Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 6 dicembre 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    il sistema agroalimentare italiano è una delle più importanti risorse da salvaguardare e potenziare perché rappresenta l'eccellenza dei territori italiani nella misura in cui non è solamente un settore destinato alla produzione di alimenti, ma identifica un patrimonio unico di valori e tradizioni di cultura e qualità di notevoli potenzialità;
    il valore della produzione agroalimentare può essere tutelato solo attraverso la promozione della qualità, della tracciabilità degli alimenti e dell'ampliamento delle informazioni ai consumatori, anche al fine di contrastare il dilagare delle pratiche commerciali sleali e di contraffazione dei prodotti agroalimentari;
    analizzando il comparto dell'agroalimentare italiano, sia a livello nazionale che internazionale, emerge il dato che, ad essere maggiormente premiato è il prodotto genuino; infatti, le cifre dicono che il comparto agroalimentare italiano vale più del 15 per cento di prodotto interno lordo e ogni anno arriva a muovere 245 miliardi di euro fra consumi, export, distribuzione ed indotto. La quota del made in Italy destinata all'esportazione, secondo i dati forniti dalla Confederazione italiana agricoltori, Cia, nel 2012 ha raggiunto una percentuale record del 20 per cento. Ad essere maggiormente presenti sul mercato sono i prodotti tipici e di qualità certificata;
    l'Italia vanta il primato, fra i Paesi dell'Unione europea, di una tutela della qualità delle produzioni agroalimentari elevata: si pensi che il Paese ha il maggior numero di prodotti a marchio registrato come la denominazione d'origine protetta, dop, l'indicazione geografica e protetta, igp, e la specialità tradizionale garantita, stg, che sono oggetto di numerosi e sofisticati tentativi di contraffazione;
    il 25 settembre 2013 la Camera dei deputati ha nuovamente istituito, nell'intento di proseguire il lavoro istruttorio svolto nel corso della XVI Legislatura, una Commissione d'inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo;
    la Commissione agricoltura della Camera dei deputati ha iniziato l'esame di talune proposte sul tema dell'obbligatorietà dell'indicazione di origine della materia agricola nell'etichetta, del coordinamento e del rafforzamento dei controlli per la tutela dei prodotti agricoli di qualità, nonché della promozione di prodotti provenienti da «filiera corta» o a «chilometro zero»;
    in merito all'indicazione in etichetta dell'origine del prodotto, gli interventi del legislatore italiano si sono scontrati nel corso degli anni con l'impostazione, ancora prevalente in sede europea, tendente a ritenere incompatibile con il mercato unico la presunzione di qualità legate alla localizzazione nel territorio nazionale di tutto o di parte del processo produttivo di un prodotto alimentare. A tale principio hanno fatto eccezione solo le regole relative alle denominazioni di origine e alle indicazioni di provenienza;
    per i restanti prodotti alimentari è stato sinora fissato il principio che l'indicazione del luogo d'origine o di provenienza possa essere resa obbligatoria solo nell'ipotesi che l'omissione dell'indicazione stessa possa indurre in errore il consumatore circa l'origine o la provenienza effettiva del prodotto alimentare (articolo 3 della direttiva 2000/13/CE, recepito dall'articolo 3 del decreto legislativo n. 109 del 1992). Il principio è stato confermato anche con il regolamento (CE) n. 1169/2011, che, in sostituzione della precedente direttiva, ha, tuttavia, esteso a talune carni l'obbligo di indicarne l'origine (articolo 26, paragrafo 2);
    il legislatore nazionale ha tradizionalmente attribuito, invece, grande rilievo alla possibilità di definire una legislazione che consentisse di indicare l'origine nazionale della produzione agroalimentare. La produzione nazionale alimentare è considerata una delle eccellenze e, pertanto, il suo legame territoriale è stato ritenuto costantemente elemento di pregio, quindi degno di segnalazione al consumatore anche per le produzioni non «a denominazione protetta»;
    con l'approvazione nel 2004 dell'articolo 1-bis del decreto-legge n. 157 del 2004, venne introdotto per la prima volta l'obbligo generalizzato di indicare il luogo di origine della componente agricola incorporata in qualsiasi «prodotto alimentare», trasformato e non trasformato. Alla luce, tuttavia, della legislazione europea, la circolare del 1o dicembre 2004 del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali rilevò che il decreto legge «conteneva molteplici principi e disposizioni richiedenti una corretta interpretazione»; pertanto, non potevano ritenersi immediatamente operative le disposizioni sull'indicazione obbligatoria in etichetta dell'origine dei prodotti;
    nella XVI legislatura, la Commissione agricoltura della Camera dei deputati, in sede legislativa, ha approvato all'unanimità la legge 3 febbraio 2011, n. 4, in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari. Il testo della legge risulta, pertanto, incentrato sull'esigenza di promuovere il sistema produttivo nazionale nel quale la qualità dei prodotti è frutto del legame con i territori di origine e sulla pari necessità di trasmettere al consumatore le informazioni sull'origine territoriale del prodotto, alla base delle dette qualità. Il fine di assicurare una completa informazione ai consumatori è, infatti, alla base delle norme (articoli 4 e 5) che dispongono l'obbligo, per i prodotti alimentari posti in commercio, di riportare nell'etichetta anche l'indicazione del luogo di origine o di provenienza. Specificatamente, per i prodotti alimentari non trasformati, il luogo di origine o di provenienza è il Paese di produzione dei prodotti; per i prodotti trasformati la provenienza è da intendersi come il luogo in cui è avvenuta l'ultima trasformazione sostanziale, il luogo di coltivazione e allevamento della materia prima agricola prevalente utilizzata nella preparazione o nella produzione. L'etichetta deve, altresì, segnalare l'eventuale utilizzazione di ingredienti in cui vi sia presenza di organismi geneticamente modificati, dal luogo di produzione iniziale fino al consumo finale. Le norme, che demandano sostanzialmente alle regioni l'attività di controllo, sono, peraltro, rafforzate da disposizioni sanzionatorie (così il comma 10 dell'articolo 4), che prevedono l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria compresa fra 1.600 euro e 9.500 euro per i prodotti non etichettati correttamente. Le modalità applicative dell'indicazione obbligatoria d'origine sono state demandate a decreti interministeriali chiamati a definire, all'interno di ciascuna filiera alimentare, quali prodotti alimentari saranno assoggetti all'etichettatura d'origine;
    i decreti attuativi non sono stati a tutt'oggi emanati da parte dei Ministeri delle politiche agricole, alimentari e forestali e dello sviluppo economico, proprio a causa della difficile applicazione della asserita «obbligatorietà» dell'indicazione di provenienza, laddove le norme europee prevedono, allo stato, solo regimi «facoltativi». Le disposizioni nazionali non possono, infatti, che essere coerenti con la normativa approvata dall'Europa che, prima con la direttiva 2000/13/CE, poi con il regolamento (UE) n. 1169/2011, ha disciplinato le modalità e i contenuti informativi da trasmettere ai consumatori. In particolare, l'articolo 26 stabilisce le condizioni e le modalità dell'indicazione del Paese d'origine o luogo di provenienza degli alimenti; l'articolo 45 regola, poi, la procedura con la quale le norme nazionali debbono essere notificate alla Commissione europea e agli altri Stati membri;
    per sollecitare l'attuazione dell'articolo 4 della legge n. 4 del 2011 e, quindi, l'introduzione dell'obbligo di indicazione dell'origine del prodotto nell'etichetta, sul finire della XVI legislatura è stato presentato un disegno di legge, approvato dal Senato e trasmesso alla Camera (atto Camera 5559), nel quale si stabiliva, tra l'altro, che i decreti attuativi dovessero essere adottati entro due mesi dall'entrata in vigore del provvedimento. La fine anticipata della legislatura non ha consentito la conclusione dell’iter parlamentare;
    recentemente l'Unione europea ha apportato, in tema di indicazioni, delle modifiche al regime di etichettatura dei prodotti agroalimentari. In particolare, il regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, ha modificato la precedente normativa, al fine di semplificarla e migliorare il livello d'informazione e di protezione dei consumatori europei. Le nuove disposizioni, che entreranno in vigore dal 13 dicembre 2014 – ad eccezione delle disposizioni relative all'etichettatura nutrizionale che entreranno in vigore a partire dal 13 dicembre 2016 – rispondono alla necessità di aumentare la chiarezza e la leggibilità delle etichette. Il regolamento si applica a tutti gli operatori del settore alimentare in tutte le fasi della catena e a tutti gli alimenti destinati al consumo finale, compresi quelli forniti dalle collettività (ristoranti, mense, catering) e quelli destinati alla fornitura delle collettività. Esso introduce alcune novità di rilievo, quali l'obbligo di indicare la provenienza e l'origine dei prodotti e la leggibilità dell'etichetta, e consente agli Stati membri di adottare «disposizioni ulteriori» (articolo 39 del regolamento) per specifici motivi: protezione della salute pubblica e dei consumatori, prevenzione delle frodi, repressione della concorrenza sleale, protezione dei diritti di proprietà industriale e commerciale e tutela delle indicazioni di provenienza e denominazioni di origine controllata. Lo Stato membro che voglia introdurre un provvedimento nazionale dovrà notificare il progetto alla Commissione europea e attendere tre mesi per approvarlo, salvo parere negativo della stessa;
    l'esigenza di una ricomposizione tra le regole del mercato interno comunitario e la protezione della qualità delle produzioni locali è stata esplicitata nella risposta fornita dal Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali pro tempore ad un'interrogazione presentata sull'argomento al Senato della Repubblica nella seduta del 20 settembre 2012; il Ministro pro tempore ha, in tale occasione, affermato che: «(...) occorre tener presente che la legge n. 4 del 2011 sull'etichettatura dei prodotti agroalimentari si inserisce in un quadro normativo regolato a livello sovrastante dall'Unione europea e che, quindi, la redazione dei decreti attuativi pone problemi di compatibilità con la normativa comunitaria vigente (...)». Il Ministro annunciò, in tale occasione, di aver predisposto il decreto attuativo per il settore lattiero-caseario (sul latte a lunga conservazione, uht, pastorizzato microfiltrato e latte pastorizzato ad elevata temperatura), il più importante segmento di mercato tra quelli nei quali non è già in vigore un obbligo di indicazione dell'origine, e che sarebbe stato di prossima definizione un altro decreto per le carni lavorate. Il processo si è poi interrotto perché la Commissione europea, comunicatole lo schema di decreto per il settore lattiero-caseario, con decisione del 28 agosto 2013 (notificata con il numero C(2013) 5517), ha ritenuto che le giustificazioni fornite dall'Italia, legate all'esigenza di protezione degli interessi dei consumatori e di prevenzione e repressione delle frodi comunitaria, non risultassero sufficientemente dimostrabili;
    la Commissione agricoltura della Camera dei deputati ha ripreso nella XVII legislatura la problematica in esame, inserendo in calendario l'esame di due proposte di legge (atti Camera 1173 e 427), le quali intervengono nuovamente proprio sul problema dei tempi di emanazione dei decreti attuativi della legge n. 4 del 2011, prevedendo, anche in questo caso, che gli stessi siano emanati entro il termine perentorio di due mesi dalla data di entrata in vigore delle medesime proposte di legge;
    numerose associazioni, fondazioni e realtà legate al mondo agricolo hanno già introdotto delle proposte utili a facilitare la lettura in etichetta da parte del consumatore e rendere il prodotto immediatamente visibile;
    inoltre, accanto alle indicazioni previste dalla legge, è da considerare la possibilità di avvalersi della cosiddetta etichetta narrante, che fornisce informazioni precise sui produttori, sulle loro aziende, sulle varietà vegetali o sulle razze animali impiegate, sulle tecniche di coltivazione, allevamento e lavorazione, sul benessere animale, sui territori di provenienza e sul dato di non utilizzare pesticidi in dosi massicce, con limiti e regolamentazioni conformi – anche se non certificate – ai disciplinari dell'agricoltura biologica o biodinamica. Le aziende che non si certificano biologiche, ma adottano tale etichetta sono sottoposte a controlli da parte delle autorità competenti per dimostrare la veridicità delle informazioni in essa riportate;
    il 19 giugno 2013 il Dipartimento della salute britannico ha annunciato l'introduzione di un nuovo sistema volontario di etichettatura nutrizionale basato sulla colorazione semaforica (verde-giallo-rosso) del packaging dei prodotti alimentari sulla base del contenuto di sale, zucchero, grassi e grassi saturi presente in 100 grammi di prodotto, che ha destato molte critiche e disapprovazioni;
    lo schema inglese del «semaforo» si basa sulla schedatura degli alimenti: verde uguale cibo «buono», rosso uguale cibo «cattivo», mettendo a rischio i prodotti di qualità e non considerando il fatto che non esistono cibi «buoni» o «cattivi», ma solo regimi alimentari corretti o scorretti;
    schedare cibi e bevande in questo modo, a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, è pericoloso e fuorviante, perché si offre al consumatore soltanto un'informazione parziale ed erronea, che non tiene più conto della dieta complessiva e, soprattutto, non considera il regime alimentare nel suo insieme e, quindi, il modo in cui gli alimenti vengono integrati fra loro;
    il Governo britannico, peraltro, non ha notificato all'Unione europea l'introduzione del nuovo sistema di etichettatura;
    contro l'introduzione di questo sistema si sono espresse le maggiori sigle dei produttori alimentari italiani e anche associazioni di altri Paesi, in particolare del Sud Europa;
    ovviamente, questo scenario vede penalizzati innanzitutto i prodotti alla base della dieta mediterranea, il cui valore come «patrimonio immateriale dell'umanità» è stato ufficialmente riconosciuto dall'Unesco nel 2010: un vero attacco alla tradizione agroalimentare del Sud;
    al fine di verificare la compatibilità del sistema di etichettatura nutrizionale inglese con la normativa europea e per la tutela dei prodotti agroalimentari italiani, la Commissione affari sociali e la Commissione agricoltura della Camera dei deputati hanno adottato una risoluzione unitaria in data 23 ottobre 2013;
    in data 4 dicembre 2013, la Coldiretti ha promosso al passo del Brennero una forte campagna di protesta e sensibilizzazione nei confronti delle istituzioni governative italiane ed europee per il continuo e spregiudicato attacco da parte di altri Paesi europei al made in Italy nell'agroalimentare. La protesta è consistita con il blocco dei tir provenienti dall'Austria che trasportavano prodotti agroalimentari con l'etichettatura made in Italy, i cui prodotti agroalimentari non sono stati prodotti in Italia. Si pensi, che l'uso improprio del nome made in Italy, conosciuto come italian sounding, costa al nostro sistema di impresa del settore primario oltre 60 miliardi di euro di perdite l'anno,

