale di polizia penitenziaria) la partecipazione all'interpello in questione è stata riservata al personale con non meno di un anno di permanenza nella sede di servizio di ultima assegnazione. Pertanto, gli agenti del 164o e 165o corso di formazione – assegnati, rispettivamente, nel mese di agosto 2012 e nel mese di dicembre 2012 – non avevano maturato tale necessario requisito per partecipare all'interpello bandito nello stesso anno 2012.
  Ciò chiarito, evidenzio che, a seguito del recente piano di integrazione degli organici degli istituti penitenziari, elaborato sulla scorta delle indicazioni fornite dai provveditorati regionali, il contingente di polizia penitenziaria della Regione Sardegna è stato potenziato di 266 unità di personale del ruolo maschile agenti e di 10 unità di personale del ruolo femminile agenti. Con specifico riferimento agli istituti penitenziari oggetto dell'interrogazione, l'organico del nuovo istituto di Sassari risulta incrementato con 100 unità maschili e 4 femminili, quello di Cagliari con 155 unità maschili e 4 femminili.
  Per il completamento degli organici incrementati si è fatto ricorso alla graduatoria definitiva dell'interpello per la mobilità ordinaria anno 2012 (pubblicata il 24 luglio 2013) che – sempre per quanto riguarda gli istituti menzionati nell'interrogazione – per il personale maschile del ruolo agenti e assistenti risultava composta da 275 unità per la sede di Cagliari e da 172 unità per la sede di Sassari. Tuttavia, a causa delle successive istanze di revoca presentate dagli interessati, la detta graduatoria non ha consentito la totale copertura dei posti incrementati e, pertanto, si è proceduto ad assegnare i neo assunti del 166o e 167o corso.
  Nonostante tali interventi, la dotazione organica degli istituti di Cagliari e Sassari non è stata ancora completata. È prevista l'assegnazione di ulteriore personale del ruolo maschile degli agenti e assistenti mediante mobilità ordinaria per il 2014, alla quale potranno partecipare a pieno titolo anche gli agenti del 164o e 165o corso.

Il Ministro della giustiziaAnnamaria Cancellieri.


   PIRAS, PIAZZONI, PILOZZI e ZARATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'isola di Budelli, al centro del Parco nazionale dell'arcipelago de La Maddalena in Sardegna, è uno dei più caratteristici e ammirati angoli del patrimonio naturale del nostro Paese;
   la cosiddetta «spiaggia rosa», è conosciuta in tutto il mondo per le sue caratteristiche e la sua bellezza ma anche per la sua fragilità, tanto che l'accesso alla spiaggia è disciplinato dalle rigide regole del Parco nazionale;
   l'isola di Budelli è oggi al centro di una procedura concorsuale poiché l'impresa che detiene i diritti di proprietà dell'isola, una società immobiliare con sede in Milano, è stata dichiarata fallita e i suoi beni sono stati messi all'incanto;
   in particolare, l'isola di Budelli è già stata oggetto di una prima asta andata però deserta, tanto che il Tribunale di Tempio Pausania ha fissato per il 1o ottobre 2013 una nuova asta fissando un prezzo base pari a euro 2.945.000,00;
   l'isola di Budelli rappresenta un bene da assicurare permanentemente al patrimonio pubblico per le sue caratteristiche uniche e perché rappresenta uno dei simboli più conosciuti dell'Italia nel mondo;
   pure in presenza di rigidi vincoli ambientali, che impedirebbero anche all'eventuale acquirente di visitare l'isola senza il consenso delle autorità del parco, l'acquisto della stessa da parte di privati, magari provenienti dall'estero, rappresenterebbe un danno all'immagine dell'Italia e al suo patrimonio ambientale;
   il prezzo fissato dal Tribunale, seppure «irrisorio» rispetto al valore ambientale dell'isola, non consente certo all'ente parco di provvedere all'acquisizione della stessa, attese le difficoltà finanziarie in cui versano parchi nazionali dopo i tagli draconiani delle somme a loro destinate degli ultimi anni;
   i rigidi vincoli ambientali che caratterizzano l'isola di Budelli limiteranno la partecipazione di soggetti privati, attesa l'impossibilità di realizzare qualsivoglia iniziativa imprenditoriale sull'isola, e ciò potrebbe comportare il prolungamento «sine die» della procedura concorsuale e il permanere di una situazione di incertezza circa i destini dell'isola con grave danno dell'immagine dell'Italia all'estero –:
   se non ritenga opportuno e necessario dotare l'ente gestore del parco nazionale dell'arcipelago de la Maddalena o ove possibile la regione Sardegna dei fondi necessari alla partecipare alla procedura d'incanto fissata dal tribunale di Tempio Pausania per il 1° ottobre 2013 al fine di acquistare l'isola di Budelli e assicurarla permanentemente al patrimonio, naturale dell'Italia. (4-01293)

  Risposta. — Andata deserta la prima asta pubblica, il 2 ottobre 2013, a seguito di una seconda procedura concorsuale attivata dal tribunale di Tempio Pausania, la vendita dell'isola di Budelli è stata aggiudicata a un imprenditore neozelandese per il prezzo a base d'asta fissato in 2,945 milioni di euro.
  Tale operazione di vendita si è resa necessaria poiché la società immobiliare milanese che deteneva la proprietà dell'isola è stata dichiarata fallita.
  L'isola di Budelli, com’è noto, fa parte del parco nazionale dell'arcipelago della Maddalena ed è, pertanto, soggetta ad un rigido sistema di tutele, sia nella parte terrestre che nella parte marina.
  Infatti, nella parte terrestre sono vietati l'apertura di campeggi, l'accesso in aree di nidificazioni, l'apertura di cave e miniere, la realizzazione di nuovi edifici, la ristrutturazione delle costruzioni di proprietà demaniale per uso turistico-residenziale, fermo restando che tali strutture possono essere recuperate e ristrutturate per usi di interesse generali compatibili con le finalità di protezione.
  Per quanto riguarda, più in particolare, il sito della cosiddetta «spiaggia rosa», il 3 agosto 2011 l'ente parco ha emesso l'ordinanza n. 4, con la quale è stato disposto che nell'area di cala di Rota, più comunemente denominata, appunto, «spiaggia rosa», nello specchio acqueo delimitato antistante nonché nella fascia demaniale nella parte terrestre sabbiosa compresa tra la linea dell'arenile e il sentiero, sono vietati: il prelievo, la raccolta, l'asportazione anche parziale, il danneggiamento delle formazioni litologiche, concrezioni e minerali, ivi inclusa la sabbia; il calpestio dell'arenile e il posizionamento sullo stesso di qualsiasi oggetto; la navigazione, il transito, l'ancoraggio e la sosta di qualsiasi unità navale; la pesca professionale, sportiva e l'attività di immersione subacquea anche in apnea; la balneazione nel settore compreso tra la linea dell'arenile e le boe sferiche di delimitazione; l'alterazione diretta o indiretta, con qualsiasi mezzo, dell'ambiente bentonico e delle caratteristiche chimiche, fisiche e biologiche delle acque, nonché la discarica dei rifiuti solidi e liquidi e, in genere, immissioni di qualsiasi sostanza che possa modificare, anche transitoriamente, le caratteristiche dell'ambiente marino.
  Alle prescrizioni di cui sopra vanno, poi, ad aggiungersi gli ulteriori vincoli previsti dal Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, quali la tutela dell'isola come bene paesaggistico tipizzato, ai sensi dell'articolo 143, e come bene paesaggistico, ai sensi dell'articolo 142 dello stesso codice, in quanto rientrante nel parco nazionale.
  In ultimo, si ricorda che l'intero parco nazionale, e quindi anche l'isola di Budelli, è sito di importanza comunitaria (SIC) e zona di protezione speciale (ZPS).
  Non si può sul punto non sottolineare che l'efficacia della normativa di tutela e la perfetta tenuta delle regolazioni in essere – nei quali si sostanziano gli appena riferiti vincoli ambientali – nonché la efficiente azione di vigilanza posta in essere da parte dei soggetti istituzionalmente preposti, non hanno consentito, ad oggi, nessun intervento di trasformazione dell'isola di Budelli nonostante che la precedente proprietà fosse già posta in capo ad una società immobiliare privata.
  È, pertanto, evidente che una eventuale acquisizione dell'isola da parte di «nuovi» soggetti privati non pregiudicherebbe in alcun modo la tutela e la salvaguardia del suo patrimonio naturalistico, considerata, appunto, l'esistenza dei medesimi e sopra richiamati rigidissimi vincoli ambientali.
  A questo punto, e in disparte quanto appena riferito, occorre richiamare le circostanze «oggettive» che non consentono, a legislazione vigente, di esercitare il diritto di prelazione previsto dall'articolo 15, comma 5, della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (legge quadro sulle aree protette).
  Per prima cosa, sovviene l'assenza di una adeguata provvista finanziaria da trasferire all'ente parco per l'esercizio della possibile prelazione. È a tutti noto, sul punto, la gravissima carenza di risorse che caratterizza da anni il settore del funzionamento del sistema dei parchi nazionali che non consente, oggettivamente, di dedicare risorse per l'eventuale acquisto e per la successiva gestione dell'area.
  Risultano, infatti, ridottissime le provviste finanziarie da dedicare agli «investimenti», da ripartire, peraltro, tra tutti i parchi per consentire di ottemperare, per la quasi totalità, a precisi obblighi di legge (manutenzioni straordinarie, interventi strutturali, eccetera).
  In secondo luogo, appare indispensabile richiamare l'impossibilità giuridica dell'esercizio del diritto di prelazione, sopra richiamato. Infatti, l'articolo 1, comma 138, della legge n. 228 del 2012 ha inserito all'articolo 12 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, il comma 1-
quater, il quale prevede per l'anno 2013 l'impossibilità per le amministrazioni pubbliche di acquistare immobili a titolo oneroso.
  Sul punto è, poi, intervenuta la Corte dei conti che con deliberazione n. 9 del 31 gennaio 2013 ha fornito le pertinenti coordinate interpretative, nel senso che «il divieto di acquistare immobili sancito per il 2013, e l'acquisto condizionato a decorrere dal 2014, si estendono ad ogni tipo di immobile e non solo ai fabbricati, e hanno ad oggetto sia l'acquisto in proprietà sia l'acquisto di altri diritti reali. I limiti introdotti devono ritenersi applicabili anche all'acquisizione di immobili per la realizzazione di opere assistite da dichiarazioni di pubblica utilità, fatta eccezione per quelle avviate prima del 1o gennaio 2013. Le condizioni si applicano anche alle ipotesi di contratti preliminari di compravendita stipulati prima del 1o gennaio 2013. Il divieto di acquisto sancito per il 2013 si applica anche ai diritti di prelazione, compresi quelli aventi fonte legale ...».
  Alla luce di tale parere si evince con chiarezza che nel divieto di procedere ad acquisti a titolo oneroso è ricompreso anche un eventuale esercizio del diritto di prelazione finalizzato ad acquisire al patrimonio dello Stato determinati beni immobili.
  Per quanto sopra riferito è di lapalissiana evidenza il cappio normativo che stringe questo Ministero, il quale, da un lato, non dispone delle indispensabili risorse da trasferire all'ente parco affinché possa azionare il diritto di prelazione, e, dall'altro, l'esistenza di una specifica disposizione di legge, al quale l'ente gestore, in quanto amministrazione pubblica, deve necessariamente attenersi, che mira ad impedire, insieme ad altre iniziative analoghe, l'esercizio di tale facoltà.
  Allo stato delle cose, pertanto, non si può non ritenere che il Parlamento sia l'unica sede titolata per correggere, aggiornare e/o comunque derogare alle cogenti norme di diritto primario che vietano l'acquisto di beni immobili da parte delle amministrazioni pubbliche, nonché ad assicurare la necessaria provvista di risorse finanziarie, indispensabili per consentire l'acquisto e la gestione dell'immobile in questione.
  Ed è appunto in sede parlamentare e, in particolare, in occasione dell'esame della legge di stabilità 2014 da parte delle competenti commissioni bilancio di Camera e Senato, che, com’è noto all'interrogante, si sta tuttora affrontando la problematica connessa al possibile acquisto al patrimonio dello Stato dell'isola di Budelli.

Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   POLVERINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da troppo tempo le campagne del territorio del comune di Giugliano in Campania, insieme a quelle di molti altri comuni dell'area a Nord di Napoli, sono oggetto di uno sconsiderato e criminale abbandono di rifiuti di ogni genere, anche tossici, come lastre di amianto, copertoni, scarti tessili, residui di vernici;
   tali rifiuti vengono quotidianamente dati alle fiamme, usati anche come letto di combustione per sciogliere la plastica che avvolge i fili elettrici di rame, o altro materiale plastico, per recuperarne poi il residuo ferroso successivamente venduto;
   dalla stessa relazione del Prefetto di Napoli, sull'esito degli accertamenti ispettivi volti a verificare la sussistenza dei presupposti per l'adozione dei provvedimenti di cui all'articolo 143, del decreto legislativo n. 267 del 2000, inviata al Ministero dell'interno, con nota Prot. n. 21647/Area II/EE.LL. del 5 aprile 2013, si evince che: «Il territorio del Comune di Giugliano in Campania è ricompreso, inoltre, nella c.d. “terra dei fuochi”, una vasta area della provincia di Napoli, che abbraccia, tra l'altro, i comuni di Qualiano, Villaricca e Giugliano, caratterizzata dallo sversamento illegale di rifiuti, anche tossici, da parte della camorra. In molti casi, i cumuli di rifiuti, illegalmente riversati nelle campagne, o ai margini delle strade, vengono incendiati dando luogo a roghi i cui fumi diffondono sostanze tossiche nell'atmosfera e nelle terre circostanti»;
   i recenti dati dell'Istituto per i tumori Pascale di Napoli hanno dimostrato che tale fenomeno sta lentamente ammalando la popolazione;
   le esalazioni di tali roghi tossici e l'odore acre e nauseabondo che essi sprigionano rendono l'aria irrespirabile, costringendo la popolazione a barricarsi in casa, specialmente nelle sere d'estate, con l'impossibilità anche di usufruire dei condizionatori, usando i quali entrerebbe nelle abitazioni ulteriore aria irrespirabile, rendendo così le notti insonni ed infuocate, con danni alla popolazione di natura anche psichica, oltre che fisica;
   le aree in cui avvengono i roghi tossici, che per quanto riguarda la città di Giugliano, riguardano in particolare la zona ASI, quella limitrofa l'ex discarica consortile di via Santa Maria a Cubito, la località Casacelle, via Santa Caterina da Siena, a poca distanza dal centro cittadino, via Madonna del Pantano e via Vicinale Recapito (nei pressi dell’ex Cava Micillo) a Varcaturo e la località Pacchianella, a Lago Patria, non sono state delimitate, né i proprietari sono stati invitati a farlo;
   devono essere intensificati i controlli da parte delle forze dell'ordine, di concerto con le varie polizie locali in tutta l'area interessata, al fine di contrastare realmente anche fenomeni connessi quali lo smaltimento illegale dei pneumatici o il commercio di parti metalliche di cavi elettrici e telefonici, spesso di provenienza illecita;
   le aree caratterizzate da terreni contaminati perché limitrofi a molte discariche di rifiuti, in particolar modo tossici come quelli attigui alla discarica RESIT di Giugliano, vengono tutt'ora utilizzati per le coltivazioni di ortofrutta, che poi data anche la non tracciabilità degli stessi prodotti agricoli finiscono, inconsapevolmente, sulle nostre tavole;
   un reale contrasto di questo fenomeno, non può e non deve essere rilegato ad una questione locale, rappresentando, bensì, un problema nazionale, data l'origine dei rifiuti sepolti in questo territorio, provenienti da industrie che preferiscono collaborare con le organizzazioni criminali piuttosto che con chi lavora onestamente, ed il fatto che la salvaguardia dell'ambiente è un tema di vitale importanza per la stessa coesione nazionale –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare per garantire:
    un maggior controllo del territorio Giuglianese, anche con l'ausilio dell'Esercito, per coadiuvare le forze dell'ordine già lodevolmente impegnate, al fine di debellare definitivamente il fenomeno dei roghi di rifiuti tossici;
    l'istituzione di una No Food Zone in quei terreni contaminati dai rifiuti tossici, delimitando le zone in cui non possono prodursi prodotti agricoli commestibili prevedendo, nel contempo, adeguati indennizzi per gli agricoltori. (4-01454)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo indicato in esame, l'interrogante ha posto l'attenzione sulla grave crisi ambientale che interessa da lungo tempo non solo le campagne del territorio di Giugliano, in Campania, ma anche quelle di molti altri comuni dell'area a nord di Napoli, tutte ubicate in quell'area oramai conosciuta come «terra dei fuochi», fatte purtroppo oggetto di uno sconsiderato e criminale abbandono di rifiuti di ogni genere.
  È noto che il fenomeno dello smaltimento illegale di rifiuti mediante combustione costituisce una delle criticità più avvertita, per via dei fumi acri e mefitici che spesso si sprigionano dai roghi, in un quadrilatero di circa 800 chilometri quadrati a cavallo tra le province di Napoli e Caserta, a suo tempo battezzata, appunto, «terra dei fuochi» da Roberto Saviano nel suo libro di denuncia «Gomorra».
  Su questo territorio, peraltro, risulta che a partire dagli anni ’80 – così come riferito dai collaboratori di giustizia già appartenenti al clan dei Casalesi, Gaetano Vassallo e Carmine Schiavone – sono state interrate, occultate nelle cave, sversate negli specchi e nei corsi d'acqua o bruciate, ingenti quantità di rifiuti, di vario genere e provenienza, la cui tossicità è ancora in gran parte da accertare, così come da accertare è la loro precisa localizzazione.
  Peraltro, in alcuni dei comuni localizzati nel territorio interessato si registrano, poi, situazioni di acuta difficoltà nella corretta gestione del ciclo urbano dei rifiuti con livelli insufficienti di raccolta differenziata.
  Più in generale, persistono comportamenti, purtroppo non isolati, da parte di cittadini che, per sottrarsi all'obbligo di differenziare o per altri motivi, trasportano i loro rifiuti casalinghi, spesso da un comune all'altro, abbandonandoli a bordo strada, nelle piazzole di sosta e nelle corsie di emergenza, dando luogo ad un fenomeno unico che per taluni osservatori istituzionali ha preso il nome di «lancio del sacchetto».
  Nei campi nomadi si effettua, a sua volta, in maniera quasi imprenditoriale, il recupero di materiali ferrosi e di rame, ricavandoli da elettrodomestici, quadri elettrici, cavi di rame, pneumatici, anche bruciando le carcasse, gli involucri di plastica e le gomme.
  Sullo stesso territorio, com’è noto, sono, poi, insediate numerose piccole attività economiche tessili, calzaturiere, conciarie, che per lavorare per il mercato parallelo delle contraffazioni, o comunque per evadere il fisco e violare la normativa sul lavoro, producono in nero e smaltiscono illegalmente anche gli scarti di lavorazione.
  Vi si concentrano, altresì, condotte illecite, quali l'abusivismo edilizio e l'elusione fiscale, anche in un settore come quello della vendita di pneumatici, alle quali corrisponde simmetricamente il fenomeno dello smaltimento illegale di residui edilizi, amianto e pneumatici.
  Anche in agricoltura si sono accertate sacche di smaltimento irregolare, testimoniato dalla presenza nelle campagne di teli e contenitori in plastica di piantine, fertilizzanti e fitofarmaci, che non di rado sono dati alle fiamme insieme ai residui di potatura.
  Va infine aggiunto che su alcune aree insistono siti di stoccaggio temporaneo di rifiuti, rinvenienti dalle passate e ripetute emergenze (tra essi gli oltre 5 milioni di tonnellate di eco-balle di Giugliano) che sono stati, o rischiano di diventare, da quelle «bombe ecologiche» che sono, potenziali inneschi di incendi.
  Il fenomeno così descritto trova una puntuale e quasi fotografica conferma nelle tipologie di rifiuto combusto, indicate nei rapporti dei Vigili del Fuoco: rifiuti solidi urbani, ingombranti, scarti di attività manifatturiere, industriali, agricole, edili, pneumatici.
  Questo rapido
excursus, è apparso necessario per opportunamente inquadrare le problematiche insistenti sul territorio considerato, peraltro note all'interrogante.
  In aggiunta a quanto sopra, e di più recente evidenza – anche e soprattutto mediatica – nel più vasto ambito della problematica della «terra dei fuochi» non si può non richiamare nuovamente l'attenzione sulle dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia, in ordine alle quali l'interrogante fa originare la propria interrogazione, nonché – per «stare sul pezzo» – al recente
reportage giornalistico pubblicato sulla rivista «L'Espresso» relativo alle risultanze del noto studio realizzato dalla «US Navy» del comando USA di Napoli.
  Peraltro, la questione della «terra dei fuochi» è stata più volte affrontata da questo Ministero in sede di sindacato ispettivo, anche presentato dallo stesso interrogante.
  Già da tempo, si ricorderà, e in relazione alla sempre maggiore criticità della situazione, le competenti autorità statali e regionali reputavano necessario e improrogabile pervenire alla individuazione di un quadro generale di azioni concrete, immediate e puntuali, con l'obiettivo di sradicare un fenomeno odioso che ipotecava il presente e il futuro di un vasto territorio e della popolazione ivi residente.
  A dimostrazione di quanto la relativa problematica fosse ritenuta di rilevantissima e prioritaria importanza, in particolare, da parte del Ministero dell'ambiente, è da segnalare che sin dai primi giorni di operatività del nuovo Governo, il Ministro aveva ritenuto suo dovere prendere diretto contatto con la realtà ambientale delle aree interessate.
  Si era ritenuto sin da subito, infatti, che una più forte presenza delle istituzioni sul territorio, una maggiore sinergia tra le competenze dei vari Dicasteri coinvolti con le istituzioni locali, l'inasprimento delle pene per i reati ambientali – in particolare per i roghi dei rifiuti, l'avvio dell'attività di bonifica e risanamento, fossero i cardini dell'azione cui doveva essere improntata l'attività dello Stato, inteso nel suo complesso.
  Sin dal 2009, peraltro, presso la Prefettura di Napoli, nell'ambito delle attività della Conferenza permanente regionale veniva prevista la istituzione di un tavolo permanente, alle cui riunioni, nel corso del tempo, hanno partecipato rappresentanti delle forze di polizia, degli enti locali e delle associazioni e comitati di cittadini residenti nelle aree interessate.
  In tale contesto, non è mancata l'elaborazione di strategie di contrasto, successivamente attuate dal personale della Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di finanza, Corpo forestale dello Stato e polizie provinciali e locali, mediante l'intensificazione dei servizi di controllo del territorio e la predisposizione di specifiche e mirate attività di prevenzione e di repressione dello smaltimento illegale dei rifiuti praticato con l'accensione dei roghi.
  Stante la rilevanza del fenomeno, allora in fase di forte crescita, con proprio decreto del 26 novembre 2012 il Ministro dell'interno designava un suo incaricato per l'attivazione di iniziative di supporto e raccordo specificatamente rivolte a contrastare il fenomeno degli incendi dolosi di rifiuti nella Regione Campania.
  Su iniziativa di questi, presso la Prefettura di Napoli e con l'intervento della Regione Campania, delle Province e delle Prefetture di Napoli e Caserta, di Arpa Campania e delle competenti asl, veniva istituita il successivo 13 dicembre 2012 una cabina di regia per l'attivazione degli interventi amministrativi di integrazione e necessario corollario all'azione di contrasto in atto ad opera delle forze dell'ordine, che già operavano in tal senso anche grazie alla attivazione di gruppi operativi interforze composti da Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza, Corpo/Forestale dello Stato, Polizia stradale, Polizia provinciale e Vigili del fuoco.
  Sulla base di quanto rilevato e ritenuto nel corso della riunioni della predetta cabina di regia nonché alla luce delle conclusioni cui perveniva la Commissione Parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti, nella cui relazione finale relativa alla Regione Campania, presentata il 5 febbraio 2013, veniva evidenziato che «l'origine del fenomeno in questione ... è generato dalla commistione di due elementi, cioè un diffuso e generalizzato malcostume e dalla presenza di rilevanti interessi economici che gravitano intorno al ciclo dei rifiuti e che coinvolgono certamente, in modo diretto o indiretto, la malavita organizzata», si rendeva necessario e improrogabile adottare tutte le più idonee iniziative istituzionali al riguardo.
  Si perveniva, così, alla formalizzazione l'11 luglio 2013 a Napoli, tra le amministrazioni pubbliche interessate e con la partecipazione di associazioni ambientaliste, del «Patto per la Terra dei Fuochi».
  Detto accordo, oltre a rafforzare i vincoli e gli impegni degli aderenti per affrontare un tema così delicato, tendeva a definire un sistema unitario di interventi dove si integrano misure di carattere strutturale e misure straordinarie, attività di contrasto alle condotte illecite e attività rivolte ad affrontare i nodi amministrativi delle competenze, dell'applicazione delle norme, della disponibilità di risorse umane e strumentali, che spesso rappresentano un ostacolo per il perseguimento del risultato.
  Il suddetto patto prevedeva, inoltre, in materia di trasparenza, la libera accessibilità al portale denominato «
Prometeo», realizzato presso il sito web della Prefettura di Napoli, costantemente aggiornato su tutti gli interventi e sulle misure di governo adottate avverso il fenomeno da parte delle competenti strutture pubbliche, garantendo, in tal modo, la circolarità del flusso informativo e la tempestiva individuazione dei fattori di crisi e delle aree sensibili.
  Oltre alla trasparenza delle attività, di cui si è detto, il patto promuove, sotto diversi aspetti, forme di collaborazione e partecipazione aperte alle associazioni ambientaliste, nello spirito del principio dell’
open government, valorizzando, così, il rapporto di fiducia tra le istituzioni e la popolazione residente.
  A testimonianza della bontà della via intrapresa e della percezione diffusa dell'utilità e dell'efficacia degli strumenti di prevenzione e contrasto messi in atto, numerose amministrazioni comunali delle province di Napoli e Caserta, non ricomprese tra quelle originariamente firmatarie del Patto, hanno successivamente chiesto di potervi aderire.
  A completamento, poi, delle iniziative di competenza, la giunta della Regione Campania aveva approvato nello scorso mese di luglio un apposito disegno di legge contenente le prime misure straordinarie per la prevenzione e la lotta al fenomeno incontrollato dell'abbandono dei rifiuti e alla pratica dei roghi illegali finalizzate ad una maggiore tutela della salute dei cittadini campani e ad una adeguata tutela del patrimonio ambientale e paesaggistico. Detto disegno di legge è stato quindi approvato alla unanimità dal consiglio regionale il 20 novembre 2013 e divenuta legge regionale n. 20 del 9 dicembre 2013 recante «Misure straordinarie per la prevenzione e la lotta al fenomeno dell'abbandono e dei roghi di rifiuti», pubblicata sul Bollettino ufficiale della Regione Campania n. 20 del 9 dicembre 2013.
  Premesso quanto sopra, è da segnalare che sin dai primi giorni di operatività del nuovo Governo e nel corso degli incontri con le autorità e con la popolazione locale, pur nel prendere atto e apprezzare le iniziative sino ad allora adottate, e come sopra riferite, per contrastare l'illecito incenerimento dei rifiuti abbandonati, questo Dicastero aveva ritenuto opportuno promuovere un maggior controllo del territorio attraverso una più intensa presenza del nucleo operativo ecologico. E questo, anche al fine di consentire di svolgere ulteriori verifiche su alcuni episodi più gravi a suo tempo raccontati dall’
ex boss Carmine Schiavone, senza, tuttavia, che venisse rilevata alcuna novità rispetto a quanto già a conoscenza degli inquirenti.
  Peraltro, anche in relazione agli impegni che aveva assunto questo Ministero in occasione dei primi incontri con le autorità e la popolazione locale, non appare inopportuno segnalare le iniziative più rilevanti successivamente adottate.
  Per prima cosa, tenuto conto che il «combustibile» più utilizzato è rappresentato dalle carcasse dei pneumatici, si era preso l'impegno di favorire un intervento coordinato tra gli enti locali interessati e il Consorzio per il riciclaggio dei pneumatici usati (Ecopneus). E, infatti, il 20 giugno 2013 è stato firmato il «Protocollo per la raccolta straordinaria di pneumatici fuori uso nella terra dei fuochi» dalle Prefetture e i Comuni di Napoli e Caserta, dall'incaricato del Ministero dell'interno per la terra dei fuochi e da alcuni soci di Ecopneus per realizzare un'azione concreta nel territorio interessato, consistente nel prelievo e invio al riciclo dei pneumatici fuori uso abbandonati, sottraendoli così al rischio di essere utilizzati per alimentare il fenomeno dei roghi tossici per la loro capacità di combustione resistente e prolungata.
  Il sistema, peraltro, risulta essersi messo oramai a regime. Allo stato, proseguono i prelievi a Napoli, presso il sito di Montagna Spaccata; è stato effettuato nelle scorse settimane un intervento a Caivano, mentre per il sito storico di accumulo di Scisciano (Napoli) sono state ultimate, a fine novembre, le attività di recupero delle oltre 8 mila tonnellate di pneumatici fuori uso che per circa 23 anni erano rimaste in un'area privata in stato di abbandono, esposte al rischio di incendio, nonostante i ripetuti tentativi dell'Amministrazione comunale di intervenire per farle rimuovere.
  Ad oggi, si stima siano stati raccolti e avviati al riciclo, in attuazione del citato Protocollo, oltre 1 milione di pneumatici. Di questi, oltre i 2/3 sono stati avviati al recupero di materia e solo 1/3 a recupero di energia. Il «polverino» di gomma ottenuto dalla lavorazione dei pneumatici fuori uso raccolti è previsto che venga messo gratuitamente a disposizione per progetti di pubblica utilità (strade, installazioni sportive, aree gioco per bambini, eccetera) dei comuni aderenti che ne faranno richiesta.
  Si prevede, da ultimo, che le risorse economiche rese disponibili nel bilancio Ecopneus saranno in grado di finanziare interventi che porteranno alla raccolta straordinaria di circa 13 mila tonnellate di pneumatici fuori uso, mentre prosegue regolarmente in Campania la raccolta ordinaria presso i 2 mila punti di generazione di questi rifiuti con un totale di pneumatici fuori uso pari a circa 22 mila tonnellate/anno.
  Al fine, poi, di facilitare i controlli rimessi alle competenti autorità, con il decreto-legge 21 giugno 2013 n. 69, recante: «Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia», convertito, con modificazioni, con la legge n. 98 del 9 agosto 2013, è stato introdotto, su proposta di questo Ministero, il divieto temporaneo di importazione nella Regione Campania dei rifiuti speciali e di rifiuti urbani pericolosi, limitatamente a quelli destinati allo smaltimento. Tale divieto, motivato dalla situazione di rischio sanitario e ambientale connesso al mancato completamento degli impianti del ciclo dei rifiuti previsti nel piano regionale, mira ad impedire che il «peso» dei rifiuti speciali e di quelli urbani pericolosi nella regione sia aggravato dal carico di quelli importati.
  Per quanto attiene al fronte della tracciabilità dei rifiuti, è già previsto che il Sistri, di prossima attivazione, venga attuato in Campania anche per il controllo dei flussi dei rifiuti solidi urbani oltre che per quelli industriali.
  A fronte di tali iniziative già concretizzatesi con i pertinenti provvedimenti e i cui effetti positivi non mancheranno di manifestarsi, si ritiene, già in tempi brevi, non si può omettere di sottolineare le iniziative poste in essere da questo Ministero volte a sollecitare i vertici delle istituzioni interessate alla adozione di ogni utile iniziativa volta a contrastare, in via diretta e indiretta, il grave fenomeno dei roghi e delle conseguenze, anche di natura sanitaria, da essi recate.
  Nei confronti della Regione Campania, per quanto riguarda il completamento delle iniziative di competenza per la realizzazione del ciclo integrato dei rifiuti, così come previsto nel pertinente Piano Regionale, indispensabile per migliorare la situazione ambientale regionale e, non ultimo, per superare le contestazioni avanzate dalla Commissione europea nell'ambito di diverse procedure d'infrazione.
  Dal punto di vista della salute, è stato avviato con l'Istituto Superiore di Sanità e la Regione Campania un progetto di sistematizzazione dei dati sanitari e ambientali dei territori campani, funzionale all'individuazione delle aree per le quali sono necessari ulteriori approfondimenti. Il percorso progettuale multidisciplinare (ambientale, epidemiologico, tossicologico) tenderà a verificare le possibili connessioni tra lo stato dell'ambiente e la salute dei cittadini. Il Ministro della salute, onorevole Lorenzin, ha assicurato in più occasioni l'intenzione di assumere presto le più opportune iniziative, condividendo la considerazione che una emergenza del genere non può essere rimessa alla buona volontà del Ministro di turno ma è un problema strutturale che richiede una azione dello Stato con un orizzonte pluriennale che impegna l'Amministrazione nel suo complesso. È per questo motivo che si è ritenuto opportuno, all'uopo, sollecitare l'introduzione di strumenti particolari di monitoraggio sanitario, in particolare finalizzati alla rilevazione di patologie connesse agli effetti dell'inquinamento ambientale.
  Nella considerazione, poi, che parallelamente alla lotta all'emergenza debbano avviarsi iniziative di carattere strutturale che vadano a colpire i punti nevralgici che hanno consentito al fenomeno di svilupparsi con tale virulenza, veniva istituito presso questo Ministero un qualificato gruppo di lavoro, coordinato dal giudice per le indagini preliminari casertano dottor Piccirillo, affinché venisse predisposta una bozza di normativa per la riforma delle sanzioni concernenti i reati ambientali, ritenendo che la normativa penale in tale materia potesse essere utilmente rivista e aggiornata. A questo specifico proposito, il Ministro della giustizia aveva assicurato la massima disponibilità ad una analisi congiunta delle pertinenti proposte al fine di introdurre al più presto questo tipo di riforma all'interno del codice penale.
  In esito alle iniziative adottate, e come sopra riferite, non può non segnalarsi, per concludere, che la risposta più idonea che si può rendere all'atto di sindacato ispettivo che si riscontra – nel cui ambito l'interrogante ha posto due questioni legate alle criticità che caratterizzano l'area geografica che qui interessa – è rappresentata dalla avvenuta approvazione nel corso del Consiglio dei ministri del 3 dicembre 2013 di un apposito piano di azione per contrastare, tra le altre, l'emergenza della «terra dei fuochi».
  Detto piano, concretizzatosi con l'avvenuta approvazione del decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136 recante «Disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali ed a favorire lo sviluppo delle aree interessate», pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale n. 289 del 10 dicembre 2013, interviene – elevando, così come prospettato dall'interrogante, la problematica a livello nazionale – a tutela dell'ambiente, della salute e della qualità delle coltivazioni.
  In particolare, viene previsto il monitoraggio e la classificazione dei suoli, l'accertamento dello stato dell'inquinamento dei terreni, la riforma dei reati ambientali, l'accelerazione e la semplificazione degli interventi necessari, oltreché risorse per le bonifiche indispensabili per territori a forte condizionamento criminale quale è quello della «terra dei fuochi».
  In particolare, e per quanto qui maggiormente interessa, si richiama l'attenzione sulle previsioni degli articoli 1 e 2, laddove ci si propone di fare fronte al gravissimo allarme sociale provocato dalla diffusione di notizie sullo stato di contaminazione dei terreni agricoli campani e su eventuali pericoli per la salute umana.
  È previsto, in particolare, che il Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura, l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, l'Istituto superiore di sanità e l'Agenzia regionale per la protezione ambientale in Campania, svolgano le indagini tecniche per la mappatura dei siti inquinati secondo gli indirizzi comuni e le priorità definiti con apposita direttiva.
  E questo perché è urgente e fondamentale acquisire una fotografia ufficiale della situazione attraverso una mappatura delle aree, che individui quelle interessate da fenomeni da inquinamento – anche conseguenti ai fatti criminosi riferiti dai malavitosi pentiti – tali da rendere necessario un deciso intervento pubblico.
  I risultati scientifici così acquisiti consentiranno, quindi, di perimetrare definitivamente i terreni in modo da sfatare una volta per tutte gli infondati timori che tutti i prodotti della Campania siano contaminati e che tutti i terreni destinati all'agroalimentare della regione siano pregiudicati da gravi fenomeni di inquinamento.
  Attraverso tale strumento normativo potranno inoltre essere coordinati e raccordati utilmente tutti i dati conoscitivi già a disposizione ma che necessitano di essere coordinati e unificati. In tale specifico ambito, pertanto, deve ricondursi lo sprone formulato dagli interroganti laddove auspicano la realizzazione delle urgenti verifiche per individuare le aree interessate dai possibili interramenti di rifiuti tossici.
  Uno degli obiettivi perseguiti sarà poi quello di adottare un programma straordinario e urgente di interventi finalizzati alla tutela della salute, alla sicurezza, alla bonifica dei siti nonché alla rivitalizzazione economica dei territori ove si sono riscontrate concentrazioni di inquinanti tali da renderli inidonei alla produzione agroalimentare.
  Per quanto attiene alla questione delle bonifiche dei siti campani, è prevista la costituzione di un comitato interministeriale e di una commissione con il compito di individuare e potenziare azioni e interventi di monitoraggio e tutela da realizzarsi nell'area della Regione Campania.
  L'azione della commissione avrà lo scopo di semplificare e accelerare le procedure per l'attuazione degli interventi di bonifica dei territori. Sarà così possibile per la realizzazione degli stessi fare ricorso allo strumento giuridico del contratto istituzionale di sviluppo proprio al fine di accelerare e garantire la qualità della spesa pubblica. Si prevede, inoltre, la possibilità di finanziare il programma, oltre che con le disponibilità ordinarie, anche mediante l'utilizzo del piano operativo regionale Campania 2007-2013 (fondi strutturali), del piano di azione e coesione, nonché mediante misure che saranno adottate nella programmazione 2014-2020.
  Preme, in conclusione, sottolineare che le iniziative appena riferite non rappresentano mere intenzioni ma provvedimenti concreti adottati dal Governo per far fronte alla rilevantissima crisi ambientale accertata nell'area della cosiddetta «terra dei fuochi».

Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   POLVERINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il problema della «terra dei fuochi», rappresentato dalla firmataria del presente atto in una precedente interrogazione del mese di luglio, descrive, probabilmente, il più grande disastro ambientale della storia del nostro Paese, una vera e propria emergenza nazionale;
   quella che un tempo era denominata «Campania Felix», per le sue bellezze naturali e le sue ricchezze agroalimentari, è diventata il «quadrilatero della morte»: dal litorale domitio, all'agro aversano-atellano, all'agro acerrano-nolano e vesuviano e la città di Napoli, un intero territorio colpito dal fenomeno dei roghi e dall'abbandono incontrollato di rifiuti solidi urbani, di rifiuti speciali, pericolosi e non, con conseguenze gravi per la salute, per l'ambiente e per la sicurezza;
   questo disastro ambientale si inserisce nel più ampio quadro delineato dal primo studio dell'Istituto superiore di sanità, per il quale tutta l'area che va da Giugliano a Villaricca, fino al litorale domitio, è inquinata da discariche abusive, dall'interramento di rifiuti illegali, successivamente incendiati, in gran parte provenienti dalle imprese del Nord, con la complicità della camorra, che hanno contaminato la falda acquifera e 2.000 ettari di terreni agricoli circostanti, inquinati da fanghi tossici, metalli pesanti e sostanze chimiche;
   secondo l'Istituto superiore di sanità, in Campania, nell'area ex Resit di Giugliano, l'inquinamento è senza rimedio: 20 chilometri quadrati «morti», 220 ettari di veleni senza possibilità di bonifica;
   nella stessa area sono triplicate le malattie in meno di venti anni con una forte incidenza di tumori, malformazioni feto-neonatali ed epigenetica;
   il piano regionale delle bonifiche delinea una Campania avvelenata con 183 siti di certa contaminazione e 3.000 aree da analizzare, per le quali servirebbero 500 milioni di euro; per il momento è iniziata la sola messa in sicurezza della zona che comprende le discariche Resit, Novambiente, Masseria del Pozzo nel Giuglianese, e sono stati stanziati dalla regione Campania 5 milioni di euro per il contrasto all'abbandono e ai roghi di rifiuti nella terra dei fuochi;
   il territorio di Giugliano è gravato dalla presenza nel sito di Taverna del Re, di 6 milioni di tonnellate di rifiuti racchiusi nelle cosiddette «ecoballe» che una norma nazionale ha disposto siano bruciate in un termovalorizzatore da realizzare a Giugliano, contro il quale sono scese in campo le comunità locali sostenute dalla Chiesa e dalla politica;
   nella seduta di consiglio regionale della Campania del 7 ottobre 2013 il presidente della regione Campania Stefano Caldoro, citando i contenuti della relazione Balestri redatta per la procura della Repubblica che sta indagando sull'inquinamento delle terre campane, ha detto che «Ci vorranno 80 anni per bonificare i territori dell'area nord di Napoli, la bonifica non sarà completa prima del 2050 e, quanto al percolato, senza avviare gli interventi, bisognerà aspettare il 2080»;
   non si può che constatare che tale situazione sia drammatica e drammaticamente compromessa, per il presidente della regione Campania è un'emergenza nazionale tale da richiedere l'intervento del Governo, anche per mettere a disposizione le risorse necessarie, e che necessiti che tale problema debba estendersi anche sul piano europeo, in quanto la Campania non è stata solo lo sversatoio dei rifiuti tossici di Italia e particolarmente del Nord, ma anche dell'Europa ed i prodotti agricoli delle terre contaminate della Campania sono diffusi in Italia ma anche in Europa –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare per:
   a) urgentemente «elevare» l'emergenza ambientale campana a emergenza nazionale, istituendo una task-force nazionale presieduta dal Ministro dell'ambiente, con le istituzioni campane, affinché il disastro ambientale in Campania sia la priorità nella destinazione delle risorse statali e dei fondi europei della programmazione 2014/2020;
   b) garantire che l'Europa sia coinvolta sul piano politico ed economico, sollecitando le istituzione europee a fare parte della task-force e ad individuare adeguati e tempestivi interventi per far fronte al disastro ambientale in Campania;
   c) rafforzare le misure di prevenzione e di controllo del territorio e di repressione contro la camorra e la criminalità organizzata e destinare alle bonifiche dei territori della Campania i patrimoni confiscati alla criminalità organizzata;
   d) rafforzare sul piano normativo ed applicato il principio secondo cui «chi inquina paga», inasprendo le pene previste per i reati ambientali e prevedendo le bonifiche in danno alle industrie che, in complicità con la camorra, si sono rese responsabili di sversamenti illegali di rifiuti nel territorio campano;
   e) garantire l'impegno a recuperare la fiducia dei cittadini e a scendere in campo accanto alle comunità locali, per difendere il diritto alla salute e alla salubrità e vivibilità dell'ambiente;
   f) fare propri i contenuti della risoluzione che il consiglio regionale della Campania ha approvato nella seduta del 7 ottobre 2013;
   g) abrogare le modifiche normative che hanno declassificato i siti campani da siti di interesse nazionale a siti di interesse regionale, una scelta immotivata ed assurda alla luce del disastro ambientale campano. (4-02133)

