Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 13 gennaio 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il 30 dicembre del 2013 è stato pubblicato il quarto rapporto sulla coesione sociale elaborato congiuntamente da Inps, Istat e Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Il rapporto fotografa un Paese caratterizzato da disuguaglianze non trascurabili nelle opportunità di mobilità sociale, che contribuiscono al permanere di un elevato livello di disuguaglianza anche in termini di reddito;
    dal rapporto emergono almeno quattro gruppi caratteristici di nuclei poveri nel nostro Paese: le coppie anziane, le donne anziane sole, le famiglie con persone in cerca di occupazione nel Mezzogiorno e le famiglie con lavoratori a basso profilo professionale;
    nel 2012 si trovava in condizione di povertà relativa il 12,7 per cento delle famiglie residenti in Italia (+ 1,6 punti percentuali sul 2011) e il 15,8 per cento degli individui (+ 2,2 punti). Si tratta dei valori più alti dal 1997;
    la povertà assoluta colpisce, invece, il 6,8 per cento delle famiglie e l'8 per cento degli individui. I poveri in senso assoluto sono raddoppiati dal 2005 e triplicati nelle regioni del Nord (dal 2,5 per cento al 6,4 per cento);
    nel 2012 l'indicatore sintetico «Europa 2020», che considera le persone a rischio di povertà o esclusione sociale, ha quasi raggiunto in Italia il 30 per cento, soglia superata, tra i Paesi dell'Europa a 15, solo dalla Grecia;
    in Italia il sistema di trasferimenti sociali è meno efficace nel contenere il rischio di povertà rispetto ad altre realtà nazionali del contesto europeo: la quota di popolazione a rischio di povertà dopo i trasferimenti sociali è più bassa solo del 5 per cento rispetto a quella prima dei trasferimenti. Nei Paesi scandinavi questa stessa differenza supera ampiamente il 10 per cento, mentre è vicina al 10 per cento in Francia e Germania;
    nel corso degli anni, a comportare un maggiore rischio di povertà è stato anzitutto l'allargamento familiare: avere tre figli da crescere significa aumentare e di molto il rischio di povertà, soprattutto se si tratta di figli minori, residenti nel Mezzogiorno e per le famiglie con membri aggregati, in cui convivono più generazioni;
    sempre dal rapporto, emerge che una famiglia su tre è relativamente povera e una su cinque lo è in senso assoluto. Un minore ogni cinque vive in una famiglia in condizione di povertà relativa e uno ogni dieci in una famiglia in condizione di povertà assoluta, quest'ultimo valore è più che raddoppiato dal 2005. In Italia, dunque, ogni nuovo figlio costituisce per la famiglia, oltre che una speranza di vita, una crescita del rischio di impoverimento;
    al di là delle percentuali e dei numeri, quando si parla di famiglie «a rischio di povertà», si fa riferimento a quelle famiglie che arrivano con difficoltà alla quarta settimana del mese e sono costrette a indebitarsi e a ricorrere ai centri assistenziali, nonostante abbiano un lavoro e un reddito, per permettersi una vita che sfiori la soglia della dignità;
    esponenzialmente cresce sempre di più l'insicurezza delle famiglie italiane che temono di non essere in grado di far fronte a eventi negativi, come, per esempio, un'improvvisa malattia, associata a non autosufficienza, di un familiare o l'instabilità del rapporto di lavoro o gli oneri finanziari sempre maggiori;
    il parlare di politiche sociali o di contrasto all'esclusione e alla povertà non è, tuttavia, solo una questione nominalistica o terminologica: le politiche sociali dovrebbero saper rispondere ad una molteplicità di problemi legati a diversi fattori, dai nuovi rischi sociali centrati sulla profonda modifica dei cicli di vita, a partire da quelli legati a famiglia e vecchiaia, alla ristrutturazione crescente delle forme di lavoro sempre più orientate alla flessibilità e alla precarizzazione, per arrivare alla presenza di nuove domande di integrazione sociale provenienti da persone che arrivano da altri Paesi;
    l'endemica diffusione del precariato e della disoccupazione fra le giovani generazioni, mai così diffusa dal 1977, rende questa categoria tra quelle a maggior rischio di povertà, rinviando le possibilità ed il desiderio di una vita quantomeno normale e di una progettualità di lungo termine;
    crescono le persone cadute nell'emarginazione senza neppure aver potuto sperimentare una vita lavorativa e familiare normale: persone con una traiettoria di mobilità discendente, contrassegnata dalla perdita del lavoro, dei legami familiari, della stabilità abitativa; persone senza famiglia che con l'avanzare degli anni si trovano senza sostegni; donne sole con bambini, prive del sostegno del coniuge o con compagni a loro volta colpiti dalla precarietà occupazionale, da malattie o inabilità o con genitori anziani da assistere; persone che subiscono a livello psicologico e relazionale i contraccolpi della disoccupazione o del fallimento e della cessazione di attività autonome;
    anche al fine di favorire una ripresa della fiducia nei confronti delle prospettive economiche e sociali del Paese, non si può prescindere da una particolare attenzione sulle politiche per la famiglia, con l'intento di fronteggiare la crisi demografica, che ha effetti negativi soprattutto nel medio e lungo termine, di arrestare l'aumento della povertà assoluta, di contrastare la disoccupazione giovanile, che ha raggiunto livelli assolutamente intollerabili, e di implementare quei servizi alla persona in grado di incrementare il tasso di occupazione femminile, anche attraverso la conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro;
    le politiche sociali, e al loro interno le politiche per l'inclusione sociale e per il contrasto alla povertà, presentano, dunque, la crescente necessità di spingere verso una significativa ristrutturazione le agende politiche di Governi nazionali e locali. È necessario dare rilievo all'aspetto culturale e valoriale delle scelte, a partire dal riconoscimento della centralità della persona, di una maggiore attenzione alla primaria difesa della vita e alla concreta valorizzazione del ruolo della famiglia e dei minori, anche predisponendo forme nuove di reddito d'accompagnamento sulla base di progetti personalizzati e di attenzione particolare ai minori, attraverso una rete di collaborazione con i servizi abitativi, con i servizi di inserimento al lavoro, di istruzione e formazione attiva sul territorio;
    è doveroso ricordare che le uniche misure di lotta alla povertà e integrazione del reddito, che hanno finora sortito effetti concreti, furono quelle dirette al contenimento del carico fiscale delle famiglie, contenute nel decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126, nel corso del Governo Berlusconi: un provvedimento legislativo mirato anche al sostegno delle categorie sociali più deboli, con particolare attenzione alla rinegoziazione dei mutui a tasso variabile sulla prima casa, alla cancellazione dell'imposta comunale sugli immobili, alla detassazione degli straordinari e dei premi di produttività per i dipendenti del settore privato con un reddito non superiore ai trentamila euro. Il Governo di allora mantenne la promessa di «non mettere le mani in tasca agli italiani»;
    così come la manovra finanziaria per il 2009, anticipata con il decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, definì – secondo un ragionevole equilibrio – gli interventi di risanamento e di riduzione della spesa corrente insieme con importanti misure di redistribuzione del reddito, fra le quali la cosiddetta social card, che permise ai cittadini che versavano in gravi condizioni sociali di acquistare prodotti alimentari e di pagare le bollette;
    ad oggi, le risorse a valere sul fondo istituito con il pacchetto anticrisi 2008 per il finanziamento della social card restano le uniche misure contro la povertà ancora operative;
    analizzando nel dettaglio gli attuali livelli di spesa per interventi e servizi sociali a livello regionale, si registrano significativi divari, per cui permangono ampi divari territoriali di spesa sociale, con valori maggiori nelle regioni centro-settentrionali e minori in quelle meridionali, con punte di differenze pari a quasi 2 mila euro annui;
    il problema della disuguaglianza impatta fortemente su altri aspetti fondamentali del vivere e le condizioni di salute sono tra le più importanti. Politiche sui determinanti della salute e contro povertà ed esclusione sociale sono fondamentali per il miglioramento del benessere psicofisico della popolazione: i dati del rapporto Istat sulla salute mostrano che, scendendo lungo la scala sociale e passando da Nord a Sud, aumenta lo svantaggio degli individui e che i poveri del Sud versano in peggiori condizioni di salute rispetto a quelli del Nord;
    in uno Stato moderno la spesa sociale dovrebbe svolgere una funzione di perequazione delle differenze in termini di dotazione di servizi tra i territori, operando, in particolare, una redistribuzione delle risorse in base ai rischi specifici dei diversi comparti, quali la povertà, le condizioni di salute per la sanità, il disagio per l'assistenza sociale e l'investimento in capitale umano per l'istruzione,

impegna il Governo:

   ad adottare tutte le misure atte a prevenire le condizioni di povertà, assumendo come riferimento l'Agenda sociale europea, i cui obiettivi indicati sono:
    a) creare una strategia integrata che garantisca un'interazione positiva delle politiche economiche, sociali e dell'occupazione;
    b) promuovere la qualità dell'occupazione, della politica sociale e delle relazioni industriali, consentendo, quindi, il miglioramento del capitale umano e sociale;
    c) adeguare i sistemi di protezione sociale alle esigenze attuali, basandosi sulla solidarietà e potenziandone il ruolo di fattore produttivo;
    d) tenere conto del «costo dell'assenza di politiche sociali»;
   a prevenire e combattere tutte le forme di povertà, incidendo su alcuni aspetti strutturali del nostro Paese, attraverso la buona e piena occupazione femminile, l'adozione di misure fiscali e monetarie a sostegno dei figli, l'elaborazione di politiche di conciliazione tra lavoro nel mercato e responsabilità di cura per donne e uomini, l'accesso ai servizi socio-educativi per la prima infanzia, l'adozione di misure per prevenire, rallentare e prendere in carico la non autosufficienza.
(1-00297) «Calabria, Palese, Russo, Elvira Savino, Sandra Savino, Marti, Distaso, Chiarelli, Faenzi, Laffranco».


   La Camera,
   premesso che:
    nell'ambito di un quadro di recessione globale, la zona euro mostra particolari difficoltà e il peggioramento dell'economia si è accompagnato a una crisi sociale senza precedenti, mentre si sviluppano movimenti xenofobi e antieuropei;
    l'Europa ha risposto alla crescente instabilità dei mercati finanziari imboccando la strada dell'austerità. A partire dalla primavera 2010, sono stati così varati programmi di riequilibrio dei conti pubblici ambiziosi, simultanei e concentrati in un lasso di tempo relativamente breve. Nei Paesi periferici il riequilibrio dei conti pubblici è avvenuto al prezzo di pesanti ricadute economiche e sociali (catastrofiche, nel caso greco), ed è stato parzialmente vanificato dalla recessione indotta dalle politiche di austerità;
    è sostanzialmente l'analisi delle cause profonde della crisi ad essere sbagliata. Essa viene fatta risalire alla «crisi dei debiti sovrani», mentre questi ultimi sono peggiorati a seguito della crisi e non viceversa. Nel biennio della grande recessione, l'aumento del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo è stato nei Paesi periferici solo leggermente superiore alla media dell'Eurozona. La sfiducia dei mercati finanziari è stata innescata dai crescenti squilibri macroeconomici tra i sistemi produttivi più forti (Germania in primis), molto competitivi e in forte avanzo commerciale, e i Paesi periferici considerati – a causa di debolezze strutturali che sono andate aggravandosi negli anni duemila – meno capaci, in prospettiva, di onorare i propri debiti pubblici;
    per questi motivi è stato, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, un errore, nella XVI legislatura, inserire in Costituzione, con le modifiche all'articolo 81, il pareggio di bilancio come previsto dal cosiddetto fiscal compact;
    non si risolverà certo la crisi con le politiche di «austerità espansiva» che l'hanno provocata. Pensare che il taglio nei deficit pubblici possa essere compensato dall'aumento di altre componenti della domanda aggregata è una pia illusione. Come mostrato in studi e dall'esperienza pratica (si veda la Grecia), il moltiplicatore fiscale in una fase di recessione è positivo e l'austerità porterà, quindi, ad un calo del prodotto interno lordo maggiore del calo del debito, rendendo impossibile raggiungere l'obiettivo della riduzione del rapporto debito/prodotto interno lordo;
    diversi documenti dell'Unione europea testimoniano una transizione dei poteri dagli Stati nazionali all'oligarchia dell'Unione europea, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo una vera espropriazione della democrazia a favore di una tecnocrazia che risponde, di fatto, solo ai poteri finanziari ed a ristretti gruppi sociali che di tali politiche di austerità si stanno avvantaggiando in maniera scandalosa;
    tra il 1976 e il 2006, la quota dei salari (incluso il reddito dei lavoratori autonomi) sul prodotto interno lordo è diminuita in media di 10 punti, scendendo dal 67 al 57 per cento circa. In Italia è andata peggio: il calo ha toccato i 15 punti, dal 68 al 53 per cento (dati Ocse), un trasferimento di ricchezza a favore soprattutto del capitale finanziario, pari – in moneta attuale – a 240 miliardi di euro;
    di tale processo, si possono individuare sette tappe:
     a) innanzitutto, l'articolo 123 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea consolidato (1992-2007), il quale inibisce alla Banca centrale europea la funzione principale di ogni banca centrale, ossia quella di creare il denaro necessario per coprire i disavanzi del bilancio statale, ripagare i debiti pubblici giunti a scadenza, finanziare la spesa sociale e promuovere l'occupazione. Se gli Stati europei della zona euro hanno bisogno di denaro debbono rivolgersi alle banche private, pagando tassi d'interesse del 3-6 per cento, mentre le banche pagano alla Banca centrale europea un tasso dell'uno per cento. Allo stesso tasso il servizio del debito dello Stato italiano potrebbe ridursi di circa 20 miliardi di euro;
     b) il patto «Euro Plus» (25 marzo 2011) che impegna gli Stati aderenti (Eurozona e alcuni altri Stati) a realizzare i seguenti obiettivi: stimolare la competitività e l'occupazione; concorrere ulteriormente alla sostenibilità delle finanze pubbliche; rafforzare la stabilità finanziaria. L'articolato dei quattro obiettivi anticipava i contenuti delle controriforme che sarebbero poi state introdotte dai Governi Berlusconi e Monti, in particolare per quanto concerne la previdenza e il mercato del lavoro. Il patto suggeriva, inoltre, di eliminare i contratti nazionali di lavoro e di valutare anche la sostenibilità del sistema di assistenza sanitaria;
     c) la lettera del Commissario all'economia, Olli Rehn, inviata al Ministro dell'economia e delle finanze pro tempore Tremonti il 4 novembre 2011, nella quale con un «questionario» in 39 punti si compendiavano le richieste particolareggiate della Commissione europea al Governo italiano. Le corrispondenze tra il dettato della Commissione europea e le riforme del Governo Monti sono impressionanti (allungamento dell'età pensionabile; abolizione delle pensioni d'anzianità; spostamento dell'onere fiscale sui consumi e sulla proprietà immobiliare; riforma del mercato del lavoro, riduzione dei pubblici dipendenti);
     d) il «six pack» (cinque regolamenti ed una direttiva), entrato in vigore il 13 dicembre 2011, contiene misure per rafforzare la sorveglianza economica e fiscale di tutti gli Stati membri: una versione rivista e corretta del patto per la stabilità e la crescita della fine degli anni novanta. Prevede sanzioni praticamente automatiche (procedura di voto «rovesciata»: le sanzioni non vengono applicate solo se una maggioranza qualificata degli Stati membri vota contro) per i Paesi che non rispettano i limiti riguardanti il deficit di bilancio ed i piani da porre in opera, per ridurre, nell'arco di un ventennio, a non più del 60 per cento del prodotto interno lordo l'ammontare del debito. Più una serie di indicatori attestanti che i piani di rientro siano effettivamente in via di progressiva attuazione;
     e) il 2 febbraio 2012 è stato firmato il meccanismo europeo di stabilità (mes): una sorta di banca (capitale pari a 700 miliardi di euro a regime, 500 miliardi di euro per iniziare), atta a fornire – ponendo a ciò condizioni durissime – assistenza finanziaria agli Stati membri che presentino difficoltà di bilancio. L'Italia dovrà contribuire con 125,4 miliardi di euro, da versare in cinque rate annuali. Il meccanismo europeo di stabilità ha facoltà di chiedere prestiti alla banche private, per poi prestare denaro agli Stati che fanno domanda a un tasso che sarà inevitabilmente superiore a quello praticato dalle banche;
     f) il 9 febbraio 2012 la cosiddetta troika (Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale) inviavano al Governo greco un memorandum d'intesa sulle politiche economiche da adottare e quali condizioni per ricevere assistenza finanziaria. Un documento molto dettagliato che espropria il popolo greco della propria potestà politica ed economica, con misure eccezionalmente pesanti per i lavoratori ed i cittadini e che limita «massicciamente» (l'espressione è di Jean-Claude Juncker, Presidente dell'Eurogruppo) la sovranità di quel Paese;
     g) il 2 marzo 2012, veniva invece firmato il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell'Unione economica e monetaria, il cosiddetto «fiscal compact», che è entrato in vigore il 1o gennaio 2013. Si stabilisce che il bilancio pubblico consolidato deve essere in pareggio o mostrare un sopravanzo. Le regole debbono essere recepite «in modo vincolante e durevole» nella legislazione dei contraenti, «preferibilmente a livello costituzionale». Si prescrive che se uno Stato contraente presenta un debito pubblico superiore al limite fissato (il 60 per cento del prodotto interno lordo), esso ha l'obbligo di ricondurlo entro tale limite al ritmo di un ventesimo l'anno in media. Per l'Italia una riduzione pari a circa 50 miliardi l'anno per 20 anni: una meta impossibile da raggiungere pena la distruzione delle possibilità di avere una vita decente per il 90 per cento dei componenti di una o due generazioni di cittadini italiani. La Commissione europea verifica, valuta, soppesa, decide ed eroga le misure punitive (vere e proprie pesantissime ammende);
    tutte queste misure hanno accresciuto in misura notevole i poteri della Commissione europea, a paragone dei poteri sia del Parlamento europeo sia dei Parlamenti nazionali. Si è così instaurato un processo burocratico, nel corso del quale dei funzionari irresponsabili decidono di irrogare o meno sanzioni in base ad indicatori meccanicamente ed arbitrariamente stabiliti. Si affida poi alla Corte di giustizia europea nientemeno che il compito di regolare le vertenze tra gli Stati, laddove il suo compito dovrebbe limitarsi a sorvegliare il rispetto della legislazione dell'Unione europea;
    queste misure e le politiche di austerità stanno distruggendo l'economia europea sottraendole domanda interna, stabilità dei conti, occupazione e speranza. La stabilità dei conti pubblici, in questa crisi che tanto assomiglia a quella degli anni trenta, si nutre di crescita e l'austerità uccide sia la crescita che la stabilità;
    sono, inoltre, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, scellerate ed ottuse le normative ordinarie italiane a cui la Costituzione rimanda (la cosiddetta «legge rinforzata»: la legge 24 dicembre 2012, n. 243), che declinano i concetti della sostenibilità del debito pubblico con formule matematiche rigide ed arbitrarie derivanti, peraltro, da regole europee che non hanno valenza di trattato internazionale, perché approvate senza l'accordo di alcuni Stati membri come il Regno unito e la Repubblica ceca;
    come ormai rileva anche il Fondo monetario internazionale, oggi si sa che in realtà le politiche di austerity hanno accentuato la crisi, provocando un tracollo dei redditi superiore alle attese prevalenti. Una stretta violenta su entrata e spesa, che affonda le spese pubbliche d'investimento e comunque produttive, ha effetti depressivi sia sul breve che sul medio termine. È da considerare più efficace un percorso di stabilizzazione del debito più selettivo, stabile e controllato. Il Trattato di Lisbona non ha funzionato perché rimaneva l'asimmetria tra il controllo della moneta e il vuoto delle politiche fiscali, bancarie e di bilancio comunitario;
    tuttavia le autorità europee stanno commettendo un nuovo errore. Esse appaiono persuase dall'idea che i Paesi periferici dell'Unione europea potrebbero risolvere i loro problemi attraverso le cosiddette «riforme strutturali». Tali riforme dovrebbero ridurre i costi e i prezzi, aumentare la competitività e favorire, quindi, una ripresa trainata dalle esportazioni e una riduzione dei debiti verso l'estero. Questa tesi coglie alcuni problemi reali, ma è illusorio pensare che la soluzione prospettata possa salvaguardare l'unità europea. Le politiche deflattive attuate in Germania (tra il 2000 e il 2010 ha visto la mancata crescita dei salari nominali nell'ordine del 15 per cento, ossia inferiore rispetto alla crescita salariale media dell'Eurozona) e altrove, per far accrescere l'avanzo commerciale hanno, di fatto, contribuito per anni, unitamente ad altri fattori, all'accumulo di enormi squilibri nei rapporti di debito e credito tra i Paesi della zona euro. Il riassorbimento di tali squilibri richiederebbe un'azione coordinata da parte di tutti i membri dell'Unione europea. Pensare che i soli Paesi periferici debbano farsi carico del problema significa pretendere da questi una caduta dei salari e dei prezzi di tale portata da determinare un crollo ancora più accentuato dei redditi e una violenta deflazione da debiti, con il rischio concreto di nuove crisi bancarie e di una desertificazione produttiva di intere regioni europee;
    occorre essere consapevoli che, proseguendo con le politiche di «austerità» e affidando il riequilibrio alle sole «riforme strutturali», il destino dell'euro sarà segnato e l'esperienza della moneta unica si esaurirà, con ripercussioni sulla tenuta del mercato unico europeo. In assenza di condizioni per una riforma del sistema finanziario e della politica monetaria e fiscale, che diano vita ad un piano di rilancio degli investimenti pubblici e privati e contrasti le sperequazioni tra i redditi e tra i territori e che risollevi l'occupazione nelle periferie dell'Unione europea, ai decisori politici non resterà altro che una scelta cruciale tra modalità alternative di uscita dall'euro;
    nel quadro istituzionale sopra descritto, le politiche di austerità promosse dai Paesi dell'Unione europea, inclusa l'Italia, hanno portato ad una recessione che oggi ha dimostrato tutti i suoi effetti devastanti inducendo quegli stessi Governi a invocare la crescita come rimedio alla crisi e al problema dell'aumento della disoccupazione;
    ma le imprese aumentano la produzione, aumentando conseguentemente l'occupazione, solo se cresce la domanda o vi sono concreti elementi che indichino che essa crescerà;
    i 25 milioni di disoccupati nell'Unione europea al 2013 comportano una riduzione del prodotto interno lordo potenziale dell'intera Unione europea dell'ordine del 5 per cento l'anno, corrispondente a circa 800 miliardi di euro. Per l'Italia, si tratta di 80 miliardi di euro di ricchezza reale che non viene creata. Inoltre, la disoccupazione di lunga durata genera ulteriori costi derivanti dalla perdita di produttività del lavoro e comporta costi sociali quali povertà, perdita della casa, criminalità, denutrizione, abbandoni scolastici, antagonismo etnico, crisi familiari e tensioni sociali potenzialmente esplosive;
    il lavoro come diritto è solennemente sancito da tutte le carte fondamentali nazionali e sovranazionali, inclusa la Costituzione italiana che include, tra i principi fondamentali, non solo il riconoscimento a tutti i cittadini del diritto al lavoro, ma anche la promozione effettiva da parte della Repubblica delle condizioni che rendano effettivo questo diritto (articolo 4);
    è giunto il momento che il Governo italiano prenda l'iniziativa per sollecitare le istituzioni dell'Unione europea e gli altri Paesi membri dell'Unione europea affinché i trattati e il diritto dell'Unione europea vengano modificati nel senso di includere la lotta alla disoccupazione tra gli obiettivi principali delle politiche dell'Unione europea, più che il pareggio di bilancio;
    a tal proposito merita ricordare che nelle versioni consolidate del Trattato sull'Unione europea (Tue) e del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (Tfue), l'espressione promuovere «un elevato livello di occupazione» ricorre pochissime volte. Inoltre, i testi rendono chiaro che essa non è un impegno dell'Unione europea, bensì dovrebbe essere l'esito dell'economia sociale di mercato fortemente competitiva, di stampo neo-liberale, che purtroppo l'Unione europea e le sue istituzioni (Banca centrale europea in testa) hanno promosso;
    di fronte alla vera e propria emergenza nazionale ed europea rappresentata dalla disoccupazione, occorre un'inversione di tendenza che abbandoni l'ideologia neo-liberale per contrastare i populismi crescenti, ponendo finalmente la piena occupazione come obiettivo della politica dell'Unione europea e che venga riconosciuto il principio che essa può essere perseguita efficacemente con politiche pubbliche;
    tra i piani su cui si potrebbe procedere andrebbero collocati integrazioni e modifiche del Trattato sull'Unione europea, nonché dello statuto del Sistema europeo di banche centrali (Sebc) e della Banca centrale europea, al fine di collocare la piena occupazione tra i fini preminenti dell'Unione europea e delle sue istituzioni finanziarie. Inoltre, alla Banca centrale europea andrebbe richiesto di includere tra i principi generali per le operazioni di credito a banche dell'Eurozona la condizione per cui un credito viene concesso soltanto se appare sicuramente promuovere l'occupazione netta nel Paese dell'ente richiedente,

impegna il Governo:

   a sostenere la radicale modifica del Trattato sulla convergenza dei bilanci, il cosiddetto «fiscal compact», una delle cause della recessione, concordando con i partner europei misure sostanziali a favore dello sviluppo sostenibile, a partire da un'europeizzazione non parziale del debito sovrano almeno per la quota che supera il 60 per cento del prodotto interno lordo, secondo le proposte avanzate da diversi economisti anche italiani, e a chiedere nell'immediato lo slittamento della scadenza per il raggiungimento del pareggio di bilancio in termini strutturali e per l'avvio della riduzione dello stock del debito e/o l'esclusione di alcune spese per investimenti dai saldi del patto di stabilità;
   a proporre la realizzazione di una vera unione politica del continente in senso federale al fine di realizzare l'obiettivo degli Stati uniti d'Europa ed a sostenere il rafforzamento del ruolo del Parlamento europeo, giungendo anche all'elezione diretta del presidente della Commissione europea;
   a prendere le opportune iniziative al fine di modificare i meccanismi di cui alla cosiddetta «legge rinforzata», la legge 24 dicembre 2012, n. 243, con particolare riguardo alla definizione del saldo strutturale, alla cosiddetta «regola del debito» per quanto concerne i fattori rilevanti, alla cosiddetta «regola della spesa», alle modalità del monitoraggio da parte del Ministro dell'economia e delle finanze del livello della spesa, alla definizione di eventi eccezionali, alle norme concernenti gli enti territoriali, al ruolo dell'Ufficio parlamentare di bilancio che dovrà essere di supporto del ruolo democratico e sovrano del Parlamento;
   a proporre che si garantisca, come è stato deciso in favore della Spagna, la possibilità di un rientro più morbido e dilazionato nel tempo del debito sovrano, in quanto in particolare appare irrealistico per l'Italia il rientro dal 2015 di oltre 15 miliardi di euro all'anno attraverso dismissioni immobiliari;
   a concordare con gli organismi dell'Unione europea l'applicazione della golden rule che escluda dalle regole di spesa, introdotte dal patto di stabilità e crescita rivisto nel 2011, gli investimenti degli enti territoriali nei seguenti campi:
    a) politiche pubbliche per la creazione di occupazione;
    b) riqualificazione delle periferie attraverso piani di recupero;
    c) interventi di salvaguardia dell'assetto idrogeologico dei territori;
    d) messa in sicurezza degli edifici scolastici;
    e) recupero, salvaguardia e sviluppo del patrimonio artistico e ambientale;
    f) interventi di risanamento delle reti di distribuzione delle acque potabili;
    g) potenziamento del trasporto pubblico locale, con particolare riguardo al pendolarismo ragionale e al trasporto su ferro;
    h) interventi di risparmio energetico attraverso l'utilizzo delle energie rinnovabili;
   a proporre di rafforzare gli impegni degli Stati membri per raggiungere rapidamente una quota di energia da fonti rinnovabili pari al 20 per cento del consumo finale di energia e a definire un nuovo accordo che porti al superamento di tale quota entro il 2020, perché inadeguata alle esigenze energetiche dell'intera comunità, anche rispetto alla situazione di crisi e alla potenzialità di lavoro che gli investimenti in energia rinnovabile possono creare;
   a proporre l'utilizzazione, a livello europeo, di una quota del gettito della tassa sulle transazioni finanziarie, unitamente all'emissione di eurobond e project bond, per finanziare e promuovere l'occupazione giovanile e la riconversione ecologica del sistema produttivo;
   a proporre la ridefinizione del ruolo della Banca centrale europea come prestatrice di ultima istanza;
   a proporre un programma europeo, una sorta di «social compact», per lo sviluppo sostenibile e la coesione sociale, la lotta alle disuguaglianze ed alla povertà, da concordare con gli altri partner continentali.
(1-00298) «Marcon, Paglia, Ricciatti, Migliore, Boccadutri, Lavagno, Melilla, Di Salvo, Pannarale».


