Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Sabato 21 dicembre 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    come noto il Consiglio europeo nel 2011 ha varato un nuovo sistema di governance economica europea. Esso è imperniato su sei pilastri principali:
     a) un meccanismo di discussione e coordinamento ex ante delle politiche economiche e di bilancio nazionali, realizzato mediante l'adozione a livello nazionale di un ciclo di procedure e strumenti di programmazione previsto e disciplinato a livello comunitario e concentrato nei primi sei mesi dell'anno (da qui la denominazione di «Semestre Europeo»), che vede una più stringente interazione tra istituzioni comunitarie e nazionali e che è destinato a integrarsi con i cicli di programmazione e di bilancio nazionali, al fine di consentire di valutare contemporaneamente le politiche strutturali e le misure di bilancio in un quadro di complessiva coerenza e sostenibilità, quale presupposto per una più efficace vigilanza e integrazione delle politiche economiche e di bilancio nazionali nell'Eurozona e nella Unione europea;
     b) una più stringente applicazione del patto di stabilità e crescita, realizzata in virtù del rafforzamento sia del suo braccio preventivo sia di quello correttivo, attraverso l'adozione di tre appositi regolamenti;
     c) l'introduzione, mediante due appositi regolamenti, di una sorveglianza sugli squilibri macroeconomici degli Stati membri che include meccanismi di monitoraggio, allerta, correzione e sanzione;
     d) l'introduzione di requisiti comuni per i quadri nazionali di bilancio, mediante l'adozione di una apposita direttiva;
     e) l'istituzione di un meccanismo permanente per la stabilità finanziaria della zona euro (MSE), attraverso una modifica dell'articolo 136 del Trattato sul funzionamento della Unione europea, adottata dal Consiglio europeo del 24-25 marzo 2011 e da recepirsi ad opera degli ordinamenti nazionali;
     f) il patto «Europlus», adottato con una dichiarazione dei Capi di Stato e di Governo dell'11 marzo 2011, che impegna gli Stati aderenti (Eurozona e alcuni altri Stati) a porre in essere ulteriori interventi in materia di crescita, occupazione, sostenibilità delle finanze pubbliche, competitività e coordinamento delle politiche fiscale;
    tali princìpi sono stati tradotti in corrispondenti cinque regolamenti e una direttiva (cosiddetta Six Pack). Inoltre, il 23 novembre 2011 la Commissione europea ha presentato due ulteriori proposte di regolamento (two pack) volte al rafforzamento della sorveglianza economica e di bilancio degli Stati membri che affrontano o sono minacciati da serie difficoltà per la propria stabilità finanziaria nonché il monitoraggio e la valutazione dei progetti di bilancio che assicurino la correzione dei disavanzi eccessivi degli Stati membri dell'eurozona. In tale contesto, ha visto luce il «Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell'Unione economica e monetaria, noto anche come fiscal compact, firmato a Bruxelles il 2 marzo 2012, che prevede, tra l'altro, l'introduzione della regola del pareggio di bilancio oltre ad un meccanismo automatico per l'adozione di misure correttive, qualora necessarie;
    nel più ampio silenzio mediatico che si sia mai registrato (con l'assenza di servizi radiotelevisivi pressoché assoluta e il silenzio della quasi totalità dei giornali), il Parlamento italiano ha ratificato, sul finire dello scorso anno, il cosiddetto fiscal compact, con grande zelo e senza alcun dibattito significativo e con l'opposizione o l'astensione di un gruppo assai sparuto di parlamentari;
    in linea molto generale e prima di entrare nei dettagli del suo contenuto, si può affermare che il meccanismo introdotto dal Trattato significa per il nostro Paese la definitiva cancellazione di ogni ipotesi di ruolo pubblico nello sviluppo, con un preciso obbligo al rientro del 50 per cento dell'ammontare complessivo del debito pubblico che eccede il 60 per cento del prodotto interno lordo;
    dal 2013, oltre alle normali manovre di riduzione del deficit di bilancio, al finanziamento dell'ESM e di probabili altre misure a salvataggio di altri Paesi della «zona euro», l'Italia è chiamata ad aggiungere la somma impressionante di ulteriori 50 miliardi di euro all'anno;
    il meccanismo del Trattato renderà vincolante questo obbligo, non per un anno, ma per i prossimi venti anni, con il risultato evidente che il futuro di due e più generazioni di italiani è ipotecato e ancorato ad una nuova e permanente dimensione di miseria sociale;
    accanto a questa ratifica, peraltro, con la legge 24 dicembre 2012, n. 243, approvata a maggioranza assoluta dai componenti di ciascuna Camera ai sensi del nuovo sesto comma dell'articolo 81 della Costituzione, sono state dettate le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni;
    la legge citata reca disposizioni per l'attuazione del principio del pareggio di bilancio, ai sensi del nuovo sesto comma dell'articolo 81 della Costituzione, introdotto dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, il quale prevede che il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e dei criteri volti ad assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni siano stabiliti da una apposita legge «rinforzata», in quanto deve essere approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei principi definiti con legge costituzionale;
    il Capo VII della legge reca l'istituzione dell'organismo indipendente previsto dall'articolo 5, comma 1, lettera f), della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, che viene denominato «Ufficio parlamentare di bilancio», avente le funzioni di analisi e verifica degli andamenti di finanza pubblica e valutazione dell'osservanza delle regole di bilancio;
    l'Ufficio ha una composizione collegiale di tre membri, di cui uno con funzioni di presidente, nominati d'intesa dai Presidenti delle Camere nell'ambito di un elenco di dieci soggetti con competenza a livello sia nazionale che internazionale in materia di economia e finanza pubblica indicati dalle Commissioni bilancio di ciascuna Camera, a maggioranza dei due terzi dei rispettivi componenti; i membri durano in carica 6 anni, salvo che siano revocati per gravi violazioni dei doveri d'ufficio, e non possono essere confermati;
    tutto il complesso legislativo posto in essere con l'approvazione della ratifica del Trattato sul fiscal compact, unito alle legge costituzionali e ordinarie sopra richiamate, finisce per introdurre vincoli penetranti all'attività del legislatore nazionale;
    occorre, dunque, ripensare il contenuto del Trattato del marzo 2012;
    entrando nel dettaglio del suo contenuto, si osserva che, il Trattato è composto da un preambolo e da 16 articoli, suddivisi in un titolo I, relativo all'oggetto e all'ambito di applicazione, in un titolo II, relativo alla coerenza e al rapporto con il diritto dell'Unione, in un titolo III, relativo proprio al fiscal compact o patto di bilancio, in un titolo IV, relativo al coordinamento delle politiche economiche e convergenza, in un titolo V, relativo alla governance della zona euro, e in un titolo VI, relativo alle disposizioni generali e finali. Il trattato non è stato sottoscritto dal Regno Unito, come emerso nel Consiglio europeo del 9 dicembre 2011, dalla Repubblica Ceca, che ha negato il suo consenso dal momento dell'approvazione del Trattato, il 30 gennaio 2012, in occasione del Consiglio europeo informale a Bruxelles;
    è da rilevare che, al riguardo, il Parlamento europeo, il 18 gennaio 2012, nell'approvare una risoluzione fortemente critica nei confronti del testo sino allora disponibile, ha espresso perplessità su un siffatto accordo intergovernativo, ritenendo più efficace il quadro del diritto dell'Unione e il «metodo comunitario» per realizzare gli stessi obiettivi di disciplina di bilancio e per realizzare una vera unione economica e fiscale. In tale occasione il Parlamento ha richiesto una maggiore valorizzazione del proprio ruolo e del ruolo dei parlamenti nazionali in tutti gli aspetti del coordinamento e della governance in ambito economico. Il Parlamento ha, inoltre, richiesto l'impegno a integrare l'accordo nei trattati europei al più tardi entro cinque anni, ha reiterato i propri appelli per un'Unione improntata non solo alla stabilità, ma anche alla crescita sostenibile, attraverso misure destinate alla convergenza e competitività, project bond, un'imposta sulle transazioni finanziarie ed ha espresso formalmente la riserva di avvalersi di tutti gli strumenti politici e giuridici per difendere il diritto dell'Unione qualora l'accordo definitivo dovesse prevedere elementi incompatibili con il diritto dell'Unione;
    il sopra detto monito del Parlamento europeo è rimasto però inascoltato nonostante la strada intrapresa lasci ormai chiaramente emergere tutta una serie di squilibri in Europa tra i paesi del Nord, in particolar modo la Germania, che guadagnano in termini di competitività ed eccedenze commerciali, e i paesi del Sud, travolti da una bolla immobiliare e dall'aumento del debito privato;
    le principali disposizioni del nuovo trattato, infatti, estendono e radicalizzano i trattati precedenti, in particolare il patto di stabilità e crescita. Nell'articolo 1, il trattato riprende infatti le affermazioni abituali degli organismi europei. Le regole sono «volte a rafforzare il coordinamento delle politiche economiche». Ma vincoli numerici sui debiti e sui deficit pubblici, che non tengono conto delle differenti situazioni economiche, non possono di certo favorire un reale coordinamento di politiche economiche. Allo stesso modo, il trattato afferma di rafforzare «il pilastro economico dell'Unione europea al fine di realizzare gli obiettivi in materia di crescita duratura, occupazione, competitività e coesione sociale», ma al di là delle parole, niente di concreto viene previsto per facilitare la realizzazione di tali obiettivi, anzi si favorisce il contrario. Il fiscal compact richiede ai Paesi di seguire un sentiero di convergenza rapida verso l'equilibrio di bilancio, definito dalla Commissione, senza tener conto della situazione congiunturale;
    i Paesi perdono dunque ogni possibile libertà d'azione. Come precauzione supplementare, un meccanismo «automatico» dovrà essere messo in pratica per ridurre il deficit. Se la Commissione stabilisce che un Paese ha raggiunto per esempio un «deficit strutturale» pari a tre punti percentuali del prodotto interno lordo, questo dovrà mantenere un «deficit strutturale» limitato a 2 per cento l'anno successivo, amputando in tal modo la domanda (attraverso una riduzione delle spese e un aumento delle imposte) di un punto del prodotto interno lordo, indipendentemente dal livello di disoccupazione;
    certamente, come per il patto di stabilità e crescita, sarebbe comunque possibile prevedere uno scarto temporaneo in caso di circostanze eccezionali, come in caso di un «tasso di crescita negativo o un declino cumulativo della produzione per un periodo prolungato», ma le misure correttive dovrebbero essere sempre pianificate e adottate rapidamente. Quando un Paese ha superato i limiti prescritti ed è soggetto a una procedura per deficit eccessivi (Pde), deve presentare un programma di riforme strutturali alla Commissione e al Consiglio, i quali dovranno approvarlo e monitorarne l'attuazione;
    oggi, la quasi totalità dei Paesi dell'Unione europea (23 su 27) è soggetta a una procedura per deficit eccessivi. Oltre ai piani di riforma delle pensioni (aumento dell'età pensionabile), si vogliono imporre un abbassamento del salario minimo, minori prestazioni sociali (Irlanda, Grecia, Portogallo), la riduzione delle protezioni contro il licenziamento (Grecia, Spagna, Portogallo), la sospensione della contrattazione collettiva a favore della contrattazione d'impresa, più favorevole ai datori di lavoro (Italia, Spagna e altro), la deregolamentazione delle professioni chiuse;
    la convinzione è che queste «riforme strutturali» creeranno un nuovo potenziale di crescita economica nel lungo periodo. Tuttavia niente assicura che sarà così. Ciò che è certo invece è che nella situazione attuale queste riforme determineranno un aumento delle disuguaglianze, della precarietà e della disoccupazione;
    in nessun passaggio, purtroppo, l'espressione «riforma strutturale» riguarda l'adozione di misure volte a rompere il dominio dei mercati finanziari, ad aumentare l'imposizione fiscale sui più ricchi e sulle grandi imprese, a organizzare e finanziare la transizione ecologica;
    il risultato di dette strategie è l'annullamento delle politiche fiscali, la rinuncia a politiche economiche con qualsiasi potere discrezionale;
    il trattato secondo i firmatari del presente atto di indirizzo non ha alcun altro obiettivo se non quello di ostacolare le politiche di bilancio nazionali. Ciascun Paese deve quindi adottare misure restrittive: ridurre le pensioni, ridurre le prestazioni sociali e il numero dei funzionari, aumentare le imposte (principalmente l'Iva, che pesa sulle famiglie più povere). Non si prende minimamente in considerazione la situazione congiunturale specifica di ciascun Paese, né i bisogni sociali in termini d'investimenti e occupazione, né le politiche degli altri Paesi. Ciò implica che, oggi, tutti i Paesi stanno adottando di fatto politiche di austerità, mentre i deficit sono dovuti alla recessione che ha avuto origine con lo scoppio della bolla finanziaria e all'aumento degli squilibri causati dall'errata architettura della zona euro;
    il rischio concreto, oramai tradottosi in realtà, è che le teorie che ispirano il fiscal compact propongono di fatto di limitare gli interventi anticiclici dello stato talora ritenute responsabili dell'inflazione e soprattutto della riduzione della quota dei profitti sul reddito nazionale; si vuole convincere i cittadini a rinunciare definitivamente all'obiettivo di piena occupazione, considerato causa di un aumento dell'inflazione;
    questo genere di politica è teso a sottrarre le politiche economiche dalle mani dei Governi democraticamente eletti, mentre tutto è affidato a organismi indipendenti composti da esperti e tecnocrati, che non sono responsabili di fronte al popolo e ai cittadini. La politica economica deve essere paralizzata con regole vincolanti. Pertanto, la banca centrale, dichiarata «indipendente», ha il principale obiettivo di mantenere l'inflazione al di sotto del 2 per cento ogni anno. E in futuro la politica di bilancio sarà affidata a Commissioni indipendenti, sotto l'egida del patto e della Commissione, con il solo obiettivo di garantire il mantenimento dell'equilibrio di bilancio;
    l'instabilità dell'economia renderebbe invece necessaria una politica attiva. Per questo, negli Stati Uniti, la Federal Reserve ha abbassato praticamente a zero il tasso di interesse e ha comprato massicciamente titoli privati e pubblici, in totale contrasto con tutto il pensiero ortodosso: il deficit pubblico ha superato il 10 per cento del prodotto interno lordo nel periodo tra il 2009 e il 2011 senza sollevare alcun allarme;
    nonostante tutto ciò, gli attuali fini delle autorità europee vengono costantemente ribaditi e concettualmente alimentati attraverso l'imposizione di politiche «automatiche», attraverso delle soglie che determinano l'applicazione di misure che stanno «affamando» i cittadini comprimendo i consumi,

impegna il Governo:

   ad avviare da subito negoziati in ambito europeo per rivedere l'impostazione del complesso dei vincoli derivanti all'Italia dal trattato sul fiscal compact e dagli altri strumenti giuridici ed economici (a partire dal meccanismo europeo di stabilità) ad esso correlati, in modo da avviare una politica di crescita sostenibile e di ripresa economica e produttiva, in assenza della quale il Paese rischia di piombare in una situazione finanziaria e di bilancio, ma soprattutto in una crisi economica e sociale, di livello insostenibile;
   a sostenere in ogni possibile sede europea e internazionale, anche a livello bilaterale, la necessità di un alleggerimento dei vincoli finanziari e di recupero di politiche di sviluppo e di crescita;
   ad assumere una propria, forte, iniziativa per la revisione della legislazione italiana sulla materia di cui in premessa, con particolare riferimento all'esigenza di rendere meno opachi e più fruibili, anche per i cittadini italiani, i meccanismi introdotti con la legge costituzionale n. 1 del 2012 e con la legge n. 243 del 2012, in questo ambito promuovendo una revisione degli strumenti di controllo affidati al Parlamento dalla predetta legge n. 243 del 2012, anche intervenendo, sempre in via normativa, per una maggiore funzionalità dell'Ufficio parlamentare di bilancio, che dovrà rappresentare un reale strumento democratico a disposizione delle Camere, ai fini dell'esercizio della propria sovranità.
(1-00292) «Ciprini, Tripiedi, Rizzetto, Rostellato, Cominardi, Baldassarre, Bechis, Chimienti, Cancelleri, Barbanti».


   La Camera,
   premesso che:
    il 1o dicembre di ogni anno si celebra la giornata mondiale per la lotta contro l'AIDS;
    l'infezione da Hiv continua a propagarsi e l'Aids rimane la pandemia che miete più vittime al mondo;
    tutti i Paesi ONU si sono impegnati formalmente, attraverso la rete UNAIDS e in particolare il progetto «Getting to Zero 2011-2015», a ridurre a zero le nuove infezioni da HIV entro il 2015;
    i dati relativi all'Italia, raccolti ed elaborati dal 1984 dall'Istituto superiore di sanità, vengono pubblicati nel sito del Centro operativo Aids (COA);
    nell'ultimo notiziario ISS del novembre 2013 (volume 26 numero 9 del 2013) «Aggiornamento delle nuove diagnosi di infezione da Hiv e dei casi di Aids in Italia al 31 dicembre 2012» è confermato l'andamento dell'infezione, con 3853 nuove diagnosi registrate e un'incidenza di 6,5 nuovi casi per 100mila abitanti. La percentuale di persone che arrivano alla diagnosi di Hiv in uno stato di salute compromesso continua ad aumentare e sfiora il 56 per cento del totale. Dal 1985 al 2012 in Italia sono state fatte 56.952 diagnosi di Hiv;
    la sorveglianza delle nuove diagnosi di infezione da HIV, che riporta i dati relativi alle persone che risultano positive per la prima volta al test HIV, è stata attivata in tutte le regioni italiane;
    nel notiziario è contenuto uno studio approfondito dei dati raccolti, che delinea anche le caratteristiche delle persone che vivono con l'Hiv e con l'Aids in Italia;
    nel 2012, le persone che hanno scoperto di essere HIV positive hanno un'età media di 38 anni per i maschi e di 36 anni per le femmine; la maggioranza delle nuove diagnosi di infezione è attribuibile a rapporti sessuali non protetti, che costruiscono l'80,7 per cento di tutte le segnalazioni (eterosessuali 42,7 per cento; maschi che fanno sesso con maschi 38 per cento); il 37,5 per cento delle persone con una nuova di infezione da HIV è stato diagnosticato con un numero di linfociti CD4 inferiore a 200 cell/μL e il 55,8 per cento con un numero inferiore a 350 cell/μL; in Piemonte, Umbria e Provincia Autonoma di Trento l'esecuzione del test di avidità anticorpale ha evidenziato che, nel 2012, il 25,1 per cento delle persone con una nuova diagnosi di infezione da HIV ha acquisito l'infezione nei 6 mesi precedenti il primo test HIV positive; poco meno di un quarto delle persone con una nuova diagnosi di infezione da HIV ha eseguito il test HIV per la presenza di sintomi HIV-correlati, il 16,5 per cento in seguito a un comportamento a rischio non specificato e il 150 per cento in seguito a rapporti sessuali non protetti;
    il notiziario ha analizzato anche i profili attinenti la sorveglianza dei casi di AIDS, riportando i dati delle persone con una diagnosi di AIDS conclamato. Dall'inizio dell'epidemia, nel 1982, a oggi sono stati segnalati quasi 65.000 casi di AIDS, di cui 42.000 deceduti; nel 2012, l'incidenza di AIDS è stata 1,7 per 100.000 residenti;
    gli ultimi dati UNAIDS 2013 confermano il drammatico primato italiano: l'Italia, con 1700 decessi l'anno, è il Paese europeo con il più alto numero di morti per AIDS, un trend in crescita se si considera che nel 2001 i casi erano 1400;
    il dato allarmante è che tra il 2006 e il 2012 è aumentata la proporzione delle persone che arrivano allo stadio AIDS conclamato ignorando la propria sieropositività. Nel 2012 questa proporzione è stata del 67,9 per cento;
    cresce anche il numero di donne italiane sieropositive, 3000 nuovi casi dal 2001, un trend negativo che colloca l'Italia dietro ad altri Paesi europei come Francia e Spagna nei quali, sebbene il numero delle donne infette sia più alto, si muore meno. La Francia negli ultimi 11 anni è riuscita a diminuire il numero di decessi per AIDS del 26,3 per cento è la Spagna addirittura del 58,3 per cento;
    l'Italia, dunque, si conferma un paese a incidenza medio-alta, con tutte le necessità di prevenzione che questo dato comporta;
    dall'ultimo HIV/AIDS Country Progress Report (2012) pubblicato da UNAIDS, invero, si evince la limitatezza dei fondi stanziati per la prevenzione e la totale mancanza di strategie preventive mirate ai gruppi di popolazione più vulnerabili in Italia;
    una recente indagine condotta da Doxa per il Cesvi, ha rilevato che in Italia sono soprattutto i giovani a sottovalutare i rischi della malattia: 1 su 3 pensa che esiste ma è tenuta sotto controllo e non fa quasi più vittime, 1 giovane su 5 è a rischio perché non ne ha sentito parlare a scuola e solo raramente sui media. Solo il 35 per cento dei ragazzi e ragazze in Italia, nonostante sappiano perfettamente che la via di trasmissione principale è quella sessuale, usa abitualmente il preservativo nelle proprie relazioni e solo il 29 per cento dichiara di aver fatto il test dell'HIV. Le giovani donne si espongono maggiormente al rischio, sentendosi protette da una relazione stabile;
    i dati suddetti sono soprattutto la diretta conseguenza della mancanza di qualsiasi forma di educazione alla sessualità nelle scuole, ed in particolare del tabù che continua a limitare l'uso del preservativo;
    la scuola è invece il luogo privilegiato per attuare un metodo partecipativo che consenta di raggiungere obiettivi comportamentali che siano determinanti nel prevenire e conservare la salute;
    nelle scuole e nelle università si registra, di contro, la totale mancanza di distributori di preservativi; acquistarli risulta poi ancora troppo caro per un'ampia fascia di cittadini;
    il preservativo maschile e femminile, unico metodo per prevenire tutte le malattie a trasmissione sessuale ed insieme le gravidanze non desiderate, è un presidio sanitario; per tale ragione deve esserne garantita l'accessibilità a tutti;
    elencare i preservativi tra i farmaci prescrivibili, effettuare campagne nelle scuole e per il pubblico generalista, inserire l'educazione alla sessualità (utile anche contro la discriminazione di genere e per l'orientamento sessuale), sono la base minima per una politica seria per la salute della popolazione relativa alle malattie sessualmente trasmissibili;
    quanto al mondo lavorativo, poi, l'infezione da HIV non è tuttora considerata una normale patologia cronica appartenente alla categoria delle malattie sessualmente trasmissibili. Anche in questo campo, a causa della disinformazione, questa malattia provoca un processo di stigmatizzazione e discriminazione: licenziamenti, trasferimenti e cambi di mansioni del tutto illegittimi e immotivati;
    la riduzione degli ostacoli per l'accesso al test per l'HIV e la conseguente diagnosi precoce rappresentano l'unica possibilità per offrire adeguate cure al sieropositivo, tant’è in data 22 novembre 2012, in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, è stato stipulato l'accordo tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano sulla proposta del Ministro della salute di linee guida per l'utilizzo da parte delle regioni e province autonome delle risorse vincolate, ai sensi dell'articolo 1, commi 34 e 34-bis, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, per la realizzazione degli obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale per l'anno 2012» che prevede l'erogazione alle regioni di fondi funzionalizzati alla realizzazione di progetti regionali finalizzati alla prevenzione e al contrasto alla diffusione dell'HIV (si veda la linea progettuale 3: diagnosi di infezione da HIV) con una dotazione di 15 milioni di euro;
    un'analisi condotta da cittadini (Cittadinanza attiva e LILA) ha evidenziato molte incongruenze tra i progetti presentati dalle regioni sulla «linea progettuale 3: diagnosi di infezione da HIV» e gli obiettivi definiti dall'accordo, tant’è che gli stessi hanno sollecitato gli organi preposti affinché vigilino sul corretto utilizzo dei fondi dedicati;
    numerosi nuovi casi di sieropositività potrebbero essere facilmente scongiurati, attraverso l'informazione e i comportamenti corretti: attività di prevenzione fondamentale, con programmi di educazione sanitaria della popolazione, i giovani in particolare, garantiti nel tempo e costanti nella loro applicazione,

impegna il Governo:

   ad ottemperare puntualmente all'impegno di cui all'articolo 8, comma 3, della legge 5 giugno 1990, n. 135, a riferire annualmente al Parlamento sullo stato di attuazione delle strategie attivate per fronteggiare l'infezione da HIV, tenuto conto che l'ultima relazione è stata la relazione al Parlamento sullo stato di attuazione delle strategie attivate per fronteggiare l'infezione da HIV nell'anno 2010;
   ad assumere iniziative affinché il Comitato tecnico sanitario operante presso il Ministero della salute al quale sono state trasferite le funzioni della Commissione nazionale per la lotta contro l'aids e della Consulta del volontariato per la lotta contro l'aids sia attivato secondo quanto prescritto dalla legge e svolga il ruolo a cui è preposto;
   ad assumere iniziative per ridurre l'iva sui profilattici;
   ad attivare iniziative di informazione e prevenzione continuative utili alla diffusione dell'uso del profilattico nei rapporti sessuali e a rendere noto il suo costo nonché la sua effettiva disponibilità nei luoghi maggiormente frequentati soprattutto dai giovani;
   ad assumere iniziative per prevedere la distribuzione gratuita, in particolare nelle scuole e nelle università, del profilattico in quanto presidio sanitario, anche tramite appositi distributori automatici;
   ad adottare, in raccordo con tutte le altre amministrazioni competenti, iniziative permanenti di informazione e prevenzione relative all'igiene sessuale nelle scuole e nei luoghi di maggior aggregazione così come avviene da anni in tutti gli altri Paesi europei;
   a elaborare appositi programmi di «educazione sentimentale» e di genere nelle scuole di ogni ordine e grado al fine di promuovere il superamento dei pregiudizi fondati sul genere di appartenenza e sull'orientamento sessuale capaci di motivare la violenza e la discriminazione;
   ad adottare iniziative per sostenere e sviluppare la presenza di cliniche metaboliche ospedaliere, al fine di curare malattie cronico degenerative quali; cancro, leucemie, AIDS, diabete mellito di secondo tipo, Alzheimer, Parkinson, sclerosi multipla, sclerosi laterale amiotrofica, malattie auto-immuni, malattie allergiche, intolleranze alimentari, osteoporosi;
   a  promuovere una revisione dei criteri cui riconnettere il trattamento pensionistico assistenziale in favore dei soggetti affetti da immunodeficienza, considerando, oltre all'attuale criterio tabellare basato sul numero di linfociti CD4 presenti nel sangue, ulteriori parametri obiettivi da stabilire congiuntamente alle associazioni e agli esperti del settore;
   a ottemperare all'impegno verso le istituzioni internazionali UNAIDS e ECDC per la stesura dei Country Progress Report dei debiti informativi;
   a vigilare sul corretto utilizzo dei fondi degli obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale per l'anno 2012 così come da accordo del 22 novembre 2012 in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano;
   a garantire sull'intero territorio nazionale quanto previsto dalla legge n. 135 del 1990, in merito all'anonimato del test HIV al fine di tutelare integralmente la riservatezza delle persone sieropositive.
(1-00293) «Di Vita, Silvia Giordano, Mantero, Grillo, Cecconi, Colonnese, Brugnerotto, Lorefice, Sorial, Nuti, Nesci, Fico, Marzana, Luigi Gallo, Vacca, Battelli, Simone Valente, Baroni, Cozzolino, Vignaroli, Dieni, Dadone».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni VIII e XII,
   premesso che:
    il decreto legislativo n. 152 del 2006 impone nelle acque sotterranee una concentrazione massima di cromo esavalente pari a 5 μg/l ed il limite di 50 μg/l per quanto riguarda il cromo totale (ossia la somma di tutte le diverse valenze chimiche dell'elemento);
    il decreto legislativo n. 31 del 2001 statuisce altresì che il limite previsto per il cromo totale non debba superare i 50 μg/l per l'acqua destinata al consumo umano;
    non è previsto un ulteriore limite esplicito per la concentrazione di cromo VI nelle acque destinate al consumo umano;
    è evidente che il decreto legislativo n. 31 del 2001 non abbia previsto un limite specifico per il cromo VI, per il semplice fatto che il suo livello nell'acqua potabile dovrebbe essere minimo, in conformità con quanto stabilito dal testo unico in materia ambientale (il decreto legislativo n. 152 del 2006) che considera contaminate quelle acque sotterranee in cui la concentrazione di cromo VI sia superiore a 5 μg/l;
    questa considerazione implicita contenuta nel decreto legislativo n. 31 del 2001 ha creato una distorsione interpretativa della legge, inducendo alcuni organi preposti al controllo, a verificare sì, il limite di 5 μg/l di cromo VI per le acque di falda, ma non a verificare lo stesso limite per l'acquedotto, permettendo il consumo di acqua con concentrazioni di cromo VI che possono arrivare fino a 50 μg/l (quantità dieci volte maggiore a quella prescritta dal decreto legislativo n. 152 del 2006;
    appare quindi una chiara contraddizione tra le forme di tutela introdotte per le acque sotterranee e quelle erogate all'utenza;
    è risaputo quanto il cromo esavalente sia carcinogenico e mutagenico;
    permettere una concentrazione di cromo esavalente pari a 50 μg/l nelle acque destinate al consumo umano significa innalzare la concentrazione di una sostanza cancerogena che non dovrebbe essere somministrata al corpo umano in quanto si lega alle proteine e al dna causando mutazioni genetiche e aberrazioni cromosomiche;
    la finalità espressa nell'articolo 1 del decreto legislativo n. 31 del 2001 è quella di disciplinare la qualità delle acque destinate al consumo umano al fine di proteggere la salute umana dagli effetti negativi derivanti dalla contaminazione delle acque, garantendone la salubrità e la pulizia;
    all'articolo dello stesso decreto legislativo n. 31 del 2001 le acque destinate al consumo umano non devono contenere microrganismi e parassiti, né altre sostanze, in quantità o concentrazioni tali da rappresentare un potenziale pericolo per la salute umana e devono altresì soddisfare i requisiti minimi di cui alle parti A e B dell'allegato I;
    per quanto sopra esposto, occorre chiarire il controverso quadro normativo, facendo prevalere il principio di precauzione a tutela della salute umana,

impegnano il Governo

ad assumere iniziative per la modifica del decreto legislativo n. 31 del 2001 prevedendo per le acque destinate al consumo umano una concentrazione massima di cromo esavalente pari a 5 μg/l.
(7-00217) «De Rosa, Lorefice, Alberti, Sorial, Zolezzi, Daga, Terzoni, Busto, Mannino, Segoni, Cominardi, Silvia Giordano, Basilio, Rizzo».


   La X Commissione,
   premesso che:
    il 26 luglio 2013 si è riunita a Santo Stefano di Sessanio (L'Aquila) la commissione interregionale del turismo della Conferenza delle regioni italiane per presentare al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo una serie di misure a sostegno delle imprese di settore;
    tra le iniziative che sono state oggetto di discussione figurano quelle relative al potenziamento del «turismo congressuale» (meeting, incentive, conference and exhibition – MICE), ampiamente sottostimato nel nostro Paese, oggi noto come industria degli eventi a riprova del notevole peso economico costituito da questo settore;
    in base al protocollo d'intesa sottoscritto a L'Aquila le regioni, l'ENIT – Agenzia nazionale del turismo e Federcongressi&eventi – Federazione delle associazioni della meeting & incentive industry si sono impegnate a raccordarsi e a concordare, nell'ambito delle rispettive pianificazioni, modalità e interventi per operare in modo coordinato e sinergico. Nello specifico s'intendono ottimizzare le iniziative comuni, armonizzando la promozione e la commercializzazione dell'offerta congressuale di qualità, definendo inoltre un programma coordinato di attività;
    a seguito dell'accordo, l'industria degli eventi è quindi pienamente rientrata tra le priorità del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e per la sua programmazione sono state calendarizzate una serie di riunioni tra i rappresentanti dell'ENIT – Agenzia nazionale del turismo, di Federcongressi&eventi e delle regioni;
    nel corso dell'ultimo incontro del 25 ottobre 2013 svolto presso la sede ENIT di Roma, il coordinamento delle regioni ha riferito l'approvazione, da parte di queste ultime, dell'ultima versione del «documento programmatico sul rilancio della meeting industry italiana» preparato da Federcongressi&eventi che prevede, tra l'altro, il rilancio dell'osservatorio congressuale, oltre alla formazione e alla revisione dei criteri di qualificazione delle strutture congressuali;
    il documento, inoltre, evidenzia l'annoso problema della carenza di promozione e commercializzazione dell'offerta di questo settore a livello nazionale, sottolineando anche il livello inadeguato di partecipazione dell'ENIT alla Imex America (America's Worldwide exhibition for incentive travel, meetings & events) tenutasi a metà ottobre 2013 Las Vegas (USA);
    secondo Federcongressi&eventi è necessario affiancare all'ENIT – che gestisce e promuove la «destinazione Paese» – un nuovo organismo in grado di commercializzare l'offerta MICE italiana;
    durante la giornata di chiusura dell’Italian Politicians Forum tenutosi a Firenze il 13 novembre 2013, il presidente Federcongressi&eventi Mario Buscema ha dichiarato che «nel 2012 l'Italia si è posizionata al quinto posto nel ranking dei dieci maggiori Paesi europei per eventi internazionali ospitati, dopo la Germania con il 66 per cento in più di eventi rispetto all'Italia, la Spagna, la Gran Bretagna e la Francia. È evidente dunque che la destinazione Italia ha bisogno di uno scatto di orgoglio e di efficienza, perché la “bellezza” del nostro Paese non è più sufficiente per attrarre gli operatori stranieri»,

impegna il Governo

ad adottare le misure necessarie a sostegno della filiera di riferimento, valutando l'opportunità di istituire un nuovo organismo in grado di commercializzare l'offerta MICE (meeting, incentive, conference and exhibition) italiana.
(7-00215) «Prodani, Fantinati, Mucci, Da Villa».


   La X Commissione,
   premesso che:
    il turismo è un settore importante per l'economia italiana, avendo contribuito nel 2012 al prodotto interno lordo (Pil) con oltre 130 miliardi di euro e con circa 2,2 milioni di persone occupate;
    lo sviluppo del comparto rappresenta una preziosa occasione che il Paese non può perdere, visto che si colloca al primo posto per numero di siti iscritti come «patrimonio dell'umanità» ma è valutato solo al settantaseiesimo posto per le politiche governative di sostegno;
    delle 160 tipologie di turismo catalogate nel mondo, infatti, il Belpaese è in grado di offrirne solo 100 malgrado lo sterminato patrimonio culturale, enogastronomico e di attrazioni naturali;
    la competitività del settore è in crisi, come registrato nel 2012 dal calo degli arrivi e delle presenze turistiche: i dati parziali infatti rilevano un decremento, rispettivamente, del 5,7 per cento e del 6,8 per cento rispetto al 2011, anno in cui i turisti internazionali avevano invece superato la soglia dei 47,4 milioni, toccando un massimo storico a partire dal 2005;
    il decreto-legge n. 70 del 2011 sul semestre europeo (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106 del 2011) ha previsto il rilancio del comparto con l'istituzione, nei territori costieri, dei «distretti turistici» con l'obiettivo di riqualificare e rilanciare l'offerta nazionale, migliorando contemporaneamente l'efficienza nell'organizzazione e nella produzione dei servizi;
    i distretti possono esser creati nei territori su richiesta delle imprese del settore che vi operano, in base a una procedura molto complessa che prevede: un'intesa delle aziende con le regioni interessate, propedeutica all'emanazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (DPCM) istitutivo; la delimitazione del distretto con un'intesa tra le regioni, il Ministero dell'economia e delle finanze e i comuni interessati, previa conferenza di servizi obbligatoria, a cui deve partecipare anche l'Agenzia del demanio;
    il termine per la delimitazione territoriale dei distretti, scarsamente pubblicizzati, era fissato al 31 dicembre 2012 dal decreto sul semestre europeo, ma con la legge di stabilità 2013 (n. 228 del 2012) è stato rinviato al 30 giugno 2013;
    alla sua scadenza sono stati delimitati pochissimi distretti — vere e proprie «zone a burocrazia zero» — vanificandone così lo sviluppo e la possibilità di usufruire di una serie di agevolazioni amministrative, finanziarie, fiscali e per il settore ricerca & sviluppo;
    il 24 luglio 2013, durante la seduta dell'Assemblea a Montecitorio che ha dato il via libera alla conversione in legge del «decreto del fare» (n. 69 del 2013), il Governo ha accolto l'ordine del giorno 9/1248-A-R/188 con il quale si impegnava a favorire lo sviluppo dei distretti, valutando l'opportunità di semplificarne l’iter formativo e di estendere fino al 31 dicembre 2014 il termine per la loro delimitazione territoriale,

impegna il Governo

ad assumere misure urgenti a supporto dello sviluppo dei distretti turistici e per il rilancio del settore nel suo complesso.
(7-00216) «Prodani, Fantinati, Mucci, Da Villa».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni dalla legge n. 135, al fine di ridurre la spesa pubblica, dispone la messa in liquidazione e privatizzazione di una serie di società controllate dalla Pubblica Amministrazione;
    la norma suddetta interessa anche l'Agenzia per erogazioni in agricoltura, ente pubblico non economico sottoposto alla vigilanza del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali che esercita le sue funzioni mediante le proprie strutture operative e attraverso enti strumentali controllati e partecipati tra cui il sistema informativo nazionale per lo sviluppo dell'agricoltura (SIN) e l'Agenzia per il controllo in agricoltura (Agecontrol) disponendone, al fine di contenere i costi e migliorare l'efficienza dei servizi, la sostituzione del consiglio di amministrazione con un direttore, sul modello delle agenzie fiscali;
    il decreto legge in parola non sottopone tuttavia alla cosiddetta spending review un insieme di società individuate in base ad alcuni criteri anche inerenti allo svolgimento della propria attività, tra cui, in particolare, la gestione di banche dati strategiche e il controllo sulla erogazione degli aiuti comunitari al settore agricolo, affidandone l'esclusione formale dall'ambito di applicazione della normativa sulla riduzione della spesa, ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri;
    il Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 20 aprile 2013 decreta quindi l'esclusione del sistema informativo nazionale per lo sviluppo dell'agricoltura e di Agecontrol dall'ambito di applicazione del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95 convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, nonostante esse siano in piena fase di riorganizzazione a seguito delle notevoli criticità registrate nella loro gestione;
    l'urgenza nonché la necessità di avviare una significativa riorganizzazione degli enti controllati dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali è ormai nota in considerazione delle continue irregolarità ed inefficienze gestionali che espongono l'operato complessivo degli stessi ad impietosi giudizi,

impegna il Governo

ad assumere con urgenza iniziative normative per la modifica del decreto-legge di cui in premessa, ovvero ad adottare ogni altro utile iniziativa necessaria a porre fine a tale anomalia che vede la procedura di contenimento dei costi nota come spending review non applicabile al sistema informativo nazionale per lo sviluppo dell'agricoltura e ad Agecontrol al fine di consentire la riorganizzazione degli stessi e garantire maggior efficienza e risparmio di spesa.
(7-00214) «Gallinella, L'Abbate, Gagnarli, Parentela, Benedetti, Massimiliano Bernini, Lupo».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SCAGLIUSI, L'ABBATE, DE LORENZIS, LIUZZI, BRESCIA, D'AMBROSIO e SIBILIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 15 della legge 183 del 1989, in seguito abrogata dall'articolo 175 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, aveva definito i bacini di rilievo interregionale, tra i quali, per il versante adriatico, L'Ofanto (Puglia, Basilicata, Campania);
   la direttiva 2000/60/CE (direttiva quadro sulle acque) stabilisce che i singoli Stati membri affrontino la tutela delle acque a livello di «bacino idrografico», la cui «unità territoriale di riferimento per la gestione» è individuata nel «distretto idrografico», area di terra e di mare, costituita da «uno o più bacini idrografici limitrofi e dalle rispettive acque sotterranee e costiere» (articolo 2 comma 15); la direttiva 2000/60/CE è stata recepita in Italia attraverso il decreto legislativo 152 del 2006;
   la legge regionale del 9 dicembre 2002, n. 19, all'articolo 6, definiva la composizione del comitato tecnico dell'autorità di bacino; il comitato tecnico è composto da:
   a) funzionari regionali in servizio con qualifica dirigenziale designati dalle regioni interessate in numero proporzionale ai pesi paritetici delle regioni stesse e per un numero massimo definito nel regolamento di attuazione, da emanarsi con successivo atto dello stesso Comitato istituzionale;
   b) un funzionario provinciale con qualifica dirigenziale designato da ciascuna delle province interessate;
   c) un funzionario per ciascuna delle amministrazioni indicate all'articolo 10, comma 2, della legge 183 del 1989 e successive modifiche e integrazioni;
   d) il dirigente dell'ARPA pugliese;
   e) un rappresentante dell'Unione regionale bonifiche;
   f) il presidente dell'ordine regionale dei geologi;
   g) gli esperti incaricati di consulenze dall'Autorità di bacino per le questioni oggetto dell'incarico, senza diritto di voto;
   il decreto legislativo 152 del 3 aprile 2006, con l'articolo 64, ha ripartito il territorio nazionale in 8 distretti idrografici e prevede per ogni distretto la redazione di un piano di gestione, attribuendone la competenza alle Autorità di distretto idrografico;
   l'articolo 63 del decreto legislativo 152 del 3 aprile 2006 al comma 2, definisce organi dell'autorità di bacino: la Conferenza istituzionale permanente, il segretario generale, la segreteria tecnico-operativa e la Conferenza operativa di servizi;
   l'articolo 24, comma 2, della legge 6 agosto 2013, n. 97, stabilisce che «al fine di poter disporre del supporto tecnico necessario al corretto ed integrale adempimento degli obblighi derivanti dalla direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2000, nonché dalla direttiva 2007/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007, resta confermato che le Autorità di bacino di rilievo nazionale di cui alla legge 18 maggio 1989, n. 183, come prorogate per effetto delle disposizioni di cui all'articolo 1, comma 1, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 208, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 13, continuano ad avvalersi, nelle more della costituzione delle Autorità di bacino distrettuale di cui all'articolo 63 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, dell'attività dei comitati tecnici costituiti nel proprio ambito senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica e nel rispetto del principio di invarianza di spesa»;
   la legge regionale 19 del 2013, votata all'unanimità dal consiglio regionale della Puglia, con l'articolo 2 comma 1 sopprime il comitato tecnico di cui all'articolo 6 della legge regionale 19 del 2002 (istituzione dell'autorità di bacino della Puglia);
   nella suddetta legge, all'articolo 2, le funzioni amministrative sono così attribuite all'ufficio che riveste preminente competenza nella materia a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge;
   in data 11 agosto 2013, La Gazzetta del Mezzogiorno pubblicava un'intervista al presidente del consiglio regionale, Onofrio Introna che, dopo soli 23 giorni ammetteva che «Aver pensato alla eliminazione del comitato è stato sicuramente frutto di una distrazione perché non ha funzioni di controllo, bensì è un organo di garanzia, che si integra, senza sovrapporsi, col ruolo e l'attività del segretario generale e del comitato istituzionale dell'Autorità di bacino. Il mio intendimento è adesso portare la relazione all'ufficio di presidenza e alla conferenza dei presidenti immediatamente, alla ripresa dei lavori di settembre. Qualora le riflessioni e le preoccupazioni dell'ADb trovassero conferma – e io ne sono quasi certo – si potrebbe andare a una superamento degli articoli incriminati. In definitiva si potrebbe predisporre un progetto di legge con il quale andare a ripristinare le funzioni e l'attività del comitato tecnico» e ancora «l'eliminazione del Comitato creerebbe, di fatto, un imbuto, rovesciando tutto sulle spalle del segretario generale. Alla fine si finirebbe, per un parere tecnico, per rivolgersi comunque ad un ufficio della Regione». Volontà politica non mantenuta dalla Giunta Regionale non essendo stato posto all'ordine del giorno delle prime sedute del Consiglio Regionale della Puglia –:
   se il Ministro interrogato disponga di elementi in merito a quanto indicato in premessa con specifico riferimento alla ricostituzione del comitato, tecnico dell'autorità del bacino. (5-01786)

AFFARI REGIONALI E AUTONOMIE

Interrogazione a risposta scritta:


   FONTANELLI, FOSSATI e CENNI. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   visto l'episodio avvenuto sabato 14 dicembre a Pisa e ripreso dalle cronache locali e nazionali in cui l'allenatore degli esordienti del Pisa calcio, Alessandro Birindelli, ha ritirato la squadra a partita in corso a causa di una lite in tribuna fra i genitori dei bambini. I fatti raccontati dallo stesso Birindelli, ex giocatore della Juventus per dieci stagioni, con queste parole: «Ad un certo punto della partita uno dei piccoli nerazzurri commette un errore che costa il gol alla propria squadra. Dalla tribunetta il padre di un suo compagno grida: “levalo”, rivolto all'allenatore. Scoppia una lite (verbale) tra genitori, ragazzini disorientati in mezzo al campo e a quel punto lui (Birindelli) decide di ritirare la squadra». Poi lo stesso allenatore ha detto ai genitori che dovevano vergognarsi. Appena noto l'episodio è apparso a tutti il valore educativo di quella scelta, soprattutto a tutela della serenità dei bambini e del rispetto dei valori sportivi che non possono essere trasmessi attraverso l'esaltazione della competitività e dell'agonismo;
   visti i commenti diffusamente positivi che hanno richiamato la scelta di Birindelli, mettendo in evidenza come in molti, troppi, casi il ruolo dei genitori che accompagnano i figli sui campi di calcio sia di esempio negativo, come ha notato tra l'altro anche l'ex giocatore del Torino Paolino Pulici, che insegna in scuola calcio e ha detto, con un po’ di amara ironia, che «i più fallosi sono i genitori», «rovinano i figli», e che «la squadra ideale è fatta di orfani»;
   la Federcalcio ha deciso di infliggere alla squadra dell'Ac Pisa la sconfitta a tavolino per 0-3 e una multa di 100 euro, oltre alla penalizzazione di un punto in classifica, anziché aprire una seria riflessione sull'episodio al fine di evidenziare la necessità di affermare una mentalità rispettosa dei migliori valori sportivi, tra i quali fondamentale è quello educativo; e vista la riaffermazione di un'idea di giustizia sportiva comunque subordinata alla logica dei risultati agonistici;
   appare dubbia, per il caso in specie, la rispondenza del comportamento della Federazione calcio e dei suoi organismi di giustizia al principio di etica-sportiva –:
   se il Ministero da lei diretto non intenda promuovere una campagna di sensibilizzazione sul problema, denunciando l'approccio sbagliato di tanti genitori, e anche di molte società sportive, al tema dell'avviamento al calcio e allo sport dei bambini e creando le condizioni per contrastare concretamente ogni forma di degenerazione e se non intenda, come Ministro, promuovere anche unitamente alle diverse federazioni sportive, e alla Federcalcio in primo luogo, di programmare forme adeguate di iniziativa volte a mettere in risalto i contenuti e i valori educativi della pratica sportiva. (4-03046)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   nel comune di Torrazza Piemonte (provincia di Torino) è sita una discarica per rifiuti speciali, industriali, pericolosi e non, di proprietà della società «La Torrazza Srl» il cui controllo è riconducibile alla multinazionale Green Holding spa;
   la suddetta discarica è formata da 8 celle di cui sette esaurite ed una (360.000 metri cubi) di recente realizzazione. Il volume totale dell'impianto è di 800.000 metri cubi distribuiti su una superficie complessiva di 150.000 metri quadri. La capacità complessiva di raccolta rifiuti è pari a 1 milione di tonnellate;
   nel 1996 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si pronunciò sulla richiesta di conferire 700.000 metri cubi nella cella 8, tramite il DEC.VIA n. 2392 del 22 febbraio 1996, richiesta recepita dalla regione Piemonte con la DGR n. 9-29155 del 17 gennaio 2000, che autorizza la costruzione dell'ottava vasca, di 346.600 metri cubi;
   nell'anno seguente in data 30 ottobre 1997 la provincia di Torino con DD 249-1275027, ha rilasciato l'autorizzazione integrata ambientale alla discarica per rifiuti non pericolosi (cella 8), sita in località Fornace Nigra, comune di Torrazza Piemonte e sei anni dopo, con determina del dirigente del servizio pianificazione e gestione rifiuti, bonifiche, sostenibilità ambientale della provincia di Torino n. 80-25677 del 18 giugno 2013, la stessa autorizzazione è stata aggiornata autorizzando il conferimento di rifiuti pericolosi;
   il 23 luglio 2013 la società La Torrazza srl ha depositato in provincia di Torino gli elaborati del «Progetto definitivo di ampliamento della cella 8» chiedendo l'autorizzazione a portare nella cella 8 94.000 metri cubi di nuovi rifiuti tramite ampliamento volumetrico realizzato con deposito soprastante ai rifiuti già esistenti;
   poiché la discarica in oggetto si trova in un contesto ambientale già degradato per la presenza di numerose cave e nei comuni limitrofi insistono numerose discariche già la VIA n. 2392 del 22 febbraio 1996 riconosceva le difficoltà di amministrazioni e popolazioni, autorizzando espressamente il conferimento di massimo 350.000 metri cubi e chiarendo come «colmata la vasca in progetto, dovrà cessare sul sito l'attività di discarica», punto ribadito anche dalla DGR Piemonte 9-29155 del 17 gennaio 2000;
   la provincia di Torino ha comunicato le sue intenzioni di nuova interpretazione e rivalutazione della valutazione di impatto ambientale 2392 del 1996 al Ministero con lettera del 28 novembre 2012, lettera a cui provincia di Torino sostiene non sia arrivata risposta, il che sarebbe interpretato come un silenzio-assenso;
   il comune di Torrazza Piemonte ed il comune limitrofo di Verolengo hanno ripetutamente chiesto a provincia di Torino, a regione Piemonte ed al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare quale fosse la corretta interpretazione della valutazione di impatto ambientale, ritenendo che le prescrizioni configurino come illegittimo qualsiasi aumento di volumetria oltre a quello originariamente previsto;
   a tutt'oggi non sembra esser arrivata risposta dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare né a regione Piemonte, né a provincia di Torino, né ai comuni di Torrazza Piemonte e Verolengo –:
   quale risposta il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intenda fornire circa l'interpretazione data dagli uffici della provincia di Torino della dichiarazione di impatto ambientale 2392 del 1996 sull'ampliamento della volumetria originariamente prevista.
(2-00349) «Bonomo, Moscatt, Crivellari, Damiano, D'Ottavio, Arlotti, Rossomando, Marco Di Maio, Berlinghieri, Biondelli, Narduolo, Piccoli Nardelli, Fregolent, Campana, Bonaccorsi, Benamati, Taranto, Taricco, Piccione, Zardini, De Menech, Antezza, Senaldi, Censore, Bobba, Culotta, Bonifazi, Bossa, Marco Di Stefano, Basso, Borghi, Melilli, Capone, Amato, Misiani, Coccia, Burtone, Mattiello, Boccuzzi, Civati».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TERZONI, MANNINO, ZOLEZZI, BUSTO, DE ROSA, DAGA e SEGONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 3, comma 3, della legge quadro delle aree naturali protette n. 394 del 1991 ha introdotto il progetto «Carta della Natura» che doveva essere predisposta dai servizi tecnici nazionali con lo scopo di individuare lo stato dell'ambiente naturale in Italia, evidenziando i valori naturali e i profili di vulnerabilità territoriale;
   tale strumento, nell'intenzione del legislatore, doveva servire per l'elaborazione dei piani triennali previsti dall'articolo 4, comma 1, e al Comitato istituito al comma 1 dell'articolo 3 della legge n. 394 del 1991 per identificare le linee fondamentali dell'assetto del territorio dei parchi;
   con il decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, il Comitato per le aree protette viene soppresso e le sue funzioni trasferite alla Conferenza Stato-regioni e con decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, è soppresso il programma triennale per le aree naturali protette;
   per la produzione di questo progetto era stata autorizzata la spesa di lire 5 miliardi nel 1992, lire 5 miliardi nel 1993 e lire 10 miliardi nel 1994;
   sul sito dell'ISPRA è possibile consultare solo i documenti riferiti alle regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia e per il parco naturale Paneveggio – pale di S. Martino;
   ad oggi in generale i parchi non hanno potuto avvalersi di questo strumento che dovrebbe rappresentare la base per la programmazione delle loro attività –:
   se il Ministro sia a conoscenza di questa carenza;
   quale sia lo stato di avanzamento dell'elaborazione di questo documento e in maniera ragionevole quali tempistiche possano essere previste per la sua completa elaborazione e diffusione;
   a quanto ammonti ad oggi la spesa per l'elaborazione di questo documento.
(5-01780)


   MANNINO, BECHIS e DE ROSA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in risposta alle interrogazioni nn. 5-00811 e 5-00812 – aventi ad oggetto il rilascio delle concessioni demaniali per l'installazione di due strutture adibite ad uso turistico-balneare e ricreativo all'interno dei siti di interesse comunitario ricadenti rispettivamente all'interno dei comuni di Terrasini e di Porto Palo – il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha informato gli interroganti che, secondo dati forniti dalla regione siciliana risalenti al giugno 2013, «sono stati redatti 58 Piani di Gestione della rete Natura 2000 che accorpano 218 siti dei complessivi 238 siti (SIC e ZPS)»;
   nello stesso atto, per quel che concerne la designazione dei siti di interesse comunitario presenti all'interno della regione siciliana come zone speciali di conservazione, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha detto che «si può prevedere di predisporre a breve un primo decreto di designazione delle ZSC della Regione Sicilia con riferimento ai siti per i quali è intervenuta l'approvazione definitiva dei Piani di gestione, sempre che gli stessi contengano i requisiti minimi richiesti dalla Commissione europea (misure, specie e habitat)»;
   nell'atto soprarichiamato, con specifico riferimento al sito di interesse comunitario ITA 020009 «Cala Rossa e Capo Rama» viene precisato che il relativo piano di gestione è stato approvato con prescrizioni con la D.D.G. n. 665 del 30 giugno 2009 ed è dunque vigente per tutte le parti non comprese nelle prescrizioni;
   con specifico riferimento al sito di interesse comunitario 090010 «Isola Correnti, Pantani di Punta Pilieri, chiusa dell'Alga e Parrino» il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha precisato che il relativo piano di gestione è stato approvato con prescrizioni con la D.D.G. n. 673 del 30 giugno 2009;
   come è scritto nell'apposita sezione del sito web del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare «la designazione delle ZSC è un passaggio fondamentale per la piena attuazione della Rete Natura 2000 perché garantisce l'entrata a pieno regime di misure di conservazione sito specifiche e offre una maggiore sicurezza per la gestione della rete e per il suo ruolo strategico finalizzato al raggiungimento dell'obiettivo di arrestare la perdita di biodiversità in Europa entro il 2020» –:
   quanti dei 58 piani di gestione – che alla luce delle informazioni acquisite dalla regione siciliana nel mese di giugno 2013 risultavano redatti – hanno come oggetto siti di interesse comunitario e quanti riguardino le zone di protezione speciale;
   quanti dei piani di gestione relativi ai siti di interesse comunitario, che alla luce delle informazioni acquisite dalla regione siciliana nel mese di giugno 2013 risultavano redatti, siano stati approvati senza prescrizioni, e siano dunque vigenti per l'intera estensione del sito ovvero dei siti di interesse comunitario ai quali si riferiscono;
   quanti dei piani di gestione relativi ai siti di interesse comunitario siano stati approvati con prescrizioni che limitano l'efficacia delle misure previste alle sole parti degli stessi siti, per le quali non sono state poste delle prescrizioni;
   con quali modalità e tempistica venga verificata la rispondenza dei piani di gestione relativi ai siti di importanza comunitaria con i requisiti minimi richiesti dalla Commissione europea, al fine di poter pervenire alla designazione degli stessi SIC come zone speciali di conservazione;
   rispetto a quanti, e a quali, dei piani di gestione relativi ai siti di importanza comunitaria presenti nella regione siciliana siano attualmente in corso le verifiche di rispondenza rispetto ai criteri richiesti dalla Commissione europea al fine di poter pervenire alla loro designazione come zone speciali di conservazione.
(5-01783)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RICCIATTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il Lisippo di Fano è una scultura in bronzo attribuita all'artista ellenistico Lisippo, alta circa un metro e mezzo, senza piedi, pesante 50 chili, di grande valore storico artistico per il nostro Paese;
   tale statua è al centro di una irrisolta, benché risalente, contesa giuridico-diplomatica tra l'Italia e gli Stati Uniti;
   il Lisippo fu rinvenuto fortuitamente da un peschereccio italiano il 14 agosto del 1964, in una zona del mar Adriatico denominata «scogli di Pedaso»;
   successivamente la statua coperta di incrostazioni venne portata a terra e sotterrata in campo coltivato. La voce del ritrovamento si sparse negli ambienti antiquari e attraverso varie mani fu acquistata nel 1977 dal Getty Museum per quasi 4 milioni di dollari;
   la statua è tuttora esposta al Getty Villa a Malibù, in California;
   vari Governi italiani e la regione Marche, specie negli ultimi anni, hanno reclamato il ritorno della statua in Italia, ma il museo ha sempre replicato negativamente e ritenuto infondate le richieste, a causa dell'impossibilità di stabilire con precisione il luogo del recupero;
   nel novembre 2005, a Roma, l'ex conservatrice del Getty Museum, Marion True è stata accusata di associazione per delinquere e di traffico illegale internazionale di opere d'arte. Secondo l'accusa, la True avrebbe acquisito opere d'arte illegali provenienti dal deposito di Giacomo Medici, condannato nel marzo del 2005 a dieci anni di reclusione e a 10 milioni di euro di risarcimento danni allo Stato italiano, per traffico di opere trafugate da cinquanta tombe etrusche e implicato nel processo con il gallerista di Ginevra Robert Emmanuel Hecht, dal quale la stessa True avrebbe acquistato alcune opere per conto del Getty Museum;
   il Museo Getty ha esposto per la prima volta la statua di Lisippo nel 1974, ma non ha mai chiarito come l'opera sia entrata a far parte della sua collezione;
   nel 1990 il Ministero dei beni culturali italiano segnalava a quello degli affari esteri che un nuovo frammento del Lisippo era stato dissotterrato dal campo di cavoli di Carrara di Fano;
   la trattativa Italia-Usa si riapriva in seguito, con il Ministro pro tempore Rocco Buttiglione e poi con il successore e vice premier Francesco Rutelli, che vinceva un braccio di ferro con il Getty per la restituzione di 39 opere esportate illegalmente, ad eccezione del Lisippo, ritenuto troppo importante dal museo americano;
   il 4 aprile 2007 l'associazione culturale «Le Cento Città» presentava un esposto alla procura della Repubblica di Pesaro per violazione delle norme doganali e contrabbando;
   il pubblico ministero Silvia Cecchi chiedeva al Gip Daniele Barberini, la confisca della statua, una sanzione accessoria, applicabile anche quando il reato è prescritto;
   il gip in questione rigettava la richiesta;
   il pubblico ministero e l'associazione citata proponevano ricorso, con il sostegno dell'Avvocatura dello Stato, e il 12 giugno 2009 il nuovo, gip Lorena Mussoni dichiarava il bronzo bene «patrimonio indisponibile dello Stato», disponendone la confisca. Essendo stata ripescata da una nave italiana, e sbarcata a Fano, infatti, la statua era soggetta a obbligo di denuncia e lo Stato avrebbe dovuto poter esercitare un diritto di prelazione o di acquisto coattivo;
   il museo americano proponeva ricorso avverso la decisione del gip del tribunale di Pesaro, che veniva tuttavia respinto da altro gip dello stesso tribunale, il dottor Maurizio Di Palma, nel maggio del 2012;
   attualmente la controversia giudiziaria pende innanzi alla Corte di Cassazione che dovrebbe emettere la sua decisione il 25 febbraio 2014;
   parallelamente alla vicenda giudiziaria, diverse sono state le attività sul fronte diplomatico per riottenere il Lisippo di Fano;
   il Resto del Carlino dell'8 maggio 2012 riporta, da ultimo, la notizia di un contatto tra l'ambasciata americana e l'Avvocatura dello Stato italiano al fine di un incontro risolutore –:
   quale sia attualmente, lo stato della trattativa tra l'Italia e gli Stati Uniti per il rientro nel nostro Paese della statua;
   quali iniziative intendano intraprendere i Ministri interrogati per riportare in Italia il Lisippo di Fano. (5-01785)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'ARIENZO, ROTTA e ZARDINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   ValorePaese – dimore è un progetto promosso dall'Agenzia del demanio, Invitalia e Anci, in collaborazione con i Ministeri per i beni e le attività culturali, per la coesione territoriale, dello sviluppo economico, dipartimento per gli affari regionali, il turismo e lo sport, per la valorizzazione di immobili di pregio storico-artistico e paesaggistico e per lo sviluppo dei territori, attraverso la creazione di un network di strutture ricettivo-culturali, diffuso a scala nazionale;
   in linea con gli obiettivi del Piano strategico turismo 2020, ha lo scopo di potenziare l'offerta culturale e turistica dei territori, aumentando la competitività del Sistema-Paese, favorendo le eccellenze italiane: paesaggio, arte, storia, musica, moda, design, industria creativa, artigianato, enogastronomia;
   il programma delle misure necessarie ad assicurare la conservazione dei beni sono il recupero e la rifunzionalizzazione degli immobili volti principalmente alla salvaguardia delle qualità storiche ed architettoniche degli edifici, alla conservazione dell'integrità degli organismi, nel rispetto delle caratteristiche morfologiche, tipologiche e strutturali, della storicità ed artisticità degli elementi edilizi e decorativi;
   lo strumento è quello della concessione di valorizzazione che contempla la fruizione ampliata degli edifici storici coniugandola, in modo efficace, con le istanze di conservazione e la valorizzazione del patrimonio culturale;
   tra i beni da valorizzare sono compresi anche la caserma XXX maggio, la rocca e il padiglione grandi ufficiali di Peschiera del Garda (Verona), tre strutture di pregio storico elevatissimo;
   gli edifici in questione sono stati dichiarati di «interesse culturale particolarmente importante» e, quindi, inalienabili con appositi decreti del direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici del Veneto notificati nel 2011;
   nel giugno 2013, con la circolare 21/2013 la direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Veneto ha espresso dubbi in merito all'imposizione del vincolo storico per interesse «particolarmente importante» (articolo 10, comma 3, lettera d), del Codice dei beni culturali) sull'immobile detto «Padiglione degli Ufficiali». Il provvedimento di vincolo del 2011, confermato nell'impianto motivazionale nel 2012 dalla stessa direzione regionale su apposita richiesta dell'Agenzia del demanio, viene ora depotenziato, permettendo la concessione a terzi del diritto di superficie per 99 anni sull'immobile, ovvero l'alienazione de facto dello stesso;
   Il comune di Peschiera del Garda ha sottoscritto un protocollo con il Ministero dell'economia e delle finanze in data 13 aprile 2010 con il quale probabilmente troppo frettolosamente ha liquidato il tema solo ed esclusivamente dal punto di vista urbanistico;
   a differenza degli altri due, il compendio La Rocca e le relative pertinenze, compresi mura e bastioni della fortezza veneziana, del quale il 66 per cento sarà destinato per usi commerciale, alberghiero e servizi e il restante 34 per cento resterà in capo all'Amministrazione comunale, può essere sottratto alla concessione in questione e lasciato in uso al pubblico per consentire al comune e alle istituzioni del territorio di rispettare i parametri dettati dalla regione Veneto nel piano d'area che individua in Peschiera del Garda la «città della cultura e delle relazioni; il compendio La Rocca rappresenta l'emblema della storia bi-millenaria di Peschiera del Garda, ospitando al suo interno strutture di epoca tardo romana, prescaligera, scaligera, veneziana e asburgica;
   il procedimento è in fase avanzata e a breve potrebbe essere definito il bando europeo per la concessione dei beni al privato e che i contenuti del bando saranno dirimenti per l'uso/gestione dei beni in valorizzazione –:
   se non ravvisi l'opportunità di agire per escludere il compendio La Rocca dalla concessione di valorizzazione in questione;
   se non ravvisi l'opportunità di evitare l'alienazione de facto del Padiglione degli Ufficiali, fortemente relazionato con gli altri edifici storici della Fortezza, propendendo per una concessione cinquantennale di valorizzazione del bene;
   se intenda partecipare e con quali modalità e contenuti alla stesura del bando al fine di:
    a) favorire la vocazione territoriale di Peschiera del Garda e il necessario equilibrio tra l'offerta e il profilo identitario del luogo, intriso di cultura, storia e architettura romana, scaligera, veneziana e asburgica;
    b) consentire la fruizione pubblica dei beni culturali e artistici in parola, fissare che la proposta del privato doverosamente coniughi il principio dell'accessibilità con quello della visitabilità da parte di chiunque, soprattutto degli spazi aperti, vera cartina di tornasole della pubblicità perenne dei beni;
    c) inserire tra i requisiti imprescindibili del bando accorgimenti e indicazioni mirate esclusivamente a selezionare privati con consolidata e pluriennale esperienza nel delicato settore del rispetto e della conservazione dei beni culturali;
    d) evitare equivoci, considerato che la norma consente di subconcedere la concessione o cedere quote di partecipazione nell'eventuale ATI che dovesse essere costituita allo scopo, indicando quali tutele e garanzie intende inserire nel bando per obbligare ad accettare esclusivamente subentrante/i in possesso dei medesimi requisiti del/i cedente/i;
    e) non consentire successivi progetti di trasformazione dei beni verso ulteriori funzioni (residenziali e commerciali) senz'altro peggiorativi rispetto al contesto e agli obiettivi di valorizzazione culturale che si intendono perseguire.
(4-03038)


   GRIMOLDI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Certosa di Pavia, monumento tardo-gotico italiano realizzato nel XIV secolo e dichiarato monumento nazionale il 7 luglio 1866, necessita di lavori urgenti per le manutenzione straordinaria delle emergenze architettoniche, il restauro dei beni monumentali e storici, l'abbattimento delle barriere architettoniche, interventi prioritari sulle coperture e facciate, la ristrutturazione dei bagni e delle fognature, l'impianto parafulmine;
   le soprintendenze e la regione hanno finanziato alcuni interventi urgenti e il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha stanziato 250 mila euro per la sistemazione dei bagni, ma il complesso necessita di un piano strutturale che ripensi la gestione attuale;
   uno studio, segnalato nel 2012 dal provveditorato alle opere pubbliche della Lombardia e redatto nel 2004, valutava in 30 milioni di euro il costo degli interventi necessari ma studi successivi valutano necessità di interventi urgenti per cifre molto superiori;
   attualmente il monumento versa in una situazione di imminente pericolo e non assicura la piena fruibilità del sito e l'incolumità dei visitatori perché non presenta i requisiti minimi di messa a norma e di sicurezza;
   l'evento dell'Expo 2015 potrebbe essere un'occasione unica per la valorizzazione del complesso monumentale, anche in vista di un progetto in itinere che istituisce un servizio di navetta di collegamento del Castello Sforzesco di Milano con la Certosa –:
   se i Ministri interrogati, ciascuno per le proprie competenze, intendano adoperarsi per individuare le risorse necessarie per l'attuazione di un piano strutturale di interventi che, anche in vista dell'Expo 2015, possa garantire l'incolumità dei visitatori e la manutenzione straordinaria e il restauro del complesso monumentale della Certosa di Pavia. (4-03050)

DIFESA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della difesa, per sapere – premesso che:
   il 12 novembre 2013 è ricorso il decimo anniversario della strage di Nassyriah, in cui perirono dodici carabinieri, cinque militari dell'Esercito e due cineoperatori civili nostri connazionali, oltre a nove sfortunati passanti iracheni;
   quasi ovunque siano caduti militari del nostro Paese in missione all'estero, targhe e cippi ne commemorano il sacrificio: in particolare, in Afghanistan, dove ve ne sono purtroppo molti nelle basi Isaf di Kabul ed Herat;
   di contro, nulla pare ricordare a Nassyriah quanto accadde alla base Maestrale, a dispetto delle condizioni di sicurezza soddisfacenti in cui la città e la provincia del Dhi Qar vennero lasciate dal contingente italiano nel 2006;
   un simbolo fisico del tributo di sangue pagato dal nostro Paese a Nassyriah secondo gli interpellanti potrebbe rivelarsi utile anche alla promozione degli interessi economici della Repubblica nella zona, notoriamente ricca di giacimenti petroliferi –:
   perché il Governo non abbia ancora onorato il sacrificio delle vittime di Nassyriah assumendo iniziative per collocare nella città irachena in cui ebbe luogo una targa od un cippo alla loro memoria e cosa attenda a farlo.
(2-00350) «Giancarlo Giorgetti, Gianluca Pini, Marcolin, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Prataviera, Rondini».