  Risposta. — È noto che il fenomeno dello smaltimento illegale di rifiuti mediante combustione costituisce una delle criticità più avvertita, per via dei fumi acri e mefitici che spesso si sprigionano dai roghi, in un quadrilatero di circa 800 chilometri quadri a cavallo tra le province di Napoli e Caserta, a suo tempo battezzata «terra dei fuochi» da Roberto Saviano nel suo libro di denuncia «Gomorra».
  Su questo territorio, peraltro, risulta che a partire dagli anni ’80 – così come riferito dai collaboratori di giustizia già appartenenti al clan dei Casalesi, Gaetano Vassallo e Carmine Schiavone – sono state interrate, occultate nelle cave, sversate negli specchi e nei corsi d'acqua o bruciate, ingenti quantità di rifiuti, di vario genere e provenienza, la cui tossicità è ancora in gran parte da accertare, così come da accertare è la loro precisa localizzazione.
  Peraltro, in alcuni dei comuni localizzati nel territorio interessato si registrano, poi, situazioni di acuta difficoltà nella corretta gestione del ciclo urbano dei rifiuti con livelli insufficienti di raccolta differenziata.
  Più in generale, persistono comportamenti, purtroppo non isolati, da parte di cittadini che, per sottrarsi all'obbligo di differenziare o per altri motivi, trasportano i loro rifiuti casalinghi, spesso da un comune all'altro, abbandonandoli a bordo strada, nelle piazzole di sosta e nelle corsie di emergenza, dando luogo ad un fenomeno unico che per taluni osservatori istituzionali ha preso il nome di «lancio del sacchetto».
  Nei campi nomadi si effettua, a sua volta, in maniera quasi imprenditoriale, il recupero di materiali ferrosi e di rame, ricavandoli da elettrodomestici, quadri elettrici, cavi di rame, pneumatici, anche bruciando le carcasse, gli involucri di plastica e le gomme.
  Sullo stesso territorio, com’è noto, sono, poi, insediate numerose piccole attività economiche tessili, calzaturiere, conciarie, che per lavorare per il mercato parallelo delle contraffazioni, o comunque per evadere il fisco e violare la normativa sul lavoro, producono in nero e smaltiscono illegalmente anche gli scarti di lavorazione.
  Vi si concentrano, altresì, condotte illecite, quali l'abusivismo edilizio e l'elusione fiscale, anche in un settore come quello della vendita di pneumatici, alle quali corrisponde simmetricamente il fenomeno dello smaltimento illegale di residui edilizi, amianto e pneumatici.
  Anche in agricoltura si sono accertate sacche di smaltimento irregolare, testimoniato dalla presenza nelle campagne di teli e contenitori in plastica di piantine, fertilizzanti e fitofarmaci, che non di rado sono dati alle fiamme insieme ai residui di potatura.
  Va infine aggiunto che su alcune aree insistono siti di stoccaggio temporaneo di rifiuti, rinvenienti dalle passate e ripetute emergenze (tra essi gli oltre 5 milioni di tonnellate di eco-balle di Giugliano) che sono stati, o rischiano di diventare, da quelle «bombe ecologiche» che sono, potenziali inneschi di incendi.
  Il fenomeno così descritto trova una puntuale e quasi fotografica conferma nelle tipologie di rifiuto combusto, indicate nei rapporti dei Vigili del Fuoco: rifiuti solidi urbani, ingombranti, scarti di attività manifatturiere, industriali, agricole, edili, pneumatici.
  Questo rapido
excursus è apparso necessario per opportunamente inquadrare le problematiche insistenti sul territorio considerato, peraltro note all'interrogante.
  In aggiunta a quanto sopra, e di più recente evidenza – anche e soprattutto mediatica – nel più vasto ambito della problematica della «terra dei fuochi» non si può non richiamare nuovamente l'attenzione sulle dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia, in ordine alle quali l'interrogante fa originare la propria interrogazione, nonché – per «stare sul pezzo» – al recente reportage giornalistico pubblicato sulla rivista «
L'Espresso» relativo alle risultanze del noto studio realizzato dalla «US Navy» del comando USA di Napoli.
  Peraltro, la questione della «terra dei fuochi» è stata più volte affrontata da questo Ministero in sede di sindacato ispettivo.
  Già da tempo, si ricorderà, e in relazione alla sempre maggiore criticità della situazione, le competenti autorità statali e regionali reputavano necessario e improrogabile pervenire alla individuazione di un quadro generale di azioni concrete, immediate e puntuali, con l'obiettivo di sradicare un fenomeno odioso che ipotecava il presente e il futuro di un vasto territorio e della popolazione ivi residente.
  A dimostrazione di quanto la relativa problematica fosse ritenuta di rilevantissima e prioritaria importanza, in particolare, da parte del Ministero dell'ambiente, è da segnalare che sin dai primi giorni di operatività del nuovo Governo, il Ministro aveva ritenuto suo dovere prendere diretto contatto con la realtà ambientale delle aree interessate.
  Si era ritenuto sin da subito, infatti, che una più forte presenza delle istituzioni sul territorio, una maggiore sinergia tra le competenze dei vari Dicasteri coinvolti con le istituzioni locali, l'inasprimento delle pene per i reati ambientali – in particolare per i roghi dei rifiuti, l'avvio dell'attività di bonifica e risanamento, fossero i cardini dell'azione cui doveva essere improntata l'attività dello Stato, inteso nel suo complesso.
  Sin dal 2009, peraltro, presso la Prefettura di Napoli, nell'ambito delle attività della Conferenza permanente regionale veniva prevista la istituzione di un tavolo permanente, alle cui riunioni, nel corso del tempo, hanno partecipato rappresentanti delle forze di polizia, degli enti locali e delle associazioni e comitati di cittadini residenti nelle aree interessate.
  In tale contesto, non è mancata l'elaborazione di strategie di contrasto, successivamente attuate dal personale della Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di finanza, Corpo forestale dello Stato e polizie provinciali e locali, mediante l'intensificazione dei servizi di controllo del territorio e la predisposizione di specifiche e mirate attività di prevenzione e di repressione dello smaltimento illegale dei rifiuti praticato con l'accensione dei roghi.
  Stante la rilevanza del fenomeno, allora in fase di forte crescita, con proprio decreto del 26 novembre 2012 il Ministro dell'interno designava un suo incaricato per l'attivazione di iniziative di supporto e raccordo specificatamente rivolte a contrastare il fenomeno degli incendi dolosi di rifiuti nella Regione Campania.
  Su iniziativa di questi, presso la Prefettura di Napoli e con l'intervento della Regione Campania, delle Province e delle Prefetture di Napoli e Caserta, di Arpa Campania e delle competenti Asl, veniva istituita il successivo 13 dicembre 2012 una cabina di regia per l'attivazione degli interventi amministrativi di integrazione e necessario corollario all'azione di contrasto in atto ad opera delle forze dell'ordine, che già operavano in tal senso anche grazie alla attivazione di gruppi operativi interforze composti da Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di finanza, Corpo forestale dello Stato, Polizia stradale, Polizia provinciale e Vigili del fuoco.
  Sulla base di quanto rilevato e ritenuto nel corso della riunioni della predetta cabina di regia nonché alla luce delle conclusioni cui perveniva la Commissione Parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti, nella cui relazione finale relativa alla Regione Campania, presentata il 5 febbraio 2013, veniva evidenziato che «l'origine del fenomeno in questione ... è generato dalla commistione di due elementi, cioè un diffuso e generalizzato malcostume e dalla presenza di rilevanti interessi economici che gravitano intorno al ciclo dei rifiuti e che coinvolgono certamente, in modo diretto o indiretto, la malavita organizzata», si rendeva necessario e improrogabile adottare tutte le più idonee iniziative istituzionali al riguardo.
  Si perveniva, così, alla formalizzazione l'11 luglio 2013, a Napoli, tra le amministrazioni pubbliche interessate e con la partecipazione di associazioni ambientaliste, del «Patto per la Terra dei Fuochi».
  Detto accordo, oltre a rafforzare i vincoli e gli impegni degli aderenti per affrontare un tema così delicato, tendeva a definire un sistema unitario di interventi dove si integrano misure di carattere strutturale e misure straordinarie, attività di contrasto alle condotte illecite e attività rivolte ad affrontare i nodi amministrativi delle competenze, dell'applicazione delle norme, della disponibilità di risorse umane e strumentali, che spesso rappresentano un ostacolo per il perseguimento del risultato.
  Il suddetto patto prevedeva, inoltre, in materia di trasparenza, la libera accessibilità al portale denominato «Prometeo», realizzato presso il sito
web della Prefettura di Napoli, costantemente aggiornato su tutti gli interventi e sulle misure di governo adottate avverso il fenomeno da parte delle competenti strutture pubbliche, garantendo, in tal modo, la circolarità del flusso informativo e la tempestiva individuazione dei fattori di crisi e delle aree sensibili.
  Oltre alla trasparenza delle attività, di cui si è detto, il patto promuove, sotto diversi aspetti, forme di collaborazione e partecipazione aperte alle associazioni ambientaliste, nello spirito del principio dell’
open government, valorizzando, così, il rapporto di fiducia tra le istituzioni e la popolazione residente.
  A testimonianza della bontà della via intrapresa e della percezione diffusa dell'utilità e dell'efficacia degli strumenti di prevenzione e contrasto messi in atto, numerose amministrazioni comunali delle province di Napoli e Caserta, non ricomprese tra quelle originariamente firmatarie del patto, hanno successivamente chiesto di potervi aderire.
  A completamento, poi, delle iniziative di competenza, la Giunta della Regione Campania aveva approvato nello scorso mese di luglio un apposito disegno di legge contenente le prime misure straordinarie per la prevenzione e la lotta al fenomeno incontrollato dell'abbandono dei rifiuti e alla pratica dei roghi illegali finalizzate ad una maggiore tutela della salute dei cittadini campani e ad una adeguata tutela del patrimonio ambientale e paesaggistico. Detto disegno di legge è stato quindi approvato alla unanimità dal Consiglio regionale il 20 novembre 2013 e divenuta legge regionale n. 20 del 9 dicembre 2013 recante «
Misure straordinarie per la prevenzione e la lotta al fenomeno dell'abbandono e dei roghi di rifiuti, pubblicata sul Bollettino ufficiale regionale campania n. 20 del 9 dicembre 2013.
  Premesso quanto sopra, è da segnalare che sin dai primi giorni di operatività del nuovo Governo e nel corso degli incontri con le Autorità e con la popolazione locale, pur nel prendere atto e apprezzare le iniziative sino ad allora adottate, e come sopra riferite, per contrastare l'illecito incenerimento dei rifiuti abbandonati, questo Dicastero aveva ritenuto opportuno promuovere un maggior controllo del territorio attraverso una più intensa presenza del nucleo operativo ecologico. E questo, anche al fine di consentire di svolgere ulteriori verifiche su alcuni episodi più gravi a suo tempo raccontati dall’
ex boss Carmine Schiavone, senza, tuttavia, che venisse rilevata alcuna novità rispetto a quanto già a conoscenza degli inquirenti.
  Peraltro, anche in relazione agli impegni che aveva assunto questo Ministero in occasione dei primi incontri con le autorità e la popolazione locale, non appare inopportuno segnalare le iniziative più rilevanti successivamente adottate.
  Per prima cosa, tenuto conto che il «combustibile» più utilizzato è rappresentato dalle carcasse degli pneumatici, si era preso l'impegno di favorire un intervento coordinato tra gli enti locali interessati e il Consorzio per il riciclaggio dei pneumatici usati (Ecopneus). E, infatti, il 20 giugno 2013, è stato firmato il «Protocollo per la raccolta straordinaria di pneumatici fuori uso nella terra dei fuochi» dalle Prefetture e i Comuni di Napoli e Caserta, dall'incaricato del Ministero dell'interno per la terra dei fuochi e da alcuni soci di Ecopneus per realizzare un'azione concreta nel territorio interessato, consistente nel prelievo e invio al riciclo dei pneumatici fuori uso abbandonati, sottraendoli così al rischio di essere utilizzati per alimentare il fenomeno dei roghi tossici per la loro capacità di combustione resistente e prolungata.
  Il sistema, peraltro, risulta essersi messo oramai a regime. Allo stato, proseguono i prelievi a Napoli, presso il sito di Montagna Spaccata; è stato effettuato nelle scorse settimane un intervento a Caivano, mentre per il sito storico di accumulo di Scisciano (NA) sono state ultimate, a fine novembre, le attività di recupero delle oltre 8 mila tonnellate di pneumatici fuori uso che per circa 23 anni erano rimaste in un'area privata in stato di abbandono, esposte al rischio di incendio, nonostante i ripetuti tentativi dell'Amministrazione comunale di intervenire per farle rimuovere.
  Ad oggi, si stima siano stati raccolti e avviati al riciclo, in attuazione del citato protocollo, oltre 1 milione di pneumatici. Di questi, oltre i 2/3 sono stati avviati al recupero di materia e solo 1/3 a recupero di energia. Il «polverino» di gomma ottenuto dalla lavorazione dei pneumatici fuori uso raccolti è previsto che venga messo gratuitamente a disposizione per progetti di pubblica utilità (strade, installazioni sportive, aree gioco per bambini, ecc.) dei comuni aderenti che ne faranno richiesta.
  Si prevede, da ultimo, che le risorse economiche rese disponibili nel bilancio Ecopneus saranno in grado di finanziare interventi che porteranno alla raccolta straordinaria di circa 13 mila tonnellate di pneumatici fuori uso, mentre prosegue regolarmente in Campania la raccolta ordinaria presso i 2 mila punti di generazione di questi rifiuti con un totale di pneumatici fuori uso pari a circa 22 mila tonnellate/anno.
  Al fine, poi, di facilitare i controlli rimessi alle competenti autorità, con il decreto-legge 21 giugno 2013 n. 69, recante: «
Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia» convertito, con modificazioni, con la legge n. 98 del 9 agosto 2013, è stato introdotto, su proposta di questo Ministero, il divieto temporaneo di importazione nella Regione Campania dei rifiuti speciali e di rifiuti urbani pericolosi, limitatamente a quelli destinati allo smaltimento. Tale divieto, motivato dalla situazione di rischio sanitario e ambientale connesso al mancato completamento degli impianti del ciclo dei rifiuti previsti nel piano regionale, mira ad impedire che il «peso» dei rifiuti speciali e di quelli urbani pericolosi nella regione sia aggravato dal carico di quelli importati.
  Per quanto attiene al fronte della tracciabilità dei rifiuti, è già previsto che il Sistri, di prossima attivazione, venga attuato in Campania anche per il controllo dei flussi dei rifiuti solidi urbani oltre che per quelli industriali.
  A fronte di tali iniziative già concretizzatesi con i pertinenti provvedimenti e i cui effetti positivi non mancheranno di manifestarsi, si ritiene, già in tempi brevi, non si può omettere di sottolineare le iniziative poste in essere da questo Ministero volte a sollecitare i vertici delle Istituzioni interessate alla adozione di ogni utile iniziativa volta a contrastare, in via diretta e indiretta, il grave fenomeno dei roghi e delle conseguenze, anche di natura sanitaria, da essi recate.
  Nei confronti della Regione Campania, per quanto riguarda il completamento delle iniziative di competenza per la realizzazione del ciclo integrato dei rifiuti, così come previsto nel pertinente Piano Regionale, indispensabile per migliorare la situazione ambientale regionale e, non ultimo, per superare le contestazioni avanzate dalla Commissione europea nell'ambito di diverse procedure d'infrazione.
  Dal punto di vista della salute, è stato avviato con l'istituto Superiore di Sanità e la Regione Campania un progetto di sistematizzazione dei dati sanitari e ambientali dei territori campani, funzionale all'individuazione delle aree per le quali sono necessari ulteriori approfondimenti. Il percorso progettuale multidisciplinare (ambientale, epidemiologico, tossicologico) tenderà a verificare le possibili connessioni tra lo stato dell'ambiente e la salute dei cittadini. Il Ministro della salute, onorevole Lorenzin ha assicurato in più occasioni l'intenzione di assumere presto le più opportune iniziative, condividendo la considerazione che una emergenza del genere non può essere rimessa alla buona volontà del Ministro di turno ma è un problema strutturale che richiede una azione dello Stato con un orizzonte pluriennale che impegna l'Amministrazione nel suo complesso. E per questo motivo che si è ritenuto opportuno, all'uopo, sollecitare l'introduzione di strumenti particolari di monitoraggio sanitario, in particolare finalizzati alla rilevazione di patologie connesse agli effetti dell'inquinamento ambientale.
  Nella considerazione, poi, che parallelamente alla lotta all'emergenza debbano avviarsi iniziative di carattere strutturale che vadano a colpire i punti nevralgici che hanno consentito al fenomeno di svilupparsi con tale virulenza, veniva istituito presso questo Ministero un qualificato gruppo di lavoro, coordinato dal Gip casertano dottor Piccirillo, affinché venisse predisposta una bozza di normativa per la riforma delle sanzioni concernenti i reati ambientali, ritenendo che la normativa penale in tale materia potesse essere utilmente rivista e aggiornata. A questo specifico proposito, il Ministro della giustizia aveva assicurato la massima disponibilità ad una analisi congiunta delle pertinenti proposte al fine di introdurre al più presto questo tipo di riforma all'interno del codice penale.
  In esito alle iniziative adottate, e come sopra riferite, non può non segnalarsi, per concludere, che la risposta più idonea che si può rendere all'atto di sindacato ispettivo che si riscontra – nel cui ambito l'interrogante ha posto una serie di questioni tutte legate alle criticità che caratterizzano l'area geografica che qui interessa – è rappresentata dalla avvenuta approvazione nel corso del Consiglio dei ministri del 3 dicembre 2013, di un apposito piano di azione per contrastare, tra le altre, l'emergenza della «terra dei fuochi».
  Detto piano, concretizzatosi con l'avvenuta approvazione del decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136 recante «
Disposizioni urgenti dirette fronteggiare emergenze ambientali e industriali ed a favorire lo sviluppo delle aree interessate», pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 289 del 10 dicembre 2013, interviene – elevando, così come prospettato dall'interrogante, la problematica a livello nazionale – a tutela dell'ambiente, della salute e della qualità delle coltivazioni.
  In particolare, viene previsto il monitoraggio e la classificazione dei suoli, l'accertamento dello stato dell'inquinamento dei terreni, la riforma dei reati ambientali, l'accelerazione e la semplificazione degli interventi necessari, oltreché risorse per le bonifiche indispensabili per territori a forte condizionamento criminale quale è quello della «terra dei fuochi».
  In particolare, e per quanto qui maggiormente interessa, si richiama l'attenzione sulle previsioni degli articoli 1 e 2, laddove ci si propone di fare fronte al gravissimo allarme sociale provocato dalla diffusione di notizie sullo stato di contaminazione dei terreni agricoli campani e su eventuali pericoli per la salute umana.
  È previsto, in particolare, che il Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura, l'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, l'istituto superiore di sanità e l'Agenzia regionale per la protezione ambientale in Campania, svolgano le indagini tecniche per la mappatura dei siti inquinati secondo gli indirizzi comuni e le priorità definiti con apposita direttiva.
  E questo perché è urgente e fondamentale acquisire una fotografia ufficiale della situazione attraverso una mappatura delle aree, che individui quelle interessate da fenomeni da inquinamento – anche conseguenti ai fatti criminosi riferiti dai malavitosi pentiti – tali da rendere necessario un deciso intervento pubblico.
  I risultati scientifici così acquisiti consentiranno, quindi, di perimetrare definitivamente i terreni in modo da sfatare una volta per tutte gli infondati timori che tutti i prodotti della Campania siano contaminati e che tutti i terreni destinati all'agroalimentare della regione siano pregiudicati da gravi fenomeni di inquinamento.
  Attraverso tale strumento normativo potranno inoltre essere coordinati e raccordati utilmente tutti i dati conoscitivi già a disposizione ma che necessitano di essere coordinati e unificati. In tale specifico ambito, pertanto, deve ricondursi lo sprone formulato dagli interroganti laddove auspicano la realizzazione delle urgenti verifiche per individuare le aree interessate dai possibili interramenti di rifiuti tossici.
  Uno degli obiettivi perseguiti sarà poi quello di adottare un programma straordinario e urgente di interventi finalizzati alla tutela della salute, alla sicurezza, alla bonifica dei siti nonché alla rivitalizzazione economica dei territori ove si sono riscontrate concentrazioni di inquinanti tali da renderli inidonei alla produzione agroalimentare.
  Per quanto attiene alla questione delle bonifiche dei siti campani, è prevista la costituzione di un comitato interministeriale e di una commissione con il compito di individuare e potenziare azioni e interventi di monitoraggio e tutela da realizzarsi nell'area della Regione Campania.
  L'azione della commissione avrà lo scopo di semplificare e accelerare le procedure per l'attuazione degli interventi di bonifica dei territori. Sarà così possibile per la realizzazione degli stessi fare ricorso allo strumento giuridico del contratto istituzionale di sviluppo proprio al fine di accelerare e garantire la qualità della spesa pubblica. Si prevede, inoltre, la possibilità di finanziare il programma, oltre che con le disponibilità ordinarie, anche mediante l'utilizzo del piano operativo regionale Campania 2007-2013 (fondi strutturali), del piano di azione e, coesione, nonché mediante misure che saranno adottate nella programmazione 2014-2020.
  Preme, in conclusione, sottolineare che le iniziative appena riferite non rappresentano mere intenzioni ma provvedimenti concreti adottati dal Governo per far fronte alla rilevantissima crisi ambientale accertata nell'area della cosiddetta «terra dei fuochi».

Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come emerso da vari articoli e campagne di inchiesta sulla stampa locale e nazionale, la «Terra dei Fuochi» è una vasta area della provincia di Napoli compresa tra i comuni di Qualiano, Villaricca e Giugliano caratterizzata dallo sversamento illegale di rifiuti, perlopiù tossici, da parte delle organizzazione criminali. In molti casi, i cumuli di rifiuti, illegalmente riversati nelle campagne, o ai margini delle strade, vengono incendiati dando luogo a roghi i cui fumi diffondono sostanze tossiche, tra cui la cancerogena diossina, nell'atmosfera e nelle terre circostanti. Il fenomeno è in forte crescita ed interessa attualmente anche la provincia di Caserta, aree della Campania e isolatamente purtroppo altre aree del Sud Italia;
   questo fenomeno criminale interessa una terra di alcuni milioni di abitanti ed è alimentato dal nocivo smaltimento illegale di rifiuti tossici di natura industriale, raramente da rifiuti solidi urbani di origine domestica;
   i roghi tossici e illeciti negli ultimi anni sono aumentati a dismisura, fino a diventare parecchie decine al giorno con lo sprigionarsi di diossine e metalli pericolosissimi nell'aria circostante. Dati recenti dell'Istituto superiore di sanità e dell'Istituto Tumori Pascale, contenuti nel dossier «Campania, terra di veleni» confermano senza dubbio che l'impressionante aumento di patologie tumorali è determinata in maniera certa da questo disastro ambientale senza precedenti;
   da articoli di stampa e indagini delle forze di polizia si apprende che lo smaltimento illegale di rifiuti industriali e tossici sono determinati da:
    a) smaltimento illegale di rifiuti che arrivano da fuori regione ed in particolar modo dal Nord dell'Italia;
    b) smaltimento di rifiuti industriali di piccole aziende campane (tessile, calzaturifici, e altro) che operano in regime di evasione fiscale;
    c) comunità rom e comunità di clandestini che si occupano del mercato illegale di metalli di valore, quali il rame;
   numerose comunità di liberi cittadini campani si sono organizzate in associazioni spontanee per manifestare contro questa pratica criminale, denunciare il degrado e sensibilizzare l'opinione pubblica sulla gravissima situazione ambientale e sanitaria della «Terra dei fuochi»;
   l'interrogante aveva già presentato sulla vicenda atti di sindacato ispettivo nella XVI legislatura senza però alcuna risposta –:
   quali iniziative urgenti intendano mettere in campo i Ministri interrogati per rafforzare, anche con maggiori risorse e mezzi, il controllo da parte delle forze di polizia nelle sopracitate zone interessate dagli incendi illeciti di rifiuti tossici e se non ritengano poi utile promuovere tra enti locali, cittadini e forze di polizia un tavolo di coordinamento ad hoc per prevenire pratiche criminali connesse al traffico illecito di rifiuti;
   se non sia utile istituire un sistema satellitare di tracciabilità dei flussi di rifiuti industriali a livello nazionale e costituire un presidio permanente di monitoraggio sanitario per le patologie connesse all'inquinamento ambientale. (4-00013)