impegna il Governo:

   a promuovere in sede comunitaria le idonee iniziative al fine di poter consentire al nostro Paese di tutelare il made in Italy con un sistema di etichettatura dei prodotti agroalimentari che consenta di salvaguardare la biodiversità agroalimentare nella sua interezza culturale;
   ad avviare, nelle opportune sedi europee, tutte le trattative politico-istituzionali al fine di veder riconosciuta all'Italia la possibilità di utilizzare le «disposizioni ulteriori» stabilite dall'articolo 39 del regolamento (UE) 1169/2011 per specifici motivi, quali: la protezione della salute pubblica e dei consumatori, la prevenzione delle frodi, la repressione della concorrenza sleale, la protezione dei diritti di proprietà industriale e commerciale, nonché la tutela delle indicazioni di provenienza e denominazioni di origine controllata;
   a procedere speditamente all'emanazione dei decreti attuativi della legge 3 febbraio 2011, n. 4, affinché si possa applicare la «obbligatorietà» dell'indicazione di provenienza, laddove le norme europee prevedono, allo stato, solo regimi «facoltativi»;
   ad assumere le opportune iniziative con la Commissione europea sulla compatibilità del sistema di etichettatura inglese – «etichettatura semaforica» – con la normativa europea relativa alle indicazioni nutrizionali degli alimenti, in particolare con i criteri previsti dall'articolo 35 del regolamento (UE) 1169/2011, e sul rispetto da parte del Governo inglese dell'obbligo di previa notifica previsto per l'introduzione di nuove regolamentazioni in materia di etichettatura;
   a chiedere alle autorità europee la sospensione del sistema di «etichettatura semaforica» della Gran Bretagna, in quanto il sistema si basa su considerazioni che non tengono conto del mix di alimenti che quotidianamente forniscono i nutrienti di cui si ha bisogno, ma si basa su criteri di definizione e indicazione apodittici e privi di qualsivoglia dato empirico, posto che tutto questo distrugge la caratteristica principale dei prodotti agroalimentari italiani che hanno quale «humus organolettico» la biodiversità del territorio nazionale;
   a tutelare in ogni modo l'immagine e il valore culturale ed economico dell’export agroalimentare dei prodotti made in Italy, evitando che i sistemi di etichettatura volontaria vengano utilizzati a fini discriminatori e distorsivi del mercato nei confronti delle imprese agricole e agroalimentari italiane;
   a farsi garante ed essere attore attivo nelle campagne di sensibilizzazione contro le contraffazioni dei prodotti italiani attraverso le sedi estere della televisione pubblica nazionale, promuovendo in modo più incisivo il vero made in Italy;
   a difendere e tutelare giuridicamente il valore indisponibile e immateriale della «dieta mediterranea» quale patrimonio dell'umanità, così come dichiarato nel 2010 dall'Unesco.
(1-00277) «Franco Bordo, Migliore, Palazzotto, Ferrara, Lacquaniti, Zan, Pellegrino, Zaratti».

Risoluzioni in Commissione:


   La III Commissione,
   premesso che:
    EXPO 2015 è un evento di eccezionale importanza per il nostro Paese, una straordinaria occasione per il rilancio economico e turistico dell'Italia intera, il primo evento di richiamo mondiale dopo 23 anni dai Campionati di calcio del 1990 e ben 53 dalle Olimpiadi di Roma;
    il Presidente del Consiglio, Enrico Letta, il 7 luglio 2013, al lancio della campagna promozionale dell'esposizione, davanti anche al Presidente della Repubblica ha espresso il desiderio di «legare a EXPO 2015 l'obiettivo della ripresa economica del nostro Paese» affermando che EXPO 2015 «sarà fondamentale per uscire dalla crisi, anzi, sarà proprio il cuore della ripresa italiana»;
   il tema della manifestazione «Nutrire il Pianeta. Energia per la vita», che riguarda le risorse del pianeta e l'alimentazione, favorisce, inoltre, la promozione dell'intero settore agroalimentare, consentendo la valorizzazione delle tante eccellenze del nostro Paese e promuovendo l'innovazione e lo sviluppo della ricerca e della produzione di qualità; dopo la crisi di questi anni, il tema della qualità dei consumi e della sostenibilità diverrà un tema di straordinaria attualità e l'ambizione deve essere quella di fare del nostro Paese, a partire da EXPO 2015, il punto di riferimento di questo dibattito;
   l'Italia ha una consolidata tradizione in materia; Roma è la sede delle principali Organizzazioni delle Nazioni Unite che si occupano di sicurezza alimentare, agricoltura e sviluppo sostenibile, quali l'Organizzazione per l'Alimentazione e l'Agricoltura (FAO), il Programma alimentare mondiale (WFP) e il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (IFAD), alle quali ci si riferisce anche come il polo agro-alimentare romano;
   l'agricoltura per le sue caratteristiche è efficiente dal punto di vista delle risorse e può svolgere un ruolo fondamentale e all'avanguardia nella lotta contro lo spreco alimentare;
   l'EXPO sarà infatti una vetrina eccezionale; secondo i dati della Camera commercio Milano sono attesi 20 milioni di visitatori, l'indotto turistico sarà di euro 10,6 miliardi (produzione aggiuntiva) con 89.000 posti di lavoro (unità di lavoro aggiuntive), 130 Paesi partecipanti attesi. L'indotto economico totale nel periodo 2012-2020 a livello nazionale in termini di produzione aggiuntiva è stimato in 25 miliardi di euro e circa 200 mila posti di lavoro. Investimenti dei paesi partecipanti all'evento euro 3,2 miliardi (produzione aggiuntiva) 26.200 posti di lavoro (unità di lavoro aggiuntive). Creazione di nuove imprese euro 1,7 miliardi (produzione aggiuntiva) 12.400 posti di lavoro, (unità di lavoro aggiuntive). Opportunità di business internazionale euro 2,3 miliardi (produzione aggiuntiva) 16.500 posti di lavoro (unità di lavoro aggiuntive);
   le istituzioni italiane e l'organizzazione di EXPO 2015 di Milano stanno predisponendo la creazione di spazi di riflessione internazionale che ospiti anche gli esponenti delle Nazioni unite per lo sviluppo degli Obiettivi post 2015;
   in vista della loro scadenza nel 2015, nel vertice del 2010 sugli OSM il segretario generale dell'ONU Ban Ki-moon ha ricevuto l'incarico di lanciare un processo consultivo su un quadro di riferimento per il periodo post-2015. Le Nazioni unite stanno lavorando in collaborazione con i governi, la società civile e altri partner per mettere a punto un'Agenda per lo sviluppo post 2015, che tenga conto delle acquisizioni e delle lezioni fin qui apprese e che continui, nel solco tracciato dal Vertice di sviluppo del millennio, nella ricerca di prosperità, equità, dignità e pace per tutti;
   le cifre allarmanti divulgate dalla FAO – secondo cui attualmente 925 milioni di persone nel mondo sono a rischio di denutrizione – allontana sempre più il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio, incluso quello di dimezzare la fame e la povertà entro il 2015;
   la sicurezza alimentare è un diritto fondamentale dell'umanità che si concretizza attraverso la disponibilità, l'accessibilità, l'utilizzo e la stabilità nel tempo di un'alimentazione sana, sufficiente, adeguata e nutriente; rileva che la produzione alimentare mondiale è compromessa da una serie di fattori, tra cui le limitate risorse naturali in rapporto al crescente numero della popolazione mondiale e lo scarso accesso al cibo da parte delle fasce più vulnerabili della popolazione, nonché lo spreco dello stesso;
   lo spreco alimentare riguarda tutti i passaggi della catena alimentare e colpisce indistintamente tutti i Paesi. In quelli in via di sviluppo si localizza a monte della filiera agroalimentare, mentre in quelli sviluppati, come Europa e America settentrionale prevalentemente nella fase della vendita al dettaglio e del consumo; l'Unione europea con 180 chilogrammi pro capite e l'Italia con 149 chilogrammi pro capite risultano sopra la media dei Paesi sviluppati;
   il sostegno dato ai Paesi in via di sviluppo per migliorare l'efficienza delle loro catene agroalimentari può giovare non solo direttamente alle economie locali e alla crescita sostenibile di questi territori, ma anche, in maniera indiretta, all'equilibrio globale del commercio di prodotti agricoli e alla ridistribuzione delle risorse naturali;
   il Parlamento europeo ha votato in seduta plenaria il 19 gennaio 2012 la Risoluzione «come evitare lo spreco di alimenti: strategie per migliorare l'efficienza della catena alimentare nell'UE» che si pone l'obiettivo di ridurre del 50 per cento gli sprechi alimentari entro il 2025 e di dichiarare il 2014 Anno Europeo di lotta agli sprechi alimentari attraverso una strategia per migliorare l'efficienza della catena alimentare degli Stati Membri;
   la crisi globale, paradossalmente, può offrire un'occasione di cambiamento, e in questo senso la società civile può dare un indirizzo importante alle forze politiche ed economiche;
   in tal senso Last Minute Market, spin-off dell'università di Bologna ha creato insieme a SWG un «Osservatorio sullo spreco alimentare» con l'obiettivo di minimizzare tutte le perdite e le inefficienze della filiera agroalimentare e un documento denominato «Carta Spreco Zero», il quale viene continuamente arricchito e aggiornato grazie all'implementazione delle conoscenze, allo scambio delle best practices fra amministrazioni;
   il documento «Carta Spreco Zero» è stato formulata sulla base di una dichiarazione congiunta di cittadini, esperti e operatori e prescrive un decalogo comportamentale alimentare con cui poter avviare processi razionali al fine di ridurre drasticamente gli sprechi e le perdite alimentari attraverso il controllo e la prevenzione di tutte le attività pubbliche e private che implichino la gestione di cibo, acqua, energia, rifiuti, mobilità, comunicazione;
   La «Carta per la Rete di Enti Territoriali a Spreco Zero» nata per sancire l'impegno di regioni, province e comuni in merito ai possibili indirizzi che questi ultimi possono mettere in atto a livello territoriale per prevenire comportamenti scorretti e incentivare quelli virtuosi in materia di sprechi e perdite alimentari, ha visto l'adesione di personalità del mondo culturale e scientifico e in particolare è stata sottoscritta sinora da circa 700 sindaci europei,

impegna il Governo:

   a valutare, in seno all'evento di EXPO 2015, la possibilità di avviare un'iniziativa concertata con gli altri Paesi partecipanti per affrontare in sede internazionale il problema dello spreco alimentare e definire orientamenti e strategie per migliorare l'efficienza della catena agroalimentare, anche attraverso la stesura di un cosiddetto «Protocollo di Milano», così come già anticipato dal Presidente del Consiglio dei ministri all'Assemblea generale dell'ONU: «l'Italia ritiene che sia giunto il momento di lanciare un nuovo consenso globale sul cibo»;
   a sostenere l'idea di estendere l'iniziativa della «Carta per la rete di enti territoriali a spreco zero» ai sindaci più rappresentativi delle più importanti città extra-europee, in particolare delle capitali e delle metropoli dei Paesi con le economie più dinamiche e in crescita.
(7-00197) «Cimbro, Beni, Cassano, Chaouki, Fedi, Garavini, Locatelli, Marazziti, Mogherini, Fitzgerald Nissoli, Porta, Quartapelle Procopio, Scotto, Tentori, Terrosi, Tidei, Carra, Cenni, Mongiello, Tentori, Terrosi, Valiante, Venittelli».


