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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 8 gennaio 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    nell'ambito della programmazione 2014-2020, la Commissione europea ha annunciato la creazione di un nuovo strumento per finanziare le infrastrutture prioritarie, tra i quali quello dello sport;
    sulla dimensione europea dello sport e sulle attività internazionali, anche in vista del semestre di presidenza dell'Unione europea del nostro Paese, l'obiettivo della Strategia Europea 2020 è mettere a punto in materia di sport, un'agenda efficace, pragmatica, condivisa ed attenta verso i giovani;
    è stata inoltre intensificata la presenza italiana nelle sedi in cui hanno luogo i processi decisionali in materia di sport specie a livello di Unione europea, di Consiglio d'Europa e Unesco;
    tra gli obiettivi in materia di sport, quello di intensificare la lotta antidoping, contro la manipolazione dei risultati sportivi, la corruzione in ambito sportivo e lo sport per i giovani;
    il Ministro Delrio ha richiamato, sempre nell'ambito delle direttive europee, la necessità di garantire l'accesso allo sport da parte di tutti, in particolare alle persone con disabilità superando la distinzione tra atleti abili e diversamente abili nell'accessibilità agli impianti e allo sport;
    al fine di sviluppare una dimensione europea nello sport, il programma europeo fornirà sostegno ai progetti di collaborazione transnazionali e agli eventi sportivi europei non commerciali di prima importanza;
    il rafforzamento della base di conoscenze comprovate per la definizione di politiche nel settore dello sport, delle capacità nello sport e il dialogo con le parti interessate europee;
    il programma europeo sarà incentrato sul rafforzamento della good governance e sulla base di conoscenze riguardanti lo sport nell'Unione europea, la promozione dell'attività fisica a vantaggio della salute, la realizzazione del potenziale dello sport al fine di promuovere l'inclusione sociale incoraggiando le carriere parallele mediante l'istruzione e la formazione degli atleti e lotta contro le minacce transnazionali quali il doping, le competizioni truccate, la violenza, il razzismo e l'intolleranza;
    i beneficiari del programma saranno gli enti pubblici o le organizzazioni della società civile attive nello sport di base. I progetti e le reti avranno principalmente l'obiettivo di attuare e monitorare gli orientamenti e le raccomandazioni adottate dagli Stati membri e/o dalle organizzazioni sportive;
    tra gli obiettivi del nuovo programma «Erasmus +», emerge la cooperazione e il dialogo in materia di sport a livello di Unione europea che anche grazie al Libro bianco sullo sport del 2001 sono enormemente migliorati;
    il Libro bianco sullo sport comprende una descrizione delle specificità dello sport e dell'applicazione al rettore dello sport della legislazione dell'Unione europea in materia, ad esempio, di mercato interno e di concorrenza. Attraverso l'attuazione del Libro bianco sullo sport, la Commissione europea ha raccolto prove utili su temi da affrontare in futuro. Esso rimane una base appropriata per le attività a livello di Unione europea nel campo dello sport in una serie di ambiti, ad esempio, la promozione del volontariato nello sport, la tutela dei minori e la protezione ambientale. Ha inoltre avviato un dialogo strutturato con le parti interessate del settore dello sport, compreso un Forum europeo dello sport con incontri annuali, ed è servito da base per l'integrazione delle attività relative allo sport nei fondi, nei programmi e nelle iniziative dell'Unione europea pertinenti;
    inoltre, il trattato di Lisbona conferisce all'Unione europea un ruolo di supporto, di coordinamento e di complemento nel settore dello sport che richiede un intervento per sviluppare la dimensione europea nello sport (articolo 165 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea);
    per sviluppare la dimensione europea dello sport, la Commissione ha consultato una vasta gamma di soggetti interessati al fine di individuare le questioni chiave da affrontare a livello di Unione europea e ha organizzato consultazioni degli Stati membri e delle principali parti interessate del settore 1 COM(2007)391 dell'11 luglio 2007 dello sport (Forum europeo dello sport, consultazioni bilaterali);
    dalle consultazioni degli Stati membri è emerso un ampio consenso sui temi che dovrebbero essere prioritari nell'agenda dell'Unione europea per lo sport. Tali temi sono: la promozione dell'attività fisica a vantaggio della salute, la lotta al doping, l'istruzione e la formazione, il volontariato e le organizzazioni sportive senza scopo di lucro, l'inclusione sociale nello sport e attraverso lo sport, la lotta alla violenza e alla discriminazione compreso lo sport per i disabili e la parità dei sessi nello sport, la stabilità dei finanziamenti e la necessità di sostenere la creazione di reti e lo scambio di buone pratiche a livello di Unione europea;
    l'azione dell'Unione europea è finalizzata a sostenere le azioni degli Stati membri è ad integrarle ove opportuno per affrontare sfide quali la violenza e l'intolleranza legate agli eventi sportivi o la mancanza di dati comparabili sul settore dello sport nell'Unione europea quale base per la definizione delle politiche. L'azione dell'Unione europea può inoltre contribuire ad affrontare le sfide transnazionali dello sport europeo, ad esempio adottando un approccio coordinato al problema del doping, delle frodi e delle partite truccate o alle attività degli agenti sportivi;
    tale azione contribuisce altresì agli obiettivi generali della strategia Europa 2020 migliorando l'occupazione e la mobilità, in particolare attraverso azioni che promuovono l'inclusione sociale nello sport e attraverso di esso, l'istruzione e la formazione (anche grazie al quadro europeo delle qualifiche) e le linee d'azione europee in materia di attività fisica;
    parallelamente a ciò, l'azione dell'Unione europea contribuisce alla diffusione delle conoscenze in merito alla legislazione dell'Unione europea nel settore dello sport, garantendo così una maggiore certezza del diritto per lo sport europeo;
    lo sport ha anche ruolo sociale: è grande potenziale per contribuire ad una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, crea nuovi posti di lavoro grazie ai suoi effetti positivi sull'inclusione sociale, sull'istruzione e sulla formazione e sulla salute pubblica. Esso aiuta a contenere l'aumento della spesa sanitaria e la sicurezza sociale migliorando la salute e la produttività della popolazione, garantendo una migliore qualità della vita nella vecchiaia e contribuisce alla coesione abbattendo le barriere sociali;
    fondamentale è il ruolo dello sport nell'istruzione e formazione: dedicare più tempo allo sport e all'attività fisica nelle scuole con una spesa ridotta, agendo sia sul piano di studi che al di fuori di esso. È però risaputo che la qualità dei programmi di educazione fisica e le qualifiche degli insegnanti continuano a destare preoccupazione in diversi Stati membri;
    oltretutto, gli Stati membri e il movimento sportivo riconoscono la necessità di disporre di personale più qualificato nel settore dello sport. L'elevata professionalità e la molteplicità di professioni nello sport, unite ad una mobilità crescente nell'Unione europea, sottolineano l'importanza di includere qualifiche relative allo sport nei sistemi di qualifiche nazionali, in modo che possano trarre beneficio dai rimandi al quadro europeo delle qualifiche (EQF);
    lo sport è anche prevenzione e lotta contro la violenza e l'intolleranza. La violenza e i disordini provocati dagli spettatori restano un fenomeno che coinvolge tutta l'Europa ed è necessario un approccio europeo che comprenda misure destinate a ridurre i rischi associati. In collaborazione con il Consiglio d'Europa, fino ad oggi l'azione dell'Unione europea si è focalizzata sul garantire un elevato livello di sicurezza ai cittadini, attraverso misure di polizia, in occasione dei grandi eventi calcistici internazionali. Un approccio più ampio che coinvolga anche altre discipline sportive, basato sulla prevenzione e sull'applicazione della legge, richiederà una maggiore cooperazione tra le parti interessate pertinenti, come le forze di polizia, le autorità giudiziarie, le organizzazioni sportive, le organizzazioni dei tifosi e le autorità pubbliche;
    migliorare la salute attraverso lo sport è determinante nella società moderna e può dare un grande contributo alla riduzione del sovrappeso e dell'obesità e alla prevenzione di una serie di malattie gravi. Lo sport è una parte fondamentale di qualsiasi approccio alle politiche pubbliche mirante a migliorare l'attività fisica. Occorre adottare le linee d'azione raccomandate dall'Unione europea in materia di attività fisica, che spiegano come si possono utilizzare le politiche e le pratiche a livello Unione europea, nazionale e locale, per aiutare i cittadini ad essere fisicamente attivi nell'ambito della loro vita quotidiana. Diversi Stati membri hanno basato iniziative politiche nazionali su dette linee d'azione;
    quanto all'inclusione sociale nello sport e attraverso lo sport, le persone disabili hanno il diritto di partecipare alle attività sportive su base di uguaglianza con gli altri. L'Unione europea e i suoi Stati membri hanno firmato la convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, che prevede l'obbligo di adottare le misure opportune affinché tali diritti siano esercitati. È importante garantire la piena attuazione delle disposizioni di tale convenzione;
    in tema di pari dignità, si richiama l'attenzione sulle donne che ad oggi sono sottorappresentate in alcuni ambiti dello sport. In linea con la strategia per la parità tra donne e uomini 2010-2015, la Commissione incoraggia l'integrazione delle questioni di genere nelle attività connesse allo sport;
    è necessario ricordare che i fondi dell'Unione europea potrebbero essere usati per progetti e azioni a sostegno di strutture sportive sostenibili, ad esempio allo scopo di sfruttare appieno il valore dello sport quale strumento di sviluppo locale e regionale, di rivitalizzazione urbana, di sviluppo rurale, di occupazione di creazione di posti di lavoro e di integrazione nel mercato del lavoro,

impegna il Governo:

   a promuovere norme in materia di governance nello sport, attraverso lo scambio di buone pratiche e un sostegno mirato ad iniziative specifiche;
   a fornire orientamenti su come conciliare le disposizioni del trattato sulla nazionalità e l'organizzazione di competizioni nei singoli sport su base nazionale;
   sostenere le parti sociali e le organizzazioni sportive nella creazione di un dialogo sociale a livello di Unione europea per l'intero settore dello sport e del tempo libero e nel dibattito avente ad oggetto nuovi temi pertinenti, quali la stabilità contrattuale, l'istruzione e la formazione, la salute e la sicurezza, e la lotta al doping;
   a identificare l'ambito della cooperazione internazionale nel settore dello sport prestando particolare attenzione ai Paesi terzi europei;
   a sostenere in ambito comunitario il ruolo dello sport, a promuovere l'integrazione e il coordinamento delle azioni degli Stati membri e, a favorire lo sviluppo di una dimensione europea dello sport secondo quanto disposto dall'articolo 165 Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;
   ad attuare il piano nazionale per la promozione dell'attività sportiva;
   a sostenere con forza quanto disposto dalla programmazione europea 2014-2020, con riferimento all'Erasmus + in materia di sport.
(1-00294) «Vezzali, Andrea Romano, Balduzzi, Capua, Causin, Antimo Cesaro, Cimmino, D'Agostino, Dambruoso, Galgano, Librandi, Matarrese, Mazziotti Di Celso, Molea, Vargiu, Vecchio, Vitelli, Sottanelli, Rabino».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GRILLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:
   il porto di Catania ha rilevanza economica internazionale e svolge un importante ruolo nel sistema socio-economico regionale e cittadino;
   lo sviluppo di suddetto porto non può esulare dal contesto urbano nel quale sorge e il potenziamento delle attuali funzionalità non può ledere la sicurezza dei lavoratori e dei residenti dell'area portuale;
   il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti pro tempore, Corrado Passera, con il decreto n. 296 del 10 agosto 2012, nelle more del perfezionamento del procedimento di nomina del nuovo Presidente dell'autorità portuale di Catania, ha nominato un commissario straordinario, nella persona del dottor Cosimo Aiello, dotandolo dell'esercizio dei poteri e delle attribuzioni indicati nell'articolo 8 della legge 28 giugno 1994 e successive modifiche e integrazioni, che si è insediato con decorrenza 17 agosto 2012;
   l'articolo 5, comma 1, della legge n. 84 del 1994, sancisce che l'ambito e l'assetto complessivo del porto, ivi comprese le aree destinate alla produzione industriale, all'attività cantieristica e alle infrastrutture stradali e ferroviarie, sono rispettivamente delimitati e disegnati dal piano regolatore portuale che individua altresì le caratteristiche e la destinazione funzionale delle aree interessate;
   il comma 3 del suddetto articolo prevede che il piano regolatore di cui sopra venga adottato dal comitato portuale, previa intesa con il comune o i comuni interessati e, a tal proposito, l'autorità portuale di Catania, con nota del 31 maggio 2004, prot. n. 2900, ha redatto e trasmesso al comune di Catania un nuovo piano regolatore portuale;
   vista la preventiva condivisione dell'autorità portuale come da verbale del 14 settembre 2012, e il parere positivo della direzione urbanistica e gestione del territorio del comune, espresso in data 8 novembre 2012 prot. 350921, il Comune di Catania, in data 15 novembre 2012, ha deliberato sul piano regolatore portuale;
   il piano regolatore portuale di cui sopra prevede la realizzazione di edifici a sei o più piani, alti 20 metri o più, per complessivi 1.507.450 metri cubi. Un valore, quest'ultimo, quattro volte superiore alla cubatura concessa dal comune di Catania per la edificabilità di una arteria centrale quale, ad esempio, Corso Martiri della Libertà;
   a quanto consta all'interrogante tale piano regolatore portuale non sarebbe munito delle valutazioni VIA e VAS, le due procedure di riferimento per la realizzazione di infrastrutture strategiche, introdotte dalla legge obiettivo (legge 21 dicembre 2001, n. 443) e di derivazione comunitaria;
   la regione siciliana, con la deliberazione n. 408 del 20 marzo 2003 che recepisce l'ordinanza della Presidenza del Consiglio dei ministri 20 marzo 2003 n. 3274», ha Confermato la classificazione sismica in zona 2 del comune di Catania, prescrivendo anche come obbligatorie le verifiche di zona 1 per le strutture strategiche –:
   se il Governo siano a conoscenza delle anomalie procedurali riscontrate in premessa e se, in particolare, non ritenga necessario intervenire urgentemente, per quanto di competenza, al fine di verificare il rispetto delle procedure di VIA e VAS;
   se, in una zona ove il porto funge da naturale via di fuga post sismica per migliaia di persone, non ritenga pericoloso il prevedere una mutazione della destinazione mercantile delle banchine portuali e il concedere un aumento abnorme della edificabilità in un'area ad elevato rischio di sismicità o peggio di possibile maremoto (tsunami), che potrebbero causare crolli e distruzioni tali da ostacolare o impedire del tutto sia la fuga dei cittadini sia l'arrivo di aiuti via mare. (5-01830)

Interrogazione a risposta scritta:


   MINARDO. —Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   è stato approvata dal Consiglio dei ministri la riforma dell'ISEE, l'indicatore della situazione economica equivalente, strumento per l'erogazione dei servizi e delle prestazioni sociali;
   l'ISEE venne introdotto nel nostro ordinamento dal decreto legislativo n. 109 del 31 marzo 1998 sulla base delle indicazioni stabilite dalla legge n. 449 del 27 dicembre 1997, con la finalità primaria di garantire condizioni di equità del sistema della partecipazione al costo delle prestazioni sociali agevolate;
   la legge 22 dicembre 2011, n. 214, aveva previsto, all'articolo 5, un successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze che ha modificato il quadro normativo esistente;
   infatti, nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sono entrate calcolo ISEE anche somme che, sulla base della normativa precedente, non entravano a fare parte dello stesso come ad esempio le provvidenze assistenziali agli invalidi civili, ai ciechi ed ai sordi;
   nonostante alcune considerazioni positive che possono essere riconosciute allo strumento come il fatto che la disabilità comporta dei costi aggiuntivi rispetto a chi è privo di disabilità, esistono delle disposizioni che presentano degli aspetti negativi che, secondo l'interrogante, dovrebbero essere riviste;
   in particolare si evidenzia come nel calcolo del nuovo ISEE siano computate anche le provvidenze assistenziali, come le pensioni sociali, le indennità di accompagnamento, i contributi a sostegno dell'assistenza personale, conteggiati come se fossero un reddito da lavoro o una rendita finanziaria anche se poi sono state introdotte franchigia e detrazioni;
   è opportuno, quindi, considerare la disabilità e la non autosufficienza come tra i principali elementi di impoverimento delle famiglie italiane e apportare dei rimedi che consentano di superare tale condizione;
   sembra, quindi, necessario, ricondurre lo strumento ad una maggiore equità tra i cittadini, riducendo le diseguaglianze e, nello stesso tempo, riconoscere che la condizione di vita delle persone con disabilità necessita di criteri che colmino, anche se parzialmente, le carenze di pari opportunità presenti oggi –:
   quali iniziative si intendano adottare per valutare l'opportunità di rivedere i criteri di calcolo e le modalità di applicazione dell'ISEE rimuovendo dal computo complessivo l'indennità di accompagnamento. (4-03085)

AFFARI ESTERI

Interpellanze:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro degli affari esteri, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   secondo ricorrenti notizie di fonte giornalistica, con ogni probabilità sarà la base americana nel porto di Augusta la sede prescelta per il temporaneo attracco di una nave cargo con a bordo 1290 tonnellate di sostanze nocive, stipate in 150 container, utilizzate come armi chimiche in Siria;
   ipotesi che sarebbe stata in qualche modo confermata dalla disponibilità manifestata dal Governo di mettere a disposizione uno scalo italiano per l'operazione gestita dall'Opac (l'Organizzazione per la distruzione delle armi chimiche), che dovrebbe prevedere il trasbordo da due navi da trasporto messe a disposizione da Norvegia e Danimarca (Taiko e Ark Futura) alla Us Navy Cape Ray, una nave da trasporto Ro-Ro (con portellone posteriore), che al momento di trova ancora in Virginia, all'interno della quale dovrebbero poi svolgersi le procedure di neutralizzazione definitiva delle armi chimiche;
   da quanto trapela, si tratterebbe di una procedura complessa e con evidenti rischi per le popolazioni e per l'ambiente marino, che richiede la massima cautela e precauzione, al punto che diversi altri Paesi quali la Croazia, la Norvegia e l'Albania si sono dichiarati indisponibili ad ospitarne lo svolgimento nei propri porti o comunque all'interno delle proprie acque territoriali;
   la soluzione meno complessa e rischiosa, ovvero il carico sulla nave della Marina americana da un porto siriano, è stata osteggiata dalla contrarietà della Russia;
   a parere dell'interpellante, il territorio siciliano, e quello siracusano in particolare, di tutto ha bisogno – per esempio bonifiche, progetti di riqualificazione e riconversione industriale, iniziative per lo sviluppo – tranne che ospitare navi cariche di micidiali e pericolosissimi sistemi di distruzione di massa –:
   se le notizie sommariamente riportate in premessa risultino confermate e, nel qual caso, quali iniziative si intendano assumere per assicurare la massima garanzia dell'incolumità delle popolazioni e dell'ambiente prossimi alle aree dove si svolgeranno le operazioni di trasbordo delle armi chimiche siriane;
   quali siano state le valutazioni che hanno spinto il Governo a mettere a disposizione uno scalo portuale per tali operazioni, dopo il rifiuto di altri Paesi;
   se non ritengano necessario avviare, nei tempi più celeri, un confronto con le amministrazioni locali eventualmente interessate, per organizzare un sistema di sicurezza e informazione delle popolazioni che limiti al massimo i disagi anche logistici che potrebbero derivarne.
(2-00352) «Zappulla».


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro degli affari esteri, per sapere – premesso che:
   mentre il Congo è precipitato nuovamente nella violenza con decine di morti nella capitale Kinshasa, 24 genitori italiani vivono rinchiusi nell'orfanotrofio in cui erano andati per portare in Italia i bambini congolesi adottati;
   in situazione di pericolo ed emergenza come quella che vive il Congo, potrebbero essere anche rilasciati passaporti diplomatici per permettere ai genitori italiani e ai loro bambini regolarmente adottati di tornare in Italia;
   è in corso una missione del Ministero degli affari esteri del Governo italiano per sbloccare la situazione trovando un accordo con le autorità del Congo, ma allo stato la situazione non è affatto risolta –:
   quali iniziative il Governo italiano intenda assumere per arrivare ad una rapida soluzione di una vicenda così grave dal punto di vista umanitario.
(2-00358) «Melilla».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SCOTTO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero degli affari esteri della Repubblica italiana ha approvato il programma «Seenet – Una rete translocale per la cooperazione tra Italia e Sud Est Europa» con delibera n. 100 del 31 luglio 2008;
   il 30 dicembre 2008 è stato sottoscritto il protocollo d'intesa per la gestione del programma fra regione Toscana, capofila del programma, la regione Emilia Romagna, la regione Friuli Venezia Giulia, la regione Piemonte, la regione Marche, la regione Veneto e la provincia autonoma di Trento;
   il programma «Seenet», per un valore complessivo di 11 milioni di euro ed una copertura territoriale che include tutti i Paesi dei Balcani occidentali e 46 amministrazioni locali, è il più importante programma di cooperazione decentrata nell'area, finanziato dal Ministero degli affari esteri e cofinanziato dalle regioni partner;
   esso persegue gli obiettivi generali di contribuire al processo di adesione dei Paesi partner all'Unione europea, favorire il dialogo tra Stati, enti e comunità locali italiani e del sud est europeo per un efficace sviluppo locale dei territori coinvolti, favorire e promuovere l'innovazione nelle metodologie e nei programmi di sviluppo a livello centrale e locale e sostenere il rafforzamento della governance e delle capacità istituzionali a livello centrale e locale favorendo la cooperazione istituzionale multilivello e il coinvolgimento del territorio nella definizione e implementazione delle politiche pubbliche;
   il programma, a quanto consta all'interrogante, ha subìto fortissimi ritardi legati, in particolare, da un lato all'eccessiva lentezza del Ministero nella verifica e validazione dei rendiconti, e dall'altro lato a una lunga battuta di arresto del programma per la realizzazione di un pesante processo di monitoraggio avviato dal Ministero stesso;
   ad oggi solo il primo rendiconto, ovvero quello relativo al semestre che va dal 23 novembre 2009 al 22 maggio 2010, è stato verificato e pagato, mentre il secondo rendiconto (relativo al semestre intercorrente tra il 23 maggio ed il 22 novembre del 2010) è in corso di verifica;
   dei successivi 4 rendiconti presentati al Ministero degli affari esteri non si ha notizia, ed è legittimo ipotizzare che non siano ancora stati presi in visione;
   contestualmente il processo di monitoraggio avviato nel 2011 dal Ministero degli affari esteri e mai concluso, che ha arrestato le attività per oltre un anno, si è rivelato puramente formale ed eccessivamente dispendioso in termini di impegno lavorativo e di risorse umane;
   il fatto che sia stato unicamente condotto sulla base di una verifica documentale e senza alcun incontro con i partner, ha fatto sì che tale processo si rivelasse inidoneo a verificare i risultati ottenuti e la soddisfazione del partenariato;
   la prima diretta conseguenza di tutto ciò attiene all'esposizione economica delle regioni, che, dovendo secondo la Convenzione stipulata nel 2008 anticipare le risorse, hanno comunque continuato ad operare, trovandosi così oggi ad aver anticipato la quasi totalità dei fondi del programma;
   la seconda conseguenza, parimenti grave, riguarda il concreto rischio di perdita d'immagine e di deterioramento delle relazioni con il partenariato balcanico, con il quale molte delle regioni italiane collaborano efficacemente da più di un decennio: il forte ritardo subito dalla realizzazione del programma, infatti, causato principalmente dal momentaneo arresto del programma stesso e dall'incertezza sulla riconoscibilità delle spese, ha rischiato di portare le regioni ad abbandonare il progetto, e, di conseguenza, a non rispettare gli impegni presi con i partner;
   tale pericolo è stato sventato unicamente dalla buona volontà delle regioni e degli attori territoriali coinvolti nel programma, che hanno continuato ad l'anticipare le risorse, così come dalla sensibilità e correttezza istituzionale verso il partenariato che questi hanno dimostrato;
   il programma, nonostante le notevoli difficoltà incontrate, ha portato sinora ad importanti risultati in tutti i territori partner, con un largo riconoscimento da parte delle istituzioni coinvolte;
   le problematiche qui descritte legate presumibilmente alla lentezza dell'azione del Ministero degli affari esteri nelle verifiche dei rendiconti delle relazioni tecniche produce analoghi problemi sulle altre iniziative di cooperazione decentrata –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti narrati e quali misure siano già state prese in merito;
   perché il monitoraggio ritenuto indispensabile da parte del Ministero degli affari esteri si sia poi sostanziato in una verifica puramente formale a giudizio dell'interrogante non in grado di valutare i reali risultati ottenuti dal programma;
   per quali motivi si siano verificati ritardi così gravi e corposi nella verifica e nel pagamento dei rendiconti presentati al Ministero;
   quali azioni intenda intraprendere per evitare che analoghe situazioni si vengano a creare nello sviluppo di altre iniziative di cooperazione decentrata.
(5-01810)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SPADONI, SCAGLIUSI, DE LORENZIS, PARENTELA, DA VILLA, TOFALO, SIBILIA e MANNINO. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   quindici mesi fa una cittadina italiana in stato interessante, Alessandra Pacchieri, durante un viaggio di lavoro in Inghilterra ed in seguito ad un attacco di panico, probabilmente provocato da un'errata assunzione dei farmaci prescritti per un disordine bipolare, era stata trasferita presso la clinica inglese Horlow Essex;
   durante il periodo di degenza, è nata una bambina che, date le condizioni di salute della madre, è stata affidata ai servizi sociali della Contea dell'Essex;
   nel provvedimento di affido del giudice si legge che i medici che avevano in cura Alessandra erano contrari a separare madre e figlia e lo stesso giudice, nei successivi colloqui, trovava la donna in buono stato;
   nei mesi successivi la madre ha fatto ritorno in Italia per ricongiungersi con le altre due figlie, proseguendo le cure;
   attualmente le sue condizioni di salute sono notevolmente migliorate e per questo ha avanzato richiesta presso il tribunale di Firenze per l'affido, negato successivamente, alla zia paterna;
   la piccola è stata dichiarata adottabile dalle autorità inglesi, impedendo così alla madre di rivederla e tenerla con sé;
   dopo numerose istanze per ottenere un intervento delle autorità italiane per porre termine alle illegittime ingerenze delle autorità inglesi, il tribunale ha ordinato la formazione di separato fascicolo intestato alla piccola da trasmettere al pubblico ministero per riferire sulla giurisdizione e la competenza;
   tale fascicolo è stato inviato sia al tribunale che ai servizi sociali inglesi ma anche al consolato italiano a Londra, senza alcun risultato;
   è stata trasferita la competenza al tribunale dei minorenni di Roma che ha dichiarato di non riconoscere il provvedimento della corte inglese perché contrario alle norme italiane e internazionali di ordine pubblico;
   il presupposto della dichiarazione di adottabilità è lo stato di abbandono del minore e dell'inesistenza di familiari che possano prendersene cura;
   il regolamento (CE) 2201/2003, in materia di competenza, riconoscimento ed esecuzioni di decisioni in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale, stabilisce che «in caso di urgenza, le autorità giurisdizionali di uno Stato membro possono adottare provvedimenti provvisori o cautelari previsti dalla legge interna relativamente alle persone presenti in quello Stato»; in sintesi, quindi, non è dato alcun potere allo Stato estero di adottare provvedimenti di carattere definitivo quali una dichiarazione di adottabilità ed il conseguente provvedimento di adozione, soprattutto quando il minore non è in stato di abbandono;
   gli Stati in questione, italiano e inglese, sono firmatari della Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza;
   la Costituzione italiana tutela la maternità e l'infanzia e agevola la formazione delle famiglie, ai sensi degli articoli 29 e seguenti –:
   quali siano le motivazioni che hanno portato un atteggiamento di indifferenza da parte del consolato italiano a Londra che dovrebbe tutelare ogni cittadino italiano presente sul territorio inglese;
   quali azioni si intenda intraprendere per il trasferimento di competenza dai servizi sociali inglesi a quelli italiani, per valutare il caso in Italia e l'eventuale adozione da parte della zia paterna della minore. (4-03070)


   MELILLA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   su Repubblica del 4 gennaio 2014 è apparsa la notizia che «l'Italia ha messo in disposizione un porto del sud del mare Adriatico per effettuare il trasbordo delle armi chimiche siriane» che saranno distrutte in acque internazionali. La nostra intelligence sarebbe preoccupata per il rischio che questa operazione possa essere ostacolata da comitati e movimenti di protesta per il rischio connesso allo smaltimento di 700 tonnellate di gas altamente tossici;
   il piano di smantellamento deciso per iniziativa degli Stati Uniti e della Russia dovrà essere completato entro metà del 2014, sotto l'egida della Organizzazione per la distruzione delle armi chimiche;
   il convoglio navale con le armi chimiche approderebbe in un porto italiano tra il 6 e il 17 gennaio –:
   se tale notizia corrisponda al vero e quali garanzie siano state eventualmente assunte per evitare ogni rischio per il nostro Paese. (4-03081)

AFFARI REGIONALI E AUTONOMIE

Interrogazione a risposta scritta:


   ROSATO. —Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro per l'integrazione, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in Italia il C.O.N.I ha stabilito, con una circolare, un limite massimo alle prestazioni di sportivi extracomunitari nelle Società Sportive. Tale limite riguarda sia gli sportivi extracomunitari che effettuano il loro ingresso per la prima volta nel nostro Paese perché impegnati nell'attività agonistica di alto livello, sia gli atleti già presenti sul territorio nazionale con un regolare permesso di soggiorno per motivi sportivi o di lavoro o familiari. Il limite massimo viene fissato annualmente con decreto della Presidenza del consiglio dei Ministri su proposta del C.O.N.I. ed è finalizzato alla «salvaguardia del patrimonio sportivo nazionale e della tutela dei vivai giovanili»;
   frequentemente si verificano casi di minori figli di genitori extracomunitari trasferitisi in Italia – o nati in Italia – che iniziano una attività all'interno di Società Sportive ma che, al compimento del diciottesimo anno di età acquisiscono lo status di «extracomunitario» con la sopraggiunta impossibilità di proseguire l'attività sportiva tranne, appunto, nel caso si riesca a rientrare nelle quote stabilite annualmente dal CONI;
   l’iter per l'ottenimento della cittadinanza italiana – una volta raggiunti i requisiti richiesti e presentata la domanda – prevede tempi molto lunghi che possono raggiungere anche i due anni, provocando di fatto una interruzione sostanziale dell'attività agonistica;
   l'attività agonistica, soprattutto per i giovani e gli adolescenti – ancor di più se sono stranieri – rappresenta anche uno strumento di forte coesione e di integrazione sociale e culturale, ed appare all'interrogante irragionevole che un giovane che per anni si è impegnato nella pratica dell'attività sportiva, magari anche conseguendo dei risultati, debba interrompere l'attività agonistica a causa dei tempi lunghi della burocrazia;
   si fa presente che anche le stesse Società Sportive, che negli anni hanno investito sul talento di questi giovani, possono risultare penalizzate da questa rigidità normativa;
   ci sono casi in Italia in cui le Federazioni Sportive, come la FIH (Federazione Italiana Hockey), hanno operato delle deroghe al sistema delle «quote» stabilite dal CONI ed hanno introdotto nel loro statuto lo «ius soli» sportivo in base al quale si considera italiani a tutti gli effetti i giocatori di origine straniera che siano nati però in Italia –:
   se, nell'ambito della predisposizione del prossimo decreto della Presidenza del Consiglio che stabilisce il limite massimo alle prestazioni sportive di extracomunitari, il Governo intenda fissare soglie più ampie che tengano conto delle situazioni indicate in premessa. (4-03087)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COLLETTI e VACCA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in provincia di Teramo, e precisamente presso l'ex discarica di Coste Lanciano sita nel comune di Roseto degli Abruzzi, sono stati accumulati rifiuti solidi urbani a pochi metri dal fiume Tordino;
   dopo ogni pioggia tali rifiuti ricadono all'interno dell'alveo del fiume che poi li porta, grazie alle normali correnti, fino in mare, andandosi a depositare nelle spiagge più vicine;
   appare assurdo che, a suo tempo, sia stata posta una discarica così vicino al corso di un fiume, senza prendere minimamente in considerazione ogni attività tesa a mettere in sicurezza la discarica stessa;
   il rischio ambientale è molto elevato, se si considera che il torrente Venna, le cui acque scorrono a pochi metri dal deposito dei rifiuti, si riversa nel fiume Foro che bagna 24 comuni tra le province di Chieti e di Pescara;
   tali rifiuti inoltre vanno ad inquinare anche le spiagge della riserva naturale del Borsacchio, ridotta a una sorta di pattumiera a cielo aperto –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e se intenda promuovere una verifica da parte del Comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, segnalando altresì le risultanze di tale verifica al presidente della regione Abruzzo ed ai sindaci dei comuni interessati affinché possa essere urgentemente individuata una soluzione che impedisca il verificarsi di un danno ambientale ulteriore. (5-01807)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   Caserta, vasta ed importante provincia della Campania, è da mesi sotto i riflettori in quanto scenario della devastazione ambientale che le è valsa il soprannome di «Terra dei Fuochi»;
   un'analisi delle certificazioni ISTAT relative ai decessi nella città di Caserta relative al periodo intercorrente tra il novembre 2006 ed il dicembre 2009, ad eccezion fatta dei mesi di gennaio 2007, maggio 2007 ed ottobre 2009, i cui dati mancano, mostra l'altissima percentuale di casi di morte direttamente dipendenti da tumori;
   nel periodo preso in esame, infatti, i casi in questione rappresenterebbero il 32,45 per cento dei decessi complessivi;
   in particolare, nel 2006, su un totale di 46 decessi a novembre ed altrettanti a dicembre, rispettivamente 17 e 14 sono stati causati da neoplasie;
   ancora, nel febbraio del 2007 14 decessi su 61 erano direttamente imputabili a neoplasie, nel marzo 20 su 49, ad aprile 10 su 45, a giugno 13 su 42, a luglio 21 su 46, ad agosto 21 su 54, a settembre 19 su 51, ad ottobre 15 su 50, a novembre 15 su 55 e nel dicembre 2007 16 su 51;
   nel 2008 la media restava sugli stessi livelli: erano imputabili a neoplasie 18 decessi su 61 a gennaio, 24 su 63 a febbraio, 14 su 56 a marzo, 16 su 45 ad aprile, 18 su 42 a maggio, 15 su 51 a giugno, 16 su 42 a luglio, 13 su 45 ad agosto, 19 su 45 a settembre, 12 su 46 ad ottobre, 11 su 51 a novembre e 18 su 55 a dicembre;
   nel 2009, infine, 14 decessi su 59 avvenuti a gennaio erano direttamente dipendenti da neoplasie, e così 16 su 47 a febbraio, 18 su 46 a marzo, 12 su 53 ad aprile, 19 su 49 a maggio, 13 su 40 a giugno, 14 su 36 a luglio, 14 su 48 ad agosto, 14 su 44 a settembre, 19 su 53 a novembre e 16 su 58 a dicembre;
   per calcolare l'incidenza generale delle malattie neoplastiche sul territorio casertano bisognerebbe a queste cifre aggiungere le tante persone che, pur essendo affette da neoplasie, nello stesso periodo sono decedute per altre patologie (cardio-vasculopatie, incidenti e altro);
   inoltre c’è da sottolineare come per tipologie di patologie come quelle tumorali spesso i soggetti malati residenti a Caserta sono costretti a spostarsi (mentre quasi mai avviene il contrario), e quindi alla valutazione qui riportata non possono che sfuggire un ulteriore numero imprecisato di decessi;
   non bisogna dimenticare i tanti che guariscono dal cancro (si tratta di circa il 10 per cento dei casi), e che quindi non possono essere qui conteggiati tra i soggetti affetti da patologie neoplastiche;
   risalta immediatamente agli occhi come lo scenario che si presenta sia drammatico, specie se si considera come l'incidenza media italiana dei morti per tumore naviga intorno al 25 per cento, molto più bassa di quella casertana –:
   se i dati raccolti risultino anche ai Ministri interrogati;
   quali iniziative, per quanto di competenza, siano già state prese in merito e quali si intendano intraprendere al riguardo;
   se non si ritenga opportuno promuovere la formazione di una task force per attivare un immediato monitoraggio ed estenderlo quanto più largamente possibile, così da comprendere finalmente in maniera esaustiva le dimensioni del problema. (4-03073)


   FANTINATI, BUSINAROLO e TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   sono decenni ormai che l'aeroporto e l'interporto di Verona – separati fisicamente solo dall'autostrada A22 e dall'incrocio tra l'autostrada A22 e l'autostrada A4 e quindi in presenza di impatti ambientali «cumulativi» – si sono ampliati e potenziati senza mai chiedere una procedura di VIA (valutazione d'impatto ambientale) o di VAS (valutazione ambientale strategica);
   non risulta all'interrogante che queste strutture siano state sottoposte neppure alla verifica di assoggettabilità (screening preliminare) alla valutazione d'impatto ambientale o alla valutazione ambientale strategica;
   queste infrastrutture (aeroporto, interporto, autostrade A22 e A4), interessano pesantemente il centro abitato di Caselle di Sommacampagna, sul cui territorio insiste quasi l'80 per cento del sedime dell'aeroporto di Verona, il cui confine comunale coincide con l'intero confine ovest dell'interporto «Quadrante Europa» ed il cui territorio è attraversato dall'autostrada A22 e dall'A4, ai cui impatti ambientali vanno anche aggiunti quelli generati dall'incrocio di due autostrade;
   nel corso degli anni, alcuni cittadini di Caselle di Sommacampagna hanno presentato denunce ed esposti alla procura della Repubblica, inviate anche alla direzione generale ambiente della Commissione europea;
   su tale argomento l'eurodeputato Andrea Zanoni ha presentato tre interrogazioni al Presidente del Consiglio europeo e alla Commissione competente per materia;
   con la pratica EU-PILOT 3719/12/ENVI la direzione generale ambiente sta ancora indagando sulla mancata sottoposizione alla valutazione ambientale strategica dell'interporto «Quadrante Europa» e, con la pratica EU-PILOT 3720/12/ENVI sono ancora in corso verifiche sulla mancata sottoposizione alla valutazione d'impatto ambientale dell'Aeroporto «Valerio Catullo»;
   in merito alla violazione della direttiva di valutazione d'impatto ambientale dell'aeroporto Catullo, la Procura della Repubblica di Verona sta ancora svolgendo indagini, in quanto ad oggi risulta essere ancora aperto il fascicolo 4246/11/ANCNR;
   notizie di stampa di qualche settimana fa anticipano indiscrezioni secondo cui, a seguito di una perizia commissionata dal pubblico ministero, sarebbe emerso che «era necessaria la Valutazione d'Impatto Ambientale per realizzare l'ampliamento e il potenziamento dell'Aeroporto Catullo» –:
   considerata la sommatoria degli impatti che creano gravi problemi ambientali sull'abitato di Caselle del comune di Sommacampagna, quali iniziative urgenti intenda adottare affinché l'aeroporto «Valerio Catullo» e l'interporto «Quadrante Europa» siano rispettivamente sottoposti alle procedure di valutazione d'impatto ambientale e di valutazione ambientale strategica, tenendo conto anche degli effetti cumulativi che impattano su Caselle di Sommacampagna vista la contemporanea presenza dell'interporto, dell'aeroporto, delle Autostrade A22 e A4 e del rispettivo incrocio autostradale. (4-03074)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta immediata:


  ZAN. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la città di Padova ha nel suo territorio una moltitudine di luoghi di elevatissimo pregio artistico costituiti da una serie di cicli di affreschi trecenteschi di straordinaria importanza e qualità;
   nel comune di Padova esiste un sito Unesco, l'Orto botanico;
   i cicli di affreschi fanno capo a diversi soggetti proprietari: la Cappella degli Scrovegni, l'Oratorio di San Michele e Palazzo della Ragione di proprietà del comune di Padova, il Battistero del Duomo di proprietà della diocesi di Padova, cicli di affreschi nella Basilica del Santo e nell'Oratorio di San Giorgio proprietà della Pontificia Basilica del Santo, ciclo di affreschi di Guariento di proprietà dell'Accademia Galileiana di scienze, lettere ed arti, cicli di affreschi presso il Castello di proprietà dello Stato;
   questi cicli rappresentano un patrimonio figurativo di artisti di straordinaria importanza, come Giotto, Guariento, Giusto de’ Menabuoi, Altichiero, Jacopo da Verona;
   esiste una mozione del consiglio comunale per proporre l'inserimento della città di Padova nell'elenco dei siti Unesco per l'importanza e l'unicità dei siti affrescati trecenteschi;
   attualmente i cicli trecenteschi sono all'interno di una lista di osservazione di siti passibili di inserimento nel patrimonio Unesco;
   servono considerevoli risorse per mettere a punto un comune piano di gestione fra i diversi siti, che, di norma, è elemento fondamentale per il buon fine della domanda di inserimento –:
   cosa intenda fare il Ministro interrogato, anche in termini di finanziamenti, per sostenere l'iniziativa del comune di Padova e degli altri enti proprietari per l'inserimento della Cappella degli Scrovegni e di tutti i siti trecenteschi nei siti Unesco. (3-00533)


   ANDREA ROMANO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'avvento del digitale e la rapida evoluzione della natura dei modelli di business legati all'odierna tecnologia hanno evidenziato la necessità di rivedere profondamente la normativa in vigore in materia dei diritti d'autore;
   tale necessità di modernizzazione ha investito anche la gestione dei diritti svolta da società di gestione collettiva per conto dei titolari dei diritti, ove si è progressivamente creato uno scollamento tra gli interessi dei titolari, degli utilizzatori e, più in generale, dei consumatori e la gestione dei proventi raccolti;
   poiché le società concedono licenze su diritti per conto di titolari dei diritti nazionali ed esteri, il loro funzionamento ha un impatto fondamentale sullo sfruttamento degli stessi in tutto il mercato interno;
   a livello europeo si nota una sensibile articolazione dei diversi modelli adottati in materia di copyright collecting society;
   la Siae è espressione di un monopolio di diritto, che tende a limitare, per mezzo di rapporti di esclusiva, la facoltà di autori o altri titolari dei diritti di svolgere autonome negoziazioni e di selezionare quale società di intermediazione e raccolta offra le condizioni più vantaggiose;
   i possibili vantaggi di una posizione monopolistica (e, di conseguenza, la presenza sul mercato di un unico operatore) sono ormai superati, ma a ciò deve poi aggiungersi il fatto che le collecting society agiscono per la realizzazione non di un proprio interesse, ma degli interessi dei propri iscritti e che, come sottolineato anche dalla Corte di giustizia, nell'analizzare il mercato in questione occorre considerare attentamente tutti i possibili interessi in gioco;
   non vi è alcuna sostanziale differenza tra le dinamiche del mercato dell'intermediazione dei diritti connessi di artisti, interpreti ed esecutori e quelle del mercato dei diritti degli autori: appare evidente che, stante l'omogeneità delle dinamiche di mercato nel settore dei diritti connessi ed in quello dei diritti d'autore, non si può «liberalizzare» un mercato e mantenere il monopolio su quello attiguo senza violare l'articolo 3 della Costituzione;
   maggiori, poi, sono le incompatibilità con il diritto comunitario sotto vari aspetti. Ad esempio, la violazione del diritto di stabilimento: la proposta di direttiva sulle collecting society e, ancor prima, la decisione Cisac della Commissione europea consentono alle società di gestione collettiva di operare anche al di fuori dei confini nazionali. Quindi, il divieto per una società di stabilirsi in Italia sarebbe in contrasto con il principio di libertà di stabilimento stabilita dal Trattato;
   allo stesso modo, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, deve ritenersi che le collecting society non siano incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale e, quindi, non siano riconducibili al novero delle società per cui è giustificato un regime di monopolio secondo l'articolo 106 del Trattato;
   anche nella relazione del Parlamento europeo su «Un quadro comunitario per le società di gestione collettiva dei diritti d'autore» si afferma, a chiare lettere, l'urgenza di «rivedere le strutture monopolistiche esistenti e limitarle eventualmente a quei settori in cui sia stato dimostrato che non esiste alcuna alternativa per assicurare la necessaria tutela degli interessi degli autori»;
   infine, il settore delle collecting society spinge naturalmente verso la creazione di monopoli di fatto e non vi sarebbe ragione alcuna per assicurare questa situazione monopolistica ex lege. Una simile restrizione alla libertà di stabilimento risulterebbe una misura sproporzionata agli obiettivi che lo Stato intende perseguire –:
   se non intenda, ferme restando le valide competenze all'interno della Siae e l'importante know how maturato nel settore dell'intermediazione dei diritti d'autore, adottare iniziative normative tese all'abolizione dell'esclusiva stabilita ex articolo 180 della legge 22 aprile 1941, n. 633, sul diritto d'autore a favore della Siae, alla predisposizione di controlli effettivi sulla governance delle future società di gestione collettiva, alla fissazione dei requisiti minimi finalizzati alla costituzione di una collecting society. (3-00534)


   SCHIRÒ. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   i fatti recenti della storia del suolo italiano, dall'Umbria all'Emilia, senza scordare il Duomo di Noto e, prima di tutto, il devastante terremoto dell'Aquila, non avrebbero potuto essere affrontati senza la collaborazione tecnica dei funzionari del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e dei vigili del fuoco –:
   se non intenda prevedere nei prossimi interventi legislativi che i funzionari del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo che partecipano a operazioni di messa in sicurezza del patrimonio artistico/architettonico a fianco dei vigili del fuoco abbiano le stesso trattamento economico di questi ultimi, visto che sono esposti ai medesimi rischi e ne condividono le responsabilità. (3-00535)


   FORMISANO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91 (cosiddetto «Valore cultura»), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112, ha stanziato 105 milioni di euro per «salvare» Pompei;
   della cifra totale, 60 milioni di euro derivano dalla riprogrammazione dei fondi per la coesione, mentre i rimanenti 45 milioni di euro sono stati concessi dalla Commissione europea in seguito alle richieste italiane e alla definizione di un piano d'azione, concordato con l'Esecutivo europeo, nel quale si è accertata l'entità dei lavori necessari per la «riabilitazione» di Pompei;
   i soldi messi a disposizione non sono a fondo perduto: o l'Italia sarà in grado di spenderli correttamente e nei tempi prescritti o saranno allocati altrove, lasciando il Paese con l'umiliazione della revoca subita;
   il termine ultimo perentorio per il totale utilizzo dei 105 milioni di euro cofinanziati dalla Commissione europea è il 30 giugno 2015;
   solo di recente è stato nominato, dopo inspiegabili ritardi, il direttore generale del progetto «Grande Pompei» nella persona del generale dell'Arma dei carabinieri Giovanni Nistri;
   intanto, però, si registrano ancora crolli nelle strutture del sito archeologico –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda prendere per dare piena attuazione al progetto «Grande Pompei», assicurando che i soldi destinati al progetto stesso vengano spesi nei tempi previsti, senza, quindi, ulteriori ritardi, in modo da salvare realmente un bene unico per l'umanità quale il sito di Pompei.
(3-00536)


   RAMPELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Roma ha definanziato il Teatro dell'Opera di Roma, concorrendo a determinare il mancato pareggio di bilancio del medesimo e causando, di conseguenza, sia una grave riduzione di personale, sia la drastica riduzione degli stipendi di coloro che riusciranno a conservare il posto;
   il Teatro dell'Opera di Roma subirà, quindi, un'inevitabile riduzione della produzione artistica e della qualità della stessa – dalla quale trarrà, invece, un evidente beneficio Santa Cecilia – che distruggerà il rilancio artistico e culturale del Teatro dell'Opera di Roma realizzato negli ultimi anni;
   nel mese di dicembre 2013 il sindaco Marino ha nominato a soprintendente del Teatro dell'Opera di Roma Carlo Fuortes, con il parere favorevole del consiglio d'amministrazione della stessa istituzione, nel quale siedono anche rappresentanti del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   Fuortes è attualmente anche amministratore delegato della Fondazione «Musica per Roma», che ha tra i suoi soci Santa Cecilia (istituzione rientrata a scapito dell'Opera nel ristretto elenco delle istituzioni culturali virtuose), nonché commissario del Teatro Petruzzelli di Bari;
   ricoprendo tre incarichi Fuortes somma anche le tre indennità, divenendo, a scapito di tutti i propositi di contenimento della spesa nel settore culturale, un vero e proprio supermanager, fatto ancor più grave se si considera che tra il suo incarico presso la Fondazione «Musica per Roma» e quello di soprintendente al Teatro dell'Opera a parere dell'interrogante esiste un evidente conflitto di interessi, oltre al fatto che si viene a creare una forma di concorrenza sleale verso il settore privato –:
   se non ritenga opportuno, nell'ambito delle proprie competenze, intervenire a tutela del Teatro dell'Opera di Roma, salvaguardandone il personale e promuovendo ogni verifica utile in ordine all'effettiva situazione del bilancio dello stesso ente, nonché a quanto ammonti nel totale l'indennità percepita da Fuortes.
(3-00537)

Interrogazione a risposta scritta:


   PISANO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   le devastanti opere edili («Crescent» e annessa «Piazza della Libertà») avviate – con il concorso di terzi – dal comune di Salerno sul litorale cittadino sono state recentemente sottoposte a sequestro giudiziario penale, sia per i gravissimi dissesti verificatisi nel corso della costruzione della piazza che per le ipotesi di reato, a carico di una pluralità di soggetti pubblici e privati attinenti alla formazione dei vari atti di assenso;
   l'area interessata di tale intervento ad avviso dell'interrogante deprecabile è sottoposta a tutte le disposizioni della parte terza del Codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo n. 42 del 2004), per effetto dell'articolo 142, comma 1, lettera a), in quanto compresa nei 300 metri dalla battigia e lettera c), perchè ricadente nella fascia di 150 metri dal torrente Fusandola, classificato come «acquapubblica» con R.D. 7 maggio 1899;
   come riconosciuto anche dalla competente Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici della Campania, le opere sono del tutto incongrue con il contesto vincolato che, situato direttamente sul mare, rappresenta il punto di cerniera – anche visuale – tra il centro storico di Salerno e la Costiera Amalfitana;
   per l'autorizzazione paesaggistica a suo tempo rilasciata dal comune di Salerno non fu mai esercitato il cosiddetto «controllo di legittimità previsto dall'articolo 159 del decreto legislativo n. 42 del 2004 che, esteso alla valutazione di tutte le forme sintomatiche dell'eccesso di potere, avrebbe dovuto indurre il soprintendente pro-tempore a disporne l'annullamento, nel termine di 60 giorni dalla ricezione degli atti;
   infatti, per la pratica in questione (e solo per questa) il soprintendente pro-tempore, con modalità del tutto inconsuete, chiese, a pochi giorni dalla scadenza di legge e trasmettendo gli atti ad un ufficio a tanto incompetente, il parere del Comitato di settore per i beni architettonici e paesaggistici, determinando così il più che prevedibile superamento dei termini e, con esso, il consolidamento dell'autorizzazione comunale, omettendo di esprimersi (a favore o contro) il dissennato intervento;
   alcuni dirigenti e funzionari – all'epoca dei fatti in servizio presso la soprintendenza per i B.A.P. di Salerno e Avellino – sono indagati in relazione alle inquietanti circostanze che, nel 2008, portarono al mancato controllo (ed annullamento) della prima autorizzazione paesaggistica emessa dal comune di Salerno per l'intervento in questione ed alle conferme dei titoli successivi, esclusivamente per effetto dell'originaria omissione;
   l'oggettivo impatto determinato dalle costruzioni, l'irreversibile alterazione dello skyline urbano, la perdita di elementi identitari della città e delle visuali di pubblico godimento, fa ritenere che – anche attraverso le suddette anomale procedure autorizzative – ci si sia posti in chiara violazione dei principi di tutela del paesaggio sanciti dall'articolo 9 della Costituzione;
   con la recentissima sentenza n. 6223 del 15 ottobre 2013, depositata in segreteria il 23 dicembre 2013, la VI sezione del Consiglio di Stato, accogliendo l'appello proposto da Italia Nostra Onlus, ha disposto l'annullamento delle autorizzazioni paesaggistiche, 18 febbraio 2008, n. 20 e 10 dicembre 2008, n. 164, rilasciate dal Comune di Salerno chiarendo che «le nuove eventuali autorizzazioni dovranno essere oggetto di rinnovate valutazioni da parte dei competenti uffici e, in particolare, della Soprintendenza»;
   la decisione del Consiglio di Stato – sostanzialmente determinata dalla carenza motivazionale delle autorizzazioni paesaggistiche pur a fronte di un intervento ritenuto di forte impatto anche dalla direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Campania (la cui valutazione è espressamente richiamata nella sentenza):
   conferma oltre ogni ragionevole dubbio che tali autorizzazioni avrebbero dovuto essere annullate, nel 2008, dalla Soprintendenza di Salerno cui era allora attribuito, ai sensi del decreto legislativo 42/2004, articolo 159, il relativo controllo di legittimità;
   restituisce integro, agli organi del Ministero dei beni culturali, il potere-dovere di pronunciarsi esplicitamente nel «nuovo» iter autorizzativo –:
   se sia a conoscenza dei fatti segnalati;
   se e quali misure intenda adottare, in ragione delle accertate omissioni che hanno caratterizzato il modus operandi della soprintendenza di Salerno e dello status di indagati di alcuni funzionari;
   se non ritenga opportuno monitorare l’iter amministrativo conseguente alla pronuncia del Consiglio di Stato, al fine di assicurarne la compiuta ottemperanza e, con essa, il ripristino delle elementari condizioni di tutela dell'importante area vincolata. (4-03071)

DIFESA

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
IV Commissione:


   NASTRI e CIRIELLI. —Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la legge 30 ottobre 2013, n. 125, di Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, recante Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni, si prefigge il meritevole obiettivo di abbattere il precariato nel pubblico impiego, un problema questo particolarmente avvertito nel Comparto sicurezza e difesa ove ha assunto proporzioni drammatiche;
   in particolare, il cosiddetto «decreto D'Alia», com’è stato ribattezzato, al comma 4 dell'articolo 4, stabilisce che «l'efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato, vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, relative alle amministrazioni pubbliche soggette a limitazioni delle assunzioni, è prorogata fino al dicembre 2016», prevedendo, altresì, l'obbligo per le pubbliche Amministrazioni di verificare, prima dell'avvio di nuove procedure concorsuali, «a) l'avvenuta immissione in servizio, nella stessa amministrazione, di tutti i vincitori collocati nelle proprie graduatorie vigenti di concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato per qualsiasi qualifica, salve comprovate non temporanee necessità organizzative adeguatamente motivate,», nonché «b) l'assenza, nella stessa amministrazione, di idonei collocati nelle proprie graduatorie vigenti e approvate a partire dal 1o gennaio 2007, relative alle professionalità necessarie anche secondo un criterio di equivalenza,» prorogando:
   tale previsione, se applicata al Comparto difesa, potrebbe rappresentare un'importante risposta ai tanti giovani che, dopo aver concorso con successo ad una lunga e impegnativa selezione pubblica, hanno visto deluse le loro legittime aspettative di assunzione, come i vincitori del concorso del lontano 2006 che sono a tutt'oggi in attesa di entrare a far parte del corpo della Polizia di Stato, nonché gli altrettanto numerosi giovani che, nonostante abbiano concluso senza demerito il periodo di ferma breve o ferma prefissata quadriennale, attendono di essere arruolati o, ancora, i vincitori di concorso posizionati nelle cosiddette «seconde aliquote»;
   è ormai noto che, nonostante l'esistenza e la validità delle graduatorie di concorsi già espletati, le pubbliche amministrazioni del comparto continuano a bandire nuovi concorsi, con evidenti elevati oneri finanziari per l'amministrazione interessata;
   è di tutta evidenza che l'assunzione dei tanti giovani, risultati idonei nell'ambito di una precedente selezione, darebbe, in questo momento, un forte segnale di presenza dello Stato e risponderebbe, altresì, all'esigenza di assicurare un elevato livello di personale nel delicato comparto sicurezza e difesa, che non può essere oggetto indiscriminato di tagli e riduzioni che incidono negativamente anche sulla sicurezza dei cittadini –:
   se il Ministro interrogato avendo conoscenza dei fatti esposti in premessa, intenda applicare la legge 30 ottobre 2013, n. 125, al Comparto sicurezza e difesa al fine di procedere alla stabilizzazione del personale militare, tutelando così la posizione di quanti sono risultati idonei ai concorsi pubblici, nonché dei vincitori di concorso posizionati nelle cosiddette «seconde aliquote». (5-01819)


   SCANU, MAZZOLI e VILLECCO CALIPARI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nell'ottobre 2011 veniva bandito un concorso VFP4 11a immissione 2012 per Forze armate, con iniziali 1.450 posti, poi aumentati durante l’iter concorsuale a 1.924 per poi, tramite decreto ministeriale n. 168 del 6 agosto 2012 e a graduatoria finale terminata, essere ridotti a 1.375, lasciando così a casa 549 ragazzi/e;
   infatti, a conclusione dell'intero iter concorsuale viene stilata la graduatoria finale ma non viene pubblicata e il 20 giugno 2012 viene firmato un nuovo decreto ministeriale, il n. 138, che porta a 1.375 i posti utili con graduatoria definitiva di 2.055 unità che avevano superato le visite mediche;
   con decreto ministeriale n. 168 del 6 agosto 2012 viene stabilito il taglio delle immissioni del concorso VFP4 lasciando così a casa 549 ragazzi/e;
   77 dei 549 concorrenti vincitori «tagliati», avverso il provvedimento che disponeva i «tagli», hanno presentato ricorso al Tar del Lazio ed in data 13 novembre 2013 vi è stata la pubblicazione della sentenza n. 9672/2013 che ha una efficacia erga omnes;
   con tale sentenza il Tar ha statuito l'accoglimento del ricorso principale, presentato 77 ragazzi, con conseguente annullamento, degli atti con esso impugnati;
   le motivazioni della decisione possono essere così riassunte mediante i seguenti riferimenti testuali: «La riduzione dei posti messi a concorso è infatti stata disposta facendo generico riferimento ad esigenze di contenimento della spesa nello stesso esercizio finanziario in cui non solo era stata autorizzata l'assunzione di un numero di militari pari ai posti messi a concorso, ma era stato addirittura disposto l'incremento dei suddetti posti; nonché rispetto alla decisione, successiva, di indire un nuovo bando rimettendo a concorso i medesimi posti già oggetto di tagli.

(Omissis)

   Tali operazioni di riduzioni, e successiva rimessa in gioco, dei posti messi a concorso sono stati effettuati quando ormai i nominativi dei vincitori erano noti per essere stata pubblicata la graduatoria di merito interessata dai tagli.

(Omissis)

   Siccome la riduzione viene operata quando ormai erano stati resi noti i nomi dei vincitori, la scelta di non utilizzare la graduatoria comporta, oltre all'azzerando delle aspettative di reclutamento dei soggetti idonei in essa inseriti, anche l'ulteriore conseguenza del «disconoscimento degli esiti» della procedura concorsuale espletata e quindi, di fatto, si presta ad «eventuali forme subdole di rivalutazione dei risultati dell'organo tecnico che ha già espresso un giudizio» sui candidati dichiarati idonei dalla Commissione esaminatrice (vedi, da ultimo, T.A.R. Puglia, Bari, sezione II, 21 novembre 2012 n. 1969).

