Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 13 dicembre 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    la regolamentazione costituisce un elemento essenziale della società moderna e della buona governance. Una regolamentazione a livello dell'Unione europea apporta un valore aggiunto in settori quali la concorrenza, il commercio e il mercato interno, per instaurare condizioni di concorrenza uniformi che creino opportunità alle imprese, ai lavoratori e ai consumatori;
    essa tutela inoltre la salute e la sicurezza dei cittadini, dei consumatori e dei lavoratori. Il diritto europeo forgia un quadro comune che allinea 28 diverse legislazioni nazionali o che si sostituisce ad esse; permette agli Stati membri di lavorare insieme per garantire i diritti e le libertà fondamentali, creare opportunità che siano per natura transfrontaliere – come quelle offerte da Internet o dalla mobilità professionale – e affrontare cambiamento climatico, l'inquinamento ambientale, le minacce alla salute di animali e piante;
    spesso, però, la regolamentazione dell'Unione europea viene accusata di imporre una quantità eccessiva di condizioni che soffocano le imprese, soprattutto le più piccole;
    per rispondere a tale problematica, negli ultimi anni la Commissione ha posto in atto uno sforzo concertato per snellire la legislazione e ridurre gli oneri regolamentari;
    dal 2005 ha approvato 660 iniziative di semplificazione, codificazione o rifusione. Sono stati abrogati più di 5.590 atti legislativi. Il nuovo quadro legislativo per i prodotti comporta sostanziali semplificazioni della regolamentazione e una riduzione degli oneri gravanti sulle imprese in molti settori – agricoltura, statistica, salute degli animali e delle piante, IVA, trasporti, appalti pubblici, conti annuali, per citarne solo alcuni;
    nel dicembre 2012 la Commissione ha avviato il Programma di controllo dell'adeguatezza e dell'efficacia della regolamentazione (REFIT), che traduce il suo attuale impegno a favore di un quadro regolamentare semplice, chiaro, stabile e prevedibile per le imprese, i lavoratori e i cittadini. REFIT è un programma di revisione dell'intero corpus legislativo dell'Unione europea finalizzato a individuare oneri, incoerenze, lacune o misure inefficaci e a presentare le proposte necessarie per dar seguito ai risultati di tale esame;
    nell'ambito del programma REFIT la Commissione ha comunicato di voler prendere in considerazione anche l'idea di ritirare la proposta di direttiva «Suolo» che, a partire dalla Strategia tematica sul suolo, adottata nel 2006, prevede l'istituzione di un quadro comune per la difesa del suolo con particolare riferimento al consumo di suolo e all'individuazione delle aree a rischio di erosione, diminuzione di materia organica, compattazione, frane, e dei siti contaminati;
    la proposta di direttiva quadro sul suolo, che è stata da sempre vista con favore dal Governo italiano, prevede misure importanti per la difesa del suolo, anche in vista della necessità di adattamento alle conseguenze inevitabili del cambiamento climatico, e per la bonifica dei siti contaminati, nonché strumenti per garantire l'attuazione di un inventario dei siti contaminati, di una strategia nazionale di bonifica dei siti contaminati e di un meccanismo di finanziamento per bonifica dei siti «orfani»;
    la definizione di un quadro normativo europeo sulla protezione del suolo e in particolare sui siti contaminati garantirebbe maggiore solidità alle politiche nazionali e consentirebbe di evitare potenziali distorsioni di mercato connesse ai differenti obblighi, normativi e non, vigenti negli Stati membri. È per questo motivo che la proposta di direttiva quadro sul suolo era stata accolta con favore anche dal comparto industriale a livello nazionale;
    le problematiche relative alla protezione del suolo e alle bonifiche sono particolarmente sentite e rilevanti per l'Italia come dimostrano i recenti drammatici fatti di cronaca (alluvione in Sardegna, caso Ilva di Taranto, e altro) e i dati impressionanti relativi all'aumento costante del consumo di suolo in Italia (8 metri quadrati al secondo, secondo i dati ISPRA);
    il Governo e il Parlamento italiano sono da sempre attenti alle tematiche inerenti alla protezione del suolo e alle bonifiche come dimostrano le relazioni della Commissione parlamentare d'inchiesta sugli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti della XVI Legislatura, e i numerosi progetti di legge presentati dal Governo e dal Parlamento in tema di consumo di suolo,

impegna il Governo:

   a segnalare, nelle sedi opportune, alla Commissione europea la necessità di riprendere i lavori di concertazione sulla proposta di direttiva quadro sul suolo, anche in vista del semestre di Presidenza italiana, affinché l'intera Unione europea possa continuare sulla strada della crescita economica e della creazione di occupazione in un mercato trasparente e giusto, anziché falsato da interpretazioni normative parziali e dannose per il sistema economico di alcuni dei Paesi membri dell'Unione europea;
   a garantire alla Commissione europea il massimo supporto per una revisione della proposta di direttiva quadro sul suolo che consenta di giungere in tempi brevi ad un voto favorevole del Consiglio;
   ad attuare, anche attraverso una organica revisione della normativa di settore, gli indirizzi e gli strumenti per la protezione del suolo e per la gestione dei siti contaminati, già contenuti nella proposta di direttiva quadro sul suolo.
(1-00285) «Dorina Bianchi, Alli, Garofalo, Tancredi».

ATTI DI CONTROLLO

AFFARI ESTERI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro degli affari esteri, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   il 12 novembre 2013, un servizio del programma televisivo «Le iene» si è occupato della drammatica vicenda che ha come protagonisti la signora Alice Rossini residente a Vimercate (MB), l'ex marito Mohammed Kharat (cittadino siriano) e la loro figlia di quattro anni Houda Emma; va ricordato che il 18 dicembre 2011, Mohammed Kharat sottraeva la piccola Houda (che allora aveva due anni) alla madre facendone perdere traccia;
   tra l'altro, la piccola Houda Emma Kharat è esclusivamente cittadina italiana, non avendo alcun riconoscimento nello Stato siriano, con la precisazione che la signora Alice Rossini e il signor Kharat risultano coniugati (ora separati) solo in Italia, non avendo trascritto il matrimonio in Siria, nel cui territorio vige una legge (cosiddetta sharia) che non riconosce e contrasta con i princìpi dell'ordinamento giuridico italiano; peraltro, la minore, in forza della nota situazione che ha colpito lo Stato siriano dilaniato dalla guerra civile, si vede sottoposta ad un tangibile pericolo di vita e incolumità personale;
   a seguito della condotta del signor Kharat, le autorità giudiziarie italiane hanno dapprima dichiarato la decadenza della potestà genitoriale dello stesso (decreto del tribunale per i minorenni di Milano del 13 marzo 2012, n. 2429/12), e successivamente in sede di separazione giudiziale dei coniugi affidato in via esclusiva la minore Houda Emma alla madre (sentenza n. 1558/13 – tribunale ordinario di Monza);
   come diretta conseguenza, la procura della Repubblica di Monza emetteva mandato di cattura internazionale (cosiddetto MAE), dopo emissione di ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti del reo – oggi – confesso;
   l'inviato de «Le iene», dopo aver parlato con la signora Rossini e dopo aver rintracciato lo zio di Mohammed Kharat, ha, prima, telefonato e poi incontrato lo stesso Kharat (ricercato internazionale) presso un imprecisato luogo sito al confine turco-siriano;
   Mohammed Kharat, mostrando in video una serenità inquietante, dopo aver rassicurato l'inviato sulle condizioni di salute di Houda, ha confessato di aver lasciato l'Italia (destinazione Atene e poi Damasco) senza possedere alcun documento di identità valido in compagnia di una donna italiana, Sabrina Colnaghi di Cornate d'Adda (MB) e della piccola Houda, anch'essa sprovvista di una documento di riconoscimento valido per l'espatrio; ha anche affermato, addirittura, di aver viaggiato sulla stessa tratta di Milano/Malpensa-Atene (volo EasyJet) la settimana precedente al 18 dicembre 2011 al fine di «testare» la fattibilità del suo piano;
   il signor Kharat si è detto disposto a riportare in Italia la bambina a patto che venga ritirato il mandato di cattura internazionale nei suoi confronti e che gli venga rilasciato un passaporto italiano –:
   come sia stato possibile il fatto che una trasmissione televisiva sia arrivata dove, in due anni, non è arrivata né la polizia di Stato, né l'Interpol, né l'ambasciata d'Italia a Damasco;
   come sia possibile che una persona sprovvista di un documento d'identità valido e con due denunce a carico per violenza domestica e aggressione, abbia lasciato l'Italia bypassando ogni tipo di controllo;
   come intenda il Governo intervenire, a fronte delle richieste dell'uomo, per riportare a casa la piccola Houda Emma.
(2-00342) «Manlio Di Stefano, Spadoni, Grande, Scagliusi, Di Battista, Del Grosso, Fico, Nuti».

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PRODANI e MUCCI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri il 15 dicembre 2011 ha confermato la costituzione della «Struttura di missione per il rilancio dell'immagine dell'Italia» alle dirette dipendenze del Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport;
   tra le competenze specifiche della struttura – abolita dal Governo Letta in base al decreto-legge n. 71 del 2013 (convertita con modificazioni dalla legge n. 43 del 2013) sul trasferimento delle competenze in materia turistica dalla Presidenza del Consiglio al Ministero per i beni e le attività culturali – figurano le attività e gli adempimenti necessari alla programmazione, gestione e coordinamento della comunicazione e promozione dell'immagine dell'Italia nel settore turistico;
   particolare attenzione è rivolta al turismo accessibile, definito come l'insieme di servizi e strutture che consentono a clienti con bisogni speciali di fruire di vacanze e tempo libero in modo appagante, senza ostacoli né difficoltà, in condizioni di autonomia, sicurezza e comfort;
   nell'ambito della Struttura operava il «Comitato per la promozione ed il sostegno del Turismo accessibile» con il compito principale di elaborare iniziative per favorire l'accesso e la fruibilità dell'esperienza turistica indipendentemente dalle condizioni fisiche e psichiche;
   il 15 febbraio 2013 alla borsa del turismo di Milano è stato presentato dalla struttura di missione summenzionata il primo Libro Bianco sul turismo accessibile in Italia intitolato «Accessibile è meglio»;
   il documento riporta i dati del Rapporto mondiale sull’handicap – pubblicati nel 2011 dall'organizzazione mondiale della sanità – in base ai quali più di un miliardo di persone nel Mondo vivono con un handicap, circa il 15 per cento della popolazione, in crescita rispetto al 1970 quando era pari al 10 per cento;
   la situazione del nostro Paese è fotografata, invece, dall'indagine «Inclusione sociale delle persone con limitazioni dell'autonomia personale», pubblicata dall'Istat nel dicembre 2012, in base alla quale la popolazione di riferimento è costituita da quasi quattro milioni di persone;
   secondo quest'indagine, sono oltre un milione e mezzo – il 45 per cento del totale di quelle tra i 15 e gli 87 anni con limitazioni funzionali – gli italiani che hanno difficoltà ad effettuare viaggi per vacanza a causa di problemi di salute e il rapporto è direttamente proporzionale all'età;
   risale a più di 10 anni fa il primo progetto nazionale, intitolato «Italia per Tutti», finalizzato a sviluppare un approccio integrato per lo sviluppo dell'offerta turistica accessibile. Da allora fino ad oggi regioni, associazioni e imprese hanno lavorato sia individualmente che insieme per la formazione di un'offerta ospitale accessibile, di cui il Libro Bianco ha censito oltre 360 diverse forme di progettualità;
   ad oggi, però, manca un'organizzazione in grado di mettere a sistema quanto è stato già fatto e non esiste a livello nazionale uno strumento informativo sulle attività realizzate o in corso d'opera;
   lo scorso novembre il Ministro per i beni e le attività culturali e del turismo ha lanciato un bando nazionale rivolto agli operatori pubblici e privati che si sono distinti in iniziative legate al turismo accessibile. La finalità del bando è quella di selezionare tre soggetti che operano nel settore ricettivo, della ristorazione, della fruizione del patrimonio che abbiano effettivamente migliorato le condizioni di accesso ai servizi turistici, elevando gli standard qualitativi;
   l'iniziativa, tesa a conferire un riconoscimento ai vincitori della selezione, è certamente lodevole ma questa particolare offerta turistica necessita di una politica attiva in grado di rendere accessibile a tutti la fruizione di servizi e siti –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per favorire lo sviluppo del turismo accessibile, che costituisce non solo una parte rilevante della filiera di riferimento ma anche un diritto per le persone con disabilità e bisogni specifici che incontrano una serie di ostacoli inaccettabili per lo svolgimento di attività di svago e tempo libero;
   se il Comitato per la promozione ed il sostegno del turismo accessibile sia ancora in funzione e se, in caso contrario, sia intenzione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ricostituirlo;
   se s'intenda realizzare un sistema informatico nazionale in grado di fornire puntualmente informazioni sulle attività legate al turismo accessibile già realizzate o in corso. (5-01721)

 * * *

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZAN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a Jesolo numerosi imprenditori, artigiani, pubblici esercenti e commercianti, sono stati vittime di una truffa da parte di un ragioniere contabile che non ha versato i loro contributi ed imposte per una somma complessiva di oltre due milioni di euro, come ampiamente documentato dalla stampa locale;
   gli stessi imprenditori rischiano oggi di dover chiudere le proprie attività per far fronte ai gravosi oneri relativi ai mancati pagamenti;
   questi imprenditori hanno inviato una lettera alle Commissioni finanze e tesoro del Senato e della Camera come riporta La Nuova Venezia del 26 ottobre 2013 in cui dicono «Siamo piccole aziende, non siamo evasori, e gli oneri pregressi, seppur dilazionati nel tempo che dobbiamo all'erario a causa del comportamento criminoso del nostro consulente fiscale, sommati a imposte e contributi che dovremmo giustamente versare negli anni a seguire, sono per noi un impegno veramente insostenibile. Vogliamo adempiere ai nostri obblighi nei confronti dell'erario, ma, sulla base delle ipotesi di rientro rateizzato prospettateci dall'Agenzia delle Entrate ci è materialmente impossibile onorarli. Ne va del nostro futuro e dell'impegno che abbiamo messo in tanti anni nel nostro lavoro. Alla luce della crisi che attanaglia le imprese e dell'alta pressione fiscale in carico, pagare debiti d'imposta e di contributi, prossime imposte e contributi e poi sanzioni e interessi di mora e spese di incasso, vuol dire per noi venire a pagare più del doppio»;
   quello di Jesolo non è l'unico caso di obblighi fiscali e contributivi non assolti a causa della condotta fraudolenta di consulenti fiscali e tributari –:
   quali misure intenda prendere per sanare la situazione debitoria senza penali e trattamenti vessatori su chi viene truffato avendo agito in buona fede;
   se non ritenga necessario intervenire creando con le associazione di categoria dei commercialisti un fondo destinato alle vittime di truffa. (4-02943)


   CANCELLERI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso:
   i buoni fruttiferi postali qui di seguito denominati B.F.P. – sono titoli emessi dalla Cassa depositi e Prestiti per propri fini istituzionali, garantiti dallo Stato Italiano e collocati in esclusiva da Poste Italiane. I relativi rendimenti sono stabiliti dall'emittente ed approvati dal Ministero dell'economia e delle finanze. I rendimenti e le tabelle con il relativo calcolo sono stampati a tergo, sul retro, di ogni singolo B.F.P.;
   il Ministro del tesoro del Governo Amato con il decreto del 13 giugno 1986 pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 148 del giugno 1986 – detto decreto-legge Gava Goria – ha istituito una nuova serie di buoni con la lettera «Q» e ha stabilito che tutti i buoni postali fruttiferi delle serie precedenti (le serie L, M, N, O) fossero convertiti in titoli della nuova serie Q;
   questa nuova serie Q rappresenta un vero e proprio «declassamento» delle serie interessate, presentando tassi di interesse notevolmente più bassi rispetto a quelli sottoscritti al momento dell'acquisto, comportando la perdita, ovvero la sottrazione di utili per valori compresi tra il 20 per cento e il 50 per cento;
   il nodo fondamentale della vicenda è che di questo declassamento realizzato medianti decreto-legge dallo Stato italiano non venne fatta alcuna comunicazione individuale ai possessori dei B.F.P.;
   nel 2002 il tribunale di Napoli sollevò la questione di legittimità costituzionale di quel decreto-legge sulla base del decreto legislativo n. 284 del 1999 il quale prevedeva che un'eventuale variazione sfavorevole dei tassi di interesse andava comunicata direttamente a tutti i possessori di buoni postali cui sarebbe spettato il diritto di recesso, tutela non prevista nel 1986;
   nel 2003 la Corte Costituzionale con sentenza n. 333 del 2003, dichiarò inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata dal tribunale di Napoli, pur lasciando degli spiragli aperti facendo riferimento a una questione di metodo procedurale della contestazione e non tanto e non solo di merito;
   nel 2007 le sezioni riunite della Corte di Cassazione in seguito a denuncia di altri cittadini con sentenza n. 13979 del 2007, ha stabilito che nella disciplina dei buoni postali fruttiferi dettata dal testo unico approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156, il vincolo contrattuale tra emittente e sottoscrittore dei titoli si forma sulla base dei dati risultanti dal testo dei buoni di volta in volta sottoscritti; ne deriva che il contrasto tra le condizioni, in riferimento al saggio degli interessi, apposte sul titolo e quelle stabilite dal decreto ministeriale che ne disponeva l'emissione deve essere risolto dando la prevalenza alle prime, essendo contrario alla funzione stessa dei buoni postali – destinati ad essere emessi in serie, per rispondere a richieste di un numero indeterminato di sottoscrittori – che le condizioni alle quali l'amministrazione postale si obbliga possano essere, sin da principio, diverse da quelle espressamente rese note al risparmiatore all'atto della sottoscrizione del buono;
   la Corte di Cassazione ha precisato che nella disciplina dei buoni postali fruttiferi, il rapporto tra Poste Italiane Spa e il sottoscrittore dei titoli si forma sulla base dei dati risultanti dal testo dei buoni di volta in volta acquistati;
   il contrasto tra le condizioni indicate sul titolo e quelle stabilite dal decreto ministeriale che ne disponeva remissione, deve essere risolto dando la prevalenza alle prime essendo contrario alla funzione stessa dei buoni postali che le condizioni alle quali le Poste si obbligano possano essere, sin da principio, diverse da quelle espressamente rese note al risparmiatore all'atto della sottoscrizione –:
   se intenda, per quanto di competenza, verificare sulla scorta della sentenza n. 13979 del 2007 delle Sezioni Riunite della Corte di Cassazione quanti dei cittadini che, ad oggi, hanno proposto ricorso sono stati rimborsati di quanto realmente dovuto in base alle tabelle riportate a tergo dei B.F.P;
   se si sia già proceduto al rimborso e in che misura percentuale;
   in virtù della privatizzazione di Poste Italiane avvenuta nel 1998 – quale figura sia oggi preposta all'erogazione e restituzione di quanto sottratto ai possessori dei B.F.P. declassati con decreto-legge n. 148 del 1986. (4-02948)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   GARAVINI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   l'occultamento, nel cosiddetto «armadio della vergogna», scoperto nel 1994 nei locali della procura generale militare di Roma, di 695 fascicoli d'indagine riguardanti alcuni fra i peggiori crimini di guerra nazifascisti commessi durante la seconda guerra mondiale, è stato oggetto dei lavori di una commissione bicamerale d'inchiesta istituita nella XIV Legislatura;
   dopo il ritrovamento dei fascicoli, la procura militare di La Spezia, e successivamente le procure militari di Roma e di Verona, aprirono una serie di procedimenti contro i responsabili ancora in vita, procedimenti che in diversi casi si conclusero con condanne in via definitiva;
   ad oggi sono sedici le inchieste sugli eccidi compiuti dai militari tedeschi ancora aperte e attualmente all'esame delle procure militari di Roma e di Verona;
   attualmente sono due i criminali tedeschi condannati in via definitiva all'ergastolo per la strage di Sant'Anna di Stazzema che sono ancora in vita e non stanno scontando la pena inflittagli dalla giustizia italiana; tre quelli per Marzabotto; uno per gli eccidi di Civitella Val di Chiana, Cornia e San Pancrazio; uno per Branzolino e San Tomè; uno per la Certosa di Farneta; uno per Falzano di Cortona; uno per Monchio-Vallucciole e tre per San Terenzo-Vinca;
   per i condannati definitivi la magistratura militare ha emesso i relativi mandati d'arresto europeo, che la Germania ha tuttavia respinto;
   di fronte ai rifiuti da parte dei tribunali tedeschi di consegnare i condannati, i nostri uffici giudiziari hanno inoltrato al Ministero della giustizia la richiesta di esecuzione della pena in Germania; ad oggi non hanno ricevuto, tranne che in un caso, alcuna risposta, lasciando adito al dubbio se siano le autorità tedesche a doversi ancora pronunciare, o se sia il Governo italiano a non avere mai inoltrato le istanze in Germania;
   la richiesta dalla procura Militare di Verona al Ministero della giustizia per l'esecuzione all'estero della pena per uno dei tre condannati ancora in vita per la stage di Marzabotto è stata rigettata nell'agosto del 2013; si è in attesa di notizie per gli altri due condannati;
   la recente e temporanea reclusione in Germania del condannato per la strage di Falzano di Cortona, Josef Scheungraber, è il risultato di un secondo procedimento attivato successivamente dal tribunale di Monaco e conclusosi con una condanna definitiva tedesca, la cui esecuzione è stata sospesa nel luglio 2012 per le condizioni di salute del condannato;
   la procura di Stoccarda, diversamente da quanto disposto dalla procura di Monaco, ha recentemente rifiutato l'avvio di un procedimento contro alcuni tra i responsabili della strage di Sant'Anna di Stazzema;
   dopo che con una sentenza del 2008 la Corte di cassazione italiana ha condannato la Germania a risarcire i parenti delle vittime della strage di Civitella, Cornia e San Pancrazio, un portavoce del Ministero degli esteri tedesco ha dichiarato che «non è possibile» un risarcimento a «singole persone», come espresso nella decisione della Cassazione, in quanto nella circostanza in questione vige «il principio internazionale dell'immunità degli Stati»; la Germania ha successivamente aperto un contenzioso davanti alla Corte internazionale di Giustizia dell'Aia;
   nel febbraio 2012 la Corte internazionale di giustizia dell'Aia ha deciso che l'Italia ha violato l'immunità della Germania attraverso le sentenze della Corte di cassazione che hanno considerato la Germania responsabile civilmente per i crimini di guerra commessi da suoi cittadini;
   nello stesso mese, l'organizzazione non governativa Amnesty International ha definito la sentenza con la quale la Corte dell'Aia ha dato torto all'Italia un grande passo indietro per quanto riguarda la difesa dei diritti umani;
   le autorità tedesche hanno costantemente dimostrato di considerare il tema della memoria come una priorità etica e civile della Repubblica federale tedesca –:
   se il Ministro della giustizia abbia inoltrato alle autorità tedesche le richieste di esecuzione della pena in Germania per i condannati in via definitiva in Italia ancora in vita e, in caso contrario, per quale ragione non abbia ritenuto di procedere in tale senso. (4-02949)

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INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta scritta:


   FRANCO BORDO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il rapporto «Pendolaria 2013», stilato da Legambiente sullo stato delle tratte ferroviarie del nostro Paese, annovera tra le 10 linee peggiori d'Italia la tratta Mantova-Cremona-Codogno-Milano;
   la tratta in questione registra la presenza di circa diecimila utenti al giorno;
   i numerosi pendolari che fruiscono di tale linea sono obbligati a condizioni di vita inaccettabili per via di quotidiani ritardi e spesso di cancellazioni senza preavviso dei treni previsti;
   il materiale rotabile è tra i più vecchi in circolazione e l'insufficienza del numero delle carrozze costringe spesso i passeggeri a viaggiare in piedi, in treni lenti, sovraffollati e sporchi;
   su questa linea che collega due capoluoghi di provincia con Milano, su 151 chilometri ben 91 chilometri sono a binario semplice e vi sono decine di passaggi a livello, per cui da Mantova per Milano i tempi di percorrenza sono di 2 ore e 10 minuti, mentre da Cremona i tempi sono di un'ora e 10 minuti, esattamente come 40 anni fa;
   la pianura tra le provincie di Lodi-Cremona-Mantova è il tratto centrale di una direttrice di trasporti, la mediopadana, che da anni è al centro delle attenzioni dei vari organi di governo, con la progettazione e realizzazione di ulteriori e costosissimi collegamenti autostradali, volti a creare percorsi est-ovest alternativi alle congestionate reti della fascia pedemontana; opere che hanno un violentissimo impatto in termini ambientali, economico-finanziari e territoriali senza consegnare l'atteso risultato di decongestionamento;
   non risulta negli ultimi anni mai presa in considerazione un potenziamento e/o miglioramento delle tratte ferroviarie esistenti nella Bassa Lombarda, tra cui la linea Mantova-Cremona-Codogno-Milano;
   ogni giorno in Italia oltre 3 milioni di persone si avvalgono del trasporto ferroviario per raggiungere il proprio posto di lavoro/studio e tale massa potrebbe almeno raddoppiare se vi fosse un sistema di trasporto su ferro più efficiente;
   ogni anno in pianura padana il problema delle polveri sottili e dell'inquinamento dell'aria, derivanti per 80 per cento dal traffico veicolare su gomma, provocano centinai di decessi e sono causa della maggiore incidenza delle malattie polmonari;
   regione Lombardia, a parte i continui proclami, mostra un disinteresse totale nei confronti della problematica evidenziata –:
   quali interventi di competenza il Ministro ritenga di adottare al fine di migliorare sensibilmente lo stato della linea citata e, di conseguenza, delle condizioni di vita dei pendolari che fruiscono della tratta sopraccitata;
   quali interventi il Ministro intenda mettere in campo, relativamente all'area geografica sopra descritta, per procedere in direzione di investimenti infrastrutturali alternativi al traffico veicolare su gomma, di persone e merci, che risultino meno impattanti sulla salubrità dell'aria e la salute dei cittadini e che rispondano alle esigenze di uno sviluppo economico, sociale e culturali in linea con le altre regioni europee, parimenti significative come la Lombardia. (4-02942)