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARCO DI MAIO, DONATI, DEL BASSO DE CARO, DE MENECH, D'INCECCO e DECARO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la risoluzione 3 dicembre 2008, n. 471/E, formulata dall'Agenzia delle entrate – direzione centrale normativa e contenzioso in tema di individuazione della residenza delle persone fisiche afferma che l'articolo 2, comma 2, del Testo unico delle imposte sui redditi non consente l'applicazione del principio del frazionamento del periodo di imposta, sicché, ad esempio, un cittadino straniero che trasferisca all'estero il proprio domicilio nella seconda metà del periodo di imposta resta attratto alla sfera di applicazione dell'Irpef per l'intero anno ed in ragione del world wide principale;
   detta risoluzione conclude affermando che: «... ai fini della normativa italiana – e, dunque, anche quella convenzionale, che rinvia sul punto alle norme interne – non è possibile considerare un soggetto residente limitatamente ad una frazione dell'anno di imposta»;
   la stessa risoluzione, tuttavia, ha poi aggiunto che: «in ogni caso, contrariamente a quanto ipotizzato dall'istante, alla fattispecie in esame non è applicabile il paragrafo 10 dei Commentario OCSE all'articolo 4, paragrafo 2 del Modello di Convenzione, in base al quale gli Stati possono prevedere, nelle singole Convenzioni bilaterali, il frazionamento del periodo d'imposta»;
   l'amministrazione riconosce l'efficacia del principio contenuto nei predetto paragrafo 10 (applicazione delle tie break rules alla frazione di periodo di imposta), ma, nei fatti, ne circoscrive l'applicazione alle due sole Convenzioni attualmente in vigore che esplicitano il principio della residenza delle persone fisiche per frazioni di anno (cfr. Convenzioni Italia-Svizzera; Italia-Repubblica Federale di Germania);
   in tal modo la risoluzione circoscrive l'applicazione del principio contenuto nel paragrafo 10 al verificarsi di una condizione estranea, dal punto di vista logico, al perimetro di applicazione dell'articolo 4, paragrafo 2, del modello di convenzione;
   di contro, l'applicazione del paragrafo 10 del Commentario OCSE all'articolo 4, paragrafo 2 non è subordinata ad una espressa previsione nella singola Convenzione bilaterale del principio della residenza delle persone fisiche per frazioni di anno di cui si occupa, piuttosto, l'articolo 4, paragrafo 1;
   l'interpretazione dell'Agenzia delle entrate appare in contrasto con la posizione assunta dal nostro Paese in sede OCSE quando ha contribuito alla redazione di quella parte del commentario senza esprimere specifiche riserve od osservazioni che valessero a limitarne l'applicazione nei termini ipotizzati della citata risoluzione;
   il nostro Paese ha ritenuto di esprimere un'esplicita osservazione in calce a tale parte del commentario ma relativamente al Paragrafo 24 e, dunque, in relazione a tutt'altra fattispecie;
   una presa di posizione che allinei l'ordinamento interno ai principi di diritto internazionale appare non più dilazionabile, posto che il loro omesso recepimento od il protrarsi di condizioni di incertezza in ordine alla loro concreta applicazione incide, fatalmente, sul livello di concorrenzialità delle imprese residenti che operano in ambito internazionale, sulle loro strategie di investimento e pregiudicano, in ultima analisi, la forza attrattiva ed il grado di competitività dei nostro sistema-Paese –:
   se il principio stabilito dal paragrafo 10 del commentario OCSE all'articolo 4, paragrafo 2, del modello di convenzione contro le doppie imposizioni abbia valenza generale e non sia subordinato alla presenza, nelle singole convenzioni bilaterali, delle specifiche previsioni richieste dalla risoluzione 3 dicembre 2008, n. 471/E;
   se il principio in parola sia teoricamente applicabile a tutte le convenzioni bilaterali e non solo alle convenzioni Italia-Svizzera e Italia-Repubblica Federale di Germania. (5-01788)

Interrogazione a risposta scritta:


   TOTARO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 21 dicembre 2013 si svolgerà l'assemblea degli azionisti della Banca popolare di Milano, convocata in via straordinaria per il rinnovo delle cariche dei consigli di sorveglianza e di gestione;
   negli ultimi due anni l'istituto bancario è stato oggetto di tentativi di riforma statutaria finalizzati a trasformarlo, in un'ottica chiaramente speculativa, da banca cooperativa in società per azioni, ipotesi non certo condivisibile per una banca di riferimento territoriale, ed in considerazione delle già gravi difficoltà di concessione del credito a risparmiatori ed imprese verso l'attuale crisi economica;
   in vista del rinnovo del consiglio di gestione del citato istituto bancario, sembrerebbe che l'attuale presidente del consiglio di gestione, dottor Andrea Bonomi (titolare del fondo di private equity «Investindustrial» maggiore azionista nel capitale di Bpm, e principale artefice del tentativo di trasformare la banca in una spa) stia prendendo accordi allo scopo di proseguire nell'azione di modifica dello statuto della banca –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se e quali iniziative intenda assumere a tutela dell'assetto cooperativo di istituti bancari come quello sopra richiamato, posto che la trasformazione in società per azioni esporrebbe i predetti istituti al rischio di azioni speculative e contrasterebbe con la principale funzione di assistenza finanziaria ai risparmiatori ed alle imprese esercitata dagli stessi. (4-03042)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   RIZZETTO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il diritto di adire la Corte di cassazione è, nell'ordinamento italiano, un diritto costituzionalmente garantito dall'articolo 111 comma 7, della Costituzione;
   il decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, ha introdotto nel codice di procedura civile italiano, con riferimento alle modalità di formulazione del ricorso in cassazione in sede civile, l'articolo 366-bis che ha statuito: «Nei casi previsti dall'articolo 360, primo comma, numeri 1), 2), 3) e 4), l'illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto. Nel caso previsto dall'articolo 360, primo comma, numero 5), l'illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione;
   pochi anni dopo, la legge 18 giugno 2009, n. 69, ha abrogato l'articolo 366-bis codice procedura civile, con la specifica motivazione dell'interpretazione eccessivamente formalistica della norma fornita dalla stessa Corte di cassazione rispetto alle modalità di redazione del quesito di diritto, con riferimento ai motivi attinenti a violazioni di legge, e del «momento di sintesi o di riepilogo» per i motivi attinenti a vizi motivazionali;
   l'abrogazione ha avuto effetto immediato per i ricorsi contrarie sentenze pronunciate dopo il 4 luglio 2009, ma, per ragioni di coordinamento temporale, l'articolo 366-bis (e quindi il requisito del quesito di diritto, per le violazioni di legge, e del momento ai sintesi, per i vizi motivazionali) è rimasto vigente limitatamente ai ricorsi già proposti e a quelli ancora proponibili contro le sentenze anteriori a tale data, pertanto, in considerazione dei tempi medi del giudizio di cassazione, ciò significa che, per qualche anno ancora, la Corte deve decidere di ricorsi obbligatoriamente tenuti a prospettare il quesito di diritto ed il momento di sintesi;
   sono stati migliaia i provvedimenti decisori della Corte di Cassazione che hanno dichiarato l'inammissibilità dei ricorsi, in base al controverso «filtro» di cui al tanto esecrato articolo 366-bis codice procedura civile, oggi abrogato;
   la pretesa di un «momento di sintesi», per i motivi di ricorso attinenti a vizi motivazionali, e di una formulazione dei quesiti di diritto, per i motivi di ricorso attinenti a violazioni di legge, in una modalità ideale che non era data conoscere si inscrive nell'approccio «eccessivamente formalistico» che la giurisprudenza della Corte di Strasburgo considera contrario al diritto al giudizio sul fondo delle proprie richieste che si ricava dall'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo in quanto «impedisce, di fatto, l'esame del merito della domanda fatta dall'interessato», così finendo per «violare il diritto di accesso all'organo giudiziario» (Corte di Strasburgo, Efstathiou ed altri v. Grecia, no. 36998/02, 24, 27 luglio 2006, Běleš ed altri v. Repubblica Ceca, no. 47273/99, § 60, 12 novembre 2002 e Zvolský e Zvolská v. Repubblica Ceca, no. 46129/99, 12 novembre 2002; Ewert v. Lussemburgo, no. 49375/07, § 94, 22 luglio 2010);
   addirittura, in molteplici giudizi l'eccezione di inammissibilità del ricorso è stata sollevata d'ufficio dalla Corte di Cassazione solo al momento della redazione della sentenza senza alcun contraddittorio su tale eccezione, neppure all'ultima udienza di discussione, in contrasto con il principio di equo processo di cui all'articolo 6, comma 1, della convenzione che comprende anche «il diritto al contraddittorio, ossia il diritto delle parti in causa di fare conoscere gli elementi necessari al successo delle loro pretese, ma anche di prendere cognizione di ogni documento o eccezione sollevata nonché di discuterne in giudizio» per cui «Anche il giudice deve rispettare il principio del contraddittorio, in particolare quando rigetta un ricorso o decide una controversia sulla base di un motivo sollevato d'ufficio o di una riqualificazione giuridica dei fatti operata d'ufficio» (Corte europea dei diritti dell'uomo, 22 settembre 2009, Cimolino c. Italia);
   in questi mesi, centinaia di ricorsi sono stati presentati innanzi alla Corte di Strasburgo per violazione dell'articolo 6 della Convenzione;
   ai sensi dell'articolo 46 della Convenzione, gli Stati contraenti devono conformarsi alle sentenze definitive pronunciate dalla corte europea laddove quest'ultima abbia ravvisato una violazione dell'articolato della Convenzione o dei suoi protocolli, di conseguenza, sullo Stato condannato grava l'obbligo di ripristinare la situazione anteriore alla violazione accertata e, solo in via sussidiaria e residuale, di accordare un'equa soddisfazione alla parte lesa (ex articolo 41);
   in sede penale, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 113 del 4 aprile 2011, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo n. 630 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede un diverso caso di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna al fine di conseguire la riapertura del processo, quando ciò sia necessario, ai sensi dell'articolo n. 46, paragrafo 1, della Convenzione europea dei diritti umani, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti umani;
   analogo rimedio di revisione non è concesso nel giudizio civile e pertanto i rimedi straordinari previsti dall'attuale codice del rito civile in relazione agli obblighi internazionali assunti dall'Italia con la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali appaiono inadeguati ed incompleti;
   la Corte di Strasburgo, con la sentenza sul caso Salduz c/ Turchia del 27 novembre 2008 ha affermato che la forma più appropriata di riparazione per una violazione dell'articolo 6, paragrafo 1, consiste nel far sì che il ricorrente si ritrovi per quanto possibile nella situazione che vi sarebbe stata se tale disposizione non fosse stata violata dunque, la stessa ritiene di conseguenza che la forma più appropriata di riparazione sarebbe, ammesso che il ricorrente ne faccia domanda, un nuovo processo, conforme alle esigenze dell'articolo 6, parte 1, della Convenzione –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno, con riferimento alle sentenze della Corte di Cassazione passate in giudicato, assumere ogni utile iniziativa normativa, affinché anche in sede di giudizio civile sia concessa la possibilità di chiedere la revisione di tali sentenze, nel caso in cui la Corte di Strasburgo accerti la violazione del diritto ad un processo equo ai sensi dell'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e, con riferimento ai giudizi ancora pendenti innanzi alla Corte di Cassazione rispetto ai quali troverebbe applicazione ratione temporis l'articolo 366-bis del codice di procedura civile, estendere gli effetti dell'abrogazione di tale articolo anche con riferimento alle sentenze impugnate in Cassazione e pronunciate prima del 3 luglio 2009. (4-03048)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CATALANO, BECHIS, NICOLA BIANCHI, DE LORENZIS, MANNINO e DA VILLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   per i dipendenti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, operanti presso la sede centrale della motorizzazione di Roma, e nelle sedi delle province dislocate in tutta Italia, è prevista la suddivisione nelle aree A, B e C;
   per gli appartenenti all'area A, ora area I, l'accordo integrativo dell'8 febbraio 2008, con disposizione transitoria di cui all'articolo 36, ha disposto che «in via eccezionale ed in prima applicazione del presente contratto, al fine di favorire i processi di riorganizzazione delle Amministrazioni, la contrattazione integrativa potrà promuovere iniziative di riqualificazione professionale intese ad agevolare i passaggi del personale in servizio dalla Prima alla Seconda Area», con risorse del fondo unico di amministrazione (FUA) 2007 di cui all'articolo 3 del contratto collettivo nazionale del lavoro del 6 febbraio 1999 come integrato dai successivi ccnl;
   con comunicazione del 1o dicembre 2008, l'amministrazione ha bloccato il passaggio del personale dall'area A verso l'area B, in accoglimento dei rilievi fatti dal dipartimento della funzione pubblica presenti nella comunicazione del 28 giugno 2008;
   risulterebbe agli interroganti che sarebbero stati emessi bandi di selezione per il passaggio di area, che sarebbero discriminatori nei confronti dei dipendenti già ricompresi nell'accordo nazionale integrativo sottoscritto nel 2008;
   risulterebbe agli interroganti che i lavoratori dell'ex area A che hanno maturato il diritto di passaggio all'area II in virtù dell'accordo succitato sarebbero 831;
   tuttavia, la direzione generale del personale e degli affari generali del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha dato disposizioni al dipartimento della funzione pubblica e alla ragioneria generale dello Stato, per l'inquadramento nell'area II dei soli 156 dipendenti che hanno vinto i ricorsi presso il TAR Lazio;
   l'attuazione dell'accordo è fondamentale ai fini della tutela dei diritti del lavoratore, di una maggiore efficienza della pubblica amministrazione, e del contenimento della spesa pubblica;
   il riconoscimento del diritto di passaggio di area non comporta oneri ulteriori per la finanza pubblica, essendo la qualifica retribuita con importi minori;
   l'assenza di aggravi per il bilancio rende a giudizio degli interroganti inutile ed illogica l'indizione dei concorsi succitati;
   il TAR Lazio, con sentenza n. 1412/2011, ha annullato gli atti del Dipartimento della funzione pubblica e del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che bloccavano l'accordo integrativo;
   a quanto consta agli interroganti la direzione generale del personale e degli affari generali del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha comunicato al dipartimento della funzione pubblica e alla ragioneria generale dello Stato di procedere, in esecuzione della sentenza TAR Lazio, all'inquadramento nella seconda area dei 156 ricorrenti UIL;
   il Consiglio di Stato, con sentenza n. 5414/2012, ha stabilito che «l'Amministrazione dovrà nuovamente provvedere sulla questione dei passaggi di area a suo tempo previsti dall'Accordo Integrativo dell'8 febbraio 2008»;
   l'Avvocatura dello Stato, con parere del 16 maggio 2012 inviato alle organizzazioni sindacali in data 28 maggio 2012 con prot. n. 26833, ha comunicato che la procedura finalizzata al passaggio dalla prima alla seconda area è applicabile anche ai dipendenti che non si siano costituiti in giudizio, poiché «la sentenza di annullamento di cui si ordina l'esecuzione riguarda atti di carattere generale»;
   il commissario ad acta incaricato dal TAR per l'applicazione dell'ordinanza, Arredi, ricopre, al contempo, anche il ruolo di capo del personale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti –:
   se non intenda intervenire ai fini di un'intesa che preveda il recupero integrale del vecchio accordo, anche se con differente decorrenza economica, riguardante tutti i dipendenti attualmente in servizio nella prima area;
   di quali elementi disponga in ordine all'opportunità e all'efficacia dell'attività svolta dalla direzione generale del personale e degli affari generali del Ministero in relazione alla vicenda di cui in premessa. (5-01787)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SBROLLINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni è entrato in vigore in Veneto l'orario ferroviario cadenzato;
   il nuovo sistema è stato introdotto puntando al raggiungimento di una maggiore efficienza;
   appare chiara la necessità di investire maggiori risorse nel trasporto pubblico ferroviario, bisogno disatteso. Ne consegue che si stiano verificando gravi disagi per i viaggiatori, per lo più pendolari. I viaggiatori spesso sono costretti in vagoni talmente pieni da dover viaggiare in piedi; i treni sono spesso così carichi di persone a bordo da lasciare a terra molti altri viaggiatori; si verificano spesso malfunzionamenti nei servizi resi da Trenitalia e ciò causa contraccolpi a catena;
   tali viaggiatori pagano biglietti e abbonamenti per servizi che non hanno –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle difficoltà sopra esposte e se non ritenga opportuno intervenire e riequilibrare la distribuzione del Fondo nazionale Trasporti che dovrebbe essere orientato a premiare le regioni virtuose tra cui il Veneto. (4-03036)


   CARDINALE e CAPODICASA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la strada statale 640 che collega l'autostrada PA-CT con Porto Empedocle rappresenta una dorsale strategica per la viabilità regionale poiché collega Agrigento a Caltanissetta, evitando l'isolamento di vaste aree interne della Sicilia;
   infatti, tale opera è stata inserita nel «I programma delle Infrastrutture strategiche», approvato con delibera CIPE 121 del 21 dicembre 2001, da realizzare con le procedure della legge obiettivo mediante contraente generale;
   essa si caratterizza dal punto di vista funzionale sia come asse stradale di penetrazione a servizio delle aree interne, sia come itinerario preferenziale di collegamento tra la Sicilia sud-occidentale e l'anello viario principale dell'isola, costituito dai collegamenti autostradali fra i tre principali centri metropolitani: l'A19 «Palermo-Catania», l'A20 «Messina-Palermo» e l'A18 «Messina-Catania»;
   ANAS ha avviato l'esecuzione delle opere relative alla prima tratta, aventi ad oggetto l'adeguamento a quattro corsie della strada statale 640 dal chilometro 9,8 al chilometro 44,4;
   le opere d'arte previste nel progetto consistono in 20 viadotti che si svilupperanno complessivamente per 6,4 chilometri, 3 gallerie e 8 svincoli a livelli sfalsati;
   l'investimento complessivo per la realizzazione dell'opera sarà di circa 500 milioni di euro, di cui 365 milioni di euro finanziati dalla regione Sicilia con fondi FAS e la restante quota a carico dell'ANAS;
   la seconda tratta della strada statale 640 «di Porto Empedocle» dal chilometro 44,4 al chilometro 70,3 che prevede l'adeguamento a quattro corsie con alcune varianti rispetto al tracciato, ha una lunghezza di circa 28,0 chilometri e richiede un investimento complessivo di 990 milioni di euro;
   le opere d'arte previste nel progetto sono 13 viadotti, 5 gallerie artificiali, 4 gallerie naturali e 6 svincoli a livelli sfalsati;
   il progetto definitivo è stato approvato dal CIPE con delibera 37/2009 del 26 giugno 2009;
   ANAS e il contraente generale hanno stipulato in data 7 luglio 2010 il contratto avente ad oggetto la progettazione esecutiva e la realizzazione dei lavori;
   ANAS ha approvato il progetto esecutivo in data 11 gennaio 2012 ed ha consegnato i lavori il successivo 26 gennaio 2012 –:
   quali siano le determinazioni di ANAS e del contraente generale in merito alla realizzazione delle opere di compensazione, previste nel progetto generale e di cui non si hanno notizie precise;
   quali certezze vi siano circa la realizzazione dello svincolo «Anghillà-Santo Spirito», di fondamentale importanza per lo sviluppo del territorio in quanto collegherebbe la zona compresa tra il centro storico di Caltanissetta e il Villaggio Santa Barbara, dove insistono numerose aziende produttive, tra le quali quella dell'Amaro Averna. (4-03039)


   GRIMOLDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   Milano ha uno straordinario patrimonio storico di opere d'arte idraulica che per la maggior parte risulta abbandonato;
   tale grande patrimonio di Conche del Quattrocento, del Cinquecento e dell'Ottocento è invidiabile da tutti i cittadini europei appassionati di canali;
   attualmente, la navigazione turistica si ferma inspiegabilmente al bordo della Conchetta, invece, come riportato in un articolo del Corriere della sera del 15 dicembre 2013, «se si usassero le conche già restaurate dal Naviglio di Pavia fino a Milano Fiori si consentirebbe ai visitatori della città di provare l'emozione delle concate nella città che, per prima in Europa, le conche le ha inventate»;
   l'utilizzo dei Navigli apporterebbe benefici non solo turistici ma anche ambientali migliorando lo stato di congestionamento da traffico della città;
   il comune di Milano ha già ricevuto in donazione i progetti per il restauro anche delle Conche più antiche;
   l'evento dell'Expo 2015 è un'occasione unica per il completamento del restauro e per la valorizzazione di questo straordinario patrimonio di Milano e la riapertura graduale dei Navigli –:
   se i Ministri intendano adoperarsi per individuare, nell'ambito dei finanziamenti per la realizzazione dell'evento Expo 2015, le risorse necessarie per il completamento del restauro e per la valorizzazione delle Conche della città di Milano e la riapertura graduale dei Navigli. (4-03049)


   GRIMOLDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la delibera CIPE del 9 settembre che stanzia 172,2 milioni di euro per il finanziamento della nuova linea 4 del Metrò di Milano non è stata ancora pubblicata, ma il Consiglio dei ministri ha dirottato 42,8 milioni su un'altra infrastruttura prioritaria per l'Expo 2015, il collegamento Zara-Expo;
   da quanto riportato sui mass media (Corriere della sera del 15 dicembre), l'assessore alla mobilità del comune di Milano ha minimizzato la questione spiegando che i finanziamenti della delibera CIPE non sono necessari nell'immediato per il cantiere della M4 da Linate a Forlanini Fs;
   sembra che l'assenza della delibera CIPE scompagini i piani della giunta comunale che aveva presentato un dossier della linea blu ai consigli di zona e promesso per il mese di novembre 2013 l'avvio delle operazioni preliminari sul parterre di corso Plebisciti, programmando la seconda fase di scavi per l'inizio del 2014;
   tutto è sospeso fino alla pubblicazione della delibera CIPE;
   il progetto prevede l'apertura di due stazioni nel semestre EXPO, Linate e Forlanini Fs, la chiusura del minipercorso al termine della manifestazione e l'attivazione dell'intera linea di 21 fermate dopo il 2020;
   il dirottamento di una parte dei finanziamenti fa temere ritardi nella marcia dei lavori e il ribaltamento del programma per la realizzazione dell'opera –:
   se il Ministro intenda adoperarsi per assicurare il ripristino dell'integrità dei finanziamenti per la realizzazione della linea 4 del Metrò di Milano, al fine di garantire l'apertura delle stazioni Linate e Forlanini Fs nel primo semestre dell'Expo 2015. (4-03051)

INTEGRAZIONE

Interrogazione a risposta orale:


   BERGAMINI. — Al Ministro per l'integrazione, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il 25 settembre il Congo ha bloccato le adozioni internazionali a causa di segnalazioni di abusi sui bambini adottati o sulla pratica di cederli a parenti una volta lasciato il Paese;
   i cittadini italiani devono rispettare criteri molto rigorosi per avviare le pratiche di adozione internazionale;
   le famiglie italiane che avevano concluso le pratiche di adozione, prima del blocco deciso dal Governo congolese, si sono rivolte al Ministro per l'integrazione, Cécile Kyenge, e con lei hanno raggiunto accordi verbali;
   i genitori italiani adottanti, in seguito a tali rassicurazioni, sono partiti per il Congo, al fine di chiudere il percorso di adozione, riportando in Italia i figli adottati;
   ai concittadini è stato però vietato di ripartire con i bambini adottati e le autorità congolesi hanno fatto loro presente che, alla scadenza dei visti, il rimpatrio sarebbe stato per loro obbligatorio e non avrebbero potuto portare con sé i figli regolarmente adottati;
   il Ministro per l'integrazione, Cécile Kyenge, rispondendo ad un'interpellanza sulla vicenda delle coppie adottive bloccate nella Repubblica democratica del Congo, in riferimento alla sua visita nel Paese africano a inizio novembre 2013, ha dichiarato che le autorità congolesi non hanno adempiuto agli impegni presi durante la sua visita. «Il vero motivo della sospensione delle pratiche» – ha dichiarato – «risiede nell'esigenza, tutta interna all'amministrazione congolese, di rivedere i vari passaggi delle proprie procedure di perfezionamento dell'adozione per fugare i dubbi di scarsa trasparenza (o addirittura di corruzione)» –:
   quali siano stati i passaggi formali, diplomatici e non, effettuati dal Governo rispetto ad una vicenda dalla quale sembra emergere una grave leggerezza e inadeguatezza nel trattare con la giusta attenzione e il meritato rispetto le famiglie dei nostri concittadini trattenuti in Congo.
(3-00530)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   POLVERINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il consiglio comunale della città di Aprilia era stato già chiamato a dare un segnale importante in merito all'episodio avvenuto nella notte tra il 25 ed il 26 agosto 2013, quando un incendio doloso distrusse l'auto dell'assessore Antonio Pio Chiusolo;
   il consiglio comunale aveva approvato una mozione che impegnava il sindaco e l'amministrazione a porre in essere «ogni azione ritenuta utile a salvaguardare la sicurezza collettiva e l'immagine della Città di Aprilia» ed «, a costituirsi parte civile negli eventuali procedimenti penali riconducibili all'attività dell'amministratore, lesivi non solo all'immagine della Città, ma anche dannosi al tessuto economico, produttivo e alla sicurezza sociale»;
   nella giornata del 20 dicembre 2013 il sindaco della città di Aprilia ha convocato, in via straordinaria, una conferenza per comunicare le decisioni assunte dall'assessore Antonio Pio Chiusolo che ha rimesso nelle mani del sindaco le deleghe assessorili alle finanze ed agli affari generali, a seguito di ulteriori nuovi gravi atti intimidatori indirizzati alla sua persona, oggetto di una formale denuncia già presentata all'Arma dei carabinieri –:
   quali iniziative il Governo, intenda adottare per garantire la sicurezza dell'assessore Chiusolo e degli amministratori della città di Aprilia e se siano state attivate indagini per assicurare alla giustizia gli autori delle gravissime minacce.
(4-03035)


   NACCARATO, MIOTTO e NARDUOLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 21 novembre 2013 i carabinieri di Piove di Sacco, in provincia di Padova, hanno arrestato, per detenzione abusiva di armi, tre incensurati di Sant'Anna di Piove di Sacco, che avevano trasformato il garage in un deposito di armi, proiettili, esplosivi di fabbricazione artigianale e sostanze chimiche;
   i tre arrestati risultano, da tempo, privi di occupazione stabile e appare probabile che la fabbricazione di armi e ordigni esplosivi sia stata la principale fonte di sostentamento per l'intero nucleo familiare, facendo presupporre un giro di affari sufficiente al mantenimento anche degli altri componenti della famiglia;
   il giorno seguente alla scoperta dell'arsenale il pubblico ministero competente ha trasmesso gli atti a tutte le procure del Veneto in modo da facilitare le indagini e chiarire eventuali collegamenti con un altro magazzino abusivo di armi scoperto nello stesso periodo in un garage di Fiesso D'Artico, in provincia di Venezia;
   in questo secondo caso il deposito apparteneva ad un incensurato originario di Padova che, però, risulta collegato ad un ex componente della nota banda criminale, guidata in passato da Felice Maniero;
   i due sono stati fermati a bordo di un'auto rubata all'interno della quale sono stati trovati un mitra, un fucile e una pistola con il numero di matricola abraso oltre a chiodi a quattro punte per facilitare la fuga e inibire l'inseguimento;
   le comunità e le istituzioni locali hanno espresso fortissime preoccupazioni per queste notizie che lasciano intuire un tentativo di riorganizzazione di bande criminali in un territorio già segnato in passato dall'attività della criminalità organizzata;
   in particolare desta allarme la presenza di armi e di una struttura per la loro fabbricazione che è da collegarsi alle attività di organizzazioni criminali –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopraesposti;
   quali provvedimenti, di sua competenza, intenda adottare, anche attraverso la collaborazione degli uffici territoriali del Governo, per prevenire e contrastare il traffico di armi e le attività di bande criminali nel territorio del Veneto.
(4-03040)


   D'UVA, CURRÒ, VILLAROSA, GRILLO, DI VITA e MARZANA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni gli sbarchi di migranti si sono verificati con cadenza pressoché giornaliera lungo le coste della Sicilia e delle sue isole minori;
   nel mese di ottobre 2013 l'intero Paese si è scosso alla drammatica notizia dell'ennesimo rovesciamento di un barcone carico di persone che, fuggite dai propri Paesi d'origine, cercavano asilo nel territorio italiano;
   gli ultimi naufragi avvenuti nel bacino del Mediterraneo hanno causato oltre 500 vittime accertate;
   i migranti che nel corso di questi anni sono riusciti a raggiungere, nonostante i mezzi di fortuna e le condizioni meteo avverse, le coste italiane, sono stati accolti dal nostro Paese in strutture non sempre adeguate e, in alcuni casi, in condizioni molto lontane dalle recenti normative in ambito umanitario;
   un Paese civile come l'Italia non può far rientrare nella definizione di centro di accoglienza le tendopoli, una delle quali è stata recentemente installata a Messina, presso una struttura universitaria;
   le tendopoli installate con mezzi di fortuna e in modo approssimativo, qual è l'attuale condizione del centro messinese, violano chiaramente quanto sancito nella dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, secondo la quale: «..I diritti umani si applicano a tutte le persone senza distinzione di alcun genere, come la razza, il colore, il sesso, la lingua, la religione, l'opinione politica o di altra natura, l'origine sociale o nazionale, la proprietà, la nascita o altro status.»;
   secondo le notizie riportate dalla testata blogsicilia.it, cinquantotto docenti dell'università degli studi di Messina avrebbero presentato, tramite lettera aperta al rettore dell'università degli studi di Messina, professor Pietro Navarra, espressa richiesta di ritiro della disponibilità ad accogliere la tendopoli all'interno della struttura universitaria denominata «Pala Nebiolo»;
   da quanto riportato dalle più rilevanti testate giornalistiche locali, sta per essere esitata una ordinanza sindacale per la requisizione della struttura privata «Le Dune» al fine di destinarla all'ospitalità dei migranti;
   a seguito di un'ispezione effettuata in data 9 dicembre 2013 dall'onorevole Valentina Zafarana, deputata presso l'assemblea regionale siciliana, alla tendopoli di Messina risultavano presenti circa quaranta rifugiati, per lo più minorenni, che disponevano di un limitato numero di servizi igienici chimici e venivano ospitati all'interno di tende molto umide a fronte della rigida temperatura invernale;
   da questa è risultato inoltre che molti dei rifugiati non erano stati ancora fotoidentificati dopo due giorni lavorativi e che alcune donne accudivano solamente alcuni dei minori presenti, dal momento che i restanti non risultano essere accompagnati;
   le forme di sovvenzione attualmente previste risulterebbero piuttosto consistenti, dal momento che la cifra pro capite erogata è di circa trenta euro al giorno;
   la città di Messina, alla luce delle premesse sin qui esposte, non sembra adeguatamente preparata all'accoglienza dei migranti –:
   se si intendano rispettare gli obblighi derivanti dalle attuali normative in tema di immigrazione e di tutela dei fondamentali diritti umani;
   se sia a conoscenza che la città di Messina è stata individuata come centro di smistamento per i richiedenti asilo politico;
   quali iniziative intenda assumere per fornire un'adeguata ospitalità, anche nel rispetto del regolamento (UE) n. 604/2013, cosiddetto «Dublino III», con particolare riferimento alla tipologia di strutture adibite per l'accoglienza di queste persone e rispettivi finanziamenti. (4-03043)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   le istituzioni scolastiche vantano nei propri bilanci consistenti residui attivi nei confronti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, residui certificati e iscritti nei Conti consuntivi delle singole scuole e attesi da anni (sia da parte degli uffici scolastici regionali fino al 2006, che da parte del Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca dal 2007 a tutt'oggi), nonché oggetto di numerose e ripetute rilevazioni; i suddetti residui ammonterebbero, secondo taluni dirigenti amministrativi del Miur, circa 580 milioni di euro;
   la maggior parte dei suddetti crediti vantati dalle istituzioni scolastiche consistono in anticipazioni effettuate negli anni per garantire la didattica e il regolare svolgimento delle lezioni, assicurando, a fronte di stanziamenti di risorse insufficienti del Miur, il pagamento (cosiddetto «netto in busta») degli stipendi del personale supplente e/o i compensi per lo svolgimento degli esami di Stato con le uniche risorse a disposizione negli anni, cioè i contributi delle famiglie e/o fondi propri delle scuole;
   quello che è accaduto, diventando prassi consolidata in tutte le istituzioni scolastiche, è che i direttori scolastici per la gestione amministrativa e i dirigenti scolastici, per garantire – pur in assenza delle risorse del Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca – il corretto funzionamento delle scuole, hanno pagato con i fondi dei contributi delle famiglie le supplenze e i compensi per gli esami di Stato, senza effettuare tuttavia il pagamento degli oneri contributivi, in attesa di ricevere i dovuti versamenti da parte del Ministero; le scuole sono solite poi provvedere, in occasione delle restituzioni di risorse con erogazioni in conto residui attivi da parte del Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca (ancorché parziali, e insufficienti), di volta in volta e fino alla concorrenza del finanziamento ricevuto, a regolarizzare i pagamenti con le Agenzie delle entrate per contributi e ritenute (IRPEF, addizionali regionali e/o comunali, INPS/INPDAP e IRAP) relative agli stipendi e/o compensi anticipati «al netto»;
   per i suddetti ritardati pagamenti, non imputabili alle istituzioni scolastiche, sono comminate sanzioni onerose, con more molto elevate da parte delle Agenzie delle entrate e/o da Equitalia e con diritto di rivalsa sul dirigente scolastico e sul direttore scolastico per la gestione amministrativa;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca fino ad ora non è intervenuto, o l'ha fatto individuando addirittura profili disciplinari e responsabilità dirette del direttore scolastico per la gestione amministrativa e del dirigente scolastico, pur riconoscendo «la scarsità delle risorse finanziarie disponibili e la necessità del vincolo di destinazione delle stesse»;
   questa situazione paradossale mette in ulteriore difficoltà economica le scuole, facendo ricadere sui direttori scolastici per la gestione amministrativa e i dirigenti scolastici la responsabilità di un omesso o ritardato pagamento degli oneri contributivi di cui è causa esclusivamente il Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca, che con ritardo è solito provvedere a liquidare le somme dovute –:
   come i Ministri interpellati intendano intervenire affinché non si applichino sanzioni e more a carico delle istituzioni scolastiche, dei dirigenti scolastici e dei direttori scolastici per la gestione amministrativa che non hanno potuto pagare in tutto o in parte i contributi a carico dello Stato (datore di lavoro) e/o le ritenute a carico dei lavoratori nei tempi dovuti, a causa della mancata erogazione a tempo debito di finanziamenti specifici con vincolo di destinazione da parte dello Stato stesso.
(2-00348) «Boccadutri, Aiello, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, Di Salvo, Duranti, Daniele Farina, Fava, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Lacquaniti, Lavagno, Marcon, Matarrelli, Melilla, Migliore, Nardi, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piazzoni, Pilozzi, Piras, Placido, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zan, Zaratti».

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARTELLA e MORETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Dayli, noto brand di negozi di prodotti per la casa, ha ben 290 punti vendita sul territorio nazionale e un unico magazzino logistico avente sede a Portogruaro (VE);
   con interrogazione n. 4-00590 presentata dal sottoscritto al Ministero dello sviluppo economico, lo scorso 27 maggio 2013, avevo già posto all'attenzione del Governo la questione relativa alle criticità finanziarie del gruppo e le possibili negative ripercussioni occupazionali presso i punti vendita ed in particolare anche per la sede del magazzino logistico di Portogruaro, che conta 120 dipendenti;
   per fronteggiare la crisi, a seguito di un accordo con le organizzazioni sindacali, il magazzino di Portogruaro accede per i propri dipendenti alla soluzione del contratto di solidarietà con riduzione oraria al 40 per cento e anticipo in busta paga da parte dell'azienda;
   questa soluzione copre l'arco temporale che va dal 25 marzo 2013 al 17 luglio 2013;
   con decreto ministeriale del 15 ottobre 2013, il n. 76261 a partire dal 17 luglio 2013 l'azienda comunica al Ministero del lavoro la cessazione anticipata del contratto di solidarietà;
   con l'annullamento del contratto di solidarietà l'azienda comunica la collocazione di tutti i lavoratori del magazzino in cassa integrazione a zero ore;
   in data 23 giugno 2013 presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è stato, quindi, sottoscritto un accordo di cassa integrazione guadagni straordinaria a rotazione con causale: riorganizzazione per la chiusura di circa 90 punti vendita del gruppo;
   il successivo 16 luglio 2013, sempre presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, viene sottoscritto un verbale di modifica di quello del 23 giugno 2013 che mette in cassa integrazione a zero ore tutti i dipendenti del gruppo a partire dal giorno 18 luglio 2013, compreso magazzino di Portogruaro, con causale: crisi aziendale;
   il successivo 17 luglio l'azienda invia al Ministero la comunicazione di soppressione dell'accordo di solidarietà per il solo magazzino di Portogruaro;
   il giorno 23 ottobre 2013 con il decreto ministeriale n. 76369 viene approvato il programma di cassa integrazione guadagni straordinaria a partire dal 23 giugno;
   l'anomalia evidente è che la causale risulta essere crisi aziendale e non invece «riorganizzazione», come, invece, prevedeva il primo accordo siglato del 23 giugno e non il successivo del 16 luglio 2013;
   le competenti sedi territoriali INPS per la erogazione del trattamento dichiarano di non avere i modelli SR41 e quindi di non potere pagare gli importi dovuti alle maestranze;
   la Dayli completa l'invio complessivo dei modelli SR41 soltanto venerdì 13 dicembre 2013;
   a seguito di quanto accaduto, l'INPS di San Donà di Piave, competente per quanto riguarda i lavoratori del magazzino di Portogruaro, ha comunicato che per questi lavoratori non vi è il decreto di cassa integrazione e risultano essere ancora sotto contratto di solidarietà –:
   come mai, per i lavoratori del magazzino di Portogruaro, a seguito della emanazione del decreto di cassa integrazione guadagni straordinaria per la Dayli, non sia stato comunicato il conseguente annullamento del contratto di solidarietà e se il Ministro intenda porre rimedio, in tempi rapidissimi, a tale assurda situazione prevedendo per questi lavoratori una corsia preferenziale presso la competente sede Inps affinché le spettanze possano essere liquidate con la massima celerità in considerazione del fatto che le maestranze risultano essere senza reddito da sei mesi. (5-01784)

Interrogazione a risposta scritta:


   BENEDETTI, ROSTELLATO, TRIPIEDI, COMINARDI, BECHIS, BALDASSARRE, CIPRINI, RIZZETTO, CHIMIENTI, LUPO, GAGNARLI, L'ABBATE, MASSIMILIANO BERNINI, PARENTELA, GALLINELLA, TURCO, SARTI, COLLETTI, BONAFEDE, FERRARESI, AGOSTINELLI, BUSINAROLO e MICILLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i quotidiani del 19 dicembre 2013 hanno riportato che sul mercato agroalimentare di Roma, denominato C.A.R., situato a Guidonia, si è dato luogo a una operazione di polizia giudiziaria su disposizione della procura della Repubblica di Tivoli in materia di repressione di sfruttamento del lavoro minorile di extracomunitari sotto forma di facchinaggio;
   in particolare il Corriere della Sera ha riferito che «decine di giovanissimi — più di un centinaio, per lo più ospiti delle strutture d'accoglienza del comune, che ogni giorno si recavano al mercato e, dopo aver scavalcato le recinzioni — e in qualche caso averle rotte —, lavoravano per conto di commercianti stranieri per 100-150 euro al mese scaricando e caricando merci sui camion»;
   il quotidiano Il Tempo ha messo in luce il rinvenimento di documentazione falsificata, per alcuni bambini lavoratori in nero, al fine di dimostrare un'età falsa superiore ai 14 anni per aggirare le norme di tutela del lavoro minorile italiane;
   ne Il Tempo si riferisce che questa tranche del 19 dicembre di attività di polizia giudiziaria della procura di Tivoli è la continuazione di una indagine che è cominciata un anno e mezzo fa;
   sempre ne Il Tempo il direttore del C.A.R., Massimo Pallottini, in una intervista dichiara di avere scritto al prefetto di Roma una lettera pesante di denuncia della situazione di Guidonia sul lavoro minorile illegale; addirittura il coordinatore della sicurezza interna del C.A.R. era stato minacciato perché «allontanava gli imbucati»; non si ha notizia peraltro nell'intervista di nessuna denuncia di Pallottini all'autorità giudiziaria –:
   perché non siano state adottate misure rigide di inibizione dello sfruttamento minorile, noto da almeno un anno e mezzo, in materia di facchinaggio del mercato ortofrutticolo di Guidonia che serve tra l'altro Roma, capitale d'Italia;
   perché il prefetto di Roma Pecoraro non abbia adottato misure urgenti incisive sul C.A.R. sulla base dell'esposto scritto dal direttore Pallottini;
   se l'ispettorato del lavoro nell'ultimo anno e mezzo abbia rilevato o meno la piaga del lavoro minorile nel CAR di Guidonia e comunque abbia rilevato anomalie in altre situazioni lavorative di facchinaggio del CAR che appare perfuso da un alto livello di illegalità;
   se non si consideri opportuno l'invio urgente degli ispettori del lavoro a Guidonia con continuità e frequenza incessante per eliminare la vergogna del lavoro minorile nel facchinaggio delle derrate agroalimentari destinate alla spesa quotidiana soprattutto dei cittadini romani, che non vogliono essere complici indiretti del consumo di prodotti nella cui fase di lavorazione c’è un importante macchia di illegalità. (4-03045)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   TERZONI, ZOLEZZI, BUSTO, DE ROSA, DAGA, SEGONI e MANNINO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   sono numerose le segnalazioni che giungono da tutto il territorio nazionale di sversamenti di digestato nei corsi d'acqua dai canali ai fiumi fino al mare. Questi sversamenti che avvengono per carenze nella progettazione degli impianti biogas, danni agli impianti stessi e mancati controlli, provocano seri danni agli habitat che necessitano di diversi anni per essere bonificati;
   non ultimo lo sversamento verificatosi ad inizio agosto 2013 nel fiume Chienti in provincia di Macerata con conseguente divieto di balneazione nelle spiagge di Civitanova e Porto Sant'Elpidio dove si è verificata anche moria dei pesci;
   nelle scorse settimane altre segnalazioni corredate di rilievi fotografici sono arrivate dai comitati di cittadini che stanno seguendo con preoccupazione i continui sversamenti nel fiume Esino derivanti dalla centrale operativa nel territorio del comune di Matelica e per i quali è stata fatta richiesta di analisi delle acque;
   le stesse segnalazioni arrivano da più parti, del territorio italiano;
   come se non bastasse tale digestato viene utilizzato nelle attività agricole come ammendante e quindi sparso sui terreni con conseguente rischio che i nitrati contenuti in grande quantità nella loro composizione possano percolare nelle falde acquifere e raggiungere canali e fiumi. Tale pratica viene eseguita anche su terreni in forte pendenza e confinanti a valle con canali e fiumi e spesso indipendentemente dalle condizioni metereologiche;
   nell'articolo 1 della 91/676/EEC si legge che la direttiva nitrati mira a ridurre l'inquinamento delle acque causato direttamente o indirettamente dai nitrati di origine agricola e a prevenire qualsiasi ulteriore inquinamento di questo tipo;
   l'Italia è appena uscita dalla procedura di infrazione, per la quale era stata messa in mora, per la violazione della stessa direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole (riferimento n. 2032/2013) –:
   se non ritenga necessario attivare tutti gli organismi di controllo in grado di intraprendere una seria analisi delle conseguenze dell'uso del digestato nelle attività agricole sulle falde acquifere e sulla fertilità dei terreni;
   se non si ritenga necessario assumere iniziative al fine di introdurre normative più stringenti di quelle oggi esistenti per limitare se non vietare l'uso del digestato come ammendante per evitare che si ripropongano le condizioni che avevano portato alla messa in mora dello Stato Italiano. (4-03037)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   MANNINO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 attribuisce al Ministero della Salute le funzioni spettanti allo Stato, in materia di tutela della salute umana, di tutela della salute nei luoghi di lavoro e di igiene e di sicurezza degli alimenti;
   lo stesso decreto legislativo stabilisce che il Ministero della Salute svolge le funzioni di competenza statale concernenti la tutela della salute umana anche sotto il profilo ambientale, nonché il monitoraggio della qualità delle attività sanitarie regionali;
   a seguito di sopralluoghi effettuati dalle competenti autorità il 6 dicembre 2005 risultava che la «cementeria di Isola delle Femmine», sita nel comune di Isola delle Femmine, utilizzasse come combustibile, per i propri impianti di produzione, il petcoke senza avere ottenuto alcuna autorizzazione;
   a seguito di un atto di diffida della regione siciliana, il gestore dell'impianto ha presentato, in data 3 novembre 2006, un'istanza per ottenere l'Autorizzazione Integrata Ambientale necessaria a realizzare un progetto di conversione tecnologica degli impianti produttivi (revamping);
   nel corso del procedimento autorizzatorio, il soggetto gestore ha chiesto il rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale, esclusivamente per l'impianto esistente includendo il coke di petrolio tra i combustibili utilizzati, impegnandosi a ripresentare una richiesta di autorizzazione per la realizzazione del progetto di conversione tecnologica dell'impianto, dopo aver acquisito il necessario giudizio di compatibilità ambientale per la realizzazione delle opere previste nello stesso progetto;
   con decreto del responsabile del servizio n. 693 del 18 luglio 2008, è stata rilasciata alla società italcementi SpA l'autorizzazione integrata ambientale per l'impianto esistente «cementerà di Isola delle Femmine», sito nel comune di Isola delle Femmine, che consente l'impiego del coke di petrolio tra i combustibili autorizzati;
   l'articolo 6 del decreto n. 693 del 2008 stabilisce che «il provvedimento definitivo sarà subordinato alle risultanze della visita di collaudo», in seno alla quale gli enti preposti al controllo potranno, se ritenuto necessario, modificare le condizioni e le prescrizioni autorizzative, stabilite dall'articolo 7 dello stesso decreto n. 693 del 2008;
   l'articolo 7 del decreto n. 683 del 2008 elenca, dettagliatamente, le condizioni e le prescrizioni che devono essere rispettate relativamente al recupero dei rifiuti come materie prime, ai limiti di emissione, alla conversione tecnologica dell'impianto, all'uso dei combustibili e ai consumi energetici, al trattamento dei rifiuti prodotti e infine alle attività di monitoraggio, stabilendo che l'efficacia dell'Autorizzazione Integrata Ambientale «viene subordinata al rispetto delle condizioni e di tutte le prescrizioni impartite dalle competenti autorità intervenute in sede di conferenza di servizi», e che a far data dalla notifica del provvedimento «dovranno essere osservate le prescrizioni relative all'applicazione delle migliori tecniche disponibili, dettate dai rappresentanti degli Enti preposti a rilasciare parere in conferenza di servizi decisoria» riportate dettagliatamente nello stesso decreto;
   tra le prescrizioni relative all'impianto, fissate dal Decreto 683/2009, all'articolo 7, è stato inserito l'obbligo, per il gestore, di procedere – entro 24 mesi dal rilascio dell'autorizzazione – alla conversione tecnologica (il cosiddetto revamping) dell'impianto con il completo allineamento delle migliori tecniche disponibili (M.T.D.) per la produzione del cemento, al fine di ottenere un sostanziale abbattimento dei principali inquinanti: polveri, ossidi di azoto e ossidi di zolfo;
   a distanza di più di 5 anni dal rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale, la conversione tecnologica dell'impianto, prescritta dall'articolo 7 del decreto n. 683 del 2009, non è stata realizzata;
   non risulta che l'amministrazione competente al rilascio dell'AIA abbia effettuato alcun controllo in ordine all'effettivo adempimento, da parte del soggetto gestore, alle prescrizioni dettagliatamente elencate nel decreto n. 683 del 2009, nonostante – in data 18 gennaio 2011 – sia stata comunicata all'amministrazione regionale e all'autorità giudiziaria una situazione di emergenza ambientale relativa a notevoli e pericolose esalazioni di fumo provenienti dalla cementeria;
   nel comune di Isola delle Femmine, in provincia di Palermo, continua, dunque, ad operare un impianto per la produzione del cemento, che non utilizza le tecnologie disponibili per conseguire un effettivo abbattimento delle emissioni inquinanti: polveri, ossidi di azoto e ossidi di zolfo;
   la mancata ottemperanza alle prescrizioni fissate nel provvedimento di rilascio dell'Autorizzazione Integrata Ambientale – e in particolare a quella concernente l'obbligo di adeguamento tecnologico dell'impianto esistente – non costituisca una grave minaccia per la salute pubblica stante la stessa collocazione dell'impianto rispetto ai centri abitati circostanti –:
   quali elementi disponga in merito alla situazione e ai fatti esposti;
   se intenda assumere iniziative al fine di tutelare la salute delle comunità che abitano nel territorio interessato dalle emissioni inquinanti connesse al funzionamento della cementeria di Isola delle Femmine. (4-03034)


   NARDI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in questi ultimi anni l'attività di programmazione e gestione delle attività sanitarie di prevenzione, cura e riabilitazione, delle attività socio-assistenziali a rilievo sanitario e delle attività sociali è stata fondamentale al fine di offrire un Servizio sanitario nazionale focalizzato sulla prevenzione e sulla cura tempestiva;
   le indagini sanitarie prenatali hanno visto crescere risultati positivi sul piano delle patologie curabili fin da prima della nascita;
   gli interventi chirurgici neonatali seguiti alle diagnosi fetali hanno modificato sensibilmente i dati delle patologie cardiache infantili;
   fra le strutture che si occupano di questo importante aspetto del Servizio sanitario nazionale c’è anche il dipartimento infantile dell'ASL 1 di Massa Carrara;
   da quando nel 2006 l'edificio di Montepepe, ampliato con il contributo regionale (16 miliardi di lire), è divenuto sede del Dipartimento infantile dell'ASL 1, costituendo un «unicum» nel percorso nascita delle gravidanze a rischio per cardiopatie congenite fetali per la complanare adiacenza della cardiochirurgia infantile e soprattutto delle sue terapie intensive, l'attività specialistica non solo ha raggiunto livelli di qualità da tutti riconosciuti, ma ha garantito alle nascita in presenza di cardiopatie un'assistenza sanitaria di eccellenza, come in nessuna altra parte della Toscana;
   l'eccellenza della struttura è confermata anche dai numeri:
    nel 2013 vengono assistite 40 gravidanze a rischio per cardiopatie congenite diagnosticate in utero (un dato molto elevato, se si considera la patologia fortunatamente rara);
    la mortalità a 30 giorni è dello 0 per cento nel 2012, per la cardiochirurgia pediatrica (in Europa la mortalità media a 30 giorni è di circa il 3,6 per cento);
    ha il primo posto in Toscana negli interventi di valvuloplastica/sostituzione valvolare (mortalità a 30 giorni 1,75 per cento, con una media nazionale di 3,05);
    ha il secondo posto in Toscana negli interventi di bypass aortocoronarico (mortalità a 30 giorni 1,52 per cento contro una media nazionale di 2,49 per cento);
    ha il primo posto in Toscana per numero di coronarografie, di angioplastiche coronariche e quinto posto in Italia per sedute di emodinamica effettuate;
    nell'ambito delle attività di ricerca moltissime sono le pubblicazioni e gli studi che pongono l'Opa centro di avanguardia in tale settore;
   lo spostamento del materno-infantile (ostetricia e neonatologia) dall'ospedale Pediatrico apuano al Nuovo ospedale N.O.A. (inaugurazione prevista a fine 2014) potrebbe pregiudicare il ruolo dell'ospedale del Cuore «G. Pasquinucci» e portare allo smantellamento della cardiochirurgia infantile in quanto l'eventuale trasferimento del punto nascita all'Ospedale Unico di Viale Mattei (NOA) farà cessare la collaborazione ottimale che si è verificata sino ad oggi. Si tratterebbe di un trasferimento assurdo: un trasferimento che indebolisce radicalmente l'Ospedale del Cuore minando una delle eccellenze del settore nel panorama nazionale: la diagnosi ed il percorso del feto cardiopatico fino al parto;
   la storia del dipartimento materno-infantile dell'ospedale pediatrico apuano pone il problema dell'assetto complessivo di un settore  quello delle cardiopatie congenite diagnosticate in utero e neonatali che merita un'attenzione particolare e di cui va curata la qualità e la diffusione –:
   quale sia la situazione nazionale per la cura delle cardiopatie prenatali e neonatali e di quali strutture d'eccellenza in questo ambito dispone il Servizio sanitario nazionale, nonché quali siano le linee programmatiche del Ministero al fine della prevenzione e cura delle suddette patologie che necessitano di strutture di eccellenza come quelle del dipartimento infantile dell'ASL 1 di Massa Carrara. (4-03041)


   SEGONI, ARTINI, BONAFEDE, BALDASSARRE, GAGNARLI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a Prato esiste il più grande inceneritore di fanghi industriali d'Italia, che fa parte dell'impianto di Baciacavallo gestito da GIDA spa;
   le indagini epidemiologiche ad oggi eseguite hanno rilevato una maggiore incidenza tumorale nei residenti nell'area circostante l'impianto;
   nel 2007 è stato riscontrato dall'istituto zooprofilattico di Roma, un livello di diossine oltre volte 11 limite al momento in vigore (46,2 ng/kg di PCDD/F-PCB — WHO TEQ a fronte di un limite di 4 ng/Kg) in un pollo ruspante allevato a circa 700 metri dall'impianto;
   questo campione era stato individuato come riferimento («bianco») nel corso delle indagini su matrici biologiche effettuate dall'ASL di Pistoia a seguito del doppio superamento dei limiti per emissioni di diossine nell'inceneritore di Montale e proprio questo campione risultò quello più fortemente contaminato fra gli oltre 40 campioni analizzati nel corso della suddetta indagine;
   la provincia di Prato, su segnalazione degli organi di controllo (ARPAT), ha emesso negli anni numerose diffide nei confronti di Gida SPA, gestore dell'impianto, che ha costantemente disatteso le prescrizioni contenute nell'autorizzazione integrata ambientale. In particolare sono state disattese le prescrizioni relative allo SME (sistema di monitoraggio degli inquinanti in continuo);
   GIDA, il gestore dell'impianto, ha chiesto ed ottenuto dalla provincia stessa di non misurare il parametro dell'HCL (acido cloridrico), che è inquinante molto importante per quanto concerne gli inceneritori di fanghi industriali, quale quello di Baciacavallo, in quanto è un precursore dell'esaclorobenzene (HCB), sostanza tossica persistente che rientra fra i 12 POPs (Persistent Organic Pollutant) identificati e messi al bando dalla Convenzione di Stoccolma già nel 2001 per le gravi conseguenze per la salute umana e per l'ambiente che la loro esposizione comporta;
   si è costituita un'associazione senza scopo di lucro VAS (vita ambiente salute) che sulla base di esperienze fatte anche in altre località italiane interessate da insediamenti industriali o inceneritori (quali ad esempio Taranto, Forlì, Ravenna) e col supporto scientifico della Associazione o.n.l.us. di Medicina Democratica nazionale, ha raccolto i fondi per effettuare analisi su campioni di polli allevati nell'area di ricaduta dell'inceneritore di Baciacavallo in un raggio massimo di 2 chilometri e che tutti e tre i campioni sono risultati positivi, ovvero sopra i limiti imposti dalle normative per la sicurezza alimentare. Considerato anche il campione del 2007, il 100 per cento dei campioni esaminati risulta gravemente contaminato per presenza di diossine e furani (PCDD/F) e PCB diossino simili. In tutti i campioni si riscontra inoltre presenza di HCB, che nel campione 1 raggiunge valori oltre 4 volte superiori a quelli mediamente riscontrati in indagini analoghe –:
   se non ritengano opportuno commissionare, anche all'Istituto superiore di sanità, una seria indagine epidemiologica sulla popolazione residente a scalare, la prima entro un raggio di 1,5 chilometri da Baciacavallo, poi entro 3 chilometri, quindi entro 5 chilometri ed infine entro 10 chilometri;
   se non ritengano opportuno effettuare tali analisi sulla popolazione sia maschile che femminile, ricercando oltre al tumore al polmone, anche linfomi, cancro al fegato e alla mammella, malattie della tiroide, diabete e danni al sistema immunitario, emopoietico e riproduttivo. (4-03044)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PELUFFO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 15, comma 6, del decreto legislativo 3 maggio 2004, n. 112 (cosiddetta «legge Gasparri») prevede che «I soggetti che esercitano l'attività televisiva in ambito nazionale attraverso più di una rete non possono, prima del 31 dicembre 2010, acquisire partecipazioni in imprese editrici di giornali quotidiani o partecipare alla costituzione di nuove imprese editrici di giornali quotidiani. Il divieto si applica anche alle imprese controllate, controllanti o collegate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile.»;
   l'articolo 48, comma 12, del decreto legislativo n. 177 del 31 luglio 2005 («Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici») modificato dal comma 1 dell'articolo 1, decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, poi sostituito dal comma 1 dell'articolo 3, decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34, e infine così modificato dal comma 427 dell'articolo 1, legge 24 dicembre 2012, n. 228, a decorrere dal 1o gennaio 2013, prevede che: «I soggetti che esercitano l'attività televisiva in ambito nazionale su qualunque piattaforma che, sulla base dell'ultimo provvedimento di valutazione del valore economico del sistema integrato delle comunicazioni adottato dall'Autorità ai sensi del presente articolo, hanno conseguito ricavi superiori all'8 per cento di detto valore economico e i soggetti di cui al comma 11 non possono, prima del 31 dicembre 2013, acquisire partecipazioni in imprese editrici di giornali quotidiani o partecipare alla costituzione di nuove imprese editrici di giornali quotidiani, con l'eccezione delle imprese editrici di giornali quotidiani diffusi esclusivamente in modalità elettronica. Il divieto si applica anche alle imprese controllate, controllanti o collegate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile»;
   il combinato disposto dei sopra citati articoli prevede che il 31 dicembre 2013 venga a cadere il divieto di incrocio fra la proprietà di aziende televisive e giornali quotidiani, già prorogato da parte del Governo presieduto dal senatore Mario Monti –:
   quale sia la linea strategica che il Governo intende adottare in tale delicato settore e in particolare, se il Governo abbia intenzione di ricorrere a una nuova proroga ovvero, in alternativa, al varo di specifiche misure che prevengano l'avvio di un processo di concentrazione verticale e orizzontale che sarebbe difficilmente reversibile e che, oltre a mettere in crisi l'editoria indipendente, limiterebbe drasticamente il pluralismo dei contenuti a tutto detrimento del dibattito politico e della libera circolazione delle informazioni.
(5-01781)


   CARRA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il distretto della calza nell'Alto Mantovano è da tempo entrato in una crisi che sembra non avere fine a causa dei processi di delocalizzazione che hanno destrutturato una parte molto importante dell'economia mantovana;
   nel sito produttivo di Pompea spa, tra i più noti nomi della calzetteria e dell'intimo, duecento persone rischiano di perdere il posto di lavoro a partire da gennaio. Lo hanno reso noto i sindacati, al termine delle assemblee dei lavoratori all'interno degli stabilimenti di Medole e Asola;
   il nuovo taglio all'organico riguarda sia Asola che Medole: ad Asola gli esuberi sono stati individuati nel magazzino (settanta persone) e nella tintoria (sessanta), a Medole sono invece a rischio quaranta posti nel settore della cucitura e trenta impiegati;
   una decina di anni fa Pompea spa era una realtà di primo piano del distretto calzettiero dell'Alto Mantovano, con circa novecento dipendenti che, con gli ultimi esuberi, si ridurrebbe ad appena 175, 85 nella tessitura medolese e 90 impiegati;
   anche alla Pompea spa si apre il solito iter fatto di cassa integrazione straordinaria che potrebbe prolungarsi fino a sei mesi, poi ammortizzatori sociali in deroga e infine procedura di mobilità;
   già oggi Pompea spa fa ricorso alla cassa ordinaria, con la fermata di uno o due giorni a settimana, mentre gli impiegati da circa un anno hanno accettato il contratto di solidarietà che comporta una riduzione delle ore di lavoro e della retribuzione;
   i debiti della società ammonterebbero a 65 milioni. Debiti e piano di esuberi sono strettamente connessi. Sembra infatti che le banche per continuare a sostenere l'impresa abbiano posto la condizione di un ridimensionamento del sito produttivo mantovano;
   dopo quest'ultimo taglio ad Asola sparirà quasi tutto: l'attività di tintoria potrebbe essere affidata a una cooperativa, il magazzino forse sarà gestito da terzi;
   da anni Pompea spa ha aperto nuovi siti produttivi in Serbia spostando interi pezzi di produzione. Contemporaneamente a quest'ultima riduzione di posti, pare che dagli stabilimenti mantovani verranno spostati una quarantina di macchinari verso l'Est Europa, dove il lavoro costa meno –:
   se intenda convocare un tavolo di confronto con Pompea spa al fine di scongiurare l'ipotesi del completo smantellamento della fabbrica;
   quali misure intenda assumere, più in generale, per limitare l'impatto della crisi della Pompea spa sull'intero distretto della calzetteria e dell'intimo dell'Alto Mantovano. (5-01782)

Interrogazione a risposta scritta:


   GINATO e SBROLLINI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   all'inizio del 2000 l'azienda bassanese Pulverlac, localizzata a Romano D'Ezzelino (VI) specializzata nella produzione di vernici in polvere fu acquistata dalla multinazionale Morton mutando la ragione sociale in Morton Pulverlac, e che successivi passaggi la portarono ad essere ceduta al gruppo Rohm e Haas per poi entrare nel 2009 nel gruppo Dow Chemical;
   agli inizi del 2010 il gruppo Dow in una ottica di razionalizzazione del business ha ceduto l'intero settore delle vernici in polvere al gruppo Olandese Akzo Nobel e che al momento della cessione lo stabilimento di Romano D'Ezzelino occupava più di 200 dipendenti;
   nel corso del mese di novembre 2010 l'azienda ha annunciato alle rappresentanze sindacali la ristrutturazione del suddetto sito a causa di una contrazione del mercato e per la ricerca di soluzioni produttive più efficienti. Dopo lunghe trattative le parti hanno siglato un accordo che prevedeva la cassa integrazione di 12 mesi con investimenti di investimenti per complessivi 3,5 milioni di euro per ammodernare gli impianti e rendere più competitivo lo stabilimento e l'uscita di oltre 100 lavoratori. La ristrutturazione si è conclusa positivamente nei tempi previsti dall'intesa a l'azienda si è attestata su un organico di 112 lavoratori;
   il 12 novembre 2013 durante un incontro con le rappresentanze sindacali, i vertici aziendali hanno espresso soddisfazione per i risultati conseguiti dallo stabilimento produttivo, definendolo uno dai migliori tra i sette presenti in Europa. In tale occasione tuttavia veniva comunicata la contrazione del 40 per cento della redditività a livello mondiale del settore, caratterizzata da un aumentato dei costi del 20 per cento e la decisione del gruppo Akzo Nobel di portare la profittabilità a livello mondiale dal 5,9 per cento al 9 per cento;
   il 5 dicembre 2013 è stato comunicato alle rappresentanze sindacali e ai lavoratori che la direzione del gruppo Akzo Nobel ha deliberato la chiusura dello stabilimento di Romano D'Ezzelino in una ottica di riduzione dei costi, pur a fronte di un mercato europeo stabile, al fine di aumentare la profittabilità del gruppo considerata insoddisfacente e inferiore rispetto ai concorrenti. L'azienda ritiene, infatti, di dover accentrare la produzione in altri stabilimenti in Italia ed Europa;
   è stato proclamato un immediato stato di mobilitazione dei lavoratori e della forte preoccupazione espressa preoccupazione dalla cittadinanza, dagli enti locali e dai rappresentanti istituzionali tutti fortemente contrari alla chiusura dello stabilimento;
   di recente sono stati effettuati diversi investimenti di miglioramento ed ammodernamento e che la profittabilità del sito produttivo è in linea con gli obiettivi aziendali;
   l'eventuale chiusura della fabbrica si configura come elemento che metterà a dura prova la coesione sociale dell'intero territorio bassanese, un'area, che come molte zone industriali del Paese è già fortemente segnata dall'attuale crisi economica –:
   se sia a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   quali misure intenda intraprendere per scongiurare la chiusura dello stabilimento il licenziamento dei lavoratori;
   se non ritenga necessario attivare con la massima sollecitudine e in concerto con le competenti Istituzioni europee il Fondo di adeguamento alla globalizzazione, nel malaugurato caso sia confermato il progetto di chiusura, per assicurare ai lavoratori l'indennità per la ricerca di un lavoro, l'indennità di mobilità nonché l'indennità per partecipare ad attività di formazione e apprendimento permanente. (4-03047)

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione De Rosa e altri n. 5-01764, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 dicembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato De Lorenzis.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo (ex articolo 134, comma 2, del Regolamento).