   La III Commissione,
   premesso che:
    nell'ambito delle esigenze dettate dal processo di razionalizzazione della spesa (spending review) di cui al DL 95 del 2012, il Ministero degli affari esteri ha varato un piano di «riorientamento» della presenza italiana all'estero e determinato un primo taglio di 13 uffici consolari, già in fase di attuazione;
    nei giorni scorsi il Ministero ha diramato un ulteriore elenco di 33 sedi (3 ambasciate, 9 consolati, 2 agenzie consolari, 6 sportelli consolari, 3 istituti di cultura e 8 sezioni distaccate di istituti di cultura) sulle quali si sta concentrando l'attenzione dell'amministrazione per individuare le 20 sedi che si andranno ad aggiungere alle 13 già soppresse per arrivare a un numero complessivo di 33 strutture da chiudere, al netto di eventuali nuove aperture;
    il numero magico «33» non deve essere inteso quale limite alla possibilità di trovare valide alternative per il raggiungimento dell'obiettivo finale che la legge si prefigge, e cioè il risparmio;
    l'obiettivo del risparmio attraverso la chiusura delle sedi non è stato quantificato con sufficiente approssimazione e stimato comunque di esiguo importo;
    lo stesso Direttore Generale si è detto disponibile a intensificare il confronto con il Parlamento e le rappresentanze degli italiani all'estero democraticamente elette prima che l'amministrazione formalizzi la sua posizione da sottoporre al Governo per la necessaria decretazione;
    gli obiettivi di risparmio, sempre a norma di legge, in nessun caso devono intaccare la intaccare la quantità e la qualità dei servizi all'utenza,

impegna il Governo

a bloccare la soppressione delle sedi già decisa ma non ancora avvenuta e a soprassedere alla prospettata chiusura di altre 20 sedi all'estero che si tradurrebbe necessariamente in un taglio dei servizi all'utenza, in una contrazione delle attività a favore dei connazionali, proprio in un momento in cui i flussi migratori verso l'estero, soprattutto dei giovani italiani in cerca di lavoro, hanno subito una tragica impennata, e a ricercare invece fonti alternative di risparmio e di eliminazione di sprechi al fine di raggiungere il vero obiettivo richiesto dalla legge.
(7-00198) «Tacconi, Fitzgerald Nissoli, Del Grosso, Manlio Di Stefano, Scagliusi, Di Battista, Grande, Fedi, Spadoni, Picchi, Sibilia».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    le produzioni agroalimentari Dop e Igp costituiscono la base dell'intera economia agricola nazionale, con un fatturato alla produzione che supera i 10 miliardi di euro all'anno, rappresentando oltre il 10 per cento del Pil nazionale;
    le attività di tutela delle denominazioni d'origine sui mercati esteri costituiscono le maggiori problematiche che i consorzi di tutela devono affrontare investendo ogni anno diversi milioni di euro in azioni di vigilanza e di tutela;
   sono esigui i fondi pubblici messi a disposizione dei consorzi per fronteggiare la concorrenza sleale che subiscono le produzioni italiane sui mercati esteri, mentre sarebbe necessario focalizzare l'attenzione sulle attività di tutela per garantire agli imprenditori nazionali di poter presentare i loro prodotti in condizioni di leale concorrenza con le aziende straniere;
   la direzione generale per la promozione della qualità agroalimentare e l'ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali svolgono già questo compito, ma sarebbe opportuno coinvolgere maggiormente i consorzi di tutela Dop e Igp;
   l'articolo 59-bis della legge del 7 agosto 2012 n. 134, recante misure urgenti per la crescita del Paese, con riferimento ai sistemi di sicurezza contro le contraffazioni dei prodotti agricoli e alimentari a denominazione di origine protetta (DOP), a indicazione geografica protetta (IGP), di specialità tradizionale garantita (STG), dispone che i costi di realizzazione e di gestione del sistema di sicurezza sono a carico dei soggetti che si avvalgono dell'etichettatura di cui al presente articolo;
   nella legge di stabilità 2014 si prevede lo stanziamento di 60 milioni di euro (di cui 30 milioni di euro per il 2014, 15 milioni di euro per il 2015, 15 milioni di euro per il 2016) per il rifinanziamento della legge 499 del 1999 che tra le sue finalità ha quella di accrescere le capacità concorrenziali del sistema agroalimentare italiano nel mercato europeo ed internazionale, perseguendo la massima valorizzazione delle produzioni agricole e la tutela del consumatore;
   la medesima legge di Stabilità 2014 prevede all'articolo 1 comma 13 un sostegno economico alle imprese del settore agroalimentare che si aggregano per finalità di promozione, sviluppo e consolidamento sui mercati esteri, attraverso strutture associative che sviluppino competenze, strumenti ed occupazione nel campo dell'internazionalizzazione delle imprese;
   la Commissione europea ha presentato il 21 novembre 2013 un progetto di riforma della politica di informazione e di promozione dei prodotti agricoli e alimentari europei, con lo slogan «Enjoy, it's from Europe» («Assaggia, viene dall'Europa»), volto soprattutto a sensibilizzare i consumatori alla sicurezza, alla qualità e alla sostenibilità dei modi di produzione alimentare, considerando che il settore agroalimentare europeo rappresenta una risorsa considerevole per la crescita e l'occupazione nell'Unione europea;
   l'attività di tutela delle denominazioni d'origine deve essere incrementata destinandole i proventi delle sanzioni amministrative, derivanti dalle violazione delle normative Dop e Igp,

impegna il Governo:

  a destinare i fondi derivanti dalle sanzioni amministrative applicate in violazione delle norme di tutela delle Dop, Igp e Stg direttamente ai consorzi per promuovere azioni di tutela e vigilanza sui mercati, in particolare quelli esteri;
   ad adoperarsi in sede comunitaria affinché il progetto «Enjoy, it's from Europe» sia un importante strumento di riforma della politica di informazione e di promozione dei prodotti agricoli e alimentari nazionali, con particolare riferimento ai prodotti Dop, Igp.
(7-00199) «Carra, Oliverio, Cova, Antezza, Luciano Agostini, Cenni, Tentori, Zanin».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta orale:


   TABACCI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni 1o, 2, 3 dicembre il territorio della regione Basilicata è stato colpito da eccezionali avversità meteorologiche;
   l'ondata di forte maltempo ha investito con violenza l'intero territorio regionale;
   la straordinarietà delle piogge ha provocato l'esondazione di molti tratti di tutti i fiumi della regione, dei loro affluenti e dei canali di irrigazione. Inoltre, si sono verificati pesanti allagamenti di terreni e case, l'interruzione di arterie stradali principali e secondarie e il rallentamento della rete ferroviaria;
   si è trattato di un vero disastro, che ha colpito popolazioni già provate da precedenti eventi analoghi, e che ha messo in ginocchio l'economia dell'area più produttiva della regione, con danni gravissimi ai raccolti, mentre sono in pericolo importantissime zone archeologiche;
   movimenti franosi causati dalle copiosissime piogge hanno costretto all'evacuazione di numerosi nuclei familiari mentre da molti comuni viene segnalato l'allagamento di molte abitazioni in quasi tutti i comuni della regione;
   solo la buona sorte, oltre che il grande impegno del sistema regionale di protezione civile, hanno evitato che anche in Basilicata come in Sardegna si dovessero piangere vittime;
   la regione Basilicata ha deliberato la richiesta di riconoscimento dello stato di emergenza per tutto il territorio regionale, in conseguenza degli eventi di inizio dicembre, dopo aver dovuto presentare analoga richiesta per le alluvioni del 7 e 8 ottobre 2013 –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato, e il Governo tutto, per intervenire con urgenza in favore delle popolazioni della Basilicata, tanto duramente colpite, e quali siano le iniziative che il Governo stia intraprendendo, per limitare i danni per la sempre più frequente manifestazione di fenomenologie meteorologiche «anomale» che accentuano la cronica instabilità idrogeologica dell'intero Paese. (3-00506)


   MARCO DI STEFANO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario, reca all'articolo 13 l'istituzione dell'istituto per la vigilanza sulle assicurazioni – IVASS;
   con decreto del Presidente della Repubblica del 12 dicembre 2012 è stato adottato, nel testo deliberato dal direttorio della Banca d'Italia, lo statuto dell'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni – IVASS, entrato in vigore il 1o gennaio 2013;
   in attuazione del predetto statuto il Consiglio dei ministri ha deliberato la nomina del consiglio dell'IVASS nelle persone del dottor Alberto Corinti e del professor Riccardo Cesari;
   secondo quanto riportato da alcune fonti di stampa per quanto concerne la nomina del professor Riccardo Cesari si configurerebbe il conflitto di interessi di cui all'articolo 11 dello statuto, secondo il quale «non possono far parte degli organi dell'Istituto tutti coloro che si trovino (...) in situazione di conflitto di interessi con l'Istituto in considerazione della posizione personale o delle cariche ricoperte», considerato altresì che sempre secondo il citato articolo «i componenti del Direttorio (...) non possono svolgere attività nell'interesse di imprese di assicurazione e di altri soggetti vigilati», mentre nel caso del professor Riccardo Cesari si ipotizzerebbe, sempre secondo quanto riportato da organi di stampa, un rapporto consulenziale con UNIPOL –:
   se quanto riportato dagli organi di stampa in ordine a un eventuale conflitto di interesse rispetto alla nomina del professor Riccardo Cesari nel consiglio dell'IVASS siano rispondenti al vero e tuttora sussistenti. (3-00508)


   MICCOLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 23 settembre 2013 la società Telefonica ha sottoscritto un aumento di capitale di Telco da 324 milioni di euro ottenendo così il 66 per cento delle azioni di «classe C» ovvero «senza diritto di voto» con l'impegno a versare ulteriori 117 milioni di euro;
   da gennaio 2014 Telefonica potrà convertire le azioni di «classe C» in azioni di «classe B» (con diritto di voto) conquistandone, in tal modo, il 64,9 per cento con il conseguente cambio di governance in Telco. Sempre da gennaio Telefonica potrà acquisire tutte le azioni dei soci italiani di Telco, divenendo così azionista di riferimento di Telecom Italia senza doversi rivolgere al mercato;
   il giorno 26 settembre 2013 i segretari generali di CGIL, CISL e UIL hanno chiesto al Governo di convocare un incontro sulla situazione di Telecom Italia;
   in data 3 ottobre il presidente di Telecom Italia, dottor Franco Bernabè rassegnava le proprie dimissioni dopo aver preso atto che il consiglio di amministrazione dell'azienda non avrebbe proceduto all'approvazione dell'aumento di capitale. La presentazione del nuovo piano industriale viene quindi posticipata al consiglio di amministrazione del 7 novembre 2013;
   il 7 ottobre i sindacati di categoria aprono le procedure di raffreddamento, ai sensi delle leggi n. 146 del 1990 e n. 83 del 2000, per sollecitare la presentazione di un piano industriale e l'apertura di un tavolo governativo sul futuro di Telecom Italia;
   il 17 ottobre il Senato della Repubblica ha approvato la mozione «Mucchetti-Matteoli» per la revisione della legislazione che regola le offerte pubbliche di acquisto (OPA) per le aziende quotate in borsa. Quest'ultima introduce soglie anche per le operazioni che, pur stando sotto la soglia del 30 per cento delle azioni, generano situazioni di «controllo di fatto» delle aziende;
   il 23 ottobre le segreterie nazionali di SLC-CGIL, FISTEL-CISL e UILCOM-UIL vengono audite presso la IX Commissione permanente della Camera dei deputati. All'incontro le stesse ribadiscono l'urgente richiesta di apertura di un tavolo governativo, alla presenza anche di Telecom Italia e di rappresentanti di Telefonica, per verificare il piano di sviluppo che Telefonica intende realizzare in Telecom Italia;
   il 7 novembre 2013 viene presentato il nuovo piano industriale di Telecom Italia all'interno del quale si decide la vendita della partecipazione azionaria di Telecom Italia in Telefonica Argentina;
   il 5 dicembre 2013 la Commissione antitrust del Brasile (CADE) eleva una sanzione di circa 5 milioni di euro a Telefonica per aver aumentato la propria quota di partecipazione in Telecom Italia attraverso TELCO. Il CADE concede a Telefonica due opzioni: diminuire la propria quota in Telecom Italia o in «VIVO», primo operatore di telefonia mobile brasiliano che, insieme a Tim Brasil, detiene più della metà del mercato di telefonia in Brasile. Questa situazione renderebbe probabile la vendita della quota di partecipazione di Telecom Italia detenuta da Tim Brasil. La descritta eventualità rappresenterebbe un danno per Telecom Italia poiché comporterebbe la sua totale uscita dal mercato internazionale e, quindi, un suo possibile ridimensionamento;
   il 5 dicembre 2013 SLC-CGIL, FISTEL-CISL e UILCOM-UIL manifestano, con presidi unitari, davanti la sede del Parlamento per sollecitare la riforma della legge sulle offerte pubbliche di acquisto e chiedere la convocazione di un tavolo governativo per Telecom Italia –:
   se il Governo intenda convocare le organizzazioni sindacali e, se ritenga indispensabile, così come richiesto dalle stesse, aprire un tavolo istituzionale per verificare gli impegni di Telefonica in Telecom Italia;
   se si intenda al più presto assumere iniziative normative che recepiscano quanto previsto dalla mozione «Mucchetti-Matteoli» di cui in premessa approvata a larghissima maggioranza. (3-00509)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   è di pochi giorni fa la preoccupante notizia del fermo di numerosi cittadini italiani in occasione della partita di calcio Legia Varsavia-Lazio, disputata a Varsavia il 28 novembre 2013;
   in particolare, secondo quanto riportato dai principali quotidiani nazionali, tra mercoledì 27 e giovedì 28 novembre 2013 sarebbero stati fermati dalla polizia di Varsavia 149 connazionali, che si erano recati nella capitale polacca per assistere all'incontro di calcio;
   secondo le testimonianze dei ragazzi coinvolti nel fermo, nella retata sarebbero finiti non solo i tifosi della Lazio, ma anche turisti, anziani e donne, come nel caso di due ragazze toscane portate in questura solo perché italiane;
   in merito agli eventi che hanno portato agli arresti dei nostri connazionali su scala così vasta, gli organi di stampa nazionali hanno, in questi giorni, riportato notizie di ogni genere: si parla di intimidazioni, di soprusi, di violenze, di capi di imputazione pretestuosi, di donne e di minori, addirittura di disabili, arrestati e tutti imprigionati, senza che vi fosse alcuna distinzione tra i soggetti che avevano eventualmente commesso fatti criminosi e tutti gli altri;
   pur condannando la violenza in occasione di eventi sportivi, certamente non è possibile condividere la decisione a giudizio dell'interrogante del tutto arbitraria della polizia locale di fermare preventivamente i tifosi per evitare disordini;
   l'85 per cento circa delle persone coinvolte, infatti, sarebbe risultato totalmente estraneo ai fatti, come riconosciuto dal primo consigliere dell'ambasciata italiana a Varsavia, Luca Lepore, che ha parlato di «quella che è stata eufemisticamente definita una azione preventiva»;
   sempre secondo le frammentate notizie che giungono, in un primo momento, sarebbe stato detto ai tifosi fermati che li avrebbero accompagnati allo stadio, ma invece sarebbero stati condotti in commissariato, dove sarebbero stati sottoposti all'alcol test e al droga test; successivamente, avrebbero fatto firmare agli stessi dei fogli in lingua polacca e portati in carcere, negando loro la possibilità di avvisare la famiglia, di chiamare un legale o di contattare l'ambasciata;
   lo stesso ambasciatore italiano avrebbe altresì riferito che nella maggior parte dei casi i concittadini, tra cui molti minorenni, sarebbero stati trattati malissimo dalle autorità competenti, con pochissimo cibo e poca acqua; la possibilità di andare al bagno sarebbe stata addirittura lasciata alla discrezionalità delle guardie carcerarie che a volte avrebbero ignorato totalmente le richieste;
   i ventidue tifosi, trattenuti con l'accusa di adunata sediziosa e aggressione a pubblico ufficiale, sarebbero stati poi processati per direttissima e condannati a pene non definitive di alcuni mesi o sottoposti ad indagini preliminari con due mesi di custodia cautelare;
   si sarebbe trattato di un processo avvenuto senza la presenza di un difensore, senza la rappresentanza dell'ambasciata; un processo dove i ragazzi, tutti giovanissimi, sarebbero stati costretti a dichiararsi colpevoli, alcuni pagando una multa pari a circa 100 euro, per poter essere immediatamente rilasciati;
   numerosi sono gli interrogativi sull'azione della polizia polacca che emergono dalle testimonianze dei fermati, secondo i quali – come confermato dallo stesso ambasciatore italiano in Polonia – solo un limitato gruppo di tifosi avrebbe usato comportamenti ostili contro le forze dell'ordine polacche;
   questi ragazzi, infatti, non avrebbero fatto nulla, ma, anche qualora risultassero colpevoli, niente giustifica la negazione dei più elementari diritti, a cominciare da quello di essere difeso da un avvocato di fiducia;
   la cosa più grave è che la polizia polacca avrebbe dichiarato di essersi comportata in modo conforme alle procedure legali in vigore. Ossia, sarebbe stato tutto lecito: il fermo, la mancanza di acqua e di cibo, i maltrattamenti, l’iter processuale;
   nonostante le generiche rassicurazioni rese dal Sottosegretario agli affari esteri nel corso dell'informativa svoltasi in Parlamento, a tutt'oggi non è chiaro cosa stia facendo il Governo, che, ancora una volta, ha dimostrato secondo l'interrogante la sua totale assenza e, soprattutto, di non avere alcun peso specifico all'estero;
   sarebbe auspicabile che il Presidente del Consiglio Letta, che si è recato a Varsavia per un vertice bilaterale con il Primo ministro polacco, chieda conto del trattamento inaccettabile che è stato riservato ai cittadini italiani, privati dei principali diritti civili;
   tale increscioso episodio, dai contorni ancora dubbi, non può essere certamente giustificato alla luce del vasto numero di connazionali fermati (149), come, invece, ha dichiarato il Governo in aula, soprattutto considerato che è accaduto in un Paese dell'Unione europea dove, fino a prova contraria, dovrebbe esistere ed essere garantito uno Stato di diritto –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali iniziative ritenga opportuno adottare per consentire una rapida e definitiva soluzione di questa grave vicenda, chiarendo le modalità e la tempistica degli eventi che hanno portato agli arresti dei nostri connazionali su scala così vasta e individuando eventuali responsabilità nel mancato tempestivo intervento della ambasciata italiana in Polonia.
(4-02875)


   RUOCCO, SEGONI, MANNINO, DI BATTISTA, TONINELLI, DA VILLA, LOREFICE, LOMBARDI e DE LORENZIS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   con l'articolo 78 del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni, veniva costituita la «Gestione Commissariale» del piano di rientro del debito del comune di Roma, tali disposizioni costituiscono un «unicum» nel contesto dell'ordinamento contabile degli enti locali;
   con l'articolo 4 comma 8-bis del decreto-legge n. 2 del 2010 convertito con modificazioni, dalla legge n. 42 del 2010 e dalla legge n. 191 del 2009 e successive modificazioni e integrazioni, è stata rimessa ad un successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri la nomina di un commissario straordinario per la gestione del piano di rientro di cui al predetto articolo 78 del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni, gestito con separato bilancio e approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 dicembre 2008;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 22 settembre 2010, e successivamente con decreto del 4 gennaio 2011 in ragione di quanto richiesto dall'articolo 2, comma 196-bis della legge 23 dicembre 2009, veniva nominato il commissario straordinario del Governo del debito del comune di Roma di cui all'articolo articolo 78 del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni nella persona del dottor Massimo Varazzani;
   nel caso del comune di Roma, è facoltà del commissario straordinario – in forza dell'articolo 2, comma 3 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2008 – di rinegoziare i debiti contratti per mutui e prestiti e quelli per le operazioni derivate ad essi connesse, inseriti nel piano di rientro, per i quali a seguito della rinegoziazione possa determinarsi una riduzione del valore delle passività a carico del bilancio dell'ente;
   la gestione dei contratti finanziari «swap» cosiddetti derivati, stipulati dal comune di Roma tra il 2002 e il 2008, è passata alla suddetta gestione straordinaria;
   secondo quanto riportato nella «relazione contabile di fine mandato» del Comune di Roma depositata nel febbraio 2013, il «mark to market» di questi contratti, alla data di passaggio alla gestione commissariale (aprile 2008), aveva un saldo negativo a danno del comune pari a 147 milioni di euro:
   da quanto riportato nella Deliberazione n. 20/2010/VSGF della Corte dei conti il comune di Roma ha intrapreso nove operazioni di finanza derivata;
   dalla «relazione concernente la rendicontazione delle attività svolte dalla gestione commissariale per il piano di rientro del debito pregresso di Roma capitale», trasmessa alla presidenza della Camera dei deputati il 19 aprile 2013, è emerso che la gestione commissariale ha provveduto alla chiusura di 7 contratti derivati sui 9 esistenti;
   sempre dalla medesima relazione, si apprende che, con apposita delibera quadro, la gestione commissariale ha predisposto ed inoltrato agli organi di vigilanza competenti un memorandum esplicativo, al fine di descrivere in dettaglio l'esito delle procedure di estinzione anticipata dei contratti derivati, conclusesi nel corso del 2011;
   il commissario straordinario non ha mai pubblicato alcuna informazione in relazione a dette transazioni e operazioni, né alcuna informazione in relazione alle sofferenze economiche subite dal comune di Roma e dallo Stato a causa di detti contratti;
   con decreto-legge n. 95 del 2012 convertito con modificazioni dalla legge n. 135 del 2012, il fondo istituito con l'articolo 14, comma 14-bis, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, con una dotazione annua di 300 milioni di euro ed una ulteriore quota di 200 milioni di euro garantita da delegazione di pagamento rilasciata da Roma Capitale attraverso l'imposizione locale (addizionale di imbarco sugli aeromobili in partenza dagli aeroporti di Roma pari a euro 1 a passeggero ed incremento dello 0,4 per cento dell'addizionale comunale IRPEF) è stato destinato alla copertura degli oneri del piano di rientro;
   è interesse dei cittadini ed in particolare dei cittadini della città di Roma conoscere come vengono utilizzate le risorse derivanti dalle citate imposte aggiuntive;
   in data 25 marzo 2013 i consiglieri comunali appartenenti al Movimento 5 Stelle hanno avanzato una richiesta di accesso agli atti al commissario straordinario, per ricevere copia dei contratti derivati estinti e di quelli rinegoziati (ancora in essere) ricevendo esito negativo. In data 23 luglio 2013, successivamente all'insediamento, i medesimi consiglieri hanno reiterato la domanda, anche questa volta con esito negativo –:
   se la Presidenza sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa;
   quali iniziative, per quanto di sua competenza, la Presidenza intenda mettere in atto al fine di verificare la natura, il contenuto, gli oneri economici e finanziari derivanti dalle operazioni di accensione e ristrutturazione dei contratti derivati del comune di Roma;
   quali siano gli organi di vigilanza competenti a cui il commissario straordinario afferma di aver inoltrato un memorandum esplicativo al fine di descrivere in dettaglio l'esito delle procedure di estinzione anticipata dei contratti derivati, conclusesi nel corso del 2011;
   in quale modo intenda provvedere perché il memorandum di cui sopra sia reso pubblico ed accessibile da tutti i soggetti interessati;
   in subordine, quale procedura sia opportuno seguire per accedere ai dati relativi alla gestione commissariale di Roma capitale ed, in particolare, alle informazioni relative alle transazioni, alle operazioni finanziarie poste in essere, ai costi sopportati dal comune di Roma per chiudere in anticipo i contratti derivati e alle sofferenze economiche subite ed accertate sino ad oggi dal comune e dallo Stato a causa dell'estinzione anticipata di detti contratti;
   quali iniziative, per quanto di sua competenza, la Presidenza intenda mettere in atto al fine di verificare il valore complessivo del «mark to market» dei contratti derivati sottoscritti tra il 2002 e il 2008 da parte del comune di Roma, ed estinti anticipatamente dal commissario straordinario;
   quali iniziative, in conseguenza della precedente e per quanto di sua competenza, la Presidenza intenda mettere in atto al fine di verificare il valore complessivo del «mark to market» negativo che è stato pagato alle banche dal comune di Roma e dalla gestione commissariale in relazione ai prodotti derivati sottoscritti tra il 2002 e il 2008;
   quali iniziative, per quanto di sua competenza, la Presidenza intenda mettere in atto al fine di verificare se il commissario straordinario abbia proceduto a rinegoziazioni e/o ristrutturazioni dei prodotti derivati stipulati dal comune di Roma;
   quali iniziative, per quanto di sua competenza, la presidenza intenda mettere in atto al fine di verificare la natura, il contenuto, la scadenza, gli importi, il «mark to market» attuale, e gli oneri economici e finanziari dei contratti derivati ancora in essere. (4-02876)