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ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CAROCCI, COSCIA, GHIZZONI, MALPEZZI, ROCCHI, MALISANI, BLAZINA, ZAMPA e RAMPI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge 8 novembre 2013, n. 128 recante: «misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca», ha anche dettato disposizioni in tema di personale scolastico e, in particolare, per il personale docente del comparto scuola dichiarato inidoneo alla propria funzione per motivi di salute ma idoneo ad altri compiti, ai fini dell'assunzione, su domanda, della qualifica di assistente amministrativo o tecnico;
   per effetto di quanto disposto dai commi 5 e 7 dell'articolo 15, viene stabilito che in materia di organismi sanitari competenti all'accertamento dell'idoneità per motivi di salute del suddetto personale: «le commissioni mediche sono integrate (....) da un rappresentante del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca designato dal competente ufficio scolastico regionale». Inoltre, viene prevista una verifica straordinaria per i docenti già dichiarati idonei anteriormente alla data di entrata in vigore della norma, stabilendo che anche la nuova visita sarà effettuata a cura: «delle commissioni mediche competenti», integrate secondo le previsioni di cui al comma 5 sopra indicato;
   finora, la materia dell'accertamento dell'inidoneità del personale docente è stata oggetto negli ultimi anni di una serie di interventi sia normativi che contrattuali che hanno individuato nelle commissioni mediche operanti sia presso le asl, sia presso il Ministro dell'economia e delle finanze gli organismi chiamati ad esprimere tipologie di giudizi nei riguardi del personale docente del comparto scuola;
   tuttavia, con la legge di conversione, il predetto riferimento ai collegi costituiti, presso le asl è stato eliminato e, dunque da ora in avanti secondo l'interpretazione fornita dal Ministro dell'economia e delle finanze con la circolare n. 966 del 19 novembre 2013, l'organismo medico-legale competente che dovrà fornire le indicazioni operative sarà il dipartimento dell'amministrazione generale del personale e dei servizi;
   in tal senso, secondo tale restrittiva interpretazione, non sono più legittimate ad accertare l'inidoneità le commissioni mediche già operanti presso le aziende sanitarie locali, come previsto dall'articolo 19, comma 12, del decreto-legge n. 98 del 2011 e il relativo decreto attuativo del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 12 settembre 2011 recante «Immissione in ruolo nei profili professionali di assistente amministrativo e di assistente tecnico del personale docente dichiarato permanentemente inidoneo, per motivi di salute, all'espletamento della funzione docente, ma idoneo ad altri compiti»;
   pertanto, – come sostenuto nella circolare n. 966 – i commi 5 e 7 della citata legge n. 128 del 2013 non facendo più alcun riferimento alle commissioni mediche integrate operanti presso le aziende sanitarie locali, ne avrebbero escluso la competenza ai fini dell'accertamento dell'idoneità o inidoneità del personale docente della scuola alla propria funzione per motivi di salute;
   la circolare n. 966 per giustificare tale dubbia interpretazione segnala come – proprio in ordine alle competenze degli organismi sanitari – sia intervenuta una modifica sostanziale in sede di conversione del decreto-legge che ha eliminato il riferimento – presente nel testo originario – alle commissioni mediche (integrate) operanti presso le asl;
   in base a tale restrittiva interpretazione, gli accertamenti delle condizioni di idoneità del personale docente risultano secondo la circolare n. 966 «di competenza delle Commissioni mediche di verifica di questo Ministero»;
   in base a quanto sopra esposto, «nel momento in cui pervengano alle Commissioni mediche di verifica fascicoli relativi a personale docente della scuola, nei quali si chieda l'accertamento dell'inidoneità alla funzione di docenza, e l'idoneità ad altri compiti, tali fascicoli dovranno essere regolarmente istruiti da parte delle Commissioni mediche di verifica, in quanto nella materia risulta, come detto, operante la competenza delle Commissioni mediche di verifica, e non delle commissione mediche asl»;
   con la circolare n. 966, inoltre, viene anche precisato il ruolo che dovrà svolgere il rappresentante del Ministero dell'istruzioni, dell'università e della ricerca: ruolo che consiste unicamente nel partecipare alla fase conclusiva della procedura sanitaria, ossia all'emissione del conclusivo giudizio medico-legale;
   l'esame fisico e il giudizio diagnostico devono essere effettuati esclusivamente da uno o più medici componenti la commissione;
   infine, in ordine al giudizio di inidoneità o meno alle funzioni di docenza la circolare precisa che l'interessato potrà presentare ricorso in via amministrativa, entro dieci giorni dalla notificazione del giudizio sull'idoneità effettuata a cura dell'amministrazione precedente, alle commissioni mediche di seconda istanza del Ministero della difesa –:
   se non si ritenga che l'interpretazione restrittiva contenuta nella circolare n. 966 del Ministero dell'economia e delle finanze non solo avrà come grave effetto il dilatarsi dei tempi per essere sottoposti alla visita, considerato che la sede della commissione medica di verifica funziona solo in ciascun capoluogo di regione e non in ciascuna sede provinciale dove operano le commissioni mediche dell'Asl, ma determinerà anche maggiori costi che graveranno sul lavoratore che deve intraprendere l’iter;
   se non si ritenga, dunque, di dover assumere iniziative per chiarire in via definitiva l'interpretazione del dettato contenuto nei commi 5 e 7 dell'articolo 15 della legge 8 novembre 2013, n. 128, riportando la verifica delle idoneità anche nell'alveo delle competenze delle commissioni mediche Asl. (5-01720)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   la società Merloni Spa si trova in amministrazione straordinaria e i dipendenti (circa 1400) delle sedi di Fabriano e Nocera Umbra – fino a novembre – hanno goduto del trattamento di cassa integrazione guadagni;
   recentemente in data 5 novembre 2013 in accordo con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è stato sottoscritto l'accordo che proroga per sei mesi la cassa integrazione guadagni per i circa 1400 lavoratori che godono dell'ammortizzatore sociale già in scadenza al 13 novembre scorso fino a maggio 2014;
   Tuttavia – come si apprende dal rappresentante del Comitato dei lavoratori della ex Merloni – a tutt'oggi, nonostante la sottoscrizione da parte del Ministero del lavoro dell'accordo di proroga della cassa integrazione, non risulta «pervenuto» il provvedimento di proroga all'azienda di Fabriano e agli uffici INPS di Perugia;
   l'azienda ex Merloni di Fabriano e gli uffici INPS di Perugia, in assenza del formale provvedimento di proroga, non possono procedere alla richiesta – tramite il modello Sr41 – e alla erogazione della prestazione assistenziale cosicché i lavoratori oggi corrono il serio rischio di rimanere privi di qualsiasi forma di sostegno e di reddito per il mese di dicembre e per quelli a seguire;
   i tempi «burocratici» di erogazione della prestazione rischiano di mettere in grave difficoltà i dipendenti che si troveranno privi di sostegno economico proprio nel mese di dicembre;
   è necessario che il Governo sblocchi al più presto l'erogazione della CIG a favore dei lavoratori che rischiano di rimanere privi di qualsiasi forma di sostegno economico in attesa che venga erogata la prestazione –:
   se sia vero quanto sopra illustrato e quali urgenti iniziative il Ministro intenda intraprendere per ridurre i tempi di erogazione della prestazione CIG e consentire l'immediato sblocco della proroga della cassa integrazione già concessa ai lavoratori della ex Merloni.
(2-00340) «Ciprini, Gallinella».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ALBANELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il settore dei call center – che nella provincia di Catania è un importante fattore di occupazione, impiegando circa 3mila lavoratori a tempo indeterminato e, a seconda dei periodi, tra i 6 mila e i 10 mila i lavoratori con contratto a progetto – sta attraversando una congiuntura fortemente negativa nel nostro Paese, anche a causa della progressiva e apparentemente inarrestabile tendenza alla delocalizzazione dei servizi verso Paesi extraeuropei;
   i rappresentanti della CGIL di Catania nel corso dell'incontro svoltosi alla Camera il 4 dicembre 2013 con il Presidente della Commissione lavoro, Cesare Damiano, e con l'interrogante, hanno evidenziato tale problematica, affermando che sempre più frequentemente le aziende committenti, anche titolari di concessioni governative, trasferiscono all'estero importanti commesse di call center, che in passato hanno impiegato migliaia di giovani italiani;
   durante l'incontro è stata posta l'attenzione anche su altre criticità: il sistema delle aggiudicazioni delle commesse – assegnate mediante il meccanismo del massimo ribasso – che non consente una piena garanzia di un reddito dignitoso, e la differente legislazione sulla tutela e sul trattamento e la conservazione dei dati personali vigente presso alcuni Paesi extraeuropei, che rischia di pregiudicare la privacy e la sicurezza dei cittadini italiani, i cui dati, sono spesso visionati e tracciati;
   gli sforzi dovrebbero essere indirizzati all'adozione di misure volte a prevenire la perdita di ulteriori posti di lavoro e a rafforzare la tutela del reddito dei lavoratori, nonché a preservare la privacy dei dati sensibili dei cittadini italiani;
   la Commissione per i call center istituita nella XV legislatura dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Damiano, – che ha consentito la stabilizzazione di 24 mila lavoratori assunti a tempo indeterminato – dovrebbe rappresentare il modello virtuoso da seguire, al fine di invertire una tendenza che rischia di estromettere dal mercato del lavoro migliaia di addetti che negli ultimi anni hanno sviluppato professionalità di alto livello –:
   quali urgenti iniziative intenda intraprendere allo scopo di tutelare il posto di lavoro e il reddito dei lavoratori italiani impiegati presso i call center, anche mediante l'adozione di provvedimenti volti a incentivare l'occupazione legata a tale settore;
   se sia a conoscenza delle problematiche citate in premessa, relative alla tutela della privacy e, per quanto di propria competenza, quali iniziative, anche di carattere normativo, intenda adottare al fine di assicurare, in ogni caso, la massima garanzia di un utilizzo corretto e coerente con il nostro ordinamento dei dati personali dei cittadini italiani in possesso di società di call center operanti in Paesi extraeuropei. (5-01719)

Interrogazione a risposta scritta:


   BALDASSARRE, BECHIS, ROSTELLATO, COMINARDI, CIPRINI, CHIMIENTI, TRIPIEDI e RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   a seguito degli eventi tragici accaduti a Prato il 1o dicembre 2013 in cui hanno perso la vita 7 lavoratori di nazionalità cinese e numerose altre situazioni analoghe che, si ripetono quotidianamente nel nostro Paese, appare prioritario un intervento volto a tutelare la sicurezza dei lavoratori e altresì una riorganizzazione dei servizi ispettivi in materia di lavoro e previdenza;
   l'articolo 10 del decreto legislativo n. 124 del 2004 secondo cui si prevede l'obbligo per il Ministero del lavoro e delle politiche sociali di istituire una banca-dati telematica con le informazioni relative ai datori di lavoro che hanno avuto ispezioni in materia di lavoro e previdenza appare tuttora inapplicato;
   il secondo comma della suddetta norma secondo cui le diverse amministrazioni interessate avrebbero dovuto reciprocamente comunicarsi i dati dei soggetti ispezionati è rimasto oggettivamente solo un obiettivo sulla carta mai realizzato di fatto;
   tutt'oggi manca ancora una connessione con le banche dati dell'Agenzia delle entrate o della Guardia di finanza con i soggetti interessati dalla suddetta normativa;
   la situazione attuale del sistema di vigilanza in materia di lavoro e previdenza presenta una sovrapposizione e una duplicazione di controlli da parte dei diversi soggetti istituzionali, dotati attualmente di analoghi poteri;
   attualmente, con riferimento alla vigilanza in materia di sicurezza sul lavoro, si delinea una sovrapposizione fra il personale ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e Inail e altresì per quanto concerne l'azione di contrasto al lavoro nero possono intervenire con controlli il personale ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dell'Inps, dell'Inail, della Guardia di finanza;
   analoghe criticità, dovute alla sovrapposizione di competenze fra i vari enti preposti, si possono riscontrare per quello che concerne la vigilanza «ordinaria» e la vigilanza «tecnica» relativamente alla tutela della salute e sicurezza dei lavoratori;
   a parere degli interroganti si rilevano notevoli criticità in questa «organizzazione» disorganizzata, rendendo probabile l'attuazione di più controlli verso lo stesso datore di lavoro effettuati da diversi enti anche in brevi lassi temporali, a fronte di aziende mai – o quasi mai – ispezionate;
   a seguito di comunicazione avvenuta con i soggetti interessati, gli interroganti sono venuti a conoscenza di un incontro – in data 3 settembre 2013 – intercorso fra il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e una delegazione dei vari settori ispettivi operanti attualmente nel sistema di vigilanza in materia di lavoro e previdenza al fine di avanzare proposte a carattere migliorativo dell'attività di vigilanza;
   l'incontro suddetto verteva su: a) il sistema di controlli ridondante delineando la sovrapposizione delle competenze e le criticità nella relativa attività di coordinamento – b) la disorganizzazione dei controlli dovuti alle limitate competenze che ogni singolo ente possiede – c) tutela del cittadino e uguaglianza indipendentemente dall'ente che ha effettuato il controllo – d) tutela dell'imprenditore che ritiene di essere stato sanzionato ingiustamente – e) principio della tutela del lavoro definita come unitaria –:
   quali urgenti interventi il Ministro interrogato intenda intraprendere al fine una reale attuazione della normativa contenuta all'articolo 10 del decreto legislativo n. 124 del 2004 che permetta la realizzazione di una banca dati relativa alle ispezioni;
   se il Ministro interrogato non ritenga necessaria la creazione di un unico ente di vigilanza sul lavoro che consentirebbe una razionalizzazione delle ispezioni svolte dai vari organismi preposti con conseguenti minori spese e maggiore efficacia e coordinamento dei soggetti interessati con una efficacia sicuramente maggiore e benefici sia per le aziende che per i lavoratori stessi;
   se il Ministro interrogato intenda fornire elementi sull'incontro citato in premessa svoltosi in data 3 settembre 2013 e se ritenga che le proposte presentate siano attuabili e in quale misura. (4-02945)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VENTRICELLI, MONGIELLO, BELLANOVA, DECARO, GINEFRA, LOSACCO, MARIANO e SCALFAROTTO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in un periodo di profonda crisi economica, a risentirne è ovviamente anche il settore agroalimentare; secondo Assitol – l'associazione delle industrie olearie italiane –, è un momento decisamente complicato per il settore dell'olio di oliva poiché la produzione cala ma i prezzi non riprendono quota, probabilmente anche a causa del buco produttivo spagnolo, si parla infatti di una produzione calata di oltre il 40 per cento a causa delle difficili condizioni meteo che lo scorso anno hanno ridotto tanto i raccolti quanto le rese delle olive in olio; ma, soprattutto, la causa principale va ricercata nell'attuale fase di stallo dei consumi trainati al ribasso dal difficile momento congiunturale;
   scorrendo i dati di vendita del 2013 «Fra le aziende – come spiega il direttore dell'Assitol, Claudio Ranzani – serpeggia la preoccupazione. Molti prospettando una stagione di rincari, che si immaginava fosse innescata dalla flessione della campagna produttiva (a livello mondiale e trainata dal dato spagnolo, si stima una riduzione del 20 per cento) molte aziende sono corse ai ripari ricorrendo al volano delle scorte. Ma nonostante questo i rincari non si sono verificati e anzi i prezzi all'origine continuare a scendere»; sempre secondo i dati di Assitol, aggiornati allo scorso mese di aprile, sul mercato interno le vendite sono in flessione. «A preoccupare – aggiunge il direttore di Assitol – è che al momento registrano difficoltà sui mercati tutte le principali marche dell'olio italiano. Gli unici a guadagnare qualche punto sono solo private label e il settore dei discount. Altro segnale dello spostamento del mercato sempre più verso le fasce basse di prezzo»;
   come è facile comprendere, la crisi del settore ha conseguenze decisamente preoccupanti su tutto il territorio nazionale ma, soprattutto, su quello pugliese, poiché la Puglia ha una delle maggiori produzioni d'olio d'oliva dell'intero Paese;
   per quanto riguarda tale mercato, infatti, come da controlli periodici effettuati regolarmente sono state rilevate le quotazioni dei prodotti agroalimentari dei mercati pugliesi e all'inizio di ottobre 2013 si è assistito, ancora una volta, a un trend negativo generale delle quotazioni di ortaggi e frutta a ciclo primaverile-estivo, e, in particolare, si segnala il generale calo delle quotazioni degli oli di oliva (da –1,3 a –8,8 per cento): solo nel barese stabili lampante, vergine e Dop «Terre di Bari», mentre sulle piazze salentine il lampante scende dell'8,8 per cento, il vergine del 5,3 per cento e l'extravergine del 3,1 per cento (fonte Ismea);
   un crollo della produzione di questa entità è stato dovuto principalmente alle difficili condizioni meteo che hanno inciso negativamente prima penalizzando la raccolta, e dopo riducendo in maniera considerevole anche rese delle olive nella fase di trasformazione;
   oltre ai danni che ciò ha comportato a livello della produzione locale, bisogna sottolineare che ne ha risentito anche l'esportazione verso i mercati esteri, facendo così aumentare un'importazione non sempre controllabile e controllata che spesso influisce sulla qualità del prodotto finale, creando così un'ulteriore flessione al ribasso dei guadagni, e anche un minore pregio di quello che è sempre stato un olio d'oliva di altissima pregevolezza;
   è da sottolineare, inoltre, che la speculazione colpisce in particolar modo la regione Puglia e, nello specifico, la provincia di Bari;
   si ricorda, a seguire, che per quanto riguarda la merce finita che compare sugli scaffali di negozi e supermercati, l'olio è quasi sempre indicato come un prodotto italiano; in realtà le importazioni di olio d'oliva in Italia sono quasi triplicate negli ultimi vent'anni (+163 per cento), e ad oggi l'Italia risulta il massimo importatore mondiale di olive e di olio, che arrivano per il 74 per cento dalla Spagna, per il 15 per cento dalla Grecia e per il 7 per cento dalla Tunisia: la conclusione è che una larga parte delle bottiglie di olio che acquistiamo in Italia sembrano oli italiani ma non lo sono. Sono, in genere, oli di bassa qualità derivanti dalla lavorazione – in Italia – di olive straniere o direttamente dall'importazione di oli stranieri di bassa qualità e di basso costo, mescolati poi con minime percentuali di olio italiano. In tutti questi casi sull'etichetta deve essere scritto per legge che si tratta di una «miscela di oli comunitari» o «miscela di oli comunitari e extracomunitari», indicazione che però spesso sfugge agli occhi del consumatore medio, essendo scritta a caratteri minuscoli e sovrastata da un marchio italiano e da continui riferimenti all'italianità del prodotto;
   per contrastare tale fenomeno, il Parlamento ha approvato a novembre la cosiddetta legge Mongiello – o legge salva olio made in Italy –, che prevede, in sintesi, reato di contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine (articolo 517-quater del codice penale) indicare sull'etichetta indicazioni fallaci «che evocano una specifica zona geografica di origine degli oli di oliva non corrispondente alla effettiva origine territoriale delle olive»; la legge è entrata ufficialmente in vigore a partire dal giorno 22 novembre 2013. E ora la Commissione Ue ha approvato a Bruxelles (con 283 voti a favore e 69 astensioni) un nuovo regolamento per le etichette degli oli (modifiche al regolamento europeo n. 29/2012 relativo alle norme di commercializzazione e all'etichettatura dell'olio di oliva) che si applicherà a partire dal 13 dicembre 2014 e che prevede che le informazioni in etichetta dovranno essere riportate obbligatoriamente nello stesso campo visivo principale e in un corpo di testo omogeneo, utilizzando caratteri di dimensioni già fissati dal regolamento (CE) n. 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori; per quanto riguarda le bottiglie destinate alla ristorazione gli Stati membri possono stabilire norme a livello nazionale che dispongano l'uso obbligatorio di sistemi di chiusura che ne impediscano il riempimento dopo l'esaurimento del contenuto, dunque una volta aperte le confezioni non saranno più riutilizzabili –:
   se il Ministro interrogato non ritenga urgente e necessario intervenire affinché venga effettuato un attento controllo delle importazioni di olio d'oliva dall'estero, chiedendo inoltre maggiori controlli e l'applicazione della legge sull'etichettatura, poiché il fenomeno del falso extravergine made in Italy sta assumendo da anni delle dimensioni sempre più preoccupanti, con implicazioni negative in termini di diritti dei consumatori e di sicurezza alimentare e con effetti deleteri dal punto di vista economico. (5-01722)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VALLASCAS. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'attuale quadro normativo sulla regolamentazione della pesca del tonno rosso è definito dal decreto 11 marzo 2013 sulla ripartizione delle quote complessive di cattura del tonno rosso per la campagna di pesca 2013 (Gazzetta Ufficiale n. 97 del 26 aprile 2013);
   durante l'attuale campagna di pesca presso le uniche tonnare fisse autorizzate sono site nella Sardegna meridionale e precisamente quelle facenti capo alle società «Carloforte Tonnare P.I.A.M s.r.l.», «Tonnara su Pranu Portoscuso s.r.l.» e «Tonnare Sulcitane s.r.l. e che queste a fronte di un pescato di circa 200 tonnellate, abbiano incredibilmente ricadute quasi impercettibili in termini occupazionali sul territorio di riferimento al punto che ci si chiede dove venga lavorato il pescato;
   alla pratica della tonnara fissa sono state assegnate quote nazionali di pescato inferiori al 5 per cento del pescabile indicate dal succitato decreto;
   la pratica della tonnara fissa è l'unica a garantire una sostenibilità nella sopravvivenza della specie tonno rosso e questa viene invece penalizzata a favore di pratiche devastanti come la cattura con il sistema a circuizione e che tale sistema favorisce l'azione di rapina degli esemplari;
   attraverso la pratica della cattura i tonni vengono trasportati con apposite gabbie sommerse direttamente all'ingrasso in siti di allevamento come quello di Malta, laddove il tonno viene poi lavorato e venduto prevalentemente in Giappone in quasi totale assenza di imposizione fiscale e senza la benché ricaduta in termini occupazionali sull'industria italiana di trasformazione;
   tutti i rapporti internazionali al riguardo riconoscono alla pratica dell'allevamento del tonno elevatissimi rischi di inquinamento ambientale e la responsabilità della pesca indiscriminata volta al soddisfacimento della saturazione degli impianti di allevamento i quali, secondo un ben noto rapporto di Greenpeace hanno una capacità produttiva solo in Italia intorno alle 11.000 tonnellate, a fronte di una quota complessiva autorizzata per il 2013 pari a 1950,42 tonnellate;
   esistono evidenti difficoltà nel garantire i controlli a bordo e durante gli sbarchi sulle quantità e sulle dimensioni effettive del pescato e del catturato che ancor più può essere velocemente liberato in condizioni di rischio di flagranza;
   la progressiva diminuzione della presenza della specie nel mediterraneo non lascia molte speranze sulla sua conservazione e ciò può comportare a breve la chiusura di tutte le attività connesse al suo sfruttamento –:
   quali iniziative intenda porre in essere per conformare la normativa all'esigenza di salvaguardia della specie, al fine di consentire un serio futuro alle attività economiche ad essa correlate e salvaguardare gli interessi dello Stato italiano con riferimento alla sistematica elusione del gettito fiscale perpetrata a fronte della pratica del trasporto del pescato dai nostri mari verso quei mascherati paradisi fiscali, come ad esempio i territori maltesi, magari attraverso l'istituzione, come da più parti richiesta della presenza di autorità di controllo site direttamente a bordo dei natanti in azione di pesca. (4-02946)


   GALLINELLA, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, L'ABBATE, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel corso di un evento tenutosi qualche settimana fa a Roma in materia di potenzialità delle piattaforme digitali, il Ministro interrogato ha affermato che, per rilanciare la crescita del Paese e in particolare del settore agroalimentare, è indispensabile collegare la tradizione e l'innovazione e che è strategica a tal fine la collaborazione con google;
   il Ministro ha quindi accennato alla imminente attivazione di un progetto tra il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e la multinazionale statunitense che rappresenterà un momento di grande comunicazione dell'agroalimentare italiano nel mondo e che potrà offrire numerosi posti di lavoro, soprattutto ai giovani;
   quantunque sia importante sfruttare al massimo le potenzialità offerte dalla rete, soprattutto per quanto riguarda la diffusione del prezioso ed eccellente agroalimentare italiano, le perplessità che un simile progetto può comportare sono molte e vanno dalla possibile, quanto sempre più diffusa, contraffazione on-line dei prodotti alla possibilità che lo strumento non sia adeguato realmente allo scopo da perseguire: diffondere i prodotti di maggiore e migliore qualità;
   è noto infatti che l'algoritmo alla base del funzionamento di google presuppone che i siti web messi in maggiore evidenza – e quindi visualizzati più «in alto» a seguito di una ricerca – siano quelli realizzati al meglio dal punto di vista tecnico ed informatico, il che non assicura, automaticamente il conseguimento dell'obiettivo, ovvero la promozione del prodotto di qualità, posto che non tutte le aziende possiedono siti web realizzati con tutti quegli accorgimenti informatici che permettono di scalare la «classifica» di google;
   a parere degli interroganti, quindi, il progetto in parola dovrebbe tenere nella giusta considerazione questo particolare meccanismo di funzionamento che presenta più di una criticità in ordine agli auspicati benefici per la qualità agroalimentare italiana, avvantaggiando invece aziende che, presentandosi sul web con siti tecnicamente impeccabili, godono di un «posizionamento» privilegiato per apparire nelle prime pagine dei risultati naturali dei motori di ricerca –:
   quali siano gli obiettivi e le modalità di realizzazione del progetto di cui in premessa e come ritenga di coniugare tale collaborazione con la reale promozione dei prodotti agroalimentari nazionali di qualità, considerate le modalità di funzionamento dell'algoritmo alla base di google che privilegia la struttura tecnica del sito web, piuttosto che il reale contenuto.
(4-02947)

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


   PICIERNO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da quanto emergerebbe da alcune inchieste giornalistiche, tra cui quella condotta dal Corriere del Mezzogiorno, in alcuni comuni della provincia di Napoli e di Caserta, le aree cioè afferenti l'Ato 2, sarebbero ancora in uso, perché mai sostituite, condotte d'acqua realizzate con tubature in cemento e amianto (C/A), vale a dire il pericolosissimo eternit;
   l'utilizzo di siffatte condotte ha riguardato vaste aree del Paese e si tratta di tubature che hanno in media circa cinquant'anni. Le prime tubature in cemento e amianto risalgono al periodo 1913-1921, tutte prodotte dalla Eternit spa di Genova. In Campania sarebbero oltre 112 i chilometri di condotte realizzate con tubature in cemento e amianto, vale a dire circa il 7 per cento della rete, così come certificato dal piano d'ambito redatto dall'Ato 2 Napoli-Volturno;
   i 112 chilometri di tubature all'amianto, potenzialmente pericolose, si snodano nel sottosuolo di 136 comuni, che comprendono tutti i 104 comuni della provincia di Caserta;
   da quanto risulta, l'Ato 2 aveva approntato un piano finanziario per una serie di interventi sulle vecchie condotte che individuava, a partire dal 2003, in circa 5 anni il tempo necessario per sostituire le tubature in amianto. Tuttavia non sarebbe competenza dell'Ato 2 intervenire materialmente per sostituire tali condotte d'acqua, ma sarebbero gli stessi comuni interessati, per la rispettiva tratta, a dover sostituire le tubature in cemento e amianto;
   secondo il direttore dell'Ato 2, l'ingegner Ugo Bruni, «non è possibile, senza uno studio preciso, stabilire in quali comuni e in che misura sono state eliminate le condotte»;
   la presenza della condotte in amianto, proprio nel territorio tristemente noto come «Terra dei fuochi», martoriato dall'interramento di rifiuti tossici, desta, se possibile, ulteriore allarme per la salute dei cittadini, in quanto le fibre di amianto nell'acqua si aggiungono alla elevatissima concentrazione di arsenico in diversi pozzi che alimentano l'acquedotto. La diffusione dell'amianto nell'acqua – come spiegato dal dottor Vito Totire, medico dell'Associazione esposti amianto (Aea) – avviene mediante corrosione delle tubature che, attraverso lo scorrimento dell'acqua, determina il trasporto delle fibre di amianto nelle abitazioni, dove possono essere ingerite o inalate dal consumatore. Peraltro, nelle zone a rischio sismico le condotte d'acqua possono anche subire fratture che farebbero impennare la concentrazione dell'amianto nelle acque;
   non sembrerebbe del tutto convincente quanto riferito dall'Organizzazione mondiale della sanità, secondo cui «non esiste alcuna prova seria che l'ingestione di amianto sia pericolosa per la salute, non è stato ritenuto utile, pertanto, stabilire un valore guida fondato su considerazioni di natura sanitaria, per la presenza di questa sostanza nell'acqua potabile». Il decreto ministeriale 14 maggio 1996, all'allegato 3, pur rimandando alle citate considerazioni dell'Organizzazione mondiale della sanità, pone l'attenzione sul possibile rilascio di fibre da tubazioni o serbatoi in C/A. Il decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 31, attuativo della direttiva europea 98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano (Water Quality for Human Consumption), non stabilisce, all'articolo 4 (obblighi generali), alcun obbligo inerente alla presenza di amianto nell'acqua e, di conseguenza, non definisce alcun limite – così come fanno gli allegati I, Il e III per le altre sostanze contaminanti – per tale parametro –:
   se e quali iniziative, per quanto di competenza e d'intesa con gli enti locali interessati, intenda assumere il Governo al fine di fare finalmente chiarezza sul tema e tutelare il diritto alla salute dei cittadini, anche intervenendo per la sostituzione delle condotte d'acqua in amianto.
(3-00517)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa (Invitalia) agisce, su mandato del Governo, per accrescere la competitività del Paese e in particolare del Mezzogiorno e per sostenere i settori strategici per lo sviluppo dell'economia. I suoi obiettivi prioritari sono: a) favorire l'attrazione di investimenti esteri, b) sostenere l'innovazione e la crescita del sistema produttivo, c) valorizzare le potenzialità dei territori;
   il titolo II del decreto legislativo 185 del 2000 disciplina ed agevola le forme di «Autoimpiego» e risulta essere il principale strumento di sostegno alla realizzazione e all'avvio di piccole attività imprenditoriali da parte di disoccupati o persone in cerca di prima occupazione;
   in particolar modo, la richiamata Agenzia prevede la concessione di finanziamenti a tasso agevolato, di contributi a fondo perduto e di servizi di assistenza tecnica per tre tipologie di iniziative: «lavoro autonomo, microimprese e franchising»;
   le agevolazioni concesse in materia di «microimpresa» sono rivolte alle persone che intendono avviare un'attività imprenditoriale di piccola dimensione in forma di «società di persone», risultando escluse: «le ditte individuali, le società di capitali, le cooperative, le società di fatto e le società aventi socio unico»;
   l'articolo 2 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, l'articolo 44 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, l'articolo 9 del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76 convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 99 hanno introdotto delle semplificazioni per le «società a responsabilità limitata», facilitando la costituzione delle medesime e riducendo i costi per l'avvio di attività d'impresa;
   non è chiaro se nella quota del 10 per cento del totale dell'investimento, riservato alle spese di ristrutturazione, siano annoverabili anche le spese sostenute per l'acquisto di pannelli solari, impianti di geotermia e condizionatori;
   sarebbe proficuo estendere le agevolazioni anche ad altre fattispecie societarie ed in particolar modo alle suddette «società a responsabilità limitata»;
   le risorse finanziarie relative agli incentivi previsti dal decreto legislativo n. 185 del 2000 sono esaurite;
   l'Agenzia «Invitalia» risulta essere un valido ed efficace strumento di finanziamento alle imprese e di sviluppo dell'economia, utile, altresì, alla ripresa dell'economia nazionale;
   l'utilizzo di pannelli solari, di impianti di geotermia e condizionatori consente alle imprese di ridurre i costi di gestione –:
   se il Ministro dello sviluppo economico intenda assumere le necessarie iniziative, anche di carattere normativo, al fine di:
    a) stanziare nuove risorse finanziarie all'Agenzia «Invitalia»;
    b) estendere le agevolazioni previste per le «Microimprese» anche alle ditte individuali, alle società di capitali, alle cooperative, alle società di fatto ed alle società aventi socio unico;
    c) ricomprendere nella quota del 10 per cento del totale dell'investimento, riservato alle spese di ristrutturazione, anche l'acquisto di pannelli solari, impianti di geotermia e condizionatori.
(2-00341) «Cancelleri, Barbanti, Pisano, Villarosa, Alberti, Ruocco, Pesco, Nuti».