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Scagliusi e altri n. 4-02114 del 9 ottobre 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01786.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   AMODDIO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'ispettore Massimo Prado nato a Noto il 15 giugno 1964, nel ruolo della polizia di Stato dal 1985 ed ispettore della polizia di Stato dal 1995 in servizio dall'ottobre 1997 al 23 aprile 2004 presso il commissariato di pubblica sicurezza di Noto è stato imputato in tredici procedimenti penali e segnatamente: Proc. Pen. R.G.N.R. 83/02; Proc. Pen. R.G.N.R 7737/02; Proc. Pen. R.G.N.R 2753/04; Proc. Pen. R.G.N.R 1222/04; Proc. Pen. R.G.N.R. 3430/04; Proc. Pen. R.G.N.R 10826/04; Proc. Pen. R.G.N.R. 12329/04; Proc. Pen. R.G.N.R. 7922/04; Proc. Pen. R.G.N.R. 1113/05; Proc. Pen. R.G.N.R. 278/05; Proc. Pen. R.G.N.R. 273/05; Proc. Pen. R.G.N.R. 405/05; Proc. Pen. R.G.N.R. 2309/05;
   per ben undici procedimenti penali gli avvisi di garanzia venivano notificati all'ispettore Prado dalla procura della Repubblica di Siracusa in meno di un anno;
   tutti i procedimenti penali – ad eccezione di quello iscritto al R.G.N.R 7922/2004 – tutt'ora pendente innanzi al tribunale di Messina sezione penale – si sono conclusi senza alcuna condanna dell'ispettore Prado – o con sentenza di non luogo a procedere da parte del giudice per le indagini preliminari o con sentenza di assoluzione emessa al dibattimento; altri con richiesta di archiviazione;
   per alcuni processi le sentenze di assoluzione di primo grado, sono state impugnate dai pubblici ministeri con ricorso in appello ed in Cassazione – e si definivano con pronuncia confermativa dell'assoluzione;
   in seguito alle indagini da parte della procura di Siracusa l'ispettore Massimo Prado è stato oggetto di numerosi procedimenti disciplinari tutti conclusi con l'archiviazione;
   in data 10 marzo 2005 l'ispettore Massimo Prado inviava al Ministro della giustizia un esposto a sua firma che perveniva alla segreteria particolare dell'onorevole Ministro in data 16 marzo 2005;
   in data 6 maggio 2005 inviava altro esposto al Ministro di grazia e giustizia, al Consiglio superiore della magistratura, al Presidente della Repubblica anche nella qualità di presidente del C.S.M., al Ministero dell'interno, al Presidente del Consiglio dei ministri, al Presidente della Commissione giustizia della Camera al Presidente della commissione giustizia del Senato; l'esposto perveniva alla segreteria particolare del Ministro della giustizia in data 10 maggio 2005 ed al Consiglio superiore della magistratura;
   i richiamati esposti pervenivano anche al Consiglio superiore della magistratura il 16 marzo 2005 n. protocollo 12360 ed il 13 luglio 2005 n. protocollo 34158;
   in data 12 settembre 2007 l'ispettore Prado inviava altro esposto al Ministro della giustizia ed al procuratore generale della Corte di cassazione pervenuto al Ministro in data 17 settembre 2007;
   i pubblici ministeri indicati negli esposti e coinvolti a vario titolo nei procedimenti penali dall'ispettore Massimo Prado sono il dottor Giuseppe Toscano – all'epoca dei fatti procuratore capo aggiunto presso il tribunale di Siracusa – il dottor Roberto Campisi – all'epoca dei fatti procuratore capo presso il tribunale di Siracusa – il dottor Maurizio Musco – all'epoca dei fatti sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Siracusa – il dottor Giancarlo Longo – sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Siracusa;
   per fatti diversi da quelli oggetto della presente interrogazione, ma correlati all'esercizio delle funzioni giudiziarie presso il tribunale di Siracusa nei confronti di alcuni dei menzionati magistrati – e segnatamente il dottor Roberto Campisi, ed il dottor Maurizio Musco – sono stati esercitati dal Ministro di giustizia nel 2012 i poteri di ispezione amministrativa, al fine di verificare la condotta dagli stessi tenuta nell'esercizio della funzione giudiziaria nei procedimenti penali segnalati da altro parlamentare nella precedente legislatura;
   a seguito dell'ispezione amministrativa disposta dal Ministro è stato avviato un procedimento disciplinare allo stato pendente nei confronti del dottor Maurizio Musco – trasferito in via cautelare presso la procura della Repubblica di Palermo dal mese di ottobre 2012;
   per fatti che coinvolgono l'esercizio della funzione giudiziaria – diversi da quelli oggetto della presente interrogazione – la procura della Repubblica di Messina ha chiesto il rinvio a giudizio del dottor Roberto Campisi e del sostituto procuratore Maurizio Musco per abuso d'ufficio e l'udienza innanzi al giudice per l'udienza preliminare è fissata per il 20 settembre 2013;
   per fatti diversi da quelli oggetto della presente interrogazione il giudice per l'udienza preliminare del tribunale di Messina ha disposto il rinvio a giudizio per tentata concussione del sostituto procuratore Maurizio Musco ed è pendente il relativo giudizio innanzi al tribunale penale di Messina;
   negli esposti dell'ispettore Massimo Prado sono contenuti rilievi di assenza di imparzialità nelle condotte di alcuni magistrati ed è altresì contenuta una richiesta di audizione per riferire personalmente fatti che non ha ritenuto di riportare negli esposti –:
   se a seguito degli esposti presentati dall'ispettore Massimo Prado sia stata avviata dal Ministero della giustizia una qualsivoglia attività ispettiva al fine di verificare quanto contenuto negli stessi;
   nell'ipotesi in cui sia stata avviata dal Ministero della giustizia un'attività ispettiva quali siano stati gli esiti degli accertamenti compiuti;
   nell'ipotesi in cui non è stata avviata dal Ministero della giustizia alcuna attività ispettiva per quali motivi ciò non sia avvenuto. (4-00894)

  Risposta. — L'interrogazione in esame riguarda tre esposti inviati nel 2005 e nel 2007 al Ministero della giustizia dall'ispettore della Polizia di Stato Massimo Prado (in servizio dal 1997 al 2004 presso il commissariato di pubblica sicurezza di Noto) nei confronti di alcuni magistrati in servizio presso la procura della Repubblica di Siracusa.
  Per quanto concerne i due esposti inviati nel 2005, la competente articolazione ministeriale ha avviato un'attività istruttoria nel corso della quale sono state acquisite informazioni dal procuratore generale presso la corte di appello di Catania e dal procuratore della Repubblica presso il tribunale di Siracusa.
  In mancanza di elementi sintomatici sul possibile rilievo disciplinare dei fatti oggetto degli esposti – quali l'abnormità degli atti assunti, la macroscopica violazione di legge, l'errore nell'assunzione di fatti o il perseguimento di scopi estranei alla giustizia – questo Ministero, su conforme parere della direzione generale magistrati, ha disposto l'archiviazione della pratica, avuto anche riguardo alla circostanza per cui l'allora procuratore della Repubblica di Siracusa, dottor Giuseppe Toscano, aveva chiesto di astenersi dalla trattazione di procedimenti onde evitare l'insorgenza di sospetti di persecuzione nei confronti dell'ispettore Prado.
  Quanto al terzo esposto presentato dall'ispettore Prado nel 2007, il procuratore generale presso la Corte di cassazione, a seguito di un attento esame diretto a verificare la eventuale sussistenza di profili di rilevanza disciplinare, ha emesso il 29 ottobre 2007 un provvedimento di archiviazione, sul rilievo della genericità dei fatti esposti e del difetto di concreti elementi di supporto alle affermazioni in esso contenute. Questo Ministero ha ritenuto di non opporsi all'archiviazione, non avendo l'ispettorato generale evidenziato la sussistenza di profili comportamentali disciplinarmente rilevanti.
  Tutti i predetti esposti hanno infine costituito oggetto di archiviazione da parte della direzione generale magistrati di questo Ministero, che ha ritenuto trattarsi «di generiche ed improponibili (in sede diversa rispetto a quella endoprocedimentale) censure all'attività giudiziaria dell'organo requirente, tali da non giustificare approfondimenti di natura disciplinare».

Il Ministro della giustiziaAnnamaria Cancellieri.


   ARTINI e SEGONI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   lo stabilimento Pirelli è presente a Figline Valdarno dagli anni ’60 e produce cordicelle metalliche per pneumatici, con quasi 400 lavoratori;
   il settore cordicella metallica («Steel Cord») del Gruppo Pirelli ha il centro direzionale a Figline Valdarno e la produzione suddivisa in cinque stabilimenti fra Italia, Turchia, Germania, Brasile e Romania (lo stabilimento più recente);
   la cordicella metallica viene venduta anche ad importanti concorrenti come Goodyear e Continental;
   la Pirelli rappresenta storicamente il volano dell'economia Valdarnese e uno degli stabilimenti produttivi più importanti della provincia di Firenze;
   nel 2010 è stata aperta una procedura di mobilità per 44 addetti, poi modificata per 38 lavoratori, con priorità per i dipendenti pensionabili;
   a metà maggio 2013 la direzione Pirelli ha comunicato alle organizzazioni sindacali che la produzione di steelcord non rientra più nei piani aziendali, annunciando la ricerca di nuovi partner commerciali e produttivi;
   da notizie di stampa estera emerge come sia in atto una trattativa con l'azienda sud-coreana Hyosung, interessata (a rilevare proprio) alla divisione dei materiali di rinforzo, Pirelli Steel Cord;
   secondo fonti sindacali, ci sarebbero altri tre interessamenti da parte di concorrenti europei e di fondi di investimento;
   il tavolo aperto in regione Toscana ha dato «esiti negativi» come ha sottolineato l'assessore regionale alle attività produttive Gianfranco Simoncini;
   la provincia di Firenze ha annunciato a giugno che «si attiverà congiuntamente alla Regione e al Comune di Figline per la creazione di un Tavolo presso il Ministero dello sviluppo economico e per monitorare gli sviluppi in merito al futuro dello stabilimento di Figline e dei 390 lavoratori impiegati nel sito» –:
   se sia stato attivato un tavolo di trattativa presso il Ministero e con quali risultati;
   se siano stati incontrati i vertici aziendali, le organizzazioni sindacali e i rappresentanti istituzionali del territorio;
   se risultino veritiere le notizie riportate dalla stampa in merito ad una trattativa in atto con Hyosung;
   se risultino veritieri gli altri tre interessamenti, che riguarderebbero anche realtà concorrenti europee;
   quali azioni intenda intraprendere per la salvaguardia dello stabilimento produttivo di Figline Valdarno e degli attuali livelli occupazionali. (4-01841)

  Risposta. — La vicenda è stata portata all'attenzione del Ministero e su richiesta delle parti sono stati avviati i contatti per convocare il tavolo di confronto, che si è svolto il 23 ottobre 2013.
  In tale sede l'azienda ha confermato la volontà di voler cedere tutto il settore della «cordicella metallica» per pneumatici. Tale settore (steel cord) del Gruppo Pirelli, come noto agli interroganti, vede il suo centro direzionale a Figline Valdarno (FI) e la produzione suddivisa in 5 stabilimenti fra Italia (Figline), Turchia, Brasile, Cina e Romania.
  In merito all’ intenzione di esternalizzare la produzione dello steel cord, il rappresentante dell'azienda ha fatto presente che la società è attualmente nella ricerca di partnership nel business dello stesso steel cord e/o di altri prodotti al fine di ampliare la produttività. C’è già stata la manifestazione d'interesse da parte di alcuni partner disponibili a investire per continuare la produzione.
  Le organizzazione sindacali pur comprendendo le difficoltà dell'azienda, hanno manifestato la loro preoccupazione per le sorti dello stabilimento e per le possibili ricadute su tutto il territorio. Hanno chiesto, pertanto, maggiori rassicurazioni sull'eventuale acquirente e soprattutto, una volta avvenuta la cessione, che sia mantenuta la continuità produttiva e occupazionale.
  Nel corso della citata riunione non sono emersi altri particolari elementi di novità, tuttavia nella prima metà di dicembre sarà convocato un nuovo incontro in cui si tratterà anche della possibile proposta di acquisizione da parte di un investitore estero.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   BERGAMINI, CARFAGNA, CENTEMERO e POLIDORI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   lo stalking è un fenomeno molto diffuso nel nostro Paese. Secondo i dati Istat del 2006 quasi il 50 per cento delle donne vittime di violenza fisica o sessuale ha subito comportamenti persecutori, 937 mila donne hanno subito violenza fisica o sessuale e stalking. A queste vanno aggiunte 1 milione 139 mila donne che hanno subito stalking ma non violenze fisiche o sessuali, per un totale di 2 milioni 77 mila donne vittime di stalking dall'ex partner, il 18,8 per cento del totale. Tra le donne che hanno subito una violenza fisica o sessuale da ex partner la percentuale di stalking arriva al 48,8 per cento;
   nell'80 per cento dei casi lo stalker occupa una buona posizione sociale ed ha un elevato livello di istruzione;
   la legislazione italiana in materia risulta essere tra le più avanzate in Europa, con una buona rete di supporto, che va dalla legge 15 febbraio 1996, n. 66, «Norme contro la violenza sessuale», alla legge 4 aprile 2001, n. 154, «Misure contro la violenza nelle relazioni familiari», al decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, «Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori», convertito dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 95 del 24 aprile 2009;
   lo stalking, spesso, non colpisce soltanto la vittima diretta ma anche i suoi familiari. Esso, inoltre, può tramutarsi da violenza psicologica in violenza fisica, giungendo fino anche all'uccisione della vittima: il 15 cento dei femminicidi è preceduto da denunce per stalking;
   inoltre, un persecutore su tre torna a colpire, mentre la durata media di un processo penale nel nostro Paese è di 3 anni e mezzo, a cui si deve aggiungere almeno un anno e mezzo di fase istruttoria;
   al di là delle croniche lungaggini del processo italiano, che meriterebbero una interrogazione a parte, è sotto gli occhi di tutti la palese scollatura tra normativa in fatto di stalking e violenza e la sua attuazione, scollatura dovuta spesso all'impreparazione della magistratura che, ad avviso delle interroganti, si dimostra poco addestrata soprattutto nei casi di stalking — in cui la violenza è psicologica e, quindi, meno visibile — tendendo a sottostimarne la gravità e, dunque, a non prendere misure per tutelare le vittime mettendo i persecutori in condizione di non nuocere più, con il risultato che spesso la diffida del persecutore, prevista dalla legge, arriva solo quando questi è passato alla violenza fisica;
   ma il reato di «atti persecutori» (stalking), come previsto dall'articolo 612-bis codice penale, non fa riferimento ad aggressioni fisiche di alcun genere, bensì a minacce e/o molestie reiterate e, dunque, la diffida dovrebbe essere concessa quando sussistono specifici elementi che fanno ritenere fondato il pericolo di reiterazione delle minacce e/o delle violenze;
   una tale, ad avviso delle interroganti, corretta applicazione della legge assicurerebbe un'efficace e rapida messa in protezione della vittima, che spesso continua ad essere perseguitata anche dopo il deposito della querela, nelle more delle indagini preliminari e persino durante la celebrazione del processo;
   la diffida, che ha lo scopo di far cessare le persecuzioni e non farle trasformare in violenza fisica, può a ragione essere ritenuta una misure di prevenzione. Sono numerosi, infatti, i fatti di cronaca che raccontano di aggressioni, violenze e uccisioni compiuti dallo stalker che poteva e doveva essere fermato prima di diventare un aggressore, un violentatore, un omicida;
   il decreto legislativo n. 26 del 2006 prevede l'istituzione della scuola superiore della magistratura, alla quale è attribuita in via esclusiva la competenza in materia di aggiornamento e formazione dei magistrati, e che, ad oggi, non risulta pienamente operativa;
   l'articolo 5 del medesimo decreto legislativo prevede che il comitato direttivo della scuola adotti e modifichi il programma annuale della didattica tenuto conto delle linee programmatiche proposte annualmente dal CSM e dal Ministro della giustizia –:
   quali iniziative il Ministro interrogato nell'ambito della sua competenza intenda intraprendere per formare e sensibilizzare la magistratura sul tema dello stalking, in modo da rendere pienamente operativa la normativa italiana e garantire le vittime. (4-01221)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, informo – sulla base delle notizie pervenute dal presidente della scuola superiore della Magistratura – che la scuola ha organizzato nel corso del 2013 appositi percorsi formativi (di quattro sessioni ciascuno) in tema di valutazione probatoria e di protocolli di indagine per i reati contro i «soggetti deboli», in particolare lo stalking. Tali corsi si sono svolti nei mesi di giugno, luglio e settembre, nell'ambito delle settimane di formazione per i magistrati ordinari in tirocinio nominati con decreto ministeriale 8 giugno 2012, e precisamente per i magistrati destinati allo svolgimento di funzioni requirenti e giudicanti penali; hanno partecipato come docenti magistrati particolarmente esperti nella materia.
  Anche per quanto riguarda la programmazione delle attività formative del prossimo anno, destinate ai magistrati già in servizio (cosiddetta formazione permanente), è previsto un apposito corso dedicato ai reati in danno dei «soggetti deboli», in particolare sul tema dello
stalking. Il corso avrà luogo nel primo trimestre del 2014.
Il Ministro della giustiziaAnnamaria Cancellieri.


   BINETTI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro per l'integrazione, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il fenomeno umanitario delle accoglienze di bambini bielorussi – di cui sono motore famiglie italiane, di qualsiasi estrazione sociale e colore politico – è unico al mondo, ed è ben sotto gli occhi e i riflettori dell'opinione pubblica;
   grazie all'azione di cooperazione delle stesse, diffusa capillarmente nel Paese, molti altri cittadini vengono, ogni anno, a contatto con questi bambini e «ragazzi di Chernobyl», perfettamente integrati nella nostra realtà;
   il rispetto di consolidati rapporti umanitari rappresenta la cartina di tornasole della serietà di un Paese, su cui costruire serie basi della cooperazione sociale e della collaborazione economica tra Stati;
   la Bielorussia ha dimostrato nei fatti – con il riesame, a partire dal 2010, di oltre 500 pratiche adottive in sospeso – la sua volontà di riaprire le adozioni solo con l'Italia, in virtù di tale rapporto di cooperazione. Tant’è che già nel 2010 (da statistiche CAI) sono stati adottati 99 minori, 146 nel 2011, 46 nel 2012. Questo dato non può essere ignorato dalla Commissione adozioni internazionali che, si auspica, operi, al fine di individuare le strade più opportune di sviluppo delle adozioni e non come è avvenuto nel periodo 2008-2012 con le pratiche per la Bielorussia, ove ha ritenuto di bloccare il deposito di nuove domande di adozione;
   in questi ultimi anni, la politica internazionale dell'Italia si è mostrata poco attenta alle adozioni internazionali, nonostante «il boom» delle stesse, registrato dalla Commissione suddetta, considerando il blocco di pratiche di adozione per decine di migliaia di famiglie italiane, con decreto di idoneità già ottenuto e in attesa di aprire la propria famiglia all'affetto di un minore;
   il boom delle adozioni dimostra la grande disponibilità delle coppie italiane all'adozione, che attendono 4-5 anni per raggiungere il risultato sperato. Tra quelle in attesa, ci sono appunto le famiglie adottanti in Bielorussia, che hanno un legame ben individuato con un minore che, il più delle volte, ha espresso la volontà chiara di essere adottato da una famiglia identificata;
   nel corso della riunione di insediamento in Commissione adozioni internazionali, il Ministro Kyenge ha posto l'attenzione sul dramma bielorusso dei circa 200 dossier già depositati e vagliati a Minsk; purtroppo, di fronte ad una difficile trattativa con le autorità della capitale (che dovrebbe essere volta anche alla ricerca di soluzioni definitive) il Ministero degli affari esteri sembra al momento porre estreme difficoltà e veti a qualsiasi tipo di rapporto con il Presidente bielorusso, temendo ripercussioni europee, pur essendo la questione di natura prettamente umanitaria –:
   se non ritengano opportuno promuovere una profonda riforma della Commissione delle adozioni internazionali, affinché non solo rappresenti un mero organo di controllo degli enti per le adozioni internazionali, ma sostenga anche il processo di espansione delle stesse, viste le sempre maggiori richieste di adozione da parte di coppie italiane, posto che tale azione raggiungerebbe il duplice obiettivo di efficacia ed efficienza, derivante dal porre sotto la medesima guida del Ministro degli affari esteri sia la Commissione per le adozioni internazionali sia il braccio operativo delle ambasciate, rappresentanti dello Stato italiano nel mondo. (4-02722)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, l'interrogante pone una serie di quesiti riguardanti la delicata problematica delle adozioni internazionali, in particolare dei minori bielorussi. Viene, altresì, richiamata l'attenzione del Governo sull'opportunità di procedere ad una riforma della Commissione per le adozioni internazionali che ne preveda, tra l'altro, un inquadramento diverso rispetto a quello attuale presso la Presidenza del Consiglio dei ministri.
  La Commissione per le adozioni internazionali, da me presieduta in virtù della delega conferitami dal Presidente del Consiglio dei ministri, è l'autorità centrale italiana preposta all'esecuzione della Convenzione de L'Aja del 1993 sulla tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozioni internazionale, ratificata dall'Italia con la legge n. 476 del 1998.
  Per quanto concerne la proposta di riforma della Commissione per le adozioni internazionali, di cui l'interrogante auspica lo spostamento presso il Ministero degli affari esteri, mi preme sottolineare che l'incardinamento della Commissione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri è stato il risultato di una precisa scelta del legislatore del 1998, in considerazione dei compiti di coordinamento rispetto all'attività dei vari ministeri che hanno competenze sulla materia e, in particolare: il Ministero degli affari esteri (per la stipulazione di convenzioni bilaterali, la documentazione necessaria per l'ingresso del minore in Italia, i controlli consolari sullo svolgimento delle adozioni all'estero), il Ministero dell'interno (inizialmente per il permesso di soggiorno, ora abolito, e per i controlli alla frontiera), il Ministero della giustizia (competenze degli organi giudiziari) e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali (funzione sociale di protezione dell'infanzia e della famiglia).
  In qualità di autorità centrale, la Commissione per le adozioni internazionali ha il compito principale di garantire che le adozioni di bambini stranieri avvengano nel rispetto dei principi stabiliti dalla convenzione de L'Aja. Tali principi sono: il principio di sussidiarietà, che prevede l'obbligo di privilegiare le possibili alternative all'adozione internazionale nel paese di origine del minore; il principio di parità, in base al quale occorre che gli aspiranti genitori adottivi posseggano adeguati requisiti di idoneità e di capacità di adottare; il principio di reciprocità, che tende al riconoscimento automatico delle adozioni concluse in uno Stato aderente alla convenzione, in tutti gli altri Stati membri.
  Segnalo che nei principali Paesi europei, le autorità centrali competenti per le adozioni sono incardinate in prevalenza presso i Ministeri della giustizia o degli Affari sociali; solamente in Francia e negli Stati Uniti, il relativo Servizio si trova, rispettivamente, presso il Ministero degli affari esteri e il dipartimento di Stato.
  Per quanto riguarda l'Italia, la scelta di incardinare la Commissione per le adozioni internazionali presso la Presidenza del Consiglio dei ministri è stata effettuata coerentemente con il carattere interministeriale delle sue competenze. Tale carattere si riflette anche nella composizione della Commissione di cui fanno parte, oltre che rappresentanti dei vari ministeri, anche rappresentanti delle regioni e degli enti locali.
  Il Ministero degli affari esteri, che partecipa ai lavori della Commissione con un suo rappresentante, si adopera costantemente attraverso l'amministrazione centrale e la rete all'estero, sia per il buon esito delle singole procedure di adozione, sia per facilitare le iniziative di cooperazione promosse e finanziate dalla Commissione per le adozioni internazionali, d'intesa con le autorità centrali dei Paesi d'origine dei minori da adottare, seguendo altresì le dinamiche delle adozioni internazionali, l'assetto normativo, le prassi e le proposte di legge all'estero. La rete diplomatico- consolare, inoltre, collabora con gli enti autorizzati relativamente alle attività di legalizzazione e controllo della documentazione, assistenza alle famiglie adottanti e rilascio dei visti agli adottandi, previa autorizzazione all'ingresso e alla permanenza in Italia del minore da parte della Commissione per le adozioni internazionali.
  Le attività svolte dalla Commissione nel corso degli anni hanno portato a concreti risultati e successi sia sul piano interno che internazionale, attraverso una collaborazione intensa ed efficace con il Ministero degli affari esteri. Tale circostanza è confermata dai dati trasmessi dagli Uffici dai quali emerge che l'Italia è il primo Paese europeo per numero di accoglienza di minori, secondo nel mondo solo agli Stati Uniti d'America.
  Le informazioni acquisite dagli uffici evidenziano, tra l'altro, che ad esempio, il modello francese non è stato in grado di evitare la fortissima riduzione del numero di adozioni realizzate dai cittadini francesi. Secondo i dati relativi al 2011, ad esempio, in Italia sono state realizzate più del doppio delle coeve adozioni francesi.
  Quanto sopra mi sembra che confermi la validità della scelta di mantenere l'incardinamento della Commissione per le adozioni internazionali presso la Presidenza del Consiglio dei ministri.
  Tuttavia, come ho più volte sostenuto, da ultimo anche nel corso della mia audizione presso la I Commissione della Camera dei deputati, ritengo che l'attuale sistema delle adozioni internazionali possa certamente essere migliorato, semplificato, aggiornato e razionalizzato.
  Al riguardo, confermo di aver dato precise direttive ai miei uffici affinché si proceda al riordino della Commissione per le adozioni internazionali e, in particolare, si provveda alla semplificazione del procedimento di adozione, anche attraverso una riduzione dei tempi – allineandoli, ad esempio, a quelli della Francia e degli Stati Uniti –, alla riconsiderazione dei relativi costi, al miglioramento dei rapporti con i Paesi di origine degli adottandi e con gli enti italiani autorizzati a curare le adozioni.
  Per quanto concerne il delicato tema delle adozioni di minori provenienti dalla Bielorussia, segnalo che la collaborazione in materia di adozioni internazionali, instauratasi tra la Repubblica di Bielorussia e l'Italia, è ormai ventennale e di grande rilievo; il nostro Paese è, attualmente, l'unico con il quale sono in corso forme di collaborazione.
  Al fine di completare le procedure a suo tempo aperte, sia il Governo Berlusconi che il Governo Monti hanno posto in essere una serie di interventi.
  In particolare, il Governo Berlusconi ritenne di intervenire al massimo livello, coinvolgendo direttamente il Presidente del Consiglio pro-tempore e avvalendosi di un organismo triangolare (Bielorussia, Italia e Santa Sede) con il compito di garantire l'esito positivo delle richieste. Si sottolinea che, successivamente, interventi di tal genere non sono stati più praticabili a causa delle sanzioni adottate dall'Unione europea nei confronti della Bielorussia.
  Comunque, a fronte dei positivi risultati raggiunti sui casi pendenti con l'iniziativa descritta, le famiglie interessate tra cui, in particolare, quelle di accoglienza dei minori bielorussi ospitati periodicamente nell'ambito dei programmi di soggiorno terapeutico post-Chernobyl, si sono rivolte alla Commissione per le adozioni internazionali, chiedendo di poter presentare nuove domande di adozione.
  Durante il Governo Monti, allo scopo di sgomberare il terreno del rapporto tra i due Paesi da ogni possibile fraintendimento, nel maggio del 2012, vi è stata una missione tecnica a Minsk di una delegazione guidata dal Capo di Gabinetto del Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione pro-tempore con delega in materia di adozioni internazionali, che ha avuto una serie di incontri con il vice Ministro degli affari esteri, il Ministro dell'istruzione e l'Autorità per le adozioni.
  All'iniziativa ha fatto seguito una ripresa dei rapporti tra i due Paesi che si è concretizzata, in primo luogo, nell'invio alle autorità bielorusse di elenchi di coppie italiane già in possesso del decreto di adozione per la Bielorussia.
  A fronte della posizione assunta da parte bielorussa circa l'importanza del ruolo di mediazione che l'Italia può svolgere in Europa, tenuto conto dei problemi in atto con l'Unione (il regime sanzionatorio condiviso tra i Paesi membri dell'Unione europea, accanto a specifiche misure, quali il bando sulla concessione dei visti e il congelamento dei beni stabilite nei confronti dei sostenitori del Presidente Lukaschenko, suggerisce il diradamento del dialogo bilaterale al più alto livello), si è avuto cura di sottolineare che le adozioni internazionali attengono in via esclusiva al campo degli interventi umanitari, come segnalato anche dall'interrogante nell'interrogazione in oggetto.
  Nel nuovo contesto di collaborazione instauratosi tra i due Paesi, senza più necessità di un coinvolgimento della Santa sede, sono stati compiuti numerosi passi avanti.
  Da ultimo, nel mese di aprile 2013, l'ambasciata bielorussa a Roma ha consegnato un elenco di 146 minori, le istruttorie per le cui adozioni si ritengono positivamente concluse. È stata, tuttavia, ribadita la posizione del Governo bielorusso che, per avviare il concreto affidamento dei minori, riteneva necessaria una nota a firma del Presidente del Consiglio dei ministri diretta al Presidente Lukashenko. In concreto, si è avuto solo un'interlocuzione tra i Ministri degli esteri dei due Paesi.
  In proposito si segnala che le adozioni rientrano nell'azione di cauto rilancio del partenariato bilaterale con la Bielorussia, che privilegia i contatti a livello di società civile. È proprio in tale contesto che, durante l'incontro tra il vice Ministro Dassù e la sua omologa bielorussa Kupchyna che si è svolto a Roma nel luglio 2013, è stata evidenziata la priorità accordata da parte italiana alle procedure adottive di minori bielorussi tuttora pendenti: in particolare, è stato sottolineato come la realizzazione di più ambiziosi progetti di cooperazione bilaterale, in ambito economico e commerciale, non possa prescindere da una soluzione su basi pragmatiche dei casi pendenti di adozione.
  Da parte bielorussa si ritiene tuttora attuale l'interlocuzione diretta tra il nostro Presidente del Consiglio e il Presidente della Repubblica Bielorussa.
  In tal senso si sono espressi anche i delegati delle famiglie adottanti in Bielorussia che ho personalmente incontrato il 19 novembre 2013, nella mia qualità di Presidente della Commissione per le adozioni internazionali.
  In tale occasione, ho sottolineato la delicatezza degli interventi da porre in essere, dovuta, da un lato, al fatto che le adozioni internazionali attengono in via esclusiva al campo degli interventi umanitari, dall'altro, alla necessità di tener conto dell'appartenenza dell'Italia all'Unione europea che ha confermato l'impianto sanzionatorio (già imposto nel 2008 e rinnovato nel 2010) nei confronti di quella Nazione.
  Nel medesimo incontro ho, inoltre, confermato il mio personale impegno, che voglio ribadire anche in questa sede, perché si giunga alla conclusione delle procedure di adozione a suo tempo aperte.
  Si tratta di una questione alla quale tengo moltissimo e che ho sottoposto all'attenzione delle massime autorità del nostro Paese.
  Sono convinta che ci si debba adoperare in ogni modo per risolvere il dramma delle famiglie e dei minori coinvolti e, per quanto mi riguarda, continuerò a fare tutto il possibile per contribuire a trovare una soluzione.

Il Ministro per l'integrazioneCécile Kyenge.


   BRAGA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto di compatibilità ambientale del progetto relativo al progetto definitivo dell’«Autostrada A8 Milano Laghi. Ampliamento alla quinta corsia tratto “Barriera Milano Nord” — “Interconnessione di Lainate” dal chilometro 5+577 al chilometro 9+990» rilasciato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare — direzione generale valutazioni ambientali rilasciato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali n. 255 dell'8 giugno 2012; riportava tra le altre le seguenti condizioni-prescrizioni-raccomandazioni:
    «1) B-prescrizioni del Ministero per i Beni e le Attività Culturali:
     ... ridurre gli svincoli e il complesso delle infrastrutture rendendoli meno invasivi nel contesto territoriale; inoltre il loro inserimento nel contesto paesaggistico dovrà essere oggetto di una specifica progettazione da sottoporre all'approvazione della Direzione Generale Valutazioni Ambientali del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e delle Soprintendenze di settore competenti per territorio;
    2) C-prescrizioni della Regione Lombardia:
     a)... minimizzazione dell'occupazione di suolo e delle interferenze sui sistemi verdi...;
     f)... sviluppare un quadro ambientale, opere di mitigazione e compensazione ... in sede di progetto esecutivo sia sviluppato e verificato in dettaglio il dimensionamento del sistema e delle opere di governo delle acque meteoriche di piattaforma alla luce ... degli scenari di sviluppo e dei programmi di intervento delineati dai “Contratti di Fiume” operanti sul territorio;
     i)... gli interventi di mitigazione e compensazione ambientale ... dovranno ... puntare a realizzare interventi forestali a rilevanza ecologica e di incremento della naturalità ... ivi compresa la fascia intorno al torrente Lura ...»
   al progetto definitivo venivano apportate modifiche in data 6 novembre 2012 e successivamente convocata la conferenza di servizi da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con nota del 26 novembre 2012;
   dal verbale della Conferenza dei servizi del 15 gennaio 2013 si evince che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare chiede a regione Lombardia di formulare le proprie valutazioni in merito all'ottemperanza delle prescrizioni del decreto VIA, sentiti la provincia di Milano, Arpa Lombardia, e gli enti locali interessati;
   preso atto del parere favorevole alle opere di regione Lombardia, nel rispetto delle prescrizioni e raccomandazioni riportate nel parere regionale, fatta salva ulteriore verifica di ottemperanza, nonché della deliberazione di giunta regionale n. IX/4823 del 6/052/2013, che acquisita la documentazione integrativa, il Ministero manifestava parere favorevole al progetto con prescrizioni;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare esprimeva parere favorevole alle opere restando in attesa della formale comunicazione degli esiti della verifica di ottemperanza delle prescrizioni da parte regionale contenute nel DEC VIA;
   dal verbale della Conferenza dei servizi finale in data 8 febbraio 2013 si evince che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, valutate le risultanze del procedimento, tenuto delle posizioni favorevoli concludeva il procedimento con esito positivo alla localizzazione dell'opera in esame;
   il progetto esecutivo dell'opera in esame deve necessariamente ottemperare alle condizioni-prescrizioni-raccomandazioni riportate nel decreto VIA del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare — direzione generale valutazioni ambientali e espresse nella deliberazione di giunta regionale Lombardia n. IX/4823 del 6/052/2013, più volte richiamati nei documenti in premessa –:
   se e in quali termini, per quanto a sua conoscenza, nel progetto esecutivo siano stati effettivamente ottemperate le prescrizioni di carattere ambientale ed ecologico riportate nel decreto VIA del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare relativamente al tratto dell’«autostrada A8 Milano Laghi, ampliamento alla quinta corsia tratto “Barriera Milano Nord” – “Interconnessione di Lainate” dal chilometro 5+577 al chilometro 9+990». (4-02288)

  Risposta. — In merito all'interrogazione in esame, dove in ordine al progetto «Autostrada A8 Milano-Laghi tratto barriera di Milano nord-Interconnessione di Lainate ampliamento alla quinta corsia» dal chilometro 5 + 577 al chilometro 9 + 990, si chiede se ed in quali termini «nel progetto esecutivo siano state effettivamente ottemperate le prescrizioni di carattere ambientale ed ecologico» riportate nel decreto di compatibilità ambientale dell'8 giugno 2012, si rappresenta quanto segue.
  L'approvazione del progetto definitivo e, in particolare, la sua localizzazione, è stata effettuata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti a conclusione della conferenza dei servizi.
  Il 12 settembre 2013, Autostrade per l'Italia ha trasmesso il progetto esecutivo al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che, attualmente sta svolgendo le attività di verifica istruttoria di propria competenza, le quali si prevede termineranno entro la prima decade del prossimo mese di novembre. In tale ambito sarà doverosamente verificato il rispetto delle prescrizioni di carattere ambientale ed ecologico di cui al summenzionato decreto.
  Non risulta, peraltro, che ancora oggi la società Autostrade per l'Italia abbia provveduto alla trasmissione del progetto esecutivo anche al Ministero dell'ambiente. Tuttavia, si rassicura l'interrogante che il medesimo Ministero si farà, in ogni caso, parte diligente per acquisire ogni utile elemento informativo al fine di attivare le opportune e necessarie verifiche circa il rispetto delle prescrizioni dettate a tutela della compatibilità ambientale.

Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   BURTONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   domenica 26 maggio 2013 nel pomeriggio si è sviluppato un vasto incendio nella pineta di Policoro con gravi danni al patrimonio ambientale e allo stabilimento balneare «Sporting Beach»;
   le fiamme si sono sviluppate rapidamente anche per la presenza del forte vento che soffiava;
   nell'azione di spegnimento sono state impegnate fino a sera squadre dei vigili del fuoco di Policoro, Matera e Tinchi di Pisticci nonché i volontari dei vigili del fuoco di Montalbano Jonico ed un canadair;
   non sono state ancora appurate le cause dell'incendio e purtroppo non è la prima volta che la pineta è stata teatro di incendi;
   la scorsa stagione estiva è stata per la provincia di Matera una stagione nera dal punto di vista degli incendi con le fiamme che hanno distrutto migliaia di ettari di vegetazione e solo per citarne alcuni ricordo gli incendi che hanno colpito i territori di Pisticci, Salandra, Montalbano jonico, Pomarico;
   questo episodio di Policoro preoccupa perché potrebbe annunciare un'altra stagione critica –:
   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare per rafforzare l'azione di prevenzione e cura del patrimonio boschivo nell'ambito della pineta di Policoro e più in generale lungo tutta la fascia jonica metapontina coinvolgendo tutte le amministrazioni interessate e nel contempo potenziando le dotazioni organiche e di mezzi del Corpo dei vigili del fuoco della provincia di Matera. (4-02544)


   BURTONE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella mattinata del 22 giugno 2013 nei pressi di Pisticci Scalo si sono sviluppati tre incendi a distanza di pochissimo tempio l'uno dall'altro ben tre incendi;
   il primo e più ampio nei pressi della strada statale n. 407 Basentana che ha creato qualche disagio anche alla circolazione, il secondo verso la zona di Pozzitello nei pressi di una vecchia galleria ferroviaria della tratta Calabro-Lucane e il terzo sempre zona Pozzitello nelle prossimità dei pozzi gas, entrambi a poca distanza dalla discarica della Recisa;
   già lo scorso anno il comprensorio di Pisticci è stato interessato da numerosi incendi di cui uno vastissimo del 26 agosto scorso;
   la stessa discarica fu interessata anni addietro da un vasto incendio che coprì la valle di una densissima nube;
   il territorio di Pisticci per la sua vastità e complessità è fortemente esposto al rischio incendi e preoccupa che siamo appena all'inizio della stagione estiva;
   non molti giorni prima la pineta di Policoro era stata colpita da un altro incendio con danni anche a strutture del litorale;
   occorre mettere in campo una forte sinergia per il controllo del territorio utilizzando al meglio le risorse dei corpi preposti e delle associazioni di volontariato;
   già nella scorsa legislatura l'interrogante aveva avanzato la richiesta per i territori fortemente esposti a rischio incendi di poter beneficiare di una deroga al patto di stabilità e di poter impiegare nell'azione di controllo prevenzione i lavoratori disoccupati sotto regime di mobilità in deroga –:
   se e quali iniziative il Governo intenda porre in essere per valutare la possibilità di concedere una deroga al patto di stabilità per azioni mirate di prevenzione e di controllo del territorio rispetto al rischio incendi nel corso della stagione estiva e se non intenda comunque rafforzare i presidi comprensoriali di Corpo forestale dello Stato e Vigili del fuoco in termini di mezzi e uomini.
(4-02545)

  Risposta. — Le interrogazioni in esame pongono entrambi all'attenzione di questa Amministrazione gli incendi che si sono sviluppati in provincia di Matera e i provvedimenti da adottare finalizzati a migliorare l'attività di prevenzione e controllo del territorio.
  Il 26 maggio 2013 in località «Lido» nel territorio del comune di Policoro, si è sviluppato un incendio che ha interessato l'area prospicente la pineta che costeggia alcuni villaggi turistici.
  Le operazioni dei Vigili del fuoco sono state particolarmente complesse a causa della presenza di un forte vento che rischiava di far estendere l'incendio ad una zona fortemente antropizzata, rendendo necessario l'intervento di un canadair per il definitivo spegnimento delle fiamme.
  Dai primi accertamenti effettuati è emerso che il punto di origine dell'incendio è stato localizzato in prossimità di un percorso pedonale che attraversa l'area boschiva. Non è stato tuttavia possibile stabilite la natura dolosa o colposa dell'evento.
  C’è da sottolineare che le aree della fascia jonica della provincia di Matera sono particolarmente esposte al rischio incendi, destinato inevitabilmente ad accrescersi nel corso della stagione estiva.
  Infatti il 22 giugno 2013 nel territorio di Pisticci, in diverse località, si sono verificati tre incendi a breve distanza di tempo. Anche in questi frangenti il pronto intervento dei Vigili del fuoco e del Corpo forestale dello Stato ha consentito di limitare i danni.
  L'organizzazione territoriale del dispositivo di soccorso tecnico urgente, nell'area cui fa riferimento l'interrogante, è affidata al comando provinciale dei Vigili del fuoco di Matera da cui dipendono i tre distaccamenti di Policoro, Ferrandina e Pisticci.
  Con tale organizzazione il corpo nazionale dei Vigili del fuoco garantisce in via ordinaria, in relazione al potenziale rischio territoriale, anche il presidio dei territori situati nell'interfaccia rurale-urbana.
  Nell'ambito della definizione del programma della campagna anticendi boschivi 2013, la prefettura di Matera ha coordinato una serie di azioni in grado di garantire l'operatività delle squadre di pronto intervento sulla prevenzione e contrasto al fenomeno degli incendi a cura della provincia di Matera, nonché delle squadre previste da alcuni specifici progetti in materia. Grazie a tali iniziative sono stati assicurati 11 presidi che hanno operato in parallelo con la sala operativa regionale.
  In questa stessa direzione e con risorse acquisite nell'ambito di tali progetti sono stati anche attivati 3 presidi straordinari con postazioni in Siri, Pomarico, Ferrandina.
  Per l'anno in corso, sono state ricercate anche forme di collaborazione in grado di valorizzare l'azione sinergica delle amministrazioni a vario titolo coinvolte nell'azione di prevenzione e lotta attiva agli incendi boschivi.
  In tale quadro si inserisce anche lo specifico accordo, stipulato il 12 luglio 2013, tra regione Basilicata, alla quale è attribuita la competenza primaria in materia, e questa Amministrazione.
  L'iniziativa, finalizzata al potenziamento dei servizi di soccorso del corpo nazionale dei Vigili del fuoco, nell'ambito della «Campagna estiva Anti Incendi Boschivi», ha previsto il rafforzamento del dispositivo con due squadre dislocate a Garaguso e Metaponto.
  Un'ulteriore convenzione tra regione Basilicata e Corpo forestale della Stato ha reso invece disponibili, sin dall'inizio dell'estate, l'utilizzo di due elicotteri.
  Circa un'eventuale proposta di deroga alla normativa vigente in materia di patto di stabilità interno, in particolare per quanto concerne le spese per le attività di prevenzione e controllo del territorio, appare primaria la necessità di individuare idonei mezzi di copertura finanziaria.
  Peraltro proprio sull'argomento generale delle possibili deroghe al patto di stabilità interno è, come noto, in corso un'attenta riflessione in sede di adozione della legge di stabilità.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   CARRESCIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il collegamento stradale tra il porto di Ancona e l'autostrada A14, con bretella di collegamento alla variante alla strada statale 16 è opera di fondamentale importanza per il porto di Ancona;
   l'intervento riguarda la realizzazione di un collegamento viario ad elevata capacità tra il porto di Ancona, l'autostrada A14 e la variante alla strada statale 16, di cui è in corso di progettazione l'ampliamento:
    i dati salienti dell'opera sono i seguenti:
     lunghezza: 10,7 chilometri;
     sezione categoria «B» strade extraurbane principali (2+2 corsie di marcia larghe 3,75 metri ciascuna con spartitraffico centrale e banchine laterali);
     due gallerie, ciascuna a due fornici (Ghettarello, 3,125 chilometri, con scavo meccanizzato; Palombella, 1,078 chilometri, con scavo tradizionale);
     tempi di realizzazione opera: 6 anni;
     costo complessivo dell'investimento: 574,5 milioni di euro;
   il collegamento stradale tra il porto di Ancona e l'autostrada A14, con bretella di collegamento alla variante alla strada statale 16 è compresa nel 1° programma delle infrastrutture strategiche e di preminente interesse nazionale di cui alla delibera CIPE n. 121/2001 e confermato dal documento «infrastrutture prioritarie» redatto dal Ministero delle infrastrutture nel novembre 2006;
   l'opera fa parte dell'intesa generale quadro tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la regione Marche, sottoscritta dalla Presidenza del Consiglio dei ministri in data 24 ottobre 2002;
   il progetto preliminare redatto dall'Anas è stato approvato con delibera del consiglio di amministrazione in data 15 marzo 2005. È stato sottoposto a procedura di VIA, ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo n. 190 del 2002, ed ha ottenuto parere favorevole, con prescrizioni, dalla commissione speciale VIA in data 31 marzo 2006;
   il consiglio di amministrazione dell'Anas del 20 febbraio 2006 ha deliberato l'inclusione del progetto nel master plan delle opere da realizzare mediante l'istituto del project financing. Nel corso del mese di luglio 2007 l'Anas ha pubblicato l'avviso indicativo per la selezione del promotore per la progettazione, realizzazione e gestione, con il sistema del project financing, del collegamento stradale tra il porto di Ancona e la grande viabilità; alla scadenza del termine fissato (16 novembre 2007) per la presentazione delle domande l'Anas ha ricevuto 10 proposte da parte degli aspiranti promotori;
   in data 23 aprile 2008 il Consiglio di amministrazione dell'Anas ha dichiarato di pubblico interesse la proposta presentata dall'ATI Impreglio – Astaldi – Pizzarotti – Itinera, che avrà il diritto di prelazione nella successiva fase di gara per la selezione del concessionario;
   in data 14 luglio 2008 il progetto preliminare presentato dal promotore è stato trasmesso alla struttura tecnica di missione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per la conseguente istruttoria per la sottomissione del progetto preliminare all'approvazione del CIPE;
   in data 16 gennaio 2009 si è provveduto alla pubblicazione del progetto e lo stesso è stato trasmesso al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministero per i beni e le attività culturali e alla regione Marche, per il rilascio da parte degli stessi delle integrazioni ai pareri, a suo tempo rilasciati, necessari per la successiva approvazione del progetto preliminare e della proposta presentata dal promotore, da parte del CIPE;
   in data 29 luglio 2009 la commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA-VAS del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha espresso parere positivo con prescrizioni, rilevando che il progetto del promotore sostanzialmente non varia rispetto a quello già presentato da Anas nel 2005, se non per aspetti di dettaglio;
   dal 21 settembre 2009 al 22 ottobre 2009 si è tenuto il collegio tecnico, istituito ai sensi dell'articolo 165 comma 6, lettera b) del decreto legislativo n. 163 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni e composto dai rappresentanti della struttura tecnica di missione del MIT, regione Marche, comune di Ancona, autorità portuale di Ancona, R.F.I., Multiservizi s.p.a., ed ANAS s.p.a., che al termine dei lavori ha definito un quadro prescrittivo di varianti progettuali;
   il progetto preliminare e la proposta del promotore sono stati approvati dal CIPE con delibera n. 34 del 13 maggio 2010;
   in data 11 agosto 2010 è stato pubblicato il bando di gara ai sensi dell'articolo 155, comma 1, del decreto legislativo n. 163 del 2006 per l'individuazione del concessionario. Alla scadenza del 30 settembre 2010 sono state presentate sei domande di prequalifica, tutte ammesse alla fase successiva della procedura;
   in data 26 novembre 2010 è stata pubblicata la delibera CIPE n. 34 del 13 maggio 2010, registrata dalla Corte dei conti in data 12 novembre 2010;
   in data 5 maggio 2011 il CIPE ha approvato con prescrizioni, lo schema di convenzione;
   in data 26 novembre 2011 è stata pubblicata la delibera CIPE n. 9 del 5 maggio 2011. Lo schema di convenzione disciplina il rapporto tra il concedente (ANAS s.p.a.) ed il concessionario per la progettazione, realizzazione e gestione del collegamento viario;
   in data 15 dicembre 2011 sono state trasmesse le lettere di invito ai soggetti prequalificati. La scadenza per la presentazione delle offerte è stata fissata al 15 febbraio 2012;
   ai sensi dell'articolo 36 del decreto legislativo n. 98 del 2011 (convertito dalla legge n. 111 del 2011), in seno al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, è stata istituita l'Agenzia per le infrastrutture stradali ed autostradali, che compie opera di vigilanza e controllo in nome per conto del Ministero. Tale Agenzia ha sostituito l'ANAS in qualità di stazione appaltante;
   in data 15 febbraio 2012, non risultando pervenute ulteriori offerte oltre a quella del promotore, è stata avviata la procedura negoziata per l'aggiudicazione definitiva dell'opera (rif. articolo 56 del decreto legislativo n. 163 del 2006);
   il 1° ottobre 2012 le attività di vigilanza sull'esecuzione dei lavori di costruzione delle opere date in concessione e il relativo personale dell'Ispettorato di vigilanza in capo ad Anas, sono stati trasferiti al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, (rif. articolo 11, comma 5, del decreto-legge n. 216 del 2011, convertito dalla legge n. 14 del 2012);
   con decreto ministeriale n. 341 del 1° ottobre 2012 tutte le concessioni in capo all'Anas sono passate al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nella istituenda struttura di vigilanza sulle concessioni autostradali nell'ambito del dipartimento per le infrastrutture, gli affari generali e il personale;
   con il decreto-legge n. 179 del 2012 (il cosiddetto «decreto sviluppo»), è stata data la possibilità di favorire la realizzazione di nuove infrastrutture previste in contratti di partenariato pubblico-privato per le quali venga accertata la non sostenibilità economico-finanziaria, con agevolazioni e cofinanziamenti utili a ripristinare l'equilibrio del piano economico-finanziario (cfr. articolo 33 del citato decreto). Tale possibilità è prevista, a determinate condizioni, anche per i bandi già assegnati, come il caso in questione;
   nonostante il tempo trascorso ed i continui solleciti sia della regione Marche sia del comune di Ancona non si è ancora riusciti a firmare la convenzione tra il concedente ed il concessionario –:
   se sia a conoscenza dei motivi del ritardo nella firma della convenzione;
   se i motivi siano da imputarsi solo a ritardi burocratici oppure alla scarsa volontà dell'impresa di eseguire l'opera;
   quali iniziative intenda adottare per sbloccare una situazione insostenibile che sta danneggiando lo sviluppo del porto di Ancona e dell'economia marchigiana.
(4-00132)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si evidenzia che il collegamento stradale tra il porto di Ancona e l'autostrada A14, con la bretella di collegamento alla variante alla strada statale 16 è compreso nel 1o Programma delle infrastrutture strategiche, è di preminente interesse nazionale (delibera CIPE n. 121 del 2001) ed è stato anche confermato dal documento «Infrastrutture Prioritarie» redatto da questo dicastero nel novembre 2006.
  L'opera fa parte dell'intesa generale quadro tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la regione Marche, sottoscritta dalla Presidenza del Consiglio dei ministri in data 24 ottobre 2002.
  Tralasciando i vari passaggi procedurali già illustrati dall'interrogante, si comunica che per la gara relativa all'affidamento del suddetto collegamento viario, in data 12 settembre 2013, è intervenuta l'aggiudicazione definitiva a favore di Ati Impregilo-Astaldi-Pizzarotti-Itinera.
  Attualmente, sono in corso tutti gli adempimenti necessari alla sottoscrizione dell'atto convenzionale con affidataria, essendosi conclusa la fase di verifica di una serie di criticità sollevate dall'Ati relative in particolare alla questione delle polizze fideiussorie e alla costituzione della società di progetto prevista dal bando di gara.
  Con nota del 30 ottobre 2013 l'Ati aggiudicataria si è infatti dichiarata disponibile ad assolvere agli incombenti richiesti dalla struttura di vigilanza sulle concessionarie autostradali.
  Si ritiene, pertanto, che la sottoscrizione della convenzione possa intervenire in tempi brevi.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   CATANOSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   i controlli domiciliari dei lavoratori assenti per malattia del settore privato e da qualche tempo anche della pubblica amministrazione non in maniera prevalente, sono effettuati da medici fiscali dell'Inps sia su disposizione d'ufficio che su richiesta dei datori di lavoro;
   il rapporto di lavoro si svolge in base alle disposizioni contenute nel decreto-legge n. 463 del 1983 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 638 del 1983. I medici che lavorano su incarico dell'Inps hanno con l'istituto un rapporto fiduciario essendo inseriti in «liste speciali»;
   da oltre 20 anni i medici fiscali dell'Inps, pur svolgendo la stessa attività prevista da una legge dello Stato dei medici fiscali delle asl, hanno una tipologia di rapporto di lavoro atipica del tutto diversa da questi ultimi;
   i medici dell'Inps non hanno il riconoscimento di una posizione giuridica che permetta loro di svolgere la professione con tutti i presupposti giuridici (ferie, malattia, contributi previdenziali, e altro): il medico è retribuito a prestazione ed ha obbligo di reperibilità e disponibilità nei giorni festivi e feriali nonché incompatibilità con altre attività, pur essendo il suo un rapporto libero professionale;
   i decreti ministeriali che nel tempo hanno normato questa materia sono quattro: decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 15 luglio 1986 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 170 del 24 luglio 1986, decreto 18 aprile 1996 pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 99 del 29 aprile 1996, decreto 12 ottobre 2000 pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 261 dell'8 novembre 2000 ed il decreto 8 maggio 2008 pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 157 del 7 luglio 2008; quest'ultimo decreto disciplina il rapporto fino alla completa rivisitazione della disciplina;
   l'Inps, dal 2 maggio 2013, ha sospeso l'attività di controllo d'ufficio sui certificati di malattia a causa della cosiddetta spending review ed essendo prevalenti, e di molto, i controlli d'ufficio rispetto a quelli disposti dai datori di lavoro, di fatto rimangono senza lavoro 1200 medici in tutta Italia;
   nello stesso tempo l'Inps ha pubblicato un bando di reclutamento di 998 medici esterni per le commissioni d'invalidità;
   le visite di controllo servono per risparmiare i contributi per indennità dei giorni di malattia e per limitare gli abusi per assenteismo camuffato da malattia;
   a giudizio dell'interrogante la mancanza di controlli domiciliari determinerà un aumento generalizzato di giorni di malattia da indennizzare con le evidenti ricadute sui conti pubblici e previdenziali;
   i medici fiscali dell'Inps hanno svolto e svolgono questa attività in modo prevalente anche a seguito delle pesanti incompatibilità cui devono sottostare e che non hanno consentito a molti, tra l'altro, la frequenza delle scuole di specializzazione post laurea;
   la disciplina vigente infine prevede che il carico di lavoro dovrebbe tendere alle sei visite al giorno non raggiungibile ovviamente con le sole richieste dei datori di lavoro, ma, in considerazione della razionalizzazione della spesa imposta alla pubblica amministrazione, l'auspicio sarebbe che le visite fiscali non venissero del tutto sospese, ma che si trovassero anche soluzioni alternative che contemperino sia le esigenze di risparmio sia la salvaguardia delle legittime aspettative di 1200 medici fiscali –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato affinché si prendano dei provvedimenti a tutela di questa categoria professionale. (4-00415)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, inerente alla sospensione, disposta dall'Inps, delle visite fiscali d'ufficio per le assenze per malattia dei lavoratori del settore privato e le conseguenze di tale scelta sull'attività lavorativa dei medici che finora hanno svolto la funzione di accertamento per conto dell'istituto, sulla base delle informazioni dallo stesso fornite, si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente è opportuno ricordare che le recenti disposizioni normative concernenti la riduzione della spesa pubblica hanno comportato per l'Inps la necessità di conseguire, a partire dal 2013, risparmi aggiuntivi. Da ultimo, l'articolo 1, comma 108, della legge n. 228 del 2012, ha imposto all'Inps tagli alle proprie spese di funzionamento tali da conseguire risparmi non inferiori a 300 milioni di euro annui.
  L'istituto ha, pertanto, rideterminato le risorse finanziarie destinate alle visite mediche di controllo d'ufficio passando da un budget preventivo per il 2013 pari a circa 50 milioni di euro ad un budget aggiornato di 22.300.000 euro. Sul piano gestionale, inoltre, è stato necessario procedere all'adeguamento delle procedure informatiche per consentire la distribuzione delle visite nei limiti del budget disponibile che alla data del 29 maggio 2013 risultava essere di 4.190.624,39 euro. Dal 1o gennaio di quest'anno, infatti, erano già state assegnate d'ufficio visite mediche di controllo per una spesa pari a 18.109.375,61 euro.
  In conseguenza della esiguità di risorse finanziarie disponibili, l'istituto ha sospeso, per un brevissimo periodo, la procedura per il conferimento ai medici cosiddetti «di lista» degli incarichi per le visite d'ufficio lasciando invariata, invece, la procedura per le visite su richiesta dei datori di lavoro.
  Successivamente, con messaggio n. 9939 del 19 giugno 2013, l'Inps ha ripristinato la procedura introducendo, tuttavia, una proporzionale riduzione delle visite d'ufficio. In conseguenza di tale riduzione, i medici iscritti nelle liste dell'istituto hanno registrato una consistente diminuzione del numero di visite loro assegnate. Si è passati, infatti, da circa 78.700 visite mediche d'ufficio effettuate mensilmente nel 2012 a circa 10.000 visite mensili disposte per i mesi di luglio e agosto 2013, ulteriormente ridotte a 5.000 visite per il mese di settembre.
  L'istituto ha inoltre comunicato che i nuovi criteri di assegnazione delle visite mediche hanno formato oggetto di confronto con le organizzazioni sindacali dei medici di lista (CISL Medici, UIL-FPL Medici, FIMMGI, SINMEDICO, NIDIL CGIL) in occasione di un tavolo tecnico nazionale.
  L'Inps ha evidenziato, inoltre, che la programmazione della spesa per le visite fiscali in argomento presenta un particolare elemento di complessità a causa della natura variabile di una parte del compenso corrisposto ai medici che, com’è noto, dipende anche dai rimborsi chilometrici.
  A tal proposito, l'istituto ha reso noto che, al 30 settembre 2013, la disponibilità di somme sul relativo capitolo di spesa risultava sufficiente a consentire il pagamento del solo compenso forfettario e dei rimborsi per formazione di cui all'articolo 3, comma 5, del decreto ministeriale 8 maggio 2008. Pertanto, con messaggio n. 15644 dello scorso 1o ottobre, l'istituto ha sospeso le visite fiscali in parola dandone tempestiva comunicazione alle citate organizzazioni sindacali di categoria.
  L'Inps ha fatto sapere, inoltre, che le visite di controllo disposte dai datori di lavoro non hanno subito alcuna modifica e che tale tipologia di visite concorre, comunque, a determinare i carichi di lavoro dei singoli medici, alimentandone il reddito con una media mensile di circa 25.667 visite.
  L'istituto ha altresì rappresentato che la decisione di contingentare le visite mediche disposte d'ufficio, assunta il 19 giugno 2013 con il messaggio predetto, è stata, in alcuni casi, oggetto di contenzioso giudiziario. In particolare, il tribunale di Brescia e quello di Messina hanno adottato ordinanze favorevoli alle ragioni dell'istituto, statuendo tra l'altro che: «non esiste alcun obbligo in capo all'Ente previdenziale di garantire ai medici un numero minimo di visite giornaliere e/o settimanali e, dunque, un minimo reddito o compenso mensile».
  Per quanto concerne, invece, la ridefinizione dell'attuale tipologia di rapporto di lavoro intercorrente tra l'Inps e i medici fiscali, secondo una prospettiva di stabilizzazione di questi ultimi, l'istituto ha precisato che – con i decreti ministeriali del 15 luglio 1986 e del 18 aprile 1996, emanati in attuazione del decreto-legge n. 463 del 1983 – viene confermata «la natura di attività libero professionale del rapporto di collaborazione fiduciaria che si instaura con l'istituto e la piena autonomia professionale al di fuori di qualsiasi vincolo gerarchico».
  Pertanto, una ridefinizione della collaborazione improntata ai canoni di stabilità e certezza non può prescindere da un'analisi dei vincoli imposti dalla vigente normativa in materia di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione e, più in generale, dal dettato dell'articolo 97 Cost. che impone la regola del concorso pubblico.
  Da ultimo si rappresenta che, al fine di trovare una possibile soluzione alla riduzione dei carichi di lavoro per i suddetti professionisti, l'Inps sta valutando, congiuntamente al dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri, l'adozione di una disposizione tendente alla costituzione di un polo unico per l'effettuazione delle visite di accertamento medico legale nei confronti di tutti i lavoratori pubblici e privati. Tale polo, da istituire presso l'Inps, dovrebbe portare al superamento degli attuali problemi di budget.

Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.


   CATANOSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'ordinamento del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco non è prevista la figura del geologo, riservando i posti direttivi ad ingegneri ed architetti;
   gli eventi alluvionali che annualmente investono la nostra Penisola, il cui dissesto idrogeologico è sotto gli occhi di tutti, necessiterebbero la presenza all'interno delle squadre d'intervento dei vigili del fuoco di un geologo, professionista che possiede quel ricco bagaglio di informazioni, legate alla conoscenza delle dinamiche dei terreni, necessarie a poter assumere, con efficienza e prontezza, difficili decisioni operative;
   la vastità dei compiti istituzionali del Corpo nazionale dei vigili de fuoco è tale che difficilmente, una singola professione o singolo percorso culturale e formativo possa garantire a priori un vantaggio formativo e una preparazione sempre superiore in ogni scenario. Ma da qui ad escludere a priori una professione, una laurea, una figura tecnica ce ne vuole;
   sull'argomento del riconoscimento del titolo e della professione del geologo v’è stato ampio carteggio tra l'Ordine nazionale dei geologi ed il precedente Ministro dell'interno da cui si evince la posizione favorevole del dicastero di provvedere a sanare la questione e prevedere il titolo di laurea in scienze geologiche tra quelli utili per l'accesso alla carriera direttiva e dirigenziale nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   il Consiglio nazionale dei geologi ha chiesto, inoltre, ai vertici del Ministero dell'interno, precedenti ed attuali, di istituire per l'organico del Corpo dei vigili del fuoco il ruolo di funzionari geologi e di riconoscere alla laurea in scienze geologiche un valore pari alle altre lauree attinenti ai fini dei passaggi di qualifica;
   di tali richieste se n’è fatta portavoce anche la Confsal-vigili del fuoco con una nota al Capo dipartimento dei vigili del fuoco, del 19 marzo 2013, in cui si chiede attuazione degli auspici espressi dai rappresentanti del precedente Governo –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-01120)

  Risposta. — Si premette che l'articolo 9 della legge 27 dicembre 1941, n. 1570, istitutiva del corpo nazionale dei vigili del fuoco, ha previsto il reclutamento degli «ufficiali» del corpo, ora costituenti il ruolo dei direttivi e dirigenti, tra i soli possessori della laurea in ingegneria.
  La legge 5 dicembre 1988, n. 521, al comma 12 dell'articolo 11, aveva previsto, in via transitoria, per un solo concorso pubblico bandito all'epoca, una quota di riserva, pari al 20 per cento dei posti, in favore del personale interno in possesso della laurea in architettura o in scienze geologiche. Il decreto legislativo 13 ottobre 2005, n. 217, al Titolo II, capo I, comma
d) dell'articolo 41, ha ribadito, tra i requisiti per l'accesso al ruolo dei direttivi del corpo nazionale dei vigili del fuoco, il possesso della laurea in ingegneria o architettura e ciò in linea con la legge delega n. 252 del 30 settembre 2004. In particolare, nelle procedure di riqualificazione interne, il relativo bando di concorso stabilisce il valore specifico da attribuire ai titoli di studio ovvero i criteri di valutazione degli stessi titoli che possono essere «ridotti della metà nel caso non siano coerenti con l'attività professionale della qualifica messa a concorso».
  Il suddetto inciso è stato interpretato non avendo riguardo solo ai complessivi fini istituzionali del corpo nazionale dei vigili del fuoco, bensì all'attività propria del profilo a concorso.
  Tale giudizio, infatti, spetta alla singola commissione esaminatrice che, in piena discrezionalità, determina nel merito come debba intendersi la pertinenza dei titoli e la coerenza con l'attività professionale della qualifica messa a concorso.
  Su questi rilievi, è stato adottato il criterio valutativo di ritenere coerenti esclusivamente i diplomi di istruzione secondaria superiore ad indirizzo tecnico scientifico quali titoli di studio idonei a consentire l'accesso alla qualifica di vice ispettore antincendi, nonché, in analogia, le lauree (ingegneria ed architettura) per l'accesso al ruolo dei direttivi, quale percorso logicamente e funzionalmente connesso con i ruoli dei capi squadra, dei capi reparto, degli ispettori e sostituti direttori antincendi.
  In tali qualifiche si articola il personale non direttivo e non dirigente che espleta funzioni tecnico-operative.
  Alla luce delle disposizioni richiamate, l'inclusione della laurea in scienze geologiche tra i titoli di accesso al ruolo dei direttivi e dirigenti del corpo potrà essere riconsiderata in occasione di modifica del decreto legislativo 13 ottobre 2005, n. 217.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   CIRIELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   è di pochi giorni fa la preoccupante notizia del fermo di numerosi cittadini italiani in occasione della partita di calcio Legia Varsavia-Lazio, disputata a Varsavia il 28 novembre 2013;
   in particolare, secondo quanto riportato dai principali quotidiani nazionali, tra mercoledì 27 e giovedì 28 novembre 2013 sarebbero stati fermati dalla polizia di Varsavia 149 connazionali, che si erano recati nella capitale polacca per assistere all'incontro di calcio;
   secondo le testimonianze dei ragazzi coinvolti nel fermo, nella retata sarebbero finiti non solo i tifosi della Lazio, ma anche turisti, anziani e donne, come nel caso di due ragazze toscane portate in questura solo perché italiane;
   in merito agli eventi che hanno portato agli arresti dei nostri connazionali su scala così vasta, gli organi di stampa nazionali hanno, in questi giorni, riportato notizie di ogni genere: si parla di intimidazioni, di soprusi, di violenze, di capi di imputazione pretestuosi, di donne e di minori, addirittura di disabili, arrestati e tutti imprigionati, senza che vi fosse alcuna distinzione tra i soggetti che avevano eventualmente commesso fatti criminosi e tutti gli altri;
   pur condannando la violenza in occasione di eventi sportivi, certamente non è possibile condividere la decisione a giudizio dell'interrogante del tutto arbitraria della polizia locale di fermare preventivamente i tifosi per evitare disordini;
   l'85 per cento circa delle persone coinvolte, infatti, sarebbe risultato totalmente estraneo ai fatti, come riconosciuto dal primo consigliere dell'ambasciata italiana a Varsavia, Luca Lepore, che ha parlato di «quella che è stata eufemisticamente definita una azione preventiva»;
   sempre secondo le frammentate notizie che giungono, in un primo momento, sarebbe stato detto ai tifosi fermati che li avrebbero accompagnati allo stadio, ma invece sarebbero stati condotti in commissariato, dove sarebbero stati sottoposti all'alcol test e al droga test; successivamente, avrebbero fatto firmare agli stessi dei fogli in lingua polacca e portati in carcere, negando loro la possibilità di avvisare la famiglia, di chiamare un legale o di contattare l'ambasciata;
   lo stesso ambasciatore italiano avrebbe altresì riferito che nella maggior parte dei casi i concittadini, tra cui molti minorenni, sarebbero stati trattati malissimo dalle autorità competenti, con pochissimo cibo e poca acqua; la possibilità di andare al bagno sarebbe stata addirittura lasciata alla discrezionalità delle guardie carcerarie che a volte avrebbero ignorato totalmente le richieste;
   i ventidue tifosi, trattenuti con l'accusa di adunata sediziosa e aggressione a pubblico ufficiale, sarebbero stati poi processati per direttissima e condannati a pene non definitive di alcuni mesi o sottoposti ad indagini preliminari con due mesi di custodia cautelare;
   si sarebbe trattato di un processo avvenuto senza la presenza di un difensore, senza la rappresentanza dell'ambasciata; un processo dove i ragazzi, tutti giovanissimi, sarebbero stati costretti a dichiararsi colpevoli, alcuni pagando una multa pari a circa 100 euro, per poter essere immediatamente rilasciati;
   numerosi sono gli interrogativi sull'azione della polizia polacca che emergono dalle testimonianze dei fermati, secondo i quali – come confermato dallo stesso ambasciatore italiano in Polonia – solo un limitato gruppo di tifosi avrebbe usato comportamenti ostili contro le forze dell'ordine polacche;
   questi ragazzi, infatti, non avrebbero fatto nulla, ma, anche qualora risultassero colpevoli, niente giustifica la negazione dei più elementari diritti, a cominciare da quello di essere difeso da un avvocato di fiducia;
   la cosa più grave è che la polizia polacca avrebbe dichiarato di essersi comportata in modo conforme alle procedure legali in vigore. Ossia, sarebbe stato tutto lecito: il fermo, la mancanza di acqua e di cibo, i maltrattamenti, l’iter processuale;
   nonostante le generiche rassicurazioni rese dal Sottosegretario agli affari esteri nel corso dell'informativa svoltasi in Parlamento, a tutt'oggi non è chiaro cosa stia facendo il Governo, che, ancora una volta, ha dimostrato secondo l'interrogante la sua totale assenza e, soprattutto, di non avere alcun peso specifico all'estero;
   sarebbe auspicabile che il Presidente del Consiglio Letta, che si è recato a Varsavia per un vertice bilaterale con il Primo ministro polacco, chieda conto del trattamento inaccettabile che è stato riservato ai cittadini italiani, privati dei principali diritti civili;
   tale increscioso episodio, dai contorni ancora dubbi, non può essere certamente giustificato alla luce del vasto numero di connazionali fermati (149), come, invece, ha dichiarato il Governo in aula, soprattutto considerato che è accaduto in un Paese dell'Unione europea dove, fino a prova contraria, dovrebbe esistere ed essere garantito uno Stato di diritto –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali iniziative ritenga opportuno adottare per consentire una rapida e definitiva soluzione di questa grave vicenda, chiarendo le modalità e la tempistica degli eventi che hanno portato agli arresti dei nostri connazionali su scala così vasta e individuando eventuali responsabilità nel mancato tempestivo intervento della ambasciata italiana in Polonia.
(4-02875)

  Risposta. — In relazione alla nota vicenda del fermo dei tifosi italiani in Polonia in occasione della partita di calcio Legia Varsavia – Lazio, fornisco gli aggiornamenti richiesti sulla situazione già descritta nel corso dell'informativa svolta alla Camera dei deputati martedì 3 dicembre 2013.
  L'evoluzione della situazione è stata seguita con grande attenzione dall'ambasciata, dalla Farnesina e dalla Ministro Bonino personalmente.
  Si è già avuto occasione di illustrare, nel corso dell'informativa citata, i principali interventi compiuti in favore dei nostri connazionali dalla signora Ministro – che ha avuto più di un colloquio telefonico con il suo omologo Sikorski chiedendo che si potesse pervenire a una soluzione positiva per i connazionali ancora trattenuti e che fosse fatta chiarezza sulla dinamica e vastità degli arresti iniziali. Ricordo che la signora Ministro ha altresì sensibilizzato il Vice Ministro degli Esteri polacco a margine della ministeriale NATO dello scorso 3 dicembre.
  Come si è rilevato in Parlamento, uno sforzo organizzativo molto rilevante è stato messo in atto dal Ministero, dall'ambasciata e dall'ambasciatore Guariglia in prima persona, per fornire assistenza ai fermati e rappresentare al massimo livello l'attesa italiana di risolvere rapidamente i casi. Prosegue in queste ore lo sforzo teso a favorire il rilascio di quanti sono ancora detenuti e il chiarimento delle circostanze in cui sono stati adottati i provvedimenti di fermo da parte delle autorità di polizia nella capitale polacca.
  Si desidera inoltre mettere in luce che, a margine del vertice bilaterale italo-polacco svoltosi a Varsavia, il Presidente del Consiglio Letta ha avuto un colloquio con il Primo Ministro polacco, Donald Tusk. In particolare, il Presidente Letta ha fatto stato della grandissima sensibilità che l'intera vicenda sta suscitando presso l'opinione pubblica italiana, presso il Parlamento e presso il Governo. Egli ha quindi chiesto al suo interlocutore, nel rispetto della legislazione polacca e della separazione dei poteri dello Stato, ogni possibile intervento volto a rendere più rapidi i procedimenti giudiziari in corso in modo da pervenire, il più celermente possibile, ad una soluzione positiva.
  Il Primo Ministro Tusk, per parte sua, ha condiviso la preoccupazione dei familiari e dell'opinione pubblica italiana e ha assicurato che avrebbe fatto tutto il possibile a favore di procedure più spedite.
  Il Presidente del Consiglio, al termine del vertice, ha incontrato nella sede dell'ambasciata due rappresentanti dei genitori. Il Presidente Letta ha confermato l'impegno del Governo e ha informato i nostri connazionali delle assicurazioni ricevute dal Primo Ministro polacco.
  L'ambasciatore Guariglia nei giorni scorsi ha incontrato il procuratore generale, Seremek – già precedentemente sensibilizzato – e gli ha espresso la nostra richiesta, nel rispetto delle leggi polacche, per una rapida trattazione di tutte le istanze presentate dagli avvocati al fine di pervenire alla scarcerazione dei nostri connazionali. Egli ha avuto analogo incontro con il Presidente del tribunale circoscrizionale di Varsavia, Kluziak. L'ambasciata ha mantenuto costanti, discreti contatti sia con i procuratori che con i giudici implicati nella trattazione dei dossiers dei nostri connazionali.
  Per ciò che concerne i punti sollevati in merito alla presunta «inerzia» iniziale dell'ambasciata e della Farnesina, si fa presente che si è assicurato tutto il possibile supporto: naturalmente, il numero di fermati era tale da rendere materialmente impossibile per i funzionari dell'ambasciata essere contemporaneamente presente a tutti i processi o potere assistere direttamente ognuno dei fermati. Segnalo che l'ambasciata a Varsavia, nell'istituire un'apposita «unità di crisi», ha pubblicato sul proprio sito internet numeri di telefono fissi e mobili da contattare, assicurando, attraverso questo canale, una costante reperibilità.
  In tutti questi giorni è continuato l'afflusso in ambasciata di parenti ed amici dei connazionali detenuti, cui è stato offerto ogni possibile aiuto. Le famiglie dei detenuti stanno valutando insieme agli avvocati la linea da tenere nei procedimenti giudiziari in corso, che vedono – ad oggi – quattro persone sottoposte a supplemento di indagini e dieci già processate per direttissima, Otto persone che erano state sottoposte a supplemento di indagini, infatti, sono state liberate tra ieri e oggi a seguito di patteggiamento. Ulteriori patteggiamenti sono previsti martedì prossimo, per i restanti quattro connazionali sottoposti a supplemento di indagini.
  Si ricorda che il Ministero dell'interno polacco dispone di documentazione fotografica dalla quale si evince che alcuni dei fermati erano effettivamente in possesso di armi improprie.
  Con riferimento, da ultimo, all'assistenza legale ed alle condizioni detentive dei connazionali, si rappresenta quanto segue: i connazionali sono assistiti da un legale e gli stessi, in occasione delle varie visite consolari effettuate da personale dell'ambasciata, sono apparsi in buono stato psico-fisico. Il funzionario del Ministero dell'interno italiano appositamente inviato a Varsavia ha redatto una relazione secondo cui il comportamento della polizia polacca sarebbe stato conforme alle norme dell'ordinamento locale, norme che tuttavia sono diverse rispetto a quelle italiane applicabili in circostanze analoghe. Lamentele sono state riferite relativamente alle condizione in alcuni dei diversi commissariati in cui erano stati inizialmente trattenuti i 149 fermati. Le autorità italiane hanno in proposito preteso chiarimenti.
  La Farnesina, su istruzione del Ministro Bonino, continuerà a prestare ogni possibile assistenza ai connazionali e ai loro familiari, in stretto contatto con le autorità polacche, con l'obiettivo di una rapida e definitiva soluzione della vicenda.

Il Viceministro degli affari esteriMarta Dassù.


   COSTANTINO, MIGLIORE, PILOZZI, FRATOIANNI e AIELLO. — Al Ministro per l'integrazione, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 10 agosto 2013, durante la sua detenzione presso il Centro di identificazione e di espulsione Sant'Anna di Isola Capo Rizzuto, a Crotone, è morto Moustapha Anaki, un marocchino di 31 anni;
   Anaki si trovava in Italia da 7 anni ed era stato condotto nel Centro di identificazione e di espulsione di Isola Capo Rizzuto un mese prima che perdesse la vita;
   in seguito al suo decesso è esplosa una rivolta che ha causato danni ingenti alla struttura, motivo per il quale la stessa è stata chiusa, dislocando i trattenuti in altri centri in tutta Italia;
   la versione ufficiale fornita dall'ente gestore Misericordie – vincitore dell'appalto della struttura dal 2012 al 2015, che si occupava anche dell'assistenza sanitaria – nonché dalla questura, è che Anaki, soffrendo di cardiopatia, sarebbe morto per un «malore», e che la rivolta non sarebbe avvenuta per il suo decesso, ma per i tempi di permanenza dei trattenuti;
   l'ispezione effettuata alla fine del 2012 dal tribunale di Crotone ha dimostrato «che gli immigrati sono stati trattenuti nel Cie in strutture al limite della decenza»;
   le visite da parte dei giornalisti sono praticamente inaccessibili «per motivo di ordine pubblico», come riportato su Repubblica.it, in un articolo a firma di Raffaella Cosentino del 19 agosto 2013;
   l'indagine di Medici per i diritti umani, «Arcipelago Cie», ha dimostrato che il Centro di identificazione e di espulsione di Crotone ha impiegato il più basso tasso di risorse economiche tra i Centri di identificazione e di espulsione italiani, ovvero solo 21,4 euro a persona;
   all'interno dell'ex struttura militare sorge anche il Cara, centro di accoglienza per richiedenti asilo, nel quale attualmente vivono 1.700 persone, il doppio della capienza massima prevista per la struttura –:
   per quali motivi la notizia della morte di Anaki, nonché della conseguente protesta degli immigrati siano state comunicate dalla prefettura solo una settimana dopo i fatti;
   di quali informazioni dispongano i Ministri interrogati circa i fatti descritti in premessa. (4-01759)

  Risposta. — Il cittadino marocchino Moustapha Anaki era trattenuto nel centro di identificazione ed espulsione Sant'Anna di Isola Capo Rizzuto, a Crotone, dall'11 luglio 2013, in esecuzione del decreto di espulsione emesso il giorno precedente dal prefetto di Salerno. Nella mattinata del 10 agosto, lo straniero è stato trovato in stato di incoscienza, è stato soccorso dal personale medico in servizio presso il centro, ed è stato immediatamente trasportato presso l'ospedale di Crotone, dove è deceduto per arresto cardiocircolatorio, dopo che i sanitari avevano tentato invano di rianimarlo. Gli esiti degli accertamenti sulla salma non sono ancora pervenuti all'autorità giudiziaria; tuttavia, il medico legale incaricato dell'esame autopico ha anticipato che la causa principale del decesso è da ricondurre a un edema polmonare in soggetto affetto da cardiopatia, rinviando la diagnosi definitiva all'esito delle analisi tossicologiche, attualmente in corso, su alcune sostanze esogene rinvenute dalla polizia scientifica nella stanza del deceduto e sulla lettiga utilizzata per il suo trasporto in ospedale.
  Nel pomeriggio della stessa giornata, gli stranieri trattenuti nel centro, dopo aver chiesto informazioni sullo stato di salute del proprio connazionale, hanno inscenato una violenta protesta, che ha reso necessario l'intervento del personale dei vigili del fuoco e del 118. Nel corso della rivolta gli immigrati hanno dato fuoco a materassi, coperte, lenzuola, tavoli e sedie, scardinando porte e demolendo alcuni muri divisori; inoltre, il materiale cementizio di risulta ricavato dalle demolizioni è stato lanciato contro le forze dell'ordine preposte alla vigilanza e contro gli operatori dell'ente gestore.
  In seguito a un sopralluogo tecnico effettuato il giorno successivo, il centro è stato dichiarato inagibile ed è stato temporaneamente chiuso, al fine di effettuare gli interventi necessari a ripristinare le condizioni di agibilità; tutti gli stranieri presenti sono stati quindi trasferiti presso altri centri di identificazione ed espulsione.
  La questura e la prefettura di Crotone hanno tempestivamente informato il Ministero dell'interno sia del decesso del cittadino marocchino, sia della protesta da esso scaturita. Inoltre, nei giorni immediatamente successivi (a partire dal 12 agosto) i giornali locali hanno dato ampia notizia di quanto avvenuto. Peraltro, le visite da parte di operatori della stampa sono consentite previa autorizzazione da parte della locale prefettura, ma possono essere differite a fronte di peculiari contingenze, ad esempio per esigenze di sicurezza e ordine pubblico. In particolare la giornalista Raffaella Cosentino ha effettivamente visitato il centro di identificazione e espulsione e il centro accoglienza richiedenti asilo il 3 settembre scorso.
  Per quanto attiene all'ispezione effettuata dal tribunale di Crotone – disposta nell'ambito del procedimento penale nel confronti di alcuni cittadini stranieri trattenuti che avevano attuato una violenta protesta nel mese di ottobre del 2012 – si sottolinea che questa amministrazione ha disposto numerosi interventi di ordinaria e straordinaria manutenzione presso la struttura, proprio per far fronte ai ripetuti atti di vandalismo compiuti dagli stessi immigrati. Inoltre, la procura della repubblica di Crotone ha impugnato in appello la sentenza di assoluzione disposta dal tribunale nel confronti dei suddetti stranieri.
  La gestione dei tre centri governativi di Isola Capo Rizzuto (centro di identificazione, centro di accoglienza e a centro di accoglienza richiedenti asilo) è stata aggiudicata, in seguito a una gara pubblica con il criterio del prezzo più basso, alla confraternita delle Misericordie d'Italia, che ha presentato un'offerta di circa 21 euro a persona, per l'erogazione di tutti i servizi e le prestazioni indicate nel capitolato d'appalto, a fronte dei 30 euro posti a base d'asta.
  La situazione di temporaneo sovraffollamento del centro accoglienza richiedenti asilo – menzionata nell'interrogazione – si è acuita a partire dal mese di luglio 2013, in seguito all'intensificazione degli sbarchi verificatisi sulle coste crotonesi e dei trasferimenti di cittadini stranieri sbarcati sulle coste italiane.
  Per quanto riguarda, più in generale, le condizioni di vita all'interno dei centri governativi per l'immigrazione, si assicura che il Ministero dell'interno svolge un costante monitoraggio sui servizi offerti dagli enti gestori, sia direttamente, sia tramite le prefetture territorialmente competenti. In particolare, viene verificata la regolarità dei servizi appaltati, nonché la correttezza dell'erogazione del servizio di assistenza socio-sanitaria, psicologica e infermieristica, finalizzata a garantire la salute psicofisica degli ospiti. In caso di disservizio, le stesse prefetture applicano una penale e, in caso di grave inadempienza, hanno la facoltà di risolvere il contratto, come è avvenuto più volte anche di recente.
  Il Ministero dell'interno si avvale, altresì, della collaborazione di organismi impegnati nella tutela dei diritti umani, quali il Garante dei diritti dei detenuti e delle persone private della libertà, l'organizzazione internazionale per le migrazioni, la Croce rossa italiana, l'Agenzia dell'ONU per i rifugiati e la Caritas, con i quali le singole prefetture stipulano apposite convenzioni volte a garantire attività di assistenza o a sviluppare progetti in collaborazione con l'ente gestore. Presso ciascuno dei centri governativi, inoltre, sono state istituite apposite commissioni con il compito di verificare, con cadenza periodica, il rispetto delle convenzioni stipulate.
  Infine, pur nelle attuali ristrettezze di bilancio, il Governo intende promuovere un significativo miglioramento delle condizioni dei centri per l'immigrazione. Del resto, gli episodi di tensione che hanno interessato recentemente alcuni dei centri di identificazione e espulsione dislocati sul territorio nazionale dimostrano chiaramente che sussiste l'esigenza di intraprendere iniziative finalizzate ad assicurare sempre migliori standard di accoglienza e un maggiore livello di sicurezza. In tal senso, anche senza arrivare a ipotizzare una soppressione di tali strutture – che appaiono ancora necessarie, soprattutto per quanto riguarda l'identificazione – si ritiene che possano essere riviste alcune modalità di funzionamento nonché la struttura dei centri di identificazione e espulsione per assicurare condizioni di maggiore vivibilità ordinaria e nel rispetto dei tempi strettamente funzionali all'identificazione.
  Compatibilmente con le risorse economiche disponibili, si potrà intervenire sui criteri posti a base d'asta per l'aggiudicazione degli appalti di gestione, anche riducendo il numero dei servizi previsti dall'attuale capitolato unico, in maniera da rendere la base d'asta conforme rispetto ai servizi da apprestare, oppure diversificando la base d'asta con riferimento alle persone. Ulteriori iniziative, come la necessità di rafforzare già in carcere l'espletamento delle procedure di identificazione, saranno attentamente valutate insieme alle altre amministrazioni coinvolte. Per altri aspetti e, in particolare, per quanto riguarda la durata della permanenza nei centri di identificazione e espulsione, è necessario un percorso normativo di più ampio respiro, che richiede un sostanziale contributo parlamentare, considerata la particolarità della materia, che incide sul delicato equilibrio tra sicurezza e diritti fondamentali della persona. Tutti gli interventi saranno comunque finalizzati a garantire una gestione trasparente ed efficiente dei centri, nel pieno rispetto della dignità degli stranieri che entrano nel nostro Paese.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   COVA e MALPEZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 29 giugno 2012 il Ministero della sviluppo economico, la regione Lombardia, la provincia di Milano e il comune di Cassina dé Pecchi (Milano) hanno sottoscritto un protocollo istituzionale d'intesa per «Iniziative a tutela della vocazione del sito Industriale Nokia Siemens di Cassina dè Pecchi»;
   l'area industriale Nokia Siemens di Cassina dé Pecchi rappresenta una significativa risorsa per la competitività e l'occupazione della Lombardia e del Paese;
   il punto 2 di questo protocollo dichiara «condividono che la dimensione della crisi economica in corso e dei soggetti coinvolti nello sviluppo dell'area Nokia Siemens di Cassina dé Pecchi rendano necessario un pieno e responsabile coinvolgimento e coordinamento del Ministero della Sviluppo Economico e delle strutture di suo riferimento per lo sviluppo di azioni tese ad attrarre aziende che partecipino allo sviluppo del polo industriale interessato» –:
   quali iniziative abbia messo in atto il Governo per intervenire a favore del sito di Cassina dé Pecchi e per la ripresa della sua attività imprenditoriale. (4-00135)

  Risposta. — Il Ministero dello sviluppo economico è da tempo interessato alle problematiche afferenti la Società Nokia e da tempo segue con attenzione la vicenda descritta nella presente interrogazione con l'obiettivo di salvaguardare i livelli occupazionali e produttivi dell'azienda in questione.
  Si fa presente, tuttavia, che, nonostante il Ministero dello sviluppo economico si sia confrontato a più riprese con l'azienda, quest'ultima ha confermato la propria decisione di ridimensionare le proprie attività in Italia, mantenendo solo le funzioni di commercializzazione e di supporto tecnico.
  Si evidenzia, inoltre, che il citato dicastero, che ha già interloquito più volte con il management di tale azienda al fine di garantire un ricollocamento dei lavoratori interessati e una ripresa delle attività produttive, intende continuare a svolgere un importante ruolo d'intermediazione nella vicenda, dando la propria disponibilità a convocare quanto prima un ulteriore tavolo di confronto, teso all'individuazione delle più opportune misure di tutela.
  Ciò premesso, si illustrano gli ultimi risultati emersi dal tavolo Nokia (del novembre 2012) dove la società, anche a seguito di un'ulteriore verifica da parte dei vertici ministeriali con quelli della casa madre finlandese, ha confermato la propria decisione di non modificare le sue strategie, lasciando inalterato il programma riguardante gli esuberi.
  In quella stessa sede la Nokia confermò, inoltre, la propria volontà di voler partecipare ai bandi sull'agenda digitale la cui attuazione attualmente è passata alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Tuttavia, già da allora, l'holding tedesco finnica non prevedeva alcun cambiamento del piano di ristrutturazione dalla stessa imposto.
  Con riferimento al coinvolgimento delle regioni (Lombardia e Sicilia) esse sono state coinvolte nella vertenza, sia dal Ministero sia dalla stessa azienda, per ricercare insieme soluzioni che favoriscano la ricollocazione dei lavoratori; cosa che l'azienda aveva confermato di essere disponibile a verificare.
  Si rileva, infine, che il Ministero dello sviluppo economico, nelle situazioni di crisi aziendale come quella di cui si tratta, non ha il potere di sostituirsi ai gestori dell'azienda, né tanto meno di proporre soluzioni di tipo economico o finanziario, avendo piuttosto il compito di porsi da intermediario, nel tentativo di favorire la scelta da parte dell'impresa di strategie industriali più coerenti con il mantenimento dei livelli occupazionali e produttivi.
  Si ribadisce in ogni caso l'impegno del Ministero dello sviluppo economico a convocare un incontro al fine di assumere tutte le misure possibili a salvaguardia dell'occupazione e della produzione.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   COVELLO e MAGORNO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   quasi tre anni orsono sono stati appaltati dall'Anas i lavori di messa in sicurezza del tratto di strada statale 18 «Tirrena Inferiore» compreso tra il Km 285+000 ed il Km 286+000 consistenti nella eliminazione di innesti a raso, realizzazione di strada di servizio di collegamento alla viabilità comunale di un sottopasso in prossimità di viale A. De Gasperi, VII Traversa e creazione di un percorso alternativo ricadente nel territorio del comune di Sangineto, il tratto stradale in questione è vitale per il traffico veicolare del Tirreno cosentino, per il flusso turistico estivo, infine, per garantire una viabilità alternativa all'A3, unica autostrada regionale, spesso interrotta a causa dei cantieri gestiti dall'Anas;
   ad oggi niente lascia fare previsioni in merito al completamento dell'opera, l'unico elemento sicuro è che con l'approssimarsi della stagione estiva il tratto stradale in questione potrebbe essere fortemente condizionato da un cantiere che, tra l'altro, ha una sua evidente pericolosità per il traffico veicolare –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente della situazione di notevole disagio e di pericolo descritta e se intenda, e come, intervenire per impedire ulteriori ritardi nell'esecuzione dell'opera e verificare eventuali responsabilità. (4-01228)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Le attività di messa in sicurezza della strada statale 18 «Tirrena Inferiore», tra il km 285+000 e il km 288 + 000, si sono rese necessarie per eliminare gli innesti a raso presenti sul tratto, nonché per realizzare una strada di collegamento alla viabilità comunale e un sottopasso.
  I lavori, consegnati all'impresa S.M. costruzioni il 14 ottobre 2010, sarebbero dovuti terminare nel mese di aprile 2012.
  Tuttavia, l'andamento delle attività è stato oggetto di forti rallentamenti a causa delle difficoltà economiche che hanno colpito l'appaltatore: ciò ha comportato numerosi periodi di fermo con conseguenti gravi ritardi rispetto ai tempi contrattuali fissati.
  Dopo l'ultimo periodo di sospensione delle attività, compreso tra giugno 2012 e aprile 2013, l'appaltatore ha presentato un'ipotesi di affitto di ramo d'azienda ad altra impresa, la Dacri S.r.l. Tale iniziativa ha avuto esito positivo e ha consentito la ripresa delle attività in cantiere, che si concluderanno entro il 20 dicembre 2013.
  Infine, per completezza d'informazione, si segnala che la percentuale dell'opera già realizzata ammonta a circa il 50 per cento del valore dell'appalto e che il traffico sul tratto in questione si svolge senza alcun problema di sicurezza per gli utenti dal momento che i lavori in corso comportano un modesto disagio alla normale viabilità dell'arteria.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   D'ALESSANDRO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il 29 novembre 2013, a Varsavia in occasione dell'incontro di calcio disputato tra le squadre della Lazio e del Legia Varsavia si sono registrate prima e durante la partita tensioni tra le rispettive tifoserie;
   secondo numerose testimonianze la polizia polacca avrebbe dato luogo ad una vera e propria retata di massa contro persone accusate in larga parte di schiamazzi e di cori contro la tifoseria avversaria, cosa che d'altro canto avviene tutte le volte che i sostenitori di una squadra si avvicinano allo stadio;
   si sarebbero verificati alcuni fenomeni di intemperanza nei confronti delle forze dell'ordine polacche e queste ultime, per individuare i tifosi responsabili, hanno tenuto in prigione per quarantotto ore giovani, ragazzi, padri di famiglia, a quanto consta all'interrogante senza dare loro da mangiare e rivolgendosi agli stessi con i gesti vista l'assenza di interpreti;
   a questo proposito deve essere stigmatizzato il comportamento della Farnesina e dell'ambasciata italiana in Polonia: quest'ultima, infatti, contattata dai parenti dei fermati (per lo più giovani e giovanissimi) ha dapprima assicurato il sostegno ai ragazzi coinvolti salvo poi – secondo le denunce dei genitori – disinteressarsene;
   risulta ad avviso dell'interrogante ancor più esecrabile il comportamento del Ministero degli affari esteri, in quanto – secondo moltissime segnalazioni arrivate – nessuno avrebbe risposto al numero dell'unità di crisi previsto per la gestione dell'emergenza. Addirittura i pochi genitori che hanno avuto la fortuna di parlare con il Ministero si sono sentiti rispondere in modo assolutamente evasivo;
   attualmente sono ventidue i cittadini italiani ai quali è stato confermato lo stato di fermo in Polonia in attesa del giudizio dopo le tensioni avvenute tre giorni fa –:
   se fosse a conoscenza dei fatti citati, ed in particolare dell'atteggiamento tenuto dai soggetti preposti alla tutela dei cittadini italiani che si trovano all'estero, e quali tempestive iniziative intenda adottare al fine di garantire l'incolumità dei concittadini italiani tuttora ristretti nelle carceri polacche e la difesa dei diritti civili dei connazionali coinvolti. (4-02781)

  Risposta. — In relazione alla nota vicenda del fermo dei tifosi italiani in Polonia in occasione della partita di calcio Legia Varsavia - Lazio, fornisco gli aggiornamenti richiesti sulla situazione già descritta nel corso dell'informativa svolta alla Camera dei deputati martedì 3 dicembre 2013.
  L'evoluzione della situazione è stata seguita con grande attenzione dall'Ambasciata, dalla Farnesina e dalla Ministro Bonino personalmente.
  Si è già avuto occasione di illustrare, nel corso dell'informativa citata, i principali interventi compiuti in favore dei nostri connazionali dalla signora Ministro – che ha avuto più di un colloquio telefonico con il suo omologo Sikorski chiedendo che si potesse pervenire a una soluzione positiva per i connazionali ancora trattenuti e che fosse fatta chiarezza sulla dinamica e vastità degli arresti iniziali. Ricordo che la signora Ministro ha altresì sensibilizzato il Vice Ministro degli Esteri polacco a margine della ministeriale NATO dello scorso 3 dicembre.
  Come si è rilevato in Parlamento, uno sforzo organizzativo molto rilevante è stato messo in atto dal Ministero, dall'ambasciata e dall'ambasciatore Guariglia in prima persona, per fornire assistenza ai fermati e rappresentare al massimo livello l'attesa italiana di risolvere rapidamente i casi. Prosegue in queste ore lo sforzo teso a favorire il rilascio di quanti sono ancora detenuti e il chiarimento delle circostanze in cui sono stati adottati i provvedimenti di fermo da parte delle autorità di polizia nella capitale polacca.
  Si desidera inoltre mettere in luce che, a margine del Vertice bilaterale italo-polacco svoltosi a Varsavia, il Presidente del Consiglio Letta ha avuto un colloquio con il Primo Ministro polacco, Donald Tusk. In particolare, il Presidente Letta ha fatto stato della grandissima sensibilità che l'intera vicenda sta suscitando presso l'opinione pubblica italiana, presso il Parlamento e presso il Governo. Egli ha quindi chiesto al suo interlocutore, nel rispetto della legislazione polacca e della separazione dei poteri dello Stato, ogni possibile intervento volto a rendere più rapidi i procedimenti giudiziari in corso in modo da pervenire, il più celermente possibile, ad una soluzione positiva.
  Il Primo Ministro Tusk, per parte sua, ha condiviso la preoccupazione dei familiari e dell'opinione pubblica italiana e ha assicurato che avrebbe fatto tutto il possibile a favore di procedure più spedite.
  Il Presidente del Consiglio, al termine del vertice, ha incontrato nella sede dell'ambasciata due rappresentanti dei genitori. Il Presidente Letta ha confermato l'impegno del Governo e ha informato i nostri connazionali delle assicurazioni ricevute dal Primo Ministro polacco.
  L'ambasciatore Guariglia nei giorni scorsi ha incontrato il procuratore generale, Seremek – già precedentemente sensibilizzato – e gli ha espresso la nostra richiesta, nel rispetto delle leggi polacche, per una rapida trattazione di tutte le istanze presentate dagli avvocati al fine di pervenire alla scarcerazione dei nostri connazionali. Egli ha avuto analogo incontro con il presidente del tribunale circoscrizionale di Varsavia, Kluziak. L'Ambasciata ha mantenuto costanti, discreti contatti sia con i procuratori che con i giudici implicati nella trattazione dei dossiers dei nostri connazionali.
  Per ciò che concerne i punti sollevati in merito alla presunta «inerzia» iniziale dell'ambasciata e della Farnesina, si fa presente che si è assicurato tutto il possibile supporto: naturalmente, il numero di fermati era tale da rendere materialmente impossibile per i funzionari dell'Ambasciata essere contemporaneamente presente a tutti i processi o potere assistere direttamente ognuno dei fermati. Segnalo che l'Ambasciata a Varsavia, nell'istituire un'apposita «unità di crisi», ha pubblicato sul proprio sito internet numeri di telefono fissi e mobili da contattare, assicurando, attraverso questo canale, una costante reperibilità.
  In tutti questi giorni è continuato l'afflusso in ambasciata di parenti ed amici dei connazionali detenuti, cui è stato offerto ogni possibile aiuto. Le famiglie dei detenuti stanno valutando insieme agli avvocati la linea da tenere nei procedimenti giudiziari in corso, che vedono – ad oggi – quattro persone sottoposte a supplemento di indagini e dieci già processate per direttissima. Otto persone che erano state sottoposte a supplemento di indagini, infatti, sono state liberate tra ieri e oggi a seguito di patteggiamento. Ulteriori patteggiamenti sono previsti martedì prossimo, per i restanti quattro connazionali sottoposti a supplemento di indagini.
  Si ricorda che il Ministero dell'interno polacco dispone di documentazione fotografica dalla quale si evince che alcuni dei fermati erano effettivamente in possesso di armi improprie.
  Con riferimento, da ultimo, all'assistenza legale ed alle condizioni detentive dei connazionali, si rappresenta quanto segue: i connazionali sono assistiti da un legale e gli stessi, in occasione delle varie visite consolari effettuate da personale dell'ambasciata, sono apparsi in buono stato psico-fisico. Il funzionario del Ministero dell'interno italiano appositamente inviato a Varsavia ha redatto una relazione secondo cui il comportamento della polizia polacca sarebbe stato conforme alle norme dell'ordinamento locale, norme che tuttavia sono diverse rispetto a quelle italiane applicabili in circostanze analoghe. Lamentele sono state riferite relativamente alle condizione in alcuni dei diversi commissariati in cui erano stati inizialmente trattenuti i 149 fermati. Le autorità italiane hanno in proposito preteso chiarimenti.
  La Farnesina, su istruzione del Ministro Bonino, continuerà a prestare ogni possibile assistenza ai connazionali e ai loro familiari, in stretto contatto con le autorità polacche, con l'obiettivo di una rapida e definitiva soluzione della vicenda.

Il Viceministro degli affari esteriMarta Dassù.


   DE MENECH e CIVATI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   entro l'autunno l'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) deve ridefinire i termini dell'accordo con il CONAI (Consorzio nazionale imballaggi), costituito dalle imprese produttrici e utilizzatrici di imballaggi. Tale accordo, se opportunamente rinegoziato, potrebbe portare ingenti risorse economiche ai comuni per finanziare i servizi di raccolta dei rifiuti;
   i comuni italiani si trovano in condizioni di grande difficoltà economica: da un lato i continui tagli dei trasferimenti erariali e regionali rendono sempre più difficile garantire livelli accettabili di servizi ai cittadini, dall'altro le norme di indirizzo europee e nazionali, anche nel settore della raccolta differenziata, indicano correttamente la necessità di raggiungere obiettivi minimi di intercettazione e riciclo di materia dai rifiuti. Questi servizi hanno evidentemente dei costi importanti che, se non compensati da adeguati corrispettivi per vendita degli imballaggi, rischiano di ricadere unicamente nelle bollette di famiglie e imprese;
   l'associazione nazionale comuni virtuosi, in collaborazione con la ESPER (Ente di studio per la pianificazione ecosostenibile dei rifiuti), ha elaborato uno specifico dossier che entra nel merito dei conti del settore e indica dieci proposte che potrebbero garantire rilevanti entrate nelle casse dei comuni;
   gli imballaggi costituiscono il 35-40 per cento in peso e il 55-60 per cento in volume della spazzatura che si produce ogni anno in Italia. Per ogni imballaggio prodotto e immesso nel mercato, il produttore versa ai consorzi un contributo ambientale che dovrebbe essere trasferito ai comuni quando l'imballaggio, passando per la raccolta differenziata, viene riconsegnato ai consorzi. Si tratta di cifre importanti, che dovrebbero essere destinate a coprire i costi di raccolta e, se ben utilizzate, contribuire concretamente a diminuire la tassazione sui rifiuti a carico dei cittadini e delle imprese;
   delle centinaia di milioni di euro all'anno che sono incassati dal sistema Conai, solo poco più di un terzo viene girato ai comuni e queste risorse spesso non entrano neppure nelle casse comunali poiché vengono in gran parte utilizzate per pagare le piattaforme private che si occupano della preselezione dei flussi di rifiuto;
   secondo gli ultimi dati disponibili, riferiti al 2011, i comuni avrebbero beneficiato di circa 297 milioni al lordo dei costi di preselezione (si stima che, al netto di tali costi, rimanga ai comuni circa la metà) a fronte del ricavo totale annuale del sistema Conai di 813 milioni di euro. I corrispettivi che i comuni ricevono rappresentano, dunque, solo una piccola quota dei costi che la raccolta differenziata degli imballaggi comporta. Nel resto d'Europa la situazione è diversa e i contributi versati dalle imprese sono molto più elevati e comprendono il rimborso dei costi di preselezione. È necessario allineare i contributi nazionali a quelli degli altri Paesi europei al fine di ottenere una gestione efficiente e sostenibile di questi servizi anche in Italia. Infatti, aumentando le quote di riciclo, si crea un mercato per le materie prime seconde. Si calcola che una raccolta differenziata efficiente e diffusa potrebbe generare almeno 200.000 nuovi posti di lavoro distribuiti capillarmente in tutto in tutto il Paese;
   le esperienze estere in materia indicano come una diversa ripartizione dei costi del sistema determini ampi miglioramenti di tutta la filiera del riciclo e benefici economici per i comuni e gli utenti del servizio; di fatto gli enti locali si trovano ad affrontare con scarsissime risorse e strumenti molto ridotti una situazione difficile, in cui non hanno la possibilità di incidere nel processo di formazione dei rifiuti da imballaggi (i comuni non possono, infatti, influenzare le modalità di consumo e progettazione degli imballaggi o rendere obbligatorio il vuoto a rendere);
   la crisi ha comportato una minore immissione al consumo di imballi ed un minor gettito per il contributo ambientale Conai: si ritiene che questo mancato introito non debba penalizzare i comuni che sostengono i costi per i servizi di raccolta e rischiano di non ricevere un corrispettivo adeguato alla spesa sostenuta (nel 2011, in media, solo un terzo dei costi delle raccolte era sostenuto dai corrispettivi Conai per un campione in cui veniva raggiunto il 35 per cento di RD mentre nei comuni dove si raggiunge il 65 per cento di RD il tasso di copertura dei costi è pari al 20 per cento circa);
   tale dato è confermato dall'Osservatorio rifiuti della provincia di Torino che ha effettuato un accurato monitoraggio dei costi di raccolta fin dal 2007, dal quale risulta che nel 2011 la quota di costi di raccolta dei soli imballaggi coperta grazie ai corrispettivi riconosciuti dal Conai risulta pari al 28,7 per cento;
   è evidente che la compensazione dei costi della RD deve essere allineata a quella degli altri paesi europei e deve provenire sia da una riduzione dei costi di struttura del sistema Conai che da un deciso aumento del contributo ambientale Conai (CAC), che deve essere commisurato in base alla effettiva riciclabilità degli imballaggi, penalizzando fortemente le frazioni perturbatrici del riciclaggio e favorendo gli imballaggi totalmente riciclabili con bassi costi ambientali, energetici ed economici;
   infatti, si sta assistendo ad un aumento della complessità nella produzione di imballaggi che determina delle criticità di gestione, dalla fase di corretta differenziazione nelle case fino a quelle successive di raccolta-selezione-riciclo. Soprattutto per quanto riguarda la plastica sono le stesse associazioni di riciclatori, come Plastic Recyclers Europe, che identificano in un marketing orientato soprattutto all'impatto estetico, a discapito della riciclabilità, una possibile minaccia al raggiungimento degli obiettivi di riciclo europei. Da qualche anno importanti quantitativi (in costante aumento) di plastiche nobili, a causa di etichette coprenti o additivi opacizzanti, vengono dirottate nella frazione del plasmix (plastiche miste) invece di andare verso un riciclo meccanico ecoefficiente;
   va sottolineato che l'articolo 11 della direttiva 2008/98/CE (Riutilizzo e riciclaggio), al paragrafo 2, fissa obiettivi di riciclo e non di raccolta differenziata e testualmente recita: «Al fine di rispettare gli obiettivi della presente direttiva e tendere verso una società europea del riciclaggio con un alto livello di efficienza delle risorse, gli Stati membri adottano le misure necessarie per conseguire i seguenti obiettivi: a) entro il 2020, la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio di rifiuti quali, come minimo, carta, metalli, plastica e vetro provenienti dai nuclei domestici, e possibilmente di altra origine, nella misura in cui tali flussi di rifiuti sono simili a quelli domestici, sarà aumentata complessivamente almeno al 50 per cento in termini di peso» –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno farsi parte attiva nella prevista rinegoziazione dell'accordo ANCI-CONAI e, in particolare, non ritenga di assumere le iniziative necessarie ad adeguare agli standard europei i contributi versati dalle imprese per l'immissione sul mercato degli imballaggi e i corrispettivi che i comuni ricevono per la raccolta e la riconsegna degli imballaggi ai consorzi, estendendo e riconoscendo loro i contributi per tutti i materiali plastici effettivamente riciclabili;
   se il Ministro interrogato non ritenga inoltre opportuno a questo fine assumere iniziative per assegnare ad un soggetto terzo, in grado di garantire le parti (comuni e consorzi), le verifiche sulla qualità dei materiali, aumentare l'entità dei contributi CONAI, garantire un riallineamento del CAC (ora siamo al 25 per cento circa della media europea) ed eliminare qualsiasi contributo del CONAI destinato all'incenerimento, destinando i contributi a sostegno di cicli chiusi di recupero della materia, con particolare attenzione alle frazioni plastiche residue;
   se il Ministro interrogato non ritenga inoltre necessario, per favorire una filiera efficiente del recupero della materia, mettere in atto ogni azione di competenza possibile perché sia rimodulata l'entità del contributo ambientale conai (CAC), che deve essere commisurato in base alla effettiva riciclabilità degli imballaggi, penalizzando fortemente le frazioni perturbatrici del riciclaggio e favorendo gli imballaggi totalmente riciclabili con bassi costi ambientali, energetici ed economici. (4-02290)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, con la quale si chiede al Ministro dell'ambiente e dalla tutela del territorio e del mare l'impegno di farsi parte attiva nella rinegoziazione dell'accordo quadro ANCI - CONAI e di assumere specifiche iniziative in merito alle criticità che presenterebbe il «contributo ambientale CONAI» (CAC) vigente, si forniscono i seguenti elementi informativi.
  A seguito di numerose comunicazioni pervenute al Ministero dell'ambiente che segnalavano la presenza di alcuni «nodi critici» nell'emanando accordo ANCI – CONAI, che avrebbero avuto delle ripercussioni sulle attività di raccolta differenziata da parte dei comuni, è stato istituito presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un tavolo di confronto con i soggetti firmatari.
  Il 12 settembre 2013, si è svolta la prima riunione del tavolo di lavoro, finalizzata ad acquisire informazioni sull'andamento della trattativa, alla quale hanno partecipato l'ANCI ed il CONAI che hanno rassicurato il Ministero sull'andamento secondo la normale dialettica negoziale delle trattative. Hanno, inoltre, fornito alcune informazioni preliminari rendendosi disponibili ad aggiornare periodicamente lo stato di avanzamento di dette trattative.
  I rappresentanti del Conai hanno evidenziato che tutti i suddetti «nodi critici», nei limiti delle proprie competenze istituzionali, sarebbero stati oggetto di approfonditi esame e valutazione all'interno delle trattative in corso. Dal canto suo, l'Anci ha sottolineato che è stata cura della propria delegazione rappresentare tali criticità nell'ambito delle trattative.
  Ministero ha preso atto della disponibilità e della collaborazione offerta da Anci e Conai ed ha rappresentato la necessità di pervenire ad una conclusione delle trattative entro la scadenza dell'accordo vigente.
  Con riferimento, invece, agli impegni che prevedono l'assunzione da parte del Ministero dell'ambiente di specifiche iniziative finalizzate a rimodulare l'entità del CAC si rappresenta che la determinazione è rimessa per legge al CONAI.
  In tal senso l'articolo 224, comma 3 lettera
h) del decreto legislativo 152 del 2006 attribuisce al CONAI, tra le altre, la funzione di determinare e porre a carico dei consorziati il contributo denominato contributo ambientale CONAI, con le modalità individuate dallo statuto anche in base alle utilizzazioni ed ai criteri di cui al comma 8 dell'articolo 224.
  Con riferimento alle utilizzazioni del CAC, il comma 8 del medesimo articolo 224 prevede che: «Il contributo ambientale del CONAI è utilizzato in via prioritaria per il ritiro degli imballaggi primari o comunque conferiti al servizio pubblico e, in via accessoria, per l'organizzazione dei sistemi di raccolta, recupero e riciclaggio dei rifiuti di imballaggio secondari e terziari. A tali fini, tale contributo è attribuito dal CONAI, sulla base di apposite convenzioni, ai soggetti di cui all'articolo 223, in proporzione alla quantità totale, al peso ed alla tipologia del materiale di imballaggio immessi sul mercato nazionale, al netto delle quantità di imballaggi usati riutilizzati nell'anno precedente per ciascuna tipologia di materiale. Il CONAI provvede ai mezzi finanziari necessari per lo svolgimento delle proprie funzioni con i Proventi delle attività, con i contributi dei consorziati e con una quota del contributo ambientale CONAI, determinata nella misura necessaria a far fronte alle spese derivanti dall'espletamento, nel rispetto dei criteri di contenimento dei costi e di efficienza della gestione, delle funzioni conferitegli dal presente titolo, nonché con altri contributi e proventi di consorziati e di terzi, compresi quelli dei soggetti di cui all'articolo 221, lettere
a) e c), per le attività svolte in loro favore in adempimento alle prescrizioni di legge».
  Occorre precisare che il CAC è determinato dal CONAI al fine di ripartire tra i produttori e gli utilizzatori il corrispettivo per i maggiori oneri della raccolta differenziata di cui all'articolo 221, comma 10, lettera
b), nonché gli oneri per il riciclaggio e per il recupero dei rifiuti di imballaggio conferiti al servizio di raccolta differenziata, in proporzione alla quantità totale, al peso ed alla tipologia del materiale di imballaggio immesso sul mercato nazionale, al netto delle quantità di imballaggi usati riutilizzati nell'anno precedente per ciascuna tipologia di materiale.
Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   DI LELLO e LOCATELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per l'integrazione, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   la Federazione italiana giuoco calcio nei giorni scorsi ha inviato alla Lega nazionale dilettanti una direttiva con la quale conferma anche per la prossima stagione sportiva le procedure in atto per il tesseramento di calciatori minori stranieri;
   tale comunicazione reitera ai Comitati regionali della Lega nazionale dilettanti il compito di procedere all'esame preventivo della documentazione che accompagna la richiesta di tesseramento dei calciatori stranieri minori prima del suo inoltro alla Commissione federale;
   prevede, inoltre, l'inibizione, in alcuni casi specifici, dei Comitati regionali a ratificare il tesseramento dei calciatori stranieri minori e il successivo inoltro della documentazione alla Commissione federale;
   la richiesta di tesseramento, che per i minori italiani viene presentata su appositi moduli federali senza l'obbligo di corredarla con ulteriori moduli, atti o certificati, nel caso dei calciatori minori stranieri deve essere obbligatoriamente accompagnata da ben 7 atti che vanno dalla dichiarazione del calciatore su eventuali precedenti tesseramenti all'estero all'iscrizione scolastica; dal certificato di nascita al documento identificativo; dal documento identificativo dei genitori al certificato di residenza e stato di famiglia del calciatore e dei genitori; e, infine, alla prova di soggiorno in Italia del ragazzo e dei genitori;
   tale procedura introduce vistosi elementi di disparità di trattamento tra giovani della stessa fascia di età determinato esclusivamente dalla diversa provenienza anagrafica;
   tale disparità può concorrere ad aggravare il già pesante deficit in termini di accoglienza ed integrazione dei giovani stranieri nel tessuto economico e sociale nel Paese, e favorire così il nascere di ulteriori forme di emarginazione e ghettizzazione;
   pur mettendo in discussione il riconosciuto principio dell'autonomia del mondo dello sport, sarebbe opportuno che la Federazione italiana giuoco calcio correggesse la richiamata direttiva stabilendo una unica procedura semplificata per il tesseramento di calciatori minori, italiani e stranieri ma in ogni caso dovrebbe essere agevolato il riconoscimento della cittadinanza per i minori –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare nei limiti della sua competenza per garantire ad ogni cittadino presente nel nostro Paese parità di trattamento indipendentemente dalla sua provenienza anagrafica anche nel mondo dello sport. (4-01316)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
  La Federazione italiana giuoco calcio, affiliata alla
Federation Internationale de football Association, svolge le proprie funzioni in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi della Fifa, di cui è tenuta a rispettare gli statuti, i regolamenti, le direttive e le decisioni.
  In proposito si evidenzia che il regolamento Fifa sullo
status e i trasferimenti dei calciatori consente generalmente il tesseramento dei maggiorenni stranieri, e prevede, come eccezione a tale regola, il tesseramento dei calciatori minorenni in un Paese diverso da quello di origine a condizione che siano accompagnati dai genitori trasferitisi in quella Nazione per motivi indipendenti dal gioco del calcio.
  La suddetta normativa è stata diramata al fine di salvaguardare i giovani calciatori dal rischio di operazioni di sfruttamento e speculazione.
  Per quanto riguarda la documentazione richiesta a corredo della domanda di tesseramento, si precisa che i minori stranieri sono tenuti a presentare soltanto due certificati in più di quanto previsto per i minori cittadini italiani, in particolare il permesso di soggiorno in Italia, previsto dalla vigente normativa statale, e l'attestazione di eventuali tesseramenti all'estero, contemplata da disposizioni sportive internazionali.
  Per una completa informazione, si rende noto che, nella stagione sportiva 2012/2013, la Figc ha tesserato, in campo dilettantistico, oltre novemila calciatori minori stranieri.

Il Ministro per gli affari regionali e le autonomieGraziano Delrio.


   DANIELE FARINA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la storica azienda Franco Tosi Meccanica spa di Legnano (Milano), fondata nel 1881, sta attraversando ormai da mesi problemi finanziari e produttivi;
   l'azienda, nel suo periodo di maggior sviluppo impiegava circa 6000 lavoratori presso le sue sedi. Negli anni novanta, in un periodo di ristrutturazione dell'industria dell'energia, fu acquistata da Finmeccanica e fusa con Ansaldo componenti, prendendo il nome di Ansaldo Energia. Finmeccanica la cedette nel 2000 al gruppo privato Casti e da quel momento nel quale acquisì il nome Franco Tosi Meccanica spa;
   dal 2008 il gruppo Casti ha ceduto il 75,10 per cento del pacchetto azionario alla società Gammon India limited, che da allora la controlla;
   i problemi della società mettono a rischio il lavoro di 415 lavoratori e una realtà produttiva strategica per la tenuta economica e la ripresa produttiva di un importante territorio industriale;
   il fatturato è sceso negli ultimi esercizi da 100 a 70 milioni di euro e continua a crescere l'esposizione finanziaria, che nei confronti del fisco pare assommi a diverse decine di milioni di euro per mancati versamenti, soprattutto nei confronti di Equitalia. La società rivendica, tuttavia, dallo Stato il pagamento di rimborsi iva;
   al momento, inoltre, 120 dipendenti dei 415 lavoratori sono in cassa integrazione straordinaria che scade a giugno di quest'anno. I lavoratori, nonostante la cassa integrazione, sia agli sgoccioli e vi sia l'incubo di perdere il posto di lavoro hanno svolto una mobilitazione improntata ad un grande senso della misura;
   il 16 aprile presso il Ministero dello sviluppo economico si è svolto un incontro tra la Gammon India limited, la regione Lombardia, la provincia di Milano, i sindacati e l'amministrazione comunale di Legnano e la società Termomeccanica, altra storica azienda italiana, che ha presentato una proposta di acquisto della Franco Tosi Meccanica spa;
   durante l'incontro è stato firmato un documento di intenti ed è stata fissata al 29 aprile 2013 l'apertura della due diligence per l'ingresso di Termomeccanica nell'azionariato della società;
   con l'incontro avuto presso il Ministero, la Gammon India limited sembra aver finalmente superato le titubanze dimostrate negli ultimi mesi, prendendo in considerazione la proposta d'acquisto di Termomeccanica. Inoltre, come da informazioni raccolte in sede sindacale, l'azienda si è impegnata a tenere un dialogo costruttivo con tutte le parti, mentre la Termomeccanica ha accettato di mantenere in occupazione tutti i 415 lavoratori;
   presso la regione Lombardia, intanto, dovrebbe svolgersi un tavolo per verificare la possibilità di ottenere nuovi ammortizzatori sociali, come la cassa in deroga o i contratti di solidarietà, in attesa del passaggio del controllo a Termomeccanica e la presentazione di un concreto piano industriale di rilancio, che al momento non appare ancora esserci –:
   quali ulteriori iniziative i Ministri interrogati, per quanto di competenza, intendano intraprendere al fine di garantire il mantenimento dei livelli occupazionali e di quelli produttivi della società Franco Tosi Meccanica spa. (4-00315)

  Risposta. — La Franco Tosi meccanica spa è un'azienda fondata nel 1881, leader a livello internazionale per l'ingegnerizzazione, produzione e vendita di turbine a vapore e turbine idrauliche, inserita in un mercato che ne prevederebbe una forte e continua crescita, soprattutto nei paesi emergenti. Questo Ministero ha organizzato nell'ultimo anno diversi incontri con i rappresentati della Gammon India Limited, società indiana che detiene il controllo della maggioranza dell'azionariato dal 2008, al fine di trovare una soluzione alla critica situazione aziendale e si sono sollecitate azione intese a sbloccarle.
  In data 18 giugno 2013 è stato depositato, presso il tribunale di Milano, ricorso per il fallimento della società in questione, con contestuale convocazione del Ministero dello sviluppo economico all'udienza fissata per la pronuncia sulla dichiarazione d'insolvenza; data originariamente fissata per il 17 luglio 2013 e poi rinviata al 24 luglio.
  In data 25 luglio 2013 il tribunale di Milano ha dichiarato lo stato d'insolvenza della società Franco Tosi Meccanica nominando quale giudice delegato il dottor Filippo d'Aquino e quale commissario giudiziale, senza gestione dell'impresa, l'avvocato Gian Paolo Barazzoni.
  Il 13 settembre 2013, a seguito di richiesta di proroga, è pervenuta al Ministero la relazione ex articolo 28 del decreto legislativo del commissario giudiziale. In data 18 settembre 2013 il commissario ha integrato la relazione a seguito di rilevanti eventi verificatisi nel frattempo.
  In effetti, sono pervenute nelle more le offerte per l'affitto dell'azienda da parte dei soggetti che avevano manifestato interesse; le stesse offerte sono state successivamente «omogeneizzate» in data 23 settembre 2013 al fine di una più agevole comparazione delle stesse.
  Tali manifestazioni erano giunte in risposta ad un invito pubblicato dal Commissario, su autorizzazione del giudice delegato in data 31 luglio 2013, volta a un immediato affitto dell'azienda in vista di una possibile cessione della stessa.
  Secondo il termine imposto dall'articolo 29 del decreto legislativo n. 270 del 1999 (10 giorni) il Ministero dello sviluppo economico ha depositato in data 23 settembre 2013 il proprio parere sulla relazione predisposta dall'avvocato Barazzoni.
  Il 28 settembre 2013 il tribunale ha disposto l'apertura della procedura di amministrazione straordinaria rilevando i presupposti per il riequilibrio dell'azienda, pur in pendenza dell'esito della procedura di affitto avviata.
  Il Ministro dello sviluppo economico ha nominato in data 16 ottobre il dottor Andrea Lolli quale commissario straordinario della procedura Franco Tosi Meccanica.
  Il commissario è chiamato, ai sensi dell'articolo 54 del decreto legislativo n. 270 del 1999, a depositare entro 60 giorni dalla data di apertura della procedura di amministrazione straordinaria un programma che preveda uno dei due indirizzi alternativi previsti dall'articolo 27 del decreto legislativo n. 270 del 1999, ossia o la cessione o la ristrutturazione.
  Risulta al Ministero dello sviluppo economico che il Commissario, dopo aver incontrato il commissario giudiziale e il giudice delegato, ha incontrato le organizzazioni sindacali al fine di aggiornarle sullo stato evolutivo della procedura.
  Dopo aver analizzato il percorso delineato dal bando finalizzato all'affitto dell'azienda il commissario straordinario ha incontrato tutti coloro che hanno manifestato interesse in detta procedura.
  Parallelamente il dottor Lolli si è attivato per richiedere la concessione della garanzia del Tesoro e ha affidato incarico per stimare il valore dell'azienda.
  È stato inoltre dato incarico di individuare e predisporre le attività necessarie alla messa in sicurezza degli immobili e degli impianti per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori.
  Il Commissario sta predisponendo un programma di cessione del complesso aziendale, in costante contatto con il Mise, avuto in particolare riguardo alle iniziative da assumere anche in via di urgenza, ove indispensabili.
  Infine, per quanto riguarda l'occupazione è stata richiesta la CIGS a decorrere dal 25 luglio 2013 per la totalità dei dipendenti (397). La domanda è stata inoltrata dal Commissario giudiziale prima dell'apertura della procedura dell'Amministrazione Straordinaria ai sensi dell'articolo 3 della legge 223 del 1991.
  Attualmente i dipendenti in CIGS oscillano tra 240 e 250 unità.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   FEDI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il trattamento stipendiale del personale a contratto del Ministero degli affari esteri in servizio presso le rappresentanze diplomatiche e gli uffici consolari all'estero e i relativi adeguamenti sono fissati – ai sensi dell'articolo 157 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967 – dal contratto individuale di lavoro sulla base dei parametri previsti nella stessa disposizione di legge: le condizioni del mercato del lavoro locale, il costo della vita nella sede di servizio, le retribuzioni corrisposte dalle rappresentanze diplomatiche e consolari estere all'analogo personale, la congruità e l'uniformità del trattamento retributivo corrisposto per Paese e per mansioni omogenee, le indicazioni fornite dalle organizzazioni sindacali;
   i dati raccolti vengono esaminati dall'amministrazione del Ministero degli affari esteri per venire successivamente sottoposti al vaglio degli organi di controllo (UCB);
   la tipologia dei contratti di assunzione del personale locale all'estero, nonché la peculiarità della relativa disciplina, non consentono l'allineamento alla contrattazione collettiva del pubblico impiego, né quindi per tale via, l'attribuzione degli stessi aumenti concessi ai pubblici dipendenti. Tuttavia, è lasciata all'autonomia negoziale del Ministero degli affari esteri la decisione circa l'opportunità di rivalutare i trattamenti economici, nonché l'entità dei relativi importi, nei limiti delle risorse disponibili a tale scopo;
   in numerose realtà estere, a fronte dei consistenti aumenti del costo della vita dovuti alla crisi economica e della repentina svalutazione dell'euro nei confronti di alcune valute, si registrano difficoltà pratiche per il sostentamento quotidiano delle famiglie del personale a contratto impiegato dal Ministero degli affari esteri;
   il decreto-legge n. 95 del 2012 ha disposto il blocco degli adeguamenti retributivi per il personale a contratto fino al 31 dicembre 2012 e pertanto le richieste di aumento delle retribuzioni sono state ripresentate all'UCB –:
   quali iniziative si intendano adottare per rivalutare i trattamenti economici del personale a contratto delle rete diplomatico consolare e degli istituti italiani di cultura nel mondo;
   se non si ritenga indispensabile rispettare i parametri, le norme e le procedure fissate dell'articolo 157 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967 in relazione agli adeguamenti retributivi;
   se non si ritenga di dover adottare, per la totalità degli impiegati a contratto, un sistema di retribuzioni in valuta locale, come del resto previsto dalle norme introdotte dal decreto legislativo n. 103 del 13 maggio 2000, nella misura in cui si stabilisce che «la valuta in cui viene fissata e corrisposta la retribuzione degli impiegati è quella locale». (4-00999)

  Risposta. — Terminato il periodo di vigenza della norma che ha imposto il blocco degli adeguamenti retributivi per il personale a contratto (articolo 14 comma 24 del decreto-legge n. 95 del 2012, cosiddetta spending review), questa Amministrazione ha presentato all'esame dell'Ufficio centrale di bilancio (UCB) alcune selezionate proposte di adeguamento stipendiale in favore di un ben delimitato numero di dipendenti in servizio nei Paesi in cui più urgente si configura la necessità di un adeguamento retributivo, per il significativo scostamento con la media degli stipendi pagati dalle altre rappresentanze e nei mercato locale.
  Nello specifico, sono state presentate tre distinte proposte che riprendono
in toto quelle già disposte lo scorso anno e successivamente bloccate dalla spending review. Le prime due riferite al personale in servizio in Australia e in India, in considerazione della particolare urgenza e delicatezza della situazione nei due Paesi, la terza riferita ai restanti 24 Paesi.
  Nella nota di riscontro, l'Ufficio centrale del bilancio presso il Ministero degli affari esteri, competente per la verifica di legittimità del provvedimento, ha dichiarato che le richieste sembrano essere conformi, dal punto di vista tecnico-normativo, ai criteri stabiliti dall'articolo 157 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967 ma ne ha rinviato l'approvazione all'acquisizione di un parere conforme da parte del Ministero dell'economia e delle finanze (MEF) e dell'Ispettorato generale per gli ordinamenti del personale e l'analisi dei costi del lavoro pubblico in termini di coerenza complessiva con il contesto economico finanziario e con le correnti esigenze di contenimento della spesa pubblica.
  L'approfondimento richiesto è andato nel senso di respingere le proposte di aumenti. L'Ucb ha infatti comunicato di non poter dar corso alle misure, poiché le stesse non risulterebbero in linea con il contesto economico-finanziario di riferimento ed in particolare con le esigenze di contenimento della spesa pubblica, che hanno dato luogo all'insieme del processo di
spending review.
  A seguito di una forte azione condotta da questa Amministrazione, la Ragioneria ha recentemente riconosciuto che gli effetti restrittivi della
spending review si sono esauriti il 31 dicembre 2012, autorizzando quindi l'invio di richieste di aumenti salariali nei casi di comprovata necessità. Sono pertanto in corso di liquidazione da parte della stessa Ragioneria gli aumenti così «sbloccati», per le sedi nei Paesi con riconosciute forti differenze retributive. Sono inoltre in esame le ulteriori richieste frattanto pervenute, che verranno esaminate alla luce delle disponibilità economiche e di valutazioni di sostenibilità della spesa nel medio periodo, sottoponendole all'autorizzazione degli organi di controllo.
  Con riferimento alla possibilità di determinare le retribuzioni del personale a contratto nella valuta locale del Paese di servizio, si fa presente che il decreto interministeriale Ministero degli affari esteri-Ministero dell'economia e delle finanze n. 033/5949 del 31 dicembre 2002 prevede il pagamento delle retribuzioni in euro per tutti i nuovi contratti a partire dal 1o gennaio 2013, in conformità con la previsione dell'articolo 157 comma 3 che prevede questa possibilità. La progressiva verifica della conformità dei contratti di lavoro alle norme locali ha fatto emergere l'esistenza, anche se solo in alcuni Paesi, di un obbligo a corrispondere gli stipendi in valuta locale. La corresponsione in euro, conseguente all'introduzione della moneta unica europea, è intervenuta sia per il personale a contratto sia per il personale di ruolo in servizio presso gli uffici all'estero. Il ripristino del pagamento della retribuzione in valuta locale ai contrattisti impiegati nella rete estera del Ministero degli affari esteri, oltre a determinare una disparità di trattamento tra le due predette categorie di personale è suscettibile di comportare, per l'effetto della dinamica non prevedibile dei tassi di cambio, un onere non quantificabile ai fini della verifica dell'idoneità degli ordinari stanziamenti di bilancio.

Il Viceministro degli affari esteriMarta Dassù.


   FEDI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con decorrenza 1° gennaio 2013 l'Amministrazione degli affari esteri ha disposto la piena applicazione per tutto il personale a contratto a legge italiana e a legge locale, residente in Australia, delle norme della convenzione tra la Repubblica italiana e l'Australia per evitare le doppie imposizioni e prevenire le evasioni fiscali in materia di imposte sul reddito, firmata a Canberra il 14 dicembre 1982, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 145 del 21 giugno 1985 ed entrata in vigore il 05 novembre 1985;
   la normativa locale australiana prevede che il sostituto d'imposta, oltre alle ritenute fiscali da versare all’Australian Taxation Office, sia contemporaneamente responsabile anche dei versamenti obbligatori ai fondi previdenziali e della copertura assicurativa per malattia e infortuni e tale obbligo si applica a tutto il personale a contratto italiano e a contratto locale e riguarda i regimi denominati rispettivamente «superannuation» e «workers compensation»;
   il datore di lavoro e sostituto d'imposta, pertanto, non può assolvere un compito, effettuando le ritenute fiscali alla fonte dalle retribuzioni del personale a contratto, versandole al fisco australiano, senza rispondere di altri obblighi che sono parte integrante del regime fiscale, previdenziale e assicurativo australiano;
   l'Amministrazione degli affari esteri, ai sensi della normativa australiana, non ha facoltà di scelta relativamente alla tipologia di trattamento da applicare al personale delle proprie rappresentanze in ambito sia previdenziale che di assicurazione malattia ed infortunistica, ma è tenuta per legge ad aderire al passaggio ai regimi denominati «superannuation» e «workers compensation»;
   l'articolo 154 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967, come modificato dal decreto legislativo n. 103 del 2000, prevede che le rappresentanze diplomatiche siano obbligate ad accertare la compatibilità del contratto di lavoro con le norme locali assicurando, in ogni caso, l'applicazione delle norme locali più favorevoli al lavoratore e, ove la normativa locale non prevedesse forme di tutela, ovvero ove esse risultassero manifestamente insufficienti – non è tuttavia il caso del sistema australiano – gli impiegati a contratto potrebbero, su richiesta, essere assicurati presso enti assicurativi italiani;
   l'articolo 158 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967, come modificato dal decreto legislativo n. 103 del 2000, prevede che la tutela previdenziale venga assicurata nelle forme previste dalla normativa locale, ovvero, quella del Paese di residenza, ivi comprese le convenzioni e gli accordi internazionali in vigore –:
   quali immediate iniziative si intendano intraprendere per disporre il passaggio dal regime previdenziale italiano INPS a quello locale facente capo alla «superannuation» di tutto il personale a contratto (nazionale italiano e locale) in servizio presso la rete diplomatico consolare in Australia;
   quali urgenti ed immediate iniziative si intendano adottare per garantire il passaggio dall'INAIL al regime assicurativo locale «workers compensation», in considerazione degli obblighi e responsabilità derivanti dalla piena applicazione della legislazione locale in materia di prevenzione degli infortuni e di assicurazione malattia. (4-01264)

  Risposta. — Si ritiene innanzi tutto necessario distinguere aspetti fiscali da quelli previdenziali ed assicurativi, in modo da ricostruire con attenzione la situazione e inquadrare le richieste del personale.
  Sul primo punto, il regime fiscale da applicare al personale a contratto è quello previsto dalla convenzione per evitare le doppie imposizioni. L'amministrazione ha dato da molti anni piena attuazione alla convenzione per evitare le doppie imposizioni e prevenire le evasioni fiscali in materia di imposte sul reddito tra Italia ed Australia, firmata a Canberra il 14 dicembre 1982 e ratificata con legge 18 ottobre 1984 n. 762.
  I contratti d'impiego prevedono da allora che sulla retribuzione del personale a contratto, sia a legge italiana che a legge locale, non siano applicate le ritenute di fonte dell'erario italiano. Questa formulazione peraltro non esime gli impiegati dall'obbligo di provvedere al versamento delle ritenute fiscali in Australia, sulla base di un principio generale per cui la responsabilità di fronte al fisco locale ha natura individuale.
  Nel corso del processo di adeguamento dei contratti d'impiego del personale a legge locale alle norme imperative locali, le autorità australiane hanno ricordato alle nostre sedi che, anche per evitare fenomeni di vera e propria evasione fiscale, esse sono obbligate a fungere da sostituti d'imposta nei confronti di tutti i soggetti tenuti al versamento delle imposte in Australia. A partire dal 1o gennaio 2013 le sedi in Australia hanno quindi provveduto a conformarsi a questo obbligo, anche a tutela della posizione fiscale dei dipendenti.
  Altre norme imperative australiane prevedono l'assoggettamento del personale al sistema previdenziale ed assicurativo locale, con meccanismi di pagamento e gestione distinti da quelli fiscali. Il personale a legge locale risponde già integralmente a queste previsioni normative, come è fatto obbligo in base all'articolo 154 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967.
  Più in generale, il Ministero degli esteri è impegnato, per l'Australia come per il resto del mondo, in un'azione continua di aggiornamento progressivo dei contratti di lavoro a legge locale in modo tale da riflettere i cambiamenti nelle normative estere.
  La situazione è diversa per il personale a legge italiana che continua ad essere invece soggetto alla normativa italiana inderogabile prevista dall'articolo 2 del decreto legislativo n. 103 del 2000, e non agli articoli 154 e 158 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967 citati dall'interrogante. In particolar modo il comma 3 dell'articolo 2 sancisce che «restano valide le disposizioni dei contratti di impiego del personale [a legge italiana, ndr] relative alle assicurazioni per invalidità, vecchiaia e superstiti, nonché all'assistenza malattia.»
  Il citato decreto non prevede la possibilità di introdurre norme locali
ad hoc nei contratti di impiego. Si osserva che il passaggio al sistema previdenziale ed assicurativo australiano, come richiesto dal personale a legge italiana, comporterebbe la sostanziale conversione dei predetti documenti in contratti regolati dalla legge locale, con conseguenze sostanziali anche di natura economica, non potendosi più applicare gli istituti della contrattazione collettiva.
  L'opzione del passaggio al regime locale era prevista peraltro solo per un periodo limitato dopo l'approvazione del decreto legislativo n. 103 del 2000 ed attualmente è possibile solo in caso di ricollocamento ad altra sede (vedi articolo 2 comma 4).
  Nell'attuale contesto normativo, l'amministrazione si trova quindi nell'impossibilità di accogliere tali modifiche contrattuali. Si informa peraltro che le autorità australiane hanno manifestato all'ambasciata a Canberra la piena disponibilità a discutere sia il mantenimento del nostro personale sotto il regime INPS sia il loro eventuale passaggio al sistema australiano. Su questa base si potrà raggiungere senza alcun dubbio un accordo per mantenere il nostro personale sotto il sistema italiano, come obbliga la legge del nostro paese.