   La Camera,
   premesso che:
    l'Italia sta attraversando una drammatica deindustrializzazione esponendosi sempre più alle strategie degli altri Paesi, senza tuttavia sapersi difendere o prestare resistenza. Come ha evidenziato la Commissione europea nel suo rapporto sulla competitività industriale nei Paesi membri dell'Unione europea, nonostante la quota del settore manifatturiero, in termini di valore aggiunto totale nell'economia, resti leggermente al di sopra della media europea, il nostro Paese tuttavia ha subito una perdita di 20 punti percentuali nell'indice di produzione industriale rispetto al 2007, sia a causa della riduzione dell'attività dovuta al rallentamento economico, sia per la chiusura di numerosi impianti in alcuni settori industriali di base (petrolchimica, siderurgia e biocombustibili). Ciò vuol dire che in termini di costo unitario medio del lavoro, negli ultimi dieci anni si è persa competitività a causa di un aumento del salario lordo nominale combinato con una debole crescita della produttività. Nella produttività del lavoro nel settore industriale, l'Italia nel 2012 ha perso posizioni rispetto al 2007, ed è stata superata persino dalla Grecia, che nel 2007 era molto più indietro. È evidente anche una forte accelerazione della produttività del lavoro da parte della Spagna, che comunque era già più avanti dell'Italia nel 2007;
    la crisi italiana va ben al di là della crisi finanziaria globale scoppiata negli Stati Uniti nella primavera 2007. La ragione del declino economico dell'Italia è dovuta alla mancanza, da più di vent'anni a questa parte, di una pianificazione industriale a livello nazionale cui si aggiunge ad un sistema capitalistico malato e portatore di moltissime anomalie ed asimmetrie economiche, oramai croniche nel sistema Italia;
    in realtà il nostro Paese ha una struttura molto più forte della Spagna ed è la seconda potenza manifatturiera dopo la Germania. Quest'ultima è riuscita a riorganizzare la sua industria in maniera molto intelligente sfruttando gli investimenti in ricerca e innovazione e il sistema di raccordo con la formazione delle scuole, oltre che puntare sull'integrazione con l'Europa orientale riorganizzando la filiera dei Paesi vicini, vendendo loro prodotti finiti. La Francia ha una struttura industriale molto equilibrata, fondata sulla manifattura e sui servizi e sta lavorando a 34 progetti di nuova industrializzazione;
    mentre altri Paesi provano ad elaborare una strategia basandosi sui propri punti di forza, l'Italia neanche ne discute e ci si trova improvvisamente davanti al fatto compiuto, com’è stato appunto per le vicende Alitalia e Telecom. Per quanto concerne quest'ultima, è preoccupante l'acquisizione da parte degli spagnoli degli asset della comunicazione nazionale e, dunque, la cessione ad altri Paesi della rete della banda larga che rappresenta un amplificatore di sviluppo per settori, quali il digitale, fattore abilitante fondamentale per un nuovo sviluppo;
    nel corso del 2013 la situazione industriale italiana è stata fallimentare. Si è raggiunto il record di aziende chiuse per fallimento. Secondo gli ultimi dati a disposizione ed analizzati da Cerved, nel corso del primo trimestre del 2013, infatti, sono stati avviate circa 3.500 pratiche di fallimento e solo tra gennaio e aprile 2013 si sono contate 4.218 chiusure di attività. Dal 2009, preso come anno zero dalle statistiche a disposizione, le aziende italiane che hanno chiuso sono state 45.280;
    negli ultimi anni molte nostre aziende sono state acquistate da concorrenti internazionali: Star, Carapelli, Bertolli e Riso Scotti sono state comprate da aziende alimentari spagnole; Gancia è passata in mano russa, mentre, sempre per rimanere in ambito culinario, Parmalat, Galvani, Locatelli ed Invernizzi sono state, una dopo l'altra, acquistate da compagnie francesi. Per quanto riguarda la moda, mondo che ha fatto grande il made in Italy, compagnie come Loro Piana, Gucci, Bulgari e Fendi sono state comprate da concorrenti francesi, mentre Valentino è passato in mano ad alcuni sceicchi del Qatar. Non si dimentichi altri nomi importanti dell'industria italiana, come Baci Perugina e Buitoni, oggi di proprietà Nestlè (Svizzera) e Fiorucci (Spagna). Quanto accaduto con Alitalia e Telecom è cosa nota a tutti;
    questi anni di svendita sono stati un colpo basso per l'economia del Paese, ma si è rimasti ad osservare il disfacimento della sua struttura industriale. Il problema della deindustrializzazione non è, quindi, da ricercarsi nello «straniero», ma è da attribuirsi in primis all'Italia stessa. Nel corso di questi ultimi decenni, infatti, moltissimi imprenditori sono stati capaci di fare investimenti ed essere innovativi, malgrado l'ambiente economico ostile;
    il problema maggiore è interno ai confini italiani perché, come sottolineato dal rapporto della Commissione europea cui si è già fatto riferimento, senza riforme per la produzione, la competitività e la produttività, le industrie saranno destinate a diminuire sempre più, lasciando gli italiani e l'Italia sempre più poveri, nonché emarginati dall'Europa che conta;
    ci sono delle cause che hanno provocato il ritardo di una parte dell'imprenditoria italiana, quali l'accordo per l'unificazione monetaria voluto da Francia e Germania al tempo di Maastricht che secondo i firmatari del presente atto di indirizzo evidentemente mirava alla deindustrializzazione dell'Italia; la svendita del patrimonio pubblico e delle partecipazioni statali avvenuta negli anni novanta che ha provocato un indebolimento della struttura economica nazionale; un sistema bancario che non funziona più come in precedenza e non sostiene le imprese, rendendo necessario ripristinare la legge Glass-Stegall per evitare che le banche siano attratte dalla speculazione finanziaria anziché dall'economia reale; la perdita della sovranità monetaria che ha colpito la capacità dello Stato di creare infrastrutture senza dipendere esclusivamente dai privati;
    il Consiglio europeo di febbraio 2014 sarà il primo dedicato all'industria e sarà un'occasione da non perdere per approntare un patto per l'industria che, nel quadro di Europa 2020, consenta di accelerare il processo di riforme sia a livello europeo che nazionale, indispensabile per attirare nuovi investimenti industriali;
    l'Esecutivo ha già varato il decreto-legge n. 21 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 56 del 2012, in materia di poteri speciali sugli assetti societari in determinati settori nonché per attività di rilevanza strategica nei settori energia, trasporti e per le telecomunicazioni (noto come golden power), in cui è prevista la possibilità di far acquistare anche da soggetti esterni all'Unione europea aziende di importanza significativa per il nostro Paese e tale acquisto può essere condizionato all'assunzione da parte dell'acquirente di impegni diretti a garantire la tutela dei predetti interessi,

impegna il Governo:

   ad attivarsi a livello internazionale per una nuova regolazione del commercio in raccordo con l'Unione europea, non in senso protezionista, ma tesa a mettere tutti i competitori sullo stesso piano, attivando un confronto con le imprese multinazionali che operano in Italia e procedendo ad una modernizzazione vera del sistema strutturale, infrastrutturale e della logistica che non comporti la svendita delle aziende storiche di rilievo del nostro Paese;
   a porre in essere i provvedimenti necessari a rendere efficace la tutela degli interessi economici del Paese come già previsto da precedenti impegni dell'Esecutivo;
   a predisporre un serio piano di politica industriale che dia le linee guida di una strategia economica del Paese, teso anche a recuperare una sana capacità manifatturiera sia per la piccola e media impresa sia in favore di realtà industriali più rilevanti, al fine di restituire all'Italia il ruolo che merita tra le potenze industriali europee.
(1-00299) «Abrignani, Palese, Polidori, Marti, Milanato, Russo, Giammanco, Calabria, Picchi, Marotta».


   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi anni, complice la crisi economica, l'Italia ha ceduto parti importanti del suo patrimonio industriale in favore di investitori esteri, perdendo via via asset che sono sempre stati considerati strategici per la crescita economica del Paese;
    secondo il rapporto sulla competitività industriale recentemente pubblicato dalla Commissione europea, dal 2007 al 2012, l'Italia ha perso 20 punti percentuali nell'indice di produzione industriale e, con riferimento alla produttività, ha perso molte posizioni anche rispetto a Paesi economicamente più deboli. Il rapporto lascia, inoltre, intravedere come, senza riforme strutturali, la posizione industriale italiana sia destinata solo a peggiorare;
    il declino industriale italiano ha origini lontane ed ha inizialmente travolto la grande industria, arrivando via via ad intaccare quella che da sempre è considerata l'asse portante del sistema economico italiano: la piccola e media impresa. La chiusura di numerose piccole realtà produttive, fortemente radicate nei territori locali, ha comportato un vero e proprio depauperamento industriale ed occupazionale di questi ultimi, con conseguenze devastanti sull'economia dell'intero Paese;
    numerosi marchi italiani, che rappresentano la più grande espressione del made in Italy nel mondo, sono oggi di proprietà di aziende straniere; ne sono un esempio i grandi nomi della moda e del lusso come Loro Piana, Gucci, Bulgari, Fendi e Valentino, ma anche Fiorucci e Parmalat nel settore alimentare e Ducati in quello della meccanica;
    gli ultimi accadimenti relativi ai processi di privatizzazione di Alitalia e Telecom Italia rendono ancora più evidente l'ondata di deindustrializzazione che sta attraversando il Paese, la quale, di fronte all'inesistenza di organiche riforme di Governo, mina la competitività del sistema economico italiano, condannando l'Italia ad una posizione di povertà ed emarginazione;
    le privatizzazioni in Italia non sempre sono avvenute con la logica prioritaria di tutelare gli interessi strategici dell'economia nazionale e di restituire competitività al tessuto industriale del Paese; ciò ha comportato la perdita di un patrimonio di imprese, tecnologie e conoscenze, la quale non è stata compensata, tranne in rari casi, con la nascita di nuove realtà industriali di rilevanza per l'economia italiana;
    con il decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56, è stata emanata una disciplina innovativa in materia di poteri di intervento dello Stato in caso di operazioni straordinarie riguardanti imprese attive nei settori strategici della difesa e della sicurezza nazionale, delle comunicazioni, dell'energia e dei trasporti, prevedendo che il Presidente del Consiglio dei ministri possa, attraverso un proprio decreto, esprimere un veto a quelle operazioni che diano luogo a situazioni di pregiudizio per gli interessi nazionali anche in riferimento alle reti e agli impianti, compresi quelli necessari ad assicurare la continuità degli approvvigionamenti, nei settori medesimi;
    sul declino economico dell'Italia pesa la mancanza di una pianificazione industriale a livello nazionale, di una politica seria, coraggiosa e trasparente in grado di affrontare con rigore e determinazione i veri problemi che affliggono il Paese, dall'insostenibile pressione fiscale alla difficoltà di accesso al credito, passando per un vetusto e asfissiante sistema burocratico;
    è, pertanto, necessario che il Governo adotti quanto prima una politica di rilancio del sistema industriale del Paese al fine di poter uscire dalla recessione ed inaugurare una nuova fase di crescita economica, il cui cuore pulsante torni ad essere il sistema delle piccole e medie imprese,

impegna il Governo:

   ad adottare una politica di rilancio strutturale del sistema industriale italiano, anche attraverso l'immediata attuazione di interventi di riduzione del carico fiscale, di semplificazione burocratica e di facilitazione all'accesso al credito a favore delle piccole e medie imprese, al fine di aumentare la competitività dell'economia italiana;
   ad esercitare i poteri speciali che per legge gli competono in materia di assetti societari per le attività di rilevanza strategica in tutti quei processi di vendita che coinvolgono imprese attive in settori di particolare rilevanza per il Paese.
(1-00300) «Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».


   La Camera,
   premesso che:
    il gruppo parlamentare Movimento 5 Stelle ha già espresso in numerosi atti parlamentari, come le mozioni: n. 1-00214 (politica industriale volta alla riqualificazione e alla reindustrializzazione dei poli chimici) e n. 1-00223 (crisi del settore manifatturiero) e le risoluzioni in commissione: n. 7-00094, n. 7-00146, n. 7-00144, la sua idea per fermare la deindustrializzazione del nostro Paese;
    innanzitutto, si evidenzia la contrarietà della vendita delle residue quote pubbliche delle grandi imprese Eni, Enel, Finmeccanica, Poste, Ferrovie, Fincantieri, le reti del gas e della luce di Snam e Terna (la prima già ceduta alla Cassa depositi e prestiti, la seconda oggi quotata e in parte sul mercato), i binari di Rete ferroviaria italiana, i fili e i tubi di Telecom;
    la svendita di ciò che resta del patrimonio pubblico italiano serve secondo il Governo ad abbassare radicalmente lo stock del debito, come già fatto a partire dagli anni novanta, ma senza alcun apprezzabile risultato. In realtà, si tratta di una regalia ai cosiddetti mercati, affinché si astengano da ulteriori speculazioni;
    questo patrimonio sarà acquistato dagli stessi soggetti finanziari e imprenditoriali che controllano il debito pubblico italiano e che su di esso hanno speculato;
    tali grandi aziende costituiscono il tessuto connettivo dell'economia del Paese e sono tutte strategiche per la loro funzione attuale e per quella che potranno svolgere in futuro nella ristrutturazione ecologica, civile e tecnologica del sistema economico italiano. Esse sono state costruite con il lavoro e le tasse di 4 o 5 generazioni di italiani lungo il corso di oltre un secolo: i proprietari delle quote residue in mano allo Stato sono, dunque, i cittadini italiani che non possono essere espropriati della possibilità di decidere sul loro assetto attuale e futuro;
    le società pubbliche predette sono strategicamente rilevanti per il posizionamento dell'industria nazionale, in un quadro di definizione degli equilibri di mercato interno e internazionale; il bilancio dello Stato è positivamente ristorato dagli utili derivanti dalle profittevoli attività dei gruppi di imprese facenti capo alle sopracitate attività;
    la cessione di tali asset va, senza dubbio alcuno, a detrimento dei rispettivi indotti, i quali vedrebbero sottrarsi il proprio mercato a favore di non meglio precisati equilibri internazionali, con conseguenze drammatiche per i livelli occupazionali del Paese;
    l'autorevolezza e la credibilità, nonché la stabilità dell'intero comparto industriale manifatturiero dipende dalla possibilità dello Stato di influire sulle scelte strategiche operate in seno a Finmeccanica;
    il controllo della politica energetica nazionale operato attraverso Eni ed Enel è assolutamente imprescindibile ai fini della razionalizzazione sia delle politiche di sviluppo industriale che di tutela e uso del territorio;
    il gruppo Telecom Italia, con oltre 80 mila dipendenti, è il principale operatore di comunicazioni elettroniche e titolare delle infrastrutture della rete di accesso che rappresenta una sorta di monopolio naturale, anche perché nel nostro Paese non sono state sviluppate reti televisive via cavo che in altri contesti europei rappresentano, invece, una soluzione alternativa e più economica per la fornitura ai clienti finali di servizi innovativi a banda ultralarga;
    il gruppo Telecom Italia, che detiene la proprietà della rete di accesso, oltre ad essere il principale operatore telefonico del Paese, è uno dei principali attori del mercato finanziario nazionale;
    il valore della rete nazionale posseduta da Telecom Italia si aggira tra gli 8 e i 16 miliardi di euro ed è composta da 110 milioni di chilometri in rame e 4,1 milioni di chilometri in fibra ottica;
    per quanto concerne la rete wireless, Telecom Italia registra un patrimonio il cui valore oscilla tra i 500 milioni e il miliardo di euro, con 12 mila antenne Tim;
    il gruppo Telecom Italia genera un fatturato annuo di 23,6 miliardi di euro, di cui 16,2 miliardi di euro in Italia, realizza 4,4 miliardi di euro di investimenti, di cui 3 miliardi di euro in Italia, produce una cassa operativa pari a 5,3 miliardi di euro, di cui 4,9 miliardi di euro in Italia e destina alla spesa per interessi sul debito un importo pari a 1,8 miliardi di euro su base annua;
    l'acquisizione di Telco della società Telecom preoccupa non solo per la totale mancanza di strategia del nuovo azionista ma soprattutto per il controllo della rete infrastrutturale;
    in attesa che il Parlamento esprima i pareri su i provvedimenti regolamentari che permettano al Governo di attuare la golden power, è necessario che il Governo addotti politiche di tutela del patrimonio industriale italiano;
    si ricorda che nell'ultimo ventennio molti investitori stranieri hanno acquisito aziende italiane che hanno rappresentato la peculiarità del made in Italy a livello internazionale, a partire dal settore agroalimentare, della moda, del lusso e della meccanica;
    i motivi di tale impoverimento bisogna ricercarli non solo nella crisi internazionale, ma sono anche interni come la burocrazia, la pressione fiscale, il gap infrastrutturale tra Nord e Sud, la restrizione del credito da parte delle banche verso le imprese, la corruzione, la criminalità organizzata, l'evasione fiscale, l'antimeritocrazia e i mancati tagli della spesa pubblica improduttiva,

impegna il Governo:

   a non procedere alla messa sul mercato delle residue quote pubbliche delle grandi società partecipate dallo Stato;
   ad adottare un piano di ottimizzazione delle società partecipate dirette ed indirette dello Stato al fine di valorizzarle renderle competitive nel mercato interno ed internazionale;
   a pervenire, quanto prima possibile, una volta acquisiti i pareri dei competenti organi delle Camere, all'approvazione definitiva dei regolamenti previsti dall'articolo 2 del decreto-legge n. 21 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56, con i quali sono individuati le reti e gli impianti, ivi compresi quelli necessari ad assicurare l'operatività dei servizi pubblici essenziali, i beni e i rapporti di rilevanza strategica per l'interesse nazionale nel settore delle comunicazioni e sono emanate le disposizioni attuative in materia di esercizio dei poteri speciali nel medesimo settore delle comunicazioni;
   a garantire un'efficace vigilanza, in base ai poteri previsti dalla golden power, sui beni e i rapporti di rilevanza strategica per l'interesse e la sicurezza nazionale nel settore delle comunicazioni;
   ad attuare un piano industriale che valorizzi, attraverso misure di fiscalità di vantaggio, la ricerca e l'innovazione e la tutela del made in Italy in ogni settore produttivo.
(1-00301) «Fantinati, Da Villa, Petraroli, Mucci, Vallascas, Prodani, Della Valle, Crippa, Nuti».


   La Camera,
   premesso che:
    il rapporto sulla competitività della Commissione europea, reso noto il 24 settembre 2013, afferma che in Italia è in corso una vera e propria deindustrializzazione. Il rapporto registra una perdita di 20 punti percentuali nell'indice di produzione industriale rispetto al 2007. In termini di costo unitario medio del lavoro, la competitività dell'Italia si è notevolmente deteriorata negli ultimi dieci anni a causa di un aumento del salario lordo nominale combinato con una debole crescita della produttività, sebbene la quota del settore manifatturiero, in termini di valore aggiunto totale nell'economia, resti leggermente al di sopra della media europea. Nella produttività del lavoro nel settore industriale, l'Italia, nel 2012, ha perso posizioni rispetto al 2007, ed è stata superata persino dalla Grecia che nel 2007 era molto più indietro;
    non solo non diminuisce, ma continua a crescere il divario di competitività tra i 28 Stati dell'Unione europea, con i Paesi competitivi che lo diventano ancora di più e quelli già indietro sempre più staccati dal gruppo di testa. Si è bloccato il cosiddetto processo di convergenza, per cui gli stati «virtuosi» trainano gli altri verso l'alto in una dinamica di reciproco vantaggio. Tra le cause principali del problema identificate da Bruxelles alla riduzione dell'attività dovuta, ci sono il rallentamento economico, la chiusura di numerosi impianti in alcuni settori industriali di base (petrolchimica, siderurgia e biocombustibili), il costo dell'energia, che sta portando alla deindustrializzazione non solo dell'Italia ma dell'intera Unione europea, ma anche gli investimenti rimasti al palo dallo scoppio della crisi, la difficoltà di accesso al credito e l'inefficienza della pubblica amministrazione;
    nel 2013 le ore di cassa integrazione hanno superato, per la terza volta dall'inizio della crisi, il miliardo di ore. I lavoratori in cassa integrazione a zero ore sono stati 517.000, è cresciuto del 18 per cento il numero delle aziende che ha fatto ricorso alla cassa integrazione guadagni, aumentano le imprese che vi ricorrono per crisi aziendale, mentre diminuiscono gli interventi che prevedono percorsi di reinvestimento e di rinnovamento industriale; nonostante si preveda una lieve ripresa economica per il 2014, la disoccupazione rimarrà sopra il 12 per cento nei prossimi due anni; i lavoratori scoraggiati dall'inizio della crisi sono aumentati del 54,1 per cento;
    prosegue il processo di cessione alla proprietà straniera di taluni pezzi pregiati del made in Italy o di imprese collocate in settori strategici di punta; ancora più preoccupanti sono le vicende che potrebbero portare alla cessione, alla svendita o al possibile trasferimento di aziende strategiche per gli interessi nazionali, come Telecom Italia, Alitalia e Finmeccanica e Eni; si tratta di comparti fondamentali, la cui rilevanza centrale è tale che si è provveduto ad escluderli dalle logiche di mercato;
    con il decreto-legge n. 21 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 56 del 2012, si è intervenuti in materia di poteri speciali esercitabili dal Governo nei settori strategici, al fine di adeguare le norme italiane alle indicazioni comunitarie; sulla base delle indicazioni della Commissione europea, tali poteri possono essere esercitabili se riguardanti taluni limitati settori strategici e fondati su motivi di interesse generale, quali l'ordine e la sicurezza pubblici; per quel che riguarda i movimenti di capitali e la tutela delle istituzioni finanziarie, le deroghe ammesse non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali;
    le nuove norme prevedono la facoltà di dettare specifiche condizioni o di impedire l'acquisito di partecipazioni e di porre il veto all'adozione di determinate delibere societarie; le disposizioni degli Stati devono rispettare un principio di proporzionalità, strettamente connesso all'obiettivo perseguito; tuttavia, la nuova disciplina prevede l'esercizio dei poteri speciali rispetto a tutte le società, che svolgono attività considerate di rilevanza strategica, e non più soltanto rispetto alle società privatizzate o pubbliche;
    per definire i criteri di compatibilità comunitaria della disciplina dei poteri speciali, la Commissione europea ha adottato una comunicazione con la quale ha affermato che l'esercizio di tali poteri deve, comunque, essere attuato senza discriminazioni ed è ammesso se si fonda su «criteri obiettivi, stabili e resi pubblici» e se è giustificato da «motivi imperiosi di interesse generale». Riguardo agli specifici settori di intervento, la Commissione europea ha ammesso un regime particolare per gli investitori di un altro Stato membro qualora esso sia giustificato da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica purché, conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, sia esclusa qualsiasi interpretazione che poggi su considerazioni di ordine economico;
    il decreto-legge n. 21 del 2012 prevede, altresì, che la nuova disciplina sia attuata mediante decreti del Presidente del Consiglio dei ministri o del Presidente della Repubblica, cui è demandato il compito di individuare le attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale in rapporto alle quali potranno essere attivati i poteri speciali, individuare la tipologia di atti o operazioni infragruppo esclusi dall'ambito della nuova disciplina, le modalità di esercizio dei poteri speciali e l'individuazione di eventuali ulteriori disposizioni attuative;
    ad oggi sono stati adottati il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 30 novembre 2012, n. 253, e il regolamento che individua le attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza, mentre si sta procedendo alla redazione di tre schemi di decreto del Presidente della Repubblica, nei quali sono individuati le attività nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni, da escludere, definendo le relative procedure per l'attivazione dei poteri speciali e sono individuate le procedure per l'attivazione dei poteri speciali nei settori della difesa e sicurezza nazionale;
    nel programma di Governo presentato dal Premier Enrico Letta sono centrali il rilancio della competitività e il sostegno alle imprese; tali impegni sono stati confermati nelle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei ministri con le quali è stata chiesta e ottenuta la fiducia alle Camere l'11 dicembre 2013; il Governo ha chiesto alle forze che lo sostengono un patto per il 2014 volto ad attuare rilevanti obiettivi: il rilancio degli investimenti pubblici, la riduzione delle imposte, un clima favorevole agli investimenti e all'attrazione nel nostro Paese di capitali esteri; il taglio dei costi energetici, nuove politiche di competitività industriale a sostegno di imprese e piccole e medie imprese sempre più innovative, digitalizzate e internazionalizzate;
    un ulteriore dato congiunturale è rappresentato dalla restrizione del credito delle banche verso il sistema produttivo; Confindustria ha segnalato una possibile ulteriore riduzione valutabile attorno al 10 per cento per il 2014; nel mese di ottobre 2013 è stato presentato il programma Cosme, il nuovo programma dell'Unione europea per la competitività e l'innovazione 2014-2020; con un bilancio di 2,3 miliardi, Cosme è uno strumento di finanziamento che continua in larga misura le attività dell'attuale programma quadro 2007/2013 per la competitività e l'innovazione (Cip). Il programma si rivolge a imprese, soprattutto piccole e medie imprese, che beneficeranno di credito e capitali di rischio che altrimenti non sarebbero riuscite a ottenere e a aspiranti imprenditori che desiderano creare una propria impresa;
    anche nei fondi regionali europei 2014/2020 e nel programma per il finanziamento della ricerca e dell'innovazione «Orizzonte 2020» vi saranno molti più fondi per il finanziamento delle piccole e medie imprese. Per il futuro la Banca centrale europea, che ha già aperto consistenti linee di credito a favore delle piccole e medie imprese, avrà un ruolo sempre maggiore, anche grazie alla ricapitalizzazione di 10 miliardi di euro attuata a marzo 2013, che consente un effetto di leva fino a 180 miliardi di euro di nuovi investimenti,

impegna il Governo:

   a dare massima priorità a quanto previsto dal proprio programma in materia di rilancio della competitività, degli investimenti pubblici, di sostegno alle imprese, di riduzione delle imposte sulle imprese, del cuneo fiscale e dei costi energetici;
   ad adottare tutte le misure necessarie per consentire il pieno utilizzo delle risorse comunitarie destinate al sostegno, al rilancio ed alla competitività delle imprese, in particolare tenendo conto delle possibilità offerte dal programma Cosme dell'Unione europea, avviato nell'ottobre 2013 e relativo al periodo 2014-2020 per la competitività e l'innovazione delle piccole e medie imprese;
   a procedere con la massima sollecitudine per l'approvazione definitiva dei regolamenti previsti dall'articolo 2 del decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56, al fine di rendere operativi ed esercitare i poteri speciali che per legge gli competono per tutelare l'interesse nazionale in caso di passaggio alla proprietà straniera di importanti aziende italiane di particolare rilevanza strategica per il nostro Paese;
   a valutare la possibilità di modificare il Testo unico della finanza (decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58) nel senso rafforzare i poteri di controllo della Consob nell'accertamento dell'esistenza di situazioni di controllo di fatto da parte di soci singoli o in concerto tra loro, tenendo conto delle indicazioni parlamentari già espresse con la mozione n. 1-00160, firmata da tutti i gruppi parlamentari e approvata dal Senato della Repubblica il 17 ottobre 2013.
(1-00302) «Dorina Bianchi».