Interrogazione a risposta scritta:


   ROTTA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale 28 dicembre 2012 incentivazione della produzione di energia termica da fonti rinnovabili ed interventi di efficienza energetica di piccole dimensioni dà attuazione alle direttive comunitarie in materia e al decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, stabilendo un regime di incentivazioni per la produzione di energia termica da fonti rinnovabili e gli interventi di efficienza energetica di piccole dimensioni;
   l'articolo 3, comma 1, lettere a) e b), prevede che siano destinatari degli incentivi sia soggetti pubblici che privati stabilendo all'articolo 1, commi 3 e 4, la copertura finanziaria rispettivamente di 200 milioni di euro per i soggetti pubblici e 700 milioni di euro per i soggetti privati;
   il decreto dispone in appendice (p. 29, tabella 12, punto 2.5) che per gli interventi di cui all'articolo 4, comma 2, lettera c), il coefficiente di calcolo del contributo sia determinato attraverso l'indicazione della superficie lorda dell'impianto anziché sulla base della cosiddetta «superficie di area attiva» cioè sull'effettiva capacità di produzione energetica rinnovabile;
   tale disposizione ha incontrato la viva opposizione di molte realtà ed esperti del settore e una recente mozione del consiglio regionale del Veneto è stata presentata al fine di stigmatizzare la disposizione ministeriale nonché le regole attuative del 9 aprile 2013;
   il combinato disposto delle norme e dei regolamenti attuativi comporterebbero, infatti, un impatto negativo sul mercato e sulla tecnologia solare termica e non fornirebbero garanzie sull'effettiva quantità di energia rinnovabile, essendo il meccanismo di incentivazione fondato più sulle dimensioni dell'impianto che sulla sua efficienza –:
   se il Governo non ritenga che vi sia un'incoerenza tra il decreto legislativo 3 marzo 2011, che faceva riferimento alla commisurazione della produzione di energia termica da fonti rinnovabili e quindi alla effettiva capacità di produzione e non al solo ingombro (articolo 28) e i meccanismi di incentivazione stabiliti per gli interventi di cui all'articolo 4, comma 2, lettera c) del decreto ministeriale 28 dicembre 2012;
   quale sia l'orientamento del Governo sulle preoccupazioni espresse relative a tali disposizioni e se non intenda modificarne il contenuto. (4-02944)

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Manlio Di Stefano n. 4-02820 del 4 dicembre 2013.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   AGOSTINELLI, TERZONI, MICILLO, BUSINAROLO, MANNINO, D'INCÀ, D'AMBROSIO e BONAFEDE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   alla fine di aprile 2013, si apprendeva dalla stampa che il centro operativo della direzione investigativa antimafia di Milano si apprestava a sopprimere a partire dal primo maggio il nucleo informativo della direzione investigativa antimafia presso l'aeroporto di Milano Malpensa ufficialmente per esigenze di ottimizzazione delle risorse;
   il 12 gennaio 2012, tuttavia, una nota del direttore della direzione investigativa antimafia sosteneva al contrario proprio l'importanza del mantenimento di quel presidio in vista di Expo 2015 per contrastare eventuali infiltrazioni della criminalità organizzata e che, addirittura, le spese di missione per i servizi da svolgere comunque in loco sarebbero state maggiori rispetto ai risparmi ipotizzati;
   il Presidente del Consiglio Enrico Letta, lunedì 6 maggio 2013, recatosi a Milano per parlare di Expo 2015 aveva ribadito con forza che «le organizzazioni criminali non ci metteranno piede»;
   per il Silp CGIL, come si apprende da dichiarazioni ufficiali rilasciate da Daniele Tissone, segretario generale del Silp stesso, il sindacato di polizia della CGIL: «decidere di sopprimere un presidio indispensabile per un riscontro diretto di così delicate attività investigative, oltre a suscitare la nostra assoluta contrarietà, comunica un preoccupante segnale che di certo non incoraggia la lotta contro la criminalità organizzata»;
   occorre ricordare allora la funzione essenziale del nucleo informativo di Malpensa, istituito nel 2000 in attuazione dell'articolo 5 del decreto ministeriale 30 marzo 1994, che è quella di raccogliere elementi per la prevenzione e l'analisi dei fenomeni criminali legati alla malavita organizzata e di svolgere una funzione di assistenza alle indagini più complesse di polizia giudiziaria;
   ci risulta poi che in realtà i costi di gestione del presidio siano contenuti e che il canone sia da considerarsi meramente retributivo, tale quindi da non giustificarne assolutamente la soppressione per finalità di tipo economico –:
   per quali motivi, nonostante le parole del Governo, siano seguite poi scelte contrarie;
   in base a quali ulteriori valutazioni economiche (in relazione alle quali gli interroganti ritengono opportuno siano comunicati dati certi) e strategiche il Governo abbia cambiato la sua posizione;
   se si intenda valutare l'opportunità di revocare la decisione di chiusura alla luce della suddetta centralità del presidio e del concreto pericolo di infiltrazioni mafiose legate all'Expo 2015. (4-00844)

  Risposta. — Il Nucleo informativo della Direzione investigativa antimafia presente presso l'aeroporto di Malpensa è stato soppresso nel mese di maggio 2013 e i due operatori sono stati assorbiti dal competente Centro operativo di Milano.
  Il Nucleo che aveva competenze unicamente sull'area interna dell'aeroscalo, era stato costituito nel febbraio del 2000 e doveva essere propedeutica alla istituzione di un osservatorio privilegiato in previsione dell'avvio del progetto «Malpensa 2000», che nel corso del tempo, invece, ha subito un ridimensionamento delle prospettive di crescita.
  Prevalentemente, in questi anni, il Nucleo ha svolto un ordinario supporto alle attività di polizia giudiziaria degli uffici della Direzione investigativa antimafia dislocati sul territorio nazionale, tramite l'acquisizione delle liste di imbarco per il monitoraggio di persone di interesse investigativo nell'ambito di indagini di polizia giudiziaria.
  Inoltre, grazie all'evoluzione tecnologica, le notizie necessarie alle attività di analisi, prima fornite dal Nucleo, sono da tempo rilevabili da postazione da remoto, attraverso la consultazione di apposite banche dati informatiche.
  Nell'ultimo triennio il personale del Nucleo, solo in rare occasioni, è stato impegnato nella fase esecutiva di arresti o perquisizioni e, in nessuna occasione, è stato impegnato in «
ruoli operativi» nelle attività investigative condotte dal Centro di Milano.
  Va anche evidenziato che, la
SEA s.p.a., locataria degli spazi su cui insiste il Nucleo Informativo, aveva applicato un aumento del canone di locazione pari a circa il 100 per cento dell'importo originario.
  D'altra parte bisogna riconoscere che, in previsione dell'esposizione universale che avrà luogo a Milano nel 2015, è stato potenziato il sistema di controllo sulle attività contrattuali delle pubbliche amministrazioni ai fini di escludere il condizionamento o l'infiltrazione della criminalità organizzata.
  È stata, infatti, istituita, presso la Prefettura del capoluogo, la sezione specializzata del Comitato di coordinamento per l'alta Sorveglianza delle grandi opere, di cui fa parte anche personale del centro operativo di Milano della Direzione investigativa antimafia.
  Analoga partecipazione è assicurata nell'ambito del gruppo Interforze per l’«
Expo Milano 2015 (GICEX)».
  Nella Prefettura del capoluogo è, inoltre, presente un funzionario della Direzione Investigativa Antimafia, al fine di assicurare il raccordo delle attività di monitoraggio condotte dai vari gruppi interforze.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   BIONDELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto-legge n. 179 del 2012 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012 «Misure urgenti per la crescita del Paese» all'articolo 14, comma 8, si è introdotta una modifica alla normativa relativa ai limiti ed alle modalità di controllo dell'esposizione ai campi elettromagnetici emessi da impianti di telecomunicazioni;
   in particolare, la nuova normativa alla lettera b) stabilisce che: «nel caso di esposizione a impianti che generano campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici con frequenza compresa tra 100 kHz e 300 GHz, non devono essere superati i limiti di esposizione di cui alla tabella 1 dell'allegato B del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 luglio 2003, intesi come valori efficaci. Tali valori devono essere rilevati ad un'altezza di m. 1,50 sul piano di calpestio e mediati su qualsiasi intervallo di sei minuti. I valori di cui alla lettera a), invece, devono essere rilevati ad un'altezza di m. 1,50 sul piano di calpestio e sono da intendersi come media dei valori nell'arco delle 24 ore, mentre alla lettera c) si dispone che ai fini della progressiva minimizzazione della esposizione ai campi elettromagnetici, i valori di immissione dei campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici generati a frequenze comprese tra 100 kHz e 300 GHz, calcolati o misurati all'aperto nelle aree intensamente frequentate, non devono superare i valori indicati nella tabella 3 dell'allegato B del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 luglio 2003, detti valori devono essere determinati ad un'altezza di m. 1,50 sul piano di calpestio e sono da intendersi come media dei valori nell'arco delle 24 ore»;
   la disposizione di cui al comma 8 lettera c) comporta che ai fini della progressiva minimizzazione della esposizione dei campi elettromagnetici, gli obiettivi di qualità siano innalzati attraverso la determinazione della media delle misure su 24 ore invece che su 6 minuti, come stabilito fino ad oggi dai regolamenti, e attraverso la misura a 1,5 m. dal suolo invece che attraverso una media che includa anche le misure a 1,90 m. e a 1,10 m., come stabilito fino ad oggi da una norma tecnica;
   le evidenze scientifiche emerse dalla ricerca epidemiologica mondiale riconosciute dall'Organizzazione mondiale della sanità hanno evidenziato che i campi elettromagnetici non vanno sottovalutati rispetto alla salute umana ed ha inserito i campi a radiofrequenza (in particolare quelli emessi dai cellulari, ma l'agente fisico è lo stesso di tutte le sorgenti di campi elettromagnetici oggetto del decreto ministeriale) fra i possibili agenti cancerogeni per l'uomo a causa dell'aumento del rischio di tumori cerebrali come il glioma (40 per cento di rischio per un uso di 30 minuti al giorno per almeno 10 anni);
   l'Arpa Piemonte si è già pronunciata ancor prima dell'approvazione della legge, dicendo esplicitamente, che con la nuova normativa (monitoraggio nelle 24 ore) essa non è in grado, di effettuare il monitoraggio e, quindi, il controllo dei limiti dei campi elettromagnetici non può essere realizzato. Infatti, non vi sono attualmente strumentazioni in commercio in grado di effettuare tale monitoraggio in presenza dei nuovi ripetitori 4G. Purtroppo l'Arpa Piemonte non è stato ascoltata e il decreto-legge in questione è stato convertito in legge nel dicembre 2012. Il suddetto parere dell'Arpa Piemonte può essere letto nel proprio sito internet –:
   se il Ministro non ritenga opportuno promuovere una revisione di tale normativa abrogandola e comunque predisponendo, quanto prima, una disciplina di maggiore tutela specialmente per l'esposizione degli obiettivi sensibili, quali asili, scuole, ospedali, case di cura e di riposo. (4-00513)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, riguardante la modifica alla normativa relativa ai limiti ed alle modalità di controllo dell'esposizione ai campi elettromagnetici emessi da impianti di telecomunicazioni, introdotta dal decreto legge n. 179 del 2012 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012 «Misure urgenti per la crescita del Paese», si fa presente quanto segue.
  Preliminarmente, occorre evidenziare che il decreto-legge in questione (cosiddetto decreto Crescita 2.0) ha introdotto alcune disposizioni integrative sulla normativa relativa ai limiti di emissione elettromagnetica stabilita dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 luglio 2003, in attuazione della legge 22 febbraio 2001, n. 36 recante «Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici».
  Al riguardo, è bene sottolineare che l'operatività delle nuove misure è condizionata alla emanazione delle linee guida, che in attuazione del suddetto decreto-legge devono essere elaborate dall'Ispra e dalle Arpa/Appa e, successivamente, approvate da questo Ministero.
  Inoltre, è previsto un aggiornamento delle stesse con periodicità semestrale su indicazione di codesto dicastero che provvederà alla relativa approvazione.
  Ad ogni buon conto, la legge 22 febbraio 2001, n. 36 stabilisce i principi fondamentali diretti alla tutela della salute, del lavoro dell'ambiente e del paesaggio.
  In particolare, la tutela della salute viene conseguita attraverso la definizione di tre differenti tipologie di limiti: limiti di esposizione, valori di attenzione e obiettivi di qualità.
  L'articolo 14 della legge 22 febbraio 2001, n. 36 attribuisce alle amministrazioni provinciali e comunali competenze in materia di controllo e vigilanza sanitaria che per lo svolgimento di tali attività si avvalgono delle agenzie regionali e provinciali per la protezione dell'ambiente.
  Per quanto riguarda la procedura di autorizzazione alla installazione di infrastrutture per impianti radioelettrici, la tutela della popolazione viene assicurata attraverso la verifica della compatibilità del progetto con i limiti normativi, ai sensi del decreto legislativo 1o agosto 2003, n. 259. Infatti, prima di qualunque attività inerente all'installazione di un nuovo impianto, l'autorizzazione dell'Amministrazione comunale è subordinata al parere tecnico dell'Arpa territorialmente competente.
  In conclusione, le disposizioni integrative alla normativa introdotte dal decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179 non vanno a modificare i valori limite che non solo restano invariati ma risultano essere più cautelativi rispetto a quelli introdotti dalla normativa internazionale ed europea secondo le indicazioni della Raccomandazione 519/1999/CE basata sul principio di precauzione già recepito dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 luglio 2003.

Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   BOCCADUTRI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 30 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (cosiddetto decreto del fare), ha introdotto alcune norme di semplificazione in materia edilizia;
   il suddetto articolo stabilisce che negli interventi di demolizione e ricostruzione, la sagoma non è più rilevante ai fini dell'individuazione del titolo edilizio abilitativo più adatto da richiedere;
   in sostanza, si considerano interventi di ristrutturazione edilizia anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione di manufatti esistenti nel rispetto della cubatura ma non anche della sagoma, con l'esclusione degli edifici vincolati ai sensi del Codice Urbano;
   mere ristrutturazioni sono anche considerate anche il ripristino di edifici crollati o la ricostruzione di vecchi ruderi, casi prima considerati dalla giurisprudenza come nuova costruzione;
   trattandosi di mera ristrutturazione, per procedervi sarà sufficiente una semplice SCIA in luogo del permesso di costruire, tranne nel caso di immobili vincolati;
   la suddetta norma espone diversi edifici storici non vincolati ai sensi del Codice Urbano al rischio di essere demoliti e ricostruiti senza rispettare la sagoma con una semplice SCIA;
   a Roma, palazzi storici come i cinema Metropolitan di Via del Corso o America di Trastevere, o palazzo Caffarelli potrebbero essere abbattuti e ricostruiti, in modo difforme non essendo sottoposti a vincoli –:
   quali misure, il Ministro interrogato intenda assumere per tutelare il nostro patrimonio architettonico ed evitare la distruzione di palazzi storici. (4-01567)

  Risposta. — Si fa riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, con la quale l'interrogante chiede quali misure questa Amministrazione intenda assumere, a tutela del patrimonio architettonico, a seguito delle semplificazioni in materia edilizia introdotte dall'articolo 30 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia (cosiddetto «decreto del fare»).
  Al riguardo si comunica quanto segue.
  La modifica normativa ha interessato il testo unico in materia edilizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 ed è consistita, in sintesi, nel prevedere la procedura semplificata della segnalazione certificata di inizio di attività (Scia) in luogo del permesso di costruire, anche per le demolizioni e ricostruzioni con mutamento di sagoma.
  Tale semplificazione non riguarda in alcun modo i beni del patrimonio culturale, poiché il Governo, su specifica richiesta del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, ha espressamente escluso l'applicabilità per gli immobili sottoposti a vincolo storico, artistico, architettonico o a vincolo paesaggistico (ivi compresi, dunque, i centri storici sottoposti a tutela paesaggistica).
  Per gli immobili sottoposti a tutela, pertanto, gli interventi di demolizione e ricostruzione con cambiamento di sagoma non solo restano assoggettati al previo controllo autorizzatorio delle soprintendenze in base a quanto previsto dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (non toccato dalla riforma), ma continuano ad essere considerati, sul piano edilizio, interventi richiedenti il permesso di costruire. Peraltro, in sede di assenso definitivo alla Camera dei Deputati, il testo normativo è stato ulteriormente affinato con previsioni di maggiore tutela, per cui i lavori di demolizione non possono iniziare prima di trenta giorni dalla denuncia e i Comuni potranno escludere i propri centri storici dalla misura di semplificazione con delibera consiliare censitoria da adottare entro il 30 giugno 2014.
  In ogni caso, si assicurano l'attività di vigilanza e di ispezione proprie degli uffici periferici del Ministero e si curerà di raccomandare, ai medesimi uffici sul territorio, di operare ogni utile forma di raccordo e collaborazione finalizzata a monitorare e prevenire eventuali criticità dovessero insorgere nella salvaguardia degli edifici di interesse architettonico non sottoposti a strumenti di tutela di diretta competenza di questa Amministrazione.


Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismoMassimo Bray.


   CAPELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la crisi economica in Italia colpisce soprattutto i giovani, creando difficoltà che si ripercuotono drammaticamente su molti aspetti della loro vita quotidiana, come il problematico inserimento nel mondo del lavoro;
   esistono anche le difficoltà per i giovani di emergere nel mondo della libera impresa o di far valere il proprio talento e la propria creatività in relazione alle diverse professioni ed attività produttive;
   il decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 156 del 6 luglio 2000, in attuazione dell'articolo 45, comma 1 della legge 17 maggio 1999, n. 144 ha previsto incentivi per l'autoimprenditorialità e l'autoimpiego, al fine di favorire l'ampliamento della base produttiva e occupazionale nonché lo sviluppo di una nuova imprenditorialità nelle aree economicamente svantaggiate del Paese;
   le disposizioni contenute nel decreto di cui sopra sono dirette a:
    a) favorire la creazione e lo sviluppo dell'imprenditorialità, anche in forma cooperativa;
    b) promuovere la formazione imprenditoriale e la professionalità dei nuovi imprenditori;
    c) agevolare l'accesso al credito per le imprese a conduzione o a prevalente partecipazione giovanile;
    d) promuovere la presenza delle imprese a conduzione o a prevalente partecipazione giovanile nei comparti più innovativi dei diversi settori produttivi;
    e) promuovere la formazione imprenditoriale e la professionalità delle donne imprenditrici;
    f) favorire la creazione e lo sviluppo dell'impresa sociale;
    g) promuovere l'imprenditorialità e la professionalità dei soggetti svantaggiati;
    h) agevolare l'accesso al credito per le imprese sociali di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 8 novembre 1991, n. 381;
    i) favorire lo sviluppo di nuova imprenditorialità in agricoltura;
    l) promuovere l'imprenditorialità e la professionalità degli agricoltori;
    m) agevolare l'accesso al credito per i nuovi imprenditori agricoli;
   le misure incentivanti di cui al decreto legislativo n. 185 del 2000 sono applicabili nei territori di cui ai nuovi obiettivi 1 e 2 dei programmi comunitari, nelle aree ammesse alla deroga di cui all'articolo 87 (già articolo 92), paragrafo 3, lettera c), del trattato di Roma, come modificato dal trattato di Amsterdam, nonché nelle aree svantaggiate di cui al decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 14 marzo 1995, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 15 giugno 1995, n. 138, e successive modificazioni;
   ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 185 del 2000 ai soggetti ammessi alle agevolazioni sono concedibili i seguenti benefici:
    a) contributi a fondo perduto e mutui agevolati, per gli investimenti, secondo i limiti fissati dall'Unione europea;
    b) contributi a fondo perduto in conto gestione, secondo i limiti fissati dall'Unione europea;
    c) assistenza tecnica in fase di realizzazione degli investimenti e di avvio delle iniziative;
    d) attività di formazione e qualificazione dei profili imprenditoriali, funzionali alla realizzazione del progetto;
   in attuazione del citato decreto legislativo sono stati erogati nell'arco temporale 2000-2012 incentivi per complessivi circa 4 miliardi di euro che hanno consentito l'avvio di nuove iniziative imprenditoriali con conseguente creazione di un significativo numero di posti di lavoro per un totale di circa 180 mila nuovi occupati, oltre all'occupazione aggiuntiva creata dall'indotto di tali attività; in particolare, una percentuale significativa degli aspiranti beneficiari sono stati donne e giovani (rispettivamente il 44 per cento e il 51 per cento del totale);
   le agevolazioni previste dal decreto n. 185 del 2000 con riferimento all'autoimpiego e all'autoimprenditorialità sono state gestite da Invitalia — Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa — che agisce su mandato del Governo per accrescere la competitività del Paese, in particolare del Mezzogiorno, e per sostenere i settori strategici per lo sviluppo;
   Invitalia, in qualità di soggetto gestore della selezione e dell'erogazione dei predetti incentivi, aveva, nel recente passato, segnalato l'insufficienza dei fondi stanziati a tale scopo e dunque la necessità di prevedere ulteriori assegnazioni al fine, di garantire la continuità operativa delle attività oggetto dell'intervento normativo, circostanza quest'ultima riportata anche nella determinazione n. 15 del 2013 da parte della sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti recante il risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria della suddetta Agenzia per l'esercizio 2011;
   nella Gazzetta Ufficiale del 24 aprile 2013 n. 96 è stato pubblicato l'avviso con cui Invitalia ha reso noto l'avvenuto esaurimento delle risorse finanziarie disponibili in riferimento agli incentivi da erogare per gli interventi rispettivamente previsti dal Titolo I e II del decreto legislativo n. 185 del 2000, con conseguente impossibilità di soddisfare ulteriori domande di agevolazione;
   il Presidente del Consiglio dei ministri Enrico Letta, nel corso delle comunicazioni sulle linee programmatiche del Governo rese il 29 aprile 2013 alla Camera dei deputati, ha affermato parlando della condizione dei giovani che: «... solo i giovani possono ricostruire questo Paese: le loro nuove esperienze e competenze ci raccontano un mondo che cambia, il loro mondo. Rinunciare ad investire su di loro è un suicidio economico. Ed è la certezza di decrescita, la più infelice.»; e con riferimento al lavoro e all'impresa: «Dobbiamo anche valorizzare il lavoro autonomo e le libere professioni, che in una società postindustriale rappresentano la spina dorsale della nostra economia. Ora bisogna lavorare tutti insieme per formare e dare opportunità ai giovani, innalzare la qualità, servire al meglio i clienti.». «Per rilanciare il futuro industriale del Paese, bisogna scommettere sullo spirito imprenditoriale (...). Si tratta di fare una politica industriale moderna, che valorizzi i grandi attori ma anche e soprattutto le piccole e medie imprese che sono e rimarranno il vero motore dello sviluppo italiano» –:
   quali iniziative urgenti i Ministri interrogati abbiano intenzione di porre in essere al fine di prevedere il rifinanziamento delle misure contenute nel decreto legislativo n. 185 del 2000 che i dati statistici considerano validi strumenti d'incentivazione alle imprese e allo sviluppo occupazionale. (4-01070)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, riguardante il rifinanziamento degli incentivi all'autoimprenditorialità e all'autoimpiego, contenuti nel decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185, sulla base degli elementi forniti dal dipartimento competente, si rappresenta quanto segue.
  In considerazione dell'efficacia del decreto legislativo n. 185 del 2000, nel contrastare la disoccupazione giovanile e accompagnare percorsi di
start up d'impresa qualificati e qualificanti, per gli interventi in esame negli ultimi anni è stata attivata e costantemente incrementata, nell'ambito dei programmi operativi, una dotazione finanziaria ad hoc attraverso:
   l'assegnazione di 150 milioni di euro, a valere sulle risorse liberate dal Programma operativo nazionale «Sviluppo imprenditoriale locale» 2000-2006, per effetto di quanto stabilito con decreto direttoriale Mise DGIAI del 30 luglio 2009;
   l'allocazione, nell'ambito dei «progetti la fase», di 83,7 milioni di euro valere sulle risorse del Pon Ricerca & Competitività 2007-2013 (Pon R&C), Asse II – Sostegno all'innovazione – obiettivo operativo «Rafforzamento del sistema produttivo», per effetto della convenzione firmata il 5 ottobre 2010 tra Invitalia, soggetto titolare della gestione delle misure per l'autoimpiego e l'autoimprenditorialità, e il Mise DGIAI, soggetto responsabile dell'attuazione del Pon R&C;
   un cofinanziamento, per un importo pari a euro 54.313.381,12 e nell'ambito del Pon Programma operativo interregionale «Attrattori culturali, naturali e turismo», di iniziative già agevolate dal decreto legislativo n. 185 del 2000, a seguito della convenzione conclusa tra Invitalia e il Mise DGIAI in data 31 gennaio 2012;
   un'ulteriore assegnazione di risorse, perfezionata tramite decreto direttoriale del Mise DGIAI del 7 gennaio 2013, per complessivi 90 milioni di euro, di cui 40 milioni di euro a valere sulle risorse del Pon R&C e 50 milioni di euro a valere sul Piano di azione coesione (Pac) – aggiornamento n. 2, presentato dal Ministro per la coesione territoriale al Consiglio dei Ministri in data 11 maggio 2012 e oggetto di presa d'atto da parte del CIPE, con delibera n. 96/2012 del 3 agosto 2012, registrata dalla Corte dei Conti in data 13 novembre 2012;
   lo stanziamento di 80 milioni di euro (26 milioni di euro per l'anno 2013, 26 milioni di euro per l'anno 2014 e 28 milioni di euro per l'anno 2015, così come previsto all'articolo 3 (Misure urgenti per l'occupazione giovanile e contro la povertà nel Mezzogiorno-Carta per l'inclusione), comma 1, lettera
a) del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, convertito dalla legge 9 agosto 2013, n. 99, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 22 agosto 2013, n. 196.

  Per completezza, si segnala, altresì, che, nel medesimo decreto legge, è prevista anche l'assegnazione di risorse per:
   misure del Piano di azione coesione rivolte alla promozione e realizzazione di progetti promossi da giovani e da soggetti delle categorie svantaggiate per l'infrastrutturazione sociale e la valorizzazione di beni pubblici nel Mezzogiorno, nel limite di 26 milioni di euro per l'anno 2013, 26 milioni di euro per l'anno 2014 e 28 milioni di euro per l'anno 2015 (articolo 3 comma 1, lettera
b));
   borse di tirocinio formativo a favore di giovani che non lavorano, non studiano e non partecipano ad alcuna attività di formazione, di età compresa fra i 18 e i 29 anni, residenti e/o domiciliati nelle regioni del Mezzogiorno. Tali tirocini comportano la percezione di un'indennità di partecipazione, conformemente a quanto previsto dalle normative statali e regionali, nel limite di 56 milioni di euro per l'anno 2013, 16 milioni di euro per l'anno 2014 e 96 milioni di euro per l'anno 2015 (articolo 3 comma 1 lettera
c)).