Il Viceministro degli affari esteriMarta Dassù.


   FEDRIGA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo notizie di stampa, è stata una lettera, partita dagli Stati Uniti ed indirizzata ai dipendenti della multinazionale farmaceutica Merck Sharp e Dohme, a sentenziare la chiusura, dal 1° gennaio 2015, dello stabilimento di Pavia;
   quella di Pavia è l'ultima roccaforte produttiva che la multinazionale possiede in Italia ed il suo smantellamento arrecherebbe un danno gravissimo ai 270 dipendenti e alle loro famiglie;
   l'annuncio della chiusura dello stabilimento è stato accolto con grande stupore dai lavoratori e dai sindacati, anche alla luce delle dichiarazioni rilasciate a fine 2012 dall'amministratore delegato dell'azienda che individuava nello stabilimento pavese una realtà di eccellenza, concorrendo per il 30 per cento all'utile complessivo della multinazionale;
   dal tavolo di concertazione, aperto nel mese di giugno 2013, non sono ancora emerse le strategie che l'azienda intende perseguire per lo stabilimento di Pavia; tale situazione di incertezza sta mettendo in stato di agitazione i lavoratori che chiedono rassicurazioni sul proprio futuro;
   l'azienda si è detta pronta a collaborare, rendendosi anche disponibile ad una eventuale vendita dello stabilimento pavese ad acquirenti che siano interessati al mantenimento dei livelli produttivi ed occupazionali;
   sembrerebbe che la scelta di dismettere lo stabilimento di Pavia, rientri in un più ampio piano di riorganizzazione aziendale che ha già visto la chiusura di venti stabilimenti in tutto il mondo, tra cui la realtà industriale di Comazzo, in provincia di Lodi;
   l'attuazione di simili strategie rischia di mettere in seria difficoltà l'economia dei territori locali, impoverendoli di risorse e di posti di lavoro –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle reali strategie industriali che il gruppo Merck intende adottare sul territorio nazionale e di quale sia il ruolo affidato allo stabilimento di Pavia;
   se il Ministro intenda adoperarsi, nell'ambito delle proprie competenze, affinché vengano adottate soluzioni immediate per la salvaguardia dei lavoratori dello stabilimento di Pavia, anche accertando se vi sia la disponibilità da parte di eventuali acquirenti ad investire nello stabilimento di Pavia, ai fini del suo rilancio e del conseguente mantenimento dei livelli occupazionali. (4-01270)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame concernente la multinazionale farmaceutica Merck Sharp e Dohme (di seguito: MSD), e in particolare dello stabilimento di Pavia, ultimo stabilimento rimasto in Italia e di cui si minaccia la chiusura, si rappresenta quanto segue.
  L'interrogante premette che, quella di Pavia è l'ultima roccaforte produttiva che la multinazionale possiede in Italia ed il suo smantellamento arrecherebbe un danno gravissimo ai 270 dipendenti e alle loro famiglie, il tutto con grande stupore dei lavoratori e dai sindacati, poiché secondo le dichiarazioni rilasciate a fine 2012 dall'amministratore delegato dell'azienda, lo stabilimento pavese pare rappresentasse una realtà di eccellenza.
  Si premette che, in data 21 giugno 2013, si è tenuto l'incontro riguardante la società MSD Italia, nel corso del quale è stato richiesto alla società di illustrare le ragioni della decisione di chiudere lo stabilimento di Pavia, di illustrare le prospettive della multinazionale in Italia a valle di tale decisione ed espressa la forte preoccupazione da parte del Governo per le conseguenze occupazionali e produttive che ne deriveranno, nella consapevolezza che il settore farmaceutico italiano è un settore di notevole interesse per il Paese.
  I rappresentanti dell'azienda hanno dichiarato la decisione della casa madre di chiudere il sito di Pavia entro il 31 dicembre 2014 ed illustrato le ragioni della scelta, quale parte integrante di un processo di consolidamento a livello globale del network produttivo, non legata agli standard dello stabilimento in questione. Decisioni analoghe sono state già annunciate in paesi emergenti (Brasile, Giappone, Messico, Cina, Singapore), in Europa (Portogallo, Spagna, Francia e, recentemente, Paesi Bassi e Irlanda) e negli stessi Stati Uniti. I Rappresentanti dell'azienda hanno confermato l'impegno da parte di MSD ad individuare un potenziale investitore che subentri nel sito di Pavia, garantendo la continuità produttiva e salvaguardando nella maggiore misura possibile i livelli occupazionali.
  L'incontro, svoltosi alla luce anche delle organizzazioni sindacali, si è chiuso confermando l'impegno da parte del Governo a convocare un incontro con il board della casa madre americana al fine di meglio comprendere l'esistenza di reali alternative alla chiusura del sito di Pavia, ribadendo la contrarietà delle istituzioni e delle organizzazioni sindacali in merito a tale scelta.
  Successivamente, il 10 luglio 2013, presso questo Ministero, si è tenuto un secondo incontro alla presenza della casa madre della
Merck Manufacturing Division in cui quest'ultima ha chiarito le motivazioni della scelta fatta rispetto allo stabilimento di Pavia e ha confermato l'intenzione di attivarsi per la ricerca di un nuovo soggetto industriale, anche attraverso l'azione di due broker internazionali che la supportino, possibilmente entro dicembre 2014, e fornendo altresì la propria disponibilità ad attivare sin da subito un tavolo di confronto a livello locale con le organizzazioni sindacali, per entrare nel merito della decisione della dismissione dello stabilimento e la preparazione di un piano sociale.
  I rappresentanti del Ministero dello sviluppo economico hanno osservato al riguardo che non appare convincente la tesi secondo cui il nostro Paese non abbia ancora attrattiva, anche per le affermazioni lusinghiere fatte sia sullo stabilimento sia sulle competenze dei lavoratori e le organizzazioni sindacali hanno espresso molta preoccupazione per le decisioni chiedendo anche di rivedere il termine previsto per la chiusura e hanno comunque chiesto che venga attivato un tavolo di settore della farmaceutica. Del pari il rappresentante del Ministero della salute ha confermato l'attenzione dello stesso al dialogo con le aziende del settore, anche le multinazionali, peraltro già attivato, e la disponibilità dello stesso Ministro a continuare il confronto per dare un contributo positivo alla vertenza.
  Il rappresentante dell'azienda ha confermato l'impegno dell'azienda ad intraprendere tutti gli sforzi possibili per trasferire il sito ad un acquirente in grado di valorizzare tanto l’
asset industriale quanto il suo personale altamente qualificato, ferma restando la scadenza temporale indicata, aggiungendo che il trasferimento di proprietà, qualora realizzato, non sarà finalizzato alla ricerca del profitto.
  Al seguito del perdurare e dell'allargamento della crisi è prevista la convocazione delle parti a breve, per esaminare la questione della riduzione organici, relativamente agli impiegati della sede centrale e agli informatori scientifici.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   CINZIA MARIA FONTANA. — Al Ministro per le pari opportunità, lo sport e le politiche giovanili, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   con atto notarile di compravendita in data 10 ottobre 2006 la Coni servizi spa alienava alla Società SAI Immobiliare Srl la proprietà del complesso sportivo denominato «Velodromo Pierino Baffi» sito in Crema (Cremona), di proprietà del C.O.N.I. dall'anno 1941;
   dagli anni ’50 sino al momento dell'alienazione nel 2006 l'immobile in questione era stato concesso in uso al comune di Crema da C.O.N.I. attraverso la stipula di una convenzione, che sanciva l'interesse pubblico della struttura destinata alla promozione e alla pratica dello sport, in particolare per l'attività di ciclismo su pista. Molti campioni della pista sono infatti cresciuti fin dalle categorie giovanili nel contesto delle attività federali svoltesi a Crema;
   con decreto 20 novembre 2007 il Ministero per i beni e le attività culturali, direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Lombardia, dichiarava il Velodromo di Crema di interesse storico artistico ai sensi dell'articolo 10, comma 1, decreto legislativo n. 42 del 2004, sottoponendolo quindi a tutte le disposizioni di tutela contenute nel predetto decreto;
   con sentenza n. 20/2010 il tribunale amministrativo regionale per la Lombardia (Sezione II) respingeva i ricorsi proposti da Coni Servizi spa e da SAI Srl contro il Ministero per i beni e le attività culturali;
   con sentenza n. 03894/2011 il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) respingeva gli appelli per la riforma della sentenza Tar Lombardia n. 20/2010 presentati da Coni Servizi spa e da SAI Srl;
   il contratto di compravendita tra la Coni Servizi spa e la Società SAI Srl veniva quindi a cessare nel mese di maggio 2012 e il Velodromo Pierino Baffi di Crema ritornava quindi di proprietà del C.O.N.I.;
   è intenzione della Coni Servizi spa procedere comunque all'alienazione del Velodromo, su cui tuttavia permane il doppio vincolo: quello della Soprintendenza e quello urbanistico della destinazione d'uso a fini sportivi;
   l'amministrazione comunale di Crema ha proposto a Coni Servizi spa la sottoscrizione di una convenzione per la gestione dell'impianto anche temporanea, in attesa di una definizione della pratica;
   la città di Crema si trova del resto nella spiacevole situazione di assistere al degrado e all'incuria di un patrimonio sportivo rilevante per il territorio, in quanto non più concesso in uso ormai da un anno, mentre l'affidamento in gestione al comune ne permetterebbe l'utilizzo e la cura adeguata;
   all'ente C.O.N.I. permane la funzione di indirizzo, promozione, organizzazione e regolazione per l'attività promozionale dello sport in Italia –:
   quali iniziative intenda il Governo adottare per garantire l'utilizzo della struttura e, di conseguenza, la sua destinazione alla pratica sportiva del ciclismo su pista, attraverso la sottoscrizione pur temporanea di una nuova convenzione tra il comune di Crema e la Coni Servizi spa, trattandosi di un bene che è sempre stato al servizio della città di Crema e di tutto il territorio limitrofo. (4-00789)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame si rappresenta quanto segue.
  La Coni Servizi Spa, per effetto del decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138, convertito in legge 8 agosto 2002, n. 178, nell'anno 2002, è proprietario del Velodromo «Pierino Baffi» sito in Crema.
  Nell'ottobre 2006, a seguito di procedura pubblica di vendita, aliena il complesso sportivo della Società Anonima-immobiliare (Sai) srl.
  Nel novembre 2007 il Ministero dei beni e le attività culturali, Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Lombardia, dichiara di interesse storico artistico l'impianto. Il provvedimento di apposizione del vincolo storico artistico è impugnato dalla Coni servizi Spa e dalla Sai srl dinanzi alla giurisdizione amministrativa, che lo ritiene legittimo.
  In conseguenza delle sentenze dei giudici amministrativi, la Coni servizi Spa e la Sai risolvono consensualmente la compravendita, e dal novembre 2012 la Coni servizi Spa rientra nel possesso del velodromo.
  Nel febbraio 2013, la Coni servizi Spa decide, in conformità ad una perizia tecnica che evidenzia l'inagibilità del complesso sportivo e quantifica in una spesa superiore ad 1.5 milioni di euro la revisione dei manufatti, di mantenere chiuso l'impianto per ragioni di sicurezza, non essendo possibile trovare i fondi necessari per il restauro.
  Il sindaco del comune di Crema, con nota del 16 aprile 2013, esprime alla Coni servizi Spa interesse ad approfondire gli aspetti tecnico-economici di un possibile acquisto dell'immobile, e a valutare anche l'ipotesi di affidamento in comodato d'uso dell'impianto allo stesso comune.
  La Coni servizi Spa, con lettera del 22 aprile 2013, risponde al comune di Crema e riconferma l'impossibilità di consentire l'utilizzazione dell'impianto nello stato attuale di inagibilità, la volontà di alienare il velodromo nel rispetto delle procedure previste per i beni di interesse culturale, ed invita il comune a far pervenire una proposta di acquisto da sottoporre al primo consiglio di amministrazione utile.
  Alla Coni servizi Spa non è ancora pervenuta altra comunicazione dal comune di Crema, in ogni caso la Spa conferma la disponibilità a trovare con l'amministrazione comunale qualunque soluzione che possa soddisfare esigenze ed interessi reciproci.
  Il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, con nota n. 0015177 del 5 settembre 2013, ha specificato che, in forza del decreto di interesse storico artistico, emanato dal Direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici della Lombardia in data 20 novembre 2007, ai sensi dell'articolo 10, comma 1, del Codice dei beni culturali e del paesaggio, il velodromo «Pierino Baffi» di Crema è sottoposto alle disposizioni di tutela previste dalla parte II del Codice, comprese quelle relative all'imprescindibile necessità di ottenere preventive autorizzazioni per eventuali alienazioni dello stesso.
  Sebbene il bene sia alienabile, l'operazione risulta, infatti, procedibile solo ai sensi dell'articolo 55 del Codice che recita: «L'autorizzazione è rilasciata su parere del Soprintendente, sentita la regione e per suo tramite gli altri enti pubblici territoriali interessati.
  Il provvedimento in particolare:
   a. detta prescrizioni e condizioni in ordine alle misure di conservazione programmate;
   b. stabilisce le condizioni di fruizione pubblica del bene, tenuto conto della situazione conseguente alle precedenti destinazioni d'uso;
   c. si pronuncia sulla congruità delle modalità ed i tempi previsti per il conseguimento degli obiettivi di valorizzazione indicati nella richiesta».

  Ancora, sempre all'articolo 55, comma 3-bis il predetto Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, ha rilevato che «l'autorizzazione non può essere rilasciata qualora la destinazione d'uso proposta sia suscettibile di arrecare pregiudizio alla conservazione e fruizione pubblica del bene o comunque risulti non compatibile con il carattere storico ed artistico del bene medesimo».
  Permangono, dunque, in capo al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo tutte le facoltà di prescrizione circa le destinazioni d'uso compatibili, la valutazione e il controllo dell'eventuale processo di alienazione proposto, che non può essere autorizzato se non rispondente ai criteri previsti dalla normativa vigente in materia di Beni Culturali, anche in ordine alla fruizione e valorizzazione del bene. È pacifico, quindi, come un'eventuale proposta di destinazione d'uso che snaturi i presupposti fondanti del provvedimento di tutela emanato (basato anche sulla stretta connessione tra la componente architettonica e strutturale e la funzione ciclistica) non sia recepibile.
  Con riferimento, invece, alle condizioni di conservazione e alla possibilità di fruizione del bene tutelato, in data 3 gennaio 2013 la Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Lombardia ha ricordato alla proprietà tanto gli obblighi conservativi previsti all'articolo 30, comma 1 e le misure di protezione previste all'articolo 20, comma 1, del Codice, in capo alla stessa, quanto il dettato dell'articolo 112, comma 6, che specifica come: ciascun soggetto pubblico è tenuto a garantire la valorizzazione dei beni di cui ha comunque la disponibilità. Contestualmente il Ministero dei beni e le attività culturali e del turismo chiedeva, ai sensi dell'articolo 105 del Codice, di conoscere le previsioni in essere per il rispetto del diritto di uso e godimento del bene in oggetto che il pubblico abbia acquisito.
  In data 13 febbraio 2013, con nota prot. n. 11, indirizzata alla citata Direzione regionale, la società Coni servizi Spa riscontrava comunicando: «questa Società ritiene che il perseguimento del risultato della valorizzazione del bene possa essere raggiunto solo attraverso l'alienazione dello stesso ad un soggetto, pubblico o privato, nel rispetto della sua destinazione d'uso e del vincolo di interesse storico artistico su di esso gravante, considerato che il bene medesimo non riveste carattere di strumentalità e che la dismissione rientra negli specifici obiettivi posti alla Coni servizi Spa dall'azionista (Ministero dell'economia e delle finanze)».
  Per quanto sopra esposto, il Ministero dei beni e le attività culturali e il turismo ritiene che anche una eventuale alienazione del bene non possa che essere orientata ad un recupero sia della funzionalità sportiva, sia della fruibilità dello stesso.
  Il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo precisa che all'attività di valorizzazione concorrono sia lo Stato che la regione e gli altri enti pubblici territoriali di riferimento, i quali, ai sensi dell'articolo 7 del Codice, risultano avere anch'essi titolo a gestire la problematica.
  La Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Lombardia ha offerto la massima disponibilità a collaborare con regione Lombardia, comune di Crema e proprietà per la definizione di un progetto di valorizzazione del velodromo, nel rispetto del provvedimento di tutela del 20 novembre 2007.

Il Ministro per gli affari regionali e le autonomieGraziano Delrio.


   GAGNARLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste italiane spa è una società per azioni, il cui capitale è posseduto al 100 per cento dallo Stato italiano, chiamata a gestire un servizio di pubblica utilità;
   sino al 2016 Poste italiane spa è tenuta ad erogare il cosiddetto «servizio universale» cioè assicurare una prestazione continuativa durante tutto l'anno che interessi tutti i punti del territorio nazionale, assicurando un adeguato numero di punti di accesso, soprattutto in area di disagio territoriale e sociale; per tali funzioni lo Stato assicura a Poste italiane spa un congruo compenso;
   nel comune di Ciggiano la società ha già disposto la chiusura dell'ufficio postale, lo scorso 18 dicembre, che serviva anche una ampia zona collinare del comune di Civitella in Val di Chiana;
   il territorio in questione presenta diverse criticità e particolarità sia da un punto di vista geografico sia sociale, in quanto caratterizzato da una vasta area collinare priva di altri servizi similari alternativi e con una forte presenza di anziani;
   in aggiunta a quanto già accaduto, la società Poste italiane spa ha di recente rimosso anche la cassetta postale, già in precedenza sigillata con del nastro adesivo e contenente per giunta lettere non ancora distribuite, senza nessun preavviso –:
   quali iniziative il Ministro intenda adottare, nell'ambito delle proprie competenze, al fine evitare disagi ai cittadini nonché il pregiudizio all'efficienza che può derivare alle realtà produttive del territorio da questa decisione di Poste italiane;
   se il Ministro interrogato abbia intenzione di aprire un confronto con Poste italiane spa per indurre l'azienda erogatrice del «servizio universale» a cessare questa politica di gestione unilaterale degli uffici postali, erogatori di servizi pubblici, senza il coinvolgimento degli enti locali e delle organizzazioni sociali e di categoria dei territori. (4-01512)

  Risposta. — In merito all'atto di sindacato ispettivo in oggetto, sulla base di quanto comunicato dalla società Poste italiane, si fa presente quanto segue.
  L'ufficio postale di «Ciggiano», situato nell'omonima frazione del comune di Civitella in Val di Chiana (Arezzo), è stato interessato dal provvedimento di chiusura, a causa degli esigui flussi di traffico rilevati nel tempo, attraverso un continuo monitoraggio ed è stato attuato con decorrenza 31 dicembre 2012.
  Il predetto ufficio era stato, infatti, inserito nel piano degli uffici diseconomici anno 2012 e il provvedimento di chiusura, adottato previa condivisione con le organizzazioni sindacali, è stato preventivamente comunicato all'amministrazione locale.
  La società ha reso noto, altresì, che la clientela può usufruire nel territorio comunale in esame di quattro uffici postali idonei a garantire l'erogazione del servizio secondo gli standard di qualità previsti e precisamente:
   Badia al Pino, aperto nelle giornate dal lunedì al venerdì dalle ore 8,20 alle ore 13,35 ed il sabato con orario 8.20-12,35;
   Pieve al Toppo, Tegoletto e Viciomaggio aperti dal lunedì al venerdì dalle ore 8,20 alle ore 13,35 ed il sabato con orario 8.20-12,35.

  Poste italiane fa presente, inoltre, che la cassetta postale a cui si fa riferimento nell'interrogazione, è stata rimossa dopo la chiusura dell'ufficio di Ciggiano, a seguito di specifica richiesta da parte del proprietario dell'immobile, ove l'ufficio era ubicato.
  Al riguardo, la società ha assicurato che all'interno della cassetta non vi era alcun oggetto postale e che tempestivamente era stata interpellata l'Amministrazione comunale al fine di individuare un'ubicazione idonea. Dal 22 settembre 2013 la cassetta postale è stata nuovamente installata.
  Per completezza di informazione si segnala che l'agcom, nell'ambito delle proprie competenze in materia di «determinazione dei criteri di ragionevolezza funzionali alla individuazione dei punti del territorio nazionale necessari a garantire una regolare ed omogenea fornitura del servizio» ha avviato con delibera n. 236/13/CON5, un'apposita istruttoria avente ad oggetto la congruità dei vigenti criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete postale pubblica nonché l'opportunità di una loro eventuale modifica, tenendo conto dell'esigenza di assicurare una fruizione omogenea delle prestazioni rientranti nel servizio postale universale su tutto il territorio nazionale, incluse le situazioni particolari, quali le isole minori e le zone rurali e montane.
  Il procedimento è attualmente in corso di svolgimento ed entro la fine dell'anno verrà indetta una consultazione pubblica al fine di acquisire le osservazioni dei soggetti coinvolti in merito alla proposta di intervento che sarà formulata dall'autorità sulla base delle risultanze procedimentali.
  Al riguardo, la stessa autorità rappresenta che già nella prima fase delle attività istruttorie sono state acquisite informazioni da parte di operatori del settore ed enti locali, attraverso un questionario pubblicato sul sito web dell'autorità.
  Si segnala, infine, che sempre in materia di accessibilità degli uffici postali l'agcom ha adottato un provvedimento relativo alla rimodulazione degli orari di apertura degli uffici nel periodo estivo al fine di individuare con criteri più precisi le condizioni in presenza delle quali Poste italiane può pianificare chiusure di uffici postali o riduzioni degli orari di apertura degli stessi.

Il Viceministro dello sviluppo economicoAntonio Catricalà.


   GARAVINI, ROSATO e GIANNI FARINA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il 18 agosto 1946 si verificò sulla spiaggia di Vergarolla (Pola, odierna Croazia) una violenta esplosione provocata dalla detonazione di alcune mine; si riteneva fossero inoffensive dal momento che artificieri incaricati dalle forze alleate occupanti ne avevano precedentemente asportato il detonatore;
   sulla spiaggia era in corso una manifestazione sportiva e conviviale, la «Coppa Scarioni», cui partecipavano centinaia di persone;
   l'esplosione causò la morte e il ferimento di un numero imprecisato di individui, quasi tutti di nazionalità italiana. I cadaveri riconosciuti ammontarono a cinquanta. I resti umani non riconosciuti vennero posti in ventuno bare. Secondo alcune fonti il numero delle vittime sarebbe stato di almeno ottanta morti, fra i quali molti bambini;
   una successiva inchiesta condotta dal comando inglese e terminata nel febbraio 1947 concluse che «l'esplosione fu causata da una o più persone sconosciute»;
   la storiografia si è finora occupata raramente, spesso indirettamente e tardivamente, dell'esatta dinamica della carneficina;
   alcuni documenti pubblicati nel 2008 e ritrovati nel «Public Record Office» inglese fanno riferimento al possibile autore della strage, tale Giuseppe Kovacich, che viene citato come agente del servizio segreto jugoslavo Ozna;
   dichiarazioni di testimoni oculari dell'esplosione pubblicate recentemente accennano alla presenza di una o più persone sospette nelle immediate vicinanze del luogo dell'attentato poco prima dell'esplosione;
   se l'ipotesi dell'attentato terroristico fosse confermata, si tratterebbe di una fra le più gravi stragi di connazionali del secondo dopoguerra;
   nel corso degli anni da parte italiana il Governo non ha mai inviato a Pola un proprio rappresentante al fine di commemorare la strage e per dimostrare la vicinanza dell'Italia ai parenti delle vittime;
   l'opinione pubblica italiana mediamente non risulta essere a conoscenza dell'avvenuta strage di Vergarolla –:
   se il Governo non ritenga opportuno, per quanto di competenza, istituire una commissione di esperti indipendenti, incaricata di approfondire e studiare ulteriormente le cause della strage, anche alla luce delle testimonianze dei superstiti e dei documenti ritrovati recentemente;
   se il Governo non ritenga opportuno inviare a Pola una delegazione ufficiale per commemorare le vittime della strage il prossimo 18 agosto 2014;
   se il Governo non ritenga opportuno assumere adeguate iniziative perché l'opinione pubblica italiana prenda coscienza dell'importanza di questa tragedia nella storia nazionale. (4-02040)

  Risposta. — La vicenda della tragica esplosione di Vergarolla del 1946 è stata nel tempo attentamente seguita dal Ministero degli affari esteri. In particolare, alle cerimonie organizzate a Pola ogni 18 agosto, l'Italia è da anni rappresentata dall'ambasciata a Zagabria (nella persona dell'ambasciatore o, in caso di sua assenza dalla sede, dal vicario) o dal Consolato generale a Fiume (nella persona del Console generale, o in caso di sua assenza dalla sede, dal vicario), che assicurano anche la deposizione di corone di fiori sul monumento commemorativo nella piazza proprio recentemente intitolata alle vittime di Vergarolla.
  Quanto agli approfondimenti evocati nell'interrogazione sulle fonti e testimonianze storiche del fatto, da parte del Ministero degli affari esteri vi è disponibilità sia a sostenere un progetto scientifico da finanziarsi sulla base della legge n. 72 del 2001, sia a mettere a disposizione di studiosi, per quel periodo, il fondo archivistico dell'Ambasciata d'Italia a Belgrado ed in tale prospettiva sono già stati avviati contatti con la «Federazione delle Associazioni degli Esuli Fiumani, Istriani e Dalmati» per la realizzazione di un possibile progetto con tale obiettivo.
  Più in generale, il Ministero degli affari esteri, nello spirito del «Giorno del Ricordo» sostiene pienamente le iniziative proposte nell'ambito della legge n. 72 del 2001 tese a far meglio conoscere la tragedia dell'Esodo e le atroci vicissitudini che la popolazione autoctona italiana dovette subire dal regime comunista dell’
ex Jugoslavia al termine delle ostilità.
Il Viceministro degli affari esteriMarta Dassù.


   GARAVINI e LA MARCA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   la legge 30 marzo 2001, n. 152 recante «Nuova disciplina per gli istituti di patronato e di assistenza sociale», agli articoli 7 e 8, riconosce ai patronati l'attività di informazione e di assistenza a favore di cittadini italiani e stranieri, anche se residenti all'estero, per le materie riguardanti l'emigrazione e l'immigrazione;
   la stessa legge n. 152 del 2001, all'articolo 11, prevede che «gli istituti di patronato e di assistenza sociale possono svolgere, sulla base di apposite convenzioni con il MAE, attività di supporto alle autorità diplomatiche e consolari italiane all'estero» e che tali attività debbono svilupparsi secondo le indicazioni vincolanti degli uffici consolari ed essere erogate agli utenti a titolo assolutamente gratuito;
   gli uffici consolari, a causa delle note carenze di risorse e personale, si trovano in comprovate difficoltà nell'erogazione dei servizi e, quindi, nella necessità di ricorrere a soluzioni alternative;
   nel corso della XV legislatura si è svolto tra i rappresentanti dei patronati e quelli del Ministero degli affari esteri, un lungo e proficuo lavoro di messa a punto di uno schema di convenzione-quadro che, una volta sottoscritta dalle parti, sarebbe dovuto servire da riferimento per le convenzioni da stipulare tra gli uffici consolari e i patronati operanti in loco;
   in detto schema di convenzione erano previste tutte le condizioni operative, di indirizzo e di controllo da parte dei consolati, nonché le garanzie di autonomia e gratuità per gli utenti;
   nella scorsa legislatura, rispettivamente in data 30 giugno 2008, 30 giugno 2009 e 14 febbraio 2012, sono state presentate tre interrogazioni per conoscere i precisi orientamenti del Ministero degli affari esteri in relazione alla facoltà di stipulare una convenzione con i patronati, la cui conclusione si era inspiegabilmente arenata. A tali interrogazioni fu data risposta, a giudizio delle interroganti, in maniera non lineare, ovvero: nel novembre 2008 il Sottosegretario pro tempore Alfredo Mantica affermava che «Il Ministero degli esteri sta studiando come meglio attuare quanto previsto come possibile dall'articolo 11 della legge 152 del 2001»; nel luglio 2010 lo stesso Sottosegretario Mantica citava una serie di «problematiche» insorte, che «hanno ostacolato il raggiungimento di un'intesa» le quali dovevano essere «valutate ulteriormente», fra le quali «l'affidamento a strutture esterne di attività tipicamente consolari, i vincoli di bilancio che impedirebbero di incrementare i contributi erogati a favore dei patronati per le nuove attività, nonché le questioni giuridiche connesse alla gestione dei dati ed alla tutela della privacy»; nell'aprile 2012, infine, dalla risposta fornita dal Ministro degli affari esteri pro tempore non risultavano nuovi elementi sullo stato delle trattative fra Ministro degli affari esteri e patronati –:
   se, nel quadro della predisposizione di un migliore servizio da offrire sia ai cittadini emigrati che agli stranieri interessati a venire nel nostro Paese e con l'intento di sostenere l'attività degli uffici consolari, oberati da incombenze non sempre compatibili con gli attuali livelli di personale, non ritenga di favorire la conclusione dell'accordo con i patronati assumendo ogni iniziativa utile a perfezionare la stipula della convenzione-quadro, ferma inspiegabilmente ormai da diversi anni. (4-02559)

  Risposta. — In merito alla questione sottoposta dall'interrogante, si forniscono di seguito gli elementi di competenza di questa amministrazione.
  Si ritiene che l'articolo 11 della legge n. 152 del 2001 trovi un primo limite nelle disposizioni del decreto-legge n. 71 del 2011 che riserva l'esercizio delle funzioni consolari esclusivamente agli uffici consolari di I e II categoria, disciplinandone e limitandone al contempo, in modo puntuale, le possibilità di delegarle.
  Le «attività di supporto» cui fa riferimento la citata legge n. 152 coincidono, quindi, sostanzialmente con quelle demandabili ai cosiddetti «corrispondenti consolari».
  I noti limiti di bilancio – rilevati anche dall'interrogante – hanno già indotto il Ministero affari esteri ad intensificare, per quanto possibile, l'utilizzo di ogni strumento di sostegno all'attività della rete consolare, incluso il ricorso all'apporto dei corrispondenti consolari.
  Il secondo limite, già segnalato in occasione delle precedenti interrogazioni sullo stesso argomento, è costituito dalla normativa in vigore in materia di trattamento dei dati personali.
  Tenuto conto dei vincoli normativi sopra richiamati, ove possibile e opportuno in base a considerazioni logistiche e organizzative valutabili unicamente
in loco, potrà dunque farsi ricorso ad una più intensificata collaborazione anche con i patronati.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriMario Giro.


   GIANCARLO GIORGETTI, BORGHESI, CAPARINI, ALLASIA, ATTAGUILE, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, FEDRIGA, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. – Per sapere — premesso che:
   organi di stampa locale (Corriere della Lombardia, edizione di Brescia) riportano la notizia, in questi ultimi giorni, secondo la quale la Guardia di finanza, su ordine del GIP, ha disposto la custodia cautelare a carico del sindaco di Montichiari (Brescia);
   accusa nei confronti del primo cittadino ipotizza i reati di tentata estorsione, abuso d'ufficio e falso in atto pubblico: la vittima della tentata estorsione sarebbe la Gedit, società che nella stessa Montichiari dal 2010 gestisce una discarica in cui finiscono scorie industriali e fanghi dei depuratori tanto da essere da tempo contestata da un comitato di cittadini;
   secondo la stessa accusa, il sindaco, ora agli arresti domiciliari, non avrebbe tentato di estorcere mazzette personali ma «compensazioni ambientali» a favore del paese, orchestrando una campagna denigratoria nei confronti dei titolari della discarica Gedit per costringerli a firmare una convenzione particolarmente onerosa;
   l'attenzione degli inquirenti si era già posata sulla questione mesi fa, e precisamente nel gennaio 2012, quando l'attuale sindaco, in quanto autorità a tutela della sicurezza pubblica nel suo comune, dopo il presidio di un gruppo di mamme contro i miasmi prodotti dalla Gedit, con un'ordinanza «contingibile e urgente» – a seguito di malori manifestati da bambini e genitori fuori dalla scuola e dai lavoratori della zona – aveva disposto la chiusura della discarica di Vighizzolo affinché Arpa e asl avessero il tempo di approfondire i controlli, ma lo stop durò solo un giorno in quanto dichiarato illegittimo dal Tar che accolse il ricorso dell'azienda;
   contro la discarica in questione, così come ribadito anche dallo stesso sindaco, da tempo è infatti in atto una mobilitazione popolare e tale protesta è capeggiata dagli abitanti, ed in particolare dalle mamme, nonne e figlie di Vighizzolo, esasperate dai miasmi mefitici di origine mai accertata, ed è stata cavalcata dal comitato Sos Terra che poi ha incassato il sostegno della giunta;
   negli scorsi mesi, a Montichiari era stato effettuato uno studio di impatto ambientale cumulativo disposto da un comitato locale e dall'amministrazione comunale il quale in soli 3 mesi ha permesso di raccogliere 1.500 segnalazioni riguardanti le discariche del luogo basato su un sistema che attraverso un modello matematico ha calcolato la correlazione delle segnalazioni con la direzione del vento indicando da dove arrivano gli odori sgradevoli e le sostanze nocive; tale studio, basato sulla partecipazione della cittadinanza, viene utilizzato anche in altre città ed altre nazioni, come Portogallo e Argentina;
   secondo gli inquirenti, i questionari sottoposti alla popolazione per denunciare le molestie olfattive e il sistema di segnalazione on line sarebbero stati ammaestrati a proprio uso e consumo dal primo cittadino, e sempre secondo gli inquirenti, il sindaco avrebbe attuato le «ritorsioni» dopo che la Gedit si è rifiutata di pagare una cifra triplicata per ogni metro cubo di rifiuti conferito in discarica, nonostante, di fatto, nel corso delle assemblee pubbliche e nelle sedi istituzionali si sia parlato in più occasioni di benefit pubblici per compensare la comunità dell'impatto ambientale della Gedit;
   la città di Montichiari, con 12,2 milioni di metri cubi di rifiuti stoccati, è tristemente nota per essere uno dei centri del Nord Italia dove maggiore è la presenza di rifiuti; già in passato molte società hanno compensato il disagio dei residenti finanziando opere pubbliche, così che il Paese ha ottenuto scuole, parchi e persino una caserma;
   i cittadini di Montichiari, a mezzo stampa, hanno esternato la loro incredulità per la vicenda giudiziaria esprimendo il pieno sostegno al sindaco e la vicenda è arrivata anche parlamento europeo, dove rappresentanti istituzionali hanno interessato della vicenda il commissario all'ambiente Janez Potocnik sul macroscopico caso di malagiustizia che ha investito un sindaco «colpevole» di aver sollecitato ad un'azienda ad alto impatto ambientale delle legittime compensazioni;
   con l'emanazione del decreto legislativo n. 267 del 2000, (TUEL, testo unico degli enti locali), sono state definite ed ampliate rispetto al passato le mansioni svolte da, sindaco in qualità di capo dell'amministrazione locale, e questo, quale ufficiale del Governo, interviene quando sia necessario prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini, così come stabilito dall'articolo 54, comma secondo, anche nei casi di emergenza, connessi con il traffico e/o l'inquinamento atmosferico o acustico o in altre circostanze straordinarie –:
   di quali elementi disponga il Governo sulla vicenda, nell'ambito delle proprie competenze. (4-02054)

  Risposta. — Con riferimento alle problematiche richiamate dagli interroganti nell'interrogazione in esame, relative ad una discarica nel comune di Montichiari (Brescia), occorre premettere che la vicenda pur riguardando un caso di indagini giudiziarie, investe competenze amministrative facenti capo agli enti locali e territoriali.
  Acquisite le informazioni da citati soggetti territorialmente competenti, si rappresenta quanto segue.
  Il comune di Montichiari, in provincia di Brescia, si estende per più di 82 chilometri quadrati, di cui circa 15 chilometri quadrati sono occupati da cave e discariche, così come riportate nell'elenco esplicativo allegato (disponibile presso il servizio Assemblea).
  La provincia di Brescia ha relazionato che l'impianto di smaltimento di rifiuti non pericolosi, discarica della ditta GEDIT s.p.a., ubicato nel territorio del comune di Montichiari, è stato realizzato a seguito del rilascio di autorizzazione integrata ambientale da parte della legione Lombardia, con decreto n. 2092 del 4 marzo 2009. Le operazioni di conferimento dei rifiuti sono iniziate in data 28 ottobre 2010.
  A seguito di segnalazioni di odori molesti dei residenti delle zone limitrofe, nel novembre 2010, il comune ha richiesto agli enti competenti di effettuare il controllo dei rifiuti conferiti e di verificare la modalità di gestione della discarica.
  Sono stati attivati sopralluoghi ispettivi ordinari e straordinari ed una campagna di analisi sulla qualità dell'aria, al fine di valutare lo stato della matrice ambientale e determinare le principali fonti delle emissioni odorigene.
  Dall'ottobre 2011 al luglio 2012, la discarica è stata oggetto di sequestro preventivo emesso dal GIP di Brescia. L'attività di deposito dei rifiuti infatti è proseguita nel rispetto delle prescrizioni gestionali ed impiantistiche indicate dai consulenti tecnici della procura e nelle more delle valutazioni dell'ARPA Lombardia, circa la modifica dei limiti di ammissibilità dei rifiuti in discarica, così come richiesto dalla provincia e previsto dalla convenzione quadro tra quest'ultima e l'agenzia.
  Il 14 novembre 2012, nel corso di un incontro avvenuto presso il comune di Montichiari, presenti anche l'ARPA, la ASL e la provincia, è stato messo in risalto che le molestie olfattive, negli ultimi mesi, si sono verificate con minore frequenza ma con significativa intensità ed è stato rilevato che l'esito delle analisi e dei monitoraggi svolti dall'ARPA sembrano non indicare una precisa causa e una precisa responsabilità delle molestie.
  Nel medesimo incontro il responsabile dell'ARPA, al contrario, ha fatto osservare che l'esito delle indagini era tale da consentire l'individuazione di azioni correttive di natura gestionale che potevano e dovevano essere tradotte in prescrizioni nell'ambito della procedura di riesame dell'AIA, in fase di istruttoria presso la provincia, suggerendo, in particolare, che si imponessero prescrizioni tecniche circa la realizzazione e il controllo di funzionamento dell'impianto di aspirazione del biogas.
  In data 11 settembre 2013 presso la provincia di Brescia si è tenuta la conferenza di servizi conclusiva sul provvedimento di riesame dell'AIA n. 2092 del 4 marzo 2009 e la definizione sulle ultime modifiche-integrazioni all'allegato tecnico della suddetta autorizzazione, che dovrebbe migliorare le condizioni ambientali in cui versa il territorio in questione.
  La situazione di criticità ambientale è stata segnalata al Ministero dell'ambiente già nel luglio 2012 che tempestivamente si è attivato per acquisire gli elementi conoscitivi sul caso ed in merito alle misure intraprese a tutela dell'ambiente, ed è tutt'ora attento al monitoraggio della stessa avvalendosi anche del comando Carabinieri per la tutela dell'ambiente.
  Con riferimento al procedimento penale cui si riferisce nell'interpellanza, in base a quanto comunicato dal Ministero della giustizia, risulta che il GIP presso il tribunale di Brescia, su richiesta del pubblico ministero procedente, ha emesso, in data 10 settembre 2013, una ordinanza applicativa della misura cautelare coercitiva degli arresti domiciliari nei confronti del sindaco del comune di Montichiari, Elena Zanola, per il reato di tentata estorsione, nonché per i reati di abuso di ufficio e falsità ideologica in atto pubblico.
  Con un'altra ordinanza emessa in data 25 settembre 2013, il GIP ha applicato nei confronti di Tiziano Puccinelli, vice commissario presso la Polizia locale di Montichiari, la misura cautelare interdittiva della sospensione dai pubblici uffici in relazione ai reati di falsità ideologica in atto pubblico e calunnia nei confronti del direttore della Gedit s.p.a., società di gestione della discarica oggetto dell'interrogazione. Il Giudice per le indagini preliminari ha invece respinto la richiesta di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di Antonio Amato per mancanza di gravi indizi di colpevolezza in relazione al reato di tentata estorsione.
  In particolare, nell'ottica accusatoria, il sindaco di Montichiari, abusando dei suoi poteri, avrebbe compiuto atti diretti in modo non equivoco a costringere la Gedit, proprietaria della discarica, a sottoscrivere una convenzione per il riconoscimento al comune del pagamento di una somma periodica quale «ristoro ambientale» di euro 9 a tonnellata senza che fossero indicati i relativi vincoli di destinazione e comunque in misura del tutto sproporzionata rispetto ai parametri della discarica ed ai contributi richiesti alle altre discariche presenti in zona e, in alternativa, a costringere la Gedit alla chiusura o alla vendita a soggetti graditi al comune, al fine di ottenere la corresponsione indebita a favore del comune di Montichiari della somma sopraindicata ed un ritorno di immagine a fini politici.
  Il sindaco, dopo che la Gedit aveva rifiutato di sottoscrivere la convenzione, avrebbe – sempre nell'ottica accusatoria – iniziato un'attività di condizionamento della popolazione sulla questione degli odori asseritamente provenienti dalla discarica Gedit, anche attraverso l'invio di moduli prestampati e precompilati che addebitavano alla Gedit odori nauseabondi ed effetti sulla salute, in realtà non sussistenti, inducendo in molti casi la popolazione a sottoscriverli; avrebbe inoltre condizionato l'attività della Polizia locale di Montichiari per inasprire i controlli sulla Gedit, istigando gli appartenenti alla Polizia locale a redigere annotazioni false quanto all'intensità degli odori percepiti ed alla loro provenienza e dando loro istruzioni circa le modalità con cui dovevano essere assunte a sommarie informazioni testimoniali le persone che avevano segnalato disagi o sul contenuto delle varie annotazioni redatte avrebbe infine emesso un atto palesemente illegittimo (l'ordinanza contingibile ed urgente n. 1 del 2012) con il quale si ordinava alla Gedit la sospensione dell'attività di gestione e conferimento rifiuti nella sua discarica di Vighizzolo fino al 17 gennaio 2012, che per l'appunto era stata tempestivamente sospesa dal TAR, e che aveva l'unico scopo di danneggiare l'immagine e l'attività della Gedit.
  Un'ulteriore contestazione è relativa all'avere il sindaco di Montichiari, secondo l'impostazione accusatoria condivisa dal Giudice per le indagini preliminari, falsamente attestato con la citata ordinanza contingibile ed urgente n. 1 del 2012 la sussistenza ai una situazione di emergenza sanitaria, in relazione ad un episodio concernente alcune aziende, peraltro «non meglio specificate» in cui il medico competente, in data 9 gennaio 2011, aveva segnalato che il malessere riferito dai dipendenti fosse conseguenza di odori molesti, asseritamente provenienti dalla discarica della Gedit e che la presenza di odori nauseabondi avesse causato problemi respiratori con conati di vomito, mal di testa e forte bruciore ad occhi e gola ad alcuni bambini recatisi presso la scuola elementare di Vighizzolo, omettendo infine di rappresentare che l'attività istruttoria compiuta dall'Arpa di Brescia per verificare la presenza di odori presso la discarica Gedit aveva attestato che oltre i 150 metri dalla discarica in direzione del comune di Vighizzolo non erano percepibili odori; in tal modo aveva cagionato intenzionalmente un danno alla Gedit.
  Il Giudice per le indagini preliminari, nell'ordinanza cautelare del 10 settembre 2013, ha ritenuto che la condotta di tentata concussione vada ritenuta assorbita nella contestazione di tentata estorsione. A parere del Giudice per le indagini preliminari, dagli atti emergerebbe che la condotta posta in essere dalla Zanola era finalizzata ad ottenere un vantaggio per la pubblica amministrazione e non un vantaggio personale diretto (se non forse in termini di generale consenso politico).
  Da ultimo, si riferisce che, nella giornata del 10 ottobre 2013, il prefetto Brassesco ha revocato il proprio provvedimento, datato 18 settembre 2013 con cui, a seguito delle note vicende giudiziarie, il sindaco di Montichiari signora Elena Zanola era stata sospesa di diritto dalla carica, ciò a seguito dell'ordinanza adottata, sempre in data 10 ottobre 2013, dal tribunale di Brescia – sezione del riesame che ha annullato la misura cautelare degli arresti domiciliari applicata alla signora Zanola con ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del tribunale di Brescia del 10 settembre 2013.

Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   GIANCARLO GIORGETTI, PRATAVIERA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI e RONDINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   i provvedimenti normativi adottati negli ultimi due anni da parte del Governo italiano e finalizzati ad abbassare gli elevati livelli di spesa pubblica si sono concentrati soprattutto sugli Enti locali, e sui comuni in special modo, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero senza valutare adeguatamente le politiche di gestione virtuose e senza altresì valutare adeguatamente come il concorso degli enti locali alla creazione del deficit dell'amministrazione pubblica nazionale sia stato inferiore rispetto a quello creato da livelli di governo centrale;
   il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, ha disposto la riduzione delle risorse destinate ai Comuni per un importo pari a 2 miliardi e 250 milioni di euro per l'anno 2013, così che la situazione della finanza pubblica locale risulta pertanto estremamente complessa, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione dei trasferimenti erariali, sia per il fatto che le amministrazioni locali, proprio per sopperire a tali deficit, in numerosi casi ricorreranno all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU;
   il dipartimento delle politiche fiscali del Ministero dell'economia e delle finanze ha diffuso (31 maggio 2013) le nuove quantificazioni del gettito dell'IMU 2012 ad aliquota di base, unitamente alle conseguenti rettifiche delle attribuzioni del Fondo di sperimentale di riequilibrio, e che la revisione delle stime del gettito Imu ad aliquota di base è stata effettuata, come disposto dalla legge di stabilità 2013 utilizzando, oltre che i pagamenti IMU comprensivi del saldo di dicembre, i dati relativi ai regimi di imposta deliberati dai singoli comuni raccolti e classificati dall'IFEL;
   è evidente un rilevante scostamento tra l'ammontare complessivo della stima dell'IMU standard, valutata dal Ministero dell'economia e delle finanze in 12,252 milioni di euro, e il gettito standard effettivamente incassato dai Comuni, pari a circa 11.703 milioni di euro (-549 milioni di euro), e che tale scostamento comprende, per un importo di oltre 300 milioni di euro, il gettito virtuale dell'IMU sugli immobili di proprietà comunale che non può in alcun modo essere considerato una risorsa sulla quale operare variazioni «compensative» a favore dello Stato;
   permane ancora, inoltre, una sostanziale differenza tra la provvisoria valutazione ISTAT dell'ICI 2010 – adottata dal Governo ai fini della quantificazione delle compensazioni ICI-IMU – e la valutazione revisionata dall'ISTAT nel maggio 2012, più elevata per ben 464 milioni di euro, e che fa non considerazione del nuovo ammontare dell'ICI comporta per i comuni una perdita complessiva di 464 milioni di euro, e che la diversa quantificazione sopra descritta ha determinato, a livello di singolo comune, delle variazioni inattese del fondo al ribasso che, a bilancio 2012 chiuso, condizionano l'equilibrio dell'esercizio 2013;
   la difficoltà attuale degli enti locali è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente variabile ed incerto, soprattutto con riferimento al gettito della imposta municipale propria, e che questo ha portato al differimento del termine per l'approvazione dei bilanci preventivi 2013;
   il predetto termine, secondo il Testo unico degli enti locali, è infatti di norma fissato al 31 dicembre dell'anno precedente l'esercizio finanziario, ed è stato differito per il 2013 una prima volta al 30 giugno dell'anno ad opera dell'articolo 1, comma 381, della legge di stabilità 2013 e, successivamente, al 30 settembre del medesimo anno dall'articolo 10, comma 4-quater35 del 2013;
   il decreto-legge 102 del 2013 reca una ulteriore proroga, rispetto a quelle già precedentemente intervenute, del termine per la deliberazione del bilancio di previsione 2013 degli enti locali, fissandolo alla data del 30 novembre 2013, facendo così coincidere tale adempimento con l'approvazione dell'assestamento di bilancio, e che l'ulteriore proroga deriva dalla necessità di consentire agli enti locali di acquisire maggior certezza sull'entità delle proprie entrate, in considerazione delle numerose modifiche legislative apportate in corso d'anno nella materia;
   il decreto-legge n. 54 del 2013 ha sospeso – per l'anno 2013 – il versamento della prima rata dell'IMU, in scadenza il 16 giugno, per determinate categorie immobiliari e che, secondo quanto previsto dal decreto-legge stesso, tale sospensione operava nelle more di una complessiva riforma della disciplina dell'imposizione fiscale sul patrimonio immobiliare, da realizzare sulla base di alcuni principi;
   il decreto-legge 102 del 2013 tratta complessivamente una modifica sostanziale all'applicazione dell'imposta IMU così come era prevista per l'anno 2013 dalla legge di stabilità 2013, nonché ne disciplina le modalità di rimborso verso i comuni, stabilendo con precisione l'ammontare della compensazione dovuto agli enti locali in ragione della sospensione operata ai sensi del decreto-legge n. 54 quantificata in 2.327,3 milioni di euro per l'anno 2013 e di 75,7 milioni a decorrere dall'anno 2014;
   la compensazione disposta copre solo parzialmente le risorse incassate dai Comuni per il gettito IMU complessivo incassato nel 2012 che, ad aliquota standard del 4 per mille, ammontava per il comparto a circa 3,8 miliardi di euro, e che gli effetti del provvedimento intervengono di fatto a poco più di due mesi dalla fine dell'esercizio di bilancio 2013, e che mentre i Comuni che hanno già approvato il bilancio di previsione ed impegnato, quando non spese, le risorse iscritte in funzione del gettito IMU previsto ad inizio anno, i Comuni che devono ancora predisporre i bilanci preventivi non hanno ad oggi conoscenza precisa delle risorse che saranno loro a disposizione come ristoro per il mancato incasso dell'Imposta Municipale Propria, e che questo potrebbe comportare gravi situazioni di squilibrio economico finanziario nel caso in cui il rimborso non fosse in linea con le previsioni attese;
   i comuni possono modificare le predette aliquote di base (sia per l'abitazione principale che per gli altri immobili), in aumento o diminuzione, entro margini stabiliti dalla legge, ma che alla luce delle evidenti difficoltà di redigere i bilanci previsionali, e che tale situazione è peraltro resa più complessa dal fatto che a fronte della vigente normativa sugli immobili D il cui gettito da quest'anno sarà Interamente riversato nelle casse dell'erario, è presumibile supporre come, proprio a fronte di un mancato incasso come quello derivante ai Comuni dal tributo sugli edifici D, numerosi Enti locali saranno costretti ad aumentare le aliquote su tutto gli altri immobili al fine di compensare il gettito oggi mancante dalle disposizioni dello Stato centrale, determinando così un aumento della pressione fiscale a carico dei cittadini –:
   se non ritenga opportuno, alla luce del complesso quadro normativo vigente e dell'incertezza relativamente alle risorse economiche a disposizione degli enti locali:
    a) assumere iniziative affinché la quota effettiva di rimborso da parte dello Stato verso ogni singolo comune a ristoro della soppressione dell'IMU sia determinata in modo non inferiore a quanto accertato effettivamente a consuntivo sul gettito 2012 derivante dall'applicazione dell'imposta municipale sui medesimi immobili sui quali opera attualmente la soppressione della medesima imposta, così che la norma non determini, rispetto al precedente esercizio, alcuna riduzione sui bilanci degli enti;
    b) chiarire con precisione, e comunque con congruo anticipo rispetto alla data del 30 novembre, le risorse a disposizione di ogni comune per il fondo sperimentale comunale per l'anno 2013, provvedendo alle dovute spettanze, sia per quanto concerne il fondo sperimentale comunale che la compensazione IMU, specificando altresì se i dati riferiti al Fondo di riequilibrio 2012 presenti sul sito dal Ministero dell'interno debbano considerarsi consolidati e quali iniziative si intenda adottare qualora l'ammontare di tali risorse risulti inferiore a quanto previsto incassare dal medesimo comune, stante le proprie proiezioni. (4-02450)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione in esame, con la quale – nell'evidenziare le problematiche connesse alla situazione finanziaria degli enti locali (quantificazioni del gettito Imu, differimento del termine per l'approvazione dei bilanci previsionali 2013, riserva sugli immobili di categoria D) – si chiede se non si ritenga opportuno adottare le necessarie iniziative, affinché la quota effettiva di rimborso da parte dello Stato verso ogni singolo comune, a ristoro della soppressione dell'Imu, sia determinata in misura non inferiore a quanto accertato effettivamente a consuntivo sul gettito 2012, nonché chiarire l'ammontare delle risorse a disposizione di ogni comune per il Fondo di solidarietà comunale per l'anno 2013.
  Con riferimento alla richiesta di integrale rimborso dell'imposta municipale propria, concernente talune fattispecie imponibili, (non dovuta ai sensi del decreto- legge n. 102 del 2013, convertito nella legge n. 124 del 2013), in misura non inferiore a quanto accertato effettivamente a consuntivo sul gettito 2012, si fa presente che il rimborso in questione è stato sostanzialmente determinato sulla base del 50 per cento del gettito dell'imposta municipale propria calcolato sulla base dei versamenti dell'anno 2012, comprensivi delle manovre comunali in materia. In particolare, la somma di 2.327 milioni di euro per l'anno 2013 è a copertura del minor gettito derivante dall'abolizione della prima rata dell'Imu per le abitazioni principali e che compensa ampiamente il gettito della prima rata effettivamente incassato dai comuni per l'anno 2012 pari a 2 miliardi di euro. La differenza si riferisce alle ulteriori esenzioni ed agevolazioni previste dagli articoli 1 e 2 del decreto-legge 102 del 2012, convertito nella legge n. 124 del 2013.
  In proposito, giova precisare che l'integrale rimborso determinerebbe effetti negativi sui saldi di finanza pubblica privi di idonea copertura finanziaria e, parimenti, risulterebbe suscettibile di effetti finanziari negativi anche il calcolo del rimborso basato sulle aliquote Imu relative all'anno 2013 e non anche all'anno 2012.
  Con riferimento alle risorse a disposizione di ogni comune a titolo di Fondo di solidarietà comunale per l'anno 2013, si fa presente che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all'articolo 1, comma 380, della legge n. 228 del 2012, che individua le quote spettanti a ciascun Comune per l'anno 2013 a valere sul predetto fondo, è in fase di perfezionamento.
  Le quote spettanti a ciascun comune sono state pubblicate sul sito della conferenza Stato città ed autonomie locali e, quindi, i comuni possono già disporre degli elementi quantitativi necessari per l'adozione o modifica dei propri bilanci.
  Sulla questione, il Ministero dell'interno ha comunicato che la conferenza Stato-città ed autonomie locali, nelle sedute del 7 agosto 2013 e del 25 settembre 2013 ha espresso due rilevanti pareri favorevoli e siglato un significativo accordo, rispettivamente:

   a) sul testo del decreto ministeriale che ha attribuito un contributo di 330 milioni di euro per l'anno 2013 e di 270 milioni di euro per l'anno 2104 a favore dei comuni, contributo ripartito in proporzione alle stime di minor gettito di imposta municipale propria relativa ad immobili posseduti dagli stessi enti, in applicazione dell'articolo 10-quater del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, inserito in sede di conversione della legge 6 giugno 2013, n. 64;
   b) sul testo del decreto ministeriale con il quale è stato ripartito, a favore dei comuni delle regioni a statuto ordinario e della regione Siciliana e della Sardegna, un contributo per l'importo complessivo di 2 miliardi e 302 milioni di euro a titolo di rimborso per minor gettito IMU della prima rata dell'anno 2013, al netto di un accantonamento prudenziale pari ad euro 25.000.000,00, in applicazione dell'articolo 3 del decreto-legge n. 102 del 2013, convertito con modificazioni, nella legge n. 124 del 2013;
   c) sul contenuto del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che stabilisce i criteri di formazione e di riparto del nuovo Fondo di solidarietà comunale, a decorrere dall'anno 2013.

  Il primo provvedimento, definito con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze sottoscritto in data 3 ottobre 2013, attualmente in fase di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, ha trovato immediata applicazione, avendo la direzione centrale per la finanza locale del Dipartimento per gli affari interni e territoriali del Ministero dell'interno già provveduto ad effettuare i pagamenti delle singole quote spettanti a favore di ciascun comune, in data 9 ottobre 2013.
  Il secondo provvedimento, definito sempre con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sottoscritto in data 27 settembre 2013, pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale n. 233 del 4 ottobre 2013 ha ugualmente trovato immediata applicazione, avendo la stessa Direzione centrale per la finanza locale già provveduto ad effettuare i pagamenti delle singole quote spettanti a favore di ciascun comune, in data 7 ottobre 2013.
  Il terzo accordo, già pubblicato sul sito della conferenza Stato-città, unitamente al testo del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, ha quantificato l'importo complessivo iniziale del fondo in 6 miliardi, 974 milioni, 344 mila euro (6.974.344.596,18 euro, per l'esattezza).
  In merito ai tale specifico assestamento delle risorse spettanti ai comuni relativamente al Fondo sperimentale di riequilibrio, risorse rideterminate in base alle differenze di gettito Imu ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni con l'Ici nel 2010, i dati relativi ai comuni ricadenti nei territori delle regioni a statuto ordinario, nonché di quelli ricadenti nei territori di Sicilia e Sardegna, sono stati aggiornati, in data 27 giugno 2013, dopo la verifica del gettito dell'imposta municipale propria dell'anno 2012 effettuata dal Ministero dell'interno e prevista ai sensi del comma 383, dell'articolo 1 della legge n. 228 del 2012.
  Si precisa, altresì, che il testo del disegno di legge di stabilità 2014, attualmente all'esame del Senato (AS. n. 1120) prevede, all'articolo 24, l'espressa riconferma dell'ammontare complessivo del Fondo di solidarietà comunale, per l'anno 2013, mentre per l'anno 2014 demanda ad altro analogo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, la considerazione degli ulteriori effetti che potranno eventualmente modificarne la consistenza, sia in correlazione alla soppressione dell'Imu sulle abitazioni principali, che a seguito della prevista istituzione della tassa sui servizi indivisibili dei comuni (la cosiddetta Tasi).
  Tuttavia, si deve considerare che la pur rilevante riduzione delle risorse, pari ad un importo complessivo di 2.250 milioni di euro, di cui all'articolo 16, comma 6, del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito nella legge n. 135 del 2012 e successive modifiche ed integrazioni, a carico dei comuni (la cosiddetta
spending review 2013), definita con decreto in data 24 settembre 2013 del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, è stata comunque inglobata ed assorbita nell'ambito dei necessari conteggi per la quantificazione del nuovo Fondo di solidarietà, comunale, avvenuta di recente con il predetto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, definito con il citato accordo in sede di conferenza Stato-città del 25 settembre 2013.
  Si tratta, evidentemente, di una serie di provvedimenti adottati in considerazione della situazione economica del Paese, ma che cercano comunque di recepire, anche a seguito delle numerose segnalazioni pervenute dall'Associazione nazionale dei comuni, le esigenze di cassa dei comuni.

Il Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanzePier Paolo Baretta.


   GIULIETTI e LODOLINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nelle settimane scorse il Governo ha proceduto a stabilizzare molte unità di «volontari» che per anni hanno prestato servizio nei vigili del fuoco;
   è, comunque, importante superare qualsivoglia forma di precariato, occorre acquisire alcune informazioni in merito alle selezioni avvenute per l'assunzione di personale presso il Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   il 6 novembre 2008 è stato bandito un concorso pubblico per far fronte al turn over relativamente al corpo dei Vigili del Fuoco. Nel bando vi erano delle quote riservate: il 45 per cento a militari (che fino al 2004, con la leva obbligatoria, facevano gli «ausiliari») e il 25 per cento a quei volontari non stabilizzati. Il bando è da 814 posti, che vengono poi assegnati in base ai requisiti del bando;
   in 4.000 (circa) risultano idonei, ma in molti si vedono scavalcati dalle nuove stabilizzazioni di precari del volontariato nei vigili del fuoco che il concorso non l'hanno fatto o, peggio ancora, l'hanno fatto ma non sono risultati idonei;
   in considerazione del fatto che l'apertura di più graduatorie ha ingolfato il sistema creando una situazione simile a quella della scuola pubblica;
   occorre dare un segnale ai tanti ragazzi che partecipano a concorsi pubblici che il merito continua ad avere un valore fondamentale per il nostro ordinamento –:
   quale sia, ad oggi la situazione circa lo scorrimento della graduatoria di merito relativa al concorso di cui alla premessa e quale possa esserne l'evoluzione durante la vigenza della graduatoria stessa;
   se non si ritenga necessario procedere all'esaurimento della graduatoria di merito prima di procedere ad ulteriori stabilizzazioni di «precari-volontari» nel rispetto di chi il concorso l'ha fatto e ha superato l'idoneità, tenendo altresì conto che nel bando originario era prevista una quota riservata proprio ai «volontari».
(4-01786)

  Risposta. — Si premette che la Corte costituzionale ha costantemente riconosciuto nel concorso pubblico la forma generale e ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, perché considerato strumentale al canone di efficienza e buon andamento delle amministrazioni pubbliche.
  In parziale deroga al suddetto principio, tuttavia, ed in considerazione della carenza degli organici del personale permanente, sono state approvate alcune norme eccezionali, che consentono di utilizzare uno strumento prezioso quale il personale discontinuo, in situazioni di particolari e improcrastinabili necessità.
  In tale quadro, occorre precisare che, attualmente, sono vigenti due graduatorie di concorso per l'accesso nei ruoli dei vigili del fuoco: quella relativa alla procedura di stabilizzazione, introdotta dalla legge 26 dicembre 2006, n. 296 (finanziaria 2007), che ha delineato la «stabilizzazione» come procedura a carattere eccezionale, limitata nel tempo e concorrente rispetto a quella ordinaria, in deroga al richiamato principio costituzionale, e quella relativa al concorso pubblico, per titoli e esami, a 814 posti nella qualifica di vigile del fuoco.
  Al riguardo, l'articolo 4-
ter del decreto legge 20 giugno 2012, n. 79, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 131, ha infatti prorogato, al 31 dicembre 2014, i termini di validità delle due graduatorie sopra specificate, superando peraltro i precedenti limiti.
  L'intervento normativo ha, pertanto, tracciato un doppio e parallelo bacino, garantendo pari rilievo ad entrambe le graduatorie.
  Nel silenzio della norma circa le quota da utilizzare per la procedura di stabilizzazione, l'amministrazione ha ritenuto di attingere personale in misura pari al 50 per cento da ciascuna graduatoria, in modo da assicurare l'uniformità di trattamento rispetto agli interessi coinvolti.
  Di recente, il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito in legge 30 ottobre 2013, n. 125 ha previsto, all'articolo 8, commi 1 e 2, un incremento della dotazione organica della qualifica di vigili del fuoco di 1000 unità da assumere, in parti uguali, dalle graduatorie previste dal richiamato articolo 4-
ter del decreto-legge 79 del 20 giugno 2012, attingendo a tali graduatorie fino al loro esaurimento prima di procedere all'indizione di un nuovo concorso.
  Il comma 4 della suddetta legge ha, infine, stabilito la proroga delle stesse graduatorie non oltre il 31 dicembre 2016.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   GREGORI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   a quanto risulta all'interrogante la situazione carceraria laziale versa in condizioni drammatiche. Infatti, a fronte di una capienza di 4.834 unità, la popolazione carceraria presente nei penitenziari della regione Lazio ammonta, invece, a circa 7.171 detenuti;
   solo nel carcere di Rebibbia, su una capienza di 800 unità si raggiungono i 1.800 detenuti, ammassati nelle salette dedicate alla socialità, nelle palestre e su letti a castello di tre quattro livelli per stanza;
   la vita lavorativa degli agenti di polizia penitenziaria risulta particolarmente difficile, visto che ad un agente, di giorno, spetta sorvegliare 150 detenuti e di notte quasi 450 persone;
   sono stati ripetuti gli allarmi lanciati proprio dai sindacati di polizia penitenziaria, i quali hanno ribadito di non riuscire più a garantire l'incolumità degli utenti, non riuscendo inoltre ad adempiere alle prescrizioni stabilite dalla Costituzione;
   l'Amministrazione penitenziaria, centrale e regionale, sta sovraccaricando il personale della polizia penitenziaria e scaricando sugli operatori tutto il peso morale e operativo di una vera e propria emergenza umanitaria –:
   quali misure il Ministro interrogato intenda mettere in atto per conseguire, entro il breve termine, apprezzabili effetti di decongestione e di ritorno alla normalità nelle carceri laziali;
   se, ad esempio, risulti opportuno e fattibile elaborare un sistema di ingressi a «pareggio», ovvero individuando un numero massimo di detenuti, ai quali possano venire garantite concrete condizioni di vita detentiva dignitose e mirate al reinserimento nella vita civile. (4-00490)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al sovraffollamento degli istituti penitenziari del Lazio e, in particolare, di quello romano di Rebibbia nuovo complesso, va segnalato che tale situazione critica sta registrando una contenuta, ma non trascurabile tendenza alla diminuzione. Infatti, per effetto delle leggi n. 9 del 2012 e n. 94 del 2013, alla data del 6 novembre 2013 le presenze detentive sono scese a 64.163 unità, rispetto alle 66.470 unità registratesi nel mese di novembre dello scorso anno.
  Alla medesima data, presso gli istituti penitenziari del Lazio risultavano ristretti 7.070 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 4.799 posti detentivi.
  Tale situazione è alla costante attenzione sia del provveditore regionale, sia della competente direzione generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria che periodicamente – compatibilmente con le condizioni che si registrano negli altri istituti penitenziari – intervengono con provvedimenti di cosiddetto sfollamento, riguardanti in particolare la casa circondariale di Regina Coeli e il nuovo complesso di Rebibbia.
  Va inoltre evidenziato che la situazione del Lazio a breve beneficerà dell'apertura di un nuovo padiglione detentivo ampliativo della casa circondariale di Frosinone.
  Ciò detto, con la circolare del 30 maggio 2012 («Realizzazione circuito regionale
ex articolo 115 del decreto del Presidente della Repubblica 230 del 2000: linee programmatiche») è stata ridisegnata l'architettura dei circuiti detentivi per pervenire alla auspicata apertura verso modelli di detenzione più consoni alle finalità costituzionali della pena incentrati sui diritti della persona detenuta, attraverso il superamento della dicotomia sicurezza e trattamento. L'obiettivo è di realizzare gradualmente un «sistema integrato», coerente con la previsione dell'articolo 115 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000, nel cui ambito la differenziazione delle strutture per tipologia detentiva possa costituire la premessa di un miglioramento complessivo delle condizioni sia del personale che opera all'interno del carcere, che delle persone recluse. Questo miglioramento sarà, a sua volta, favorito dal necessario potenziamento delle attività trattamentali, da realizzare anche attraverso la ricerca di ogni forma di collaborazione con le altre istituzioni dello Stato, oltre che con gli enti locali e con la società esterna in tutte le sue costruttive iniziative.
  Nell'istituto romano di Rebibbia – dove alla data del 5 novembre 2013 erano presenti 1.782 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 1.218 posti – è già in atto presso alcuni reparti un regime a trattamento intensificato. Da qualche tempo, inoltre, presso lo stesso istituto è stato avviato un progetto denominato «Move», consistente nell'organizzare la movimentazione dei detenuti di media sicurezza per accedere a diversi tipi di servizi quotidiani (ad esempio, i colloqui con familiari, con gli avvocati, le visite presso poliambulatori, la frequenza di corsi scolatici) affinché tale tipologia di detenuti possa spostarsi senza accompagnamento del personale di Polizia penitenziaria per poi rientrare, una volta terminato l'impegno, nel reparto di appartenenza.
  Per quanto riguarda, invece, il personale di Polizia penitenziaria, a fronte di una previsione organica di 994 unità, il personale presente è di 840 unità: tale dato tiene conto del recente incremento di 10 unità che la competente direzione generale, a conclusione dei corsi di formazione per agenti (il 166o e il 167o), ha assegnato all'istituto di Roma Rebibbia nuovo complesso.
  Nonostante la situazione di carenza organica, debbo rilevare che il rapporto detenuto/agente, nei diversi turni di servizio, non assume mai le proporzioni riportate nell'interrogazione. Infatti, per i reparti più affollati (quelli con capienza media di 500 detenuti) nel turno antimeridiano operano 13 unità del ruolo agenti/assistenti e 2 unità del ruolo ispettori/sovrintendenti, con un rapporto di 1 agente per 38 detenuti; nel turno pomeridiano la presenza è, in media, di 8 unità del ruolo agenti/assistenti e di 1 unità del ruolo ispettori/sovrintendenti, con un rapporto di 1 agente per 63 detenuti; infine, nel turno notturno il rapporto è di 1 unità di polizia penitenziaria a fronte di 165 detenuti.