   SPESSOTTO, TOFALO, PARENTELA, COLONNESE, MANNINO, BUSINAROLO, TURCO, COZZOLINO, DA VILLA, LOREFICE e SEGONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   è di questi giorni la notizia, diffusa dagli organi di stampa nazionali e locali, che si starebbe generando, attorno alle grandi commesse pubbliche della regione Veneto, un sistema di potere e tangenti, i cui retroscena investirebbero l'intreccio tra affari e politica;
   secondo quanto riportato dal settimanale l'Espresso, le diverse inchieste giudiziarie nel Veneto, condotte dai magistrati anche grazie agli investigatori della Guardia di finanza, hanno rivelato l'esistenza di una vera e propria nuova «Tangentopoli» veneta, caratterizzata da episodi diffusi di corruzione e malaffare;
   in particolare, i pubblici ministeri veneziani avrebbero scoperto l'esistenza di una sorta di congrega spionistica dedita anche al depistaggio e costituita da pubblici ufficiali sospettati di aver messo in vendita un servizio illegale di protezione delle inchieste giudiziarie;
   farebbe parte di tale «cupola spionistica» una rete di funzionari di spicco appartenenti alle forze di polizia, ai carabinieri, alla guardia di finanza, con agganci ai servizi segreti e ad agenzie private, in grado di spiare le procure, allertare gli intercettati, falsificare o far sparire documenti compromettenti e trafugare atti giudiziari;
   come noto, nel corso dell'estate 2013, il Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico dello Stato italiano incaricato dal 1983 della realizzazione di interventi per la salvaguardia di Venezia e della laguna, tra cui il progetto del Mose, è stato coinvolto direttamente in una clamorosa indagine per capi d'imputazione quali corruzione, concussione, turbativa d'asta e vari reati fiscali; tra i 14 arrestati c’è anche l'ingegnere Giovanni Mazzacurati, già presidente e direttore generale del Consorzio Venezia Nuova, e Pio Savioli, consigliere del consorzio, accusati di aver emesso fatture false – i cui importi ammonterebbero a sei milioni di euro – e di aver distorto il regime di appalti;
   tale indagine ha portato allo scoperto una vera e propria associazione a delinquere, assurta a sistema, dedita alla distrazione di risorse destinate alla realizzazione dell'opera Mose mediante costituzione di «fondi neri» grazie a false fatturazioni e manipolazioni dei prezzi. Il denaro sarebbe poi stato in parte utilizzato per finalità corruttive attraverso la dazione di tangenti a esponenti bipartisan del mondo politico-istituzionale per la creazione di consenso attorno all'opera (da Il Gazzettino del 23 luglio 2013);
   nel febbraio 2013, inoltre, una precedente indagine aveva condotto all'arresto per analoghi addebiti di Piergiorgio Baita, presidente del consiglio di amministrazione de la Mantovani s.p.a., colosso dell'edilizia e primo azionista del Consorzio Venezia Nuova; stando alle affermazioni dello stesso Baita, il gruppo Mantovani, oltre al Mose, avrebbe gonfiato i costi di altre opere, come le tangenziali Verona-Padova o le autostrade bellunesi, oltre ad aver finanziato «politici di destra e di sinistra» in almeno tre elezioni (l'Espresso, 15 novembre 2013, p. 47);
   inoltre, nel mese di luglio 2013, 14 persone sono state arrestate e oltre 100 indagate dalla Guardia di finanza nell'ambito di una nuova inchiesta avente al centro sempre il Consorzio Venezia Nuova: al centro delle indagini dei magistrati veneti ci sono presunte distorsioni in appalti per i lavori del Mose, il sistema di dighe mobili che, con i suoi 5,4 miliardi di euro rappresenta una delle commesse più appetibili e cospicue di tutto il Paese, oltre ad accuse di turbativa d'asta, fatture false, appalti non regolari;
   stando all'inchiesta pubblicata su l'Espresso, tra le centinaia di indagati del malaffare veneziano, ci sarebbe anche un generale a tre stelle delle Guardia di finanza, con un passato nei servizi segreti, sospettato di essersi fatto consegnare almeno mezzo milione di euro e in grado di farsi trasmettere informazioni sensibili –:
   se il Governo sia a conoscenza dei dettagli legati al meccanismo di illegalità diffusa emerso grazie alle indagini su quella che è stata definita dai giornali la tangentopoli veneta, e, in particolare, intorno al «Sistema MoSE», e quali ulteriori informazioni possa riferire in merito alla vicenda esposta in premessa;
   alla luce degli elementi esposti in premessa, se il Ministro non ritenga doveroso rivalutare la vicenda del Mose, tenendo in debita considerazione gli elementi che stanno emergendo dalle indagini della magistratura italiana e dalle commissioni speciali istituite ad hoc, al fine di appurare se tutti i controlli di competenza ministeriale sul Mose siano stati svolti correttamente;
   se il Governo non ritenga altresì opportuno adottare nei confronti del sistema delle grandi opere pubbliche in Veneto, e, in particolare, nei confronti del Mose, ulteriori misure cautelative, quali il blocco dei finanziamenti previsti per la prosecuzione dei lavori, in attesa dei risultati delle indagini tuttora in corso da parte della magistratura, dalle quali potrebbero emergere nuovi nomi di imprenditori e politici, coinvolti negli scandali delle grandi opere;
   se dalle indagini in corso dovesse emergere la veridicità delle affermazioni di Baita circa l'indebito aumento dei costi del Mose e di altre grandi opere in Veneto, quali iniziative di competenza il Governo intenda promuovere al fine di rimediare alle gravi perdite erariali e ai danni arrecati all'economia nazionale;
   quali concrete iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere il Governo al fine di contrastare tali pratiche gravi e illegittime al fine di garantire che la realizzazione delle opere pubbliche in Veneto avvenga seguendo i criteri della massima trasparenza e regolarità nella gestione delle gare di appalto. (4-02878)


   D'AMBROSIO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 4 dicembre 2013 sul quotidiano Il Sole 24 Ore a pagina 15 veniva pubblicata una lettera aperta, indirizzata al Presidente della Repubblica, a firma dell'imprenditore del settore dell'arredamento, Pasquale Natuzzi;
   nel rammentare la nota tragedia dei lavoratori di Prato, il predetto imprenditore affermava che «anche in quel che resta del Distretto del Mobile Imbottito di Puglia e Basilicata il fenomeno del sommerso è tristemente presente», evidenziando l'esistenza di «un modello di business che in superficie appare legale, ma che si fonda e si alimenta sulla illegalità»;
   tali concorrenti, sempre a detta dell'imprenditore, «operano quasi sempre al di fuori della legge, sia sotto il profilo fiscale che sotto quello della sicurezza»;
   in tale lettera aperta inviata al Capo dello Stato, l'imprenditore affermava con chiarezza che «ho fatto più volte i nomi e cognomi dei grandi committenti. Li ho denunciati in tutte le sedi, finanche in Parlamento. Tutti sanno in quali negozi e sotto quali insegne vanno a finire i prodotti realizzati in questa filiera del nero»;
   il 10 ottobre 2013 è stato sottoscritto un accordo con le parti sociali che, nonostante il rilevante impegno economico dello Stato e di alcune regioni, è costato 1.506 esuberi che certamente la problematica descritta ha contribuito a generare –:
   quali iniziative siano state intraprese nel passato e quali si intendono intraprendere per il futuro inerenti alla citata pubblica denuncia. (4-02881)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta scritta:


   SCALFAROTTO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   gli organi di stampa hanno dato notizia che domenica 1o dicembre si è tenuto in Croazia un referendum sull'emendamento costituzionale che intende limitare l'istituto giuridico del matrimonio alle coppie eterosessuali;
   sempre da organi di stampa si apprende che alle urne si è recato solo il 37,86 per cento degli elettori. La maggioranza dei votanti, il 65,77 per cento si è espressa a favore del «sì» al quesito in cui si chiedeva: «Vuoi definire il matrimonio come l'unione tra un uomo e una donna ?». Contro questa modifica costituzionale si è schierato invece il 33,62 per cento dei votanti;
   il 24 giugno 2013 il Consiglio dell'Unione europea ha adottato il documento n. 11492/13 recante «Gli orientamenti per la promozione e la tutela dell'esercizio di tutti i diritti umani da parte di lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuali (LGBTI)»;
   sia l'Italia sia la Croazia sono membri del Consiglio d'Europa e sottoscrittori della Convenzione europea dei diritti umani. Da ultimo con la raccomandazione CM/Rec(2010)5 del Consiglio dei ministri agli Stati membri è stata avanzata la richiesta di adottare misure per combattere la discriminazione sulla base dell'orientamento sessuale e dell'identità di genere –:
   quali azioni intenda intraprendere per conto dell'Italia o di quali iniziative intenda farsi promotore presso altri Paesi al fine di verificare e garantire che i diritti umani in Croazia siano pienamente tutelati e che il referendum in questione, per quanto formalmente insindacabile da parte dell'Unione europea, non risulti essere un espediente che nella sostanza mira ad aggirare gli standard democratici, di rispetto e di inclusione di tutti i cittadini – indipendentemente dal loro orientamento sessuale – che devono inderogabilmente caratterizzare tutti gli Stati membri. (4-02859)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   al di là dei casi macroscopici come Regi Lagni e Bagnoli, la Campania è costellata da siti che già avrebbero dovuti essere bonificati e sui quali gli attori, di Governo e non, sono quasi sempre gli stessi e sempre inefficaci;
   un esempio in merito è la discarica di Agrimonda, a Mariglianella, in provincia di Napoli;
   la «Agrimonda s.r.l.» era una società addetta alla commercializzazione di prodotti per l'agricoltura, pesticidi, fitofarmaci e fertilizzanti;
   l'attività veniva esercitata su un'area di circa 2700 metri quadrati, su cui insistevano una palazzina di due piani adibita ad ufficio ed un capannone in cui era stoccata la merce;
   la notte del 18 luglio 1995 scoppiò un incendio che distrusse ditta e palazzina;
   il responsabile dell'asl NA 4 richiese l'intervento dello Scia e consigliò al sindaco di emettere un'ordinanza cautelativa di sgombero della popolazione per un raggio di 500 metri dal sito in fiamme;
   secondo i dati forniti dalla società, a causa dell'incendio sono stati bruciati 235 tonnellate di parassitari, 750 di concimi, 6 di plastica e 40.000 litri di pesticidi liquidi;
   tra i prodotti a maggiore tossicità presenti in grande quantità vi erano l'Antracol Fort Blue/Bianco (fungicida), il Basamid (insetticida), il Galben Blu/Bianco (fungicida), il Linuron (diserbante), il Primor (insetticida), il Tairel M 8-65 Bianco/Blue (fungicida), il Tiosol (insetticida), il Vapam (fungicida) ed il Seccatutto (erbicida);
   il sito è tuttora occupato in larga parte dal cumulo residuale del rogo e dai resti della palazzina lasciati in completo stato di abbandono, compreso un locale nel seminterrato da cui, secondo una relazione del ctu del 2010, proviene uno sgradevole odore di prodotti chimici;
   non è mai stata effettuata una campagna di monitoraggio dell'aria;
   nel 2007 e nel 2008 l'Arpac ha registrato picchi di benzene, toluene e xilene;
   il sito è stato inserito nel sito di interezze nazionale, e nel 2009 il commissariato alle bonifiche incarica la «Iacorossi s.p.a.», che aveva già svolto alcuni rilevamenti, di occuparsi della bonifica;
   nell'ottobre del 2011 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare rispose con una nota ai continui esposti da parte di associazioni, comitati e cittadinanza attiva e ad una richiesta esplicita del prefetto ammettendo di non avere fondi da destinare alla bonifica del sito (stimata dal comune come necessitante di 8 milioni di euro per essere eseguita) e chiedendo alla regione di occuparsene;
   nel maggio 2013 la Sogesid, società dello Stato per le bonifiche, è stata incaricata, nell'ambito dell'accordo di programma regione-comune, dei lavori di rimozione e caratterizzazione del sito Agrimonda;
   la Sogesid ha però sollevato forti dubbi in merito alla fattibilità ed al costo della rimozione;
   a Voltacarrozza, località di Frattamaggiore in provincia di Napoli, inoltre, è ben visibile sotto forma di collinetta alta dieci metri una discarica di circa 16.000 metri quadrati nel cuore dell'insediamento urbano e circondata da edifici abitati da civili;
   per anni anche lì sono stati sepolti veleni nell'indifferenza delle istituzioni e della popolazione –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali iniziative siano già state prese in merito e quali azioni si intendano intraprendere al riguardo;
   se non si ritenga opportuno, per quanto di competenza, effettuare rilievi sul terreno e sull'aria per verificare con esattezza la condizione delle aree citate;
   se non si ritenga necessario intervenire urgentemente al fine di monitorare la situazione della discarica di Agrimonda a Mariglianella, la discarica di Voltacarrozza a Frattamaggiore e tutte le altre aree campane che versano in analoghe condizioni, adottando ogni ulteriore iniziativa di competenza al riguardo. (4-02879)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PRODANI e MUCCI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 3 della legge europea 2013 (n. 97 del 2013) interviene sulla procedura di pre-infrazione (EU Pilot 4277/12/MARK) riferita a possibili violazioni della direttiva «servizi» (2006/123/CE) in materia di libera prestazione ed esercizio stabile dell'attività di guida turistica da parte di cittadini dell'Unione europea;
   le disposizioni previste stabiliscono la validità in Italia dell'abilitazione alla professione di guida turistica e del riconoscimento della qualifica professionale conseguita da un cittadino dell'Unione europea in un altro Stato membro;
   i cittadini comunitari che abbiano ottenuto l'abilitazione in uno Stato membro non necessitano di autorizzazioni o abilitazioni potendo esercitare la professione su tutto il territorio nazionale, a eccezione dei siti di particolare interesse storico, artistico o archeologico individuati con decreto dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, dopo aver consultato la conferenza unificata;
   il 4 dicembre 2013 è scaduto il termine di novanta giorni dall'entrata in vigore della legge europea 2013 (previsto all'articolo 3, comma 3) relativo all'emanazione del decreto ministeriale summenzionato, quindi non sono stati definiti né la lista dei siti per i quali occorra una specifica abilitazione, né la tipologia di abilitazione;
   l'assenza del decreto costituisce una grave lacuna normativa a discapito delle guide turistiche italiane – in possesso di qualifiche e conoscenze approfondite su siti di preminente interesse storico, artistico o archeologico – visto che la deregolamentazione prevista può agevolare le guide dei Paesi membri dell'Unione europea prive delle nozioni per la corretta divulgazione (come da Sentenza Corte di giustizia europea del 26 febbraio 1991, recepita dal decreto del Presidente della Repubblica 13 dicembre 1995) e per le quali sembra venir meno la necessità di dichiarazione preventiva (decreto legislativo n. 206 del 2007) –:
   per quali motivi il Ministro interrogato non abbia ancora emanato il decreto che individua i siti di particolare interesse storico, artistico o archeologico che necessitano di una specifica abilitazione, esplicitando quale sia la professione turistica abilitata alla divulgazione degli stessi.
(5-01674)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PIAZZONI e PILOZZI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in una delle aree di più alto valore paesaggistico e culturale della città di Roma, sul colle del Gianicolo, sorge una delle più belle e vaste tenute patrizie di origini rinascimentali che porta il nome di Villa Piccolomini, il complesso monumentale esattamente adiacente alla ben più famosa Villa Doria Pamphilj;
   la tenuta Piccolomini, è caratterizzata da tre ambiti di eccezionale valenza ambientale, paesaggistica e storica: il Villino storico detto «Casa del Sole» con il giardino all'italiana, le pertinenze verdi, il complesso della Fornace San Bruno;
   di proprietà della famiglia Piccolomini, entrò nella disponibilità del Conte Nicolò nel 1932 alla morte della mamma Anna che l'aveva ereditata a sua volta dal padre, Carlo Menotti. Pochi anni dopo, durante il II conflitto mondiale, il giovane Nicolò, divenuto tenente pilota, partì per una missione militare dove perì in circostanze non accertate;
   il defunto Conte Piccolomini, avendo negli anni precedenti intrapreso una carriera teatrale, decise di lasciare lo splendido complesso in eredità alla regia accademia d'arte drammatica Silvio d'Amico (MIUR), con il desiderio che divenisse una casa di riposo per anziani artisti indigenti;
   in seguito, poi, alla richiesta dell'allora direttore della regia accademia Silvio d'Amico, nel 1943, con regio decreto n. 161, il patrimonio costituito dal legato fu eretto in ente morale con la denominazione di «Fondazione Nicolò Piccolomini» e, nel 1956, con decreto legislativo, fu posta sotto la legislazione della legge 17 luglio 1890 n. 6972 detta Legge Crispi per le Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza (Ipab);
   nel 1980, con la devolution, Villa Piccolomini e il relativo Parco entrarono nella disponibilità della regione Lazio;
   il consiglio d'amministrazione dell'ente da sempre individua i propri membri tra le fila della pubblica amministrazione e, dopo il 1980, la Regione Lazio è ufficialmente entrata nella gestione dell'Ipab con propri membri nominati (tre membri su cinque complessivi);
   nel corso del tempo, alcune porzioni dell'area del parco annesso la Villa furono cedute, altre invece, furono usucapite dagli antichi contadini che contribuirono così alla frammentazione dell'attuale disegno dell'area;
   oggi, così come lamentato dalla cittadinanza e delle associazioni ambientaliste, all'interno del Parco storico, nella parte di pertinenza dell'Ipab fondazione Piccolomini, sarebbe in progetto da parte di privati la conversione delle pertinenze verdi in Social Club privato. Il progetto in questione giunge in conseguenza del decadimento di un precedente proposito imprenditoriale che, promosso dalla stessa società che vorrebbe oggi il social club, prevedeva la realizzazione di un circolo golfistico privato all'interno dell'area in oggetto;
   già la ferma opposizione dell'amministrazione comunale di Carlo Giulio Argan, sindaco di Roma dal 1976 al 1979, salvò l'area del Parco di pertinenza della Società immobiliare Consea dalla speculazione edilizia; nell'area del parco della predetta società era infatti prevista la costruzione di un albergo di 400 stanze che sarebbe dovuto sorgere nella splendida terrazza naturale ancora oggi ambita per il suo strepitoso affaccio sulla cupola michelangiolesca;
   la rivendicazione per un grande parco pubblico Piccolomini prese forma con molte – oramai quarantennali – battaglie condivise da personaggi di alta cultura, tra cui Antonio Cederna, lo stesso Carlo Giulio Argan e dalle principali Associazioni ambientaliste come Italia Nostra, Legambiente e WWF;
   l'area già sottoposta a vincolo conservativo ai sensi del decreto ministeriale n. 431 del 1985 e della Legge n. 1497 del 1939 sulla protezione delle bellezze naturali e paesaggistiche, oggi codice Urbani, è inoltre disciplinata dal Piano territoriale paesistico 15/0 «Area Piccolomini» approvato con Delibera del Consiglio Regionale del Lazio n. 213/1991 che prevede, agli articoli 19 e 20 della legge regionale 24/98, classi di tutela attribuite ad ambiti territoriali distinti alle tav. 11A, individuando per la parte interessata dal social club una «Tutela Paesaggistica e Panoramica» (ambito B). L'articolo 5 delle NTA prescrive un progetto unitario teso alla valorizzazione paesaggistica e culturale della totalità dell'area Piccolomini – che – risulterebbe però compromessa dall'ulteriore frammentazione conseguenza della proposta imprenditoriale in oggetto [...] Gli interventi dovranno essere compresi in un progetto esecutivo unitario esteso all'intero ambito [...];
   l'area Piccolomini è inoltre destinata a parco pubblico (N) con la variante di salvaguardia, analoga destinazione col piano delle certezze e la conseguente individuazione nel piano regolatore generale vigente (2008) come «edifici e complessi speciali - Villa Storica» (C2) di cui agli articoli 36, 49 del NTA, ed inserita nel sistema delle infrastrutture come «Verde Pubblico e Servizi Pubblici di Livello Locale» di cui agli articoli 36, 39 e 85 delle NTA, inoltre, ai sensi della legge n. 42 del 2004 l'area è individuata come «Area di notevole interesse pubblico»;
   nell'elaborato prescrittivo del PRG vigente «4* Rete ecologica», gran parte dell'area Piccolomini è inserita nella componente primaria e poiché la destinazione è a «servizi pubblici di livello locale» occorre far riferimento alle destinazioni d'uso dell'articolo 85, con le limitazioni imposte dall'articolo 72, comma 8, lettera c) dove si specifica che le aree a Verde pubblico e Servizi pubblici di livello locale se ricadenti nella Rete ecologica primaria sono destinate esclusivamente a Verde Pubblico. Tale classificazione inibisce qualsiasi attività di tipo privatistico –:
   se il Governo sia a conoscenza della vicenda e se non intenda, per il tramite degli uffici territoriali, effettuare le verifiche di competenza in merito al progetto di conversione a Social Club privato del parco annesso a villa Piccolomini al fine di assicurare la più ampia tutela e fruizione di un bene con tali importanti vincoli paesaggistici e pubblicistici. (4-02864)


   GRIMOLDI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il settimanale Panorama ha pubblicato nel sito online un documentato e particolareggiato articolo (http://news.panorama.it/politica/Marco-guasticchi-peru-gia-villa-garage) nel quale si denuncia che il presidente della provincia di Perugia e suo padre, ex segretario generale dell'ente, sono al centro di una vicenda di abuso edilizio perpetrato nel comune di Umbertide (Pg), nell'area paesaggistica protetta del Monte Acuto;
   da una interrogazione n. 1356 del 23 ottobre 2013, del consigliere regionale Gianluca Cirignoni alla giunta regionale, che chiede l'avvio dell'attività di verifica sugli abusi e sull'operato del comune di Umbertide come disposto dall'articolo 155 del decreto legislativo n. 42 de 2004, alla quale non è stata ancora data risposta, si apprende che lo stesso consigliere regionale avrebbe ricevuto denunce anonime, con le quali, in maniera documentata e particolareggiata, si denuncia l'abuso edilizio perpetrato in area paesaggistica protetta, consistente nella trasformazione di un annesso agricolo da 36 metri quadrati in villa da 250 metri quadrati servita da piscina e campo da tennis e accatastata come annesso agricolo;
   il comune di Umbertide avrebbe emesso in data 1o marzo 2013 l'ordinanza n. 22 di demolizione delle opere abusive e di ripristino dei luoghi, che tuttavia non è stato possibile verificare con un accesso agli atti;
   su un articolo del quotidiano la Nazione, pubblicato in data 18 ottobre 2013, il presidente della provincia di Perugia ha dichiarato di non avere nessun commento da fare su una questione inesistente che non lo riguarda;
   sul sito online http://www.perugiatoday.it, in data 19 ottobre 2013, l'ex segretario generale della provincia di Perugia nega l'abuso edilizio contestatogli in data 1o marzo 2013 dal comune di Umbertide con ordinanza n. 22;
   sulle mappe particolareggiate del piano paesaggistico regionale predisposte dalla regione Umbria ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004, recante codice dei beni culturali e del paesaggio, pubblicate sul sito regionale www.umbriageo.regione.umbria.it, nell'area interessata del comune di Umbertide (individuata dalla commissione per la tutela delle bellezze naturali della provincia di Perugia con verbale n. 41 del 14 aprile 1976) non vi sono fabbricati e, pertanto, quelli che risultano attualmente esistenti, potrebbero essere costruiti, ampliati o sanati solo se oggetto di espressa autorizzazione della commissione paesaggio e territorio;
   ai sensi dell'articolo 155 del decreto legislativo n. 42 del 2004, le funzioni di vigilanza sui beni paesaggistici tutelati sono esercitate dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e dalle regioni. L'inottemperanza o persistente inerzia delle regioni nell'esercizio delle proprie competenze comporta l'attivazione dei poteri sostitutivi da parte del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   la vicenda esposta necessita secondo l'interrogante di urgenti verifiche da parte dei Ministeri competenti per le gravissime accuse denunciate sui mass media che coinvolgono un esponente di primissimo piano delle istituzioni umbre quale è il presidente della provincia di Perugia, accuse che fino ad ora non hanno trovato riscontri da parte del comune di Umbertide e della Giunta regionale dell'Umbria –:
   se il Governo non intenda intervenire, per quanto di competenza, per fare piena luce sulla vicenda, al fine di garantire l'attività di vigilanza sul bene paesaggistico tutelato e appurare il pieno rispetto della normativa vigente. (4-02874)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ARTINI. — Al Ministro della difesa, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Movimento 5 Stelle è da tempo impegnato sulla questione riguardante le operazioni di avvio dello sversamento delle acque di raffreddamento del reattore nucleare sperimentale della Marina militare (Cisam – Centro interforze studi e applicazioni militari) di S. Piero in Grado (Pisa);
   lo sversamento riguarda circa 750.000 litri di acque radioattive, sulla cui decontaminazione e sicurezza non ci sono certezze, che saranno versate nel canale dei Navicelli per poi defluire in mare e sulle coste, depositandosi nei sedimenti così rischiando di contaminare la catena alimentare;
   l'operazione riguarda materiale acquoso contenente parti di radionuclidi, conteggiate in trizio, e sta suscitando allarme nella popolazione residente nelle zone interessate;
   la direttiva 2011/70/Euratom del Consiglio dell'Unione europea del 19 luglio 2011, al punto 31 dei considerando, definisce anche i doveri di informazione verso le popolazioni, e il dovere di coinvolgimento nelle decisioni delle autorità locali interessate;
   la convenzione di Aarhus (convenzione sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale), recepita dalla legislazione italiana, è uno strumento internazionale volto a garantire all'opinione pubblica e ai cittadini il diritto alla trasparenza e alla partecipazione in materia di processi decisionali di governo locale, nazionale e transfrontaliero concernenti l'ambiente;
   il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, articolo 3-ter, sancisce la previsione del principio di precauzione;
   l'Agenzia internazionale dell'energia atomica regola le disposizioni sulle pratiche di dismissione;
   il decreto legislativo n. 230 del 1995, recante «Attuazione delle direttive 89/618/Euratom, 90/641/Euratom, 96/29/Euratom, 2006/117/Euratom in materia di radiazioni ionizzanti e 2009/71/Euratom, in materia di sicurezza nucleare degli impianti nucleari», fissa le regole generali in materia di radiazioni ionizzanti ivi comprese tutte le attività che riguardano i rifiuti nucleari;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 24 giugno 2005, n. 183, recante «Regolamento di sicurezza nucleare e protezione sanitaria per l'Amministrazione della difesa», attribuisce la competenza al Ministero della difesa implicitamente escludendo i Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dello sviluppo economico, del lavoro e delle politiche sociali, della salute e dell'interno e gli enti locali;
   il processo di smaltimento del reattore costituisce a tutti gli effetti un'attività di natura industriale-civile con possibili rilevanti ricadute sulla salute della popolazione e sull'ambiente, come testimonia il fatto stesso di voler sversare le acque al di fuori del sito militare del Cisam;
   a parere degli interroganti l'attività di trattamento dei rifiuti radioattivi dovrebbe essere sottoposta alle prescrizioni autorizzative della legislazione civile e alle relative direttive in materia di valutazione di impatto ambientale ove applicabili: ma così non sta accadendo, proprio a partire dallo sversamento delle acque il cui impatto sull'ambiente andrebbe valutato anche in base a matrici ambientali da stabilire preventivamente e quindi con la possibilità di esprimere osservazioni di carattere tecnico e di opportunità da parte di tutti e tutte –:
   se, considerate le normali procedure in materia nucleare, siano stati coinvolti nell’iter autorizzativo del progetto di smantellamento anche i Ministeri della salute e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   quali urgenti iniziative intendano assumere i Ministri interrogati, nell'ambito delle rispettive competenze, per monitorare attentamente le acque di raffreddamento del reattore nucleare;
   se non ritengano necessario acquisire le analisi promosse dall'Enea sulle acque post trattamento e precedenti allo sversamento, verificare i protocolli utilizzati e i risultati completi, comprensivi del quantitativo globale in bquerel per litro o in altra unità di misura idonea nonché il profilo chimico-fisico totale dell'acqua, compresa la misurazione di tutte le tipologie di radionuclidi, ed in particolare quelli preesistenti;
   se non ritengano che i risultati delle analisi debbano essere sottoposti ad un ente terzo di controllo individuato e certificato, non interno al Ministero della difesa proprio come l'ente che ha prodotto le stesse analisi in occasione dello sversamento quale inizio del processo di smaltimento;
   se non intendano adottare tutte le opportune iniziative al fine di verificare, attraverso la certificazione da parte di enti specializzati nel settore nucleare e sanitario, il rispetto delle disposizioni della normativa nazionale e europea. (5-01675)