  La copertura finanziaria delle suddette misure nei territori del Mezzogiorno è garantita «a valere sulla corrispondente riprogrammazione delle risorse del Fondo di rotazione di cui alla legge 16 aprile 1987, n. 183 già destinate ai Programmi operativi 2007/2013, nonché per garantirne il tempestivo avvio, alla rimodulazione delle risorse del medesimo Fondo di rotazione già destinate agli interventi del Piano di azione coesione, ai sensi dell'articolo 23, comma 4, della legge 12 novembre 2011, n. 183, previo consenso, per quanto occorra, della Commissione europea» (articolo 3, comma 1 cit.).
  In raccordo con tali misure, il Ministero lavora attivamente anche su altri interventi che mirano a promuovere, attraverso le
start up, lo sviluppo tecnologico e l'occupazione, in particolare giovanile, come le facilitazioni per l'accesso al credito, l'abbattimento degli oneri per l'avvio d'impresa, il sostegno per il processo di internazionalizzazione.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   CAUSIN. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i segretari comunali, vincitori del corso-concorso del 2007 CO.A. III intendono rendere nota l'incresciosa situazione in cui versano a più di un anno dall'iscrizione all'albo, avvenuta il 12 luglio 2011;
   a seguito del corso di formazione durato un anno e costato circa 8 milioni di euro, dopo un'estenuante attesa di oltre 7 mesi, i corsisti sono stati assegnati ai vari albi regionali, sulla base delle necessità rilevate dalle AGES regionali e con l'obbligo di permanervi per 2 anni dalla prima nomina;
   nel frattempo, il Ministero dell'interno è subentrato all'Agenzia autonoma per la gestione dell'albo dei segretari comunali e provinciali, in un sistema provvisorio che dura ormai da più di due anni;
   tuttavia, ad oggi molti segretari comunali non riescono a trovare collocazione e non perché manchino le richieste da parte dei sindaci, ma unicamente per l'inerzia dell'ex Agenzia;
   in molte regioni del Nord, contrariamente alle stime previste dall'AGES, che vi ha destinato un numero alto di segretari, la richiesta è stata molto bassa, mentre in quelle regioni dove si prevedeva fosse sufficiente un minor numero di unità, la richiesta è ancora molto alta e non è stata soddisfatta;
   per tale motivo, coloro che non hanno trovato collocazione al Nord, hanno ritenuto di rispondere alle richieste dei sindaci di regioni diverse da quella di prima assegnazione, non solo per evitare che venisse vanificato l'obbligo legale dei comuni di dotarsi di un segretario comunale, ma soprattutto perché tale possibilità è prevista dall'articolo 11, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica n. 465 del 1997, ed è già stata ampiamente utilizzata negli anni passati dall'Agenzia;
   l'articolo 11, comma 4, prevede che «il Sindaco (...) esercita il potere di nomina attingendo prioritariamente dalla sezione regionale dell'albo corrispondente alla regione nella quale è ubicato il Comune. Qualora il Sindaco non individui un segretario nella predetta sezione regionale dell'albo, può nominare un segretario iscritto ad altra sezione regionale dell'albo»;
   tuttavia le prefetture, sulla base di quella che all'interrogante appare una distorta interpretazione della clausola del bando, non consentono ai segretari di spostarsi di albo (sostenendo che quelli in attesa di prima nomina siano semplicemente dei «meri iscritti» e non segretari a tutti gli effetti), e quindi li costringono a presentare ricorso presso il giudice del lavoro per vedere riconosciuto il loro diritto a prendere servizio;
   il giudice ordinario fino ad oggi ha emanato 5 pronunce favorevoli ai segretari comunali, condannando l'amministrazione al pagamento delle spese processuali, così disponendo: «La disposizione contenuta nell'articolo 5 comma 6 del bando di concorso CO.A. III va intesa nel senso che l'obbligo di permanenza nella sezione regionale di prima assegnazione decorra dalla prima nomina quale titolare. L'obbligo di permanenza in ambito regionale non può che sussistere per il segretario già in carica, avendo esso lo scopo di tutelare l'interesse pubblico alla stabilità e continuità del servizio. Tale obbligo non sussiste, invece, per i segretari in attesa di prima nomina»;
   tale disposizione prevede la possibilità di un sindaco di rivolgersi ad un segretario iscritto ad altra sezione regionale in caso di assenza, nella sezione di afferenza del sindaco, di segretari disponibili ad assumere l'incarico;
   sul punto è peraltro priva di fondamento la tesi sostenuta dall'amministrazione, secondo cui la norma citata si applicherebbe solo ai segretari già in servizio, perché gli altri sarebbero «meri iscritti». Quelli che l'amministrazione chiama «meri iscritti» sono soggetti che sono stati iscritti all'albo nazionale dei segretari comunali, e quindi sono segretari comunali a tutti gli effetti;
   la pretesa dell'amministrazione di rifiutare assegnazioni fuori regione, a costo di impedire ai sindaci che mostrano interesse di assolvere all'obbligo legale di dotarsi di un segretario comunale, appare di dubbia legittimità oltre che in contrasto con il principio di buon andamento e di efficienza delle amministrazioni interessate –:
   se, alla luce di quanto esposto, non ritenga opportuno predisporre le dovute iniziative, per porre fine a questa situazione di frustrante disoccupazione in cui si trovano i vincitori del concorso e far si che i «neo segretari» possano prendere servizio in altri ambiti territoriali. (4-00276)

  Risposta. — Il bando del terzo corso-concorso per la formazione dei segretari comunali e provinciali è stato indetto dall'Agenzia autonoma per la gestione del relativo albo il 18 gennaio 2007.
  I 364 vincitori sono stati iscritti all'Albo nella fascia professionale C e assegnati alle sezioni regionali in base all'ordine della graduatoria approvata, alle preferenze espresse e ai contingenti disponibili presso ogni sezione.
  Alla data del 30 giugno 2013, 2 iscritti sono stati cancellati – su richiesta – dall'Albo; a 296 è stata assegnata una sede; mentre 66 sono in attesa di assumere servizio.
  Invero, anche nei due corsi-concorsi precedenti, una quota costante di iscritti non è stata assunta in servizio.
  Al fine di favorire il collocamento di tutti i vincitori del concorso oggetto dell'interrogazione, il presidente dell'unità di missione ha invitato i prefetti delle province capoluogo di regione a valutare l'opportunità di attivare appositi tavoli di coordinamento con la partecipazione dell'Anci, dei sindaci dei comuni interessati nonché delle Organizzazioni sindacali di categoria, al fine di individuare e superare le criticità che ostano la nomina dei segretari, favorendo, ove possibile, ambiti ottimali di convenzionamento per la costituzione di sedi di segreteria.
  Inoltre, con la direttiva del Ministro dell'interno del 16 aprile 2013 è stata evidenziata la necessità di procedere ad una redistribuzione degli interessati tra gli albi regionali, secondo i nuovi contingenti di disponibilità, le preferenze degli aspiranti e facendo salva la volontà di permanere nell'albo originario. Tale redistribuzione, sulla base dei citati criteri, è stata quindi disposta con decreto del Presidente dell'Unità di missione del 1o luglio 2013.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel 1992 il comune di Gualdo Cattaneo (Perugia), concedeva un permesso di scavo alla ditta BE.MA. al fine esclusivo di operare il ripristino ambientale di un sito di cava dismesso già da oltre vent'anni. In considerazione dello scopo, tale permesso era stato rilasciato gratuitamente;
   la cava dismessa è stata poi scoperta e ciò comportava immediatamente per i cittadini residenti nelle vicinanze del sito specifiche problematiche connesse all'uso di mine nella cava, al traffico di automezzi e alla diffusione di polveri;
   agli interroganti risulta che la riapertura della cava sia stata autorizzata per un periodo di soli 2 anni (non rinnovabili) e finalizzata all'esclusivo riambientamento e ripristino ambientale del sito;
   da tali premesse riportate nella convenzione tra il comune e l'azienda citata, emerge con relativa chiarezza che i lavori nella cava consistessero più in una vera e propria riattivazione delle attività di coltivazione che in un ripristino ambientale così come previsto dalla convenzione siglata con il comune;
   con nota in data 24 novembre 1994, la Comunità montana dei Monti Martani e del Serano confermava di aver rilasciato la sua obbligatoria «autorizzazione esecutiva» a condizione che il fine ultimo dei lavori fosse «un reale, totale recupero ambientale della zona»;
   nel 1995, il comune di Gualdo Cattaneo provvedeva a concludere una seconda convenzione con l'azienda citata (poi divenuta Montepelato subentrante nella convenzione nel 1997 ed infine GMP) finalizzata a far sì che l'attività estrattiva si concludesse con il completo ed efficace riambientamento di tutta la zona interessata ancora rimasto inattuato; si prevedeva, altresì, la quantità massima di materiale estratto pari a ad una cubatura massima, uguale o minore a me 150.000, garantendo, tra le altre cose, un puntuale e regolare smaltimento delle acque;
   risulta agli interroganti che il comune, dinanzi alla mancata osservanza delle prescrizioni in oggetto, abbia, comunque, rilasciato alla GMP un terzo permesso di scavo sul Monte Pelato, sempre a titolo di ripristino ambientale;
   tale circostanza ha determinato un aggravamento dello stato naturale dei luoghi;
   risulta, infatti, che la riapertura della cava dismessa, a seguito dell'abbassamento dell'attuale piazzale di coltivazione della cava con aggravamento del dissesto ambientale, unito alla perdurante diffusione di polveri per la popolazione, oltre a determinare il peggioramento delle attuali condizioni di recupero ambientale dell'intera area, con particolare riferimento al corretto smaltimento delle acque, sta determinando effetti nocivi, anche indiretti, sulla salute umana e per l'ambiente, configurandosi il rischio di un danno ambientale di cui all'articolo 300, comma 2, lettera d) –:
   se il Ministro alla luce di eventuali verifiche tecniche effettuate sullo stato di inquinamento delle acque e del suolo e sullo stato di conservazione di ambienti naturali disposte ai sensi dell'articolo 8, comma 2 della legge n. 349 del 1986 non ritenga opportuno nel rispetto delle competenze delle regioni e degli enti locali disporre verifiche e controlli da parte del personale appartenente al Comando carabinieri tutela dell'ambiente (CCTA), in relazione all'oggettivo pericolo per la popolazione residente. (4-00992)

  Risposta. — In relazione a quanto riferito dagli interroganti con l'atto di sindacato ispettivo in esame, questa Amministrazione si è immediatamente attivata per acquisire dal competente ente locale ogni utile elemento informativo, nonché interessato il Comando carabinieri per la tutela ambiente (CCTA) in ordine alla possibile violazione delle disposizioni normative in materia ambientale.
  In particolare, il Comune di Gualdo Cattaneo, con propria nota prot. n. 8930/1 del 17 settembre 2013, ha ritenuto di fornire alcune precisazioni, rispetto alla ricostruzione dei fatti risultanti dalla interrogazione in oggetto, del seguente tenore:
   il «permesso di scavo» rilasciato nel 1992 alla società BE.MA. a r.l. in località Monte Pelato, nel Comune di Gualdo Cattaneo, non era finalizzato esclusivamente ad operare il ripristino ambientale del sito di cava dismesso, ma anche a svolgere attività di coltivazione e riambientamento;
   la cava di cui trattasi è stata sempre a cielo aperto e fino all'anno 1998 non ha creato ufficiali lamentele o disagi circa l'uso di mine, traffico di automezzi o diffusione di polveri;
   la predetta autorizzazione era stata rilasciata per la coltivazione e recupero ambientale della cava per un periodo massimo di 2 anni, senza alcuna indicazione, positiva o negativa, circa la possibilità di rinnovo;
   a seguito della richiesta formulata in data 20 luglio 1994 da parte della Soc. BE.MA., espletate le procedure di approvazione e recepita l'autorizzazione con prescrizioni n. 678 rilasciata in data 30 novembre 1994 da parte della Comunità montana dei Monti Martani e del Serano, è stata stipulata una nuova convenzione in data 21 aprile 1995 tra il Comune di Gualdo Cattaneo e la predetta società per la coltivazione di una cava a cielo aperto di inerti, della durata di 5 anni e, comunque, fino alla effettiva ultimazione dei lavori di riambientazione.

  Precisato quanto sopra, lo stessa Amministrazione locale evidenziava, in ultimo, che il rilascio della «nuova» autorizzazione alla riattivazione, coltivazione e recupero ambientale della cava in località Monte Pelato, con le pertinenti prescrizioni, è il provvedimento finale datato 13 ottobre 2011, emesso a favore della società G.M.P. p.A. a seguito del completamento della procedura prevista dagli articoli 5-bis e 7 della L.R. n. 2/2000 azionata a seguito della pertinente istanza formulata dalla società interessata in data 22 giugno 2006.
  Per quanto attiene alle verifiche richieste al CCTA, quest'ultimo ha relazionato in merito agli esiti della visita ispettiva svoltasi presso il sito interessato in data 13 settembre 2013 da parte del dipendente Nucleo operativo ecologico (Noe) di Perugia, in collaborazione con l'Ufficio attività estrattive della Provincia di Perugia.
  In tale occasione, quindi, si è potuto accertare che:
   il sito è stato oggetto di riconoscimento di giacimento di cava dismessa con finalità di riattivazione, ai sensi dell'articolo 5 della n. 2/2000, in occasione della seduta di copianificazione finale Comune/Provincia/Regione del 30 settembre 2009;
   l'attività di escavazione da parte della società autorizzata è iniziata il 7 novembre 2011;
   il progetto definitivo di sfruttamento, che non prevede l'uso di esplosivi come podalità di coltivazione, è stato sottoposto dalla Regione Umbria a procedura di Via, conclusasi positivamente con giudizio di compatibilità ambientale, espresso con determinazione dirigenziale n. 4848 del 4 luglio 2011;
   la Società interessata ha ottenuto in data 13 ottobre 2011 dal Comune di Gualdo Cattaneo (PG) l'autorizzazione alla riattivazione, coltivazione, recupero ambientale e l'autorizzazione ambientale n. 24;
   è stato sottoscritto con Arpa Umbria un protocollo di monitoraggio ambientale delle acque sotterranee (con cadenza semestrale), polveri e rumore (con cadenza annuale);
   la Provincia di Perugia ha rilasciato l'autorizzazione alle emissioni in atmosfera con determinazione dirigenziale n. 3261 del 3 maggio 2012;
   ad oggi è stato eseguito il completo processo di ossidazione dei vecchi fronti di coltivazione, finalizzato alla attuazione dell'impatto visivo connesso alla loro esposizione;
   è in fase di ultimazione l'abbassamento del piazzale, dove sono stati installati i macchinari funzionali alla attività di frantumazione dei materiali lapidei;
   sono in corso i lavori previsti dalla 1a fase del progetto approvato, relativamente alla realizzazione della strada interna al perimetro di cava, che consentirà ai mezzi di ingresso e in uscita di utilizzarla in alternativa a quella esistente ed al posizionamento di due vasche di raccolta e sedimentazione delle acque meteoriche (queste ultime saranno realizzate entro il 2014).

  Lo stesso Comando conclude, quindi, la propria esposizione precisando che non sono state riscontrate violazioni alla normativa ambientale per quanto riguarda le matrici suolo, aria ed acqua.
  Premesso tutto quanto sopra riferito, questo Ministero non intende, tuttavia, sottovalutare le preoccupazione espresse dagli interroganti sulle possibili ricadute negative, anche in via indiretta, sulla salute umana e sull'ambiente, dipendenti dall'eventuale mancato rispetto, per il futuro, da parte della società autorizzata alla riattivazione e coltivazione della cava, degli adempimenti cui è condizionata l'autorizzazione stessa.
  Ferma restando, in ogni caso, la costante vigilanza che sarà esercitata dagli enti locali e territoriali interessati, nell'ambito delle proprie competenze istituzionali, si richiama l'attenzione sul costante monitoraggio dei pertinenti parametri ambientali al quale si è impegnata l'Arpa Umbria, che sarà in grado di rilevare e segnalare eventuali anomalie al fine di intervenire, ciascuna struttura pubblica nell'ambito della propria competenza, per rimuovere i fattori di rischio e scongiurare quell'aggravamento dello stato naturale dei luoghi tanto paventato.

Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da notizie provenienti da organi di stampa locali e nazionali emerge che, a seguito di una frana verificatasi il 12 febbraio 2013, è stato chiuso al traffico un tratto di strada provinciale che collega la città di Salerno con Vietri sul Mare;
   suddetta arteria, denominata «Via Benedetto Croce», è percorsa quotidianamente da migliaia di cittadini della provincia di Salerno e rappresenta, di fatto, l'unica strada di collegamento diretto tra il capoluogo ed i comuni della costiera amalfitana;
   l'interruzione del tratto interessato dall'evento franoso, ha causato un inevitabile e spropositato aumento del traffico sull'autostrada Napoli-Salerno, con disagi e caos per i cittadini che dalla costiera devono raggiungere Salerno, costretti ad utilizzare l'autostrada a Cava de Tirreni per poi percorrere a ritroso il tratto verso il capoluogo;
   l'evento franoso, inoltre, rischia di mettere in pericolo l'incolumità dei cittadini e dei tanti automobilisti che ogni giorno hanno necessità di raggiungere la città di Salerno;
   il tratto stradale interessato dalla frana costituisce un nodo strategico la cui chiusura ha in questi giorni paralizzato il traffico e, come riferiscono gli organi di stampa, ha di fatto «tagliato in due» la parte nord della provincia di Salerno, costringendo tutti gli utenti ad utilizzare l'autostrada, pagando un pedaggio per percorrere pochi chilometri, ed effettuare giri interminabili prima di arrivare alla meta;
   in particolare, oltre ai disagi per il traffico urbano, ulteriori difficoltà si verificano lungo il tratto autostradale Salerno-Cava de Tirreni, in direzione nord, in quanto la necessità di percorrere obbligatoriamente l'autostrada a causa della chiusura di via Benedetto Croce crea pericolose code proprio in uscita al casello di Cavi de Tirreni;
   i suddetti disagi sono ulteriormente amplificati dalle caratteristiche del tratto autostradale in questione, che presenta soltanto due corsie di marcia ed è interessato da tempo anche da lavori di manutenzione, con la presenza dei relativi cantieri;
   la necessità di accedere all'autostrada per gli utenti interessati al tratto Cava de Tirreni-Salerno rende opportuno prevedere in tali situazioni emergenziali la gratuità del pedaggio per gli automobilisti;
   il dissesto idrogeologico e le precarie condizioni di alcune aree del territorio della provincia di Salerno hanno più volte causato frane, smottamenti e comportato la chiusura di tratti stradali nevralgici, causando disagi e caos per i cittadini –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, per provvedere, con mirati interventi urgenti, a mettere in sicurezza le aree del territorio della provincia di Salerno maggiormente interessate dal rischio idrogeologico;
   se il Governo sia a conoscenza dell'entità del dissesto idrogeologico e dell'alto indice di pericolosità dello stesso nel territorio della provincia di Salerno;
   se non ritenga opportuno, anche al fine di accelerare i processi decisionali, istituire tavoli permanenti e forme di cooperazione tra Governo ed enti locali per la gestione e la pianificazione dell'emergenza idrogeologica in Campania, attraverso un maggiore coinvolgimento degli enti locali e lo stanziamento di nuove e ulteriori risorse. (4-00009)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, con la quale si chiede al Governo quali iniziative intenda adottare per provvedere a mettere in sicurezza le aree della provincia di Salerno maggiormente interessate dal rischio idrogeologico, soprattutto a seguito di un evento franoso verificatosi in data 12 febbraio 2013 che ha causato la chiusura al traffico della strada provinciale che collega i comuni di Vietri sul Mare e Salerno, si fa presente quanto segue.
  Preliminarmente, occorre evidenziare che da uno studio prodotto dai competenti uffici ministeriali, si rileva che nella regione Campania sono 504 i Comuni con aree ad alta criticità idrogeologica.
  Inoltre, il territorio regionale coinvolto da condizioni di alta criticità è di 2.598 Kmq, territorio che corrisponde al 19 per cento della sua superficie e al 19,5 per cento della superficie dei Comuni interessati. Tale superficie è costituita da aree franabili per il 15 per cento e per il 4,5 per cento da aree alluvionabili.
  In particolare per la provincia di Salerno sono 158 i Comuni coinvolti da aree ad alta criticità idrogeologica per un totale di 753 chilometri quadrati. Tali dati sono stati elaborati considerando le aree caratterizzate da livelli di pericolosità e di rischio più elevati, perimetrale nei Piani Stralcio per l'Assetto Idrogeologico (PAI) approvati dalle autorità di bacino competenti territorialmente, proprio in attuazione del decreto-legge n. 180 del 1998 emanato in conseguenza dei tragici eventi di Sarno.
  È bene sottolineare che dal 1998 al 2004, così come previsto dal decreto medesimo, sono stati finanziati da questo Ministero, sul territorio nazionale, oltre 935 interventi per un importo erogato di quasi 560 milioni di euro per arrivare al 2008 ad erogare oltre 2.374 milioni di euro per oltre 3000 interventi di cui 78 nella provincia di Salerno per un totale di circa 63 milioni di euro già completamente trasferiti ai soggetti attuatori. A partire dall'anno 2010, al fine di realizzare una programmazione coordinata sull'intero territorio nazionale, sono stati sottoscritti con le regioni gli accordi di programma e i relativi atti integrativi finanziati ai sensi dell'articolo 2, comma 240 della legge n. 191 del 2009, che ha destinato un miliardo di euro dei fondi assegnati dalla delibera CIPE n. 83 del 6 novembre 2009, ai piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più alto rischio idrogeologico.
  I suddetti accordi individuano e finanziano interventi urgenti per la messa in sicurezza della popolazione e del territorio segnalati dalle regioni e sottoposti alla valutazione della Direzione generale per la tutela del territorio e delle risorse idriche, coinvolgendo le autorità di bacino ed il Dipartimento della protezione civile. Tali interventi sono volti prioritariamente alla salvaguardia della vita umana attraverso la riduzione del rischio idraulico, di frana e di difesa della costa, prevalentemente mediante la realizzazione di nuove opere nonché con azioni di manutenzione ordinaria e straordinaria.
  In questi casi, l'ostacolo maggiore che costituisce una costante quando si affrontano le tematiche del dissesto idrogeologico, è rappresentato sicuramente dalla scarsità delle risorse disponibili considerato anche che queste, una volta destinate al finanziamento di interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico, vengono spesso distolte da tali finalità per far fronte ai costi delle riparazioni dei danni causati da eventi alluvionali nel frattempo occorsi. Ciò è accaduto anche rispetto agli Accordi di programma per la mitigazione del dissesto idrogeologico dove i fondi inizialmente stanziati, pari a mille milioni di euro, sono stati in parte distolti per far fronte agli eventi calamitosi verificatisi in alcune regioni italiane, e poi azzerati da successive manovre finanziarie. Ad oggi, il valore complessivo degli accordi sottoscritti, considerate le risorse FAS statali destinate dalla legge finanziaria 2010, quelle di bilancio messe a disposizione da questo Ministero e le risorse regionali, è pari a circa 2.075 milioni di euro per oltre 1500 interventi finanziati, suddivisi in ulteriori stralci funzionali.
  In particolare, con la Regione Campania è stato sottoscritto un Accordo di programma il 12 novembre 2010, rimodulato nel gennaio 2012, con il quale sono stati finanziati 97 interventi per complessivi euro 220.000.000,00 di cui euro 36.465.532,33 di risorse statali e i restanti di risorse FSC regionali. Gli interventi inseriti in accordo interessano tutte e cinque le province ed oltre cento comuni. In particolare, nella Provincia di Salerno sono stati finanziati 34 interventi per un totale di quasi 88 milioni di euro.
  È, comunque, necessario ricordare che la difesa del suolo è una finalità il cui raggiungimento coinvolge funzioni e materie assegnate tanto alla competenza statale quanto a quella regionale (o provinciale). E proprio in questo obiettivo comune dello Stato e delle regioni la difesa del suolo può essere perseguita soltanto attraverso la via della cooperazione fra l'uno e gli altri soggetti.
  Le strategie degli enti territoriali, e delle regioni in particolare, devono poter assicurare il contributo agli obiettivi nazionali e, nello stesso tempo, indicare con chiarezza le priorità e le azioni contribuendo all'unitarietà dell'attività di pianificazione dell'intero Paese. La difesa del suolo, infatti, è anzitutto un uso corretto del suolo secondo linee fondamentali che devono divenire patrimonio comune di tutte le Amministrazioni, dal Governo centrale agli enti locali.

Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   il parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Albumi, istituito nel 1991, si estende su un territorio di circa 181.048 ettari, dalla costa tirrenica fino ai piedi dell'Appennino campano-lucano;
   dalla necessità di tutelare il Cilento dalle speculazioni edilizie e da un distruttivo turismo di massa, nonché per finalità di riorganizzazione e ottimizzazione delle attività economiche, in particolare, agricole, zootecniche, forestali e turistiche, è nato nel 1995 l'Ente Parco;
   le eccessive restrizioni in materia edilizia, tutte giustificate nell'ottica della salvaguardia ambientale, hanno portato negli ultimi anni alla paradossale situazione per cui le attività produttive esistenti nell'area parco rischiano di scomparire;
   in particolare, il piano del parco, quale fondamentale strumento di pianificazione urbanistico-territoriale, dispone espressamente all'articolo 8 che «nelle zone C1 e C2 la costruzione di nuovi edifici e ogni intervento edilizio eccedente quanto previsto alle lettere a, b, c, dell'articolo 31 legge n. 457 del 1978, fatti salvi gli interventi di ricostruzione di immobili danneggiati dai sismi di cui alla legge n. 219 del 1981, sono ammessi solo in funzione degli usi agricoli, agrituristici nonché della residenza dell'imprenditore agricolo, nei limiti delle esigenze adeguatamente dimostrate e di quanto stabilito dalla legge regionale 14/1982»;
   sulla base di questa norma, l'Ente Parco sosterrebbe fermamente che ai sensi della legge regione Campania n. 14 del 20 marzo 1982 nelle zone agricole le opere di nuova edificazione e/o ampliamento e di ristrutturazione di fabbricati di tipo rurale adibiti in funzione degli usi agricoli possono essere realizzate esclusivamente da imprenditori agricoli professionali (IAP);
   questa interpretazione ha causato una preoccupante situazione che ha assunto negli anni grosse dimensioni e che inevitabilmente porterà alla scomparsa delle piccole proprietà contadine con le proprie tradizioni e quindi all'abbandono di una vasta area del territorio;
   la lettura della legge regionale n. 14 del 1982 operata dall'Ente parco genera, infatti, una situazione assurda a danno di proprietari conduttori in economia e/o dei coltivatori diretti, che si vedrebbero impossibilitati a procedere alla manutenzione del fabbricato o alla sua ristrutturazione se non in possesso della qualifica di IAP, rilasciata dalla regione Campania a conclusione di un corso biennale;
   a ciò si aggiunga l'ulteriore considerazione che, stante la conformazione territoriale del Cilento, caratterizzata da un'estrema parcellizzazione della proprietà, la qualifica di IAP diventerebbe di fatto impossibile da acquisire, occorrendo a tal fine che una significativa parte della capacità reddituale provenga dall'attività agricola;
   in realtà, la citata legge regionale, al titolo II – articolo 1, comma 8, cita testualmente: «nelle zone agricole la concessione ad edificare per le residenze può essere rilasciata per la conduzione del fondo esclusivamente ai proprietari coltivatori diretti, proprietari conduttori in economia, ovvero ai proprietari concedenti, nonché agli affittuari o mezzadri aventi diritto a sostituirsi al proprietario nell'esecuzione delle opere e considerati imprenditori agricoli a titolo principale ai sensi dell'articolo 12 della legge 9 maggio 1975, n. 153»;
   una corretta interpretazione della norma evidenzia come il requisito di imprenditore agricolo a titolo principale debba essere posseduto dagli affittuari o dai mezzadri che conducono un fondo agricolo in modo professionale, quale attività principale;
   suddetta legge regionale non vieta, invece, al proprietario conduttore in economia, che eventualmente svolga un'attività lavorativa principale diversa e che abbia o meno concesso in affitto il fondo, di ristrutturare e/o edificare fabbricati, nei limiti naturalmente delle norme urbanistiche;
   è evidente che opere di ristrutturazione edilizia e urbanistica contribuirebbero in maniera importante alla conservazione e valorizzazione dello stupendo patrimonio immobiliare del Cilento e del Vallo di Diano;
   la nascita del parco dovrebbe rappresentare per il territorio e i suoi cittadini uno strumento di crescita e non di immobilismo;
   ciò è ancora più vero in un periodo come quello che si sta vivendo, nel quale anche un piccolo intervento edilizio e/o artigianale diventa vitale per combattere la crisi economica che attanaglia il Paese –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza ritengano opportuno adottare al fine di chiarire la problematica delle eccessive restrizioni in materia edilizia che preoccupa i comuni situati nel parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni. (4-00831)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante ha esposto con dovizia di particolari la problematica connessa alla applicazione da parte dell'Ente Parco nazionale del Cilento, Valle di Diano e Alburni delle disposizioni recate dall'articolo 8 del Piano del Parco, laddove vengono posti dei limiti, nelle zone C1 e C2 del Parco, agli interventi di nuova edificazione e/o ampliamento e di ristrutturazione di fabbricati di tipo rurale adibiti in funzione degli usi agricoli.
  Sul punto, appare preliminarmente opportuno inquadrare la problematica da un punto di vista più generale.
  In primo luogo, si rammenta che il perseguimento degli obiettivi di conservazione e valorizzazione delle aree protette viene organicamente disciplinato dalla legge-quadro in materia di aree naturali protette (legge n. 394 del 1991 e successive modificazioni e integrazioni) che affida agli enti parco, quale organismo preposto alla tutela dei valori naturali e ambientali dell'area interessata, la proposta del Piano del Parco (articolo 12) quale strumento per conseguire tale tutela.
  In particolare, il comma 2 del predetto articolo 12, impone che «il piano suddivida il territorio in base al diverso grado di protezione, prevedendo:
a) riserve integrali nelle quali l'ambiente naturale è conservato nella sua integrità; b) riserve generali orientate, nelle quali è vietato costruire nuove opere edilizie, ampliare le costruzioni esistenti, eseguire opere di trasformazione del territorio. Possono essere tuttavia consentite le utilizzazioni produttive tradizionali, la realizzazione delle infrastrutture strettamente necessarie, nonché interventi di gestione delle risorse naturali a cura dell'Ente parco. Sono altresì ammesse opere di manutenzione delle opere esistenti, ai sensi delle lettere a) e b) del primo comma dell'articolo 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457; c) aree di protezione nelle quali, in armonia con le finalità istitutive ed in conformità ai criteri generali fissati dall'Ente parco, possono continuare, secondo gli usi tradizionali ovvero secondo metodi di agricoltura biologica, le attività agro-silvo-pastorali nonché di pesca e raccolta di prodotti naturali, ed è incoraggiata anche la produzione artigianale di qualità. Sono ammessi gli interventi autorizzati ai sensi delle lettere a), b) e c) del primo comma dell'articolo 31 della citata legge n. 457 del 1978, salvo l'osservanza delle norme di piano sulle destinazioni d'uso; d) aree di promozione economica e sociale facenti parte del medesimo ecosistema, più estesamente modificate dai processi di antropizzazione, nelle quali sono consentite attività compatibili con le finalità istitutive del parco e finalizzate al miglioramento della vita socio-culturale delle collettività locali e al miglior godimento del parco da parte dei visitatori».
  E, infatti, il Piano del Parco nazionale del Cilento, Valle di Diano e Alburni, nel recepire le richiamate disposizioni, individua, al comma 8 dell'articolo 8 delle norme di attuazione, gli interventi edilizi consentiti in zona C1 e C2 (di protezione). In esse, in particolare, sono ammesse nuove costruzioni e ogni intervento edilizio eccedente quanto riservato alle lettere
a, b e c dell'articolo 31 della legge n. 457 del 1978, come sostituito dall'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 solo se realizzato in funzione degli usi agricoli, agrituristici nonché della residenza dell'imprenditore agricolo, nei limiti delle esigenze adeguatamente dimostrate (da un piano di sviluppo aziendale) e di quanto stabilito dalla legge regionale Campania n. 14 del 1982.
  Sul punto specifico, a fronte di quanto ritenuto dall'interrogante secondo il quale la limitazione operata a determinati soggetti qualificati a richiedere opere di nuova edificazione trova fondamento appunto nella richiamata norma regionale, l'Ente Parco appositamente interpellato, al contrario, ha tenuto a precisare che, in realtà, il richiamo ad essa viene effettuato al solo scopo di rimarcare i limiti di densità edificatoria previsti per le zone agricole.
  Infatti, viene sostenuto, il richiamo alla legge regionale Campania n. 14/82 recante gli «indirizzi programmatici e le direttive fondamentali relative all'esercizio delle funzioni delegate in materia di urbanistica, ai sensi dell'articolo 1, 3o comma della legge regionale n. 65/81», al Titolo II dell'allegato 1, individua non soltanto i soggetti aventi titolo a richiedere la concessione edilizia (oggi permesso a costruire) ma anche i parametri di pianificazione da tener conto per la redazione degli strumenti urbanistici comunali nelle differenti zone omogenee dei piani regolatori generali.
  Pertanto, il Piano del Parco lascia fermi i limiti di densità edilizia previsti nel pertinente piani regolatori generali vigenti nelle zone agricole, limitando, nel contempo, ai soli imprenditori agricoli il novero dei soggetti titolati alla richiesta di concessione edilizia per nuove costruzioni e ampliamenti volumetrici.
  Tale limitazione (e la conseguente esclusione dei conduttori in economia e/o dei coltivatori diretti tra i soggetti legittimati alla nuova edificazione in zona C1 e C2) trova fondamento nell'esigenza di evitare, in zone agricole, la proliferazione di edifici e costruzioni che non siano strettamente funzionali alle attività agricole e pastorali.
  È stato, poi, opportunamente evidenziato che in ordine alla predetta interpretazione di imprenditore agricolo è stato chiesto dall'Ente Parco un apposito parere dell'Avvocatura distrettuale dello Stato di Salerno, che, in tale occasione, ha confermato l'indirizzo assunto dallo stesso Ente, richiamando la definizione di imprenditore agricolo professionale di cui al comma 1, dell'articolo 1 del decreto legislativo n. 99 del 2004.
  La bontà di tale interpretazione, riferisce ancora l'Ente Parco, è stata, altresì, confermata da recenti pronunciamenti del Tar Campania – Sezione di Salerno, che hanno visto coinvolto il medesimo Ente in contenziosi afferenti proprio la limitazione della potestà edificatoria ai soli imprenditori agricoli a titolo professionale (vedi Tar Campania, Salerno, I Sezione, n. 1930 del 6 dicembre 2011; T.A.R. Campania, Salerno, I sezione, n. 204 del 28 gennaio 2013).
  Allo stesso tempo, non appaiono conferenti le considerazioni espresse dall'interrogante in merito alla impossibilità per i conduttori in economia e/o dei coltivatori diretti di procedere alla manutenzione dei fabbricati di proprietà ricadenti nell'ambito territoriale interessato dalle disposizioni sopra richiamate.
  Infatti, la normativa recata dal Piano del Parco, mutuando le disposizioni della legge-quadro n. 394/91, consente attività di manutenzione ordinaria e straordinaria in tutte le zone dell'area protetta, così come sono ammessi, altresì, lavori di risanamento conservativo nelle zone
b), di riserva generali orientate, c), di protezione e, d), di promozione economica e sociale.
  Così, le attività di manutenzione e finanche di risanamento conservativo sono consentite nella parte di gran lunga più ampia del territorio protetto, coincidente con quella caratterizzata da maggiore antropizzazione.
  Del resto, finalità del Piano del Parco è anche quella di conservazione delle risorse naturali rispetto alla disciplina edificatoria prevista per le zone C1 e C2 dell'area protetta.
  Tale problematica, peraltro, si inserisce di tutta evidenza nel complessivo dibattito in corso, a livello nazionale, in materia di consumo del suolo, anche in relazione al recente disegno di legge sulla materia di recente licenziato dal Governo. Appare opportuno, in tal senso, sottolineare come all'interno di un'area protetta risulta necessario evitare il rischio di una compromissione di quelle formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche e biologiche, o gruppi di esse, che hanno rilevante interesse naturalistico e ambientale, e che, ai sensi dell'articolo 1 della ripetuta legge-quadro n. 394 del 1991, costituiscono parte integrante del patrimonio naturale del paese, che gli Enti di gestione di un'area naturale protetta hanno il dovere istituzionale di conservare, tutelare e promuovere.
  E in questa direzione si è mosso il Piano del Parco di cui oggi si discute, il quale ha inteso limitare il dilagante processo di occupazione di vaste aree a destinazione agricola con manufatti definiti agricoli, il più delle volte, solo in sede progettuale, ma aventi tutt'altra destinazione nella realtà dei fatti.
  Non è opinabile, per fatti conclamati, che questo processo di urbanizzazione diffusa, a bassa densità, interessa senz'altro la regione Campania e, in particolare, i comuni costieri dove è più forte la pressione speculativa.
  Oltre che comportare la perdita dei valori paesaggistici ed ambientali, questo processo di trasformazione agraria genera un immagine di degrado degli insediamenti prodotti, a cui contribuisce l'assenza di opere di urbanizzazione tanto necessarie quanto più diffuso è il fenomeno (e cioè strade, marciapiedi, piste ciclabili, fognature, rete elettrica canalizzata, aree per la sosta e lo svago, eccetera).
  I versanti collinari, in particolare, un tempo sapientemente coltivati e modellati dal lavoro dell'uomo con terrazzamenti retti da muri di pietrame a secco, stanno assumendo l'aspetto di un
continuum «rururbano» (un mix tra urbano e rurale) indifferenziato, caratterizzato dalla progressiva compromissione dei funzionamenti produttivi con quelli ecologici ed estetico-percettivi del territorio rurale, in assenza di ogni peculiare qualità sia urbana che rurale.
  E proprio per mettere un freno a questa trasformazione del territorio rurale «aperto», piano territoriale regionale approvato con legge regionale Campania n. 13 del 2008 ha individuato, nelle linee guida, dei criteri correttivi finalizzati a bloccare lo
sprawl edilizio, e cioè a dire della edificazione diffusa e sparsa sul territorio, nonché delle espansioni lineari lungo le strade principali di collegamento e lungo la fascia costiera.
  Tale fenomeno, che ovviamente interessa tutte le aree agricole della Regione Campania, è da ritenersi, per quanto qui interessa, ancora più grave e allarmante alla luce della continua richiesta di autorizzazioni per la costruzione di case «cosiddette» agricole nelle aree oggetto di tutela da parte dell'Ente Parco interessato. Una loro eventuale evasione che non sconti il coevo obbligo di valutarne la conformità alle regola di tutela del territorio, potrebbe mettere a rischio quei valori ambientali e paesistici che hanno giustificato la istituzione di un'area naturale protetta nazionale, come appunto il Parco Nazionale del Cilento, Valle di Diano e Alburni, e il suo inserimento nella lista del patrimonio dell'Umanità da parte dell'Unesco.
  Ed è in questa ottica che si deve, appunto, ritenere più che adeguato e rispondente alle normative di riferimento, il criterio informativo che ha guidato tutte le amministrazioni locali e territoriali interessate e coinvolte nel processo di elaborazione ed approvazione del Piano del Parco, il quale ha inteso, tra l'altro, porre un freno al sopra riferito allarmante fenomeno di alterazione del paesaggio rurale.

Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   CURRÒ, GRILLO, BARONI, DI VITA, SILVIA GIORDANO, DALL'OSSO, LOREFICE, DI BENEDETTO, CANCELLERI, D'UVA, LUPO, ZACCAGNINI e MANNINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 4 giugno 2013 in seguito ad un guasto all'impianto topping 1 allo stabilimento petrolchimico Eni di Gela (CL) si registrava una consistente fuoriuscita di greggio per non meno di una tonnellata che ha raggiunto la foce dello stesso fiume Gela per poi spandersi in mare aperto e nel tratto di costa antistante la foce medesima;
   il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Gela, Lucia Lotti, ha disposto il «sequestro per esigenze probatorie e di cautela» dell'impianto «Topping 1», presso la raffineria in premessa e le indagini, avviate dalla direzione aziendale e dalla capitaneria di porto, hanno permesso di accertare una serie di concause all'origine del disservizio;
   gli stessi sindacati confederali della chimica e dell'energia in una nota hanno affermato che: «non è ammissibile una perdita di prodotto da uno scambiatore che, dalle prime notizie in nostro possesso pare sia stato sottoposto a manutenzione durante il periodo della recente fermata»;
   il presidente della regione siciliana Rosario Crocetta nell'immediatezza degli eventi si è sentito in dovere di dichiarare: «da tempo, per Gela, sono state concesse le autorizzazioni ambientali, regionali e nazionali, necessarie per rafforzare la sicurezza degli impianti, l'Eni ha sempre assicurato che tali investimenti sarebbero stati realizzati al più presto possibile, mentre non si riesce ad avere un cronoprogramma preciso. I gruppi industriali petroliferi dovrebbero cominciare a dirci con chiarezza cosa intendono fare rispetto a impianti che hanno bisogno di tanti investimenti e manutenzioni straordinarie, per renderli compatibili con il rispetto dell'ambiente e la sicurezza e la salute dei cittadini» –:
   se i Ministri interrogati intendano assumere iniziative rapide e solerti per verificare, per quanto di competenza, che vengano assicurati tutti i monitoraggi per la salute della cittadinanza, la sicurezza dei lavoratori dell'impianto e la salubrità del patrimonio ambientale locale;
   quali iniziative intendano adottare per evitare che si possano ripetere ulteriori tragedie ambientali di questa portata nelle aree petrolchimiche nazionali;
   quali iniziative intendano intraprendere per obbligare le società operanti nelle aree a destinazione petrolchimica ai dovuti investimenti in sicurezza ambientale e per la salvaguardia dei lavoratori e della salubrità delle popolazioni che insistono nelle rispettive aree circostanti le attività industriali inquinanti. (4-00779)

  Risposta. — In relazione all'atto di sindacato ispettivo in esame, riguardante la fuoriuscita di greggio a seguito di un guasto occorso allo stabilimento Eni di Gela (CL), si rappresenta quanto segue.
  Con nota del 28 giugno 2013, il comune di Gela ha fornito informazioni in merito all'evento incidentale occorso presso lo stabilimento petrolchimico Eni che insiste nel medesimo comune.
  A tal proposito è stato assicurato che gli interventi
in loco sono stati puntuali e tempestivi, tanto da circoscrivere immediatamente lo sversamento di petrolio, denunciato nell'interrogazione, altrimenti causa di conseguenze ben più gravi.
  Le analisi condotte dall'Arpa Sicilia, sui campioni di sabbia ed acqua, hanno confermato un graduale ma significativo ritorno alla normalità dei valori stabiliti dalla legge. Dalle medesime analisi è emerso che non è stata rilevata alcuna presenza importante di idrocarburi.
  Quanto esposto è stato altresì confermato, secondo il Comune di Gela, anche dal preposto Dipartimento di igiene pubblica dell'agenzia di sviluppo provinciale di Caltanissetta.
  Si sottolinea, inoltre, che il Comune di Gela ha predisposto un intervento di bonifica ed ha vigilato a fianco degli altri enti competenti sulla regolarità dell'intervento di messa in sicurezza e ripristino delle condizioni
ex-ante.
  Occorre, altresì, evidenziare che il medesimo Comune, anche di concerto con la Procura della Repubblica, gli enti preposti e le numerose associazioni di cittadini, effettua un controllo costante sulla corretta applicazione dell'autorizzazione integrale ambientale, in possesso della raffineria di Gela.
  Si fa presente che sulla questione è intervenuta anche la Capitaneria di porto, interpellata dalla Prefettura di Caltanissetta, la quale ha comunicato che lo sversamento degli idrocarburi si è riversato nell'ultimo tratto di circa 720 metri del fiume gela prima dello sbocco in mare e che le correnti contrarie, presenti nella mattinata del 4 giugno 2013, hanno sospinto parte del prodotto inquinante lungo il fiume per ulteriori 400 metri verso l'entroterra.
  Si aggiunge che il Comando provinciale dei Vigili del Fuoco di Caltanissetta, con nota del 16 luglio 2013, ha comunicato che è in corso l'istruttoria dell'aggiornamento del Rapporto di Sicurezza della raffineria, edizione 2010, da parte del Gruppo di lavoro nominato dal Ctr (Comitato Tecnico Regionale).
  Da ultimo si comunica che il Comando Carabinieri per la tutela dell'ambiente, con nota del 9 luglio 2013 ha informato che presso la Procura della Repubblica del tribunale di Gela è stato aperto un fascicolo processuale, tuttora pendente, le cui indagini sono state demandate ad altro organo di polizia.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare proseguirà in un ottica di prevenzione ad esercitare un'attività di monitoraggio puntuale e costante della situazione attraverso gli enti competenti.

Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   DI GIOIA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il gasdotto trans-adriatico è un progetto volto alla costruzione di un nuovo gasdotto che dovrebbe connettere l'Italia con la Grecia attraverso l'Albania, al fine di consentire l'afflusso di gas naturale proveniente dalla zona del Caucaso;
   nel 2009 è stato siglato l'accordo intergovernativo tra Italia e Albania per la cooperazione nei campi dell'elettricità e del gas;
   in tale accordo fu individuato il TAP come progetto di interesse prioritario per entrambi i Paesi;
   tale opera dovrebbe avere il suo terminale nel comune di Meledugno, in provincia di Lecce;
   il 24 gennaio 2012, infatti, sono iniziati i monitoraggi di fronte alla costa di San Foca, località San Basilio;
   sul progetto vi è stata una forte opposizione, sin dall'inizio, da parte dell'amministrazione locale che ha fatto presente, con due delibere di altrettanti consigli comunali, quanto fosse incompatibile tale opera rispetto alla vocazione agricola e turistica di quel territorio;
   la vocazione turistica di tale territorio è, d'altronde, confermata dai prestigiosi riconoscimenti conseguiti, quali la Bandiera Blu e Le Cinque Vele di Legambiente;
   sembra incredibile che ogni volta che si prospetta un'opera d'interesse nazionale non vi sia alcun criterio di selezione e valutazione dei territori interessati che rischiano di vedere affossare la propria economia locale in virtù della superficialità con la quale sono prodotte tali scelte –:
   se non si ritenga necessario accogliere le giuste motivazioni fornite dall'amministrazione comunale di Meledugno in merito alla necessità di rivedere il luogo dove posizionare il terminale del gasdotto in oggetto, al fine di evitare inutili situazioni di tensione sociale in un'area già pesantemente colpita dagli effetti della crisi economica e che vede nel turismo e nell'agricoltura una fonte reale di crescita e sviluppo economico;
   se non si ritenga, di conseguenza, urgente convocare un tavolo di confronto interistituzionale tra le parti in causa al fine di trovare una soluzione condivisa su tale delicata materia. (4-01419)

  Risposta. — Si premette che la specificità della materia trattata e la delicatezza delle questioni ivi rappresentate sono conseguenti al tentativo di armonizzare e garantire, da una parte la salvaguardia ambientale e la tutela di un territorio (come quello del comune di Melendugno, in provincia di Lecce) a forte vocazione sia agricola che turistica, dall'altra dare seguito all'accordo intergovernativo tra Italia e Albania per la cooperazione dell'elettricità e del gas siglato nel 2009.
  In tale accordo venne infatti individuato nella società Trans Adriatic Pipeline (TAP), il progetto fulcro e prioritario per entrambi i Paesi che opererà al fine della costruzione di un nuovo gasdotto che connettendo l'Italia con la Grecia, attraverso l'Albania, consentirà l'afflusso di gas naturale proveniente dalla zona del Caucaso.
  In questa ottica il Ministero dello sviluppo economico in base alle proprie competenze e da ulteriori elementi acquisiti dalla società Trans Adriatic Pipeline (TAP) comunica quanto segue:
   il progetto Tap costituisce una infrastruttura strategica per trasportare gas naturale dai giacimenti dell'area del Caspio, in particolare dalla seconda fase di sviluppo del giacimento azero di Shah Deniz II, nel Mar Caspio, verso l'Europa. Esso è stato selezionato nell'ambito di un gruppo di vari progetti, facenti parte del cosiddetto «Corridoio Sud» che alternativamente prevedevano di far giungere il gas in Europa attraverso l'area balcanica o, come poi è avvenuto, attraverso la Grecia, l'Albania e l'Italia.
  L'apertura del Corridoio Sud è considerata nel suo insieme una priorità dell'Unione europea e la Commissione europea ha fortemente promosso il suo sviluppo, proprio per aprire una nuova via di approvvigionamento di gas per l'Europa, che potrà svilupparsi in futuro con portate maggiori e rotte complementari, in modo da accrescere la sicurezza degli approvvigionamenti e soprattutto la diversificazione delle forniture, ancora fortemente legate ai partner tradizionali, Paesi come la Russia e l'Algeria. Questo è tanto più importante in quanto, anche considerata la
roadmap europea per il 2050, il gas continuerà a rivestire nel medio termine una fonte energetica imprescindibile per i Paesi UE, anche in considerazione del previsto calo della produzione di gas europea, e in previsione della auspicata ripresa dell'economia e quindi dei consumi.
  La ratifica dell'accordo sul gasdotto Trans Adriatic Pipeline tra il Governo della Repubblica italiana, il Governo della Repubblica di Albania ed il Governo della Repubblica della Grecia, fatto ad Atene il 13 febbraio 2013, permette di dare attuazione all'intesa siglata dai tre Paesi il 27 settembre 2012 a New York per la realizzazione dello stesso, attraverso il rafforzamento delle collaborazioni in essere e costituisce per l'Italia un utile strumento per diversificare le fonti energetiche, nonché i fornitori di energia, con positive ricadute anche dal punto di vista della sicurezza energetica.
  Al fine di promuovere la realizzazione del gasdotto Tap il 13 febbraio 2013 i Ministri dell'energia dei Governi della Repubblica d'Italia, d'Albania e della Grecia, hanno firmato ad Atene un accordo sul gasdotto Tap, che è stato già ratificato sia dalla Grecia che dalla Albania.
  Il 24 maggio 2013, il Consiglio dei Ministri italiano ha approvato il disegno di legge per la ratifica e l'esecuzione di tale Accordo, che è stato inviato alle Camere per la ratifica. Il 30 luglio 2013 si è concluso l'esame e la discussione in Commissione Senato (A.S. 884) ottenendo il parere favorevole delle Commissione ambiente, industria, bilancio ed esteri del Senato. Ad ottobre 2013 era in trattazione in Assemblea Senato.
  Il 28 giugno 2013, il consorzio Shah Deniz II ha quindi ufficializzato la scelta del gasdotto Tap come rotta preferenziale per il trasporto del gas azero in Europa, rispetto al progetto rimasto Nabucco West, finalizzato a trasportare invece il gas azero fino in Austria attraverso i Balcani, progetto che potrà essere realizzato in una seconda fase più avanti nel tempo, quando saranno disponibili volumi di gas aggiuntivi.
  La scelta di Tap per l'apertura del Corridoio Sud delle infrastrutture gas strategiche europee, come sopra evidenziato, accrescerà la sicurezza degli approvvigionamenti, la diversificazione delle fonti e delle rotte di provenienza del gas e l'aumento dell'offerta e del numero di fornitori in concorrenza sul mercato italiano ed europeo. La sua realizzazione consentirà di andare verso un mercato sempre più concorrenziale e più integrato con quello europeo, consentendo all'Italia di diventare un
hub europeo del gas proveniente dalla regione del Caspio;
   l'approdo del metanodotto a nord di San Foca, secondo quanto dichiarato dalla società nello studio di impatto ambientale, procurerebbe ridotti impatti ambientali in quanto il gasdotto attraverserebbe la linea di costa secondo la tecnica della trivellazione orizzontale, cioè mediante un gasdotto che dal largo della costa verrebbe realizzato con un passaggio al di sotto del fondo marino, riemergendo dal sottosuolo nell'entroterra, oltre la linea di costa, senza quindi intaccare minimamente la costa salentina, che non sarebbe perciò interessata da lavori in superficie.

  Riguardo il tracciato in terraferma il gasdotto interesserà il comune di Melendugno, evitando tutte le zone protette da vincoli di carattere ambientale e paesaggistico previsti dal piano urbanistico territoriale.
  Anche nella scelta della cabina terminale di approdo la società Tap ha studiato insieme alle autorità locali il miglior tracciato al fine di preservare il territorio nella sua integrità paesaggistica. E prevalsa la scelta di collocare la cabina nell'area del comune di Melendugno, su terreno agricolo, al di fuori dell'area vincolata, dove saranno adottati tutti i requisiti di progettazione e realizzazione previsti dalle norme di sicurezza.
  Si precisa che il terminale di ricezione svolge solo funzione di misura e non produce emissioni significative in atmosfera, in quanto nella fase di riscaldamento del gas saranno utilizzati dei riscaldatori elettrici; emissioni di CO2 occasionali, potranno verificarsi, ma solo durante eventuali partenze/fermate rapide del terminale ed in caso di improvvise variazioni considerevoli della pressione della rete gas di Snam; in ogni caso, dallo studio di valutazione ambientale, risultano non significative, ai di sotto dei limiti consentiti dalla norma e di gran lunga inferiori, a quante prodotte, nell'anno; dal riscaldamento dell'abitato del comune di Melendugno e di Vernole.
  In ogni caso si fa presente che lo studio di impatto ambientale revisionato ed aggiornato, anche per rendere ancora meno rilevanti le incidenze sul territorio, in particolare per l'ubicazione e le dimensioni del terminale di ricezione è stato, il 10 settembre 2013, allo scadere della proroga concessa dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare alla società, presentato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, e pubblicato sui quotidiani locali e nazionali per la fase di consultazione. Pertanto, durante tale fase tutte le incidenze sul territorio potranno essere valutate, acquisendo il parere definitivo degli enti locali interessati e della popolazione interessata dall'infrastruttura.
  In tale occasione sarà possibile una corretta informazione sugli effettivi impatti di carattere territoriale e ambientale e dei vantaggi di carattere nazionale e locale derivanti dalla realizzazione dell'opera, indirizzata a tutti i soggetti interessati, che consentirà di avere una valutazione compiuta degli stessi su basi tecniche e dati concreti. Inoltre in tale sede potranno essere anche stabilite le misure di compensazione ambientale e territoriale per i territori interessati dall'opera, in base alle norme vigenti.
  La società Tap ha già dato la propria disponibilità a investire in progetti locali a beneficio dei comuni, dei residenti e della comunità locale, tra cui sostenere, mediante una convenzione, lo studio e la realizzazione di un intervento di tutela della costa dall'erosione costiera stanziando 5 milioni di euro. Infine, secondo uno studio effettuato da Nomisma, l'impatto complessivo sul prodotto interno lordo pugliese sarebbe di euro 290 milioni e di circa 2.000 posti di lavoro durante la fase di costruzione.
  Per quanto riguarda gli aspetti autorizzativi, solo una volta emanato il decreto di pronuncia di compatibilità ambientale a valle del parere della commissione Via del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero dello sviluppo economico potrà convocare la riunione della conferenza dei servizi decisoria alla quale saranno invitati a partecipare tutti gli enti locali interessati; la seduta decisoria della conferenza dei servizi potrà essere preceduta anche da sedute istruttorie qualora se ne ravvisasse la necessità o fosse richiesto da un ente interessato, pertanto il confronto interistituzionale è garantito come previsto dalla normativa sul procedimento amministrativo. È da sottolineare infine che le norme prevedono che le autorizzazioni alla costruzione ed esercizio dei gasdotti siano emanate dal Ministero dello sviluppo economico di intesa con la regione interessata.

Il Ministro dello sviluppo economicoFlavio Zanonato.


   FIANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il nucleo informativo di Malpensa, incardinato nel centro operativo D.I.A. di Milano, è stato istituito il 1° giugno 2000, in attuazione dell'articolo 5 del decreto ministeriale 30 marzo 1994, allo scopo di raccogliere elementi per l'attività di prevenzione ed analisi dei fenomeni criminali correlati alla malavita organizzata, nonché di garantire una funzione di appoggio ed assistenza per le iniziative di maggior complessità e/o indagini di Polizia giudiziaria;
   nell'ufficio sono impiegate 2 unità che devono svolgere l'attività d'istituto, consistente nell'acquisizione di documentazione ritenuta utile per fini investigativi e nel supporto all'attività di centri e sezioni operative, come dimostra l'enorme lavoro svolto in questi anni;
   i costi di gestione annuale della struttura che ospita il presidio non superano i 5000/7000 euro annui, atteso che il valore del canone è meramente retributivo delle utenze e dei servizi forniti;
   il risparmio derivante dalla dismissione dell'ufficio sarebbe dunque irrilevante di fronte ai ben più significativi costi di missione derivanti dall'invio quasi quotidiano di personale da parte del Centro Operativo di Milano allo scalo aeroportuale che dovrebbe comunque evadere le richieste provenienti dalle altre articolazioni della DIA. Senza contare la perdita del patrimonio informativo e conoscitivo accumulato in questi 13 anni di proficua attività;
   lo scalo è inserito in una zona, come dimostrato dalle ultime indagini coordinate dalle procure competenti, a fortissima penetrazione mafiosa;
   Milano, com’è noto, sarà sede dell'Expo 2015 e l'aeroporto si sta attrezzando per predisporre le infrastrutture per l'occasione: infatti, la S.E.A. ha presentato un programma che prevede una serie di investimenti in considerazione della movimentazione che l'evento produrrà;
   dinanzi ad una precedente proposta di chiusura dell'Ufficio in questione, il 17 gennaio 2012 il direttore pro tempore della DIA aveva espresso la inopportunità di sopprimere il nucleo informativo di Malpensa «tenuto conto anche degli imminenti impegni connessi all'EXPO 2015», che avrebbero determinato un aumento della circolazione di persone e di merci tale da rendere preferibile la presenza in loco di un presidio D.I.A. fisso; nel contempo l'allora direttore aveva sottolineato che le spese di missione per i servizi da svolgere comunque in loco per il soddisfacimento delle esigenze emergenti sarebbe stato maggiore rispetto ai risparmi ipotizzabili;
   il Presidente del Consiglio dei ministri ha recentemente dichiarato che il Governo assicurerà la massima vigilanza per evitare che l'Expo 2015 di Milano possa essere oggetto di infiltrazioni mafiose, aggiungendo che «La criminalità organizzata, le mafie non pensino che questa sia una occasione per loro... La nostra vigilanza sarà doppia, tripla, quadrupla perché sarebbe un ritorno negativo per il nostro Paese» –:
   quali siano le ragioni per cui si intende dar corso al provvedimento di chiusura del nucleo informativo D.I.A. di Malpensa, che appare improvvido ed inopportuno e non sorretto da alcuna motivazione di natura economica o funzionale ma solo lesivo dell'interesse della collettività, per cui a parere dell'interrogante è assolutamente necessario revocare tale intendimento. (4-00380)

  Risposta. — Il Nucleo informativo della Direzione investigativa antimafia presente presso l'aeroporto di Malpensa è stato soppresso nel mese di maggio scorso e i due operatori sono stati assorbiti dal competente Centro operativo di Milano.
  Il Nucleo che aveva competenze unicamente sull'area interna dell'aeroscalo, era stato costituito nel febbraio del 2000 e doveva essere propedeutica alla istituzione di un osservatorio privilegiato in previsione dell'avvio del progetto «
Malpensa 2000», che nel corso del tempo, invece, ha subìto un ridimensionamento delle prospettive di crescita.
  Prevalentemente, in questi anni, il Nucleo ha svolto un ordinario supporto alle attività di polizia giudiziaria degli Uffici della Direzione investigativa antimafia dislocati sul territorio nazionale, tramite l'acquisizione delle liste di imbarco per il monitoraggio di persone di interesse investigativo nell'ambito di indagini di polizia giudiziaria.
  Inoltre, grazie all'evoluzione tecnologica, le notizie necessarie alle attività di analisi, prima fornite dal Nucleo, sono da tempo rilevabili da postazione da remoto, attraverso la consultazione di apposite banche dati informatiche.
  Nell'ultimo triennio il personale del Nucleo, solo in rare occasioni, è stato impegnato nella fase esecutiva di arresti o perquisizioni e, in nessuna occasione, è stato impegnato in «ruoli operativi» nelle attività investigative condotte dal Centro di Milano.
  Va anche evidenziato che, la SEA s.p.a., locataria degli spazi su cui insiste il Nucleo Informativo, aveva applicato un aumento del canone di locazione pari a circa il 100 per cento dell'importo originario.
  D'altra parte bisogna riconoscere che, in previsione dell'esposizione universale che avrà luogo a Milano nel 2015, è stato potenziato sistema di controllo sulle attività contrattuali delle pubbliche amministrazioni ai fini di escludere il condizionamento o l'infiltrazione della criminalità organizzata.
  È stata, infatti, istituita, presso la Prefettura del capoluogo, la Sezione specializzata del Comitato di coordinamento per l'alta sorveglianza delle grandi opere, di cui fa parte anche personale del centro operativo di Milano della Direzione investigativa antimafia.
  Analoga partecipazione è assicurata nell'ambito del gruppo Interforze per l'Expo Milano 2015 (GICEX).
  Nella Prefettura del capoluogo è, inoltre, presente un funzionario della Direzione investigativa antimafia, al fine di assicurare il raccordo delle attività di monitoraggio condotte dai vari gruppi interforze.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   GRIMOLDI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   in attuazione della Direttiva comunitaria n. 2000/43/CE, il decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, ha istituito in Italia, nell'ambito della Presidenza del Consiglio dei ministri, dipartimento per le pari opportunità, l'UNAR – Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali;
   l'UNAR ha il compito di garantire efficacemente il principio della parità di trattamento e di non discriminazione, fornendo anche ausilio ed assistenza alle vittime;
   recentemente il consigliere comunale del comune di Monza Alberto Mariani ha ricevuto dall'UNAR una comunicazione scritta a firma del consigliere Marco de Giorgi nella quale l'ente, sulla base di mere «segnalazioni» non altrimenti specificate né documentate, attinenti a dichiarazioni del Mariani citate senza testimonianza né fonte, il Consigliere De Giorgi rivolge specifiche osservazioni e raccomandazioni al consigliere comunale;
   l'elemento che tuttavia suscita sconcerto è il contenuto delle affermazioni che secondo l'UNAR sarebbero da condannare: per l'UNAR infatti dire che gli zingari intimoriscono gli anziani chiedendo con insistenza l'elemosina e che in una zona della città gli esercizi hanno attivato servizi di vigilanza privata per evitare piccoli furti, presenterebbe evidenti profili di illegittimità, non spiegando rispetto a quali leggi peraltro, e rischierebbe di penalizzare una comunità bersaglio di «campagne di odio razziale», anche in questo caso, senza alcun riferimento a questioni o circostanze individuabili;
   dichiarare per iscritto, da parte di un ente della Presidenza del Consiglio dei ministri, tali concetti potrebbe significare ledere la libertà di espressione e statuire che in questo Paese non è più possibile affermare che gli zingari chiedono l'elemosina, nemmeno di fronte all'evidenza che ciò realmente accade, negando allo stesso tempo la possibilità, semplicemente, di descrivere la realtà, laddove essa riguardi persone di etnia Rom –:
   se il Presidente del Consiglio sia a conoscenza e condivida la posizione dell'UNAR nello specifico caso. (4-02198)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, l'interrogante chiede se sia a conoscenza e si condivida la posizione dell'ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar) assunta in seguito ad alcune affermazioni del consigliere comunale di Monza, Alberto Mariani, ritenute discriminatorie nei confronti della popolazione Rom insediata nella città.
  In particolare, si chiede se sia a conoscenza e si condivida che l'Unar, sulla base di mere segnalazioni non specificate e documentabili attinenti a dichiarazioni citate dal consigliere Mariani «senza alcuna testimonianza e fonte», si faccia portavoce di raccomandazioni che lederebbero la libertà di espressione e di pensiero non solo del consigliere, ma di chiunque compia dichiarazioni per descrivere semplicemente la realtà degli accadimenti riguardanti l'etnia Rom.
  La risposta all'interrogazione presuppone, in primo luogo, una breve descrizione dei fatti che hanno generato il caso e che hanno, quindi, imposto l'attività di verifica e di rimozione della discriminazione che l'Unar esercita in base alle specifiche attribuzioni previste dalla legge (articolo 7, decreto legislativo n. 215 del 2013).
  L'ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali ha agito in conformità dei compiti attribuiti dalla legge, compiendo, dapprima le attività di verifica e monitoraggio del caso, e di seguito al fine di prevenire la compressione del principio di parità di trattamento, ha invitato il consigliere Mariani a «voler considerare l'opportunità, per il futuro, di trasmettere alla collettività messaggi di diverso tenore, ispirati ai valori del dialogo, della tolleranza e della convivenza pacifica tra le persone indipendentemente dalla loro origine nazionale».
  La posizione assunta dall'Unar non appare limitativa della libertà di manifestazione del pensiero, ma è di una semplice esternazione a fini preventivi, come è evidente dalle parole utilizzate dalla stessa che si limitano ad invitare «a voler considerare l'opportunità per il futuro».
  Nel caso di specie, non si è mancato di dar conto dell'intangibilità del principio di manifestazione del pensiero garantito dalla Costituzione italiana, operandosi un mero bilanciamento di valori costituzionalmente protetti al fine di prevenire la compressione dei diritti di parità di trattamento degli stranieri.
  Il contrasto delle discriminazioni e la promozione della parità di trattamento costituiscono il corollario del principio di uguaglianza che la nostra Costituzione, al pari di tutte le moderne Costituzioni democratiche, riconosce nell'articolo 3, laddove non solo sono vietate tutte le discriminazioni in ragione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche e di condizioni personali e sociali, ma si prescrive positivamente alla Repubblica e, dunque, ad ogni sua formazione, di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
  Trattandosi, dunque, di interessi e valori di pari rango (da un lato, i diritti di eguaglianza quale diritti fondamentali dell'uomo e, dall'altro, i diritti fondamentali connessi alla liberta di manifestazione del pensiero) richiedono entrambi pari tutela, fermo restando la prerogativa propria dell'autorità giudiziaria in caso di conflitto tra gli stessi.
  Inoltre, l'opportunità dell'azione preventiva di sensibilizzazione sui temi della discriminazione andrebbe colta solo a voler considerare che con essa si tenta di prevenire eventuali azioni giudiziarie potendo i soggetti vittima delle discriminazioni non solo attivare un'azione civile generale, ma anche assumere iniziative di denuncia o querela per sollecitare gli organi giudiziari all'accertamento dei fatti di reato, con evidenti ricadute sugli enti pubblici coinvolti.
  In conclusione, la questione della compressione della libertà di manifestazione del pensiero, non appare centrare la funzione dell'attività svolta dall'Unar nel caso in parola e negli altri casi al suo esame.
  Al solo fine di completezza, con riguardo alle lamentele sollevate, si evidenzia che:
   l'ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali è l'organismo di parità istituito in attuazione della direttiva 2000/43/CE sulla razza e sull'origine etnica, con le funzioni proprie dei cosiddetti
equality bodies, quelle organizzazioni che promuovono l'uguaglianza, combattono la discriminazione, assistono le vittime e compiono attività di monitoraggio sui problemi della discriminazione;
   l'articolo 7 del decreto legislativo n. 215 del 2003, di attuazione della direttiva richiamata, attribuisce ad esso la precipua funzione di svolgere attività di promozione della parità e di contrasto delle discriminazioni etniche e razziali, specificando che i compiti dell'Unar sono:
a) fornire assistenza ai soggetti lesi nei procedimenti giurisdizionali e amministrativi; b) svolgere inchieste e verificare l'esistenza di fenomeni discriminatori, nel rispetto delle prerogative dell'autorità giudiziaria; c) promozione di misure specifiche per la lotta alla discriminazione; d) diffondere la massima conoscenza degli strumenti di tutela, anche mediante azioni di sensibilizzazione; e) formulare raccomandazioni e pareri su questioni connesse alle discriminazioni; f) redigere relazione delle attività al Presidente del Consiglio e al Parlamento; g) promuovere studi, ricerche e corsi di formazione sul principio di non discriminazione;
   la presa in carico delle segnalazioni avviene attraverso il
contact center e via web, grazie ad un presidio costante dei fenomeni discriminatori svolto dagli operatori;
   le attività di verifica, monitoraggio, promozione della parità e rimozione della discriminazione rappresentano oggetto del rapporto annuale al Presidente del Consiglio dei ministri nonché della relazione parlamentare, che costituiscono specifico obbligo di legge.