Il Ministro della giustiziaAnnamaria Cancellieri.


   GRIMOLDI e FEDRIGA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il territorio di Monfalcone presenta livelli critici di inquinamento atmosferico, con valori che superano i limiti di legge in particolare in prossimità della centrale termoelettrica di A2A;
   i dati sono stati recentemente confermati da un recentissimo studio elaborato a cura degli esperti Nikola Skert e Roberto Grahonja (ARPA FVG) dal titolo «Biomonitoraggio dell'inquinamento da gas fitotossici nella Regione Friuli Venezia Giulia tramite licheni come bioindicatori»;
   tale studio illustra un'accurata mappatura della Regione e conferma una realtà di cui si sospettava da tempo, sottolineando, appunto, come il sito monfalconese sia il peggiore a livello di qualità dell'aria mostrando «valori peggiori in prossimità della centrale termoelettrica di Monfalcone»;
   i due studiosi sono arrivati al risultato attraverso una tecnica di biomonitoraggio basato «sulla valutazione degli effetti biologici dell'inquinamento, misurando le deviazioni da condizioni normali di componenti degli ecosistemi reattivi all'inquinamento». A tale scopo sono stati utilizzati i licheni epifiti che «sono in grado di fornire informazioni sull'inquinamento atmosferico, in quanto il loro metabolismo dipende essenzialmente dall'atmosfera»;
   nello studio di Skert e Grahonja vengono illustrate le carte di Biodiversità Lichenica (BL), ottenute elaborando i dati raccolti e predisponendo opportune scale dove ad un valore alto di Biodiversità Lichenica corrisponde ad un'alta naturalità, mentre a valori bassi un'elevata alterazione. Si evince che su Monfalcone c’è un'alterazione molto alta e si sottolinea che «i minori valori di Biodiversità Lichenica di tutta la Regione si concentrano in prossimità della centrale termoelettrica di Monfalcone, presso la Ferriera di Trieste e Maggia»;
   tale studio di ARPA FVG ha riaperto un importante dibattito sul problema inquinamento a Monfalcone, dovuto alla centrale A2A, ripreso poi da stampa e social network;
   già nel 1999 era stato fatto uno studio da Enel riguardo i metalli presenti nell'aria ove si sottolineava la presenza di arsenico, cadmio, berillio, cromo, piombo, vanadio e mercurio;
   tali anomalie erano a conoscenza sia del comune di Monfalcone che della provincia di Gorizia, la quale, nel 2000, ha incaricato un'università di compiere un apposito studio;
   la Centrale Termoelettrica di Monfalcone è costituita da 4 gruppi termoelettrici che funzionano indipendentemente con potenza complessiva di 976 megawatt. Le sezioni 1 e 2, alimentate sia con carbone sia con gasolio per la fasi di avviamento ed aventi potenza di 165 e 171 MW, sono entrate in esercizio rispettivamente nel 1965 e nel 1970, mentre le sezioni 3 e 4, alimentate con olio combustibile e con una potenza di 320 megawatt ciascuna, sono entrate in servizio nel 1983 e nel 1984. Le sezioni 3 e 4 sono state messe fuori servizio alla fine del 2012 e dichiarate non più disponibili per l'esercizio commerciale di erogazione di energia elettrica sulla rete. È attualmente in corso la fase di dismissione dei serbatoi e del parco di stoccaggio dell'olio combustibile. Nei primi mesi del 2008 sono entrati in servizio gli impianti DeSOx per l'ulteriore abbattimento delle emissioni di S02 delle due sezioni a carbone;
   nel territorio di Monfalcone si assiste all'aumento di malattie oncologiche, in particolar modo tumori ai polmoni, all'apparato respiratorio, e autoimmuni, malattie che, secondo dati di letteratura, risultano sono strettamente connesse al crescente inquinamento dell'aria, alla presenza di diossina e metalli pesanti; infatti, il connubio fumi della centrale ed amianto posizionano Monfalcone ai primi posti in Europa per tumori polmonari ed alla pleure;
   a seguito del citato studio dell'ARPA la popolazione è impaurita e preoccupata in quanto mancano notizie certe sulla situazione ambientale e sanitaria del territorio; in particolare la popolazione desidera conoscere i programmi del Governo sulla riconversione a metano delle vecchie centrali ed in particolare sulla riconversione della centrale di Monfalcone –:
   se il Ministro intenda verificare la situazione ambientale del territorio di Monfalcone e la potenziale relazione tra agenti inquinanti dell'atmosfera e indicidenza di malattie tumorali nella popolazione per fornire le giuste informazioni alla popolazione, inquadrando la possibile riconversione della centrale a metano nell'ambito delle previsioni del piano energetico nazionale. (4-02287)

  Risposta. — La centrale di Monfalcone (Gorizia), di proprietà della società A2A s.p.a., è costituita da quattro sezioni termoelettriche ed è caratterizzata da una potenza elettrica complessiva pari a 976 megawatt, corrispondente a 2630 megawatt termici.
  Così come rappresentato dagli interroganti, i gruppi n. 3 e n. 4, alimentati ad olio combustibile denso e caratterizzati da una potenza elettrica di 320 megawatt, sono stati messi fuori servizio e dichiarati non più disponibili per l'esercizio commerciale di erogazione di energia elettrica sulla rete di trasmissione nazionale nel corso del 2012.
  I gruppi n. 1 e n. 2, sono, invece, alimentati a carbone (prevalente) – biomasse – olio combustibile/gasolio e sono caratterizzati rispettivamente da una potenza elettrica di 165 megawatt e 171 megawatt. L'esercizio di tali gruppi è disciplinato dall'autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.), rilasciata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel mese di marzo del 2009.
  Il quadro prescrittivo vigente della menzionata AIA prevede un riesame, entro cinque anni, del valore limite per le emissioni di NOx stabilito per i gruppi n. 1 e n. 2. A tal fine la società A2A s.p.a. ha presentato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nel mese di luglio 2013, apposita istanza per l'avvio della procedura di verifica di assoggettabilità alla VIA. relativamente al progetto di installazione di un sistema di abbattimento degli ossidi di azoto (DeNOx) sui gruppi n. 1 e n. 2. Il suddetto procedimento di verifica di assoggettabilità alla VIA è, ad oggi, in corso di valutazione.
  Per quanto riguarda la «riconversione della centrale a metano», si precisa che nell'anno 2004 la società allora proprietaria dell'impianto ha presentato al Ministero dello sviluppo economico, ai sensi della legge n. 55 del 2002, istanza per l'autorizzazione di un progetto di trasformazione dell'esistente centrale di Monfalcone. Tale progetto prevedeva la trasformazione delle sezioni esistenti n. 3 e n. 4 alimentate ad olio combustibile in una centrale a ciclo combinato alimentata a gas naturale da circa 1400 megawatt termici e circa 800 megawatt elettrici. Quali opere connesse, era stata prevista la realizzazione di un metanodotto di lunghezza pari a 18 chilometri.
  Il progetto ha ottenuto un giudizio favorevole di compatibilità ambientale nel mese di novembre 2007.
  Nel 2011 la società A2A s.p.a., divenuta proprietaria dell'impianto, ha comunicato di ritenere superato il progetto originario, nonché l'intenzione di valutare altre soluzioni progettuali, più aderenti all'attuale e futura situazione di mercato. Ad oggi nessuna istanza in tal senso è stata ancora formalizzata presso il Ministero dello sviluppo economico, anche se la società A2A ha presentato alcune ipotesi di riqualificazione del sito e della potenza installata.
  In ordine allo studio citato nell'interrogazione, l'ARPA Friuli Venezia Giulia ha riferito di averlo eseguito in 72 stazioni distribuite sul territorio regionale e che rappresenta la fase preliminare di una più estesa attività di biomonitoraggio che l'agenzia ha in progetto di effettuare mediante analisi della biodiversità dei licheni, organismi vegetali presenti sulle cortecce arboree che risultano particolarmente sensibili alla presenza di anidride solforosa e ossidi di azoto. Le informazioni acquisite da tale attività di monitoraggio sono in grado di fornire indicazioni sullo stato di qualità dell'aria ambiente unicamente in termini di naturalità e/o di deviazione dalla condizione di naturalità, ovvero di «alterazione» ambientale, ma in nessun modo l'attività di biomonitoraggio predetta è in grado di fornire informazioni direttamente correlabili a effettive concentrazioni di inquinanti, né a specifiche fonti di emissione.
  È ben noto nella letteratura scientifica internazionale che su area vasta le principali fonti di emissione di ossidi di azoto ed anidride solforosa sono costituite dal traffico veicolare e dal riscaldamento domestico. Il contributo delle fonti industriali può invece risultare rilevante a scala locale.
  Nell'ambito dell'attività di biomonitoraggio, ai fini della valutazione della biodiversità lichenica, nel comune di Monfalcone è stato eseguito, al momento, un unico campionamento, in data 7 febbraio 2013 all'incrocio tra via Eugenio Valentinis e via Giuseppe Tartini. Tale postazione è ubicata a circa 500 metri in linea d'aria dalla centrale termoelettrica A2A, ma a pochi metri di distanza da un'arteria stradale ad elevata densità di traffico quale la strada statale 14.
  In particolare, una stima del contributo delle diverse sorgenti emissive alle concentrazioni di biossido di azoto elaborato da ARPA FVG tramite simulazioni numeriche con un modello fotochimico associato all'inventario regionale delle emissioni in atmosfera fornisce indicativamente, per il comune di Monfalcone, i seguenti risultati: il 44 per cento del biossido di azoto origina dal traffico, il 30 per cento dal riscaldamento, l'11 per cento dalle attività industriali ed un altro 11 per cento deriva da attività biogeniche e da attività extra-comunali, mentre il rimanente 4 per cento deriva dalla combustione della legna.
  Data l'assoluta aspecificità di questa tecnica di biomonitoraggio, quantunque nella relazione si faccia riferimento alla relativa vicinanza della stazione di campionamento dei licheni alla centrale termoelettrica di Monfalcone, nessun relazione può essere fatta tra il basso valore di biodiversità lichenica riscontrato e la centrale A2A. In altre parole, la metodica impiegata consente di mettere in evidenza la presenza di anidride solforosa e di ossidi di azoto, ma non di determinare l'origine di tali sostanze.
  Ai fini di una corretta informazione e comunicazione si segnala che la qualità dell'aria ambiente nell'area in questione viene giornalmente monitorata attraverso le centraline della rete di monitoraggio regionale dell'ARPA FVG posizionate a Monfalcone e Doberdò e di quelle della «rete A2A di monitoraggio delle fonti industriali» recentemente acquisite e gestite da ARPA FVG e posizionate a Monfalcone, Papariano, Doberdò, Fossalon e Vermegliano.
  Relativamente alle centraline dell'ARPA FVG, i dati elaborati e relativi al periodo 2004-2012 per i parametri biossido di azoto, anidride solforosa e frazione PM10 delle polveri testimoniano il rispetto dei limiti prescritti dalla normativa vigente.
  Le centraline della «rete A2A» fanno riferimento agli stessi parametri pur con periodi temporali diversi (anni 2008–2012). Anche i dati forniti da questa rete di monitoraggio testimoniano il rispetto dei limiti prescritti.
  Si informa, infine, che, nel programma delle attività istituzionali dell'ARPA Friuli Venezia Giulia per l'anno 2014, la regione Friuli Venezia Giulia è intenzionata a proseguire lo studio già intrapreso dall'ARPA per quanto riguarda il monitoraggio, nonché ad avviare, in collaborazione con la direzione della salute una specifica indagine epidemiologica che consideri l'area in argomento.

Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   L'ABBATE, RIZZETTO, ROSTELLATO, COMINARDI, BECHIS, BALDASSARRE, D'AMBROSIO, CARIELLO, DE LORENZIS, BRESCIA, GAGNARLI, CIPRINI, TRIPIEDI, GALLINELLA, MASSIMILIANO BERNINI e SCAGLIUSI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   sempre più spesso in Italia emergono criticità in relazione a casi di aziende che porrebbero in essere prassi integranti ipotesi di mobbing;
   secondo quanto riportato dagli organi di stampa, nella fattispecie a pagina 8 de La Gazzetta del Mezzogiorno del 2 luglio 2013, un dipendente dalla società Manutencoop è stato pedinato da un investigatore privato, per conto della medesima azienda (fuori orario lavorativo) mentre si accingeva ad effettuare un viaggio in automobile per dirigersi a Bologna da Bari, ove risiedeva, per un incontro dove era stato convocato dalla stessa azienda;
   il pedinamento veniva notato dalla Polstrada che identificava il pedinatore in un investigatore privato di Mantova che, come accertato dal tribunale di Bari, è impiegato presso una agenzia investigativa di Carpi;
   le mansioni svolte dall'agenzia investigativa di Carpi sarebbero state retribuite con fattura saldata da Manutencoop, per un corrispettivo pari euro 7.260, al fine di accertare i movimenti del dipendente sottoponendolo a verifiche in quanto aveva in precedenza dichiarato di essere affetto da agorafobia;
   la citata azienda non ha mai ammesso dinanzi ai carabinieri di aver sottoposto a pedinamento il dipendente, benché sussisterebbe prova del pagamento di una parcella in favore dell'investigatore;
   nel 2010, i sindacalisti della RdB-Usb hanno denunciato che «in Manutencoop all'Ufficio relazioni industriali è stato chiamato un responsabile delle Risorse Umane proveniente da Pirelli che utilizza tecniche persuasive finalizzate a fare dimissionare i lavoratori». Per la sigla sindacale, si tratta di mobbing strategico finalizzato a licenziamenti per induzione;
   la vicenda è al centro di una indagine penale e di un procedimento per mobbing davanti al giudice del lavoro perché l'impiegato 55enne, dopo due mesi di ferie forzate ed il pedinamento, verserebbe in condizioni psicologiche precarie;
   a parere dell'interrogante tali circostanze costituiscono fattispecie degna del vaglio e dell'attenzione degli organi preposti a verifiche e controlli in relazione al pacifico esercizio di ogni attività da parte dei lavoratori nello svolgimento delle proprie mansioni;
   con la sentenza n. 14197/12, depositata il 7 agosto 2012, la Corte di cassazione ha stabilito che «il dipendente può essere fatto seguire e controllare a distanza da un investigatore privato, ma solo se c’è il sospetto che stia commettendo reati. L'investigatore privato invece non può spingersi o essere spinto a verificare l'esatto adempimento dell'obbligazione lavorativa, cioè a fare l'esame a distanza di come il dipendente svolge le sue mansioni» e che «La perquisizione personale cioè corporale del lavoratore sospetto infedele è lecita se c’è il fondato sospetto che questo possa aver commesso un reato, ma non invece quella sulla sua auto o nella sua abitazione». Infatti, la Corte di cassazione, richiamando una precedente decisione della stessa Corte (la sentenza n. 9167/2003), ha ricordato che «le disposizioni (articoli 2 e 3, legge n. 300/70) che delimitano, a tutela della libertà e dignità del lavoratore, in coerenza con disposizioni e principi costituzionali, la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei propri interessi, e cioè per scopi di tutela del patrimonio aziendale (articolo 2) e di vigilanza dell'attività lavorativa (articolo 3) è legittima curiosità ma non può arrivare nemmeno all'auto utilizzata dal dipendente» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto su esposto;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno intervenire, per quanto di competenza, anche attraverso iniziative ispettive degli organi preposti sul territorio, presso la Manutencoop al fine di porre in essere le più opportune verifiche. (4-01121)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame si pone all'attenzione del Governo la questione concernente la vicenda della società Manutencoop che, da quanto riportato dagli organi di stampa, avrebbe fatto pedinare da un investigatore privato un proprio dipendente.
  Il personale ispettivo di questa Amministrazione ha assunto le informazioni che seguono.
  Sabato 15 settembre 2012 un lavoratore dipendente di Manutencoop Soc. Coop. della sede operativa di Bari si trovava sulla strada da Bari a Mondragone con amici e famiglia, al di fuori dell'orario di lavoro, quando si accorgeva che la sua automobile era seguita da un'altra automobile. A seguito di un controllo della Polizia stradale sul fatto, il lavoratore in questione veniva a conoscenza che il soggetto che lo stava seguendo era un investigatore privato, presumibilmente incaricato di seguirlo, dalla propria azienda, anche al di fuori del lavoro. Si precisa che il lavoratore in questione aveva presentato alla propria azienda documentazione sanitaria afferente ad un proprio stato di patologia (agorafobia).
  In relazione a tali fatti risulta pendente un giudizio penale per molestie davanti all'autorità giudiziari di Bari, PM dottoressa Rosa Morea, nonché una causa per
mobbing davanti al giudice del lavoro.
  Tutto ciò veniva rivelato al pubblico da un articolo della
Gazzetta del Mezzogiorno del 2 luglio 2013, poi ripreso dal Corriere di Bologna del 4 luglio 2013.
  Il fatto avveniva al di fuori dell'orario di lavoro e al di fuori dei locali aziendali. La vicenda, inoltre, è all'attenzione delle competenti autorità giudiziarie.
  Non sono stati ravvisati nei fatti i presupposti per la violazione dell'articolo 2 della legge n. 300 del 1970 (l'incarico all'investigatore esula dal controllo sull'attività lavorativa in senso proprio), pertanto, gli uffici ispettivi di questa Amministrazione non hanno ritenuto di effettuare un accesso nei locali di Manutencoop Soc. Coop. La rappresentenza sindacale unitaria, al momento, non ha fatto pervenire alcuna richiesta d'intervento.

Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiCarlo Dell'Aringa.


   LATRONICO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra il 7 e l'8 ottobre 2013, la provincia di Matera e in particolare il territorio del metapontino sono stati messi in ginocchio da un violento nubifragio;
   l'ondata straordinaria di maltempo ha causato l'innesto di fenomeni di dissesto idrogeologico ed idraulico, esondazioni, allagamenti dei centri abitati, interruzione dei collegamenti viari e ha provocato danni ingenti alle infrastrutture urbane ed extraurbane, alle aziende ed alle colture agricole, alle abitazioni civili;
   l'evento calamitoso ha causato 4 vittime, tre in Puglia e una in basilicata;
   alla stato attuale ci troviamo di fronte ad uno stato di calamità naturale che richiede l'adozione dei necessari provvedimenti e il reperimento delle risorse economiche al fine di ripristinare la situazione dei luoghi danneggiati;
   ferma restando l'adozione da parte della regione Basilicata di un piano organico che metta in sicurezza le parti più vulnerabili del territorio;
   si ricorda che la regione Basilicata è stata già interessata da una violenta alluvione nel marzo 2011 causando notevoli danni al territorio;
   secondo dati Ance/Cresme frane e alluvioni solo negli ultimi 10 anni (2002/2012) hanno fatto 290 vittime, in cui come ricorda Legambiente si spende un milione di euro al giorno solo per riparare ai danni del maltempo e in cui nell'82 per cento dei comuni sono presenti zone a elevata esposizione al rischio idrageologico –:
   quale sia ad oggi lo stato di attuazione del piano di messa in sicurezza del suolo in ossequio alle direttive dell'Unione europea in particolare quali siano le iniziative di prevenzione e manutenzione del suolo e quali risorse economiche siano state individuate per realizzare le finalità suddette. (4-02286)

  Risposta. — In merito all'interrogazione in esame, riguardante il nubifragio che nella notte tra il 7 e l'8 ottobre 2013 ha colpito la provincia di Matera e la messa in sicurezza del suolo, nel premettere che la regione Basilicata, per gli eventi in questione, non ha presentato formale richiesta di dichiarazione dello stato di emergenza alla Presidenza del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'articolo 5 della legge n. 225 del 1992, si rappresenta quanto segue.
  Nella regione Basilicata sono 131 i comuni con aree ad alta criticità idrogeologica che costituiscono il 100 per cento dei comuni dell'intera regione. Inoltre, 540 chilometri – che costituisce il 5,4 per cento della superficie della regione – si considerano ad alta criticità idrogeologica, con il 55 per cento soggetto a frane e il restante 45 per cento esposto ad alluvioni. In particolare, nella provincia di Matera sono 31 i comuni sensibili che hanno aree soggette a livelli di pericolosità e di rischio idrogeologici più elevati, per circa 238 chilometri quadrati di territorio coinvolto.
  La fragilità del territorio regionale ha portato nel corso degli anni a finanziare numerosi interventi in quest'area. Infatti, dal 1999 ad oggi sono stati finanziati, nella sola provincia di Matera, 87 interventi per un importo di 44.758.038,88 euro. Dei suddetti interventi, 40 sono stati finanziati nel periodo 1999-2010, per un importo di 30.229.038,88 erogato direttamente alle regioni o ai comuni interessati e gli ulteriori 47 interventi finanziati dal 2010 ad oggi, per un valore di 14.529.000,00 euro.
  A partire dall'anno 2010, al fine di realizzare una programmazione coordinata sull'intero territorio nazionale, sono stati sottoscritti con le regioni Accordi di programma e relativi atti integrativi, ai sensi dell'articolo 2, comma 240 della legge n. 191 del 2009, che hanno finanziato i piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni ad più alto rischio idrogeologico. I suddetti accordi individuano e finanziano interventi urgenti per la messa in sicurezza della popolazione e del territorio individuati dalle regioni e sottoposti alla valutazione della direzione generale per la tutela del territorio e delle risorse idriche, coinvolgendo le autorità di bacino ed il dipartimento della Protezione civile.
  In particolare, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il 14 dicembre 2010 ha sottoscritto con la regione Basilicata un accordo di programma, integrato nel 2011, che ha finanziato 106 interventi per un valore di euro 35.204.000,00 di risorse statali e regionali che hanno coinvolto le due province. Ad oggi, il Ministero ha trasferito sulla contabilità speciale del commissario straordinario delegato all'attuazione degli interventi inseriti in accordo 6.685.370,83 euro, che, pertanto, non sono soggetti alle restrizioni conseguenti il vincolo del patto di stabilità.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare procederà, nell'ambito degli stanziamenti pluriennali previsti dalle leggi di stabilità, alla totale copertura dei finanziamenti relativi agli interventi compresi negli accordi di programma già sottoscritti e a promuovere la definizione di un piano nazionale, la cui realizzazione è stata stimata in 40 miliardi, di cui circa 13 sono necessari per mettere in sicurezza le aree del Mezzogiorno.
  Al fine di procedere alla stesura di un piano di interventi razionale e coordinato sull'intero territorio nazionale, la stima dei costi, l'individuazione delle aree interessate e la selezione degli interventi ammessi a finanziamento dovrà derivare da una valutazione delle priorità effettuata dal Ministero in condivisione con gli enti locali, con le autorità di bacino nonché con il dipartimento di Protezione civile.
  Dai dati prodotti dall'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) ed elaborati dai competenti uffici ministeriali, è stato stimato che dal 1950 ad oggi sono state 1473 le vittime dei dissesti idrogeologici, che aumentano a 3660 se si considerano anche gli eventi causati da interventi umani. Inoltre, il costo complessivo dei danni provocati dagli eventi franosi ed alluvionali dal 1951 al 2009, rivalutato in base agli indici ISTAT, risulta superiore a 52 miliardi di euro. La frequenza degli eventi sembra aumentate con gli anni, ma l'entità dei danni provocati è inferiore nel tempo se considerata in rapporto al PIL. L'obiettivo, pertanto, è superare la logica dell'emergenza e delle spese per riparare un danno già realizzatosi.
  In recepimento della direttiva 2007/60, con il decreto legislativo n. 49 del 2010 l'Italia ha previsto che siano ultimati e pubblicati, entro il 22 dicembre 2015, i piani di gestione del rischio di alluvioni per ciascun distretto idrografico italiano. Il piano di gestione riguarda tutti gli aspetti della gestione del rischio di alluvioni, in particolare la prevenzione, la protezione e la preparazione, comprese le previsioni di alluvione e il sistema di allertamento nazionale tenendo conto delle caratteristiche del bacino idrografico o del sottobacino interessato.
  Rispettando i tempi previsti dalla direttiva e dal relativo decreto di recepimento, lo scorso giugno sono state predisposte e rese pubbliche le mappe di pericolosità e rischio di alluvioni, elaborate anche sulla base degli indirizzi operativi definiti dal Ministero dell'ambiente con la collaborazione dell'ISPRA e delle autorità di bacino di rilievo nazionale.

Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   LATTUCA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a livello nazionale sono, ad oggi, sempre più numerose le città che intraprendono il percorso dell'offerta di connettività wi-fi pubblica ai cittadini;
   all'interno dello scenario complessivo, che conta ben oltre centomila hotspost pubblici sul territorio nazionale, assistiamo ad una notevole varietà di metodologie operative che variano dall'erogazione completamente gratuita 24 ore su 24, all'offerta del servizio su abbonamento attraverso gestori privati;
   certamente positiva è la crescita progressiva della domanda e — di conseguenza — dell'utilizzo di servizi di questo tipo da parte della cittadinanza, che denotano un progressivo aumento dell'alfabetizzazione tecnologica e un utilizzo sempre più frequente delle nuove tecnologie da parte della popolazione;
   risulta all'interrogante inoltre che, i riferimenti normativi disponibili in merito sino al luglio 2013 erano il Codice delle comunicazioni elettroniche (1° agosto 2003 n. 259, G.U. 15 settembre 2003) e successive modifiche nonché il Decreto ministeriale 28 maggio 2003 (G.U. 3 giugno 2003) «regolamentazione dei servizi wi-fi ad uso pubblico» e successive modifiche;
   inoltre il Codice delle comunicazioni elettroniche sottopone l'uso pubblico delle reti wi-fi ad una serie di requisiti e obblighi. In particolare:
    a) articolo 6 comma 1: «Lo Stato, le Regioni e gli Enti locali, o loro associazioni, non possono fornire reti o servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico, se non attraverso società controllate o collegati»;
    b) articolo 25, comma 3: «La fornitura di reti o di servizi di comunicazione elettronica, fatti salvi gli obblighi specifici di cui all'articolo 28, comma 2, o i diritti di uso di cui all'articolo 27, è assoggettata ad un'autorizzazione generale, che consegue alla presentazione della dichiarazione di cui al comma 4»;
   pertanto ogni iniziativa promossa da una pubblica amministrazione nel campo delle comunicazioni elettroniche ad uso pubblico deve fare riferimento ad uno o più operatori privati autorizzati ai sensi dell'articolo 25 del codice. Se la rete o il servizio fa uso di tecnologie wireless per dare l'accesso al pubblico, l'operatore dovrà inoltre essere in possesso dell'autorizzazione prevista dal decreto ministeriale 28 maggio 2003;
   recentemente, il cosiddetto «decreto del fare» (decreto-legge n. 69 del 21 giugno 2013 convertito con modificazioni dalla legge n. 98 del 9 agosto 2013, G.U. 20 agosto 2013) interviene in materia. In particolare, l'articolo 10, comma 1, stabilisce che: «L'offerta di accesso alla rete internet al pubblico tramite tecnologia WIFI non richiede l'identificazione personale degli utilizzatori. Quando l'offerta di accesso non costituisce l'attività commerciale prevalente del gestore del servizio, non trovano applicazione l'articolo 25 del codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, e successive modificazioni, e l'articolo 7 del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155, e successive modificazioni»;
   da ciò, pare conseguire l'immediata possibilità di eliminare qualsiasi sistema di registrazione e tracciamento degli utenti delle reti wi-fi, siano esse pubbliche o private;
   tuttavia, alcune interpretazioni del medesimo articolo, affermano che tale opportunità sia riservata unicamente ai casi in cui l'offerta di accesso non costituisca l'attività commerciale prevalente, con una conseguente apparente difficoltà di distinzione dei casi di applicazione;
   come precedentemente affermato, sono molteplici le città del nostro Paese che scelgono di offrire questi servizi –:
   quali azioni il Ministero dello sviluppo economico intenda porre in essere per chiarire lo scenario di applicazione delle nuove norme;
   se soggetti privati che offrono servizi di connessione wi-fi pubblica su incarico di enti pubblici, possano eliminare i sistemi di registrazione e tracciamento degli utenti, «aprendo» di fatto le proprie reti wi-fi e se le pubbliche amministrazioni potranno offrire direttamente servizi di connettività wi-fi in luoghi pubblici evitando qualsiasi sistema di registrazione e tracciamento degli utenti. (4-01966)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo indicato in oggetto, riguardante l'uso pubblico delle reti wi fi e, in particolare, l'offerta dei servizi di connettività wireless in luoghi pubblici, sulla base degli elementi forniti dalla direzione generale competente di questo Ministero, si rappresenta quanto segue.
  L'articolo 10 del decreto-legge n. 69 del 2013, convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013 n. 98, dispone la liberalizzazione dell'accesso alla rete internet tramite tecnologia
wi fi e dell'allacciamento dei terminali di comunicazione alle interfacce della rete pubblica.
  Il citato articolo 10 ha sancito il venir meno dell'obbligo di identificazione degli utenti delle reti
wi fi messe a disposizione dai pubblici esercenti o dalla pubblica amministrazione, facendo chiarezza su alcuni principi già vigenti nell'attuale quadro normativo.
  Il quadro normativo vigente impone, infatti, che ogni impresa che intenda fornire una rete o un servizio di comunicazione elettronica deve essere autorizzata ai sensi dell'articolo 25 del codice delle comunicazioni elettroniche (decreto legislativo 1o agosto 2003 n. 259).
  Laddove il servizio di accesso alla rete ed ai servizi di comunicazione elettronica avvenga attraverso le applicazioni radio LAN nella banda 2,4 Gigahertz o nelle bande 5 Gigahertz, trova applicazione il decreto ministeriale 28 maggio 2003, modificato con decreto ministeriale 4 ottobre 2005, che ha regolamentato i servizi
wi fi ad uso pubblico, ampliando l'offerta di servizi della società dell'informazione su piattaforme alternative di accesso a larga banda a tutti i cittadini a condizioni concorrenziali e che ha eliminato ogni restrizioni geografica.
  Le imprese (come bar, alberghi, tabaccherie, pizzerie o in genere pubblici esercizi) che mettono a disposizione della propria clientela apparecchiature terminali di rete per l'accesso ad Internet ma che non sono fornitori di un servizio pubblico di telecomunicazioni, non avendo come oggetto sociale prevalente l'attività di comunicazione, sono esonerate dall'obbligo di conseguire l'autorizzazione generale di cui al citato articolo 25 del codice delle comunicazioni elettroniche e, conseguentemente, dall'obbligo di iscrizione al registro degli operatori di comunicazione (ROC).
  In tal senso, si era già espressa l'autorità per le garanzie nelle comunicazioni, con la delibera n. 102/03/Cons del 15 aprile 2003.
  Con l'entrata in vigore del cosiddetto «decreto Pisanu» (decreto-legge 27 luglio 2005 n. 144, convertito con modificazioni dalla legge 31 luglio 2005, n. 155), era stato reso obbligatorio per tutti coloro che mettevano a disposizione servizi di accesso ad internet – sia, quindi, per gli operatori di comunicazione elettronica autorizzati
ex articolo 25 del decreto legislativo n. 259 del 2003, sia per le imprese che mettono semplicemente a disposizione della propria clientela apparecchiature terminali di rete per l'accesso ad internet – il conseguimento della licenza dal questore ed imposto l'obbligo di identificazione, attraverso l'acquisizione e la registrazione dei dati anagrafici, di ogni utente che effettuava l'accesso in rete, e l'obbligo di tenere traccia dei dati di traffico utilizzato (i cosiddetti log).
  Già a partire dal 1o gennaio 2011, con il cosiddetto «decreto milleproroghe 2010» (decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225), si provvede alla parziale abrogazione delle norme contenute nel «decreto Pisanu» (decreto-legge n. 144 del 2005, articolo 7), limitando l'obbligo di richiesta di licenza al questore, solo a quei soggetti che mettevano a disposizione del pubblico apparecchi terminali utilizzabili per le comunicazioni anche telematiche «come attività prevalente» (come ad esempio gli
internet point), escludendo da tale obbligo i pubblici esercizi che si limitavano a fornire una o più postazioni per l'accesso internet ai propri clienti in via accessoria rispetto all'attività principale.
  In particolare, l'abrogazione dei commi 4 e 5 del citato articolo 7, ha fatto venir meno l'obbligo di identificazione, attraverso l'acquisizione e la registrazione dei dati anagrafici, dei soggetti che utilizzavano postazioni pubbliche non vigilate per comunicazioni telematiche ovvero punti di accesso ad Internet, utilizzando tecnologia
wi-fi.
  A partire dal 1o gennaio 2012, è venuto meno l'obbligo di richiedere la licenza al questore pure per quegli esercizi che come attività principale mettono a disposizione del pubblico apparecchi terminali utilizzabili per le comunicazioni anche telematiche.
  L'articolo 10 del sopra citato decreto-legge n. 69/2013, ha stabilito la disapplicazione della norma del decreto Pisanu che prevedeva l'obbligo di identificazione.
  Tale obbligo permane per i soli fornitori di servizi di comunicazione elettronica, operatori autorizzati ai sensi dell'articolo 25 del codice delle comunicazioni elettroniche (e non quindi per i pubblici esercizi o per le pubbliche amministrazioni).
  I suddetti soggetti sono obbligati al rispetto delle disposizioni di cui al decreto legislativo 259 del 2003 e, in particolare, di quanto previsto dall'articolo 96 in materia di prestazioni obbligatorie ai fini di giustizia, delle norme del codice della
privacy, che all'articolo 132 impone l'obbligo di conservare i dati di traffico dei propri clienti per 12 mesi, in caso di traffico telematico, e per 24 mesi in caso di traffico telefonico, nonché delle norme del cosiddetto «decreto Frattini» (decreto legislativo n. 109 del 2008) sulla conservazione dei dati generati o trattati nell'ambito della fornitura di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico che, oltre a declinare le categorie dei dati da conservare, stabilisce che in caso di assegnazione di un indirizzo IP deve essere consentita l'identificazione univoca dell'utente o dell'abbonato.
  Gli operatori di telefonia mobile in caso di fornitura di servizi prepagati hanno, altresì, l'obbligo di identificare, attraverso l'acquisizione dei dati anagrafici, i propri clienti prima dell'attivazione del servizio secondo quanto previsto dall'articolo 55 del decreto legislativo n. 259 del 2003.
  L'ambito di applicazione delle previsioni di «non identificazione» di cui al citato articolo 10, se da un lato è da intendersi limitato unicamente alla fornitura di accesso alla rete internet in tecnologia R-LAN nell'ambito dei pubblici esercizi (come bar, alberghi, tabaccherie, pizzerie eccetera) e dei locali/spazi aperti al pubblico (esempio aree adibite a ristorazione e svago, piazze, palestre, aree fieristiche, spiagge, eccetera), dall'altro non incide sul regime autorizzatorio per la fornitura dei servizi di comunicazione elettronica di cui all'articolo 25 del codice delle comunicazioni elettroniche, né sulle disposizioni dell'articolo 1, comma 2, della delibera 102/03/Cons dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, laddove si tratti appunto di pubblici esercizi, e non fa venir meno il divieto per le pubbliche amministrazioni e gli enti locali o loro associazioni di fornire direttamente reti o servizi di comunicazione elettronica, stabilito dall'articolo 6 del codice delle comunicazioni elettroniche.
  Il suddetto articolo 6 dispone, infatti, a misura di garanzia – cioè per evitare turbative nel mercato di riferimento a prescindere dalla gratuità del servizio – che lo Stato, le regioni e gli enti locali, o loro associazioni, non possono fornire reti o servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico se non attraverso società controllate o collegate.
  Ritenere, sulla base di quanto disposto dall'articolo 10 del decreto-legge n. 69 del 2013, che tali società o, comunque, le imprese pubbliche, a cui le regioni e gli enti locali ricorrono per assicurare la prestazione di reti e servizi di comunicazione elettronica alla loro cittadinanza, siano esonerate dal conseguimento dell'autorizzazione generale di cui al citato articolo 25, in quanto le amministrazioni di riferimento non svolgono come attività prevalente la fornitura di reti e servizi di comunicazione elettronica, appare distorcere le condizioni di concorrenza e, in violazione di quanto previsto dal comma 3 del citato articolo 6, configurandosi come una forma indiretta di agevolazione a tali imprese, che sono organizzazioni compiute che funzionano in maniera separata e distinta dall'ente di riferimento.
  Al fine di fornire alcuni chiarimenti sul tema, si fa presente che sono in corso di definizione degli incontri sia con le associazioni dei consumatori che con la Federutility – federazione che riunisce le aziende di servizi pubblici locali.

Il Viceministro dello sviluppo economicoAntonio Catricalà.


   LODOLINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a seguito della presentazione in data 5 dicembre 2012 di concordato preventivo per Cava Gola Della Rossa, Fatma Spa e Murano Logistica, la direzione aziendale del gruppo cava Gola della Rossa ha formalmente presentato le linee generali del piano industriale alle organizzazioni sindacali in data 24 maggio 2013;
   le predette società avrebbero dovuto attivarsi per presentare al giudice competente un piano teso da una parte a tutelare la continuità di rapporto con i principali clienti e fornitori e dall'altra a salvaguardare i livelli occupazionali delle stesse società ad oggi a rischio espulsione dal mercato del lavoro, mediante azioni volte al risanamento aziendale e di salvaguardia del know-how aziendale;
   in base al piano industriale presentato alle organizzazioni sindacali la direzione prevede la dismissione di alcuni rami di azienda: edilizia, trasporti, impianti di calcestruzzo, impianti di conglomerati bituminosi e la sola prosecuzione della parte inerente l'attività di estrazione;
   l'azienda, nell'incontro con le organizzazioni sindacali non si è resa disponibile a discutere sulle richieste avanzate dalle organizzazioni sindacali di categoria a tutela dei posti di lavori e del dispiego della maggiore quantità di ammortizzatori sociali;
   l'impatto sociale della ristrutturazione del gruppo sarebbe rilevante, in quanto le dismissioni annunciate prevederanno esuberi per 131 lavoratori tra operai ed impiegati su 177 dipendenti del Gruppo in un periodo particolarmente difficile per il sistema produttivo della provincia di Ancona, già provato duramente dalla crisi del settore dell'edilizia e dal fermo delle grandi opere nel comprensorio di Fabriano;
   nella sola regione Marche ad oggi abbiamo perso 10.000 posti di lavoro legati all'edilizia, pertanto gli esuberi annunciati determineranno soprattutto nel comprensorio del Fabrianese e della Vallesina un effetto moltiplicatore per decina di aziende di tutto l'indotto delle costruzioni –:
   se corrisponda al vero la notizia secondo la quale la Cava Gola Della Rossa avrebbe un progetto di escavazione/coltivazione in sotterranea in corso, sul quale l'azienda punterebbe molto e che dovrebbe garantire un futuro e una prospettiva occupazionale (un investimento che prevedeva addirittura crescita occupazionale e formazione del personale) per diverse figure;
   quali iniziative il Governo intenda adottare, nell'ambito delle proprie competenze, per salvaguardare l'occupazione e le prospettive industriali del Gruppo.
(4-00606)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame si pone all'attenzione del Governo la questione concernente la salvaguardia occupazionale e le prospettive industriali del gruppo Cava Gola della Rossa e, in particolare, si chiedono notizie sul progetto di escavazione/coltivazione in sotterranea che il gruppo starebbe sviluppando.
  Dalle notizie acquisite dal legale rappresentante nonché dal direttore generale del gruppo societario, si rappresenta quanto segue.
  Il gruppo Cava Gola della Rossa ha risentito della forte contrazione verificatasi nel settore edile che unitamente ad una forte tensione finanziaria, derivante in gran parte da mancati pagamenti per opere eseguite su pubblici appalti, ha richiesto l'attivazione di procedure concorsuali per le due maggiori società del gruppo.
  In data 5 dicembre 2012 la Cava Gola della Rossa spa e la Fatma spa hanno presentato domanda di concordato preventivo in «bianco» unitamente alla Murano Logistica srl.
  Dopo aver predisposto i piani concordatari con l'ausilio di un team di professionisti esterni esperti nel campo, in data 24 maggio 2013, sono state presentate le proposte di concordato per Cava spa e Fatma spa mentre per la Murano Logistica srl la domanda è stata ritirata per mancanza di numeri validi a sostenere una proposta concordataria.
  Si è in attesa dell'ammissione delle due proposte di concordato.
  Le proposte presentate prevedono la continuazione dell'attività estrattiva in capo ad una
Newco che sarà realizzata attraverso scissione dei due rami aziendali ed una successiva fusione degli stessi dopo che sia stato omologato il piano di Cava e di Fatma.
  In data 28 giugno 2013 è stato siglato un accordo tra il gruppo Cava Gola della Rossa, assistita dalla Confindustria, e le organizzazioni sindacali dei lavoratori. Nell'accordo sono riportati i punti salienti del piano con i riflessi sulla forza lavoro.
  Il piano riporta il progetto di escavazione in sotterranea la cui prima fase è stata effettuata, vi saranno tre anni di escavazione a cielo aperto, poi una successiva fase mista parte a cielo aperto e parte in sotterranea per arrivare all'ottavo anno in cui l'attività estrattiva sarà tutta in sotterranea.
  Con riferimento all'organico del gruppo, il numero complessivo dei lavoratori per le società interessate è pari a 160 di cui 43 impiegati nel settore logistico, 49 nella Fatma e 68 nella Cava.
  Nella
Newco è previsto, secondo quanto dichiarato dai vertici aziendali, che confluiscano 75 dipendenti di cui 20 provenienti dalla Fatma e 55 provenienti dalla Cava, tutte le attività edili saranno interrotte (con circa 42 dipendenti in esubero in tale settore), l'attività logistica sarà interrotta in quanto direttamente collegata all'attività edile e degli appalti ad eccezione del trasporto inerti sul quale è ancora in fase di studio una soluzione valida (con un potenziale utilizzo in tale ambito di circa 8-10 dipendenti sui 43 totali del settore logistica).
  Nel piano si prevede, tra l'altro, una eventuale vendita delle società partecipate per la prosecuzione dell'attività con potenziale salvaguardia dello stato occupazionale.
  La riqualificazione del personale per l'escavazione in sotterranea prevede una parte formativa. Al momento, secondo quanto dichiarato dai vertici aziendali, non è possibile quantificare ulteriori esuberi futuri al termine della seconda fase mista.
  Per quanto riguarda più nel dettaglio il progetto di escavazione in sotterranea si evidenzia, da quanto rappresentato dalla regione Marche, che le tre ditte (Murano Mineraria srl; Cava Gola della Rossa spa e FATMA spa) facenti parte del gruppo sono state autorizzate alla realizzazione di un progetto denominato «Progetto di riconversione industriale aree di cava in località Gola della Rossa mediante attuazione di tecniche innovative di coltivazione in sotterraneo per l'estrazione di calcare massiccio» che prevede l'estrazione di un quantitativo di materiale pari a circa 12,5 milioni di metri cubi per una durata complessiva di 42 anni.
  Le ditte hanno ottenuto in particolare:
   giudizio positivo di compatibilità ambientale (VIA), valutazione di incidenza e rilascio dell'autorizzazione paesaggistica (decreto del dirigente della posizione di funzione tutela delle risorse ambientali e attività estrattive n. 263/TRA-08 del 17 dicembre 2007 e decreti del dirigente della posizione di funzione tutela delle risorse ambientali e attività estrattive n. 94/TRA-08 del 22 aprile 2008 e n. 400/TRA-08 del 17 novembre 2008 di parziale riforma del precedente decreto n. 263/TRA-08;
   determinazione del direttore del III Dipartimento «Governo del territorio – Area Procedure autorizzazioni e valutazioni ambientali» della provincia di Ancona, n. 54 del 14 luglio 2008 di espressione di parere favorevole con prescrizioni ai sensi della procedura di cui all'articolo 13 della legge regionale n. 71 del 1997;
   autorizzazione comunale alla ditta FATMA spa (protocollo n. 833 del 29 gennaio 2009 del comune di Serra San Quirico);
   autorizzazione comunale alla ditta Cava Gola della Rossa spa (protocollo n. 832 del 29 gennaio 2009 del comune di Serra San Quirico).
  Si tratta di un intervento estrattivo con caratteristiche eccezionali sia tecniche (di progetti di escavazione in sotterraneo ne esistono pochissimi in tutta Italia), che di investimento, di durata (42 anni a fronte di una durata media di 10 anni per le cave «ordinarie») di quantità e di qualità di materiale estratto (il calcare massiccio, per la sua purezza e caratteristiche litotecniche è considerato riserva strategica della regione Marche cui si riconoscono anche usi particolari in settori industriali ad alto valore aggiunto).
  A ciò si aggiunga che la realizzazione di detto progetto si è resa possibile, pur trovandosi all'interno del perimetro di un parco regionale (dove sono vietate le attività estrattive), proprio per la sua particolare caratteristica di escavazione in sotterraneo (articolo 6-
bis legge regionale n. 71 del 1997).
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiCarlo Dell'Aringa.


   MAGORNO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il 15 dicembre 2006, nella città di San Jose di Costa Rica, un giovanissimo cittadino italiano di soli 21 anni, Giorgio Gallo, viene rapinato del computer e barbaramente ucciso, con un colpo di pistola, da due individui in motocicletta;
   dopo solo 7 mesi e 4 giorni dall'omicidio, la polizia di San Jose (OIJ), attraverso l'investigatore Lenin Ramirez, viene a conoscenza dei nomi sia del mandante che dell'esecutore materiale dell'omicidio;
   le prove raccolte sono ritenute insufficienti per poter portare la causa di Giorgio Gallo davanti ai tribunali del Costa Rica;
   nel dicembre del 2011 la OIJ dichiara il caso chiuso per mancanza di prove e in attesa di archiviazione entro il 2016;
   le istituzioni del Governo del Costa Rica, ad avviso dell'interrogante, hanno sempre creato attorno al caso grande ostracismo e poca collaborazione;
   è palese la mancata sicurezza e tutela dei cittadini italiani ed in generale dei turisti in Costa Rica –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto su esposto;
   che cosa intendano fare per tutelare il diritto alla giustizia dei cittadini italiani in questione;
   cosa il Governo, per quanto di sua competenza, intenda fare anche al fine di accertare la verità e affinché i colpevoli vengano assicurati alla giustizia. (4-00112)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativo all'uccisione, avvenuta in Costa Rica nel 2006, del cittadino italiano Giorgio Gallo e al processo che si sarebbe concluso con la richiesta di archiviazione, la procura della Repubblica di Roma e la procura della Repubblica di Paola, nel cui circondario ricade il comune di Maierà, paese di origine del Gallo, hanno comunicato che non risultano in corso indagini relativamente ai fatti segnalati dall'interrogante.
  Il Ministero degli affari esteri ha reso noto che l'ambasciata d'Italia in Costa Rica, dal 2006 ad oggi, ha svolto numerosi interventi di sensibilizzazione presso le competenti autorità locali – fra le quali la Fiscalia General – al fine di sollecitare le conclusioni delle indagini relative all'omicidio del connazionale, esprimendo a più riprese la forte preoccupazione per la mancata cattura dei responsabili del delitto.
  La Farnesina ha assicurato che continuerà a seguire il caso con la massima attenzione, anche per il tramite dell'ambasciata d'Italia a San Josè, proseguendo nella sua opera di sensibilizzazione delle autorità costaricensi sulla vicenda oggetto dell'interrogazione in esame.

Il Ministro della giustiziaAnnamaria Cancellieri.


   MARZANA, D'UVA, CANCELLERI, LOREFICE, RIZZO, GRILLO e DI BENEDETTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1 della legge n. 690 del 13 maggio 1940 (Organizzazione e funzionamento del servizio antincendio nei porti) cita espressamente: «Il servizio antincendi nei porti dipende dai comandanti di porto ed è esplicato dai corpi provinciali dei vigili del fuoco. Tale servizio comprende la prevenzione e la estinzione degli incendi nei porti e loro dipendenze, sia a terra che a bordo delle navi e dei galleggianti, nonché la presenza dei servizi tecnici in genere (...)»;
   il decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, (Riassetto delle disposizioni relative alle funzioni ed ai compiti del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, a norma dell'articolo 11 del 29 luglio 2003, n. 229), al Capo III, articolo 18 comma 1, recita: «La vigilanza antincendio è il servizio di presidio fisico reso in via esclusiva ed a titolo oneroso dal Corpo nazionale con proprio personale e mezzi tecnici nella attività i cui fattori comportamentali o sequenze di eventi incontrollabili possono assumere rilevanza tale da determinare condizioni di rischio non preventivabili e quindi non fronteggiabili soltanto con misure tecniche di prevenzione (...)»;
   con circolare MI. SA. n. 27 del 7 ottobre 1991 il Ministero dell'interno, direzione generale della protezione civile e dei servizi antincendi, ha disposto la ripresa, da parte del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, dei servizi di vigilanza antincendi anche nei porti;
   l'articolo 9 della legge n. 690 del 13 maggio 1940 ha stabilito che: «Per integrare l'opera dei Vigili del Fuoco, i Comandanti di Porto, di concerto, col competente Comandante provinciale, costituiranno, ove necessario, squadre ausiliari antincendi»;
   successivamente, la legge n. 850 del 27 dicembre 1973, all'articolo 20, ha ribadito quanto citato dall'articolo 9 della legge n. 690 del 1940 in relazione alla possibilità, da parte di società private, di esercitare i servizi integrativi di vigilanza antincendio, previo l'accertamento di determinati requisiti di idoneità, da parte del comandante di porto e su conforme parere del comandante dei vigili del fuoco;
   inoltre, quanto disposto dalla legge n. 690 del 1940 è stato confermato dal Ministero dell'interno con propria nota n. 7814/4118 del 4 maggio 1992 indirizzata al comando provinciale dei vigili del fuoco di Siracusa, con la quale si disponeva altresì la riattivazione dei servizi di vigilanza nei pontili da parte del personale operativo dei vigili del fuoco;
   nell'ambito dei porti di Siracusa e Augusta le rispettive capitanerie di porto hanno regolato la materia con le ordinanze n. 95/01 e successive modificazioni e integrazioni e n. 5/96 e successive modificazioni e integrazioni;
   nonostante, i chiari riferimenti normativi sin qui riportati, l'ordinanza della capitaneria di porto di Augusta n. 5/96 a giudizio degli interroganti disattende tali disposizioni dal momento che al personale del corpo nazionale dei vigili del fuoco viene affidato il servizio di vigilanza antincendio e sicurezza in via integrativa e non in via prioritaria come da disposizioni di legge menzionate;
    si aggiunga che l'articolo 20 della legge n. 850 del 27 dicembre 1973, definisce perentoriamente i «servizi integrativi antincendio» come complementari e integrativi a quelli esplicati dal corpo nazionale dei vigili del fuoco in quanto l'opera di questi ultimi non può essere in nessun modo comparata, per professionalità, esperienza ed organizzazione, con quella dei privati;
   attualmente, nonostante le ripetute sollecitazioni ai comandanti delle capitanerie di porto per un'effettiva ripresa del servizio di vigilanza antincendio, a far data dall'entrata in vigore della circolare MI. SA. n. 27/91, il servizio di vigilanza antincendio nei terminali petroliferi continua ad essere affidato interamente a personale privato che, per quanto sopra esposto, dovrebbe svolgere il servizio suddetto integrando, a seconda delle necessità, il personale del corpo nazionale dei vigili del fuoco, unico organismo preposto istituzionalmente ad effettuare la vigilanza antincendio;
   conseguentemente, si solleva un dubbio di illegittimità nei confronti dell'ordinanza della capitaneria di porto di Augusta n. 5/96, poiché nei contenuti fondamentali vi è una errata applicazione delle norme che regolamentano la materia;
   tra l'altro, il mancato svolgimento del servizio di vigilanza antincendio nei terminali petroliferi di Siracusa, Priolo, Melilli e Augusta da parte del personale operativo del comando provinciale dei vigili del fuoco di Siracusa, ad avviso dell'interrogante, ha creato sin dal 1991 un presumibile danno erariale di enorme gravità –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti sin qui esposti ed in particolare dell'ordinanza della capitaneria di porto di Augusta n. 5/96 e successive modificazioni e integrazioni e della ordinanza n. 95/2001 e successive modificazioni e integrazioni emanata dalla capitaneria di porto di Siracusa;
   quali provvedimenti si intendano assumere per ristabilire la corretta applicazione della circolare MI. SA. n. 27/91 al fine di affidare in via principale al personale dei vigili del fuoco il servizio di sicurezza antincendio dei terminali petroliferi del polo industriale di Siracusa e solo con carattere integrativo e complementare a società private. (4-01862)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame, per la parte di competenza, si rappresenta che il servizio di soccorso pubblico e di contrasto agli incendi nei porti e loro dipendenze, sia a terra che a bordo delle navi, è assicurato con personale, mezzi e materiali propri dal corpo nazionale dei vigili del fuoco.
  Il corpo è presente, con propri distaccamenti, nei porti di prima e seconda categoria, che sono i porti di maggiore rilevanza.
  Nei porti di terza categoria, invece, il servizio viene assicurato con i normali mezzi provinciali dei vigili del fuoco, integrati – ove occorra – da mezzi sussidiari.
  La possibilità di integrare il servizio antincendi è prevista dall'articolo 9 della citata legge 13 maggio 1940, n. 690, che consente di costituire squadre ausiliarie, formate da personale volontario appartenente alla gente di mare o alle maestranze portuali.
  Tale disposizione è stata successivamente confermata dall'articolo 20 della legge 27 dicembre 1973, n. 850, con la quale è stata prevista la possibilità da parte di società private di esercitare i servizi integrativi di vigilanza antincendio, previo accertamento di determinati requisiti di idoneità da parte del comandante di porto, su conforme parere del comandante dei vigili del fuoco.
  Alla luce delle suddette disposizioni, anche nei porti di Siracusa e Augusta è stato autorizzato un servizio di vigilanza che presta la propria attività per integrare l'opera dei vigili del fuoco, su conforme parere del comandante provinciale.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   MELILLA. — Al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   le risorse destinate alla cooperazione internazionale allo sviluppo dal capitolo 2181 della legge di stabilità per il 2013, vanno rapidamente utilizzate, così come chiedono tutte le Ong italiane, dalla AOI (associazione delle Ong italiane) al CINI (coordinamento italiano Network internazionale) e a LINK 2007 (cooperazione in rete);
   il non impiego di tali risorse con il loro riassorbimento nel bilancio dello Stato sarebbe un grave colpo alla credibilità dell'Italia nelle politiche di cooperazione internazionale allo sviluppo e provocherebbe un danno ingiusto al sistema della cooperazione non governativa;
   il Ministero per la cooperazione internazionale e l'integrazione ha prodotto nell'ultimo anno una prima parziale inversione di tendenza nella disponibilità di risorse finanziarie per l'APS che negli ultimi anni sono scese ad appena lo 0,13 per cento del PIL, facendo scivolare l'Italia all'ultimo posto tra i Paesi europei;
   i princìpi ispiratori delle nuove procedure in via di definizione per i programmi di cooperazione devono basarsi su efficienza, trasparenza, obiettività, che sono un patrimonio consolidato da anni del sistema europeo della cooperazione;
   il confronto tra la DGCS e i rappresentanti delle Ong per la definizione di regole efficaci e trasparenti nella selezione e nella gestione dei progetti di cooperazione deve consentire l'utilizzo rapido dei fondi a disposizione –:
   se non ritenga necessario accelerare i tempi per il rapido e integrale impiego delle risorse disponibili per la cooperazione non governativa per il 2013.
(4-00196)

  Risposta. — Nel merito si segnala quanto segue.
  Per l'esercizio finanziario 2013, lo stanziamento disponibile per il finanziamento dei progetti delle organizzazioni non governative – una volta detratto l'accantonamento di competenza – è stato in totale pari a 34.896.582 euro. Alla data del 19 novembre 2013, di questa somma sono già stati impegnati 11.822.057,67 euro per un residuo disponibile di 23.074.524,33 euro.
  Della rimanenza, verranno impegnati 22.419.322,06 euro – ovvero, la somma delle prime annualità dei 57 progetti approvati (nella seduta del Comitato Direzionale del 19 settembre 2013) – non appena il Ministero dell'economia e delle finanze (Mef) avrà provveduto al rilascio delle prescritte autorizzazioni agli impegni di spesa pluriennali.
  Un'ulteriore accelerazione dei tempi per l'impiego delle risorse disponibili non dipende dunque, in questo momento, dal Ministero degli affari esteri che ha comunque provveduto a sensibilizzare il Mef a che le prescritte autorizzazioni agli impegni pluriennali arrivassero nei tempi utili.
  Nell'anno 2013 infatti questo dicastero si è adoperato ad impegnare tutte le risorse a disposizione secondo le forme di garanzia della trasparenza e
accountability. A tal fine, le procedure per la selezione dei progetti da ammettere al finanziamento pubblico sono state totalmente riviste, anche alla luce delle raccomandazioni formulate dalla Corte dei conti nell'analisi svolta nel 2012, con l'introduzione di una procedura di valutazione comparativa basata sul modello delle «calls for proposals» dell'Unione europea.
Il Viceministro degli affari esteriLapo Pistelli.


   MELILLA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   si apprende a mezzo stampa che, Ahmed Deeb, fotografo dell'Agenzia Foto-giornalistica NurPhoto, con sede a L'Aquila, sarebbe stato aggredito mentre seguiva il rilascio a Gaza dei 26 palestinesi detenuti nelle carceri israeliane;
   il reporter avrebbe attraversato il valico di Erez Beit Hanoun, nel nord della Striscia di Gaza per coprire la liberazione dei prigionieri passando il confine tramite la porta come tutti i giornalisti internazionali;
   mentre svolgeva le riprese, un poliziotto avrebbe aggredito il fotografo asserendo che lo stesso avrebbe saltato il muro senza utilizzare l'accesso indicato per la stampa accreditata;
   successivamente sarebbe intervenuta un'altra guardia e insieme avrebbero picchiato brutalmente e in modo indiscriminato il fotoreporter. Ad aggravare ulteriormente la situazione sarebbero intervenuti altri cinque poliziotti che avrebbero picchiato su tutto il corpo il giovane tacciandolo di essere un «criminale e un assassino»;
   successivamente trasportato all'ospedale di Kamal Adwan nel nord della striscia di Gaza, per essere curato il referto medico afferma «che ci sono state lesioni muscolari alla schiena, lividi e gonfiori al basso ventre, alla spalla e alla mano, e una ferita all'orecchio»;
   numerosi sono i giornalisti che ogni anno vengono arrestati o uccisi: nel 2012 sono 88 i giornalisti uccisi per garantire la libertà di stampa, mentre nel 2013, si contano circa 43 reporter assassinati e 184 arrestati –:
   se non intenda immediatamente prendere contatti con il Governo israeliano per chiarire la gravissima vicenda accaduta e sincerarsi della attuali condizioni di salute del fotoreporter Ahmed Deeb. (4-02386)

  Risposta. — La nostra ambasciata a Tel Aviv, pur non potendo formalmente agire in protezione diplomatica poiché il signor Ahmed Deeb non è cittadino italiano, avvalendosi di una prassi di collaborazione e cortesia si è messa in contatto con il Ministero degli esteri e l'amministrazione militare per i territori occupati (Cogat) israeliani al fine di ottenere informazioni sul caso.
  Secondo quanto riferito dalle autorità stesse, Ahmed Deeb non risulterebbe essere stato fermato, aggredito o ferito da militari israeliani, i quali hanno escluso che l'incidente sia accaduto in territorio israeliano o che abbia visto il coinvolgimento di personale militare israeliano. A supporto di quanto affermato ritengono che se l'incidente fosse avvenuto in territorio israeliano, il fotoreporter sarebbe stato trasportato per cure mediche presso una struttura israeliana e non inviato oltre il confine nella striscia di Gaza. Per tale ragione nulla possono dichiarare circa le sue attuali condizioni di salute.
  Del resto, da verifiche effettuate dal nostro Consolato generale a Gerusalemme, è emerso che, secondo l'associazione per i diritti dei giornalisti in Palestina,
Gaza Center for Madia Freedom, il 30 ottobre 2013 il giornalista Ahmad Deeb sarebbe stato aggredito dalle forze di sicurezza di Gaza. Risulta peraltro che lo stesso fotoreporter avrebbe dichiarato alla stampa che l'aggressione subìta è stata eseguita da Hamas e non da poliziotti israeliani.
Il Viceministro degli affari esteriLapo Pistelli.


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   nella giornata del 28 novembre la polizia polacca ha provveduto al fermo di 149 tifosi italiani arrivati a Varsavia per vedere la partita di Europa League tra il Legia e la SS Lazio, ancora prima che la partita avesse inizio;
   tra i fermati, ai quali al momento del fermo e nelle ore immediatamente successive non era stata comunicata alcuna motivazione ufficiale per il provvedimento di custodia, si trovavano anche donne, bambini e persino disabili;
   secondo le dichiarazioni della polizia polacca, in quelle prime ore erano in corso le «identificazioni personali e i preparativi per i procedimenti penali»;
   nel frattempo, le notizie che giungevano in Italia, e ai familiari dei fermati, erano frammentarie e contraddittorie, e persino l'esatto numero dei fermati appariva poco chiaro, posto che la locale ambasciata italiana ha parlato, nelle stesse ore, prima di 149, poi di 147, e infine di 137 persone trattenute dalla polizia, che dovevano essere «processate per direttissima e poi espulse dal paese»;
   invece, sempre nello stesso giorno, ha avuto luogo il rilascio di un primo gruppo di persone, in numero imprecisato, circa «una trentina», e successivamente sono stati rilasciati anche quasi tutti gli altri tifosi, ma solo dopo essere stati trattenuti per un periodo di 24/48 ore e in seguito al pagamento di un'ammenda;
   i tifosi laziali condannati dai giudici polacchi, a pene che vanno dai 2 ai 6 mesi di carcere, sono – sembrerebbe – una decina, e, a quanto consta all'interrogante, altri 22 sarebbero attualmente detenuti presso il carcere di Bialoleka in attesa del processo, e non è ancora chiaro se nelle more saranno rimessi in libertà;
   diversi cittadini tra quelli fermati hanno denunciato di aver subito maltrattamenti, e non appare chiaro se nei confronti dei connazionali siano state rispettate tutte le norme in materia di diritto di difesa e di equo processo previste sia dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea sia dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo;
   la polizia polacca sembra aver condotto una sorta di azione preventiva, forse disposta per paura che ci fossero reazioni italiane allo scempio che era stato perpetrato dai tifosi polacchi solo un paio di settimane prima, a Roma, in occasione della partita d'andata;
   se azione preventiva è stata non appare comunque chiaro sulla base di quali norme di legge sia stata effettuata, posto che quasi l'85 per cento dei tifosi fermati era del tutto estraneo ai fatti;
   solo tre giorni dopo l'accaduto il Ministro interrogato ha ritenuto necessario prendere contatti diretti con il suo omologo polacco –:
   per quali motivi si sia assistito a quella che all'interrogante appare una perlomeno iniziale inerzia del Ministero degli affari esteri di fronte ai gravissimi fatti di cui in premessa;
   quali iniziative intenda assumere al fine di acquisire elementi in merito alla regolarità delle procedure seguite da parte delle autorità polacche nella vicenda dei cittadini fermati;
   in che modo intenda attivarsi al fine di ottenere il tempestivo rilascio e il rientro in Italia dei 22 cittadini ancora trattenuti in Polonia, che peraltro si trovano in carcere pur essendo solo in attesa di giudizio;
   quali iniziative intenda assumere in ambito europeo ed internazionale al fine di stigmatizzare il gravissimo comportamento tenuto dalle autorità polacche in questa vicenda. (4-02825)

  Risposta. — In relazione alla nota vicenda del fermo dei tifosi italiani in Polonia in occasione della partita di calcio Legia Varsavia-Lazio, fornisco gli aggiornamenti richiesti sulla situazione già descritta nel corso dell'informativa svolta alla Camera dei deputati pochi giorni martedì 3 dicembre 2013.
  L'evoluzione della situazione è stata seguita con grande attenzione dall'Ambasciata, dalla Farnesina e dalla Ministro Bonino personalmente.
  Si è già avuto occasione di illustrare, nel corso dell'informativa citata, i principali interventi compiuti in favore dei nostri connazionali dalla signora Ministro – che ha avuto più di un colloquio telefonico con il suo omologo Sikorski chiedendo che si potesse pervenire a una soluzione positiva per i connazionali ancora trattenuti e che fosse fatta chiarezza sulla dinamica e vastità degli arresti iniziali. Ricordo che la signora Ministro ha altresì sensibilizzato il Vice Ministro degli esteri polacco a margine della Ministeriale NATO dello scorso 3 dicembre.
  Come si è rilevato in Parlamento, uno sforzo organizzativo molto rilevante è stato messo in atto dal ministero, dall'ambasciata e dall'ambasciatore Guariglia in prima persona, per fornire assistenza ai fermati e rappresentare al massimo livello l'attesa italiana di risolvere rapidamente i casi. Prosegue in queste ore lo sforzo teso a favorire il rilascio di quanti sono ancora detenuti e il chiarimento delle circostanze in cui sono stati adottati i provvedimenti di fermo da parte delle autorità di polizia nella capitale polacca.
  Si desidera inoltre mettere in luce che, a margine del vertice bilaterale italo-polacco svoltosi a Varsavia, il Presidente del Consiglio Letta ha avuto un colloquio con il Primo Ministro polacco, Donald Tusk. In particolare, il Presidente Letta ha fatto stato della grandissima sensibilità che l'intera vicenda sta suscitando presso l'opinione pubblica italiana, presso il Parlamento e presso il Governo. Egli ha quindi chiesto al suo interlocutore, nel rispetto della legislazione polacca e della separazione dei poteri dello Stato, ogni possibile intervento volto a rendere più rapidi i procedimenti giudiziari in corso in modo da pervenire, il più celermente possibile, ad una soluzione positiva.
  Il Primo Ministro Tusk, per parte sua, ha condiviso la preoccupazione dei familiari e dell'opinione pubblica italiana e ha assicurato che avrebbe fatto tutto il possibile a favore di procedure più spedite.
  Il Presidente del Consiglio, al termine del vertice, ha incontrato nella sede dell'ambasciata due rappresentanti dei genitori. Il Presidente Letta ha confermato l'impegno del Governo e ha informato i nostri connazionali delle assicurazioni ricevute dal Primo Ministro polacco.
  L'ambasciatore Guariglia nei giorni scorsi ha incontrato il procuratore generale, Seremek – già precedentemente sensibilizzato – e gli ha espresso la nostra richiesta, nel rispetto delle leggi polacche, per una rapida trattazione di tutte le istanze presentate dagli avvocati al fine di pervenire alla scarcerazione dei nostri connazionali. Egli ha avuto analogo incontro con il presidente del tribunale circoscrizionale di Varsavia, Kluziak. L'ambasciata ha mantenuto costanti, discreti contatti sia con i procuratori che con i giudici implicati nella trattazione dei
dossiers dei nostri connazionali.
  Per ciò che concerne i punti sollevati in merito alla presunta «inerzia» iniziale dell'ambasciata e della Farnesina, si fa presente che si è assicurato tutto il possibile supporto: naturalmente, il numero di fermati era tale da rendere materialmente impossibile per i funzionari dell'ambasciata essere contemporaneamente presente a tutti i processi o potere assistere direttamente ognuno dei fermati. Segnalo che l'ambasciata a Varsavia, nell'istituire un'apposita «unità di crisi», ha pubblicato sul proprio sito
internet numeri di telefono fissi e mobili da contattare, assicurando, attraverso questo canale, una costante reperibilità.
  In tutti questi giorni è continuato l'afflusso in ambasciata di parenti ed amici dei connazionali detenuti, cui è stato offerto ogni possibile aiuto. Le famiglie dei detenuti stanno valutando insieme agli avvocati la linea da tenere nei procedimenti giudiziari in corso, che vedono – ad oggi – quattro persone sottoposte a supplemento di indagini e dieci già processate per direttissima. Otto persone che erano state sottoposte a supplemento di indagini, infatti, sono state liberate tra ieri e oggi a seguito di patteggiamento. Ulteriori patteggiamenti sono previsti martedì prossimo, per i restanti quattro connazionali sottoposti a supplemento di indagini.
  Si ricorda che il Ministero dell'interno polacco dispone di documentazione fotografica dalla quale si evince che alcuni dei fermati erano effettivamente in possesso di armi improprie.
  Con riferimento, da ultimo, all'assistenza legale ed alle condizioni detentive dei connazionali, si rappresenta quanto segue: i connazionali sono assistiti da un legale e gli stessi, in occasione delle varie visite consolari effettuate da personale dell'ambasciata, sono apparsi in buono stato psico-fisico. Il funzionario del Ministero dell'interno italiano appositamente inviato a Varsavia ha redatto una relazione secondo cui il comportamento della polizia polacca sarebbe stato .conforme alle norme dell'ordinamento locale, norme che tuttavia sono diverse rispetto a quelle italiane applicabili in circostanze analoghe. Lamentele sono state riferite relativamente alle condizione in alcuni dei diversi commissariati in cui erano stati inizialmente trattenuti i 149 fermati. Le autorità italiane hanno in proposito preteso chiarimenti.
  La Farnesina, su istruzione del Ministro Bonino, continuerà a prestare ogni possibile assistenza ai connazionali e ai loro familiari, in stretto contatto con le autorità polacche, con l'obiettivo di una rapida e definitiva soluzione della vicenda.

