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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 29 gennaio 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


   La III Commissione,
   premesso che:
    negli ultimi anni si è registrato un massiccio flusso di emigrazione che fa ricordare quello del secondo dopoguerra. L'attuale congiuntura economica fa prevedere che il fenomeno, lungi dall'arrestarsi, tenderà ad intensificarsi con un numero di persone, specialmente giovani, che saranno spinte a lasciare il nostro Paese per cercare oltre confine il lavoro che qui manca. Stando ai dati diffusi dall'ISTAT nel mese di gennaio 2014, infatti, la disoccupazione al 30 novembre 2013 ha raggiunto l'allarmante percentuale del 12,7 per cento della forza lavoro, (in aumento dal 12,5 per cento registrato nel mese di ottobre), mentre è ancor più drammatico il dato sulla disoccupazione giovanile che, alla stessa data, registra il livello più alto dal primo trimestre 1977 attestandosi, nella fascia d'età fra i 15 e i 24 anni, al 42 per cento;
    anche se non si conoscono le cifre ufficiali di questo esodo, in quanto non tutti i migranti si iscrivono all'AIRE, si stima che dall'inizio del 2013, secondo il rapporto della Fondazione Migrantes, sono espatriati quasi 79.000 italiani, dei quali più del 30 per cento ricompresi nel gruppo di età fra i 20 e i 40 anni;
    le politiche dell'occupazione fin qui varate si sono dimostrate del tutto inadeguate a fermare questa spirale perversa, anzi sembrano incoraggiare «una nuova mobilità internazionale» della forza lavoro, quasi che un «alleggerimento» della pressione sociale di cui la disoccupazione è al contempo causa ed effetto possa recare beneficio all'intero sistema. Sanno tutti, invece, che con la fuga di tante risorse umane si avvera l'esatto contrario sia in termini economici che umani e sociali. Basti pensare che ogni persona che se ne va, specialmente se qualificata, porta fuori dal Paese un potenziale prodotto interno lordo, di quasi 2 milioni di euro nell'arco della sua vita lavorativa (4000 euro mensili x 12 mesi x 40 anni), senza contare la perdita del capitale investito per la sua formazione;
    alla mancanza di adeguate politiche occupazionali si deve purtroppo aggiungere la miopia di alcune politiche migratorie che, nell'ambito delle varie fasi di spending review, pur necessarie nell'attuale quadro economico finanziario, hanno perso di vista quelle attività qualificanti a favore delle collettività all'estero, che, lungi dall'essere considerate una risorsa, sono spesso viste come un peso fastidioso. Negli ultimi anni, infatti, si è assistito ad un progressivo assottigliamento delle risorse destinate agli interventi per la lingua e la cultura italiane, all'assistenza, all'informazione e alla formazione, con tagli lineari di oltre il 65 per cento. Per questi interventi le rappresentanze diplomatiche, e consolari italiane sono difficilmente in grado di garantire un livello minimo di servizi, con il rischio che ciò comporti lo smantellamento di quanto costruito in passato anche grazie all'associazionismo locale;
    i connazionali che, loro malgrado, decidono di emigrare, anche se culturalmente pronti ad affrontare le nuove sfide che un cambiamento così radicale comporta, oggi spesso si trovano in grosse difficoltà nei loro primi approcci con la società di accoglimento, difficoltà a cui le rappresentanze diplomatiche e consolari italiani non sono in grado di dare risposte efficaci a causa delle ben note carenze di risorse umane e finanziarie sopra accennate. Si pensi, per esempio, alle difficoltà di trovare casa, di stabilire contatti con il mondo del lavoro, informazioni sull'assistenza sanitaria, sul patrocinio legale, di avere assistenza linguistica, servizi di traduzioni e interpretariato a costi accessibili, e altro;
    in una interpellanza (n. 2-00153) si chiedeva e a fronte dei nuovi flussi migratori, il Ministro degli affari esteri non intendesse potenziare le strutture consolari di assistenza sociale in modo che esse possano farsi carico di un primo orientamento in loco dei nuovi migranti con la costituzione di appositi sportelli all'interno degli uffici consolari;
    si prende atto con viva soddisfazione che l'ambasciata e il consolato d'Italia a Londra, con l'istituzione di un progetto opportunamente chiamato «primo approdo», hanno messo in cantiere lodevoli iniziative, soprattutto informative, per dare risposte concrete alle esigenze dei giovani migranti italiani, per aiutarli ad orientarsi nel nuovo Paese e a districarsi tra le mille difficoltà che, inevitabilmente, la nuova realtà pone alla vita giornaliera,

impegna il Governo

a promuovere, anche attraverso l'opportuno adeguamento delle risorse umane e finanziarie messe a disposizione delle sedi all'estero, l'istituzione di sportelli dedicati, alla stregua di quanto già sperimentato dalle rappresentanze italiane a Londra, anche in altre sedi, soprattutto in quei Paesi dove sembra maggiormente dirigersi la «nuova emigrazione» italiana.
(7-00237) «Tacconi, Grande, Picchi, Scagliusi, Sibilia, Di Battista, Fitzgerald Nissoli, Caruso, Rabino, Garavini, Scotto, Porta».


   La III Commissione,
   premesso che:
    nell'ambito delle esigenze dettate dal processo di razionalizzazione della spesa (spending review) di cui al decreto-legge n. 95 del 2012 il Ministero degli affari esteri ha varato un piano di «riorientamento» della presenza italiana, all'estero e determinato un primo taglio di 13 uffici consolari, già in fase di attuazione;
    il Ministero ha diramato un ulteriore elenco di 20 sedi che si andranno ad aggiungere alle 13 già soppresse per arrivare ad un numero complessivo di 33 strutture da chiudere, al netto di eventuali nuove aperture;
    le 33 chiusure in questione, come ha ricordato il direttore generale Elisabetta Belloni, derivano da un obbligo di legge;
    nonostante lo stesso direttore generale, Ministro Elisabetta Belloni, si fosse detto disponibile ad intensificare il confronto con il Parlamento e le rappresentanze degli italiani all'estero democraticamente elette prima che l'amministrazione formalizzasse la sua posizione da sottoporre al Governo per la necessaria decretazione, tale confronto non è stato mai attuato, ma solo annunciato, e concretizzato con semplici comunicazioni al Parlamento circa le determinazioni assunte;
    sempre a norma di legge, le chiusure di sedi già deliberate e quelle in programma, non devono intaccare la quantità e la qualità dei servizi all'utenza;
    al fine degli obiettivi di finanza pubblica riveste primaria importanza l'individuazione degli sprechi e delle diseconomie di bilancio, in particolare nell'ampio bacino delle consulenze e dell'esternalizzazione dei servizi e che conseguentemente l'eventuale chiusura di sedi all'estero avrebbe dovuto essere un esercizio assolutamente residuale;
    le sedi di cui è stata decretata la soppressione servono vasti bacini di utenza che, contrariamente a quanto dispone la normativa vigente, si vedono totalmente privati di ogni servizio (come, per esempio Manchester, Saarbrucken, Norimberga, San Gallo, e altro) senza peraltro che il relativo taglio incida significativamente sull'obiettivo primario di revisione e contenimento della spesa,

impegna il Governo

ad assumere iniziative affinché le cosiddette «sedi riceventi» istituiscano, nelle città private di una rappresentanza consolare, almeno una permanenza settimanale per il disbrigo di pratiche per le quali è prevista la presenza degli utenti – quali la rilevazione delle impronte digitali, l'acquisizione della firma digitale per il rilascio del passaporto, la consegna delle carte di identità, gli atti notarili – per agevolare soprattutto i connazionali più anziani o le persone che per vari motivi siano impossibilitate a raggiungere la rappresentanza consolare competente.
(7-00238) «Tacconi, Grande, Scagliusi, Picchi, Sibilia, Di Battista, Fitzgerald Nissoli, Caruso, Rabino, Garavini».


   La III Commissione,
   premesso che:
    nell'ambito delle esigenze dettate dal processo di razionalizzazione della spesa (spending review) di cui al decreto-legge n. 95 del 2012 il Ministero degli affari esteri ha varato un piano di «riorientamento» della presenza italiana all'estero e determinato un primo taglio di 13 uffici consolari, già in fase di attuazione;
    il Ministero ha diramato un ulteriore elenco di 20 sedi che si andranno ad aggiungere alle 13 già soppresse per arrivare ad un numero complessivo di 33 strutture da chiudere, al netto di eventuali nuove aperture;
    le 33 chiusure in questione, come ha ricordato il direttore generale Elisabetta Belloni, derivano da un obbligo di legge;
    nonostante lo stesso direttore generale, Ministro Elisabetta Belloni, si fosse detto disponibile ad intensificare il confronto con il Parlamento e le rappresentanze degli italiani all'estero democraticamente elette prima che l'Amministrazione formalizzasse la sua posizione da sottoporre al Governo per la necessaria decretazione, tale confronto è stato solo annunciato, e concretizzato con semplici comunicazioni al Parlamento circa le determinazioni assunte;
    sempre a norma di legge, le chiusure di sedi già deliberate e quelle in programma, non devono intaccare la quantità e la qualità dei servizi all'utenza;
    tra le sedi di cui si propone la chiusura figurano anche 4 istituti di cultura e 6 sezioni distaccate di istituti di cultura;
    l'Italia possiede il più importante giacimento culturale del mondo, e un'efficiente politica culturale e di promozione della lingua italiana rappresentano una delle più importanti leve di penetrazione e promozione del Sistema Italia e le risorse umane e finanziarie stanziate per gli istituti di cultura all'estero rappresentano un investimento assai modesto rispetto al potenziale risultato atteso anche in termini di influenza e ruolo politico del Paese,

impegna il Governo

a riallocare interamente le risorse umane nonché quelle finanziarie e strumentali attualmente previste come dotazione annuale destinata al funzionamento e alla promozione culturale degli istituti italiani di cultura di cui si propone la soppressione alle rispettive rappresentanze diplomatiche o consolari, con la creazione presso le stesse di «uffici per la promozione culturale» e, pur nell'ambito del bilancio di sede, a prevedere per tali uffici la possibilità di ricorrere a risorse proprie.
(7-00239) «Tacconi, Grande, Scagliusi, Picchi, Sibilia, Di Battista, Fitzgerald Nissoli, Caruso, Rabino».


   La III Commissione,
   premesso che:
    il comma 6 dell'articolo 14 della legge n. 401 del 1990 prevede che la funzione di direttore presso gli istituti italiani di cultura all'estero può essere conferita, in relazione alle esigenze di sedi particolari, a persone di prestigio culturale ed elevata competenza anche in relazione all'organizzazione della promozione culturale, con le procedure di cui all'articolo 168 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18, sentito il parere della Commissione di cui all'articolo 4 della stessa legge n. 401 del 1990;
    l'articolo 168 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967 prevede che gli incarichi di esperti all'estero sono conferiti con decreto del Ministro, sentito il consiglio di amministrazione del Ministero, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e, per il personale di altre amministrazioni o di enti pubblici, anche con il Ministro competente o vigilante;
    le procedure anzidette non sono assimilabili a quelle di un concorso pubblico, per cui tali nomine rientrano nell'esercizio di un potere discrezionale da parte dell'amministrazione, come del resto specificato nel recente avviso per il conferimento di incarichi presso gli istituti di Tunisi e di New York;
    l'esercizio di tale potere discrezionale, nonostante i formali inviti a manifestare interesse rivolti ad una pluralità di candidati, ha, anche recentemente, creato una vera e propria «parentopoli culturale» con nomine clientelari di amici, congiunti e parenti dei potenti di turno;
    tra i compiti dei direttori degli istituti rientrano quelli relativi all'amministrazione finanziaria e del patrimonio, compiti per i quali si richiedono specifiche competenze e approfondita conoscenza delle norme della contabilità di Stato;
    a quanto consta ai firmatari del presente atto presso la direzione generale per la promozione del sistema Paese prestano servizio sette dirigenti, non preposti ad uffici dirigenziali, che rivestono la qualifica di consiglieri ministeriali o di esperti per la promozione culturale,

impegna il Governo:

   a promuovere, per la scelta dei direttori di «chiara fama», una selezione comparativa con procedure pubbliche trasparenti ed accessibili affinché i candidati siano scelti sulla base di criteri oggettivi sia in relazione al riconosciuto prestigio negli ambienti culturali nazionali e del Paese di destinazione, sia in relazione alle provate capacità manageriali e di promozione culturale, evitando così che possano verificarsi nomine dettate da interessi estranei a quelli della promozione culturale e dell'immagine complessiva del Paese;
   anche a motivo delle esigenze di revisione della spesa pubblica, a maggiormente valorizzare, per la copertura di posti di direttori di istituti di primaria importanza, le professionalità già esistenti all'interno del Ministero, in particolare presso la direzione generale per la promozione del sistema Paese, professionalità spesso relegate a quello che ai firmatari del presente atto appare il ruolo di «consulenti inascoltati».
(7-00240) «Tacconi, Grande, Scagliusi, Rabino, Sibilia, Di Battista, Fitzgerald Nissoli, Picchi, Caruso, Garavini, Porta».


   La VI Commissione,
   premesso che:
    con la risoluzione del 27 gennaio 2006, n. 19, l'Agenzia delle entrate, rispondendo ad un quesito posto da un'azienda agricola che chiedeva quali aliquote IVA dovessero applicarsi alle cessioni di origano immesso sul mercato, previa essiccazione, in buste sigillate a rametti o sgranato e alle cessioni di una miscela di erbe aromatiche composte da salvia, rosmarino, alloro e timo, richiamava il parere dell'Agenzia delle dogane che, con nota n. 137 dell'11 gennaio 2006, ha ritenuto che l'origano in rametti o sgranato debba «essere classificato alla voce NC 1211 9097, con riferimento alle Note esplicative sistema Armonizzato al capitolo 9, considerazioni Generali, lettera D), con le quali si evidenzia l'esclusione dell'origano e del rosmarino dal capitolo 9 pur potendo essere utilizzati come spezie»;
    a seguito di tale parere, l'Agenzia ha affermato che l'origano immesso sul mercato previa essiccazione potesse essere qualificato analogamente a basilico, rosmarino e salvia, prodotti freschi destinati all'alimentazione e assoggettato, pertanto, all'aliquota IVA «super ridotta» del 4 per cento, ai sensi del numero 12-bis) della Tabella A, parte II, allegata al decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, mentre per la miscela di erbe aromatiche, dovendosi far rientrare tale bene nella voce «spezie», si dovesse applicare l'aliquota IVA ridotta del 10 per cento, ai sensi del n. 25 della tabella A, parte III, allegata al predetto decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972;
    successivamente la stessa Agenzia delle entrate, interpellata nuovamente sulla questione, con risoluzione del 27 gennaio 2006 n. 19/E, ha rivisto la sua precedente posizione, ritenendo che, ai fini dell'applicazione dell'aliquota IVA ridotta del 4 per cento, il numero 12-bis) della Tabella A, parte II, allegata al decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, deve intendersi nel senso che solo alle cessioni di «basilico, rosmarino e salvia, freschi destinati all'alimentazione sia applicabile l'aliquota IVA del 4 per cento»;
    l'Agenzia, pur convenendo che «da un punto di vista tecnico-merceologico, appartiene alla stessa voce doganale del basilico, rosmarino e salvia», ha sostenuto che, non essendo l'origano letteralmente menzionato dal legislatore al citato numero 12-bis) della Tabella A, alle cessioni di origano, immesso sul mercato in buste sigillate a rametti o sgranato, si deve applicare l'aliquota IVA ordinaria;
    la questione è stata oggetto dell'interrogazione a risposta immediata in Commissione n. 5-01863, svolta il 22 gennaio 2014 presso la Commissione finanze, in risposta alla quale il rappresentante del Governo si è sostanzialmente rimesso alle valutazioni dell'Agenzia delle entrate, la quale ha assunto una posizione fortemente restrittiva sulla questione, ribadendo che, ai fini dell'individuazione dell'aliquota IVA applicabile alle cessioni di origano, in buste sigillate a rametti o sgranato, occorre fare riferimento ai chiarimenti forniti con risoluzione n. 34/E del 21 febbraio 2006, la quale afferma che a dette cessioni è applicabile l'aliquota ordinaria, atteso che in base al citato n. 12-bis) della Tabella A, parte II, allegata al decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, l'aliquota IVA del 4 per cento si applica solo alle cessioni aventi ad oggetto il «basilico, rosmarino e salvia, freschi, destinati all'alimentazione»;
    ad avviso dell'Agenzia questa interpretazione sarebbe giustificata dalla tassatività dei beni indicati nella Tabella A, parte II, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633, nonché dal fatto che, secondo i canoni ermeneutici individuati in materia dalla giurisprudenza della Corte di giustizia Unione europea, le norme agevolative in materia di IVA dovrebbero essere interpretate in senso restrittivo;
    appare evidente come la posizione dell'Agenzia delle entrate sia argomentata in base a considerazioni interpretative quantomeno controvertibili, le quali non tengono soprattutto conto delle conseguenze paradossali che essa determina, nella misura in cui prevede l'applicazione di aliquote IVA differenziate su beni merceologicamente appartenenti alla stessa categoria, e che comunque non sono fondate su un dato normativo univoco;
    all'origano, quale pianta agricola aromatica, dovrebbe invece essere applicata la stessa aliquota IVA del 4 per cento applicabile a basilico, salvia e rosmarino, ai sensi del numero 12-bis della Tabella A, Parte II, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972;
    la diversa tassazione di piante aromatiche simili rischia, infatti, di costituire una ingiustificata incongruenza nel trattamento tributario di uno degli alimenti aromatici più apprezzati ed importanti, anche in termini produttivi, soprattutto nel Meridione d'Italia;
    in tale contesto si segnala pertanto l'esigenza che il Parlamento assuma una posizione politica chiara su tale questione, al fine di restringere gli ambiti di discrezionalità lasciati all'amministrazione e di compiere un passo utile al superamento di uno degli elementi di confusione e contraddittorietà che affliggono l'ordinamento tributario, superando l'interpretazione restrittiva assunta dagli uffici dell'amministrazione finanziaria;
    tale esigenza risulta del resto confermata dalle stessa parte finale della risposta al sopra richiamato atto di sindacato ispettivo, nella quale il rappresentante del Governo, riconoscendo che da un punto di vista tecnico-merceologico l'origano appartiene alla stessa voce doganale del basilico, rosmarino e salvia, ha segnalato come l'Esecutivo stia valutando l'opportunità, compatibilmente con le disposizioni comunitarie, di applicare un'unica aliquota IVA per le piante agricole aromatiche;
    il presente atto di indirizzo intende dunque costituire un elemento di stimolo per l'azione del Governo, in un'ottica di proficua collaborazione tra Parlamento e Governo, nell'interesse dei cittadini,

impegna il Governo

ad adottare tutte le iniziative, anche di carattere normativo, volte a assicurare l'applicazione di un'aliquota IVA uniforme per tutte le tipologie di piante agricole aromatiche, con particolare riguardo all'origano, sia fresco, sia essiccato, in rametti o sgranato, sia miscelato con altre erbe aromatiche.
(7-00236) «Pagano».


   La VIII Commissione,
   premesso che:
    la decisione della Commissione europea 2000/532/CE, del 3 maggio 2000, istituisce il Catalogo europeo dei rifiuti, di seguito per comodità definito CER. Tale catalogo è diviso in capitoli a seconda della tipologia dei rifiuti e prevede l'assegnazione di codici specifici per ogni fattispecie di rifiuto, sia pericoloso che non pericoloso;
    l'articolo 184, comma 1 del decreto legislativo n. 152 del 2006 classifica i rifiuti secondo l'origine, in rifiuti urbani e rifiuti speciali e, secondo le caratteristiche di pericolosità, in rifiuti pericolosi e rifiuti non pericolosi;
    la decisione della Commissione europea 2011/753/UE, del 18 novembre 2011, istituisce regole e modalità di calcolo per verificare il rispetto degli obiettivi di cui all'articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (obiettivi di riciclaggio e recupero dai rifiuti);
   la normativa Europea e la legislazione italiana non definiscono criteri di calcolo della produzione complessiva dei rifiuti durante il loro ciclo di lavorazione;
   la produzione di rifiuti speciali nel 2010, considerando la classificazione in base all'origine, ammontava a circa 137,9 milioni di tonnellate con un incremento, rispetto al 2009, pari al 2,4 per cento corrispondente a 3,2 milioni di tonnellate. «Il dato complessivo, derivante dalle elaborazioni MUD e dalle stime ISPRA, comprende circa 6,7 milioni di tonnellate di rifiuti provenienti dal trattamento di rifiuti urbani (CER 190501, 190503, 191210 e 191212)» il virgolettato è citato dal rapporto ISPRA 2012 sui rifiuti speciali, pagina 4, capitolo 1.2.1.;
    la produzione totale di rifiuti urbani nel 2010 sempre secondo il rapporto ISPRA, era di 32.479.000 tonnellate, per cui sommando la produzione di rifiuti urbani e speciali si ottengono 170.379.000 tonnellate;
    la produzione totale di rifiuti, classificati secondo le caratteristiche di pericolosità, in Italia nell'anno 2010, secondo il rapporto ISPRA 2013 sui rifiuti urbani è stata pari a 160.681.489 tonnellate di rifiuti non pericolosi e 9.660.035 tonnellate di rifiuti pericolosi, per un totale complessivo di 170.341.524 tonnellate;
    è evidente che raffrontando i dati della produzione totale conteggiata secondo l'origine e la produzione totale conteggiata secondo le caratteristiche di pericolosità, le due somme siano più o meno coincidenti, per cui risulta evidente come nel totale dei rifiuti classificati secondo l'origine siano conteggiati e sommati anche i rifiuti speciali residuali derivanti dal trattamento dei rifiuti urbani;
    l'articolo 184, comma 3, lettera g) del Decreto legislativo n. 152 del 2006 definisce rifiuti speciali i rifiuti derivanti dall'attività di recupero e smaltimento di rifiuti, i fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue e da abbattimento di fumi, indipendentemente dal fatto che questi siano derivanti da rifiuti urbani, solidi o meno che siano;
    come già affermato più sopra, l'ISPRA ha stimato circa 6,7 milioni di tonnellate di rifiuti speciali provenienti dal trattamento di rifiuti urbani, e specificatamente nei codici CER 19 maggio 2001 (parte di rifiuti urbani e simili non compostata); CER 19 maggio 2003 (compost fuori specifica); CER 19 dicembre 2010 (rifiuti combustibili) e CER 19 dicembre 12 (altri rifiuti, compresi materiali misti, prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti, diversi da quelli contenenti sostanze pericolose e contrassegnati dal CER 19 dicembre 2011), ma a parere della Commissione, a tali rifiuti andrebbero aggiunti almeno i seguenti codici CER, in quanto derivanti anch'essi da trattamento di rifiuti urbani o comunque riconducibili a tale contesto:
     CER 19 giugno 2003: liquidi prodotti dal trattamento anaerobico di rifiuti urbani;
     CER 19 giugno 2004 digestato prodotto dal trattamento anaerobico di rifiuti urbani;
     CER 19 agosto 2005 fanghi prodotti dal trattamento delle acque reflue urbane;
    da una stima prudente si può affermare che in totale si superino i 10 milioni di tonnellate annui, tuttavia si richiede all'ISPRA di fornire dati più dettagliati precisi in merito almeno ai 3 codici CER suddetti;
    a parere della Commissione, per avere un quadro generale più indicativo e approfondito della produzione di rifiuti, si dovrebbe inoltre considerare l'ammontare di quei rifiuti pericolosi e non pericolosi di provenienza militare assimilabili per caratteristiche ai rifiuti urbani e non aventi caratteristiche tali da mettere a rischio la sicurezza nazionale, visto che tali rifiuti vengono gestiti utilizzando impianti autorizzati anche al trattamento di altre tipologie di rifiuti e pertanto concorrono alla determinazione dell'effettivo fabbisogno impiantistico nazionale;
    a parere della Commissione ad oggi non vi è il modo di verificare se un singolo carico di rifiuti sia effettivamente sottoposto a pesatura una sola volta o se, a valle di operazioni di miscelazione e trasferimento, sia possibile pesare gli stessi rifiuti più volte. Infatti a norma del decreto legislativo n. 36 del 2003 e decreto ministeriale 27 settembre 2010 non è prevista l'ispezione durante lo scarico dei rifiuti né una selezione obbligatoria preliminare allo smaltimento, e questo può causare una ulteriore difficoltà nei criteri di calcolo della produzione complessiva dei rifiuti;
    risulta evidente a questo punto che gli attuali criteri di calcolo della produzione complessiva dei rifiuti non sono adeguati a trasmettere un quadro attendibile della produzione dei rifiuti, in quanto esistono tipologie di rifiuti che vengono conteggiate due volte (la prima come rifiuti urbani e la seconda come rifiuti speciali), materiali che rischiano di essere pesati più volte e tipologie di rifiuti che non rientrano affatto nel calcolo complessivo della produzione dei rifiuti, e tale mancata verifica causa il rischio di una apparente abnorme sovrastimata necessità di impianti di trattamento, ovvero della necessità di impianti con tecnologie di trattamento diverse da quelle effettivamente occorrenti,

impegna il Governo:

   a richiedere agli organi competenti dati di produzione relativi a tutti i rifiuti urbani e speciali, solidi e liquidi, pericolosi e non pericolosi dai quali potrebbero derivare rifiuti speciali già conteggiati in precedenza, contestualmente assicurando che tali dati siano resi pubblici e facilmente consultabili;
   ad elaborare, su iniziativa del competente Ministero dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare misure che fissino criteri oggettivi e univoci per ottenere un quadro attendibile della produzione e delle tipologie dei rifiuti effettivamente prodotti in Italia;
   a fare in modo che il Ministero della difesa renda pubblici, facilmente comprensibili e accessibili i dati relativi alla produzione di rifiuti militari solidi e liquidi, pericolosi e non pericolosi non connessi alla sicurezza nazionale e dei relativi impianti di trattamento.
(7-00235) «Segoni, Vignaroli, Busto, Daga, De Rosa, Mannino, Terzoni, Zolezzi».