   La Camera,
   premesso che:
    in Italia il dibattito sulla costruzione dell'Europa unita è stato condotto con grande superficialità, sia da parte della classe politica che dai mass media in generale, forse nell'errata convinzione che il tema riscuotesse poco interesse nell'opinione pubblica. Soprattutto nelle fasi di elaborazione e poi di ratifica dei trattati che progressivamente hanno dato vita all'impianto normativo ed istituzionale dell'Unione europea, è stato fatto uno sforzo del tutto insufficiente per capire fino in fondo e poi per diffondere tra i cittadini i contenuti dei Trattati e dei Consigli europei, e soprattutto per prendere coscienza della posta in gioco, limitandosi a classificazioni manichee: chi è pro o contro l'Europa, chi è pro o contro l'euro, chi ha vinto e chi ha perso nel braccio di ferro con la Merkel;
    solo la Lega Nord, coerentemente in tutti i passaggi parlamentari che hanno investito il dibattito europeo, non si è mai lasciata coinvolgere nell'europeismo ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo falso e incosciente, nell'assenso a trattati di oscuro significato, nell'accettazione acritica di ogni dictat proveniente da Bruxelles. Tanti e ripetuti sono stati i tentativi della Lega Nord di «suonare una sveglia» verso la classe politica e l'opinione pubblica, per chiamarli a leggere, ad approfondire e a capire cosa si stava decidendo veramente ed irrevocabilmente per il nostro futuro;
    più volte è stato chiesto, anche con puntuali proposte di legge costituzionali, di potere coinvolgere il popolo tramite referendum sulla ratifica di trattati che avrebbero inciso sulla dimensione non solo economica ma anche etica dell'Europa, dal Trattato di Nizza alla Costituzione europea. Trattati che, laddove sono stati sottoposti a giudizio popolare, sono stati sonoramente bocciati dai cittadini dell'Europa. Un diritto di espressione che è stato, invece, sempre negato ai cittadini del nostro Paese;
    la ratifica del «fiscal compact» nel 2012 ha comportato la ratifica di un sistema di governance dell'area euro messo a punto per stratificazioni successive, e quasi sempre come risposta – tardiva – ad emergenze non adeguatamente previste e per le quali il «sistema euro» si è rivelato ben presto impreparato. Il «fiscal compact» incorpora i meccanismi di rientro del debito e di rigore di bilancio già previsti dal patto di stabilità e dal six pack già in vigore dal novembre 2011, il Mes mette a regime i sistemi provvisori già operativi per la crisi greca dal maggio 2010. Questo significa che la costruzione di questo impianto normativo non è avvenuta con la visione lungimirante di costruire un sistema che previene le crisi e fa funzionare al meglio il sistema monetario. Al contrario, si è proceduto per stratificazioni successive, spesso anche tra loro incongruenti, di «toppe» ad un sistema non efficace, concepite da burocrati che evidentemente non si sono dimostrati all'altezza del loro compito, che nel sommarsi rendono sempre più farraginosi ed avvitati i meccanismi di decisione, i passaggi da compiere per giungere alle decisioni, la burocrazia ed i rituali. Se poniamo tutto questo di fronte ai mercati finanziari che operano alla velocità della luce, di giorno e di notte, il confronto è evidentemente ridicolo e ovviamente perdente per l'Europa;
    il grande assente di tutto questo dibattito, assente purtroppo dai dibattiti europei da molti anni, forse proprio da quando si è concepito l'euro, è proprio il progetto, il progetto di un'Europa, con il quale si era partiti più di 50 anni fa, sostenuto da pensatori, intellettuali, politici e cittadini, e che ha iniziato a morire lentamente quando si è deciso di fare una moneta senza uno Stato, come se la prima potesse essere autosufficiente e soppiantare e compensare il secondo. Questa idea assurda ha rivelato alla fine tutti i suoi limiti: l'omologazione monetaria ha esaltato, anziché sopire, gli squilibri interni dei Paesi membri, ha premiato i sistemi produttivi più dinamici, ma allo stesso tempo ha permesso ad altre economie di vivere al di sopra delle proprie possibilità protette dall'illusione della moneta forte, senza riformarsi, gonfiando i debiti pubblici, finché è saltato tutto;
    la risposta eurocratica alla più grande crisi finanziaria ed economica della sua storia è stata ancora una volta una risposta tecnocratica, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo ottusa e non democratica, elaborata alle spalle del popolo sul quale esplicherà i suoi effetti;
    il «fiscal compact», sottoscritto nel marzo 2012, è un trattato internazionale e non un atto comunitario. La scelta è stata resa obbligatoria dal fatto che Repubblica Ceca e Regno Unito non l'hanno sottoscritto. È, dunque, un trattato che impegna solo chi lo ha firmato. Il «fiscal compact» non solo impone di inserire in Costituzione il vincolo del pareggio di bilancio, già previsto nel nostro Paese con legge costituzionale n. 1 del 2012;
    lo stesso trattato impone di ridurre il nostro debito pubblico al ritmo di 1/20 l'anno, per ricondurlo al parametro del 60 per cento del prodotto interno lordo in 20 anni, quindi l'Italia dovrebbe diminuire il suo debito di più di 40 miliardi di euro all'anno per i prossimi 20 anni. Questa cifra era stata calcolata con una crescita del Pil del 2 per cento. Con il perdurare della crisi ed un prodotto interno lordo inferiore o in decrescita, l'entità delle manovre correttive crescerebbe proporzionalmente, deprimendo ancora di più la situazione economica del Paese, in una spirale suicida;
    con il «fiscal compact», inoltre, ben al di là della nostra modifica costituzionale «interna» l'Italia si espone al giudizio di tutti gli altri membri: infatti, ogni altro Stato membro del «fiscal compact», se dovesse a suo giudizio ritenere i conti italiani «non in regola», potrà adire la Corte di giustizia dell'Unione europea contro l'Italia, anche in assenza di un giudizio negativo da parte della Commissione europea;
    contestualmente al «fiscal compact» il nostro Paese ha ratificato, con l'unica opposizione della Lega Nord, l'introduzione del meccanismo del Mes, European stability mechanism, cioè la messa a regime del sistema attraverso il quale, a fronte di un fondo di salvataggio per Paesi in difficoltà erogati dagli altri Paesi europei, come è accaduto per la Grecia, il Mes interviene nei bilanci dei Paesi «aiutati», decidendo, di fatto, che politiche di taglio e di rigore essi debbano seguire all'interno del proprio Paese. Un fondo, il Mes, al quale tutti sono tenuti a contribuire, anche Paesi come l'Italia con bilanci già sotto pressione, mentre non è chiaro poi chi decide i prestiti e, soprattutto, le condizioni da imporre ai beneficiari;
    il meccanismo provvisorio (Efsm), preludio del costituendo Mes, ha finora garantito prestiti per 180 miliardi di euro alla Grecia, 62 miliardi di euro all'Irlanda, 52 miliardi di euro al Portogallo, 100 miliardi di euro alle banche spagnole. Per contro, per contribuire al fondo l'Italia ha dovuto prevedere l'emissione di quote di debito pubblico ulteriore pari a 45,9 miliardi di euro tra il 2010 ed il 2014. A regime, dovremo sottoscrivere quote per 125 miliardi di euro;
    mentre è obbligatorio versare, la possibilità di ricevere aiuto dal Mes è, invece, subordinata ad un negoziato e, soprattutto, prevede l'imposizione di precisi elementi di condizionalità, come sta già avvenendo in Grecia o in Spagna, che non si limitano a disposizioni a carattere finanziario, ma entrano pesantemente nelle scelte di politica economica e sociale dello Stato beneficiario, mettendo ovviamente a dura prova la tenuta dei Governi che devono gestire l'applicazione dei memorandum;
    il Mes, come è noto, non ha nessun meccanismo di controllo democratico del proprio operato. Esso è gestito da un Consiglio dei Governatori e da un vero e proprio consiglio di amministrazione;
    il Consiglio dei Governatori è composto dai Ministri delle finanze degli Stati membri. L'attività operativa è però svolta dal consiglio di amministrazione, nominato tra persone di competenza economica e finanziaria. Saranno, quindi, esperti di finanza senza alcuna elezione popolare a decidere, ad esempio, le normative in materia di lavoro o di sanità, che dovranno applicare i Paesi beneficiari;
    lo sforzo finanziario per la partecipazione al Mes si aggiunge al contributo importante che l'Italia dà al bilancio comunitario. Nonostante la situazione delicata delle finanze pubbliche italiane e a dispetto delle critiche impietose di esponenti della Commissione europea alla gestione economica del nostro Paese, l'Italia resta uno dei pochi contributori netti al bilancio dell'Unione europea e continuerà ad esserlo anche per il periodo pianificato dal nuovo bilancio comunitario 2014-2020; nel 2011 addirittura l'Italia è stato «il primo contribuente netto» al bilancio europeo e «negli ultimi dieci anni ha pagato più di quanto fosse giustificato». Sono dichiarazioni di un europeista convinto, Mario Monti. In quell'anno, scelto a titolo esemplificativo, mentre il nostro Paese più di altri era sofferente a causa della la crisi finanziaria internazionale, l'Italia ha versato al bilancio comunitario ben 6 miliardi di euro in più di quanto ne ha ricevuti;
    la sostanza di questi trattati è, dunque, che la cessione di sovranità dagli Stati nazionali verso l'Unione europea, in nome di un alto ideale comunitario e di una solidarietà economica tra zone più e meno floride dell'Unione stessa, si sta tramutando in una delega all'eurocrazia a decidere della vita dei cittadini, del sistema di diritti, di welfare, di previdenza in nome dell'unico idolo del rigore e della stabilità dei mercati finanziari;
    gli Stati nazionali, come storicamente intesi, di fatto già non esistono più. Sono involucri vuoti, senza sovranità monetaria, senza il controllo delle politiche fiscali, di bilancio, quindi senza la possibilità di fare politiche economiche e sociali autonome. Svuotare gli Stati senza creare un contropotere significa davvero consegnare il popolo alla finanza, con conseguenze davvero devastanti per la gente. È strano come ad essere tacciati di anti-europeismo siano quelli che come la Lega Nord che invece chiedono una vera «Europa politica», politica e democratica, dunque costruita con il consenso popolare, attraverso le forme intermedie che più permettono ai popoli di esprimere la propria identità: un'Europa delle regioni, che travalicano i confini tradizionali e mettono in comune mentalità, cultura, ma anche metodi di lavoro e capacità produttive ed imprenditoriali, non più ingabbiate in criteri e parametri nazionali non corrispondenti alla realtà, elementi su cui potrebbe anche fondarsi una nuova e diversa dinamica economica, che forse ci porterebbe fuori da questa crisi,

impegna il Governo:

   ad avviare urgentemente in sede comunitaria, durante il semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea, una revisione dei meccanismi di stabilità e rigore che stanno strozzando l'economia dell'Europa, dei suoi cittadini e delle sue imprese, per orientarsi nel più breve tempo possibile verso politiche di crescita, di conservazione del patrimonio industriale e delle peculiarità produttive dei Paesi europei e del nostro in particolare;
   a farsi promotore di una revisione dell'intero impianto economico ed istituzionale dell'Unione europea, che superi il principio del rigore come unico orientamento dell'azione comunitaria, che sia orientato allo sviluppo e al bene della persona, rifondando un'Europa politica e non economico burocratica, sulle fondamenta solide della democrazia e del coinvolgimento del popolo.
(1-00303) «Guidesi, Borghesi, Allasia, Attaguile, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».


   La Camera,
   premesso che:
    l'attuale crisi economica, manifestatasi a livello globale soprattutto negli ultimi tre anni, ha investito tutti i Paesi d'Europa e ha avuto pesanti ripercussioni sull'intero sistema economico nazionale del nostro Paese;
    tale crisi ha avuto origine dal crollo dei mutui sub-prime dell'estate 2007 e il conseguente fallimento a catena di alcune banche di affari (la più importante, la Lehman brothers, quarta banca americana) che senza alcuna regolamentazione, e per giunta con la copertura ufficiale delle agenzie private di certificazione, attuavano una leva finanziaria di 1 a 30;
    gli esperti hanno individuato da subito tra le cause principali dell'attuale crisi economica il fallimento di un modello di mercato senza regole nel quale le istituzioni hanno abdicato al loro ruolo a favore del potere esercitato dalla finanza e dalla grande industria;
    la tanto decantata autoregolamentazione del mercato si è dimostrata totalmente incapace di mantenere il sistema su binari funzionanti;
    il sistema finanziario e monetario, sempre più deregolamentato e sottratto ai controlli preposti, ha minato ogni forma di governance, dando così origine ad una serie di bolle finanziarie, fagocitando i settori industriali, commerciali e agricoli produttivi;
    per evitare il fallimento delle banche e le inevitabili conseguenze, gli Stati sono stati costretti a varare interventi pubblici per la concessione di ingenti prestiti;
    è necessario, però, constatare come le banche, una volta ritrovata la stabilità grazie al sostegno pubblico, abbiano ricominciato a mettere in moto meccanismi speculativi, come se da questa crisi non si sia stati capaci di comprendere la necessità di cambiare rotta e di tornare ad una politica del fare, abbandonando per sempre il sistema viziato da una finanza creativa e dominatrice nel mercato;
    l'economista Röpke scrisse: «l'economia di mercato non è tutto; essa deve essere sorretta da un ordinamento generale, che non solo corregga con le leggi le imperfezioni e le asprezze della libertà economica, ma assicuri all'uomo un'esistenza consona alla sua natura. E l'uomo non può realizzare compiutamente se stesso se non quando si inserisce volontariamente in una comunità alla quale si senta solidamente legato. Se così non è, egli è condannato ad un'esistenza miserabile. E lo sa»;
    stando ai dati elaborati e pubblicati dai principali istituti scientifici, dalle associazioni di categoria e dei consumatori, nel nostro Paese diminuiscono in modo drastico i consumi, anche quelli riferiti ai beni alimentari, aumenta in modo esponenziale il numero dei disoccupati, degli inoccupati e dei cassaintegrati, delle famiglie in sovraindebitamento e in emergenza abitativa, degli anziani in condizione di grave indigenza, delle persone diversamente abili prive di adeguata assistenza;
    dal 2005 al 2012, il numero degli italiani che vivono in povertà assoluta è raddoppiato. Nel 2012, anno a cui risalgono gli ultimi dati dell'Istat, le famiglie che versavano in una condizione di povertà assoluta erano un milione e 725 mila (il 6,8 per cento delle famiglie residenti), per un totale di oltre 4,8 milioni di persone (l'8 per cento della popolazione), di questi poco più di 2,3 milioni erano residenti al Sud;
    la perdurante crisi economica ha prodotto l'impoverimento di un'ampia parte della popolazione, ma non ne ha impedito la fruizione dei beni e dei servizi essenziali, a differenza di chi non raggiunge «uno standard di vita minimamente accettabile» calcolato dall'Istat e legato a un'alimentazione adeguata, a una situazione abitativa decente e ad altre spese basilari, come quelle per la salute, i vestiti e i trasporti;
    negli ultimi anni, infatti, si è assistito ad un incremento sempre più crescente di tale fenomeno in segmenti della popolazione prima ritenuti immuni: il Nord – dove le persone in povertà assoluta sono aumentate dal 2,5 per cento (2005) al 6,4 per cento (2012) – e le famiglie con due figli (dal 4,7 per cento al 10 per cento);
    l'attuale congiuntura economica, che ha investito l'Italia, ha imposto ai Governi che si sono succeduti una politica di contenimento dei costi che ha generato tagli ingenti ai finanziamenti diretti agli enti locali, con conseguente difficoltà da parte delle amministrazioni comunali nella gestione degli interventi diretti ai servizi ai cittadini secondo standard di qualità, efficienza ed efficacia;
    l'introduzione del federalismo fiscale, pur rappresentando un cambiamento epocale che segna finalmente una netta inversione di rotta in merito alle politiche sociali, nei fatti subisce un inspiegabile rallentamento nella sua effettiva applicazione;
    è fermo il convincimento, infatti, che l'autonomia impositiva regionale e locale disegnata dalla nuova legge delega sul federalismo fiscale, diretta a superare la logica dei trasferimenti vincolati ad alto tasso di burocrazia e a basso tasso d'incidenza sullo sviluppo reale, apra una nuova stagione anche per le politiche fiscali e a tutela dei cittadini e della famiglia;
    questa nuova autonomia regionale e locale sarà, infatti, guidata in base ai principi di coordinamento che sono elencati nella legge delega. Tra questi, quello del favor familiae: «individuazione di strumenti idonei a favorire la piena attuazione degli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione, con riguardo ai diritti e alla formazione della famiglia e all'adempimento dei relativi compiti»;
    si tratta di principi altamente innovativi che connotano questa riforma del federalismo fiscale nella direzione di un maggiore riconoscimento fiscale dei carichi familiari e, quindi, nella direzione di una maggiore attuazione di quel favor familiae che orienta il dettato costituzionale;
    in Italia il sistema fiscale si ostina ad operare come se la capacità contributiva delle famiglie non fosse influenzata dalla presenza di figli e dall'eventuale scelta di uno dei due coniugi di dedicare parte del proprio tempo a curare, crescere ed educare i figli, mentre, di norma, in tutti gli altri Paesi europei, a parità di reddito, la differenza tra chi ha e chi non ha figli a carico è consistente. Il sistema di tassazione deve essere riformulato in modo tale da lasciare a disposizione del nucleo familiare una maggiore disponibilità di reddito, ponendo fine all'iniqua penalizzazione a cui è sottoposta dall'attuale sistema fiscale;
    al fine di contrastare la diffusa povertà è necessario che si sviluppi una rete di interventi diretti a sostenere l'attività di welfare territoriale, facendo sì che il Governo metta a disposizione delle regioni e dei comuni maggiori risorse finanziarie da destinare alle politiche sociali, con l'obiettivo di sviluppare programmi ed interventi straordinari finalizzati ad una reale presa in carico dei cittadini e delle famiglie più bisognose;
    in un momento drammatico, come quello che sta attraversando l'Europa colpita dalla grave crisi economico-finanziaria, è doveroso che il legislatore e il Governo siano capaci di tutelare quel sistema di garanzia che si fonda sul rispetto dei principi e valori che rappresentano il motore di un Paese civile. La politica di solidarietà deve essere inquadrata in un'azione ampia, finalizzata a garantire la coesione sociale come condizione stessa dello sviluppo. Per questo motivo è necessario mettere in moto una politica diretta a dare un segno decisivo di cambiamento, volta innanzitutto a far sì che la società italiana si riappropri di quei principi e valori insiti nella tradizione religiosa, etica e culturale italiana, certi che, anche attraverso una riforma della Stato in ottica federalista, si possa realizzare una società partecipata, dove il principio di sussidiarietà diventi strumento sinergico dell'attività amministrativa e politica del Governo e degli enti locali,

impegna il Governo:

   a promuovere, da un lato, nel breve periodo, interventi straordinari diretti ad incrementare le risorse del fondo nazionale per le politiche sociali, al fine di permettere agli enti locali di strutturare una rete di aiuti per i cittadini e le famiglie in stato di indigenza, e, dall'altro lato, ad avviare nel lungo periodo una politica di contrasto ai meccanismi speculativi del sistema finanziario, principale causa dell'attuale crisi economica;
   ad avviare, in tempi rapidi, tutti i necessari interventi per attuare immediatamente il federalismo fiscale, destinando le risorse che scaturiscono dall'applicazione del sistema virtuoso dei costi standard a politiche di crescita economica del Paese, e, in particolar modo, ad interventi destinati a migliorare le condizioni delle fasce deboli della popolazione, in primo luogo le famiglie numerose, e a contrastare la disoccupazione e l'emergenza abitativa;
   a porre in essere, nell'ambito delle proprie competenze, qualsiasi tipo di intervento finalizzato a sviluppare le condizioni per far sì che si avvii un cambiamento radicale della società, fondato sui principi di solidarietà, sussidiarietà e piena partecipazione nella ricerca del bene comune.
(1-00304) «Rondini, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera».


   La Camera,
   premesso che:
    il patto di bilancio europeo o Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell'unione economica e monetaria, («fiscal compact»), è un accordo approvato il 2 marzo 2012 da 25 dei 27 Stati membri dell'Unione europea, entrato in vigore il 1o gennaio 2013 e riguarda principalmente i Paesi dell'Unione europea il cui sistema monetario è basato sull'euro. Il trattato non è stato sottoscritto dal Regno Unito e dalla Repubblica Ceca;
    il patto contiene una serie di regole, chiamate «regole d'oro», che sono vincolanti nell'Unione europea per il principio dell'equilibrio di bilancio; la maggior parte delle decisioni riguardanti l'imposizione fiscale e la spesa pubblica rimane di competenza dei Governi nazionali; il controllo sulla politica fiscale è tradizionalmente considerato centrale per la sovranità nazionale;
    l'Italia ha ampiamente dimostrato la propria buona volontà di procedere nel percorso di risanamento del bilancio, approvando, ben prima della gran parte degli Stati dell'Unione europea, le norme interne attuative del Patto di bilancio europeo:
     a) con la legge costituzionale n. 1 del 2012 ha recepito nel proprio ordinamento la regola del pareggio di bilancio;
     b) con le leggi nn. 114, 115 e 116 del 23 luglio 2012 sono stati ratificati i contenuti del «fiscal compact» e cioè la modifica all'articolo 136 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea relativamente a un «meccanismo di stabilità per gli Stati membri la cui moneta è l'euro», il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell'unione economica e monetaria e il Trattato che istituisce il Meccanismo europeo di stabilità (Esm o Mes);
     c) con la legge 24 dicembre 2012, n. 243, si è modificato il ciclo annuale di bilancio per conformarlo alle esigenze comunitarie e sono stati introdotti più stringenti criteri per assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci pubblici e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni;
    gli accordi comunitari prevedono l'inserimento, in ciascun ordinamento statale (con norme di rango costituzionale, o comunque nella legislazione nazionale ordinaria), di diverse clausole o vincoli tra le quali:
     a) l'obbligo del perseguimento del pareggio di bilancio;
     b) la significativa riduzione del debito pubblico al ritmo di un ventesimo (5 per cento) all'anno, fino al rapporto del 60 per cento sul prodotto interno lordo nell'arco di un ventennio;
     c) l'impegno a coordinare i piani di emissione del debito col Consiglio dell'Unione e con la Commissione europea;
     d) l'obbligo di mantenere il deficit pubblico sempre al di sotto del 3 per cento del prodotto interno lordo, come previsto dal Patto di stabilità e crescita; in caso contrario, sono previste sanzioni semi-automatiche;
    il limite del 3 per cento del rapporto del rapporto deficit/prodotto interno lordo sussiste da circa 20 anni. Nel 1992 era uno dei criteri (cosiddetti di Maastricht) per l'accesso all'unione monetaria europea; nel 1997 è diventato la prescrizione del Patto di stabilità e crescita, lo strumento di coordinamento delle politiche fiscali tra i Paesi membri dell'area euro ed è sopravvissuto alle due riforme del 2005 e del 2011. È rimasto immutato anche con l'entrata in vigore del «fiscal compact» (il 1o gennaio 2013), nonostante quest'ultimo vincolo si riferisca ad un diverso aggregato di finanza pubblica, vale a dire il disavanzo corretto per il ciclo e al netto delle misure una tantum;
    i premi Nobel per l'economia Kenneth Arrow, Peter Diamond, William Sharpe, Eric Maskin e Robert Solow, in un appello rivolto al Presidente Obama, hanno affermato che: « (...) inserire nella costituzione il vincolo di pareggio del bilancio rappresenterebbe una scelta politica estremamente improvvida (...) aggiungere ulteriori restrizioni, quale un tetto rigido della spesa pubblica, avrebbe effetti perversi in caso di recessione. Nei momenti di difficoltà diminuisce infatti il gettito fiscale e aumentano alcune spese pubbliche tra cui i sussidi di disoccupazione e le spese assistenziali. Queste spese fanno aumentare il deficit pubblico, anche se limitano la contrazione del reddito disponibile, del potere di acquisto e di conseguenza dei consumi; (...) in una economia recessiva (...)», sostengono i Nobel «(...) è pericoloso tentare di riportare il bilancio in pareggio troppo rapidamente. I grossi tagli di spesa e/o gli incrementi della pressione fiscale necessari per raggiungere questo scopo, danneggerebbero una ripresa economica già di per sé debole»;
    secondo l'economista e premio Nobel Paul Krugman, l'inserimento in Costituzione del vincolo di pareggio del bilancio può portare alla dissoluzione dello stato sociale; tuttavia, per la particolare natura della struttura della spesa italiana, nella quale sono assicurati anche sotto il profilo costituzionale i «livelli essenziali di assistenza» e le spese sociali e assistenziali sono considerate, anche in termini contabili, obbligatorie e non comprimibili, il rischio può consistere anche nella riduzione, sino a termini di insignificanza, di tutte le altre categorie di spesa; ove si esaminino i trend di spesa, comunque, ripartiti, da anni si registra una diminuzione di tutte le categorie di spesa: dagli investimenti, ai consumi intermedi, alle spese di funzionamento delle amministrazioni, alle spese dei comuni e delle regioni; per i dipendenti pubblici, che sono numericamente in diminuzione, da tre anni sussiste il blocco dei rinnovi contrattuali; solo la spesa sociale (e la connessa spesa sanitaria) crescono in media del 2 per cento l'anno; gioverà ricordare che l'eccesso di spesa sociale è stato determinante nel crollo economico della Grecia;
    nel mese di giugno 2013 l'Italia è uscita dalla procedura d'infrazione comunitaria per il superamento del vincolo del 3 per cento nel rapporto deficit/prodotto interno lordo; tuttavia, anche il solo provvedimento di restituzione alle imprese delle somme dovute dalla pubblica amministrazione per appalti e forniture, ha riportato l'Italia in prossimità della suddetta soglia e nell'autunno del 2013 il Governo Letta è dovuto intervenire con una «manovrina correttiva» al fine di evitare ulteriori rischi di sforamento; peraltro, la gran parte dei Paesi dell'Unione europea (23 su 27) è soggetta a una procedura per deficit eccessivi, mentre alcuni di essi hanno potuto, su autorizzazione comunitaria, sforare il tetto del 3 per cento, sia pure in presenza di un debito pubblico assoluto assai inferiore a quello italiano;
    il meccanismo di rientro del debito pubblico al ritmo di un ventesimo (5 per cento) all'anno, fino al rapporto del 60 per cento sul prodotto interno lordo nell'arco di un ventennio, oltre al finanziamento del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), comportano la possibilità che, oltre alle normali manovre di riduzione del deficit di bilanci, l'Italia possa essere obbligata a manovre da 40-50 miliardi di euro all'anno, a seconda dei tassi che il Paese dovrà pagare per finanziare il debito sovrano;
    in termini pratici, per cittadini e imprese, il complesso dei vincoli comunitari e delle norme sopra descritte potrebbe comportare una crescita non controllabile, per non dire automatica, della pressione fiscale, in presenza di una riduzione dei servizi,

impegna il Governo:

   ad intervenire in sede di Unione europea, con tutta l'autorità che deriva dall'aver svolto a pieno, prima e meglio di altri Paesi dell'Unione europea, tutti gli impegni assunti con il Trattato comunitario sulla stabilità, coordinamento e governance, al fine di provvedere alla sollecita revisione dei vincoli derivanti dal Trattato sul «fiscal compact» e dal pareggio di bilancio, al fine di liberare risorse da destinare alle politiche di sviluppo economico, nonché ad attenuare l'attuale rigidità delle metodologie con le quali è calcolato il vincolo del 3 per cento del rapporto debito/prodotto interno lordo;
   ad individuare in sede comunitaria meccanismi che consentano di escludere le spese destinate allo sviluppo economico, ivi comprese quelle che consentano la riduzione del carico fiscale sulle imprese, dai vincoli del Patto di stabilità comunitario;
   ad individuare meccanismi interni, ivi compresa la modifica della classificazione contabile, che consentano di tenere sotto controllo la crescita automatica della spesa sociale ed assistenziale.
(1-00305) «Piso, Dorina Bianchi».


   La Camera,
   premesso che:
    i rapporti economici continuano a fotografare un'Italia in piena crisi: i dati sull'inattività e sull'occupazione sono tra i peggiori d'Europa;
    secondo i dati Istat aggiornati al novembre 2013, l'occupazione, su base annua, diminuisce del 2 per cento (con una diminuzione del 448.000 unità), mentre il tasso di disoccupazione si attesta al 12,7 per cento, in diminuzione di 0,2 punti percentuali rispetto a ottobre 2013, i senza lavoro a novembre 2013 erano 3 milioni e 254 mila unità;
    sotto i 25 anni la quota dei senza lavoro ha raggiunto la quota allarmante del 41,6 per cento, con un aumento di quattro punti percentuali rispetto al 2012;
    il potere di acquisto delle famiglie nei primi nove mesi è sceso di un ulteriore 1,5 per cento rispetto ai primi nove mesi del 2012;
    secondo il rapporto di Confcommercio «L'economia e il lavoro dentro la crisi», presentato il 22 marzo 2013, nel 2013 in Italia ci saranno oltre 4 milioni di poveri (verrà, dunque, superata la soglia di 3,5 milioni certificata ufficialmente dall'Istat per il 2011, pari a oltre il 6 per cento della popolazione) e una compressione dei consumi del 2,4 per cento; sono più di 9 milioni i cittadini italiani che non percepiscono alcun reddito e, quindi, a rischio di povertà ed esclusione sociale;
    l'Istat ha comunicato che in materia di consumi nella media del trimestre aprile-giugno 2013 l'indice registra una diminuzione dello 0,3 per cento rispetto ai tre mesi precedenti. Nel confronto con maggio 2013, diminuiscono dello 0,2 per cento sia le vendite di prodotti alimentari sia quelle di prodotti non alimentari;
    l'Istituto centrale di statistica (Istat) ha reso noti gli ultimi dati disponibili (relativi al 2012) sul reddito e sulle condizioni di vita della popolazione italiana. Secondo tali dati, nel 2012 era a rischio di povertà il 29,9 per cento dei residenti, con un aumento di 1,7 punti percentuali rispetto al 2011, dovuto soprattutto al diffondersi di situazioni «fortemente deprivate», a sua volta riconducibile al alcuni fenomeni, quali: l'aumento delle famiglie che non possono permettersi durante l'anno una settimana di ferie lontano da casa (dal 46,7 per cento al 50,8 per cento), che non hanno potuto riscaldare adeguatamente la propria abitazione (dal 18 per cento al 21,2 per cento), che non riescono a sostenere spese impreviste di 800 euro (dal 38,6 per cento al 42,5 per cento);
    quasi la metà, il 48 per cento, dei residenti nelle regioni meridionali del Paese è a rischio di povertà ed esclusione ed è in tale ripartizione che l'aumento della severa deprivazione risulta più marcato: + 5,5 punti (dal 19,7 per cento al 25,2 per cento), contro + 2 punti del Nord (dal 6,3 per cento all'8,3 per cento) e +2,6 punti del Centro (dal 7,4 per cento al 10,1 per cento);
    il rischio di povertà o esclusione sociale è più alto per le famiglie numerose (39,5 per cento) o monoreddito (48,3 per cento); aumenti significativi, tra il 2011 e il 2012, si registrano tra gli anziani soli (dal 34,8 per cento al 38 per cento), i monogenitori (dal 39,4 per cento al 41,7 per cento), le famiglie con tre o più figli (dal 39,8 per cento al 48,3 per cento), se in famiglia vi sono almeno tre minori;
    dal bilancio sociale Inps si evidenzia che il 77 per cento dei pensionati ha una pensione sotto i 1.000 euro al mese, mentre il 17 per cento può contare su un reddito sotto i 500 euro e che vi è un grande divario non solo tra uomini e donne (in media gli uomini percepiscono una pensione pari a 1.366 euro, mentre le donne pari a 930), ma anche tra Nord e Sud Italia (al Nord la pensione media è di 1.238 euro, al Centro di 1.193, 920 al Sud);
    il numero dei cosiddetti esodati secondo i dati forniti dall'Inps ammonta a circa 390.000 e, nonostante ne siano stati, ad oggi, salvaguardati circa 130.000, il fenomeno resta comunque di dimensioni drammatiche;
    le politiche intraprese finora per sconfiggere la povertà, come il «bonus gas», il bonus per l'energia elettrica, i contributi per gli affitti, i libri scolastici gratuiti, l'assegno per la maternità, l'assegno per il nucleo familiare dal terzo figlio sono risultate insufficienti ed inorganiche, mentre è mancato un disegno organico di integrazione al reddito;
    misura altrettanto debole appare la prospettata sperimentazione della nuova social card (il cui avvio è previsto entro pochi mesi dal decreto 10 gennaio 2013 del Ministro del lavoro e delle politiche sociali nelle 12 città con più di 250.000 abitanti) per l'acquisto di beni di primaria necessità per le famiglie in stato di bisogno;
    a fronte di un quadro così drammatico sarebbe necessario avviare una politica di lotta alla povertà che riprenda dai migliori esempi europei, preveda un rafforzamento dei competenti soggetti pubblici e istituisca un reddito minimo di cittadinanza;
    la crisi economica che ha investito il Paese si è riversata anche nel settore delle locazioni, settore nel quale il rapporto annuale del Ministero dell'interno ha registrato che nel solo 2012 su circa 68.000 sentenze emesse circa 61 mila sono motivate da morosità incolpevole, spesso si tratta di famiglie con minori, portatori di handicap e anziani, su tale questione è intervenuto l'articolo 6, comma 5, della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità per il 2014), che al momento non appare ancora attuato;
    dal 21 ottobre 2010 il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione sul «reddito minimo nella lotta contro la povertà e la promozione di una società inclusiva in Europa», con una maggioranza di 540 voti a favore e 30 contrari;
    tale risoluzione, in modo ancora più netto rispetto ad una precedente sullo stesso tema del 2008, ha sancito in modo pieno il riconoscimento di un diritto dei cittadini dell'Unione europea e delle persone che vi risiedano stabilmente ad un reddito che ne salvaguardi la dignità sociale;
    in attuazione della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (Carta di Nizza), il reddito minimo viene definito come un diritto sociale fondamentale, destinato a fungere da strumento di protezione della dignità della persona e della sua «possibilità di partecipare pienamente alla vita sociale, culturale e politica»;
    la piena partecipazione alla vita sociale è richiesta come obiettivo da garantire alla Repubblica italiana dall'articolo 3 della Costituzione;
    misure di attuazione del cosiddetto reddito di cittadinanza sono presenti in tutti i Paesi dell'Unione europea, tranne che in Grecia, Ungheria ed Italia, e in molti Paesi non comunitari;
    il reddito di cittadinanza è uno strumento che assicura, in via principale e preminente, l'autonomia delle persone e la loro dignità e non si riduce ad una mera misura assistenzialistica contro la povertà,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per introdurre il reddito minimo garantito, predisponendo un piano che individui la platea degli aventi diritto, considerando come indicatore il numero di cittadini che vivono al di sotto della soglia di povertà relativa, assumendo iniziative per abrogare interventi fallimentari senza alcuna incidenza sulla situazione reale, come quello della social card;
   a procedere al riparto delle risorse del fondo nazionale per le politiche sociali concordato in sede di conferenza delle regioni, al fine di rendere queste risorse immediatamente disponibili alle regioni stesse e quindi agli enti gestori;
   a reperire le risorse necessarie, anche attraverso la lotta all'evasione fiscale e l'incremento delle imposte sul gioco d'azzardo, e in particolare sulle scommesse on line, nonché attraverso specifiche disposizioni volte alla redistribuzione delle «pensioni d'oro»;
   ad attuare specifiche politiche sociali e dell'occupazione per inoccupati e disoccupati tra i 30 e i 54 anni in generale e, in particolare, per le donne inattive, in quanto categorie a più alto rischio di povertà ed esclusione sociale;
   ad assumere iniziative per prevedere la riduzione dell'iva per l'acquisto di prodotti di prima necessità da parte di singoli o famiglie con reddito inferiore alla soglia di povertà relativa come individuata annualmente dall'Istat;
   a procedere alla revisione dell'articolo 5 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n 214, garantendo che l'introduzione dell'isee per l'accesso alle agevolazioni fiscali e ai benefici assistenziali non diventi per le famiglie collocate nella soglia di povertà assoluta e sotto la soglia di povertà relativa o per i disoccupati motivo di esclusione dalle citate agevolazioni e benefici;
   a sostenere, per le parti di propria competenza e d'intesa con l'Anci, il coordinamento con gli enti locali per la distribuzione efficace e tempestiva di derrate alimentari destinate a persone e famiglie con redditi sotto la soglia di povertà relativa ovvero disoccupate;
   a promuovere e sostenere in relazione all'emergenza freddo la capillare distribuzione di materiale di conforto e, in particolare, di sacchi a pelo per i senza fissa dimora;
   a procedere, di intesa con l'Anci, al censimento ufficiale dei senza fissa dimora, in collaborazione con le associazioni di volontariato, prendendo a riferimento anche i dati relativi ai pasti forniti dalle mense;
   a promuovere la lotta alla povertà, sostenendo programmi e iniziative delle imprese sociali e del settore no profit;
   a prevedere agevolazioni per l'accesso al credito finalizzate al sostegno all'imprenditorialità sociale;
   a prevedere la destinazione, se necessario anche predisponendo interventi di modifica della normativa vigente, di una quota parte dell'8 per mille destinata allo Stato per il sostegno alle politiche sociali di contrasto alla povertà;
   a prevedere che la quota del 5 per mille destinata dai contribuenti al sostegno alle associazioni di volontariato sia erogata integralmente e in tempi certi, valutando nell'immediato di assumere iniziative per aumentare da 400 milioni di euro a 500 milioni di euro lo stanziamento disposto dalla legge di stabilità per l'anno 2014;
   ad avviare tutte le iniziative, anche di carattere normativo, finalizzate all'istituzione e riconoscimento della figura del caregiver;
   ad inviare una relazione alle competenti commissioni parlamentari relativa al censimento di iniziative, quali dormitori, banchi alimentari, associazioni, cooperative ed altri soggetti impegnati nel campo del contrasto alla povertà, in particolare indicando il numero di persone assistite e interessate dalle iniziative di lotta alla povertà su base regionale e comunale;
   ad attivarsi, di intesa con l'Anci, affinché per i senza fissa dimora possa trovarsi una soluzione alla problematica dell'indirizzo di residenza, individuando indirizzi di residenza non fittizi, evitando problemi di discriminazione e preclusioni in particolare in ambito lavorativo, tenuto conto delle esperienze attivate dai comuni di Roma e Milano;
   a prevedere, anche con iniziative di carattere normativo, nell'ambito del riordino del sistema delle agevolazioni fiscali, il rafforzamento del sistema attualmente vigente di detrazioni per le famiglie con redditi inferiori alla soglia di povertà relativa come individuata dall'Istat;
   ad assumere iniziative, anche di carattere normativo, per istituire un apposito fondo di garanzia su prestiti e microcredito da concedere a singoli o famiglie con reddito inferiore alla soglia di povertà relativa;
   a procedere alla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali, attuando quanto previsto dalla legge n. 328 del 2000, con particolare riferimento a singoli o famiglie con reddito inferiore alla soglia di povertà relativa;
   ad attivare le necessarie intese al fine di prevedere per i comuni, le amministrazioni dello Stato, le regioni ed altri enti o amministrazioni pubbliche l'utilizzo di quota parte degli immobili inutilizzati di proprietà pubblica, al fine di offrire ricovero alle persone senza fissa dimora e alle persone o alle famiglie in accertata e inaspettata difficoltà economica;
   ad attivare tutte le iniziative di propria competenza affinché in materia di sfratti per morosità incolpevole sia data attuazione integrale ed immediata a quanto previsto dall'articolo 6, comma 5, della legge 27 dicembre 2013, n 147, in materia di definizione della morosità incolpevole, di accompagnamento sociale da parte dei comuni al fine di garantire il passaggio da casa a casa, di graduazione degli sfratti per morosità incolpevole da parte dei prefetti.
(1-00306) «Silvia Giordano, Di Vita, Dall'Osso, Mantero, Baroni, Lorefice, Cecconi, Grillo, Pesco, Lupo, Sorial, Colonnese, Baldassarre, L'Abbate, Basilio, De Lorenzis, Spadoni, Dieni, Alberti, Gallinella, Luigi Di Maio, Fico, Tofalo, Artini».