Il Viceministro degli affari esteriMarta Dassù.


   MINARDO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i quotidiani sbarchi nel porto di Pozzallo, in provincia di Ragusa, di immigrati extracomunitari hanno assunto contorni preoccupanti e sono diventati una vera e propria emergenza sociale per cui è necessario ogni tipo di intervento diretto ad affrontarla in modo adeguato, consentendo alle istituzioni di intervenire con mezzi e strumenti efficaci;
   i centri di prima accoglienza sono strutture fondamentali per arginare il fenomeno degli sbarchi dei clandestini. Infatti, in mancanza di questi, gli stessi clandestini avrebbero la possibilità di libertà di movimento incontrollato nel territorio con possibili forti ripercussioni negative sul contesto sociale;
   il centro di accoglienza di Pozzallo è ormai al collasso non potendo ospitare un numero così alto di immigrati. Infatti si è registrato un considerevole aumento di immigrati (circa 400) che è stato ospitato nel centro a fronte di una capienza massima di circa 130 soggetti;
   è necessario, quindi, intervenire urgentemente con misure migliorative a favore del centro di Pozzallo in quanto la permanenza degli immigrati extracomunitari nei centri di accoglienza molto spesso si prolunga anche oltre i 60 giorni e, vista la mancanza assoluta di risorse, non è possibile effettuare un'adeguata manutenzione o qualsiasi altro intervento diretto di miglioramento in quanto il comune si trova in oggettiva difficoltà a reperire risorse economiche per fronteggiare la grave situazione del centro di prima accoglienza –:
   se non sia necessario assolvere agli impegni economici in sospeso, il comune di Pozzallo, infatti, vanta un credito di oltre 650 mila euro con lo Stato, che sarebbe fondamentale per fare fronte agli eventi straordinari connessi agli sbarchi degli immigrati extracomunitari che si sono susseguiti negli ultimi mesi;
   se non sia opportuno ed urgente attuare interventi diretti ad assicurare, oltre il mantenimento e l'assistenza degli immigrati extracomunitari, anche i servizi sanitari essenziali, per offrire un'accoglienza dignitosa a queste persone che arrivano nel nostro Paese per fuggire da una situazione di degrado e per migliorare le loro condizioni di vita. (4-01712)

  Risposta. — Il Centro di primo soccorso e accoglienza (Cpsa) di Pozzallo è una struttura governativa deputata a prestare l'assistenza e il primo soccorso ai migranti sbarcati sui litorale ibleo, oppure ivi trasferiti in seguito alle attività di soccorso in mare. Presso il centro, le forze di polizia svolgono le attività di identificazione degli immigrati, mentre le unità mediche incaricate effettuano i necessari controlli sanitari. Successivamente, i migranti che richiedono la protezione internazionale vengono trasferiti presso i Centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara), mentre gli stranieri irregolari vengono trasferiti in un Centro di identificazione ed espulsione (Cie), oppure vengono accompagnati alla frontiera per il rimpatrio. I minori non accompagnati sono invece affidati ai servizi sociali dei rispettivi comuni e collocati presso idonee strutture di accoglienza.
  Il centro, sito all'interno dell'area portuale del comune di Ragusa, ha una capienza ordinaria di 180 posti ma ha conseguito l'agibilità fino a un numero massimo di 240 unità. Dopo l'iniziale ristrutturazione, finalizzata all'attuale destinazione d'uso, nel tempo la struttura è stata oggetto di diversi interventi di miglioramento. La convenzione stipulata dalla prefettura con il comune di Pozzallo, che gestisce il centro sin dalla sua realizzazione, prevede che la struttura sia adeguata agli standard ministeriali e assicura l'intervento di alcune figure specialistiche quali infermieri, assistenti sociali, mediatori linguistici e culturali.
  Effettivamente – come segnalato nell'interrogazione – il recente notevole incremento del numero di sbarchi ha comportato il sovraffollamento della struttura, per prolungati periodi, anche a causa di ritardi nei trasferimenti dei migranti presso le strutture di accoglienza siciliane di secondo livello, tutte pressoché sature a causa dei contemporanei sbarchi registratisi anche in altre province dell'isola. Tutto ciò ha avuto come conseguenza una permanenza dei migranti nel centro di Pozzallo per un periodo superiore a quello generalmente previsto per il primo soccorso (stimabile in 24/48 ore), con conseguenti criticità in caso di presenze notevolmente superiori alla sua capienza. Per attenuare i disagi che tale permanenza protratta nel tempo avrebbe potuto causare, la prefettura di Ragusa è stata autorizzata – nel caso di una permanenza superiore alle 72 ore – a erogare agli ospiti alcuni
benefit quali schede telefoniche, sigarette e altro, ovvero l'equivalente del pocket money per le piccole spese personali che è previsto per i migranti ospitati nei Cara.
  Dal punto di vista sanitario, l'azienda sanitaria provinciale mette a disposizione un congruo numero di medici al momento dello sbarco; inoltre, la convenzione di gestione prevede che il personale medico e paramedico presti servizio all'interno del centro in numero proporzionato a quello dei migranti presenti, per erogare le prestazioni sanitarie necessarie nei periodi di permanenza successivi allo sbarco, comprese eventuali visite specialistiche. Sia per i casi di sbarco diretto presso il porto di Pozzallo, sia per i casi di trasferimento da altre località di sbarco (soprattutto da Lampedusa) viene attivato il controllo sanitario e viene, quindi, redatta la certificazione sanitaria che accompagna i migranti nei successivi spostamenti sul territorio nazionale.
  Per ciò che riguarda le spese di gestione relative agli anni 2011 e 2012, sono stati complessivamente accreditati al comune di Pozzallo circa 625mila euro; mentre per l'anno in corso sono stati corrisposti allo stesso comune rimborsi e anticipazioni per 500mila euro.
  Più in generale, si assicura che il Ministero dell'interno svolge un costante monitoraggio sulle condizioni di vita all'interno dei centri governativi per l'immigrazione e sui servizi offerti dagli enti gestori, sia direttamente, sia tramite le prefetture territorialmente competenti. In particolare, viene verificata la regolarità dei servizi appaltati, nonché la correttezza dell'erogazione del servizio di assistenza socio-sanitaria, psicologica e infermieristica, finalizzata a garantire la salute psicofisica degli ospiti. In caso di disservizio, le stesse prefetture applicano una penale e, in caso di grave inadempienza, hanno la facoltà di risolvere il contratto, come è avvenuto più volte anche di recente.
  Il Ministero dell'interno si avvale, altresì, della collaborazione di organismi impegnati nella tutela dei diritti umani, quali il Garante dei diritti dei detenuti e delle persone private della libertà, l'Organizzazione internazionale per le migrazioni, la Croce rossa italiana, l'agenzia dell'ONU per i rifugiati e la Caritas, con i quali le singole prefetture stipulano apposite convenzioni volte a garantire attività di assistenza o a sviluppare progetti in collaborazione con l'ente gestore. Presso ciascuno dei centri governativi, inoltre, sono state istituite apposite commissioni, con il compito di verificare, con cadenza periodica, il rispetto delle convenzioni stipulate.
  Al di là dei risultati cui perverranno le commissioni, il monitoraggio effettuato ha senz'altro evidenziato alcune difficoltà, come sottolineato anche nell'interrogazione. Del resto, dove più forte è il livello di attrito e più elevato il numero degli immigrati presenti, è anche più elevata la possibilità che si verifichino problemi di sicurezza e ordine pubblico. Gli episodi di tensione che hanno recentemente interessato alcuni dei centri dislocati sul territorio nazionale dimostrano che sussiste l'esigenza di intraprendere iniziative finalizzate ad assicurare sempre migliori standard di accoglienza e un maggiore livello di sicurezza. Pur nelle attuali ristrettezze di bilancio, dunque, il governo intende promuovere un significativo miglioramento delle condizioni di tutti i centri per l'immigrazione. Ogni iniziativa sarà comunque indirizzata a garantire il pieno rispetto della dignità degli stranieri che entrano nel nostro Paese.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   NARDUOLO, BONOMO, MOGHERINI, MIOTTO, COMINELLI, BRAGA, TENTORI, MARCO DI MAIO, CRIMÌ, GADDA, ASCANI, VENTRICELLI, QUARTAPELLE PROCOPIO, ZARDINI, CHAOUKI, LATTUCA, ROTTA, NACCARATO, DE MENECH, CRIVELLARI, CASELLATO, MORETTO, SBROLLINI, MORETTI e MADIA. — Al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   il servizio civile nazionale, istituito con la legge 6 marzo 2001, n. 64, dal 1° gennaio 2005 si svolge su base esclusivamente volontaria e le aree di intervento nelle quali è possibile prestare tale servizio sono riconducibili ai settori quali l'assistenza, la protezione civile, l'ambiente, il patrimonio artistico e culturale, l'educazione e promozione culturale nonché il servizio civile all'estero; il servizio è rivolto a giovani compresi tra i 18 e i 28 anni;
   gli enti di servizio civile sono le amministrazioni pubbliche, le associazioni non governative (ONG) e le associazioni no-profit che operano negli ambiti specificati dalla legge istitutiva;
   il servizio civile è l'unica forma istituzionale di difesa della patria non armata e nonviolenta (articolo 52 della Costituzione italiana) e il suo valore educativo porta i giovani a sperimentare e praticare con maggior consapevolezza la cittadinanza attiva, sviluppando il senso civico ed una maggiore percezione dei valori democratici, ad aiutare la categorie più svantaggiate dei cittadini (portatori di handicap, immigrati, bambini difficili, malati terminali, e altri) nonché ad aiutare a salvaguardare il patrimonio pubblico;
   a questo alto valore sociale del servizio civile non ha corrisposto in questi anni un adeguato finanziamento del fondo che permettesse la partecipazione di tutti quei giovani che ne facessero richiesta, anzi i tagli lineari che hanno colpito tutto il settore sociale si sono abbattuti anche sul servizio civile che ha visto ridurre drasticamente il suo budget, passato dai 299 milioni di euro del 2008, ai 170 milioni di euro nel 2009, ai 100 milioni nel 2010-2011, ai 68 milioni nel 2012 con conseguente riduzione dei giovani che vi hanno potuto partecipare (passando da 104.815 domande presentate a fronte di 51.273 posti disponibili nel 2007, a 86.571 domande presentate a fronte di 20.157 posti disponibili nel 2011);
   il 2012 è stato un anno particolarmente travagliato per lo svolgimento del servizio civile, a causa del rallentamento dell’iter del bando volontari di ottobre 2011 e della conseguente mancata pubblicazione del bando per il 2012, provocando numerosi disagi sia agli enti sia ai giovani volontari;
   per il 2013 la legge di stabilità ha stanziato 71 milioni di euro, più altri finanziamenti dovrebbero derivare dalla divisione dell'esiguo fondo pari a 16 milioni di euro previsto dall'articolo 1, comma 270, sempre della legge di stabilità (legge 24 dicembre 2012 n. 228) fra le finalità di cui all'elenco 3 dello stesso comma;
   a questi finanziamenti si dovrebbero aggiungere i circa 50 milioni di euro reperiti dallo stesso Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione Riccardi, i quali però non risultano ancora assegnati, come non risultano ancora divisi i 16 milioni di cui all'articolo 1, comma 270 della legge di stabilità 2013 –:
   su quali e quante risorse economico finanziarie possa effettivamente disporre il fondo nazionale per il servizio civile per l'anno 2013 e per quale motivo i 50 milioni individuati dal Ministro interrogato come possibili ulteriori fondi per il servizio civile non sono stati ancora assegnati. (4-00110)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, la S.V. On.le pone una serie di quesiti in merito al Servizio civile nazionale.
  In particolare si chiede di conoscere su quali e quante risorse economico finanziarie possa effettivamente disporre il Fondo nazionale per il Servizio civile per l'anno 2013 ed i motivi della mancata assegnazione di 50 milioni individuati dal Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione del precedente Governo nonché della mancata suddivisione di 16 milioni di euro, di cui all'articolo 1, comma 270, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013).
  Al riguardo, si ritiene opportuno preliminarmente rappresentare che la esigua disponibilità dei fondi assegnati al Servizio civile nazionale nel corso degli ultimi anni riflette la più ampia situazione di grave crisi economica che interessa il nostro Paese.
  Tale complessa situazione ha, infatti, determinato una graduale riduzione degli stanziamenti destinati al Servizio civile, fino alle ulteriori decurtazioni disposte con l'approvazione della legge di stabilità 2012, che ha previsto per l'anno 2012 un finanziamento pari a euro 68.812.000 e ha notevolmente ridotto le assegnazioni di bilancio per i due anni successivi (71,3 milioni di euro per il 2013 e 76,2 per il 2014).
  Il descritto quadro finanziario non ha consentito di emanare i bandi per la selezione dei volontari nel 2012, in quanto l'amministrazione ha utilizzato le risorse di tale anno (e parte dell'anno 2013) per assicurare l'avvio di tutti i giovani selezionati con il bando del 2011 con un sistema di scaglionamento delle partenze.
  Pur in presenza del critico contesto economico finanziario, sia il precedente Governo che l'attuale, si sono adoperati al fine di recuperare ulteriori risorse.
  In particolare, il precedente Governo ha posto in essere iniziative che hanno consentito di acquisire a favore del Servizio civile 50 milioni di euro derivanti da 20 milioni di euro nell'ambito del bilancio della Presidenza del Consiglio dei ministri e da 30 milioni di euro, in applicazione dell'articolo 5 del decreto legge 20 giugno 2012 n. 79 – convertito in legge 7 agosto 2012, n. 135 – che ha disposto il versamento di detta somma all'entrata del bilancio dello Stato per la successiva riassegnazione al Fondo nazionale per il Servizio civile, di cui alla legge 6 marzo 2001, n. 64.
  Faccio presente tuttavia che ad oggi il Dipartimento della gioventù e del Servizio civile nazionale deve ancora ricevere dal Ministero dell'economia e delle finanze la quota residua di 7,5 milioni di euro.
  Gli effetti positivi di tali iniziative sono stati tuttavia attenuati da altre misure di carattere restrittivo, che hanno comportato – con riferimento all'esercizio finanziario 2012 – tagli lineari alla dotazione del Fondo nazionale per il Servizio civile, per l'importo complessivo di euro 2.595.058.
  L'attuale Governo ha continuato ad operare, nel corso del 2013, per il recupero di ulteriori risorse, quantificate in euro 14.523.540, reperite sempre all'interno del bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri.
  Tali risorse aggiuntive sono state contabilizzate nel documento di programmazione annuale sul Servizio civile per il 2013. A fronte di tale incremento, lo stanziamento del Fondo nazionale per il Servizio civile è stato tuttavia intaccato da un ulteriore taglio lineare di euro 8.572.916.
  Da ultimo, con il decreto legge 28 giugno 2013, n. 76 – convertito in legge 9 agosto 2013, n. 99 – il Governo, consapevole dell'importante contributo apportato dai volontari del Servizio civile a settori di vitale importanza per il Paese, ha reperito ulteriori 1,5 milioni di euro, giungendo alla somma di euro 66.023.540 complessivamente acquisiti in favore del Fondo nazionale per il Servizio civile tra il 2012 ed il 2013.
  Alla luce del complesso quadro finanziario, gli stanziamenti attualmente disponibili per le attività riferite ai bandi ordinari 2013 sono pari a euro 99.923.540, al netto dei costi generali e di funzionamento, dei trasferimenti alle regioni e province autonome nonché degli oneri finanziari scaturiti da precedenti bandi (bando ordinario 2011 e bandi straordinari 2013).
  Tuttavia tale stanziamento ha subito un'ulteriore decurtazione, atteso che l'articolo 3 del decreto legge 15 ottobre 2013, n. 120, recante «Misure urgenti di riequilibrio della finanza pubblica nonché in materia di immigrazione», ad oggi in fase di conversione (A.S. n. 1174), ha previsto altri tagli lineari che interessano anche il Servizio civile.
  Contestualmente, il Ministero dell'economia e delle finanze ha disposto sullo stanziamento del «Fondo occorrente per gli interventi del Servizio civile nazionale» un accantonamento pari ad euro 2.8476.398.
  Per quanto riguarda, infine, i motivi della mancata suddivisione dei 16 milioni di euro di cui all'articolo 1, comma 270, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013), si precisa che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 febbraio 2013, pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale 2 agosto 2013, n. 180, la Presidenza del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, ha destinato l'intero ammontare di 16 milioni di euro al Ministero della giustizia per la voce «Norme per favorire l'attività lavorativa dei detenuti: articolo 6, comma 1, della legge 22 giugno 2000, n. 193».
Il Ministro per l'integrazioneCécile Kyenge.


   PAGLIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la libertà di culto è riconosciuta e garantita da diversi articoli della Costituzione, in particolare secondo l'articolo 19: «Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume»;
   da numerosi organi di informazione si apprende che il sindaco di Bondeno (Ferrara) Alan Fabbri avrebbe prodotto in data 15 febbraio 2012 dichiarazioni testuali come «All'interno del Comune non abbiamo, dal punto di vista urbanistico, aree da dedicare a luoghi di culto, almeno per i prossimi 30 anni. Prenderemo lo stesso provvedimento in qualsiasi realtà del bondenese che si voglia insediare una struttura simile, naturalmente operando sempre nel pieno rispetto della legge. A Bondeno non vogliamo moschee. Se durante i controlli che vengono svolti regolarmente dovessimo trovare una simile realtà, prenderemo i provvedimenti del caso: se è la sede di un'associazione, allora lì non si prega, anche perché non c’è un concordato tra lo Stato italiano e il mondo islamico così come esiste con cattolici, ebrei e altre religioni»;
   tali affermazioni lasciano intendere che agli organi di controllo e vigilanza del comune vengano o possano venire impartiti ordini finalizzati alla limitazione di un diritto fondamentale, quale la libertà di culto, previsto dalla nostra Costituzione e da numerose convenzioni internazionali di cui l'Italia è firmataria;
   nel comune di Bondeno risiedevano al 1° gennaio 2011 1.431 cittadini stranieri, pari al 9,3 per cento della popolazione censita, di cui oltre il 50 per cento provenienti da paesi a prevalenza di religione islamica;
   ad opinione dell'interrogante le dichiarazioni sopra citate sono di particolari gravità che appaiono lesive di diritti fondamentali costituzionalmente garantiti e sono inopportune considerando le funzioni di sicurezza ed ordine pubblico affidate ad un pubblico ufficiale come il sindaco –:
   quali iniziative, di competenza, il Ministro intenda assumere per garantire le professione di tutte le religioni su tutto il territorio della nazione, incluso quello del comune di Bondeno. (4-01349)

  Risposta. — La vicenda segnalata dall'interrogante trova il proprio quadro di riferimento nell'ambito dell'assetto normativo statale, regionale e comunale, che stabilisce gli standard urbanistici ed edilizi per la realizzazione di edifici di culto o di associazioni con finalità religiose e culturali.
  Nel comune di Bondeno la questione si è posta in merito alla richiesta di apertura di una nuova sede da adibire a luogo di culto dell'associazione culturale «Essalam», da tempo presente in quel territorio.
  Invero detta associazione anche quest'anno – come negli anni precedenti, in occasione dei festeggiamenti del Ramadan – ha comunque usufruito di un locale adeguato alla preghiera presso la sede cittadina di un partito politico.
  Risulta inoltre che la stessa associazione sarebbe interessata all'acquisto di immobili per ampliare la propria attività culturale.
  A tutt'oggi però presso il comune di Bondeno non è stata presentata alcuna richiesta formale di insediamento ed attivazione del centro di preghiera islamica o di realizzazione di una moschea.
  Su tutta la questione, così come evidenziato in un articolo del 31 luglio 2013 apparso su un quotidiano locale, è in corso la sottoscrizione di una petizione da parte di alcuni cittadini residenti per opporsi all'insediamento della nuova sede dell'associazione.
  Si assicura che la questione è costantemente seguita dalle autorità provinciali di pubblica sicurezza che non mancheranno di coinvolgere – nei limiti dell'esercizio delle funzioni di competenza – tutti i soggetti interessati, affinché venga garantito ad ognuno di esprimere liberamente la propria fede.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di settembre 2013, la prefettura di Trapani ha revocato la concessione per la fornitura dei servizi di gestione del Centro di identificazione ed espulsione di Milo (TP) alla «Cooperativa Oasi», a causa di gravi carenze e inadempienze;
   successivamente è stata indetta una nuova gara d'appalto per la concessione della gestione dei medesimi servizi;
   a quanto consta all'interrogante la prefettura di Trapani ha ritenuto di non dover escludere «Connecting People» dalla partecipazione al suddetto bando di gara, nonostante le indagini per associazione a delinquere finalizzata alla truffa ai danni dello Stato e a inadempienze di pubbliche forniture, cui è soggetta la stessa –:
   se il Ministro non ritenga di intervenire, in ottemperanza all'articolo 38, comma 1, lettera f) del decreto legislativo del 12 aprile 2006, n. 163, al fine di riconsiderare la partecipazione di «Connecting People» al bando di gara per l'appalto della gestione dei servizi del Centro di identificazione ed espulsione di Milo (TP). (4-02093)

  Risposta. — La gestione del centro di identificazione ed espulsione di Milo, a Trapani, era stata affidata al consorzio l'Oasi a decorrere dall'11 agosto 2012. Tuttavia, dopo aver formalmente contestato le ripetute inadempienze riscontrate nella gestione, l'11 settembre 2013 la locale prefettura ha comunicato al citato consorzio la risoluzione della convenzione.
  Di conseguenza, il 26 settembre 2013 la stessa prefettura ha trasmesso ad alcune ditte l'invito a partecipare ad apposita procedura negoziata per l'affidamento temporaneo, per un periodo di sei mesi, della gestione del centro di identificazione ed espulsione di Milo, nelle more del bando di gara per l'affidamento triennale. La procedura ha avuto esito negativo, in quanto le ditte partecipanti non possedevano i requisiti richiesti ovvero non avevano presentato un'offerta valida.
  Pertanto, la prefettura di Trapani ha attivato un'ulteriore procedura negoziata, che si è conclusa il 22 novembre 2013 con l'aggiudicazione definitiva al consorzio sociale Glicine.
  Sebbene il centro di identificazione ed espulsione di Milo sia tuttora gestito dal consorzio l'Oasi – nelle more della stipula del contratto con il nuovo ente gestore – è in corso di definizione l'iter per la consegna anticipata del servizio alla ditta aggiudicataria, proprio al fine di risolvere le problematiche riscontrate con l'attuale gestore, accelerando il più possibile l'effettivo subentro del consorzio Glicine.
  Più in generale, con riferimento alla
governance del fenomeno migratorio, si assicura che l'obiettivo del governo è di garantire il pieno rispetto dei diritti degli stranieri che entrano nel nostro Paese, nonché la massima trasparenza ed efficienza da parte dei soggetti cui è affidata la gestione del centro di identificazione ed espulsione, senza trascurare l'aspetto della sicurezza. Inoltre, il Ministero dell'interno svolge un costante monitoraggio sulle condizioni di vita all'interno dei centri, sia direttamente sia tramite le prefetture territorialmente competenti. In particolare, viene verificata la regolarità dei servizi appaltati, nonché l'effettiva erogazione dell'assistenza socio-sanitaria, psicologica e infermieristica, finalizzata a garantire la salute psico-fisica degli immigrati. In caso di accertato disservizio, le stesse prefetture applicano una penale e, in caso di grave inadempienza, hanno la facoltà di risolvere il contratto, come più volte avvenuto nei mesi scorsi.
  Il Ministero dell'interno si avvale, altresì, della collaborazione di organismi impegnati nella tutela dei diritti umani, quali il Garante dei diritti dei detenuti e delle persone private della libertà, l'Organizzazione internazionale per le migrazioni, la Croce rossa italiana, l'agenzia dell'ONU per i rifugiati e la Caritas, con i quali le singole prefetture stipulano apposite convenzioni volte a garantire attività di assistenza o a sviluppare progetti in collaborazione con l'ente gestore. Presso ciascuno dei centri governativi, inoltre, sono state istituite apposite commissioni, con il compito di verificare, con cadenza periodica, il rispetto delle convenzioni stipulate.
  Infine, pur nelle attuali ristrettezze di bilancio, il governo intende promuovere un significativo miglioramento delle condizioni dei centri per l'immigrazione. Del resto, gli episodi di tensione che hanno interessato recentemente alcuni dei centri di identificazione ed espulsione dislocati sul territorio nazionale dimostrano chiaramente che sussiste l'esigenza di intraprendere iniziative finalizzate ad assicurare sempre migliori standard di accoglienza e un maggiore livello di sicurezza. In tal senso, anche senza arrivare a ipotizzare una soppressione di tali strutture – che appaiono ancora necessarie, soprattutto per quanto riguarda l'identificazione – si ritiene che possano essere riviste alcune modalità di funzionamento nonché la struttura dei centri di identificazione ed espulsione, per assicurare condizioni di maggiore vivibilità ordinaria e nel rispetto dei tempi strettamente funzionali all'identificazione.
  Compatibilmente con le risorse economiche disponibili, si potrà intervenire sui criteri posti a base d'asta per l'aggiudicazione degli appalti di gestione, anche modificando l'elenco dei servizi previsti dall'attuale capitolato unico: ad esempio riducendo il numero dei servizi, in maniera da rendere la base d'asta conforme rispetto ai servizi da apprestare, oppure diversificando la base d'asta con riferimento alle presenze; infatti, essendo i costi fissi sempre gli stessi, la presenza di un numero di persone più limitato richiede di essere affrontata con una base d'asta maggiore rispetto alla presenza di un numero superiore di persone.
  Ulteriori iniziative, che coinvolgono anche altre amministrazioni, saranno attentamente valutate dal governo, come la necessità di rafforzare già in carcere l'espletamento delle procedure di identificazione, poiché il numero di persone che entrano nei centri di identificazione ed espulsione e hanno già scontato pene detentive è elevatissimo. Questi interventi saranno finalizzati a garantire una gestione trasparente ed efficiente dei centri, nel pieno rispetto della dignità degli stranieri che entrano nel nostro Paese. Per altri aspetti e, in particolare, per quanto riguarda la durata della permanenza nei centri di identificazione ed espulsione, è necessario un percorso normativo di più ampio respiro, che richiede un sostanziale contributo parlamentare, considerata la particolarità della materia, che incide sul delicato equilibrio tra sicurezza e diritti fondamentali della persona.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   PICIERNO, VALIANTE, VALERIA VALENTE, MANFREDI, SCOTTO, BONAVITACOLA, BOSSA, FIANO, CARBONE e AMENDOLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il questore di Caserta ha proposto la chiusura del posto fisso operativo di polizia di Casapesenna (Caserta);
   la presenza di un nucleo operativo della polizia di Stato in un territorio che, come ormai da anni noto, è fortemente provato dalla presenza massiccia delle organizzazioni criminali (si parla del territorio della provincia di Caserta, compreso tra i comuni di Casal di Principe, San Cipriano d'Aversa e Casapesenna) rappresenta un fondamentale presidio di legalità nella lotta alla camorra;
   le motivazioni che vengono addotte per giustificare la chiusura riguardano una fisiologica carenza di personale che ha ridotto le capacità operative del suddetto posto fisso e della sezione della squadra mobile di Casal di Principe;
   si parla, rispetto ad una previsione tabellare, di un deficit di personale complessivo pari a 31 unità;
   il posto fisso di polizia di Casapesenna vanta un curriculum d'eccezione: dal 2010 al 2012 i controlli di persone e veicoli effettuati dalla squadra mobile sono stati circa 90.000, molti dei quali hanno portato ad importanti arresti di pericolosi membri della criminalità organizzata, tra cui i capiclan Zagaria, Schiavone, Bidognetti e altri noti criminali;
   la chiusura del commissariato sembrerebbe rientrare nell'ambito dei tagli alla spesa pubblica, la cosiddetta «spending review» decretata dal Governo Monti;
   una discreta folla di cittadini, accompagnati da associazioni, sindacati e partiti politici attivi sul territorio, il 19 giugno 2013 è scesa in piazza per manifestare contro la decisione di chiudere il posto fisso: i cittadini, i sindacati e i rappresentanti del territorio chiedono non solo che il presidio non venga chiuso ma anzi che lo si rafforzi, intensificando la presenza delle unità presenti e stabilendo un ufficio denunce: inoltre, per rimediare alle difficoltà economiche che giustificano la chiusura del posto fisso, tante associazioni e comitati locali sono convenuti nella concreta possibilità di utilizzare uno dei tanti beni confiscati alla camorra presenti sul territorio;
   tale chiusura rischia di apparire, infatti, come un vero e proprio abbandono da parte dello Stato per una terra che da anni è martoriata e «bloccata» dallo strapotere della criminalità organizzata: in questa guerra il presidio di Casapenna ha rappresentato un vero e proprio baluardo di legalità, e la sua cancellazione potrebbe portare ad una diminuzione delle operazioni di controllo del territorio, vanificando, nei fatti, i numerosi successi ottenuti grazie all'impegno strenuo delle forze dell'ordine;
   il Ministero interrogato, già investito della questione, ha comunicato che a breve incontrerà le organizzazioni sindacali –:
   se il Ministro non ritenga necessario, anche alla luce degli elementi oggettivi suesposti, rivedere radicalmente la decisione relativa alla chiusura di un fondamentale presidio di legalità e democrazia quale quello di Casapenna, che rappresenta una rinnovata fiducia nelle istituzioni da parte dei cittadini, in una terra complicata nella quale deve essere costante e forte il contrasto all'antistato. (4-01118)

  Risposta. — Il posto fisso operativo della Polizia di Stato di Casapesenna è stato istituito nel 1996 e, nel 2008, ad esso è andata ad aggiungersi la sezione distaccata della squadra Mobile di Caserta, attualmente impegnata in delicate indagini di criminalità organizzata.
  Tale presidio si inserisce in un contesto di rafforzamento e controllo del territorio che ha dato luogo al cosiddetto «modello Caserta» rivelatosi poi di grande efficacia operativa nel contrasto al crimine organizzato.
  In quei territori, infatti, i dispositivi di vigilanza e controllo del territorio sono attuati con il concorso del personale dei reparti prevenzione crimine della Polizia di Stato, cui vanno ad aggiungersi militari dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza ed un cospicuo contingente delle Forze armate, messo a disposizione dal Ministero della difesa nell'ambito dell'operazione «strade sicure».
  Il provvedimento di soppressione del posto fisso operativo della polizia di Stato di Casapesenna risulta, a tutt'oggi, non ancora perfezionato.
  Infatti, ai sensi della normativa vigente, la materia costituisce oggetto di informazione preventiva alle organizzazioni sindacali. Pertanto, una bozza del decreto di abolizione, a firma del capo della Polizia, è stata trasmessa alle segreterie nazionali degli otto sindacati del personale della Polizia di Stato, sei dei quali hanno chiesto un incontro (la cui data non è stata ancora fissata) all'amministrazione per l'esame congiunto di tale bozza.
  La proposta di soppressione del posto fisso di Casapesenna tiene conto di precise valutazioni di carattere tecnico che consentono di mantenere inalterata l'operatività delle strutture della Polizia di Stato sul territorio.
  La rimodulazione dell'organizzazione dei presidi attraverso l'ottimizzazione dell'impiego del personale a disposizione consente, infatti, una ridistribuzione delle risorse sul territorio. Dei 26 dipendenti in servizio presso il presidio in premessa:
   13 potrebbero trovare idonea sistemazione presso il limitrofo commissariato di pubblica sicurezza di Aversa – carente di 13 unità – che assicurerebbe così un'autopattuglia nell'arco delle ventiquattro ore dedicata esclusivamente al territorio di Casapesenna;
   9 sarebbero trasferiti alla sezione della Squadra Mobile di Casal di Principe dove prestano servizio complessivamente 26 unità rispetto ad una previsione organica di 46;
   i restanti 4 potrebbero transitare al commissariato di Castelvolturno, al fine di pareggiarne l'organico.

  Va, altresì, precisato che l'ufficio di Polizia di Casapesenna svolge attività di controllo del territorio e non di contrasto alla criminalità organizzata. Tale ultimo compito viene espletato, infatti, dalla sezione distaccata della squadra mobile di Caserta a Casal di Principe che, per effetto della menzionata soppressione, verrebbe rinforzata di 9 unità. Da ciò discenderebbe un importante potenziamento delle capacità investigative del presidio di Casal di Principe, in relazione all'elevato numero di indagini che lo hanno reso un autorevole punto di riferimento dell'azione giudiziaria.
  La soppressione del posto operativo fisso di Casapesenna consentirebbe, inoltre, un abbattimento dei costi di gestione, senza incidere sulla reale capacità operativa delle Forze di polizia sul territorio interessato.
  Le esigenze di contenimento della spesa pubblica non potranno, comunque, mai comportare un abbassamento dei livelli di efficacia e di efficienza dei servizi resi ai cittadini dal punto di vista dell'ordine e della sicurezza pubblica, né un arretramento sul fronte della lotta alla criminalità organizzata.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   PIRAS, MIGLIORE, NARDI, NICCHI, DANIELE FARINA, LAVAGNO, MELILLA, PELLEGRINO e ZAN. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la sera del 10 aprile 1991, in seguito alla collisione fra la petroliera «Agip Abruzzo» e la motonave «Moby Prince» (tratta Livorno-Olbia) della compagnia di navigazione Moby Lines, perdevano la vita, arse vive, 140 persone;
   a distanza di 22 anni la memoria delle vittime e i loro familiari non trovano giustizia né verità circa i reali accadimenti di una tragedia che ha progressivamente assunto i contorni di un giallo, che è stato già definito la «Ustica del mare»;
   gli eventi di contesto che hanno portato alla collisione fra le due imbarcazioni, inizialmente archiviata come frutto di errore umano, in realtà – anche in ragione dei supplementi di inchiesta condotti dai legali dei familiari delle vittime (in particolare dai figli del comandante Ugo Chessa) – lasciano emergere un quadro decisamente differente;
   un recente articolo del giornalista Piero Mannironi, comparso sul quotidiano «La Nuova Sardegna» del 9 aprile 2013, ha avuto il merito di riaccendere i riflettori su detta tragedia;
   le ulteriori inchieste e perizie condotte sul caso in questione – anche attraverso l'uso di materiali audiovisivi – avrebbero fatto emergere almeno due elementi che impongono una revisione della ricostruzione degli eventi: a) la posizione della Moby Prince e quella della petroliera Agip Abruzzo dimostrano che lo speronamento della petroliera avvenne nella rotta verso il porto di Livorno, invece che verso Olbia dove la nave passeggeri avrebbe dovuto essere diretta; b) la voce proveniente dalla misteriosa nave «Theresa II», allontanatasi a tutta velocità dal luogo di collisione, registrata dagli strumenti radio, che comunicò con la «Nave uno» la sera dell'incidente – in base alle comparazioni compiute dall'esperto di ingegneria forense Gabriele Bardazza – risulterebbe essere quella del comandante greco della nave militarizzata statunitense «Gallant 2» Theodossiou;
   non risulta chiara la ragione per cui il comandante Theodossiou abbia ritenuto di non utilizzare via radio il proprio nominativo;
   non risultano chiare le ragioni per le quali la Moby Prince avrebbe cambiato la rotta prevista facendo ritorno al porto di Livorno, invece che proseguire la crociera verso Olbia;
   la nave militare statunitense «Gallant 2» – insieme ad altre della medesima Marina militare – erano impegnate nel trasporto di armi verso la base Usa di Camp Darby, in una fase storica che coincide con l'ultimo giorno della missione «Desert Storm»;
   in seguito alle vicende ricordate la Gallant 2 scomparve e le armi di cui sopra non giunsero mai alla base Usa, come dimostra il tracciato dell'attività del ponte mobile di Calabrone, che fornisce accesso al canale di Navicello, rimasto chiuso dal pomeriggio del 10 aprile al mattino del giorno successivo;
   su istanza dell'avvocato Carlo Palermo, legale dei figli del comandante della Moby Prince Chessa, si è aperta una seconda inchiesta sul caso;
   l'ipotesi sulla quale si fonda l'inchiesta – acquisiti e rivisitati atti o addirittura documenti misteriosamente scomparsi – è che la nave civile sia finita in mezzo a un frenetico traffico d'armi segreto, organizzato dalle autorità militari statunitensi ed autorizzato da quelle italiane, che avrebbe animato in quelle ore il porto di Livorno;
   vanno ricordate le denunce dell'associazione ambientalista Legambiente e – successivamente – dello scrittore Roberto Saviano, circa l'avvenuto illegale smaltimento del relitto della Moby Prince presso la discarica So.ge.ri. di Castelvolturno, adiacente a quella di Bortolotto, gestita per anni dal clan camorristico dei Casalesi –:
   in che misura siano informati sui fatti citati ed ormai resi di dominio pubblico, ed in particolare, dell'istanza di riapertura dell'inchiesta depositata dall'avvocato Palermo per conto dei figli del Comandante Chessa;
   quali iniziative di competenza intenderebbero porre in essere per far emergere la verità sul caso in questione e per consentire che venga resa piena giustizia alla memoria del Paese ed ai familiari delle vittime. (4-00226)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, il procuratore della Repubblica di Livorno ha comunicato che in merito al disastro della motonave «Moby Prince» è stata disposta nel 2006 la riapertura delle indagini preliminari sulla base dell'istanza depositata dall'avvocato Carlo Palermo per conto dei figli del comandante Ugo Chessa.
  A seguito di tali indagini, in data 5 maggio 2010 la procura della Repubblica presso il tribunale di Livorno ha richiesto l'archiviazione del procedimento penale; detta richiesta è stata accolta dal Giudice per le indagini preliminari con provvedimento del 21 dicembre 2010.
  Per quanto riguarda, invece, la vicenda relativa allo smaltimento del relitto della «Moby Prince» presso la discarica So.ge.ri. di Castelvolturno, la procura della Repubblica presso il tribunale di Napoli ha comunicato che i fatti oggetto dell'interrogazione in esame non hanno trovato riscontro nei procedimenti iscritti presso quell'ufficio, mentre la direzione distrettuale antimafia di Napoli ha riferito che nell'ambito delle indagini svolte non sono emerse notizie, fatti e circostanze riconducibili allo smaltimento del relitto della «Moby Prince».

Il Ministro della giustiziaAnnamaria Cancellieri.


   PIRAS. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dell'interno, ai sensi dell'articolo 11 della legge 13 maggio 1961, n. 469, ha il potere di stabilire con decreto il numero, le sedi e le circoscrizioni territoriali dei distaccamenti e dei posti di vigilanza dei vigili del fuoco;
   il Ministero dell'interno anima le proprie scelte in relazione alle esigenze delle zone interessate, tenuto conto dello sviluppo industriale, della distanza da altre sedi dei servizi antincendi, della natura dei luoghi e degli interventi effettuati nel corso dell'ultimo quinquennio;
   sulla base di tali valutazioni il Ministero con decreto n. 294/87635 del 3 febbraio 2006 istituiva il distaccamento misto dei vigili del fuoco di Bono, dipendente dal comando provinciale di Sassari;
   a quanto consta all'interrogante, ad oggi al decreto non è stata data attuazione;
   la proposta di istituire il distaccamento misto dei vigili del fuoco di Bono è stata avanzata dal comando provinciale di Sassari, competente per territorio;
   il comando provinciale, data la competenza territoriale, è anche il destinatario dell'ordine di istituzione, unitamente al comando regionale;
   i comandi, per quanto consta all'interrogante non hanno il diritto/potere di disattendere gli ordini provenienti dal Ministero dell'interno;
   ad oggi non si è data attuazione al decreto n. 294 del 2006 istitutivo del distaccamento misto dei vigili del fuoco di Bono;
   ciò arreca un danno elevato a tutto il territorio il quale, come ben noto, nella stagione degli incendi è interessato da situazioni di emergenza di difficile gestione, posto che la sede provinciale dei vigili del fuoco più vicina si trova ad Ozieri, ossia a circa 30 chilometri di distanza;
   aggiungasi che la realizzazione del distaccamento di Bono, data la particolare conformazione del territorio, nonché l'elevato numero di incendi, risponderebbe anche alle esigenze di sicurezza di tutta la popolazione goceanina;
   inoltre, moltissimi cittadini sardi, impiegati nel Corpo dei vigili del fuoco, prestano servizio fuori dalla Sardegna e un'occasione del genere, anche attraverso lo strumento della mobilità, potrebbe consentire ad alcuni di essi di rientrare nella loro terra e servire il loro territorio –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza del fatto che le disposizioni previste dal decreto n. 294/87635 del 3 febbraio 2006 sono state, per quanto risulta all'interrogante, ad oggi disattese;
   quali siano le motivazioni per le quali ad oggi non si è provveduto all'attuazione del decreto istitutivo del distaccamento misto di Bono;
   quali siano le tempistiche per dare immediata attuazione al suddetto decreto.
(4-02568)

  Risposta. — Con l'atto in esame, l'interrogante chiede di conoscere quali iniziative intende assumere il Governo per rendere definitiva l'operatività del distaccamento dei Vigili del fuoco di Bono.
  Al riguardo, si premette che la materia dello spegnimento degli incendi boschivi è attribuita alla competenza primaria delle regioni, fatta salva la competenza dello Stato relativa allo spegnimento con mezzi aerei. Tale assetto è stato confermato e rafforzato dalla legge-quadro sugli incendi boschivi 21 novembre 2000, n. 353, che ha attribuito alle Regioni il compito di definire e programmare, mediante apposito «piano regionale», le attività di previsione, prevenzione e contrasto. In tale contesto le Regioni possono, tra l'altro, stipulare apposite convenzioni con il Ministero dell'interno per l'impiego di personale e mezzi del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
  A tale proposito, con l'Accordo stipulato l'11 giugno 2013 tra la regione autonoma Sardegna ed il Ministero dell'interno, finalizzato al potenziamento del dispositivo di soccorso dedicato alla «Campagna estiva squadra antincendio boschivo» è stata concordata la dislocazione delle squadre dei vigili del fuoco dedicate alla lotta attiva agli incendi di bosco. In particolare è stato deciso il potenziamento delle sedi permanenti, oltre all'attivazione di alcuni presidi stagionali a protezione di aree costiere ed interne particolarmente sensibili.
  Sono stati, inoltre, autorizzati 950 richiami di vigili volontari per assicurare, nel periodo estivo, il potenziamento del dispositivo di soccorso.
  In aggiunta all'opera delle squadre terrestri dei vigili del fuoco è stata anche organizzata l'attività della flotta aerea, costituita da aerei Canadair il cui coordinamento operativo è in capo al dipartimento della protezione civile che, avvalendosi del centro operativo unificato, garantisce e coordina sul territorio nazionale le attività aeree di spegnimento con la flotta aerea antincendio dello Stato.
  Per quanto concerne il distaccamento dei vigili del fuoco di Bono, si ricorda che lo stesso è stato previsto nel 2006 come distaccamento misto, cioè con la presenza di personale volontario e permanente.
  L'accordo sottoscritto con le organizzazioni sindacali al fine di favorire l'attivazione della sede prevedeva una dotazione organica di dodici vigili del fuoco e quattro capi squadra nonché l'assegnazione di 424 unità complessive al Comando provinciale dei vigili del fuoco di Sassari.
  Attualmente il Comando provinciale ha una dotazione organica di 393 unità, con una carenza del 7 per cento, che si prevede di colmare, a breve, al termine della procedura concorsuale di passaggio qualifica a capo squadra e capo reparto, nonché grazie alla previsione dell'aumento di organico di 1000 unità previsto dalla legge 30 ottobre 2012, n. 125.
  Inoltre nel corso del 2012 sono state formate 17 unità di personale vigile del fuoco volontario disponibili a prestare servizio presso la sede di Bono, attualmente iscritte negli elenchi del personale volontario del Comando provinciale dei vigili del fuoco di Sassari.
  Per l'individuazione della sede sono stati intrapresi contatti con l'amministrazione comunale. Tuttavia, l'immobile proposto, di proprietà privata, che il consorzio di Comuni interessati avrebbe preso in locazione, non è risultato idoneo.
  Al riguardo, si assicura che questo Ministero e, a livello locale, la Prefettura seguiranno con costante attenzione l'evoluzione della situazione, coinvolgendo tutte le amministrazioni interessate e i diversi livelli di governo per assicurare la presenza di presidi di vigili del fuoco sul territorio sardo.
  Un impegno che deve essere sempre costante, soprattutto perché rivolto a una regione, come la Sardegna, particolarmente esposta a rischi di eventi calamitosi.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   PISICCHIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   mentre è ancora dolorosamente aperto il fronte dell'ILVA di Taranto, con tutto il carico di problemi sociali, sanitari, occupazionali e, in definitiva, sistemici scaricati sul capoluogo ionico, se ne apre un altro, che investe un altro settore produttivo e il destino di circa 250 lavoratori e delle loro famiglie. Si tratta della Vestas, azienda operante nel settore dell'energia pulita, i cui proprietari (danesi) avrebbero deciso di delocalizzare la loro attività, attesa la carenza di commesse lavorative, proponendo prima la cassa integrazione per 147 lavoratori e poi, e improvvisamente, il loro licenziamento; l'intervento immediato dei sindacati ha concorso a differire momentaneamente la decisione, in attesa dell'incontro con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al fine di discutere della grave situazione, nell'ottica di trovare una soluzione che impedisca il licenziamento e consenta alla azienda di riprendere la propria attività lavorativa –:
   quali urgenti e inderogabili interventi i Ministri interrogati intendano assumere per evitare che la già molto provata popolazione di Taranto abbia a subire un nuovo forte danno in termini di occupazione. (4-02131)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame riguardante la società Vestas Nacelles, la multinazionale danese che, nei giorni scorsi ha annunciato di voler chiudere una parte dell'attività in corso a Taranto, si rappresenta quanto segue.
  La Vestas Nacelles i cui proprietari avrebbero deciso di delocalizzare l'attività si occupa della costruzione delle turbine eoliche ed è un'azienda operante nel settore dell'energia pulita.
  L'interrogante premette che, la società in oggetto ha proposto prima la cassa integrazione per 147 lavoratori dell'azienda e poi, improvvisamente, il loro licenziamento, e che, solo l'intervento immediato dei sindacati, ha concorso a differire momentaneamente la decisione, ovviamente in attesa dell'incontro con le sedi istituzionali al fine di discutere della grave situazione nell'ottica di trovare una soluzione che impedisca il licenziamento e consenta alla azienda di riprendere la propria attività lavorativa.
  Al riguardo, acquisiti gli elementi della competente direzione generale del Ministero dello sviluppo economico è emerso che gli sviluppi delle problematiche relative all'azienda in oggetto sono state seguite molto attentamente, e proprio per risolvere le criticità si sono già svolti alcuni incontri con le parti interessate.
  Durante l'ultimo incontro, tenutosi l'11 ottobre 2013, sono state ulteriormente approfondite le questioni connesse all'annuncio della chiusura della produzione di Vestas Nacelles nel sito di Taranto, che la società ha confermato avverrà per il 30 dicembre 2013.
  In quella sede, infatti, sono state avanzate dalla società le seguenti alternative:
   la possibilità di avviare un'istanza di accesso allo strumento della CIGS, per cessazione attività, con conseguente collocazione in CIGS del personale, a decorrere dal 30 dicembre 2013;
   la possibilità del ritiro della procedura di mobilità avviata nel corso del mese di settembre 2013, contestualmente al raggiungimento dell'accordo di CIGS;
   il contestuale impegno ad avviare il confronto sindacale per verificare possibili opportunità occupazionali dei lavoratori Vestas Nacelles in ambito gruppo, preferibilmente sui siti di Taranto, Itala ed estero.

  Il Ministero ribadisce la piena disponibilità a supportare l'azienda nella ricerca di potenziali soluzioni produttive.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   PORTA, LA MARCA, GIANNI FARINA, FEDI e GARAVINI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il provvedimento sulla spending review contenuto nel decreto-legge 7 maggio 2012, n. 52, convertito con modifiche dalla legge 6 luglio 2012 n. 94, ha previsto per il contingente scolastico da inviare per l'insegnamento della lingua e della cultura italiane all'estero una riduzione media di 80 unità all'anno al fine di raggiungere in cinque anni una riduzione complessiva di 400 unità;
   per l'anno scolastico 2013-2014 di fatto risultano vacanti o coperti da personale supplente 47 posti nelle scuole statali, 25 nelle scuole straniere, 4 nelle scuole paritarie, 69 nei corsi, per un totale di 145 posti;
   rispetto alle 833 unità (800 unità di ruolo tra docenti di ruolo e personale ATA e 33 dirigenti scolastici) previste dal decreto di contingente, per i quali è assicurata una copertura finanziaria di 60 milioni di euro circa, si registrerà un impiego effettivo di 688 unità;
   il contingente effettivamente impegnato, dunque, non è lontano dal numero di 624 unità previsto dalla spending review come limite da raggiungere nei cinque anni di applicazione e la spesa effettivamente impegnata, considerando il minor costo del personale a tempo determinato assunto in supplenza nei posti vacanti, è sostanzialmente quella finale prevista dallo stesso decreto;
   le conseguenze determinate dall'applicazione del decreto, per comune riconoscimento dei rappresentanti delle comunità, dei sindacati e della stessa amministrazione, sono state devastanti per la rete di diffusione dell'insegnamento della lingua e per la qualità del servizio, anche per l'automatismo seguito nell'eliminazione dei posti coperti, derivante dall'assenza di qualsiasi criterio di selezione delle situazioni concrete esistenti e delle esigenze in esse manifestatesi;
   gli esiti dell'applicazione della spending review in America Latina, una delle aree strategiche per la promozione della lingua e la cultura italiane, sono stati particolarmente pesanti per il fatto che la rete ivi presente è stata mutilata di 3 insegnanti nei corsi della scuola primaria in Argentina, di cinque insegnanti nei corsi della scuola secondaria di primo grado in Argentina, di due dirigenti scolastici in Argentina, di un addetto ATA in Cile, di due lettorati in Argentina, uno in Brasile, due in Cile, di un posto di scuola paritaria di livello primario a Bogotà, di un posto a Lima, di un posto in Argentina nel livello secondario di primo e secondo grado;
   in particolare, di incomprensibile lettura risulta la decisione di togliere l'unico dirigente scolastico esistente in Cile per attribuirlo a Miami (USA);
   alla luce di quanto detto, non esistono più ragioni, né sul piano organizzativo né su quello finanziario, per continuare a tenere bloccate le nomine dall'Italia, tanto più che le norme esistenti assicurano la possibilità di utilizzare 833 unità di personale nel 2013-2014 –:
   se non ritenga di promuovere iniziative normative, per altro annunciate nella relazione di Governo tenuta dal Viceministro Bruno Archi all'Assemblea plenaria del Consiglio generale degli italiani all'estero, lo sblocco dell'invio di nuovo personale diretto a coprire le esigenze evidenziate, al fine di non rendere irreversibile le fratture che si stanno determinando nella rete di insegnamento della lingua e della cultura italiane nel mondo;
   se non consideri necessario e urgente sollecitare da parte dei responsabili dell'amministrazione l'adozione di criteri selettivi nell'applicazione del decreto, in modo da non sguarnire le situazioni di eccellenza e di evitare che intere aree territoriali, come il Sud America, siano penalizzate in modo irreversibile. (4-01604)

  Risposta. — In merito alla questione sottoposta dall'interrogante, si forniscono di seguito gli elementi di competenza di questa amministrazione.
  Come preannunciato dal viceministro Bruno Archi all'assemblea plenaria del Consiglio generale degli italiani all'estero di giugno 2013, questo Ministero, d'intesa con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e con il Ministero dell'economia, ha promosso un'iniziativa normativa tesa ad ottenere una deroga al blocco di nuove destinazioni dall'Italia, che era stato disposto dalla legge 135 del 2012 (cosiddetta
«spending review») fino al raggiungimento del nuovo limite massimo di contingente scolastico all'estero, stabilito in 624 unità.
  La norma è contenuta all'articolo 9 del decreto-legge n. 101 «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni» pubblicato sulla
Gazzetta ufficiale serie generale del 31 agosto 2013 e convertito nella legge 30 ottobre 2013, n. 125. Tale deroga, che vale per un numero limitato di partenze, consente di fare fronte alle situazioni più delicate venutesi a creare con la legge di revisione della spesa, senza comportare un numero di posti aggiuntivi al contingente attuale pari a 833 unità (la cui riduzione dovrà continuare fino al raggiungimento dell'obiettivo previsto) né oneri derivanti da nuove selezioni, in quanto il personale che sarà individuato ha già sostenuto le prove selettive prima dell'entrata in vigore della legge 135 del 2012.
  Nell'operazione di ulteriore riduzione del contingente scolastico all'estero per l'anno scolastico 2013-2014, si segnala che l'amministrazione ha proceduto, per quanto possibile, ad una rimodulazione qualitativa utilizzando un criterio compensativo al fine di limitare gli effetti negativi dell'applicazione di un taglio lineare.
  Per quanto riguarda più nello specifico la situazione in America meridionale, dove è prevalente la presenza di scuole paritarie anche di forte tradizione storica (come nel caso di Argentina, Brasile, Cile e Perù), il Ministero degli esteri cercherà, compatibilmente con le risorse disponibili, di venire incontro a diverse esigenze (esempio assunzione docenti, finanziamento, borse di studio, progetti di miglioramento dell'offerta formativa eccetera) segnalate dalle singole istituzioni scolastiche per il tramite della rete diplomatico-consolare, tenendo altresì presente le riduzioni di personale operate nel corso degli anni e l'eventuale presenza di alunni con disabilità.
  Si precisa, infine, che il posto-funzione di dirigente scolastico presso la sede di Miami è stato istituito in considerazione del fatto che – come segnalato dalla nostra ambasciata a Washington – la Florida, per la sua composizione linguistico-demografica, è stata individuata come uno degli ambiti territoriali che possono garantire un deciso sviluppo di tutte le attività di apprendimento della lingua italiana, dalla scuola dell'infanzia alla scuola dell'obbligo, ai corsi AP, fino all'università. Ciò è testimoniato, tra l'altro, dal
memorandum di intesa tra il Consolato generale di Miami e il Miami dade county public schools, in corso di finalizzazione, che ha tra gli obiettivi prioritari lo sviluppo di sezioni italiane in scuole con percorso di studio internazionale per tutto il curricolo, a partire dalla scuola dell'infanzia fino al termine della High school, attività in cui l'ente gestore assumerà un ruolo di primo piano.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriMario Giro.