  Risposta. — È noto che il fenomeno dello smaltimento illegale di rifiuti mediante combustione costituisce una delle criticità più avvertita, per via dei fumi acri e mefitici che spesso si sprigionano dai roghi, in un quadrilatero di circa 800 chilometri a cavallo tra le province di Napoli e Caserta, a suo tempo battezzata «terra dei fuochi» da Roberto Saviano nel suo libro di denuncia «Gomorra».
  Su questo territorio, peraltro, risulta che a partire dagli anni ’80 sono state interrate, occultate nelle cave, sversate negli specchi e nei corsi d'acqua o bruciate, ingenti quantità di rifiuti, di vario genere e provenienza, la cui tossicità è ancora in gran parte da accertare, così come da accertare è la loro precisa localizzazione.
  Peraltro, in alcuni dei comuni localizzati nel territorio interessato si registrano situazioni di acuta difficoltà nella corretta gestione del ciclo urbano dei rifiuti con livelli insufficienti di raccolta differenziata.
  Più in generale, persistono comportamenti, purtroppo non isolati, da parte di cittadini che, per sottrarsi all'obbligo di differenziare o per altri motivi, trasportano i loro rifiuti casalinghi, spesso da un comune all'altro, abbandonandoli a bordo strada, nelle piazzole di sosta e nelle corsie di emergenza, dando luogo ad un fenomeno unico che per taluni osservatori istituzionali ha preso il nome di «lancio del sacchetto».
  Nei campi nomadi si effettua, a sua volta, in maniera quasi imprenditoriale, il recupero di materiali ferrosi e di rame, ricavandoli da elettrodomestici, quadri elettrici, cavi di rame, pneumatici, anche bruciando le carcasse, gli involucri di plastica e le gomme.
  Sullo stesso territorio, com’è noto, sono, poi, insediate numerose piccole attività economiche tessili, calzaturiere, conciarie, che per lavorare per il mercato parallelo delle contraffazioni, o comunque per evadere il fisco e violare la normativa sul lavoro, producono in nero e smaltiscono illegalmente anche gli scarti di lavorazione.
  Vi si concentrano, altresì, condotte illecite, quali l'abusivismo edilizio e l'elusione fiscale, anche in un settore come quello della vendita di pneumatici, alle quali corrisponde simmetricamente il fenomeno dello smaltimento illegale di residui edilizi, amianto e pneumatici.
  Anche in agricoltura si sono accertate sacche di smaltimento irregolare, testimoniato dalla presenza nelle campagne di teli e contenitori in plastica di piantine, fertilizzanti e fitofarmaci, che non di rado sono dati alle fiamme insieme ai residui di potatura.
  Va infine aggiunto che su alcune aree insistono siti di stoccaggio temporaneo di rifiuti, rinvenienti dalle passate e ripetute emergenze (tra essi gli oltre 5 milioni di tonnellate di eco-balle di Giugliano) che sono stati, o rischiano di diventare, da quelle «bombe ecologiche» che sono, potenziali inneschi di incendi.
  Il fenomeno così descritto trova una puntuale e quasi fotografica conferma nelle tipologie di rifiuto combusto, indicate nei rapporti dei Vigili del Fuoco: rifiuti solidi urbani, ingombranti, scarti di attività manifatturiere, industriali, agricole, edili, pneumatici.
  Questo rapido
excursus è apparso necessario per opportunamente inquadrare le problematiche insistenti sul territorio considerato, peraltro ben note all'interrogante.
  In aggiunta a quanto sopra, e di più recente evidenza – anche mediatica, nel più vasto ambito della problematica della «terra dei fuochi» non si può non richiamare l'attenzione sulle dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia, tra cui Carmine Schiavone, nonché al recente reportage giornalistico pubblicato sulla rivista «L'Espresso» relativo alle risultanze del noto studio realizzato dalla «US Navy» del comando USA di Napoli.
  Peraltro, la questione della «terra dei fuochi» è stata più volte affrontata da questo Ministero in sede di sindacato ispettivo.
  Già da tempo, si ricorderà, e in relazione alla sempre maggiore criticità della situazione, le competenti autorità statali e regionali reputavano necessario e improrogabile pervenire alla individuazione di un quadro generale di azioni concrete, immediate e puntuali, con l'obiettivo di sradicare un fenomeno odioso che ipotecava il presente e il futuro di un vasto territorio e della popolazione ivi residente.
  A dimostrazione di quanto la relativa problematica fosse ritenuta di rilevantissima e prioritaria importanza, in particolare, da parte del Ministero dell'ambiente, è da segnalare che sin dai primi giorni di operatività del nuovo Governo, il Ministro aveva ritenuto suo dovere prendere diretto contatto con la realtà ambientale delle aree interessate.
  Si era ritenuto sin da subito, infatti, che una più forte presenza delle istituzioni sul territorio, una maggiore sinergia tra le competenze dei vari Dicasteri coinvolti con le istituzioni locali, l'inasprimento delle pene per i reati ambientali – in particolare per i roghi dei rifiuti, l'avvio dell'attività di bonifica e risanamento, fossero i cardini dell'azione cui doveva essere improntata l'attività dello Stato, inteso nel suo complesso.
  Sin dal 2009, peraltro, presso la Prefettura di Napoli, nell'ambito delle attività della Conferenza permanente regionale veniva prevista la istituzione di un tavolo permanente, alle cui riunioni, nel corso del tempo, hanno partecipato rappresentanti delle forze di polizia, degli enti locali e delle associazioni e comitati di cittadini residenti nelle aree interessate.
  In tale contesto, non è mancata l'elaborazione di strategie di contrasto, successivamente attuate dal personale della Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di finanza, Corpo forestale dello Stato e polizie provinciali e locali, mediante l'intensificazione dei servizi di controllo del territorio e la predisposizione di specifiche e mirate attività di prevenzione e di repressione dello smaltimento illegale dei rifiuti praticato con l'accensione dei roghi.
  Stante la rilevanza del fenomeno, allora in fase di forte crescita, con proprio decreto del 26 novembre 2012 il Ministro dell'interno designava un suo incaricato per l'attivazione di iniziative di supporto e raccordo specificatamente rivolte a contrastare il fenomeno degli incendi dolosi di rifiuti nella Regione Campania.
  Su iniziativa di questi, presso la Prefettura di Napoli e con l'intervento della Regione Campania, delle Province e delle Prefetture di Napoli e Caserta, di Arpa Campania e delle competenti Asl, veniva istituita il successivo 13 dicembre 2012 una cabina di regia per l'attivazione degli interventi amministrativi di integrazione e necessario corollario all'azione di contrasto in atto ad opera delle forze dell'ordine, che già operavano in tal senso anche grazie alla attivazione di gruppi operativi interforze composti da Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di finanza, Corpo forestale dello Stato, Polizia stradale, Polizia provinciale e Vigili del fuoco.
  Sulla base di quanto rilevato e ritenuto nel corso della riunioni della predetta cabina di regia nonché alla luce delle conclusioni cui perveniva la commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti, nella cui relazione finale relativa alla Regione Campania, presentata il 5 febbraio 2013, veniva evidenziato che «l'origine del fenomeno in questione ... è generato dalla commistione di due elementi, cioè un diffuso e generalizzato malcostume e dalla presenza di rilevanti interessi, economici che gravitano intorno al ciclo dei rifiuti e che coinvolgono certamente, in modo diretto o indiretto, la malavita organizzata», si rendeva necessario e improrogabile adottare tutte le più idonee iniziative istituzionali al riguardo.
  Si perveniva, così, alla formalizzazione l'11 luglio 2013, a Napoli, tra le amministrazioni pubbliche interessate e con la partecipazione di associazioni ambientaliste, del «Patto per la Terra dei Fuochi».
  Detto accordo, oltre a rafforzare i vincoli e gli impegni degli aderenti per affrontare un tema così delicato, tendeva a definire un sistema unitario di interventi dove si integrano misure di carattere strutturale e misure straordinarie, attività di contrasto alle condotte illecite e attività rivolte ad affrontare i nodi amministrativi delle competenze, dell'applicazione delle norme, della disponibilità di risorse umane e strumentali, che spesso rappresentano un ostacolo per il perseguimento del risultato.
  Il suddetto patto prevedeva, inoltre, in materia di trasparenza, la libera accessibilità al portale denominato «
Prometeo», realizzato presso il sito web della prefettura di Napoli, costantemente aggiornato su tutti gli interventi e sulle misure di governo adottate avverso il fenomeno da parte delle competenti strutture pubbliche, garantendo, in tal modo, la circolarità del flusso informativo e la tempestiva individuazione dei fattori di crisi e delle aree sensibili.
  Oltre alla trasparenza delle attività, di cui si è detto, il patto promuove, sotto diversi aspetti, forme di collaborazione e partecipazione aperte alle associazioni ambientaliste, nello spirito del principio dell’
open government, valorizzando, così, il rapporto di fiducia tra le istituzioni e la popolazione residente.
  A testimonianza della bontà della via intrapresa e della percezione diffusa dell'utilità e dell'efficacia degli strumenti di prevenzione e contrasto messi in atto, numerose amministrazioni comunali delle province di Napoli e Caserta, non ricomprese tra quelle originariamente firmatarie del patto, hanno successivamente chiesto di potervi aderire.
  A completamento, poi, delle iniziative di competenza, la giunta della Regione Campania aveva approvato nel mese di luglio 2013, un apposito disegno di legge contenente le prime misure straordinarie per la prevenzione e la lotta al fenomeno incontrollato dell'abbandono dei rifiuti e alla pratica dei roghi illegali finalizzate ad una maggiore tutela della salute dei cittadini campani e ad una adeguata tutela del patrimonio ambientale e paesaggistico. Detto disegno di legge è stato quindi approvato alla unanimità dal consiglio regionale il 20 novembre 2013 e divenuta legge regionale n. 20 del 9 dicembre 2013 recante «Misure straordinarie per la prevenzione e la lotta al fenomeno dell'abbandono e dei roghi di rifiuti», pubblicata sul Bollettino Ufficiale delle Regione Campania n. 20 del 9 dicembre 2013.
  Premesso quanto sopra, è da segnalare che sin dai primi giorni di operatività del nuovo Governo e nel corso degli incontri con le autorità e con la popolazione locale, pur nel prendere atto e apprezzare le iniziative sino ad allora adottate, e come sopra riferite, per contrastare l'illecito incenerimento dei rifiuti abbandonati, questo Dicastero aveva ritenuto opportuno promuovere un maggior controllo del territorio attraverso una più intensa presenza del nucleo operativo ecologico. E questo, anche al fine di consentire di svolgere ulteriori verifiche su alcuni episodi più gravi a suo tempo raccontati dall'ex boss Carmine Schiavone, senza, tuttavia, che venisse rilevata alcuna novità rispetto a quanto già a conoscenza degli inquirenti.
  Peraltro, anche in relazione agli impegni che aveva assunto questo Ministero in occasione dei primi incontri con le autorità e la popolazione locale, non appare inopportuno segnalare le iniziative più rilevanti successivamente adottate.
  Per prima cosa, tenuto conto che il «combustibile» più utilizzato è rappresentato dalle carcasse degli pneumatici, si era preso l'impegno di favorire un intervento coordinato tra gli enti locali interessati e il Consorzio per il riciclaggio dei pneumatici usati (Ecopneus). E, infatti, il 20 giugno 2013, è stato firmato il «Protocollo per la raccolta straordinaria di pneumatici fuori uso nella terra dei fuochi» dalle prefetture e i Comuni di Napoli e Caserta, dall'incaricato del Ministero dell'interno per la terra dei fuochi e da alcuni soci di Ecopneus per realizzare un'azione concreta nel territorio interessato, consistente nel prelievo e invio al riciclo dei pneumatici fuori uso abbandonati, sottraendoli così al rischio di essere utilizzati per alimentare il fenomeno dei roghi tossici per la loro capacità di combustione resistente e prolungata.
  Il sistema, peraltro, risulta essersi messo oramai a regime. Allo stato, proseguono i prelievi a Napoli, presso il sito di Montagna Spaccata; è stato effettuato nelle scorse settimane un intervento a Caivano, mentre per il sito storico di accumulo di Scisciano (NA) sono state ultimate, a fine novembre, le attività di recupero delle oltre 8 mila tonnellate di pneumatici fuori uso che per circa 23 anni erano rimaste in un'area privata in stato di abbandono, esposte al rischio di incendio, nonostante i ripetuti tentativi dell'Amministrazione comunale di intervenire per farle rimuovere.
  Ad oggi, si stima siano stati raccolti e avviati al riciclo, in attuazione del citato protocollo, oltre 1 milione di pneumatici. Di questi, oltre i 2/3 sono stati avviati al recupero di materia e solo 1/3 a recupero di energia. Il «polverino» di gomma ottenuto dalla lavorazione dei pneumatici fuori uso raccolti è previsto che venga messo gratuitamente a disposizione per progetti di pubblica utilità (strade, installazioni sportive, aree gioco per bambini, ecc.) dei comuni aderenti che ne faranno richiesta.
  Si stima, da ultimo, che le risorse economiche rese disponibili nel bilancio Ecopneus saranno in grado di finanziare interventi che porteranno alla raccolta straordinaria di circa 13 mila tonnellate di pneumatici fuori uso mentre prosegue regolarmente in Campania la raccolta ordinaria presso i 2 mila punti di generazione di questi rifiuti con un totale di pneumatici fuori uso pari a circa 22 mila tonnellate/anno.
  Al fine, poi, di facilitare i controlli rimessi alle competenti autorità, con il decreto-legge 21 giugno 2013 n. 69, recante: «
Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia», convertito, con modificazioni, con la legge n. 98 del 9 agosto 2013, è stato introdotto, su proposta di questo Ministero, il divieto temporaneo di importazione nella Regione Campania dei rifiuti speciali e di rifiuti urbani pericolosi, limitatamente a quelli destinati allo smaltimento. Tale divieto, motivato dalla situazione di rischio sanitario e ambientale connesso al mancato completamento degli impianti del ciclo dei rifiuti previsti nel piano regionale, mira ad impedire che il «peso» dei rifiuti speciali e di quelli urbani pericolosi nella regione sia aggravato dal carico di quelli importati.
  Per quanto attiene al fronte della tracciabilità dei rifiuti, è già previsto che il Sistri, di prossima attivazione, venga attuato in Campania anche per il controllo dei flussi dei rifiuti solidi urbani oltre che per quelli industriali.
  A fronte di tali iniziative già concretizzatesi con i pertinenti provvedimenti e i cui effetti positivi non mancheranno di manifestarsi, si ritiene, già in tempi brevi, non si può omettere di sottolineare le iniziative poste in essere da questo Ministero volte a sollecitare i vertici delle istituzioni interessate alla adozione di ogni utile iniziativa volta a contrastare, in via diretta e indiretta, il grave fenomeno dei roghi e delle conseguenze, anche di natura sanitaria, da essi recate.
  Nei confronti della Regione Campania, per quanto riguarda il completamento delle iniziative di competenza per la realizzazione del ciclo integrato dei rifiuti, così come previsto nel pertinente Piano Regionale, indispensabile per migliorare la situazione ambientale regionale e, non ultimo, per superare le contestazioni avanzate dalla Commissione europea nell'ambito di diverse procedure d'infrazione.
  Dal punto di vista della salute, è stato avviato con l'istituto superiore di sanità e la regione Campania un progetto di sistematizzazione dei dati sanitari e ambientali dei territori campani, funzionale all'individuazione delle aree per le quali sono necessari ulteriori approfondimenti. Il percorso progettuale multidisciplinare (ambientale, epidemiologico, tossicologico) tenderà a verificare le possibili connessioni tra lo stato dell'ambiente e la salute dei cittadini. Il Ministro della salute, onorevole Lorenzin, ha assicurato in più occasioni l'intenzione di assumere presto le più opportune iniziative, condividendo la considerazione che una emergenza del genere non può essere rimessa alla buona volontà del Ministro di turno ma è un problema strutturale che richiede una azione dello Stato con un orizzonte pluriennale che impegna l'Amministrazione nel suo complesso. E per questo motivo che si è ritenuto opportuno, all'uopo, sollecitare l'introduzione di strumenti particolari di monitoraggio sanitario, in particolare finalizzati alla rilevazione di patologie connesse agli effetti dell'inquinamento ambientale.
  Nella considerazione, poi, che parallelamente alla lotta all'emergenza debbano avviarsi iniziative di carattere strutturale che vadano a colpire i punti nevralgici che hanno consentito al fenomeno di svilupparsi con tale virulenza, veniva istituito presso questo Ministero un qualificato gruppo di lavoro, coordinato dal Gip casertano dottor Piccirillo, affinché venisse predisposta una bozza di normativa per la riforma delle sanzioni concernenti i reati ambientali, ritenendo che la normativa penale in tale materia potesse essere utilmente rivista e aggiornata. A questo specifico proposito, il Ministro della giustizia, prefetto Cancellieri, aveva assicurato la massima disponibilità ad una analisi congiunta delle pertinenti proposte al fine di introdurre al più presto questo tipo di riforma all'interno del codice penale.
  In esito alle iniziative adottate, e come sopra riferite, non può non segnalarsi, per concludere, che la risposta più idonea che si può rendere all'atto di sindacato ispettivo che si riscontra è rappresentata dalla avvenuta approvazione nel corso del Consiglio dei ministri del 3 dicembre 2013, di un piano di azione per l'emergenza della «terra dei fuochi», e altre emergenze ambientali e industriali.
  Detto piano, concretizzatosi con l'avvenuta approvazione del decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136 recante
Disposizioni urgenti dirette fronteggiare emergenze ambientali e industriali ed a favorire lo sviluppo delle aree interessate, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 289 del 10 dicembre 2013, interviene a tutela dell'ambiente, della salute e della qualità delle coltivazioni. Si prevedono il monitoraggio e la classificazione dei suoli, l'accertamento dello stato dell'inquinamento dei terreni, la riforma dei reati ambientali, l'accelerazione e la semplificazione degli interventi necessari, oltreché risorse per le bonifiche indispensabili per territori a forte condizionamento criminale quale è quello della «terra dei fuochi».
  In particolare, e per quanto qui maggiormente interessa, si richiama l'attenzione sulle previsioni degli articoli 1 e 2, laddove ci si propone di fare fronte al gravissimo allarme sociale provocato dalla diffusione di notizie sullo stato di contaminazione dei terreni agricoli campani e su eventuali pericoli per la salute umana.
  È previsto, in particolare, che il Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura, l'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, l'istituto superiore di sanità e l'Agenzia regionale per la protezione ambientale in Campania, svolgano le indagini tecniche per la mappatura dei siti inquinati secondo gli indirizzi comuni e le priorità definiti con apposita direttiva.
  E questo perché è urgente e fondamentale acquisire una fotografia ufficiale della situazione attraverso una mappatura delle aree, che individui quelle interessate da fenomeni da inquinamento – anche conseguenti ai fatti criminosi riferiti dai malavitosi pentiti – tali da rendere necessario un deciso intervento pubblico.
  I risultati scientifici così acquisiti consentiranno, quindi, di perimetrare definitivamente i terreni in modo da sfatare una volta per tutte gli infondati timori che tutti i prodotti della Campania siano contaminati e che tutti i terreni destinati all'agroalimentare della regione siano pregiudicati da gravi fenomeni di inquinamento.
  Attraverso tale strumento normativo potranno inoltre essere coordinati e raccordati utilmente tutti i dati conoscitivi già a disposizione ma che necessitano di essere coordinati e unificati. In tale specifico ambito, pertanto, deve ricondursi lo sprone formulato dagli interroganti laddove auspicano la realizzazione delle urgenti verifiche per individuare le aree interessate dai possibili interramenti di rifiuti tossici.
  Uno degli obiettivi perseguiti sarà poi quello di adottare un programma straordinario e urgente di interventi finalizzati alla tutela della salute, alla sicurezza, alla bonifica dei siti nonché alla rivitalizzazione economica dei territori ove si sono riscontrate concentrazioni di inquinanti tali da renderli inidonei alla produzione agroalimentare.
  Per quanto attiene alla questione delle bonifiche dei siti campani, è prevista la costituzione di un comitato interministeriale e di una commissione con il compito di individuare e potenziare azioni e interventi di monitoraggio e tutela da realizzarsi nell'area della Regione Campania.
  L'azione della commissione avrà lo scopo di semplificare e accelerare le procedure per l'attuazione degli interventi di bonifica dei territori. Sarà così possibile per la realizzazione degli stessi fare ricorso allo strumento giuridico del contratto istituzionale di sviluppo proprio al fine di accelerare e garantire la qualità della spesa pubblica. Si prevede, inoltre, la possibilità di finanziare il programma, oltre che con le disponibilità ordinarie, anche mediante l'utilizzo del piano operativo regionale Campania 2007-2013 (fondi strutturali), del piano di azione e coesione, nonché mediante misure che saranno adottate nella programmazione 2014-2020.
  Preme, in conclusione, sottolineare che le iniziative appena riferite non rappresentano mere intenzioni ma provvedimenti concreti adottati dal Governo per far fronte alla rilevantissima crisi ambientale accertata nell'area della cosiddetta «terra dei fuochi».

Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   ROSATO, BLAZINA, COPPOLA e ZANIN. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel maggio 2010 il Consiglio superiore dei lavori pubblici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha espresso all'unanimità parere favorevole al nuovo piano regolatore portuale di Trieste;
   il nuovo piano regolatore portuale è indispensabile per qualsiasi processo di sviluppo dello scalo giuliano;
   come previsto dalla legge 28 gennaio 1994, n. 84, il nuovo piano regolatore è, però, ancora in attesa dell'autorizzazione governativa di VIA (valutazione di impatto ambientale) –:
   cosa abbia impedito ad oggi l'approvazione da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con quali tempi il Governo intenda procedere. (4-00856)

  Risposta. — L'autorità portuale di Trieste, aveva redatto il nuovo Piano regolatore portuale (PRP), adottato da parte del comitato portuale con deliberazione n. 7/2009 del 19 maggio 2009, previa intesa con i comuni di Trieste e Muggia e con Parere favorevole da parte del consiglio superiore dei lavori pubblici nella seduta del 21 maggio 2010.
  Con nota del 12 dicembre 2011, l'autorità portuale di Trieste ha comunicato di voler dare avvio alla procedura di valutazione di impatto ambientale integrata alla valutazione ambientale strategica del piano regolatore portuale, inviando uno «Studio ambientale preliminare integrato» (SAPI) a questo Ministero, in qualità di autorità competente e a tutti i soggetti con competenze ambientali con i quali entrare in consultazione.
  Per il piano regolatore portuale del porto di Trieste è stata attivata per la prima volta la procedura di valutazione ambientale strategica integrata alla valutazione di impatto ambientale, nel rispetto di quanto dettato dall'articolo 6, comma 3-
ter, del decreto legislativo n. 152 del 2006, e successive modificazioni e integrazioni.
  La procedura prevede una «fase preliminare» corrispondente all'articolo 13, commi 1 e 2 per la 21 per la valutazione ambientale strategica e all'articolo 21 per la valutazione di impatto ambientale, ed una «procedura ambientale integrata» corrispondente agli articoli 13, comma 3 e seguenti per la valutazione ambientale strategica e 22 e seguenti per la valutazione di impatto ambientale, tale procedura si conclude con un unico provvedimento finale emesso da questo Ministero.
  In data 16 aprile 2012, si è conclusa la fase preliminare con la notifica all'autorità proponente del parere n. 897 del 23 marzo 2012 della commissione valutazione di impatto ambientale-valutazione ambientale strategica nel quale la CTVA ha fornito le indicazioni di cui lo studio ambientale integrato, dovrà tenere conto. L'autorità portuale dovrà predisporre anche la documentazione necessaria ai fini dell'attivazione della consultazione transfrontaliera di cui all'articolo 32 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni.
  L'autorità portuale di Trieste, con nota del 18 settembre 2013 ha inviato la documentazione relativa allo «studio ambientale integrato» (SAI) per la successiva fase di consultazione, ai sensi dell'articolo 23 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni. La consultazione pubblica ha una durata di 60 giorni a partire dalla pubblicazione sulla
Gazzetta ufficiale della repubblica italiana dell'avviso di avvio della procedura in oggetto avvenuta il 19 settembre 2013 che, pertanto, è terminata il 19 novembre 2013.
  Con nota dell'8 ottobre 2013, il Ministero dell'ambiente ha comunicato all'autorità portuale di Trieste la procedibilità dell'istanza di compatibilità ambientale.
  Questo Ministero, al termine dello svolgimento delle attività di valutazione dello studio ambientale integrato ed acquisiti i pareri del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e della regione, e comunque non oltre i 90 giorni a partire dalla chiusura della consultazione pubblica (durata 60 giorni), salvo interruzioni per richieste di integrazioni del materiale consegnato, concluderà la procedura integrata con un provvedimento unico, ai sensi dell'articolo 6 comma 3-
ter, redatto sulla base degli articoli 15 e 26 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni.
Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   ROTTA e ZARDINI. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   la grave crisi economica e sociale che coinvolge il Paese obbliga il Governo ad eliminare gli sprechi, i doppioni ed i privilegi grandi e piccoli che siano al fine di trovare risorse da destinare ad investimenti produttivi ed a sostegno di coloro che si trovano coinvolti nell'emergenza sociale;
   l'Inps per migliorare la qualità e la quantità del processo di produzione dei servizi, di cui ha la competenza, investe cifre considerevoli nella formazione dei propri dipendenti. Nel 2010 l'Inps ha speso circa 11 milioni di euro per attività formativa e nel 2011 sono state organizzate 5.700 iniziative di formazione di cui 3.562 giornate di formazione in aula e 2.138 giornate di formazione on the job. La formazione organizzata dall'Inps può essere così classificata: – formazione on the job effettuata durante lo svolgimento del processo produttivo (rapporto un docente ed un discente); – formazione in aula (rapporto un docente e più discenti);
   la docenza per gli interventi di formazione del personale dell'Inps viene assegnata in parte ai dipendenti dell'Istituto, ai quali viene corrisposto un compenso di circa 31 euro (con esclusione dei dirigenti, professionisti e medici). Al contrario non viene riconosciuto alcun corrispettivo a coloro che svolgono attività di docenza nella formazione on the job;
   la formazione continua è un fattore strategico per le imprese private e pubbliche al fine di migliorare il sapere dei dipendenti e la perfomance delle imprese stesse. È talmente importante che ha un rapporto di complementarietà e di compenetrazione con il processo produttivo e viene espletata in modo permanente da coloro che detengono le maggiori conoscenze professionali. Il percorso lavorativo dei dipendenti conduce ad un arricchimento delle mansioni che comprendono la formazione nel ruolo di docente e discente;
   la scelta dell'Inps di retribuire l'attività di docenza in aula ai dipendenti di area B e C espletata durante l'orario di lavoro normale non tiene conto che quelle ore di lavoro sono già retribuite con lo stipendio. Pertanto, si ritiene che il caso in questione possa essere definito un doppione e, quindi, una forma di spreco. Per non danneggiare i dipendenti gli eventuali interventi formativi effettuati durante il lavoro straordinario potrebbero essere retribuiti con le prestazioni straordinarie e non con il pagamento delle docenze;
   la contraddizione dell'Inps sorprende perché l'Istituto ha intrapreso da diverso tempo la via del miglioramento continuo e della gestione per processi abbandonando gli adempimenti e valorizzando la crescita del personale e l'arricchimento delle conoscenze. Oggi più di ieri l'attività formativa dei dipendenti si svolge nei processi di produzione e non è facile quantificare e distinguere la formazione dall'attività lavorativa in senso stretto;
   il fenomeno descritto potrebbe assumere dimensioni più ampie se le pubbliche amministrazioni adottassero il metodo Inps di retribuire l'attività di docenza in aula ai propri dipendenti –:
   di quali elementi disponga in merito al caso descritto (retribuzione della docenza interna nella formazione in aula) nell'Inps e nelle altre pubbliche amministrazioni, al fine di poter intervenire e normalizzare le attività di formazione;
   se non reputi urgente intervenire per eliminare i casi di doppia retribuzione (stipendio e compensi per la docenza) a favore dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni che espletano, oltre al lavoro assegnato, attività di docenza nelle attività di formazione in aula;
   se non ritenga necessario assumere iniziative per includere l'attività di docenza tra le mansioni dei lavoratori dipendenti dalle pubbliche amministrazioni al fine di arricchire le competenze del personale ed eliminare sprechi e doppioni rappresentati dai compensi relativi alle attività di docenza. (4-00506)