   La VIII Commissione,
   permesso che:
    a livello europeo il lupo (definizione ufficiale «canis lupus») è una specie identificata e tutelata dalla direttiva 92/43/CE (cosiddetta «direttiva Habitat»), la cui applicazione richiede di proteggere le specie dalla competizione con varietà simili e dall'inquinamento della loro identità genetica;
    il lupo è poi tutelato, a livello internazionale, dalla convenzione di Berna («convenzione per la conservazione della vita selvatica e dei suoi biotopi in Europa»);
    l'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), attraverso l'elaborazione di specifiche ricerche, ha rilevato che nel nostro Paese i lupi, dopo aver rischiato l'estinzione, si sono riadattati a sopravvivere in raggruppamenti, localizzabili in alcune aree isolate dell'Appennino centrale e meridionale, riapparendo successivamente in vaste zone lungo l'intera dorsale appenninica e sulle Alpi marittime, interessando anche aree con grande vocazione rurale e densamente popolate dall'uomo e da attività zootecniche;
    la presenza di lupi, legata alla crescita del randagismo dei canidi anche nelle campagna e nelle zone boschive sta inoltre causando un notevole aumento del fenomeno dell'ibridazione, che rappresenta inevitabilmente una seria minaccia alla sopravvivenza stessa della specie genetica del lupo;
    lo studio effettuato dall'università La Sapienza di Roma, nell'ambito del progetto «Ibriwolf» ha infatti accertato la presenza di molti di questi esemplari nei boschi e nelle campagne;
    si sono registrati, negli ultimi mesi, attacchi di lupi, canidi o altri predatori, ad aziende in molte regioni d'Italia; in alcuni casi, gli attacchi al bestiame sono causati anche dai cosiddetti «ibridi». Secondo i dati resi noti dalla Coldiretti nel 2013 sono state uccise circa 3mila pecore, oltre a capre, puledri, vitelli e mucche al pascolo. Una situazione allarmante confermata anche dalla Cia che parla di migliaia di animali da pascolo uccisi e da numerose aziende costrette a cessare l'attività;
    dalla dinamica di tali episodi (verificatisi in strutture protette da appositi recinti rinforzati) e dalle conseguenze spesso drammatiche degli attacchi (interi allevamenti vengono distrutti se ai capi uccisi si aggiungono quelli feriti gravemente ed i conseguenti problemi di riproduzione) risulta evidente che non si tratta di incursioni di lupi, canidi o altri predatori ma di veri e propri branchi che potrebbero, se tale fenomeno venisse sottovalutato, rappresentare un problema di sicurezza anche per l'uomo soprattutto nelle zone marginali;
    in alcune aree del territorio nazionale, l'incremento della frequenza di attacchi da parte di lupi, canidi o altri predatori agli allevamenti, sta quindi causando un inasprimento della tensione sociale, soprattutto tra comunità locali, le imprese e gli addetti interessati;
    nelle scorse settimane si sono infatti verificati episodi di abbattimento di lupi in alcune zone d'Italia (come ad esempio in provincia di Grosseto ed in provincia di Terni): si tratta di azioni illegali da condannare con forza, ma che testimoniano inevitabilmente l'esasperazione nei confronti di un problema che mette a serio rischio l'economia e l'occupazione soprattutto nelle zone marginali;
    risulta quindi evidente come sia necessario ed urgente mettere in campo strumenti efficaci e risolutivi per promuovere le condizioni di una pacifica coesistenza fra il lupo e le comunità territoriali interessate;
    tale fenomeno, nella sua interezza e complessità, assume quindi i connotati di una vera e propria emergenza, che sollecita l'avvio urgente di iniziative non soltanto da parte delle aziende e dalle associazioni di categoria, ma anche da parte delle istituzioni pubbliche, volte a prevedere un sistema adeguato di misure preventive e di contrasto;
    per fare un esempio, recentemente il presidente della provincia di Grosseto, tutti i sindaci ed i presidenti delle unioni dei comuni della provincia hanno inviato un appello alle istituzioni nazionali e regionali per ricercare una soluzione ad un problema (quello degli attacchi dei lupi, degli «ibridi» e dei canidi) che sta causando non solo ingenti danni economici ed occupazionali, ma anche sociali (per il crescere delle tensioni tra allevatori ed animalisti) ed ambientali (la presenza delle aziende zootecniche è infatti spesso un presidio irrinunciabile per la salvaguardia del patrimonio ambientale del territorio);
    in Italia «il piano di azione nazionale per la conservazioni dei lupi», redatto dall'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, vigilato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare) nel 2002 raccoglie una serie di raccomandazioni per gli enti locali da attuare in maniera sinergica e concordata. La sua validità era di 5 anni ed è quindi quanto mai necessario un aggiornamento capace di analizzare la situazione pregressa, anche al fine di elaborare protocolli di intervento che prevedano un monitoraggio continuo della popolazione ed azioni di prevenzione e salvaguardia capace di promuovere una effettiva e persistente sostenibilità territoriale della presenza del lupo;
    è dunque necessario che ogni politica territoriale relativa alla gestione dei lupi sia basata su conoscenze scientifiche comprovate, su una pianificazione territoriale ampia e condivisa da tutti gli enti e le istituzioni preposte e su un compromesso sostenibile con l'ambiente, l'insediamento umano e le attività economiche e produttive inerenti,

impegna il Governo

a dare mandato all'Ispra di aggiornare «il piano di azione nazionale per la conservazione dei lupi» (comprensivo di un censimento dell'attuale presenza in Italia di tale specie animale e degli «ibridi» quale documento scientifico propedeutico a qualsiasi efficace e corretta politica di gestione di tale fenomeno), al fine di definire, anche sull'esperienza di altri Paesi europei, le linee guida e le azioni prioritarie per salvaguardare la specie del lupo, compatibilmente con la sostenibilità economica, occupazionale e sociale dei territori coinvolti, con l'ambiente e l'equilibrio dell'ecosistema territoriale.
(7-00242) «Dallai, Sani, Mazzoli».


   La XII Commissione,
   premesso che:
    la somatostatina venne scoperta accidentalmente nel 1968 dai biologi Krulich che, cercando una sostanza capace di stimolare il rilascio di somatotropina nell'ipotalamo del ratto, trovarono una che inibiva questa secrezione e che chiamarono somatostatina che è un ormone polipeptidico prodotto dall'ipotalamo, dal pancreas, dal tratto gastro-intestinale e da cellule del sistema APUD ed è prodotta in varie sedi dell'organismo, in particolare dalle cellule D antrali dello stomaco (inibisce cellule G produttrici di gastrina, regolandone la funzione – vedi patogenesi dell'ulcera duodenale), nell'asse ipotalamo-ipofisario dove inibisce la secrezione di GH (ormone della crescita), TSH, ACTH e prolattina e nelle cellule delta del pancreas dove inibisce il rilascio di insulina e glucagone e di acido cloridrico nello stomaco, inibisce inoltre la produzione esocrina del pancreas;
    la stessa agisce anche da neurotrasmettitore ed ha un'azione stimolante su recettori colinergici e β-adrenergici ed esistono due forme biologicamente attive di questo ormone, una a 14 amminoacidi e una a 28, sintetizzate attraverso processi proteolitici a partire da precursori chiamati prepro-somatostatina e pro-somatostatina;
    in Italia la sostanza ha ottenuto grande notorietà nel periodo della sperimentazione del nuovo metodo (prima era conosciuta prevalentemente in ambiente scientifico e tra i malati di alcuni tumori neuroendocrini), con il quale venne impiegata contro il tumore, proprio perché inibisce il rilascio di fattori di crescita che vengono usati anche dalle cellule cancerose per moltiplicarsi e condurre il loro ciclo vitale;
    il costo di una cura basata sulla somministrazione della somatostatina ha costi inaffrontabili per molti cittadini, colpiti da qualsiasi forma tumorale od epatica che ne possano necessitare se non segnalati dalla cosiddetta nota 48;
    la nota 48 si riferisce alla prescrizione a carico del servizio sanitario nazionale ed è limitata ai seguenti periodi di trattamento e alle seguenti condizioni ovvero: durata di trattamento 4 settimane (occasionalmente 6 settimane), ulcera duodenale o gastrica positive per Helicobacter pylori (H. pylori), per la prima o le prime due settimane in associazione con farmaci eradicanti l'infezione, ulcera duodenale o gastrica H. pylori-negativa (primo episodio), malattia da reflusso gastroesofageo con o senza esofagite (primo episodio), durata di trattamento prolungata, da rivalutare dopo un anno, sindrome di Zollinger-Ellison, ulcera duodenale o gastrica H. pylori-negativa recidivante, malattia da reflusso gastroesofageo con o senza esofagite (recidivante),

impegna il Governo:

   ad operare affinché la nota 48 venga estesa a tutti i soggetti sottoposti a controlli e cure oncologici ovvero affetti da epatiti di vario genere;
   ad assumere iniziative per sottoporre l'emissione della nota 48 alla presentazione del Modello Isee ed al controllo del cosiddetto spesometro.
(7-00241) «Dall'Osso, Di Vita, Grillo, Baroni, Cecconi, Lorefice, Silvia Giordano, Mantero, D'Incà».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BOBBA e ANZALDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 6-bis del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 22 dicembre 2011) ha inserito nel Testo unico bancario l'articolo 17-bis, che – dichiarando nulle tutte le commissioni diverse da quelle descritte nell'articolo stesso – introduce due nuove ed esclusive commissioni: una sulle linee di credito ed una sugli sconfinamenti;
   in particolare, a seguito dell'entrata in vigore della disciplina introdotta dal 1o luglio 2012, in caso di sconfinamento gli unici oneri ad essere applicati sono un tasso di interesse debitore (sull'ammontare dello sconfinamento) ed una Commissione di istruttoria veloce (cosiddetta CIV), come si legge nel prospetto redatto dall'Associazione difesa consumatori e ambiente (http://www.adiconsum.it/files/guide-tematiche/CIV.pdf);
   la banca, per permettere al consumatore di sconfinare, svolge una serie di attività interne, dette «di istruttoria» (ad esempio, accesso alle banche dati, ricerche sul cliente), che vengono retribuite – appunto – con l'addebito della CIV;
   ci sono comunque casi di esenzione dalla CIV, per i quali la commissione non è dovuta:
    quando il consumatore sconfina per un totale inferiore o pari a 500 euro, per un massimo di 7 giorni (attenzione: questa esenzione è valida per una sola volta a trimestre);
    quando lo sconfinamento si è creato per effettuare un pagamento a favore della banca (ad esempio, pagamento mensile delle competenze);
    quando lo sconfinamento non c’è stato perché la banca non lo ha autorizzato;
   al di fuori di tali ipotesi, il consumatore, in caso di sconfinamento, è tenuto a pagare il costo della CIV come previsto dalla propria banca;
   uno studio dell'università Bocconi di Milano per il Corriere della sera, prendendo in esame sette fra i principali istituti bancari operanti in Italia, ha dimostrato che sconfinare per un solo giorno di 501 euro costa in media 33,10 euro, con una punta di 50,25 euro al Monte dei Paschi di Siena, seguito da Unicredit con 50,23 euro. Per dieci giorni, la spesa è invece 35,31 euro nella media delle sette banche e 52,55 euro nella punta ancora per Mps. Se invece si sconfina di mille euro si spendono in media 33,34 euro per un solo giorno e 37,76 euro per dieci giorni. Per Mps e Unicredit, per un solo giorno di buco chiedono rispettivamente 50,51 euro e 50,46 euro, e per dieci giorni 55 euro ciascuna. Invece Banca Intesa ha scelto di non applicare la Civ, optando per un tasso d'interesse nominale molto alto;
   in particolare, gli interroganti hanno appreso dalla segnalazione di un cittadino, che la Banca Unicredit, anche a fronte di un assegno versato e già in valuta, calcola ugualmente la CIV, in quanto considera la disponibilità dell'importo dell'assegno con due giorni di ritardo rispetto alla data in cui viene acquisito in valuta; risulta infatti che il CIV, nel caso di specie, abbia una data contabile del 19 giugno, il versamento dell'assegno a copertura del doppio del passivo sia stato fatto il 13 giugno con valuta 18 giugno;
   sempre nel caso riportato su un passivo di 228,19 è stato applicato un CIV di 50 euro, pari quindi a circa un quarto del debito;
   a parere degli interroganti la particolare situazione economica delle famiglie italiane è ulteriormente compromessa dall'applicazione del CIV –:
   se non si intenda acquisire elementi su eventuali distorsioni dell'applicazione della CIV, anche alla luce di «Basilea 3», e allo stesso tempo se non si ritenga opportuno porre in essere le necessarie iniziative di competenza, anche normative, per non aggravare la già difficile situazione economica delle famiglie italiane. (5-02017)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PALMIZIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dell'evento sismico avvenuto nel maggio del 2012, numerosi comuni della provincia di Reggio Emilia, confinanti con quelli che hanno subito gravi danni alle infrastrutture, hanno disposto il divieto di agibilità per i capannoni industriali, a differenza di quanto stabilito dalla precedente normativa, che consentiva invece la praticabilità per i medesimi impianti che non avevano subito alcun danno a seguito di eventi similari;
   gli imprenditori ai quali è stato rimosso il suddetto divieto di agibilità, hanno comunque avviato la messa in sicurezza dei propri capannoni a proprie spese, ottemperando alla discutibile scelta disposta dai comuni interessati, attraverso opere infrastrutturali (travi, pilastri, tetti, tamponamenti e scaffalature), ottenendo una agibilità parziale e l'autorizzazione di tre anni per completare i restanti lavori e ricevere l'agibilità antisismica completa;
   tale decisione determinerà in realtà, imponenti lavori di scavo e di ricognizione per i medesimi imprenditori, i quali per ottenere il permesso di proseguire la propria attività aziendale, dovranno intervenire con un notevole esborso finanziario, a scavare sotto la superficie, dove sono situati i propri capannoni, legare i plinti sottoterra e creare dei tunnel da riempire con gettate di cemento armato;
   gli effetti altamente negativi e penalizzanti segnalano i titolari di aziende, causeranno l'inevitabile sospensione delle attività produttive e commerciali, per diversi mesi, con un aggravio di costi, non rimborsabili di rifacimento delle aree limitrofe delle medesime strutture;
   ulteriori profili di criticità che derivano da quanto esposto in precedenza, rilevano inoltre gli stessi imprenditori, saranno determinati dall'indispensabile osservanza delle norme sulla sicurezza del lavoro, nei riguardi degli stessi lavoratori, i quali senza l'ottemperanza di quanto richiesto dai comuni in materia di adeguamento di norme antisismiche e di messa in sicurezza del territorio, rischiano di lavorare all'interno di un ambiente non a norma con prevedibili denunce in ambito sia civile che penale;
   le imprese coinvolte dalle suddette problematiche, evidenzia l'interrogante, sollecitano affinché i comuni che si trovano nelle aree di confine del cratere sismico, siano esonerati dalla seconda ottemperanza prevista dalla normativa, ovvero che sia concessa l'agibilità al 100 per cento soltanto con i lavori effettuati nel primo adempimento obbligatorio (lavori infrastrutturali che comunque hanno migliorato notevolmente la qualità strutturale degli immobili);
   l'interrogante evidenzia altresì, come l'ordinanza della regione Emilia Romagna, n. 23 del 23 febbraio 2013, preveda in realtà l'esonero della suddetta seconda ottemperanza, nei comuni in cui l'onda sismica sia stata inferiore a certi valori, ciononostante, le imprese coinvolte non possono utilizzare tale deroga, in quanto riscontrano notevoli difficoltà nella misurazione dell'intensità dell'onda sotto i capannoni;
   la suesposta vicenda, a giudizio dell'interrogante, rischia di determinare evidenti ripercussioni negative e penalizzanti, nei riguardi del tessuto socio-economico produttivo delle aree della provincia di Reggio Emilia, già costrette a fronteggiare una situazione economica recessiva tuttora grave e le notevoli difficoltà causate dall'elevata tassazione che grava sulle imprese;
   fermi restando i condivisibili e necessari interventi di messa in sicurezza del territorio e di osservanza dei livelli di tutela e salvaguardia dei lavoratori sui luoghi di lavoro, l'interrogante rileva tuttavia, come le disposizioni previste dal decreto-legge 6 giugno 2012, n. 74 in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici che hanno interessato il territorio delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo e dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, concernente il finanziamento degli interventi per la rimozione delle carenze strutturali finalizzate alla prosecuzione delle attività per le imprese insediate nei medesimi territori interessati dal sisma, nonché dalle successive ordinanze, rischiano di provocare una serie di confusione e disparità fra i comuni interessati direttamente dal terremoto e quelli che invece sono stati lambiti dall'evento sismico, in quanto confinanti;
   gli interventi dalle ordinanze della protezione civile è dal Commissario delegato, che indicano i requisiti di sicurezza antisismica per i capannoni industriali interessati anche indirettamente dal terremoto del maggio 2012, in alcuni comuni della provincia di Reggio Emilia, rischiano di determinare gravi ricadute nei confronti dell'economia locale con inevitabili ripercussioni sul piano occupazionale –:
   quali orientamenti intendano esprimere, nell'ambito delle rispettive competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se non ritengano opportuno in conseguenza delle criticità esposte in premessa, adottare misure urgenti e necessarie volte a rivedere l'attuale disciplina regolatoria in materia di certificazione antisismica e di obbligatorietà delle norme previste per l'agibilità dei capannoni industriali, in particolare nei comuni di: Novellara, Campagnola, Fabbrico, Correggio, Rio Saliceto, Rolo e Reggiolo, situati in provincia di Reggio Emilia;
   quali iniziative intendano infine adottare, nell'ambito delle rispettive competenze, al fine di sostenere l'importante tessuto produttivo delle aree interessate, le cui caratteristiche di agibilità antisismica, così come sono attualmente previste per i comuni limitrofi a quelli direttamente colpiti dal terremoto, rischiano di determinare la chiusura di molte attività imprenditoriali. (4-03366)


   LUIGI DI MAIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il comparto agricolo alimentato dalle coltivazioni site nei territori della province di Napoli e Caserta rappresenta senz'altro un elemento insostituibile per tutta la produzione agricola nazionale – con riferimento sia al mercato interno che estero – nonché un fattore ineludibile per il benessere economico delle popolazioni interessate;
   come era purtroppo altamente prevedibile, l'emergenza dei roghi e rifiuti tossici nella cosiddetta «Terra dei fuochi» finisce con il danneggiare senza distinzioni la produzione agroalimentare campana e apre la strada a una guerra commerciale;
   al dramma delle popolazioni colpite da una contaminazione senza precedenti nella storia nazionale, si aggiunge la beffa da quando alcune importanti aziende del settore agroalimentare hanno iniziato a speculare sulle vicende della cosiddetta «Terra dei fuochi» mettendo in evidenza nei loro spot pubblicitari come i loro prodotti non provenissero dalla Campania;
   si tratta evidentemente di manifestazioni dal chiaro e vergognoso sapore razzista che non fanno altro che speculare su una tragedia che già di per sé grava pesantemente sul popolo campano; è chiaro come lo Stato debba allo stesso tempo da un lato adoperarsi al fine impedire tali manifestazioni di razzismo e dall'altro utilizzare tutti gli strumenti al fine di garantire che non siano utilizzati per finalità agricole i terreni contaminati, ponendo al contempo in essere tutte le azioni possibili per la bonifica –:
   quali iniziative, nell'ambito delle rispettive competenze, i Ministri interrogati intendano assumere in relazione a spot pubblicitari esplicitamente o implicitamente razzisti;
   se il Presidente del Consiglio non intenda attivarsi affinché vengano realizzati dei messaggi pubblicitari governativi finalizzati a sensibilizzare l'opinione pubblica sul fatto che non tutto ciò che viene prodotto in Campania è contaminato;
   se il Governo non ritenga che tale campagna di sensibilizzazione dell'opinione pubblica debba comunque essere accompagnata da una seria operazione di mappatura dei terreni e se, nel caso in cui si accerti una contaminazione, non si debba procedere quanto prima alla bonifica, come presupposto per l'utilizzo a fini agricoli dei terreni stessi. (4-03370)


   FEDRIGA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il 25 gennaio 2014 presso il comune di Pordenone si è tenuto un incontro del Ministro Kyenge con il consiglio comunale, con rappresentati di associazioni e studenti;
   a tale incontro sono stati invitati ufficialmente tutti i consiglieri comunali tra cui, ovviamente, anche quelli appartenenti al gruppo Lega Nord;
   all'incontro hanno preso la parola il sindaco, alcuni studenti e un rappresentante delle associazioni degli immigrati, senza che altri potessero esprimersi;
   prima che iniziasse a parlare il Ministro Kyenge, il consigliere comunale di Pordenone della Lega Nord signor Piccinato, si è alzato indossando una maglietta con la scritta «essere friulano è razzismo»;
   si sottolinea che il consigliere è rimasto fermo in piedi riuscendo a pronunciare solo le parole «mi scusi Cecile», a quel punto è stato subito preso di forza dalla scorta del Ministro e portato fuori dall'aula consigliare, come testimoniano i molti video a disposizione che hanno filmato l'accaduto;
   come riportano le dichiarazioni dello stesso Piccinato, il consigliere voleva solo stringere la mano al Ministro ed esternare i suoi dubbi sulle posizioni politiche espresse dal Ministro stesso;
   un rappresentante del Governo deve saper accettare anche le critiche, senza avvalersi della scorta per allontanare forzatamente coloro i quali esprimono democraticamente e pacificamente il proprio dissenso –:
   se il consigliere avesse turbato insistentemente il normale svolgersi dell'assise, cosa che non emerge dai documenti video a disposizione, sarebbero dovuti intervenire comunque gli organi preposti e non certo la scorta del Ministro;
   se il Presidente del Consiglio dei ministri sia a conoscenza dei fatti riportati e se ritenga che in tali circostanze sia stato fatto, da parte di un componente del proprio Esecutivo, un corretto utilizzo della scorta assegnatagli esclusivamente ai fini della propria sicurezza, o se al contrario non si possa ravvisare un errato impiego di tale scorta a fini di censura e di allontanamento di figure non gradite al Ministro. (4-03373)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta scritta:


   RIZZETTO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   in data 18 gennaio 2014, si è appreso dalla stampa che due operai calabresi sono scomparsi in Libia, in località Derna della Cirenaica, centro della presenza integralista e qaedista in Libia;
   si tratta di Francesco Scalise, 62 anni, e Luciano Gallo, 48 anni, residenti rispettivamente nei comuni di Pianopoli e Feroleto Antico, in provincia di Catanzaro, i quali lavoravano da alcuni mesi alla realizzazione di una strada in territorio libico per la ditta General World, presente nel Crotonese con un ufficio a Petilia Policastro;
   la notizia è stata confermata all'AGI da fonti governative, che secondo una prima ricostruzione, hanno accertato che i due operai erano usciti, in data 17 gennaio 2014, con il furgone della ditta, dovendo terminare dei lavori stradali per la posa di un cavo di telecomunicazioni;
   gli stessi si trovavano a Matouba, a 25 chilometri da Derna, in direzione di Tobruk, allorché, a quanto riferisce l'autista, un gruppo di uomini a volto coperto li ha fermati ripartendo con gli italiani sulle loro auto;
   la scomparsa dei due operai calabresi in Libia è stata denunciata dal fratello di Francesco Scalise, operaio che si trova anch'egli in Cirenaica per lavoro, il quale si è recato all'ambasciata italiana di Tripoli per presentare denuncia, posto che i due operai non hanno fatto rientro nei tempi previsti;
   sono state inutili le ricerche avviate dai colleghi e vani anche i tentativi di provare a contattarli attraverso i telefoni cellulari;
   il console italiano a Bengasi, Federico Ciattaglia, ha riferito all'Agi: «stiamo facendo tutti gli accertamenti possibili per chiarire la situazione» aggiungendo che la zona della località Derna è «ad alto rischio», a riguardo, ha aggiunto: «sappiamo che in quella zona la situazione è molto difficile e lo abbiamo segnalato» e «ci rendiamo conto che molte aziende hanno fatto scelte coraggiose di operare in quella zona»;
   il Ministero degli affari esteri sembra abbia riferito di avere attivato tutti i propri contatti per il recupero dei dispersi, inoltre, risulta che lo stesso abbia dichiarato che è stata una scelta irresponsabile della ditta mandare gli operai in Libia senza coordinarsi con la Farnesina;
   di contro, sul punto, si ritiene che vi siano delle gravi responsabilità del Ministero degli affari esteri per quanto concerne la sicurezza degli operai italiani che lavorano in Libia, considerando che il predetto Ministero è ben consapevole che molte imprese italiane operano in tale territorio;
   ed ancora, si rileva che, il Ministero degli affari esteri, oltre a non porre in essere i necessari interventi per tutelare l'incolumità fisica di coloro che lavorano in territorio libico, non ha neanche adottato i dovuti provvedimenti per la liquidazione dei crediti delle imprese italiane in Libia successivi all'embargo dell'anno 1992 nonché alla crisi dell'anno 2001;
   la mancata liquidazione di tali crediti, determinando la crisi delle aziende coinvolte, ha costretto, a rischio di vita, gli imprenditori e gli operai delle stesse a continuare ad operare in Libia pur di far «sopravvivere» tali attività;
   negli anni, tali fatti sono stati denunciati più volte dalle imprese, tra cui la friulana Bitumi International srl, al Ministero degli affari esteri e, da quando è in carica, allo stesso Ministro Emma Bonino, tuttavia, ad oggi, tali realtà risultano totalmente abbandonate dalle istituzioni –:
   se e quali provvedimenti siano stati adottati dal Ministro interrogato per rintracciare i due operai, Francesco Scalise e Luciano Gallo, scomparsi in territorio libico;
   se e quali interventi abbia posto in essere il Ministro interrogato per tutelare i lavoratori delle imprese italiane che operano in Libia, considerando la situazione a rischio sicurezza che sussiste in tale Stato;
   se e quali provvedimenti abbia adottato per risolvere la ben nota situazione che vede una moltitudine di imprese italiane in attesa, da molti anni, della liquidazione di crediti in Libia, costringendo le stesse, per stato di necessità, a continuare ad operare in territorio libico al fine di far sopravvivere le proprie attività. (4-03364)

AFFARI REGIONALI E AUTONOMIE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BOBBA e GUERRA. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Corte costituzionale, con sentenza depositata il 31 ottobre 2013, decidendo sulla base di un ricorso avanzato dalla regione Veneto, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 64, commi 1 e 2, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 134;
   detti commi istituivano «presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Fondo per lo sviluppo e la capillare diffusione della pratica sportiva a tutte le età e tra tutti gli strati della popolazione finalizzato alla realizzazione di nuovi impianti sportivi, con una dotazione finanziaria, per l'anno 2012, fino a 23 milioni di euro»;
   secondo il dettato normativo, «Agli oneri derivanti dalle disposizioni di cui al comma 1, si provvede, nel limite di spesa di 23 milioni di euro, nell'ambito delle risorse effettivamente disponibili sul bilancio della Presidenza del Consiglio dei ministri, per l'anno 2012, finalizzate alla diffusione della pratica sportiva, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica»;
   le istanze pervenute all'ufficio per lo sport riguardo il Fondo per lo sviluppo e la capillare diffusione della pratica sportiva (decreto interministeriale del 25 febbraio 2013, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 27 aprile 2013) sono state oltre 10.000;
   l'ufficio per lo sport presso la Presidenza del Consiglio dei ministri provvedeva a dichiarare: «Preso atto della sentenza, il Dipartimento per lo Sport e l'Ufficio di gabinetto del Ministro per lo Sport stanno lavorando per valutare nuovi strumenti di agevolazione e supporto in materia di impiantistica sportiva e per le politiche attive per lo sport.»;
   la legge di stabilità 2014, ai commi 304 e 305, introduce una nuova procedura per la realizzazione e l'ammodernamento degli impianti sportivi, nonché per assicurare l'equilibrio economico e finanziario degli interventi anche sulla scorta di quanto previsto dalla disciplina vigente in materia di finanza di progetto (project financing), precisando che gli interventi, laddove possibile, sono realizzati prioritariamente mediante recupero di impianti esistenti o relativamente a impianti localizzati in aree già edificate –:
   come verranno utilizzate le risorse resesi disponibili sul bilancio della Presidenza del Consiglio dei ministri, per l'anno 2012, e quindi destinate al Fondo dichiarato illegittimo e quali siano i nuovi strumenti per supportare l'impiantistica sportiva, considerato che la legge di stabilità 2014 non risponde agli stessi obiettivi del Fondo di cui in premessa. (5-02010)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COLLETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Gruppo bancario abruzzese denominato «Banca Tercas Spa» è controllato per il 65 per cento del capitale sociale dalla fondazione Tercas il cui statuto, sia nella versione del 2007 sia a in quella in vigore dal 4 ottobre 2013, prevede che il consiglio di amministrazione della Fondazione venga eletto dal consiglio indirizzo;
   la maggior parte dei componenti del consiglio di indirizzo viene sostanzialmente designata dai partiti politici per il tramite di alcuni enti territoriali;
   il meccanismo previsto dallo statuto ha dunque consentito alle diverse forze politiche di acquisire e mantenere il controllo della fondazione Tercas e conseguentemente della Banca Tercas;
   a maggio del 2012 la Banca d'Italia ha disposto il commissariamento della banca dopo aver rilevato «gravi irregolarità e violazioni normative, ai sensi dell'articolo 70, comma 1, lettera A del Testo unico bancario, connesse alla «inadeguatezza degli assetti di governance e dei controlli interni» nonché a «gravi irregolarità operative»;
   gli accertamenti ispettivi erano stati disposti «anche a seguito del coinvolgimento di Tercas in un procedimento penale della Procura della Repubblica di Roma» relativo al fallimento di Di.Ma Costruzioni, il gruppo dell'immobiliarista Raffaele Di Mario, arrestato per bancarotta fraudolenta;
   il 18 dicembre 2013, un altro filone della stessa inchiesta ha portato all'arresto dell'ex direttore generale della banca, Antonio Di Matteo, con l'accusa di bancarotta fraudolenta, ostacolo all'attività finanziaria di vigilanza e associazione per delinquere;
   le indagini hanno coinvolto altre 18 persone che, secondo l'accusa, avrebbero «prosciugato» i fondi della banca ottenendo, con la compiacenza del direttore generale Di Matteo, finanziamenti privi di garanzia in favore di imprenditori e soci in affari, tra cui lo stesso immobiliarista Di Mario, per un totale di circa 200 milioni di euro;
   secondo il gip di Roma, Vilma Passamonti, a fronte delle ingenti somme di denaro illecitamente ottenute, i beneficiari si impegnavano ad acquistare pacchetti azionari Tercas con patto di rivendita (il cosiddetto portage) sottraendoli di fatto al controllo degli organismi di vigilanza e garantendo a Di Matteo di gestire indisturbato i fondi della banca;
   nel mirino dei magistrati risulta anche l'acquisizione della banca pescarese Caripe, autorizzata dalla Banca d'Italia il 29 dicembre 2010 sulla base di informazioni false. Le ispezioni dell'anno successivo hanno infatti accertato in capo a Tercas l'assenza dei requisiti patrimoniali minimi obbligatori per l'operazione nonché la scadente qualità del portafoglio prestiti, gravato da ingenti svalutazioni –:
   di quali elementi disponga il Governo in merito alla vicenda descritta in premessa, con particolare riferimento alla tutela dei risparmiatori e dei lavoratori della banca;
   se sia nelle intenzioni dell'Esecutivo promuovere con urgenza un intervento normativo che ridisegni la disciplina delle fondazioni bancarie affinché siano garantite la massima trasparenza, soprattutto nei rapporti con le forze politiche, ed un più efficace contrasto al compimento di eventuali operazioni finanziarie illecite.
(5-02021)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO e QUARANTA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'ANAS, azienda nazionale autonoma delle strade, è una società per azioni avente come unico socio il Ministero dell'economia e delle finanze, ed operante sotto la vigilanza tecnica ed operativa del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   essa gestisce la rete stradale ed autostradale italiana di interesse nazionale;
   recentemente la procura della Corte dei Conti ha combinato una multa per danno erariale da 35,5 milioni di euro al presidente dell'ANAS, dottor Pietro Ciucci, ed ai suoi principali dirigenti;
   la sanzione è legata ad un accordo bonario con l'impresa Comeri dopo l'ennesimo sforamento dei costi della statale 106 dello Jonio;
   per tale multa il management dell'ANAS ha fatto, compattamente, ricorso in Corte di Cassazione;
   la tesi portata avanti nel ricorso dall'ANAS è che, sebbene l'opera sia finanziata con soldi pubblici, la Corte dei Conti non abbia voce in capitolo;
   secondo la dirigenza dell'ANAS, infatti, pur essendo controllata al 100 per cento e finanziariamente alimentata dallo Stato, l'Azienda nazionale autonoma delle strade è una società per azioni di diritto privato, e non una società pubblica;
   diretta conseguenza di ciò sarebbe il fatto che i suoi dirigenti non possano danneggiare, con il loro operato, l'erario, né possano essere chiamati a compensare eventuali danni di tasca loro;
   tutto ciò è riportato nell'articolo «Cattivissima Corte», pubblicato dalla rivista d'informazione «L'Espresso» nell'edizione del 30 gennaio 2014;
   non si tratta certo dell'unico caso di sperpero di danaro pubblico da parte dell'ANAS evidenziato nel corso degli anni dalla Corte dei Conti;
   già in passato vi era stata una condanna, sempre per danno erariale, per una «consulenzopoli» fiorita nel periodo 2004-2007;
   in quell'occasione la Corte dei Conti del Lazio aveva riconosciuto colpevoli l'ex presidente dell'Anas, Vincenzo Pozzi, ed il direttore generale dell'epoca, Francesco Sabato, insieme ad altri dirigenti, per aver esternalizzato senza gara attività generiche e indeterminate, che si traducevano però in compensi precisi e ripetuti;
   dall'indagine della Corte dei Conti risulta che erano stati affidati a realtà esterne incarichi che potevano benissimo essere svolti all'interno dell'azienda pubblica;
   nel marzo del 2003, per esempio, l'ANAS aveva cominciato a firmare contratti con una società che avrebbe dovuto verificare la manutenzione delle strade in Piemonte, Emilia Romagna e Lazio ma che, al tempo dei primi incarichi, nemmeno era iscritta al registro delle imprese;
   da dove arrivassero esperienza ed alta professionalità tali da giustificare le consulenze pubbliche non è chiaro, ed è da evidenziare come, sin dalla nascita, le fortune di quella società siano state legate a filo doppio all'ANAS, che dal 2003 al 2006 le ha fornito più del 95 per cento delle entrate totali;
   a moltiplicare le spese vi era un meccanismo a ripetizione che caratterizzava gli incarichi, con contratti iniziali che duravano pochi mesi e che riguardavano attività di tipo continuativo e periodico, e quindi contenevano al proprio interno la clausola di tacito rinnovo;
   in tal modo una volta aperto, secondo i magistrati, il filone diventava praticamente inesauribile;
   per questo caso sono arrivate da condanne da 1,6 milioni di euro in tutto, in larga parte sulle spalle di Sabato (1,28 milioni di euro) e Pozzi (300.000 euro);
   peraltro Pozzi era già incappato nei magistrati della sezione giurisdizionale del Lazio, che per un'altra vicenda di consulenze l'avevano condannato a 700.000 euro, ridotti nel luglio scorso in appello a 175.000;
   quegli incarichi erano costati all'ANAS qualcosa come 15 milioni di euro;
   anche nel caso relativo alle consulenze relativa al periodo 2004-2007 l'ANAS aveva addotto in sua difesa il suo status di società per azioni, che le avrebbe, secondo i suoi difensori, permesso di rimanere estranea a qualsivoglia giudizio della Corte dei conti;
   l'argomentazione era già stata in quel caso considerata debole, come dimostrano sentenze che in passato hanno colpito la Rai ed altre aziende pubbliche;
   i fatti appena narrati sono riportati dall'articolo «Anas, nuova condanna per le consulenze “a ripetizione”», pubblicato dall'edizione online de «Il Sole 24 Ore» il 19 novembre 2013;
   il 9 ottobre del 2013 sono stati arrestati, insieme con altri, per reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, intestazione fittizia di beni e concorso esterno in associazione mafiosa, Mauro Scaramuzza, amministratore delegato della Fip Industriale di Padova, impresa di rilevanza internazionale e capofila dell'Associazione temporanea di imprese che si era aggiudicata l'appalto per i lavori di edificazione del primo stralcio «variante di Caltagirone» sulla strada statale 683 Licodia Eubea-Libertinia, ed Achille Soffiato, responsabile del cantiere;
   la Fip, incaricata in passato di realizzare le cerniere del Mose di Venezia, era già stata al centro nel 2011 di un'inchiesta della trasmissione televisiva «Report»;
   in quest'occasione la Fip avrebbe di fatto favorito e affidato dei lavori in subappalto per importanti e considerevoli cifre a società come la To Revive e la Edilbeta Costruzioni, controllate dalla famiglia mafiosa dei La Rocca, ed in particolare da Gioacchino Francesco La Rocca, già condannato per 416-bis;
   Soffiato e Scaramuzza avrebbero eluso la normativa antimafia con la complicità di tre funzionari dell'ANAS, ed in particolare di un impiegato dell'ufficio contratti, del direttore dei lavori e del responsabile unico del procedimento nonché direttore del compartimento di Catania, che avrebbero ingiustificatamente frazionato i contratti di subappalto stipulati dalla Fip con le predette società in modo che ciascuno di essi non superasse la soglia di 154.000 euro, oltre la quale diventavano obbligatorie le informative e la certificazione antimafia;
   i tre impiegati ANAS avrebbero inoltre trasmesso con un ritardo di oltre otto mesi alla prefettura di Catania la richiesta di informazioni per un subappalto superiore alla soglia prevista relativo sempre alla To Revive, che nel frattempo percepiva regolari pagamenti;
   questi fatti sono riportati dall'articolo «Mafia e appalti, “Variante di Caltagirone”: complici anche funzionari dell'ANAS», pubblicato dal sito di informazione «Catania Today» il 9 ottobre 2013;
   sarebbe possibile citare molti altri casi dello stesso tipo;
   il 23 gennaio 2014, presso la Scuola superiore di polizia, è stata presentata un'indagine dell'istituto ISPO sull'atteggiamento verso le grandi infrastrutture e l'immagine di ANAS presso la popolazione e gli opinion leader;
   a tale evento ha presenziato anche il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;
   in tale occasione il Ministro ha proposto che una quota del prodotto interno lordo italiano venga destinata ogni anno al settore delle infrastrutture;
   tale quota è stata individuata in quella sede nello 0,3 per cento, ed in larga parte verrebbe chiaramente destinata all'ANAS, che lo stesso Ministro ha definito nel discutere del tema come lo strumento di presenza del Ministero e del Governo nel settore delle infrastrutture;
   le parole del Ministro sono state riprese e pubblicate nel servizio «Indagine ISPO su Infrastrutture e ANAS» del 24 gennaio 2014 dalla tv on demand della stessa ANAS –:
   se i Ministri, per quanto di competenza, non ritengano che, proprio considerata l'imprescindibile importanza strategica rivestita dal settore delle infrastrutture, sia doveroso rendere più efficaci i controlli sull'ANAS, strumento di presenza del Ministero nel settore delle infrastrutture che gestisce ingenti somme di denaro pubblico. (4-03369)


   BRANDOLIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi sono emerse sulla stampa anticipazioni in merito al piano industriale taglia costi del neo amministratore del gruppo Intesa San Paolo, Carlo Messina, che prevedrebbe la creazione di un polo unico del Nord est e porterebbe alla incorporazione in CariVeneto di CariVenezia e di CariFVG (nata dalla fusione tra CariGorizia e CariUdine Pordenone);
   attualmente azionista unico di CariFVG spa è il gruppo Intesa San Paolo che, con una complicata operazione societaria, nei primi anni 2000, acquisì il ruolo di socio unico in CariFVG, mentre le fondazioni di riferimento, rispettivamente quelle di Gorizia e di Udine/Pordenone, acquistarono partecipazioni azionarie nella società bancaria di controllo del gruppo Intesa San Paolo;
   le evoluzioni societarie non hanno snaturato la qualità storica e la qualificazione giuridica dei patrimoni bancari, creati dagli originari enti pubblici economici e appartengono alle popolazioni dei territori di riferimento;
   la notizia della paventata sparizione di Cari FVG spa, a causa della sua fusione per incorporazione in Cari Veneto, non può che destare grande allarme per una ingiustificabile situazione di ulteriore danno al territorio che tale operazione verrebbe a produrre;
   un impoverimento della struttura bancaria cui si fa riferimento, sia in termini di forza lavoro che di presenza di dipendenza sul territorio con probabile decurtazione delle risorse creditizie che oggi CariFVG mette a disposizione del sistema produttivo locale regionale, con depauperamento della finanza locale regionale –:
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere, a fronte del rischio che si determinino ulteriori pesanti ricadute sul tessuto produttivo e occupazionale del territorio regionale già gravemente provato dalla profonda crisi economica. (4-03374)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   BUSINAROLO, COLLETTI, NICOLA BIANCHI, SPESSOTTO, DE LORENZIS, LOREFICE, CECCONI, SCAGLIUSI, AGOSTINELLI, CRISTIAN IANNUZZI, MANNINO e SIBILIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   risulta essere tuttora in corso una grave anomalia all'interno dell'amministrazione penitenziaria;
   alla data odierna vengono mantenuti circa 120 neo vice commissari, appartenenti al terzo corso del ruolo direttivo ordinario, che dal gennaio 2013 hanno terminato il corso di formazione per conseguire la nomina alla qualifica iniziale del ruolo direttivo speciale di vice commissario;
   tuttavia continuano a rimanere a disposizione, senza rendere nessun servizio operativo e percependo circa 1.800,00 euro al mese, con quello che agli interroganti appare un conseguente grave danno all'erario;
   tali 120 neo vice commissari hanno prestato giuramento, davanti al Ministro della giustizia, in data 3 maggio 2013;
   tale anomalia è avvenuta presumibilmente perché l'amministrazione ha avviato detto corso senza che vi fosse la vacanza in organico, cosa che, ad avviso degli interroganti, è una violazione della previsione della tabella D allegata al decreto legislativo n. 146 del 2000, che prevede un numero massimo di vice commissari e commissari, di commissari capo e di commissari coordinatori del corpo di polizia penitenziaria;
   tale anomalia sembra essere dovuta all'ingiustificabile ritardo nell'espletamento delle procedure per la promozione alla qualifica di commissario capo degli appartenenti al primo corso del ruolo direttivo ordinario del corpo di polizia penitenziaria; per tali soggetti i termini per l'espletamento delle procedure previste dalla legge, con conseguente creazione delle vacanze in organico previste dalla tabella citata allegata al decreto legislativo n. 146 del 2000, decorrevano dal luglio del 2011 (avvenute quindi con oltre due anni di ritardo);
   sono pertanto stati trattenuti inutilmente ed a costo dell'erario circa 120 persone tra i funzionari, elargendo agli stessi circa 1.800,00 euro netti al mese (circa 3.600,00 euro lorde al mese), con conseguente danno all'erario, che per l'intero anno 2013 ammonterebbe a circa 5 milioni di euro considerato lo stipendio lordo percepito (3.600,00 euro mese x 120 funzionari x 12 mesi);
   tale anomalia sembra anche dovuta all'altrettanto ingiustificato ritardo nelle procedura di mobilità dei funzionari in servizio al momento di conclusione del terzo corso, che si è concluso nel mese di gennaio 2013;
   i neo vice commissari di polizia penitenziaria sarebbero stati convocati il 15 gennaio 2014 per la scelta delle sedi utili alla loro assegnazione nella sede di servizio, senza che i piani di mobilità ordinaria del personale già in servizio coincidano con il termine dei corsi di formazione e che pertanto i nuovi assunti come vice commissari scelgano tra le sedi rimaste libere dopo il detto piano di mobilità ordinaria –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa in merito all'assunzione dei 120 neo vice commissari, che risultano stipendiati ma non pienamente operativi, con un conseguente possibile danno all'erario per circa 5 milioni di euro per l'anno 2013 e non corretto utilizzo di risorse pubbliche;
   se e come il Ministro intenda intervenire per risolvere tale anomalia descritta e con quali tempistiche. (4-03355)


   MELILLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nell'istituto penitenziario di Lanciano (Chieti) vi è un sovraffollamento della popolazione carceraria del 40,30 per cento, infatti la capienza massima del carcere è di 196 detenuti, mentre quelli presenti sono 275 cioè 79 in più;
   ciò determina condizioni inaccettabili di vita dei detenuti, con fenomeni molto gravi come 8 casi di tentativi di suicidio e ben 22 casi di atti di autolesionismo nell'ultimo anno;
   il personale di polizia penitenziaria è costretto a condizioni di lavoro molto pesanti per far fronte alle esigenze di servizio del carcere –:
   se non intenda assumere urgenti iniziative per riportare il carcere di Lanciano a condizioni accettabili di vivibilità per i detenuti. (4-03356)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   con le interrogazioni a risposta scritta al Ministero dell'economia e delle finanze n. 4-01697 e n. 4-02760 – che non hanno ancora trovato alcun riscontro e delle quali si intendono integralmente richiamate le premesse e le domande – è stata portata all'attenzione del Ministero dell'economia e delle finanze la questione dell'applicabilità delle detrazioni fiscali previste per gli interventi di ristrutturazione edilizia anche agli interventi di demolizione e ricostruzione che, in base al novellato articolo 3, comma 1, lettera d), del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, comportano la demolizione e la ricostruzione con la stessa volumetria, e non anche con la stessa sagoma, dell'edificio preesistente;
   sull'argomento, è stato presentata allo stesso Ministero dell'economia e delle finanze un'analoga interrogazione a risposta immediata in commissione n. 5-01866 con la quale è stato richiesto «se possa rientrare nel regime delle detrazioni fiscali per interventi di ristrutturazione edilizia, ai sensi del nuovo articolo 3, comma 1, lettera d) del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, anche la ricostruzione di un edificio, con la stessa volumetria di quello precedente, ma con uno spostamento di lieve entità dell'immobile rispetto al sedime originario»;
   nella risposta pubblicata mercoledì 22 gennaio 2014 nell'allegato al bollettino in Commissione VI (Finanze), viene riportato che, secondo l'Agenzia delle entrate, «la risposta al quesito in argomento, circa la possibilità di fruire delle detrazioni fiscali per interventi di ristrutturazione edilizia, ricostruendo un edificio, con la stessa volumetria di quello precedente, ma con uno spostamento di lieve entità dell'immobile rispetto al sedime originario, presuppone una valutazione tecnica, da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in ordine alla riconducibilità dell'intervento tra quelli di cui alla lettera d) del comma 1 dell'articolo 3 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia»;
   nella stessa risposta, vengono riportate le valutazioni del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che, al termine di una ricostruzione della normativa avente ad oggetto la definizione degli interventi di ristrutturazione edilizia e dei pronunciamenti giurisprudenziali, ha affermato che «Il menzionato decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 non fornisce la definizione di sagoma di un edificio, pertanto la stessa è stata definita dalla giurisprudenza che, in più occasioni, ha ribadito come la nozione di sagoma precedentemente contenuta nell'articolo 3, comma 1, lettera d), comprende l'intera conformazione pianivolumetrica della costruzione e il suo perimetro considerato in senso verticale e orizzontale (Consiglio di Stato Sezione VI, 15 marzo 2013, n. 1564; Corte Costituzionale, 23 novembre 2011, n. 309) e, conseguenzialmente, sembrerebbe comprendere anche il rispetto della pregressa area di sedime»;
   alla luce delle considerazioni richiamate sopra, al quesito contenuto nell'interrogazione n. 5-01866, è stata data, in conclusione, la risposta seguente: «Ciò posto, considerato che la nozione di sagoma edilizia è intimamente legata anche all'area di sedime del fabbricato, avendo il legislatore eliminato il riferimento al rispetto della sagoma, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ritiene che, per gli immobili non vincolati, negli interventi di ristrutturazione edilizia consistenti nella demolizione e ricostruzione, possa consentirsi lo spostamento di lieve entità rispetto al sedime originario»;
   la definizione di interventi di ristrutturazione edilizia, di cui all'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 del 2001, come modificata dall'articolo 30, comma 1, lettera a), del citato decreto-legge n. 69 del 2013 non fa alcun riferimento allo spostamento di lieve entità rispetto al sedime originario, ma classifica come interventi di ristrutturazione edilizia «quelli di demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza»;
   alla luce delle argomentazioni esposte dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nella risposta all'atto Camera n. 5/01866, la mancata definizione normativa di «sagoma di un edificio» comporta problemi interpretativi rispetto alla nuova definizione di ristrutturazione edilizia, e dunque non consente un accertamento, chiaro e inequivocabile, degli interventi di demolizione e ricostruzione rientranti all'interno di questa nuova definizione, sia ai fini del rilascio dei titoli abilitativi, da parte dei comuni, sia ai fini dell'accesso alle detrazioni fiscali per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio, di cui all'articolo 16-bis del decreto del Presidente della Repubblica 917 del 1986;
   la portata innovativa della nuova definizione di «ristrutturazione edilizia», così come modificata dall'articolo 30, comma 1, lettera a), del citato decreto-legge n. 69 del 2013 – stando al giudizio del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti riportato nell'ultimo periodo della risposta all'atto Camera n. 5/01866 – anche alla luce dei pronunciamenti giurisprudenziali richiamati va ridimensionata, considerando che «negli interventi di ristrutturazione edilizia consistenti nella demolizione e ricostruzione, possa consentirsi lo spostamento di lieve entità rispetto al sedime originario» –:
   se ritenga necessario inserire, in un disegno di revisione organica delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, ovvero nel primo provvedimento di iniziativa governativa utile, una disposizione finalizzata a circoscrivere la definizione di «ristrutturazione edilizia» di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d), del decreto del Presidente della Repubblica 380 del 2001 come modificato dall'articolo 30, comma 1, lettera a), del citato decreto-legge n. 69 del 2013, nei termini esposti nella risposta all'atto Camera n. 5-01866, e a chiarire, a beneficio dei comuni, quali interventi di demolizione e ricostruzione di immobili, non sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, possano essere eseguiti mediante presentazione di segnalazione certificata di inizio attività di cui all'articolo 19 della legge 241 del 1990.
(2-00389) «Mannino, Busto, Daga, De Rosa, Segoni, Terzoni, Zolezzi».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BONAVITACOLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a seguito di un contenzioso insorto fra il Provveditorato alle opere pubbliche del Lazio, Abruzzo e Sardegna e l'impresa Carchella srl appaltatrice delle opere di ristrutturazione e adeguamento funzionale dell'edificio B presso la sede di via del Boglione in Roma, veniva instaurato un giudizio arbitrale per la definizione della controversia;
   il giudizio arbitrale si è concluso con l'emanazione di un lodo depositato in data 19 gennaio 2009 che ha condannato l'amministrazione statale al pagamento di una somma in favore dell'impresa appaltatrice, a titolo risarcitorio, pari ad euro 18.292.471,65;
   successivamente, a seguito d'impugnativa promossa dal provveditorato competente attraverso l'avvocatura dello Stato, il lodo veniva sospeso nell'esecutività in data 29 aprile 2010 dalla corte d'appello di Roma;
   lo stesso provveditorato e l'impresa appaltatrice, medio tempore, decidevano di pervenire ad una definizione transattiva della controversia ed effettivamente tale transazione, stipulata nel settembre 2011, prevedeva una notevole riduzione dell'ammontare del risarcimento, contenendolo nell'importo di euro 7.527.000;
   tale transazione prevedeva una clausola risolutiva ove non fosse intervenuto il previsto pagamento in favore dell'impresa entro la data del 15 marzo 2012;
   in ragione di lungaggini inerenti la mancata copertura finanziaria della spesa prevista, tale termine decorreva infruttuosamente, consentendo all'impresa di azionare con atto di pignoramento presso la Banca d'Italia la riscossione dell'intero importo risarcitorio disposto dal lodo;
   ed infatti, in data 7 agosto 2012, l'impresa appaltatrice Carchella s.r.l. riceveva dalla Banca d'Italia l'intera somma prevista dal lodo, pari ad euro 18.292.471,65;
   restavano così vanificati i risultati positivi conseguiti con la transazione del settembre 2011 la cui effettiva esecuzione avrebbe consentito all'amministrazione un risparmio pari a circa 11 milioni di euro;
   il provveditore competente, appreso che l'impresa appaltatrice si era vista liquidare tutte le spettanze previste dal lodo, restando così vanificata ogni utilità dell'intervenuto accordo transattivo, ha presentato formale denuncia all'autorità giudiziaria sui fatti accaduti di cui innanzi, che hanno causato un danno all'amministrazione di oltre euro 11.000,000,00;
   in particolare, con detta denuncia si chiede di accertare eventuali responsabilità interne all'amministrazione che hanno impedito la positiva attuazione dell'accordo transattivo, che hanno portato alla rinuncia all'impugnativa del lodo, che hanno consentito la fulminea riscossione di un così rilevante importo risarcitorio a mezzo atto di pignoramento presso la Banca d'Italia;

   sulla vicenda il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha attivato una Commissione ispettiva ai sensi delle proprie norme regolamentari interne;
   in esito alle risultanze di detta commissione, l'ufficio disciplina della direzione generale del personale del predetto Ministero ha deciso di comminare una sospensione di sei mesi dal servizio del provveditore Carlea, in ragione delle presunte responsabilità dello stesso nel cagionare il danno erariale de quo;
   tale sanzione appare davvero sorprendente e singolare, ove si consideri:
    a) che le circostanze poste a fondamento della sanzione disciplinare sono proprio le medesime su cui lo stesso provveditore ha chiesto di fare chiarezza all'autorità giudiziaria, a mezzo propria denuncia del dicembre 2012;
    b) che sulla vicenda sta indagando la magistratura ordinaria grazie proprio alla denuncia del provveditore Carlea, che ha anche chiesto di accertare gli autori della falsificazione della sua firma in calce a documento provveditorale inerente la vicenda in esame;
    c) che il danno erariale è stato causato da condotte omissive (mancata copertura della spesa prevista in transazione) e valutative (opportunità di rinunciare ad impugnare il lodo) non ascrivibili all'esercizio di competenze proprie del provveditore, cui spetta un mero atto d'impulso nei confronti di altri uffici ed organi consultivi dell'amministrazione;
   gli interrogativi sul fondamento logico e giuridico della suddetta sanzione disciplinare aumentano notevolmente, in considerazione della singolare contemporaneità fra l'irrogazione della sanzione ed alcune pubbliche rimostranze del provveditore Carlea sui metodi con i quali è stato gestito l'interpello per la nomina del provveditore interregionale alle opere pubbliche per Lazio, Abruzzo e Sardegna, di cui hanno parlato anche alcuni quotidiani nel settembre del 2013;
   anche in ragione di detti articoli l'ufficio disciplina, con altro provvedimento, ha inflitto allo stesso provveditore un'ulteriore sanzione disciplinare, in forma di sanzione economica –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti di cui sopra;
   quali iniziative intenda assumere perché sia sospesa l'irrogazione di sanzioni disciplinari, in attesa di conoscere l'effettiva portata e configurazione dei fatti in esito alle indagini dell'autorità giudiziaria in corso, che fanno seguito proprio alla denuncia prodotta dal provveditore Carlea;
   se non ritenga di promuovere un'azione ispettiva anche d'intesa con altre branche dell'amministrazione statale, per un accertamento pieno delle responsabilità rilevanti nella vicenda, interne ed esterne al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. (5-02014)


   BRANDOLIN e BORGHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   le aree abitate lungo la linea ferroviaria del Sempione (Milano-Domodossola), con particolare riguardo per i territori del fondovalle dell'Ossola e dei comuni di Crevoladossola (VB) e di Domodossola (VB) lamentano forti disagi per l'inquinamento acustico creato dall'intenso traffico ferroviario, particolarmente intenso nelle ore notturne;
   a fronte di tali problematiche l'amministrazione di Crevoladossola (VB), nella persona del sindaco pro tempore Giovanni Rondinelli, ha emesso un'ordinanza sindacale protocollo n. 29 del 6 novembre 2012 ai sensi degli articoli 50 e 54 del decreto legislativo n. 267 del 2000 nei confronti di RFI per rischi da rumore ferroviario ed al potenziale impatto sulla salute dei residenti;
   ordinanza analoga è stata emessa dal comune di Domodossola (VB) dal sindaco pro tempore professor Mariano Cattrini protocollo n. 226 del 5 novembre 2012;
   tali ordinanze richiedevano entro 30 giorni dalla loro ricezione che RFI desse riscontro alle amministrazioni comunali di Crevoladossola e Domodossola delle misure di mitigazione che intende attuare sul territorio comunale per evitare i rischi da rumore ferroviario ed il potenziale impatto sulla salute dei residenti, in attesa della soluzione definitiva del problema e che in tale documento siano specificatamente indicati i tempi di messa in sicurezza delle misure di mitigazione adottate;
   tali ordinanze poggiavano su autorevoli studi e dati, in particolare:
    a) la nota di ASL del Verbano Cusio-Ossola dipartimento di prevenzione del 2 agosto 2012 «Rumore Ferroviario sul territorio di Crevoladossola e Domodossola. Richiesta provvedimento»;
    b) parere di ARPA Piemonte SC Epidemiologia e salute Ambientale del 20 luglio 2012 «Richiesta si supporto specialistico in relazione agli effetti del rumore ferroviario sulla cittadinanza di Crevoladossola e di Domodossola»;
    c) Relazione tecnica di ARPA Piemonte nella quale sono descritti gli effetti negativi per la salute derivanti dal disturbo del sonno fisiologico nella popolazione e le soglie di rumore correlate con la comparsa delle alterazioni biologiche e patologiche studiate e riportate nella letteratura scientifica internazionale;
   le rilevazioni fatte da ARPA Piemonte dipartimento del Verbano Cusio-Ossola mostrano che i livelli di rumore notturno misurato, nei vari siti di misura, collocano la situazione dei comuni di Crevoladossola e Domodossola nelle fasce con maggior impatto sulla salute, con percentuali di popolazione interessata dagli effetti sanitari collocabile tra il 20 per cento ed il 30 per cento;
   tali valori sono da ritenersi, dal punto di vista epidemiologico, e previsionale in una prospettiva di prevenzione, inaccettabili;
   a fronte di quanto sopra esposto è parere di ARPA Piemonte SC di epidemiologia e salute ambientale che le misure di mitigazione e intervento tecnico debbano pertanto essere attuate il più celermente possibile;
   R.F.I. in data 17 dicembre 2012 ha presentato ricorso al Tar del Piemonte contro la richiamata ordinanza sindacale del comune di Crevoladossola;
   R.F.I. in data 21 dicembre 2012 ha presentato ricorso al Tar del Piemonte contro la richiamata ordinanza sindacale del comune di Domodossola;
   il Tribunale Amministrativo del Piemonte ha emesso sentenza nei confronti dei richiamati ricorsi di R.F.I. in data 12 dicembre 2013 annullando le due ordinanze sindacali nei confronti di R.F.I.;
   ad oggi la situazione non risulta essere migliorata, il disagio dei cittadini risulta inalterato se non addirittura aggravato dal perdurare dell'intenso inquinamento acustico dato dal traffico ferroviario;
   R.F.I. ai sensi del decreto ministeriale Ambiente 29 novembre 2000 ha predisposto il Piano di risanamento acustico, nel quale venivano indicate modalità e tempistiche per la posa di impianti fonoassorbenti che allo stato risulterebbero non ottemperate –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare al fine di sensibilizzare e stimolare RFI a porre rimedi strutturali definitivi alla problematica sopracitata lungo la tratta in questione nei territori interessati, con particolare riguardo alle emergenze segnalate nei comuni di Crevoladossola e Domodossola. (5-02018)


   BELLANOVA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da circa tre settimane il servizio filobus di Lecce risulta essere stato sospeso, i cittadini leccesi sono tornati ad usufruire dei mezzi a metano. La notizia è emersa sulla stampa locale il 3 gennaio 2014 e sempre dagli articoli di stampa si legge che la sospensione sia stata decisa dall'amministrazione comunale a causa di lavori di manutenzione e di potatura di alberi che ne ostacolano il passaggio in alcune zone della città;
   dagli organi di stampa si legge, inoltre, che dal 1o gennaio l'amministrazione comunale sembrerebbe aver incaricato la società SGM di mettere in atto tutte le procedure per l'esercizio ordinario del sistema di trasporto filoviario e in particolare tutte le attività di manutenzione dell'infrastruttura, attività questa che finora è stata svolta dalle imprese Sirti e Imet e che a leggere gli articoli di stampa sembrerebbe essere costata al comune di Lecce circa 500 mila euro annui spesi;
   la realizzazione di un sistema ecocompatibile ad alimentazione elettrica a Lecce, più volte definita un'opera strategica, è costata complessivamente alle finanze pubbliche circa 23 milioni di euro, di cui circa 13 milioni di euro a carico del ministero in oggetto;
   l'interrogante in merito ha presentato due atti parlamentari anche per segnalare l'enorme ritardo che ha visto protagonista questa infrastruttura dall'avvio dei lavori all'avvio effettivo del servizio di pubblica utilità che ancora oggi non risulta essere completo poiché solo due su tre linee sono state attivate. La linea non ancora attivata, peraltro, è quella che dalla città di Lecce andrebbe verso il polo universitario Ecotekne, situato sulla via per Monteroni. Un servizio che se risultasse attivo potrebbe essere utilizzato da tanti studenti universitari, data anche la localizzazione non centrale dell'università;
   in merito all'avvio della terza linea è intervenuto sulla stampa l'assessore al ramo asserendo «dopo aver effettuato l'esercizio provvisorio dell'impianto, siamo in attesa del parere e del relativo nulla osta della Commissione Agibilità. Quando arriverà l'ok del Ministero, tutto l'impianto filoviario sarà al servizio della città»;
   la costruzione di questa opera è stata non poco discussa tra i cittadini leccesi, poiché ha portato, tra l'altro, a deturpare l'aspetto estetico di una città che non a caso per bellezza è definita la «Firenze del Sud». A parere dell'interrogante su questo punto non solo si sarebbero dovuti consultare preventivamente i cittadini ed accogliere eventuali proposte di esperti che avrebbero potuto limitare l'effetto visivamente impattante, ma addirittura si è pensato di dare avvio ad un deturpamento per poi non fornire neanche un servizio complessivamente attivo e costante per i cittadini –:
   se il Ministro, anche in virtù del cospicuo finanziamento elargito per quest'opera e del rischio di risorse aggiuntive pubbliche che potrebbero essere impiegate ulteriormente, non intenda intervenire con urgenza per verificare le effettive motivazioni che ad oggi non ne consentono un pieno e complessivo utilizzo da parte dei cittadini leccesi e degli studenti universitari. (5-02020)


   DE LORENZIS, CATALANO, LOREFICE e NICOLA BIANCHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni la stampa sta dedicando spazio al dibattito sorto in merito alle esose retribuzioni che l'ex amministratore di «Aeroporti di Puglia» Domenico Di Paola avrebbe ottenuto negli anni di gestione di SEAP, sia con le giunta Fitto che successivamente con la giunta Vendola;
   secondo la stampa, è stata l'assemblea dei soci nel 2001 a decidere, su proposta dell'allora presidente di regione Raffaele Fitto, i compensi di Di Paola che si sono configurati in 150 mila euro di indennità dal 2001 al 2004 che sono diventati 180 mila euro dal 2004 fino a fine mandato;
   dal 2001 al 2007 Di Paola ha incassato anche un'indennità di funzione da «Safety accountable manager», pari a 70 mila euro all'anno. Tuttavia, secondo la stampa, nel 2001 non si comprende se la quota di 70 mila euro all'anno sia una quota di funzione come «Safety accountable manager» per la gestione di tutti gli aeroporti pugliesi, oppure sia una quota concessa a Di Paola per ogni singolo aeroporto;
   sempre a detta dei mezzi d'informazione, nel 2007 l'amministrazione regionale guidata da Nicola Vendola, ha proposto di confermare Di Paola a guida dell'ente che gestisce gli aeroporti pugliesi, e nella seduta dei soci del 23 aprile 2007 Di Paola viene confermato così come vengono confermati i 180 mila euro di compenso annuale. Per quanto riguarda invece il compenso come «Safety accountable manager», si legge dal verbale che «l'assemblea dei soci nella seduta del 10 maggio 2004 aveva stabilito una indennità per aeroporto di euro 70 mila annui», mentre nel vecchio verbale, sembrava che la quota di 70 mila euro fosse omnicomprensiva e non per ogni singolo aeroporto;
   a differenza del 2001, nel 2007 in Puglia, gli aeroporti certificati non sono più solo quelli di Bari e Brindisi, ma sono stati certificati anche Taranto e Foggia (anche se sostanzialmente non operativi), questo significa che nell'anno della riconferma a guida di «Aeroporti di Puglia» (2007) la quota di indennità come «Safety accountable manager» sale a ben 280 mila euro all'anno, che si vanno ad aggiungere ai 180 mila euro annui percepiti come compenso, per un totale di 460 mila euro annui;
   nel 2010 viene confermato nuovamente Di Paola a capo di «Aeroporti di Puglia», ma oltre ai compensi e alle indennità confermate, il presidente Vendola propone di corrispondere a Di Paola «un compenso straordinario di importo lordo pari ad una mensilità di retribuzione per ogni anno di effettivo espletamento dell'incarico dal 2001 al 2010» e anche «prevedere un compenso differito a titolo di TFR mandato di amministrazione e quindi, autorizzare l'amministratore a stipulare apposita polizza assicurativa con pagamento di un premio annuo pari al 15 per cento del compenso annuo lordo». Quindi agli alti compensi, si aggiungono anche un premio, la liquidazione e la polizza assicurativa. Non è chiaro se Di Paola abbia anche incassato una somma imprecisata come «project manager» per il progetto di ampliamento degli aeroporti di Bari e Brindisi;
   per il sindaco di Bari, Michele Emiliano, la quota spettante a Di Paola come funzione da «Safety accountable manager», sarebbe dovuta essere di soli 70 mila euro (e non 280 mila euro) all'anno;
   secondo fonti stampa, recentemente sarebbe stato inviato alle procure pugliesi, alla Guardia di Finanza e alla stampa, un lungo e anonimo dossier dove sono menzionati atti e azioni volte a favorire «parentopoli», assunzioni, appalti, con accuse specifiche per l'intero management;
   sempre a detta della stampa, la «Ria e Partners Spa» avrebbe certificato per anni i bilanci della società concessionaria degli aeroporti pugliesi. Nella «Ria e Partners Spa», Senior Partner e membro del Consiglio di amministrazione fino al 2012, è stato Giovanni Palasciano;
   La Consob, con delibera n. 18256 del giugno 2012, stabilisce che «La società di revisione “Ria & Partners S.p.A.”, con sede legale in Milano, è cancellata dall'Albo Speciale, di cui all'articolo 161 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, in via condizionata al perfezionamento delle operazioni di conferimento dei rami d'azienda relativi alle attività di revisione e di organizzazione contabile da parte della “Ria & Partners S.p.A.” e della “Uniaudit S.p.A.” in favore della società di revisione “Ria Grant Thornton S.p.A.”, che verranno effettuate in data 22 giugno 2012»;
   dal 2012 anche Palasciano è passato alla «Ria Grant Thornton SpA», società di revisione ed organizzazione contabile che, secondo la stampa, continua a curare le certificazioni dei bilanci di Aeroporti di Puglia;
   la vicenda appare emblematica rispetto alla questione più generale dei compensi evidentemente eccessivi corrisposti ad amministratori di società a partecipazione pubblica –:
   di quali elementi disponga il Governo sulla vicenda rappresentata in premessa e quale sia la media nazionale dei compensi, delle indennità, dei vari benefit che gli amministratori aeroportuali di società a capitale pubblico percepiscono. (5-02022)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOSCATT. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio della regione siciliana sono presenti quattro aeroporti, nello specifico nelle province di Palermo, Trapani, Catania e Ragusa;
   la presenza degli aeroporti rappresenta un'importante risorsa per la regione ed un fondamentale ponte di collegamento con la penisola italiana e gli altri Paesi del mediterraneo;
   in chiave strategica la funzionalità degli aeroporti, va rapportata necessariamente anche al sistema di collegamento interno, ovvero viario e ferroviario della regione;
   in generale, i collegamenti viari e ferroviari all'interno della regione rispetto a punti strategici come porti ed aeroporti sono decisamente carenti e fortemente penalizzanti per l'utenza che si affida al sistema dei trasporti pubblici;
   il sistema ferroviario nel territorio siciliano, in particolare, risulta privo di treni veloci e nel complesso meno moderno ed efficiente rispetto ai sistemi di altre regioni italiane, così da indurre l'utenza a prediligere il trasporto su gomma (spesso privato) per raggiungere i diversi aeroporti presenti nella regione;
   con riferimento alla rete ferroviaria, la lentezza e la carenza di collegamenti diretti, tra gli aeroporti, e i principali centri di interesse, risulta assai penalizzante nell'ottica di un rilancio strategico della regione e dei territori limitrofi agli aeroporti;
   l'inadeguatezza delle infrastrutture ferroviarie produce disservizi e difficoltà nello sviluppo di importanti opportunità turistiche, commerciali e lavorative;
   da notizie apparse sui quotidiani regionali, pare che la società che gestisce le ferrovie effettuerà importanti investimenti per il potenziamento della rete ferroviaria che collega anche gli aeroporti;
   dalle fonti citate, tuttavia non sembra che vi siano investimenti riguardanti il tratto ferroviario Licata-Gela-Comiso, tratto che risulta di particolare rilievo strategico per i territori interessati e situati vicino l'aeroporto di Comiso;
   un'omogenea ed efficiente distribuzione dei collegamenti ferroviari, rispetto anche ai diversi aeroporti, risulta di vitale importanza per lo sviluppo parallelo delle diverse località siciliane e per favorire al contempo un equilibrato rapporto di concorrenza tra le diverse offerte di collegamento aereo –:
   se siano effettivamente previsti investimenti per il potenziamento della rete ferroviaria siciliana; se, ove previsti tali investimenti, riguardano i collegamenti con gli aeroporti e nello specifico l'aeroporto di Comiso; se non ritenga in ogni caso per quanto di competenza di intervenire per il potenziamento dei collegamenti della rete viaria e ferroviaria che collega strategicamente i porti, gli aeroporti ed i principali centri della regione siciliana. (4-03359)


   OLIVERIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   risulta da notizie riportate dalla Gazzetta del Sud che a Catanzaro continua, dopo ormai mesi dal forte maltempo che ha causato frane e smottamenti sul territorio della presila, l’«emergenza acqua» che vede ormai tubi che si rompono o si guastano e interi quartieri che restano, a turno, senza acqua;
   l'emergenza idrica, causata essenzialmente ad una rete di conduttura obsoleta e che perde circa il 40 per cento dell'acqua erogata, porta i cittadini ad affrontare disagi intollerabili, colpendoli non solo da un punto di vista pratico ma anche nella dignità individuale;
   l'acqua per la popolazione della città di Catanzaro è diventata un bene particolarmente prezioso e di estrema difficoltà nell'approvvigionamento;
   i fatti esposti sono ad avviso dell'interrogante preoccupanti e richiedono una immediata verifica ed un tempestivo intervento al fine di venire incontro alla popolazione di quel territorio –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se sia stato effettuato o intenda promuovere un apposito monitoraggio sulla situazione delle rete idrica di tutto il territorio nazionale, con particolare riguardo alle criticità della Calabria e della città di Catanzaro. (4-03360)


   GAGNARLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   dalle campagne toscane giungono segnalazioni circa la presenza di campi di erbe infestanti con una strana colorazione rossastra, arancione; l'anomalo panorama cromatico è stato segnalato anche lungo il raccordo autostradale gestito da Anas che conduce sino al casello di Battifolle alle porte di Arezzo;
   è altamente probabile che la caratteristica colorazione rossastra dei campi e dei bordi stradali sia dovuta alle erbe infestanti bruciate da alcuni erbicidi sistemici, tra cui quelli a base del principio attivo «glyphosate» sono i principali indiziati; quest'anno il fenomeno è più diffuso a causa dell'eccessiva umidità e delle temperature non troppo fredde, che provocano un maggior sviluppo di infestanti e quindi una maggiore esigenza di eliminarle;
   il Roundup, tra i diserbanti più noti a base di glyphosate, è uno dei tanti presidi sanitari presenti sul mercato, prodotto dalla Monsanto sin dagli anni settanta. È un prodotto sistemico che irrorato sulla pianta viene assorbito ed attraverso il circolo linfatico arriva alle radici facendo essiccare tutta la pianta; dopo aver espletato la sua funzione disseccante, esso si deteriora in metaboliti;
   secondo alcuni autorevoli professori universitari, tra cui il professor Gianni Tamino, docente di biologia presso l'università degli studi di Padova, i metaboliti derivanti dalla degradazione della molecola del glyphosate sarebbero altamente tossici, come del resto riportato da uno studio scientifico pubblicato dalla rivista Cancer, che dimostra una relazione stretta tra l'uso del glyphosate e l'aumento dei linfomi non-Hodgkin (un particolare tipo di tumore al sangue);
   l'utilizzo di questi prodotti fitosanitari è consentito dalla legge, purché effettuato in conformità alle prescrizioni contenute in etichetta e da personale in possesso di specifica autorizzazione alle irrorazioni (cosiddetto patentino); il Roundup, ad esempio, non può essere utilizzato in prossimità dei corsi d'acqua, perché altamente tossico per gli organismi acquatici; tuttavia, dalle segnalazioni giunte dalle campagne toscane, corredate da foto, vengono illustrati campi di erbe rossastre bruciati dai diserbanti anche in adiacenza al fiume Elsa ed affluenti;
   sui bordi delle strade provinciali di Arezzo il diserbo chimico è stato da tempo bandito, per via della sua potenziale pericolosità di inquinamento delle falde acquifere, verso le quali potrebbe facilmente essere trasportato per ruscellamento, per tutelare i raccoglitori occasionali di asparagi, altre erbe o lumache ai bordi delle strade e per preservare la fauna selvatica e gli animali da allevamento;
   il decreto legislativo n. 150 del 2012 di recepimento della direttiva n. 2009/128/CEE (uso sostenibile dei pesticidi), stabilisce che il piano d'azione nazionale (PAN), di prossima approvazione, dovrà indicare le aree di rispetto da non trattare imponendo, inoltre, la riduzione o eliminazione dell'applicazione dei prodotti fitosanitari anche sulle o lungo le strade –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa in riferimento alla pericolosità dei metaboliti derivanti dalla degradazione del glyphosate, ed allo scorretto utilizzo di questa molecola in termini di distanza dai corsi d'acqua e sulle strade, e se non ritengano di dover intervenire, per quanto di propria competenza, per tutelare la salute dei cittadini, degli animali e dell'ambiente;
   quali altri adempimenti debbano essere ancora completati prima di poter approvare e pubblicare il Piano d'azione nazionale, quanto mai urgente ed indispensabile per mettere ordine nella disciplina dell'utilizzo dei pesticidi, ed in particolare per la loro limitazione nelle aree sensibili, già sommariamente descritte dal decreto legislativo n. 150 del 2012, al fine di perseguire l'obiettivo principale della tutela della salute pubblica degli animali e dell'ambiente. (4-03371)


   DONATI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   ai bordi del raccordo autostradale che congiunge la città di Arezzo con l'A1 (raccordo Arezzo-Battifolle) sono recentemente comparsi lunghi tratti di erba secca color arancione, larghe circa un metro;
   la precisione geometrica del fenomeno e la presenza di erba verde più distante dal bordo del raccordo autostradale fanno pensare che si tratti della conseguenza dell'utilizzo di sostanze emesse a seguito di interventi mirati e non di un evento naturale;
   il raccordo Arezzo-Battifolle è circondato da terreni agricoli nella parte extraurbana e un'importante tratto del raccordo stesso attraversa una zona urbana di Arezzo ad alta intensità di attività produttive e commerciali (Carbonaia – Via Calamandrei – Pratacci); la manutenzione del raccordo Arezzo-Battifolle è competenza di ANAS –:
   se ANAS utilizzi sostanze per la manutenzione del raccordo Arezzo-Battifolle e se questo determini conseguenze per la salute delle persone che transitano sul raccordo stesso o nelle sue vicinanze, o che esercitano attività produttive e/o commerciali nelle sue vicinanze. (4-03372)

INTERNO

Interrogazioni a risposta orale:


   MARTELLA, MOGNATO, MURER, ZOGGIA e MORETTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 27 gennaio 2014 è stata intercettata presso il centro meccanizzato delle poste di Tessera (Venezia) una busta, contenente un proiettile e minacce di morte, indirizzata al vicesindaco di Venezia, Sandro Simionato;
   la busta conteneva l'inquietante messaggio dialettale «Ocio al teskio» (Occhio alla testa) –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione;
   quali iniziative intenda assumere, nell'ambito delle sue competenze per far luce sulla vicenda, e per agevolare l'accertamento dei fatti accaduti e l'individuazione dei responsabili. (3-00593)


   ADORNATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Cumiana (TO) a seguito dei risultati elettorali del 2011 è stato eletto un Consiglio inizialmente costituito da 8 consiglieri di maggioranza e 4 di minoranza;
   dei 12 candidati nella lista elettorale di maggioranza: 2 si sono dimessi all'inizio del mandato; 3 si sono dimessi per restrizione temporanea della libertà personale disposta dalla autorità giudiziaria; 2 hanno rifiutato di subentrare ai dimessi. Di conseguenza l'attuale maggioranza che sostiene il sindaco Aielli si è ridotta a soli 5 consiglieri;
   l'organizzazione comunale risente del fatto che in meno di due anni si siano alternati 3 segretari comunali e 5 responsabili dell'ufficio tecnico;
   tutti i consiglieri di minoranza, in data 4 giugno 2013, si dimisero con impegno alle dimissioni anche dei subentranti fino a esaurimento di tutti i partecipanti alla consultazione elettorale del 2011, in modo da realizzare i presupposti per il commissariamento, dato che la consistenza consiliare ormai ridotta a soli cinque consiglieri più il sindaco rappresenta un numero insufficiente a rendere validi i consigli comunali;
   il sindaco Aielli ed i membri del Consiglio «superstiti» risposero dilatando oltre ogni limite consentito dalla legge i termini per la procedura della surroga dei consiglieri e successivamente deliberarono unilateralmente l'annullamento delle dimissioni dei consiglieri dimissionari, nonostante il parere sfavorevole di due differenti segretari comunali;
   in un ricorso al TAR per gli aspetti a carattere amministrativo, relativi alle dimissioni ed alle successive surroghe, all'amministrazione è stata condannata (con sentenza del Tar Piemonte 1168/2013, in data 11 dicembre 2013) per palese violazione dei principi di proporzionalità, ragionevolezza e vizio di eccesso di potere;
   il sindaco Aielli e la sua giunta non hanno ancora ottemperato alla sentenza del TAR –:
   se, nonostante le anomalie amministrative segnalate nelle promesse sussistano i presupposti per lo scioglimento del consiglio comunale di Cumiana (TO) ai sensi dell'articolo 141 comma 1, lettera b), n. 3 del decreto legislativo n. 267 del 2000. (3-00594)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CARRA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Virgilio (Mantova), nel corso degli anni, si è adoperato per realizzare una nuova caserma dei carabinieri;
   dalle cronache giornalistiche dei primi giorni del mese di gennaio 2014, si apprende che a metà dicembre 2013 è stata dichiarata la fine dei lavori di realizzazione della caserma;
   la piena attuazione della caserma potrà avvenire nel momento in cui sarà assegnato il personale militare alla caserma stessa;
   all'interrogante risulta che l'assegnazione del personale militare non sia stata effettuata e che un apposito ed opportuno sollecito sia giunto al Ministro interrogato da parte della prefettura di Mantova –:
   se il Ministro sia a conoscenza di tale situazione e quali iniziative intenda assumere per porre rimedio a questa situazione, con l'obiettivo di rendere pienamente operativa la nuova caserma del comune di Virgilio. (5-02007)


   CARRA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel corso dell'inaugurazione dell'anno giudiziario 2014 del distretto di Brescia, che comprende tribunali e procure di Brescia, Bergamo, Cremona, Crema e Mantova, è emersa l'esigenza di dotare il distretto stesso di una direzione investigativa antimafia (DIA);
   tale richiesta è supportata dalle analisi compiute dalla presidente della corte di appello Graziana Campanato e dal procuratore generale della Repubblica Raimondo Giustozzi secondo i quali «problemi che parevano preoccupanti, ora sono un allarme come le infiltrazioni mafiose» e «stiamo assistendo alla nascita di una nuova ’ndrangheta nella bassa bresciana e basso lago di Garda. Una nuova organizzazione che si va a sommare ad altri gruppi criminali molto pericolosi, che gestiscono i traffici della droga, della prostituzione e dei rifiuti (della Gazzetta di Mantova del 26 gennaio 2014)»;
   gli interventi sopra richiamati non devono essere in alcun modo sottovalutati sia per l'autorevolezza di chi li ha pronunziati, sia per la circostanza solenne nella quale sono stati fatti;
   l'interrogante ritiene che il Governo debba valutare con grande attenzione la proposta di dotare il distretto di Brescia di una Dia –:
   se il Ministro intenda assumere le iniziative di competenza per dar attuazione alla proposta di dotare il distretto di Brescia di una Dia quale strumento indispensabile per contrastare la presenza radicata della criminalità organizzata nel territorio di competenza del distretto medesimo. (5-02008)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PIAZZONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella serata di venerdì 10 gennaio 2014, un giovane omosessuale, attivista dell'associazione LGBT Luiss Arcobaleno, e il suo compagno sono stati aggrediti da un gruppo di italiani e stranieri mentre camminavano nei pressi di ponte Garibaldi, a Roma;
   l'aggressione, avvenuta sotto lo sguardo inerme dei passanti, ha provocato la frattura del naso con una prognosi di 25 giorni per uno dei due giovani e due punti al labbro e 10 giorni di prognosi per l'altro;
   l'intervento delle forze dell'ordine, allertate tempestivamente dalle due vittime, è avvenuto sul luogo dell'aggressione con grave ritardo e solo alla fine dello scontro;
   in un articolo pubblicato il 13 gennaio 2014 sul sito web de la Repubblica, cronaca di Roma, il portavoce del Gay Center Fabrizio Marrazzo riferisce: «Ci preoccupa la dinamica dei fatti, l'inseguimento da parte degli aggressori e il ritardo nei soccorsi. [...] Ci attiveremo presso l'Oscad, l'osservatorio congiunto di polizia e carabinieri contro le discriminazioni, per fare piena luce e individuare al più presto i responsabili»;
   già in una precedente interrogazione, per la quale non è ancora pervenuta risposta (numero 4-00356), l'interrogante aveva segnalato un altro grave caso di aggressione a persone omosessuali avvenuto nella Capitale;
   continuano e aumentano gli atti di aggressione violenta — verbale e fisica — nei confronti delle persone omosessuali. Un’escalation sempre più preoccupante che alza il livello di allarme e di attenzione nella comunità lesbica, gay, bisessuale e trans, soprattutto ad avviso dell'interrogante in seguito al continuo incitamento all'odio messo in atto dall'estrema destra: Forza Nuova con i suoi manifesti contro il ddl omofobia e il Fronte Nazionale con i manifesti a sostegno di Putin e delle leggi omofobe varate in Russia –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano prendere affinché casi come quello descritto in premessa siano prevenuti e contrastati;
   se non intendano verificare il corretto operato delle forze dell'ordine in relazione al fatto esposto in premessa.
(4-03358)


   PIAZZONI, AIELLO e COSTANTINO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Reggio Calabria ha presentato in data 16 gennaio 2014 l'avviso di apertura dei termini per le iscrizioni alle scuole d'infanzia comunali per l'anno 2014;
   la comunicazione in questione precisava che: «i bambini con disabilità non potranno essere accolti per l'impossibilità di nominare personale specializzato». Per la situazione di difficoltà finanziaria in cui versa il comune, sottoposto a piano di rientro per far fronte a situazioni debitorie accumulatesi negli anni, non sarebbero possibili le assunzioni di nuovi insegnati di sostegno, necessarie a garantire il servizio per i bambini disabili;
   a seguito delle proteste dei genitori direttamente colpiti dalla restrizione così operata, delle realtà associative del capoluogo reggino e grazie all'attenzione prestata alla vicenda da parte della stampa, il comune di Reggio Calabria ha modificato in data 22 gennaio l'avviso sopra citato, informando che: «le assunzioni di eventuali insegnanti supplenti sul posto ordinario e di sostegno saranno subordinate al favorevole esito del controllo centrale sulle dotazioni organiche e sulle assunzioni di personale da parte della Commissione per la stabilità finanziaria degli enti locali, fatta salva comunque la verifica del rispetto del patto di stabilità per l'anno 2013»;
   dalla nuova formulazione dell'avviso non verrebbe comunque garantito il diritto fondamentale all'istruzione dei bambini disabili, in quanto risulterebbe chiara la subordinazione di quest'ultimo alle ragioni di bilancio del comune;
   occorre ricordare che tale esito si pone del tutto in contrasto con la sentenza della Corte Costituzionale, n. 80 del 2010, la quale, nel dichiarare l'illegittimità costituzionale di una norma che vietava la possibilità di assumere insegnati di sostegno in deroga, ha sancito come: «il diritto del disabile all'istruzione si configura come un diritto fondamentale. La fruizione di tale diritto è assicurata, in particolare, attraverso misure di integrazione e sostegno idonee a garantire ai portatori di handicaps la frequenza degli istituti d'istruzione». E ancora: «le disposizioni censurate che prevedono, da un lato, un limite massimo nella determinazione del numero degli insegnanti di sostegno e, dall'altro, l'eliminazione della citata possibilità di assumerli in deroga, si pongono in contrasto con il riportato quadro normativo internazionale, costituzionale e ordinario, nonché con la consolidata giurisprudenza di questa Corte a protezione dei disabili fin qui richiamata»;
   la vicenda descritta, alla luce di quanto riportato, appare assolutamente intollerabile, poiché il fondamentale diritto all'istruzione dei bambini disabili di Reggio Calabria risulterebbe condizionato dalla possibilità, o meno, per il comune, di assumere personale scolastico di sostegno nel rispetto del piano di rientro in vigore, privandoli di un diritto costituzionalmente garantito –:
   se non si ritenga opportuno intraprendere, per quanto di competenza, iniziative urgenti affinché il diritto all'istruzione dei bambini disabili residenti nel comune di Reggio Calabria sia effettivamente garantito, indipendentemente dai vincoli finanziari cui il comune è sottoposto e dal piano di rientro predisposto dalla commissione straordinaria. (4-03361)


   NACCARATO e NARDUOLO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   oggi, 28 gennaio 2014, nel corso dell'indagine sui cantieri dell'autostrada A31, Valdastico Sud, trovano conferma i sospetti versamenti di rifiuti tossici nocivi nel fondo dell'infrastruttura;
   i consulenti del pubblico ministero di Venezia, in questi giorni, hanno esaminato prelievi di campioni dei lotti 4, 5 e 6, nei tratti tra Montegaldella e Albettone e tra lo svincolo Albettone-Barbarano e il viadotto Bisatto, rinvenendo scorie nocive, per altro senza escludere la presenza di materiali inquinanti anche in altri tratti dell'autostrada;
   questa vicenda è stata oggetto di  atto sindacato ispettivo presentato dall'interrogante al Ministro dell'interno depositato il 10 luglio 2013 quando la direzione distrettuale antimafia di Venezia ha iscritto nel registro degli indagati 27 soggetti tra cui, Attilio Schneck (Vicenza, già presidente Autostrada Brescia-Padova), Flavio Orlandi (Verona, Serenissima Costruzioni), Valeria Caltana (Mestrinaro spa di Zero Branco), Antonio Beltrame (Acciaierie Beltrame, Vicenza), Pierluca Locatelli (Locatelli Gabriele spa, Bergamo), Andrea Fusco (Locatelli Gabriele), Orietta Rocca (Trasporti Locatelli), Carlo Meneghini (Eco.Men., Carmignano), Ettore Lonati, (Alfa Acciai, Brescia), Filippo Galiazzo (Zerocentro, Conselve), Luciano Bugno (Bugno srl, Vigonza), Fernando Burato (Mantovagricoltura), Marcella Ceotto (Old Beton, Susegana) Matteo Venturi (Eco.Dem, Villafranca), Luigi Persegato (Coseco, Lozzo Atestino), Mauro Meriano (Portamb, Brescia), Fabio Zanotto (Egi, Vicenza), Valentino Saugher (Centro ricerche ambientali, Bergamo), Paolo Cornale (Palladio, Vicenza), Bruno Ferrari (Geolab, Brescia) Alberto Chiari (Geotestitalia, Bergamo), Roberto De Conti (Lachiver, Verona), Alberto Tommasi (Lecher ricerche e analisi, Salzano), Mauro Saccon (R&C Lab., Vicenza), Domenico Cioccarelli (Sagi Dep, Mantova), Marcello Guelpa (TecnoPiemonte, Novara) e Paolo Pedersini (Sias, Brescia);
   tra gli indagati compaiono anche persone già finite al centro delle cronache giudiziarie come, l'imprenditore bergamasco Pierluca Locatelli, che avrebbe pagato tangenti per la gestione della discarica Cappella Cantone a Cremona, un'indagine che ha provocato l'arresto del vicepresidente del consiglio regionale della Lombardia, e Valeria Castana della Mestrinaro spa, azienda finita sotto sequestro lo scorso anno in un'indagine della procura veneziana con l'accusa di aver versato rifiuti nocivi all'interno dei semilavorati in cemento di un'altra autostrada, il tratto della terza corsia dell'A4 tra Quarto d'Altino e San Donà, oltre a un grande parcheggio presso l'aeroporto di Tessera;
   il reato contestato è traffico illecito di rifiuti in forma organizzata e falso ideologico ad opera degli enti e delle aziende che hanno preso parte alla costruzione del tratto autostradale denominato Valdastico Sud dell'autostrada A31;
   nel dicembre 2008 la direzione distrettuale di Caltanissetta insieme a carabinieri e Guardia di finanza avevano posto sotto sequestro due lotti della stessa autostrada contestando irregolarità amministrative e possibili infiltrazioni mafiose nelle aziende impegnate nella costruzione del manufatto;
   in quell'occasione l'interrogante aveva interrogato l'allora Ministro dell'interno Maroni, senza ottenere risposta, sui provvedimenti da adottare per garantire il rispetto dei capitolati dei contratti e la concorrenza nel settore degli appalti pubblici e per evitare i rischi dell'infiltrazione mafiosa;
   nel 2011 la procura di Brescia ha inviato per competenza alla procura antimafia di Venezia un fascicolo contenente una denuncia per interramento di rifiuti tossici nei cantieri dell'autostrada A31;
   il 3 luglio 2013 i carotaggi hanno confermato che nel fondo dell'opera sono stati versati materiali altamente inquinanti al posto di ghiaia inerte;
   dalle ricostruzioni, dal 2009 sarebbero stati versati al di sotto del fondo stradale 155.836 metri cubi di scorie di acciaieria non bonificati che, oggi, vengono dichiarati nocivi dai consulenti del pubblico ministero di Venezia;
   nei prossimi giorni, il giudice di Venezia ordinerà le perizie per stabilire di quale materiale sia composto il fondo del manufatto;
   la vicenda ha sollevato nuovamente l'allarme dell'opinione pubblica circa la possibile violazione delle norme in difesa dell'ambiente e il rischio di gravi danni al suolo derivanti dagli agenti inquinanti versati nel fondo stradale;
   appare urgente disporre tutte le misure necessarie ad assicurare la tutela della salute delle popolazioni coinvolte e del territorio interessato –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   quali provvedimenti, di loro competenza, intendano assumere, anche attraverso gli uffici territoriali del Governo, per tutelare l'ambiente e la salute delle popolazioni locali e per assicurare la corretta gestione e smaltimento dei rifiuti nocivi rinvenuti nel fondo autostradale e l'eventuale bonifica delle zone interessate da inquinamento del suolo. (4-03368)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VEZZALI, MOLEA e CAPUA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'istituto comprensivo Marchetti di Senigallia (AN), è stato assegnatario delle risorse finanziarie per le azioni del Piano nazionale scuola digitale, riguardo agli accordi del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca-regioni;
   con nota n. AOODOOR/Reg. Uff. 1718 del 21 maggio 2013, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca – dipartimento per la programmazione e la gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali – comunicava di aver proceduto alla trasmissione degli elenchi alla direzione generale per la politica finanziaria e per il bilancio, al fine del trasferimento e della fruizione delle risorse finanziarie necessarie per la realizzazione delle finalità indicate nei bandi medesimi, alle singole istituzioni scolastiche;
   con successiva comunicazione nel mese di ottobre 2013, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca; dipartimento generale per gli studi e i sistemi informativi comunicava alla dirigente dell'istituto comprensivo Marchetti, che i fondi Necessari all'avvio delle classi digitali si sarebbero dovuti sbloccare nel mese di novembre 2013;
   ad oggi nulla è ancora pervenuto e nel mese di febbraio 2014 si avvieranno le procedure per l'iscrizione a scuola degli studenti;
   in questa condizione di incertezza, le scuole non sono in grado di elaborare il Piano dell'offerta formativa per l'indirizzo di scuola digitale, poiché i finanziamenti necessari alla realizzazione non sono ancora pervenuti alle scuole;
   appare agli interroganti un'insolvenza progettuale del Ministero non assecondare un percorso che i dirigenti hanno portato avanti con entusiasmo e orgoglio, giacché la scuola digitale è da considerarsi un volano per le iscrizioni alla scuola, in un contesto in cui, nonostante le difficoltà, docenti e dirigenti con molti sforzi provano a offrire una scuola migliore agli studenti ma che si vedono ancora una volta messi in una condizione di impotenza e di scarsa credibilità per impegni che il Governo ha disatteso –:
   come sia possibile che la direzione bilancio non abbia ancora ottemperato all'impegno e all'erogazione dei fondi destinati alle istituzioni scolastiche;
   come intenda procedere il Ministro per giungere allo sblocco dei fondi in modo da consentire ai dirigenti delle scuole di poter accreditare le iscrizioni alla scuola digitale. (5-02013)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FEDRIGA e GUIDESI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   a causa della difficile situazione economica del Paese, le imprese interessate da interventi di cassa integrazione guadagni ordinaria, straordinaria, in deroga e da procedure di mobilità non sempre sono in grado – anzi quasi mai – di anticiparne il trattamento ai lavoratori;
   per le procedure previste dalla normativa vigente, le erogazioni ai lavoratori dei trattamenti di sostegno al reddito da parte dell'Inps avvengono con tempistiche che, in assenza di anticipazione da parte dell'impresa, possono determinare serie difficoltà finanziarie per i lavoratori e le rispettive famiglie, i quali si ritrovano per mesi senza alcuna entrata economica;
   a tal fine è stata contemplata, a livello locale, la possibilità di intervenire con forma di anticipazione del trattamento economico spettante al lavoratore da parte degli Istituti di credito disponibili a sottoscrivere accordi con la provincia per prepagare ai lavoratori la somma che gli stessi vantano dall'Inps come ammortizzatore sociale;
   purtroppo, però, al fine di evitare il rischio di anticipare somme a lavoratori che poi non beneficeranno degli ammortizzatori sociali perché la relativa domanda non sarà accolta dagli organismi competenti, le banche attendono comunque la firma del decreto di autorizzazione, il che significa per i lavoratori rimanere sempre per mesi senza alcuna copertura reddituale;
   a parere degli interroganti, un intervento più che valido per ovviare ai problemi connessi alle lungaggini normative e burocratiche per l'erogazione degli ammortizzatori sociali è stato l'istituto dell'anticipazione introdotto dall'articolo 7-ter, comma 3, del decreto-legge n. 5 del 2009 (convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33), in via sperimentale per gli anni 2009 e 2010 e prorogato per gli anni 2011 e 2012 dalle leggi di stabilità 2011 (articolo 1, comma 31, legge n. 220 del 2010) e 2012 (articolo 33, comma 22, legge n. 183 del 2011);
   tale intervento prevedeva appunto – limitatamente alla cassa in deroga – che in attesa dell'emanazione dei provvedimenti di autorizzazione dei trattamenti di integrazione salariale in deroga con richiesta di pagamento diretto, l'INPS potesse anticipare i relativi trattamenti sulla base della domanda corredata dagli accordi conclusi dalle parti sociali e dell'elenco dei beneficiari –:
   quali siano i motivi della mancata proroga del predetto «istituto dell'anticipazione» anche per gli anni successivi al 2012 e se non ritenga opportuno, alla luce del perdurante stato di crisi economica e sociale del Paese, adottare celermente provvedimenti di propria competenza atti a consentire l'anticipazione del trattamento di integrazione salariale per i lavoratori cassintegrati ordinari, straordinari e in deroga, per i mobilitati ordinari e in deroga e per i lavoratori interessati da contratti di solidarietà prima dell'emanazione del relativo provvedimento di autorizzazione. (5-02009)