   PRODANI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 6 novembre 2013 gli ultimi otto immigrati ospitati nel Centro di identificazione ed espulsione (CIE) di Gradisca d'Isonzo (Gorizia) sono stati trasferiti a Milano o rimpatriati su decisione del Ministero dell'interno per l'inagibilità della struttura: erano rimasti fruibili solo 18 posti letto su 268;
   l'8 novembre 2013 Il Piccolo, quotidiano triestino, ha pubblicato un articolo in cui si riferisce che non è stata fissata una data d'inizio dei lavori di ristrutturazione del Centro di identificazione ed espulsione, riportando la dichiarazione di Giuseppe Donadio, capo di gabinetto della prefettura di Gorizia: «Ad oggi non abbiamo comunicazioni ufficiali sull'inizio dei lavori e sulla loro durata né sappiamo se l'eventuale riapertura avverrà a blocchi o bisognerà attendere che tutte e tre le sezioni siano ripristinate»;
   questa situazione di incertezza è condivisa da altri Centri di identificazione ed espulsione italiani, visto che nei mesi scorsi hanno chiuso temporaneamente i centri di Brindisi, Bologna, Modena e Crotone, mentre altre otto strutture operative registrano ogni giorno la chiusura di alcuni padiglioni a causa delle rivolte degli ospiti, legate alle dure condizioni in cui sono costretti a vivere;
   sulla presunta utilità del centro in provincia di Gorizia si sono espressi numerosi consiglieri regionali tra cui Ilaria Dal Zovo (M5S) secondo la quale le condizioni di trattenimento degli immigrati erano ormai oscene «non per colpa degli operatori e delle forze dell'ordine che anzi hanno operato in condizioni difficili e alle quali va la nostra solidarietà. Ma è giunto il tempo di una totale revisione della normativa sull'immigrazione»;
   è in corso un'inchiesta della procura di Gorizia sul consorzio Connecting people che gestisce la struttura a seguito di un contenzioso giudiziario con la società che originariamente si era classificata prima nell'ultima gara di appalto. Le indagini svolte nei confronti di alcuni amministratori del consorzio riguardano i reati di associazione a delinquere finalizzata alla truffa e di frode nelle pubbliche forniture;
   con una prima interrogazione, la 4-00825, si è chiesto al Ministero dell'interno di revocare l'appalto vinto dal consorzio Connecting people e di affidare le attività che ne sono oggetto al personale militare di stanza presso la Caserma «Ugo Polonio»;
   nella risposta pervenuta il 18 ottobre 2013, il Sottosegretario di Stato per l'interno Domenico Manzione ha ricordato che la commissione composta dalla prefettura di Gorizia, dalla questura e dalle organizzazioni umanitarie (Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati, Croce rossa italiana, Organizzazione internazionale delle migrazioni) ha effettuato due visite nel Centro di identificazione ed espulsione di Gradisca d'Isonzo il 12 aprile e il 12 luglio 2013;
   a seguito di queste ispezioni si è riscontrata l'esigenza di rivedere alcune modalità di funzionamento, «al fine di assicurare migliori standard di accoglienza e un maggiore livello di sicurezza, sia per gli ospiti che per gli operatori»;
   sotto il profilo amministrativo, sostiene il Sottosegretario, «si potrà intervenire sui criteri posti a base d'asta per l'aggiudicazione degli appalti, anche modificando l'elenco dei servizi previsti dall'attuale capitolato unico, affinché i centri per l'immigrazione siano gestiti con la massima trasparenza ed efficienza, nel pieno rispetto delle condizioni igienico-sanitarie» –:
   se s'intendano avviare i lavori di ristrutturazione del Centro di identificazione ed espulsione di Gradisca D'Isonzo o se la struttura sia stata chiusa in via definitiva;
   se s'intenda rivedere l'organizzazione dei centri di accoglienza per evitare disagi insopportabili per gli ospiti e situazioni critiche per le forze dell'ordine deputate alla vigilanza;
   se a livello amministrativo si sia effettivamente intervenuto sui criteri alla base dell'asta per l'aggiudicazione degli appalti, in modo da garantirne la massima trasparenza. (4-02484)

  Risposta. — Come è noto, nelle nottate del 30 e 31 ottobre e dell'1 e 2 novembre 2013, si sono verificati gravi disordini nel centro di identificazione ed espulsione di Gradisca d'Isonzo. Gli stranieri trattenuti, al fine di procurarsi una via di fuga dal centro, hanno ripetutamente dato fuoco ai materassi ignifughi, agli indumenti e agli asciugamani presenti nelle stanze. Solo l'intervento tempestivo delle forze dell'ordine, e successivamente dei Vigili del fuoco, ha impedito che vi fossero feriti tra gli operatori, gli addetti alla vigilanza e gli stessi ospiti. Tuttavia, le rivolte hanno causato ingenti danni alla struttura: delle otto camerate precedentemente occupate, ne sono rimaste parzialmente agibili solo due, per una capienza complessiva di sedici posti.
  Di conseguenza, nella giornata del 5 novembre 2013, si è proceduto al completo svuotamento del centro, nel quale erano presenti circa sessanta immigrati: trentasette di loro sono stati trasferiti presso il centro di identificazione ed espulsione di Trapani, mentre per gli altri è stato disposto il rimpatrio coatto verso i paesi di origine o la notifica del decreto di espulsione con intimazione a lasciare il territorio nazionale entro sette giorni.
  Attualmente, al fine di quantificare i danni, è in fase di redazione una specifica perizia, che la prefettura di Gorizia si è riservata di trasmettere al competente dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno.
  Più in generale, con riferimento alla
governance del fenomeno migratorio, si assicura che l'obiettivo del governo è di garantire il pieno rispetto dei diritti e della dignità degli stranieri che entrano nel nostro Paese, nonché la massima trasparenza ed efficienza da parte dei soggetti cui è affidata la gestione dei centri di identificazione ed espulsione, senza trascurare l'aspetto della sicurezza. Inoltre, il Ministero dell'interno svolge un costante monitoraggio sulle condizioni di vita all'interno dei centri, sia direttamente sia tramite le prefetture territorialmente competenti. In particolare, viene verificata la regolarità dei servizi appaltati, nonché l'effettiva erogazione dell'assistenza socio-sanitaria, psicologica e infermieristica, finalizzata a garantire la salute psico-fisica degli immigrati. In caso di accertato disservizio, le stesse Prefetture applicano una penale e, in caso di grave inadempienza, hanno la facoltà di risolvere il contratto, come più volte avvenuto nei mesi scorsi.
  Il Ministero dell'interno si avvale, altresì, della collaborazione di organismi impegnati nella tutela dei diritti umani, quali il Garante dei diritti dei detenuti e delle persone private della libertà, l'Organizzazione internazionale per le migrazioni, la Croce rossa italiana, l'agenzia dell'ONU per i rifugiati e la Caritas, con i quali le singole prefetture stipulano apposite convenzioni volte a garantire attività di assistenza o a sviluppare progetti in collaborazione con l'ente gestore. Presso ciascuno del centri governativi, inoltre, sono state istituite apposite commissioni, con il compito di verificare, con cadenza periodica, il rispetto delle convenzioni stipulate.
  Infine, pur nelle attuali ristrettezze di bilancio, il governo intende promuovere un significativo miglioramento delle condizioni dei centri per l'immigrazione. Del resto, gli episodi di tensione che hanno interessato recentemente alcuni dei centri di identificazione ed espulsione dislocati sul territorio nazionale dimostrano chiaramente che sussiste l'esigenza di intraprendere iniziative finalizzate ad assicurare sempre migliori standard di accoglienza e un maggiore livello di sicurezza. In tal senso, anche senza arrivare a ipotizzare una soppressione di tali strutture – che appaiono ancora necessarie, soprattutto per quanto riguarda l'identificazione – si ritiene che possano essere riviste alcune modalità di funzionamento nonché la struttura dei centri di identificazione ed espulsione, per assicurare condizioni di maggiore vivibilità ordinaria e nel rispetto dei tempi strettamente funzionali all'identificazione.
  Compatibilmente con le risorse economiche disponibili, si potrà intervenire sui criteri posti a base d'asta per l'aggiudicazione degli appalti di gestione, anche modificando l'elenco dei servizi previsti dall'attuale capitolato unico: ad esempio riducendo il numero dei servizi, in maniera da rendere la base d'asta conforme rispetto ai servizi da apprestare, oppure diversificando la base d'asta con riferimento alle presenze; infatti, essendo i costi fissi sempre gli stessi, la presenza di un numero di persone più limitato richiede di essere affrontata con una base d'asta maggiore rispetto alla presenza di un numero superiore di persone.
  Ulteriori iniziative, che coinvolgono anche altre amministrazioni, saranno attentamente valutate dal Governo, come la necessità di rafforzare già in carcere l'espletamento delle procedure di identificazione, poiché il numero di persone che entrano nei centri di identificazione ed espulsione e hanno già scontato pene detentive è elevatissimo. Questi interventi saranno finalizzati a garantire una gestione trasparente ed efficiente dei centri, nel pieno rispetto della dignità degli stranieri che entrano nel nostro Paese. Per altri aspetti e, in particolare, per quanto riguarda la durata della permanenza nei centri di identificazione ed espulsione è necessario un percorso normativo di più ampio respiro, che richiede un sostanziale contributo parlamentare, considerata la particolarità della materia, che incide sul delicato equilibrio tra sicurezza e diritti fondamentali della persona.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   REALACCI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la sera del 5 settembre 2010, intorno alle 22:15, mentre rincasava alla guida della sua automobile, Angelo Vassallo, allora sindaco di Pollica (SA), è stato ucciso da uno o più assassini allo stato ignoti;
   ad oggi le indagini non hanno condotto alla individuazione dei responsabili, nonostante molteplici e contraddittorie indiscrezioni apparse sui mezzi di informazione;
   a tre anni dal criminale assassinio l'attività investigativa ad avviso dell'interrogante sembra essersi arenata;
   secondo quanto lamenta l'attuale sindaco Stefano Pisani e quanto riporta l'informazione locale, tra cui un articolo de «La Città di Salerno» del 2 settembre scorso, l'ultimo presidio dello Stato, ovvero la caserma dei carabinieri di Pollica, strumento importante di tutela della legalità e della salvaguardia del fragile e prezioso territorio cilentano, rischia seriamente di essere chiuso per inadeguatezza dei locali. «Perché non ci sono i fondi necessari per garantire una struttura adeguata» – dichiara il primo cittadino;
   dalla cittadina di Pollica è andata via la guardia di finanza, il presidio della capitaneria di porto e ora via i carabinieri «proprio nel momento in cui i nostri porti crescono e, con essi, crescono i traffici anche e soprattutto illeciti» ha aggiunto il Vice Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Vincenzo De Luca;
   è assolutamente necessario che i colpevoli vengano individuati ed assicurati alla giustizia: per dimostrare la presenza dello Stato in quei territori ed il rispetto della legalità, per onorare la memoria di Vassallo per restituire un pò di pace alla sua famiglia, a chi gli era amico e alla comunità di Pollica;
   Angelo Vassallo fu un ottimo amministratore, impegnato sulla tutela dell'ambiente e della legalità. In grado di portare nell'azione politico-amministrativa i valori e i fermenti della società civile e di tradurli in buona economia;
   grande è stata la capacità e l'iniziativa di Angelo Vassallo e della sua amministrazione che ha permesso di ottenere tanti risultati e un forte rilancio turistico di quei luoghi. Dal nuovo porto ad una raccolta differenziata superiore al 70 per cento, dall'azione avviata con il parco del Cilento per ottenere il riconoscimento della dieta mediterranea come patrimonio dell'UNESCO ad un ambizioso piano dei comuni del parco su risparmio energetico e fonti rinnovabili;
   l'interrogante nella passata XVI Legislatura ha presentato l'atto di sindacato ispettivo 4-13079 al quale, nonostante i ripetuti solleciti, non è stata mai data risposta –:
   quali azioni, per quanto di loro competenza e nel rispetto della funzione e dell'autonomia delle autorità inquirenti, abbiano intrapreso ed intendano intraprendere i Ministri interrogati per rafforzare la tutela della legalità nel Cilento, garantendo la permanenza del presidio della stazione Carabinieri di Pollica;
   quali misure intendano poi mettere in campo gli stessi Ministri interrogati per permettere alle indagini sull'assassinio di Angelo Vassallo di proseguire più rapidamente. (4-01713)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame, si assicura che non è prevista la soppressione della stazione dei Carabinieri di Pollica in provincia di Salerno.
  Invece, si è alla ricerca di un edificio più idoneo per ospitare la caserma, in sostituzione di quello attuale che è assolutamente inadeguato.
  Infatti, la citata stazione dei Carabinieri è ubicata in uno stabile di proprietà privata e, dal 16 settembre 2011 al 21 febbraio 2012, è stata ospitata presso la stazione Carabinieri di Acquavella, causa lavori di manutenzione straordinaria, necessari ed indifferibili anche a seguito di un'ordinanza sindacale di sgombero per motivi di sicurezza della struttura.
  Il 10 settembre 2013, presso la prefettura di Salerno, si è tenuta una riunione del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica nel corso della quale è stato affrontato il tema della individuazione di una nuova sede idonea ad ospitare la caserma dei Carabinieri in questione.
  Nell'occasione il sindaco di Pollica ha comunicato che sono state avviate le intese tra il comune, il provveditorato interregionale alle opere pubbliche e l'agenzia del demanio per la realizzazione di una nuova struttura nella frazione di Acciaroli, considerato luogo strategico per il miglior controllo del territorio.
  Sotto il profilo dell'ordine e della sicurezza pubblica, nei primi otto mesi dell'anno in corso rispetto all'analogo periodo del 2012, si è registrata una diminuzione dei reati contro la persona ed il patrimonio e anche dei furti commessi.
  Per completezza, si soggiunge che le indagini legate all'omicidio del sindaco Angelo Vassallo sono tuttora in corso e sottoposte a regime di segretezza.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   RIGONI e MANFREDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 114, commi 15 e 16, della legge n. 388 del 2000, ha previsto l'istituzione del parco archeologico delle Alpi Apuane, per conservare e valorizzare gli antichi siti di escavazione e i beni di rilevante testimonianza storica, culturale e ambientale connessi con l'attività estrattiva;
   la medesima norma ha attribuito la gestione del parco archeologico in questione ad un Consorzio da costituirsi tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero per i beni e le attività culturali, la regione Toscana, gli enti locali e l'ente parco regionale delle Alpi Apuane;
   nel 2001 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha avviato l’iter istitutivo del parco archeologico e, in accordo con le amministrazioni interessate, era riuscito ad individuare i siti e i beni da inserire nel parco e i relativi obiettivi di tutela e valorizzazione, elaborando pure un primo schema del decreto;
   il 19 marzo 2003, lo schema del decreto è stato trasmesso alla regione Toscana ai fini dell'espressione dell'intesa richiesta dalla legge e la regione stessa è stata invitata ad acquisire il parere preventivo dei comuni interessati;
   con deliberazione n. 23 del 12 febbraio 2003, il consiglio regionale ha approvato l'intesa sul parco archeologico, dopo aver acquisito i pareri favorevoli di tutti i comuni interessati, chiedendo di apportare allo schema di decreto alcuni adeguamenti che sono stati accolti e la regione Toscana in data 13 marzo 2003 ha trasmesso copia della deliberazione al Ministero competente;
   il 22 aprile 2003 il direttore generale del servizio conservazione della natura del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con una nota ha comunicato la necessità di operare alcune modifiche sulla bozza di decreto istitutivo, con il passaggio della presidenza della commissione statuto e regolamento contabilità, dal presidente dell'ente parco regionale delle Alpi Apuane ad un rappresentante dei Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e per i beni e le attività culturali;
   il consiglio regionale della Toscana, di fronte ad una situazione perdurante di stallo – che non trovava alcuna motivazione espressa – in data 5 novembre 2003 ha approvato, con voto unanime, la mozione n. 665 (a seguito di specifica iniziativa della V Commissione consiliare), invitando la giunta regionale a «promuovere tutte quelle iniziative che riterrà più idonee al fine di sollecitare i competenti Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e per i beni e le attività culturali, alla firma del decreto di istituzione del Parco archeologico delle Alpi Apuane»;
   l'articolo 114 della succitata legge 23 dicembre 2000, n. 388, prevede l'istituzione, con modalità simili, non soltanto del parco archeologico delle Alpi Apuane (ai commi 15 e 16), ma pure di altri tre parchi archeominerari, quali il geominerario della Sardegna (comma 10), il tecnologico ed archeologico delle colline metallifere (comma 14) e il museo delle miniere dell'Amiata (ancora comma 14);
   il 27 novembre 2006, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore apponeva la propria firma in calce al decreto istitutivo del parco archeologico delle Alpi Apuane ed alla conclusione dell’iter mancava soltanto la firma d'intesa del Ministro per i beni e le attività culturali;
   a distanza di quattordici anni non risulta ancora perfezionato il decreto istitutivo del parco archeologico delle Apuane, quando, invece, l'istituzione degli altri tre parchi archeominerari è avvenuta regolarmente e sono da tempo normalmente in funzione, con organi in piena carica, e sostenuti dal contributo statale;
   in occasione della 10° conferenza dei geoparchi, svoltasi in Norvegia nell'ottobre 2011, il parco toscano delle Alpi Apuane è entrato anche a far parte della rete mondiale dei geoparchi, coordinata dall'UNESCO;
   in esecuzione dell'articolo 114, commi 15 e 16, della legge n. 388 del 2000, il parco ha ricevuto contributi dallo Stato nel triennio 2001-2003 per complessivi euro 775.549,45 che ancora si trovano tra i residui passivi, senza possibilità di essere investiti per interventi ed attività del parco archeologico –:
   se i Ministri interrogati non intendano adottare il decreto istitutivo del parco archeologico delle Apuane e sostenere così un progetto finalizzato a conservare e valorizzare un territorio di rilevante testimonianza storica, culturale e ambientale. (4-02289)

  Risposta. — Il procedimento amministrativo per l'istituzione del parco è stato correttamente delineato dall'interrogante: il 27 novembre 2006 venne firmato il provvedimento istitutivo dal Ministro dell'ambiente pro-tempore, conseguentemente inoltrato in data 30 novembre 2006 al Ministero per i beni e le attività culturali (MIBAC) per acquisire l'intesa da parte del competente Ministro.
  Il decreto di cui trattasi veniva, tuttavia, restituito non firmato in data 19 luglio 2007, con osservazioni e richieste di modifiche. Veniva inoltre comunicata la non piena condivisione dei comuni interessati, con riguardo alla istituzione del parco, rappresentata dalla soprintendenza per i beni archeologici della Toscana a seguito di una consultazione con i rappresentanti del comune di Carrara.
  In data 21 dicembre 2007, dopo aver condiviso le modifiche richieste e quindi aggiornato la proposta di provvedimento, veniva comunicato al MIBAC di ritenere necessario sottoporlo nuovamente all'intesa regionale, a fronte di quanto rappresentato circa la posizione dei comuni interessati e considerato il lungo tempo trascorso dalla pertinente intesa, acquisita nel 2003.
  Quanto alla posizione assunta da parte dei comuni interessati, essa era questione rilevante, atteso che gli stessi sono chiamati ad esprimere il proprio parere ai sensi del comma 15 dell'articolo 114 della legge n. 388 del 2000.
  Nella stessa data del 21 dicembre 2007 si provvedeva, quindi, a sottoporre il predetto schema di provvedimento al presidente
pro-tempore della Regione Toscana, richiedendo il rinnovo dell'intesa.
  In data 9 gennaio 2008, per la mancata acquisizione dell'intesa regionale, il capo di gabinetto del MIBAC restituiva non firmato lo schema di decreto.
  Quanto sopra rappresentato mette in evidenza lo stato del procedimento ad oggi
in itinere, su cui i necessari approfondimenti istruttori non hanno avuto compiuta definizione.
  Sulla questione, naturalmente, il Ministero dell'ambiente è pronto a riattivare ogni necessaria iniziativa qualora sollecitato dalle istituzioni interessate, soprattutto quelli afferenti ai territori interessati.
  Analoga piena disponibilità a collaborare proficuamente, anche attraverso i propri uffici territoriali, ad ogni iniziativa utile per la valorizzazione dell'area interessata, è stata altresì assicurata dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.
  In aggiunta a quanto sopra rappresentato, occorre fare riferimento al permanere di talune criticità relative alla
governance non ancora risolte e, ad oggi, rese vieppiù complesse dall'entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica n. 73 del 2013. In altre parole, corre adesso l'obbligo di ridefinire un quadro della governance più asciutto, snello ed efficace, che non produca oneri per l'erario. Il richiamato recentissimo provvedimento, infatti, seppure riferito alla disciplina dei parchi nazionali, costituisce un punto di riferimento per l'attuazione delle misure di razionalizzazione della spesa anche per quei parchi non rientranti nel campo di applicazione della legge-quadro sui parchi, n. 394 del 1991.
  Per quanto riguarda l'aspetto finanziario, elemento peraltro indispensabile e presupposto per l'adozione di qualsiasi iniziativa provvedimentale da cui possa derivare una spesa a carico del bilancio dello Stato, occorre sottolineare che la copertura prevista dalla legge istitutiva del parco in questione si limitava alle sole annualità 2001, 2002 e 2003. I problemi che ne derivano appaiono, così, in tutta la loro criticità, tenuto conto che la necessaria copertura finanziaria andrebbe aggiornata e assicurata con specifica norma primaria. Iniziativa che, soprattutto nel clima generale di austerità finanziaria, dovrà essere previamente concordata con il Ministero dell'economia e finanze.
  Naturalmente, non può non condividersi con l'interpellante il giudizio circa la valenza naturalistica dei luoghi interessati dall'area di reperimento in questione, ove già ci sono siti della Rete Natura 2000 e un parco regionale.
  Si segnala, peraltro, che oltre a confermarsi la disponibilità a vagliare le soluzioni normative necessarie per aggiornare l'esigenza di cui trattasi (copertura finanziaria,
governance, eccetera), proprio in questi giorni è all'esame del Ministero dell'ambiente l'adozione di idonei strumenti normativi che trasferiscano in capo all'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale le funzioni di natura tecnico-scientifica per l'istituzione e il supporto qualificato ai parchi nazionali e alle aree protette nazionali in genere, allo stato bloccate a seguito dell'intervenuta soppressione con la spending review degli organi collegiali di questa amministrazione da anni all'uopo dedicati.
Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   ROSATO, BRATTI, DE MICHELI, MURER, MORANI, GHIZZONI, BARUFFI, CARRA, MADIA e MARCHI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 20 maggio 2012 le comunità dell'Emilia, della Lombardia e del Veneto sono state tragicamente colpite dal dramma del sisma che, nella notte, si è propagato con epicentro nel territorio comunale di Finale Emilia (Modena). Il 29 maggio dello stesso anno, una nuova scossa di terremoto è stata avvertita in tutta l'Italia settentrionale ed in particolare in molti centri dell'Emilia, della bassa Lombardia e del basso Veneto, con epicentro nei territori comunali di Medolla e Cavezzo (Modena);
   ad un anno di distanza da quell'avvenimento, l'Italia tutta rinnova la sua vicinanza e il suo cordoglio alle 27 vittime accertate e ai connazionali che hanno patito le sofferenze di questa catastrofe naturale. In pochi attimi, molti hanno perso la propria abitazione, i propri stabilimenti industriali, il frutto del loro lavoro;
   secondo la relazione inviata alla Commissione europea la stima dei danni si è aggirata attorno ai 13,3 miliardi di euro tra le risorse stanziate per i provvedimenti d'emergenza e i danni all'edilizia residenziale e alle attività produttive;
   ancora una volta l'Italia ha dato prova di grande unità e solidarietà, e molte sono state le iniziative di aiuto anche a distanza alle popolazioni colpite dal sisma. Dalla notte del 20 maggio, centinaia di vigili del fuoco e volontari della protezione civile si sono alternati senza sosta per soccorrere i cittadini in difficoltà e per gestire al meglio l'organizzazione dell'assistenza alla popolazione nei giorni successivi all'emergenza;
   è pregevole il lavoro svolto dagli uomini e donne del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e della protezione civile che si sono impegnati anche nel recupero dei beni di prima necessità dalle case colpite dal terremoto e nell'abbattimento e messa in sicurezza di edifici pubblici e delle abitazioni private. Si tratta di lavoro costante che prosegue ancora oggi a distanza di 12 mesi dai quei tragici giorni;
   i numeri di questo impegno rendono evidente come il Corpo nazionale dei vigili del fuoco sia stato determinante nel garantire i primi soccorsi e come oggi stia proseguendo con abnegazione in questo suo compito di ricostruzione post terremoto: sono state 1.285 le unità impiegate nell'emergenza sisma in Emilia, nelle settimane immediatamente successive; sono state 65.000 le verifiche ispettive sulla stabilità degli edifici portate a termine in un anno; sono stati 55.200 gli interventi di soccorso e di demolizioni o di messa in sicurezza degli edifici pericolanti;
   si tratta di un lavoro straordinario che ha permesso una rapida esecuzione delle opere provvisionali urgenti e la conseguente riapertura di 16 «zone rosse» su 22. Nelle restanti 6 è stata, comunque, ripristinata la viabilità principale;
   a tutt'oggi, al fine di proseguire con continuità l'assistenza specialistica per l'accesso alle «zone rosse» e agli edifici inagibili e al fine di proseguire il recupero dei beni, in Emilia sono al lavoro 70 vigili del fuoco del Corpo nazionale, come disposto da alcune ordinanze del commissario delegato per l'emergenza in Emilia, Lombardia e Veneto, e presidente di giunta della regione Emilia Romagna, Vasco Errani;
   con cinque ordinanze tra l'agosto 2012 e il marzo 2013, infatti, il commissario delegato ha approvato la prosecuzione delle operazioni del Corpo nazionale dei vigili del fuoco per le province di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio Emilia, per una spesa complessiva di 10.661.760 euro;
   l'8 aprile 2013, con decreto n. 239, il commissario delegato ha approvato le procedure economiche-finanziarie per l'erogazione delle somme per gli oneri relativi all'intervento del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e, in attesa della rendicontazione sulle attività svolte, ha disposto una liquidazione pari al 50 per cento della spesa autorizzata, ovvero 5,3 milioni di euro;
   la liquidazione dell'acconto pari al 50 per cento della spesa autorizzata è avvenuta attraverso l'adozione da parte della regione Emilia Romagna, di misure volte a velocizzare i tempi di liquidazione, in modo da addivenire nel più breve tempo possibile all'erogazione delle spettanze per le ore straordinarie svolte dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco e per le indennità di trasferta;
   alla prima tranche di pagamenti seguirà, quindi, il saldo calcolato a fine marzo 2013 sulla base della rendicontazione delle ore di straordinario prestate;
   all'interrogante risulta che l'Agenzia regionale di protezione civile dell'Emilia Romagna ha già versato la somma relativa alla prima tranche, pari a 5,3 milioni di euro, in favore del Ministero dell'economia e delle finanze e risulta anche che il dipartimento nazionale di Protezione civile ha provveduto a trasferire al Ministero dell'economia e delle finanze la somma relativa ai primi due mesi di emergenza;
   nonostante, quindi, non siano imputabili ritardi nel trasferimento delle risorse da parte di regione Emilia Romagna e dipartimento nazionale di protezione civile, il Ministero dell'economia e delle finanze non ha ancora provveduto al pagamento di quanto dovuto agli operatori del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   si fa presente che, a quanto risulta all'interrogante, è alla firma del commissario delegato una nuova ordinanza per l'impiego dei vigili del fuoco fino al 31 agosto 2013, al fine di portare a compimento il lavoro avviato in questi primi 12 mesi dal sisma –:
   quali siano le ragioni per le quali il Ministero dell'economia e delle finanze non ha provveduto al pagamento di quanto dovuto al personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco che ha prestato la propria opera durante le attività di soccorso e di ricostruzione nell'emergenza sisma in Emilia, relativamente alle spettanze per le ore di straordinario lavorate e per le indennità di trasferta;
   quale tempistica il Governo preveda per lo sblocco dei pagamenti delle spettanze relative alle ore di straordinario lavorate e per le indennità di trasferta, di cui alla prima tranche da 5,3 milioni di euro già versata in favore del Ministero dell'economia e delle finanze e di cui al versamento del dipartimento nazionale di protezione civile relativamente ai primi due mesi di emergenza;
   posto che successivamente alla prima tranche verrà effettuato il saldo per le ore lavorate a fine marzo 2013 e vi sarà una successiva autorizzazione di spesa per il periodo che si concluderà il 31 agosto, quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare al fine di evitare ulteriori ritardi nell'erogazione di quanto dovuto al personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco relativamente al saldo e al periodo eventualmente ancora previsto con ordinanza del commissario delegato di cui in premessa;
   se, per evitare il ripetersi di simili episodi (che sono analoghi a quelli relativi a tutte le emergenze o a tutte le campagne estive dell'antincendio boschivo) il Ministero dell'economia e delle finanze, trattandosi di somme spettanti al personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco (e spesso anche ad operatori delle forze di polizia) per ore straordinarie regolarmente rese, non ritenga di provvedere al pagamento di quanto dovuto direttamente nella busta paga nel mese successivo a quello nel quale le ore di lavoro straordinario sono state svolte, regolando poi partite finanziare con altri enti pubblici in maniera indipendente. (4-00694)

  Risposta. — Per il pagamento degli emolumenti relativi alle prestazioni di lavoro straordinario svolte per le attività di soccorso a seguito degli eventi sismici del 20 e 29 maggio 2012, che hanno colpito la regione Emilia Romagna, il Ministero dell'interno ha provveduto ad assegnare ai comandi dei Vigili del fuoco interessati le necessarie risorse finanziarie per l'intero periodo maggio-dicembre 2012.
  Tali spettanze sono state poste in liquidazione dai relativi comandi già a partire dalla mensilità di luglio.
  Per quanto riguarda le fonti di finanziamento, si ricorda che il dipartimento della Protezione civile del Ministero dell'interno ha assegnato 13.150.200 euro destinati alla copertura degli oneri per i compensi di lavoro straordinario e altre indennità da corrispondere al personale impiegato nel contesto emergenziale.
  Relativamente alle attività di recupero di materiale biomedicale presso strutture industriali colpite dall'evento sismico, sono stati versati dalle aziende medesime 745.737 euro, corrispondenti agli oneri sostenuti dal corpo nazionale dei Vigili del fuoco.
  Dal commissario delegato all'emergenza sisma – presidente della regione Emilia Romagna, sono stati, inoltre, versati 5.330.880 euro, per rimborso degli oneri conseguenti alla realizzazione di opere provvisionali nei territori colpiti dal sisma, comprese le spettanze al personale per il periodo agosto-dicembre 2012, nonché 4.243.484 euro per il rimborso degli oneri conseguenti alla continuazione della realizzazione di opere provvisionali, comprese le spettanze al personale a titolo di saldo per il periodo agosto-marzo 2013 e a titolo di acconto per il periodo aprile-maggio 2013.
  Dal dipartimento della Protezione civile sono stati versati 4.030.552 euro per la ricostituzione delle dotazioni di materiale assistenziale, custodite presso i centri assistenziali di pronto intervento (CAPI) del Ministero dell'interno.
  Dallo stesso dipartimento sono stati, anche, versati 8.637.597 euro per il rimborso degli oneri sostenuti relativamente alle spese per l'acquisto di carburante e di materiale tecnico, per la manutenzione dei mezzi e delle attrezzature, per le missioni e per il vitto del personale.
  In tutti questi casi le procedure di riassegnazione si sono concluse con la materiale disponibilità dei fondi, tranne qualche caso dove la medesima procedura è ancora in corso di definizione presso il Ministero dell'economia.
  In merito alla materiale corresponsione delle competenze accessorie al personale a seguito dell'effettiva disponibilità di alcune delle citate fonti di finanziamento, si è provveduto prontamente all'assegnazione ai comandi provinciali delle somme necessarie per il pagamento degli straordinari per il periodo maggio-dicembre 2012, onere che ammonta complessivamente a circa 16 milioni di euro.
  Si segnala, inoltre, che il decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito in legge 15 ottobre 2013, n. 119, ha previsto l'istituzione di un fondo per l'anticipazione delle spese sostenute in occasione di interventi in emergenze di protezione civile, dotato di uno stanziamento iniziale di 15 milioni di euro per l'anno corrente.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   SALTAMARTINI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   in occasione dell'incontro di calcio tra il Legia Varsavia e la Lazio del 28 novembre 2013, valido per la competizione dell'Europa League, ben 120 cittadini italiani, donne e bambini compresi, sono stati ingiustamente sottoposti a fermo dalla polizia locale e trattenuti in condizioni indegne senza alcuna valida motivazione –:
   quali siano le azioni fin qui intraprese dal Governo al fine di accertare la verità sull'accaduto;
   quali siano modalità e tempi di intervento da parte dell'ambasciata italiana;
   quali iniziative siano state adottate per assicurare il rientro degli italiani trattenuti a Varsavia a seguito della nota vicenda;  
   se sia stato rispettato il diritto fondamentale della libera circolazione delle persone dell'Unione europea, sancito e garantito da una specifica direttiva europea;
   quale sia il motivo per cui il Ministero degli affari esteri non abbia prontamente attivato un'unità di crisi per seguire più da vicino lo svolgimento di questi fatti incresciosi. (4-02780)

  Risposta. — In relazione alla nota vicenda del fermo dei tifosi italiani in Polonia in occasione della partita di calcio Legia Varsavia – Lazio, fornisco gli aggiornamenti richiesti sulla situazione già descritta nel corso dell'informativa svolta alla Camera dei deputati pochi giorni martedì 3 dicembre 2013.
  L'evoluzione della situazione è stata seguita con grande attenzione dall'ambasciata, dalla Farnesina e dalla Ministro Bonino personalmente.
  Si è già avuto occasione di illustrare, nel corso dell'informativa citata, i principali interventi compiuti in favore dei nostri connazionali dalla signora Ministro – che ha avuto più di un colloquio telefonico con il suo omologo Sikorski chiedendo che si potesse pervenire a una soluzione positiva per i connazionali ancora trattenuti e che fosse fatta chiarezza sulla dinamica e vastità degli arresti iniziali. Ricordo che la signora Ministro ha altresì sensibilizzato il Vice Ministro degli esteri polacco a margine della ministeriale NATO del 3 dicembre 2013.
  Come si è rilevato in Parlamento, uno sforzo organizzativo molto rilevante è stato messo in atto dal Ministero, dall'ambasciata e dall'ambasciatore Guariglia in prima persona, per fornire assistenza ai fermati e rappresentare al massimo livello l'attesa italiana di risolvere rapidamente i casi. Prosegue in queste ore lo sforzo teso a favorire il rilascio di quanti sono ancora detenuti e il chiarimento delle circostanze in cui sono stati adottati i provvedimenti di fermo da parte delle autorità di polizia nella capitale polacca.
  Si desidera inoltre mettere in luce che, a margine del vertice bilaterale italo-polacco svoltosi a Varsavia, il Presidente del Consiglio Letta ha avuto un colloquio con il Primo Ministro polacco, Donald Tusk. In particolare, il Presidente Letta ha fatto stato della grandissima sensibilità che l'intera vicenda sta suscitando presso l'opinione pubblica italiana, presso il Parlamento e presso il Governo. Egli ha quindi chiesto al suo interlocutore, nel rispetto della legislazione polacca e della separazione dei poteri dello Stato, ogni possibile intervento volto a rendere più rapidi i procedimenti giudiziari in corso in modo da pervenire, il più celermente possibile, ad una soluzione positiva.
  Il Primo Ministro Tusk, per parte sua, ha condiviso la preoccupazione dei familiari e dell'opinione pubblica italiana e ha assicurato che avrebbe fatto tutto il possibile a favore di procedure più spedite.
  Il Presidente del Consiglio, al termine del vertice, ha incontrato nella sede dell'ambasciata due rappresentanti dei genitori. Il Presidente Letta ha confermato l'impegno del Governo e ha informato i nostri connazionali delle assicurazioni ricevute dal Primo Ministro polacco.
  L'ambasciatore Guariglia nei giorni scorsi ha incontrato il procuratore generale, Seremek – già precedentemente sensibilizzato – e gli ha espresso la nostra richiesta, nel rispetto delle leggi polacche, per una rapida trattazione di tutte le istanze presentate dagli avvocati al fine di pervenire alla scarcerazione dei nostri connazionali. Egli ha avuto analogo incontro con il presidente del tribunale circoscrizionale di Varsavia, Kluziak. L'ambasciata ha mantenuto costanti, discreti contatti sia con i procuratori che con i giudici implicati nella trattazione dei dossiers dei nostri connazionali.
  Per ciò che concerne i punti sollevati in merito alla presunta «inerzia» iniziale dell'ambasciata e della Farnesina, si fa presente che si è assicurato tutto il possibile supporto: naturalmente, il numero, di fermati era tale da rendere materialmente impossibile per i funzionari dell'ambasciata essere contemporaneamente presente a tutti i processi o potere assistere direttamente ognuno dei fermati. Segnalo che l'ambasciata a Varsavia, nell'istituire un'apposita «unità di crisi», ha pubblicato sul proprio sito internet numeri di telefono fissi e mobili da contattare, assicurando, attraverso questo canale, una costante reperibilità.
  In tutti questi giorni è continuato l'afflusso in ambasciata di parenti ed amici dei connazionali detenuti, cui è stato offerto ogni possibile aiuto. Le famiglie dei detenuti stanno valutando insieme agli avvocati la linea da tenere nei procedimenti giudiziari in corso, che vedono – ad oggi – quattro persone sottoposte a supplemento di indagini e dieci già processate per direttissima. Otto persone che erano state sottoposte a supplemento di indagini, infatti, sono state liberate tra ieri e oggi a seguito di patteggiamento. Ulteriori patteggiamenti sono previsti martedì prossimo, per i restanti quattro connazionali sottoposti a supplemento di indagini.
  Si ricorda che il Ministero dell'interno polacco dispone di documentazione fotografica dalla quale si evince che alcuni dei fermati erano effettivamente in possesso di armi improprie.
  Con riferimento, da ultimo, all'assistenza legale ed alle condizioni detentive dei connazionali, si rappresenta quanto segue: i connazionali sono assistiti da un legale e gli stessi, in occasione delle varie visite consolari effettuate da personale dell'ambasciata, sono apparsi in buono stato psico-fisico. Il funzionario del Ministero dell'interno italiano appositamente inviato a Varsavia ha redatto una relazione secondo cui il comportamento della polizia polacca sarebbe stato conforme alle norme dell'ordinamento locale, norme che tuttavia sono diverse rispetto a quelle italiane applicabili in circostanze analoghe. Lamentele sono state riferite relativamente alle condizione in alcuni dei diversi commissariati in cui erano stati inizialmente trattenuti i 149 fermati. Le autorità italiane hanno in proposito preteso chiarimenti.
  La Farnesina, su istruzione del Ministro Bonino, continuerà a prestare ogni possibile assistenza ai connazionali e ai loro familiari, in stretto contatto con le autorità polacche, con l'obiettivo di una rapida e definitiva soluzione della vicenda.

Il Viceministro degli affari esteriMarta Dassù.


   SCOTTO, FAVA e COSTANTINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il posto fisso operativo della polizia di Stato di Casapesenna è alle dipendenze della questura di Caserta;
   il suddetto posto di polizia opera anche nei comuni di Casal di Principe, Villa Literno e San Cipriano d'Aversa;
   l'attività del personale della polizia di Stato di Casapesenna ha portato dal 2010 al 2012 a più di 60.000 persone controllate, a 160 arresti effettuati, compreso quelli di pericolosi latitanti, e a più di 30.000 veicoli controllati;
   il Governo Monti, nell'ambito di una politica di risparmio economico, ha deciso per la soppressione del posto fisso operativo della polizia di Stato di Casapesenna;
   l'aver aperto un posto di polizia in quel comune ha significato essere concretamente presenti nel quadrilatero della camorra in cui hanno un ruolo determinante i territori di Casal di Principe, San Cipriano d'Aversa e Villa Literno;
   il personale di polizia di Casapesenna ha dimostrato di essere altamente professionale, sia nella prevenzione, con l'attività istituzionale della squadra volante, sia in operazioni di polizia giudiziaria, di contrasto all'abusivismo edilizio, di lotta alla contraffazione, di sequestro di armi e munizionamento da guerra e con l'arresto di pericolosi latitanti, tra cui il boss dei Casalesi Michele Zagaria;
   i clan presenti in quest'area si sono dimostrati nel corso degli anni particolarmente organizzati e radicati nel territorio, con uno stile mafioso tale da essere spesso paragonato a quello tipico delle organizzazioni criminali siciliane e calabresi;
   tali realtà criminali sono indubbiamente tra le più forti operanti in Campania, e le inchieste della magistratura hanno dimostrato anche i forti legami tra la «camorra» dell'agro aversano e la politica locale e nazionale;
   alla chiusura del posto di polizia di Casapesenna si sono opposti la Silp CGIL, magistrati della DDA come ad esempio il pm Catello Maresca, esponenti del «Coordinamento per il riscatto» e imprenditori locali che con le loro denunce hanno permesso l'arresto di diversi estorsori della «camorra» locale (vedi l'articolo pubblicato da La Repubblica.it il 12 giugno 2013 intitolato «Casapesenna, appello del pm anticlan: non chiudete il commissariato di polizia») –:
   se non si debba valutare la possibilità di non sopprimere il posto di polizia di Casapesenna, perché un'ottica tesa al solo risparmio non può determinare la soppressione di un presidio di legalità così efficace nel contrasto alla «camorra». (4-00855)

  Risposta. — Il posto fisso operativo della Polizia di Stato di Casapesenna è stato istituito nel 1996 e, nel 2008, ad esso è andata ad aggiungersi la sezione distaccata della squadra mobile di Caserta, attualmente impegnata in delicate indagini di criminalità organizzata.
  Tale presidio si inserisce in un contesto di rafforzamento e controllo del territorio che ha dato luogo al cosiddetto «modello Caserta», rivelatosi poi di grande efficacia operativa nel contrasto al crimine organizzato.
  In quei territori, infatti, i dispositivi di vigilanza e controllo del territorio sono attuati con il concorso del personale dei reparti prevenzione crimine della Polizia di Stato, cui vanno ad aggiungersi militari dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza ed un cospicuo contingente delle Forze armate, messo a disposizione dal Ministero della difesa nell'ambito dell'operazione «strade sicure».
  Il provvedimento di soppressione del posto fisso operativo della Polizia di Stato di Casapesenna risulta, a tutt'oggi, non ancora perfezionato.
  Infatti, ai sensi della normativa vigente, la materia costituisce oggetto di informazione preventiva alle organizzazioni sindacali. Pertanto, una bozza del decreto di abolizione, a firma del capo della Polizia, è stata trasmessa alle segreterie nazionali degli otto sindacati del personale della Polizia di Stato, sei dei quali hanno chiesto un incontro (la cui data non è stata ancora fissata) all'amministrazione per l'esame congiunto di tale bozza.
  La proposta di soppressione del posto fisso di Casapesenna tiene conto di precise valutazioni di carattere tecnico che consentono di mantenere inalterata l'operatività delle strutture della Polizia di Stato sul territorio.
  La rimodulazione dell'organizzazione dei presidi attraverso l'ottimizzazione dell'impiego del personale a disposizione consente, infatti, una ridistribuzione delle risorse sul territorio. Dei 26 dipendenti in servizio presso il presidio in premessa:
   13 potrebbero trovare idonea sistemazione presso il limitrofo commissariato di pubblica sicurezza di Aversa – carente di 13 unità – che assicurerebbe così un'autopattuglia nell'arco delle ventiquattro ore dedicata esclusivamente al territorio di Casapesenna;
   9 sarebbero trasferiti alla sezione della squadra mobile di Casal di Principe dove prestano servizio complessivamente 26 unità rispetto ad una previsione organica di 46;
   i restanti 4 potrebbero transitare al commissariato di Castelvolturno, al fine di pareggiarne l'organico.

  Va, altresì, precisato che l'ufficio di Polizia di Casapesenna svolge attività di controllo del territorio e non di contrasto alla criminalità organizzata. Tale ultimo compito viene espletato, infatti, dalla sezione distaccata della squadra mobile di Caserta a Casal di Principe che, per effetto della menzionata soppressione, verrebbe rinforzata di 9 unità. Da ciò discenderebbe un importante potenziamento delle capacità investigative del presidio di Casal di Principe, in relazione all'elevato numero di indagini che lo hanno reso un autorevole punto di riferimento dell'azione giudiziaria.
  La soppressione del posto operativo fisso di Casapesenna consentirebbe, inoltre, un abbattimento dei costi di gestione, senza incidere sulla reale capacità operativa delle Forze di polizia sul territorio interessato.
  Le esigenze di contenimento della spesa pubblica non potranno, comunque, mai comportare un abbassamento dei livelli di efficacia e di efficienza dei servizi resi ai cittadini dal punto di vista dell'ordine e della sicurezza pubblica, né un arretramento sul fronte della lotta alla criminalità organizzata.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   SCOTTO e PILOZZI. — Al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   quattro ragazzi di origine straniera, ma cresciuti in Italia, hanno presentato ricorso contro il bando di concorso del servizio civile 2013, a cui non potevano partecipare perché non cittadini italiani;
   l'ordinanza della sezione lavoro del tribunale ordinario di Milano n. 14219/2013 ha affermato che il termine «cittadino» va costituzionalmente interpretato e si riferisce a colui che fa stabilmente parte della comunità italiana, e che il servizio civile è un'attività finalizzata a scopi ulteriori rispetto alla difesa della Patria, venuti meno i presupposti della sua equiparazione come prestazione sostitutiva svolta dagli obiettori di coscienza da quando non risulta più obbligatorio il servizio militare;
   per questi motivi le persone che possono partecipare al bando perseguendo principi di solidarietà e cooperazione a livello nazionale ed internazionale non possono essere i soli cittadini italiani, e di conseguenza il tribunale di Milano ha dato ragione ai ricorrenti;
   il giudice ha ordinato all'ufficio nazionale per il servizio civile presso la Presidenza del Consiglio dei ministri di riaprire per ulteriori dieci giorni il termine per l'accesso al bando, a partire dalla data di comunicazione dell'ordinanza, ovvero il 19 novembre 2013;
   già nell'edizione 2012 un tribunale milanese aveva bocciato il requisito della cittadinanza, ma allora la decisione del giudice era arrivata a gennaio, quando le selezioni erano già state ultimate;
   in tale occasione l'unico effetto prodotto dalla decisione del giudice era stato quello di bloccare tutti i progetti, e per farli ripartire il ricorrente (un giovane ragazzo pachistano) aveva accettato la sospensione dell'esecutività della sentenza;
   nonostante le promesse di politici ed istituzioni il bando 2013, uscito il 4 ottobre, aveva ribadito l'illegittimo sbarramento;
   i fatti narrati sono riportati, tra gli altri, dall'articolo pubblicato dall'edizione on line milanese de Il Corriere della Sera il 20 novembre 2013 ed intitolato «La battaglia (vinta) di Naoual e Maryana per il servizio civile» –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali misure siano già state prese in merito;
   quali iniziative si intendano intraprendere per garantire che nelle prossime edizioni del bando di concorso per il servizio civile non venga riproposto l'illegittimo requisito della cittadinanza italiana. (4-02680)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, l'interrogante pone una serie di quesiti in merito al Servizio civile nazionale.
  Considero il Servizio civile nazionale un bene prezioso per tutta la collettività e un positivo strumento di integrazione e solidarietà che permette a tanti giovani di sviluppare un profondo senso civico.
  Consapevole di tale importanza, mi sono impegnata per permettere l'avvio dei volontari con la pubblicazione dei bandi per il 2013 e per reperire nuove risorse.
  Tuttavia, con l'ordinanza n. 14219 del 18 novembre 2013 il tribunale di Milano ha disposto la modifica del bando di selezione dei volontari nella parte in cui prevede il requisito della cittadinanza italiana per l'accesso al Servizio civile nazionale.
  Ricordo che la problematica riguardante l'ammissione degli stranieri al Servizio civile nazionale è già stata oggetto di due contenziosi alla fine del 2011 presso i tribunali ordinari di Brescia e di Milano, con i quali è stato denunciato il comportamento discriminatorio dell'amministrazione perché prescriveva la cittadinanza italiana quale requisito di ammissione alla selezione, secondo quanto previsto dalla normativa tuttora vigente (articolo 3 del decreto legislativo 5 aprile 2002, n. 77).
  I due contenziosi hanno avuto sviluppi processuali opposti. In particolare, il tribunale di Brescia, con sentenza depositata il 9 maggio 2012, ha rigettato il ricorso, ritenendo ragionevole la differenziazione tra cittadini e stranieri perché coerente con l'ordinamento nel suo complesso e, soprattutto, con i principi costituzionali.
  Tale orientamento è stato confermato dalla Corte di appello di Brescia con decisione del 21 ottobre 2013.
  Diversamente il tribunale di Milano (ordinanza del 12 gennaio 2012), e successivamente la Corte di appello (decisione n. 2183 del 2012), hanno dichiarato il carattere discriminatorio del bando.
  Contro la decisione della Corte di appello di Milano l'amministrazione ha proposto ricorso innanzi alla Corte di cassazione.
  Considerata la rilevanza della problematica e in attesa della definizione del giudizio in Cassazione, il Dipartimento della gioventù e del Servizio civile nazionale, prima dell'adozione dei bandi per il 2013, ha ritenuto quindi opportuno interessare l'Avvocatura generale dello Stato in ordine agli adempimenti da porre in essere.
  Infatti da un lato, l'ammissione degli stranieri alle selezioni imposta dalla decisione della Corte di appello di Milano avrebbe concretizzato una palese violazione della normativa vigente, dall'altro la previsione del requisito della cittadinanza italiana per partecipare alle selezioni, avrebbe potuto essere interpretata come una mancata osservanza della pronuncia del giudice del lavoro.
  L'Avvocatura dello Stato, con i pareri resi il 24 luglio 2012 e il 26 settembre 2013, si è espressa in favore della riserva ai soli cittadini italiani, secondo quanto previsto dalla attuale normativa, considerandola non in contrasto con i principi comunitari e coerente con quelli affermati dalla Corte costituzionale (sentenze n. 228 del 2004 e n. 431 del 2005).
  L'Avvocatura ha inoltre affermato che la decisione della Corte d'appello di Milano era circoscritta al bando 2011, non avendo il giudice disposto nella decisione l'inserimento di una clausola di ammissione degli stranieri nei bandi futuri.
  Ciò premesso sono stati emanati nel 2013 due bandi straordinari e, da ultimo, il bando ordinario del 4 ottobre 2013 che ha mantenuto il requisito della cittadinanza italiana per la partecipazione al Servizio civile nazionale.
  Quest'ultimo bando è stato oggetto di un ulteriore contenzioso, provvisoriamente deciso con l'ordinanza n. 14219 del 18 novembre 2013, per garantire la parità di accesso alle selezioni dei volontari anche ai cittadini comunitari ed extracomunitari regolarmente soggiornanti sul territorio nazionale.
  Al riguardo si fa presente che, a seguito della notifica dell'ordinanza avvenuta il 25 novembre 2013, l'amministrazione ha chiesto all'Avvocatura distrettuale dello Stato di proporre appello, in quanto il giudice ha formulato una accezione ampia del termine «cittadino» da intendersi riferito al soggetto che appartiene stabilmente e regolarmente alla comunità italiana. Ciò attraverso una interpretazione estensiva dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 77 del 2002, la cui legittimità è già al vaglio della Corte di cassazione nel giudizio instaurato avverso la sentenza n. 2183 del 2012 della Corte di appello di Milano.
  Contestualmente l'amministrazione, tenuta a dare comunque esecuzione all'ordinanza, ha chiesto la collaborazione dell'Avvocatura generale riscontrando obiettive difficoltà ad ottemperare all'ordinanza del giudice di Milano.
  Infatti l'Autorità giudiziaria non ha fornito elementi sufficienti ad individuare correttamente la categoria dei soggetti destinatari della decisione, né ha tenuto conto delle criticità derivanti dall'apertura agli stranieri in relazione ai requisiti per la selezione (come ad esempio, la conoscenza della lingua italiana o la valutazione dei titoli di studio conseguiti all'estero che comporta l'attribuzione di un punteggio rilevante nel giudizio complessivo).
  L'Avvocatura generale ha fornito elementi utili a dirimere i dubbi dell'amministrazione; pertanto il Dipartimento della gioventù e del Servizio civile nazionale il 4 dicembre provveduto a riaprire fino al 16 dicembre i termini dei bandi (nazionale e delle regioni e province autonome).
  Questa riapertura consentirà ai cittadini dell'Unione europea, ai familiari dei cittadini dell'Unione europea non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, ai titolari del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, ai titolari di permesso di soggiorno per asilo e ai titolari di permesso per protezione sussidiaria di presentare le domande per la partecipazione a progetti di volontariato in Italia e all'estero.
  Questo elenco deriva dalle sole ipotesi possibili in base alle attuali leggi sull'immigrazione e l'asilo.
  Si è dovuto ricorrere a tali specificazioni per superare la generica indicazione del tribunale di Milano, con riserva dell'esito del relativo giudizio di appello.
  Pertanto anche la valutazione delle domande di partecipazione alla selezione sarà necessariamente effettuata con riserva.
  Ritengo quindi che il Governo abbia posto in essere tutte le possibili misure per affrontare questa problematica urgente e controversa.
  Al riguardo è bene tener presente anche che l'orientamento della giurisprudenza non è univoco e si è in attesa delle decisioni della Corte di cassazione.
  In tale ottica, sarebbe opportuna una riflessione sul sistema del Servizio civile nazionale ad iniziare dal collegamento con l'obiezione di coscienza e la sospensione della leva obbligatoria e un approfondito esame in sede parlamentare della riforma complessiva del Servizio civile nazionale.

Il Ministro per l'integrazioneCécile Kyenge.


   SORIAL e COMINARDI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo fonti di stampa lo stabilimento di Manerbio (BS) della multinazionale belga-tedesca Agfa verrà chiuso e così resteranno a breve a casa i 120 lavoratori bresciani ora in cassa integrazione straordinaria per cessata attività, visto che l'azienda chiuderà definitivamente nel giugno 2014;
   la decisione è stata confermata a Roma all'incontro al Ministero dello sviluppo economico tra gli altri con i rappresentanti del Governo e i sindacati bresciani di Fim e Fiom;
   l'azienda sembrerebbe avanzare una proposta per il futuro del sito: realizzare un nuovo piano territoriale sul quale, con l'aiuto della regione, non si tirerebbe indietro –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di propria competenza, anche in termini di moral suasion, il Governo intenda adottare a tutela dei 120 lavoratori coinvolti dal rischio di perdita del posto di lavoro. (4-02303)

  Risposta. — La multinazionale belga Agfa ha annunciato, com’è noto, la chiusura dello stabilimento di Manerbio (Brescia), motivando tale notizia dalla necessità di affrontare in modo strutturale un programma di razionalizzazione dei propri siti produttivi.
  Il declino della domanda di lastre analogiche e digitali da un lato e dall'altro la riduzione degli stampati pubblicitari su giornali e riviste hanno contribuito al restringimento del mercato di riferimento con effetti sia occupazionali sia produttivi sui siti industriali Agfa.
  Il Ministero ha seguito prontamente le problematiche, per affrontare le quali è stato già aperto un tavolo di confronto.
  Alla riunione hanno partecipato tutte le parti coinvolte inclusi i vertici della multinazionale, le organizzazioni sindacali e alcuni esponenti politici.
  In tale sede la multinazionale ha confermato la propria volontà anche a causa dei costi non più sostenibili, pur tuttavia con la disponibilità a favorire soluzioni alternative.
  Il Ministero continuerà a monitorare la vertenza anche in sinergia con la regione Lombardia e avrà cura di aggiornare tali notizie alla luce dei futuri sviluppi.
  Il Ministero del lavoro ha comunicato a riguardo che per la sede di Manerbio è stata presentata istanza, dalla società in questione, per l'approvazione di un programma di crisi aziendale che interesserà 115 lavoratori. Attualmente la richiesta è in fase d'istruttoria presso gli uffici del medesimo Ministero.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   VENTRICELLI, CASSANO, DECARO, GINEFRA, GRASSI, ORFINI e PISICCHIO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   nel 1999 nella città di Altamura, in provincia di Bari, durante alcuni scavi in una cava abbandonata in località Pontrelli, sono state rinvenute oltre ventimila impronte di dinosauro. La cava insiste su una roccia calcarea, indicata nel linguaggio geologico «Calcare di Altamura», su circa 12.000 metri quadrati sono impresse su un'unica superficie di strato, migliaia di impronte. Le numerose forme presenti suggeriscono un indice di diversità biologica piuttosto elevato e, inoltre, le dimensioni più piccole rispetto a quelle finora conosciute, rendono il sito di Altamura unico nel suo genere;
   l'unicità di questo ritrovamento ha reso la zona il sito paleontologico più ricco e importante d'Europa – che probabilmente non ha altri eguali nel resto del Pianeta –, vista anche l'elevatissima biodiversità rilevata che caratterizzava gli individui presenti contemporaneamente nello stesso luogo;
   le impronte repertate risalgono al cretacico superiore, tra i 70 e gli 80 milioni di anni fa, quando il clima in Puglia era di tipo tropicale (caldo umido), e testimoniano la presenza di oltre duecento animali appartenenti almeno a cinque gruppi diversi di dinosauri, erbivori e anche carnivori;
   a proposito di tali ritrovamenti, gli studiosi parlano di una scoperta di importanza mondiale: le orme sono organizzate in vere e proprie piste, e sono così ben conservate da fornire informazioni sull'apparato motorio-scheletrico, la postura e l'andatura degli animali. Sono arrivate fino ai giorni nostri, probabilmente, per la presenza, nel terreno paludoso, di tappeti di alghe che ne hanno permesso la cementazione. Dalla lettura delle impronte, e soprattutto dall'analisi delle piste, si evincerebbe che si trattava di una tranquilla zona di pascolo per grandi erbivori;
   una volta fatta tale scoperta, c’è stato un grande interesse per l'intera zona: nei primi 2 anni sono arrivati ad Altamura migliaia di visitatori ma poi, lentamente, i proprietari della cava hanno deciso di chiudere l'ingresso al pubblico per mancanza di servizi e dotazioni di sicurezza. Tale decisione ha comportato una grave perdita: sia per tutti coloro che avrebbero voluto visitare il sito e non hanno potuto farlo, sia per lo stato di conservazione delle impronte, che continuano a degradarsi a causa degli agenti atmosferici ostili;
   la situazione, però, è resa ancora più complicata da ulteriori circostanze: il terreno della cava è di proprietà privata e non si è ancora riuscito a trovare un accordo definitivo e soddisfacente con le istituzioni pubbliche. L'intera area copre 175 mila metri quadri, e la superficie in cui le impronte sono state rilevate è di 17 mila metri quadri;
   uno degli ostacoli maggiori è dettato dalla difficoltà di riuscire a quantificare il valore del sito; la stessa società che ne detiene la proprietà, alcuni anni fa ha proposto una perequazione urbanistica con il comune di Altamura di 8 milioni di euro, per trasformare un terreno della società da agricolo a edificabile con fabbricati che abbiano una cubatura equivalente a un valore di 8 milioni di euro. Il comune non ha accettato, ma non è ancora stata trovata la giusta formula per salvaguardare il sito di Cava Pontrelli;
   dal 1999 ad oggi, l'interesse di molti cittadini verso il sito è confluito verso l'imprescindibile esigenza di dare un apporto diretto per difendere l'importante area paleontologica, il «Movimento Culturale Spiragli» che nella loro continua battaglia per la tutela di Cava Pontrelli, sono promotori dell'importanza di effettuare prima possibile un'ulteriore e accurata ricognizione dello stato dei luoghi, e dell'assoluta urgenza di tutelare e salvaguardare la paleo-superficie. In tal senso, per tramite del paleontologo Marco Petruzzelli, sono recentemente riusciti ad ottenere la disponibilità di scienziati di Manchester, Barcellona, Kracovia, Varsavia, e americani del Roky Mountain Museum e Black Hills Museum, interessati ad occuparsi;
   anche le istituzioni hanno inoltre sempre confermato il loro interesse alla risoluzione del problema, che ha avuto, in primis, come ostacolo principale la questione relativa alla proprietà nelle mani di una società privata;
   nel novembre del 2000, la paleo-superficie su cui insistono le migliaia di orme fossili di dinosauro è stata sottoposta a vincolo diretto (paleontologico) ed è stata acquisita, da tempo, al patrimonio pubblico in quanto il direttore del Ministero per i beni culturali, il 7 dicembre 2000, ha dichiarato che: «le impronte di dinosauro... appartenenti allo Stato» disponendo, in questo modo, l'inserimento di tali beni nell'elenco dei beni demaniali;
   dopo tale intervento rimane di proprietà privata la sola cava, ossia la pietraia circostante. Fino a questo momento, però, nessun ente preposto (Ministero, soprintendenza, amministrazione comunale e tutti gli altri enti locali) ha pensato di far valere una normale servitù di passaggio per l'accesso alla paleo-superficie, ossia a quello che è già patrimonio pubblico, un bene demaniale;
   dopo numerosi tentativi di accordo tra le istituzioni pubbliche e la proprietà, falliti negli scorsi anni, nel 2011 è stata avviata la pratica del Ministero per i beni e le attività culturali per l'esproprio. La soprintendenza per i beni archeologici della Puglia ha terminato la fase istruttoria per la stima del bene, e attualmente si attende che il Ministero decida, anche in base ai fondi disponibili, se procedere all'esproprio;
   gli ostacoli maggiori, tra i tanti, che hanno fino a questo momento impedito che Cava Pontrelli passasse da una proprietà privata a quella pubblica, sono stati determinati dalla difficoltà di ottenere la valutazione del bene, che non può essere fatta da un privato, ma deve essere determinata da un soggetto pubblico, come per l'appunto il Ministero per i beni e le attività culturali;
   ottenuto l'esproprio da parte dello Stato, poi, sarà necessario decidere se Cava Pontrelli sarà gestita da un ente statale o se verrà concessa una delega al comune di Altamura perché l'area possa essere amministrata e gestita direttamente dalla città murgiana; nel momento in cui sarà determinato il trasferimento di proprietà allo Stato e il bene diverrà pubblico, sarà possibile presentare progetti e valorizzare al meglio l'area archeologica, anche accedendo ai finanziamenti europei per la cultura –:
   se i Ministri interrogati non ritengano necessario intervenire, per quanto di competenza, affinché venga finalmente chiarita l'annosa vicenda che riguarda Cava Pontrelli in merito alle urgenti questioni:
    a) che attualmente impediscono la giusta valorizzazione della preziosa area archeologica;
    b) che mettono a rischio l'intera area, poiché in questi 14 anni di attesa e incertezze le 500 orme di dinosauro rimaste a cielo aperto sono state inesorabilmente rovinate dalla pioggia e dal vento, portando ad una perdita di un patrimonio di inestimabile valore;
    c) che hanno impedito la giusta valorizzazione di un'area che potrebbe portare alla città di Altamura e a tutti i paesi limitrofi importanti introiti legati ad un imponente flusso turistico;
    d) che necessitano di un'accurata e ulteriore ricognizione dello stato dei luoghi per mettere a punto un imprescindibile piano di conservazione degli stessi;
    e) che abbiano tra gli obiettivi principali la tutela e la salvaguardia della paleo-superficie, stanziando fondi per il recupero e la protezione delle orme danneggiate e, parallelamente, per uno studio specifico delle orme stesse, coinvolgendo a questo proposito il mondo scientifico. (4-00279)

  Risposta. — Si fa riferimento all'interrogazione in esame con la quale l'interrogante chiede quali provvedimenti il Governo intenda assumere al fine di garantire il tempestivo recupero del giacimento paleontologico sito nei pressi di Altamura in provincia di Bari.
  Al riguardo si comunica quanto segue.
  In primo luogo, lo scrivente Ministero concorda pienamente con quanto riferito dagli interroganti in merito all'altissima rilevanza scientifica del sito e alla possibilità che esso, una volta acquisito al patrimonio dello Stato, possa essere oggetto di interventi di valorizzazione con importanti ricadute, anche di carattere economico, sullo sviluppo del territorio.
  L'area in questione, infatti, è soggetta a provvedimento di vincolo diretto e indiretto con prescrizioni in base al decreto di vincolo del 24 novembre 2000 e il giacimento è stato immesso tra i beni del demanio con declaratoria del 7 dicembre 2000.
  Va, altresì, rilevato che, sulla base di quanto consentito dalla legge e previsto dal predetto decreto di vincolo del 24 novembre 2000, sono già stati messi in atto, a spese dell'amministrazione, interventi conservativi tesi, soprattutto, alla deviazione delle acque piovane di superficie e ad evitare il dilavamento dei terreni delle scarpate circostanti alla paleosuperficie e quindi la possibile erosione delle impronte. Il costante monitoraggio del sito, effettuato a cura di tecnici della competente Soprintendenza, e recenti riscontri eseguiti congiuntamente a tecnici dell'Istituto superiore per la conservazione e il restauro di questo Ministero non hanno evidenziato danni rilevanti alla paleosuperficie, se non interventi illegali di asporto delle aree concrezionate che sigillano le impronte, più volte denunciati alle autorità competenti.
  Al fine di mettere in atto più organici progetti di tutela e valorizzazione, si è ritenuto indispensabile acquisire la piena disponibilità dell'area attraverso il ricorso all'istituto della espropriazione per pubblica utilità, prevista dagli articoli 95 e seguenti del decreto legislativo 42 del 2004.
  A tal fine, con nota prot. n. 2116 del 14 febbraio 2013, la soprintendenza ha notificato alla società Ecospi srl, proprietaria della cava, l'avvio del procedimento di dichiarazione di pubblica utilità.
  La Ecospi srl, dopo formale accesso agli atti ai sensi dell'articolo 22 della legge n. 241 del 1990, ha trasmesso, in data 19 marzo 2013, le proprie obiezioni in merito alla stima della cava, valutata dalla stessa in 8.690.650,00 di euro, stima estremamente distante rispetto a quanto reputato dall'amministrazione che ritiene congrua la somma di 353.672,00 euro).
  In considerazione della circostanza che le aspettative economiche della società proprietaria sono così distanti dalla valutazione determinata dalla Soprintendenza e che perseguire un'acquisizione con simili sfavorevoli premesse può espone l'amministrazione al pericolo di lunghi contenziosi, prima di decidere sul prosieguo della procedura espropriativa la direzione generale per le antichità ha proposto la verifica di una possibilità di accordo, da elaborare sulla base dei parametri di valutazione adottati dalla Soprintendenza o, in alternativa, la valutazione di una valorizzazione dell'area con il coinvolgimento degli enti locali.
  Nel merito delle altre questioni poste dagli interroganti, va evidenziato che, contrariamente a quanto sostenuto nell'interrogazione, non è prevista da alcuna legge dello Stato la possibilità che, a seguito della notifica dell'avvio di un procedimento espropriativo, l'amministrazione acquisisca il diritto ad occupare per due anni un'area di proprietà privata.
  Vale, inoltre, la pena sottolineare che la Soprintendenza per i beni archeologici di concerto con la direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Puglia, in collaborazione con studiosi di chiara fama a livello internazionale, conduce da anni attività di studio e analisi scientifica, oltre che di tutela e conservazione, dell'intero palinsesto paleontologico e preistorico del territorio di Altamura che comprende, oltre al sito paleontologico di cava Pontrielli, evidenze di non minore interesse quali le grotte di Lamalunga e della Pecora, e il Pulo. Al tempo stesso è già in via di definizione, con la regione Puglia, l'ente parco della Alta Murgia e, con il comune di Altamura, l'elaborazione di un progetto di valorizzazione dell'area archeologica e del conseguente possibile modello di gestione la cui realizzazione sarà naturalmente possibile solo nel caso si concluda positivamente la vicenda dell'acquisizione dell'area.
  Da ultimo, la Soprintendenza ha comunicato che è in fase avanzata di negoziazione una convenzione con il dipartimento di scienza della terra dell'università di Bari per un progetto di intervento di documentazione e messa in sicurezza del sito e che il sindaco del comune di Altamura avrebbe dato la propria disponibilità a reperire fondi per l'acquisizione della cava.

Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismoMassimo Bray.


   ZARATTI e PIAZZONI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   tra mercoledì 27 e giovedì 28 novembre 2013 sono stati fermati dalla polizia di Varsavia 149 connazionali, che si erano recati nella capitale polacca per assistere all'incontro di calcio tra la squadra della Lazio e il Legia Varsavia, in programma per la sera di giovedì 28 novembre;
   dopo i procedimenti con rito abbreviato, svoltisi sabato 30 novembre, nei confronti dei tifosi in stato di fermo presso diversi commissariati della città, ventidue dei centoquarantanove connazionali sono stati trattenuti mentre tutti gli altri sono stati liberati, dopo il pagamento di un'ammenda, a fronte in molti casi dell'assunzione di responsabilità per reati mai commessi;
   i connazionali trattenuti, accusati di adunata sediziosa e aggressione a pubblico ufficiale, sono stati processati per direttissima e condannati a pene non definitive di alcuni mesi o sottoposti ad indagini preliminari con due mesi di custodia cautelare;
   numerose testimonianze dirette dei nostri connazionali coinvolti hanno posto in evidenza le condizioni lesive della dignità della persona alle quali sono stati costretti durante la loro detenzione e l'assenza di minimi diritti di garanzia per la difesa nei giudizi ai quali sono stati sottoposti –:
   in quali forme e tempi l'ambasciata italiana a Varsavia si sia attivata per garantire assistenza ai connazionali coinvolti nella vicenda;
   se e quando il Ministro degli affari esteri sia intervenuto presso le autorità polacche per chiedere immediati ed urgenti chiarimenti sul comportamento delle forze dell'ordine e sul trattamento riservato ai nostri connazionali;
   se siano stati concessi dalle autorità polacche permessi a favore dell'ambasciata e dei parenti a visitare in carcere i connazionali fermati;
   quali azioni intenda il Governo intraprendere perché venga disposto l'immediato rientro nel nostro Paese dei ventidue cittadini italiani ancora trattenuti a Varsavia. (4-02883)

  Risposta. — In relazione alla nota vicenda del fermo dei tifosi italiani in Polonia in occasione della partita di calcio Legia Varsavia – Lazio, fornisco gli aggiornamenti richiesti sulla situazione già descritta nel corso dell'informativa svolta alla Camera dei deputati pochi giorni martedì 3 dicembre 2013.
  L'evoluzione della situazione è stata seguita con grande attenzione dall'ambasciata, dalla Farnesina e dalla Ministro Bonino personalmente.
  Si è già avuto occasione di illustrare, nel corso dell'informativa citata, i principali interventi compiuti in favore dei nostri connazionali dalla signora Ministro – che ha avuto più di un colloquio telefonico con il suo omologo Sikorski chiedendo che si potesse pervenire a una soluzione positiva per i connazionali ancora trattenuti e che forse fatta chiarezza sulla dinamica e vastità degli arresti iniziali. Ricordo che la signora Ministro ha altresì sensibilizzato il viceministro degli Esteri polacco a margine della ministeriale NATO dello scorso 3 dicembre.
  Come si è rilevato in Parlamento, uno sforzo organizzativo molto rilevante è stato messo in atto dal Ministero, dall'ambasciata e dall'ambasciatore Guariglia in prima persona, per fornire assistenza ai fermati e rappresentare al massimo livello l'attesa italiana di risolvere rapidamente i casi. Prosegue in queste ore lo sforzo teso a favorire il rilascio di quanti sono ancora detenuti e il chiarimento delle circostanze in cui sono stati adottati i provvedimenti di fermo da parte delle autorità di polizia nella capitale polacca.
  Si desidera inoltre mettere in luce che, a margine del vertice bilaterale italo polacco svoltosi a Varsavia, il Presidente del Consiglio Letta ha avuto un colloquio con il Primo Ministro polacco, Donald Tusk. In particolare, il Presidente Letta ha fatto stato della grandissima sensibilità che l'intera vicenda sta suscitando presso l'opinione pubblica italiana, presso il Parlamento e presso il Governo. Egli ha quindi chiesto al suo interlocutore, nel rispetto della legislazione polacca e della separazione dei poteri dello Stato, ogni possibile intervento volto a rendere più rapidi i procedimenti giudiziari in corso in modo da pervenire, il più celermente possibile, ad una soluzione positiva.
  Il Primo Ministro Tusk, per parte sua, ha condiviso la preoccupazione dei familiari e dell'opinione pubblica italiana e ha assicurato che avrebbe fatto tutto il possibile a favore di procedure più spedite.
  Il Presidente del Consiglio, al termine del vertice, ha incontrato nella sede dell'ambasciata due rappresentanti dei genitori. Il Presidente Letta ha confermato l'impegno del Governo e ha informato i nostri connazionali delle assicurazioni ricevute dal Primo Ministro polacco.
  L'ambasciatore Guariglia nei giorni scorsi ha incontrato il procuratore generale, Seremek – già precedentemente sensibilizzato – e gli ha espresso la nostra richiesta, nel rispetto delle leggi polacche, per una rapida trattazione di tutte le istanze presentate dagli avvocati al fine di pervenire alla scarcerazione dei nostri connazionali. Egli ha avuto analogo incontro con il presidente del tribunale circoscrizionale di Varsavia, Kluziak. L'ambasciata ha mantenuto costanti, discreti contatti sia con i procuratori che con i giudici implicati nella trattazione dei
dossiers dei nostri connazionali.
  Per ciò che concerne i punti sollevati in merito alla presunta «inerzia» iniziale dell'ambasciata e della Farnesina, si fa presente che si è assicurato tutto il possibile supporto: naturalmente, il numero di fermati era tale da rendere materialmente impossibile per i funzionari dell'ambasciata essere contemporaneamente presente a tutti i processi o potere assistere direttamente ognuno dei fermati. Segnalo che l'ambasciata a Varsavia, nell'istituire un'apposita «unità di crisi», ha pubblicato sul proprio sito
internet numeri di telefono fissi e mobili da contattare, assicurando, attraverso questo canale, una costante reperibilità.
  In tutti questi giorni è continuato l'afflusso in ambasciata di parenti ed amici dei connazionali detenuti, cui è stato offerto ogni possibile aiuto. Le famiglie dei detenuti stanno valutando insieme agli avvocati la linea da tenere nei procedimenti giudiziari in corso, che vedono – ad oggi – quattro persone sottoposte a supplemento di indagini e dieci già processate per direttissima. Otto persone che erano state sottoposte a supplemento di indagini, infatti, sono state liberate tra ieri e oggi a seguito di patteggiamento. Ulteriori patteggiamenti sono previsti martedì prossimo, per i restanti quattro connazionali sottoposti a supplemento di indagini.
  Si ricorda che il Ministero dell'interno polacco dispone di documentazione fotografica dalla quale si evince che alcuni dei fermati erano effettivamente in possesso di armi improprie.
  Con riferimento, da ultimo, all'assistenza legale ed alle condizioni detentive dei connazionali, si rappresenta quanto segue: i connazionali sono assistiti da un legale e gli stessi, in occasione delle varie visite consolari effettuate da personale dell'ambasciata, sono apparsi in buono stato psico-fisico. Il funzionario del Ministero dell'interno italiano appositamente inviato a Varsavia ha redatto una relazione secondo cui il comportamento della polizia polacca sarebbe stato conforme alle norme dell'ordinamento locale, norme che tuttavia sono diverse rispetto a quelle italiane applicabili in circostanze analoghe. Lamentele sono state riferite relativamente alle condizione in alcuni dei diversi commissariati in cui erano stati inizialmente trattenuti i 149 fermati. Le autorità italiane hanno in proposito preteso chiarimenti.
  La Farnesina, su istruzione del Ministro Bonino, continuerà a prestare ogni possibile assistenza ai connazionali e ai loro familiari, in stretto contatto con le autorità polacche, con l'obiettivo di una rapida e definitiva soluzione della vicenda.

Il Viceministro degli affari esteriMarta Dassù.