Interrogazione a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   particolarmente delicata è la vicenda riguardante l'8o reggimento alpini in Cividale del Friuli, vittima dell'opera di razionalizzazione delle strutture dell'esercito sul territorio nazionale e, in particolare, nella regione Friuli-Venezia Giulia;
   in particolare, nell'ambito del processo di revisione dello strumento militare, di cui alla legge 31 dicembre 2012, n. 244, è stato previsto il trasferimento del reggimento alpini presso la caserma «Feruglio» di Venzone (Udine) con la conseguente dismissione della Caserma «Francescatto» di Cividale del Friuli;
   tale eventualità sta creando notevole apprensione nell'amministrazione comunale e nella cittadinanza, sia sotto il profilo economico-sociale, sia per quanto riguarda il profondo legame storico che lega il reggimento alla comunità locale;
   la caserma di Venzone, infatti, seppure di più recente costruzione, presenta gravi problemi strutturali ed è sfornita di magazzini, dislocati invece a distanza di ben 10 chilometri presso la caserma Goi-Pantanali di Gemona, con conseguente aggravio delle spese per lo spostamento dei mezzi e del personale addetto al servizio di vigilanza;
   a ciò, si aggiunga l'ulteriore considerazione che il poligono di tiro di Venzone è di difficile impiego, trovandosi nell'area del parco delle Prealpi Giulie, nel territorio turistico della zona della Sella Sant'Agnese di Gemona del Friuli. Esso, inoltre, non è ad uso esclusivo del personale militare, che, di fatto, svolge spesso l'attività addestrativa in altre aree;
   la centrale caserma di Venzone è, inoltre, sede di passaggio di altri reparti o scuole di formazione per attività addestrative e il suo abbandono costituirebbe senz'altro un grave danno all'immagine della città, inserita da tempo in un circuito turistico di grande importanza –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga necessario attivarsi con la massima urgenza per disporre l'immediata sospensione di ogni atto relativo alla soppressione di tale fondamentale presidio militare nel comune di Cividale del Friuli.
(4-02866)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GIAMMANCO, GALAN, FRANCESCO SAVERIO ROMANO, CAPONE, GALPERTI e PALMIZIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la licenza di pesca, il documento autorizzativo all'esercizio dell'attività di pesca professionale, è attualmente rilasciata all'armatore di una imbarcazione, regolarmente iscritto nei registri delle imprese di pesca (decreto legislativo n. 153 del 2004) dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali;
   la disciplina del rilascio delle licenze di pesca è contenuta nel decreto ministeriale 26 luglio 1995 del Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali. In particolare, l'articolo 2 prevede che la licenza sia rilasciata dal Ministero all'interessato, iscritto nel registro delle imprese di pesca (comma 1) e che essa sia valida per un periodo di otto anni ed è rinnovabile su richiesta dell'interessato stesso (comma 3). L'articolo 5 del citato decreto regola, inoltre, i casi di rinnovo, sostituzione e aggiornamento della licenza, nonché di variazioni o semplici rettifiche di errori materiali sulle licenze medesime. L'articolo 6, comma 5 individua talune ipotesi di sostituzione della licenza, per effetto delle quali nasce un nuovo titolo amministrativo, diverso da quello originario;
   in tema di validità della licenza di pesca è intervenuto, successivamente, il decreto 13 gennaio 1999 in cui si stabilisce che, «nelle more del rilascio della nuova licenza di pesca e fino alla consegna della medesima, al titolare di tale documento [...] è rinnovata l'attestazione provvisoria per il periodo di validità della tassa di concessione governativa, connesso alla licenza di pesca stessa»;
   sotto il profilo fiscale, la licenza per la pesca professionale marittima è soggetta a tassa di concessione governativa (articolo 4 della legge 17 febbraio 1982, n. 41) e la licenza stessa acquista efficacia solo a seguito del pagamento della citata tassa;
   il dipartimento delle entrate, con la circolare 214/2000, aveva precisato che la tassa sulle concessioni governative nell'ipotesi di variazioni tecniche della nave non era dovuta in quanto, sostanzialmente, non si era in presenza di un nuovo titolo amministrativo. Inoltre, a seguito dell'emanazione del decreto 22 gennaio 2004 del Ministero delle politiche agricole e forestali, nei casi espressamente indicati è stato previsto che «Il comandante dell'Ufficio di iscrizione delle navi da pesca... apporta sulla licenza ogni variazione riguardante i dati relativi all'impresa di pesca, sede, provincia, indirizzo, R.I.P., nome della nave, ufficio marittimo di iscrizione della nave, proprietà». L'Agenzia delle entrate ha considerato non dovuta la tassa sulle concessioni governative in conseguenza degli aggiornamenti apportati sulla licenza di pesca in corso di validità, senza che da tali eventi scaturisca l'emanazione di un nuovo atto;
   per quanto concerne il pagamento della tassa, l'Agenzia delle entrate con circolare n. 131505/2009, ha precisato che, in ordine al periodo di validità della tassa di concessione governativa pagata in occasione del rilascio della licenza, l'articolo 2, comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 641/72 stabilisce che «la tassa di rilascio è dovuta in occasione dell'emanazione dell'atto e va corrisposta non oltre la consegna di esso all'interessato»; il successivo comma 2 prevede, invece, che «la tassa di rinnovo va corrisposta allorquando gli atti, venuti a scadenza, vengono di nuovo posti in essere»;
   è evidente che la tassa di concessione governativa è corrisposta per l'emanazione della licenza di pesca; il tributo pertanto, non dovrà essere nuovamente assolto fino al momento della naturale scadenza del titolo abilitativo, salvo che non si verifichi un'ipotesi di mutamento sostanziale della licenza;
   si verificano tuttavia, a causa del pagamento della tassa al momento del rilascio della attestazione provvisorie di cui al citato articolo 5 del decreto ministeriale 26 luglio 1995, casi in cui vi è uno sfasamento tra la data di pagamento della tassa di concessione governativa e la data di rilascio della licenza;
   tale circostanza determina sovente una doppia imposizione per il titolare della licenza, il quale si trova, per non rischiare di vedersi fermare l'attività di pesca, a pagare due volte, la prima (con licenza di pesca in corso di validità) su richiesta dell'ufficio marittimo che attribuisce alla tassa di rilascio una scadenza pari a quella della licenza (otto anni) e la seconda volta, magari a distanza di uno o due anni, nel momento in cui, venuta a scadere la licenza, se ne chiede il rinnovo (tassa di rinnovo articolo 2, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 641 del 1972);
   per quanto a conoscenza degli interroganti, in merito a questa ultima ipotesi, si verificano, inoltre, casi in cui sulla licenza nuovamente rilasciata perché venuta a scadere, vengono riportati gli estremi del pagamento di una tassa effettuata anni prima, con la conseguenza che sia il beneficiario della licenza, che il pubblico ufficiale che emette l'atto rischiano di incorrere nelle sanzioni previste dalla normativa vigente (articoli 8 e 9 del decreto del Presidente della Repubblica n. 641 del 1972);
   fra gli operatori del settore viene ripetutamente sottolineata la necessità non solamente di semplificare la normativa nel suo complesso, ma di fare finalmente chiarezza sui termini di versamento della tassa di concessione governativa connessa al rilascio della licenza di pesca professionale marittima, proprio al fine di evitare i casi sopra citati –:
   se il Ministro interrogato, per quanto di sua competenza, non ritenga opportuno fornire un'interpretazione ufficiale chiara e definitiva sui tempi e le modalità di pagamento della tassa di concessione governativa per le licenze di pesca, in particolare al fine di evitare il ripetersi dei fenomeni citati in premessa e di consentire un'uniforme applicazione della normativa sull'intero territorio nazionale. (5-01672)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   D'ATTORRE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'alluvione che ha interessato la Calabria jonica il 19 novembre scorso colpendo le provincie di Catanzaro e Crotone ha determinato una vera e propria emergenza aggravatasi con le ultime eccezionali precipitazioni della scorsa settimana;
   la città di Catanzaro è rimasta senz'acqua per cinque giorni a causa dei danni determinati dalla furia delle acque in particolare alla condotta di santa Domenica;
   le condotte risalgono a circa 40 anni fa, non sono mai state oggetto di manutenzione;
   la società a partecipazione regionale che si occupa del servizio idrico integrato, la Sorical, ad oggi in liquidazione non è in grado di fronteggiare tale emergenza;
   solo per il ripristino dei danni alla condotta occorrono 3 milioni di euro;
   il Commissario della Provincia di Catanzaro Wanda Ferro, ha sollecitato un intervento immediato del Governo per il riconoscimento dello Stato di calamità naturale;
   secondo una prima stima i danni subiti dalla provincia di Catanzaro ammonterebbero a 20 milioni di euro;
   i danni più significativi sono riferiti in particolare alla viabilità e allo stato dei fiumi;
   fin dal 2009 attraverso il Comip furono segnalate al Governo Nazionale e alla Regione le situazioni di maggiori criticità;
   purtroppo i vincoli di bilancio il patto di stabilità e il ritardo dei trasferimenti hanno accentuato la criticità proprio per i mancati interventi di manutenzione del territori;
   gli eventi calamitosi si susseguono puntualmente e ogni volta aumentano le criticità presenti sul territorio;
   tutti i corsi d'acqua andrebbero messi in sicurezza;
   la rete stradale è fortemente compromessa con le aree interne montane praticamente isolate;
   le situazioni più critiche riguardano la strada Ianò-bivio Arsanise e la Gagliano-Gimigliano nonché ovviamente il tratto della SS 106;
   diventa indispensabile porre in essere misure straordinarie di messa in sicurezza del territorio catanzarese –:
   se e quali iniziative il Governo intenda adottare, con la massima urgenza, per il riconoscimento dello stato di emergenza e l'attivazione di conseguenti interventi per la sistemazione idraulica dei fiumi, nonché, il ripristino della viabilità nelle zone più critiche interessate dall'alluvione e finanziare l'ammodernamento della rete idrica di Catanzaro. (5-01673)