Il Ministro per l'integrazioneCécile Kyenge.


   LABRIOLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Corpo nazionale dei vigili del fuoco è tradizionalmente composto da una componente volontaria ed una professionista, detta anche «permanente»;
   diversi provvedimenti legislativi susseguitisi negli ultimi dieci anni hanno puntato ad un graduale potenziamento d'organico del Corpo al fine di garantire omogenei standard di sicurezza per l'intero sistema Paese (Progetto «Italia in 20 minuti»);
   questi potenziamenti, purtroppo, spesso sono però rimasti solo sulla carta a causa di un sempre più consistente contenimento della spesa pubblica, quindi di una notevole riduzione del numero di nuovi assunti, mascherati da una sempre maggiore precarizzazione del Corpo nazionale;
   attualmente il Corpo risulta, infatti, deficitario per un rilevante numero di unità distribuite su tutti i vari ruoli operativi, anche se al momento da dati provenienti dalla stessa amministrazione il ruolo vigile, risulta essere l'unico avente un leggero sovrannumero di organico che però all'atto dell'attuazione dei corsi per i passaggi di qualifica nel ruolo di capo squadra del Corpo nazionale risulterà anch'esso deficitario. La causa va ricercata sia nel mancato ripristino del normale turn-over dovuto ai pensionamenti, sia in un sostanziale blocco dei concorsi interni per la progressione in carriera, oltre che in una pregressa carenza di organico mai del tutto recuperata;
   un gap di uomini e di risorse che si è cercato di tamponare tentando di incrementare la componente volontaria che riveste senza alcun dubbio una parte importante del Corpo;
   in particolare, quest'ultimo aspetto è da ritenersi la causa principale che ha generato una situazione di vero e proprio precariato all'interno del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, conclamato poi con la legge 296 del 2006 che ha sancito, a tutti gli effetti di legge, uno status di «precario» della pubblica amministrazione per un vigile volontario impiegato in servizio temporaneo, una volta definito vigile discontinuo in maniera reiterata nel tempo;
   il decreto del Presidente della Repubblica n. 76 del 2004 disciplina le norme che si applicano al personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco prevedendo i particolare ai commi 2 e 3 dell'articolo 1 che: il personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco è costituito da: a) vigili volontari iscritti a domanda negli elenchi dei comandi provinciali, ai sensi dell'articolo 13 della legge 8 dicembre 1970, n. 996; b) ex vigili volontari ausiliari di leva iscritti d'ufficio negli elenchi dei comandi provinciali ai sensi dell'articolo 12 della legge 8 dicembre 1970, n. 996; inoltre il personale volontario non è vincolato da rapporto di impiego con l'amministrazione ed è chiamato a svolgere temporaneamente i propri compiti ogni qualvolta se ne manifesti il bisogno, in conformità a quanto disposto dagli articoli 14 e 70 della legge 13 maggio 1961, n. 469;
   le problematiche, che da tempo, riguardano il processo di stabilizzazione del personale volontario dei vigili del Fuoco, sono comunque orientate alla salvaguardia delle esperienze tecnico-professionali acquisite a seguito, sia di un percorso formativo che deriva dal combinato disposto dell'articolo 9, commi 1 e 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 76 del 2004 che dagli anni di partecipazione a tutte le fasi del soccorso tecnico urgente così come previsto dall'articolo 3 comma 2 del citato decreto;
   nel contesto delle procedure per la stabilizzazione, la Corte Costituzionale ha più volte riconosciuto nel concorso pubblico la forma generale ed ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego;
   tale principio costituzionale non è comunque incompatibile con la possibilità di forme di accesso intese a consolidare pregresse esperienze lavorative maturate nella stessa amministrazione, tuttavia non tollera – salvo circostanze del tutto eccezionali – la riserva integrale dei posti disponibili in favore di personale interno;
   ai sensi dell'articolo 1, comma 519, della legge n. 296 del 2006 («... Nei limiti del presente comma, la stabilizzazione del personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco è consentita al personale che risulti iscritto negli appositi elenchi, di cui all'articolo 6 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, da almeno tre anni ed abbia effettuato non meno di centoventi giorni di servizio “da possedere nel quinquennio di stabilizzazione disposto dalla legge 296/2006”. Con decreto del Ministro dell'interno, fermo restando il possesso dei requisiti ordinari per l'accesso alla qualifica di vigile del fuoco previsti dalle vigenti disposizioni, sono stabiliti i criteri, il sistema di selezione, nonché le modalità abbreviate per il corso di formazione. Le assunzioni di cui al presente comma sono autorizzate secondo le modalità di cui all'articolo 39, comma 3-ter, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni»), il procedimento di stabilizzazione è stato configurato come una procedura a carattere eccezionale, limitata nel tempo e concorrente, ma non alternativa, a quella ordinaria;
   inoltre nell'articolo 1, comma 526, di tale legge, era previsto che le amministrazioni potessero procedere, per gli anni 2008 e 2009, a stabilizzare i precari nel limite di una percentuale massima del 40 per cento delle cessazioni avvenute nell'anno precedente;
   ma il decreto-legge 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008 ha mantenuto la quota del 40 per cento solo per l'anno 2008, abbassandola al 10 per cento per le stabilizzazioni da effettuarsi nell'anno 2009;
   nel corso del 2008 l'amministrazione ha bandito un concorso pubblico per 814 posti nella qualifica di vigile del fuoco con graduatoria approvata nel luglio del 2010. Ad oggi risultano assunti i vincitori di tale procedura oltre ad un numero cospicuo di idonei non vincitori alla stessa;
   dei 7599 idonei non vincitori si deve porre l'attenzione sui circa 5236 non riservatari all'interno dei quali risultano un numero rilevante di idonei che, da anni, sono iscritti negli appositi elenchi di volontari del Corpo nazionale vigili del fuoco che, al momento del bando, non avevano i requisiti previsti, ma da considerarsi a tutti gli effetti precari del Corpo dei vigili del fuoco;
   rispondendo all'interpellanza urgente n. 2/00066 il 6 giugno il Sottosegretario di Stato all'interno, Gianpiero Bocci, ha ribadito che la stabilizzazione dei volontari del Corpo dei vigili del Fuoco costituisce una procedura speciale derogatoria alla norma generale che prevede l'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni mediante concorso. Tale procedura è stata disciplinata con decreto del Ministro dell'interno del 30 luglio 2007 e ha consentito di immettere personale già qualificato nei ruoli operativi del Corpo ed, al contempo, di non disperdere le professionalità acquisite in anni di servizio volontario. Ai fini dell'assunzione di nuovo personale, il Ministero ha bandito, nel corso del 2008, anche un concorso per 814 vigili del fuoco, prevedendo comunque una riserva del 25 per cento dei posti per il personale volontario iscritto in appositi elenchi da almeno tre anni e con almeno centoventi giorni di servizio (decreto legislativo n. 217 del 2005) –:
   quali iniziative, anche di carattere normativo, il Ministro interrogato intenda assumere al fine di provvedere allo scorrimento parallelo delle graduatorie in corso di vigenza al fine di evitare da una parte, il disperdersi del bagaglio tecnico professionale acquisito, e, dall'altra, di evitare la possibilità di sterili ed inutili «guerre tra graduatorie», graduatorie che invece con il loro scorrimento possono consentire ad un Corpo nazionale oggi penalizzato negli organici di avere una ingente boccata di ossigeno;
   a valutare l'opportunità di prevedere nuove forme di accesso riservate al personale volontario con cadenza periodica prestabilita una volta portato a compimento il totale esaurimento della graduatoria di stabilizzazione del personale volontario-discontinuo del Corpo nazionale vigili del fuoco inserito nella graduatoria di stabilizzazione di cui al decreto ministeriale n. 1996 del 2008, assumendo iniziative nel contempo per una totale revisione del decreto del Presidente della Repubblica n. 76 del 2004. (4-01090)

  Risposta. — Come è noto, la Corte costituzionale ha costantemente riconosciuto nel concorso pubblico la forma generale e ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, in quanto meccanismo strumentale al canone di efficienza e buon andamento delle Amministrazioni pubbliche. Questo principio ha subito deroghe per poter utilizzare risorse qualificate quali quelle costituite dal personale discontinuo, in situazioni di particolari e improcrastinabili necessità.
  Attualmente sono vigenti due graduatorie di concorso per l'accesso nei ruoli dei vigili del fuoco: quella relativa alla procedura di stabilizzazione, introdotta dalla legge 26 dicembre 2006, n. 296, che ha delineato la «stabilizzazione» come procedura a carattere eccezionale, limitata nel tempo e concorrente rispetto a quella ordinaria e quella relativa al concorso pubblico, per titoli e esami, a 814 posti nella qualifica di vigile del fuoco.
  Al riguardo, l'articolo 4-
ter del decreto-legge 20 giugno 2012, n. 79, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 131, ha prorogato al 31 dicembre 2014 i termini di validità delle due graduatorie.
  L'intervento normativo ha, pertanto, delineato un doppio e parallelo bacino, garantendo pari rilievo ad entrambe le graduatorie.
  Nel silenzio della norma circa le quota da utilizzare per la procedura di stabilizzazione, invero, l'amministrazione ha ritenuto di attingere personale in misura pari al 50 per cento da ciascuna graduatoria, in modo da assicurare l'uniformità di trattamento rispetto agli interessi coinvolti, conformemente alle espresse indicazioni di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 gennaio 2013, che precisa la necessità di far riferimento, in assenza di un'esplicita previsione, ai principi più volte sanciti dalla giurisprudenza costituzionale secondo cui: «nel rispetto dell'articolo 97 della Costituzione, le amministrazioni pubbliche devono sempre garantire un adeguato accesso dall'esterno, in misura non inferiore al 50 per cento delle assunzioni relative alla qualifica interessata».
  Da ultimo, il recente decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito nella legge 30 ottobre 2013, n. 125, ha previsto, all'articolo 8, commi 1 e 2, un incremento della dotazione organica della qualifica di vigili del fuoco di 1.000 unità da assumere, in parti uguali, dalle graduatorie previste dall'articolo 4-
ter del decreto-legge n. 79 del 20 giugno 2012, prima di procedere all'indizione di un nuovo concorso.
  Il comma 4 dello stesso articolo della legge n. 125 del 2013, ha stabilito, inoltre, la proroga di entrambe le graduatorie «non oltre il 31 dicembre 2016».
  In conclusione, il quadro normativo delineato avvalora la componente volontaria del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, consentendo di tutelare le professionalità acquisite da tale personale.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   MELILLA. — Al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   il servizio civile nazionale consente a tanti giovani dai 18 ai 28 anni di servire l'Italia in modo non armato e non violento, sviluppando un alto senso civico nell'aiuto concreto a persone svantaggiate (dai disabili ai rifugiati, dagli immigrati ai minori a rischio, ai malati terminali), nella cooperazione internazionale all'estero, nella tutela del patrimonio pubblico artistico, ambientale, culturale e nella protezione civile;
   le risorse finanziarie destinate al servizio civile nazionale sono state ridotte drasticamente di anno in anno: nel 2008 erano 299 milioni di euro, nel 2009 sono scese a 170 milioni, nel 2010-2011 a 100 milioni, nel 2012 a 68 milioni con conseguente inevitabile riduzione del numero complessivo dei giovani impegnati nelle varie attività;
   nel 2007 i posti a disposizione per i giovani del servizio civile erano 51.273 a fronte di 104.815 domande, nel 2011 sono scese a 20.157 a fronte di 86.571 domande;
   per il 2013 la legge di stabilità ha stanziato 71 milioni di euro più altre risorse dovrebbero derivare dal fondo di cui all'articolo comma 270, della legge n. 228 del 24 dicembre 2012;
   inoltre il Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione pro tempore ha reperito altri 50 milioni di euro che però non è chiaro se siano stati ancora assegnati al servizio civile nazionale e che comunque sono ancora insufficienti;
   nell'annunciare la disponibilità dei 50 milioni di euro aggiuntivi il Ministro pro tempore aveva assicurato che si sarebbero potuti emanare i bandi 2013 e 2014 per un contingente di 18.800 volontari annui;
   ad oggi, al di là dello stanziamento aggiuntivo, ancora in corso di perfezionamento, il dipartimento della gioventù e del servizio civile nazionale non ha ancora annunciato il contingente di volontari che metterà a bando nel 2013;
   considerando che sul fondo nazionale per il servizio civile sono disponibili 71 milioni di euro per il 2013 e 76 milioni di euro per il 2014, ai quali si andranno ad aggiungere gli altri 50 milioni spalmati sul biennio 2013-2014, si dovrebbe avere una disponibilità annua di circa 98,5 milioni, non sufficiente per l'avvio di 18.800 volontari, per i quali occorrerebbero almeno 112,8 milioni di euro l'anno –:
   quali siano le effettive risorse destinate per il 2013 al Servizio civile nazionale e quanti posti sia possibile mettere a bando e quale sia la reale volontà politica di aumentare le risorse destinate ad una attività di alto valore educativo ed essenziale per la formazione nei giovani di valori autenticamente costituzionali.
(4-02347)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, l'interrogante pone una serie di quesiti in merito al servizio civile nazionale.
  A tal riguardo, le comunico che venerdì 4 ottobre 2013 sono stati pubblicati il nuovo bando per il servizio civile nazionale e i bandi regionali di selezione dei volontari, che complessivamente permetteranno la partecipazione di 15.466 giovani, 502 dei quali da impiegarsi in progetti all'estero.
  Tale termine ha tenuto conto dell'acquisizione dei pareri favorevoli della Conferenza Stato-regioni e le province autonome di Trento e Bolzano e della Consulta nazionale per il servizio civile sul documento di programmazione finanziaria per il 2013.
  Dal punto di vista finanziario, pur nell'attuale difficile contesto economico che aveva comportato delle progressive riduzioni degli stanziamenti per il servizio civile nazionale negli ultimi anni, il mio impegno e quello del Governo è stato quello di recuperare ulteriori risorse.
  Ciò ha permesso di avere a disposizione 99.923.540 euro per i bandi del 2013, al netto dei costi generali e di funzionamento e degli oneri finanziari scaturiti dai precedenti bandi.
  Per quanto riguarda i bandi appena pubblicati, la ripartizione del fondo nazionale per il servizio civile prevede una quota del 54 per cento assegnato al Dipartimento della gioventù e del servizio civile nazionale (compresa la quota dei volontari da impiegare all'estero) e la restante, pari al 46 per cento, distribuito tra le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano.
  Nel bando per gli enti iscritti all'albo nazionale sono stati ammessi al finanziamento 542 progetti da svolgersi in Italia per un totale di 7.614 volontari e 48 da realizzarsi all'estero per 502 volontari, cui si aggiungono i 6 progetti autofinanziati dalla Confederazione nazionale delle misericordie per altri 30 volontari.
  I 21 bandi delle regioni e delle province autonome permetteranno invece la partecipazione di 7.320 volontari impegnati in 1.189 progetti finanziati dal fondo nazionale per il servizio civile.

Il Ministro per l'integrazioneCécile Kyenge.


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la cittadina di Jesolo, nota località balneare, nei mesi estivi passa da una popolazione di seicentomila persone a circa sei milioni;
   ciononostante l'organico attualmente in servizio presso il locale commissariato di Polizia è di appena 38 agenti a fronte dei 52 previsti;
   inoltre, in base ai dati forniti dai sindacati di polizia SIULP e SAP si sta verificando una drastica riduzione del numero dei turni di volante, che non possono più essere svolti a causa dell'esiguità sia del personale, sia dei mezzi a disposizione, che attesterebbe il numero dei turni sulla metà o meno di quelli necessari e previsti;
   appare evidente come sia del tutto impossibile garantire la sicurezza laddove non sia possibile realizzare un adeguato controllo del territorio;
   addirittura, nei primi giorni di giugno 2013, si è verificato che il commissariato di polizia, privo di volante e con il solo piantone in servizio, sia stato assaltato da tre tedeschi ubriachi, che hanno tenuto sotto assedio il commissariato per ore, con l'unico poliziotto presente rinchiuso a difesa dell'armeria –:
   se non intenda disporre con urgenza la copertura dell'intera pianta organica degli agenti di polizia della cittadina di Jesolo, al fine di assicurare le imprescindibili esigenze di sicurezza sul territorio. (4-01324)

  Risposta. — In relazione all'episodio citato dall'interrogazione in esame, si rappresenta che nella tarda serata del 2 giugno 2013 tre cittadini di nazionalità tedesca, in stato di alterazione alcolica, hanno forzato le misure esterne di sicurezza del commissariato di Jesolo, ritenendo che presso la struttura fosse custodito un loro connazionale.
  Il pronto intervento di operatori di polizia ha impedito più gravi danneggiamenti e ha consentito l'identificazione degli aggressori e la loro successiva denuncia all'autorità giudiziaria anche per il reato di resistenza a pubblico ufficiale.
  Si è provveduto inoltre ad una riorganizzazione interna dei servizi, grazie alla quale è stato potenziato il servizio di vigilanza anche in tale struttura.
  Pur nel rispetto delle limitazioni imposte dalla «
Spending review», questo Ministero riserva la massima attenzione alla situazione generale delle articolazioni operanti a Jesolo, affinché venga sempre garantita l'operatività dei presidi per il mantenimento della sicurezza e dell'ordine pubblico a tutela di tutti i cittadini.
  Gli organici della Polizia di Stato presso il commissariato di pubblica sicurezza di Jesolo, in provincia di Venezia, presentano, effettivamente una carenza di sette unità operative rispetto alla dotazione prevista in organico.
  Anche in considerazione del fatto che il citato commissariato estende la propria attività operativa su di un vasta area turistica, durante la stagione estiva 2013 è stato assicurato il rinforzo di equipaggi del reparto prevenzione crimine, infatti, sono stati messi a disposizione della questura di Venezia 24 unità, di cui 15 nella sola città di Jesolo.
  Nonostante la ristrettezza di risorse disponibili, nel mese di ottobre 2013 è stata disposta l'assegnazione di 7 unità proprio in favore di detto commissariato.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   MINARDO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   si fa riferimento all'allarme e alla preoccupazione scaturiti a seguito della prossima attuazione del piano carceri dove sono stabiliti i criteri della riorganizzazione delle case circondariali che in Sicilia prevedono la chiusura in degli istituti penitenziari di Modica, Mistretta e Nicosia;
   tale decisione nasce nell'ambito della revisione della spesa da parte dello Stato a causa della quale determinati tagli sono stati deleteri perché operati senza una logica che mettesse in evidenza le esigenze dei territori, la loro storia, cultura e tradizioni;
   tra gli istituti penitenziari della Sicilia a rischio chiusura, il carcere di Modica è una struttura efficiente e che opera degnamente sia dal punto di vista strutturale che riguardo il trattamento dei detenuti;
   tale decisione non risolve il problema del maggiore risparmio, anzi aumenta gli oneri a carico dello Stato e aggiunge problemi ad altri problemi, visto che il sistema penitenziario è già al collasso per sovraffollamento delle carceri e con personale addetto sempre minore (ci si riferisce alla polizia penitenziaria ma anche agli operatori, assistenti sociali, psicologi, educatori, medici);
   una scelta del genere, penalizzante per la città di Modica, sarebbe opportuno farla solo se il nostro comprensorio avesse già a disposizione una struttura efficiente e riorganizzata in grado di accogliere più detenuti –:
   se il Governo intenda rivedere tutta la questione prima di ogni drastica decisione, valutando più attentamente ogni realtà locale ed in particolare quella della provincia di Ragusa perché è evidente che chiudere il carcere di Modica significa produrre disagi e disservizi maggiori all'istituto penitenziario di Ragusa che soffre sia strutturalmente che per sovraffollamento e poco personale;
   il Governo intenda assumere iniziative per mettere nelle condizioni il nostro territorio di avere una casa circondariale efficiente e riorganizzata, perché solo in questo caso si può parlare di eventuale chiusura del carcere di Modica ed, in attesa, prevedere la riutilizzazione della struttura, cambiando eventualmente veste giuridica, attraverso l'istituzione di una casa famiglia protetta per detenute con bambini o ancora di una struttura per cittadini stranieri agli arresti domiciliari che non hanno un posto dove andare per scontare questo tipo di pena, che consentirebbe una continuità ad operare nella propria sede anche per gli agenti di polizia penitenziaria. (4-01019)

  Risposta. — Con decreto ministeriale del 1o febbraio 2013 è stata disposta la soppressione delle case circondariali di Modica, Mistretta e Nicosia. Per quanto riguarda la struttura di Modica – cui specificamente si riferisce l'interrogazione – il provvedimento di chiusura si è reso necessario, principalmente, in ragione della vetustà della struttura, che ne rende assai difficile l'adeguamento alle prescrizioni del regolamento di esecuzione dell'ordinamento penitenziario. Risultano infatti assolutamente carenti gli spazi e gli ambienti destinati all'espletamento delle funzioni istituzionali e la ristrutturazione dell'immobile appare del tutto antieconomica per l'erario in termini di raffronto tra costi e benefici, considerata anche la già modesta capacità ricettiva della struttura che sarebbe ulteriormente ridotta in caso di opere di adeguamento igienico-sanitario, impiantistico e di ammodernamento. Inoltre, l'istituto risulta carente dal punto di vista del livello di sicurezza, tanto che di recente si è verificato un caso di evasione.
  Ad ogni modo, la chiusura dell'istituto di Modica è, allo stato, di fatto sospesa e la struttura è a tutti gli effetti operativa. Ciò in attesa che si possa disporre di nuovi posti detentivi presso la vicina casa circondariale di Ragusa, che dista appena 15 chilometri, dove saranno ospitati i detenuti della casa circondariale di Modica (la cui presenza media è nell'ordine di 70/75 unità).
  La struttura di Ragusa – che oggi risulta sovraffollata per la presenza di circa 170 detenuti, a fronte di una capienza tollerabile di 143 posti – sarà a breve interessata da lavori di ristrutturazione e di adeguamento di un intero reparto detentivo, attualmente chiuso. I lavori consentiranno il recupero di 108 posti, così assicurando il rispetto dei parametri fissati dalla Corte di giustizia europea.
  Al riguardo, l'ufficio tecnico del provveditorato regionale ha depositato il progetto relativo ai predetti lavori di ristrutturazione presso la soprintendenza ai beni culturali, stanti i vincoli architettonici che gravano sulla struttura penitenziaria. Acquisito il rilascio del nulla-osta da parte della soprintendenza, il bando di gara per l'affidamento dei lavori di ristrutturazione, consolidamento ed adeguamento della casa circondariale è stato pubblicato il giorno 30 ottobre 2013 sul sito ufficiale del Ministero della giustizia; le buste delle offerte pervenute saranno aperte il 4 dicembre prossimo; è ragionevole ritenere che i lavori potranno essere ultimati entro la fine del 2014.
  Per completezza, va evidenziato che anche per le case circondariali di Mistretta e di Nicosia – caratterizzate, come l'istituto di Modica, da limitate capacità ricettive – la fase esecutiva della chiusura è attualmente sospesa, in attesa di poter disporre di nuovi posti detentivi presso istituti penitenziari limitrofi.
  In definitiva, con il complessivo riassetto degli istituti in questione si intende conseguire, in un quadro coordinato di razionalizzazione delle strutture e di economicità di gestione, un effettivo miglioramento delle condizioni detentive, ovviamente non disgiunto dal proficuo svolgimento dei corsi di formazione professionale, dei corsi scolastici e delle attività trattamentali.

Il Ministro della giustiziaAnnamaria Cancellieri.