   La Camera,
   premesso che:
    la crisi economica esplosa nel 2007 negli Stati Uniti e che ha finito per contagiare l'intero Occidente, sia in termini di fallimenti bancari che in termini di drastica diminuzione dei livelli occupazionali, ha prodotto, per quanto concerne il nostro Paese, un radicale cambiamento socio-economico, i cui effetti sono destinati a perdurare negli anni a venire ed a pesare inevitabilmente sulle generazioni future;
    classi sociali, che fino a pochi anni fa si potevano ritenere al riparo dal rischio povertà, potendo esse contare su una sicurezza economica legata alla stabilità lavorativa, si sono viste, con il passare del tempo, coinvolte in una spirale economico-finanziaria che ha finito col minacciare il loro tenore di vita;
    è inevitabile che, in un contesto del genere, in Italia sia aumentato il numero di nuclei familiari che oggi, loro malgrado, possono essere considerate a rischio povertà;
    sono recenti i dati Istat che parlano di 1.725.000 di famiglie che ormai vivono in una costante condizione di assoluta povertà, con una maggiore incidenza nel Meridione d'Italia, zona in cui ben 2,3 milioni di cittadini sono da considerarsi poveri;
    una tale situazione non può non comportare drammatici mutamenti allo strato sociale del nostro Paese: basti pensare alle giovani generazioni, che, in assenza di una sicurezza lavorativa, sono costrette, da una parte, a vivere sempre più a lungo presso le proprie famiglie originarie e, dall'altra, a posticipare o addirittura rimandare l'idea, il progetto di formarsene una propria: diventa difficile infatti, in queste condizioni, pensare ad avere dei figli;
    l'obiettivo dell'Italia non deve limitarsi a fornire assistenza a quanti non riescono a vivere con mezzi propri, ma deve e dovrà essere quello di presentare ai cittadini opportunità di lavoro, di crescita, di prosperità;
    risulta chiaro che il Governo deve attivarsi affinché questo mutamento in negativo del nostro Paese rallenti fino ad arrestarsi definitivamente;
    occorre, però, innanzitutto fornire l'adeguata assistenza a chi, già oggi, vive in condizioni di assoluta povertà in modo da fornire i mezzi necessari per superare un momento tanto difficile;
    occorre, poi, mettere in atto azioni in grado di cambiare radicalmente in positivo la realtà produttiva del nostro Paese e farlo soprattutto in maniera strutturale, evitando, quindi, quelle misure tampone che a nulla servirebbero per la soluzione del problema;
    è necessario sostenere l'apparato produttivo del nostro Paese, che spazia dalle grandi realtà industriali fino alle piccole e medie imprese, in modo da garantirne la ripresa dell'attività a pieno regime, così favorendo il recupero dei livelli occupazionali, la crescita dei redditi e, di conseguenza, dei consumi interni, soprattutto nelle aree del Paese maggiormente colpite dalla crisi in corso, come il Mezzogiorno;
    è necessario recuperare e sostenere il ruolo sociale del terzo settore, ovvero quel complesso di soggetti organizzativi di natura privata ma volti alla produzione di beni e servizi a destinazione pubblica o collettiva (cooperative sociali, associazioni di promozione sociale, associazioni di volontariato, organizzazioni non governative, onlus ed altri), che sono elemento di vitalità della società civile e soggetti spesso in grado di farsi carico dei bisogni delle persone, generando relazioni positive e attivando reti di solidarietà;
    occorre, quindi, incentivare il recupero di risorse attraverso l'istituto del 5 per mille, in modo da poter disporre, attraverso le donazioni, di finanziamenti da destinare al sostegno delle classi meno abbienti e maggiormente bisognose di aiuto,

impegna il Governo:

   ad attivarsi affinché quanto rappresentato in premessa in materia di contrasto alla povertà e relativamente al sostegno effettivo di complessi come il terzo settore e al recupero di risorse attraverso il 5 per mille, trovi la necessaria ed urgente applicazione pratica in una situazione socio-economica di certo non semplice del nostro Paese;
   a coinvolgere l'Europa nell'adozione di politiche di sostegno alla povertà e, conseguentemente, di rilancio dell'economia dei Paesi dell'Unione europea maggiormente colpiti dalla sfavorevole congiuntura economica.
(1-00307) «Dorina Bianchi, Roccella».


   La Camera,
   premesso che:
    la crisi finanziaria, economica e successivamente industriale che ha coinvolto le principali economie occidentali negli ultimi cinque anni ha duramente provato il tessuto industriale e manifatturiero italiano;
    secondo il rapporto sulla competitività della Commissione europea, l'Italia rischia un processo «di vera e propria deindustrializzazione», con l'indice della produzione industriale che «ha perso 20 punti percentuali dal 2007»; tale evoluzione è attribuita dalla Commissione europea sia alla riduzione dell'attività dovuta al rallentamento economico, sia alla chiusura di numerosi impianti in alcuni settori industriali di base (petrolchimica, siderurgia e biocombustibili);
    l'industria manifatturiera italiana rappresenta il 15,5 per cento del valore aggiunto complessivo generato nell'economia italiana, un dato leggermente al di sopra della media europea (15,3 per cento), con forti presenze in settori dal profilo tecnologico più contenuto come l'abbigliamento, la metallurgia e il legno, mentre la quota dei settori più innovativi appare più ridotta rispetto a quella di altre economie europee;
    secondo dati Unioncamere sulla natalità e mortalità delle imprese, l'aumento dei fallimenti delle imprese, nel terzo trimestre del 2013, ha trascinato ai minimi da 10 anni il saldo tra aperture e chiusure di aziende;
    dal punto di vista dell'occupazione i dati complessivi sono i più alti degli ultimi trent'anni, mentre particolarmente preoccupante resta il dato sulla disoccupazione giovanile superiore al quaranta per cento;
    se il processo di deindustrializzazione sta accelerando le prospettive di rischio irreversibile di decadenza economica del made in Italy, uno dei temi di maggiore impatto è quello della delocalizzazione delle attività produttive italiane: basti pensare ai numerosi trasferimenti o aperture di aziende o società italiane non solo in Paesi dell'est Europa ma anche in Svizzera, scelta solo apparentemente contraddittoria, in quanto questo Paese offre numerosi vantaggi strutturali che vanno dal carico fiscale contenuto (20 per cento circa sull'utile), al riconoscimento di tutti i costi aziendali giustificati, al costo del lavoro vantaggioso, all'organizzazione burocratica ed amministrativa semplice e snella, alla buona posizione strategica servita da autostrade, linee ferroviarie e aeroporti, alla strutturale predisposizione all'internazionalizzazione delle imprese;
    colpisce la sparizione dal mercato o il passaggio in mani estere di numerosi marchi storici del made in Italy nel comparto della moda e del lusso come dell'agroalimentare la cui proprietà è stata acquisita da imprenditori spagnoli, francesi, russi, cinesi e così via;
    anche le vicende Telecom, Alitalia e Finmeccanica sono gli ultimi tasselli di un processo di depotenziamento industriale che registra ritmi sempre più rapidi e che rischia di incidere profondamente sul complesso del sistema Italia;
    pur in un quadro che rimane altamente problematico e negativo però, secondo le rilevazioni dell'Istituto Markit, nell'ultimo scorcio del 2013, il settore manifatturiero europeo ha chiuso ai livelli massimi da oltre due anni e in tale positivo contesto l'Italia ha giocato un ruolo importante nel trainare la ripresa;
    l'indice destagionalizzato Markit Eurozone Manufacturing Pmi, che raccoglie indagini svolte presso 3000 aziende considerando variabili su vendite, occupazione, scorte e prezzi, è aumentato per il terzo mese consecutivo a dicembre, attestandosi a 52,7, in salita da 51,6 di novembre;
    un risultato sopra la soglia di 50 punti indica una fase di espansione economica, che ha riguardato tutta la seconda metà del 2013; per l'ultimo trimestre il settore ha registrato la performance migliore in due anni e mezzo, in linea con il tasso di crescita trimestrale della produzione di circa lo 0,6 per cento;
    il miglioramento delle condizioni operative generali è stato stimolato dalla forte e più veloce crescita nei Paesi Bassi, in Germania, in Irlanda e in Italia;
    per quanto riguarda l'Italia, in particolare, l'indice, che ha raggiunto 53,3 punti da 51,4 e ha segnato il valore più alto da aprile 2011, testimonia il forte miglioramento dello stato di salute del settore manifatturiero, con un incremento più veloce dei nuovi ordini, e le esportazioni che sono in crescita ad un tasso rimasto invariato rispetto a quello di novembre, il più alto in 32 mesi;
    non è peraltro un mistero che la tenuta del comparto manifatturiero italiano attraverso questa crisi pluriennale, e in presenza di un mercato interno in forte contrazione di domanda, sia stata principalmente garantita dal settore che maggiormente opera verso l’ esportazione e che, quest'oggi, guida anche l'avvio di ripresa;
    l'ancora lieve tendenza alla ripresa costituisce un segnale importante per l'Italia se essa sarà in grado di guardarsi alle spalle senza infingimenti e vedere le disastrose conseguenze di quello che può essere considerato il primo vero grande processo di deindustrializzazione dell'economia nazionale, in quanto profondamente diverso per qualità e misura dalle molte crisi industriali, anche gravi, che il nostro Paese ha attraversato dal dopoguerra ad oggi;
    analizzare quale Paese sia oggi l'Italia, dopo tali possenti e radicali processi di destrutturazione dell'apparato produttivo, che ha funzionato per decenni come fulcro della crescita del Paese, è essenziale per fondare la crescita su nuovi, più moderni, tecnologicamente avanzati ed ecosostenibili assi di sviluppo;
    per fare ciò è indispensabile accedere in maniera sempre maggiore alle più avanzate ricerche e conoscenze in ambito scientifico e tecnologico, valorizzando, al contempo, il capitale prezioso delle risorse umane, soprattutto nel campo della formazione, quali serie premesse alla messa in campo di nuove politiche industriali e produttive all'altezza della sfida dei tempi che verranno;
    il manifatturiero, profondamente innovato e guidato dalle nuove generazioni che si affacciano alla guida di tutti i settori del nostro Paese, deve rimanere il perno dell'identità dell'Italia nel mondo;
    le imprese italiane possono e debbono essere messe in condizione di poter competere nel campo fertile della ricerca e della conoscenza, perché in esse viene effettuata la maggior parte della ricerca, di base e applicata, e perché lo stesso fare e produrre propongono miglioramenti e soluzioni innovative nei processi e nei prodotti;
    la conoscenza, infatti, non rimane confinata dentro il settore manifatturiero, ma si diffonde all'intero sistema economico attraverso i rapporti tra imprese e il progresso tecnologico direttamente incorporato nei beni manufatti che vengono utilizzati negli altri settori come strumenti di produzione;
    le aziende italiane possono e debbono essere messe in condizione di continuare a competere efficacemente anche nei gradi settori della trazione italiana, il gusto, la moda e la qualità, proteggendole dai dilaganti fenomeni della contraffazione e delle pratiche commerciali scorrette che tanto affliggono i prodotti nazioni;
    per tutto questo serve una nuova politica industriale, basata su scelte strategiche di settori prioritari di intervento, su nuove e rafforzate politiche attive per il sistema manifatturiero (fra le più urgenti misure quelle per ampliare l'accesso al credito, per la riduzione del costo dell'energia, per rafforzare il processo di riduzione del carico fiscale sul costo del lavoro e per favorire l'internazionalizzazione), ma anche azioni di semplificazione burocratica tese a creare un ambiente più favorevole alla ripresa dell'attività economica e ad attrarre capitali dall'estero (azioni che vanno dalla riduzione degli adempimenti amministrativi, all'abbattimento delle cosiddette «tasse occulte», alla certezza dei tempi e delle procedure), nell'ottica più generale di una progressiva ripresa di competitività del sistema industriale italiano e del nostro Paese;
    in questo quadro, quindi, risulta essere di assoluta rilevanza il ruolo del pubblico, sia con l'attività propulsiva del Governo, esercitabile mediante la politica industriale e l'intervento nelle situazioni di crisi aziendali, sia attraverso l'impresa direttamente partecipata dallo Stato da utilizzarsi non solo come mera presenza sociale, ma anche come leva strategica in settori particolarmente rilevanti e di grande interesse nazionale;
    l'attuale Governo, sin dal suo insediamento, ha mostrato una particolare attenzione a queste tematiche, attraverso l'emanazione di numerosi provvedimenti in materia, l'ultimo dei quali è il decreto-legge n. 145 del 2013, il cosiddetto «destinazione Italia», attualmente all'esame della Camera,

impegna il Governo:

   a sviluppare ulteriori misure atte alla concessione di nuovo credito alle aziende e a favorire percorsi di aggregazione e crescita societaria, anche favorendo un graduale avvicinamento ai mercati ed alla quotazione da parte delle società e delle imprese;
   ad attuare un programma nazionale di politica industriale che punti al rafforzamento del sistema produttivo ed all'innalzamento della competitività delle imprese italiane sui mercati internazionali;
   ad attuare la strategia energetica nazionale articolata sull'efficienza e sul risparmio energetico, sulla diversificazione delle fonti, sulla riduzione dei combustibili fossili, sullo sviluppo delle fonti rinnovabili, sul potenziamento delle infrastrutture, anche con la prospettiva del mercato unico europeo dell'energia, al fine di consentire una sensibile riduzione dei costi energetici per il sistema industriale;
   a procedere con decisione sulla via della semplificazione amministrativa, così da creare un clima favorevole per le imprese esistenti ed incentivarne la creazione di nuove e attrarre investimenti esteri;
   per quanto riguarda la tutela delle produzioni nazionali, a promuovere le iniziative necessarie in sede comunitaria per rafforzare le normative in materia di anti contraffazione e made in con una nuova norma che introduca l'obbligo di indicazione di origine per tutti i prodotti per i quali non esista già una regolamentazione specifica in materia;
   a rafforzare le misure di riduzione del costo del lavoro sulle imprese e sui lavoratori, contenute nella legge di stabilità 2014, in modo da incrementare l'occupazione e i redditi disponibili;
   a realizzare politiche che consentano al sistema produttivo di recuperare competitività sui mercati internazionali, sviluppando nuove tecnologie, processi, prodotti, servizi e sistemi che possano offrire interessanti sbocchi occupazionali e di crescita economica;
   a riorganizzare il sistema degli incentivi alle imprese, orientando le risorse pubbliche verso la realizzazione di grandi progetti di ricerca ed innovazione industriale, anche tramite importanti interventi di domanda pubblica innovativa;
   a rilanciare la competitività di alcuni attori strategici nazionali quali, ad esempio, Finmeccanica e, in particolare, Ansaldo Breda, Ansaldo STS, Ansaldo Energia e BredaMenarinibus;
   ad operare nel caso di Alitalia, seppure con gli strumenti concessi dalla natura di soggetto privato della compagnia, affinché non venga meno un grande vettore aereo che ha nell'Italia la sua base logistica di riferimento e la cui presenza appare fondamentale per un Paese che ha nel turismo e nella manifattura due capisaldi della propria economia;
   a completare rapidamente l'attuazione del decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56, così da esercitare i poteri speciali per tutelare l'interesse nazionale in caso di passaggio di proprietà straniera di importanti aziende italiane che possiedono reti strategiche, come nel caso di Telecom Italia, a tal fine anche valutando la possibilità di rivedere l'attuale disciplina dell'offerta pubblica d'acquisto e garantendo, in ogni caso, che l'eventuale passaggio non costituisca un depauperamento del sistema economico e produttivo nazionale.
(1-00308) «Benamati, Martella, Basso, Bini, Cani, Civati, Del Basso De Caro, Donati, Folino, Galperti, Ginefra, Impegno, Mariano, Montroni, Nardella, Peluffo, Petitti, Portas, Senaldi, Taranto».


   La Camera,
   premesso che:
    l'infanzia oggi è considerata portatrice di diritti. Si tratta di una conquista maturata lentamente nella storia. Ma storicamente sappiamo che a molti bambini questo diritto non è stato, né è oggi, assicurato, per varie ragioni, individuali, economiche, politiche, sociali. Si tratta di una grande questione che coinvolge tutti gli aspetti della vita di una società, nel passato come nel presente. Una società internazionale e globalizzata, soprattutto quando si parla di adozione internazionale;
    l'adozione internazionale è l'adozione di un minore di cittadinanza non italiana, dichiarato adottabile dalle autorità del suo Paese. L'adozione viene perciò fatta in quel Paese, davanti alle autorità e secondo le leggi nazionali ed internazionali ivi vigenti. In Italia il tribunale per i minorenni rilascia un decreto specifico di idoneità a questo tipo di adozione. Perché questa adozione sia efficace in Italia è necessario seguire procedure particolari, stabilite dalle leggi italiane ed internazionali. Altrimenti l'adozione straniera non è valida e il minore non può entrare nel nostro Paese. Per di più, in certi casi, l'inosservanza delle leggi sull'adozione costituisce reato;
    lo strumento principale su cui si basano le procedure per l'adozione internazionale è rappresentato dalla Convenzione de L'Aja del 29 maggio 1993, che prende in esame la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale. L'Italia ha aderito a questa convenzione ratificandola con la legge n. 476 del 1998, che modifica la legge n. 184 del 1983. Rappresenta una garanzia sia per tutelare i diritti dei bambini e di chi desidera adottarli sia per sconfiggere qualsiasi traffico di minori che possa instaurarsi surrettiziamente attraverso il meccanismo delle adozioni. In Italia la Commissione per le adozioni internazionali (CAI) è l'Autorità da cui dipende l'applicazione della Convenzione de L'Aja;
    a titolo di esempio sono oltre 5000 i minori abbandonati ogni anno nei Paesi dell'Europa dell'est, dove nonostante i notevoli cambiamenti sociali ed economici e le riforme che stanno attraversando la regione del CEECIS (Central Eastern Europe/Commonwealth of Independent States), la maggior parte dei Paesi fa ancora affidamento sull'istituzionalizzazione, ignorando l'evidenza che gli orfanotrofi sono esattamente il contrario di ciò che è nell'interesse dei minori, lasciando loro, per tutta la vita, profonde cicatrici fisiche e cognitive;
    l’iter da seguire per una adozione internazionale è strutturato in modo molto chiaro e le sue norme non possono essere in alcun modo eluse; la procedura è complessa, in alcuni casi appare perfino inutilmente complicata, ma lo è ad esclusiva garanzia dei minori da adottare. Le coppie che desiderano adottare un bambino infatti debbono ottenere previamente un decreto di idoneità e quindi devono conferire l'incarico a curare la procedura di adozione agli Enti autorizzati, che svolgono tutte le pratiche necessarie nel Paese di origine del minore. Agli enti sono assegnate le funzioni relative alla procedura di una pratica di adozione internazionale, sia in Italia che all'estero: dalle prime informazioni rivolte alla coppia, agli adempimenti richiesti nel Paese di origine del minore. Solo gli enti autorizzati dalla Commissione per le adozioni internazionali sono legittimati ad occuparsi delle pratiche in materia di adozione internazionale, sulla base di precisi requisiti. Una volta ricevuta dall'autorità straniera la proposta di incontro con il minore da adottare, l'ente autorizzato ne informa gli aspiranti genitori adottivi e li assiste per tutte le visite necessarie;
    se gli incontri della coppia con il minore si concludono positivamente, viene emanato da parte della competente autorità giudiziaria straniera il provvedimento di adozione. L'ente autorizzato trasmette successivamente tutti gli atti relativi all'adozione alla Commissione per le adozioni internazionali, che ne verifica la correttezza formale e sostanziale. In caso di esito positivo dei controlli, la Commissione adozioni internazionali rilascia la «autorizzazione nominativa all'ingresso e alla permanenza in Italia del minore adottato»;
    in questo contesto il compito della rete diplomatico-consolare italiana è quello di collaborare, per quanto di competenza, con l'Ente autorizzato per il buon esito della procedura di adozione (articolo 32, comma 4, della legge n. 184 del 1983 come modificata dalla legge n. 476 del 1998). Tale attività può riguardare legalizzazione e controllo della documentazione, nonché assistenza, laddove necessario, anche attraverso l'agevolazione dei contatti con le autorità locali, in particolare in quei Paesi che non hanno ratificato la Convenzione de L'Aja. Per potere entrare in Italia, il minore adottato deve essere munito di un visto d'ingresso per adozione che viene apposto sul passaporto estero rilasciato dal Paese d'origine. Ai fini della concessione del visto da parte della rete diplomatico-consolare, è necessario che sia pervenuta l'autorizzazione all'ingresso ed alla permanenza in Italia del minore della Commissione per le adozioni internazionali. La pratica di visto viene evasa nel minor tempo possibile, per venire incontro alle esigenze della coppia. L'effettivo rilascio del visto è tuttavia subordinato ai tempi tecnici di trattazione. Ai sensi dell'articolo 33 della legge n. 184 del 1983, come modificata dalla legge n. 476 del 1998, è fatto divieto alle autorità consolari di concedere a minori stranieri il visto d'ingresso nel territorio dello Stato a scopo di adozione al di fuori delle ipotesi previste dalla legge stessa e senza la previa autorizzazione della Commissione per le adozioni internazionali. Una volta che il minore è entrato in Italia, la questura competente rilascia in suo favore un permesso di soggiorno per adozione. La procedura di adozione si conclude con l'ordine da parte del Tribunale per i minorenni di trascrizione del provvedimento di adozione nei registri di stato celibe. Con la trascrizione il minore diviene cittadino italiano (articolo 34, comma 3, della legge n. 184 del 1983). L'adozione pronunciata dall'autorità competente di un Paese straniero a istanza di cittadini italiani, che dimostrino al momento della pronuncia di aver soggiornato continuativamente nello stesso e di avervi avuto la residenza da almeno due anni, viene riconosciuta ad ogni effetto in Italia dal tribunale per i minorenni, purché conforme ai principi della Convenzione (articolo 36 della legge n. 184 del 1983). Il Tribunale per i Minorenni competente è quello del luogo di ultima residenza della coppia o, nel caso in cui non sia possibile stabilire quale sia stata l'ultima residenza, quello di Roma. Queste disposizioni possono sembrare eccessive, ma sono necessarie per garantire ai bambini abbandonati ed ai loro futuri genitori adottivi un'adozione legalmente corretta, e rispettosa dei diritti di tutti i protagonisti;
    avere un figlio adottivo è aprire nella propria famiglia uno spazio non solo fisico, ma soprattutto mentale per l'accoglienza di un bambino o di una bambina, generato da altri, con una sua storia, che desidera continuare con i nuovi genitori, con cui formerà una vera famiglia, come una «sua» seconda possibilità di vita. Solo così, partendo dal desiderio di avere un figlio, e costruendovi sopra un percorso personale e di coppia che sia di vera accoglienza, si può iniziare correttamente la strada dell'adozione. Nel caso dell'adozione di un bambino straniero questo percorso è più articolato ma per molti versi anche più ricco. L'adozione internazionale permette di accogliere a far parte integrante della propria famiglia bambini di altri Paesi, con cultura, lingua, tradizioni diverse. Per questo, per tutelarne i diritti, la normativa si fa più complessa, ma offre in cambio la sicurezza sullo stato di abbandono del bambino, una più approfondita preparazione ed un migliore sostegno alle coppie che hanno deciso di intraprendere questo percorso. L'adozione internazionale ha conosciuto in questi anni un fortissimo sviluppo. Nel 1982 le adozioni di bambini stranieri pronunciate dai Tribunali per i minorenni italiani erano in tutto meno di trecento. Nello stesso periodo venivano registrate più di mille adozioni nazionali. Nel 1991 sono entrati in Italia a scopo di adozione più di duemila settecento minori stranieri, mentre i bambini italiani dichiarati adottabili erano meno di mille;
    la tendenza all'aumento nelle adozioni internazionali è stata costante, e ha visto nel 1999 l'ingresso in Italia di tremila bambini stranieri adottati, mentre le domande di idoneità all'adozione internazionale sono state più di settemila. Uno sviluppo così rapido del fenomeno non è riscontrabile solo nel nostro Paese, ma lo si osserva in tutti i Paesi economicamente sviluppati, in cui il miglioramento delle condizioni socio-economiche ha avuto come conseguenza la riduzione del numero dei bambini abbandonati, mentre il calo delle nascite ha fatto aumentare le richieste di adozione, che si sono indirizzate così verso l'unica strada possibile, quella internazionale;
    le adozioni internazionali sono possibili solo quando un minore sia stato dichiarato in stato di abbandono – e quindi sia adottabile – dalle competenti autorità di un Paese estero. La procedura di adozione avviene come è naturale almeno in parte davanti alle autorità del Paese stesso. E regolamentata dalla legge 4 maggio 1983, n.184, modificata dalla Legge 31 dicembre 1998, n. 476, con cui si ratifica la Convenzione dell'Aja. Tra le normative di riferimento bisogna considerare sempre anche quelle del Paese di provenienza del bambino e le eventuali convenzioni specifiche in materia tra i due Paesi. La procedura dell'adozione internazionale è complessa. I requisiti per l'adozione internazionale sono gli stessi previsti per l'adozione nazionale, articolo 6 della legge n. 184 del 1983, modificata dalla legge n. 149 del 2001. L'adozione internazionale inizia con un'indagine sulle famiglie che fanno specifica richiesta di adozione internazionale, per valutarne le potenzialità genitoriali, raccogliendo informazioni sulla loro storia personale, familiare e sociale. La coppia in possesso del decreto di idoneità, deve rivolgersi ad uno degli enti autorizzati dalla Commissione per le adozioni internazionali, che svolge le pratiche necessarie per tutta la complessa procedura. La Commissione per le adozioni internazionali autorizza l'ingresso del bambino adottato in Italia e la sua permanenza, dopo aver certificato che l'adozione sia conforme alle disposizione della Convenzione de L'Aja;
    in questi ultimi anni si è andato diffondendo sempre più, a livello nazionale e a livello internazionale, la ferma convinzione che i diritti dei minori ad avere una famiglia sia assolutamente prioritaria rispetto a qualsiasi altra logica, e per il minore il diritto a conservare la propria famiglia non può essere messo in discussioni dalle condizioni di povertà e di disagio, su cui invece lo stato o le regioni sono chiamati ad intervenire concretamente. La legge 149 del 28 marzo 2001 ha introdotto infatti alcune modifiche alla disciplina dell'adozione, tra cui vale la pena ricordare l'articolo che sottolinea il diritto del minore ad avere una famiglia, mentre evidenzia che «Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia». Per questo, continua l'articolo 1, lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie competenze, sostengono, con idonei interventi, nel rispetto della loro autonomia e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, i nuclei familiari a rischio, al fine di prevenire l'abbandono e di consentire al minore di essere educato nell'ambito della propria famiglia. Una analoga sensibilità, pur con i naturali distinguo, si sta estendendo anche nel campo delle adozioni internazionali, in cui i rispettivi stati sono attualmente più prudenti, quando non decisamente ostili a concedere i permessi di adozione. Fondamentale in questi casi il ruolo svolto dalla Commissione per le adozioni internazionali che collabora con le autorità centrali per le adozioni internazionali degli altri Stati e propone la stipulazione di accordi bilaterali in materia di adozione internazionale; autorizza l'attività degli enti che debbono assistere le famiglie; promuove la cooperazione fra i soggetti che operano nel campo dell'adozione internazionale e della protezione dei minori; promuove iniziative di formazione per quanti operano o intendano operare nel campo dell'adozione; autorizza l'ingresso e il soggiorno permanente del minore straniero adottato o affidato a scopo di adozione; certifica la conformità dell'adozione alle disposizioni della Convenzione, come previsto dalla Convenzione. A causa del numero esiguo di minori adottabili in Italia rispetto alle domande di adozione, l'adozione internazionale è in costante aumento. Le autorizzazioni concesse all'ingresso di minori stranieri, corrispondente alla fase conclusiva dell'adozione internazionale, sono passate, dalle 1.797 del 2001, alle oltre 4000 del 2012;
    i genitori che decidono di adottare un bambino sanno che le spese sostenute, spesso molto elevate, potranno essere «dedotte» per un 50 per cento; sanno anche di poter godere dei necessari congedi nel periodo in cui si svolge la pratica di adozione nei Paesi stranieri e anche questo va certificato dall'ente che li assiste (articolo 31, comma 3 della n. 476 del 1998). Fra le spese certificabili o documentabili sono comprese quelle riferite all'assistenza che i bambini hanno ricevuto, alla legalizzazione dei documenti, alla traduzione degli stessi, alla richiesta di visti, ai trasferimenti, al soggiorno, all'eventuale quota associativa nel caso in cui la procedura sia stata curata da enti, ad altre spese documentate finalizzate all'adozione del minore. Molte spese però possono superare l'effettiva disponibilità dei genitori per cui la normativa prevede che possano chiedere un anticipo sul TFR: «questo può essere anticipato per compensare le spese sostenute durante i congedi parentali per astensione facoltativa; il TFR viene considerato, in questo caso, un aiuto economico per gli stipendi non percepiti durante il congedo o per le spese sostenute in quel periodo»;
    la crisi delle adozioni internazionali, testimoniata dai dati statistici disponibili, richiede una revisione della materia, proprio a partire dalla ratifica italiana alla Convenzione dell'Aja, per una maggiore e migliore cooperazione sia in materia di responsabilità genitoriale che di misure di protezione dei minori. Sono le priorità indicate dall'Ai.Bi. (Associazione amici dei bambini) per arginare una situazione preoccupante. I numeri parlano di 6.237 decreti di idoneità ottenuti dalle coppie nel 2006, scesi a 4.509 nel 2009 e a 4.000 nel 2012. Le cause di tale calo sono la burocrazia, gli alti costi degli iter, la complessità dell'orientamento all'adozione affidato agli enti. Per uscire dalla crisi l'Ai.Bi. si fa forte non solo delle 14.000 firme a sostegno del Manifesto Oltre la crisi. Più famiglie e più adozioni. Verso una nuova legge delle adozioni internazionali, inviate ai presidenti di Camera e Senato; lo scorso 5 giugno 2013 il ministro della giustizia, Annamaria Cancellieri, ha affrontato il tema in commissione Giustizia della Camera, proponendo la costituzione di una commissione interministeriale ad hoc, composta dal suo stesso dicastero e da quelli degli affari esteri, dell'integrazione e delle pari opportunità, per dare impulso alla riforma delle adozioni internazionali. La commissione di studio deve elaborare proposte normative per «dare nuovo impulso» alle adozioni e ne fanno parte: Griffini (AiBi), Caserta (Azione per famiglie nuove) e Tesauro (Save the Children Italia), membri scelti fra le varie associazioni;
    secondo il presidente dell'Ai.Bi., Marco Griffini, la revisione della norma attuale è indispensabile per dare speranza alle 14 mila famiglie che hanno firmato il Manifesto e che costituiscono la punta dell'iceberg di un esercito di famiglie che potrebbe fare dell'adozione la scelta di vita, ma la cui speranza viene distrutta dalla burocrazia. È assurdo e mortificante che per adottare un bambino si debbano aspettare 3 o 4 anni, con spese enormi;
    sono passaggi chiave: il passaggio dalla selezione all'accompagnamento delle coppie prima, durante e dopo l'adozione; lo snellimento dell’iter, l'abbattimento dei costi; la razionalizzazione della spesa pubblica; l'adozione inserita nella politica estera del Paese; una serie di modalità innovative di accoglienza;
    sarebbe opportuna la totale gratuità di queste adozioni (come proposto dall'Ai.Bi): «È una richiesta di giustizia ed equità: ad oggi, l'adozione internazionale è l'unico diritto del minore per il quale occorre trovare non solo una famiglia disposta all'accoglienza, ma anche una famiglia che paghi», è una possibilità in più per i minori abbandonati in attesa di famiglia;
    un aspetto delicato delle adozioni internazionali è anche quello rappresentato dalla religione del bambino, che investe la Kafala, l'istituto di tutela e di protezione del minore islamico, riconosciuto dalla Convenzione Onu del 1989 ma non disciplinato in Italia. Si può far conoscere la possibilità di adozione dei bambini che provengono dal mondo islamico in una chiave diversa, per offrire la possibilità anche alle famiglie di origine straniera arabo-musulmane radicate in Italia di diventare anch'esse protagoniste di questo percorso di adozione attraverso la kafala;
    nonostante le rimostranze dei governi occidentali, in particolare quelle italiane, il Governo della Repubblica Democratica del Congo ha attuato quanto preannunciato: la sospensione delle adozioni internazionali. Questo mentre 26 coppie italiane sono bloccate nel Paese, da cui sarebbero dovute ripartire con 32 bambini. A spingere le autorità di Kinshasa a interrompere la procedura, ci sarebbero alcune notizie secondo cui alcuni piccoli sarebbero stati abbandonati dai genitori adottivi o comunque trascurati e il loro bene non sia stato adeguatamente tutelato nei nuovi Paesi in cui vivono. La posizione del Congo segue le restrizioni adottate in materia di adozioni da Russia e Cina. Il ministro degli interni congolese, Richard Muyej Mangez, ha convocato gli ambasciatori dei Paesi occidentali – Italia, Stati Uniti, Francia, Canada, Belgio e Gran Bretagna – per informarli della decisione del suo Governo. E ha tenuto a sottolineare che le adozioni sono sospese «temporaneamente» In attesa dei risultati dell'inchiesta. Il ministro Muyej Mangez, ha detto all'Associated Press: «Il governo vuole capirci qualcosa, perché intorno al tema delle adozioni ruota tanta criminalità». La decisione è la diretta conseguenza di un rapporto del 25 settembre scorso redatto dal Dipartimento per l'emigrazione congolese, in cui si anticipava alle ambasciate la prossima sospensione delle adozioni a seguito delle voci relative a un traffico criminale di bambini. Proprio in quel rapporto si raccontava di quei piccoli abbandonati dai loro nuovi genitori o venduti. Secondo le statistiche del Dipartimento per l'emigrazione, tra il 2009 e il 2013 1006 bambini congolesi sono stati adottati da famiglie provenienti da 15 diversi Paesi. Secondo il nostro ordinamento però quelle adozioni sono state approvate, per la legge del Congo e quelle coppie sono già legalmente i genitori dei bambini. Ma la sospensione delle adozioni impedisce ora a quei bambini di lasciare il Paese, mentre i visti degli italiani si avviano alla scadenza,