   ROSTELLATO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legge 28 giugno 2012, n. 92, recante «Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 153 del 3 luglio 2012 supplemento ordinario n. 136, ha dettato nuove norme in materia di mercato del lavoro e di ammortizzatori sociali, in conformità con l'articolo 38, secondo comma, della Costituzione, il quale sancisce il diritto dei lavoratori a forme di tutela contro la disoccupazione;
   in particolare l'articolo 2, comma 1, della legge di riforma istituisce con decorrenza 1o gennaio 2013, due nuove indennità mensili per il sostegno al reddito dei lavoratori subordinati che abbiano perduto involontariamente l'occupazione: l'indennità di disoccupazione ASpi e l'indennità di disoccupazione denominata mini-ASpi;
   a questo scopo, sempre a decorrere dal 1o gennaio 2013, la disposizione richiamata istituisce l'assicurazione sociale per l'impiego (ASpi) presso la gestione prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti, di cui all'articolo 24 della legge 9 marzo 1989, n. 88, che è caratterizzata da un sistema di finanziamento alimentato da un contributo ordinario e da un contributo aggiuntivo (ticket licenziamento);
   le circolari dell'Inps n. 140 del 14 dicembre 2012 e n. 44 del 22 marzo 2013, che tratta gli aspetti contributivi dell'assicurazione sociale per l'impiego (ASPI) e gli aspetti relativi alla contribuzione tramite versamento del ticket di licenziamento, chiariscono tutto in merito;
   è previsto, infatti, che, in tutti i casi di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato per causa diversa dalle dimissioni, intervenuti a decorrere dal 1o gennaio 2013, i datori di lavoro siano tenuti al versamento di uno specifico contributo per ogni dodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni. Quindi, anche i licenziamenti per giusta causa, oltre che per giustificato motivo, sia oggettivo che soggettivo;
   il datore di lavoro deve il 41 per cento del trattamento Aspi. Più precisamente, l'articolo 2, comma 31, recita: «Nei casi di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato per le causali che, indipendentemente dal requisito contributivo, darebbero diritto all'ASpI, intervenuti a decorrere dal 1o gennaio 2013, è dovuta, a carico del datore di lavoro, una somma pari al 41 per cento del massimale mensile di ASpi per ogni dodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni. Nel computo dell'anzianità aziendale sono compresi i periodi di lavoro con contratto diverso da quello a tempo indeterminato, se il rapporto è proseguito senza soluzione di continuità o se comunque si è dato luogo alla restituzione di cui al comma 30»;
   l'importo del ticket di licenziamento per il 2013, che va calcolato con il 41 per cento di euro 1.180, è pari a 483.80 euro per ogni 12 mesi di anzianità aziendale del lavoratore licenziato. Questa è la misura per l'anno 2013, poi questo valore massimale Aspi va aggiornato ogni anno in base all'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati intercorsa nell'anno precedente. A questo punto, il ticket di licenziamento massimo da pagare, ossia tre quote massime, pari a 36 mesi di anzianità aziendale, è pari a 1.451,00 euro nel 2013;
   la circolare Inps n. 44 del 2013 chiarisce e semplifica il dettato normativo precisando che, i datori di lavoro saranno tenuti all'assolvimento della contribuzione all'Inps in tutti i casi in cui la cessazione del rapporto generi in capo al lavoratore il teorico diritto alla nuova indennità, a prescindere dall'effettiva percezione della stessa;
   quindi il ticket licenziamento deve essere versato, anche se il lavoratore non percepirà l'Aspi (si veda la cessazione del rapporto di lavoro per mancato superamento del periodo di prova, il licenziamento per giusta causa e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro in caso di lavoratrice madre dopo un anno di vita del bambino);
   quest'ultimo caso si riallaccia al giusto prolungamento del periodo di tutela della maternità da un anno di vita del bambino a tre anni, ma il Ministero del lavoro e delle politiche sociali con un interpello ha chiarito che l'estensione della convalida delle dimissioni da un anno di vita del bambino a tre anni di vita, non comporta l'allungamento a tre anni di età del bambino del periodo entro il quale le dimissioni della lavoratrice danno diritto all'Aspi;
   poco chiaro risulta essere l'ammontare dell'importo da versare in quanto al comma 31 si fa riferimento ad una somma pari al 41 per cento del massimale mensile di ASpi per ogni dodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni e non si accenna ad una riproporzione parametrata al mese, mentre, l'Inps attraverso la circolare n. 44 del 2013 interpreta il dettato normativo applicando la suddivisione e cioè in ogni caso per ciascun mese di anzianità lavorativa;
   nel silenzio del legislatore, l'Inps stabilisce che il contributo non è proporzionale all'orario svolto dal lavoratore e pertanto la misura del contributo è identica in entrambi i casi. Il calcolo dell'indennità Aspi spettante al lavoratore licenziato viene calcolato in percentuale (75 per cento) del totale delle retribuzioni percepite dal lavoratore (imponibile Inps) negli ultimi 24 mesi. È palese che un lavoratore che ha svolto l'attività a tempo parziale percepisca molto meno Aspi di un lavoratore a tempo pieno. Ma il contributo da pagare risulta essere lo stesso –:
   se il Ministro interrogato non ritenga più equo e corretto prevedere che il versamento del ticket di licenziamento sia dovuto solo nei casi in cui l'interruzione del rapporto di lavoro comporti effettivamente diritto all'Aspi diversamente da quanto indicato nel dettato normativo al comma 31 dell'articolo 2 della legge 92 del 2012, e se non ritenga opportuno assumere iniziative volte a modificare la normativa;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere iniziative normative per chiarire quale che sia il reale intento della normativa nella parte in cui dispone che «è dovuta, a carico del datore di lavoro, una somma pari al 41 per cento del massimale mensile di ASpi per ogni dodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni», considerato che l'Inps interpreta il dettato normativo applicando la suddivisione per ciascun mese di anzianità lavorativa;
   se sia intenzione del Ministro interrogato intervenire al fine di pervenire a una modifica dei criteri interpretativi da parte dell'Inps;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno, nel silenzio della norma, assumere iniziative normative per chiarire quale sia l'importo da versare nei casi di interruzione di rapporti part-time e se non ritenga più equo e corretto riparametrare tale cifra;
   quali ulteriori iniziative di competenza si intendano assumere al riguardo.
(5-02011)


   ZAPPULLA, ZARDINI, ROTTA e CASELLATO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere — premesso che:
   lo  Stato eroga servizi e trasferimenti per ridurre iniquità e colpire le rendite parassitarie. In molti casi si è verificato che gli evasori fiscali a causa dell'esiguità dei loro redditi e ricchezze visibili non solo non pagano le tasse ma accedono a condizioni agevolate ai servizi di pubblica utilità ed alle prestazioni sociali. Pertanto, una parte della redistribuzione avviene verso persone che non meritano un aiuto e, quindi, finisce per aumentare l'iniquità dello Stato;
   l'introduzione della banca dati dei conto correnti (articolo 11 commi 2 e 3, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 27 dicembre, n. 214) e del nuovo Isee (articolo 5 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 3 dicembre 2013) si muovono nella direzione di combattere il fenomeno della redistribuzione iniqua dei servizi a favore dei finti poveri, di sostenere l'erogazione dei benefici a favore delle persone che si trovano in condizioni disagiate e di non sprecare le scarse risorse dello Stato per finalità che non meritano alcuna attenzione;
   il nuovo Isee viene applicato a numerose prestazioni nazionali e locali con esclusione giustamente di alcune prestazioni sociali erogate dall'Inps (assegno sociale, maggiorazioni sociali, prestazioni agli invalidi civili, integrazione al minimo) perché collegate al reddito. Tali prestazioni, rapportate al requisito reddituale ed alla erogazione di specifiche prestazioni, si basano sulle autocertificazioni degli interessati e, quindi, vi è la possibilità che vengano omessi in tutto o in parte le informazioni necessarie per definire in modo equo e corretto le prestazioni stesse;
   l'Inps nel definire le prestazioni collegate al reddito effettua i controlli necessari utilizzando l'anagrafe tributaria per i redditi assoggettabili all'Irpef. Per gli altri redditi, quali i redditi con ritenuta alla fonte a titolo d'imposta (interessi postali e bancari, interessi su titoli), e per i ricoveri, con retta a parziale o totale carico di enti pubblici che incidono sull'importo dell'assegno sociale e sulle pensioni sociali in essere, è impossibile fino ad oggi per l'istituto previdenziale verificare la veridicità delle autocertificazioni;
   talvolta le persone richiedenti le prestazioni specificate, essendo a conoscenza di tale gap, non dichiarano nelle autocertificazioni le tipologie dei redditi e delle prestazioni non controllabili con la conseguenza che l'Inps eroga nel peggiore dei casi prestazioni illegittime e nel migliore dei casi prestazioni superiori all'importo che spetterebbe nel caso di dichiarazioni veritiere;
   l'utilizzo delle informazioni analitiche che si fondano su moderne applicazioni informatiche e del metodo dei controlli incrociati rappresentano nuove leve di vantaggio competitivo per lo Stato e sviluppano capacità distintive finalizzate a contrastare le autodichiarazioni mendaci che concorrono a erogare servizi in modo iniquo. Le informazioni in possesso da parte di alcuni settori dello Stato vanno raccolte, elaborate, organizzate ed utilizzate in modo automatico a favore dell'intero sistema di Welfare;
   l'Inps, il quale è il maggior erogatore di prestazioni sociali rapportate al reddito personale e familiare, ha bisogno di verificare, tramite la predisposizione di apposite applicazioni informatiche che garantiscono la riservatezza dei dati e delle informazioni, la banca dati delle prestazioni sociali agevolate (articolo 5 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 e decreto ministeriale 8 marzo 2013) e la banca dati dei conto correnti al fine di rapportare l'importo delle prestazioni erogate alla situazione reddituale reale delle persone interessate ed eliminare sprechi ed iniquità. I richiedenti o titolari di assegno sociale e di maggiorazione sociale non sempre dichiarano all'Inps i redditi provenienti da un conto corrente e libretto di risparmio mentre per la Banca d'Italia il 90,1 per cento delle famiglie è titolare di un deposito bancario o postale ed il 70 per cento delle famiglie più povere ha un dossier aperto. I ricoveri con retta parziale o totale carico di enti pubblici che incidono sul livello dell'importo dell'assegno sociale e della pensione sociale possono anch'essi non essere dichiarati e controllati in quanto non sono presenti i dati e le informazioni relative a tali prestazioni;
   la situazione reale del Paese tra contraddizioni ed iniquità impone di utilizzare gli strumenti messi in atto non in una sola direzione ma a vantaggio dell'intero sistema di welfare e, quindi, non solo a beneficio del sistema dei controlli Isee ma anche finalizzato alle prestazioni sociali di competenza dell'Inps, le quali se non gestite in modo efficiente creano iniquità tra le persone. L'attuazione di tale operazione si inserisce in modo coerente nel progetto di spending review molto utile al Paese per eliminare gli sprechi e le spese improduttive che non creano valore e, quindi, ridurre la spesa pubblica troppo alta rispetto alla qualità dei servizi erogati –:
   se non ritengano necessario promuovere l'utilizzo degli strumenti previsti per l'Isee, banca dati dei conti correnti e banca dati delle prestazioni sociali agevolate, da parte dell'Inps con le modalità descritte in premessa nella definizione dell'assegno sociale, delle maggiorazioni sociali e delle prestazioni agli invalidi civili al fine di erogare i benefici nella misura giusta solo alle persone che si trovano in condizioni disagiate e di contrastare le autodichiarazioni non veritiere;
   se non reputino urgente istituire una revisione straordinaria da parte dell'Inps delle prestazioni sociali (assegno sociale, maggiorazioni sociali, prestazioni agli invalidi civili) in essere nel 2014, utilizzando la Banca dati dei conto correnti e delle prestazioni sociali agevolate;
   se non ritengano necessario includere i ricoveri con retta a parziale o totale carico di enti pubblici nella banca dati delle prestazioni sociali agevolate e nella Tabella 1 del decreto 8 marzo 2013 del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
(5-02016)


   FERRO, FASSINA, MARRONI, TIDEI, CARELLA, MARCO DI STEFANO, GNECCHI, CUPERLO, GRIBAUDO, CASELLATO, CHAOUKI, PARIS, CINZIA MARIA FONTANA, MICCOLI, BOCCUZZI, CAMPANA, GHIZZONI e LENZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   a quanto risulta agli interroganti, la struttura RSA Annali di Cineto Romano, provincia di Roma, gestita dall'Azienda «Annali s.r.l.», nasce con l'accreditamento provvisorio di 114 posti letto; il personale tutto è di 75 unità, delle quali 24 rientrano nella procedura di cui alla legge n. 223 del 1991 la quale giuridicamente va attivata solo in caso di crisi economica;
   l'organico risultava strutturato come segue: 32 operatori tecnici addetti all'assistenza, 5 educatori senza titolo ad esaurimento, 12 ausiliari e 4 impiegati amministrativi;
   il 31 dicembre 2011, la società «Annali s.r.l.» avviò una procedura di messa in mobilità e licenziamento collettivo nei confronti di 24 unità lavorative, tale atto veniva motivato con il ricorso al Decreto commissariale n. 8/2011 recante «Modifica dell'allegato 1 al decreto del commissario ad Acta» U009072010 per: a) attività di riabilitazione (codice 56); b) attività di lungodegenza (codice 60), c) attività erogata nelle residenze sanitarie assistenziali (Rsa) per i livelli prestazionali R1, R2, R2B, R3;
   alla stregua dunque di quanto sopra, la struttura è divenuta alla determinazione di avviare la procedura di riduzione del personale nonché la connessa procedura di collocazione in mobilità nei termini regolamentata dalla legge richiamata nei confronti di 24 unità lavorative ed aventi profili professionali di seguito indicati: 12 ausiliari; 5 educatori; 5 operatori tecnici addetti all'assistenza; 2 impiegati amministrativi;
   tale valutazione è stata ritenuta sempre poco chiara, poco esaustiva e quindi molto discutibile, in quanto fatta sulle basi di un accreditamento provvisorio che dà concreta e reale impossibilità di valutare il numero esatto di personale distribuito per i vari livelli prestazionali;
   nel marzo 2012, i lavoratori dell’«Annali s.r.l.» venivano posti in Cassa integrazione guadagni straordinaria, ma lo stesso giorno venivano sostituiti da 5 educatori con titolo ma a partita Iva e da 12 infermieri professionali a partita Iva. Infine i servizi venivano sostituiti da una cooperativa;
   tale procedura è stata portata avanti fino ad oggi e l'azienda sembra non abbia mai voluto attuare una rotazione almeno per quanto riguarda il personale addetto all'assistenza, né ha adottato forme alternative e meno traumatiche rispetto alla Cassa integrazione guadagni straordinaria, come ad esempio i contratti di solidarietà. Più volte la situazione è stata messa all'attenzione della regione Lazio;
   il 5 dicembre 2011, a quanto risulta agli interroganti, con decreto del commissario ad acta n. U0115 all'Azienda veniva concesso un budget di 1.875.382,96. Stesso budget, sempre con decreto del Commissario ad acta, per il 2012. Il 9 aprile 2013, veniva concesso un budget di 2.185.912,00 euro, circa 210.000 euro in più rispetto agli anni precedenti;
   il 26 giugno 2013 con decreto del commissario ad acta n. U00262 veniva concesso alla struttura l'accreditamento definitivo per: 38 posti RSA livello prestazionale R2; 16 posti RSA livello prestazionale R2D; 60 posti RSA livello prestazionale R3; 20 posti riabilitazione in regime residenziale per persone portatrici di disabilità fisiche, psichiche e sensoriali (ex articolo 26);
   prendendo in considerazione il decreto 8 del 2011, con l'accreditamento definitivo, la valutazione numerica del personale di area operatori tecnici addetti all'assistenza è la seguente: 7/8 operatori per 30 posti Rsa livello prestazionale R2; 4/5 operatori per 16 posti Rsa livello prestazionale R2D; 16/17 operatori per 60 posti Rsa livello prestazionale R3. Il totale è di circa 29/30 unità lavorative previste;
   gli operatori tecnici addetti all'assistenza da 32 sono divenuti 31, a causa del licenziamento pregresso di un operatore, inoltre dai conteggi sopra citati, in organico ve ne dovrebbero essere 29 e non 26 come attualmente l'azienda ha segnalato; sembra assurdo pensare che 2 di essi possano rappresentare un esubero talmente importante al punto da aver messo in discussione l'accreditamento definitivo della struttura. Al contrario, questi 2 operatori semmai rappresentano un valore aggiunto per una migliore erogazione del servizio e quindi della sua qualità, la quale attualmente potrebbe essere discutibile dal momento che a quanto risulta agli interroganti, tali figure svolgono un numero considerevole di doppi turni da quando è iniziata la procedura di Cassa integrazione guadagni straordinaria (1o marzo 2012); infatti solo nel mese di dicembre 2013 ne sono stati svolti 11; altro elemento che fa discutere sulla qualità del servizio erogato sta nel fatto che tali operatori svolgono durante lo stesso turno lavorativo doppie mansioni, quelle di assistenza diretta al paziente e quelle di pulizia che competerebbero se i lavoratori fossero inquadrati come OSS (operatore socio sanitario), ma in realtà essi sono inquadrati come operai e hanno un livello pari alla figura di OTA (operatore tecnico addetto all'assistenza), quindi essi svolgerebbero addirittura mansioni superiori percependo uno stipendio inferiore;
   inoltre ciò mette in discussione anche la sicurezza dei lavoratori in merito ai carichi di lavoro richiamati dalla legge 81 del 2008; infatti a quanto risulta agli interroganti, l'azienda ha diminuito di una unità quella unità in turno al mattino ed al pomeriggio aumentando però i carichi lavorativi con doppie mansioni come sopra descritto;
   sempre prendendo in considerazione il decreto 8 del 2011, con l'accreditamento definitivo, la valutazione numerica del personale di area educatori o terapisti occupazionali è la seguente: 2/3 operatori per 30 posti Rsa livello prestazionale R2; 1/2 operatori per 16 posti Rsa livello prestazionale R2D; 3/4 operatori per 60 posti Rsa livello prestazionale R3. Il totale è di circa 7 unità lavorative previste;
   le unità di cui sopra, a quanto risulta agli interroganti, sono 5 e non 7, come riportato invece all'azienda, in quanto 2 sono fisioterapiste;
   tali figure sono state inserite nella procedura per mancanza di titolo, ma a quanto risulta, le stesse furono inquadrate come educatori senza titolo ad esaurimento, qualifica riconosciuta dal contratto collettivo nazionale sanità privata AIOP 2002/2005, articolo 51, e quest'ultimo è stato espressamente riportato nei contratti firmati dai lavoratori al momento dell'assunzione. Inoltre l'azienda non avrebbe mai provveduto a far svolgere corsi di qualificazione a tale personale; per queste motivazioni sembrano inesistenti i criteri con i quali tali lavoratori sono stati coinvolti nella procedura di Cassa integrazione guadagni straordinaria per lo più sostituiti dal primo giorno di procedura da 4 educatori con titolo a partita iva, elemento quest'ultimo discutibile in quanto il decreto dice espressamente che l'appalto può essere fatto per comparti che non svolgono assistenza diretta al paziente;
   sempre il decreto 8 del 2011, non obbliga l'azienda ad appaltare i servizi di amministrazione e pulizia ma dà un semplice indirizzo, pertanto sembra incomprensibile la ragione dell'inclusione nella procedura Cassa integrazione guadagni straordinaria di tali comparti;
   a quanto risulta agli interroganti, più volte si sarebbe proposto di assumere il personale delle pulizie alla ditta appaltante, ma l'azienda avrebbe sempre rifiutato, dando il servizio, anche qui dal primo giorno di Cassa integrazione guadagni straordinaria 1o marzo 2012, ad una cooperativa che attualmente svolge le stesse mansioni che venivano svolte dal personale posto in Cassa integrazione guadagni straordinaria;
   inoltre, per quanto attiene gli impiegati amministrativi, vale la pena ricordare che nella seconda procedura sembrerebbe apparire l'assunzione di una dipendente, cosa che non potrebbe avvenire sotto procedura Cassa integrazione guadagni straordinaria, ma può essere effettuata solo richiamando il lavoratore dalla procedura stessa;
   nell'ottobre 2013, alla chiusura della procedura Cassa integrazione guadagni straordinaria, l'azienda avrebbe proposto la stipula di contratti di solidarietà, ma la stessa, il 30 dicembre 2013, avrebbe ritrattato l'idea di stipulare i contratti di solidarietà e avrebbe convocato i sindacati comunicando loro l'intenzione di procedere ai licenziamenti e la trattativa sarebbe stata, dunque immediatamente interrotta dai sindacati;
   conseguentemente, l'azienda avrebbe rivisto la graduatoria dei comparto operatori socio-sanitari, reintegrando solo tre unità a seguito di un ballottaggio che si sarebbe svolto alla sola presenza di un notaio, di una unica sigla sindacale e della sola azienda;
   come riportato anche dalla stampa locale, scadendo i termini di notifica dei licenziamenti alla mezzanotte del 31 dicembre 2013, e non avendo ricevuto alcuna comunicazione, i lavoratori si recano sul posto di lavoro ma trovano la porta della residenza chiusa e sono impossibilitati ad entrare;
   a quanto risulta agli interroganti, i telegrammi di licenziamento sono arrivati ai lavoratori solamente la mattina del 2 gennaio 2013 e quindi ben oltre i termini di notifica –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di loro competenza, intendano verificare la correttezza nell'applicazione della procedura di Cassa integrazione guadagni straordinari e il rispetto dei criteri stabiliti dalla legge in materia di ammortizzatori sociali, che prevede come presupposto necessario della Cassa integrazione guadagni straordinaria la presentazione e il rispetto di un programma mirato al rilancio dell'attività ed alla salvaguardia dei livelli occupazionali;
   se s'intenda altresì verificare, nei limiti delle proprie competenze, il rispetto della legge 81 del 2008;
   se s'intenda verificare per il tramite del commissario ad acta il rispetto, da parte dell'azienda, dei requisiti minimi come previsto dalle vigenti normative;
   se s'intenda, infine, adoperarsi, per quanto di competenza, per attivare un tavolo di confronto a livello governativo in merito a tale vertenza occupazionale, al fine di individuare possibili soluzioni in termini di mantenimento dei livelli d'impiego o, eventualmente, di un adeguato ricollocamento lavorativo. (5-02023)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   L'ABBATE, GAGNARLI, MASSIMILIANO BERNINI, GALLINELLA, BENEDETTI, PARENTELA e LUPO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in data 11 aprile 2013, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, per il tramite del dirigente area galoppo Stefania Mastromarino, ha decretato «di riaprire i termini del bando di cui alla determinazione del Dirigente delegato del 7 febbraio 2013 e per l'effetto di fissare al 30 aprile 2013 il termine per la presentazione delle domande di ammissione al corso per allenatori professionisti e di non prevedere un numero massimo di partecipanti»; nonché «di autorizzare lo svolgimento del corso articolandolo nelle seguenti sedi territoriali per rendere maggiormente fruibile l'offerta formativa: 1. Pisa presso la sala convegni del Residence S. Rossore, sezione distaccata a Tanca Regia (OR), n. due sessioni in videoconferenza»;
   le associazioni di categoria UNAG ed ASSOGALOPPO, con la collaborazione di Percorsi srl, agenzia formativa accreditata dalla regione Toscana (cod. LI0006) e della Filiera ippica toscana, associazione senza scopo di lucro, la quale cofinanzia il progetto con fondi della regione Toscana a valere sul PRAF, (piano regionale agricolo e forestale 2012-2015), hanno indetto un corso di formazione, riconosciuto dall'ASSI, propedeutico all'ottenimento della patente di «allenatore professionista» per il galoppo;
   per la prima volta nella storia dell'ippica italiana, il corso si è tenuto in Sardegna e si è concluso ad agosto 2013, a costo zero per Mipaaf. Il corso, infatti, ha visto la collaborazione di esperti e professionisti del settore ed il coinvolgimento della regione Sardegna che ha messo a disposizione i locali. Grazie al versamento delle quote degli aspiranti, poi, sono stati coperti i costi relativi ai docenti ed ai materiali di studio;
   da agosto 2013, i 30 partecipanti al corso di «allenatore professionista» per il galoppo attendono che il dipartimento interessato del Mipaaf (che ha ricevuto tutta la documentazione relativa agli esami), tramite i suoi responsabili, svolga gli esami in sede ma, sino ad oggi, non è ancora giunto il nullaosta alla trasferta –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della vicenda e quali misure intenda intraprendere per sbloccare la situazione e concludere l’iter formativo già intrapreso dai futuri «allenatori professionisti galoppo», considerando le negative ripercussioni per l'intero comparto (lavoro in nero, ricorso a prestanomi e altro). (5-02015)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   DI VITA, LOREFICE, MANTERO, SILVIA GIORDANO, DALL'OSSO e CECCONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il signor M. F. è un paziente affetto da DCCM (disordine cranio cervico mandibolare);
   la storia clinica del signor M. F. è del tutto singolare: non trovando specialisti e strutture pubbliche in grado di identificare la causa e, dunque, una cura a detta patologia, dopo molti anni di studio, ricerca e sofferenza provocata dalle gravissime condizioni di salute che lo accompagnavano, M. F. è riuscito infine a migliorare nettamente il proprio stato di salute grazie alla progettazione di un innovativo meccanismo biomeccanico, faticosamente sperimentato sulla propria persona;
   M. F. è infatti l'inventore del cosiddetto «Meccanismo OG-OcclusioneGavità»;
   reso pubblico da M. F. sul proprio sito web già dal 2002, tale meccanismo mette in pratica su pazienti affetti da DCCM il principio fisico-meccanico che, tenendo conto della terza legge di Newton, porta lo scheletro umano forzatamente in equilibrio, appunto, fisico-meccanico, registrandone volta per volta la postura su una PRCM (Placca di riposizionamento cranio mandibolare);
   più specificamente, tale procedimento biomeccanico utilizza un sostegno di tipo meccanico, detto appunto PRCM (simile ad un byte), che si interpone tra le arcate dentarie, invisibile, registrato periodicamente, che permette alla persona di rimanere in postura eretta senza sforzo fisico, decomprimendo vasi, vertebre e articolazioni, ripristinando in definitiva la condizione di equilibrio scheletrico-muscolare-articolare e la simmetria anatomica, eliminando dunque una numerosa serie di sintomi e patologie conseguenti mai ricondotte dalla medicina a questo problema biomeccanico;
   la differenza tra il Meccanismo OG e tutti i metodi e trattamenti medici (gnatologico-odontoiatrici) risiede proprio nel fatto che il primo non può essere inquadrato come disciplina medica tradizionale o alternativa, ma come dispositivo biomeccanico: nessun medico specialista, infatti, tiene conto del principio fisico-meccanico applicato attraverso il Meccanismo OG, essendo sconosciuto in medicina come causa di sintomi e malattie;
   dalla metà del 2011 il signor M. F. esercita a Ivrea (Torino), ai sensi della legge 14 gennaio 2013, n. 4, la professione di consulente e tecnico biomeccanico per il disequilibrio meccanico del corpo;
   recente giurisprudenza di merito (tribunale Torino, sentenza del 25 agosto 2011) ha riconosciuto l'innovativa opera del signor M. F., individuando il suddetto principio fisico-meccanico come causa dei numerosi sintomi e patologie conseguenti;
   la sentenza indicata coinciderebbe con il distacco ufficiale della scoperta del signor M. F. con la medicina ufficiale e alternativa;
   in seguito alla sentenza del 2011, quanto sostenuto dal signor M. F. trova ulteriore riscontro anche in un documento giudiziario, pubblicato su diritto.it del 15 aprile 2013, che costituisce un precedente importantissimo affermando un principio fondamentale sull'indagine nella disciplina medico giudiziaria, ovvero il principio di dover valutare la simmetria-scheletrica-muscolare tenendo conto del principio fisico meccanico della terza legge di Newton;
   da molti anni il signor M. F. lotta per rendere di dominio pubblico la propria scoperta;
   nel giugno del 2011 M. F. inviava una lettera aperta ai più alti livelli istituzionali, chiedendo sostanzialmente l'istituzionalizzazione della propria scoperta scientifica;
   con e-mail del 19 luglio 2011 il Ministero della salute confermava al signor M. F. di aver processato l'istanza pervenutagli;
   ad oggi il signor M. F. non ha ancora ricevuto alcuna risposta concreta dal competente ufficio ministeriale che ha preso in carico la sua istanza –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se, e con quali tempistiche, il competente dipartimento dell'innovazione (ex direzione generale risorse umane e professioni sanitarie) intenda rispondere all'istanza presentata dal signor M. F.
(4-03362)


   LABRIOLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sono almeno un milione i bambini e i ragazzi italiani che vivono nelle immediate vicinanze di un sito di interesse nazionale;
   questi bambini e questi ragazzi rischiano più degli altri in quanto in alcuni siti (a Massa Carrara, a Taranto, a Mantova) l'aumento del rischio è consistente. Questo è, almeno, quanto sostiene uno studio, La salute infantile nei siti inquinati italiani, pubblicato di recente da alcuni epidemiologi dell'istituto superiore di sanità e dell'università La Sapienza di Roma;
   gli studiosi sono partiti da un dato: in Italia sono stati censiti e definiti Sin, siti di interesse nazionale per le bonifiche, 57 diverse aree. Sono aree molto inquinate, da contaminanti i più diversi (dall'amianto al mercurio, dall'arsenico ai composti organici persistenti o anche da un insieme di queste e altre sostanze). E sono aree anche molto estese: coprono il 3 per cento del territorio nazionale. Sono distribuite un po’ in tutte le regioni italiane, a nord come a sud. Anche se le aree più estese sono in Sardegna e in Campania. Sono abitate complessivamente da 5,5 milioni di abitanti, di cui il 20 per cento con età massima di 19 anni;
   il progetto «Sentieri» dell'Istituto superiore di sanità ha indagato gli effetti sulla salute delle persone che vivono in prossimità di questi siti. In particolare ne ha preso in esame 44 su 57, trovando un aumento sia della mortalità sia delle mobilità per diverse cause;
   non esisteva, finora, uno studio specifico sui bambini e sui ragazzi. Uno studio necessario, perché, come è noto nella letteratura scientifica, bambini e ragazzi rispondono in maniera diversa dagli adulti all'esposizione a diversi inquinanti;
   i motivi sono, in estrema sintesi, due. I bambini sono esposti agli inquinanti in maniera diversa dagli adulti anche in un medesimo ambiente. I bambini, per esempio, hanno una superficie esposta relativa maggiore degli adulti. Cosicché, sempre in termini relativi, assorbono più inquinanti atmosferici. Inoltre il rapporto tra il peso e l'aria e il cibo assunti nel bambini è inferiore. Insomma, in termini relativi, i piccoli inspirano più aria e mangiano di più. Se l'aria e/o il cibo sono inquinati ecco che il rischio aumenta. Infine i bambini hanno una fisiologia diversa da quella di un adulto e un corpo in rapida crescita. Sanno difendersi meno dagli inquinanti. Anche a parità di esposizione relativa, dunque, i bambini sono più a rischio;
   l'istituto Superiore di sanità ha elaborato uno studio denominato «Sentieri Kids», ovvero uno studio specifico e di lungo periodo centrato sui bambini e sui ragazzi;
   è stato attivato uno studio preliminare relativo alla sola mortalità e ad alcune malattie nella fascia d'età compresa tra 0 e 19 anni e per il periodo compreso tra il 1995 e il 2009 nei 44 siti già analizzati da «Sentieri»;
   risultati seppur non definitivi sembrano essere significativi in quanto nei dintorni di questi siti abitano circa un milione di bambini e ragazzi. Tale studio sembra aver rilevato che la mortalità per tutte le cause – cioè quella di genere – è superiore del 4 per cento alla media nazionale per i neonati fino a un anno. Mentre è del tutto in linea con la media nazionale nelle altre fasce di età. Inoltre, nella stessa fascia di età, la morbilità di origine perinatale è superiore del 5 per cento rispetto alla media;
   altro dato rilevante è che da un'analisi dettagliata si è dimostrato che le condizioni cambiano, da sito a sito. Nei siti vicino ad ambienti industriali complessi, per esempio, la mortalità ha un picco. Nel (Sito di interesse nazionale) di Massa Carrara, per esempio, la mortalità per tutte le cause è del 25 per cento più alta nella fascia di età 0-1 e addirittura del 48 per cento nella fascia di età tra 0 e 14 anni. A Taranto è più alta del 21 per cento nella fascia di età 0-1 e del 24 per cento nella fascia 0-14. A Mantova è più alta del 63 per cento nella fascia 0-1 e del 23 per cento nella fascia di età 0-14; un aumento della mortalità infantile per tutte le cause, dimostra lo studio, si osserva anche a Biancavilla, Broni e Casale Monferrato, siti caratterizzati da inquinamento da amianto. Mentre nei siti con presenza diffusa di discariche illegali, come per esempio il Litorale Domizio Flegreo/Agro Aversano e l'Area Litorale Vesuviano, e il sito di Priolo, con complesse attività industriali, si registra una riduzione significativa sia della mortalità per tutte le cause in tutte le fasce di età. Anche questi sono dati da spiegare, con un approfondimento dell'analisi –:
   quali siano i risultati a tutt'oggi dello studio denominato «Sentieri Kids» anche se parziali;
   quali iniziative relativamente allo screening prenatale e neonatale abbia intenzione di adottare il Ministro interrogato con riferimento alla popolazione residente nelle zone di cui sopra;
   quali iniziative urgenti il Ministro abbia intenzione di adottare per tutelare la salate dei bambini e dei ragazzi esposti a così elevati fattori inquinanti anche magari attraverso l'adozione di un piano di tutela sanitaria specifica. (4-03363)


   MONGIELLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'amianto è un elemento particolarmente pericoloso dal punto di vista dei danni biologici che può provocare, esso infatti è la causa di due specifiche malattie: l'asbestosi, frutto dell'accumulo nell'organismo di fibre del materiale, altamente invalidante ed il mesotelioma pleurico, tumore maligno per la cui insorgenza, anche a distanza di decenni dall'esposizione, è sufficiente l'azione anche di pochissime fibre;
   l'ordinamento attuale riconduce l'esposizione all'amianto ad un fattore di rischio molto elevato in quanto fortemente nociva e tale da provocare tumori maligni della pleura e del peritoneo. Per tali motivi con la legge 27 marzo 1992, n. 257, recante «Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto», si è disciplinata la messa al bando dell'utilizzo di amianto nelle attività produttive di qualsiasi tipo, con l'obiettivo di sottrarre il lavoratore alla fonte di rischio;
   l'articolo 10 della citata legge n. 257 del 1992 ha previsto che le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano adottino piani di protezione dell'ambiente, di decontaminazione, di smaltimento e di bonifica ai fini della difesa dai pericoli derivanti dall'amianto, ma a tutt'oggi risulterebbe che tale mappatura non sia stata ancora completata, visto che regioni come la Calabria e la Sicilia non avrebbero trasferito del tutto i dati a loro disposizione e regioni come la Campania e la Puglia avrebbero effettuato un censimento solo parziale, mentre gli stessi censimenti effettuati non risulterebbero omogenei, in quanto sarebbero stati utilizzati sistemi di monitoraggio diversi;
   la stessa legge n. 257 del 1992 ha anche previsto l'istituzione della Commissione per la valutazione dei problemi ambientali e dei rischi sanitari connessi all'impiego dell'amianto, però, come anche testimoniato dal Ministero della salute, una volta portato a termine, in ordine di tempo, l'ultimo mandato 2002-2005 con proroga dicembre 2006, si è conclusa la produzione di documenti tecnici affidati ad essa come compiti fondamentali, venendo meno pertanto il sostegno da parte delle principali amministrazioni interessate a mantenerne, la struttura, anche in considerazione della mancanza di rappresentatività al suo interno delle regioni che, con la modifica del titolo V della Costituzione, avevano acquisito competenze concorrenti con quelle dello Stato;
   essendo risultate inefficaci e macchinose le richieste di modifica degli articoli 4 e 5 della legge n. 257 del 1992, per prevedere un nuovo assetto partecipativo e nuovi compiti da affidare alla commissione, con il decreto ministeriale 8 aprile 2008, il Ministero della salute ha inteso mantenere tuttavia vivo l'interesse per le tematiche rimaste in sospeso e mettere in luce le nuove problematiche emergenti;
   nel prevedere la formula del «Gruppo di studio» si è inteso avere uno strumento propositivo agile e di confronto con la partecipazione diretta anche del Coordinamento interregionale. Il gruppo di studio ha elaborato a gennaio 2012 un rapporto finale, che fotografa lo stato dell'arte della problematica;
   riguardo alle misure di sostegno o di riconoscimento per i lavoratori che hanno subito gli effetti dell'esposizione all'amianto, la legge in oggetto ha disposto che per i lavoratori che siano stati esposti all'amianto per un periodo superiore a dieci anni, l'intero periodo lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'esposizione all'amianto, gestita dall'INAIL, è moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente di 1,5;
   risulterebbe che anche sull'attuazione di tale previsioni vi siano in essere contenziosi tra lavoratori che richiedono l'applicazione delle provvidenze previste e l'istituto previdenziale che non le accetterebbe o ad ogni modo diversità di comportamenti tra le diverse regioni creando disparità di trattamento verso soggetti che ricadono in fattispecie uguali;
   da ultimo, si ricorda che in data 15 settembre 2010 la Commissione lavoro pubblico e privato della Camera dei deputati aveva approvato all'unanimità la risoluzione n. 8-00089, per impegnare il Governo, tra l'altro, ad aprire un tavolo di confronto con tutti i soggetti istituzionalmente coinvolti, per portare all'attenzione e monitorare tutte le questioni ancora aperte, nonché a valutare l'eventuale esigenza di adottare possibili iniziative volte a garantire i diritti legittimamente rivendicati dai familiari delle vittime da amianto –:
   se siano disponibili, e se sì quali siano, i dati sull'applicazione della legge 27 marzo 1992 n. 257 nella regione Puglia ed in particolare sui beneficiari delle misure di sostegno relative al trattamento straordinario di integrazione salariale e pensionamento anticipato, riconosciute ai sensi dell'articolo 13 delle predetta legge;
   se non intenda attivare ulteriori iniziative volte alla ricostituzione della commissione per la valutazione dei problemi ambientali e dei rischi sanitari in maniera da superare anche le criticità in tal senso rilevate per come descritto in premessa;
   quali informazioni possa riferire in merito alla istituzione ed alle attività della Conferenza Nazionale sulla sicurezza ambientale e sanitaria delle tecnologie industriali, nonché dei materiali e dei prodotti di cui alla legge n. 257 del 1992, prevista dall'articolo 7 della medesima legge;
   se risulti se ai sensi dell'articolo 9 della legge citata, le unità sanitarie locali provvedano fattivamente a predisporre le relazioni annuali sulle condizioni dei lavoratori esposti da trasmettere alle competenti regioni ed al Ministero della salute vigilando sul rispetto dei limiti di concentrazione fissati dall'articolo 31 del decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277;
   quali dati siano disponibili in ordine all'adozione da parte delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano dei piani di protezione dell'ambiente, di decontaminazione, di smaltimento e di bonifica ai fini della difesa dai pericoli derivanti dall'amianto e sul controllo delle condizioni di salubrità ambientale e di sicurezza del lavoro che gli stessi enti sono tenuti ad effettuare attraverso i presidi e i servizi di prevenzione delle unità sanitarie locali competenti per territorio, come in tal senso previsto dall'articolo 10 della legge n. 257 del 1992. (4-03365)


   FRANCO BORDO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   si stima che nel 2012, a causa della grave siccità, circa il 30 per cento della produzione nazionale di mais abbia raggiunto, secondo le rilevazioni i metodi di campionamento e di analisi per il controllo ufficiale delle micotossine stabilito dal regolamento (CE) 401/2006, valori di aflatossina B1 superiori ai limiti di legge, stabiliti dalla direttiva UE 32/2002 relativa alle materie prime per mangimi, di 20 parti per miliardo;
   le aflatossine sono micotossine note per le loro proprietà genotossiche e cancerogene, causano intossicazione cronica praticamente irreversibile fino allo sviluppo di tumori molto gravi; l'organo più colpito è il fegato, con cirrosi o carcinomi, ma si sospetta che possano essere coinvolte altre patologie;
   a seguito della contaminazione da micotossine, circa 350 mila tonnellate di mais sono risultate inutilizzabili sia per il consumo umano che animale;
   le regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto hanno siglato un protocollo di intesa per l'impiego del mais contaminato negli impianti di biogas;
   dopo l'utilizzo del mais contaminato negli impianti di biogas, il digestato residuo viene sparso sui terreni agricoli come concime, tornando nel ciclo agroalimentare;
   il Ministero della salute in una sua nota del 16 gennaio 2013, prescrive che le sostanze contaminate da aflatossine devono essere incenerite o possono essere avviate al biogas in accordò con l'autorità competente, nella fattispecie il servizio sanitario regionale;
   ad oggi, nonostante l'avvio dell'utilizzo del mais contaminato da aflatossine non risulta ancora pervenuto una documentazione precisa da parte degli assessorati alla salute delle tre regioni;
   in occasione di interrogazioni nei rispettivi consigli regionali in merito alla pericolosità dello spargimento del digestato residuo delle lavorazioni con mais contaminato, le regioni Emilia-Romagna e Lombardia hanno fornito rassicurazioni in merito al decadimento delle aflatossine nei procedimenti di digestione anaerobica usata negli impianti, citando uno studio specifico prodotto dall’équipe di docenti e ricercatori del gruppo Disaa, del dipartimento di scienze agrarie dell'università degli studi di Milano i cui esiti sono stati pubblicati in un articolo dal titolo L'aflatossina non frena il biogas pubblicata sulla rivista di settore Terra e Vita n. 18 del 2013;
   nell'apertura di questa relazione si specifica subito che è evidente che il lavoro non è esaustivo, visti i tempi stretti richiesti per dare una prima indicazione, ma di fondamentale importanza per affrontare con cognizione un emergenza da gestire;
   l'articolo in questione specifica che lo studio, condotto in laboratorio e in pieno campo (per confermare in condizioni reali i risultati di laboratorio), presenta alcuni limiti, a cominciare dagli approfondimenti scientifici in pieno campo, condotti con campagne di campionamento in un reale impianto di digestione anaerobica da 700 kw;
   a fronte della diversità tra più biodigestori, dato che ogni impianto è differente in funzione del materiale di alimentazione e altri fattori, lo studio stesso, relativamente alla percentuale di riduzione del contenuto totale di aflatossina in impianto di scala reale (fissata al 52 per cento) specifica che «il dato ottenuto è indubbiamente confortante in linea con quanto ottenuto in laboratorio, anche se in condizioni diverse», ma anche che «il dato di scala reale meriterebbe maggiori approfondimenti nel senso di un coinvolgimento di più impianti e di un numero maggiore di campagne di campionamento, data la maggior difficoltà operativa»;
   sempre nell'ambito dei monitoraggi in pieno campo, l'impianto di digestione considerato per gli esperimenti aveva «un tempo medio di ritenzione idraulica del mix di alimentazione pari a 3.035 giorni e un apporto di granella con aflatossina B1 nel mix pari al 6,7 per cento in peso»;
   ci si domanda se quelle descritte siano condizioni reali e che cosa accadrebbe se ci si dovesse discostare da questo parametro;
   lo stesso 52 per cento di riduzione del contenuto di aflatossina B1 operato dal processo digestione anaerobica (sulla base dei rilievi effettuati in un impianto di scala reale) viene indicato come «confortante» ma anche «da confermare» e l'articolo stesso conclude sottolineando che «servono più conoscenze» –:
   in che modo il Ministro intenda attivarsi per scongiurare rischi per la salute pubblica e per la filiera agroalimentare, per impedire il consumo umano o animale di mais contaminato indirizzandolo verso usi agroenergetici, evitando al contempo che per errore si distrugga mais commestibile negli impianti a biogas. (4-03367)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta orale:


   NARDELLA, GELLI e SIMONI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Seves è una società leader mondiale nei settori degli isolatori in porcellana, in vetro e nel glassblock. La Seves nasce dall'integrazione tra diversi gruppi industriali operanti nei settori dell'isolamento elettrico e del vetromattone: Vetroarredo (Firenze – Mattoni in Vetro), Sediver (Francia – Isolatori in vetro), PPC Insuletors (Austria – Isolatori in porcellana), Isoladores Santana (Brasile – Isolatori in porcellana). Gli stabilimenti per il glassblock sono due, uno sito in Firenze che fa l'alta gamma e uno in Repubblica Ceca che si occupa della gamma base;
   il 2 dicembre 2008, durante un incontro presso la sede di Confindustria di Firenze, i vertici della suddetta azienda dichiararono che, a causa della contrazione degli ordinativi di mattoni in vetro registratosi a livello mondiale nella seconda metà del 2008, sarebbe stato necessario avviare una procedura di cassa integrazione straordinaria (CGIS) nei confronti di 110 lavoratori e una procedura di mobilità per altri 20 lavoratori;
   in data 7 gennaio 2009, dopo un lunga serie di incontri tra i vertici dell'azienda e diversi assessori del comune e della provincia di Firenze, venne sottoscritto tra le parti un accordo in cui si prevedeva il ritiro da parte dell'azienda della procedura di cassa integrazione straordinaria ed il ricorso a 13 settimane più altre 13 settimane di cassa integrazione ordinaria (CIGO) a rotazione per 110 lavoratori a decorrere dal 2 febbraio 2009. Nello stesso accordo vennero previsti anche la corresponsione dell'anticipo del trattamento, la maturazione del rateo di tredicesima mensilità e lo svolgimento di incontri mensili finalizzati all'esame della situazione produttiva e commerciale e dei profili professionali coinvolti nella rotazione per la cassa integrazione ordinaria;
   in seguito l'azienda presentò un documento programmatico per il biennio 2009-2010 contenente le iniziative intraprese per il rilancio dell'azienda stessa, nonché gli investimenti previsti per l'attivazione del nuovo forno. Tale documento programmatico venne contestato dai lavoratori, in quanto carente di ogni indicazione sia in ordine ai tempi previsti per la realizzazione del forno sia per la ripresa dell'attività dell'azienda;
   il 15 giugno 2009, al tavolo istituzionale (che ad oggi è ancora attivo), a cui presero parte anche i rappresentanti del comune e della provincia di Firenze, è stato sottoscritto un nuovo accordo tra la rappresentanza sindacale unitaria, FILCEM-CGIL, FEMCA-CISL e l'azienda in cui quest'ultima si è impegnata a fornire un'informativa mensile sullo smaltimento dei pezzi a magazzino. Nell'ambito dello stesso accordo fu fissata in 4,8 milioni e 2,8 milioni di pezzi in magazzino la giacenza necessaria per procedere rispettivamente alla realizzazione del forno e alla ripresa dell'attività produttiva;
   dopo l'inizio della crisi fu sottoscritto un accordo sulla ristrutturazione e sulla riduzione concordata del personale nel 2010, passando da circa duecento lavoratori prima della ristrutturazione a 96. Vennero anche rifatti il forno e una linea con il proposito di rilanciare i mattoni in vetro disegnato, ma a dicembre 2012 la produzione risultava ancora essere ferma;
   gli operai Seves saranno in cassa integrazione fino all'8 giugno 2014. L'azienda, che ormai dipende per via dell'indebitamento dalle banche per 250 milioni di euro (Unicredit, gruppo Banca Intesa, Bnp Paribas), ha chiuso il forno e spostato tutta la produzione del vetro mattone nello stabilimento di Duchcov sito nella Repubblica Ceca;
   la situazione debitoria ha imposto la vendita immediata del gruppo, perché, già nel bilancio 2012 mai approvato, il patrimonio risulterebbe in negativo. L'unico soggetto, con cui gli azionisti e le banche hanno accettato di negoziare è il fondo tedesco Triton con sede nell'isola di Guernsey (nel Canale della Manica) e con uffici a Francoforte, Londra e Stoccolma. Il fondo Triton ha rilevato Seves, con l'accordo che è stato reso noto ufficialmente lo scorso 28 dicembre 2013 e che si configura come una operazione di ristrutturazione del debito che consolida il gruppo imprenditoriale dal punto di vista finanziario;
   nel comunicato ufficiale di Seves, in cui si illustrano i termini dell'accordo con Triton e le linee guida del futuro piano imprenditoriale di rilancio del gruppo, con le prospettive di sviluppo strategico e operativo del business, si evidenziano dubbi sulla sostenibilità economica del sito fiorentino;
   lo stabilimento sito nella Repubblica Ceca non produce l'alta gamma, ma un facsimile non abbinabile ai prodotti pregiati fiorentini, utilizzati dalle archistar in tutto il mondo. A titolo esemplificativo si ricorda che Renzo Piano ha realizzato la Maison Hermes a Tokyo con i mattoni Seves;
   da alcuni articoli di stampa si evince come vi sia stato un primo contatto e sia stata successivamente presentata una offerta, con la previsione di un piano industriale, da parte di un fondo italiano, legato al fondo statunitense Cerberus, interessato a rilevare lo stabilimento Seves di Firenze per rilanciare la produzione di alta gamma, ma alla stessa non sia stato dato seguito da parte del management aziendale, che avrebbe privilegiato i rapporti con il Fondo Triton –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti sopra rappresentati e quali siano i loro orientamenti in merito;
   se non ritengano opportuno intervenire con la massima urgenza presso i vertici della Seves al fine di conoscere l'effettiva esistenza, nonché i contenuti, di ulteriori proposte di acquisto, oltre a quella finalizzata da Triton, relativa allo stabilimento produttivo di Firenze;
   quali iniziative intendano adottare per garantire e salvaguardare gli attuali livelli occupazionali del sito Seves di Firenze anche al fine di conservare e rilanciare un prodotto di altissima qualità della manifattura fiorentina, nonché al fine di evitare un'ulteriore contrazione del tessuto imprenditoriale e produttivo del territorio interessato. (3-00595)


   GALGANO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la centrale Enel «Pietro Vannucci» di Bastardo, che si trova nel comune di Gualdo Cattaneo (Perugia), avente una potenza complessiva di 150 megawatt erogata da due unità produttive di 75 megawattora ciascuno, è caratterizzata da una lunga storia e conseguentemente da una lunga attività altamente produttiva;
   fu costruita nel 1958 grazie alla presenza sul territorio di miniere di lignite ed entrò in produzione nel 1967, utilizzando come alimentazione primaria olio combustibile;
   nel 1989-90 l'impianto fu modernizzato e trasformato in un impianto a carbone, combustibile che tutt'ora viene utilizzato per l'alimentazione;
   alla fine degli anni ’90, a seguito della disponibilità di nuove tecnologie, subì un ulteriore upgrade volto al miglioramento sia del rendimento specifico dell'impianto, sia delle emissioni ambientali;
   la fornitura di carbone, sempre proveniente dall'estero, è garantita da due depositi, uno dei quali sito presso il porto di Ancona, ove l'Enel ha realizzato un carbonile ecologico per scaricare il combustibile dalle navi, costituito da una struttura completamente coperta con la capacità di 40.000 tonnellate, l'altro sito all'interno dell'impianto stesso con la capacità di 100.000 tonnellate;
   il trasporto tra i due siti di stoccaggio viene assicurato prevalentemente su rotaie e solo in piccola parte su gomma; il carbone raggiunge la centrale attraverso container trasbordati nella stazione di Foligno dove giungono su rotaia dal porto di Ancona e tutto il processo di trasporto è stato oggetto di verifica e certificazione ambientale;
   dal marzo 2003 la centrale è tecnicamente ambientalizzata con certificazione EMAS (sistema di ecogestione ed audit) e possiede la certificazione ISO 9001;
   l'impianto inoltre offre elevate garanzie sull'impatto ambientale poiché, oltre ai controlli chimici delle acque, dal 1997 è attivo un sistema di monitoraggio continuo delle emissioni di fornitura Siemens e nel territorio dei comuni di Gualdo Cattaneo e di Giano dell'Umbria sono presenti quattro stazioni di rilevamento della qualità dell'aria per valutare il valore delle emissioni; situazione pienamente tranquillizzante, confermando la buona qualità dell'aria e che l'impianto opera nel pieno rispetto delle disposizioni di cui al decreto legislativo n. 152 del 2006;
   anche in questi ultimi anni l'azienda si è attivata per far sì che l'impianto mantenesse le sue funzionalità operative, recependo continuamente tutte quelle normative volte al continuo miglioramento al rispetto ambientale;
   la centrale è ritenuta dalla giunta regionale dell'Umbria un sito di interesse strategico sia per collocazione che per qualità produttiva, infatti alcuni anni fa ha approvato «Il nuovo piano energetico regionale» evidenziandola con un passaggio particolare e specifico;
   nel 2009, al fine del rilascio dell'AIA (autorizzazione integrata ambientale), è stato messo in atto un progetto di miglioramento ambientale che ha permesso di ottenere tale importante certificazione;
   il sistema di funzionamento dell'impianto fino a qualche tempo fa era pressoché ininterrotto vista la sua alta affidabilità, il suo basso costo di esercizio e la sua importanza per il mantenimento dell'equilibrio della rete;
   da tempo questo si è assoggettato al nuovo sistema imposto dal GSE (gestore servizi energetici), il quale chiama in servizio gli impianti che offrono la loro produzione a prezzi più bassi;
   questo nuovo sistema di gestione prevedeva in una fase iniziale pochi giorni di funzionamento all'anno, ma di fatto, successivamente, grazie al basso costo di esercizio dovuto all'ammortamento ormai smaltito e al basso numero di maestranze presenti che garantiscono comunque una gestione altamente affidabile e in piena sicurezza, a fronte di una discreta richiesta del mercato dell'energia elettrica e del suo prezzo non bassissimo di megawattora, il funzionamento dei gruppi è stato quasi continuativo evitando, in alcuni momenti, anche le consuete fermate dei fine settimana;
   attualmente l'impianto non viene utilizzato a piene capacità e uno delle due unità produttive viene tenuta spenta, ufficialmente per mancanza di richiesta di energia ma in realtà sembrerebbe a causa della mancanza di scorta di carbone disponibile –:
   visto il trend di funzionamento e dato che a tutt'oggi il prezzo dell'energia e le richieste non hanno subito flessioni, di quali elementi disponga il Governo, anche alla luce della partecipazione in Enel, in ordine ai motivi per i quali non si è provveduto a effettuare gli ordini di carbone necessari e sul perché nei siti di stoccaggio dell'impianto non è presente «la scorta strategica prevista» che dovrebbe garantire almeno venti giorni di funzionamento a pieno regime dei due gruppi;
   se non sia opportuno verificare se le modalità di chiamata in servizio dei vari impianti produttivi da parte del GSE rispondano effettivamente alle disposizioni del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, il quale si ispira a criteri di libero mercato;
   quali siano i motivi per cui recentemente, nonostante l'economicità e la certificazione A.I.A. ottenuta, l'impianto ENEL «Pietro Vannucci», in presenza di un elevato costo del megawattora nel mercato elettrico, non sia stato chiamato in servizio. (3-00596)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CULOTTA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i comuni di minore dimensione demografica rappresentano oltre il 70 per cento delle municipalità italiane, equivalente al 54 per cento del territorio. Molte di queste realtà, in cui la popolazione è distribuita su un territorio in genere molto ampio e con difficoltà di collegamento, rischiano seriamente la soppressione o la grave limitazione del servizio postale;
   in particolare, si richiama la necessità di rivolgere adeguata attenzione alla specifica situazione del comune di San Mauro Castelverde (1850 abitanti). Il comune in oggetto è stato colpito da una rimodulazione oraria e giornaliera dell'ufficio postale causando notevoli disagi tra la popolazione (che già vive particolari condizioni sociali e territoriali). Ricordo inoltre, che l'ufficio postale più vicino, stante anche la mancanza di adeguati collegamenti di trasporto pubblico, dista circa 25 chilometri;
   tale situazione è palesemente in contrasto con le misure previste dal decreto legislativo n.58 del 2011 di attuazione della direttiva 2008/6/CE, volta al completamento del mercato interno dei servizi postali. Tale provvedimento, infatti, afferma il contributo fondamentale che i servizi postali esercitano per gli obiettivi di coesione sociale, economica e territoriale nell'Unione, consentendo tramite la rete postale l'accesso universale ai servizi locali essenziali –:
   considerate le continue richieste da parte del sindaco alla società Poste Italiane S.p.a., che ancora non trovano risposta, se intenda assumere un'iniziativa urgente per la riattivazione del servizio di apertura giornaliera così come previsto dalla normativa vigente. (5-02012)


   DE MARIA e BENAMATI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la FAAC è una grande multi-nazionale bolognese con diversi stabilimenti produttivi nel mondo e circa 1.800 dipendenti, dei quali più di 200 occupati nella sola sede centrale di Zola Predosa;
   da più di un anno, a seguito della morte prematura dell'imprenditore Michelangelo Manini e dell'impugnazione da parte di alcuni parenti del suo testamento (nel quale si indica quale erede universale la curia bolognese), l'azienda di Zola Predosa si è trovata ad operare in regime di sequestro giudiziario, disposto dal tribunale;
   la FAAC ha costituito fino ad oggi una realtà industriale fortemente in attivo, che rischia di essere messa in crisi non per ragioni economiche o di mercato, bensì per via di un'intricata controversia ereditaria, del tutto estranea alla vita dell'azienda, ma che proprio sull'azienda sta gravando con pesanti effetti: è sufficiente ricordare che il piano di crescita – che in quattro anni aveva più che raddoppiato il fatturato – si è bloccato da quando è stato disposto il sequestro giudiziario dei beni oggetto del compendio ereditario conteso nei quali è ricompreso il pacchetto azionario di maggioranza della società, e se la situazione non dovesse cambiare in tempi assai brevi, anche il bilancio del 2014 si chiuderebbe senza alcuna crescita né di fatturato né di profittabilità ma forse finanche invertendo la tendenza mettendo così inevitabilmente a rischio la longevità aziendale e l'attuale indice occupazionale;
   la presente situazione rischia quindi, come si apprende da diverse fonti, non solo di mettere in forse le prospettive di sviluppo societarie e di mercato anche all'estero ma addirittura tutto il piano industriale nei suoi fondamenti;
   considerando gli importanti risvolti economici e sociali di interesse pubblico, tale vicenda ha determinato il coinvolgimento delle stesse autorità locali, e sta sollevando enormi preoccupazioni, alla luce dei tempi prevedibilmente assai lunghi per la definizione della causa, e tenuto conto che l'azienda di Zola Predosa, con più di 200 lavoratori, costituisce una fonte di reddito per centinaia di famiglie, ed è committente per centinaia di commesse locali, costituendo una leva di sviluppo e una risorsa per l'intero territorio;
   la società in argomento, intervenendo volontariamente nel procedimento giudiziario si è fatta parte attiva per proporre all'autorità giudiziaria soluzioni alternative alla custodia – parimenti garantistiche per le parti che contendono il pacchetto azionario – e che tali proposte, fino ad oggi, non sono state accolte –:
   se il Ministro abbia conoscenza di quanto in premessa, se questo risponda al vero e del caso quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze e di quelle del Governo, si intendano adottare al fine di facilitare l'individuazione di soluzioni che permettano di preservare, anche nelle more del giudizio, l'azienda, il suo valore e un patrimonio tecnologico italiano in una situazione che ad oggi ne sta mettendo in forse la stessa sopravvivenza. (5-02019)

Interrogazione a risposta scritta:


   LEVA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il già fragile tessuto industriale della regione Molise è stato ulteriormente indebolito dalla crisi economica in corso;
   uno dei distretti maggiormente colpiti risulta essere il distretto produttivo di Bojano-Isernia-Venafro, territorio soggetto a recessione economica e occupazionale derivante dalle gravi problematiche industriali che stanno interessando aziende di grandi dimensioni come Gam e Ittierre spa con pesanti effetti sull'indotto e che hanno determinato la crisi di settori industriali con elevata specializzazione nel territorio;
   sono a rischio nell'area suddetta tra lavoratori diretti e indotto circa 2.000 posti di lavoro per un territorio di poco più di 100.000 abitanti;
   i principali comuni dell'area coinvolta hanno già adottato specifiche delibere di consiglio comunale, trasmesse alla Presidenza del Consiglio dei ministri e al Ministero delle sviluppo economico, nelle quali chiedono che sia posta all'attenzione del Governo nazionale l'eccezionale gravità della crisi industriale e occupazionale che interessa l'area del distretto produttivo di Bojano-Isernia-Venafro –:
   se si ritenga opportuno promuovere e incentivare un tavolo interministeriale tra Presidenza del Consiglio dei ministri, Ministero dello sviluppo economico e Ministero del lavoro e delle politiche sociali, insieme alla regione Molise, al fine di verificare se esistano le condizioni affinché si possa riconoscere a questo territorio la specificità di «situazione di crisi complessa» di cui al decreto ministeriale del 31 gennaio 2013 pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 14 maggio 2013 al fine di utilizzare maggiori risorse per la promozione di nuovi investimenti, per il sostegno alla ricerca industriale, per la riqualificazione del personale, per l'allocazione degli addetti in esubero, per la realizzazione delle opere infrastrutturali. (4-03357)

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Massimiliano Bernini e altri n. 5-02002, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 gennaio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Vignaroli.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Quartapelle Procopio n. 1-00326, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 161 del 28 gennaio 2014.

   La Camera,
   premesso che:
    da notizie a mezzo stampa, negli ultimi anni il fenomeno dell'abbandono dei minori nel mondo è in costante crescita, essendo passato dai 145 milioni di bambini dichiarati in stato di abbandono nel 2004 ai 168 milioni del 2009;
    tuttavia, seguendo un trend apparentemente opposto a quello del fenomeno dell'abbandono dei minori, il numero delle idoneità all'adozione internazionale dichiarate dai tribunali per i minorenni italiani sarebbe drasticamente diminuito, passando dalle 6.273 nel 2006 alle 3.106 del 2012;
    tra le principali ragioni della crisi dell'istituto dell'adozione internazionale vanno senz'altro considerati i rilevanti costi che le famiglie devono sopportare quando intraprendono questo percorso e che contribuiscono negativamente, specie in un periodo di grave crisi economica quale quello che stiamo vivendo;
    proprio per far fronte agli elevati costi, nel 2005 è stato istituito un «Fondo di sostegno delle adozioni internazionali», finalizzato al rimborso di parte delle spese sostenute per l'adozione di un bambino straniero nel corso dell'anno precedente, le cui funzioni sono state successivamente assorbite dal Fondo per le politiche della famiglia, istituito dall'articolo 19, comma 1 del decreto-legge 223 del 2006, destinato a finanziare anche il sostegno delle adozioni internazionali;
    da notizie a mezzo stampa si evincerebbe però che sarebbero stati erogati rimborsi fino alle adozioni concluse nell'anno 2010, con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 4 agosto 2011, registrato dalla Corte dei conti il 5 gennaio 2012; mentre per quanto concerne le adozioni concluse nel 2011, le cui pratiche sono già state istruite dalla Commissione per le adozioni internazionali in quanto rientranti nello stesso decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, ad oggi non sarebbe stato erogato alcun rimborso; infine, relativamente alle adozioni concluse nell'anno 2012 ancora non sarebbe stato emesso alcun decreto;
    è evidente che l'interruzione della misura del rimborso a favore delle famiglie adottive costituisca un grave ostacolo per tante coppie italiane altrimenti decise ad adottare, rischiando altresì di configurare una disparità di trattamento tra cittadini, con un'ulteriore ingiusta penalizzazione nei confronti di tante coppie più fragili economicamente ma che credono fermamente nel diritto di ogni bambino ad avere una famiglia;
    tuttavia, tra le ragioni del predetto calo delle adozioni, vanno altresì considerate le procedure amministrative, spesso piuttosto farraginose, e i tempi eccessivi, e dagli esiti incerti, che caratterizzano i procedimenti di adozione;
    lo stesso Ministro della giustizia ha ritenuto opportuno procedere allo studio di una possibile riforma della legge 4 maggio 1983 n. 184, al fine di dare nuovo impulso al settore delle adozioni internazionali, e lo scorso luglio ha istituito, presso il Ministero, una Commissione di studio con il compito, tra gli altri, di approfondire il tema della riforma dell’iter procedurale, della semplificazione delle procedure dell'adozione internazionale, della riduzione dei costi e dell'introduzione di ipotesi di gratuità dell'adozione internazionale;
    peraltro, le recenti vicende della cronaca hanno messo in luce come spesso i tempi incerti nelle procedure di adozione dipendano non solo dalle procedure italiane farraginose, e che necessitano di un aggiornamento, ma anche dalle incerte condizioni politiche dei paesi di origine dei bambini, dove talvolta si assiste ad improvvise chiusure o limitazioni nelle procedure di adozione in corso,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni iniziativa utile volta a reperire tutte le risorse necessarie per erogare i rimborsi relativi alle procedure di adozione concluse nel 2011, nonché a procedere quanto prima all'adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri necessario per l'erogazione dei rimborsi relativi all'anno 2012;
   a valutare l'opportunità di istituire un apposito fondo, ai fini del sostegno di quelle coppie che sopportano un aggravamento ulteriore dei costi a causa dell'inatteso allungarsi delle procedure quale conseguenza del blocco o della limitazione da parte del paese di origine dei bambini delle procedure in corso;
   ad adottare ogni iniziativa utile volta a rafforzare, nelle opportune sedi internazionali, le relazioni bilaterali e gli accordi negoziali in materia di adozioni internazionali, al fine di ridurre il più possibile il verificarsi di eventi di inattesa chiusura delle procedure internazionali di adozione, che provocano costi umani elevatissimi tanto nelle coppie che hanno intrapreso questo percorso, quanto soprattutto nei bambini;
    a presentare entro sei mesi una relazione dettagliata al Parlamento sullo stato dell'arte delle relazioni in corso e degli accordi bilaterali sottoscritti e ratificati in questa materia, al fine di ottenere un quadro chiaro e aggiornato, che riduca il più possibile lo stato di incertezza delle procedure di adozione nei confronti di determinati Paesi e offra utili elementi al Parlamento in vista di una possibile riforma delle procedure in materia.

(1-00326) (nuova formulazione) «Quartapelle Procopio, Antezza, Binetti, Sberna, Gigli, Zampa, Del Grosso, Scuvera, Tacconi, Manciulli, Patriarca, Piccoli Nardelli, Chaouki, Manlio Di Stefano, Nicoletti, Monaco, Santerini, Cassano, Lenzi, Bonafè, Sibilia, Spadoni, Mogherini, Mosca, Marazziti, Preziosi, Gentiloni Silveri, Gadda, Alli, Casellato, Scotto, Fregolent, Casati, Boschi, Marantelli, Sereni, Scagliusi, Ascani, Rotta, Giorgis, Lauricella, Verini, Giuditta Pini, Rocchi, Rostan, Mariani, Manzi».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
  interpellanza urgente Giancarlo Giorgetti n. 2-00376 del 21 gennaio 2014;
  interrogazione a risposta scritta Grillo n. 4-03312 del 24 gennaio 2014.

Ritiro di firme da una mozione.

  Mozione Quartapelle Procopio e altri n. 1-00326, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 gennaio 2014: sono state ritirate le firme dei deputati: Grassi, Porta, D'Incecco, Biondelli, Lattuca, Morani, Campana, Scalfarotto, Iori, Biffoni, Beni, Marzano.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Bonavitacola n. 4-03302 del 24 gennaio 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-02014.

ERRATA CORRIGE

  Interpellanza urgente Migliore e altri n. 2-00386 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 161 del 28 gennaio 2014. Alla pagina 9173, seconda colonna, dalla trentunesima riga alla trentatreesima, deve leggersi: «in un'intervista, riportata nel sito Fanpage.it il 24 gennaio 2014, un ex-detenuto del» e non «in un'intervista alla tv privata Piùenne, riportata anche nel sito Fanpage.it il 24 gennaio 2014, un ex-detenuto del», come stampato.

  Alla pagina 9174, prima colonna, alla riga ottava, deve leggersi: «luglio 2013, parla anche Adriana Tocco, la» e non «luglio 2013, parla anche Adriana Tocca, la», come stampato.

  Alla pagina 9174, prima colonna, alla riga trentunesima, deve leggersi: «Adriana Tocco;» e non «Adriana Tocca;», come stampato.