  Risposta. — L'interrogazione in esame concerne la formazione effettuata dall'Inps ai propri dipendenti, con particolare riferimento alla formazione in aula affidata agli stessi dipendenti dell'istituto che per tale attività percepiscono un compenso di 31 euro all'ora.
  A parere dell'interrogante tale compenso sarebbe un inutile spreco di risorse in quanto i dipendenti che effettuano la formazione durante le ore di lavoro percepiscono già la retribuzione.
  In proposito, acquisiti gli elementi informativi dall'istituto previdenziale, si rappresenta quanto segue.
  L'articolo 45, comma 1, del decreto legislativo n. 165 del 2001 stabilisce che il trattamento economico fondamentale ed accessorio dei dipendenti pubblici (fatto salvo quanto previsto dall'articolo 40, commi 3-
ter e 3-quater e dall'articolo 47-bis, comma 1, del medesimo decreto legislativo) è definito dai contratti collettivi.
  Al riguardo, si evidenzia che il riconoscimento dei predetti compensi è stato concordato nell'ambito di un accordo sindacale sottoscritto il 24 luglio 2002, con il quale le parti hanno convenuto l'erogazione di un compenso nella misura oraria di euro 31,00 solo per progetti rilevanti di formazione d'aula, con esclusione delle forme di affiancamento e di formazione sul posto di lavoro, per un massimo di 4 ore giornaliere pro-capite, fissando anche il limite di ore annuale.
  L'attribuzione dei compensi per docenza interna è stata inoltre esclusa per i dirigenti, i professionisti, la dirigenza medica, gli ispettori generali ed i direttori di divisione.
  Pertanto, la fonte che prevede l'attribuzione del compenso in questione ai dipendenti che svolgono attività di formazione è un atto negoziale frutto della contrattazione fra le parti e come tale idoneo ad essere qualificato come fonte regolatrice del trattamento economico dei dipendenti ai sensi dell'articolo 45 del decreto legislativo n. 165 del 2001. L'Istituto, dal canto suo, si è limitato a dettare istruzioni applicative del contenuto dell'accordo con la circolare del direttore generale n. 143 del 2 agosto 2002, in tema di organizzazione delle attività di formazione.
  Si evidenzia, inoltre, che il principio dell'onnicomprensività del trattamento economico del dipendente pubblico rappresenta, come precisato dalla giurisprudenza, un principio generale, in tutti i casi in cui l'attività svolta dall'impiegato sia riconducibile a funzioni e poteri connessi alla sua qualifica e all'ufficio ricoperto, corrispondenti alle mansioni cui egli non possa sottrarsi perché rientranti nei normali compiti di servizio.
  Tuttavia, siffatto principio non esclude che gli stessi dipendenti possano espletare incarichi, retribuiti a titolo professionale dall'amministrazione, ove ne ricorrano i presupposti legali e sempre che non costituiscano comunque espletamento di compiti rientranti nei doveri d'ufficio (cfr. Consiglio di Stato, Sezione VI, n. 363/1997; Sezione V, n. 5163/2002); in tal senso, più recentemente, anche la giurisprudenza amministrativa di prime cure (Tar Campania – Salerno, Sezione II, del 25 gennaio 2007).
  Più specificamente, il Consiglio di Stato ha precisato che quando il compito affidato sia completamente estraneo ai doveri derivanti dal rapporto di impiego e si svolga sulla base di un preciso incarico conferito dall'amministrazione di appartenenza e al di fuori dell'orario di lavoro, può essere concesso un compenso extra retribuzione (Consiglio di Stato, Sezione VI, 21 novembre 2003, n. 7548).
  Si consideri, al riguardo, che – contrariamente a quanto affermato dall'interrogante circa la presunta difficoltà di «quantificare e distinguere la formazione dall'attività lavorativa in senso stretto» – l'attività di docenza non rientra nei normali compiti istituzionali del dipendente, ma accede, come attività ulteriore, alle prestazioni svolte dal medesimo sulle linee di produzione cui è adibito. A conferma di ciò vi è la circostanza che nessuna delle declaratorie delle aree B e C allegate ai contratti collettivi nazionali susseguitisi dal 1995 in poi menziona, tra le mansioni del personale appartenente a tali aree, l'attività di docenza.
  Del resto, nel citato accordo del 24 luglio 2002, nonché nella circolare del direttore generale n. 143 del 2002, è stato evidenziato che l'attività di docenza comporta per gli interessati un impegno significativamente maggiore, che esula dai normali compiti di ufficio, sia per la messa a punto del materiale didattico che per la verifica dell'apprendimento.
  È evidente che essendo il dipendente impegnato, durante l'orario di lavoro, sulle linee di produzione cui è ordinariamente adibito, le suddette attività, propedeutiche alla docenza e comunque ad essa connesse, da lui svolte quale «esperto della materia» chiamato, in quanto tale, alla docenza, devono essere necessariamente effettuate al di fuori dell'orario di lavoro.
  È, dunque, remunerata, in linea con l'orientamento giurisprudenziale richiamato, la sopra citata attività – extra lavorativa eccedente i normali compiti di ufficio – di preparazione e poi di
follow up della docenza in aula, in un numero di ore, anche nell'ottica di estremo contenimento della spesa, non eccedenti il limite del numero di ore di docenza previste dall'incarico, mentre la docenza in sé, svolta in orario di lavoro, non viene remunerata.
  Da ultimo, si fa presente che, l'istituto, nell'ottica del continuo contenimento dei costi, ha negli ultimi anni incentivato l'utilizzo delle nuove tecnologie dell'apprendimento che consentono di ottimizzare gli investimenti nella formazione (
internet, intranet, piattaforme e-learning, videoformazione), continuando, tuttavia, ad avvalersi della docenza interna quale valido strumento in grado di supportare adeguatamente e con costi molto contenuti le esigenze formative del personale.
  Si rammenta, infatti, che la recente legislazione ha imposto forti riduzioni alle spese per la formazione del personale: da ultimo si richiama l'articolo 6, comma 13, del decreto-legge n. 78 del 2010, il quale ha stabilito che, a decorrere dal 2011, la spesa annua sostenuta dalle amministrazioni pubbliche per attività di formazione deve essere non superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nel 2009.
  In tale contesto, l'istituto, anziché affidare a soggetti esterni l'attività di formazione dei dipendenti, ha fatto ricorso alla docenza interna che consente un notevole risparmio di risorse e una maggiore efficacia della formazione grazie allo specifico
know-how in possesso dei dipendenti.
  Va, infine, sottolineato che il ricorso alla docenza interna sulle materie istituzionali è anche uno strumento di valorizzazione ed allo stesso tempo di accrescimento delle professionalità esistenti nei ruoli dell'istituto, professionalità che, per l'esperienza maturata negli anni direttamente «sul campo», sono realmente in grado di formare adeguatamente i colleghi sulle linee produttive.

Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.


   RUBINATO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185, prevede, al fine di promuovere l'ampliamento della base produttiva e occupazionale, lo sviluppo di una nuova imprenditorialità nelle aree economicamente svantaggiate del Paese, nonché la diffusione di forme di autoimpiego, la concessione di una serie di incentivi in favore dell'auto imprenditorialità e dell'autoimpiego;
   in attuazione del citato decreto legislativo sono stati erogati nell'arco temporale 2000-2012 incentivi per complessivi circa 4 miliardi di euro che hanno consentito l'avvio di nuove iniziative imprenditoriali con conseguente creazione di un significativo numero di posti di lavoro per un totale di circa 180 mila nuovi occupati, oltre all'occupazione aggiuntiva creata dall'indotto di tali attività; in particolare, una percentuale significativa degli aspiranti beneficiari sono stati donne e giovani (rispettivamente il 44 per cento e il 51 per cento del totale);
   l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo dell'impresa (Invitalia), in qualità di soggetto gestore della selezione e dell'erogazione dei predetti incentivi, aveva già segnalato l'insufficienza dei fondi stanziati a tale scopo e dunque la necessità di prevedere ulteriori assegnazioni al fine, di garantire la continuità operativa delle attività oggetto dell'intervento normativo, circostanza quest'ultima riportata poi anche nella determinazione n. 15 del 2013 della sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti recante il risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria della suddetta Agenzia per l'esercizio 2011;
   nella Gazzetta Ufficiale n. 96 del 24 aprile 2013 era stato pubblicato l'avviso con cui Invitalia rendeva noto l'avvenuto esaurimento delle risorse finanziarie disponibili in riferimento agli incentivi da erogare per gli interventi sopra indicati, con conseguente impossibilità di soddisfare ulteriori domande di agevolazione;
   successivamente, in data 10 luglio scorso, il Sottosegretario De Vincenti rispondendo in Commissione X anche all'interrogazione n. 5-00283 della sottoscritta, segnalava che il Governo, con decreto-legge n. 76 del 28 giugno 2013, coordinato con la legge di conversione 9 agosto 2013, n. 99, ha stabilito l'assegnazione di complessivi 80 milioni di euro per le misure per l'autoimpiego e autoimprenditorialità, nel limite di 26 milioni di euro per l'anno 2013, 26 milioni di euro per l'anno 2014 e 28 milioni di euro per l'anno 2015;
   da numerose segnalazioni pervenute sembra che le predette risorse, peraltro già insufficienti rispetto alle necessità, non siano state ancora assegnate e le misure per l'autoimpiego e l'autoimprenditorialità siano bloccate dal mese di aprile 2013 –:
   se corrisponda al vero che si sia verificato un ritardo nell'attuazione di quanto previsto dal decreto-legge n. 76 del 28 giugno 2013, coordinato con la legge di conversione 9 agosto 2013, n. 99, e quali iniziative intenda promuovere il Ministero al fine di dare quanto prima attuazione alle misure già approvate dal Parlamento, considerata anche l'allarmante situazione dell'occupazione giovanile;
   se il Governo intenda stanziare ulteriori risorse a tal scopo utilizzando i fondi POR-FESR 2014/2020. (4-02907)

  Risposta. — Si fa riferimento all'atto di sindacato ispettivo in oggetto rappresentando quanto segue.
  Le misure per l'autoimpiego e autoimprenditorialità previste dal decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185 sono state rifinanziate, tra le altre, con il decreto legge n. 76 del 2013 volto a favorire l'occupazione, in particolare giovanile, e la coesione sociale. Il provvedimento ha accorpato all'articolo 3, comma 1, tutte le misure considerate necessarie a garantire l'efficacia dell'intervento d'urgenza compresa la lettera
a) riguardante appunto quelle previste dal decreto legislativo n. 185 del 2000.
  Tuttavia, la legge del 9 agosto 2013, n. 99, di conversione con modifiche del decreto-legge n. 76 del 2013, è intervenuta in modo sostanziale sulla lettera
b) del comma 1 dell'articolo 3.
  La nuova norma, in ordine alla misura di cui all'azione 2.2 del piano azione coesione (promozione e realizzazione di progetti promossi da giovani e da soggetti delle categorie svantaggiate per l'infrastrutturazione sociale e la valorizzazione di beni pubblici nel Mezzogiorno), ha introdotto nuovi elementi di qualificazione dei soggetti proponenti («da giovani e da soggetti delle categorie svantaggiate e molto svantaggiate») e di priorità di interventi da finanziare (beni pubblici nel Mezzogiorno con particolare riferimento ai beni immobili confiscati di cui all'articolo 48, comma 3, del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159).
  I citati interventi, modificando le qualificazioni soggettive e oggettive, non ha più consentito di dare risposta immediata al finanziamento delle numerose istanze già pervenute sugli avvisi pubblici e a cui l'amministrazione competente (individuata con delibera CIPE n. 113 del 2012 nella Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento della gioventù), aveva dato seguito. Tra i mesi di ottobre e novembre 2012 sono stati adottati i due avvisi pubblici (in fase di valutazione) per la promozione e realizzazione di progetti promossi da giovani o che prevedono, in fase di realizzazione, il coinvolgimento di giovani.
  Tuttavia, la novella dispositiva non ha solo prodotto una sospensione dell'effettiva operatività di questa misura a favore dei giovani, ma ha anche congelato l'assegnazione delle altre risorse previste per le misure di cui alle lettere
a) e c), dovendo il provvedimento di attribuzione delle somme, da parte del Ministero dell'economia e finanze, riguardare contestualmente il rifinanziamento di tutti gli interventi previsti dalle lettere a), b) e c) del comma 1 dell'articolo 3 del decreto legge n. 76 del 2013.
  Pertanto, al fine di sanare la disfunzione che ha bloccato l'intero pacchetto di risorse a favore delle misure previste al comma 1 dell'articolo 3, e tra queste anche quelle di cui alla lettera
a) (misure per l'autoimpiego e autoimprenditorialità previste dal decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185), sono stati già presentati e sono in via di ripresentazione emendamenti alla legge di stabilità.
  Le proposte sono volte a consentire, senza alcun onere aggiuntivo di finanza pubblica, la realizzazione in tempi brevi di tutte le istanze positivamente istruite a valere sugli avvisi pubblici in corso di esecuzione, nuove opportunità di inserimento sociale per i giovani tra i 14-35 armi, nonché nuove iniziative occupazionali attraverso l'impiego delle risorse derivanti dalla riduzione del cofinanziamento nazionale dei PO 2007-2013 e dalla riprogrammazione delle risorse del cofinanziamento nazionale già inserite nel piano azione coesione.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   ELVIRA SAVINO. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   secondo gli ultimi dati dell'Istat ripresi da Coldiretti durante la presentazione del primo dossier sui prodotti alimentari a basso costo («I rischi dei cibi low cost») risulta che oltre 6 famiglie italiane su 10 (62,3 per cento) hanno previsto tagli nella spesa per l'acquisto degli alimenti, con conseguenze piuttosto negative sia a livello qualitativo che quantitativo, privilegiando nell'acquisto prodotti offerti spesso a prezzi troppo bassi per essere sinceri e che rischiano di avere un impatto sulla salute;
   secondo i dati del dossier «I rischi del cibo low cost» nel 2013 gli allarmi alimentari in Italia sono aumentati del 26 per cento e quello del cibo low cost è l'unico settore a registrare un aumento delle vendite per effetto della crisi;
   nel primo trimestre dell'anno infatti si è registrato un balzo record nel numero di notifiche nazionali al sistema di allerta comunitario per la prevenzione dei rischi alimentari, rispetto allo stesso periodo di 5 anni fa, prima dell'inizio della crisi di carattere economico-finanziario che ha investito anche il nostro Paese;
   nel primo trimestre del 2013 le vendite sono aumentate solo nei discount alimentari che – secondo quanto riportato dalla Coldiretti – hanno fatto segnare un incremento del 2 per cento, mentre sono risultate in calo tutte le altre forme distributive fisse al dettaglio;
   dietro il cosiddetto cibo low cost si celano spesso ricette modificate, l'uso di ingredienti di qualità scadente o metodi di produzione alternativi. Ciò è quanto è stato affermato dal presidente della Coldiretti Sergio Marini nel sottolineare che l'80 per cento degli allarmi alimentari è stato provocato da prodotti a basso costo provenienti da Paesi che sono fuori dall'Unione europea, tra cui in primis la Cina e poi l'India e la Turchia, nazioni, cioè, dalle quali provengono ingredienti e alimenti che possono essere offerti a basso prezzo anche per le diverse regole sanitarie e ambientali in vigore, oltre che per lo sfruttamento della manodopera;
   di fronte ad una escalation di truffe ed inganni legate alla produzione alimentare, favorite anche dalla crisi economico-finanziaria, è importante investire sull'agricoltura europea anche per assicurare cibo in quantità e qualità adeguate alle esigenze dei cittadini –:
   quali iniziative i Ministri, per quanto di competenza, intendano assumere al fine di valorizzare l'agricoltura europea e garantire nel contempo la sicurezza ambientale e alimentare e la salute dei cittadini;
   se non ritengano opportuno porre in essere campagne d'informazione finalizzate alla conoscenza dei rischi legati all'acquisto e al consumo di prodotti alimentari «low cost», e delle forme di tutela che garantiscano ai cittadini un consumo alimentare basato sulla qualità. (4-02422)

  Risposta. — La sicurezza degli alimenti è un requisito fondamentale imprescindibile affinché i prodotti alimentari siano immessi nel mercato.
  L'Unione europea ha scelto di perseguire un livello molto elevato di tutela della salute nell'elaborazione della legislazione alimentare, applicandolo in maniera omogenea e prescindendo dal fatto che gli alimenti siano commercializzati attraverso «discount» alimentari (alimenti «low cost»), o in tutte le altre forme distributive presenti sul mercato.
  I controlli vengono effettuati lungo tutta la filiera produttiva, dalla produzione primaria alla trasformazione, dal magazzinaggio al trasporto e commercio, fino al consumatore.
  L'Italia garantisce l'effettuazione dei controlli ufficiali attraverso servizi veterinari ed i servizi per l'igiene degli alimenti nel servizio sanitario nazionale, affidando a professionalità specificatamente formate l'attività del controllo ufficiale in materia di sicurezza alimentare.
  Le Asl programmano i controlli in base alla valutazione del rischio correlato alle attività produttive presenti nel loro territorio. Sulla base dei risultati dei controlli, la programmazione può essere rimodulata dalla stessa ASL, oppure a seguito di indicazioni della regione o del ministero della salute.
  Nel corso del 2012, i controlli effettuati in fase di distribuzione degli alimenti sono stati in totale 81.504, di cui 45.296 effettuati dai servizi veterinari sui prodotti di origine animale, e 36.208 dai servizi di igiene degli alimenti e della nutrizione.
  Controlli supplementari vengono effettuati a seguito di allerta comunitarie.
  Si precisa, inoltre, che nel corso dello stesso anno 2012, su tutto il territorio nazionale, sono state effettuate 222.772 verifiche negli stabilimenti di produzione di alimenti di origine animale, ai sensi della vigente normativa comunitaria (regolamenti CE/882/2004 e CE/854/2004).
  Alla luce dei dati sopra riportati e considerato l'elevato numero di controlli sanitari effettuati su tutte le tipologie di alimenti, questo Ministero non ravvisa la necessità di iniziative particolari sui prodotti «low cost».
Il Sottosegretario di Stato per la salutePaolo Fadda.


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si fa riferimento alle notizie emerse sulla stampa in merito ad un trasferimento dei dipendenti della direzione regionale del lavoro di Trieste a Venezia in attuazione di una riorganizzazione che prevedrebbe una fusione delle direzioni regionali;
   va preso atto della funzione strategica della direzione di Trieste in quanto assolve fra l'altro al compito di gestire i ricorsi amministrativi, il coordinamento e il supporto tecnico-operativo nella vigilanza in materia di sicurezza e di igiene del lavoro, l'abilitazione alla professione di consulente del lavoro –:
   se corrisponda al vero quanto suesposto, in particolare se l'accorpamento delle direzioni regionali del lavoro comprenderà l'azzeramento degli uffici a Trieste e in Friuli Venezia Giulia con gravi ricadute sulla presenza dello Stato sul territorio in ordine alla gestione di un campo d'azione strategico come il lavoro. (4-02168)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla riorganizzazione degli uffici territoriali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, si rappresenta che la struttura organizzativa del Ministero è in fase di riassetto in esito al susseguirsi delle disposizioni intervenute dal 2009 ad oggi in materia di contenimento della spesa pubblica, che hanno determinato riduzioni alle dotazioni organiche e contestualmente previsto che l'amministrazione ridisegni i propri assetti strutturali sulla base dei nuovi organici ministeriali fissati in appositi provvedimenti normativi.
  Preliminarmente si evidenzia che l'attuale dotazione organica del Ministero risulta dalla Tabella n. 6 allegata al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 22 gennaio 2013 (emanato per dare attuazione alle rideterminazioni delle dotazioni organiche richieste, da ultimo, dall'articolo 2, comma 1, del decreto-legge n. 95 del 2012 cosiddetto «spending review») e prevede che gli organici dirigenziali siano determinati in:
   n. 14 posti funzione dirigenziale di I fascia;
   n. 145 posti funzione dirigenziale di II fascia.

  A seguito delle disposizioni di riduzione degli organici, quindi, l'amministrazione deve oggi effettuare tagli sui posti funzione dirigenziali di seconda fascia per un numero totale di 56: dai 201 posti funzione ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 144 del 2011 ai 145 previsti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del gennaio 2013 (si precisa, al riguardo, che la riduzione di 20 posti funzione richiesto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 7 febbraio 2012 di applicazione dell'articolo 1, comma 3, del decreto-legge n. 138 del 2011 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, e dell'articolo 21, comma 1, del decreto-legge n. 201 del 2011 cosiddetto «decreto Salva Italia», convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011 non è stata concretamente attuata sulle strutture ministeriali a causa del sopravvenire di ulteriori interventi di contenimento della spesa).
  In questo contesto, l'assetto ministeriale – ad oggi in fase di riorganizzazione – deve tenere conto dell'esigenza di garantire una efficace attività istituzionale del Ministero in ossequio ai principi costituzionali di efficienza e buon andamento dell'agire amministrativo, mantenendo comunque invariato il numero degli uffici territoriali chiamati a far fronte alle molteplici istanze di tutela, sia in ambito lavoristico che sociale.
  In tale ottica, l'assetto prospettato consente di mantenere efficiente l'amministrazione centrale, non senza comunque «sacrificio» in termini di diminuzione di posti funzione dirigenziale di seconda fascia anche per le singole direzioni generali; ciò tenuto conto che il centro è deputato, tra l'altro, alle funzioni di indirizzo e coordinamento degli uffici territoriali nonché all'attuazione delle linee di indirizzo politico e delle crescenti attività di coordinamento con le Istituzioni comunitarie.
  Al contempo la rivisitazione dell'Amministrazione non porta ad abbassare il livello di controllo delle tutele su tutto il territorio di competenza.
  Quanto all'impostazione di fondo del disegno di riorganizzazione per ciò che attiene i rapporti fra «centro» e «periferia», si segnala che il progetto di riordino del Ministero del lavoro e delle politiche sociali si muove coerentemente nell'ambito dei vincoli posti dal decreto-legge n. 95 del 2012 il quale ha, appunto, stabilito che i regolamenti di riorganizzazione debbano rideterminare la rete periferica degli Uffici su base regionale o interregionale (cosa che lo schema di decreto ha puntualmente fatto).
  Ad ogni modo, non è stata ipotizzata la chiusura di alcuna struttura territoriale (dovendo comunque far fronte alla consistente riduzione degli organici dirigenziali e non) ma è stato previsto che alcuni uffici abbiano assetto su due diverse sedi, in grado di coprire tutti gli ambiti provinciali dove è attualmente presente un ufficio ministeriale. Ciò consente di non affievolire la presenza ministeriale sul territorio senza peraltro modificare in alcun modo la logistica e la sede di servizio del personale. Non si tratta, infatti, di perseguire un puro e semplice contenimento dei costi di gestione delle sedi ma solo di un'economia legata ai posti funzione dirigenziale di seconda fascia che per effetto dei tagli evidenziati sono stati sensibilmente diminuiti (si tratta, si ribadisce, di ben 56 posti funzione).
  Da ultimo, si sottolinea che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha reso la prevista, preliminare, informativa alle Organizzazioni sindacali sulla riorganizzazione ministeriale ai sensi dell'articolo 6, comma 1, del decreto legislativo n. 165 del 2001.
  Nell'ultima riunione con le Organizzazioni sindacali tenutasi il 28 ottobre 2013 è stata resa una ulteriore informativa sull'ultima bozza di riorganizzazione che ha tenuto conto di alcune osservazioni pervenute. Nel corso della riunione dopo una breve presentazione dell'ipotesi di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, già preventivamente trasmessa ai partecipanti, sono state ascoltate le varie osservazioni sindacali ed illustrati ampiamente i motivi che hanno determinato le scelte effettuate.
  Anche se la riunione è stata indetta per la prevista «informativa», le Organizzazioni sindacali sono state invitate comunque a far pervenire ulteriori osservazioni entro il 31 ottobre al fine di valutare l'eventualità di procedere a piccole modifiche.
Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.


   SCOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   vaste aree della Campania, e in particolare i territori a nord di Napoli e a sud di Caserta, hanno subito negli ultimi trent'anni un'autentica, impietosa devastazione, soprattutto per il sistematico smaltimento illegale di rifiuti tossici provenienti dalle industrie del Nord e dal tessuto dell'economia illegale locale;
   tali eventi sono stati fatti emergere negli ultimi anni dal lavoro di magistratura, forze dell'ordine, giornalismo d'inchiesta e comitati locali;
   il 24 agosto 2013 è stata trasmessa dal canale televisivo satellitare Sky TG24 un'intervista a Carmine Schiavone, collaboratore di giustizia dal 1993 e prima elemento di spicco del clan camorristico dei Casalesi;
   nella detta intervista egli ha affermato di aver rivelato, nel corso di audizioni in commissione «Ecomafie» nel 1997, i luoghi esatti dov’è interrata l'immondizia più pericolosa, come riportato anche dall'articolo «Schiavone: “Ho detto dove sono i rifiuti tossici, non bonificano perché costa troppo”» pubblicato dall'edizione online de Il Fatto Quotidiano del 31 agosto 2013;
   Schiavone ha affermato anche d'aver segnalato la presenza nell'agro casertano di cassette di piombo con materiale nucleare provenienti dal Nord Europa, e di esser stato presente ad un sopralluogo interrotto per la presenza di livelli di radioattività troppo elevati;
   secondo il suo racconto, Schiavone avrebbe consegnato alla commissione d'inchiesta documenti e appunti con l'indicazione delle società coinvolte, delle targhe dei mezzi usati e dei luoghi degli smaltimenti, come riporta sempre il Fatto Quotidiano in data 31 agosto 2013 nell'articolo «Traffico di rifiuti, il boss pentito Carmine Schiavone: «Mie denunce inascoltate»;
   Schiavone ha dichiarato anche che in occasione delle audizioni gli sarebbe stato detto che era impossibile bonificare le aree in questione perché sarebbe stato eccessivamente gravoso per le casse dello Stato, come riferisce Il Fatto Quotidiano nel primo articolo citato;
   le deposizioni di Schiavone sono tuttora secretate, e non è possibile accertare quanto e cosa fu realmente detto, se non per quanto (poco) risulta dalle relazioni finali della commissione pubblicate nel 2001;
   le dichiarazioni rilasciate nel corso dell'intervista da Carmine Schiavone convergono con quanto negli ultimi anni affermato dall'altro pentito del clan dei Casalesi, Gaetano Vassallo –:
   se non sia opportuno fornire alla cittadinanza che rischia malattie gravi e mortali una completa informazione sui pericoli per la salute;
   se non sia urgente svolgere immediatamente analisi a tappeto nel vasto territorio indicato da Schiavone e da altri pentiti in precedenza (come il già citato Vassallo) e delle falde acquifere;
   se non si ritenga di assumere iniziative per un'immediata bonifica del territorio;
   se non si debba avviare un processo di conversione in agricoltura «no food» dei terreni interessati da coltivazioni ed allevamenti nelle aree coinvolte dallo sversamento di rifiuti tossici. (4-01771)

  Risposta. — È noto che il fenomeno dello smaltimento illegale di rifiuti mediante combustione costituisce una delle criticità più avvertita, per via dei fumi acri e mefitici che spesso si sprigionano dai roghi, in un quadrilatero di circa 800 chilometri quadrati a cavallo tra le province di Napoli e Caserta, a suo tempo battezzata «terra dei fuochi» da Roberto Saviano nel suo libro di denuncia «Gomorra».
  Su questo territorio, peraltro, risulta che a partire dagli anni ’80 – così come riferito dai collaboratori di giustizia già appartenenti al clan dei Casalesi, Gaetano Vassallo e Carmine Schiavone – sono state interrate, occultate nelle cave, sversate negli specchi e nei corsi d'acqua o bruciate, ingenti quantità di rifiuti, di vario genere e provenienza, la cui tossicità è ancora in gran parte da accertare, così come da accertare è la loro precisa localizzazione.
  Peraltro, in alcuni dei comuni localizzati nel territorio interessato si registrano, poi, situazioni di acuta difficoltà nella corretta gestione del ciclo urbano dei rifiuti con livelli insufficienti di raccolta differenziata.
  Più in generale, persistono comportamenti, purtroppo non isolati, da parte di cittadini che, per sottrarsi all'obbligo di differenziare o per altri motivi, trasportano i loro rifiuti casalinghi, spesso da un comune all'altro, abbandonandoli a bordo strada, nelle piazzole di sosta e nelle corsie di emergenza, dando luogo ad un fenomeno unico che per taluni osservatori istituzionali ha preso il nome di «lancio del sacchetto».
  Nei campi nomadi si effettua, a sua volta, in maniera quasi imprenditoriale, il recupero di materiali ferrosi e di rame, ricavandoli da elettrodomestici, quadri elettrici, cavi di rame, pneumatici, anche bruciando le carcasse, gli involucri di plastica e le gomme.
  Sullo stesso territorio, com’è noto, sono, poi, insediate numerose piccole attività economiche tessili, calzaturiere, conciarie, che per lavorare per il mercato parallelo delle contraffazioni, o comunque per evadere il fisco e violare la normativa sul lavoro, producono in nero e smaltiscono illegalmente anche gli scarti di lavorazione.
  Vi si concentrano, altresì, condotte illecite, quali l'abusivismo edilizio e l'elusione fiscale, anche in un settore come quello della vendita di pneumatici, alle quali corrisponde simmetricamente il fenomeno dello smaltimento illegale di residui edilizi, amianto e pneumatici.
  Anche in agricoltura si sono accertate sacche di smaltimento irregolare, testimoniato dalla presenza nelle campagne di teli e contenitori in plastica di piantine, fertilizzanti e fitofarmaci, che non di rado sono dati alle fiamme insieme ai residui di potatura.
  Va infine aggiunto che su alcune aree insistono siti di stoccaggio temporaneo di rifiuti, rinvenienti dalle passate e ripetute emergenze (tra essi gli oltre 5 milioni di tonnellate di eco-balle di Giugliano) che sono stati, o rischiano di diventare, da quelle «bombe ecologiche» che sono, potenziali inneschi di incendi.
  Il fenomeno così descritto trova una puntuale e quasi fotografica conferma nelle tipologie di rifiuto combusto, indicate nei rapporti dei Vigili del Fuoco: rifiuti solidi urbani, ingombranti, scarti di attività manifatturiere, industriali, agricole, edili, pneumatici.
  Questo rapido excursus è apparso necessario per opportunamente inquadrare le problematiche insistenti sul territorio considerato, peraltro note all'interrogante.
  In aggiunta a quanto sopra, e di più recente evidenza – anche e soprattutto mediatica – nel più vasto ambito della problematica della «terra dei fuochi» non si può non richiamare nuovamente l'attenzione sulle dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia, in ordine alle quali l'interrogante fa originare la propria interrogazione, nonché – per «stare sul pezzo» – al recente reportage giornalistico pubblicato sulla rivista L'Espresso relativo alle risultanze del noto studio realizzato dalla US Navy del comando USA di Napoli.
  Peraltro, la questione della «terra dei fuochi» è stata più volte affrontata da questo Ministero in sede di sindacato ispettivo.
  Già da tempo, si ricorderà, e in relazione alla sempre maggiore criticità della situazione, le competenti autorità statali e regionali reputavano necessario e improrogabile pervenire alla individuazione di un quadro generale di azioni concrete, immediate e puntuali, con l'obiettivo di sradicare un fenomeno odioso che ipotecava il presente e il futuro di un vasto territorio e della popolazione ivi residente.
  A dimostrazione di quanto la relativa problematica fosse ritenuta di rilevantissima e prioritaria importanza, in particolare, da parte del Ministero dell'ambiente, è da segnalare che sin dai primi giorni di operatività del nuovo Governo, il Ministro aveva ritenuto suo dovere prendere diretto contatto con la realtà ambientale delle aree interessate.
  Si era ritenuto sin da subito, infatti, che una più forte presenza delle istituzioni sul territorio, una maggiore sinergia tra le competenze dei vari Dicasteri coinvolti con le istituzioni locali, l'inasprimento delle pene per i reati ambientali – in particolare per i roghi dei rifiuti, l'avvio dell'attività di bonifica e risanamento, fossero i cardini dell'azione cui doveva essere improntata l'attività dello Stato, inteso nel suo complesso.
  Sin dal 2009, peraltro, presso la Prefettura di Napoli, nell'ambito delle attività della Conferenza permanente regionale veniva prevista la istituzione di un tavolo permanente, alle cui riunioni, nel corso del tempo, hanno partecipato rappresentanti delle forze di polizia, degli enti locali e delle associazioni e comitati di cittadini residenti nelle aree interessate.
  In tale contesto, non è mancata l'elaborazione di strategie di contrasto, successivamente attuate dal personale della Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di finanza, Corpo forestale dello Stato e polizie provinciali e locali, mediante l'intensificazione dei servizi di controllo del territorio e la predisposizione di specifiche e mirate attività di prevenzione e di repressione dello smaltimento illegale dei rifiuti praticato con l'accensione dei roghi.
  Stante la rilevanza del fenomeno, allora in fase di forte crescita, con proprio decreto del 26 novembre 2012 il Ministro dell'interno designava un suo incaricato per l'attivazione di iniziative di supporto e raccordo specificatamente rivolte a contrastare il fenomeno degli incendi dolosi di rifiuti nella regione Campania.
  Su iniziativa di questi, presso la prefettura di Napoli e con l'intervento della regione Campania, delle province e delle prefetture di Napoli e Caserta, di Arpa Campania e delle competenti Asl, veniva istituita il successivo 13 dicembre 2012 una cabina di regia per l'attivazione degli interventi amministrativi di integrazione e necessario corollario all'azione di contrasto in atto ad opera delle forze dell'ordine, che già operavano in tal senso anche grazie alla attivazione di gruppi operativi interforze composti da Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di finanza, Corpo forestale dello Stato, Polizia stradale, Polizia provinciale e Vigili del fuoco.
  Sulla base di quanto rilevato e ritenuto nel corso della riunioni della predetta cabina di regia nonché alla luce delle conclusioni cui perveniva la Commissione Parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti, nella cui relazione finale relativa alla regione Campania, presentata il 5 febbraio 2013, veniva evidenziato che «l'origine del fenomeno in questione... è generato dalla commistione di due elementi, cioè un diffuso e generalizzato malcostume e dalla presenza di rilevanti interessi economici che gravitano intorno al ciclo dei rifiuti e che coinvolgono certamente, in modo diretto o indiretto, la malavita organizzata», si rendeva necessario e improrogabile adottare tutte le più idonee iniziative istituzionali al riguardo. 
  Si perveniva, così, alla formalizzazione l'11 luglio 2013 a Napoli, tra le amministrazioni pubbliche interessate e con la partecipazione di associazioni ambientaliste, del «Patto per la Terra dei Fuochi».
  Detto accordo, oltre a rafforzare i vincoli e gli impegni degli aderenti per affrontare un tema così delicato, tendeva a definire un sistema unitario di interventi dove si integrano misure di carattere strutturale e misure straordinarie, attività di contrasto alle condotte illecite e attività rivolte ad affrontare i nodi amministrativi delle competenze, dell'applicazione delle norme, della disponibilità di risorse umane e strumentali, che spesso rappresentano un ostacolo per il perseguimento del risultato.
  Il suddetto patto prevedeva, inoltre, in materia di trasparenza, la libera accessibilità al portale denominato «Prometeo», realizzato presso il sito web della Prefettura di Napoli, costantemente aggiornato su tutti gli interventi e sulle misure di governo adottate avverso il fenomeno da parte delle competenti strutture pubbliche, garantendo, in tal modo, la circolarità del flusso informativo e la tempestiva individuazione dei fattori di crisi e delle aree sensibili.
  Oltre alla trasparenza delle attività, di cui si è detto, il patto promuove, sotto diversi aspetti, forme di collaborazione e partecipazione aperte alle associazioni ambientaliste, nello spirito del principio dell’open government, valorizzando, così, il rapporto di fiducia tra le istituzioni e la popolazione residente.
  A testimonianza della bontà della via intrapresa e della percezione diffusa dell'utilità e dell'efficacia degli strumenti di prevenzione e contrasto messi in atto, numerose amministrazioni comunali delle province di Napoli e Caserta, non ricomprese tra quelle originariamente firmatarie del patto, hanno successivamente chiesto di potervi aderire.
  A completamento, poi, delle iniziative di competenza, la Giunta della Regione Campania aveva approvato nello scorso mese di luglio un apposito disegno di legge contenente le prime misure straordinarie per la prevenzione e la lotta al fenomeno incontrollato dell'abbandono dei rifiuti e alla pratica dei roghi illegali finalizzate ad una maggiore tutela della salute dei cittadini campani e ad una adeguata tutela del patrimonio ambientale e paesaggistico. Detto disegno di legge è stato quindi approvato alla unanimità dal Consiglio regionale il 20 novembre 2013 e divenuta legge regionale n. 20 del 9 dicembre 2013 recante «Misure straordinarie per la prevenzione e la lotta al fenomeno dell'abbandono e dei roghi di rifiuti», pubblicata sul Bollettino Ufficiale regione Campania n. 20 del 9 dicembre 2013.
  Premesso quanto sopra, e da segnalare che sin dai primi giorni di operatività del nuovo Governo e nel corso degli incontri con le Autorità e con la popolazione locale, pur nel prendere atto e apprezzare le iniziative sino ad allora adottate, e come sopra riferite, per contrastare l'illecito incenerimento dei rifiuti abbandonati, questo Dicastero aveva ritenuto opportuno promuovere un maggior controllo del territorio attraverso una più intensa presenza del nucleo operativo ecologico. E questo, anche al fine di consentire di svolgere ulteriori verifiche su alcuni episodi più gravi a suo tempo raccontati dall'ex boss Carmine Schiavone, senza, tuttavia, che venisse rilevata alcuna novità rispetto a quanto già a conoscenza degli inquirenti.
  Peraltro, anche in relazione agli impegni che aveva assunto questo Ministero in occasione dei primi incontri con le Autorità e la popolazione locale, non appare inopportuno segnalare le iniziative più rilevanti successivamente adottate.
  Per prima cosa, tenuto conto che il «combustibile» più utilizzato è rappresentato dalle carcasse degli pneumatici, si era preso l'impegno di favorire un intervento coordinato tra gli enti locali interessati e il Consorzio per il riciclaggio dei pneumatici usati (Ecopneus). E, infatti, lo scorso 20 giugno è stato firmato il «Protocollo per la raccolta straordinaria di pneumatici fuori uso nella terra dei fuochi» dalle prefetture e i comuni di Napoli e Caserta, dall'incaricato del Ministero dell'interno per la terra dei fuochi e da alcuni soci di Ecopneus per realizzare un'azione concreta nel territorio interessato, consistente nel prelievo e invio al riciclo dei pneumatici fuori uso abbandonati, sottraendoli così al rischio di essere utilizzati per alimentare il fenomeno dei righi tossici per la loro capacità di combustione resistente e prolungata.
  Il sistema, peraltro, risulta essersi messo oramai a regime. Allo stato, proseguono i prelievi a Napoli, presso il sito di Montagna Spaccata; è stato effettuato nelle scorse settimane un intervento a Caivano, mentre per il sito storico di accumulo di Scisciano (Napoli) sono state ultimate, a fine novembre, le attività di recupero delle oltre 8 mila tonnellate di pneumatici fuoriuso che per circa 23 anni erano rimaste in un'area privata in stato di abbandono, esposte al rischio di incendio, nonostante i ripetuti tentativi dell'amministrazione comunale di intervenire per farle rimuovere.
  Ad oggi, si stima siano stati raccolti e avviati al riciclo, in attuazione del citato protocollo, oltre 1 milione di pneumatici. Di questi, oltre i 2/3 sono stati avviati al recupero di materia e solo 1/3 a recupero di energia. Il «polverino» di gomma ottenuto dalla lavorazione dei pneumatici fuoriuso raccolti è previsto che venga messo gratuitamente a disposizione per progetti di pubblica utilità (strade, installazioni sportive, aree gioco per bambini, e altro) dei comuni aderenti che ne faranno richiesta.
  Si prevede, da ultimo, che le risorse economiche rese disponibili nel bilancio Ecopneus saranno in grado di finanziare interventi che porteranno alla raccolta straordinaria di circa 13 mila tonnellate di pneumatici fuoriuso mentre prosegue regolarmente in Campania la raccolta ordinaria presso i 2 mila punti di generazione di questi rifiuti con un totale di pneumatici fuori uso pari a circa 22 mila tonnellate/anno.
  Al fine, poi, di facilitare i controlli rimessi alle competenti autorità, con il decreto-legge 21 giugno 2013 n. 69, recante: «Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia», convertito con modificazioni, con la legge n. 98 del 9 agosto 2013, è stato introdotto, su proposta di questo Ministero, il divieto temporaneo di importazione nella regione Campania dei rifiuti speciali e di rifiuti urbani pericolosi, limitatamente a quelli destinati allo smaltimento. Tale divieto, motivato dalla situazione di rischio sanitario e ambientale connesso al mancato completamento degli impianti del ciclo dei rifiuti previsti nel piano regionale, mira ad impedire che il «peso» dei rifiuti speciali e di quelli urbani pericolosi nella regione sia aggravato dal carico di quelli importati.
  Per quanto attiene al fronte della tracciabilità dei rifiuti, è già previsto che il Sistri, di prossima attivazione, venga attuato in Campania anche per il controllo dei flussi dei rifiuti solidi urbani oltre che per quelli industriali.
  A fronte di tali iniziative già concretizzatesi con i pertinenti provvedimenti e i cui effetti positivi non mancheranno di manifestarsi, si ritiene, già in tempi brevi, non si può omettere di sottolineare le iniziative poste in essere da questo Ministero volte a sollecitare i vertici delle Istituzioni interessate alla adozione di ogni utile iniziativa volta a contrastare, in via diretta e indiretta, il grave fenomeno dei roghi e delle conseguenze, anche di natura sanitaria, da essi recate.
  Nei confronti della regione Campania, per quanto riguarda il completamento delle iniziative di competenza per la realizzazione del ciclo integrato dei rifiuti, così come previsto nel pertinente Piano Regionale, indispensabile per migliorare la situazione ambientale regionale e, non ultimo, per superare le contestazioni avanzate dalla Commissione europea nell'ambito di diverse procedure d'infrazione.
  Dal punto di vista della salute, è stato avviato con l'istituto Superiore di Sanità e la regione Campania un progetto di sistematizzazione dei dati sanitari e ambientali dei territori campani, frazionale all'individuazione delle aree per le quali sono necessari ulteriori approfondimenti. Il percorso progettuale multidisciplinare (ambientale, epidemiologico, tossicologico) tenderà a verificare le possibili connessioni tra lo stato dell'ambiente e la salute dei cittadini. Il Ministro della salute onorevole Lorenzin, ha assicurato in più occasioni l'intenzione di assumere presto le più opportune iniziative, condividendo la considerazione che una emergenza del genere non può essere rimessa alla buona volontà del Ministro di turno ma è un problema strutturale che richiede una azione dello Stato con un orizzonte pluriennale che impegna l'Amministrazione nel suo complesso. E per questo motivo che si è ritenuto opportuno, all'uopo, sollecitare l'introduzione di strumenti particolari di monitoraggio sanitario, in particolare finalizzati alla rilevazione di patologie connesse agli effetti dell'inquinamento ambientale.
  Nella considerazione, poi, che parallelamente alla lotta all'emergenza debbano avviarsi iniziative di carattere strutturale che vadano a colpire i punti nevralgici che hanno consentito al fenomeno di svilupparsi con tale virulenza, veniva istituito presso questo Ministero un qualificato gruppo di lavoro, coordinato dal Gip casertano dottor Piccirillo, affinché venisse predisposta una bozza di normativa per la riforma delle sanzioni concernenti i reati ambientali, ritenendo che la normativa penale in tale materia potesse essere utilmente rivista e aggiornata. A questo specifico proposito, il Ministro della giustizia aveva assicurato la massima disponibilità ad una analisi congiunta delle pertinenti proposte al fine di introdurre al più presto questo tipo di riforma all'interno del codice penale.
  In esito alle iniziative adottate, e come sopra riferite, non può non segnalarsi, per concludere, che la risposta più idonea che si può rendere all'atto di sindacato ispettivo che si riscontra è rappresentata dalla avvenuta approvazione nel corso del Consiglio dei ministri del 3 dicembre 2013 di un piano di azione per l'emergenza della «terra dei fuochi», e altre emergenze ambientali e industriali.
  Detto piano, concretizzatosi con l'avvenuta approvazione del decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136 recante «Disposizioni urgenti dirette fronteggiare emergenze ambientali e industriali ed a favorire lo sviluppo delle aree interessate», pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 289 del 10 dicembre 2013, interviene a tutela dell'ambiente, della salute e della qualità delle coltivazioni. Si prevedono il monitoraggio e la classificazione dei suoli, l'accertamento dello stato dell'inquinamento dei terreni, la riforma dei reati ambientali, l'accelerazione e la semplificazione degli interventi necessari, oltreché risorse per le bonifiche indispensabili per territori a forte condizionamento criminale quale è quello della «terra dei fuochi».
  In particolare, e per quanto qui maggiormente interessa, si richiama l'attenzione sulle previsioni degli articoli 1 e 2, laddove ci si propone di fare fronte al gravissimo allarme sociale provocato dalla diffusione di notizie sullo stato di contaminazione dei terreni agricoli campani e su eventuali pericoli per la salute umana.
  È previsto, in particolare, che il Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura, l'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, l'istituto superiore di sanità e l'Agenzia regionale per la protezione ambientale in Campania, svolgano le indagini tecniche per la mappatura dei siti inquinati secondo gli indirizzi comuni e le priorità definiti con apposita direttiva.
  E questo perché è urgente e fondamentale acquisire una fotografia ufficiale della situazione attraverso una mappatura delle aree, che individui quelle interessate da fenomeni da inquinamento – anche conseguenti ai fatti criminosi riferiti dai malavitosi pentiti – tali da rendere necessario un deciso intervento pubblico.
  I risultati scientifici così acquisiti consentiranno, quindi, di perimetrare definitivamente i terreni in modo da sfatare una volta per tutte gli infondati timori che tutti i prodotti della Campania siano contaminati e che tutti i terreni destinati all'agroalimentare della regione siano pregiudicati da gravi fenomeni di inquinamento.
  Attraverso tale strumento normativo potranno inoltre essere coordinati e raccordati utilmente tutti i dati conoscitivi già a disposizione ma che necessitano di essere coordinati e unificati. In tale specifico ambito, pertanto, deve ricondursi lo sprone formulato dagli interroganti laddove auspicano la realizzazione delle urgenti verifiche per individuare le aree interessate dai possibili interramenti di rifiuti tossici.
  Uno degli obiettivi perseguiti sarà poi quello di adottare un programma straordinario e urgente di interventi finalizzati alla tutela della salute, alla sicurezza, alla bonifica dei siti nonché alla rivitalizzazione economica dei territori ove si sono riscontrate concentrazioni di inquinanti tali da renderli inidonei alla produzione agroalimentare.
  Per quanto attiene alla questione delle bonifiche dei siti campani, è prevista la costituzione di un comitato interministeriale e di una commissione con il compito di individuare e potenziare azioni e interventi di monitoraggio e tutela da realizzarsi nell'area della regione Campania.
  L'azione della commissione avrà lo scopo di semplificare e accelerare le procedure per l'attuazione degli interventi di bonifica dei territori. Sarà così possibile per la realizzazione degli stessi fare ricorso allo strumento giuridico del contratto istituzionale di sviluppo proprio al fine di accelerare e garantire la qualità della spesa pubblica. Si prevede, inoltre, la possibilità di finanziare il programma, oltre che con le disponibilità ordinarie, anche mediante l'utilizzo del piano operativo regionale Campania 2007-2013 (fondi strutturali), del piano di azione e coesione, nonché mediante misure che saranno adottate nella programmazione 2014-2020.
  Preme, in conclusione, sottolineare che le iniziative appena riferite non rappresentano mere intenzioni ma provvedimenti concreti adottati dal Governo per far fronte alla rilevantissima crisi ambientale accertata nell'area della cosiddetta «terra dei fuochi».
Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   SIBILIA, MANLIO DI STEFANO, TONINELLI, MICILLO, TERZONI, SEGONI e LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 16 novembre 2011 la società Terna Rete Elettrica Nazionale SPA ha presentato al Ministero dello sviluppo economico e al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare l'istanza, con relativo progetto, per la realizzazione di un nuovo collegamento a 380 kv tra le stazioni elettriche di Deliceto e Bisaccia;
   con nota prot. 0001189 del 18 gennaio 2012 il Ministero dello sviluppo economico ha comunicato l'avvio del procedimento relativo all'opera in oggetto;
   l'intervento suddetto è costituito dall'elettrodotto aereo a 380 kv in semplice terna dall'esistente stazione elettrica di Bisaccia all'esistente stazione elettrica di Deliceto della lunghezza di circa 35 chilometri e dalla Variante all'esistente elettrodotto aereo 150 kv Bisaccia-Lacedonia;
   le suddette opere interessano le regioni Campania e Puglia ovvero, nello specifico, le province di Avellino e Foggia con i comuni di Bisaccia, Lacedonia, Rocchetta Sant'Antonio, Sant'Agata di Puglia e Deliceto;
   in data 12 giugno 2012 il Comitato Ambiente e Territorio del comune di Bisaccia e Legambiente regione Campania hanno fatto pervenire al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare le osservazioni sullo studio di impatto ambientale in cui si rilevano, ai fini di un parere negativo:
    a) l'assenza di informazione. La popolazione è venuta a conoscenza dell'opera solo nella fase conclusiva della procedura di valutazione ambientale strategica (VAS) a seguito del deposito degli atti finalizzati al rilascio della valutazione di impatto ambientale (VIA) e il contestuale avvio del procedimento per l'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio e all'imposizione in via coattiva della servitù di elettrodotto. Ciò in contrasto con la «Convenzione di Aarhus» del 25 giugno 1998, ratificata con legge n. 108 del 16 marzo 2001, che all'articolo 6 prescrive per la costruzione di elettrodotti aerei con voltaggio pari o superiore a 220 kv e lunghezza superiore a 15 km che «ciascuna Parte provvede affinché la partecipazione del pubblico avvenga in una fase iniziale, quando tutte le alternative sono ancora praticabili e tale partecipazione può avere un'influenza effettiva»;
    b) la mancata approvazione della fascia di fattibilità dell'intervento. Il consiglio comunale di Bisaccia (Avellino) prima con deliberazione n.10 del 27 aprile 2012 ha contestato la procedura seguita da Terna, poi con delibera n. 11 del 15 maggio 2012 ha annullato gli atti precedentemente approvati. Il consiglio comunale di Lacedonia (Avellino) non ha approvato il protocollo d'intesa finale. La provincia di Avellino ritiene di non aver mai approvato la fascia di fattibilità all'interno della procedura di valutazione ambientale strategica (VAS);
    c) l'assenza di tutela dell'ambiente. Il tracciato dell'elettrodotto attraversa, nella parte più a nord del territorio di Bisaccia, zone di alto pregio naturalistico quasi del tutto incontaminate e caratterizzate dalla presenza di flora e fauna particolari, inclusa la fauna migratoria, del tutto particolari. Il deturpamento del paesaggio, già contrassegnato dalle interferenze dei parchi eolici, condizionerebbe irreversibilmente l'economia locale che si fonda sulla produzione agricola di qualità;
    d) la mancata razionalizzazione della rete. Il tracciato in questione si affianca per l'intero tratto Bisaccia-Lacedonia (chilometro 12,7) all'esistente elettrodotto da 150 kv. I due elettrodotti si incrociano in località Setoleto, in agro di Bisaccia, e corrono persino paralleli e a breve distanza per circa 2 chilometri. Si tratta di uno spazio considerevole sottratto alle attività umane, che pesa sull'equilibrio socioeconomico della comunità e che procura un impatto notevole, senza neppure valutazioni alternative e più sostenibili per il territorio, come si conviene per opere di alto valore strategico e di rilevante impegno economico;
    e) la sommaria valutazione dei CEM. L'elettrodotto attraversa numerosi campi eolici funzionanti e aree destinate ad ospitare campi eolici con autorizzazioni in corso di perfezionamento. Si impone,quindi, una valutazione generale dell'effettiva esposizione della popolazione locale ai campi elettromagnetici;
    f) presenza di aree delimitate dall'autorità di bacino della regione Puglia PG2 e PG3. Il progetto prevede la realizzazione di 29 tralicci nel territorio del comune di Bisaccia, ricadenti nelle porzioni di territorio classificate dal piano di assetto idrogeologico dell'autorità di bacino della regione Puglia a elevata pericolosità geomorfologica PG2;
    g) l'assenza di analisi del valore, recepita quale metodologia per la redazione di progetti ed opere pubbliche complesse dal regolamento di esecuzione ed attuazione del codice degli appalti per opere e servizi pubblici (articolo 15, decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 5 ottobre 2010). Nelle schede che descrivono le caratteristiche generali dell'intervento, unitamente al costo dell'infrastruttura, dovrebbero essere stimati i costi associati alle entità economiche derivate dall'intromissione in «aree agricole di pregio» e in «aree di pregio per la biodiversità». Nella analisi e definizione dei costi e dei benefici, invece, non è stato preso in esame il «costo globale dell'intervento», che per le opere pubbliche deve includere tutti gli elementi di costo anche le cosiddette «esternalità ambientali»; in data 8 settembre 2013 il Comitato ambiente e territorio del comune di Bisaccia e Legambiente regione Campania hanno fatto pervenire al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare le osservazioni sullo studio di impatto ambientale (a seguito della ripubblicazione del progetto con scadenza della presentazione delle osservazioni il 9 settembre 2013) in cui si rilevano, ai fini di un parere negativo:
    a) l'errata valutazione dei CEM e l'assenza del principio di precauzione. Nelle integrazioni allo studio di impatto ambientale i tecnici di Terna SPA dichiarano che «non potendosi determinare un valore storico di corrente per un nuovo elettrodotto, nelle simulazioni, a misura di maggior cautela, si fa riferimento per la mediana nelle 24 ore in condizioni di normale esercizio, alla corrente in servizio normale definita dalla norma CEI 11-60 per il periodo freddo riferito alla zona climatica B». Come dire che il gestore unico della rete elettrica nazionale non dispone di un valore storico di riferimento. Le indicazioni che provengono dal complesso degli studi più recenti evidenziano la necessità di un approccio cautelativo per queste tematiche, come contenuto in uno dei più rappresentativi documenti scientifici denominati BioInitiative Report, redatto nel 2007 in materia di effetti biologici e sanitari prodotti dai campi elettromagnetici;
    b) il mancato rispetto della programmazione territoriale regione Puglia. La proposta di piano paesaggistico territoriale della regione Puglia (PPTR) è stato adottata con delibera di giunta regionale n. 1435 in data 2 agosto 2013 e pubblicata sul BURP n. 108 del 6 agosto 2013. Le norme tecniche di attuazione adottate con la citata delibera della giunta della regione Puglia all'articolo 105 individuano le «Misure di salvaguardia»;
    c) la mancata approvazione della fascia di fattibilità da parte degli enti locali;
    d) l'assenza di conoscenze faunistiche per un'opera a forte impatto ambientale. Tutti gli studiosi riconoscono il territorio soggetto alla realizzazione dell'elettrodotto come spazio necessario alle rotte migratorie di uccelli di rara bellezza come gru, cicogna nera, aironi e così via. La loro presenza si è ridotta enormemente anche per l'eccessiva invadenza elettrica e probabilmente la realizzazione di questa opera che grava su un importante corridoio ecologico ne comporterà la definitiva scomparsa del fenomeno migratorio;
   in data 25 settembre 2013 l'interrogante, insieme ad una delegazione del Comitato ambiente e territorio di Bisaccia, ha incontrato presso il dicastero dell'ambiente i consiglieri del Ministro, rappresentando tutte le criticità e perplessità nella progettazione di cui all'oggetto –:
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno, nell'ambito dell'esercizio dei poteri di competenza:
    a) convocare, con urgenza, un tavolo di confronto con la società Terna SPA, le amministrazioni locali, i comitati civici e le associazioni portatrici di interessi, gli enti sovracomunali;
    b) valutare la possibilità di una revoca dell'intero progetto iniziale, viste le numerose osservazioni critiche sollevate, o, in subordine, di una sua sospensione per procedere ad un approfondito studio sull'impatto ambientale, con conseguente accertamento dei rischi sia per la salute umana sia per l'ambiente;
    c) rimodulare il progetto iniziale, qualora questo non venga sospeso o revocato, apportando sostanziali modifiche ed eliminando tutti i rilievi critici sollevati, nel pieno rispetto del fondamentale principio di precauzione, troppo volte disatteso nella costruzione di opere pubbliche ad alto rischio ambientale. (4-02095)