(Omissis)

   Appare evidente che, operando in tal modo, l'amministrazione è incorsa nell'eccesso di potere per difetto di motivazione e che la motivazione sulla spesa addotta a supporto della decisione di riduzione dei posti appare pertanto pretestuosa e contraddittoria rispetto al comportamento precedente e successivo della pubblica amministrazione che mostra un'altalenante e non coordinata serie di incrementi e riduzioni dei posti operate»;
   la medesima sentenza ha inoltre «fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell'amministrazione che dovrà, in esecuzione della presente decisione, ripronunciarsi sulla questione»;
   il Ministero della difesa, dopo 20 giorni dalla pubblicazione della sentenza, nella specie in data 3 dicembre 2013, ha reso pubblico il decreto n. 273 del 2013 con cui è stato disposto il bando di concorso, per titoli ed esami, per il reclutamento di posti 2.229 per VFP4, suddivisi in 1.720 posti nell'Esercito, 215 posti nella Marina militare, 294 posti nell'Aeronautica militare, però senza prevedere il preventivo e ovvio «scorrimento» della graduatoria oggi esistente costituita dai 549 vincitori effettivi di concorso, ritenuti tali a seguito delle citata sentenza; vi è da aggiungere, inoltre, che il nuovo bando per l'anno 2014, appare contraddire quanto disposto dalle nuove misure adottate dal Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, poiché, anche se il bando si riferisce a posti di lavoro a tempo determinato (4 anni) con il comportamento posto dalla pubblica amministrazione viene comunque eluso il principio volto a conseguire risparmi di spesa;
   è infatti evidente che l'avvio di nuove procedure concorsuali è motivo di nuovi oneri a carico dei bilanci degli enti e delle amministrazioni;
   si avverte pertanto la assoluta prioritaria necessità che vengano rispettate le norme che hanno dato certezze e hanno tutelato i diritti acquisiti da vincitori ed idonei di concorsi regolarmente banditi –:
   se il Ministro intenda rinunciare ad un secondo grado di giudizio, ponendo in essere un provvedimento in autotutela finalizzato alla rimodulazione delle regole concorsuali del nuovo bando indicato, prevedendo così lo scorrimento della graduatoria esistente e permettendo la conseguente immissione dei 549 vincitori effettivi. (5-01820)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GALLINELLA, DE LORENZIS, PARENTELA, TERZONI, MANNINO, MASSIMILIANO BERNINI, SORIAL, L'ABBATE, TOFALO, BUSINAROLO, LOREFICE, BECHIS e BALDASSARRE. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la possibilità di produrre energia tramite processi di fissione piezonucleare è confermata da numerosi esperimenti condotti nel nostro Paese fin dal 2005 grazie alla sperimentazione eseguita dal Consiglio nazionale delle ricerche, in collaborazione con le Forze armate e la società Ansaldo nucleare;
   il progetto della macchina ad ultrasuoni, chiamata cavitatore, fu realizzato da un team di tecnici italiani molto qualificati e il primo collaudo effettuato dalla forze armate risale al 2005;
   i primi esperimenti vennero esegui i in laboratorio con risultati sorprendenti; la macchina funzionò correttamente e, dopo 50-60 minuti di ultrasuoni, i rivelatori termodinamici iniziarono a registrare segnali significativi fino allo scadere del tempo previsto; seguirono poi esperimenti con altri metalli quali l'alluminio e il torio;
   nel 2006 gli esperimenti vennero eseguiti nei laboratori del CNR a Roma, per verificare la completa ripetibilità del fenomeno e la possibilità di controllare la produzione dei neutroni variando il rapporto geometrico tra punta del sonotrodo e camera di reazione, nonché la costante assenza di radiazioni alfa, beta e gamma durante l'intero processo;
   l'allora Presidente del CNR, dopo aver personalmente supervisionato i risultati, peraltro già ampiamente pubblicati nel volume «Deformed Spacetime», diede vita ad un esperimento di confronto tra la produzione di neutroni con gli ultrasuoni e la produzione di uno dei reattori nucleari ad uranio in funzione presso i laboratori dell'ENEA, ottenendo, per la prima volta, una misura comparativa della produzione di neutroni con ultrasuoni rispetto ad una sorgente nota di neutroni per uso industriale;
   nel 2007 l'Ansaldo Nucleare, di concerto con il dipartimento di progettazione molecolare del CNR responsabile dei brevetti, chiese ed ottenne l'esecuzione di ulteriori esperimenti presso i laboratori del Centro tecnico logistico interforze-nucleare batteriologico chimico delle forze armate con l'uso di un rivelatore elettronico di neutroni fornito dall'ARPA; queste misure permisero di evidenziare in modo inequivocabile l'emissione ad impulsi dei neutroni;
   a quanto si apprende, la società Ansaldo nucleare sta conducendo ulteriori ricerche volte a «trasformare» l'innovazione in materia di fissione piezonucleare in un prototipo industriale che consenta la realizzazione di un impianto pilota;
   in considerazione della titolarità sia dei brevetti, in capo al CNR, che della macchina, di proprietà del Ministero della difesa, sarebbe opportuno che il processo di produzione di energia tramite fissione piezonucleare rimanesse di proprietà dello Stato italiano –:
   quali aggiornamenti possa fornire in merito ai progressi della sperimentazione e allo stato dell'arte dei lavori condotti da Ansaldo nucleare, e se non ritenga, in considerazione dell'importanza dell'innovazione e delle sue applicazioni, che il processo e la realizzazione di eventuali prototipi debbano continuare ad essere di proprietà dello Stato italiano, in quanto eccellenza scientifica della ricerca nazionale. (5-01813)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241, recante «Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi» annovera, tra i prìncipi cardine dell'attività amministrativa, i criteri di pubblicità e di trasparenza;
   la Rai-Radiotelevisione italiana Spa è designata ai sensi dell'articolo 49, comma 1, del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, recante «Testo Unico dei servizi media audiovisivi e radiofonici», e già dall'articolo 20, comma 1, della legge n. 112 del 3 maggio 2004, quale concessionaria – fino al 6 maggio 2016 – del servizio pubblico generale radiotelevisivo;
   l'articolo 3, comma 44, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, prevede che: «Nessun atto comportante spesa (...) può ricevere attuazione, se non sia stato previamente reso noto, con l'indicazione nominativa dei destinatari e dell'ammontare del compenso, attraverso la pubblicazione sul sito web dell'amministrazione o del soggetto interessato, nonché comunicato al Governo e al Parlamento»; al medesimo articolo 3, il comma 50 dispone che: «Tutte le retribuzioni dirigenziali e i compensi per la conduzione di trasmissioni di qualunque genere presso la RAI-Radiotelevisione italiana spa sono rese note alla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi»;
   l'attuale contratto di servizio 2010-2012, tutt'ora in vigenza in regime di prorogatio, all'articolo 27, comma 7, reca la previsione secondo la quale: «la Rai deve pubblicare gli stipendi percepiti dai dipendenti e dai collaboratori nonché informazioni, sui costi della programmazione di servizio pubblico»;
   la Suprema Corte di cassazione a Sezioni unite civili, con ordinanza 28329 del 22 dicembre 2011, ha sottolineato la sottoposizione della Rai ai poteri di vigilanza e di nomina da parte dello Stato e l'assoggettabilità a responsabilità per danno erariale dei relativi impiegati – sottoposti al giudice contabile alla stregua di qualsiasi dipendente pubblico – assimilando di fatto la Rai ad un ente pubblico;
   l'articolo 11 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, recante «Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni», nel definire l'ambito soggettivo di applicazione della legge, comprende le società partecipate dalle pubbliche amministrazioni e le società da esse controllate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile alle quali si applicano, limitatamente all'attività di pubblico interesse disciplinate dal diritto nazionale o dell'Unione europea, le disposizioni dell'articolo 1, commi da 15 a 33, della legge 6 novembre 2012, n. 190. Il medesimo articolo prevede inoltre che le autorità indipendenti di garanzia, vigilanza e regolazione provvedono all'attuazione di quanto previsto della normativa vigente in materia di trasparenza secondo le disposizioni dei rispettivi ordinamenti;
   il citato decreto legislativo n. 33 del 2013 è intervenuto confermando la linea della massima trasparenza all'interno delle amministrazioni pubbliche. Infatti l'articolo 15 prevede che le pubbliche amministrazioni pubblichino e aggiornino le informazioni relative ai titolari di incarichi amministrativi di vertice e di incarichi dirigenziali, a qualsiasi titolo conferiti, nonché di collaborazione e consulenza (gli estremi dell'atto di conferimento dell'incarico; il curriculum vitae; i dati relativi allo svolgimento di incarichi o la titolarità di cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dalla pubblica amministrazione o lo svolgimento di attività professionali; i compensi, comunque denominati, relativi al rapporto di lavoro, di consulenza o di collaborazione, con specifica evidenza delle eventuali componenti variabili o legate alla valutazione del risultato);
   il Garante per la protezione dei dati personali, in un parere del 30 giugno 2010, reso proprio alla Rai in ordine alla divulgazione dei dati relativi ai compensi erogati dalla medesima società, ha rammentato che «la normativa di protezione dei dati personali non può ritenersi ostativa alla pubblicazione, da parte della Rai, dei compensi erogati, sempre che risultino osservati i principi stabiliti dall'articolo 11 del Codice e purché venga osservata la specifica modalità di divulgazione attraverso il sito web»;
   sullo stesso tema si è pronunciata per competenza anche l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, che ha trasmesso, lo scorso 7 luglio 2010, al Ministero dello sviluppo economico e alla Commissione di Vigilanza RAI una propria segnalazione in merito, sottolineando le «implicazioni di carattere concorrenziale», riconoscendo tuttavia l'esigenza di accountability del servizio pubblico radiotelevisivo e l'importanza di assicurare la trasparenza dei costi connessi alla gestione dei servizi pubblici, il cui finanziamento è a carico dei cittadini;
   va rilevato inoltre che la Rai è sottoposta a penetranti poteri di vigilanza da parte della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi e alla verifica dell'adempimento dei compiti affidata all'Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni, nonché al controllo della Corte dei conti ai sensi dell'articolo 2 della legge 21 marzo 1958, n. 259, trattandosi di ente «cui lo Stato contribuisce in via ordinaria» e, dal 2010, a seguito del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 marzo 2010, ai sensi dell'articolo 12 della stessa legge, configurandosi, con riguardo alla fusione per incorporazione nella RAI-Holding spa la fattispecie tipica dell'apporto statale al patrimonio in capitale;
   il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, così come modificato dalla legge di conversione 30 ottobre 2013, n. 125, recante «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni», (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 255 del 30 ottobre 2013), all'articolo 2, comma 11, estende definitivamente alla società concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo, relativamente ai singoli rapporti di lavoro dipendente o autonomo, l'obbligo di comunicare al dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio e al Ministro dell'economia e finanze il costo annuo del personale utilizzato;
   per la società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, viene quindi introdotta una disposizione specifica: per quest'ultima infatti, che già comunque sarebbe rientrata nell'ambito delle «società non quotate partecipate o direttamente o indirettamente, a qualunque titolo, dalle pubbliche amministrazioni» (e che quindi sarebbe stata comunque soggetta agli obblighi di comunicazione del costo del personale), viene specificato che la comunicazione deve essere relativa ai «singoli rapporti di lavoro dipendente o autonomo»;
   a differenza delle altre società che rientrano nella disposizione di cui all'articolo 2, comma 11, del suddetto decreto convertito in legge, la RAI, quindi, dovrà specificare, in virtù di una precisa norma, il costo dei singoli rapporti di lavoro dipendente o autonomo;
   si tratta di un «onere aggiunto» per la società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, che però non comporta nuovi o maggiori oneri per finanza pubblica. Per questo motivo l'emendamento che ha introdotto tale disposizione ha avuto il nulla osta della Commissione bilancio –:
   quali misure, nell'ambito della propria competenza, intendano assumere con urgenza i Ministri interpellati al fine di dare piena e immediata attuazione alle previsioni normative in tema di trasparenza che riguardano la Rai, in particolare alla luce della recente approvazione della disposizione di cui all'articolo 2, comma 11, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, così come modificato dalla legge di conversione 30 ottobre 2013, n. 125.
(2-00353) «Brunetta».
(Presentata il 7 gennaio 2014).


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   Consip S.p.A, è una società partecipata al 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze, istituita inizialmente con la funzione di gestire le attività informatiche riservate allo Stato in materia di contabilità e finanza pubblica; attualmente opera in qualità di centrale di committenza nazionale, al fine di razionalizzare gli acquisti nella pubblica amministrazione;
   nella puntata del Programma televisivo Report, trasmessa in prima serata il 2 dicembre 2013, nel servizio firmato Luca Chimica e Emanuele Bellano, sono stati denunciati fatti e circostanze che inducono a sospettare l'esistenza di un sistema corruttivo, che avrebbe le capacità di pilotare le gare di appalto più consistenti, gestite da Consip, per consentire l'aggiudicazione di queste ultime alle imprese, disponibili a finanziamenti illeciti nel sistema politico;
   il suddetto programma televisivo ha fornito importanti testimonianze sul «sistema Romeo»: l'imprenditore campano Alfredo Romeo è proprietario della Romeo Gestioni, una società di servizi che si è aggiudicata una larga fetta del miliardo e trentaquattro milioni di euro di appalti gestiti da Consip per conto di svariati enti pubblici. Tali servizi riguardano la gestione di pulizia, facchinaggio e manutenzione di enti, quali il Senato della Repubblica, la Presidenza del Consiglio, Comuni, province e regioni, tribunali e altri;
   tale sistema si fonderebbe sulla capacità del Romeo, condannato in secondo grado per corruzione in concorso e turbativa d'asta dalla corte d'appello di Napoli; accusato di tessere strette relazioni con influenti politici locali e nazionali, che garantirebbero un occhio di riguardo nei confronti delle società dello stesso Romeo per l'aggiudicazione di gare di appalto;
   in relazione al «sistema Romeo» l'assessore al patrimonio al comune di Napoli, Alessandro Fucito, definisce queste dinamiche come «azione combinata di degenerazioni che messe insieme avranno si prodotto una inchiesta della magistratura ma configurano uno spaventoso caso politico»;
   Michele Emiliano, Sindaco di Bari, asserisce che «Quel modello non funziona e che quel modello sia anche in parte pericoloso per la trasparenza e per la legalità dell'attività della Pubblica Amministrazione» e conferma quanto detto in un'altra occasione e cioè che «Consip ci aveva messo nelle mani una persona indegna e sotto indagine» poiché, dice sempre Emiliano, riferendosi alla inchiesta della Procura di Bari sugli appalti truccati nella sanità, «noi non avevamo mezzo per liberarci di questo contraente, che quindi rimase qui nonostante lo scandalo fosse iniziato», lamentando che il sistema delle convenzioni non permette agli enti di rivalersi, in nessun caso, sul contraente;
   il sindaco Emiliano riferisce che la gestione in autonomia della procedura pubblica da parte del comune di Bari ha fatto risparmiare all'ente due milioni di euro, rispetto al precedente contratto a causa del fatto che Consip avrebbe inserito nel pacchetto di forniture alcuni servizi di cui il comune di Bari non necessitava;
   Romeo effettua cospicue sponsorizzazioni a politici, di diversi schieramenti, infatti tra le uscite dalle casse delle società del Romeo risultano: 25.000 euro per sostenere le elezioni politiche di Italo Bocchino, 40.000 euro per Alleanza Nazionale, 50.000 euro per Goffredo Bettini per le elezioni politiche del 2013, 50.000 euro per Francesco Rutelli per le elezioni comunali 2008, 230.000 euro a Nicola Zingaretti per le elezioni provinciali dei 2008, 98.000 euro per i Democratici di Sinistra nel 2006, 30.000 euro per Nicola Latorre per le politiche del 2013, 25.000 euro per il Centro Democratico per le politiche 2013 e 60.000 euro per la fondazione Big Bang nel 2013;
   l'inchiesta di Report ha inoltre descritto i meccanismi che starebbero alla base delle spartizioni dei grossi appalti pubblici tra cooperative «rosse» e cooperative riconducibili a Comunione e Liberazione;
   Dario Maniglia, presidente della cooperativa «Fiorita», condannato in primo grado per lo scandalo degli appalti alle ASL pugliesi, in un intercettazione telefonica durante un colloquio con il fratello, a proposito degli appalti gestiti da Consip, dice: «Il livello è esattamente quello che abbiamo fatto per 10 anni in Puglia con le ASL'1 e poi, «Nell'arco di due anni, tre anni non esisteranno più le gare»;
   Maniglia, intercettato al telefono con il fratello, confessa di essere in «sinergia» con la cooperativa Manutencoop di Bologna, la principale concorrente della cooperativa Fiorita nel campo dei servizi di pulizia, manutenzione e facchinaggio per enti pubblici;
   dall'inchiesta di Report emerge che Manutencoop dal 2004 ha speso 350.000 euro per sponsorizzare quei partiti, che, oggi, sono confluiti nel Partito Democratico. La Manutencoop è associata del Consorzio nazionale dei servizi, e, nell'ultimo anno, si aggiudicata tre dei tredici lotti dell'appalto, che riguarda la fornitura di servizi di pulizia per le scuole di tutto il territorio nazionale, mentre altri tre lotti sono stati aggiudicati dal Consorzio nazionale dei servizi;
   l'inchiesta evidenzia che questa situazione è molto grave, non solo perché può configurare l'esistenza di un sistema di aggiudicazione poco trasparente, ma anche e soprattutto perché tale sistema contrasta l'obiettivo di razionalizzazione della spesa per beni e servizi della pubblica amministrazione e nel contempo sottrae risorse, che potrebbero essere destinate al miglioramento delle condizioni contrattuali dei lavoratori coinvolti, che percepiscono salari non congrui;
   due gare che vedono protagonista il Ministero dell'economia e delle finanze, la prima di importo pari a 4 milioni di euro, riguardante la digitalizzazione di documenti e l'altra, da 13 milioni di euro, riguardante l'informatizzazione del debito pubblico, sono entrambe aggiudicate al gruppo Capgemini amministrata da Maurizio Mondani;
   nel primo caso un testimone anonimo chiede che a partire dalla richiesta della ditta non aggiudicataria a Consip sia verificata la congruità dei requisiti, posseduti dalla Capgemini. L'amministratore Delegato di Consip Domenico Casalino da mandato ad un consulente esterno di verificare tali requisiti e quest'ultimo relazionerebbe, a detta del testimone, negativamente sulla base dei documenti analizzati. Casalino, il 28 febbraio 2013, con un atto formale, ha dichiarato congrue le prove documentali fornite da Capgemini e firmato il contratto con la stessa;
   l'amministratore delegato di Capgemini Italia, Maurizio Mondani, risulta indagato per corruzione privata dalla Procura di Milano, secondo la quale avrebbe corrisposto o promesso denaro all'ex presidente della Banca popolare di Milano Massimo Ponzellini al fine di favorire la sua società nell'aggiudicazione di crediti e per ricompensarlo per una presunta attività di lobby;
   il decreto legge 1° luglio 2009, n. 78, all'articolo 17, comma 7, prevede il blocco delle assunzioni del personale della pubblica amministrazione costringendo, di fatto, gli enti pubblici a dare in gestione alcuni servizi imprescindibili a ditte esterne;
   il comma 22 della legge 23 dicembre 2005 impone agli enti pubblici, ad eccezione delle regioni, delle province autonome, degli enti locali e degli enti del Servizio sanitario nazionale, l'obbligo di aderire alle convenzioni stipulate ai sensi dell'articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, che si traduce nell'obbligo, per questi enti, di utilizzare Consip per ciò che concerne l'approvvigionamento di beni e servizi –:
   se il Ministro interpellato sia a conoscenza dei gravi fatti esposti in premessa e se intenda adottare provvedimenti urgenti per verificare le informazioni fornite dal programma televisivo Report, sulle criticità della gestione della società Consip spa ai danni del Ministero dell'economia e delle finanze e della collettività e, nel caso di riscontro dei fatti citati, provvedere alla rimozione degli attuali organi amministrativi coinvolti;
   se intenda, alla luce di inchieste e sentenze della magistratura, informare il parlamento sulle criticità dell'operato della Consip al fine di valutare l'opportunità economica e qualitativa dell'esternalizzazione dei servizi sopra citati e in particolare dei servizi di pulizia presso le scuole pubbliche;
   se, appurati i fatti, intenda adottare provvedimenti per rivedere il modello di organizzazione e gestione della Consip, affinché l'organismo di vigilanza, costituito all'interno della Consip, dotato di autonomi poteri di controllo, sia in grado di vigilare sul funzionamento, sull'efficacia e sull'osservanza del «Modello di organizzazione e gestione», adottato con delibera del consiglio di amministrazione, nel 2003 e finalizzato a prevenire la commissione, da parte di tutti coloro che lavorano per l'azienda, di una serie di reati contemplati nella legge nonché ad intervenire sul processo delle nomine in Consip da parte della politica attivando processi trasparenti e pubblici di selezione; quali iniziative normative intenda adottare per contrastare il fenomeni degli accordi anticoncorrenziali cosiddetti «cartelli di imprese».
(2-00357) «Luigi Gallo, Brescia, Simone Valente, Vacca, Di Benedetto, Marzana, D'Uva, Battelli, Nuti».
(Presentata il 7 gennaio 2014).

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:


   CAUSI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 51, comma 2, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, come modificato dal decreto legislativo 12 dicembre 2003, n. 344, non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente i buoni pasto fino a un valore complessivo giornaliero di 5,29 euro;
   il confronto della disciplina domestica con quella di altri Paesi stranieri offre lo spunto, ancor più in un periodo di crisi economica internazionale, per adeguare il valore dei buoni pasto al reale costo della vita;
   il valore defiscalizzato del buono pasto in Spagna ammonta a 9 euro (circa il 70,1 per cento in più dell'Italia), in Francia a 7 euro; in Portogallo a 6,70 euro; in Italia, negli ultimi quindici anni, non è stato effettuato alcun adeguamento del valore della franchigia;
   applicando il coefficiente di rivalutazione Istat il valore aggiornato ammonterebbe a circa 7 euro;
   in molti Paesi la quota di defiscalizzazione è costantemente aggiornata in funzione dell'andamento dell'inflazione –:
   quale sia l'onere per il bilancio dello Stato dell'attuale agevolazione corrispondente alla franchigia del valore del buono pasto pari a 5,29 euro e a quanto ammonterebbe il minor gettito derivante dall'incremento del valore a 7 euro, anche considerando l'opportunità di prevedere un adeguamento annuale in base all'aumento degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli impiegati ed operai. (5-01804)


   ZANETTI e SOTTANELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, come modificato dall'articolo 4, comma 5, lettera b), del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, prevede la riduzione al 50 per cento della base imponibile IMU «per i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati, limitatamente al periodo dell'anno durante il quale sussistono dette condizioni; l'inagibilità o inabitabilità è accertata dall'ufficio tecnico comunale con perizia a carico del proprietario, che allega idonea documentazione alla dichiarazione. In alternativa, il contribuente ha facoltà di presentare una dichiarazione sostitutiva ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, rispetto a quanto previsto dal periodo precedente. Agli effetti dell'applicazione della riduzione alla metà della base imponibile, i comuni possono disciplinare le caratteristiche di fatiscenza sopravvenuta del fabbricato, non superabile con interventi di manutenzione»;
   per ottenere la riduzione IMU, si considerano inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati i fabbricati che sono oggettivamente inidonei all'uso cui sono destinati, per ragioni di pericolo all'integrità fisica o alla salute delle persone, e la cui inagibilità o inabitabilità deve essere sopravvenuta per vetustà ed abbandono, per calamità naturale, per eventi prescindenti dalla volontà del soggetto passivo; tale fatiscenza non può essere superata con interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria, bensì con interventi di ristrutturazione edilizia;
   ai fini del dimezzamento della base imponibile, l'immobile inagibile o inabitabile non deve in ogni caso essere utilizzato o utilizzabile, anche per usi difformi rispetto alla destinazione originaria e/o autorizzata;
   molti edifici industriali, avendo subito l'asportazione dell'impiantistica a causa di varie vicissitudini (furti, atti vandalici, manomissioni gravi dovute ad occupazioni abusive), si trovano nella condizione di non essere più agibili ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, Titolo III, capo I, articoli 24-26, per mancanza di conformità degli impianti (che sono completamente da rifare, con costi di alcune decine di migliaia di euro);
   le domande presentate presso i comuni, ai fini dell'ottenimento della riduzione del 50 per cento della base imponibile dell'IMU ai sensi della normativa vigente, vengono rigettate in quanto i regolamenti comunali applicativi dell'IMU ritengono «inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati gli edifici per i quali sia sopravvenuto un degrado fisico strutturale (fabbricato pericolante, diroccato, fatiscente e simile) non superabile con interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria (articolo 3, lettere a) e b), del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380), bensì con interventi di restauro e risanamento conservativo e/o di ristrutturazione edilizia (articolo 3, lettere c) e d), del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380)», ritenendo quindi che un impianto industriale mancante rientri nella manutenzione ordinaria e straordinaria, quando invece si tratterebbe di un completo rifacimento;
   i tentativi fatti per modificare i regolamenti comunali applicativi dell'IMU sono risultati vani, sia per ragioni economiche (dovute a minori incassi degli enti locali), sia per mancanza di volontà politica in assenza di una normativa più esplicita a livello nazionale –:
   se non ritenga opportuno emanare una circolare ministeriale interpretativa che equipari, ai fini delle riduzioni della base imponibile IMU, la mancanza di impianti per eventi accidentali non dovuti alla proprietà (quali furti, atti vandalici, manomissioni gravi dovute ad occupazioni abusive) a carenze strutturali dell'edificio, ovvero a ritenere la mancanza o manomissione di impianto superabile con interventi di ordinaria/straordinaria manutenzione, almeno per gli edifici industriali/terziari. (5-01805)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 1 del 2012 innova il regime dell'IMU dovuta per gli immobili destinati ad attività no-profit di proprietà di enti non commerciali, stabilendo tra l'altro il criterio dell'utilizzazione mista;
   tale criterio dovrebbe intervenire laddove i medesimi locali siano utilizzati in parte per attività commerciali e in parte per attività non commerciali, senza quindi che sia possibile individuarne immediatamente la natura ai fini dell'assoggettamento fiscale;
   il medesimo decreto rimandava quindi a successivo regolamento la definizione di parametri oggettivi di riferimento e le modalità della loro comunicazione agli enti preposti alla riscossione;
   tale regolamento è stato emanato tramite il decreto n. 200 del 2012 del Ministero dell'economia e delle finanze, che, all'articolo 6, prevede l'obbligo per gli enti non commerciali di presentare una dichiarazione circa la destinazione effettiva dei propri immobili, dopo avere precisato in dettaglio i criteri di individuazione dell'utilizzazione mista;
   tale quadro normativo avrebbe dovuto permettere nell'anno fiscale 2013 una puntuale riscossione dell'IMU, e in particolare l'emersione degli immobili a utilizzazione mista;
   in numerosi comuni questo non è stato possibile, essendo stata opposta la motivazione della mancata previsione regolamentare dei modelli sui quali redigere la disposizione di cui sopra, prevedibilmente sulla base di quanto previsto dal decreto-legge n. 23 del 2011, all'articolo 9, comma 6;
   tale obiezione appare capziosa, dato l'esplicito richiamo del dec. min. 2011/2012 al decreto-legge n. 23 del 2012, in termini di mancata previsione di un modello autonomo –:
   se al Ministero dell'economia e delle finanze, anche sulla base di dati raccolti sulle dichiarazioni di utilizzazione mista, risulti l'esistenza di un problema interpretativo e comunque come ritenga possa essere superato in quei comuni in cui si sia posto, a tutela del principio di uguaglianza dei contribuenti. (5-01806)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   COLLETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 28 marzo 2012, l'artigiano Giuseppe Campaniello, a causa della crisi economica e dei troppi debiti maturati nei confronti del fisco, decise di togliersi la vita dandosi fuoco davanti alla sede della commissione tributaria di Bologna;
   il 25 ottobre dello stesso anno, Equitalia S.p.a., ha recapitato alla signora Tiziana Marrone, vedova del Campaniello, una cartella esattoriale da 60.000 euro per debiti Irpef, Iva, ed altre imposte dovute dal marito per il triennio 2005-2006-2007;
   secondo quanto prevede la legge, la signora Marrone è tenuta al pagamento della cartella esattoriale poiché ha accettato l'eredità del marito che comprende anche il passivo, ossia tutti i suoi debiti;
   la signora Marrone, originaria di Torre Vecchia Teatina (Chieti), negli ultimi mesi è tornata in Abruzzo per assistere la madre malata. Non ha un lavoro ed il suo unico reddito è la pensione di reversibilità del marito, meno di 500 euro al mese;
   di fronte all'impossibilità di saldare il suo debito, la signora Marrone, che a maggio del 2012 aveva già lanciato un appello alle istituzioni organizzando una marcia simbolica di orfani e vedove di imprenditori suicidatisi a causa della crisi, ha deciso di scrivere al Presidente della Repubblica e al Papa per chiedere aiuto;
   secondo i dati diffusi da Comitas, l'associazione delle microimprese italiane, nel 2012 sono state più di 500 le cosiddette «morti della crisi», ossia i suicidi legati a fallimenti, perdita del lavoro ed altre difficoltà economiche. Il dato non fa ben sperare per il 2013 appena concluso, durissimo per migliaia di piccole e medie imprese –:
   se il Ministro interrogato intenda adottare un'iniziativa normativa urgente che esoneri, in tutto o in parte, dal pagamento delle cartelle esattoriali i familiari superstiti degli imprenditori suicidi a causa della crisi economica;
   se i Ministri interrogati, ognuno per il suo ambito di competenza, intendano altresì promuovere politiche idonee a sostenere i familiari superstiti di imprenditori suicidi per favorirne l'ingresso nel mercato del lavoro o comunque il raggiungimento di un livello reddituale tale da consentire loro la conduzione di una vita dignitosa. (5-01812)


   BELLANOVA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in queste ore si è diffuso molto malcontento nella categoria degli insegnati italiani. Oggi sulla stampa campeggiano diversi articoli circa la problematica della restituzione degli scatti stipendiali per il 2013. Fortemente critiche in merito a questa misura sono anche le organizzazioni sindacali di categoria;
   con nota n. 157 del 27 dicembre 2013 il Ministero dell'economia e delle finanze chiede a circa 300 mila insegnanti la restituzione degli scatti stipendiali già percepiti nel 2013 «con recupero – recita la nota del Ministero dell'economia e delle finanze – a decorrere dalla mensilità di gennaio 2014 con rate mensili di 150 euro lorde fino a concorrenza del debito»;
   in questi anni la scuola italiana è stata oggetto di notevoli tagli. Dalla scuola, attraverso diverse misure, è arrivato un contributo sostanzioso al risanamento dei conti pubblici;
   i docenti del nostro Paese, come sottolineano numerosi studi, nonostante l'aumento dei carichi di lavoro, rimangono tra i meno retribuiti d'Europa. Sono persone che in tanti casi con un solo stipendio sostengono l'intero assetto familiare;
   dinanzi a questi lavoratori si è assunto l'impegno di restituire quella centralità a scuola e formazione che per troppo tempo è stata disattesa e negata, ciò a parere dell'interrogante si può raggiungere se in primo luogo si restituisce dignità lavorativa agli operatori della scuola –:
   se i Ministri non ritengano opportuno assumere ogni iniziativa per sospendere la procedura di recupero degli scatti stipendiali per il 2013 evitando in tal modo una ingiusta, ingiustificabile ed ulteriore penalizzazione a carico di una categoria di lavoratori alla quale sono già stati chiesti numerosi sacrifici. (5-01814)


   BUSIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   organi di stampa nazionali (Il Sole 24 ore del 7 gennaio 2014) riportano la notizia secondo la quale ad Ancona è stato segnalato il paradossale caso di un proprietario di un alloggio, affittato nel 2010 con contratto a canone concordato, e il comune, su tali alloggi, applica una aliquota IMU dello 0,76 per cento;
   per una serie di motivazioni legate, presumibilmente, alla crisi economica, l'inquilino ha smesso di pagare l'affitto e nonostante il proprietario abbia già ottenuto a marzo del 2013 lo sfratto esecutivo con risoluzione del contratto, l'immobile risulta oggi ancora occupato, e lo sgombero fissato per maggio 2014;
   così come riportato dal medesimo organo di stampa, i funzionari comunali avrebbero comunicato alla proprietaria dell'immobile che in ragione del fatto che il contratto con l'inquilino tecnicamente non esiste più, la casa debba essere tassata come se fosse sfitta, applicando perciò l'aliquota dell'1,06 per cento, la quale non corrisponde tanto ad un vero rincaro, ma piuttosto alla più puntuale applicazione della aliquota ordinaria che vale per tutte le situazioni non regolate diversamente, comprese ad esempio le case affittate a canone libero;
   la vicenda descritta determina un minor incasso per il proprietario, dovuto al mancato pagamento da parte dell'inquilino dell'affitto, e un maggior onere, sempre a suo carico, dovuto all'applicazione dell'aliquota IMU standard, fissata allo 1,06 per cento, in ragione della più bassa 0,76 per cento precedentemente applicata –:
   se non ritenga opportuno verificare la vicenda sopra descritta e, qualora la stessa sia verificata, specificare chiaramente, all'interno della prima iniziativa normativa utile, come sugli immobili sottoposti a procedimento di sfratto esecutivo nei quali continua a dimorare l'inquilino insolvente, si applichi l'aliquota dell'imposta municipale propria stabilita per gli immobili locati. (5-01815)