impegna il Governo:

   ad avviare un percorso di snellimento per quanto riguarda la burocrazia, anche attraverso una revisione dell'attuale normativa, accelerando il processo annunciato dal Ministro Cancellieri;
   a valutare in concreto la possibile eliminazione delle idoneità del tribunale per i minori e la semplificazione dell'iter di selezione delle coppie, fino ad oggi ad esclusivo carico dei servizi pubblici, a vantaggio di una procedura più razionale di accompagnamento e formazione pre e post adozione delle coppie stesse, che preveda la collaborazione fra i servizi pubblici e quelli privati degli enti autorizzati;
    ad esercitare un controllo sui costi complessivi sostenuti dalle famiglie che vogliono adottare un bambino con le procedure internazionali, per valutare come venire incontro ad eventuali necessità non previste;
    a valutare la proposta dell'Ai.Bi di rendere l'adozione internazionale totalmente gratuita;
   a chiedere ed ottenere maggiori garanzie per le adozioni e per i bambini, per non trovarsi davanti a Paesi che possono cambiare le loro decisioni in corso d'opera.
(1-00309) «Binetti, Dellai, Cesa, Buttiglione, Cera, Adornato, De Mita».


   La Camera,
   premesso che:
    la crisi economica e finanziaria, registrata a partire dal 2009, ha spinto l'Unione europea verso un'ampia revisione della propria governante, con l'obiettivo di rafforzare gli strumenti e le procedure per una più rigorosa politica di bilancio, garantire la solidità finanziaria dell'area europea e rilanciare le proprie prospettive di sviluppo;
    il nuovo sistema di governance economica europea si fonda su un complesso di misure, di natura legislativa e non legislativa, finalizzate a rafforzare i vincoli di finanza pubblica dell'unione economica e monetaria, ma anche a introdurre una cornice comune per le politiche economiche degli Stati membri, in particolare per quanto riguarda la crescita e l'occupazione;
    il sistema si articola in sette principali assi di intervento:
     a) un meccanismo per il coordinamento ex ante delle politiche economiche nazionali, mediante un ciclo di procedure e strumenti europei e nazionali concentrato nel primo semestre di ogni anno (semestre europeo);
     b) il patto «Euro plus», che impegna gli Stati membri dell'area euro e alcuni altri Stati aderenti a porre in essere ulteriori interventi in materia di politica economica, il cui eventuale inadempimento non comporta l'adozione di sanzioni;
     c) il trattato per il coordinamento delle politiche di bilancio (cosiddetto «fiscal compact») entrato in vigore il 1o gennaio 2013;
     d) le modifiche al Patto di stabilità (contenute in parte nel cosiddetto six pack, in parte nel cosiddetto two pack);
     e) la sorveglianza sugli squilibri macroeconomici (derivante dall'applicazione del six pack);
     f) i meccanismi di stabilizzazione dell'eurozona;
     g) il Patto per la crescita (cosiddetto Growth pact, accordo non vincolante stipulato dal Consiglio europeo di giugno 2012);
    in materia fiscale, in particolare, il «fiscal compact» introduce la regola del pareggio di bilancio, stabilendo che esso si consideri realizzato qualora il saldo strutturale (definito come saldo corretto per il ciclo e al netto delle misure una tantum) delle amministrazioni pubbliche sia pari all'obiettivo di medio termine specifico per il Paese, come definito nel Patto di stabilità e crescita, con un limite inferiore di disavanzo strutturale dello 0,5 per cento del prodotto interno lordo; deviazioni temporanee dall'obiettivo di medio termine sono consentite solo in caso di circostanze eccezionali o di gravi crisi economico-finanziarie e, comunque, nella misura in cui tale deroga non comprometta la sostenibilità del debito di lungo periodo; inoltre, gli Stati firmatari del Trattato si impegnano all'inserimento della regola del bilancio in pareggio (in termini strutturali) all'interno del quadro legislativo nazionale con modifiche di carattere vincolante e permanente, preferibilmente a livello costituzionale, e a recepire gli specifici meccanismi di correzione da attivare nel caso di scostamenti tra i risultati conseguiti e l'obiettivo di medio termine;
    l'allineamento del sistema di regole interne con le nuove disposizioni europee è avvenuto per l'Italia con l'approvazione della legge costituzionale n. 1 del 2012, che introduce nell'ordinamento un principio di carattere generale, secondo il quale tutte le amministrazioni pubbliche devono assicurare l'equilibrio tra entrate e spese del bilancio e la sostenibilità del debito, nell'osservanza delle regole dell'Unione europea in materia economico-finanziaria;
    la legge n. 243 del 2012 ha successivamente disciplinato i principi e le regole di bilancio riferite al complesso delle amministrazioni pubbliche, che riguardano, in particolare, la definizione dell'equilibrio di bilancio, l'introduzione di una regola sull'evoluzione della spesa e le regole in materia di sostenibilità del debito pubblico, disciplinando, altresì, specifiche deroghe al principio dell'equilibrio, nonché i necessari meccanismi correttivi da adottare in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi;
    nel 2014 è previsto un importante processo di riesame da parte della Commissione europea dei provvedimenti più recenti in materia di coordinamento delle politiche macroeconomiche e di bilancio (six pack e two pack): i rapporti sulla clausola di revisione, inserita negli articolati dei provvedimenti legislativi in questione, dovrebbero essere inviati dalla Commissione europea al Consiglio e al Parlamento Europeo entro il 14 dicembre 2014 e sarà valutata l'efficacia delle disposizioni, soprattutto riguardo ai meccanismi di voto, includendo, ove necessario, proposte di revisione;
    se le condizioni finanziarie nell'area dell'euro sono oggi molto meno tese rispetto alla fine del 2011, il raggiungimento di un equilibrio stabile è tuttavia ancora lontano, poiché continua a mancare un meccanismo di riduzione delle divergenze nelle strutture economiche dei Paesi dell'area euro, in assenza del quale non sarà possibile dare definitiva soluzione neanche ai problemi dei debiti sovrani; al tempo stesso, risultano ancora in gran parte irrisolti i problemi relativi alle asimmetrie del ciclo economico, che privilegiano alcuni Paesi a danno di altri e che devono essere affrontati con uno sforzo comune, teso a riequilibrare le tendenze spontanee del mercato, con un vero coordinamento delle politiche economiche dell'eurozona che contempli strumenti adeguati a fronteggiare le asimmetrie del ciclo nei singoli Paesi;
    la questione cruciale è il rafforzamento della governance dell'unione economica e monetaria, dal momento che solo 18 Paesi su 28 adottano l'euro: l'attuale asimmetria tra eurozona e Unione europea costituisce, infatti, uno dei principali argomenti a sostegno di una governance imperniata sul metodo intergovernativo e su strumenti e organismi esterni al quadro istituzionale dell'Unione europea, come il «fiscal compact» e il Mes (il cosiddetto Fondo salva Stati);
    in sostanza, la crisi ha dimostrato la necessità di dotare la moneta unica di un vero governo economico, governo che va, però, collocato all'interno del quadro giuridico e istituzionale dell'Unione europea e imperniato sulle sue istituzioni;
    approvando con una larga maggioranza il rapporto Gualtieri-Trzaskowski sui problemi costituzionali della governance multilivello nell'Unione europea, il Parlamento europeo è entrato con forza nel dibattito sul futuro delle istituzioni europee e del governo dell'euro: il rapporto, infatti, sottolinea la necessità di avviare da subito le riforme possibili sulla base degli attuali trattati e dell'utilizzo dei numerosi strumenti di flessibilità presenti al loro interno, a partire dalla costituzione di una «capacità fiscale» aggiuntiva per l'eurozona da collocare all'interno del bilancio dell'Unione europea;
    in questo quadro, il rapporto propone un modello di coordinamento rafforzato delle politiche economiche diverso da quello contenuto nella proposta di «accordi contrattuali», che sarà in discussione al prossimo Consiglio europeo e che trova nella costituzione di un chiaro sistema di incentivi attraverso l'istituzione di uno strumento finanziario, che del bilancio dell'eurozona dovrebbe essere l'embrione (oltre che in un maggiore legittimazione democratica a livello europeo e nazionale e in una maggiore attenzione alla dimensione sociale), i suoi tratti distintivi;
    all'interno della discussione sul future dell'unione economica e monetaria, l'unione bancaria rappresenta un passaggio di fondamentale importanza e si compone di tre elementi: un meccanismo unico di supervisione, un meccanismo unico di risoluzione delle crisi e, nella prospettiva dell'unione di bilancio, un'assicurazione unica dei depositi;
    poiché l'unione bancaria è essenziale per contribuire al raggiungimento di condizioni più distese sui mercati finanziari nell'area dell'euro e nel nostro Paese e all'interruzione della spirale negativa tra rischio sovrano e attivi bancari, è necessario completare il meccanismo di supervisione con un sistema unico di risoluzione delle crisi bancarie, insistendo per il raggiungimento di un accordo tra Consiglio e Parlamento sul meccanismo unico di risoluzione delle crisi che includa anche un fondo unico di risoluzione delle crisi bancarie e una regolamentazione per la garanzie dei depositi bancari il più possibile armonizzata;
    è di particolare rilevanza l'evoluzione della discussione relativa alla mutualizzazione del debito pubblico a livello europeo: entro il marzo 2014, infatti, è attesa la pubblicazione di un rapporto che ne analizzerà le prospettive; anche su questo versante, è importante insistere sulla necessità di collocare i nuovi meccanismi all'interno del quadro giuridico e istituzionale dell'Unione europea, soprattutto alla luce della prossima scadenza per l'elezione di un nuovo Parlamento e dell'impegno delle principali forze politiche europee a legare più fortemente l'esito della competizione democratica con la composizione della futura Commissione europea;
    se va vista con favore la cosiddetta investment clause (sancita dal Consiglio europeo su proposta italiana), sulla base della quale può essere consentito ai Paesi non sottoposti a una procedura per disavanzo eccessivo, ovvero a un programma di aiuti, di versare la quota di cofinanziamento nazionale dei fondi strutturali dell'Unione europea, in deroga all'obiettivo di pareggio del bilancio, continua ad essere assente una vera e propria golden rule estesa all'insieme degli investimenti che possano esercitare un impatto positivo sulla crescita territoriale e sulla riduzione della disoccupazione;
    dopo i risultati conseguiti nei campi della stabilità finanziaria, della sorveglianza delle politiche economiche e dell'unione bancaria, è importante che la discussione non si areni su quei temi più delicati, come gli incentivi alle riforme strutturali, la mutualizzazione dei debiti e l'unione fiscale, essenziali per la realizzazione di un'unione economica e monetaria efficace ed equilibrata,

impegna il Governo:

   ad attivarsi affinché tutte le decisioni relative al rafforzamento dell'unione economica e monetaria siano adottate sulla base del Trattato sull'Unione europea;
   ad avviare un negoziato con le istituzioni europee finalizzato a far sì che, a seguito del riesame dei provvedimenti in materia di governance economica da parte della Commissione europea per il 2014, sia concessa una maggiore flessibilità degli obiettivi di bilancio a medio termine, per tenere conto del ciclo economico;
   per quanto riguarda l'unione bancaria, ad affermare con forza la necessità di un presidio istituzionale in Europa nella fase di messa a punto della vigilanza bancaria unica e di costruzione del meccanismo di risoluzione delle crisi, per evitare scelte e indirizzi contrari all'interesse del Paese, in particolare in materia di valutazione dei titoli pubblici posseduti dalle banche e dalle assicurazioni e di metodi di vigilanza sulle piccole banche territoriali;
   a promuovere nelle sedi europee l'introduzione di meccanismi asimmetrici e anticiclici incardinati nel bilancio europeo per il finanziamento dei sussidi alla disoccupazione e per il sostegno dell'occupazione, in particolare giovanile;
   a sostenere l'estensione della golden rule in modo da permettere lo scomputo di alcune voci di spesa per investimenti che possano esercitare un impatto a breve positivo sulla crescita territoriale e sulla riduzione della disoccupazione dai parametri finanziari rilevanti nel processo europeo di coordinamento dei bilanci pubblici nazionali;
   a favorire la costituzione di un fondo europeo di remissione del debito (debt redemption fund) e di strumenti di debito europeo a breve termine (eurobills) senza ricorrere a ulteriori trattati intergovernativi, ma utilizzando il quadro giuridico e istituzionale esistente dell'Unione europea;
   a sostenere la necessità di costruire un'adeguata implementazione, nelle procedure e negli strumenti di incentivo/disincentivo, della procedura per gli squilibri macroeconomici (Macroeconomic imbalance procedure-Mip), con l'obiettivo di responsabilizzare i Paesi dell'eurozona eccedentari all'attivazione al loro interno delle misure necessarie per l'assorbimento degli squilibri, come più volte chiesto all'Unione europea dai più importanti partner internazionali, a partire dagli Stati Uniti;
   in materia di unione economica e monetaria, a richiamare l'esigenza di compiere progressi in modo equilibrato e bilanciato su tutte e quattro le direttrici poste dal rapporto dei quattro Presidenti «Verso un'autentica unione economica e monetaria», così da arrivare progressivamente a definire una vera e propria politica economica della zona euro, in modo da assicurare un aggiustamento più equilibrato tra i Paesi in deficit e i Paesi in surplus.
(1-00310) «Martella, Causi, Marchi, Mosca, Bobba, Bonavitacola, Capodicasa, Censore, De Micheli, Fanucci, Giampaolo Galli, Genovese, Giulietti, Guerra, Laforgia, Losacco, Marchetti, Melilli, Misiani, Parrini, Preziosi, Rubinato, Rughetti, Bargero, Bonifazi, Capozzolo, Carbone, Colaninno, De Maria, De Menech, Marco Di Maio, Marco Di Stefano, Fragomeli, Fregolent, Ginato, Lorenzo Guerini, Gutgeld, Lodolini, Pelillo, Petrini, Ribaudo, Rostan, Sanga».

Risoluzione in Commissione:


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    nella seduta dell'Assemblea della Camera dei deputati n. 148 di giovedì 9 gennaio 2014, in risposta a interrogazioni a risposta immediata in merito ai recenti rincari delle tariffe autostradali, il Ministro delle infrastrutture ha fornito alcuni chiarimenti e proposto alcune iniziative in merito alla disciplina sulle concessioni autostradali;
    le concessioni tra ANAS spa e le società autostradali, che gestiscono in regime di monopolio infrastrutture essenziali quali le autostrade, interessano circa 5.800 chilometri a pedaggio su 6.532 di rete autostradale;
    nelle precedenti legislature sono state approvate modifiche rilevanti alla disciplina sulle concessioni autostradali; nel 2008 sono stati approvati tutti gli schemi di convenzione già sottoscritti dalle società concessionarie autostradali con ANAS spa; è stato introdotto un nuovo sistema tariffario; il decreto-legge n. 98 del 2011, è intervenuto in materia di gestione della rete stradale e autostradale, disponendo l'istituzione (poi sospesa) di una Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali;
    in risposta alla Commissione europea nella procedura di infrazione C(2006) 2006/2419 nei confronti del Governo italiano l'articolo 8-duodecies del decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59 è intervenuto a modifica della disciplina sulle concessionarie autostradali – di cui all'articolo 2, commi 82-90, del decreto-legge n. 262 del 2006 – in modo da escludere l'applicazione unilaterale delle convenzioni da parte del Governo, anche a rapporti concessori preesistenti, disponendo altresì – alla data di entrata in vigore del decreto – l'approvazione di tutti gli schemi di convenzione già sottoscritti dalle concessionarie autostradali con ANAS Spa sottraendoli all’iter ordinario di approvazione; con analoga disposizione la legge finanziaria 2010 (legge n. 191 del 2009) ha esteso l'approvazione di tutti gli schemi di convenzione a quelli già sottoscritti entro il termine del 31 dicembre 2009 (poi differito al 31 luglio 2010 dall'articolo 47 del decreto-legge n. 78 del 2010), con la sola condizione che gli schemi recepissero le raccomandazioni della delibera CIPE di approvazione;
    la finanziaria 2010 ha disposto, per le tratte autostradali con scadenza entro il 31 dicembre 2014, che l'Anas spa, entro il 31 marzo 2010, avviasse le procedure ad evidenza pubblica per l'individuazione dei nuovi concessionari;
    l'articolo 43, commi 1-4, del decreto-legge n. 201 del 2011, ha disposto, la procedura di approvazione degli aggiornamenti o revisioni delle convenzioni relative alle concessioni autostradali, che non fosse più prevista l'acquisizione del parere delle Commissioni parlamentari e, addirittura, nel caso in cui gli aggiornamenti o le revisioni non comportino variazioni al piano degli investimenti o ad aspetti di carattere regolatorio a tutela della finanza pubblica o, infine, nel caso in cui l'aggiornamento o la revisione riguardi concessioni i cui schemi di atti aggiuntivi siano già stati sottoposti al parere del CIPE alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 201, che non fosse più prevista l'acquisizione del parere anche del CIPE; in sostanza, gli aggiornamenti o revisioni delle convenzioni relative alle concessioni autostradali vengono approvati senza essere sottoposti al parere né del Parlamento né del CIPE;
    l'articolo 8-duodecies del decreto-legge n. 59 del 2008, ha inoltre introdotto un nuovo meccanismo di adeguamento tariffario che lega la variazione dei pedaggi – da una parte – al tasso di inflazione effettiva dell'anno precedente (fissandolo al 70 per cento quest'ultima) e – dall'altra – alla remunerazione degli investimenti;
    il decreto-legge n. 185 del 2008, ha introdotto un pacchetto di norme finalizzate al blocco e alla riduzione delle tariffe autostradali, disponendo l'estensione del nuovo sistema tariffario, su richiesta, a tutte le società concessionarie;
    l'articolo 3-ter del decreto-legge n. 135 del 2009, – con l'introduzione nell'ordinamento nazionale il cosiddetto federalismo infrastrutturale – cha disposto, per la realizzazione di infrastrutture autostradali previste dagli strumenti di programmazione allora in vigore, il trasferimento, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, delle funzioni e dei poteri di soggetto concedente ed aggiudicatore ad un soggetto di diritto pubblico appositamente costituito in forma societaria partecipato dall'ANAS e dalle regioni interessate o da soggetto da esse interamente partecipato, limitando però la costituzione di società miste Anas-Regioni per la sola realizzazione di infrastrutture autostradali di esclusivo interesse regionale, interamente ricadenti nel territorio di competenza di una singola regione; ha previsto inoltre che le società miste ANAS-Regioni potessero esercitare le sole funzioni di concedente espressamente escludendo quelle di concessionario;
    l'articolo 36 del decreto-legge n. 98 del 2011 ha affidato all'Agenzia per le infrastrutture potere di proposta sulla regolazione e sulle variazioni tariffarie per le concessioni autostradali secondo i criteri e le metodologie stabiliti dalla competente Autorità di regolazione dei trasporti, la quale avrebbe dovuto provvedere alla loro successiva approvazione; lo stesso decreto-legge n. 98 del 2011, ha introdotto un'articolata disciplina volta a ridefinire l'assetto delle funzioni e delle competenze in materia di gestione della rete stradale e autostradale di interesse nazionale, con l'istituzione a decorrere dal 1o gennaio 2012 dell'Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la conseguente ridefinizione delle funzioni di ANAS spa; tale Agenzia sarebbe dovuta subentrare ad Anas S.p.A. nelle funzioni di concedente per le convenzioni in essere e in tutti gli atti convenzionali con le società regionali, nonché con i concessionari autostradali;
    con la soppressione dell'Agenzia sono stati trasferiti al MIT a decorrere dal 1° ottobre 2012, le attività e dei compiti già attribuiti alla medesima; il MIT ha successivamente disposto l'istituzione della Struttura di vigilanza sulle concessionarie autostradali, cui sono state affidate le funzioni inizialmente affidate all'Agenzia;
    le competenze in materia di regolazione del settore autostradale sono tuttora attribuite in parte all'Autorità di regolazione dei trasporti, istituita ai sensi dell'articolo 37 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (cosiddetto salva Italia), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, così come modificato dall'articolo 36 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, e successive modificazioni; l'Autorità si è insediata da settembre 2013;
    l'articolo 37 del decreto-legge n. 201 del 2011 prevede che l'Autorità provveda, per incentivare la concorrenza, l'efficienza produttiva delle gestioni e il contenimento dei costi per gli utenti, le imprese e i consumatori, ad introdurre condizioni di accesso eque e non discriminatorie a tutte le infrastrutture di trasporto, e all'introduzione, solo per le nuove concessioni, di sistemi tariffari dei pedaggi basati sul metodo del price cap, con determinazione di indicatori di produttività a cadenza quinquennale per ciascuna concessione; a definire gli schemi di concessione da inserire nei bandi di gara relativi alla gestione o costruzione, gli schemi dei bandi relativi alle gare cui sono tenuti i concessionari autostradali per le nuove concessioni, e gli ambiti ottimali di gestione delle tratte autostradali, allo scopo di promuovere una gestione plurale sulle diverse tratte e a stimolare la concorrenza per confronto; delle concessioni esistenti invece continua ad occuparsi il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative dirette a introdurre opportune modifiche legislative allo scopo di prevedere l'acquisizione del parere delle Commissioni parlamentari e del CIPE per gli aggiornamenti o revisioni delle convenzioni relative alle concessioni autostradali entro un termine perentorio, senza silenzio-assenso al fine di rendere trasparenti e verificabili il rispetto delle condizioni contrattuali tra concedenti e concessionarie;
   in relazione all'urgente necessità di prevedere, per la competitività dei prodotti italiani, un contenimento dei costi di trasporto e una riduzione degli oneri per la mobilità dei pendolari, a predisporre misure volte ad evitare il grave impatto sulla timida ripresa del nostro sistema produttivo e sulle gravi difficoltà di famiglie e lavoratori pendolari e ad assumere iniziative per introdurre eventuali norme prescrittive «blocca-tariffe» su tutti gli atti convenzionali vigenti con i concessionari, o per individuare forme di aiuto e sgravio per delimitate categorie;
   a rendere immediatamente operativa, l'Autorità di regolazione dei trasporti, in particolare nell'espletamento dei compiti ad essa assegnati in materia di regolazione delle concessioni autostradali su tutti gli atti convenzionali vigenti con i concessionari e non solo sulle nuove concessioni;
   a verificare l'effettiva entità degli investimenti effettuati nel rispetto dei contratti sottoscritti e la distinzione tra essi ed i costi di gestione delle concessionarie;
   a valutare con le autorità dell'Unione europea la possibilità di individuare i meccanismi per favorire i grandi investimenti ancora necessari per alcune aree strategiche del nostro Paese anche in prossimità della scadenza di alcune concessioni;
   a garantire l'effettiva e tempestiva realizzazione degli investimenti sulla rete autostradale ed a prevedere che, qualora sia autorizzato un aumento – sempre contenuto entro prefissati limiti – delle tariffe autostradali per la copertura delle spese per la realizzazione di investimenti, sia specificato l'ammontare della spesa da finanziare e l'incremento massimo ammesso nonché le esenzioni, le riduzioni o le detrazioni in favore di determinate categorie di soggetti, stabilendo altresì il periodo massimo di applicazione della maggiorazione tariffaria, e soprattutto, che nel caso di mancato avvio del cantiere dell'infrastruttura autostradale entro due anni dalla applicazione della maggiorazione tariffaria i concessionari siano tenuti alla restituzione di tale maggiorazione, con applicazione di una riduzione tariffaria per un periodo equivalente.
(7-00220) «Mariani, Dallai, Braga, Gadda, Tino Iannuzzi, Bratti, Carrescia, Manfredi, Cominelli, Realacci, Mazzoli, Giovanna Sanna, Zardini, Morassut, Mariastella Bianchi, Arlotti, Borghi».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BOLOGNESI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo il comma 2 dell'articolo 22 della legge 9 luglio 1990, n. 185, concernente il controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento, i dipendenti pubblici civili e militari, preposti a qualsiasi titolo all'esercizio di funzioni amministrative connesse all'applicazione della legge medesima nei due anni precedenti alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, non possono nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto stesso fare parte di consigli di amministrazione o assumere cariche di presidente, vice presidente, amministratore delegato, consigliere delegato, amministratore unico e direttore generale, nonché assumere incarichi di consulenza, fatti salvi quelli di carattere specificamente tecnico-operativo, relativi a progettazioni o collaudi, in imprese operanti nel settore degli armamenti;
   il  successivo comma 3, stabilisce la sanzione per le imprese che violino tale disposizione, determinata nella sospensione per due anni dal registro nazionale delle imprese e consorzi di imprese operanti nel settore dei materiali di armamento, istituito presso il Ministero della difesa;
   risulta da notizie di stampa, che l'ammiraglio Giampaolo Di Paola – già Capo di Stato maggiore della Difesa, direttore nazionale degli armamenti e ministro della Difesa nel precedente Governo – e il generale Claudio De Bertolis, segretario generale della Difesa e direttore nazionale degli armamenti, abbiano assunto un incarico di consulenza con Finmeccanica, società che ha una posizione dominante nell'industria italiana della difesa –:
   se sia in grado di confermare o smentire la veridicità di tali notizie e in caso affermativo quali iniziative intenda assumere per interrompere una collaborazione che risulta, a giudizio dell'interrogante, sostanzialmente illegittima e comunque impropria in ragione dei ruoli rivestiti nel periodo immediatamente precedente al loro incarico di consulenza. (5-01857)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PRODANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'Automobile club Italia (ACI) è una federazione sportiva nazionale a carattere pubblico istituita all'inizio del novecento – riconosciuta dal CONI (che ogni anno gli destina non meno di 1.500.000 euro ricavati dalle tasse) e dalla Fédération Internationale de l'Automobile (FIA) – con l'obiettivo di favorire lo sviluppo dello sport automobilistico, del comparto dell'auto in Italia, di associare e tutelare gli automobilisti e di organizzare manifestazioni sportive;
   l'ACI è anche un ente pubblico non economico, su cui esercita la vigilanza il Ministero della giustizia, la cui attività principale riguarda la gestione del PRA e l'acquisizione dei relativi tributi (il bollo auto), oltre la fornitura di numerosi servizi erogati soprattutto attraverso società di sua proprietà (che operano «in house providing») rivolti sia ai propri soci che alla generalità degli automobilisti;
   il carattere speciale dell'ACI non riguarda solo la sua doppia «natura» giuridica ma anche la corresponsione ai propri vertici di indennità ed emolumenti esorbitanti, che contrastano con quelli di altre Federazioni sportive nazionali;
   a titolo esemplificativo si ricorda che nel 2010 il segretario generale dell'Automobile Club Italia, Ascanio Rozera, ha guadagnato 320 mila euro all'anno, l'allora presidente Enrico Gelpi circa 264 mila euro e 105 mila euro i vicepresidenti. Ai componenti dell'Assemblea generale, del Consiglio generale e del Comitato esecutivo è stato corrisposto, oltre alle rispettive indennità, anche un gettone di presenza pari a 41,32 euro;
   l'attuale presidente Angelo Sticchi Damiani, che esercita un potere assoluto anche sulle società controllate dall'ACI, è stato nominato al vertice dell'ente, come riportato da un articolo pubblicato da Il Fatto Quotidiano l'8 giugno 2012, alla vigilia di una sentenza della Corte dei conti che l'ha condannato, confermando il primo grado di giudizio, a pagare 21.986 euro per danno erariale arrecato proprio all'ACI per l'annullamento di una gara d'appalto per la promozione dei campionati italiani di automobilismo del triennio 1998-2000. Quest'abuso è costato all'ACI quattro milioni di euro di risarcimento danni pagati alla società Salerno Corse, che aveva vinto la gara d'appalto annullata, e diversi altri milioni di euro spesi in super consulenze per la difesa;
   la condanna ha carattere definitivo, visto che si tratta di un appello della Corte dei conti e in quanto tale non prevede ulteriori gradi di giudizio se non per aspetti inerenti la giurisdizione;
   con Sticchi Damiani sono state condannate altre sei persone – tutti componenti del Comitato esecutivo dell'ente ai tempi dei fatti considerati – giudicati «gravemente colpevoli», che dovranno versare allo Stato il 10 per cento del danno arrecato, circa 154 mila euro. Si tratta di Pasquale De Vita, attuale vicepresidente ACI che per decenni è stato anche presidente dell'Unione petrolieri italiani in chiaro conflitto di interessi, e Rosario Alessi, ex presidente dell'Automobile Club, oggi a capo di Sara Assicurazioni di proprietà dell'ACI;
   la permanenza di Sticchi Damiani alla guida dell'ACI contrasta con il codice etico dell'organizzazione e con quello del CONI, il Comitato Olimpico che esercita il controllo per quanto riguarda le attività sportive e che nel frattempo continua a elargire finanziamenti pubblici;
   proprio secondo il «Codice di Comportamento Sportivo» approvato dal CONI il 30 ottobre 2012, deve essere garantita l'onorabilità degli organismi sportivi (articolo 11) con la sospensione immediata in via cautelare, secondo le modalità previste, «dei componenti che sono stati condannati, ancorché con sentenza non definitiva, per i delitti indicati nell'allegato “A” o che sono stati sottoposti a misure di prevenzione o di sicurezza personale»;
   le stesse considerazioni riguardano De Vita e Alessi che ricoprono ruoli cruciali nelle controllate ACI Informatica e Sara assicurazioni di cui sono i rispettivi presidenti;
   secondo l'interrogante sarebbe opportuno che l'istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private (Isvap) si attivasse affinché sia revocata con effetto immediato a Rosario Alessi la carica di presidente della Sara, compagnia di assicurazioni tra le più affermate d'Italia;
   per la guida di un ente importante come l'ACI è opportuno scegliere una persona con un curriculum impeccabile, senza precedenti negativi, soprattutto se questi ultimi riguardano danni erariali rivolti proprio all'ente chiamato a dirigere –:
   se l'esecutivo intenda commissariare immediatamente l'associazione automobilistica che non può essere presieduta da un dirigente pubblico condannato per danno erariale, revocando immediatamente la nomina di Sticchi Damiani;
   quali misure urgenti s'intendano adottare per restituire credibilità all'ACI, sconvolta da scandali e spese di gestione disinvolte;
   se non si ritenga opportuno privare l'ACI della sua natura «ibrida», separando la federazione sportiva dalle funzioni proprie di un ente pubblico non economico. (4-03117)


   DAGA, BARONI, VIGNAROLI, TERZONI, ZOLEZZI, SEGONI, BUSTO, DE ROSA, BALDASSARRE, D'AMBROSIO, GAGNARLI, SPADONI e DE LORENZIS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 2 dicembre durante il Vertice Italia Israele è stato, tra gli altri, stipulato un accordo di collaborazione tra ACEA spa e la Mekorot Water Company ltd, ovvero la società idrica nazionale di Israele, nata nel 1937, che assicura il 70 per cento dei consumi israeliani, coinvolta direttamente nelle politiche israeliane di violazione dei diritti umani in questo settore;
   l'accordo è stato firmato alla presenza del primo Ministro italiano, Enrico Letta, e dell'omologo israeliano, Benjamin Netanyahu, oltre che dall'amministratore delegato ACEA: Paolo Gallo e dal direttore generale, Shimon Ben Hamo;
   Israele ha violato e continua a violare, sia in Cisgiordania sia nella Striscia di Gaza, il diritto internazionale come indicato da numerosi documenti di Organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani (Amnesty international e altre) e dai report dello special Rapporteur sulla situazione dei diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati dal 1967, l'ultimo dei quali porta la data del 3 giugno 2013;
   per fare solo un esempio, tratto dal Rapporteur in allegato, le previsioni dell'ONU sul collasso di Gaza a partire dal 2020 sono state confermate dai rappresentanti di ONG che hanno anche indicato come ottimistica questa previsione, in particolare in relazione con la qualità e la disponibilità dell'acqua, sostenendo un più realistico rischio già per il 2016. Le condizioni attuali, infatti, minacciano di scatenare un'epidemia sanitaria;
   l'appropriazione delle falde acquifere da parte di Israele ha negato ai palestinesi la possibilità di usare le proprie stesse risorse idriche per lo sviluppo della propria terra. In totale, Israele – attraverso Mekorot – pompa annualmente circa il 90 per cento della produzione acquifera delle montagne della Cisgiordania agli insediamenti e alle città poste all'interno di Israele, lasciando la popolazione palestinese con poche gocce che sono ben al di sotto degli standard indicati dall'Organizzazione mondiale della sanità;
   a seguito delle politiche israeliane di gestione dell'acqua i Palestinesi che vivono in Cisgiordania possono disporre di meno di 60 litri al giorno (rispetto ai 100 litri minimi secondo gli standard internazionali), mentre i coloni dispongono di almeno 300 litri al giorno;
   la Mekorot è attivamente impegnata nel mantenimento dell'occupazione israeliana: l'azienda fornisce quasi la metà dell'acqua per usi domestici consumata dalle comunità palestinesi della Cisgiordania, diventando così il più grande fornitore di acqua nei territori palestinesi occupati. Il controllo della Mekorot sul mercato dell'acqua palestinese è stato formalizzato e legittimato dagli accordi di Oslo, che obbligano l'autorità palestinese ad acquistare dalla società israeliana l'acqua estratta dalle falde acquifere dei territori palestinese, imponendo ai palestinesi uno stato di dipendenza dal quale la Mekorot trae profitti, mentre a loro è impedito di sviluppare un proprio settore idrico;
   il prezzo di base che Mekorot fa pagare ai coloni e ai clienti in Israele è di NIS 1,8 per metro cubo di acqua, rispetto a una media di NIS 2,5 per metro cubo per i palestinesi;
   la Vitens, il più grande fornitore di acqua potabile in Olanda, ha deciso cessare i suoi accordi di cooperazione con la compagnia nazionale israeliana dell'acqua Mekorot, a causa dell'impegno della Vitens verso la legalità internazionale;
   in merito a questo accordo, sul sito di Acea si legge:
    «in particolare, la collaborazione tra le due aziende si svilupperà nello scambio di esperienze e competenze nel settore del trattamento delle acque reflue, nella ricerca di soluzioni comuni per una gestione innovativa e sempre più efficiente delle reti di distribuzione di acqua potabile, oltre allo studio di soluzioni per la protezione e la sicurezza dei sistemi di approvvigionamento idrico. Inoltre, l'accordo sottoscritto oggi comprende anche la cooperazione nel campo del trattamento dei fanghi di depurazione delle acque reflue, oltre alla condivisione di conoscenza nel settore dell'incenerimento dei rifiuti»;
   Acea dovrebbe essere per il 51 per cento una società del comune di Roma e quindi un'azienda della città e dei suoi cittadini e visto che 1.200.000 romani hanno votato contro la privatizzazione e per eliminare i profitti dall'acqua e forse il comune dovrebbe porsi delle remore rispetto agli accordi economici siglati da una sua partecipata;
   ma in realtà ormai si tratta di una spa, ovvero un ente di diritto privato, nata pubblica nel 1909, è oggi una delle principali multiutility italiane. Quotata in borsa nel 1999, nel settore idrico il gruppo ACEA è il principale operatore nazionale con un bacino di utenza di oltre 8 milioni di abitanti, gestore del servizio idrico integrato – acquedotto, fognatura e depurazione – negli ambiti territoriali ottimali di Roma e Frosinone e nelle rispettive province. È presente, inoltre, in Toscana, Umbria e Campania eppure il titolo azionario in questi anni ha avuto un tracollo, perdendo oltre il 70 per cento del suo valore negli ultimi 10 anni;
    tale regime privatistico da 15 anni ha prodotto aumento della tariffa, un peggioramento della qualità dei servizi e delle condizioni lavorative dei suoi dipendenti. Dopo più di 10 anni di gestione del servizio idrico da parte di Acea Ato2 in molti comuni i cittadini non possono avere un'utenza idrica per mancanza di depuratori o perché questi sono stati posti sotto sequestro in quanto non conformi, un solo dato: il 30 per cento dei depuratori non è funzionante;
    l'Italia e Roma hanno un'esperienza millenaria nella gestione dell'acqua. La storia di Roma nasce sulle sponde del Tevere e nella Capitale le opere di adduzione e distribuzione della risorsa rappresentano anzi una delle caratteristiche più interessanti dall'approdo nell'Urbe dell'Acquedotto Vergine (Fontana di Trevi e Fontana del Pincio del 1936 per il Nuovo Acquedotto Vergine Elevato), dell'Acquedotto Felice (Fontana del Mosè), dell'Acqua Paola (Fontana di piazza Trilussa e Fontanone del Gianicolo), dell'Acqua Marcia (Fontana delle Naiadi) e del complesso acquedottistico Peschiera-Capore (Fontane di Piazzale degli Eroi e di Piazzale Ostiense), dobbiamo infatti aggiungere: le splendide fontane monumentali, che impreziosiscono le piazze più belle del centro storico a simboleggiare potenza e la lungimiranza di una città per secoli appellata caput mundi per non parlare degli innumerevoli «nasoni» da cui ancora oggi continuano ad attingere acqua ininterrottamente insieme alla popolazione dei rioni romani, i numerosi passanti e visitatori della città eterna. L'acqua dunque come espressione del potere costituito, della potenza economico-sociale o, più semplicemente e fedelmente, dell'impegno di un'amministrazione locale a servire la popolazione, dotandola della risorsa essenziale alla sua sopravvivenza –:
   come giustifichi il Governo italiano l'avallo alla stipula di un accordo che ad avviso degli interroganti contribuisce alle violazioni israeliane del diritto internazionale umanitario;
   se il Governo ritenga davvero necessaria questa collaborazione con un'azienda israeliana – con tutto ciò che comporta da un punto di vista logistico ed organizzativo – con il dichiarato obiettivo di farsi spiegare come si distribuiscono e gestiscono le risorse idriche;
   se il Governo sia certo che, al fine di porre rimedio alla situazione economica di Acea, fosse veramente necessario stipulare accordi economici con una multinazionale così compromessa dal punto di vista del diritto internazionale;
   se intenda introdurre un codice etico e di rispetto della legalità internazionale per le imprese italiane, almeno per quelle partecipate dagli enti locali, che dovrebbero essere emanazione diretta ed esempio per i cittadini. (4-03123)


   DAGA, VIGNAROLI, TERZONI, BUSTO, ZOLEZZI, SEGONI, DE ROSA, MANNINO, CRISTIAN IANNUZZI e BARONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   vari Governi nel corso degli anni, sono più volte intervenuti affinché la capitale potesse finalmente rispettare le direttive europee e le norme nazionali in materia di rifiuti;
   nonostante il contributo economico erogato dallo Stato, Roma continua ad avere problemi strutturali finanche nella raccolta e trattamento dei rifiuti indifferenziati, tali da rendere alcune zone della città sempre più sporche e degradate;
   gli impianti di trattamento meccanico biologico ubicati a Roma sono non solo obsoleti, ma soprattutto non lavorano a pieno regime durante l'intero arco dell'anno e dunque la raccolta dell'indifferenziato – soprattutto nei giorni festivi – subisce pericolosi rallentamenti che comportano il perdurare di situazioni di criticità in alcuni quartieri, laddove anche la semplice rimozione di contenitori utilizzati per la raccolta stradale diviene un serio problema nel momento in cui si deve lavorarne e smaltirne il contenuto;
   il 4 gennaio 2013, un articolo pubblicato dal quotidiano online Paese Sera denunciava il deposito e l'abbandono di circa 2000 cassonetti per la raccolta stradale dei rifiuti, molti dei quali ancora pieni, in un terreno adiacente un sito dell'Ama spa in località Rocca Cencia;
   dalle foto pubblicate dal quotidiano, risulta evidente che il summenzionato terreno non è recintato né sottoposto ad alcuna vigilanza, con evidenti rischi per la salute dei cittadini e per l'ambiente circostante;
   non risulterebbe chiaro agli interroganti quali motivi possano giustificare la collocazione di centinaia di cassonetti in tale area, senza l'applicazione delle opportune misure preventive previste dalla legge, né tantomeno a chi appartenga il suddetto terreno e a quali condizioni sia stato concesso ad Ama Spa di utilizzarlo come deposito;
   l'articolo 1, comma 358, della legge n. 228 del 2012 ha disposto che «In considerazione della situazione di grave criticità nella gestione dei rifiuti urbani nel territorio della provincia di Roma di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 22 luglio 2011 e successive modificazioni, al fine di non determinare soluzioni di continuità nelle azioni in corso per il superamento di tale criticità con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, viene nominato un commissario che provveda in via sostitutiva degli Enti competenti in via ordinaria»;
   con il decreto ministeriale 3 gennaio 2013 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha nominato Goffredo Sottile commissario straordinario per la gestione delle criticità legate al ciclo dei rifiuti nella provincia di Roma per 6 mesi con scadenza 7 luglio 2013;
   con il decreto ministeriale 27 giugno 2013 il Ministero ha prorogato di ulteriori 6 mesi il precedente mandato di Goffredo Sottile, il cui mandato non è stato finora rinnovato ed è quindi scaduto il 7 gennaio 2013;
   il comma 2 dell'articolo 4, del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 151 relativo a «Disposizioni Concernenti Roma Capitale», dispone che: «al fine di contribuire al superamento della crisi in atto nel ciclo di gestione integrata dei rifiuti nel territorio di Roma Capitale, per assicurare l'attuazione degli interventi previsti dal Protocollo d'intesa del 4 agosto 2012, «Patto per Roma», previa validazione da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del programma di lavoro triennale «Raccolta differenziata», ivi previsto, opportunamente rimodulato sulla base delle risorse rese disponibili, sono finalizzate nel limite di 6 milioni di euro per il 2013, 6,5 milioni di euro per il 2014 e 7,5 milioni di euro per il 2015, mediante corrispondente utilizzo delle risorse iscritte in bilancio, per i medesimi esercizi, ai sensi dell'articolo 10, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112;
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti sopra esposti e quali iniziative intenda assumere, per competenza;
   quali iniziative urgenti essi intendano assumere, nell'ambito delle rispettive competenze, al fine di far emergere le eventuali responsabilità amministrative e gestionali delle gestioni commissariali inerenti i gravi episodi di abbandono di cassonetti dell'AMA in località Rocca Cencia;
   se non ritengano necessario subordinare l'erogazione dei fondi, di cui al citato comma 2 dell'articolo 4 del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 151, almeno all'effettivo raggiungimento delle percentuali di raccolta differenziata già indicate all'articolo 205, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni;
   tenuto conto del fatto che tali gravissimi episodi dimostrano inequivocabilmente, nonostante sia scaduto il mandato del commissario straordinario, che l'emergenza rifiuti a Roma è tutt'altro che superata, quali interventi strutturali urgenti per quanto di competenza, il Governo intenda intraprendere al fine di risolvere lo stato di gravissima e perdurante crisi in cui versa la gestione dei rifiuti nella Capitale. (4-03126)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ALBANELLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la cenere vulcanica derivante dalle periodiche eruzioni dell'Etna determina seri problemi per lo smaltimento e la pulizia delle aree urbane in tutti i paesi alle pendici del vulcano fino alla città di Catania, compreso un vasto tratto del litorale jonico da Giarre a Taormina dove l'accumulo della cenere con uno strato di oltre 30 cm provoca danni ingenti all'agricoltura dei territori delle zone colpite;
   tale massa di cenere che deve essere smaltita, determinando un costo di spazzamento e conferimento che costringe i comuni ad interventi straordinari, costituendo un notevole appesantimento per i bilanci comunali già allo stremo di risorse economiche;
   la cenere vulcanica può essere recuperata e usata nell'edilizia, per esempio, come azolo (pietra lavica macinata) la quale trova il suo utilizzo come malta sin dal ’700 in edilizia nell'area del catanese, il suo riutilizzo nel settore edilizio rappresenterebbe un importante recupero di tradizioni e modalità costruttive originarie del luogo, divenendo fonte di sviluppo del territorio colpito dalle emissioni dell'Etna;
   tale riutilizzo potrebbe essere consentito derubricando la cenere vulcanica dallo status di rifiuto da smaltire avvalendosi del recente regolamento che disciplina i criteri per stabilire quando un rifiuto cessa di essere qualificato tale: End of Waste;
   la misura concretamente consentirebbe alla cenere di entrare nel ciclo virtuoso del recupero infatti la matrice della cenere vulcanica è un comune materiale che sotto forma di inerte lavico viene normalmente estratto dalle cave e commercializzato in varie forme;
   essa infatti soddisfa i criteri specifici previsti dall'articolo 184-ter del decreto legislativo n. 52 del 2006 introdotto dal decreto legislativo n. 205 del 2010 affinché un materiale non sia da considerare rifiuto: la sostanza o l'oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici; esiste un mercato o una domanda per tale sostanza o oggetto; la sostanza e/o l'oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; l'utilizzo della sostanza e/o dell'oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull'ambiente o sulla salute umana –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno verificare la possibilità di assumere iniziative dirette a superare la condizione giuridica di rifiuto per la cenere vulcanica proveniente dalle eruzioni dell'Etna. (5-01854)