  Risposta. — In merito all'atto di sindacato ispettivo in esame, concernente l’«Elettrodotto Bisaccia-Deliceto», si rappresenta quanto segue.
  Il 3 aprile 2012 la Spa Terna Rete Italia ha presentato l'istanza per la valutazione di impatto ambientale per l’«Elettrodotto a 380 KV dalla SE di Bisaccia alla SE di Deliceto ed opere connesse» e il 4 maggio 2012, dopo la trasmissione, da parte della società, della documentazione mancante, è stato dato avvio all'istruttoria tecnica.
  La partecipazione del pubblico è stata assicurata nei termini di legge mediante i previsti avvisi sui quotidiani, due a diffusione nazionale e due a diffusione regionale, e la pubblicazione della relativa documentazione sul sito web del Ministero. Tutte le osservazioni del pubblico, i pareri e le determinazioni degli enti locali, unitamente alle controdeduzioni del proponente, sono, poi, considerate nell'ambito dell'istruttoria tecnica.
  In data 12 giugno 2012, il Ministero dell'ambiente, acquisita la nota con la quale il Presidente del Comitato «Ambiente e Territorio» ha trasmesso le osservazioni relative al progetto, la ha pubblicata sul portale delle valutazioni ambientali dello stesso Ministero e inoltrata alla Commissione VIA, che, ai sensi di legge, dovrà tenerne conto per la formulazione del parere.
  Il 9 aprile 2013, richiamando le indicazioni fornite dalla commissione Via sulla base dell'esame della documentazione ed a seguito di un sopralluogo e di riunioni tecniche con la società, è stata trasmessa al proponente formale richiesta di integrazioni, comprese quelle richieste dall'Autorità di bacino della Puglia e di depositare la documentazione integrativa presso i competenti uffici, dando comunicazione dell'avvenuto deposito tramite avvisi al pubblico a mezzo stampa.
  In particolare, con riferimento alle criticità segnalate nell'interrogazione, la Commissione tecnica valutazione ambientale ha chiesto al proponente di fornire approfondimenti in merito ai seguenti aspetti: 
   coerenza del progetto con gli strumenti programmatici e pianificatori ed, in particolare, con il piano paesaggistico territoriale regionale Puglia e la pianificazione, la normativa dei bacini in materia di rischio idraulico, di difesa alluvionale e di rischio frane, le reti ecologiche individuate a livello regionale e provinciale, con particolare riferimento al corridoio fluviale del fiume Calaggio;
   interferenze con vincoli ambientali e paesaggistici;
   studi di incidenza per i siti ubicati entro un raggio di 5 chilometri ed in particolare: zona di protezione speciale «Boschi e Sorgenti della Baronia» in Puglia, e il sito di interesse comunitario Boschi di Guardia dei Lombardi e Andretta» in Campania;
   la «Opzione Zero» e le motivazioni dell'opera;
   alternativa di tracciato che elimini le interferenze con l'ambito del fiume Calaggio, interferenze con aree boscate e riduzione dell'impatto paesaggistico;
   ambiente idrico: aree a rischio esondazione e fasce di rispetto dei corsi d'acqua, aree normate dai piani di assetto idrogeologico;
   impatti connessi all'escavazione ed ai movimenti di terra per le componenti vegetazione e flora;
   componente fauna: eventuale presenza di specie protette ed eventuale collocamento del corridoio interessato dalla realizzazione dell'elettrodotto all'interno di zone interessate da rotte di migrazione dell'avifauna;
   interferenze con il paesaggio;
   campi elettromagnetici;
   descrizione del «patrimonio agroalimentare» di particolare qualità e tipicità nelle aree potenzialmente impattate dall'opera in progetto.

  La Commissione ha chiesto, inoltre, approfondimenti in merito alla componente rumore, alla sismicità delle aree, alle misure di monitoraggio che si intendono attuare e alle opere di mitigazione.
  Il 5 luglio 2012 sono pervenute le integrazioni richieste, del cui deposito è stato dato avviso al pubblico nelle forme di legge sopra richiamate.
  A seguito di tale pubblicazione sono pervenute altre osservazioni del pubblico, pareri e determinazioni di enti locali, trasmessi, poi, alla Commissione tecnica per le valutazioni di competenza.
  Ad oggi l'istruttoria tecnica è ancora in corso presso la Commissione Via e, al momento, non sono ancora pervenuti i pareri del Ministero dei beni ed delle attività culturali e del turismo e delle regioni Campania e Puglia.
Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   TACCONI, GRANDE, SPADONI, MANLIO DI STEFANO, SCAGLIUSI, DEL GROSSO, SIBILIA, DE LORENZIS e DI BATTISTA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   i rapidi cambiamenti del mercato del lavoro ed in particolare il massiccio flusso di emigrazione che si sta registrando negli ultimi tempi richiedono risposte immediate per la tutela del lavoro umano sia per i fortunati che riescono a trovare in Italia un accettabile livello occupazionale, sia per quelli che l'attuale congiuntura economica spinge a lasciare il nostro Paese per cercare oltre confine il lavoro che qui manca. Le recenti statistiche sulla disoccupazione giovanile non fanno ben sperare che questa emorragia di risorse possa arrestarsi in tempi brevi. Proprio per questo è quindi necessario intervenire con tutti gli strumenti possibili per favorire, da una parte, un'inversione di tendenza rispetto alle politiche migratorie degli ultimi anni che, troppo preoccupate dell'aspetto ragionieristico del contenimento della spesa, hanno causato un progressivo smantellamento delle attività a favore delle nostre collettività di vecchia emigrazione, dall'altra per venire incontro alla richiesta di aiuto che i «nuovi migranti» pongono alla sensibilità del Paese;
   si tratta soprattutto di giovani che, nonostante un'ottima formazione culturale e professionale (in molti casi si tratta di veri e propri «cervelli in fuga»), non sempre sono in grado, da soli, di far fronte alle sfide che il radicale cambiamento della loro condizione impone in termini di piena integrazione nelle società di accoglimento;
   si tratta di persone sconosciute all'AIRE, che come punto di riferimento non hanno certamente i Consolati, o i COMITES e le associazioni locali, ma solo il web e i social network, con l'evidente solitudine che tali nuovi «interlocutori» generano al di là dell'apparente tentativo di coinvolgimento e di inclusione;
   resta imperativo per l'Italia far sentire ai nuovi come ai vecchi migranti la vicinanza del Paese non soltanto per offrire loro aiuti concreti, ma anche – è il forte e convinto auspicio – per far riscoprire loro una ragione in più per sentirsi orgogliosi di appartenere ad un grande Paese. È attraverso tali sentimenti di appartenenza, infatti, che si rinsaldano i vincoli, non solo affettivi, con l'Italia che, pur avendo investito sulla loro formazione, rischia invece, a causa di politiche migratorie inadeguate, di vedersi irrimediabilmente sfuggire importanti risorse umane e, in definitiva, economiche;
   rispetto al fenomeno della nuova emigrazione si è finora fatto poco o niente per conoscerlo a fondo e poter programmare efficaci interventi normativi ed operativi. In sostanza non si conosce nemmeno l'esatta entità del fenomeno, condizione essenziale per l'elaborazione di politiche che possano promuovere azioni tempestive e qualificate a favore dei soggetti interessati, alla luce di dati certi e di una lettura non lacunosa dei fenomeni che viviamo;
   si ravvede pertanto la necessità di un monitoraggio puntuale ed efficiente del fenomeno e delle dinamiche che vi sottendono che dovrebbe dotare le competenti amministrazioni di uno strumento conoscitivo che faccia stato dell'entità dei flussi migratori, delle caratteristiche della nuova emigrazione, delle fasce di età dei soggetti coinvolti, del titolo di studio posseduto, del tipo di lavoro di cui sono alla ricerca, dei paesi verso i quali si dirigono, eccetera, per la costituzione di una banca dati immediatamente utilizzabile per l'elaborazione di politiche mirate –:
   se, a fronte dei nuovi flussi migratori, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, e il Ministro degli affari esteri, ciascuno per le questioni di propria competenza e in raccordo tra di loro, intendano procedere ad un'apposita anagrafe del fenomeno sulle direttrici sopra accennate, anche attraverso la firma di accordi di cooperazione bilaterale con gli Stati esteri interessati. (4-01632)

  Risposta. — Con l'interrogazione parlamentare in esame si pone all'attenzione del Governo il problema della disoccupazione giovanile, la recente «nuova» emigrazione e, in particolare, la necessità di un adeguato monitoraggio di tale fenomeno.
  Tenuto conto di quanto previsto dalla legge n. 470 del 1988, relativa all'istituzione dell'Aire – Anagrafe dei cittadini italiani residenti all'estero – il monitoraggio da parte delle sedi diplomatico – consolari dei flussi emigratori italiani, incluso quello degli italiani di età compresa tra i 18 e i 40 anni, avviene nella misura in cui i cittadini italiani che si trasferiscono all'estero richiedono l'iscrizione all'Aire. La citata legge stabilisce il dovere di iscriversi all'Aire per tutti i cittadini italiani che trasferiscono la loro residenza all'estero per periodi superiori a dodici mesi e che tale iscrizione costituisce prerequisito necessario per fruire di alcuni servizi consolari e per poter esercitare il diritto di voto all'estero. A ciò occorre aggiungere che la rete diplomatico – consolare presta assistenza a tutti i cittadini che si rivolgono ai propri uffici, anche per via telematica, a prescindere dalla loro iscrizione all'Aire.
  Tenuto conto che i fenomeni migratori che interessano il nostro Paese negli ultimi tempi presentano caratteristiche in parte differenti da quelle dell'emigrazione tradizionale, le sedi diplomatico – consolari utilizzano tutti i canali a loro disposizione, compresi quelli relativi alle nuove tecnologie dell'informazione e i social-media, per entrare in contatto anche con i connazionali emigrati rappresentanti delle nuove generazioni. Tali contatti si rivelano di particolare utilità anche per le stesse sedi, al fine di acquisire maggiori informazioni sui fenomeni migratori e la nuova mobilità internazionale.
  Il Ministero degli affari esteri attraverso la rete diplomatico – consolare mantiene i rapporti con tutti gli organismi rappresentativi degli italiani all'estero e con le associazioni, comprese quelle regionali, ove presenti. Ai sensi dell’ articolo 45 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967 gli Uffici consolari, svolgono, tra le altre funzioni, quelle volte a favorire le attività educative, assistenziali e sociali presso la collettività italiana e promuovono, assistono, coordinano e, nei casi previsti dalla legge, vigilano l'attività delle associazioni, delle Camere di commercio, degli enti italiani. In tale ambito è stata avviata dal Ministero degli affari esteri una ricognizione delle associazioni italiane all'estero per pervenire ad un quadro aggiornato della realtà associativa, in vista di una possibile inclusione anche delle associazioni che sono riflesso delle recenti migrazioni per valorizzarne le esperienze più concrete e positive.
  Si rappresenta, altresì, che presso la direzione generale per le politiche dei servizi per il lavoro di questa amministrazione è incardinato il coordinamento nazionale di Eures (European Employment Services) che è la rete europea dei servizi per l'impiego, cui partecipano anche i sindacati e le organizzazioni dei datori di lavoro. La mission della rete Eures è quella di informare lavoratori e aziende sulle possibilità di vivere un'esperienza di lavoro in un altro Paese dell'Unione europea e di avvalersi delle professionalità di lavoratori con competenze diverse, nell'ambito del mercato del lavoro europeo. Detta rete, infatti, ha l'obiettivo di migliorare il mercato del lavoro europeo stimolando l'occupazione attraverso una maggiore mobilità europea dei lavoratori, nonché facilitare la libera circolazione all'interno dello spazio europeo e promuovere l'incontro tra domanda e offerta di lavoro. Appare opportuno precisare che Eures non si occupa di flussi migratori, ma di azioni di supporto alla mobilità internazionale dei lavoratori, al fine di valorizzarne le capacità e aumentarne l'occupabilità.
  Si tratta di una mobilità circolare che mira a realizzare un flusso di ritorno, rendendo appetibile il mercato del lavoro italiano anche per i giovani stranieri, tramite la realizzazione di progetti di partnership con altri Stati membri.
  Il coordinamento nazionale Eures, in particolare, ha il compito di pianificare annualmente le strategie e le attività della rete nazionale Eures e di monitorarne i risultati, attraverso i rapporti redatti dai consulenti Eures sul territorio, sulle singole azioni svolte, e tramite un monitoraggio che i consulenti sono tenuti ad effettuare periodicamente, relativo alla loro attività di informazione (sul vivere e lavorare in altri paesi, sulle opportunità di lavoro o di lavoratori in Europa) e all'attività di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro a livello europeo.
Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.


   TENTORI e FRAGOMELI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 2 ottobre 2012 il Sottosegretario al lavoro e alle politiche sociali pro tempore, Michel Martone rispondeva in Commissione lavoro all'atto di sindacato ispettivo n. 5-06869 delle onorevoli Schirru, Gnecchi e Codurelli che poneva all'attenzione del Governo la questione della maggiorazione contributiva per i lavoratori con invalidità in aspettativa sindacale. Nello specifico veniva citata la circolare INPS n. 29 del 30 gennaio 2002 concernente i benefìci di cui all'articolo 80, comma 3, della legge n. 388 del 2000, che pregiudicherebbe la posizione previdenziale di quei lavoratori sordomuti o gravemente disabili che svolgano attività sindacale in posizione di distacco, tenuto conto che nei loro confronti la contribuzione figurativa accreditata per legge per periodi di aspettativa sindacale non viene valutata ai fini del riconoscimento del beneficio della maggiorazione contributiva disposto dalla norma legge n. 388 del 2000;
   la legge n. 388 del 2000 (articolo 80, comma 3) consente, infatti, ai lavoratori invalidi ai quali viene riconosciuta un'invalidità superiore al 74 per cento o sordomuti, di usufruire di un beneficio di due mesi di contribuzione figurativa nella misura di due mesi per ogni anno di lavoro fino ad un massimo di 5 anni, utili ai fini pensionistici e dell'anzianità contributiva; la norma in esame riconosce il diritto alla maggiorazione «...per ogni anno di servizio effettivamente svolto, presso pubbliche amministrazioni o aziende private ovvero cooperative (...)»;
   i lavoratori in aspettativa sindacale svolgono di fatto un'attività lavorativa: per questo sono assicurati contro gli infortuni sul lavoro ed è stato garantito loro il diritto alle prestazioni economiche previdenziali quali indennità di malattia, tubercolosi e maternità. Inoltre, il lavoratore in distacco sindacale svolge regolare attività lavorativa sotto le direttive e per le finalità dell'organizzazione sindacale presso cui lavora o ricopre la carica elettiva. Il valore figurativo per il calcolo dell'accredito è computato sulla retribuzione prevista dal contratto in essere al momento del collocamento in aspettativa;
   alcune circolari dell'INPS prevedono, che non si dia luogo all'accredito della maggiorazione ex articolo 80 della legge n. 388 del 2000 per periodi di aspettativa sindacale dal momento che i periodi di distacco sindacale non sono considerati alla stregua di un effettiva attività lavorativa;
   confermando tali disposizioni dell'INPS, verrebbero meno i princìpi dettati dalla legge n. 300 del 1970 la quale ha voluto garantire l'effettiva possibilità di esercitare, senza pregiudizio per la posizione previdenziale, l'attività sindacale ed inoltre questi lavoratori si troverebbero discriminati rispetto ad altri lavoratori, in particolare rispetto a quelli assunti dalle stesse organizzazioni sindacali che, peraltro, svolgono la medesima attività lavorativa;
   il Ministro competente veniva sollecitato ad avviare le necessarie comunicazioni e specificazioni al sistema di previdenza INPS, esplicitando e sottolineando come questi lavoratori succitati di fatto versassero regolari contributi e avessero pertanto diritto al riconoscimento della maggiorazione contributiva sui periodi durante i quali fossero sono stati collocati in aspettativa sindacale, ai sensi della 300 del 1970. Nella risposta il Sottosegretario pro tempore Martone prendeva atto dell'indubbia rilevanza della questione segnalata e garantiva un approfondimento adeguato della questione al fine di valutarne l'effettiva correttezza sotto il profilo tecnico-giuridico della tesi posta a fondamento della circolare (e in particolare, della tesi secondo cui il periodo di distacco sindacale – nel corso del quale viene accreditata una contribuzione di tipo figurativo – non potrebbe essere assimilato sotto ogni aspetto a un periodo di servizio effettivamente svolto);
   ad oggi non sembra essere stata ancora effettuata alcuna verifica o approfondimento della questione da parte del Governo nei confronti dell'INPS, tanto che vi sono casi in cui sono stati avviati dei ricorsi amministrativi –:
   se non ritenga necessario che venga fatta maggiore chiarezza interpretativa sulla questione esposta in premessa anche al fine di tutelare i diritti legittimi dei lavoratori con disabilità in distacco sindacale. (4-00586)

  Risposta. — Con riferimento all'atto parlamentare indicato in oggetto, con il quale si chiede maggiore chiarezza interpretativa in ordine alla tutela dei diritti dei lavoratori con disabilità in distacco sindacale, si rappresenta quanto segue.
  L'articolo 80, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001) riconosce, a richiesta e a decorrere dal 1° gennaio 2002, un beneficio «utile ai soli fini del diritto alla pensione e dell'anzianità contributiva» di due mesi di contribuzione figurativa per ogni anno di servizio effettivamente svolto presso pubbliche amministrazioni o aziende private ovvero cooperative, fino al limite di cinque anni, a favore dei lavoratori sordomuti ovvero agli invalidi per qualsiasi causa con invalidità riconosciuta superiore al 74 per cento, ovvero ascritta alle prime quattro categorie della tabella A allegata al decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1981, n. 834 (definitivo riordinamento delle pensioni di guerra, in attuazione della delega prevista dall'articolo 1 della legge 23 settembre 1981, n. 533).
  Il riconoscimento disposto dalla norma sopra citata non si configura come un accreditamento di contributi sulla posizione assicurativa, ma determina una maggiorazione di anzianità che assume rilevanza solo in funzione del riconoscimento e della liquidazione del trattamento pensionistico.
  Con circolare n. 29 del 30 gennaio 2002, l'Inps ha fornito le istruzioni relative ai lavoratori destinatari delle suddette disposizioni, la natura dell'entità del beneficio, i periodi che danno luogo al riconoscimento del diritto alla maggiorazione di anzianità puntualizzando le procedure da seguire per l'attribuzione del beneficio.
  Sulla base di quanto rappresentato dal medesimo istituto, stante il tenore letterale della norma di cui all'articolo 80, comma 3, della legge n. 388 del 2000, la maggiorazione di anzianità spetta per i periodi di attività lavorativa effettivamente svolta, con esclusione dei periodi coperti da contribuzione volontaria, figurativa o derivante da riscatto non correlato ad attività lavorativa.
  I periodi di aspettativa sindacale sono invece coperti da contribuzione figurativa e pertanto esclusi dai periodi che, ai sensi del citato articolo 80, danno titolo al riconoscimento di cui trattasi.
Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.


   TINAGLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Cassa di previdenza degli Agrotecnici e degli Agrotecnici laureati inclusa nell'ENPAIA, istituita ai sensi del decreto legislativo n. 103 del 1996, rappresenta la gestione previdenziale della relativa categoria professionale e si caratterizza pressoché per l'assenza di pensionati, per il costante aumento degli iscritti e per la loro giovane età media;
   la cassa previdenziale AGROTECNICI/ENPAIA, essendo successiva alla riforma operata con la legge n. 335 del 1995, applica fin dall'inizio il sistema contributivo puro;
   la prudente ed oculata gestione compiuta dagli amministratori ha sempre consentito, nonostante si tratti di una fra le più piccole casse previdenziali, di chiudere i bilanci in utile e di rivalutare il montante contributivo utilizzando esclusivamente i proventi degli investimenti finanziari, tanto che nel 2010 il «Nucleo di valutazione della Spesa Previdenziale» del Ministero del lavoro ha definito la Cassa AGROTECNICI/ENPAIA in grado di «garantire la sostenibilità previdenziale all'infinito»;
   le casse autonome di previdenza dei liberi professionisti non ricevono alcun aiuto, né diretto né indiretto, dallo Stato e devono provvedere in autonomia al raggiungimento dell'equilibrio di bilancio, alla rivalutazione ed al pagamento delle pensioni;
   la Cassa di previdenza AGROTECNICI/ENPAIA, così come ogni altra cassa di previdenza dei liberi professionisti, ai sensi del decreto legislativo n. 103 del 1996, deve rivalutare le pensioni dei propri iscritti utilizzando un indice pre-definito, rappresentato dalla media del PIL nazionale degli ultimi cinque anni; questo indice, che nel 2009 era ancora del 3,320 per cento, per effetto della crisi economica nel 2011 è sceso a 1,6165 per cento e nel 2012 ad 1,1344 per cento; per il corrente anno si prevede un'ulteriore diminuzione, con l'effetto di riversare sulle future pensioni (che vengono pertanto solo minimamente incrementate) l'effetto della recessione economica;
   il Comitato amministratore della Cassa AGROTECNICI/ENPAIA, preoccupato per gli effetti sul tasso di sostituzione del modesto incremento delle pensioni che si è verificato nel 2011 e nel 2012 (e che inevitabilmente si verificherà anche negli anni a venire), il 12 aprile 2012 ha deliberato di incrementare del 50 per cento il tasso di rivalutazione del montante contributivo, così portando il tasso di investimento del 2011 da 1,6165 per cento a 2,42475 per cento. Analogo incremento del 50 per cento è stato deciso per l'aliquota di rivalutazione del 2012;
   il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha tuttavia bocciato la delibera del comitato amministratore della Cassa di previdenza AGROTECNICI/ENPAIA, sostanzialmente con la motivazione dell'impossibilità di modificare l'indice di rivalutazione di cui al decreto legislativo n. 103 del 1996, che il Ministero ritiene debba essere uguale per tutte le casse di previdenza dei professionisti;
   l'argomentazione ministeriale non pare condivisibile sia perché il decreto legislativo n. 103 del 1996 si preoccupa di garantire a tutti gli iscritti nelle gestioni previdenziali dei professionisti una rivalutazione minima dei contributi versati, e non una rivalutazione massima, ma soprattutto perché non esiste alcuna disposizione che impedisca di erogare trattamenti previdenziali più congrui, senza oneri per lo Stato, con contributi a carico degli stessi previdenti;
   nel caso concreto, la maggior rivalutazione del 50 per cento dei contributi pensionistici versati viene effettuata utilizzando solo una parte degli utili conseguiti nel 2011;
   i consistenti utili delle precedenti annualità non vengono toccati, ed anzi incrementati;
   il bilancio tecnico-attuariale a 50 anni della Gestione previdenziale degli Agrotecnici e degli agrotecnici laureati è ampiamente positivo e lo stesso nucleo di valutazione della spesa previdenziale ha certificato la «sostenibilità all'infinito» della Gestione;
   il regolamento della gestione previdenziale degli agrotecnici e degli agrotecnici laureati, approvato dal competente Ministero del lavoro e delle politiche sociali, all'articolo 28 espressamente prevede che le «eventuali eccedenze risultanti dall'ordinaria rivalutazione dei conti individuali» siano conferite in uno speciale Fondo di riserva sul «cui utilizzo dispone il Comitato Amministratore», il quale si è legittimamente espresso decidendo di destinare una parte degli utili del 2011 e del 2012 alla rivalutazione delle future pensioni, per rafforzare il tasso di sostituzione;
   prima ancora di assumere la citata decisione, il Comitato amministratore della gestione previdenziale aveva provveduto a modificare il proprio regolamento previdenziale, prevedendo la possibilità per gli iscritti di versare aliquote superiori al 10 per cento minimo previsto per legge, potendo perciò elevare l'aliquota contributiva fino al 26 per cento, ciò sempre allo scopo di elevare il tasso di sostituzione pensionistico. A questo obiettivo, infatti, si può pervenire in due modi: sia aumentando l'importo dei contributi che si versano e sia lasciandoli invariati ma aumentando la loro redditività;
   tuttavia la prima soluzione pesa esclusivamente sui previdenti che devono pagare cifre superiori (cosa non sempre possibile in momenti di grave crisi economica), mentre la seconda non grava sui previdenti, ma sulle casse previdenziali, le quali sono chiamate a rendere gestioni inappuntabili e rigorose, riducendo le spese all'essenziale;
   l'ipotesi di elevare il rendimento del montante contributivo è inoltre preferibile perché disincentiva lo svolgimento dell'attività «in nero», innescando quindi un meccanismo virtuoso che premia il rispetto degli obblighi fiscali e previdenziali;
   di fronte al diniego all'incremento del rendimento dei contributi previdenziali opposto dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il comitato amministratore della Cassa di previdenza AGROTECNICI/ENPAIA ha ritenuto di doverlo impugnare al TAR Lazio il quale, con sentenza di merito n. 6954 dell'11 luglio 2013, ha rigettato il ricorso e la vicenda è attualmente in attesa del giudizio di appello del Consiglio di Stato;
   pertanto, nonostante la certificata sostenibilità previdenziale (entrate per contributi ed uscite per prestazioni) ben oltre i 50 anni richiesti per legge, l'esistenza di un adeguato fondo di riserva, la perfetta aderenza della decisione di aumentare del 50 per cento il rendimento del montante contributivo con quanto previsto dall'articolo 28 del Regolamento previdenziale, gli iscritti alla Gestione AGROTECNICI/ENPAIA si vedono rivalutare i propri contributi previdenziali in misura di gran lunga inferiore a quanto sarebbe avvenuto se il Ministero del lavoro avesse autorizzato la delibera del comitato amministratore, di adeguamento del rendimento –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario intervenire urgentemente chiarendo che la Gestione previdenziale AGROTECNICI/ENPAIA (così come ogni altra gestione previdenziale virtuosa e con i conti in ordine) abbia l'obbligo di garantire la rivalutazione dei contributi versati dagli iscritti almeno nella misura minima prevista dal decreto legislativo n. 103 del 1996 (media quinquennale del PIL), ma altresì possa aumentare l'indice di rivalutazione, purché nel rispetto del proprio Regolamento, della sostenibilità previdenziale di lungo periodo (almeno 50 anni) e con l'obbiettivo – peraltro indicato come «prioritario» dallo stesso Governo – di garantire il più adeguato tasso di sostituzione previdenziale (cioè pensioni più dignitose), senza oneri a carico dello Stato. (4-01717)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, con cui si chiede quali iniziative si intendano assumere in ordine alla gestione separata della Cassa agrotecnici presso l'ente nazionale di previdenza per gli addetti e gli impiegati in agricoltura, si rappresenta quanto segue.
  Come rammentato dallo stesso interrogante, il Tar Lazio, sezione terza bis, con sentenza n. 6954 del 2013 depositata il 17 luglio 2013, ha respinto il ricorso proposto dall'Enpaia per l'annullamento della nota di questo Ministero (18 gennaio 2013), con la quale è stata negata l'approvazione della delibera n. 3 del 2012 adottata dal Comitato amministratore della gestione separata della Cassa agrotecnici presso l'Enpaia. Avverso tale sentenza l'Enpaia ha proposto ricorso in appello.
  Con la suddetta delibera, il Comitato della citata gestione separata intendeva destinare il rendimento della gestione finanziaria della cassa in parte alla rivalutazione dei montanti individuali e in parte al fondo di riserva. Questo Ministero, con la nota impugnata, negava invece l'approvazione della delibera rilevando l'impossibilità per l'ente di utilizzare le somme del fondo di riserva per l'integrazione dei montanti, in quanto si verrebbe a prefigurare una variazione rispetto al metodo di calcolo contributivo previsto dalla legge 8 agosto 1995, n. 335 che gli enti previdenziali privati sono tenuti ad applicare ai sensi dell'articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103. La nota precisava altresì che l'eventuale differenza positiva tra i rendimenti degli investimenti ed il tasso di capitalizzazione del Pil deve essere accantonata all'apposito fondo di riserva per la sola tutela dei rischi finanziari.
  Con il ricorso giurisdizionale, finalizzato all'annullamento della nota ministeriale, l'Enpaia eccepiva che l'articolo 1 della legge n. 335 del 2005 non vieta che il tasso di capitalizzazione possa essere aumentato essendo il tasso de quo variabile per definizione, sembrando logico che la legge ne individui un livello minimo inderogabile per tutti solo in peius e non già quando è modificato in aumento.
  Sul punto il Tar Lazio, nel respingere il ricorso anche con riferimento ad altre censure proposte e attinenti ad aspetti procedimentali, ha precisato invece che l'unica rivalutazione dei montanti individuali degli iscritti è quella pubblica, valida per tutte le Casse previdenziali e calcolata dall'istituto nazionale di statistica sulla base della variazione media quinquennale del prodotto interno lordo (Pil) nominale.
  Ulteriori considerazioni valgono a sostegno delle determinazioni assunte con la nota impugnata. L'articolo 2, comma 2, del decreto legislativo n. 103 del 1996, infatti, prevede che per la determinazione delle prestazioni previdenziali erogate dagli enti costituiti ai sensi del medesimo decreto si applica il sistema di calcolo contributivo previsto dall'articolo 1 della legge 8 agosto 1995, n. 335, con aliquota di finanziamento non inferiore a quella di computo, e secondo le modalità previste dal regolamento di cui all'articolo 6, comma 4». Il sistema di calcolo applicabile è dunque quello previsto per il sistema generale (articolo 1, comma 8 e seguenti, della legge n. 335 del 1995), secondo cui per la «determinazione del montante contributivo individuale si applica alla base imponibile l'aliquota di computo nei casi che danno luogo a versamenti, ad accrediti o ad obblighi contributivi e la contribuzione così ottenuta si rivaluta su base composta al 31 dicembre di ciascun anno, con esclusione della contribuzione dello stesso anno, al tasso di capitalizzazione». Il tasso annuo di capitalizzazione è fissato dal legislatore in misura pari alla «variazione media quinquennale del prodotto interno lordo (PIL) nominale, appositamente calcolata dall'istituto nazionale di statistica (ISTAT), con riferimento al quinquennio precedente l'anno da rivalutare».
  Tale modalità di determinazione costituisce uno degli aspetti attraverso il quale la riforma del sistema pensionistico operata dalla legge n. 335 del 1995 ha inteso realizzare l'armonizzazione dei regimi pensionistici e la stabilizzazione della spesa pensionistica in rapporto al Pil, elementi questi che costituiscono alcuni dei principi generali della riforma stessa. Occorre peraltro considerare che gli enti costituiti ai sensi del decreto legislativo n. 103 del 1996 sono privati ma esercitano, pur nel rispetto della autonomia loro garantita dall'assetto normativo vigente, funzioni e finalità previste dal dettato costituzionale e, come tali, sono soggetti ad una serie di previsioni che evidenziano il carattere pubblicistico dell'attività svolta. Essi, infatti, come peraltro confermato anche dalla giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, sentenza n. 6014 del 2012), sono inseriti nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione ex articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 e, di conseguenza, sono destinatari dei provvedimenti legislativi di riduzione e contenimento della spesa pubblica.
  Inoltre, in una prospettiva, dinamica, la «certificazione» dell'equilibrio gestionale degli enti medesimi a garanzia della sostenibilità futura delle relative gestioni, è affidata a bilanci tecnici riferiti ad un arco temporale elevato a 50 anni dalle disposizioni normative di cui all'articolo 24, comma 24, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito, con modificazioni, dalla legge dall'articolo 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214. Viene così evidenziata la prospettiva di lungo periodo che il legislatore disegna per tali enti a garanzia di finalità costituzionalmente previste che, pertanto, non possono essere sacrificate da provvedimenti di carattere contingente (come la destinazione degli utili del bilancio di attività all'aumento del tasso di capitalizzazione invece che al fondo di riserva) che si pongono altresì in contrasto con il sistema di calcolo contributivo delineato dal legislatore medesimo.
  Peraltro l'impossibilità di derogare al sistema di calcolo contributivo delle prestazioni, come delineato dalla legge n. 335 del 1995, discende dal tenore letterale della disposizione di cui all'articolo 6, comma 4, del decreto legislativo n. 103 del 1996 che limita il potere normativo del regolamento attuativo degli enti previdenziali privati agli aspetti inerenti la identificazione dei soggetti obbligati alla contribuzione e la misura dei contributi, senza attribuire in alcuna misura poteri derogatori in tema di determinazione delle prestazioni previdenziali. Stante, pertanto, la complessiva evoluzione della normativa previdenziale come si è andata delineando dall'atto della costituzione degli enti fino ai successivi interventi normativi, e tenuto conto delle finalità, il cui carattere pubblicistico è stato evidenziato dalla giurisprudenza, e delle funzioni svolte dagli enti previdenziali privati, i margini di intervento discrezionale assentiti dal regolamento si sono notevolmente ridotti; le amministrazioni vigilanti, conseguentemente, hanno ritenuto prevalente ed inderogabile il rispetto del quadro normativo vigente richiamato nella suddetta nota ministeriale. Da qui l'impossibilità – cui si fa espresso riferimento nella nota impugnata – per l'ente ricorrente di utilizzare le somme del fondo di riserva per l'integrazione dei montanti, prefigurandosi in tal modo, una violazione del quadro normativo vigente attraverso una variazione al metodo di calcolo contributivo previsto dalla legge n. 335 del 1995 che codesto ente è tenuto ad applicare.
  Non appare, inoltre, condivisibile quanto prospettato dall'interrogante ove ritiene preferibile elevare il rendimento del montante contributivo in quanto disincentiva lo svolgimento dell'attività in nero innescando un meccanismo virtuoso che premia il rispetto degli obblighi fiscali e previdenziali; occorre tenere in considerazione, infatti, che gli incentivi all'emersione hanno natura del tutto diversa e si sviluppano in direzione dell'onere contributivo previsto non a carico dei lavoratori autonomi, ma dei datori di lavoro e dei lavoratori dipendenti, per i quali le aliquote di finanziamento hanno percentuali molto più consistenti rispetto a quelle previste per il liberi professionisti.
  La garanzia della sostenibilità dei sistemi previdenziali per il futuro, nonché dell'adeguatezza delle prestazioni erogate, pertanto, costituisce la principale tra le finalità previste dalla disciplina vigente (oltre alla armonizzazione dei sistemi pensionistici e alla relativa stabilizzazione della spesa); l'effettiva realizzazione di tale finalità inderogabile è quindi garantita dalle previsioni che, da un lato, prevedono l'aumento della redditività attraverso il riferimento al Pil nazionale o la possibilità di incrementare l'importo della contribuzione dovuta aumentando la relativa aliquota di finanziamento, e, dall'altro, la destinazione degli utili della gestione all'apposito fondo di riserva costituito a garanzia delle prestazioni future (che, peraltro, l'ente in questione ancora non eroga trattandosi di un ente di relativa recente costituzione).
  Ciò premesso, a legislazione vigente deve anche rappresentarsi, in una prospettiva di rivisitazione futura, che il richiamato vincolo di capitalizzazione (in passato spesso restrittivo rispetto alla redditività netta conseguita dagli enti durante la gestione), nonché la sovra capienza del gettito della contribuzione integrativa (fissata al 2 per cento fino all'entrata in vigore della legge n. 133 del 2011 a seguito della quale l'aliquota può essere fissata fra il 2 per cento ed il 5 per cento del reddito dichiarato ai fini Iva), posti i livelli sensibilmente inferiori degli oneri correnti di gestione ed amministrazione, hanno effettivamente determinato la costituzione, presso taluni enti, di riserve patrimoniali di entità non trascurabile.
  La questione è comunque all'attenzione di questo Ministero, considerato che non è stata ancora definita la destinazione d'uso dei citati fondi. Al riguardo è intendimento di questa amministrazione avviare un confronto con il Ministero dell'economia e delle finanze, finalizzato a formulare una proposta normativa che regoli l'utilizzo delle suddette liquidità, al di là della cogenza della rivalutazione dei montanti in funzione del Pil, nel senso auspicato dall'interrogante.
Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.


   ZACCAGNINI. — Al Ministro per gli affari europei, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'EFSA, L'Autorità europea per la sicurezza alimentare, acronimo di European Food Safety Authority, è un'agenzia dell'Unione europea istituita nel gennaio del 2002 ed ha sede nella città universitaria di Parma, in Italia. Fornisce consulenza scientifica e una comunicazione efficace in materia di rischi, esistenti ed emergenti, associati alla catena alimentare. L'EFSA produce consulenza specialistica per consentire alla Commissione europea, al Parlamento europeo e agli Stati membri dell'Unione europea di prendere decisioni efficaci e puntuali in materia di gestione del rischio, grazie alle quali viene assicurata la protezione della salute dei consumatori europei e la sicurezza del cibo e della catena alimentare;
   le attività scientifiche dell'EFSA vengono utilizzate dalle autorità responsabili delle decisioni politiche per adottare o revisionare la legislazione europea in materia di sicurezza dei cibi e dei mangimi, per decidere in merito all'approvazione di sostanze regolamentate, come fitofarmaci e additivi alimentari, oppure per introdurre nuovi quadri normativi e formulare nuove politiche, ad esempio nel settore della nutrizione. L'EFSA, inoltre, assume incarichi di lavoro di sua spontanea iniziativa in ambiti scientifici, come i rischi emergenti, nei quali le conoscenze e gli approcci sono in costante evoluzione. Un esempio di tale attività è lo sviluppo di un approccio armonizzato per comparare i rischi che presentano le sostanze potenzialmente cancerogene. L'Autorità raccoglie e analizza dati scientifici per garantire che la valutazione del rischio a livello comunitario avvenga in base ad informazioni scientifiche di assoluta completezza. L'EFSA svolge tale attività in collaborazione con gli Stati membri dell'Unione europea e tramite consultazioni pubbliche e inviti per raccogliere informazioni da fonti esterne. Infine, attraverso le proprie azioni di comunicazione dei rischi, l'EFSA fornisce informazioni coerenti, accurate e puntuali su questioni di sicurezza alimentare a tutte le parti interessate e al pubblico in generale, sulla base delle valutazioni del rischio effettuate dall'Autorità e della sua esperienza scientifica;
   in data 18 maggio 2013 è cambiato l'assetto dell'Efsa, Hubert Deluyker lascia l'incarico di direttore dello Scistrat «Strategia scientifica e coordinamento». Al suo posto è subentrata Juliane Kleiner. Lo Scistrat è il gruppo responsabile della direzione strategica delle attività scientifiche dell'agenzia europea e dell'attuazione della sua strategia scientifica. Ai suoi componenti spetta il coordinamento – in collaborazione con le due direzioni scientifiche operative deputate alla valutazione del rischio e all'assistenza scientifica e alla valutazione scientifica dei prodotti regolamentati – delle attività dei ricercatori sul rischio, oltre alla gestione delle questioni scientifiche trasversali;
   si tratta di una nomina non passata inosservata, le associazioni europee insorgono per l'incarico di direttore della strategia scientifica e coordinamento affidato alla dottoressa così come dal sito della associazione italiana per l'agricoltura biologica: «AIAB e FIRAB si uniscono alla denuncia del PAN EUROPE sulla nuova nomina del direttore scientifico EFSA. L'Autorità Europea per la sicurezza alimentare – EFSA – ha promosso a Direttore Scientifico Juliane Kleiner. La Kleiner ha già ricoperto altri ruoli all'EFSA, ma in precedenza ha lavorato per il gruppo lobbistico industriale ILSI (International Life Sciences Institute – Istituto Internazionale per le Scienze della Vita) per oltre sette anni nel corso dei quali si è contraddistinta per la difesa di una vasta serie di posizioni e interessi dell'industria (come le soglie di tolleranza per gli agenti cancerogeni genotossici o per le sostanze chimiche in ambito tossicologico);
   Kleiner ha inoltre sostenuto tutte le iniziative volte al cambiamento della politica dell'EFSA a favore del comparto industriale. È quanto denuncia con maggiore dettaglio il Pesticide Action Network (PAN) Europe che AIAB e FIRAB intendono rilanciare, sulla scia della comune iniziativa e mobilitazione sociale e scientifica, a rivendicare un ruolo dell'EFSA privo di conflitti di interessi e a genuina tutela della salute pubblica;
   come denunciato dal PAN, Kleiner non ha nemmeno un passato da ricercatrice e non vi è traccia di sue pubblicazioni riportanti studi sperimentali su riviste scientifiche peer-review, criterio adottato dalla comunità scientifica per valutare il valore di un ricercatore. «È difficile capire perché sarebbe qualificata per questa posizione, dato che non ha alcuna esperienza in studi di laboratorio», sottolinea il PAN;
   l'EFSA conserva la stessa attitudine positiva verso persone che hanno militato in ambito industriale. Anche il precedente direttore scientifico, Hubert Deluyker, infatti, lavorava per l'industria chimico-farmaceutica Pfizer. Tutto ciò conferma come l'indipendenza e l'integrità scientifica dell'Agenzia sia ancora a un livello inadeguato ed abbia ancora una lunga strada davanti a sé prima di raggiungere una reale posizione di neutralità –:
   se siano a conoscenza dei fatti narrati;
   se non reputino fondate le obiezioni riportate dalle associazioni europee come Action Network (PAN) Europe, AIAB e FIRAB;
   se non reputino essi stessi inopportuna la nomina della Kleiner, che in passato ha sostenuto posizioni favorevoli agli interessi delle multinazionali, come nel caso delle soglie di tolleranza per gli agenti cancerogeni genotossici o per le sostanze chimiche in ambito tossicologico;
   se non reputino opportuno che l'Efsa debba essere un organismo indipendente a tutela della sicurezza dei cittadini ed avulso da qualsiasi tipo di controllo da parte delle multinazionali, facendo particolare attenzione alle nomine ed appunto ai curriculum vitae dei nominati al fine di essere realmente a favore degli interessi dei consumatori europei;
   se non reputino opportuno tutelare la salute dei cittadini chiedendo relazioni più dettagliate circa le scelte e le operazioni in seno all'Efsa. (4-01962)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione parlamentare in esame, a seguito di delega della Presidenza del Consiglio dei ministri.
  Il Ministero della salute è a conoscenza delle obiezioni formulate dalle associazioni «Pesticide action network» (Pan) Europe, «associazione italiana agricoltura biologica» (AIAB) e «Fondazione italiana per la ricerca in agricoltura biologica» (FIRAB), contro la nomina della dottoressa Juliane Kleiner a direttore di Scistrat (Science Strategy and Coordination) dell'autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), in quanto i fatti narrati dalle associazioni e le relative azioni intraprese sono reperibili su siti web e vengono riportate dai media da qualche mese.
  Per ciò che concerne l'inopportunità della nomina, secondo le stesse associazioni, della dottoressa Juliane Kleiner a capo della direzione «science strategy and coordination», si segnala che Efsa conduce la selezione dei candidati secondo i principi e le norme attuative della politica d'indipendenza della stessa Agenzia, tenendo conto anche dello statuto dei funzionari delle Istituzioni Europee, in quanto Efsa è un'agenzia europea indipendente, finanziata dal bilancio dell'Unione europea, ma funzionalmente autonoma dalla Commissione europea, dal Parlamento europeo e dagli Stati membri dell'Unione europea.
  Peraltro, la nomina è stata fatta sulla base dell'esperienza scientifica della dottoressa Juliane Kleiner e solo dopo la disamina degli interessi dichiarati dalla medesima (Efsa richiede tale dichiarazione, annualmente a tutto il personale con funzioni manageriali) e pubblicati nel sito internet di Efsa, insieme alla sua biografia professionale, in cui sono citati tutti gli incarichi ricoperti, anche prima dell'entrata della stessa in Efsa, avvenuta nel 2004; si può confrontare (http://www.efsa.europa.eu/it/staffdirectory/staff/julianekleiner).
  Quindi, la dottoressa Juliane Kleiner è dipendente dell'Efsa da quasi 10 anni ed ha ricoperto diverse posizioni in seno all'Autorità, tra cui le funzioni di supporto allo «Scientific committee» ed all’«advisor forum», e di responsabile dell'unità «Nutrizione», quale ultimo incarico prima della sua nomina a direttore di «Scistrat».
  Si segnala, inoltre, che, come tutti i dipendenti pubblici delle istituzioni comunitarie, anch'essa è sottoposta a responsabilità ed obblighi giuridici in relazione all'assolvimento delle proprie funzioni nel pubblico interesse.
Il Sottosegretario di Stato per la salutePaolo Fadda.