   GRILLO, LOREFICE, MANTERO, DALL'OSSO e SILVIA GIORDANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il calcolo della pensione degli iscritti all'ex fondo elettrici è fatto sulla base della normativa previgente del fondo elettrici anziché della normativa vigente prevista dalla legge n. 335 del 1995, all'articolo 1, comma 13, ed è stata utilizzata la retribuzione pensionabile senza nessun riferimento di legge anziché quella prevista dalla legge del fondo elettrici, quella sulla quale sono stati versati i contributi nel periodo di riferimento (legge 25 novembre 1971, n. 1079, articolo 7, commi 1 e 2);
   la legge n. 335 del 1995 all'articolo 1, comma 13, ha uniformato la norma per il calcolo della pensione per gli iscritti nell'assicurazione generale obbligatoria e nelle forme sostitutive ed esclusive della stessa alla normativa vigente in assicurazione generale obbligatoria;
   l'articolo 1, comma 13, della legge n. 335 del 1995 indica per i lavoratori già iscritti alle forme di previdenza di cui al comma 6 che alla data del 31 dicembre 1995 possono far valere un'anzianità contributiva di almeno diciotto anni; la pensione è interamente liquidata secondo la normativa vigente in base al sistema retributivo;
   il decreto di armonizzazione n. 562 del 1996 all'articolo 2, comma 1, ha revisionato la normativa per il calcolo delle prestazioni, nel rispetto della delega, articolo 2, comma 22, della legge n. 335 del 1995, lettere b) e d), passando dalla normativa del fondo elettrici per l'individuazione del periodo di riferimento per la determinazione della retribuzione pensionabile (decreto legislativo n. 503 del 1992, articolo 7, commi 2 e 3 e articolo 13) alla normativa vigente in assicurazione generale obbligatoria di cui al comma 13 dell'articolo 1 della legge n. 335 del 1995, (decreto legislativo n. 503 del 1992, articolo 3, commi 2 e 3 e articolo 13);
   l'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo n. 562 del 1996 specifica come per i lavoratori iscritti al Fondo di cui all'articolo 1, comma 1, che, alla data del 31 dicembre 1995, possono far valere un'anzianità contributiva di almeno 18 anni interi, la pensione è interamente liquidata secondo il sistema retributivo previsto dalla normativa vigente, con l'applicazione dell'articolo 1, comma 17, della legge 8 agosto 1995, n 335;
   l'articolo 41, comma 1, della legge n. 448 del 23 dicembre 1999 – legge finanziaria 2000 – ha disposto che a partire dal 1o gennaio 2000 il fondo è soppresso e che dalla stessa data i nuovi assunti vengano iscritti all'assicurazione generale obbligatoria;
   dal 1o gennaio 2000 i titolari di posizione assicurativa ed i trattamenti pensionistici sono iscritti in evidenza contabile separata in assicurazione generale obbligatoria, e a loro continueranno ad applicarsi le norme della previgente normativa;
   la legge di soppressione ha previsto, articolo 41, comma 2, della legge n. 488 del 1999, per le più favorevoli norme in uso nel fondo elettrici rispetto a quelle nell'assicurazione generale obbligatoria, un contributo a carico dell'Enel di 4.050 miliardi di lire;
   il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, «Salva Italia» all'articolo 24, comma 21, ha previsto un contributo di solidarietà, per gli iscritti all'ex fondo elettrici, perché la quota di pensione per il periodo antecedente l'armonizzazione è calcolata con parametri più favorevoli rispetto al regime dell'assicurazione generale obbligatoria –:
   a quanto risulta agli interroganti l'Inps non applica la normativa vigente per il calcolo delle pensioni per gli iscritti all'ex fondo elettrici;
   l'Inps, per il calcolo della pensione per gli iscritti all'ex fondo elettrici, usi la retribuzione pensionabile teorica fondo non prevista dalla legge, anziché la retribuzione pensionabile prevista dalla legge del fondo elettrici, quella sulla quale sono stati versati i contributi nel periodo di riferimento (legge 25 novembre 1971, n. 1079, articolo 7, commi 1 e 2);
   l'Inps, sulla base della normativa previgente e la retribuzione pensionabile teorica fondo, ad alcuni iscritti all'ex fondo elettrici, liquidi pensioni di minore entità;
   a tutti i pensionati nell'ex fondo elettrici, con pensioni più piccole di quelle calcolate con le norme dell'assicurazione generale obbligatoria preleva il contributo di solidarietà, in contrasto con quanto previsto nel decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, articolo 24;
   l'Inps, dopo luglio 2010, ai sensi della legge n. 122 del 2010, chiede un onere da centinaia di miglia di euro per il trasferimento dei contributi dall'ex fondo elettrici all'assicurazione generale obbligatoria per avere una pensione più piccola di quella calcolata con la normativa vigente;
   gli iscritti all'ex fondo elettrici che da luglio 2003 a luglio 2010, hanno potuto usufruire del trasferimento dei contributi dall'ex fondo elettrici all'assicurazione generale obbligatoria, percependo una pensione più vantaggiosa dei colleghi che fuori da quel periodo non hanno potuto fare il trasferimento dei contributi, non paghino il contributo di solidarietà –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto rappresentato in premessa;
   se il Ministro intenda, alla luce di quanto esposto, assumere iniziative per porre ordine nella materia e dare le opportune disposizioni per il riordino delle prestazioni INPS soprarichiamate e per una univoca corrispondenza delle stesse rispetto alle normative di legge vigenti. (5-01826)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da diverso tempo si registra su tutto il territorio nazionale il moltiplicarsi di disservizi nella consegna della posta, con grave danno dell'utenza la quale si vede recapitare quest'ultima con molti giorni di ritardo;
   tali disagi, se connessi ad attività commerciali sono ancora più dannosi, dato che, ad esempio, chi riceve in ritardo la corrispondenza inerente fatturazioni deve pagarne la relativa mora, essendo per lui impossibile dimostrare quando effettivamente gli sia stata consegnata detta corrispondenza;
   vi è il concreto sospetto che la presente situazione di caos alle poste nasca dall'organizzazione e dalla qualità dei servizi di smistamento della corrispondenza appaltati a ditte esterne;
   Poste spa ha, infatti, deciso di esternalizzare la meccanizzazione di detto servizio, e a garantirlo in tutta Italia, sono circa 300 persone che ne curano la manutenzione, con tutti i problemi che è facile immaginare;
   inutile dire che a fare le spese di tutto ciò siano i cittadini italiani, stante il deterioramento costante della qualità del servizio –:
   di quali informazioni disponga il Ministro interrogato dei fatti esposti in premessa;
   se non reputi necessario, data la gravità della situazione, attivarsi egli stesso, nell'ambito delle sue competenze, assumendo iniziative urgenti, al fine di porre fine ai disagi di cui in premessa;
   se non reputi necessario attivarsi affinché Poste italiane mantenga livelli occupazionali, e adotti strategie aziendali, in grado di garantire la consegna della posta, sia ordinaria che celere. (4-03065)


   NASTRI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Ministero interrogato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, n. 2 del 3 gennaio 2014, prevede la vendita di circa 40 immobili dello Stato, fra i quali: caserme, magazzini, campi sportivi e militari e altre attrezzature, nonché il palazzo degli esami di Stato, villa Tolomei, il complesso Bardini a Firenze, le isole di Sant'Angelo delle polveri e di San Giacomo in palude a Venezia;
   la vendita sarà assistita dall'agenzia del Demanio attraverso la procedura a trattativa privata, con la possibilità di alienare i beni anche in blocco, tramite un preventivo consenso del Ministero interrogato, che dovrà valutare l'eventuale valore storico dei beni;
   al suindicato decreto ministeriale, che dismette gli immobili statali, è tuttavia previsto un altro decreto di accompagnamento, anch'esso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 3 gennaio 2013, che autorizza gli enti territoriali a procedere con la medesima procedura, all'alienazione dei beni individuati dalle singole amministrazioni;
   l'intera operazione, così come riporta l'articolo pubblicato dal quotidiano: Il Sole 24 Ore del 4 gennaio 2014, rientra secondo quanto disposto dall'articolo 11-quinquies, del decreto-legge n. 203 del 2005 modificato di recente dal decreto-legge n. 133 del 2013, il quale autorizzava lo Stato (e adesso anche gli enti territoriali) a mettere sul mercato i beni non più utilizzati, al fine di monetizzare il prima possibile e sostenere le finanze pubbliche;
   entrambi i decreti tuttavia, come evidenzia il suindicato quotidiano, prevedono che la vendita sia ultimata entro il 31 dicembre 2013, con la conseguenza che risulterà pertanto complicata la realizzazione della dismissione immobiliare, in considerazione del fatto che i decreti sono stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale con la data del 3 gennaio 2014;
   quanto suindicato, a giudizio dell'interrogante, se da un lato consente la possibilità di definire in tempi rapidi la suddetta incongruenza, dall'altro ripropone le evidenti e frequenti contraddizioni della legislazione italiana, sia con riferimento alle norme di rango primario, che per quelle secondarie ed applicative, in grado di rendere operative le disposizioni approvate dal Parlamento e successivamente demandate ai decreti o regolamenti di attuazione –:
   quali orientamenti intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se non ritengano opportuno, in considerazione della coincidenza delle date per entrambi i decreti ministeriali esposti in premessa, prevedere interventi volti a differire i termini di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, per la vendita degli immobili dello Stato e consentire un periodo di tempo più opportuno, al fine della valutazione dell'eventuale valore storico dei beni da mettere sul mercato. (4-03076)


   ROSATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   tra i giochi d'azzardo autorizzati vi sono anche le cosiddette slot machines che consentono l'uso di denaro contante e vincite in denaro;
   terminata la sessione di gioco, infatti, la macchinetta emette un biglietto di vincita riportante il denaro contante spettante al giocatore, che la cassa dovrà versargli. Il tagliando riporta solamente il giorno e la data di emissione con la relativa cifra di vincita;
   l'utente può decidere quando far emettere il tagliando alla macchinetta (dopo una vincita importante, prima di terminare i soldi inseriti), ed è consentito anche richiedere l'emissione del biglietto appena dopo aver inserito i soldi, senza averli giocati;
   al momento dell'incasso della cifra, alla cassa, non emerge quanto effettivamente sia stato vinto in quanto la cifra indica solo i soldi che spettano al giocatore a prescindere che sia il risultato di una vincita, il rimanente di una giocata o semplicemente la cifra inserita nella macchinetta;
   come mostrato anche in un servizio della trasmissione televisiva Le Iene, in una video-inchiesta del quotidiano La Repubblica, e, da ultimo, in un articolo del Secolo XIX, appare, quindi, semplice eludere la normativa contro l'evasione fiscale e il riciclaggio di denaro, in quanto si può facilmente simulare una vincita alle macchinette da gioco per occultare la percezione di somme di denaro in nero;
   va precisato che non esistono limiti alle vincite e quindi la pratica sopra descritta potrebbe aiutare ad evadere quantitativi di soldi non indifferenti e che i biglietti di vincita risultano configurarsi quasi quali titoli al portatore in quanto non riportano nemmeno il nominativo del giocatore;
   a parere dell'interrogante sarebbe sufficiente una modifica normativa atta ad obbligare a esplicitare su biglietti di vincita e ricevute della sale giochi il nominativo del giocatore e il quantitativo di denaro inserito nella macchinetta così da avere evidenza della vincita al netto della base di partenza giocata;
   si fa presente, peraltro, che analogo atto di sindacato ispettivo era stato presentato dall'interrogante nella passata legislatura, purtroppo, senza ottenere risposta –:
   se il Governo sia a conoscenza di questo vuoto normativo che consente la facile elusione della normativa fiscale, e quali iniziative il Governo stia valutando di intraprendere al fine di risolvere la questione. (4-03078)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   COLLETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nel carcere milanese di San Vittore risiedono circa 1.600 detenuti nonostante la struttura sia adatta ad ospitare non più di 600-800 persone;
   il penitenziario è composto da sei raggi che confluiscono in un'unica «rotonda». Al di fuori dell'esagono vi sono le strutture comprendenti gli uffici, le sale colloqui, la caserma per gli agenti e la sezione femminile. Il primo raggio è il corridoio che porta alla rotonda e alle sezioni;
   il secondo raggio del carcere è chiuso dal 2006 poiché l'edificio è pericolante;
   il quarto raggio è chiuso in attesa di ristrutturazione il cui avvio era previsto entro l'anno 2013;
   il sesto raggio non è da anni oggetto di lavori e, pertanto, è quello che versa attualmente in condizioni peggiori sia per il sovraffollamento sia per le pessime condizioni igieniche;
   il sovraffollamento, la fatiscenza e l'inagibilità degli ambienti rendono estremamente critiche le condizioni di vita dei detenuti;
   gli urgentissimi lavori di ristrutturazione programmati per l'anno 2013 non sono ancora iniziati;
   rispondendo all'interrogazione n. 3-00366 presentata dal deputato Daniele Pesco del Movimento 5 Stelle l'8 ottobre 2013, il Ministro della giustizia ha affermato che l’iter degli appalti riguardanti la ristrutturazione del carcere di San Vittore «ha già avuto inizio proprio grazie alle semplificazioni procedurali previste dal Piano carceri» di cui al decreto-legge n. 78 del 1o luglio 2013 –:
   se il Ministro sia già in grado di indicare la data di avvio dei lavori urgentissimi di ristrutturazione del secondo, quarto e sesto raggio del carcere milanese di San Vittore e, in difetto, se intende al più presto sollecitare al riguardo i competenti organi dell'amministrazione penitenziaria, considerato anche che, secondo il sito www.pianocarceri.it, gestito dal Commissario Straordinario, nulla risulta in merito a gare aperte per il suddetto carcere;
   se il Ministro abbia contezza del fatto che il commissario straordinario per le infrastrutture carcerarie, pur avendo ricevuto più di un anno fa, in data 24 ottobre 2012 con protocollo di entrata 5 novembre 2012, il nulla osta della soprintendenza per i beni architettonici e artistici di Milano, non abbia bandito la gara in relazione al progetto preliminare di ristrutturazione appositamente redatto dal DAP, con ciò aggravando ancora di più l'insostenibile situazione detentiva del carcere di San Vittore. (5-01809)


   SCHULLIAN, GEBHARD, ALFREIDER, PLANGGER e OTTOBRE. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 139, lettera a), della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014) ha modificato l'articolo 6, comma 3-bis, del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63, convertito, con modificazioni dalla legge 3 agosto 2013, n. 90, nel senso di riconfermare – anche se con decorrenza differita – la nullità dei contratti di compravendita immobiliare in assenza dell'attestato di prestazione energetica;
   tale nullità era stata però recentemente soppressa dall'articolo 1, comma 7, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, entrato in vigore il giorno successivo e in attesa di conversione in legge, sostituendo la nullità con una sanzione amministrativa;
   a seguito dei recenti interventi legislativi sulla stessa materia sembra pertanto di dover dedurre che i contratti di vendita, gli atti di trasferimento di immobili a titolo gratuito o i nuovi contratti di locazione che siano sprovvisti dell'allegato contenente l'attestato di prestazione energetica saranno nulli, anche se con decorrenza differita alla data di entrata in vigore del decreto interministeriale di adeguamento previsto dall'articolo 6, comma 12, del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63, dal momento che l'articolo 1, comma 139, lettera a), della legge di stabilità 2014 è entrato in vigore il 1° gennaio 2014, mentre la norma che ha previsto la soppressione della nullità è da considerarsi precedente, in quanto contenuta nell'articolo 1, comma 7, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, entrato in vigore il 24 dicembre 2013 –:
   se intenda chiarire quale sia il reale intento del Governo sul regime giuridico degli attestati di prestazione energetica con riferimento ai contratti di vendita, gli atti di trasferimento di immobili a titolo gratuito o i nuovi contratti di locazione e come si coordino le disposizioni dell'articolo 1, comma 139, lettera a), della legge 27 dicembre 2013, n. 147, con quelle del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145. (5-01816)

Interrogazioni a risposta scritta:


   IMPEGNO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la reggia di Castel Capuano nel 1540 divenne sede del tribunale della Vicaria e delle annesse prigioni ed è rimasta tribunale fino a qualche anno fa;
   negli anni esso si è rivelato sempre più inadatto alle esigenze dell'amministrazione della giustizia, nonostante adeguamenti e ardite ristrutturazioni di intere parti dello storico edificio;
   gli operatori della giustizia napoletani, magistrati in primis, ottennero quindi giustamente la costruzione di una nuova sede per l'amministrazione della giustizia;
   oggi anche questa, nonostante il mega edificio e le annesse strutture, sembra inadeguata e insufficiente. Nel passato i forensi pensarono di utilizzare l'ex Ospedale Santa Maria della Pace, riorganizzando il Lazzaretto, la navata più bella e grande dell'edificio monumentale e forse della città, in tre aule di corte di assise; analogamente oggi essi ritengono di poter continuare a utilizzare il castello edificato per la residenza dei sovrani normanni;
   nessuno può mettere in dubbio che Castel Capuano debba e possa essere memoria della tradizione giuridica della città, che bisogna salvare la biblioteca e che l'anno giudiziario debba essere inaugurato solennemente nel salone dei busti, ma in una città che vanta una facoltà di giurisprudenza tra le più antiche d'Italia, occorre valorizzare al meglio un complesso così importante;
   la scuola di alta formazione per i magistrati dell'Italia meridionale è senz'altro una destinazione autorevole ma non appare come la soluzione definitiva per movimentare la zona, impegnando, solo sporadicamente, una parte minimale del castello;
   per rendersi conto di cosa abbia significato la presenza del tribunale basta osservare il mutamento della zona di Porta Capuana negli ultimi decenni, con l'aumento dell'attività giudiziaria e delle esigenze di sicurezza degli addetti di giustizia e degli utenti del tribunale;
   la stessa via Tribunali, il Decumano maggiore, proprio nella parte più vicina alla Porta Capuana soffre maggiormente il degrado ambientale e sociale;
   l'amministrazione comunale ha riconosciuto giustamente Porta Capuana come porta di accesso alla città, sia per ragioni storiche, per essere stata attraversata trionfalmente da Carlo V che entrava a Napoli e andava a soggiornare nella Reggia di Castello Capuano, sia per ragioni urbanistiche, perché ubicata strategicamente rispetto all'antico centro della città, in un interessante intreccio di emergenze monumentali di grande rilievo;
   la porta alla città è il suo biglietto da visita, il suo fiore all'occhiello; essa deve essere un luogo aperto alla libera fruizione dei napoletani e dei visitatori della città, un luogo della memoria e soprattutto il luogo in cui si rappresenta la vitalità di Napoli –:
   quali iniziative di competenza intendano intraprendere i Ministri interrogati per ottenere che Castel Capuano sia la casa dei mestieri, delle risorse di abilità ed ambientali della città, il luogo dove si favorisca la conoscenza, ma anche la produzione, la manualità, la cultura materiale, in maniera da integrare la «reggia» con attività e tradizioni artistiche, e da restituire alla città di Napoli l'enorme patrimonio di cultura ricevuto dalla storia. (4-03069)


   LENZI e ZAMPA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da organi di stampa sia locali che nazionali si apprende la notizia che la suprema corte di cassazione avrebbe rinviato, per una nuova definizione, alla corte di appello di Catanzaro una condanna di cinque anni per violenza sessuale su minore inflitta sia in primo grado che in secondo grado ad un uomo di sessanta anni, dipendente dei servizi sociali di Catanzaro, che i poliziotti avevano trovato a letto con una ragazzina di undici anni che gli era stata affidata, al fine di considerare nuove circostanze attenuanti nella definizione della condanna dovute al sentimento intenso che la piccola avrebbe manifestato per il sessantenne;
   i quotidiani non riportano per intero le motivazioni della sentenza ma è comunque di difficile comprensione come la Corte possa aver annullato la sentenza di secondo grado visto che nell'ordinamento penale italiano la pena detentiva da 6 a 12 anni vale per chiunque abbia rapporti con minori di 14 anni, indipendentemente da qualsiasi altro fattore, tanto meno quello sentimentale;
   l'aver utilizzato il proprio ruolo di educatore per ottenere rapporti sessuali da minorenne dovrebbe essere considerata un'aggravante;
   la stessa Convenzione della Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia, ratificata anche dall'Italia, obbliga, all'articolo 3, i Governi ad impegnarsi affinché «in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l'interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente» –:
   se la notizia riportata dai quotidiani corrisponda al vero e quali iniziative urgenti il Ministro, per quanto di competenza, intenda adottare al fine di proteggere gli interessi non solo del minore coinvolto ma di tutti i minori nella loro delicata fase di sviluppo e maturazione visto che l'ordinamento giuridico italiano non riconosce alcuna volontà ai minorenni, seppur consenzienti, di consumare rapporti sessuali con adulti. (4-03072)


   BUSINAROLO, AGOSTINELLI, NICOLA BIANCHI, TACCONI, DE LORENZIS, MANNINO, DA VILLA, COLLETTI, PARENTELA e GALLINELLA. —Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o aprile 2008 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 30 maggio 2008, n. 126), in attuazione dell'articolo 2, comma 283, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, ha disciplinato il trasferimento al Servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria, prima di allora in capo al Ministero della giustizia;
   tale decreto ha completato il trasferimento di competenze iniziato con il decreto legislativo 22 giugno 1999, n. 230, recante norme per il riordino della medicina penitenziaria, a norma dell'articolo 5 della legge 30 novembre 1998, n. 419, attraverso il quale era stata decisa la riconduzione della sanità penitenziaria nel Servizio sanitario nazionale;
   tale passaggio costituisce una pietra miliare per la tutela della salute dei detenuti nell'ordinamento penitenziario, considerato che la situazione sanitaria nelle carceri è abbastanza grave: ci sono malati gravissimi che hanno bisogno di interventi urgenti ma che non riescono a curarsi adeguatamente per mancanza di personale, di specialisti, di medicinali, di ambienti adeguati, igienici e attrezzati. La responsabilità della gestione e l'organizzazione dei servizi sanitari interni alle carceri è rimasta per tanti anni incardinata nel Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria;
   l'Amministrazione penitenziaria chiamata a perseguire i fini istituzionali, rivolti cioè ad assicurare l'ordine, la sicurezza, la disciplina e al contempo a favorire, attraverso il trattamento rieducativo, il reinserimento sociale della persona reclusa, deve anche a garantire la tutela della salute della popolazione detenuta;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o aprile 2008 stabiliva il passaggio di tutte le professionalità sanitarie (compreso lo psicologo, figura regolamentata da legge nazionale, legge n. 56 del 18 febbraio 1989) dal Ministero della giustizia al Ministero della salute. Il decreto trasferiva solo il personale di ruolo e per quello convenzionato prevedeva solo la possibilità di stipulare convenzioni con il Ministero della Giustizia, senza prevedere l'automatico passaggio delle convenzioni al servizio sanitario nazionale;
   tale passaggio nella pratica non è avvenuto per gli psicologi penitenziari, esperti ex articolo 80 legge n. 354/75, in servizio di Osservazione e trattamento, operanti da molti anni negli Istituti penitenziari in condizioni di stabile precarietà, che sono rimasti in carico di detto Ministero equiparati in base all'articolo 80, nei compiti e nelle funzioni, ai criminologi, con disparità di trattamento rispetto agli addetti al presidio delle tossicodipendenze, anch'essi convenzionati ex articolo 80,
   tali psicologi si trovano nella difficoltà di svolgere il loro compito istituzionale, continuamente modificato nel corso degli anni, e recentemente ridotto a pochissime ore mensili (retribuite cosiddetto ad euro 17,63 lorde), non pienamente rispettose del diritto all'assistenza erogata a favore dei detenuti e lesive della dignità professionale. A titolo esemplificativo, nel carcere di Rebibbia sono previste circa 20 ore/mese per circa 130 detenuti, ossia 9 minuti al mese per ogni detenuto. Tale categoria è stata inoltre discriminata in termini di valutazione dei titoli per accedere alle graduatorie di attività specialistiche (Psicologia e Psicoterapia).
   che si tratti di disagio psichico, disturbo della condotta, della personalità o di psicopatologie conclamate; di trattamento di prevenzione, diagnosi, sostegno e cura, lo psicologo stabilisce per sua competenza una relazione terapeutica con la persona detenuta per tutelarne l'integrità psicofisica secondo il concetto olistico di salute espresso dall’ O.M.S., nonché dagli articoli 27 e 32 della Costituzione,
   in data 15 settembre 2008 il Ministero della Giustizia precisava con una comunicazione che gli esperti ex articolo 80 non transitano al Servizio Sanitario Nazionale, restando in capo all'amministrazione Penitenziaria l'esercizio della essenziale funzione rieducativa, costituzionalmente garantita, esercitata anche per il tramite degli esperti in argomento;
   sul ricorso in appello n. 258 del 2010 del Consiglio nazionale degli Psicologi per annullamento della sentenza del TAR Lazio, sezione terza quater, n. 7094 del 19 luglio 2009, per annullamento del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o aprile 2008, il Consiglio di Stato con sentenza in data 15 settembre 2010 ha ribadito che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri va ricollegato alla legge 244/2007, la quale conferisce al Presidente del Consiglio dei Ministri il potere di definire il trasferimento al SSN di tutte le funzioni sanitarie e distintamente le modalità e le procedure per il trasferimento dei rapporti di lavoro. Ribadisce inoltre che l'attività di supporto a favore di detenuti non può essere considerata attività a favore di malati;
   la sentenza della Corte di Cassazione, su ricorso del Consiglio nazionale dell'ordine degli psicologi, n. 6237 del 24 gennaio 2012, ha disconosciuto l'attività sanitaria e l'anzianità del servizio prestato dagli psicologi esperti ex articolo 80 (dal 1978), comprese quelle verso detenuti psichiatrici e tossicodipendenti, mentre, con medesime qualifica e funzioni lo ha riconosciuto a coloro che sono transitati al SSN e solo dal 1992-93 operativi. La Cassazione ha definito lo psicologo esperto ex articolo 80 come «professionista non avente identità sanitaria, [...] ma operatore funzionale alla sicurezza dell'istituto» –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa in merito al trattamento della professione di psicologo penitenziario esperto ex articolo 80 in servizio di osservazione e trattamento;
   se e come i Ministri intendano intervenire per equiparare il trattamento degli psicologi rimasti presso il Ministero della giustizia con i loro colleghi ex-penitenziari transitati al servizio sanitario nazionale riconoscendone la funzione sanitaria;
   se e quando i Ministri intendano effettuare una ricognizione dei rapporti di lavoro degli esperti ex articolo 80, con regolamentazione del rapporto lavorativo e riconoscimento dell'anzianità del servizio continuativo prestato. (4-03079)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata:


   CRISTIAN IANNUZZI, DELL'ORCO, NICOLA BIANCHI, DE LORENZIS, CATALANO, PAOLO NICOLÒ ROMANO e LIUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 2 gennaio 2014 il Ministro interrogato e il Ministro dell'economia e delle finanze, Maurizio Saccomanni, hanno firmato un decreto che introduce un aumento dei pedaggi autostradali;
   suddetto incremento è stimabile intorno ad una percentuale media pari al 3,9 per cento, a fronte di una richiesta da parte delle concessionarie autostradali del 4,8 per cento;
   i rincari delle tariffe autostradali approvati presentano in alcuni casi incrementi superiori all'8 per cento, come, ad esempio, nel caso relativo alla Strada dei Parchi (A24-A25), dove viene autorizzato un incremento dell'8,28 per cento;
   oltre al caso sopra menzionato, i maggiori rincari riguardano: Autostrade per l'Italia, con un 4,43 per cento, Centropadane, con un 8,01 per cento, Cisa (A15)con un 6,26 per cento, Autovie venete, con un 7,17 per cento, Milano Serravalle e Milano tangenziali, con un 4,47 per cento, Rav (Raccordo autostradale Valle d'Aosta), con un 5 per cento, Sat (Società autostrada tirrenica), con un 5 per cento, Satap A4, tronco Novara est-Milano/Torino-Novara est, con un 5,27 per cento, Sav (Autostrade valdostane) autostrada e raccordo, con un 5 per cento, e Cav-A4 Venezia-Padova, tangenziale ovest Mestre e raccordo con Aeroporto Marco Polo e Passante Mestre, con un 6,26 per cento;
   l'Adusbef e la Federconsumatori hanno stimato, in seguito all'aumento dei pedaggi, un aggravio di 87 euro a famiglia tra costi diretti e indiretti, rimarcando come tali aumenti siano di gran lunga superiori al tasso di inflazione e come questi ultimi rischino di avere ripercussioni pesanti su tutti i prezzi;
   sempre da indiscrezioni di stampa si apprende che le percentuali eccedenti non accolte in suddetto decreto potrebbero essere inserite nel nuovo piano quinquennale dei piani finanziari delle autostrade, comportando, così, per il 2014 un rincaro medio dei pedaggi stimabile non più al 3,9 per cento, bensì direttamente al 4,8 per cento;
   le società concessionarie e il Ministro interrogato giustificano tale incremento addebitando la responsabilità al calo di traffico registrato sulle tratte interessate;
   oltre ai pedaggi autostradali, nel 2014, sono previsti rincari anche per il rinnovo della patente e per la stipula delle assicurazioni, oltre ad un incremento dei prezzi del carburante. Secondo una stima elaborata dal Codacons, a partire dal 9 gennaio 2014, il costo per il rinnovo della patente salirà di almeno 26 euro, il prezzo della benzina, secondo le rilevazioni di Staffetta quotidiana, è salito in media di 1,3 centesimi rispetto all'inizio del 2013 e anche quello del gpl è schizzato di 4,2 centesimi, il metano è aumentato di 0,3 centesimi (contrariamente a quanto avvenuto sui mercati internazionali dove si sono registrate soltanto flessioni: -2,2 centesimi al litro per la verde e -1,7 centesimi per il diesel) e, infine, secondo le rilevazioni del portale Facile.it, quasi un milione e 200 mila italiani, responsabili di un incidente nel corso dell'ultimo anno, dovranno pagare un premio assicurativo più elevato –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato al fine di scongiurare il rischio di un ulteriore aumento delle tariffe autostradali, atteso che i rincari tariffari difficilmente garantiranno dei flussi di traffico maggiori rispetto a quelli attuali e, anzi, rischiano di peggiorare la situazione, costringendo ad un nuovo futuro incremento delle stesse, e che tali aumenti non sono realmente giustificati da un miglioramento del servizio, né da adeguati interventi strutturali. (3-00538)