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da recenti notizie di stampa si apprende che il commissariato di pubblica sicurezza di Catanzaro Lido (Giovino), dopo anni di attività a favore della collettività locale sul territorio, rischia la chiusura;
   la struttura della polizia di Stato di Giovino è stata istituita nel novembre del 2006, dopo una lunga serie di istanze presentate da esponenti del sindacato di polizia ed in particolare di rappresentanti del Sap, entrati successivamente a far parte del Cosip;
   l'importanza di mantenere aperto questo presidio è tale in quanto sul territorio le infiltrazioni di associazioni malavitose, appartenenti anche a gruppi della comunità rom e la microcriminalità rendono il concetto di sicurezza molto precario;
   privarsi di questo presidio renderebbe i cittadini non sufficientemente protetti, pertanto, se non si manterrà attivo il commissariato, a fronte dell'ennesima decurtazione della pianta organica e della mancata assegnazione di nuovo personale, si potrebbero creare ripercussioni sulla percezione della sicurezza da parte dei cittadini;
   appare evidente che è proprio da questi luoghi piccoli e relativamente tranquilli, che arriva l'appello ad allargare il concetto di sicurezza dall'emergenza criminalità alla vivibilità quotidiana;
   a Catanzaro Lido l'aumento di crimini scarsamente visibili come le estorsioni, lo spaccio delle sostanze stupefacenti, droghe leggere e pesanti, distribuite, purtroppo, anche nei pressi delle scuole del quartiere, delinea una sempre più dilagante insicurezza dei cittadini, e manifesta una generale precaria situazione sociale;
   il commissariato di Catanzaro Lido, a fronte di una operatività di quaranta unità, si ritrova allo stato attuale con diciotto poliziotti e due impiegati civili, organico che non assicura la copertura dei turni di lavoro;
   questo nuovo assetto organizzativo non è sufficiente ad affrontare le sfide che continuamente vengono lanciate dalla criminalità organizzata e determinerà, se non sopraggiungeranno mirati interventi tesi all'ampliamento dell'organico, gravi problemi di stabilità sociale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dell'eventuale possibilità di procedere alla chiusura del commissariato di Catanzaro Lido, ubicato in una area geograficamente svantaggiata con difficili problematiche occupazionali;
   se il Ministro interrogato non intenda promuovere con la massima urgenza tutte le iniziative indispensabili per garantire la presenza funzionale del suddetto commissariato, integrando anche l'organico previsto, considerata la circostanza che si trova in una area di particolare interesse turistico che necessita di controlli adeguati e di una presenza costante delle forze dell'ordine a tutela della tranquillità e sicurezza di residenti e villeggianti.
(4-00683)

  Risposta. — La paventata chiusura del commissariato sezionale di pubblica sicurezza di Catanzaro Lido costituisce, allo stato, una mera notizia giornalistica priva di fondamento.
  La situazione degli organici della Polizia di Stato in forza al citato presidio presenta effettivamente un deficit rispetto alla dotazione prevista in organico.
  Nonostante la generale carenza di risorse disponibili a livello nazionale, nel mese di ottobre 2013 sono state assegnate 10 unità in favore della questura di Catanzaro che verranno ripartite tra gli Uffici dipendenti secondo le priorità stabilite dall'autorità provinciale di pubblica sicurezza.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   OLIVERIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Calabria vive ormai da tempo e quotidianamente, problemi legati al dissesto idrogeologico e, in particolare, la provincia di Crotone rappresenta una delle zone del territorio italiano a più elevato rischio, come confermano i dati del progetto Iffi (primo inventario dei fenomeni franosi in Italia), che hanno evidenziato la diffusa fragilità del territorio crotonese, individuando ben 409 punti identificativi del fenomeno franoso, con 78 aree soggette a rischio frana, per un'estensione totale di territorio che supera i 40 chilometri quadrati;
   a rendere più preoccupante la situazione si aggiungono le emergenze concrete, che negli ultimi anni hanno dato luogo a situazioni molto critiche, come le frane che hanno colpito negli ultimi anni diversi comuni del crotonese con gravi disagi per i loro abitanti;
   in particolare nel comune di Petilia Policastro continuano a registrarsi gravi problemi infrastrutturali. È dal 2009 che sulla strada provinciale 109 si verificano diverse frane e smottamenti che hanno reso difficoltosa la viabilità per la popolazione locale;
   la situazione appare molto critica e gli interventi da predisporre devono essere tempestivi. Per raggiungere il più vicino ospedale è necessario utilizzare la macchina, anche se le continue carenze infrastrutturali ne limitano l'utilizzo;
   la viabilità risulta, pertanto, fortemente compromessa tanto che l'amministrazione comunale di Petilia Policastro per meglio affrontare la problematica si sta attivando con una serie di manifestazioni per esprimere il proprio dissenso alla pesante situazione della viabilità cittadina;
   gli stessi amministratori comunali hanno evidenziato la necessità di un veloce ripristino del transito fra il centro cittadino e la frazione Foresta, alla luce del fatto che l'attuale situazione danneggia tutta la popolazione, non solo quella di Petilia Policastro ma di tutto il comprensorio ed inoltre provoca gravi danni agli operatori economici, già penalizzati dall'attuale crisi;
   da quanto è stato riscontrato, a seguito di rilevamenti idrogeologici, in occasione delle ultime intense piogge, è stato registrato un grave collassamento della sede stradale per lo scivolamento di un fronte franoso di circa duecento metri. La carreggiata, infatti, è sprofondata di circa due metri e si è spostata a valle di circa 5 metri. Lo stesso scivolamento si è portato via anche la palificazione in cemento armato recentemente realizzata;
   è importante attivare l'attenzione delle istituzioni locali, sollecitando gli organismi preposti ad effettuare gli urgenti e indispensabili interventi;
   se il Governo per quanto di competenza intenda promuovere, prima dell'arrivo delle nuove piogge, ogni utile iniziativa per ripristinare la viabilità, compromessa dagli eventi franosi dell'ultimo periodo e quali risorse il Governo intenda impegnare per l'immediato ripristino e miglioramento delle infrastrutture viarie crotonesi;
   se il Governo, infine, ritenga opportuno definire un piano organico di prevenzione delle calamità naturali, da affiancare a quello della regione Calabria al fine di affrontare nella maniera più efficace le emergenze alluvionali ed il rischio idrogeologico del territorio. (4-01587)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame riguardante le problematiche legate al dissesto idrogeologico in regione Calabria, ed in particolare nella provincia di Crotone, si rappresenta quanto segue.
  In primo luogo, in merito alle attività di prevenzione del rischio idrogeologico, si rappresenta che il Governo con la legge finanziaria 2010 (articolo 2 comma 240, legge n. 191 del 2009) aveva stanziato risorse pari a 1000 milioni di euro (poi ridotte a seguito del decreto-legge 195 del 2009 e decreto-legge 225 del 2010 ad 800 milioni di euro) per la realizzazione di piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico in tutto il territorio nazionale.
  Tale importo costituiva l'intera dotazione di risorse assegnate per il risanamento ambientale dalla deliberazione Cipe in data 6 novembre 2009 e che il Governo aveva deciso di destinare completamente alla realizzazione degli interventi diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico.
  La norma stabiliva che le risorse disponibili potevano essere utilizzate anche tramite accordo di programma sottoscritto dalla regione interessata e da questo Ministero, nell'ambito del quale veniva definita la quota di cofinanziamento regionale.
  Pertanto, già dai primi mesi del 2010 questo Ministero ha avviato le procedure per dare attuazione alle citate disposizioni normative avviando una serie di consultazioni con tutte le regioni interessate, e quindi anche con la regione Calabria, coinvolgendo le autorità di bacino competenti nonché il dipartimento nazionale della protezione civile.
  Questo Ministero ha incrementato la dotazione di risorse prevista dalla legge finanziaria 2010, pari a – tenuto conto dei tagli – 800 milioni di euro, con le risorse disponibili sul proprio bilancio per la difesa del suolo (annualità 2008-2009-2010-2011), per un importo di circa 386 milioni di euro.
  A queste vanno aggiunte le risorse regionali per un importo di circa 900 milioni di euro, considerato che al momento della sottoscrizione degli accordi di programma tutte le regioni hanno cofinanziato, in misura variabile ma sostanziale, gli interventi inseriti negli stessi.
  L'obiettivo di tale azione è stato quello di programmare in maniera unitaria le risorse disponibili realizzando un complesso di interventi quanto più possibile organico e coordinato ed evitando duplicazioni di atti e procedure di spesa.
  Si tratta di un lavoro importantissimo che per la prima volta ha visto intorno ad un tavolo tutti i soggetti che a vario titolo hanno competenze in materia di dissesto e che in passato attuavano programmazioni di interventi indipendenti e spesso non coordinate.
  Le consultazioni avviate con le regioni si sono concluse con la sottoscrizione di specifici accordi di programma che individuano e finanziano gli interventi prioritari diretti a rimuovere le situazioni a più alto rischio idrogeologico.
  I suddetti accordi individuano e finanziano interventi urgenti per la messa in sicurezza della popolazione e del territorio individuati dalle regioni e sottoposti alla direzione generale per la tutela del territorio e delle risorse idriche, coinvolgendo le autorità di bacino ed il dipartimento della protezione civile. Tali interventi sono volti prioritariamente alla salvaguardia della vita umana attraverso la riduzione del rischio idraulico, di frana e di difesa della costa, prevalentemente mediante la realizzazione di nuove opere nonché con azioni di manutenzione ordinaria e straordinaria.
  In particolare si segnala che l'accordo di programma tra questo dicastero e la regione Calabria è stato firmato in data 25 novembre 2010 e registrato alla Corte dei conti in data 17 gennaio 2011, Reg. n. 1, foglio 23, per l'importo complessivo di euro 220.000.000,00 di cui euro 110.000.000,00 da parte dello scrivente dicastero ed euro 110.000.000,00 da parte della regione Calabria, per il finanziamento di complessivi 185 interventi.
  Riguardo il territorio della provincia di Crotone, figurano complessivamente n. 17 interventi per un importo complessivo pari ad euro 20.800.000,00. Tra questi è ricompreso anche un intervento di «Messa in sicurezza del centro abitato e del sottostante costone» in comune di Petilia Policastro, per un importo finanziato pari a euro 1.000.000,00.
  Tuttavia, l'ostacolo maggiore, che costituisce una costante quando si affrontano le tematiche del dissesto idrogeologico, è rappresentato sicuramente dalla scarsità delle risorse disponibili considerato anche che queste, una volta destinate al finanziamento di interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico, spesso vengono distolte da tali finalità per far fronte ai costi delle riparazioni dei danni causati da eventi alluvionali nel frattempo occorsi. Ciò è accaduto anche rispetto agli accordi di programma per la mitigazione del dissesto idrogeologico dove i fondi inizialmente stanziati, pari a mille milioni di euro, sono stati in parte distolti per far fronte agli eventi calamitosi verificatisi in alcune regioni italiane, e poi azzerati da successive manovre finanziarie. Ad oggi, il valore complessivo degli accordi sottoscritti, considerate le risorse Fas statali destinate dalla legge finanziaria 2010, quelle di bilancio messe a disposizione dal Ministero e le risorse regionali, è pari a circa 2.075 milioni di euro per oltre 1500 interventi finanziati.

Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   PINNA, VALLASCAS, NICOLA BIANCHI, CORDA, SPESSOTTO, CARINELLI, COLONNESE, NESCI, FRACCARO, DIENI, COZZOLINO, DALL'OSSO e SILVIA GIORDANO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per la coesione territoriale, al Ministro per gli affari europei, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Carbosulcis SpA società della regione autonoma della Sardegna, è titolare della concessione mineraria «Monte Sinni» per la coltivazione del giacimento carbonifero del Sulcis. L'attività mineraria legata all'estrazione del carbone di questa zona della Sardegna ha origini lontane nel tempo e la Carbosulcis rappresenta ad oggi l'unica realtà italiana nella coltivazione del carbone. Tale attività di estrazione è diventata parte integrante del tessuto sociale del territorio, mutando nel tempo alla continua ricerca dell'innovazione nella sicurezza e nelle tecnologie volte a ridurre al minimo l'impatto ambientale;
   tuttavia, il 20 novembre 2012 la Commissione europea ha avviato, in base all'articolo 108 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea in materia di aiuti di Stato, due indagini approfondite e distinte riguardanti misure di sostegno pubblico nel territorio sardo del Sulcis Iglesiente. L'indagine inerente la Carbosulcis, SA.20867, evidenzia le perplessità da parte della Commissione europea in merito alla conformità delle norme in materia di aiuti con le misure a sostegno delle società della regione Sardegna. Infatti, tra il 1998 e il 2010 Carbosulcis spa ha ricevuto almeno 405 milioni di euro di sostegno pubblico sotto forma di aiuti all'investimento e al funzionamento nonché un sostegno in principio destinato ad obiettivi di formazione, ricerca e sviluppo e protezione ambientale. Tutte le misure sovresposte sono state concesse senza notifica preliminare alla Commissione e non è stato dimostrato che l'aiuto fosse lo strumento più adeguato, né che fosse necessario e proporzionale per la realizzare la sua finalità;
   nel concreto, le attività della miniera si reggono economicamente attraverso un continuo afflusso di finanziamento pubblico. Il 27 marzo 2013 il consiglio regionale ha dato il via libera allo stanziamento di 10 milioni di euro di residui per le attività di messa in sicurezza e custodia della miniera di Nuraxi Figus, nonostante le risorse indirizzate alla Carbosulcis spa siano bloccate a seguito dell'apertura della suddetta indagine;
   la crisi interessa le zone del sud ovest sardo ha indubbiamente un'origine nelle concomitanti difficoltà delle principali aziende industriali che hanno caratterizzato e influenzato lo sviluppo economico dell'area. Tra le principali conseguenze di tale grave situazione economica vi è certamente la disoccupazione, generata sia dalla chiusura di attività industriali sia dal mancato insediamento di nuove attività. Secondo i dati Istat nel 2012 i disoccupati sardi superano le 126 mila unità, con un tasso di disoccupazione pari al 18,5 per cento, rispetto al 12,8 per cento nazionale, e i dati relativi alla disoccupazione giovanile sono ancora più preoccupanti, infatti, quella dei giovani è la categoria sociale più a rischio per mancanza di prospettive. Nell'ottica di un rilancio produttivo è necessario un impegno volto alla riqualificazione e al sostegno dei settori nei quali si intravedono motivi di recupero produttivo;
   si osserva che finora le problematiche industriali e occupazionali in Sardegna, e nel caso in questione nel territorio del Sulcis Iglesiente, sono state affrontate con provvedimenti «tampone», interventi di tipo prevalentemente assistenzialistico che, trascinando situazioni già compromesse, non hanno rivelato una volontà di soluzione improntata a criteri di sostenibilità e competitività;
   pertanto risulta urgente e imprescindibile perseguire l'obiettivo di una risposta concreta al disagio sociale che deriva da tale grave scenario. Alla luce di ciò ci si domanda se sia opportuno continuare a sovvenzionare le attività di quei settori strutturalmente colpiti dalla crisi (come la miniera del «Monte Sinni») senza mai giungere a una soluzione o se, piuttosto, non sia conveniente utilizzare i fondi messi a disposizione per rinnovare e riqualificare il tessuto economico, nel rispetto della vocazione naturale del territorio, valorizzando i patrimoni naturale e storico-archeologico, le attività tradizionali e le potenzialità innovative, favorendo la ricerca, lo sviluppo e l'innovazione e costruendo un nuovo futuro per i cittadini del Sulcis;
   a tal proposito, il 13 novembre 2012, il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro per la coesione territoriale, la regione autonoma della Sardegna, la provincia Carbonia Iglesias e i comuni del Sulcis Iglesiente hanno siglato il protocollo d'intesa (ai sensi dell'articolo 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241) sul cosiddetto «Piano Sulcis». Si tratta dello strumento che individua gli obiettivi e i relativi programmi per lo sviluppo del territorio. Il progetto dovrebbe essere sovvenzionato con: i fondi regionali e locali, il fondo sviluppo e coesione (sulla base di un accordo tra regione sarda e Governo), i fondi del piano operativo nazionale sviluppo imprenditoriale locale. Fra le linee guida del progetto «Piano Sulcis» è presente «la realizzazione di un centro di eccellenza “carbone pulito” nel quadro di un polo tecnologico di ricerca e produzione di energia eco-compatibile»;
   nel medesimo protocollo di intesa è previsto il concorso internazionale di idee «Un'idea per lo sviluppo sostenibile del Sulcis», si tratta di una modalità innovativa – sperimentata, oltre che nella zona sarda in questione, a Pompei e a Reggio Calabria – tesa al coinvolgimento dei centri di competenza privati e al superamento della forte immaturità progettuale, sfruttando la potenziale vitalità del territorio. Le idee dovranno essere in linea con la progettualità locale e dovranno essere orientate a recuperare, valorizzare ed integrare le potenzialità, le abilità, le tradizioni del territorio, in una visione strategica di sviluppo sostenibile. Entro settembre saranno pubblicati i risultati del bando, da allora le aziende avranno novanta giorni per avanzare i progetti;
   il «Piano Sulcis», prevedendo l'avvio di importanti programmi di politica attiva del lavoro, collegati sia con le principali crisi aziendali e settoriali, sia con le nuove prospettive di sviluppo, ha l'obiettivo di dare soluzioni concrete di crescita al Sulcis. Il processo di valorizzazione del territorio, favorito e coordinato dalla pianificazione strategica, è indubbiamente una possibile risposta alle problematiche esposte, tuttavia, vi è preoccupazione circa la concretezza di tali proposte, il tempo necessario per la loro attuazione, l'effettiva presenza delle risorse economiche necessarie e la fattibilità rispetto alla normativa europea;
   inoltre, l'idea iniziale è lodevole così come risulta rilevante e degno di apprezzamento il dialogo instauratosi fra i vari livelli istituzionali e le parti sociali ma, come spesso accade, si registra un ritardo nell'attuazione del lavoro che, sebbene concepito come atto straordinario teso a dare risposte a una grave situazione emergenziale, non ha ancora presentato le soluzioni promesse né tantomeno gli attesi provvedimenti straordinari. Il Sulcis e i suoi abitanti aspettano risposte concrete: l'apertura dei cantieri, la realizzazione di progetti, opere infrastrutturali e bonifiche;
   nell'impiego di fondi pubblici ci si augura un cambiamento di rotta che introduca un sistema omogeneo di regole e procedure certe, concordato e chiaro dall'inizio del periodo di programmazione e non in corso d'opera; si auspica, inoltre, che i Ministeri interessati assumano un ruolo di garanzia e controllo costante al fine di definire in modo puntuale gli obiettivi, i contenuti e i tempi di realizzazione dei programmi, collocando gli interventi all'interno di un sistema integrato di relazioni economiche e sociali funzionali allo sviluppo coordinato del territorio e quindi esplicitando sin dal principio quali siano i risultati attesi e i mezzi mediante i quali ottenerli –:
   se intendano confermare la volontà e l'impegno, espressi dal precedente Governo, di sostenere il territorio del Sulcis con l'attivazione di nuove iniziative imprenditoriali che diano attuazione al Piano Sulcis e se nell'attuazione di tale Piano saranno adottati i nuovi criteri tesi a un uso efficace ed efficiente dei fondi comunitari 2014-2020, elaborati al fine di superare i risultati insoddisfacenti del precedente ciclo;
   se ritengano che il «Piano Sulcis» sia compatibile con l'indagine approfondita avviata dalla Commissione in materia di aiuti di Stato alla Carbosulcis e, in merito a ciò, quale sia lo stato di avanzamento di tale indagine;
   con quali risorse si intendano finanziare gli interventi previsti nel Piano Sulcis, al fine di confermare o smentire le affermazioni riportate dalla stampa secondo cui ci sarebbero a disposizione 124 milioni di euro provenienti dalle sanzioni che hanno pagato le aziende del Sulcis, nello specifico fondi derivanti «dalla multa dell'Unione europea inflitta all'Alcoa e ad altre industrie di Portovesme per aver usufruito di aiuti economici sull'energia dallo Stato»;
   come intendano inserire all'interno del piano di interventi le agevolazioni previste dal «bando per potere usufruire dei benefici fiscali da parte delle piccole imprese del Sulcis Iglesiente» (fiscalità di vantaggio) che «sarà pubblicato entro l'estate», secondo quanto riportato nell'articolo pubblicato sul sito del quotidiano La Nuova Sardegna in data 13 luglio 2013.
(4-01367)

  Risposta. — Gli interroganti chiedono di sapere cosa si intende fare sulla attuazione del cosidetto «Piano Sulcis» e quali sono le garanzie governative e gli strumenti finanziari attraverso i quali raggiungere quegli obiettivi e i relativi programmi di sviluppo del territorio previsti dal protocollo d'intesa (Piano Sulcis) siglato il 13 novembre del 2012 dal Ministero dello sviluppo economico, dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dal Ministro per la coesione territoriale, dalla regione autonoma Sardegna, dalla provincia di Carbonia Iglesias e dai comuni del Sulcis Iglesiente.
  In particolare preme sapere agli interroganti se l'attuale Governo intenda confermare gli impegni assunti dal precedente Governo sia attraverso l'attivazione di nuove iniziative imprenditoriali, sia tenendo presente un uso efficace ed efficiente dei fondi comunitari 2014-2020, sia infine in considerazione della indagine della Commissione in materia di aiuti di Stato alla Carbosulcis e della possibile compatibilità dell'indagine rispetto al processo di valorizzazione del territorio con la riapertura dei cantieri, realizzazione di progetti, opere infrastrutturali ed eventuali necessarie bonifiche.
  Si premette che la specificità della crisi economica che sta attraversando il sistema Italia all'interno di una crisi generalizzata a livello europeo ma anche a livello internazionale, comporta una serie di scelte economico-sociali della materia trattata che realizzino una convergenza tra le esigenze di sviluppo e competitività dell'Italia con le stesse esigenze sentite fortemente anche a livello europeo e internazionale di trovare soluzioni comuni e condivise. È d'altra parte condivisibile l'affermazione degli interroganti sulla necessità economica e soprattutto sociale del Governo italiano di lavorare per dare risposte concrete ad un territorio ed ai suoi cittadini.
  Il Ministero dello sviluppo economico per quanto di competenza fa presente quanto segue.
  Circa le problematiche relative alla miniera carbonifera (procedura d'indagine per aiuto di Stato SA.20867) in riferimento all'unità di produzione di carbone «miniera di monte Sinni», gestita dalla Carbosulcis S.p.A., a fronte della decisione di avvio della procedura d'indagine da parte della direzione generale concorrenza della Commissione europea del 21 novembre 2012, si precisa che il Ministero dello sviluppo economico ha formalmente risposto nei termini in data 21 dicembre 2012, a cui ad oggi non risulta abbia fatto seguito alcuna replica da parte della Commissione.
  Nella nota di risposta viene precisato che:
   1) la notifica fu comunicata attraverso nota del Presidente del Consiglio dei Ministri al Commissario dell'Unione europea del 23 giugno 1994;
   2) la misura di sostegno alla gestione temporanea della miniera non presentava i caratteri di aiuto di Stato in quanto tale sostegno considerato autonomamente non costituisce
ex ipso facto aiuto ai sensi dell'articolo 107, paragrafo 1 del Tfue, poiché non risultano cumulativamente soddisfatte le seguenti condizioni:
    
a) vantaggio economico al beneficiario;
    
b) trasferimento di risorse statali;
    
c) natura selettiva dell'aiuto;
    
d) capacità di incidere sugli scambi tra Stati membri falsando o minacciando di falsare la concorrenza all'interno dell'Unione europea.

  Non sussistono, infatti, due dei cinque requisiti necessari ed in particolare il vantaggio economico del beneficiario e la capacità di incidere sugli scambi tra Stati membri;
   3) qualora si trattasse, invece, di aiuto di Stato è stato dimostrato che oltre il 50% degli aiuti contestati risultano compatibili.

  A seguito dell'interlocuzione con la Commissione europea, avviata a partire da febbraio 2013, si evidenzia, che nell'ambito delle analisi in corso da parte del Governo Italiano e della regione autonoma della Sardegna per la predisposizione del nuovo Piano Sulcis viene attentamente valutata la possibilità di mettere in atto anche processi di riconversione industriale con investimenti innovativi finalizzati alla tutela ambientale, garantendo comunque i livelli occupazionali esistenti.
  Si segnala, infine, che da ultimo si è tenuto a Bruxelles, lo scorso 1o ottobre 2013, un incontro riservato tra la delegazione italiana, composta da rappresentanti della Regione, del Ministero dello sviluppo economico e di Carbosulcis, e la Commissione europea. Nel corso di tale incontro è stata esaminata un'ipotesi di piano di chiusura della miniera. In particolare, la delegazione italiana ha rappresentato che il fallimento dell'impresa, che conseguirebbe inevitabilmente alla richiesta di restituzione degli aiuti, vanificherebbe qualunque ipotesi di chiusura pianificata della miniera, con la salvaguardia dei livelli occupazionali.
  La Commissione ha richiesto approfondimenti su taluni aspetti del documento che la delegazioni italiana si è impegnata a fornire in tempi brevi; tuttavia, sebbene il clima dell'incontro sia stato collaborativo, non può dirsi che siano state fornite rassicurazioni in merito alla positiva conclusione della procedura di indagine formale attualmente in corso.
  Per quanto riguarda il «Progetto integrato CCS Sulcis, lo stesso è stato notificato dal Ministero alla Commissione europea in data 27 luglio 2011.
  Da tale data si è avviata una intensa e complessa interlocuzione. La Commissione europea ha avanzato più d'una richiesta di chiarimenti ed integrazioni relativamente ai profili tecnici specifici del progetto e del suo finanziamento. L'elemento rispetto al quale la Commissione europea conserva le maggiori riserve è rappresentato dal meccanismo previsto per il finanziamento degli aiuti, a valere sulle tariffe elettriche, giudicato potenzialmente incompatibile con le norme del mercato unico europeo.
  Si precisa che l'istruttoria della Commissione europea non si è limitata all'elemento del finanziamento, concentrandosi anche sulla verifica della necessità e proporzionalità dell'aiuto da erogare alla centrale elettrica nonché all'accertamento della inesistenza di alcun tipo di aiuto all'attività mineraria, come prescritto dalla disciplina comunitaria più recente in materia.
  In particolare circa l'utilizzo preferenziale del carbone del Sulcis, nel corso dell'interlocuzione la Commissione europea ha fatto presente che sarebbe necessario eliminare tale riferimento preferenziale.
  Nel frattempo il Governo ha prorogato di 1 anno il termine previsto dalla legge per l'indizione della gara internazionale volta all'individuazione del concessionario cui affidare il progetto integrato.
  Infine, in data 2 agosto 2013 é stato sottoscritto tra il Ministero dello sviluppo economico e la regione Sardegna un protocollo di intesa per lo sviluppo di un polo tecnologico per la ricerca sul carbone pulito e la realizzazione di una centrale elettrica «clean coal technology». L'attuazione di tale protocollo prevede, tra l'altro, la modifica della vecchia normativa e la riformulazione dell'intervento tenendo anche conto delle osservazioni fatte dai servizi della Commissione nel corso della procedura di notifica in atto che pertanto sarà ritirata e ripresentata secondo la formulazione.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   POLVERINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   l'UGL vigili del fuoco, sulla base della ricognizione delle deleghe versate dai propri iscritti al 31 dicembre 2012, è maggiormente rappresentativa nel settore dei dirigenti e direttivi del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, secondo quanto previsto all'articolo 24 dell'accordo integrativo per il personale direttivo e dirigente, recepito nel decreto del Presidente della Repubblica del 7 maggio 2008;
   con diverse note inviate, prima al capo dipartimento dei vigili del fuoco, soccorso pubblico e difesa civile del Ministero dell'interno, successivamente al Sottosegretario all'interno con delega ai vigili del fuoco ed al Ministro dell'interno, la Federazione nazionale UGL vigili del fuoco, considerato il ritardo nell'emanazione del decreto, ha chiesto una deroga per essere convocata a partire da luglio 2013 alle riunioni indette dall'amministrazione, risposta disattesa dal dipartimento dei vigili del fuoco, soccorso pubblico e difesa civile;
   alla data odierna, il dipartimento della funzione pubblica, non ha ancora provveduto all'emanazione con apposito decreto dei dati relativi alla rappresentatività e, di conseguenza, non ha ottemperato all'articolo 24, comma 4, dell'accordo integrativo per il personale direttivo e dirigente, recepito nel decreto del Presidente della Repubblica del 7 maggio 2008;
   tale prerogativa si ricava dalle trattenute operate sullo stipendio dei singoli dipendenti al 31 dicembre, nel caso in esame è avvenuta il 31 dicembre 2012, e, pertanto, nessuna ragione amministrativa giustifica un periodo di tempo tanto lungo per certificare un dato disponibile in tempo reale, in quanto presente nei sistemi informatici delle amministrazioni competenti –:
   quali iniziative si intendano adottare per accelerare la soluzione di tale questione e non arrecare ulteriore danno derivante dalla discriminazione che l'organizzazione sindacale UGL vigili del fuoco sta subendo. (4-01750)