DIFESA

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della difesa, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro della salute, il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
   in Italia, tra tumori e malattie asbesto-correlate, l'amianto uccide oltre 4000 persone all'anno (11 morti evitabili al giorno). Nel 2008, il IV Rapporto del Registro nazionale dei mesoteliomi ha censito 1422 nuovi casi di mesotelioma maligno, la punta dell'iceberg delle esposizioni professionali e ambientali all'amianto, con un trend dell'incidenza in costante aumento che porterà ad aumentare questi «numeri» fino al 2018/2020, continuando poi a mietere vite umane, dal completamento delle agognate bonifiche, per un altro mezzo secolo ancora;
   anche le Forze armate e tutto il comparto difesa sono travolti da questa tragedia; infatti, a causa dell'uso e all'abuso dell'amianto, tra le vaste aree e città del nostro Paese che hanno guadagnato il triste primato per morti per mesotelioma maligno – pleurico, peritoneale, del pericardio e della tunica vaginale del testicolo –, spiccano le sedi storiche delle basi navali e degli arsenali militari: La Spezia, Taranto, La Maddalena (Olbia-Tempio); il mesotelioma rappresenta la punta dell'iceberg delle patologie asbesto-correlate ed è anche un indicatore della pregressa esposizione ad asbesto; per questo è bene tenere presente che il III rapporto del Registro nazionale dei mesoteliomi (periodo di osservazione 1993/2004) indica il comparto difesa tra i settori economici maggiormente coinvolti nelle occasioni di esposizioni professionali, con una media del 4 per cento dei casi di mesotelioma maligno definiti a livello nazionale, con punte dell'11,8 per cento in Puglia, del 9 per cento nel Lazio, del 5 per cento in Piemonte e altro;
   sugli effetti «democratici» dell'amianto inconsapevolmente respirato dal personale militare nelle navi e nei sommergibili, il IV Rapporto 2012 del Registro nazionale dei mesoteliomi riporta che, considerando l'intera finestra temporale di osservazione (1993-2008) e i soli soggetti colpiti dalla malattia per motivo professionale, il settore della difesa militare risulta tra i maggiormente coinvolti (nel senso di un peso percentuale delle esposizioni in quel settore rispetto al totale), pari al 4,24 per cento del totale della casistica, con 463 casi di mesotelioma maligno con almeno un'occasione di esposizione ad amianto nel settore (M=459; F=4) di cui 215 casi (46,4 per cento) con esposizione esclusiva nel comparto difesa (M=212; F=3);
   da un'analisi dei sopra citati dati eseguita dalla AFeVA Sardegna Onlus, che considera i 215 casi – censiti in detto rapporto – con esposizione professionale esclusiva nel comparto difesa, si evidenzia che il numero dei casi del personale militare colpito da mesotelioma maligno con codici «Ateco 91», con esposizione esplicita nelle categorie di «macchina» e «coperta», sono complessivamente 147 (100 per cento), di cui 88 (59,9 per cento) casi nel personale di «macchina» e 59 (40,1 per cento) casi nel personale di «coperta». Questo significa che l'amianto respirato a bordo di una nave o di un sommergibile non ha fatto distinzione tra personale di «macchina» e personale di «coperta»;
   nel 1993, il legislatore, al fine di coprire il buco nero di omissioni, durato oltre quaranta anni, che ha caratterizzato l'uso e l'abuso dell'amianto nei luoghi di lavoro nel nostro Paese – applicando quanto la suprema Corte costituzionale ha più volte affermato in tema dell'inviolabilità del principio non negoziabile che, a parità di rischio, si deve garantire parità di tutela (per tutte, le sentenze della Corte costituzionale n. 206 del 1974 e n. 114 del 1977 – articoli 3 e 38 della Costituzione) – approva la legge n. 271 del 1993 di modifica dei commi 7 e 8 dell'articolo 13 della legge n. 257 del 1992, socializzando il costo di un'enorme colpa collettiva e riconoscendo a tutti i lavoratori esposti e malati a causa dell'amianto il diritto a un indennizzo pensionistico (attraverso una maggiorazione di contributi previdenziali), quantificato come segue:
    a) con il comma 7 dell'articolo 13 della legge n. 257 del 1992 – come modificato dall'articolo 1, comma 1-bis, della legge n. 271 del 1993 – si riconosce a tutti i lavoratori esposti alle fibre di amianto, che hanno contratto una malattia professionale asbesto-correlata, il diritto alla contribuzione aggiuntiva dell'intero periodo lavorativo di esposizione moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente di 1,5, indipendentemente dagli anni e dalla quantità di esposizione all'amianto;
    b) con il comma 8 dell'articolo 13 della legge n. 257 del 1992 – come modificato dall'articolo 1, comma 1, dalla legge n. 271 del 1993 – si riconosce a tutti i lavoratori, esposti per più di dieci (10) anni a rischio morbigeno qualificato alle fibre di amianto, il diritto alla contribuzione aggiuntiva dell'intero periodo lavorativo di esposizione moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente di 1,5;
   nonostante l'affermazione di questi inalienabili principi costituzionali, lo Stato, che, come visto, è stato uno dei principali utilizzatori di amianto, ha inaccettabilmente escluso il personale militare dall'applicazione delle sue stesse leggi;
   nel corso degli anni, l'impianto normativo originario, pensato per indennizzare tutti i lavoratori pubblici esposti e vittime dell'amianto e di altri cancerogeni inconsapevolmente respirati e ingeriti nel compimento delle proprie attività istituzionali, è stato costantemente svuotato dei contenuti rendendolo, di fatto, vacuo e formalmente inapplicabile, come se fosse stata messa in atto una strategia ben definita per ridimensionare la strage compiuta dall'amianto, principalmente nei confronti del personale civile e militare del comparto della difesa, a cosa di poco conto. La nuova normativa emanata dal Governo Berlusconi, con l'articolo 47 del decreto-legge n. 269 del 2003 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 2003), che secondo la comune opinione avrebbe, per prima, allargato, con decorrenza dal 1o ottobre 2003, la platea dei beneficiari per riconoscere «anche» ai dipendenti pubblici (dunque solo nel 2003) i diversi (minori) benefici, in realtà non ha introdotto niente di nuovo e tanto meno di positivo. La normativa è solo e soltanto più restrittiva, per i militari è addirittura «sacco vuoto», e l'unica nota positiva rilevabile è che ha lasciato intatti i diritti riconosciuti dal comma 7 dell'articolo 13 della legge n. 257 del 1992 (come modificati dalla legge n. 271 del 1993) a tutti i lavoratori che contraggono una malattia asbesto-correlata;
   per il personale militare esposto in cui la patologia non si è ancora manifestata, la sintesi chiara è la risposta, pubblicata lunedì 9 luglio 2012, del Ministro della difesa, ammiraglio Di Paola, all’ interrogazione n. 4-13579 del 13 ottobre 2011, presentata dall'onorevole Maurizio Turco: «(...) È il caso, tuttavia, di evidenziare, che la maggiorazione di servizio prevista dall'applicazione della normativa richiamata dall'interrogante (aumento di 1/4 del servizio svolto con esposizione all'amianto), anche laddove venisse riconosciuta, produrrebbe in molti casi (circoscritti al personale militare) effetti sostanziali alquanto limitati. Infatti, in base alla previsione normativa dell'articolo 1849, comma 1, del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo n. 66 del 2010, il periodo di servizio, del quale è prevista la maggiorazione ai fini pensionistici, può essere considerato una sola volta, secondo la normativa più favorevole. Pertanto, se consideriamo che la quasi totalità delle richieste interessa personale della Marina militare e dell'Aeronautica militare, già beneficiario per imbarco/volo dell'aumento di 1/3 del servizio svolto, la maggiorazione prevista non potrà, comunque essere, concessa»;
   dalla medesima risposta si evince, inoltre, che, al 9 luglio 2012, «per quanto riguarda il personale militare» erano state presentate «n. 13.939 richieste di concessione di benefici ai sensi della citata legge n. 326 del 2003 – tra le quali sono state definite, negativamente, n. 186 richieste presentate dal personale dell'Arma dei carabinieri, in quanto non sono stati individuati, dall'Arma stessa, siti in cui possa essersi verificata una possibile esposizione all'amianto – mentre, per quanto concerne il personale civile, sono state presentate, allo stato, n. 8.000 istanze; il Ministero delle politiche agricole e forestali ha comunicato che, dal 2005 ad oggi, hanno prestato servizio con esposizione all'amianto n. 25 dipendenti del Corpo forestale dello Stato, per i quali è stata disposta una ricongiunzione dei periodi, con relativa maggiorazione»;
   nel Piano nazionale amianto, approvato dal Governo il 24 marzo 2013, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, accogliendo le istanze di superamento della discriminazione subita dai militari esposti e malati a causa dell'amianto respirato nelle navi e nelle installazioni militari, rivolte sul tema da parte dell'Associazione familiari e vittime dell'amianto Sardegna. AFeVA Sardegna Onlus (già AIEA Sardegna) –, nella parte relativa alla «MACROAREA SICUREZZA DEL LAVORO E TUTELA PREVIDENZIALE.(...) – OBIETTIVO 2 – Benefìci previdenziali: risoluzione delle disarmonie della normativa di attuazione per i lavoratori civili e militari e recepimento della procedura tecnico di accertamento dell'esposizione qualificata utilizzata dall'INAIL», a pagina 38 scrive: «(...) Sotto altro profilo, nel rispetto della normativa primaria, l'opportunità di una revisione del decreto ministeriale 27 ottobre 2004 con riferimento alla “determinazione del beneficio pensionistico”, improntando tale revisione a criteri di maggiore aderenza alle finalità dell'intervento legislativo. Ciò, in particolare con riferimento al settore marittimo, nonché, in collaborazione con le altre amministrazioni interessate, nei confronti dei militari affetti da patologie asbesto correlate»;
   l'amianto respirato a bordo di una nave o di un sommergibile non fa distinzione tra personale di «macchina» e personale di «coperta», come invece sembra che l'Inail stia facendo;
   le norme attualmente in vigore e gli atti conseguenti, sebbene riconoscano formalmente che il personale militare che ha ottenuto il rilascio del curriculum da parte del Ministero della difesa è stato esposto ad amianto ben oltre le soglie minime di legge, non consentono al detto personale di accedere ai «benefici previdenziali» previsti dalla normativa di settore per la totalità degli altri lavoratori –:
   se sia intendimento del Governo, del Ministro della difesa e del Ministro del lavoro e delle politiche sociali superare l'inaccettabile somma di discriminazioni subite dal personale militare esposto all'amianto o affetto da patologie asbesto-correlate, adottando apposito atto di indirizzo che riconosca al personale militare delle Forze armate e delle forze di polizia, compresa l'Arma dei carabinieri, senza distinzione di mansioni-categorie, in possesso del curriculum lavorativo rilasciato dal Ministero della difesa attestante l'adibizione, in modo diretto ed abituale, ad attività lavorative comportanti l'esposizione all'amianto o al medesimo personale affetto da malattie o patologie asbesto-correlate, accertate da parte del competente dipartimento militare di medicina legale, di cui all'articolo 195, comma 1, lettera c), del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, in deroga agli articoli 1849 e 2264 del citato decreto-legge n. 66 del 2010, i benefici previdenziali nella misura di 1,5 del periodo di esposizione all'amianto, accertato dal citato curriculum, ovvero, in mancanza dello stesso, per analogia con altri casi, dall'estratto del foglio matricolare;
   se il Governo condivida l'interpretazione data dall'Inail all'articolo 12-bis del decreto-legge n. 11 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 38 del 2009, in forza del quale nega di emettere la «certificazione» al personale militare affetto da patologie asbesto-correlate, seppure in possesso del «curriculum» lavorativo attestante l'esposizione all'amianto, precludendo, di fatto, ai lavoratori militari l'applicazione del comma 7, dell'articolo 13, della legge n. 257 del 1992, il quale riconosce a tutti i lavoratori esposti alle fibre di amianto, che hanno contratto una malattia professionale asbesto-correlata, il diritto alla contribuzione aggiuntiva dell'intero periodo lavorativo di esposizione moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente di 1,5, indipendentemente dagli anni e dalla quantità di esposizione all'amianto;
   se corrisponda al vero la notizia diffusa nei giorni scorsi dalla AFeVA Sardegna Onlus secondo la quale i dipendenti dello Stato vittime dell'amianto, in cui la patologia si sia manifestata dopo l'entrata in vigore dell'articolo 6 del decreto-legge n. 201 del 2011 – Salva Italia – convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, (ossia il 28 dicembre 2011) sono esclusi dalle provvidenze previste per le vittime del dovere, in quanto, da quella data, è stato abolito l'istituto dell'accertamento della dipendenza dell'infermità da causa di servizio per talune categorie di lavoratori e, nel caso affermativo, se sia intendimento del Ministro della difesa e del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione assumere iniziative per fare salvo l'istituto dell'accertamento della dipendenza delle infermità da causa di servizio nei procedimenti per il riconoscimento dello status di vittima del dovere, per il rimborso delle spese di degenza per causa di servizio, dell'equo indennizzo e della pensione privilegiata ordinaria nei confronti di quanti, a causa della mancanza di protezioni e di informazioni, sono morti o si sono ammalati per aver inalato o ingerito amianto e altri cancerogeni, come si è espresso il Consiglio di Stato con il parere 4 maggio 2010 n. 02526;
   se sia intendimento del Governo e del Ministro della difesa rendere pubblici i risultati delle indagini ambientali, epidemiologiche statistiche e diagnostiche eseguite a cavallo degli anni ’60-’70 dalla clinica di medicina del lavoro di Bari presso l'arsenale della marina militare di Taranto e dalla clinica del lavoro di Milano, con la collaborazione dell'istituto di medicina del lavoro di Genova presso l'arsenale della marina militare di La Spezia, e i risultati di tutte le altre indagini esterne eventualmente autorizzate in seguito;
   se sia intendimento del Governo e del Ministro della difesa rendere pubblici il numero dei casi dei tumori (polmonari, del mesotelio-pleura, pericardio peritoneale, tunica vaginale del testicolo, della laringe, della faringe, dello stomaco e del colon retto) e delle patologie asbesto-correlate (asbestosi, placche e ispessimenti pleurici, atelettasie, broncopneumopatia cronica ostruttiva da asbesto e altro) che hanno colpito il personale militare e civile a causa dell'esposizione all'amianto presente nel naviglio, nei mezzi e nelle installazioni dello Stato, riconosciute dalle competenti commissioni mediche ospedaliere dipendenti da causa di servizio o da fatti inerenti il servizio svolto, relativamente all'intero comparto difesa suddivisi, per anno, per arma e, all'interno di queste, per categorie/mansioni/grado, a partire dal 1986;
   se sia intendimento del Governo e del Ministro della difesa rendere pubblico l'esito dello studio epidemiologico conoscitivo sull'incidenza delle patologie asbesto-correlate nell'ambito delle categorie lavorative per il personale civile e militare delle Forze armate, avviato nel 2011 dalla direzione generale della sanità militare in collaborazione con l'università la Sapienza di Roma;
   con quali mansioni e in quali contesti operativi abbiano prestato servizio con esposizione all'amianto i 25 dipendenti del Corpo forestale dello Stato ai quali, dal 2005 ad oggi, risulta essere stata disposta una ricongiunzione dei periodi, con relativa maggiorazione.
(2-00363) «Migliore, Piras».

Interrogazione a risposta scritta:


   VEZZALI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 10 maggio 2012, nell'ambito di una missione di pace in Kosovo, la dottoressa Barbara Balanzoni, all'epoca dei fatti ufficiale medico presso la base militare italiana in Kosovo, aiutava una gatta, mascotte della base italiana militare, in evidente stato di difficoltà, a partorire i suoi cuccioli;
   secondo il racconto del medico Balanzoni, la gatta, proprio perché visibilmente sofferente nel partorire rischiava la propria vita e quella dei suoi piccoli;
   questo gesto è stato punito con cinque giorni di consegna per «disobbedienza aggravata continuata» per non aver rispettato il divieto firmato dal comandante della base di avvicinare animali randagi;
   con la sua azione, il medico tenente dell'esercito italiano ha aiutato il povero animale a partorire salvando la vita anche ai suoi cuccioli;
   il 7 febbraio 2014 la donna sarà processata davanti al tribunale militare di Roma, dopo il rinvio a giudizio del mese di dicembre da parte del Gup, nel quale si rileva che la stessa «in esecuzione di un medesimo disegno criminoso disobbediva all'ordine scritto, datato il 6 maggio 2012, a firma del comandante della Base, riguardante il divieto di avvicinare o farsi avvicinare da animali selvatici, randagi o incustoditi, venendo così morsa»;
   di fatto, il medico Balanzoni riferisce di non essere stata morsa ma graffiata da un animale spaventato;
   la vicenda, ha sollevato proteste e la solidarietà di cittadini e l'appoggio di enti per la protezione animali a cui si aggiungono le firme raccolte in suo favore;
   l'interrogante ritiene grave che in Italia si venga processati, nell'ambito di missioni di pace, solo perché si è salvata la vita ad un animale che rischiava di morire di parto, per di più senza che tale atto compromettesse qualsiasi azione legata agli interventi di pace della missione –:
   se non intenda assumere iniziative affinché eventuali sanzioni in relazione a difformità relative ad ordini provenienti da vertici militari, anche in aree di operazioni, non producano effetti paradossali come quelli descritti in premessa. (4-03124)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


   PISICCHIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   è stato posto in discussione nella commissione competente della Camera, la XIV, il recepimento di una direttiva europea, importante per la realizzazione dell'Unione Bancaria, sull'accesso all'attività e sulla vigilanza prudenziale degli enti creditizi (la 2013/36/UE, c.d. CRD IV), approvata dal Parlamento e dal Consiglio europei lo scorso 26 giugno 2013;
   l’iter di recepimento nel nostro ordinamento della citata direttiva è iniziato, con la presentazione del disegno di legge recante «Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea – Legge di delegazione europea 2013 – secondo semestre», attualmente in fase di prima lettura, assegnato in sede referente alla XIV Commissione della Camera dei deputati, con i previsti pareri delle competenti commissioni;
   non considerando l'avvio dei lavori da parte della Commissione Politiche dell'Unione europea, la Banca d'Italia ha posto in consultazione in data 16 dicembre 2013 un documento contenente «Disposizioni di vigilanza in materia di organizzazione e governo societario delle banche» sostanzialmente volto a recepire la direttiva 2013/36/UE prima ancora che, come rammentato, il Parlamento abbia legiferato sulla materia;
   considerata dunque la circostanza che la bozza di disposizioni di vigilanza in questione contiene, come riportato testualmente dalla Banca d'Italia, il recepimento di «innovazioni introdotte dalla direttiva 2013/36/CE (cosiddetto CRD IV)», prima ancora del recepimento nell'ordinamento italiano di detta direttiva, cui è prioritariamente chiamato il legislatore nazionale, non si può non interrogarsi sulla necessità di assicurare un efficace coordinamento tra le disposizioni di recepimento adottate a vari livelli; va oltretutto considerato che la bozza di documento appare contenere, per quanto consta all'interrogante, importanti modifiche del quadro normativo nazionale, anche al di là di quanto previsto dalla richiamata direttiva –:
   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere affinché in un settore di tale rilevanza non si determinino distonie ed equivoci nel procedere alla modifica del quadro normativo in vigore. (4-03118)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   AIRAUDO, DANIELE FARINA, LAVAGNO e SANNICANDRO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 17 dicembre 2013, presso il carcere Le Vallette di Torino, un agente di polizia penitenziaria ha sparato ad un ispettore, uccidendolo, e in seguito ha usato la stessa pistola verso se stesso, uccidendosi;
   a scatenare il raptus omicida sarebbe stato un diverbio tra colleghi sui turni natalizi nell'ambito di una situazione, quale quella che caratterizza l'istituto di pena torinese, di grande tensione per la carenza di organico e il sovraffollamento carcerario;
   lo stesso direttore del carcere, Giuseppe Forte, a commento del tragico episodio, ha sottolineato quanto già da tempo sollevato anche dalle organizzazioni sindacali della polizia penitenziaria riguardo ai problemi dell'istituto, con tutte le relative conseguenze in termini di pressione e tensione sugli agenti nello svolgimento del lavoro in carcere;
   la problematica relativa alla carenza di personale – e non solo tra le file della polizia penitenziaria, ma anche delle restanti figure che operano all'interno del carcere «Le Vallette» – era stata peraltro già oggetto di un'interrogazione parlamentare presentata dagli interroganti in data 27 novembre 2013 (atto 5-01583);
   nonostante, nella risposta, il Sottosegretario alla giustizia, on. Berretta, abbia dato conto di prossime 555 assunzioni di agenti e vice ispettori delle polizia penitenziaria, e da impiegare su tutto il territorio, questi dovrebbero in ogni caso concludere il corso di formazione di sei mesi prima dell'assegnazione agli istituti di pena; dunque, non sarebbero «operativi» prima di metà dell'anno 2014 –:
   quali iniziative urgenti ritenga di porre in essere al fine di dare risposta in tempi celeri alle problematiche che affliggono da tempo – e, in particolare – il carcere «Le Vallette» di Torino, anche al fine di evitare il ripetersi di nuovi episodi drammatici in tale istituto. (5-01856)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CATALANO, LIUZZI, GALLINELLA, DE LORENZIS e NICOLA BIANCHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   Ferrovie dello Stato ha riferito che nella quota di intercity effettuati a mercato che percorrono la linea dorsale tra Roma e Firenze, e servono varie destinazioni, (da Milano, Trieste-Venezia sino a Roma-Napoli-Salerno) rientrano sei coppie di collegamenti che svolgono spesso, per buona parte, un servizio di cabotaggio servendo flussi di pendolari che li utilizzano per tratte limitate, sostanzialmente paragonabili a quelle del trasporto ferroviario locale;
   i treni presentano ormai da tempo un rapporto costi-ricavi fortemente negativo, con perdite rilevanti: è stata quindi preannunciata la loro soppressione;
   l'inserimento dei convogli nel perimetro del «servizio universale» comporterebbe un onere aggiuntivo pari a circa 30 milioni di euro la cui copertura, in assenza dei corrispondenti stanziamenti, potrebbe essere assicurata solo da variazioni compensative di altri servizi inclusi nel contratto vigente, valido per il 2009-2014;
   l'articolo 21 del decreto legge n. 98 del 2011 «Disposizioni Urgenti per la stabilizzazione finanziaria», convertito con modificazioni dalla legge n. 111 del 2011 stabilisce che «dal 13 dicembre 2011 è introdotto un sovrapprezzo al canone dovuto per l'esercizio dei servizi di trasporto di passeggeri a media e lunga percorrenza, non forniti nell'ambito di contratti di servizio pubblico, per la parte espletata su linee appositamente costruite o adattate per l'alta velocità, attrezzate a velocità pari o superiori a 250 chilometri orari»;
   il sovrapprezzo è stabilito, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sulla base dei costi dei servizi universali di trasporto ferroviario di interesse nazionale oggetto di contratti di servizio pubblico, senza compromettere la redditività economica del servizio di trasporto su rotaia al quale si applica;
   i collegamenti di media e lunga percorrenza nazionali, quali gli intercity compresi nel contratto di servizio orientati a tutelare il diritto alla mobilità sulle tratte nazionali, possono esser utilizzati dai pendolari quando gli orari di transito lo consentono, rivestendo così una rilevante funzione anche per il trasporto pubblico locale;
   a fronte della scarsa attenzione del gestore per le tratte non commerciali, sia in termini di investimento che di gestione dei contratti, si registra negli ultimi cinque anni, come si legge nel rapporto Pendolaria 2012, un aumento dell'offerta dell'Alta Velocità del 395 per cento;
   nel piano industriale 2011-2015 Trenitalia individua, tra le strategie del Gruppo FS, l'offerta flessibile con incremento nelle ore di punta;
   si apprende dalla stampa che la regione Toscana ha deciso di non rinnovare a Trenitalia il contratto di servizio per il trasporto regionale e di indire una gara internazionale per il trasporto ferroviario;
   risulterebbe all'interrogante che, ad oggi, il sovrapprezzo succitato non sia stato introdotto –:
   se non ritenga urgente intervenire per garantire i convogli, operando al contempo, nell'ambito del servizio universale, le variazioni compensative succitate, al fine di non pregiudicare il servizio per gli altri utenti;
   quali siano le ragioni della mancata introduzione del sovrapprezzo;
   se non ritenga opportuno autorizzare l'utilizzo dell'extra canone per il finanziamento del cabotaggio pendolare nelle tratte a mercato, oppure per consentire l'estensione, opportunamente definita dall'Autorità dei Trasporti, del servizio universale alle tratte interregionali. (5-01853)


   LIUZZI, DE LORENZIS e CRISTIAN IANNUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo il rapporto «Pendolaria 2013», nel 2013 sono stati oltre 2 milioni e 861 mila i passeggeri sul servizio ferroviario regionale;
   dall'importante campagna sulla mobilità sostenibile «Pendolaria 2013» promossa annualmente da Legambiente si evince che fin dal 2009 mentre i passeggeri aumentavano del 17 per cento, le risorse statali per il trasporto regionale si sono ridotte del 25 per cento;
   negli ultimi venti anni lo Stato italiano ha investito massicciamente per realizzare la rete ad Alta Velocità/Alta Capacità (AV/AC), che è ormai ad un buon livello di avanzamento, con la dorsale Nord-Sud da Torino a Salerno completa, a parte qualche intervento ancora necessario sui nodi;
   tuttavia esaminando i dati in dettaglio dell'esercizio di Trenitalia si nota che i tagli sull'offerta viaggiatori di medio/lunga percorrenza sono tutti concentrati sui servizi «universali contribuiti» ossia quei servizi che non sono in grado di garantire la propria redditività e quindi, in quanto ritenuti di pubblica utilità, sono sovvenzionati dallo Stato attraverso un contratto di servizio stipulato da Trenitalia spa con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   nonostante il successo dei servizi AV, questi non sono sufficienti a colmare le perdite di traffico subite dagli altri segmenti di traffico passeggeri di lunga distanza e che di conseguenza, i cittadini si stiano nel complesso disaffezionando al treno come mezzo di trasporto interregionale, nonostante l'evenienza del caro petrolio stia giocando a sfavore delle alternative stradale ed aerea;
   occorre notare come sull'autotrasporto siano stati stanziati dal 2000 al 2013 oltre 5,3 miliardi di euro. Il pacchetto di incentivi che è andato ad aiutare gli autotrasportatori in questi anni riguarda fondi diretti al sostentamento del settore (300 milioni l'anno), sconti sui pedaggi autostradali (120 milioni in media ogni anno), riduzioni sui premi INAIL e RCA (rispettivamente 105 e 22 milioni) oltre a deduzioni forfettarie non documentate per circa 113 milioni annui. Si tratta quindi di circa 500 milioni in media l'anno (con una punta di oltre 720 milioni nel 2009) a cui vanno aggiunti 330 milioni di euro già stanziati per il 2014. Dovrebbe essere invece incentivato, a detta dello scrivente, il trasporto su ferro rispetto a quello su gomma;
   l'impegno nel sostenere il trasporto su gomma a scapito di quello su ferro è anche poco sostenibile dal punto di vista ambientale poiché la modalità ferroviaria è caratterizzata da un'elevata efficienza energetica del trasporto. Nel complesso le emissioni di CO2 prodotte dal treno sono risultate sempre molto più basse di quelle delle due principali modalità di trasporto alternative sulle medio-lunghe distanze, l'auto privata e l'aereo. Infatti, mentre ad un viaggiatore che utilizzasse il treno sulla tratta Napoli-Milano sarebbero imputabili 31 chilogrammi di CO2 emessi in atmosfera, lo stesso viaggiatore che impiegasse l'aereo produrrebbe emissioni quattro volte superiori e se utilizzasse l'auto privata emetterebbe il doppio rispetto al treno;
   i vantaggi, oltre agli aspetti che riguardano inquinamento atmosferico, effetto serra, congestione e sicurezza, sono evidenziati già dai risultati di analisi condotte a livello Europeo e nazionale, primi fra tutti il progetto comunitario ExterneE Transport che ha contribuito in maniera determinante a creare una consapevolezza delle importanti differenze nei costi sociali generati dalle cosiddette esternalità delle diverse modalità di trasporto, per una migliore valutazione delle alternative in fase di realizzazione dei progetti e di gestione del sistema;
   secondo i dati del rapporto «Pendolaria» di Legambiente 2012, il costo del biglietto ferroviario è aumentato in media del 10 per cento in tutte le regioni italiane, mentre il servizio è stato ridotto. Il 2012 ha rappresentato l'apice del disastro del trasporto locale a causa dei ripetuti tagli ai servizi che già nel 2011 avevano riguardato tutte le regioni, ad esclusione di Lombardia e Calabria, a fronte di aumenti tariffari applicati in 19 regioni su 20 (elaborazione di Legambiente su dati di regioni e Trenitalia);
   il rapporto «Pendolaria 2013», stilato da Legambiente sullo stato delle tratte ferroviarie del nostro Paese, annovera tra le 10 linee peggiori d'Italia la tratta Salerno-Potenza. Gli indicatori per tale classifica sono dati da vari aspetti: dalle riduzioni delle corse alla lentezza, dai disservizi al sovraffollamento. Tra l'altro, nella certo non invidiabile classifica, la tratta Potenza-Salerno si piazza al quarto posto, soltanto dopo la Circumvesuviana, la Roma-Nettuno e la Padova-Calalzo;
   a titolo di esempio, occorre ricordare come in Basilicata per muoversi tra i due capoluoghi di Provincia, Potenza e Matera, con Trenitalia sono necessari 2 cambi (a Foggia e Bari) ed un tempo di percorrenza che sfiora le 7 ore, per una distanza di circa 100 chilometri, a una media oraria di 14,5 chilometri/orari;
   la Basilicata resta fanalino di coda in un sistema di trasporti, quello ferroviario, che penalizza i suoi abitanti e ne impedisce lo sviluppo del turismo. I tempi di percorrenza solo lunghi e tutti effettuati su vagoni privi di alcun tipo di confort;
   Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente ha recentemente dichiarato a mezzo stampa che: «la situazione diventa ogni giorno più difficile per quei tre milioni di cittadini che ogni giorno prendono il treno per andare a lavorare. Eppure di quella che è una vera e propria emergenza nazionale, la politica non sembra intenzionata a occuparsi»;
   dal 2001 la competenza sul servizio ferroviario pendolare è in mano alle regioni che definiscono contratti di servizio con i concessionari (in larga parte Trenitalia), mentre per il funzionamento del servizio ferroviario regionale le risorse sono garantite da finanziamenti statali e regionali. A livello statale la riduzione dei finanziamenti è stata costante in questi anni, con una diminuzione delle risorse nazionali stanziate nell'ultimo triennio (2010-2012) pari a -22 per cento rispetto al triennio precedente (2007-2009) –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda perseguire per incentivare il trasporto pendolare ferroviario a scapito di quello su gomma, come ad esempio, dare certezza pluriennale di risorse spostando il finanziamento della legge obiettivo dalla strada al ferro;
   quali iniziative intenda assumere per quanto di propria competenza ed in raccordo con le amministrazioni coinvolte, al fine di far fronte alla situazione di vera e propria emergenza in cui versa il settore del trasporto pubblico locale lucano, sia per migliorare la qualità di un servizio indispensabile che per garantire un'adeguata mobilità per lo sviluppo territoriale alternativo all'utilizzo del mezzo privato;
   se il Ministero in oggetto non ritenga di dover avviare un tavolo tecnico di lavoro con il coinvolgimento delle amministrazioni locali della Basilicata sulla mobilità regionale che veda la presenza di associazioni studentesche, comitati pendolari, associazioni ambientaliste, Trenitalia e RFI. (5-01855)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GALLINELLA, CIPRINI, GAGNARLI, DE LORENZIS e LIUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 26 dicembre 2013 il treno 22217 Campobasso-Roma, ha accumulato un ritardo di 104 minuti a fronte di un viaggio complessivo inferiore alle 3 ore; la vettura, a trazione diesel, ha, infatti, effettuato innumerevoli quanto inspiegabili soste lungo il tragitto;
   l'episodio – anche secondo quanto appreso dagli interroganti da passeggeri e macchinista del veicolo – non è certo isolato e, specie nei giorni di pioggia l'apparato ferroviario e la segnaletica si danneggiano ed impediscono il corretto funzionamento del trasporto su ferro;
   molte sono state le segnalazioni – rimaste senza riscontro – alla RFI-Rete ferroviaria italiana, gestore dell'intera rete della struttura ferroviaria nazionale, e responsabile dello sviluppo tecnologico e dei materiali dell'infrastruttura, nonché del mantenimento e assicurazione della sua efficienza;
   la Roma-Isernia-Campobasso si trova, secondo i risultati di una ricerca condotta da Legambiente sull'intera rete nazionale di trasporto su ferro, tra le dieci linee ferroviarie peggiori d'Italia, soprattutto a causa di treni vecchi e della presenza di un unico binario tra le stazioni di Campobasso e Venafro, condizioni che costringono spesso chi vorrebbe recarsi nella capitale con il treno ad optare, invece, per l'automobile;
   oltre alla Roma-Campobasso, nella triste classifica stilata da Legambiente troviamo la Circumvesuviana, che dal 2011 al 2013 ha ridotto le corse del 40 per cento a fronte di oltre 100 mila utenti al giorno e chiuso 22 biglietterie; la Roma-Nettuno: 52 chilometri di cui 20 a binario unico, carrozze sovraffollate, ritardi cronici e disservizi; molte linee pendolari di Torino (ben 13 quelle tagliate dal ad oggi); la Padova-Belluno-Calalzo, linea di 155 chilometri che vengono percorsi a circa 50 chilometri orari; la Arquata Scrivia-Genova Brignole che collega Genova con il Piemonte attraverso 46 chilometri su 63 a binario unico; la Mantova-Cremona-Milano che collega i due capoluoghi con Milano, conta 10 mila pendolari ogni giorno e su 151 chilometri ben 91 sono a semplice binario; la Siracusa-Ragusa-Gela linea che collega tre province non elettrificata e a binario unico, dove la media di velocità è di 55 chilometri orari; la Bologna-Porretta Terme con almeno 10.000 utenti al giorno con punte di 20.000 che denunciano continue soppressioni, quotidiani ritardi, guasti sempre più frequenti e, infine, la Potenza-Salerno con convogli che non raggiungono i 50 chilometri orari di velocità e impiegano 2 ore e mezza per arrivare a destinazione, che si tratti di regionali o di Intercity;
   secondo quanto denunciato dalla stessa Legambiente, gli stanziamenti erogati dalle regioni per il servizio ferroviario sono talmente risibili da non arrivare in media nemmeno allo 0,4 per cento dei bilanci;
   la gestione di sviluppo del trasporto su ferro in Italia degli ultimi anni si è rivelata, a parere dell'interrogante, completamente inefficiente a garantire un trasporto adeguato in tutto il Paese e bilanciato sulle sempre maggiori esigenze di pendolarismo dei cittadini; privilegiando in maniera pressoché totale i treni ad alta velocità e abbandonando completamente quelli quotidianamente utilizzati dai cittadini, sia per quanto riguarda le vetture che per ciò che concerne le infrastrutture;
   in base a quanto esposto la politica di gestione del Gruppo Ferrovie dello Stato per ciò che attiene il servizio offerto ai pendolari italiani appare gravemente inefficace –:
   se intenda attuare con urgenza un piano di revisione dell'intera rete ferroviaria nazionale, che comprenda anche l'ammodernamento di strutture ed infrastrutture della rete, al fine di mettere fine ad un così evidente spettacolo di inefficienza e sviluppare il trasporto su ferro in tutta Italia, garantendo a tutti i cittadini di muoversi liberamente ed in maniera decorosa su tutto il territorio;
   se non intenda promuovere ed incentivare la mobilità sostenibile in Italia, effettuando studi mirati sul pendolarismo in ogni regione ed adeguando il servizio offerto da Ferrovie dello Stato ai reali fabbisogni dei cittadini. (4-03116)


   RAMPELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 19 novembre 2013 un violento nubifragio si è abbattuto sulla provincia di Catanzaro ed in particolare sulla fascia dell'Alto Ionio, dal mare sino alla Sila;
   in seguito al nubifragio si sono verificati gravissimi problemi di viabilità, derivanti dalla chiusura della strada provinciale 25 che collega tutta la zona alla città di Catanzaro, che impediscono la normale vivibilità in interi paesi della presila, essendo impossibile raggiungere scuole, uffici, e ospedali, e determinano un inasprimento della crisi che già affligge le attività produttive e commerciali della zona, che ora si trovano in uno stato di quasi totale isolamento;
   diversi comuni della zona hanno chiesto il riconoscimento dello stato di calamità naturale –:
   quali iniziative abbia assunto o intenda assumere per il ripristino delle infrastrutture danneggiate. (4-03121)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nell'attuale anno accademico 2013-2014, il numero degli iscritti alla facoltà di medicina e chirurgia, inizialmente di circa 10.000 studenti, è ulteriormente cresciuto anche per l'inserimento tardivo di un gruppo di studenti per la vicenda relativa alla sospensione del bonus degli esami di maturità;
   contestualmente il numero di studenti che si è laureato in medicina e chirurgia è stato di circa 7.000 unità, mentre lo Stato ha garantito alle scuole di specializzazione il finanziamento di una dotazione di contratti ministeriali inizialmente pari a n. 2.500, ampliata successivamente fino a raggiungere le 3.500 unità: la metà del fabbisogno;
   nonostante la probabile riduzione di un anno di corso in alcune delle scuole di specializzazione, sempre nel pieno rispetto della normativa europea, la riduzione del Fondo di finanziamento ordinario, nel migliore dei casi, la previsione di finanziamento nei prossimi anni non consentirebbe una copertura di un numero di contratti ministeriali superiore a 3.500-4.000;
   sono note le difficoltà delle regioni, dovute in gran parte al patto di stabilità, di garantire il finanziamento di ulteriori contratti aggiuntivi, che invece si rivelerebbero strategici per il processo di riorganizzazione delle regioni in piano di rientro e di riqualificazione della spesa sanitaria, anche alla luce del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito con modifiche dalla legge n. 135 del 2012;
   i contratti di specializzazione per le professioni mediche e sanitarie costituiscono la porta di accesso qualificante al mercato del lavoro nella sanità pubblica e privata per i giovani laureati delle università e inoltre occorre tener presente che oggi, in modo particolare, un giovane laureato non specializzato non ha praticamente alcuna possibilità di inserirsi proficuamente nel mondo del lavoro per il quale si è formato in sei lunghi anni;
   la differenza strutturale tra numero di iscritti al corso di laurea in medicina e chirurgia e il numero di contratti disponibili per l'accesso alle scuole di specializzazione è percepita dai futuri medici come una profonda ingiustizia, proprio perché si tratta di corsi a numero chiuso, con una forte selezione iniziale; non dimentichiamo infatti che sono circa 80.000, gli aspiranti alle selezioni iniziali del corso di laurea in medicina e gli studenti selezionati sono uno su 8;
   al numero dei laureati in medicina si aggiungono inoltre ogni anno un cospicuo numero di aspiranti alle stesse scuole di specializzazione che provengono da altre facoltà: biologia, biotecnologie, fisica, psicologia, e altre, negli anni successivi svolgeranno i loro corsi di specializzazione affiancando i neo-laureati in medicina, condividendo con loro tempo, impegno e responsabilità; eppure tutti loro saranno regolarmente senza contratto né borsa di studio, nonostante una precisa normativa europea intervenga a loro favore;
   in concreto entro il prossimo mese di aprile 2014 dovranno essere espletati tutti gli adempimenti necessari a procedere alla pubblicazione dei bandi di concorso per l'accesso alle scuole di specializzazione per il corrente anno accademico 2013/2014, ivi inclusa la formalizzazione dell'impegno da parte delle regioni a finanziare contratti aggiuntivi regionali nei limiti del documentato fabbisogno di professionalità medico-specialistiche;
   quest'anno, per la prima volta, verrà applicata inoltre la graduatoria nazionale che offre nuove opportunità e pone nuovi tipi di problemi; ad esempio ci sarà la possibilità di confrontarsi sul piano meritocratico con tutti quei colleghi delle diverse facoltà di medicina di tutta Italia che nell'arco di pochi anni aspirano a svolgere la stessa professione, ma questo fatto richiede una conoscenza chiara e netta dei criteri che saranno utilizzati per la valutazione e per la compilazione della stessa graduatoria –:
   quali urgenti iniziative di propria competenza intenda adottare per comunicare le nuove modalità di valutazione degli esami di ammissione alle scuole di specializzazione e garantire la trasparenza e l'efficienza generale del sistema di valutazione in funzione della compilazione della graduatoria nazionale;
   se non ritenga utile ridurre la differenza tra numero di iscritti al corso di laurea in medicina e chirurgia, di cui statisticamente si laureano in corso un 85 per cento e il numero di contratti disponibili per le scuole di specializzazione, considerando l’iter formativo complessivo di 10-11 anni come un unico progetto formativo, per cui chi si iscrive a medicina sa di poter contare sulla possibilità di frequentare successivamente la scuola di specializzazione;
   se non ritenga necessario, inoltre, destinare una quota aggiuntiva dei finanziamenti del Fondo sociale europeo alla copertura degli oneri relativi all'assegnazione di borse di studio, sia per i medici iscritti al corso di formazione specifica di medicina generale, sia per gli specializzandi non medici iscritti alle scuole di specializzazione di area sanitaria. (3-00545)

Interrogazione a risposta scritta:


   BOCCADUTRI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale 23 dicembre 2013 n. 1061 del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha individuato i criteri per la ripartizione del contributo a favore delle università non statali per l'anno 2013, previsto dalla legge n. 243 del 1991;
   in particolare sono stati riconosciuti alla Bocconi di Milano 11.871.637 euro, alla Cattolica Sacro Cuore di Milano 30.370.313 euro, Istituto Universitario Lingue Moderne di Milano 2.880.490 euro, Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa di Napoli 3.294.840 euro, alla Libera Università Cattaneo di Castellanza (Varese) 1.445.112 euro, alla Libera Università Maria SS. Assunta di Roma 3.045.610 euro, Libero Istituto Universitario Campus Biomedico di Roma 1.618.981, alla LUISS – Libera Universitaria Internazionale Studi Sociali di Roma 4.280.364 euro, alla Libera Università S. PIO V di Roma 783.449 euro, all'Università Vita Salute S. Raffaele di Milano 2.961.183 euro, all'Università di Bolzano 1.950.512, all'Università della Valle D'Aosta 746.416 euro, alla LUM Università – Jean Monnet di Casamassima 455.337 euro, all'Università delle Scienze gastronomiche – BRA (CN) 266.833 euro, all'Università Europea di Roma 327.900 euro, all'Università «Kore» di Enna 599.109 euro, all'Università «Marconi» di Roma 675.000 euro, all'Università Uninettuno di Roma 675.000 euro, all'Università telematica «Pegaso» 75.000 euro, all'Università telematica «Cusano» 100.000 euro, Università telematica «S. Raffaele» 50.000 euro, Università telematica «G. Fortunato» 50.000, all'Università telematica «Universitas Mercatorum» 50.000;
   nel 2012, con il decreto ministeriale 21 novembre 2012, n. 495, erano stati riconosciuti contributi per euro 89.661.284;
   nonostante ricevano contributi pubblici e nonostante siano chiamate a svolgere una funzione altissima, quale quella dell'insegnamento universitario, le suddette università non hanno dei bilanci d'esercizio facilmente consultabili dalla generalità dei cittadini;
   inoltre sui siti internet delle suddette università non si ricava nessuna informazione circa il godimento di contributi pubblici ai sensi della citata legge n. 243 del 1991;
   tale procedura trasparente di controllo generale e generalizzato è invece giustamente prevista dalla legge per altri soggetti che ricevono contributi pubblici, quali i partiti politici –:
   quali misure intenda assumere il Ministro perché siano resi pubblici e facilmente consultabili dai cittadini i bilanci delle Università non statali che ricevono contributi dallo Stato e se intenda provvedere affinché sui siti internet sia obbligatoriamente indicata la percezione di contributi ai sensi della legge n. 243 del 1991. (4-03120)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GAGNARLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 148 del 2013 concernente il Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziano 2014 e bilancio pluriennale per il triennio 2014-2016, nelle parte riguardante gli interventi di competenza del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, prevede una riduzione degli stanziamenti per le associazioni di allevatori per l'attuazione dei Programmi relativi al potenziamento dell'attività di miglioramento genetico del bestiame, la tenuta dei libri genealogici e per la realizzazione e gestione dei centri genetici ed altre strutture Zootecniche di supporto all'attività di miglioramento genetico;
   in particolare, i contributi alle associazioni suddette dovrebbero passare dai 7.531.224 di euro del 2013 ai 1.550.961 di euro nel 2014 con una variazione di –5.980.263 di euro;
   la motivazione apposta in nota al bilancio che si apporta tale diminuzione a parziale compensazione di ulteriori maggiori spese del CRA (Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura), anche se, a parere dell'interrogante, le funzioni di CRA e associazioni di allevatori non possono essere l'una sostitutiva dell'altra;
   l'Associazione nazionale allevatori bovini italiani da Carne (ANABIC), come segnalato dalla stessa direzione dell'ente, nel 2013 era stata finanziata con circa un milione e mezzo di euro, ma ha preannunciato che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha annunciato un intervento di riduzione delle risorse del 30/40 per cento;
   l'obbiettivo di questa associazione è quello di promuovere e attuare tutte le iniziative finalizzate al miglioramento, alla valorizzazione e alla diffusione delle razze bovine autoctone italiane: marchigiana, chianina, romagnola, maremmana e podolica; ed ha istituito il Libro genealogico nazionale unico delle razze bovine italiane da carne;
   l'associazione partecipa anche a importanti programmi di ricerca e sperimentazione con diverse università italiane e si occupa dell'assistenza tecnica agli operatori stranieri che desiderano interessarsi all'allevamento di razze tipiche italiane;
   l'attività di tenuta dei libri genealogici, dei registri anagrafici e l'effettuazione dei controlli funzionali della produttività del bestiame è strumentale ed indispensabile alla realizzazione della selezione del bestiame e conservazione biodiversità –:
   essendo, secondo l'interrogante inopportuna, o comunque troppo significativa, l'operazione di taglio alle risorse destinate alle associazioni degli allevatori, specie considerando l'importanza che tali enti rivestono nella salvaguardia di specie tipiche italiane e quindi nella conservazione della biodiversità se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative in proposito;
   qualora fosse confermato, essendo eccessivamente drastico il taglio di risorse da un ente come l'ANABIC che, considerato il suo importante ruolo a livello nazionale nell'ambito della tutela delle razze bovine italiane, vede eccessivamente ridotta la propria possibilità di programmare la propria attività nel 2014, quali iniziative intenda assumere in proposito. (5-01858)

Interrogazioni a risposta scritta:


   POLVERINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni la produzione di castagne, in particolar modo nella zona della provincia di Avellino, ha subìto un calo pari a circa il 90 per cento a causa di un parassita denominato, cinipide galligeno, originario dei Paesi dell'Oriente (Cina), che attacca le piante, riducendo drasticamente, quantitativamente e qualitativamente la produzione dei frutti e pregiudicando la stessa sopravvivenza degli alberi, e delle particolari condizioni climatiche, caratterizzate da fortissime escursioni termiche;
   con deliberazione n. 62 della giunta del comune di Volturara Irpina del 26 settembre 2011, veniva richiesto alla regione Campania lo stato di calamità naturale, a causa della presenza del cinipide galligeno del castagno;
   il 30 novembre 2013, presso la sala consiliare del comune di Volturara Irpina, si è tenuto un incontro, organizzato e coordinato dal sindaco di Volturara Irpina, avvocato Marino Sarno, a cui hanno partecipato i sindaci dei comuni maggiormente interessati al problema del parassita e a tutte le altre problematiche connesse al settore castanicolo;
   la mancata produzione ha causato massicci abbandoni di fondi castanicoli, dai quali potrebbero derivare gravi conseguenze anche da punto di vista del dissesto idrogeologico;
   appare evidente, anche alla luce della crisi globale che sta attraversando il nostro Paese, aiutare i castanicoltori, incentivandoli a restare e curare i propri castagneti –:
   quali iniziative i Ministri interrogati ed il Governo intendano adottare per intervenire con maggiori finanziamenti per affrontare il delicato momento che da tre anni sta vivendo il comparto castanicolo, con particolare riguardo a quello irpino, monitorando le problematiche del castagno nel suo complesso e cercando di valorizzare e conservare tale patrimonio, anche attraverso l'utilizzo di nuovi stanziamenti derivanti dalla nuova programmazione dei fondi strutturali europei 2014-2020. (4-03119)


   DI BATTISTA, GALLINELLA, LUPO, MASSIMILIANO BERNINI, PARENTELA, GAGNARLI e L'ABBATE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il Corpo forestale dello Stato è una Forza di polizia dello Stato ad ordinamento civile, specializzata nella tutela dell'ambiente e dell'ecosistema;
   l'articolo 3, comma 4, della legge n. 36 del 2004, dispone testualmente che «Il capo del Corpo forestale dello Stato è nominato ai sensi dell'articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1972, n. 748»;
  l'articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica n. 748 del 1972 prevede che: «La nomina a dirigente generale, o a qualifiche superiori, è conferita, nei limiti delle disponibilità di organico, con decreto del Presidente della Repubblica previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente. La nomina può essere conferita anche ad impiegati di altri ruoli o di altre Amministrazioni, ovvero a persone estranee all'Amministrazione dello Stato, salvo le riserve di posti previste da speciali disposizioni in favore di funzionari delle Amministrazioni interessate»;
   l'attuale Capo del Corpo forestale dello Stato è Cesare Patrone, nominato dal Consiglio dei ministri in data 28 aprile 2004, quasi dieci anni fa;
   l'interrogante ha già presentato un atto di sindacato ispettivo (4-02296) con il quale si evidenziavano le molteplici considerazioni che dovrebbero spingere il Ministro interrogato a proporre un avvicendamento del Capo del Corpo forestale dello Stato al Consiglio dei ministri; difatti l'ingegner Cesare Patrone non solo è rimasto in carica per un periodo ingiustificatamente lungo, ma alcune vicende personali che lo vedono coinvolto mostrano l'inopportunità della permanenza in carica;
   tale atto fa seguito a quattro interrogazioni (3-00741, 3-02927, 4-07890 e 4-08141) presentate nelle precedenti legislature;
   in particolare si sottolineava che con più atti di sindacato ispettivo, ad oggi ancora privi di risposta, veniva sottoposta all'attenzione del Ministro in indirizzo come l'ingegner Cesare Patrone fosse stato condannato per danno erariale con due differenti pronunce della Corte dei conti (sentenza n. 148/2012/R della Corte dei conti, sezione giurisdizionale della Basilicata, sentenza n. 454/2012 della Corte dei conti, sezione giurisdizionale del Lazio);
   l'interrogante è altresì venuto a conoscenza che l'ingegner Cesare Patrone ha subito un procedimento penale innanzi il Tribunale ordinario di Roma, portante RGNR 36987/08 e RG Dib. 22104/11, per il reato p. e p. dall'articolo 361 cp perché, in qualità di pubblico ufficiale, quale Capo del corpo Forestale dello Stato, ometteva di denunciare all'autorità giudiziaria i fatti costituenti reato di cui aveva avuto notizia nell'esercizio delle sue funzioni;
   il tribunale ordinario di Roma, sezione penale, in composizione monocratica, con sentenza portante n. 14351/13 del 19 luglio 2013, ha dichiarato «Patrone Cesare colpevole del reato ascrittogli e, concesse le attenuanti generiche, lo condanna alla pena di gg. Venti di reclusione, oltre che al pagamento delle spese processuali» con pena sospesa e non menzione della stessa;
   nello specifico l'ingegner Patrone ometteva di denunciare i fatti costituenti il reato di danneggiamento, di cui all'articolo 635 secondo comma, numero 3, del codice penale, di materiale custodito e di pertinenza del sindacato UGL e di altri oggetti presenti all'interno della stanza dell'Ispettorato del Corpo forestale dello Stato, adibita a segreteria dei sindacati UGL e UIL –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa ed in particolare delle sentenze di condanna per danno erariale e della sentenza di condanna per il reato p. e p. dall'articolo 361 codice penale emesse nei confronti dell'ingegner Cesare Patrone;
   quali siano le ragioni per cui l'ingegner Cesare Patrone continui a ricoprire l'incarico di Capo del Corpo forestale dello Stato, nonostante le circostanze evidenziate in premessa e quelle portate in evidenza dagli atti di sindacato ispettivo indicati in premessa;
   quali iniziative il Ministro interrogato abbia assunto ed intenda assumere alla luce delle vicende descritte, tenuto conto che il Corpo forestale dello Stato è posto alle dirette dipendenze del titolare del Ministero ai sensi dell'articolo 3 della legge 6 febbraio 2004, n. 36;
   per quali motivi il Ministro interrogato non abbia ritenuto di procedere alla sostituzione nell'incarico di capo del Corpo della polizia forestale dello Stato, di un soggetto condannato per danno erariale dalla Corte dei conti nonché condannato dal tribunale ordinario di Roma, sezione penale per omessa denuncia;
   se il Ministro interrogato non consideri opportuno, sulla base delle argomentazioni di cui alle premesse, procedere immediatamente alla proposta di un nuovo capo del Corpo forestale dello Stato al Consiglio dei ministri. (4-03122)


   GAGNARLI, MASSIMILIANO BERNINI, L'ABBATE, GALLINELLA, LUPO, PARENTELA e BENEDETTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in data 29 maggio 2013, il M5S ha presentato una risoluzione n. 7-00024 in Commissione agricoltura della Camera dei deputati, approvata il 19 giugno 2013, con la quale il Governo si è impegnato ad eseguire una serie di azioni volte ad ottenere un equilibrio tra la tutela di una specie protetta da norme comunitarie e nazionali, quale è il lupo, e la tutela degli interessi degli allevatori;
   in data 20 novembre 2013, gli interroganti hanno presentato un primo atto ispettivo (4-02608), al quale non si è avuta ancora risposta, per evidenziare che il Consiglio regionale toscano intendeva discutere della proposta di autorizzare la caccia al lupo, come risoluzione del problema dei danni provocati alla zootecnia regionale, ad oggi fortunatamente non ancora deliberata;
   notizie recenti evidenziano che la caccia al lupo ed agli ibridi cane-lupo si è riacutizzata: in Maremma con l'ultima carcassa trovata dalla polizia provinciale nel comune di Manciano, salgono a sei i lupi (o ibridi) uccisi nella zona negli ultimi due mesi. Le carcasse, il più delle volte, sono state lasciate nelle piazze, da Saturnia a Scansano e anche alle porte del capoluogo;
   l'abbattimento dei lupi verificatosi nelle ultime settimane in tutto il territorio provinciale è motivo di seria preoccupazione, perché è una pratica illegittima che mette a rischio la sopravvivenza di una specie protetta. Tuttavia, è pur evidente che il recente intensificarsi degli abbattimenti è il segnale preoccupante dell'esasperazione degli allevatori rispetto alla sopravvivenza delle proprie attività produttive;
   è stato sostenuto anche da esponenti autorevoli della maggioranza che la strategia d'intervento, già indicata da atti di indirizzo approvati dalle Commissioni parlamentari competenti, richiede che l'Ispra realizzi in tempi rapidi un censimento della popolazione di lupi presente sul territorio nazionale, stabilendo una soglia di sostenibilità della presenza del lupo sui territori e, conseguentemente, chiedere a Bruxelles una eventuale deroga per il contenimento della specie. Solo in base al censimento degli esemplari di lupo geneticamente puro, come è successo in Francia e Spagna, si potrebbe impostare una corretta politica di gestione di questa specie protetta, e si potrebbe procedere altresì ai contenimenti di canidi e ibridi, che spesso sono veri protagonisti delle stragi di pecore che decimano le greggi. Non è più tempo di tentennamenti, né di falsi moralismi;
   a parere degli interroganti, tuttavia, tale orientamento non emergerebbe allo stato da atti di indirizzo già approvati. Risulta invece che il Governo si sia impegnato a mettere in campo, compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, un piano di indennizzo nazionale per gli agricoltori danneggiati, ad incentivare l'applicazione di metodi ecologici per ridurre i danni, ad incentivare programmi di management ambientale e decise azioni preventive, a partire dalla completa cessazione di qualsiasi attività di ripopolamento a scopo venatorio sul territorio, alla piena attuazione della legge n. 157 del 1992, in particolar modo con riferimento alla gestione faunistica per quanto riguarda l'attuazione dei metodi ecologici, che vengono di consuetudine del tutto ignorati, ed altri impegni in linea con questi citati;
   appare evidente che prima di pensare ad una eventuale richiesta di deroga a Bruxelles, nelle more dei risultati del censimento chiesto ad Ispra, si debbano sbloccare le misure per le quali il Governo si è già impegnato e grazie alle quali, anche secondo il presidente di Wwf Italia Dante Caserta, sarebbe certamente possibile poter superare la problematica, nel rispetto di entrambi gli interessi, quelli di tutela della specie protetta e quelli delle attività produttive zootecniche;
   secondo il presidente Wwf Italia Caserta: «La vera sfida si gioca sulle scelte e se l'obiettivo è quello di salvaguardare sia gli allevatori sia i lupi, le parole chiave sono prevenzione e corretta gestione dell'allevamento». Il Wwf evidenzia infatti, in linea con la risoluzione sopracitata, la necessità di avviare l'adozione di strumenti anti-predazione, di indennizzi per gli allevatori colpiti, di fare un monitoraggio e una registrazione dei danni, così come una corretta gestione del randagismo che preveda anche l'allontanamento degli ibridi selvatici che minacciano il lupo –:
   quali sia la posizione del Ministro interrogato in ordine alla determinazione di soglie di sostenibilità di presenza del lupo sul territorio e alle eventuale richiesta a Bruxelles di deroghe alle norme di tutela della specie protetta;
   cosa intenda fare, nell'ambito delle sue prerogative, per dare concreta attuazione agli impegni presi con la risoluzione sopracitata, in particolare in riferimento alle azioni condivise anche dal Presidente di Wwf Italia Dante Caserta. (4-03125)

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Bobba n. 1-00058, già pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 24 del 28 maggio 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    vi è assoluta necessità e urgenza di porre mano alla questione del deterioramento delle condizioni economiche di una parte della popolazione in seguito alla crisi;
    i dati resi pubblici da Confcommercio il 4 aprile 2013 evidenziano un crollo dei consumi in misura pari al 3,6 per cento in un anno, che segue la diminuzione già riscontrata tra il 2011 e il 2012;
    come sottolineato anche da Codacons, la diminuzione dei consumi interessa in modo drammatico i consumi alimentari, scesi del 4,7 per cento rispetto al febbraio 2012, proseguendo una tendenza negativa che dura ormai da 5 anni: diminuzione dell'1,8 per cento nel 2007, del 3,3 nel 2008, del 3,1 per cento nel 2009, dello 0,7 nel 2010, dell'1,8 nel 2011 e del 3 per cento nel 2012;
    il deterioramento delle condizioni di vita dei cittadini era stato ben rappresentato dall'Istat, che constata come «nel 2011, il 28,4 per cento delle persone residenti in Italia è a rischio di povertà o esclusione sociale, secondo la definizione adottata nell'ambito della strategia Europa 2020» e che: «Rispetto al 2010 l'indicatore cresce di 3,8 punti percentuali a causa dall'aumento della quota di persone a rischio di povertà (dal 18,2 per cento al 19,6 per cento) e di quelle che soffrono di severa deprivazione (dal 6,9 per cento all'11,1 per cento)» (Istat, «Reddito e condizioni di vita», diffuso sul suo sito internet il 10 dicembre 2012);
    i dati resi noti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali il 5 aprile 2013, desunti dalle comunicazioni obbligatorie circa avviamenti e cessazioni dei rapporti di lavoro, evidenziano come nel 2012 oltre un milione di persone abbia perso il proprio posto di lavoro, dato in costante aumento dal 2009 ad oggi, mentre le attivazioni diminuiscono; il numero degli occupati è sceso, secondo l'Istat, di oltre 700.000 unità dal febbraio 2012 al febbraio 2013;
    questi dati trovano conferma in un aumento del tasso di disoccupazione, che a partire dall'ottobre 2012 si è mantenuto al di sopra dell'11 per cento, aumentando di 1,5 punti percentuali rispetto all'anno precedente;
    un'altra conferma delle condizioni di vita di una parte crescente della popolazione sta nei dati diffusi da molte Caritas diocesane, sull'aumento del numero dei cittadini che richiedono aiuti di prima necessità come i pasti; nel rapporto diffuso nell'ottobre 2012, la Caritas evidenzia come tra le persone che si sono rivolte ai suoi centri nel 2011 vi sia un aumento tra categorie che sino a poco tempo fa non erano interessate in misura così pregnante dal rischio di povertà; aumentano tra il 2009 e il 2011 del 25,1 per cento i cittadini italiani, aumentano del 177,8 per cento le casalinghe, del 65,6 i pensionati e del 52,9 per cento le famiglie con minori conviventi;
    un'indagine Istat diffusa il 12 ottobre 2012 ha realizzato una prima stima delle persone senza fissa dimora, quantificandole in 47.000 unità; di questi, quasi i due terzi hanno un passato di relativa normalità, avendo vissuto in una propria abitazione sino ad un periodo che in media risale a 2 anni e mezzo prima;
    il 5 aprile 2013 una nota Eurispes ha evidenziato come «7 italiani su 10 hanno visto peggiorare la situazione economica personale (per il 40,2 per cento di molto, per il 33,3 per cento in parte), il 60,6 per cento, 3 su 5, è costretto a intaccare i propri risparmi per arrivare alla fine del mese; il 62,8 per cento ha grandi difficoltà ad affrontare la quarta (quando non la terza) settimana» e come questa situazione abbia determinato «un circolo vizioso: indebitamento, insolvenze, vendita dei propri beni e rischio usura»;
    recenti fatti di cronaca hanno evidenziato in modo drammatico la disperazione in cui versano i cittadini che subiscono questi processi di impoverimento;
    gli effetti della crisi si sono verificati in un contesto di progressivo smantellamento delle risposte del welfare locale;
    sul fronte delle risorse nazionali, il fondo nazionale per le politiche sociali trasferito alle regioni (e da queste agli enti gestori) per finanziare gli interventi sociali, che aveva avuto dotazioni anche superiori al miliardo di euro nel 2004, è diminuito dai 656 milioni di euro del 2008 ai 518 milioni di euro del 2009, ai 435 milioni di euro nel 2010, ai 218 milioni di euro nel 2011 e a soli 43 milioni di euro nel 2012, con la previsione, ante legge di stabilità 2013, di soli 44 milioni di euro per il 2013;
    l'aumento del fondo nazionale per le politiche sociali di 300 milioni di euro, determinato dall'articolo 1, comma 271, della legge n. 228 del 2012 («Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2013»), è sicuramente un fatto positivo che segna una controtendenza rispetto ai tagli ininterrotti praticati nell'ultimo quinquennio, ma non è sufficiente a ripristinare una dotazione adeguata, soprattutto vista la drammatica situazione;
    le politiche nazionali di sostegno all'abitazione hanno registrato un deciso ridimensionamento, spesso accompagnato dal disimpegno da parte delle regioni;
    appare inderogabile e urgente l'adozione di misure eccezionali, che abbiano un impatto significativo e sensibile sulle condizioni di vita dei cittadini in situazioni di povertà o a rischio di cadervi;
    il Presidente del Consiglio dei ministri, onorevole Enrico Letta, nella seduta n. 10 di lunedì 29 aprile 2013, presso la Camera dei deputati, durante le comunicazioni del Governo, così interveniva: «Il welfare tradizionale, schiacciato sul maschio adulto e su pensioni e sanità, non basta più, non stimola la crescita della persona e non basta a correggere le disuguaglianze. Non occorrono isterismi, occorre un cambiamento radicale: un welfare più universalistico e meno corporativo che sostenga tutti i bisognosi, aiutandoli a rialzarsi e a riattivarsi. Per un welfare attivo, più giovane e al femminile andranno migliorati gli ammortizzatori sociali, estendendoli a chi ne è privo, a partire dai precari. E si potranno studiare forme di reddito minimo, soprattutto, per famiglie bisognose con figli»,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative urgenti in materia di povertà, assegnando per il 2014:
    a) un incremento significativo delle risorse del fondo nazionale per le politiche sociali, da trasferirsi per il tramite delle regioni agli enti gestori, condizionando l'erogazione all'adozione entro tempi brevi di piani di azione per il contrasto dei fenomeni di povertà e impoverimento, facendo sì che gli interventi siano gestiti localmente in forma integrata con soggetti non profit con consolidata e comprovata esperienza nella raccolta e distribuzione di beni di prima necessità o nell'elargizione di aiuti per soddisfare bisogni primari;
    b) ulteriori risorse per estendere la sperimentazione della nuova social card, con speciale riguardo ai nuclei familiari poveri con figli minori, in modo da ampliare la platea dei beneficiari e consolidare le caratteristiche di misura universalistica di contrasto alla povertà, quale strumento preliminare alla definizione di un apposito programma di sostegno per l'inclusione attiva, volto al superamento della condizione di povertà, all'inserimento ed al reinserimento lavorativi ed all'inclusione sociale;
    c) ulteriori risorse da destinare, tramite le regioni, al sostegno della morosità incolpevole, per evitare che i fenomeni di impoverimento determinino la perdita dell'abitazione;
   ad assumere iniziative per introdurre nella normativa del nostro Paese i livelli essenziali delle prestazioni socio-assistenziali, affinché si possa realizzare su tutto il territorio nazionale una rete integrata di servizi;
   ad inserire, nell'ambito del programma nazionale di riforma, interventi di riforma delle politiche sociali e abitative, con particolare riferimento alle azioni di contrasto della povertà, quali misure di sostegno al reddito e di supporto a percorsi di uscita dalla condizione di indigenza;
   ad assumere iniziative per reperire le risorse necessarie anche attraverso l'allineamento delle imposte sul gioco d'azzardo;
   ad assumere iniziative per potenziare l'utilizzo dello strumento delle deduzioni e delle detrazioni fiscali per le spese relative all'assistenza e al sostegno delle famiglie con componenti minori, persone non autosufficienti e anziani, al fine di facilitare l'accesso ai servizi per le famiglie meno abbienti e con maggior carico di bisogni e allo stesso tempo di ridurre forme di lavoro nero.
(1-00058)
(Nuova formulazione) «Bobba, Luigi Cesaro, Scotto, Antimo Cesaro, Binetti, Luciano Agostini, Albanella, Amato, Amoddio, Arlotti, Bargero, Bazoli, Bellanova, Benamati, Beni, Berlinghieri, Bini, Biondelli, Bonaccorsi, Bonifazi, Bonomo, Borghi, Boschi, Bossa, Braga, Capua, Cardinale, Carocci, Carra, Carrescia, Casati, Caruso, Causi, Cimbro, Coppola, Cova, Covello, Cuperlo, Culotta, D'Agostino, D'Incecco, D'Ottavio, Dal Moro, Marco Di Maio, Ermini, Fabbri, Fauttilli, Ferrari, Ferro, Fontanelli, Fregolent, Gasparini, Giacobbe, Giulietti, Gnecchi, Gozi, Giuseppe Guerini, Lorenzo Guerini, Gullo, Tino Iannuzzi, Incerti, Iori, Lenzi, Lodolini, Maestri, Magorno, Malpezzi, Manzi, Marazziti, Mariani, Martella, Martelli, Marzano, Mazzoli, Melilli, Montroni, Mura, Fitzgerald Nissoli, Oliverio, Patriarca, Quartapelle Procopio, Rabino, Rampi, Realacci, Ribaudo, Richetti, Rigoni, Rosato, Rubinato, Rughetti, Sanga, Giovanna Sanna, Santerini, Sberna, Sbrollini, Scanu, Senaldi, Simoni, Taricco, Tartaglione, Tidei, Tullo, Valiante, Venittelli, Zanin, Coscia, Morani, Basso, Cenni, Capodicasa, Fossati, Pes, Petitti, Capone, Mattiello, Mariano, Pastorino, Guerra, Lauricella, Coccia, Moretti, Burtone, Carnevali, Piccione, Argentin».

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: Interpellanza urgente Migliore n. 2-00345 del 17 dicembre 2013.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Catalano e altri n. 4-03097 del 9 gennaio 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01853.