   GIANCARLO GIORGETTI, MOLTENI, GRIMOLDI, ALLASIA, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dal 1o gennaio 2014 sono scattati gli incrementi dei pedaggi delle tratte autostradali nazionali;
   secondo quanto dichiarato dal Ministro interrogato ai mass media, si tratta di un incremento medio che sarebbe «contenuto» al 3,9 per cento sul territorio nazionale, contro una media di quanto richiesto dalle stesse società concessionarie pari al 4,8 per cento;
   in realtà, gli aumenti tariffari hanno creato inaccettabili discriminazioni sul territorio nazionale, comportando al Nord incrementi dei pedaggi anche dell'11,5 per cento sulla A9 tra Milano e Como, del 7,17 per cento sull'A4 tra Venezia a Trieste e sull'A28 tra Portogruaro e Pordenone, del 6,26 per cento sull'A15 della Cisa, del 6,26 per cento sul Passante di Mestre, del 4,43 per cento sulla A31 tra Rovigo e Padova o sulla A27 tra Venezia e Longarone, contro incrementi dello 0 per cento sulle autostrade del Sud, come quelle del Consorzio autostrade siciliane Messina-Catania, del Consorzio autostrade siciliane Messina-Palermo o delle Autostrade meridionali (Sam);
   inoltre, continua la totale assenza di pedaggi sulle autostrade e raccordi gestiti dall'Anas spa, come l'A90 Grande raccordo anulare di Roma, l'A91 Roma-aeroporto Fiumicino, l'A19 Palermo-Catania, l'A18 diramazione di Catania, il RA 15 tangenziale ovest di Catania, l'A3 Salerno-Reggio Calabria; i costi del mancato pedaggio su tali autostrade ricade sulla fiscalità generale e viene pagato, soprattutto, dai contribuenti del Nord, che maggiormente concorrono alla finanza statale;
   proprio per la Salerno-Reggio Calabria, con la legge di stabilità per il 2014 sono stati stanziati ulteriori 340 milioni di euro, non riuscendo comunque a rispettare il termine del dicembre 2013 per la chiusura dei cantieri, nonostante i 50 anni trascorsi dall'inizio dei lavori;
   dalle interviste del presidente dell'Anas sulla stampa si apprende che ci sono ancora 58 chilometri della Salerno-Reggio Calabria da finanziare per i quali servono oltre 3 miliardi di euro, che si aggiungono ai 7,4 miliardi di euro finanziati fino ad oggi;
   per i pendolari del Nord, che si sentono vessati da rincari insopportabili dei pedaggi, risulta inaccettabile che un'infrastruttura come la Salerno-Reggio Calabria continui ancora ad essere senza pedaggio;
   gli aumenti dei pedaggi autostradali si aggiungono ad altri aumenti fiscali disposti dal Governo e mettono in crisi le famiglie e le imprese, soprattutto quelle degli autotrasportatori;
   le autostrade del Nord, come l'Autostrada dei laghi-A9, sono autostrade dove si veicola ricchezza e produzione che maggiormente contribuiscono al prodotto interno lordo nazionale; l'aumento dei pedaggi, di 3 volte superiore alla media nazionale, penalizza e discrimina i lavoratori pendolari e rischia di essere un fattore di freno per lo sviluppo del Paese;
   agli aumenti dei pedaggi si sommano gli incrementi nei costi di produzione dei servizi, come gasolio e assicurazioni, e determinano un aumento generale del costo del trasporto delle merci in Italia che si presenta come quello più alto in Europa, superando abbondantemente la soglia di 1,5 euro per chilometro, mettendo in crisi la competitività del Paese;
   occorre rivedere il meccanismo che regola l'incremento dei pedaggi, anche allo scopo di incentivare l'aumento del numero degli utenti delle autostrade, attualmente diminuito a seguito della crisi economica, e studiare sistemi di sconti o abbonamenti per residenti, pendolari e autotrasportatori;
   l'attuale sistema di regolazione degli aumenti delle tariffe autostradali attraverso il meccanismo di price cup, basato su parametri come l'inflazione programmata, il tasso di produttività attesa o la qualità del servizio, permette aumenti strettamente legati agli investimenti dei concessionari, creando un automatismo degli incrementi dei pedaggi che non è più sopportabile dagli utenti –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere perché siano rivisti gli eccessivi incrementi dei pedaggi che si sono registrati in alcune autostrade del Nord Italia e perché sia garantita una maggiore equità sui costi di percorrenza delle tratte autostradali tra il Nord e il Sud del Paese, anche rivedendo l'attuale sistema di regolazione degli aumenti delle tariffe autostradali e proponendo sistemi di sconti o abbonamenti per residenti, pendolari e autotrasportatori. (3-00539)


   BERGAMINI e PALESE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dal 1o gennaio 2014 sono scattati i rincari delle tariffe autostradali approvati con decreti interministeriali dei Ministeri delle infrastrutture e dei trasporti e dell'economia e delle finanze, con un aumento medio pari al 3,9 per cento;
   vige in Italia un anacronistico meccanismo che prevede l'adeguamento automatico dei pedaggi autostradali all'inizio di ogni anno, a prescindere dagli investimenti attuati dalle società concessionarie;
   la crisi economica che il Paese sta attraversando ha già creato numerosi incidenti e proteste. In particolare, nel dicembre 2013, il movimento dei cosiddetti forconi ha messo in difficoltà anche le organizzazioni tradizionali dell'autotrasporto;
   gli aumenti delle tariffe autostradali rischiano di dare nuovi argomenti a coloro che guidano la protesta e peseranno in modo consistente sulla categoria degli autotrasportatori e su quella dei pendolari;
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti vorrebbe ora introdurre forme di abbonamento che servirebbero a ridurre l'impatto degli aumenti di circa il 20 per cento. Secondo stime di Confcommercio, tale operazione costerebbe, solo per coprire il settore dell'autotrasporto, circa 20 miliardi di euro. Se la facilitazione venisse estesa, come è giusto, anche ai pendolari che utilizzano l'auto per recarsi al lavoro e a tutti coloro che utilizzano l'autovettura per la propria attività, la cifra sarebbe molto più alta. Tuttavia, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti non ha fornito dettagli sulle coperture finanziarie di un'operazione tanto costosa;
   gli aumenti dei pedaggi e dei costi di produzione dei servizi hanno reso, nel nostro Paese, il costo del trasporto delle merci su strada il più alto d'Europa, andando oltre la soglia di 1 euro e 50 centesimi per chilometro;
   negli ultimi 15 anni il settore dell'autotrasporto ha mantenuto un andamento costante, a differenza degli altri principali Paesi europei e di quelli di più recente ingresso nell'Unione europea, che stanno evolvendo a ritmi incalzanti;
   la società Autostrade per l'Italia permette, in alcuni casi, che il pedaggio dovuto non venga corrisposto, interamente o in parte: il mancato pagamento dà luogo all'emissione di un rapporto (attestato di transito/scontrino) di mancato pagamento, direttamente ai caselli o con lettera di sollecito inviata a mezzo postale, che è possibile pagare anche on line, così come previsto per i mancati pagamenti dovuti all'assenza di documentazione del casello di entrata, la cui attestazione può essere sostituita da un'autocertificazione;
   la procedura adottata da Autostrade per l'Italia prevede che tale pagamento debba essere effettuato entro e non oltre 15 giorni dalla data del transito e che, trascorsi i quali, l'importo venga maggiorato degli oneri di accertamento e, in caso di mancato pagamento di quanto dovuto, venga attivata la procedura di recupero forzoso del credito;
   tali mancati pagamenti sono molto frequenti e la procedura di recupero forzoso spesso non viene applicata, soprattutto nel caso in cui l'utente risieda e abbia la propria attività fuori dal territorio nazionale –:
   quali siano stati i motivi che hanno indotto il Governo a non rinegoziare preventivamente i contratti con i concessionari della rete autostradale, permettendo, invece, che gli aumenti dei pedaggi fossero nuovamente e automaticamente applicati – tanto più in questo momento di crisi economica e a fronte dell'incapacità della società Autostrade per l'Italia di rientrare in possesso di pagamenti dovuti e non pagati – a scapito di tutti quei cittadini che devono, invece, sostenere continui aumenti di spesa per poter esercitare il loro diritto alla mobilità. (3-00540)


   MARTELLA, MARIANI, BORGHI, TULLO, ARLOTTI, MARIASTELLA BIANCHI, BRAGA, BRATTI, CARRESCIA, COMINELLI, DALLAI, DECARO, GADDA, GINOBLE, TINO IANNUZZI, MANFREDI, MARRONI, MAZZOLI, MORASSUT, MORETTO, GIOVANNA SANNA, ZARDINI, BONACCORSI, BRANDOLIN, BRUNO BOSSIO, CARDINALE, CARELLA, CASTRICONE, COPPOLA, CRIVELLARI, CULOTTA, FERRO, GANDOLFI, PIERDOMENICO MARTINO, MAURI, MOGNATO, MURA, PAGANI, PAOLUCCI, ROTTA, VELO, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dal 1o gennaio 2014 si registrano forti rincari dei pedaggi autostradali, con un incremento medio delle tariffe del 3,9 per cento, con punte dell'8,28 per cento (Strada dei parchi), del 12,9 per cento (nell'autostrada Venezia-Trieste) e del 15 per cento (autostrada Torino-Aosta);
   gli aumenti risultano ben superiori al tasso di inflazione, dell'1,3 per cento, in media, nel 2013, uno dei valori più bassi degli ultimi anni; il rincaro dei pedaggi contrasta anche con l'andamento della domanda: il traffico autostradale è in netto calo negli ultimi sei anni;
   l'aumento dei pedaggi si aggiunge a rincari dell'ordine del 16,7 per cento nell'ultimo quinquennio, contestualmente alla grave crisi economica e all'aggravio della pressione fiscale, con un andamento prociclico delle tasse, delle tariffe e dei prezzi amministrati;
   tali incrementi rischiano di ripercuotersi negativamente sui pendolari e sul tessuto produttivo del Paese, con conseguenti aumenti dei costi su materie prime e prodotti finiti, rischiando di compromettere i timidi segnali di ripresa che si intravedono;
   secondo le stime di Adusbef e Federconsumatori l'aumento dei pedaggi determina – direttamente e indirettamente – un aggravio di 87 euro all'anno a famiglia; ancora più grave l'impatto dell'aumento dei pedaggi, e, quindi, dei prezzi di trasporto sul sistema produttivo, sui servizi e sulla competitività dell'intero Paese;
   l'incremento dei pedaggi, insieme all'aumento del gasolio e del costo di produzione dei servizi connessi al trasporto delle merci – come le assicurazioni –, ha pesanti ricadute sul costo del trasporto delle merci; in Italia – ad oggi – il costo su strada delle merci, ben superiore alla soglia di 1,5 euro a chilometro, è il più alto d'Europa; le conseguenze di tali aumenti sono amplificate dalle modalità di trasporto delle merci – in Italia essenzialmente su gomma –, dalla distanza tra i mercati di sbocco e di approvvigionamento, tra i luoghi di produzione e i mercati, dall'elevata perifericità dei sistemi locali; pesante l'aggravio di costi anche per i pendolari, già penalizzati dalla grave inefficienza di collegamenti modali – come le ferrovie – alternativi alla mobilità su gomma;
   la delibera CIPE n. 30 del 19 luglio 2013, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale del 19 dicembre 2013, in materia di requisiti di solidità patrimoniale delle concessionarie autostradali, nell'allegato che integra la delibera n. 39 del 2007 sulla regolazione economica del settore autostradale, dispone l'obbligo per le imprese concessionarie del servizio autostradale di adeguare l'indice di solidità patrimoniale – dato dal rapporto tra il flusso di cassa operativo disponibile per il servizio del debito ed il servizio del debito medesimo – quando questo sia inferiore al valore minimo richiesto pari a 1,2, pena la decadenza della concessione;
   il riequilibrio di tale indice può avvenire tramite aumenti di capitale – o forme equivalenti, quali versamenti in conto aumenti di capitale – ad incremento del flusso di cassa disponibile per il servizio del debito;
   tra le operazioni atte a ridurre l'eventuale esposizione debitoria del concessionario non possono essere ricompresi interventi diretti ad incidere sui profili tariffari, salvo che siano autorizzati con la procedura di rito, e solo in presenza delle condizioni previste in convenzione;
   appare necessario definire un sistema di adeguamento delle tariffe autostradali vincolato agli investimenti effettivamente realizzati dai concessionari;
   è essenziale rendere trasparenti i meccanismi di adeguamento delle tariffe e i rapporti contrattuali stipulati in passato tra lo Stato e le concessionarie, che gestiscono in regime di monopolio infrastrutture essenziali come le autostrade; è, altresì, urgente garantire più stringenti controlli di gestione, in particolare per evitare ingiustificati aumenti tariffari –:
   quali iniziative intenda assumere per contrastare tali rincari e per ridurre le conseguenze dell'aumento dei pedaggi sulle imprese di trasporto, sui pendolari, sul sistema produttivo, sui consumatori, anche tenuto conto dell'esigenza di garantire l'effettiva e tempestiva realizzazione degli investimenti sulla rete autostradale e di migliorare l'efficienza, la rapidità e la qualità dei collegamenti e del servizio di trasporto. (3-00541)


   DORINA BIANCHI, PISO e GAROFALO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dal 1o gennaio 2014 sulla rete autostradale in concessione sono stati applicati gli incrementi tariffari stabiliti con decreti del Ministro interrogato, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. L'incremento medio applicato è pari a circa il 3,9 per cento, contro una media di quanto richiesto dalle stesse società pari al 4,8 per cento;
   per alcune tratte sono stati riconosciuti incrementi superiori all'8 per cento e, in alcuni casi, si sono verificati aumenti al casello fino al 14 per cento;
   in relazione ai provvedimenti assunti, il Ministro interrogato ha dichiarato che gli aggiornamenti tariffari sono stati stabiliti, in via automatica, sulla base delle procedure definite negli atti convenzionali autostradali e che, in presenza di incrementi particolarmente onerosi sotto il profilo sociale, è stato fissata una limitazione rispetto alla tariffa d'equilibrio. La riduzione tariffaria applicata sarà compensata in sede di futuro aggiornamento quinquennale dei piani finanziari;
   in realtà è giusto chiedersi: se, in considerazione della perdurante crisi economica, risultasse necessario procedere all'aggiornamento delle tariffe autostradali alla data del 1o gennaio 2014 nella misura definita dai decreti interministeriali; se corrispondesse al vero che gli incrementi tariffari fossero quantificati automaticamente e secondo quali criteri; quali fossero i parametri che concorrono oggettivamente all'incremento delle tariffe e se questi fossero stati verificati –:
   se il Ministro interrogato, come anticipato, intenda attuare una semplificazione della regolamentazione tariffaria per il settore autostradale, adottando le iniziative anticipate finalizzate alla gestione dei pedaggi. (3-00542)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GINEFRA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il settore autostradale italiano ha subito a partire dagli anni novanta un profondo processo di riforma istituzionale che ha interessato, in particolare, il sistema di regolazione e gli assetti proprietari;
   con la firma dei decreti interministeriali da parte dei Ministeri dell'economia e delle infrastrutture è scattato, nella serata dell'ultimo dell'anno, l'aumento medio del 3,9 per cento dei pedaggi autostradali;
   il meccanismo di rivalutazione delle tariffe appare, nonostante gli sforzi compiuti dal Ministro pro tempore Passera, nel nostro Paese ancora sbilanciato in favore dei concessionari essendo parametrato sui dati dell'inflazione, di obiettivi di efficienza, del traffico previsto e della qualità del servizio senza alcuna capacità di rivalsa dello Stato persino in caso di inadempienze dei concessionari;
   si è più volte auspicato, a tale proposito l'introduzione anche in Italia del cosiddetto Price cap ovvero di un meccanismo di regolazione dei prezzi dei servizi pubblici volto a vincolare il tasso di crescita di un aggregato di prezzi o tariffe. Il regolatore stabilisce il massimo saggio a cui un insieme di prezzi è autorizzato a crescere per un certo numero di anni e nel rispetto di questo vincolo aggregato l'impresa è libera di fissare i prezzi e le tariffe che desidera;
   le convenzioni in essere con le società concessionarie autostradali prevedono che le stesse, oltre a corrispondere un canone proporzionale ai pedaggi riscossi, debbano corrispondere anche un canone annuo in ragione di una certa percentuale sugli extra profitti generati dal concessionario per lo svolgimento delle attività commerciali sul sedime autostradale;
   tra tali attività, definite collaterali, rientra l'esercizio di tutte quelle iniziative di rilevanza economica che si svolgono all'interno delle aree di servizio, quali ristorazione, vendita carburanti ed attività pubblicitarie;
   tale canone, che non è fisso, solitamente viene versato all'Anas ma talvolta concorre al contenimento delle tariffe praticate agli utenti;
   non essendovi una regolamentazione definita, i relativi proventi possono essere di ben cospicuo importo e sarebbe auspicabile avere accesso alla relativa rendicontazione;
   con i decreti adottati si è prevista una forma di incrementi che sembrerebbe determinare un sostanziale aumento dei pedaggi a della dello scrivente e in assenza di più dettagliate informazioni ingiustificato e ingiustificabile. Ad esempio sulla tratta Padova-Venezia (gestita da una società sostanzialmente pubblica) il pedaggio passa da 70 centesimi a tre euro: +400 per cento. Per quanto attiene ai concessionari privati gli incrementi sarebbero altrettanto significativi: aumento dell'8,28 per cento sulla Strada dei Parchi in Abruzzo, del 6,26 per cento per l'autocamionabile della Cisa, del 5,27 per l'autostrada tra Torino e Milano, del 5 per cento le autostrade valdostane, così come per le tirreniche e per le autostrade per l'Italia un aumento del 4,43 per cento;
   tali incrementi tariffari sembrerebbero giustificati da non meglio definiti investimenti compiuti dai concessionari per l'ammodernamento della rete autostradale –:
   quali siano le opere di ammodernamento realizzate dalle suddette concessionarie;
   se le stesse risultino in regola con il versamento del canone previsto dalle convenzioni proporzionale ai pedaggi riscossi, nonché di quelli annui previsti in ragione di una certa percentuale sugli extraprofitti generati dal concessionario per lo svolgimento delle attività commerciali sul sedime autostradale;
   quali siano stati i criteri individuati per autorizzare detti aumenti tariffari. (5-01808)


   GINEFRA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il settore autostradale italiano ha subito a partire dagli anni novanta un pro- fondo processo di riforma istituzionale che ha interessato, in particolare, il sistema di regolazione e gli assetti proprietari;
   con la firma dei decreti interministeriali da parte dei Ministeri dell'economia e delle finanze e delle infrastrutture e dei trasporti è scattato, nella serata dell'ultimo dell'anno, l'aumento medio del 3,9 per cento dei pedaggi autostradali;
   il meccanismo di rivalutazione delle tariffe appare, nonostante gli sforzi compiuti dal Ministro pro tempore Passera, nel nostro Paese ancora sbilanciato in favore dei concessionari essendo parametrato sui dati dell'inflazione, di obiettivi di efficienza, del traffico previsto e della qualità del servizio senza alcuna capacità di rivalsa dello Stato persino in caso di inadempienze dei concessionari;
   si è più volte auspicato, a tale proposito l'introduzione anche in Italia del cosiddetto price cap ovvero di un meccanismo di regolazione dei prezzi dei servizi pubblici volto a vincolare il tasso di crescita di un aggregato di prezzi o tariffe. Il regolatore stabilisce il massimo saggio a cui un insieme di prezzi è autorizzato a crescere per un certo numero di anni e nel rispetto di questo vincolo aggregato l'impresa è libera di fissare i prezzi e le tariffe che desidera;
   le convenzioni in essere con le società concessionarie autostradali prevedono che le stesse, oltre a corrispondere un canone proporzionale ai pedaggi riscossi, debbano corrispondere anche un canone annuo in ragione di una certa percentuale sugli extra profitti generati dal concessionario per lo svolgimento delle attività commerciali sul sedime autostradale;
   tra tali attività, definite collaterali, rientra l'esercizio di tutte quelle iniziative di rilevanza economica che si svolgono all'interno delle aree di servizio, quali ristorazione, vendita carburanti ed attività pubblicitarie;
   tale canone, che non è fisso, solitamente viene versato al l'Arias ma talvolta concorre al contenimento delle tariffe praticate agli utenti;
   non essendovi una regolamentazione definita, i relativi proventi possono essere di ben cospicuo importo e sarebbe auspicabile avere accesso alla relativa rendicontazione;
   con i decreti adottati si è prevista una forma di incremento che sembrerebbe determinare un sostanziale aumento dei pedaggi a detta dello scrivente e in assenza di più dettagliate informazioni ingiustificato e ingiustificabile. Ad esempio sulla tratta Padova-Venezia (gestita da una società sostanzialmente pubblica) il pedaggio passa da 70 centesimi a tre euro: +400 per cento. Per quanto attiene ai concessionari privati gli incrementi sarebbero altrettanto significativi : aumento dell'8,28 per cento sulla strada dei parchi in Abruzzo; del 6,26 per cento per l'Autocamionabile della Cisa, del 5,27 per l'autostrada tra Torino e Milano, del 5 percento le Autostrade valdostane, così come per le tirreniche e per le Autostrade per l'Italia un aumento del 4,43 per cento;
   tali incrementi tariffari sembrerebbero giustificati da non meglio definiti investimenti compiuti dai concessionari per l'ammodernamento della rete autostradale –:
   quale sia elenco delle opere di ammodernamento realizzate dalle suddette concessionarie;
   se le stesse risultino in regola con il versamento del canone previsto dalle convenzioni proporzionale ai pedaggi riscossi, nonché di quelli annui previsti in ragione di una certa percentuale sugli extraprofitti generati dal concessionario per lo svolgimento delle attività commerciali sul sedime autostradale;
   quali siano stati i criteri individuati per autorizzare detti aumenti tariffari. (5-01818)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LABRIOLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la realizzazione della dorsale adriatica su ferro «è un problema e un interesse che riguarda l'intera nazione». Così si esprimeva il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti rispondendo, nel mese di ottobre 2013, ad un atto di sindacato ispettivo alla Camera. Il Ministro ha poi sottolineato che il collegamento della dorsale adriatica, nel quadro del completamento del «rettangolo» dell'alta velocità, diventa «strategico»;
   nell'ambito della programmazione finanziaria pluriennale per il periodo 2014-2020, la Commissione europea prevede la creazione di un nuovo strumento per finanziare le infrastrutture prioritarie per l'Unione europea in diversi settori, tra i quali quello dei trasporti, denominato «Meccanismo per collegare l'Europa»;
   tale strumento disporrà di una dotazione di 50 miliardi di euro per il periodo 2014-2020, dei quali 31,7 miliardi saranno assegnati al settore dei trasporti; inoltre, la nuova programmazione dei fondi strutturali europei dovrebbe prevedere ingenti risorse per la realizzazione di infrastrutture ferroviarie, in particolare nel Mezzogiorno;
   tra i mezzi di trasporto che la Commissione europea ed il Governo italiano si prefiggono di migliorare e di potenziare vi è sicuramente quello ferroviario;
   la dorsale adriatica del nostro Paese è priva di collegamenti ferroviari ad alta velocità, che colleghino non solo la tratta Ancona-Pescara-Bari-Taranto-Lecce, ma anche le tratte che dovrebbero collegare questi capoluoghi di provincia ai principali capoluoghi d'Italia fino a Trieste;
   in particolare, si evidenzia l'annosa difficoltà dei cittadini della regione Puglia, a poter viaggiare in alta velocità, non solo sulla dorsale adriatica, ma anche verso grandi città, quali Roma, Milano, Bologna, Torino, Firenze, Napoli, Reggio Calabria. I collegamenti, infatti, sono oggi garantiti solo attraverso obsoleti treni regionali, intercity con livelli di servizio nettamente differenti rispetto ad altre parti d'Italia;
   il potenziamento delle linee ferroviarie sulla dorsale adriatica rientra tra le competenze proprie del Governo. È lo Stato che deve garantire al Paese parità di servizi per i cittadini ad ogni latitudine. L'attuale differenza di velocità e servizi tra Nord e Sud, e tra le dorsali adriatica e tirrenica, non favorisce la coesione sociale ed economica nel nostro Paese, che viaggia, di fatto, a due differenti velocità –:
   quali urgenti iniziative il Ministro interrogato intenda adottare affinché si attui un'adeguata programmazione in favore di progetti indirizzati al potenziamento della linea ferroviaria della dorsale adriatica e dei relativi collegamenti con i maggiori capoluoghi di provincia italiani, anche in considerazione della programmazione delle risorse dell'Unione europea per il periodo 2014-2020, nel quadro delle grandi reti transeuropee e dei fondi strutturali. (4-03067)


   MELILLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la società concessionaria dell'autostrada adriatica A14 sta operando la realizzazione della terza corsia nella regione Marche anche per fare fronte al notevole traffico veicolare;
   in Abruzzo invece non è in corso nessun investimento di rilievo in questo senso e anzi questa importante infrastruttura appare abbandonata a sé stessa senza una adeguata programmazione del suo miglioramento;
   dal 1o gennaio 2014 i pedaggi sono aumentati del 4,3 per cento, ben oltre il tasso di inflazione con una notevole ripercussione negativa sui pendolari, sulle aziende del trasporto, e sull'insieme dell'economia essendo il trasporto un fattore fondamentale di competitività;
   l'alto costo dell'autostrada scoraggia la domanda e dunque c’è in netto calo dell'utenza autostradale –:
   quali siano gli investimenti previsti dalla concessionaria della A14 nel tratto abruzzese dell'autostrada adriatica;
   se non ritenga necessario rivedere i meccanismi che regolano l'aumento dei pedaggi anche in considerazione del gravo stato di crisi economica e finanziaria. (4-03082)


   MELILLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'Autostrada dei Parchi spa che gestisce i collegamenti autostradali dall'Abruzzo verso Roma ha aumentato dal 1o gennaio 2014 i pedaggi di oltre l'8 per cento, contro una media nazionale del 3,8 per cento;
   questo aumento, ben oltre il tasso di inflazione, si ripercuote negativamente sui lavoratori pendolari e sulle imprese, essendo il costo dei trasporti un fattore importante di competitività;
   in un momento di grave sofferenza economica e sociale questi aumenti sono semplicemente uno scandalo, che va al di là di ogni logica;
   non si comprende come sia stato possibile da parte dell'Autorità di Governo avallare questa scelta –:
   per quali motivi l'autostrada degli abruzzesi ha un aumento superiore di più del doppio alla media nazionale;
   se non intenda rivedere una scelta così antieconomica e antipopolare. (4-03083)

INTEGRAZIONE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro per l'integrazione, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   le immagini proposte in data 16 dicembre 2013, dal TG2, riguardanti il Centro di soccorso e di prima accoglienza di contrada Imbriacola, a Lampedusa, configurano una realtà disumana, in cui i migranti sono denudati, messi in fila e al freddo, nonché sottoposti a disinfestazione per la scabbia, in palese violazione dei diritti umani; fra gli ospiti «forzati» del centro di contrada Imbriacola vi sarebbero anche 16 superstiti del terribile naufragio del 3 ottobre 2013, in cui persero la vita 600 persone. Da tale naufragio sono passati oltre 2 mesi e i superstiti, peraltro coinvolti come testimoni nel procedimento aperto dalla procura di Agrigento contro gli scafisti e i trafficanti, si trovano ancora nel Centro di prima accoglienza, che invece può ospitare persone per un massimo di 48 ore;
   tale situazione, ad avviso degli interpellanti, induce inevitabilmente a supporre che nel Centro di prima accoglienza si trovino centinaia di persone che, in base alla normativa vigente, avrebbero dovuto essere trasferite in altri centri. Peraltro, la presenza prolungata di ospiti nel centro determina una ormai cronica situazione di sovraffollamento, gestita nella logica dell'emergenza, dal momento che gli sbarchi in una terra di frontiera come Lampedusa sono frequenti. Il sovraffollamento del centro è talmente elevato che non è possibile neanche realizzare i lavori di ampliamento necessari;
   in data 17 dicembre 2013, l'Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati ha diramato una nota in cui si ammonisce il Governo italiano affinché individui soluzioni immediate ed urgenti per migliorare gli standard di accoglienza nel centro di soccorso e di prima accoglienza di Lampedusa;
   quanto rappresentato in premessa appare una inaccettabile violazione dei trattati di Dublino considerata la sistematicità con la quale i diritti dei richiedenti vengono attualmente violati –:
   se i Ministri interpellati abbiano dato mandato di effettuare una profonda ricognizione della situazione nel centro di Lampedusa circa le condizioni dei migranti;
   quali soluzioni permanenti intendano adottare contro il sovraffollamento del centro e, in particolare, per evitare che i migranti vengano lì trattenuti ben oltre i limiti previsti dalla legge;
   anche in considerazione di quanto accaduto di recente nei diversi centri, più in generale, se non ritengano ormai improcrastinabile una riforma complessiva dei centri (centri di identificazione ed espulsione, centri di accoglienza per i richiedenti asilo e centro di accoglienza).
(2-00355) «Fratoianni, Migliore, Palazzotto, Costantino, Pellegrino, Pilozzi, Kronbichler».
(Presentata il 7 gennaio 2014).