  Risposta. — L'esercizio dei diritti e delle prerogative sindacali sono subordinati all'accertamento della rappresentatività sindacale, ai sensi degli articoli 35 e 81 del decreto legislativo 13 ottobre 2005, n. 217, come modificato dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150.
  L'accertamento della rappresentatività delle associazioni sindacali è effettuato con cadenza triennale, in corrispondenza dell'inizio di ciascuna stagione contrattuale di riferimento, con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, da pubblicare nella
Gazzetta ufficiale.
  La procedura di tale accertamento è disciplinata dagli accordi sindacali di categoria, recepiti con i decreti del Presidente della Repubblica del 7 maggio 2008 ed in particolare dagli articoli 20 e 24 per il personale direttivo e dirigente e dagli articoli 37 e 41 per il restante personale.
  Con specifico riguardo alla procedura di rilevazione della rappresentatività sindacale per il triennio 2013-2015, si evidenzia che in data 31 gennaio 2013, il Ministero dell'economia e delle finanze ha fornito al Ministero dell'interno il dato associativo, che è stato sottoposto alle organizzazioni sindacali, ai fini della prescritta certificazione.
  Negli specifici incontri all'uopo tenutisi, sono stati formulati rilievi sulla corrispondenza dei dati forniti dal suddetto Dicastero con quelli risultanti dal conteggio delle deleghe degli iscritti.
  In conformità alla procedura prescritta e nel rispetto dei termini per il completamento dell'istruttoria di competenza, il Ministero dell'interno ha sottoposto alla citata Amministrazione finanziaria i rilievi avanzati da parte sindacale.
  Con nota del 13 agosto scorso, il Ministero dell'economia e delle finanze ha confermato i dati precedentemente forniti, che sono stati, pertanto, nuovamente notificati alle organizzazioni sindacali.
  Il 10 settembre scorso le schede di rilevazione certificate dalle organizzazioni sindacali sono state, pertanto, trasmesse alla Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento della funzione pubblica, competente per l'emanazione dei prescritti decreti di individuazione delle delegazioni sindacali che parteciperanno, per il personale dei vigili del Fuoco, al procedimento negoziale per la definizione degli accordi relativi al triennio 2013-2015.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   da quanto si apprende da un articolo pubblicato sul quotidiano «Il Piccolo» di Trieste del 14 luglio 2013, la Soprintendenza ai beni architettonici e paesaggistici del capoluogo giuliano dal 2012 ad oggi ha respinto o comunque bloccato, il 57,5 per cento nelle richieste per l'installazione di pannelli fotovoltaici o relativi ad impianti di solare termico sulle case che rientrano nelle zone soggette per legge al suo esame;
   secondo una relazione tecnica degli uffici competenti del comune, resa nota dall'assessore all'edilizia privata Elena Marchigiani, i progetti di privati per gli interventi sopra descritti autorizzati dalla soprintendenza ammontano al 42,5 per cento del totale;
   in pratica, dei 73 procedimenti di rilascio dell'autorizzazione paesaggistica, 22 (pari al 30,1 per cento) hanno ricevuto il parere contrario della Soprintendenza, 20 (il 27,4 per cento) il parere favorevole con pressioni che spesso rendono inattuabile l'intervento e 25 (il 34,3 per cento) sono stati approvati con la procedura del silenzio/assenso;
   le ripercussioni di questa condotta, sono controproducenti per l'ambiente e per l'efficienza energetica degli edifici oltre ad aggravare i costi sostenuti dai cittadini per l'approvvigionamento energetico;
   l'esecutivo Letta il 31 maggio 2013 ha varato il decreto-legge n. 63 del 2013, al vaglio del Parlamento per la sua conversione in legge, che prevede incentivi statali per gli interventi di riqualificazione ed efficienza energetica che prevedono, tra l'altro, la detrazione del 50 per cento sull'acquisto di sistemi fotovoltaici;
   la mancata autorizzazione per l'installazione di impianti fotovoltaici non consentirà l'utilizzo di circa un milione di euro di cui avrebbe potuto beneficiare il territorio triestino, suddivisi tra gli incentivi statali e il quinto conto energia;
   a seguito di numerosi esposti, la procura di Trieste ha aperto una procedura d'inchiesta per abuso d'ufficio nei confronti della dirigente della Soprintendenza ai beni architettonici e paesaggistici Maria Giulia, Picchione accusata – insieme ad altri funzionari – di aver bloccato o rallentato irreparabilmente pratiche e autorizzazioni paesaggistiche, incluse quelle relative al fotovoltaico;
   il Ministero per beni e le attività culturali, nel mese di giugno 2013, ha inviato tre ispettori per fare chiarezza sulla questione incontrando, tra gli altri, il direttore regionale dei beni culturali Giangiacomo Martines e il sindaco di Trieste, Roberto Cosolini;
   la tutela del patrimonio artistico e architettonico deve essere una priorità ma la pubblica amministrazione non può impedire arbitrariamente investimenti privati soprattutto in un periodo di grave crisi economica –:
   se il Ministro interrogato intenda riferire l'esito dell'indagine svolta dai propri ispettori e se sia intenzionato d'intesa con la regione Friuli Venezia Giulia e nel rispetto delle rispettive competenze, a partecipare all'immediata stesura del piano paesaggistico per consentire a tutti i cittadini di poter usufruire degli incentivi statali in favore dell'utilizzo del fotovoltaico. (4-01338)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione parlamentare indicata in oggetto, con la quale l'interrogante chiede se si intenda rendere noto l'esito dell'indagine ispettiva disposta da questo Ministero, nel mese di giugno 2013, presso la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici del Friuli Venezia Giulia nonché se il Ministro intenda partecipare all'immediata stesura del piano paesaggistico della regione, si comunica quanto segue.
  Nei giorni 12-14 giugno 2013 si è svolta una indagine ispettiva presso la soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici del Friuli Venezia Giulia, con il compito di accertare quanto era stato segnalato in un esposto dell'organizzazione sindacale UIL BAC del 22 gennaio 2013. In tale esposto, oltre che ad imputarsi al soprintendente architetto Pecchione il rapporto conflittuale venutosi a creare con il personale, in particolare con funzionari dell'area tecnica, si lamentava un ritardo nell'espletamento di alcune pratiche d'ufficio inerenti le funzioni di tutela del patrimonio culturale del territorio.
  La visita ispettiva è stata condotta ascoltando il predetto dirigente, il personale in servizio presso la soprintendenza e gli uffici distaccati, sia di area tecnica che amministrativa, e le organizzazioni sindacali che, peraltro, ne avevano fatto esplicita richiesta.
  In relazione ai lamentati «ritardi nell'espletamento delle ordinarie procedure d'Ufficio, con conseguenti carenze, ad esempio, nello svolgimento delle procedure inerenti la prelazione», l'indagine ispettiva ha messo in evidenza il lungo periodo (quattro mesi circa) di vacanza della funzione dirigenziale, alla quale è seguita una saltuaria presenza dell'architetto Picchione, che era però contestualmente impegnata nel corso formativo obbligatorio per neo dirigenti della pubblica amministrazione.
  A partire dal luglio 2012, il Soprintendente ha adottato una serie di provvedimenti finalizzati a riorganizzare l'ufficio, razionalizzandone la struttura ed inserendo, fra l'altro, il protocollo informatico. Tale azione meritoria non ha, tuttavia, ancora risolto le problematiche connesse allo smaltimento dell'arretrato accumulatosi, soprattutto, a causa della sproporzione tra personale in servizio e carichi di lavoro. Al riguardo, deve evidenziarsi, a titolo puramente esemplificativo, che nel periodo agosto-dicembre 2012 a fronte di soli sette funzionari tecnici, il numero delle pratiche in materia paesaggistica pervenute all'ufficio era pari a 2.769.
  L'indagine ispettiva ha potuto evidenziare un rapporto non semplice e talvolta poco sereno tra il soprintendente e il personale, dovuto, tra l'altro, ad un oggettivo sottorganico (che peraltro affligge numerosi altri uffici, anche della stessa regione).
  Al tempo stesso l'indagine ha riconosciuto che il sistema di monitoraggio introdotto dalla dirigente ha consentito di misurare i carichi di lavoro dell'ufficio e che la modulistica adottata ha favorito l'espletamento delle pratiche, in particolare quelle riferibili alle procedure attivabili in ambito paesaggistico.
  Per quanto attiene al piano paesaggistico, il 31 luglio scorso il Capo di gabinetto del Ministero ha riunito un tavolo con la regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, la direzione regionale interessata per i beni culturali e paesaggistici e gli uffici centrali competenti. È da considerarsi imminente la firma di un'intesa attuativa con un cronoprogramma ravvicinato per arrivare all'approvazione.

Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismoMassimo Bray.


   RAMPELLI e GIORGIA MELONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   gli incendi sono una piaga che contraddistingue prevalentemente la stagione estiva, causando danni ingenti al patrimonio privato e ambientale della nostra nazione; non di meno essi sono causa di vittime e feriti tra gli operatori che combattono il suddetto fenomeno e tra la civile popolazione;
   l'operato dei vigili del fuoco è indice di sicurezza per la vita umana e la salvaguardia e conservazione della flora e della fauna;
   i vigili del fuoco contano carenza di personale in ogni regione italiana, situazione che costringe il personale addetto a turni di lavoro straordinario, in special modo nel periodo estivo caratterizzato da incendi e roghi;
   la Sardegna è tra quelle regioni che registrano la suddetta carenza di personale, aggravata dalla condizione di insularità della regione stessa e dalla situazione viaria interna che non permette rapide operazioni di rinforzo da altre regioni;
   risulta essere in vigore la convenzione firmata dal Ministero dell'interno e la regione Sardegna in materia di interventi di protezione civile, la quale impone il rispetto della normativa vigente in materia di mobilità per tutti i vigili del fuoco del territorio italiano, che devono svolgere l'attività nell'ambito della propria regione di appartenenza al fine di rendere operativi i numerosi presidi decretati, ma mai aperti, e quelli aperti, ma mai resi operativi per mancanza di personale e quelli che rischiano di essere chiusi per carenza di personale;
   le organizzazioni sindacali dei vigili del fuoco lamentano da tempo il loro operare con mezzi vetusti oramai inadatti e le relative difficili condizioni di lavoro;
   in Sardegna quest'anno sono disponibili solamente due aerei Canadair rispetto alla dotazione di tre velivoli degli scorsi anni;
   i Canadair sono vitali per reprimere rapidamente ed efficacemente gli incendi e i roghi, specialmente in un territorio come quello della Sardegna, in zone difficilmente accessibili coi mezzi terrestri;
   la Sardegna è annualmente vittima del criminale operato di piromani che appiccano i roghi simultaneamente, rendendo necessario l'intervento degli operatori dal sud al nord dell'isola;
   solo nella giornata del 7 agosto 2013 sono stati distrutti più di due mila ettari di vegetazione, mettendo in pericolo civili abitazioni e strutture, causando feriti tra chi è intervenuto e incalcolabili danni ambientali e strutturali;
   i roghi sono favoriti oltre che dalle alte temperature che si stanno registrando nell'Isola anche dal forte vento che non rende agevole l'opera di contenimento;
   i roghi sono favoriti in alcuni casi dal degrado e trascuratezza del patrimonio boschivo;
   in Italia si registra l'assurda convinzione di chi considera il patrimonio forestale come un ostacolo e non come una risorsa e una ricchezza;
   non c’è nessuna attenuante per chi appicca un incendio o un rogo –:
   quali iniziative urgenti di competenza intenda intraprendere il Governo per far fronte all'emergenza incendi che sta colpendo duramente la Sardegna e per prevenire nuovi episodi;
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Governo per valorizzare e proteggere il patrimonio boschivo, rendendolo agli occhi di tutti una risorsa e non una tara da eliminare;
   quali iniziative intenda assumere il Governo per adempiere alla convenzione con la regione Sardegna e permettere la mobilità di circa 300 vigili del fuoco sardi, in servizio nelle altre regioni italiane, la quale impone il rispetto della normativa vigente in materia di mobilità per tutti i vigili del fuoco del territorio italiano, che devono svolgere l'attività nell'ambito della propria regione di appartenenza anche al fine di rendere operativi i numerosi presidi decretati, ma mai aperti, e quelli aperti, ma mai resi operativi per mancanza di personale e quelli che rischiano di essere chiusi per carenza di personale;
   quali iniziative normative intenda intraprendere il Governo per punire duramente l'azione criminale dei piromani.
(4-01667)

  Risposta. — In merito alla problematica relativa allo spegnimento degli incendi boschivi va osservato che la competenza primaria spetta alle regioni, ai sensi del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, salvo lo spegnimento con mezzi aerei, di competenza dello Stato. Tale assetto è stato confermato e rafforzato dalla legge quadro sugli incendi boschivi 21 novembre 2000, n. 353, che ha attribuito alle regioni il compito di definire e programmare le attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi. Per l'attuazione di tali piani le regioni possono stipulare apposite convenzioni con il Ministero dell'interno per l'impiego di personale e mezzi del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
  In questa prospettiva, la regione Sardegna, anche per quest'anno, ha concluso con questo Ministero uno specifico accordo finalizzato al potenziamento del dispositivo di soccorso del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, dedicato alla «Campagna estiva AIB» e definito in funzione delle risorse finanziarie rese disponibili nel bilancio annuale regionale.
  In particolare, con l'accordo stipulato lo scorso 11 giugno è stata concordata la dislocazione delle squadre dei vigili del fuoco dedicate alla lotta attiva agli incendi di bosco, prevedendo il potenziamento delle sedi esistenti presso i comandi provinciali, oltre all'attivazione di alcuni presidi stagionali a protezione di aree costiere ed interne particolarmente sensibili.
  Per assicurare, nel periodo estivo, il potenziamento del dispositivo di soccorso nella regione il Ministero dell'interno ha inoltre autorizzato 950 richiami di vigili volontari.
  È stata anche organizzata l'attività AIB della flotta aerea, costituita da aerei Canadair, con il concorso di velivoli provenienti dalla base fissa di Ciampino.
  Alla data del 25 agosto 2013 in Sardegna sono state effettuate 94 missioni AIB da parte della flotta aerea del corpo nazionale dei vigili de fuoco per oltre 222 ore di impiego.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   ROSSOMANDO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 7, comma 1, della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, ratificata dall'Italia con la legge 27 maggio 1991, n. 176, stabilisce testualmente: «Il fanciullo è registrato immediatamente al momento della nascita, e da allora ha diritto a un nome, ad acquistare una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori e ad essere allevato da loro»;
   la Convenzione sui diritti del fanciullo introduce un vero e proprio diritto del fanciullo all'immediata «registrazione», che nel nostro ordinamento consiste nella formazione dell'atto di nascita da parte dell'ufficiale di stato civile sulla base della dichiarazione di nascita effettuata da chi ha il dovere di farla;
   il vecchio ordinamento dello stato civile (regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238) prevedeva, all'articolo 67, che la dichiarazione di nascita fosse fatta nei dieci giorni successivi al parto dal padre o dalla madre, o dall'ostetrica o da qualsiasi persona che avesse assistito al parto (articoli 70 e 71), con un ampio intervallo temporale attribuibile alle difficoltà di collegamento esistenti all'epoca;
   il vigente regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, emanato con decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, in attuazione della legge 15 maggio 1997, n. 127, ha previsto, all'articolo 30, un nuovo termine di tre giorni per le dichiarazioni fatte presso la direzione sanitaria dell'ospedale o della casa di cura in cui è avvenuta la nascita, ma ha conservato il vecchio termine di dieci giorni fissato nella previgente normativa nel caso di registrazione della nascita presso il comune nel cui territorio è avvenuto il parto e nel caso in cui i genitori vogliano registrare il neonato nel comune di residenza (articolo 30, comma 7);
   il mantenimento del termine dei dieci giorni, oltre ad essere in contrasto con quanto previsto dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, potrebbe portare all'eventualità che le dimissioni della puerpera avvengano prima che la dichiarazione di nascita con contestuale riconoscimento sia stata effettuata, esponendo quindi il neonato al pericolo di divenire vittima della tratta di minori o di finire nel circuito delle adozioni illegali, anche attraverso falsi riconoscimenti di paternità –:
   quali iniziative intenda assumere affinché i termini per la registrazione e il riconoscimento dei neonati vengano aggiornati ed uniformati a quanto indicato dall'articolo 7, comma 1, della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, ratificata dall'Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, affinché i neonati non vengano dimessi prima che sia stata effettuata la dichiarazione di nascita, sia stato dato loro un nome e, se del caso, nominato un tutore provvisorio che ne risponda. (4-01598)

  Risposta. — La convenzione dell'organizzazione delle Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia prevede e il bambino sia immediatamente «registrato» al momento della nascita e che da allora abbia diritto a un nome, ad acquisire la cittadinanza e, se possibile, a conoscere i suoi genitori ed essere allevato da essi (articolo 7).
  Sotto il profilo dell'ordinamento interno, il regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile prevede che – ai fini della formazione dell'atto di nascita – la dichiarazione di nascita sia corredata da un'attestazione delle generalità della puerpera, del comune, del luogo, del giorno e dell'ora della nascita e del sesso del bambino (decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del 2000, articolo 30). Tale attestazione, distinta dalla dichiarazione prevista ai fini della formazione dell'atto di nascita, è redatta successivamente al parto dal personale sanitario.
  Il termine di dieci giorni – a cui si fa riferimento nel testo dell'interrogazione – concerne la dichiarazione di nascita, è ridotto a tre giorni se la dichiarazione è resa presso la direzione sanitaria dell'ospedale ove è avvenuta la nascita. La previsione di tale termine è volta a tutelare la libertà di scelta della madre, nei cui confronti non è disposta l'automatica attribuzione della responsabilità genitoriale. La dichiarazione infatti può essere resa, oltre che da uno dei genitori, anche da un procuratore speciale, dal medico, dall'ostetrica o da altra persona che ha assistito al parto, rispettando l'eventuale volontà della madre di non essere nominata.
  L'assetto normativo qui sinteticamente delineato è finalizzato quindi a tutelare una pluralità di interessi che, coerentemente con gli obiettivi della convenzione internazionale sopra citata, concorre a creare le condizioni per un'adeguata protezione del neonato.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   SEGONI, TERZONI, MANNINO, DAGA, DE ROSA, TOFALO, ZOLEZZI e COZZOLINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il testo unico delle acque pubbliche di cui al regio decreto n. 1775 del 1933 norma il rilascio di concessioni di acque pubbliche;
   con decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (decreto Bassanini) le competenze sul demanio idrico sono state trasferite alle regioni;
   la procedura delle concessioni sfugge ai controlli, con pratiche inevase da anni e mancati introiti per la pubblica Amministrazione, così come evidenziato anche da alcune inchieste giornalistiche, tra le quali citiamo quelle pubblicata dalla «Repubblica» sezione «Le Inchieste» dal titolo «Un paese groviera: 10 milioni di pozzi. Troppi scavi abusivi per trovare l'acqua» di Margherita D'Amico del 2 ottobre 2012 e quelle pubblicate da «Goleminformazione» sezione «Approfondimenti», dal titolo «Regioni e risorse idriche: Le entrate (mancate) dell'acqua pubblica» di Mariangela Latella del 23 novembre 2012;
   la platea dei soggetti che richiedono concessione si è estesa a milioni di possessori di pozzi a seguito della pubblicità di tutte le acque sotterranee sancita con la legge n. 36 del 1994;
   il numero dei pozzi esistenti sul territorio nazionale, come risulta dalle suddette inchieste, viene stimato intorno ai 10 milioni di unità e per la gran parte non denunciati;
   l'estrazione incontrollata di acque sotterranee può produrre il prosciugamento dei corsi d'acqua alimentati dalle falde sotterranee, l'abbassamento del livello dei laghi, la riduzione della portata di sorgenti, il disseccamento dei fontanili, la contrazione delle aree umide con nocumento per la vita acquatica ed il paesaggio;
   con la legge n. 464 del 1984 viene fatto obbligo di comunicare al Servizio Geologico d'Italia – Dipartimento difesa del suolo (ISPRA) le informazioni relative alle indagini a mezzo di scavi e perforazioni spinti a profondità maggiori di 30 metri dal piano campagna, ma la banca dati dell'ISPRA risulta popolata soltanto da alcune migliaia di pozzi, evidenziando tutta la discrepanza tra il sommerso non denunciato e il denunciato non trasmesso;
   attualmente le tecnologie permettono perforazioni profonde a costi contenuti, tali perforazioni, se non correttamente eseguite, possono mettere in connessione falde sovrapposte con conseguente alterazione della circolazione sotterranea e propagazione di inquinanti anche negli acquiferi più profondi;
   non esiste un albo dei perforatori, né è noto se le ditte che operano nel settore dispongano di conoscenze adeguate alla corretta esecuzione delle opere ed alla prevenzione dei danni conseguenti alle estrazioni di acque sotterranee e/o se si avvalgano di professionalità adeguate;
   i canoni per le concessioni di acque pubbliche superficiali e sotterranee, stabiliti dalle regioni, non tengono conto dei costi ambientali;
   i canoni delle concessioni di acque superficiali e sotterranee sono determinati sulla base delle portate derivate piuttosto che sui quantitativi globalmente sottratti al corpo idrico, assumendo come unità di misura prevalente il modulo (pari a 100 litri secondo), unità di misura compatibile solo con alcune tipologie di derivazione e non con le acque sotterranee, dove la semplice estrazione di pochi litri al secondo può introdurre danni ambientali rilevanti;
   gli introiti dei canoni così calcolati non coprono i costi ambientali, non rispettano il principio «chi inquina paga» e non incentivano gli utenti all'adozione di misure per il risparmio idrico anche avvalendosi delle nuove tecnologie disponibili nel settore;
   l'approvvigionamento idropotabile in Italia deriva per il 90 per cento da acque sorgive di alta qualità e solo per il restante da acque di fiume opportunamente trattate;
   i gestori di cui al servizio idrico integrato spesso non dispongono di adeguato titolo concessorio per le acque addotte e immesse in rete e che le aree da cui si estrae non sono adeguatamente protette come stabilito all'articolo 94 del decreto legislativo 152 del 2006 e della direttiva 2000/60/EC, articolo 6 (registro delle aree protette);
   una tale situazione di governo incontrollato delle concessioni di acque pubbliche ha riflessi negativi non solo sull'ambiente ma sugli stessi costi di fornitura all'utenza, come dimostrano gli interventi in aree le cui acque contengono elevate concentrazioni di arsenico;
   il mancato controllo delle risorse derivate e conseguentemente dei reflui immessi vanificano ogni sforzo di raggiungere gli obiettivi fissati dalla direttiva quadro sulle acque sui corpi idrici superficiali e sotterranei;
   all'articolo 11 della direttiva quadro in merito alla gestione della acque (Direttiva 2000/60/CE) stabilisce che gli stati membri attivino «servizi sulla risorsa idrica» basati sul recupero dei costi e sul principio «chi inquina paga»;
   il 26 marzo 2012 la Commissione europea, nell'ambito della procedura di infrazione n. 2007/4680, ha emesso nei confronti dell'Italia un parere motivato per la non conformità della Parte IIIa del decreto legislativo 152 del 2006 con la sopracitata direttiva 2000/60/CE, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque –:
   se il Ministro intenda a breve termine introdurre correttivi alla parte III del decreto legislativo 152 del 2006 ed al testo unico 1775 del 1933 affinché si istituiscano immediatamente anche in Italia i citati servizi sulla risorsa idrica basati sul recupero dei costi e sul principio «chi inquina paga»;
   se il Ministro in tali correttivi intenda destinare gli introiti dei canoni di concessione di acqua pubblica alla costituzione dei servizi stessi prevedendo in essi non solo le procedure amministrative circa la riscossione dei canoni, le volture, e altro, ma anche tutte le operazioni di controllo tecnico in corso e post-opera, la gestione dei flussi informativi delle letture dei contatori, i controlli sulle opere di dismissione e la repressione dell'abusivismo, al fine di disporre un quadro continuamente aggiornato dei prelievi e degli scarichi sul territorio nazionale;
   se il Ministro sia a conoscenza che un'adeguata rimodulazione dei canoni sui quantitativi realmente estratti e sui costi ambientali, come chiede la Commissione europea, possa produrre introiti atti a sostenere un'occupazione qualificata di migliaia di giovani;
   se il Ministro non intenda acquisire elementi in merito ai titoli concessori dei gestori del servizio idrico integrato e di quante e quali aree di salvaguardia siano state istituite per le aree di approvvigionamento idrico per il consumo umano, a tutela e garanzia dell'utenza e al fine di evitare che l'assenza di tali premesse si traduca in futuro in costi aggiuntivi destinati ad opere di potabilizzazione prevedibili ed evitabili. (4-01446)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in oggetto riguardante le problematiche connesse al demanio idrico ed al servizio idrico integrato, si fa presente quanto segue.
  Gli interroganti, riprendendo alcune notizie di stampa pubblicate nel periodo ottobre/novembre 2012, segnalano la mancanza di controlli nel settore dei prelievi d'acqua che si registra in diverse regioni italiane, le prolungate tempistiche impiegate dagli uffici regionali per il disbrigo delle richieste di concessione di derivazione ed il carente quadro conoscitivo che caratterizza, in modo particolare, l'estrazione di acque di falda mediante pozzi.
  In particolare, gli Interroganti rimarcano come la situazione risulti aggravata dal diffuso abusivismo che caratterizza la pratica della perforazione dei pozzi e come il numero di pozzi abusivi, ovvero sprovvisti di un legittimo «titolo concessorio» rilasciato dall'autorità competente a norma dell'articolo 2 del T.U. sulle acque ed impianti elettrici approvato con regio decreto 1775 del 1933, sia imprecisato, ma, presumibilmente, assai rilevante.
  Si ricorda al riguardo che l'articolo 17 del citato Testo Unico sulle acque – normativa questa che, pur avendo subito nel corso degli anni numerosi aggiornamenti per necessità di adeguamento alle nuove impostazioni in materia di gestione delle risorse idriche derivate soprattutto dalle direttive europee in materia di tutela ambientale – dispone l'esplicito divieto di derivare o utilizzare acqua pubblica senza un provvedimento autorizzativo o concessorio dell'autorità competente ed, in caso di violazione, stabilisce che l'Amministrazione competente dispone la cessazione dell'utenza abusiva comminando al contravventore, fatto salvo ogni altro adempimento o comminatoria previsti dalle leggi vigenti, il pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 3 mila euro a 30 mila euro, oltre al pagamento di una somma pari ai canoni non corrisposti. La continuazione provvisoria del prelievo può essere eccezionalmente consentita dall'autorità competente con espresso provvedimento in presenza di particolari ragioni di interesse pubblico generale, purché l'utilizzazione non risulti in palese contrasto con i diritti di terzi e con il buon regime delle acque.
  Ad oggi – come ricordato dagli interroganti – la competenza in materia è stata trasferita dal decreto legislativo n. 112/1998 alle Regioni, le quali hanno in gran parte legiferato con proprie leggi regionali al fine di definire le procedure per l'istruttoria ed il rilascio delle concessioni, seguendo comunque l'impostazione del testo unico 1775 del 1933. Buona parte delle leggi regionali emanate si caratterizza per aver previsto la comunicazione al richiedente sia della data di avvio che di conclusione delle procedure amministrative culminanti nel rilascio della concessione, con l'evidente finalità di evitare ingiustificate dilatazioni temporali.
  Riguardo agli introiti costituiti dal pagamento dei canoni di derivazione e riscossi dalle regioni, si precisa che, a norma dell'articolo 37 del testo unico 1775/1933, il pagamento del canone decorre improrogabilmente dalla data del decreto di concessione o da quella di autorizzazione provvisoria all'inizio dei lavori, se anteriore. Da tale disposizione e da quella del citato articolo 17 del testo unico, discende che rimane esclusa l'eventualità che esistano utenze che legittimamente estraggano acqua senza corrispondere il relativo canone; risultano, peraltro, da tempo decorsi i termini per la presentazione delle domande di concessione in sanatoria, secondo quanto previsto dall'articolo 96, comma 6o, del decreto legislativo 152/2006 e la maggior pane delle Regioni ha provveduto a concludere le relative procedure istruttorie regolarizzando dette domande, in alcuni casi ricorrendo a procedure semplificate per le «piccole» derivazioni che costituivano la stragrande maggioranza delle istanze presentate. Sono invece in corso a cura delle Regioni le procedure di rinnovo delle numerose concessioni scadute (la durata delle concessioni è fissata in trent'anni dall'articolo 21, comma 1o, del Testo unico 1775/1933) e di rilascio di quelle richieste
ex-novo e risulta che in alcune Regioni le istruttorie delle domande si siano protratte a causa di problemi di compatibilità dei prelievi con le previsioni attuative del piano regionale di tutela delle acque. Tale momento di verifica, insieme all'acquisizione del parete vincolante dell'autorità di bacino previsto dall'articolo 96 del decreto legislativo n. 152/2006, risulta cruciale al fine di scongiurare quanto paventato dagli interroganti in merito agli effetti di estrazioni incontrollate d'acqua sui corpi idrici superficiali e, in modo particolare, su quelli sotterranei.
  In sostanza si ritiene che la principale criticità sia costituita dai prelievi abusivi, soprattutto tramite pozzi, per i quali non risulta presentata istanza di concessione e la cui individuazione richiede controlli a tappeto sul territorio, per i quali le Amministrazioni e gli organi di controllo risultano essere, in molti casi, inadeguatamente attrezzati.
  Con riferimento alla domanda relativa all'introduzione, all'interno del decreto legislativo n. 152/06 e al testo unico 1775/1933, di correttivi relativi all'istituzione dei servizi sulla risorsa idrica basati sul recupero dei costi e sul principio «chi inquina paga», si ricorda che tale previsione, attuativa dell'articolo 9 della direttiva 2000/60/CE, è già presente nell'ambito del decreto legislativo n. 152 del 2006 citato, lì dove all'articolo 119 recante «Principio del recupero dei costi relativi ai servizi idrici» è previsto che le Autorità competenti, nell'attuare politiche dei prezzi dell'acqua, tengono conto del principio del recupero dei costi dei servizi idrici, compresi quelli ambientali e relativi alla risorsa, prendendo in considerazione, in particolare, il principio «chi inquina paga», proprio ai fini del raggiungimento e mantenimento degli obiettivi di qualità ambientali di cui alla direttiva 2000/60/CE ed agli articoli 76 e seguenti del decreto in parola.
  In relazione, poi, alla richiesta di correttivi che prevedano la destinazione degli introiti dei canoni di concessione di acqua pubblica alla costituzione dei servizi stessi intendendo per essi non solo le procedure amministrative strumentali alla riscossione dei canoni, le volture ed altro, ma anche le operazioni di controllo tecnico, la gestione dei flussi informativi delle letture dei contatori e la repressione dell'abusivismo, va segnalato che, allo stato attuale, per quanto riguarda il «servizio idrico integrato» detti compiti sono attribuiti al gestore dal titolo IIo della parte IIIa del decreto legislativo 152/2006, che li svolge autofinanziandosi con il gettito tariffario.
  Si evidenzia, tuttavia, che ai sensi dell'articolo 1, comma 1, lettera
d) del decreto del Presidente del Consiglio del ministri del 20 luglio 2012 secondo il quale, nell'ambito delle funzioni attribuite a questo Ministero, lo stesso deve identificare «i criteri per la definizione del costo ambientale e del costo della risorsa per i vari settori d'impiego dell'acqua, anche in proporzione al grado di inquinamento ambientale derivante dai diversi tipi e settori d'impiego e ai costi conseguenti a carico della collettività in attuazione del principio del recupero integrale del costo del servizio e del principio chi inquina paga», potrà essere valutata l'ipotesi di destinare la quota parte del canone che misura il costo ambientale della risorsa a interventi di tutela ambientale.
  L'interrogante, ancora, pone l'accento sulla necessità di rimodulazione dei canoni sui quantitativi realmente estratti e sui costi ambientali i cui introiti potrebbero sostenere un'occupazione qualificata di migliaia di giovani. In merito si fa presente che, premesso che l'occupazione rappresenta priorità del presente governo, ai sensi dell'articolo 154 del decreto legislativo n. 152/2006 è competenza del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, disciplinare con decreto i criteri per internalizzare la quota dei costi ambientali anche nei canoni di concessione per derivazioni di acque.
  Infine, in relazione alla richiesta di acquisire elementi in merito ai titoli concessori dei gestori del servizio idrico integrato ed a quali e quante aree di salvaguardia siano state istituite per le aree di approvvigionamento idrico per il consumo umano anche a tutela ed a garanzia dell'utenza, si fa presente che la competenza in materia è radicata in capo alle regioni che, sulla scorta della precipua conoscenza del proprio territorio, sono l'ente deputato ad assumere quelle determinazioni territoriali di strategie in ordine alle azioni di tutela, valorizzazione e risanamento della risorsa idrica, nell'ambito di una più complessiva pianificazione e gestione del territorio e dell'ambiente per un utilizzo razionale, consapevole e sostenibile della risorsa acqua.

Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.