INTERNO

Interrogazione a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   organi di stampa locale e siti web di informazione del comasco (La Provincia di Como del 29 dicembre 2013) riportano la notizia secondo la quale a Capiago Intimiano, paese di poco più di 5.000 abitanti in provincia di Como, da giorni si ripetono continui furti nelle abitazioni private;
   stando alle dichiarazioni riportate a mezzo stampa da alcune vittime dei furti, gli appartamenti vengono svaligiati da ignoti mentre i proprietari sono fuori casa e negli ultimi due anni non c’è stata abitazione che non sia stata colpita almeno una volta da questi furti;
   solo per questioni fortuite, e legate al fatto che in alcuni casi i proprietari o i vicini di casa sentendo qualche rumore, s'insospettiscono, accendono le luci e danno l'allarme, non tutti i furti sono riusciti, anche se appare evidente come la situazione stia drammaticamente degenerando, tanto che le persone colpite dalle rapine manifestano un elevato livello di paura e non parlano volentieri di quanto accade;
   il territorio di Capiago non è purtroppo nuovo a questi fenomeni, dal momento che già nel mese di marzo 2013 ci fu una vera e propria ondata di furti in paese, quando durante la notte, ignoti rapinatori con accento straniero, così come riportato da alcuni testimoni dei fatti nei giornali locali del tempo, avevano rapinato numerose case danneggiando anche delle autovetture private;
   nonostante il monitoraggio delle forze di polizia, la preoccupazione dei cittadini e degli amministratori locali è sempre più elevata, e, a fronte della attuale situazione, appare evidente come le risorse stanziate per la sicurezza nel comune di Capiago e il numero di unità delle forze dell'ordine impiegate per tale finalità siano insufficienti per garantire ai cittadini un livello di sicurezza minimo –:
   considerati i fatti sopra descritti, la grave situazione venutasi a determinare e la preoccupazione degli abitanti di Capiago Intimiano, se non si ritenga opportuno adottare idonee iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, per potenziare il numero delle risorse umane a disposizione delle forze dell'ordine che operano nel territorio comunale di Capiago Intimiano al fine di migliorare il monitoraggio dell'area interessata dai recenti furti;
   se, in ragione della gravità della situazione descritta la quale purtroppo riguarda anche altri comuni della provincia di Como, se non si ritenga opportuno valutare la possibilità di assumere iniziative per escludere, per quei comuni che evidenziano particolari criticità in materia di pubblica sicurezza, le risorse impiegate dai medesimi comuni per il miglioramento e il monitoraggio della pubblica sicurezza dai vincoli del patto di stabilità interno per l'annualità 2014. (4-03068)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GRILLO, DI VITA, MARZANA, BATTELLI, BRESCIA e LUPO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel luglio 2013 vennero approvati due progetti (PON sicurezza Sicilia) finalizzati ad aumentare la sicurezza e la legalità in alcune regioni del Sud fra cui la Sicilia;
   un progetto, denominato «Sistema» prevedeva l'apertura e l'istituzione di due orchestre giovanili a Catania e a Palermo;
   un altro, «Legalit-ARS», prevedeva l'avvio di percorsi formativi ai mestieri dello spettacolo dal vivo;
   nel sito del Ministero dell'interno vi sono le linee guida per la presentazione dei progetti inerenti il PON 2007/2013;
   all'esito del progetto non risulta esperito alcun bando né per i privati né per soggetti diversi;
   peraltro le associazioni, le fondazioni, gli enti giuridici non sono stati messi a conoscenza tramite azioni di informazione e comunicazione dalla prefettura;
   gli unici beneficiari del PON sicurezza Sicilia 2013 sono risultati l'associazione siciliana amici della musica (Palermo) e il teatro Bellini (Catania);
   appare legalmente non corretto assegnare fondi e cospicue risorse senza bando pubblico;
   appare eticamente non corretto non interessare enti o associazioni che da anni operano nel sociale contro la mafia e per la legalità;
   negli statuti dei vincitori non pare essere previsto lo svolgimento di attività sulla legalità;
   non si comprende la «Scala» di Milano, scelta come partner con delega alla gestione, quale attinenza abbia sul PON sicurezza Sud-Sicilia –:
   quale sia il motivo dell'assegnazione al Teatro Bellini di Catania di tali Fondi europei, essendo essi destinati a soggetti privati;
   se tali finanziamenti siano stati assegnati per aiutare una reale operatività sul territorio o per ripianare i bilanci dissestati degli enti assegnatari;
   se in autostrada si ritenga opportuno revocare il provvedimento di finanziamento prima richiamato;
   se si intenda riformulare il bando in modo chiaro per gli operatori privati e pubblici che da decenni operano alla diffusione della legalità contro la mafia.
(5-01825)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che
   a quanto risulta all'interrogante, in data 11 dicembre sono stati assegnati all'Istituto comprensivo statale n. 2 di Montecchio Maggiore (VI) solamente 35,50 euro per il pagamento delle supplenze saltuarie, a fronte di un saldo negativo di ben 5.300,00 euro per il mese di ottobre, di 12.500,00 euro per il mese di novembre;
   i crediti vantati dal personale supplente derivano da contratti individuali di lavoro, regolarmente stipulati ed inseriti nel sistema SIDI;
   la precedente assegnazione di euro 15.229,84 (prot. 7494 del 6 novembre 2013) è stata utilizzata in gran parte per pagare gli stipendi del mese di giugno e le ferie maturate dal personale nell'anno scolastico 2012/13;
   l'Istituto comprensivo statale in parola ha più volte segnalato alla direzione scolastica regionale tale mancanza di fondi sin dalla fine del precedente anno scolastico, senza ricevere alcuna risposta;
   al fine di provvedere a tale situazione lo stesso Istituto in parola ha da tempo segnalato agli uffici territoriali competenti le proprie eccedenze sugli stipendi (lordo amministrazione euro 17.549,01 – lordo dipendente euro 13.028,22), senza però avere istruzioni in merito al loro possibile utilizzo;
   tale vicenda non costituisce affatto un'eccezione, sol che si pensi, ad esempio, che dalla regione Veneto non sono ancora arrivati i fondi per i corsi di alfabetizzazione dei ragazzi di origine straniera portati a termine nello scorso anno scolastico;
   questi episodi rappresentano un preoccupante indice della crisi che sta attraversando la pubblica istruzione. Una crisi rispetto alla quale occorre fornire risposte concrete e tempestive, essendo in gioco il futuro del nostro Paese –:
   di quali informazioni disponga il Ministro interrogato, per quanto di competenza, in merito ai fatti riferiti in premessa;
   se non reputi necessario attivarsi, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di reperire le risorse necessarie per far fronte ai crediti da lavoro maturati dai docenti coinvolti;
   se non reputi opportuno approntare procedure e protocolli amministrativi volti a limitare l'insorgere in futuro di tali disagi, anche mediante l'autorizzazione dei singoli istituti scolastici all'utilizzo delle proprie eccedenze sugli stipendi. (4-03066)


   BOCCADUTRI, AIELLO, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, DI SALVO, DURANTI, DANIELE FARINA, FAVA, FERRARA, FRATOIANNI, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, LACQUANITI, LAVAGNO, MARCON, MATARRELLI, MELILLA, MIGLIORE, NARDI, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIAZZONI, PILOZZI, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RAGOSTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, SCOTTO, ZAN e ZARATTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le istituzioni scolastiche vantano nei propri bilanci consistenti residui attivi nei confronti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, residui certificati e iscritti nei Conti consuntivi delle singole scuole e attesi da anni (sia da parte degli uffici scolastici regionali fino al 2006, che da parte del Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca dal 2007 a tutt'oggi), nonché oggetto di numerose e ripetute rilevazioni; i suddetti residui ammonterebbero, secondo taluni dirigenti amministrativi del Miur, circa 580 milioni di euro;
   la maggior parte dei suddetti crediti vantati dalle istituzioni scolastiche consistono in anticipazioni effettuate negli anni per garantire la didattica e il regolare svolgimento delle lezioni, assicurando, a fronte di stanziamenti di risorse insufficienti del Miur, il pagamento (cosiddetto «netto in busta») degli stipendi del personale supplente e/o i compensi per lo svolgimento degli esami di Stato con le uniche risorse a disposizione negli anni, cioè i contributi delle famiglie e/o fondi propri delle scuole;
   quello che è accaduto, diventando prassi consolidata in tutte le istituzioni scolastiche, è che i direttori scolastici per la gestione amministrativa e i dirigenti scolastici, per garantire – pur in assenza delle risorse del Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca – il corretto funzionamento delle scuole, hanno pagato con i fondi dei contributi delle famiglie le supplenze e i compensi per gli esami di Stato, senza effettuare tuttavia il pagamento degli oneri contributivi, in attesa di ricevere i dovuti versamenti da parte del Ministero; le scuole sono solite poi provvedere, in occasione delle restituzioni di risorse con erogazioni in conto residui attivi da parte del Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca (ancorché parziali, e insufficienti), di volta in volta e fino alla concorrenza del finanziamento ricevuto, a regolarizzare i pagamenti con le Agenzie delle entrate per contributi e ritenute (IRPEF, addizionali regionali e/o comunali, INPS/INPDAP e IRAP) relative agli stipendi e/o compensi anticipati «al netto»;
   per i suddetti ritardati pagamenti, non imputabili alle istituzioni scolastiche, sono comminate sanzioni onerose, con more molto elevate da parte delle Agenzie delle entrate e/o da Equitalia e con diritto di rivalsa sul dirigente scolastico e sul direttore scolastico per la gestione amministrativa;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca fino ad ora non è intervenuto, o l'ha fatto individuando addirittura profili disciplinari e responsabilità dirette del direttore scolastico per la gestione amministrativa e del dirigente scolastico, pur riconoscendo «la scarsità delle risorse finanziarie disponibili e la necessità del vincolo di destinazione delle stesse»;
   questa situazione paradossale mette in ulteriore difficoltà economica le scuole, facendo ricadere sui direttori scolastici per la gestione amministrativa e i dirigenti scolastici la responsabilità di un omesso o ritardato pagamento degli oneri contributivi di cui è causa esclusivamente il Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca, che con ritardo è solito provvedere a liquidare le somme dovute –:
   come i Ministri interpellati intendano intervenire affinché non si applichino sanzioni e more a carico delle istituzioni scolastiche, dei dirigenti scolastici e dei direttori scolastici per la gestione amministrativa che non hanno potuto pagare in tutto o in parte i contributi a carico dello Stato (datore di lavoro) e/o le ritenute a carico dei lavoratori nei tempi dovuti, a causa della mancata erogazione a tempo debito di finanziamenti specifici con vincolo di destinazione da parte dello Stato stesso. (4-03089)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   STMicroelectronics è un'azienda multinazionale leader nello sviluppo e nella produzione di semiconduttori su scala mondiale e tra le più importanti al mondo nell'ambito delle memorie non volatili;
   in Italia, STMicroelectronics impiega 4.500 dipendenti nel sito di Agrate Brianza, 1000 a Cornaredo, 4000 a Catania, 300 divisi tra Napoli, Palermo e Lecce, per un totale di 8.800 dipendenti;
   nel luglio 2007, presso il Ministero dello sviluppo economico è stato siglato un protocollo d'intesa nel quale, oltre a prevedere investimenti per dare prospettiva ai siti italiani, si è accompagnata l'operazione di cessione del ramo delle memorie di ST all'alleanza ST-Intel-Francisco Partners dalla quale è nata Numonyx;
   con tale protocollo il Governo si è fatto garante dell'intera operazione, sia per quanto riguarda la conservazione dei livelli occupazionali, sia per il mantenimento delle attività produttive e di ricerca nel territorio italiano;
   nello stesso incontro, il Governo si è impegnato, tramite l'allora Ministero del tesoro, ora Ministero dell'economia e delle finanze, alla partecipazione azionaria della STMicroelectronics, controllandola pariteticamente con lo Stato francese;
   nello stesso accordo, ST si è impegnata ad affrontare eventuali problemi occupazionali per il quadriennio successivo, rinnovando tale impegno presso il Ministero dello sviluppo economico successivamente alla vendita a Micron;
   nel 2008, ST ha acquisito NXP Wireless e poi, con un'alleanza con Ericsson mobile platform, ha formato la società ST-Ericsson con l'obiettivo di diventare n. 1 del settore. Nel giro di 5 anni, tale operazione si è rivelata fallimentare con perdite particolarmente importanti;
   nel febbraio 2010, ST, il Governo italiano e Numony decidono di cedere tutte le quote della società in maniera definitiva a Micron, multinazionale americana, che dichiara da subito di non voler sfruttare il contratto di programma che prevedeva investimenti al sud e al nord del nostro Paese, evitando così vincoli di permanenza in Italia. Tali operazioni hanno avuto un notevole impatto industriale e un non trascurabile risvolto sul sistema economico del nostro Paese;
   la vendita di Numonyx ha significato cedere a una multinazionale americana un bagaglio tecnologico di brevetti, prodotti d'avanguardia e capacità professionali distribuiti nel più grande e innovativo centro di ricerca tecnologico del Paese situato ad Agrate Brianza, a cui vanno aggiunti i due centri di progettazione di Arzano e Catania, per un totale di 1600 lavoratori, di cui 700 ad altissimo profilo professionale;
   le dirigenze di ST e Numonyx prima e di Micron poi, avevano dichiarato di voler garantire lunga vita al settore della ricerca nei siti italiani, grazie anche ad un Accordo di programma firmato con il precedente Ministero dello sviluppo economico, Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e le regioni interessate di Lombardia e Sicilia, che avrebbe dovuto assicurare alla Numonyx-Micron un finanziamento di 180 milioni di euro su generici progetti di ricerca. Tale progetto così poco definito dalle aziende, a tutt'oggi ha creato la conseguenza di avere oltre mille posti di lavoro a rischio;
   Micron ha annunciato una riduzione del personale del 5 per cento a livello mondiale, equivalente a 1500 dipendenti circa, che coinvolgerà anche i siti italiani, in particolare quello di Agrate Brianza, con la perdita di posti di lavoro di diverse centinaia di dipendenti causate dal calo del fatturato e delle sovrapposizioni determinate dall'acquisizione della multinazionale giapponese Elpida che possiede centri avanzatissimi di ricerca e sviluppo in Giappone;
   Micron ha annunciato l'intento di delocalizzare;
   a livello europeo, l'operazione di acquisizione di NXP e la nascita di ST-Ericsson hanno determinato uno squilibrio occupazionale a favore della Francia che ha visto crescere i dipendenti dell'azienda a 11.000, facendo scendere quelli italiani a 8.500;
   lo Stato francese ha adottato in questi anni una politica mirata di incentivi al settore della microelettronica, riuscendo a preservare e a rafforzare i progetti nazionali del settore;
   STMicroelectronics, oltre che essere una controllata dello Stato francese lo è anche dello Stato italiano attraverso una partecipazione azionaria del 27,6 per cento;
   il Governo italiano vorrebbe cedere la quota di STMicroelectronics per 700 milioni di euro;
   cedere le quote che attualmente lo Stato italiano possiede, significa dirottare milioni di euro di investimenti fuori dall'Italia nei siti presenti in Francia o nel sud-est asiatico, dove la concorrenza sui costi non ha eguali rispetto a quella di un Paese come il nostro ad alto costo del lavoro, con produzione in assenza, nella maggior parte dei casi, di innovazione –:
   se il Ministro interpellato ritenga opportuno avviare una fase di mediazione nei confronti di STMicroelectronics e Micron per la tutela dei posti di lavoro, coinvolgendo al tempo stesso le istituzioni, a partire da quelle locali, affinché, ciascuno per le proprie responsabilità, esercitino il proprio ruolo per garantire il mantenimento dell'occupazione in prospettiva futura;
   se lo stesso Ministro, a fronte degli intenti di delocalizzazione all'estero di parte della produzione dei diversi siti delle aziende in questione, intenda adottare misure preventive atte ad assicurare un futuro lavorativo certo di tutti i dipendenti italiani attualmente impiegati nelle aziende STMicroelectronics e Micron.
(2-00356) «Tripiedi, Currò, Rostellato, Cominardi, Bechis, Baldassarre, Ciprini, Rizzetto, Chimienti, Nuti, Grillo, Marzana, Cancelleri, Carinelli, Pesco, Lorefice, Lupo, Mannino, Di Benedetto, Di Vita, D'Uva, Rizzo, Villarosa, Castelli, Caso, Cariello, D'Incà, Brugnerotto, Sorial, D'Ambrosio».
(Presentata il 7 gennaio 2014)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LUIGI GALLO, BRESCIA, MARZANA, VACCA e ROSTELLATO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 27 dicembre 2013 il Ministero dell'economia e delle finanze ha emanato una nota nella quale si legge: «Si comunica che, in applicazione del decreto del Presidente della Repubblica 122/2013, articolo 1, comma 1, che proroga fino al 31 dicembre 2013 l'articolo 9, comma 23, decreto-legge n. 78 del 2010, relativo al blocco degli automatismi stipendiali per il personale del Comparto Scuola, è stato accertato un credito erariale di euro .......... imponibile fiscale (al netto delle ritenute previdenziali) con recupero a decorrere dalla mensilità di gennaio 2014 con rate mensili di euro 150,00 lorde fino a concorrenza del debito. Si precisa che il recupero applicato sullo stipendio lordo determina contestualmente l'applicazione di un importo IRPEF più basso»;
   risulta evidente che l'applicazione di quanto espresso nella nota citata manifesta a giudizio degli interroganti una palese violazione degli articoli 2, 3 e 53 della Costituzione in quanto:
    vengono colpiti i dipendenti pubblici con effetto discriminatorio rispetto ai dipendenti privati e ai lavoratori autonomi;
    si impone la restituzione forzosa di un diritto quesito, in quanto si tratta di una quota retributiva già entrata a far parte del patrimonio del lavoratore in qualità di corrispettivo relativo a prestazioni già rese, nell'ambito di un rapporto lavorativo già espletato;
   la natura non strutturale, ma temporanea, di tale intervento normativo, secondo gli interroganti lede il legittimo affidamento sul proprio trattamento retributivo del lavoratore dipendente, che ad esso ha parametrato il proprio tenore di vita;
   la norma a cui si fa riferimento nella nota di cui sopra, ad avviso degli interroganti non ha carattere tributario e risulta essere, quindi, esclusivamente espropriativa in quanto pone in essere la restituzione di redditi derivanti da diritti quesiti –:
   se il Governo non intenda assumere iniziative per trovare una soluzione alternativa che eviti la decurtazione di uno stipendio già esiguo per gli insegnanti, al fine di evitare ulteriori e incomprensibili oneri, alla già precaria sostenibilità economica dei soggetti ai quali la norma fa riferimento e delle rispettive famiglie.
(5-01811)


   GRILLO, LOREFICE, DALL'OSSO, DI VITA, MANTERO, LOMBARDI, MARZANA, CECCONI, SILVIA GIORDANO, D'INCÀ, D'UVA, COZZOLINO, DI BENEDETTO, VILLAROSA, NUTI, MANNINO e BRESCIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Enpam, Ente nazionale di previdenza e assistenza medici, fu originariamente costituito con regio decreto n. 1484 del 1937 come Cassa di assistenza del sindacato nazionale fascista medici, per essere poi trasformato il 27 ottobre 1950 in ente di diritto pubblico, assumendo l'attuale denominazione;
   con il nuovo statuto, approvato nel 1958, l'attività dell'ente – originariamente concepita come attività assistenziale – fu riconfigurata come attività di previdenza e di assistenza;
   con la legge 20 marzo 1975 n. 70 (cosiddetta legge sul parastato) l'Enpam fu inquadrato tra gli Enti gestori di «forme obbligatorie di previdenza e di assistenza» e riconosciuto di «notevole rilievo» con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 settembre 1975;
   il patrimonio dell'Enpam ebbe così origine negli anni ’50 e per i primi decenni fu costituito quasi interamente da investimenti di natura immobiliare, sulla base della normativa che, a garanzia della solidità patrimoniale, imponeva, fino ai primi anni ’90, tale politica di investimento;
   nel 1993, a fronte di un patrimonio da «reddito» complessivo pari a 2,378 milioni di euro, gli investimenti mobiliari rappresentavano il 3,57 del totale, contro 96,43 di quelli immobiliari;
   tale patrimonio, come del resto quello di tutte le cosiddette casse professionali, ha da sempre una gestione alimentata da un consistente prelievo obbligatorio di contributi previdenziali a carico dei professionisti iscritti e per tale ragione l'Enpam è assoggettato alla vigilanza ministeriale e al controllo della Corte dei conti, anche in considerazione del perseguimento di fondamentali interessi pubblici di rilevanza costituzionale;
   l'Enpam viene trasformato in fondazione di diritto privato in virtù del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, ma conserva un carattere ibrido di ente formalmente privato e sostanzialmente pubblico, come confermato sia dalla normativa comunitaria (che lo qualifica come organismo di diritto pubblico), sia da quella nazionale e dalla consolidata giurisprudenza amministrativa;
   a partire dal 1995, anno della trasformazione dell'ente in Fondazione di diritto privato mutano però radicalmente – in assenza di indirizzi normativi specifici – le politiche di investimento, che «virano» decisamente verso il comparto dei titoli mobiliari;
   il patrimonio complessivo della Fondazione registra un progressivo e consistente aumento sia in termini nominali (per la rivalutazione dei cespiti immobiliari precedentemente iscritti al valore storico di acquisto) sia per l'afflusso di una crescente massa contributiva proveniente dalla corte dei medici nati nel cosiddetto periodo del baby boom (1959-1964) ed entrati nella professione fra il 1986 e il 1994;
   al 31 dicembre 2012 la ripartizione degli investimenti patrimoniali pone quelli immobiliari a una quota del 35,93 per cento e quelli mobiliari al 64,07 per cento del totale (Bilancio consuntivo Enpam 2012, pagina 11);
   oggi il numero totale di medici e odontoiatri iscritti è pari a 354.553 con 93.069 pensionati ma il rapporto tra medici in attività e pensionati è destinato progressivamente a invertirsi, soprattutto quando la coorte dei medici nati nel cosiddetto periodo del baby boom andrà in quiescenza (quindi a partire dal 2024);
   già nel 2012 il numero dei pensionati del fondo della libera professione ha avuto un incremento, in un solo anno, del 16,38 per cento (bilancio consuntivo Enpam 2012, pagina 217), mentre per il fondo dei medici di medicina generale, a fronte di un dato stabile di iscritti, la crescita del numero dei pensionati è stata in un anno del 3 per cento circa (bilancio consuntivo Enpam 2012, pagina 218);
   a fronte della complessità delle problematiche previdenziali, che pone soprattutto un grave ed evidente problema di equità intergenerazionale, emergono numerose vicende da cui si evince che l'ampia disponibilità di risorse economiche della Fondazione è stata strumentalizzata per finalità ad avviso degli interroganti non coerenti con la missione previdenziale della Fondazione;
   a più riprese, particolarmente a partire dallo scorso anno, l'Enpam è stato al centro di una serie di vicende a sfondo penale, che hanno investito, fra gli altri, l'allora Presidente ed ex deputato prima democristiano e poi di Forza Italia, Eolo Parodi, il componente del consiglio di amministrazione, professor Maurizio Dallocchio, consigliere ENPAM, docente di economia aziendale alla Bocconi, molto vicino alla famiglia Ligresti (è stato relatore della tesi di laurea di Ligresti Giulia, con la quale è coautore del libro «Brand Italiani» pubblicato da Egea) e alla famiglia Berlusconi (ha organizzato un convegno su etica ed economia con Barbara Berlusconi), l'ex direttore generale Leonardo Zongoli e il responsabile gestione investimenti finanziari, Roberto Roseti;
   le operazioni finanziarie sospette sono state molteplici, come quelle direttamente a favore di un fondo gestito dalla DGPA, società di cui Dallocchio detiene il 25 per cento assieme ad altri tre suoi colleghi universitari (i professori Girardi, Pieroni e Avanzini), l'acquisto dei titoli «Anthracite», e di 13 strutturati per un valore complessivo di 678 milioni, con advisor delle operazioni Gdp ovvero Géstion de patrimoines, società elvetica sbucata anche nella storia Alexandria-Mps, e altri quattro strutturati previa consulenza di Green Securities, per un controvalore di 90 milioni;
   su iniziativa del presidente dell'ordine dei medici di Bologna, dottor Pizza, che il 26 febbraio 2010 punta il dito sull’«eccessiva esposizione a titoli credit-linked» e sulla «presenza di titoli con profilo dei pagamenti particolarmente complesso», «di affidare alla società Srl Group Capital Advisers Ltd per un compenso pari ad 70.000,00 euro l'analisi del portafoglio mobiliare dell'Ente (...) e l'individuazione di eventuali criticità presenti nel portafoglio». Pizza è accontentato. Tant’è che alla vigilia delle elezioni annuncia pubblicamente di non essere più così preoccupato per il domani, perché «vedo attenzione da parte del Consiglio di Amministrazione e da parte dei Consiglieri Nazionali e condivido il loro ottimismo»;
   il 9 dicembre 2010, Gallazzi, bolognese come Pizza, presenta il suo «rapporto finale», 78 pagine fitte di analisi e dati;
   con interi paragrafi identici, parola per parola, a quelli dell'intervento di Pizza del 26 febbraio – a partire dal passaggio che criticava «l'eccessiva esposizione a titoli credit-linked». Il nome di Dallocchio non viene mai fatto, ma sono evidenziate svariate operazioni con commissioni agli intermediari ritenute eccessive e ingiustificate;
   le operazioni immobiliari che sono state, da ultimo, al centro delle inchieste della magistratura riguardano tre acquisti fatti dall'Enpam a prezzi, secondo gli inquirenti, gonfiati con un esborso complessivo di 590 milioni di euro;
   il primo acquisto ha ad oggetto il palazzo della Rinascente di Milano a Piazza Duomo, comprato dall'Enpam a fine 2010 per 472 milioni, tramite il fondo immobiliare Ippocrate, interamente partecipato da Enpam e gestito da FARE (First atlantic real estate) sgr; venditrice è la società Prelios (già Pirelli RE) che lo aveva acquistato il 28 maggio 2007 per 360 milioni e che con la vendita all'Enpam realizza, in piena crisi immobiliare, un'insperata plusvalenza di 108 milioni. Tale prezzo risulta il più alto mai pagato in Italia per un immobile: basti pensare che la Torre Velasca, simbolo di Milano, poco prima venne stimata 100 milioni di euro e Palazzo Broggi in Piazza Cordusio fu acquistato per 54 milioni di euro;
   gli altri due immobili concernono acquisti in Roma Via Serafico (zona EUR) dal «palazzinaro» Pulcini: il primo per 58 milioni dalla società venditrice Belgravia Invest srl che realizza una plusvalenza del 29,85 per cento (precedente acquisto pari a 29 milioni), il secondo, sempre in via Serafico, per 59 milioni, venduto dalla Coedimo che realizza una plusvalenza del 62 per certo (per acquistarlo aveva pagato pochi mesi prima 23 milioni); sia Belgravia sia Edimo sono collegate e organiche al Gruppo Pulcini dell'imprenditore omonimo;
   da ultimo, sul sito EnpamVeritas, è riportata una lettera aperta al presidente dell'Enpam Oliveti; a firma del professor Guido Caprio, nella quale testualmente si legge: «È pervenuta la notizia che il Direttore del Patrimonio Caccamo ha ricevuto un avviso di garanzia dalla Procura della Repubblica di Roma. Chiedo che questa notizia gravissima sia immediatamente smentita e sia anche precisato che Caccamo sia tuttora in servizio nella sua carica dirigenziale»;
   oltre agli scandali finanziari e immobiliari di cui sopra, non si può dire che gli altri aspetti della gestione amministrativa eccellano per risultati e trasparenza, come dimostra il capitolo, riportato a titolo esemplificativo, della spesa per gli organi della Fondazione;
   dal confronto dei bilanci 2011 e 2012 emerge un'ulteriore crescita delle spese per gli organi della Fondazione, che, anziché essere incarichi di natura onoraria, sono ben retribuiti e finiscono per gravare sul bilancio della fondazione per importi sempre più consistenti e, oggi, rappresentano una vera e propria tassa di 15,21 euro annui per ciascun medico iscritto;
   tali spese, infatti (che nel 1993, prima della privatizzazione, erano pari a 215 mila euro equivalenti in euro correnti 2012 a 342.065) sono salite in un solo anno di mezzo milione di euro, passando nel 2012 a 4,8 milioni di euro a fronte di 4,3 milioni di euro del 2011, a cui si aggiungono 569.440 euro per gli organi della Enpam Real Estate – spese, queste ultime, per quanto consta agli interroganti, che costituiscono una sostanziale duplicazione essendo tale società solo un veicolo operativo – e senza considerare gli ulteriori importi presumibilmente goduti da una parte dei consiglieri di amministrazione della Fondazione che rivestono incarichi nel Fondo Ippocrate;
   oltre alle vicende sopra esposte, sussiste poi un evidente e più generale problema di trasparenza informativa riguardante la gestione del bilancio e le politiche previdenziali; al riguardo il Consiglio nazionale della Fondazione previdenziale dei medici, negli scorsi giorni, ha approvato il bilancio consuntivo dell'anno 2012, che registra un avanzo di gestione di 1,29 miliardi di euro e il presidente Oliveti ha dichiarato che «il risultato del saldo previdenziale registrato nel 2012, che misura la differenza tra entrate contributive e spese per le prestazioni previdenziali e assistenziali nell'anno, è stato superiore dell'8,9 per cento rispetto a quanto era stato prefigurato nel bilancio tecnico predisposto dagli attuari per calcolare la nostra sostenibilità a lungo termine»;
   in realtà, tale situazione, apparentemente florida, è il risultato puramente contingente e temporaneo di un elevato numero di medici attivi e di un numero ancora relativamente basso di pensionati, situazione destinata a capovolgersi nel giro di un decennio;
   infatti, nel 2012 si è verificata una situazione nuova nell'ambito delle gestioni previdenziali, che, pur in sé evidente, non risulta essere stata evidenziata nei vari comunicati stampa della Fondazione: se il saldo tra entrate-uscite è ancora ampiamente positivo, per la prima volta, è invece diventato negativo il trend della gestione: mentre nel 2011 il saldo delle variazioni intervenute rispetto all'anno precedente nella gestione previdenziale era ancora positivo (36,3 milioni di euro, pari al 3 per cento della spesa previdenziale, come si evince dal conto economico 2011 a pagina 37 del bilancio consuntivo stampato dalla Fondazione), nel 2012 tale saldo è diventato negativo per oltre 60 milioni di euro (60.131.834,00, pari al 4,8 della spesa previdenziale), dato che segna l'inizio dell'inesorabile declino della gestione previdenziale;
   per rendere sostenibile una spesa per pensioni che ha largheggiato con le corti più anziane (che, detenendo il potere decisionale, difficilmente abbandonano i propri privilegi) la Fondazione ha approvato nel 2012 una riforma pensionistica che, con forti sperequazioni intergenerazionali, aumenta le aliquote contributive per i medici giovani e ne riduce il coefficiente di rendimento in misura tale che ormai sarebbe più conveniente per i medici giovani versare i propri contributi non all'Enpam ma allo Stato sotto forma di prestito forzoso in titoli di Stato –:
   per quale ragione al conto consuntivo della Fondazione Enpam per l'anno 2012 sia allegato il bilancio della Enpam real estate e non quello del Fondo immobiliare Ippocrate;
   se il Ministro vigilante intenda assumere iniziative volte a garantire trasparenza informativa agli iscritti rendendo pubbliche, attraverso il sito internet, le delibere degli di amministrazione degli enti previdenziali privatizzati e delle società o fondi da essi partecipati in modo totalitaria;
   quali componenti del consiglio di amministrazione dell'Enpam rivestano cariche in fondi, società o altri veicoli finanziari (esempio Fondo Ippocrate) e quali ulteriori compensi percepiscano a tale titolo;
   se e quali iniziative siano state assunte o si intendano assumere riguardo alle questioni di cui in premessa, anche tenuto conto che sia nel consiglio di amministrazione sia nel collegio dei sindaci sono presenti componenti di nomina ministeriale;
   quando siano in scadenza i predetti incarichi di nomina ministeriale nei consigli di amministrazione e collegi dei sindaci degli enti previdenziali privatizzati e con quali criteri si intendano rinnovare tali incarichi;
   se risulti sussistere per tutti i componenti dei consigli di amministrazione e collegi dei sindaci degli enti previdenziali privatizzati l'obbligo del possesso dei requisiti di capacità professionale e indipendenza analogamente a quanto previsto per gli amministratori delle imprese assicurative;
   se il Governo abbia adottato o intenda adottare indirizzi puntuali per assicurare in futuro che gli investimenti mobiliari e immobiliari degli enti di previdenza, anche privatizzati, siano congrui rispetto alla finalità previdenziale, trasparenti e non siano attivati per finalità speculative;
   quale sia la ripartizione percentuale ad oggi degli investimenti patrimoniali versus quelli immobiliari dell'Enpam.
(5-01829)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la cartiera Burgo di Avezzano ha ripreso l'attività produttiva e inizierà il passaggio dalla carta patinata alla carta naturale. Il cambio di produzione sarà graduale: solo una macchina sarà attivata per la lavorazione della carta naturale, tutte le altre, invece, continueranno a produrre la patinata anche per smaltire il materiale ancora in magazzino;
   nelle ultime settimane è arrivato l'annuncio che con il cambio di produzione da carta lucida a carta naturale sarebbe stato attuato un ulteriore taglio dei dipendenti. Si parla di 100 dei 300 operai complessivamente impiegati nello stabilimento che rischiano il posto di lavoro, così come accadde ad altri 149 lavoratori in seguito ad un'identica vertenza nel luglio 2012;
   l'azienda non ha ancora chiarito come saranno gestiti gli esuberi annunciati;
   quella della cartiera è una vertenza occupazionale importantissima non solo per Avezzano, ma per tutto il futuro economico della Marsica che vive una situazione già molto difficile, con molte aziende interessate da processi di ristrutturazione industriale e crisi occupazionale –:
   se non ritenga doveroso convocare le parti sociali, gli enti locali e la regione Abruzzo per cercare soluzioni produttive e occupazionali e scongiurare un ennesimo dramma occupazionale. (4-03080)


   GALATI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Infocontact s.r.l. è la società, operativa dal 2005 sul mercato italiano, nel settore dell'erogazione di servizi di contact center, customer care e teleselling per le più importanti aziende di telecomunicazione, energie a gas;
   la mission aziendale si caratterizza in modo particolare per una progettazione rivolta, al contempo, alla competitività sul mercato di riferimento, da un lato; allo sviluppo e supporto agli orientamenti stabiliti dalle linee guida del Governo nazionale e regionale in tema di infrastrutturazione telematica del Mezzogiorno, dall'altro;
   in tale contesto, in particolare, ai fini dell'attuazione del progetto «Telelavoro e Larga Banda», negli ultimi anni sono stati avviati in Calabria diciotto centri periferici operanti in regime di telelavoro, nelle provincie di Catanzaro, Vibo Valentia e Cosenza, oltre alle sedi centrali di Lamezia Terme e Rende, con la configurazione di un'importante offerta di occupazione per oltre 1.000 lavoratori residenti nelle zone interne più disagiate e nelle aree territoriali di riferimento, rendendo possibile la realizzazione di infrastrutture di rete e l'implementazione di servizi telematici di pubblica utilità, oltre che soluzioni innovative nel settore delle telecomunicazioni, nel campo del voice recognition e di servizi e-learning, e-mobility, energysaving, di sicurezza urbana e del territorio;
   secondo quanto reso noto in data 24 dicembre 2013, a mezzo comunicato unitario da parte delle organizzazioni sindacali SLC-CGIL, Fistel-CISL, Uilcom-UIL, Ugl Telecomunicazioni, a seguito di incontro svoltosi nel pomeriggio del 23 dicembre 2013 tra l'azienda Infocontact, le segreterie regionali delle organizzazioni sindacali di categoria e le RSU elette nei siti produttivi di S. Pietro Lametino e Rende, l'azienda ha comunicato alle parti sociali la volontà di Wind di non confermare la commessa relativa al reparto «155 mobile», in scadenza il prossimo 31 gennaio 2014, con conseguente dichiarazione di n. 272 esuberi sul sito produttivo di Lamezia, così suddivisi: n. 1 responsabile di commessa, n. 2 formatori, n. 2 operatori senior, n. 12 team leader, n. 255 operatori telefonici;
   durante il confronto con le organizzazioni sindacali, l'azienda ha comunicato che, a seguito di un incontro preliminare con la committente, Wind ha garantito il mantenimento della commessa sulla gestione delle operazioni commerciali relative alla rete fissa, circostanza che garantirebbe la «tenuta economica» dell'impresa senza determinare la riduzione dei livelli occupazionali, ma rendendo comunque necessaria l'attivazione di un piano di salvaguardia per i lavoratori, attraverso contratti di solidarietà;
   nonostante tale marginale rassicurazione, permangono nell'interrogante forti preoccupazioni in ordine all'impatto che le eventuali operazioni di revisione contrattuale annunciate avrebbero sulla situazione economica dei lavoratori interessati e delle rispettive famiglie, in specie in considerazione della forte rigidità del mercato del lavoro nel territorio di riferimento e la difficile eventuale individuazione di unità produttive alternative nelle quali sia possibile, per i lavoratori, spendere le esperienze e le professionalità maturate;
   la situazione descritta appare all'interrogante ancor più grave se inserita nel contesto generale di una crisi economica generale che non può dirsi certo superata e che, anzi, secondo le previsioni, si presenta dinanzi ai cittadini addirittura rafforzata, per effetto del persistere degli elementi di instabilità finanziaria e del parallelo e progressivo incremento del costo della vita, conseguente agli inasprimenti generati delle politiche tributarie in corso di attuazione. Una crisi complessa che interessa l'intero Paese, ma ancor più accentuata nelle regioni meridionali, nelle quali gli sforzi e gli impulsi di chi coraggiosamente avvia percorsi di impresa e genera condizioni di potenziale contrasto alla staticità ed alle tendenze negative e che tradizionalmente caratterizzano le economie regionali del Mezzogiorno, rischiano di essere penalizzati o di andare vanificati per effetto delle complesse dinamiche dei mercati registrate a livello macroeconomico –:
   quali interventi il Ministro interrogato intenda attuare, nei limiti delle proprie competenze e dei propri poteri di impulso del mercato del lavoro di tutela dell'occupazione, al fine di promuovere la ricerca di soluzioni condivise tra le parti economiche e sociali interessate che tutelino gli interessi dei lavoratori coinvolti. (4-03086)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
XIII Commissione:


   CAON. —Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nell'allegato al decreto del Ministero delle politiche agricole 13 gennaio 2011, n. 309, concernente «Contaminazioni accidentali e tecnicamente inevitabili di prodotti fitosanitari in agricoltura biologica», vengono indicati i limiti massimi di residui fitosanitari, autorizzati e non, in agricoltura biologica;
   a parere dell'interrogante, il documento è condivisibile con l'idea di fissare delle soglie numeriche massime per i prodotti autorizzati in agricoltura biologica e per quelli non autorizzati in agricoltura biologica, ma autorizzati in agricoltura convenzionale e presenti accidentalmente ed inevitabilmente in produzioni biologiche;
   il regolamento (CEE) del Consiglio n. 2002/1991, relativo al metodo di produzione biologico di prodotti agricoli e alla indicazione di tale metodo sui prodotti agricoli e sulle derrate alimentari, non menzionava, e quindi neanche escludeva, possibili contaminazioni accidentali in prodotti biologici; il tema non era neanche menzionato nel regolamento (CE) n. 834/2007, relativo alla produzione biologica e all'etichettatura dei prodotti biologici e che abroga il regolamento (CEE) n. 2092/91;
   nei suddetti regolamenti si parla sempre di «metodo di coltivazione biologico», che si svolge all'interno di un sistema molto più ampio di produzioni convenzionali; inoltre, per altri contaminanti, come ad esempio gli OGM, sono stati stabiliti limiti massimi di residui pari a quelli dei prodotti convenzionali;
   se viene assunto lo 0,01 mg/kg come limite massimo residuale per i prodotti non autorizzati in agricoltura biologica, oltre il quale il prodotto non può essere venduto come biologico, si presume che con quel valore o al di sotto di tale limite il prodotto risulta conforme, quindi biologico. Occorre allora chiedersi come mai si rende necessaria l'apertura di un'indagine, da parte degli organismi di controllo, dato che l'eventuale contaminazione viene già classificata come accidentale e tecnicamente inevitabile;
   i laboratori di analisi, ancorché accreditati, si differenziano tra loro per diversi motivi, quali il metodo utilizzato per effettuare le analisi (per esempio gascromatografo, spettrometro di massa), le modalità di estrazione, i limiti di rilevabilità. Gli esiti dei laboratori hanno una variabilità che può arrivare a +/- 50 per cento del valore indicato in analisi, con la conseguenza che lo stesso prodotto per un laboratorio può risultare conforme, mentre per un secondo laboratorio può risultare non conforme;
   l'istituto superiore di sanità in occasione di una «giornata di formazione» indicava come necessario sottrarre al risultato ottenuto dall'analisi l'incertezza della misura e utilizzare il dato così depurato per stabilire la conformità ad un dato limite;
   considerata la variabilità del +/- 50 per cento delle determinazioni analitiche dei laboratori di analisi, tale variabilità dovrebbe essere tenuta in considerazione nella valutazione dei valori dei residui. Quindi, se il valore analitico riscontrato, ridotto del 50 per cento, risultasse inferiore al valore massimo di riferimento, 0,01 mg/kg, il prodotto potrebbe essere certificato come biologico;
   se si tiene conto della variabilità del +/- 50 per cento i laboratori di analisi, qualora la presenza di antiparassitari sia al di sotto della citata soglia numerica, non provvederebbero comunque ad interessare il competente organo di controllo al fine di consentire ogni attività finalizzata ad accertare eventuali cause di contaminazione presso l'operatore coinvolto;
   prendendo spunto da paesi Nord europei quali la Germania, che hanno fatto e fanno scuola in questo settore, secondo i principi della BNN guides lines, a parere dell'interrogante sarebbe opportuno prevedere modifiche che siano volte a modificare l'allegato al decreto ministeriale n. 309 del 2011, escludendo l'avvio di un'indagine da parte dell'organismo di controllo al fine di valutare la causa volontaria o accidentale della contaminazione anche in presenza di una quantità minima di residui nonché l'accertamento, da parte dell'organismo di controllo, della natura accidentale e tecnicamente inevitabile della presenza di residui, anche quando questi hanno valori al di sotto del limite;
   infine, i campionamenti dovrebbero riguardare solo i prodotti nella loro forma edibile –:
   se non ritenga necessario apportare le opportune modifiche all'allegato al decreto ministeriale n. 309 del 2011, tenendo in considerazione le indicazioni proposte dall'interrogante e dall'istituto superiore di sanità, nonché le valutazioni sull'impatto che il decreto ministeriale medesimo ha avuto sui prodotti biologici italiani, nonché tenendo conto del fatto che un prodotto certificato come biologico in nord Europa, sul quale viene applicato il criterio del +/- 50 per cento, può essere importato nel nostro Paese. (5-01821)


   GALLINELLA, LUPO, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, L'ABBATE e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari recata dall'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, interviene a riequilibrare i rapporti tra gli operatori della filiera agroalimentare al fine di ridistribuire il valore complessivo tra i segmenti della produzione e quelli della distribuzione e commercializzazione;
   con sentenza n. 7195/2013, il Tribunale amministrativo (TAR) del Lazio ha affermato la piena e perdurante vigenza del citato articolo 62 ponendo fine alla ormai nota querelle nata a seguito della presunta implicita abrogazione della norma in parola che, secondo quanto affermato dal ministero dello sviluppo economico con nota del 27 marzo 2013, sarebbe stata operata dal sopraggiunto recepimento della direttiva comunitaria relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali;
    la fattispecie di cui all'articolo 62, come chiarito dal TAR del Lazio, rientra infatti tra le deroghe consentite al legislatore nazionale in ordine alla predisposizione di strumenti maggiormente favorevoli a date particolari categorie di creditori a mezzo della predisposizione di meccanismi normativi caratterizzati da forme anch'esse particolari di tutela;
   anche a seguito della emanazione della normativa attuativa dell'articolo 62, predisposta dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali con regolamento di attuazione del 19 ottobre 2012, risultano tuttavia ancora poco comprensibili alcuni aspetti della disciplina in materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari;
   in particolare, non è chiaro quale sia la corretta interpretazione del principio di proporzionalità al quale devono uniformarsi i contratti e quali siano i soggetti destinatari, posto che la norma attuativa indirizza alle casistiche di rapporti commerciali con riferimento alle relazioni economiche tra gli operatori della filiera connotate da un «significativo squilibrio» nelle rispettive posizioni di forza commerciale –:
   se la disciplina recata dall'articolo 62 di cui in premessa risulti riferibile e applicabile alle sole relazioni economiche nelle quali sia chiaramente rilevabile lo «squilibrio di potere commerciale» o debba invece applicarsi a tutti gli operatori della filiera agroalimentare anche al fine di evitare eventuali penalizzazioni di alcuni soggetti rispetto ad altri. (5-01822)


   FAENZI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel corso di un incontro con le maggiori rappresentanze del settore ippico avuto lo scorso dicembre, il sottosegretario con delega all'ippica Castiglione, ha confermato la disponibilità del Governo nel risolvere le numerose problematiche economiche e sociali che affliggono il comparto e l'intera filiera, i cui effetti negativi si protraggono ormai da diversi anni;
   il rappresentante del Ministero interrogato ha altresì evidenziato che nonostante la situazione finanziaria di rilevante gravità in cui si trovano gli operatori del settore, il Governo è intervenuto da ultimo in sede di approvazione del disegno di legge di stabilità per il 2014, autorizzando il Ministero interrogato, subentrato nelle competenze dell'Agenzia per lo sviluppo del settore ippico, ad utilizzare i conti correnti intestati alla medesima Agenzia per le operazioni di pagamento e riscossione inerenti le competenze trasferite;
   la disposizione suindicata, sebbene condivisibile, risulta tuttavia insufficiente, in considerazione delle criticità derivanti dai ritardi dei pagamenti nei riguardi degli operatori del settore, che attendono da alcuni anni le spettanze arretrate, fondamentali per consentire il proseguimento dell'attività e fronteggiare una crisi dai livelli estremamente gravi –:
   se non ritenga urgente e necessario assumere le opportune iniziative al fine di prevedere entro il 2014 il pagamento degli arretrati spettanti agli operatori, scongiurando in tal modo l'inevitabile chiusura di molti impianti e attività del settore ippico, e in senso più generale precisare a quanto ammontino le risorse per montepremi per il 2014, nonché quelle destinate al comparto medesimo all'interno del bilancio del Ministero. (5-01823)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GALLINELLA, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, LUPO, PARENTELA, L'ABBATE e BENEDETTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 147 del 2013, al comma 28, concede un contributo di 2 milioni di euro per l'anno 2014, all'Istituto nazionale ricerche turistiche (INRT);
   tale Istituto, che fa capo alle camere di commercio, dovrebbe occuparsi della attività di promozione dei «marchio ospitalità italiana» ristoranti italiani nel mondo con lo scopo di concorrere allo sviluppo e alla promozione delle tradizioni e dei prodotti agroalimentari italiani realizzati da imprese agricole e agroalimentari condotte da giovani imprenditori del Mezzogiorno, nonché di valorizzare la cultura gastronomica nazionale soprattutto all'estero;
   ulteriore obiettivo di questa cospicua elargizione di risorse pubbliche in favore dell'INRT dovrebbe essere il contrasto all’italian sounding, quel fenomeno che, all'estero, inganna il consumatore con prodotti che nel loro marchio riportano un nome simile, specie per assonanza linguistica, a quello del prodotto italiano originale;
   a parere degli interroganti la promozione e la tutela dei prodotti agroalimentari italiani dovrebbero necessariamente passare attraverso una riforma organica e concreta del settore primario, comprendendovi, oltre agli incentivi per i giovani agricoltori, anche tutta la normativa relativa all'etichettatura e al contrasto delle frodi alimentari, compreso proprio l’italian sounding –:
   quali siano le attività quotidianamente svolte dall'INRT e se esista una mappatura dei risultati ottenuti da tale istituto, specie in relazione alla promozione dei prodotti nazionali all'estero, così da rendere giustificabile l'elargizione della somma prevista dalla legge n. 147 del 2013;
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative affinché l'istituto in parola predisponga un dettagliato prospetto di attività in base al quale il Ministro possa valutare l'effettivo utilizzo del contributo assegnato e il suo impatto rispetto agli obiettivi previsti di tutela e promozione del marchio made in italy;
   se, concluso il 2014, il Governo provvederà a richiedere i risultati raggiunti dall'Istituto nazionale ricerche turistiche in base agli obiettivi previsti nella prima parte del comma 28 della legge n. 147 del 2013. (5-01817)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto dichiarato dalla Confederazione nazionale coltivatori diretti, circa 450 mila italiani hanno trascorso le festività nelle censite 20.474 aziende agrituristiche del nostro Paese;
   i dati forniti dall'ente bilaterale nazionale del turismo, rilevano che i lavoratori dipendenti degli agriturismi iscritti all'Istituto nazionale di previdenza sociale, sarebbero soltanto 171 con la conseguenza che risulta, a giudizio dell'interrogante, necessario verificare la corretta applicazione delle norme in materia di assunzioni nell'ambito degli agriturismi italiani;
   a giudizio dell'interrogante, appare inoltre necessario avviare una corretta indagine da parte dei Ministeri interrogati, al fine di accertare l'esattezza delle diverse tipologie di assunzioni previste dalla normativa vigente nei riguardi del comparto suindicato, per comprendere più specificatamente se vi siano forme di assunzioni irregolari o addirittura di lavoro nero –:
   quali orientamenti intendano esprimere, nell'ambito delle rispettive competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se intendano confermare le cifre esposte altresì in premessa, secondo le quali sarebbero oltre 20 mila le aziende agrituristiche presenti nel territorio italiano, a fronte di 171 lavoratori dipendenti iscritti all'INPS;
   in caso affermativo, quali iniziative, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano assumere al fine di verificare la correttezza nelle assunzioni da parte dei soggetti interessati e se non ritengano opportuno avviare a tal fine una corretta indagine ministeriale così come esposto in premessa. (4-03077)


   GRECO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'agroalimentare Made in Italy, che registra un fatturato nazionale superiore ai 266 miliardi di euro, rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo ed è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto»;
   il made in Italy agroalimentare si caratterizza per suoi primati in termini di maggior valore aggiunto per ettaro in Europa, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, prodotti a denominazione protetta e produzioni biologiche;
   la crescita costante dell'export testimonia l'indiscutibile ruolo dell'agroalimentare nazionale e del valore attribuito al marchio «Italia», con un territorio ed una produzione ammirati ed imitati nel mondo;
   in Italia la produzione di carni suine è stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno e sono oltre 26.200 gli allevamenti di suini concentrati, prevalentemente, in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Umbria e Sardegna;
   in Italia, nel 2012, la produzione nazionale di suini è stata stimata in 245.620 tonnellate, le importazioni in 572.987,42 tonnellate ed il consumo di cosce in 734.749,31 tonnellate;
   i dati relativi alla distribuzione delle importazioni di cosce fresche per paese di origine riportano percentuali altissime riferite alla provenienza di prodotti dalla Germania e dall'Olanda;
   sulla base dei dati elaborati dall'Associazione nazionale allevatori di suini (ANAS) risulta che l'Italia nel 2012 ha importato, solo dalla Germania, il 52 per cento di suini vivi e carni suine, per un totale di 535.309 tonnellate;
   da articoli apparsi sulla stampa europea è emerso che l'efficienza dell'industria della carne suina in Germania è basata su prodotti a basso costo, operai sottopagati, falde acquifere inquinate, tecniche di allevamento non sostenibili e con gravi ripercussioni sulla salute dei consumatori legate all'eccessivo impiego di antibiotici;
   l'istituto sviluppo agroalimentare (ISA-spa) è la società finanziaria, con socio unico il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (MIPAAF), che promuove e sostiene progetti di sviluppo agroindustriale che comportano, come ricaduta indotta, un miglioramento strutturale dei livelli di reddito dei produttori agricoli;
   attraverso specifici strumenti di legge, ISA-spa supporta le imprese operanti nella fase di trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli, zootecnici e silvicoli;
   molti controlli operati nel settore delle carni suine hanno già evidenziato la violazione della disciplina in materia di presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari e condotte poste in essere in maniera ingannevole, fraudolenta e scorretta, allo specifico scopo di far intendere al consumatore che i prodotti acquistati sono di origine e di tradizione italiana;
   l'usurpazione del made in Italy provoca gravi distorsioni della concorrenza, condiziona il funzionamento del mercato e viola il diritto dei consumatori ad alimenti sicuri, di qualità e di origine certa –:
   quali controlli vengano effettuati da ISA-spa prima di assicurare il supporto alle imprese o la partecipazione in specifiche iniziative con riferimento agli obiettivi sociali ed alla garanzia di perseguimento di finalità non contrastanti con la tutela e la valorizzazione dei prodotti e delle imprese nazionali;
   se ISA-spa partecipi o abbia concesso investimenti ad imprese coinvolte nel mondo nella produzione di finto made in Italy, alimentare e non, introducendo fattori di concorrenza sleale per le imprese italiane e pregiudicando gli interessi dei cittadini e dei consumatori. (4-03088)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E SEMPLIFICAZIONE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, per sapere – premesso che:
   il Formez Pa, così come previsto dal decreto legislativo 25 gennaio 2010, n. 6, ha la funzione di supporto delle riforme e di diffusione dell'innovazione amministrativa, in particolar modo svolgendo attività di monitoraggio e coordinamento del sistema formativo pubblico, fornendo assistenza tecnica alle amministrazioni per lo svolgimento delle loro attività istituzionali e sviluppando progetti di cooperazione internazionale volti al miglioramento dei sistemi amministrativi;
   all'associazione Formez PA, così come sancito dall'articolo 2 del decreto legislativo 25 gennaio 2010, n. 6 che ne dispone la riorganizzazione, è attribuita la funzione di supporto delle riforme e di diffusione dell'innovazione amministrativa nei confronti dei soggetti associati La Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento della funzione pubblica, le amministrazioni dello Stato e le amministrazioni associate possono avvalersi di Formez PA, nel settore formazione con la finalità, tra le altre, di predisporre modelli formativi idonei a favorire la qualificazione del personale delle amministrazioni regionali e locali per l'acquisizione di nuove professionalità, anche mediante l'organizzazione di corsi-concorsi per l'accesso; di sperimentare nuove modalità formative idonee a valorizzare l'apprendimento a mezzo di internet ed assicurare la formazione continua nelle amministrazioni pubbliche; di favorire attraverso appositi interventi formativi il percorso di internazionalizzazione delle amministrazioni pubbliche; e nel settore servizi e assistenza tecnica con la finalità di fornire assistenza alle amministrazioni nello svolgimento delle loro attività istituzionali, per la modernizzazione e l'innovazione delle strutture organizzative in funzione dello sviluppo economico ed occupazionale del territorio; di fornire assistenza tecnica, supporto e contenuti alle pubbliche amministrazioni al fine di migliorare la comunicazione tra le amministrazioni pubbliche e verso cittadini e imprese, anche attraverso l'attivazione e il supporto operativo di canali di comunicazione diretta, utilizzabili dai cittadini stessi;
   i componenti del consiglio d'amministrazione, secondo quanto disposto dallo stesso decreto legislativo di riordino del Formez Pa e dallo statuto interno (articolo 12) dell'ente, devono essere designati (due dal Ministro per la pubblica amministrazione e due dall'Assemblea dei soci) tra esperti di qualificata professionalità nel settore della formazione e dell'organizzazione delle pubbliche amministrazioni, nello specifico «i componenti del Consiglio di Amministrazione sono scelti tra persone di elevata e comprovata professionalità specifica nelle materie di competenza dell'Associazione Formez, Magistrati ordinari, amministrativi e contabili. Avvocati dello Stato, consiglieri parlamentari, docenti universitari, dirigenti di prima fascia statali, regionali, provinciali o comunali e professionisti che abbiano ricoperto per almeno 10 anni ruoli apicali nelle amministrazioni pubbliche»;
   nella prima decade, di settembre 2013, il Ministro ha proceduto alla designazione di Mauro Libè quale membro del Consiglio di amministrazione di Formez Pa di nomina di competenza ministeriale, completando in tal modo l'organigramma dell'organo sociale apicale dell'Associazione Formez Pa;
   si tratterebbe dello stesso Libè, già segretario regionale dell'Udc – Emilia Romagna, consigliere dal 2001 dell'allora Presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, capo della segreteria politica e responsabile enti locali dello stesso partito, senatore nella XV legislatura (2006-2008), deputato nella XVI (2008-2013) iscritto al gruppo parlamentare dell'Udc, candidato al Senato nella circoscrizione Emila-Romagna alle elezioni politiche del 24-25 febbraio 2013 ma risultato non eletto, e di cui il Ministro è stato testimone di nozze in occasione del matrimonio svoltosi a Bordighera nel settembre del 2009 –:
   se corrisponda al vero, quanto detto in premessa e sulla base di quali specifiche competenze scientifiche e pregresse esperienze professionali nel settore dell'organizzazione e dell'innovazione amministrative, non desumibili dal suo curriculum vitae consultabile sul sito istituzionale della Camera dei deputati, abbia proceduto alla scelta di Libè quale membro del Consiglio di amministrazione di Formez Pa, quali siano le deleghe operative assegnategli e il compenso previsto per l'incarico;
   se la nomina di Libè costituisca una tappa del processo di rilancio del Formez e del suo ruolo di polo scientifico e braccio operativo della Pubblica amministrazione, in vista dell'ottenimento di risultati significativi e tangibili per il Paese, e sulla base di quali linee strategiche sarà condotto questo sforzo di rinnovamento e di servizio alla collettività.
(2-00354) «Andrea Romano, Tinagli, Antimo Cesaro, Zanetti, Rabino».
(Presentata il 7 gennaio 2014).

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


   CAPUA, VARGIU e MONCHIERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la comunità scientifica internazionale ha più volte lanciato l'allarme per la crescente diffusione del retrovirus umano HTLV-1, la cui infezione può essere responsabile di gravissime e incurabili forme di leucemia e di linfoma dell'adulto a cellule T e, verosimilmente, di forme paraparetiche su base degenerativa simili alla paraparesi spastica tropicale;
   tale virus è particolarmente diffuso nelle popolazioni africane, del sud Giappone, caraibiche e dell'America Latina, con una popolazione infettata che si aggira intorno ai 10 milioni di individui;
   l'attuale situazione dei flussi migratori, del turismo di massa e, più in generale, della libera circolazione degli individui comporta l'estensione ubiquitaria del rischio di infezione, che si trasmette attraverso il contatto sessuale e l'allattamento, ma anche per via ematica;
   molti altri Paese europei, tra cui la Gran Bretagna, la Francia e la Spagna hanno preso atto della crescita dello specifico fattore di rischio e hanno già disposto presidi di prevenzione, tra i quali l'obbligo del test di evidenziazione del virus nelle donazioni di sangue e nei pazienti nosocomiali;
   l'eventuale aumento dei sieropositivi HTLV-1 nel nostro Paese potrebbe comportare conseguenti, disastrosi incrementi delle patologie neoplastiche attese;
   un gruppo di ricercatori afferente all'autorevole organizzazione internazionale «Global Virus Network», a margine dell'incontro sulle patologie tumorali virus correlate svoltosi a Napoli il 16-18 ottobre 2013, ha invitato con determinazione le autorità sanitarie italiane ad intervenire in merito con adeguate misure cautelari –:
   quali iniziative immediate e concrete intenda intraprendere per garantire nel Paese adeguate misure di prevenzione della diffusione del retrovirus HTLV-1, in particolare agendo nel controllo delle donazioni di sangue, in ambito ospedaliero e nei soggetti a rischio. (3-00532)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GRILLO, DI VITA, DALL'OSSO, CECCONI, LOREFICE, MANTERO e ZOLEZZI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con lettera del Ministro interrogato prot. 0047498 del 25 ottobre 2013, indirizzata ad AIFM, AIMN, AINR, AIRO, SIRM, SNR, è stato insediato per il 29 ottobre 2013 il tavolo ministeriale relativo all'area radiologica;
   con lettera prot. 0047495 del 25 ottobre 2013 il Ministro ha invitato al medesimo tavolo i rappresentanti delle organizzazioni e federazioni sindacali;
   è provato scientificamente come l'eccessiva esposizione alle radiazioni ionizzanti aumenta gli effetti dannosi alla salute, causando nel lungo periodo danni somatici o genetici stocastici (esempio leucemie, tumori, lesioni midollari nei bambini, lesioni al cristallino o alla tiroide);
   il decreto-legge n. 187 del 2000 attua la direttiva Euratom 97/43 per la protezione dalle radiazioni ionizzanti a seguito di esposizioni in ambito sanitario;
   la SIRM il 2 luglio 2007 con proprio «Atto medico radiologico» elenca analiticamente la corretta procedura e gli atti clinici propedeutici all'esame radiografico;
   con l'avvento delle apparecchiature TC ed in particolare dei dispositivi multidetettore (MSCT) l'esposizione alle radiazioni è divenuta maggiore;
   la dose assorbita dal paziente a causa di un esame MSCT è doppia rispetto a quella che si aveva con le obsolete TC a strato singolo (esempio TC testa = 300 radiografie);
   l'inosservanza di procedure idonee alla radioprotezione causa aumento del rischio di danno biologico;
   lo sviluppo di neoplasie radio-indotte incrementa la spesa sanitaria;
   l'elevato numero di esami radiologici, spesso poco utili se non inutili, produce intasamento delle liste di attesa;
   se non presente il medico radiologo e/o il fisico sanitario, la prestazione viene acquisita con ridotte garanzie per il paziente, esponendolo impropriamente a dosaggi non dovuti o non necessari;
   la direzione generale sanità a pagina 6 del decreto 8531 (1o ottobre 2012) redatto dal GAT acconsente alla non presenza del radiologo o del neuro radiologo nei CTZ, CTS e PST, parrebbe in violazione delle disposizioni degli articoli 3 e 5 del decreto legislativo n. 187 del 2000;
   alcune regioni hanno redatto analoghi documenti che di fatto legittimano l'acquisizione degli esami con radiazioni in assenza del radiologo, in disaccordo con le disposizioni degli articoli 3 e 5 del decreto legislativo n. 187 del 2000;
   secondo recenti stime, ogni anno in Italia vengono eseguiti circa 100 milioni di prestazioni di imaging di cui almeno 60 milioni con radiazioni ionizzanti. In media due per cittadino, bambini esclusi;
   è necessario, al fine di eseguire un esame a regola d'arte e di scegliere la metodica diagnostica a minore esposizione di radiazioni ionizzanti, nelle unità di radiologia delle strutture sanitarie pubbliche e private italiane, sia piccole sia grandi che si rispetti in modalità H24 la presenza del radiologo e/o del neuro radiologo durante l'esecuzione degli esami radiodiagnostici –:
   se ritenga di emanare nel merito una circolare esplicativa ancor più incisiva e vincolante come da decreto legislativo n. 187 del 2000 con sanzioni in caso di violazioni;
   se sia vero che la tessera sanitaria individuale abbia anche il compito di archiviare il cumulo della dose assorbita durante l'esecuzione di esami diagnostici con radiazioni ionizzanti;
   se, al fine di garantire la salute dei cittadini il Ministro intenda migliorare e rendere obbligatorio durante l'esecuzione di tali esami l'uso costante della tessera per archiviare la dose assorbita a futura conoscenza. (5-01824)


   GRILLO, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, MANTERO, DI VITA, DALL'OSSO, BARONI e CECCONI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'assessore regionale alla salute dottoressa Lucia Borsellino con nota 59677 del 22 luglio 2013 fa riferimento al decreto ARS n. 1 del 5 gennaio 2012 per giustificare la mancata deroga alla chiusura del punto nascita di Paternò (provincia di Catania) adducendo il vincolo di almeno 500 parti/annui;
   il punto nascite di Paternò (città di 50.000 abitanti) solo per 7 unità non raggiunge la quota minima dei 500 parti per anno e dall'esame della tabella ISTAT sulle nascite, avvenute nei distretti sanitari di Adrano e Paternò nel 2010 vi sono 841 nascite nel distretto di Paternò. Tale punto nascite svolge al meglio questa funzione e garantisce il necessario contato col territorio della fascia pedemontana a nord di Catania. Il piano del governo regionale, vuol quindi sopprimere un reparto efficiente e all'avanguardia come quello di ostetricia e ginecologia del SS. Salvatore», visto che il 4 gennaio 2012 è avvenuta la prima nascita col parto indolore, tecnica utilizzata prevalentemente in strutture private, per la quale il nosocomio paternese è stata la prima struttura (pubblica) dell'ASP Catania ad averla introdotta;
   la difficile congiuntura economica impone grande attenzione nell'individuare eventuali fonti di spreco e nel razionalizzare le spese senza tagli lineari ma mirati e profondi là dove sono evidenti spese inutili, cosa che alla luce di quanto esposto non appare nelle decisioni dell'assessore Borsellino che peraltro salva con varie scuse i punti nascita di Mistretta, Nicosia, Pantelleria, Lipari, Bronte, Mussomeli, Petralia.;
   a Catania, al primo posto per stima dei parti previsti, c’è l'Ospedale «Garibaldi» con 2999 nascite. A seguire:
    «Cannizzaro» con 1179;
    «S. Bambino» 3091;
    Policlinico «Rodolico» 428, con un numero di parti inferiore al punto nascite Paternò;
   Caltagirone 818;
   Biancavilla 530;
   Acireale 825;
   puntualmente, e proprio a questo fine, il «Patto per la Salute 2010-2012», tra Governo, le regioni e pubblic amministrazione e l'Accordo Stato-regioni del 16 dicembre 2010 concordano nell'obiettivo per la «promozione e il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione della pratica del taglio cesareo» ed a questi stessi obiettivi fa riferimento il «Manuale» che l'Agenas ha ritenuto di promuovere;
   il criterio delle dimensioni si ripresenta anche nell'Accordo Stato-regioni del Dicembre 2010, nel quale è sancito in almeno 1000 nascite/anno lo standard cui tendere nel triennio, con una novità rappresentata dall'abbinamento per pari complessità di attività delle unità operative ostetrico – ginecologiche con quelle pediatriche;
   lo stesso Accordo preveda eccezioni. La possibilità di punti nascita con numerosità inferiore e comunque non al di sotto di 500 parti/anno, potrà essere prevista solo sulla base di motivate valutazioni legate alla specificità dei bisogni reali delle varie aree geografiche interessate con rilevanti difficoltà di attivazione dello STAM (servizi di trasporto assistito materno), sulla base di motivate valutazioni legate a specifiche condizioni geografiche;
   tali specifiche disagiate condizioni geografiche (zona pedemontana) e stradali sono presenti nell'area del distretto di Paternò;
   come da nota di stampa del 1 aprile 2013 il presidente Crocetta avrebbe telefonato al sindaco di Bronte Firrarello per confermargli il mantenimento del punto nascita del «Castiglione-Prestianni» di Bronte. Salvare Bronte significa, infatti, chiudere senza appello il reparto nascite del nosocomio paternese del «Santissimo Salvatore». La storia è tutta qua. Dalla Riforma Russo all'ottimizzazione dell'attuale giunta regionale si è, alla fine, giunti al dunque;
   il reparto negli anni scorsi è stato interessato da lavori di ristrutturazione molto costosi, e riaperto dal 2005, è dotato di un pronto soccorso ostetrico-ginecologico, di oltre 12 posti letto, di una sala operatoria, di una sala parto e pre-parto a due posti –:
   se tale decisione sia connessa all'attuazione del piano di rientro del deficit sanitario e se sia stata pertanto oggetto di valutazione da parte dei rappresentanti dei Ministri interrogati al tavolo tecnico e al comitato permanente. (5-01827)


   GRILLO, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, MANTERO, DI VITA, DALL'OSSO, BARONI e CECCONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il «Nomenclatore tariffario» è la lista del ministero della Salute che regolamenta prezzi e tipologie di protesi e ausili per disabili, composta da centinaia di pagine, codici e prezzi;
   è un settore dal costo iperbolico di 1,9 miliardi di euro per anno;
   le Asl spendono anche il triplo rispetto al reale valore odierno in commercio dei medesimi presidi;
   i citati strumenti sono all'interno dei LEA, livelli essenziali di assistenza;
   il «nomenclatore tariffario per protesi e ausili» è nei fatti uno di quegli scandali sui quali è improrogabile ed urgente intervenire in tempi strettissimi;
   la stessa interrogante con altri deputati ha già presentato sul merito la mozione n. 1-00135 del 3 luglio 2013;
   il decreto per rinnovare il nomenclatore viene emanato sempre a fine legislatura quasi che il Governo in carica tendesse a ribaltare gli effetti al Governo successivo; puntualmente tutto resta come prima. È accaduto con il decreto Turco del 2008. È accaduto con il decreto Balduzzi dell'ottobre 2012 convertito con modificazioni dalla legge n. 189 dell'8 novembre 2012, che all'articolo 5 comma 2-bis, aggiunto durante l'esame parlamentare, prevede come il Ministro della salute debba procedere, entro il 31 maggio 2013, all'aggiornamento del Nomenclatore tariffario delle protesi e degli ausili (come dal regolamento di cui al Decreto del Ministro della sanità n. 332 del 27 agosto 1999);
   ma, in realtà, lo stato delle cose resta sempre fermo al 1999;
   il 12 giugno 2013 le famiglie e i malati hanno manifestato sotto la sede del Ministero dell'economia e delle finanze per sapere dove sono i fondi promessi per l'assistenza e per capire quanto tempo ci vorrà per l'aggiornamento del nomenclatore tariffario; il mancato aggiornamento del nomenclatore tariffario è un'ingiustizia che tocca una larga fetta della popolazione decisamente debole visto che quasi la metà ha più di ottant'anni, ed i bambini sono circa 130 mila in età scolare, 78 mila nella scuola primaria 61 mila nella scuola secondaria. Una percentuale tra il 12 e il 20 per cento di questi studenti non è autonoma nel muoversi all'interno dell'edificio scolastico, nel mangiare, nel recarsi al bagno da sola. Ogni ausilio, ogni protesi, è necessario a crescere e inserirsi nella vita sociale. Milioni di utenti, migliaia di imprese, decine di migliaia di dipendenti: si è dinanzi a un giro d'affari milionario, un affare come detto da almeno 1,9 miliardi di euro, visto che nessuno sa con certezza quale sia la spesa sostenuta dallo Stato –:
   quale sia il motivo, in ogni caso ingiustificabile, di tale colpevole ritardo che causa ulteriore danno economico allo Stato;
   se sia a conoscenza di quali siano le ditte che dal 1999 forniscono le protesi e gli ausili al servizio sanitario nazionale e di quale sia l'importo corrisposto alle suddette ditte dal 1999 ad oggi ed ogni altro dettaglio relativo alle spese sostenute dal servizio sanitario nazionale;
   se e quando il Ministro provvederà all'aggiornamento del «nomenclatore tariffario per protesi ed ausili» e a mettere in atto tutte le iniziative necessarie affinché l'aggiornamento sia biennale;
   se provvederà a indicare per i rimborsi prezzi medi rilevati all'interno della Unione europea;
   se vorrà con urgenza far conoscere alle competenti commissioni parlamentari il reale costo annuale sostenuto dallo Stato per il rimborso di protesi ed ausili per i disabili. (5-01828)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Nocera Inferiore (Salerno) è, ormai da tempo, al centro di un preoccupante e delicato caso riguardante il futuro dell'istituto di vigilanza Ipervigile S.r.l., ennesimo dramma dell'occupazione nella provincia salernitana;
   una vicenda diventata critica il 25 ottobre 2013 quando, a seguito dei controlli eseguiti dalla prefettura e dalla Banca d'Italia, che avrebbero «accertato un ammanco di 9 milioni di euro, si è deciso si ritirare le licenze alla società;
   dopo gli accertamenti avviati da Bankitalia, infatti, il caveau dell'istituto di vigilanza sarebbe stato svuotato dalle guardie giurate di altre società, che sarebbero subentrate, di fatto, nel trasporto dei valori, inducendo, così, la banca centrale a vietare alla società nocerina il trasferimento di contante ad altri istituti di credito e uffici postali;
   desta incredulità la circostanza, riportata dagli organi di stampa, secondo cui la risoluzione massiccia dei contratti patita dall'Ipervigile sia stata dovuta ad un falso esposto presentato alla procura della Repubblica e alle banche da Cgil, Cisl e Uil per chiedere la revoca della licenza dell'azienda;
   con la sospensione del ritiro, trasferimento e deposito dal caveau, sono circa 40 i furgoni blindati che resteranno fermi fino alla fine delle verifiche e ben 157 i vigilantes sottoposti alla procedura di mobilità;
   altrettanto preoccupante è la situazione delle altre guardie giurate alle dipendenze dell'istituto nocerino, un centinaio circa, ancora in attesa di capire quale sarà il loro futuro;
   dopo un primo incontro tra i sindacati e i rappresentanti della proprietà, tenutosi l'8 novembre 2013, in cui sembrava fosse stato raggiunto un risultato positivo che avrebbe potuto scongiurare i licenziamenti collettivi di 157 unità lavorative, la procedura per i licenziamenti collettivi, seppur sospesa, è rimasta in piedi, così come il provvedimento della Banca d'Italia del 23 ottobre, che ha vietato alla società «in via cautelare e con efficacia immediata, di reimmettere in circolazione banconote»;
   successivamente, il 15 novembre 2013 è giunta la revoca della licenza da parte della prefettura per una discrasia tra l'intestatario della licenza e quello della proprietà;
   si tratta di una vicenda dai contorni a tutt'oggi fumosi che, quand'anche dovesse evolvere in senso positivo, porterà dietro degli strascichi: impossibile recuperare i rapporti fiduciari con i clienti persi, difficilissimo farne nuovi;
   stanchi delle mancate risposte e dai continui ritardi nel pagamento degli stipendi, delusi dall'esito negativo dell'ultimo vertice in prefettura e preoccupati per il loro destino occupazionale, gli oltre duecento lavoratori hanno deciso di incrociare le braccia;
   alcune guardie giurate attendono il pagamento di oltre 400 ore di straordinario, almeno settanta dipendenti non avrebbero ancora percepito lo stipendio;
   si tratta di seri professionisti che svolgono un'attività che li espone a dei rischi, e che chiedono semplicemente che vengano rispettati i loro diritti, invocando maggiore sicurezza e rispetto per la loro dignità;
   a nulla sono valse le iniziative avviate finora e dall'azienda non sarebbero giunte le attese rassicurazioni, nemmeno alla luce dell'ultimo incontro tenutosi tra la proprietà e i rappresentanti sindacali il 2013;
   secondo quanto riportato dagli organi di stampa, infatti, le posizioni delle parti rimarrebbero ancora distanti e l'istituto nocerino avrebbe confermato i licenziamenti collettivi;
   la vicenda ormai si prolunga da tempo, con accordi sindacali inconcludenti e promesse sempre disattese, che vedono i lavoratori perdere ogni speranza per il proprio futuro lavorativo;
   è indispensabile definire con celerità le trattative in corso per l'adozione di ogni iniziativa a tutela dei lavoratori e dei livelli occupazionali nell'istituto Ipervigile S.r.l. di Nocera Inferiore –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerato che la risoluzione della problematica è prioritaria per le sorti del territorio della provincia di Salerno, quali iniziative ritengano opportuno adottare per porre fine al processo di desertificazione del tessuto produttivo salernitano, anche attraverso l'individuazione di soluzioni occupazionali alternative. (4-03075)


   MELILLA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a soli 3 anni dal passaggio della società officine Maccaferri di Celano (AQ) alle trafilerie zincherie del Gruppo Pittini, la nuova proprietà ha deciso la chiusura dell'attività industriale con la perdita di tutti i posti di lavoro;
   il passaggio tra le due aziende era stato frutto di un accordo siglato presso il Ministero dello sviluppo economico con le garanzie produttive e occupazionali concordate anche con i sindacati oltre che con il Governo;
   alla vigilia di Natale è arrivata la lettera di licenziamento per i 78 operai della Pittini senza nemmeno un preavviso della cessazione del rapporto di lavoro;
   le cause, secondo l'azienda, sono da ricondursi al protrarsi delle risultanze negative del bilancio e dalle previsioni negative per il corrente anno e per il futuro, dalla inutilità delle azioni di risanamento attuate negli ultimi anni, dal peggioramento del quadro congiunturale anche per quanto concerne il settore della produzione di filo zincato, dall'impossibilità di reperire clienti capaci di assorbire le potenzialità produttive dello stabilimento di Celano, indipendentemente dalla perdita del settore già dedicato alla produzione di fibre per cemento armato;
   a nulla sono valsi gli oltre tre mesi di proteste, i sit-in davanti ai cancelli sulla Tiburtina, i blocchi del traffico e le occupazioni della sala consiliare del comune di Celano, fino al presidio permanente organizzato dai lavoratori –:
   se non ritenga doveroso convocare le parti sociali, gli enti locali e i vertici aziendali per cercare soluzioni produttive e occupazionali e scongiurare questo dramma occupazionale. (4-03084)

Apposizione di firme ad una mozione.

  La mozione Grande e altri n. 1-00286, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 dicembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Catalano, Gallinella, Bechis, Parentela, Toninelli, Frusone, Barbanti, Nicola Bianchi, Cristian Iannuzzi, De Lorenzis, Lupo, Terzoni, De Rosa, Paolo Nicolò Romano, Mannino, Lombardi, Turco, Da Villa.

Apposizione di firme ad una interrogazione e indicazione dell'ordine dei firmatari.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Mannino e altri n. 5-01783, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 dicembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Nuti, Marzana, Busto, Daga, Segoni, Terzoni, Zolezzi e, contestualmente con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Mannino, Nuti, Marzana, Bechis, De Rosa, Busto, Daga, Segoni, Terzoni e Zolezzi».

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Mongiello e altri n. 4-02731, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Greco.

  L'interrogazione a risposta scritta Mongiello e altri n. 4-02732, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Greco.

  L'interrogazione a risposta scritta Mongiello e altri n. 4-02733, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Greco.

  L'interrogazione a risposta scritta Mongiello e altri n. 4-02734, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Greco.

Pubblicazione di un testo riformulato, apposizione di firme e modifica ordine dei firmatari.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Gnecchi n. 1-00258, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 124 del 25 novembre 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    il tema delle cosiddette «pensioni d'oro» costituisce attualmente argomento di vivace confronto, nella diffusa percezione che i trattamenti pensionistici di importo particolarmente elevato costituiscano spesso il frutto di ingiustificate normative di favore e di veri e propri privilegi;
    la riforma del 2011 ha determinato l'instaurazione di un sistema previdenziale che collega maggiormente gli importi pensionistici con l'ammontare dei contributi versati. La medesima riforma ha prodotto, tuttavia, effetti negativi in danno, in particolare, di alcuni soggetti (i cosiddetti «esodati») in favore dei quali è certamente opportuno ed equo destinare una parte delle risorse derivanti dall'applicazione di misure di solidarietà a carico dei percettori di importi pensionistici ingiustificatamente elevati;
    come è noto, la giurisprudenza costituzionale guarda con sfavore forme di prelievo coattivo di ricchezza che vadano a colpire solo talune fonti di reddito (ad esempio, i redditi da pensione), in tal modo introducendo misure di carattere sostanzialmente impositivo che violano il generale canone costituzionale della progressività del sistema tributario;
    il Governo e il Parlamento hanno opportunamente introdotto, con la recente legge di stabilità, significative misure che si muovono proprio nella direzione di affrontare i problemi di equità sociale connessi con l'esistenza di importi pensionistici di ammontare particolarmente elevato in assenza – in molti casi – di un'effettiva ragione giustificatrice. Sotto questo aspetto, meritano di essere segnalati: il comma 486, che ha introdotto per un triennio un contributo di solidarietà a carico dei trattamenti di più elevato ammontare, anche al fine di sostenere iniziative in favore dei lavoratori cosiddetti «esodati»; il comma 489, il quale ha introdotto un limite alla cumulabilità dei redditi da pensione percepiti da ex dipendenti pubblici con ulteriori fonti di reddito pure poste a carico della finanza pubblica;
    appare utile che il Governo proceda nell'esame della delicata materia, prestando comunque la massima attenzione alla giurisprudenza della Corte costituzionale,

impegna il Governo

   a monitorare gli effetti e l'efficacia delle citate misure introdotte con la legge di stabilità;
   a valutare, agli esiti di questo monitoraggio, l'adozione di interventi normativi che, nel rispetto dei principi indicati dalla Corte costituzionale, sempre in un'ottica di solidarietà interna al sistema pensionistico, siano tesi a realizzare una maggiore equità per ciò che concerne le cosiddette «pensioni d'oro» e correggano per queste ultime eventuali distorsioni e privilegi derivanti dall'applicazione dei sistemi di computo retributivo e contributivo nella determinazione del trattamento pensionistico.
(1-00258)
(Nuova formulazione) «Gnecchi, Pizzolante, Tinagli, Rossi, Damiano, Marchi, Albanella, Baruffi, Bellanova, Boccuzzi, Casellato, Faraone, Cinzia Maria Fontana, Giacobbe, Gregori, Gribaudo, Incerti, Madia, Maestri, Martelli, Miccoli, Paris, Giorgio Piccolo, Simoni, Zappulla, Taricco, Amoddio, Carra, Basso, Costa, Bosco, Dorina Bianchi, Zanetti, Mazziotti Di Celso, Antimo Cesaro, Andrea Romano, Cimmino, Causin, D'Agostino, Molea, Librandi, Sottanelli, Vecchio, Catania, Vitelli, Capua».

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Giorgia Meloni n. 1-00255, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 124 del 25 novembre 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    la crisi economica che l'Italia, come le altre economie europee, sta attraversando manifesta i propri effetti negativi in particolare modo nei confronti delle categorie più deboli, alle quali è stato chiesto un enorme sacrificio per il bene dell'Italia, a suono di inasprimenti fiscali (iva, accise sulla benzina ed altro) e dell'applicazione di nuove imposte, tra cui anche quella sul bene primario di ogni famiglia, cioè la prima casa di abitazione;
    in tale contesto spicca la questione delle cosiddette «pensioni d'oro», ovvero quelle pensioni il cui elevato importo, a detta dello stesso Ministro del lavoro e delle politiche sociali, nel corso della discussione in Aula di un question-time presentato sul tema dal gruppo di Fratelli d'Italia, «appare stridente nell'attuale contesto socio-economico e di sacrifici imposti alla generalità della popolazione. È peraltro evidente che non è tanto l'elevato importo a destare l'attenzione, quanto i meccanismi che ad esso hanno dato luogo, in quanto soltanto in minima parte connessi ai contributi effettivamente versati dal lavoratore, e per la maggior parte legati alla peculiarità del sistema»;
    i meccanismi cui il Ministro del lavoro e delle politiche sociali fa riferimento attengono al cosiddetto metodo retributivo di calcolo dei trattamenti pensionistici, cioè alle disposizioni di legge, in vigore fino alla riforma pensionistica del 1995, che prevedevano che l'importo da corrispondere a titolo di pensione non fosse determinato in base ai contributi versati dal lavoratore nell'arco della sua vita professionale, bensì sulla base degli ultimi stipendi percepiti;
    nonostante le numerose critiche levatesi in merito a tali pensioni nel corso degli ultimi anni, sia da alcune forze politiche, sia da parte di autorevoli commentatori sui mezzi d'informazione, sia, non ultimo, da parte dell'opinione pubblica, esse vengono generalmente considerate come diritti acquisiti e, quindi, di fatto, immodificabili, perché frutto di norme legittime che hanno operato nel tempo;
    ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, invece, le pensioni d'oro non possono essere considerate altro che il prodotto di una grave ingiustizia sociale, che agisce in danno soprattutto dei giovani, i quali rischiano di non arrivare mai a percepire una propria pensione e che, ad oggi, versano i propri contributi sociali per sostenere la spesa di un sistema pensionistico volto a mantenere anacronistici privilegi;
    nel nostro Paese vivono oltre 16,5 milioni di pensionati, con una spesa complessiva di 270,5 miliardi annui, oltre dodici dei quali vanno a beneficio di una platea di poco meno di 190.000 soggetti;
    tra questi ve ne sono quasi trecento che percepiscono una pensione superiore a cinquanta volte il minimo, vale a dire che incassano oltre 24 mila euro al mese, e questo, nella stragrande maggioranza dei casi, senza alcuna corrispondenza con i contributi versati;
    con la sentenza del 6 giugno 2013, n. 116, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità del contributo di solidarietà, introdotto nell'estate 2011 dal Governo Berlusconi e poi confermato dal Governo Monti, a carico delle pensioni pubbliche e private superiori ai 90 mila, ai 150 mila e ai 200 mila euro lordi l'anno, dalle quali si tratteneva una somma pari a, rispettivamente, il cinque, il dieci e il quindici per cento;
    nell'introduzione di un contributo di solidarietà a danno degli importi pensionistici più elevati la Corte costituzionale ha ravvisato la violazione sia del principio di uguaglianza, di cui all'articolo 3 della Costituzione, sia dell'articolo 53 della Carta costituzionale, relativo alla proporzionalità e progressività delle imposte, rilevando che «a fronte di un analogo fondamento impositivo, dettato dalla necessità di reperire risorse per la stabilizzazione finanziaria, il legislatore ha scelto di trattare diversamente i redditi dei titolari di trattamenti pensionistici: il contributo di solidarietà si applica su soglie inferiori e con aliquote superiori, mentre per tutti gli altri cittadini la misura è ai redditi oltre 300.000 euro lordi annui, con un'aliquota del 3 per cento, salva in questo caso la deducibilità dal reddito»;
    di tutt'altro avviso era, invece, l'Avvocatura dello Stato, che ha dichiarato che «l'intervento censurato appare pienamente rispettoso dei criteri di capacità contributiva e di progressività»;
    a seguito della sentenza della Corte costituzionale, non solo il contributo straordinario di solidarietà è stato disapplicato, ma tutte le somme non erogate sulla base delle disposizioni che lo avevano istituito sono state restituite, vanificando del tutto qualunque beneficio per le casse dello Stato, che, al contrario, ha dovuto reperire, con la legge di stabilità attualmente in discussione al Senato, ben ottanta milioni di euro per i rimborsi, aggiungendo al danno anche la beffa;
    in un'intervista a Il Corriere della Sera del 25 maggio 2013, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con riferimento all'ipotesi di un taglio delle pensioni più elevate, ha dichiarato che «non si vede perché nel momento in cui si chiedono sacrifici a tutti qualcuno debba essere escluso»;
    nel disegno di legge di stabilità 2014, il contributo di solidarietà a carico degli importi pensionistici più elevati è stato reintrodotto, ma con le medesime modalità di quello giudicato incostituzionale e ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo senza tenere in alcun conto le osservazioni espresse in merito dalla Corte costituzionale, che aveva auspicato che un eventuale prelievo di tipo straordinario fosse disposto a carico non solo dei pensionati ma anche dei lavoratori attivi, ed è perciò con grande probabilità destinato nuovamente a cadere sotto la scure della massima Corte;
    la stessa Corte costituzionale, peraltro, ha adottato una prassi, dai firmatari del presente atto di indirizzo già stigmatizzata in un appello al Presidente della Repubblica, in base alla quale si indica alla carica di presidente il membro più anziano della stessa, il quale, inevitabilmente, cessa dalla carica prima della scadenza del triennio previsto dal dettato costituzionale per sopraggiunti limiti di età, dando spazio al successore anagraficamente più prossimo;
    ne consegue che in molti casi la presidenza è assunta per pochissimi mesi, forse nemmeno necessari per istruire ed organizzare il lavoro connesso alla funzione, e che, salvo rarissime eccezioni, tutti i giudici della Corte costituzionale cessano il loro incarico con la carica di presidente e il conseguente beneficio di ottenere un trattamento pensionistico ed un'indennità maggiorate rispetto al diritto acquisito sino all'assunzione della carica presidenziale;
    attualmente, presso la XI Commissione (lavoro pubblico e privato) della Camera dei deputati, sono in corso di esame tre proposte di legge recanti misure per incidere sui trattamenti pensionistici particolarmente elevati,

impegna il Governo,

   nel caso in cui il Parlamento non legiferi autonomamente nel senso di cui al capoverso seguente, entro il 31 marzo 2014, ad assumere iniziative volte a prevedere la fissazione di un tetto, pari a dieci volte il trattamento minimo Inps, ai trattamenti pensionistici erogati anche solo in parte in base al metodo retributivo, e il ricalcolo – e la successiva erogazione – degli stessi trattamenti, per la parte eccedente il tetto, secondo il metodo contributivo, di cui alla legge 8 agosto 1995, n. 335, al fine di rendere trasparente e lineare la corrispettività tra retribuzione percepita, contribuzione versata e trattamento corrisposto, nel rispetto dei principi di solidarietà sociale, nonché al fine di realizzare un riequilibrio in favore delle generazioni più svantaggiate nel segno di un indispensabile principio di equità generazionale.
(1-00255)
(Nuova formulazione) «Giorgia Meloni, Cirielli, Corsaro, La Russa, Maietta, Nastri, Rampelli, Taglialatela, Totaro».

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Fedriga n. 1-00259, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 124 del 25 novembre 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    nell'attuale contesto di crisi economica che colpisce il Paese, che porta il legislatore ad adottare misure di contenimento della spesa fortemente penalizzanti per i cittadini, la questione delle cosiddette «pensioni d'oro» è argomento di acceso dibattito tra gli organi di informazione, le forze politiche e l'opinione pubblica, in relazione al rispetto dei principi di equità e giustizia sociale, del patto intergenerazionale e della sostenibilità del nostro sistema previdenziale;
    da un'inchiesta condotta dal quotidiano Libero e pubblicata sulla prima pagina dell'edizione del 12 novembre 2013 emerge che una pensione su due è «regalata», nel senso che solo il 54 per cento dei trattamenti corrisposti è coperto dai contributi effettivamente versati;
    urge, pertanto, un intervento normativo teso a contenere i trattamenti previdenziali di importo elevato, prevedendo che, laddove questi siano calcolati con il metodo retributivo, i relativi importi non debbano superare un limite prefissato e garantendo, invece, i trattamenti pensionistici calcolati esclusivamente con il metodo contributivo;
    un intervento in un'ottica di solidarietà era stato attuato con il decreto-legge n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, che, all'articolo 18, comma 22-bis, aveva previsto in via provvisoria dal 1o agosto 2011 fino al 31 dicembre 2014 un contributo di perequazione pari, rispettivamente, al 5 per cento della parte eccedente l'importo fino a 90.000 euro, al 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro e al 15 per cento per la parte eccedente 200.000;
    la Corte costituzionale, però, con la sentenza n. 116 del 2013, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del predetto comma 22-bis, rilevando che il prelievo straordinario su tali pensioni costituiva un intervento impositivo «irragionevole e discriminatorio», realizzato ai danni di una sola categoria di cittadini, i pensionati, e che si poneva in contrasto con gli articoli 3 e 53 della Costituzione, rispettivamente sul principio di uguaglianza e sulla capacità contributiva come fondamento del prelievo tributario;
    a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, le motivazioni addotte dalla Corte costituzionale sono capziose e discutibili, ritenendo invero che si rispetti il dettame costituzionale e si risponda ad un'esigenza di giustizia ed eguaglianza dei cittadini intervenendo laddove si annidano privilegi;
    le pensioni di importo elevato erogate con il calcolo retributivo, infatti, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo rappresentano già in sé una violazione dei principi costituzionali di parità ed eguaglianza, in quanto non sono frutto di accantonamenti «personali», secondo la ratio per cui un pensionato percepisce quanto versato nell'arco della vita lavorativa, bensì vengono pagate dai versamenti dei lavoratori attivi e rappresentano un trattamento di miglior favore rispetto alle generazioni successive, che, a seguito delle riforme pensionistiche, possono accedere alla pensione solo con il calcolo contributivo;
    il Ministro del lavoro e delle politiche sociali ha recentemente definito questi trattamenti «quelle pensioni il cui elevato importo appare stridente nell'attuale contesto socio-economico e di sacrifici imposti alla generalità della popolazione»;
    eppure il disegno di legge di stabilità attualmente all'esame dell'altro ramo del Parlamento reca all'articolo 12, comma 4, un intervento sul tema in questione valutato dai firmatari del presente atto di indirizzo insufficiente rispetto alla reale possibilità di incidere stabilmente sui privilegi esistenti,

impegna il Governo,

   nel caso in cui il Parlamento non legiferi autonomamente nel senso di cui ai capoversi seguenti, entro il 31 marzo 2014:
   ad intervenire sui trattamenti pensionistici di importo elevato, assumendo iniziative per prevedere che le pensioni ed i vitalizi, anche nel caso di cumulo di più trattamenti, erogati da gestioni previdenziali pubbliche in base al metodo retributivo non possano superare un limite prefissato, pari, ad esempio, a cinquemila euro netti al mese, mentre la parte eccedente tale limite venga calcolata con il metodo contributivo;
   ad utilizzare i risparmi derivanti dagli interventi sulle pensioni di importo elevato in favore dello sblocco delle indicizzazioni delle pensioni e della salvaguardia dei lavoratori cosiddetti esodati derivanti dalle disposizioni in materia pensionistica, di cui all'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, e successive integrazioni e modificazioni.
(1-00259)
(Nuova formulazione) «Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».

Ritiro di documenti di indirizzo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   mozione Tinagli n. 1-00257 del 25 novembre 2013;
   mozione Pizzolante n. 1-00260 del 25 novembre 2013;

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Bobba n. 5-00840 del 2 agosto 2013;
   interrogazione a risposta in Commissione Fiano n. 5-01050 del 23 settembre 2013;
   interrogazione a risposta orale Brunetta n. 3-00426 del 7 novembre 2013;
   interrogazione a risposta scritta Fratoianni n. 4-03010 del 19 dicembre 2013;
   interpellanza urgente Boccadutri n. 2-00348 del 21 dicembre 2013.

Trasformazione di un atto del sindacato ispettivo (ex articolo 134, comma 2 del Regolamento).

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore:
   interrogazione a risposta scritta Gallinella e altri n. 4-02381 del 4 novembre 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01813.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:

  interrogazione a risposta scritta Grillo n. 4-00653 del 30 maggio 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01830;

  interrogazione a risposta scritta Grillo e altri n. 4-01414 del 24 luglio 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01829;

  interrogazione a risposta scritta Grillo e altri n. 4-02060 del 3 ottobre 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01828;

  interrogazione a risposta scritta Grillo e altri n. 4-02061 del 3 ottobre 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01827;

  interrogazione a risposta scritta Grillo e altri n. 4-02187 del 16 ottobre 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01826;

  interrogazione a risposta scritta Grillo e altri n. 4-02431 del 7 novembre 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01825;

  interrogazione a risposta scritta Grillo e altri n. 4-02437 del 7 novembre 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01824.