   ROTTA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   stando ad alcune indiscrezioni provenienti da ambienti ministeriali, pervengono notizie riguardanti la richiesta avanzata dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti al presidente dell'ANAS Pietro Ciucci, tesa a far assumere dalla stessa ANAS, in qualità di dirigente con un compenso di circa 90.000 euro annui, il dottor Nicola Bonaduce, iscritto all'albo dei giornalisti elenco pubblicisti;
   il dottor Nicola Bonaduce, dal maggio 2013 è consigliere del Ministro interrogato in qualità di «Consigliere per gli affari regionali». In precedenza, dal 1999 al 2001 lo stesso Bonaduce ha svolto incarichi per conto della Compagnia delle Opere (associazione nazionale di imprese e no profit); dal 2001 al 2008 è stato segretario del Capogruppo FI-PdL della Commissione lavori pubblici e ambiente della Camera dei Deputati; dal 2008 Capo della segreteria del Vicepresidente della Camera dei deputati, onorevole Maurizio Lupi;
   una volta assunto il Bonaduce dovrebbe essere verosimilmente distaccato dall'ANAS al Gabinetto del Ministro interrogato e, una volta terminato l'incarico politico-fiduciario presso il Ministro si troverebbe assunto all'ANAS, una procedura questa, ove confermata, che si presta a non poche censure e a parere dell'interrogante, inammissibile –:
   se quanto suesposto risponda a verità e, in tal caso, se e come intenda rimediare a un'indebita ingerenza nei confronti di ANAS S.p.A., società pubblica sottoposta alla vigilanza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. (5-01679)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIGLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il nodo ferroviario di Udine non è stato ancora correttamente connesso alla nuova linea a doppio binario verso il valico di Tarvisio ed il traffico dalla stazione della città si collega tuttora alla linea diretta verso Nord passando nel vecchio tracciato a un solo binario;
   da anni il nuovo allacciamento interrato con ampiezza per due binari è lasciato quasi abbandonato e incompleto ad un solo binario, pur rappresentando, come circonvallazione ferroviaria, la scelta ideale per la città;
   il problema va risolto quanto prima, sia per i disagi sociali che determina, sia per l'importanza strategica che la nuova tratta ferroviaria assume nei collegamenti europei con i porti adriatici del Paese, e per l'obiettivo di contrastare l'emarginazione che la regione subirebbe da programmi riguardanti infrastrutture ferroviarie in competizione che si stanno attuando oltre confine;
   la sistemazione della circonvallazione ferroviaria deve rientrare in un quadro di potenziamento della rete infrastrutturale regionale, vitale per la ripresa economica del Friuli Venezia Giulia, di cui il corridoio Adriatico-Baltico è elemento cardine;
   il progetto di collegamento Adriatico-Baltico già gode, peraltro, di importanti investimenti nel versante austriaco e di attiva iniziativa da parte della Slovenia per la variante concorrenziale di Capodistria-Maribor;
   inoltre, ai ritardi nella realizzazione di un collegamento di grande importanza strategica per la presenza italiana nel sistema ferroviario europeo si sommano i disagi ed i problemi di sicurezza patiti da migliaia di cittadini residenti nella zona est di Udine, cittadini che da tempo si sono mobilitati per chiedere con forza lo spostamento dei convogli ferroviari dall'attuale vecchio percorso (parallelo a Viale Trieste) alla vicina negletta circonvallazione ferroviaria;
   ciò renderebbe possibile l'eliminazione di ben cinque passaggi a livello, situati in una zona densamente popolata che, oltre ad essere origine di potenziali pericoli per la sicurezza dei cittadini in quanto ubicati a breve distanza dalle abitazioni, sono causa di notevoli disagi per la circolazione stradale, non solo per gli automobilisti, ma soprattutto per il «pronto intervento» delle autoambulanze, dei mezzi dei vigili del fuoco e delle forze dell'ordine; è facile, infatti, comprendere che, in presenza di un'emergenza, cinque passaggi a livello costituiscono un problema di grande rilievo sociale. Inoltre, essi rappresentano una fonte di inquinamento ambientale, soprattutto acustico, ma anche elettromagnetico e di polveri, patito dai residenti che vivono a ridosso del binario, e che è provocato non solo dai treni in transito accanto a case e palazzi, ma anche dalle auto in attesa ai passaggi a livello: Non può essere, infine, dimenticato che i passaggi a livello risultano oggi antieconomici anche per i gestori della linea ferroviaria, per i costi di gestione, manutenzione e per i continui guasti;
   la risoluzione di quest'annoso problema sta diventando sempre più urgente per molti cittadini che alle numerose promesse espresse dalle istituzioni nelle dichiarazioni ufficiali non hanno visto finora far seguito alcun fatto concreto;
   solo dal mese di aprile scorso è stata adottata una soluzione tampone con riapertura della linea notturna Udine-Cervignano per deviarvi sette treni merci al giorno sui ventuno totali che attraversano le vie cittadine;
   inoltre, l'incidente ferroviario che nel 2009 causò una trentina di morti e una ventina di feriti nei pressi della stazione di Viareggio dovrebbe costituire un monito per tutti a non sottovalutare il pericolo rappresentato, in particolare, dal transito di tanti carri cisterna a così ravvicinata distanza dalle abitazioni;
   nella stessa città di Udine, peraltro, una cisterna piena di liquido infiammabile deragliò in fase di manovra nel gennaio del 1999 e in quell'occasione solo la buona sorte contribuì ad evitare tragiche conseguenze;
   nel decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, (cosiddetto «decreto del fare») è stata stanziata una prima tranche di 10 milioni di euro per il nodo di Udine, in quanto è stato riconosciuto come intervento prioritario, essendo un «collo di bottiglia» sul corridoio Baltico Adriatico –:
   se possa fornire notizie dettagliate sul Programma nazionale relativo alle infrastrutture e ai trasporti e sulle iniziative necessarie per reperire fondi (statali – europei) per un potenziamento del sistema ferroviario del Friuli Venezia Giulia, evidenziando con opportuna visibilità nella lista delle spese e delle priorità la componente dovuta al costo del completamento della tratta in questione, e sottolineandone la valenza primaria e l'urgenza.
(4-02863)


   D'AMBROSIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da uno studio sulla normativa degli appalti, pubblicata sul quotidiano Il Sole 24 Ore, si evince che tale normativa è stata modificata 44 volte in 7 anni, senza contare le oltre 40 disposizioni correlate, e che ormai solo il 42 per cento degli articoli conservano il testo originario;
   il contenzioso che ruota intorno a tale problematica è valutato già in oltre 7 mila sentenze;
   il volume di investimenti annui collegati alla predetta normativa è quantificato in oltre 100 miliardi di euro;
   tale farraginosa situazione complica, nella realtà, il lavoro quotidiano delle stazioni appaltanti nel predisporre bandi e gestire gare;
   a rendere tale situazione ancor più caotica si aggiungeranno, nei prossimi due anni, altre tre direttive da recepire –:
   quali urgenti iniziative si intendano prendere al fine di semplificare l'applicazione della normativa degli appalti.
(4-02872)


   DA VILLA, BRUGNEROTTO, MANNINO, COZZOLINO, SPESSOTTO, LOREFICE, DE LORENZIS e SIMONE VALENTE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto interministeriale n. 79 del 2 marzo 2012 (cosiddetto Clini-Passera) è stato disposto il divieto di transito nel canale della Giudecca a Venezia, per le navi con stazza lorda superiore alle 40.000 tonnellate;
   in base al citato decreto il divieto «si applica a partire dalla disponibilità di vie di navigazione praticabili alternative a quelle vietate»;
   le vie alternative «vengono individuate dall'autorità marittima con proprio provvedimento»;
   il citato decreto prescrive inoltre di «conseguire i più elevati livelli di sicurezza anche ambientale» considerata «la particolarissima sensibilità e vulnerabilità ambientale della Laguna di Venezia»;
   le leggi speciali per Venezia vietano espressamente interventi che non siano graduali, sperimentali, reversibili ed indicano come il valore da proteggere siano la laguna tutta e la città di Venezia in essa integrata;
   a distanza di 20 mesi non si è giunti ancora ad un risultato concreto, permanendo dunque la condizione di pericolo per la sicurezza dei cittadini, dei trasporti e dell'ambiente causati dalla promiscuità delle navi con gli altri flussi del trasporto locale;
   si impone, a parere degli interroganti, l'urgenza di addivenire a soluzioni che non pregiudichino un settore economico significativo nella congiuntura del Paese e del territorio veneziano, quali il blocco totale o parziale delle partenze;
   con lettera del 20 novembre 2013, indirizzata all'autorità marittima, il Ministro dello sviluppo economico sollecita con urgenza il provvedimento che individua il canale Contorta quale via di accesso alternativa alla marittima al fine di procedere all'intesa Stato-regione per l'inserimento del canale «Contorta S. Angelo» nel Programma delle infrastrutture strategiche nazionali ai sensi della legge n. 443 del 2001, cosiddetta «Legge Obiettivo»;
   il medesimo Ministro indica chiaramente che l'individuazione del progetto debba circoscriversi alle alternative di transito compatibili con lo scalo attuale, laddove nessun accenno in tal senso è contenuto nel decreto interministeriale n. 79 del 2 marzo 2012;
   il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ammette di essere a conoscenza di altre proposte, presentate all'autorità marittima, che prevedono la realizzazione di scali alternativi esterni alla laguna;
   il provvedimento sollecitato all'autorità marittima non può essere approvato come dirimente senza una relazione di compatibilità con il PALAV (Piano di area della laguna e dell'area veneziana), Piano ambientale paesaggistico sovraordinato, vigente dal 1995 e con il piano morfologico della laguna la cui adozione è attesa da tempo, né in assenza di una valutazione comparata del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nonché il coinvolgimento e l'intesa di tutti i comuni aventi titolo ai sensi della legge n. 84 del 1994 «Riordino della legislazione in materia portuale»;
   in un precedente atto di sindacato ispettivo (n. 5-01099) che ad oggi non ha ricevuto risposta, il primo firmatario richiamava l'attenzione sulla necessità di ricomprendere nell'analisi tutte le soluzioni da comparare come ragionevoli alternative, peraltro prevista dalla normativa europea e dal Codice dell'ambiente;
   a parere dell'interrogante progetti che prevedono scali alternativi extra lagunari, per evidenza dei fatti, risolverebbero completamente la promiscuità delle grandi navi da crociera con il traffico lagunare ed i rischi per la sicurezza dei cittadini, del patrimonio storico e ambientale della laguna; risultato che, per simmetrica evidenza, non potrebbe mai essere raggiunto con il mantenimento di uno scalo intralagunare;
   rispetto all'apertura del canale «Contorta-S. Angelo», che comporterebbe scavi su un tracciato di ben cinque chilometri, largo 140 metri e profondo 10 metri e l'escavo di 7 milioni di metri cubi di sedimento, i progetti alternativi basati su scali extralagunari risultano agli interroganti comunque meno onerosi, e dunque meritano un'attenzione, ancor più doverosa in tempi di grave congiuntura;
   spostando lo scalo esternamente al sistema di protezione Mose (modulo sperimentale elettromeccanico), tali soluzioni svincolano la crocieristica dalle chiusure delle paratie in concomitanza del fenomeno dell'acqua alta; tale fenomeno è previsto in aumento per entità e frequenza in relazione alle variazioni climatiche nonché ad un atteso innalzamento del livello medio mare, mentre l'evoluzione del mercato della crocieristica indica la tendenza ad ampliare l'offerta nell'arco dell'anno solare;
   i progetti con scalo extralagunare, rispetto all'escavazione dei fondali lagunari, possono essere applicati in rispondenza dei criteri stabiliti dalle leggi speciali di Venezia, ovvero alle condizioni di gradualità, sperimentazione e reversibilità. Per questo stesso motivo, a parere degli interroganti, risultano di più celere realizzazione con tempistiche verosimili entro i 12 mesi, consentendo di ovviare al contingentamento dei transiti e alla diminuzione del fatturato e dell'indotto occupazionale, che invece sarebbe prevedibile nell'ipotesi riportata nella lettera del Ministro dello sviluppo economico, che esplicitamente ammette tempistiche per la messa in esercizio non prima della stagione crocieristica 2016;
   la struttura della marittima potrebbe, nell'ipotesi di scelta dello scalo fuori laguna, continuare ad essere utilizzata anche in futuro per l'accoglienza dei crocieristi, trasportati dentro la laguna mediante battelli. Inoltre sarebbe utilizzabile per la piccola crocieristica compatibile con Venezia e la sua laguna e per la nautica da diporto –:
   quali siano i contenuti delle note dell'autorità marittima citate dal Ministro dello sviluppo economico nella lettera del 20 novembre 2013 e quale soggetto istituzionale abbia ritenuto di limitare le valutazioni alle sole alternative che portino direttamente alla marittima;
   quali siano i motivi per cui non siano state considerate le proposte di più rapida realizzazione per scali alternativi extra lagunari;
   se il Ministro interrogato ritenga che il progetto di escavo del canale Contorta sia compatibile con la normativa vigente per la tutela ambientale lagunare, e, in caso affermativo, quali siano i suoi orientamenti a riguardo;
   quali motivazioni abbiano indotto a ritenere di poter procedere ad inserire il progetto nel quadro della cosiddetta «legge obiettivo», stante che la capitaneria non ha competenza di valutazione ambientale che spetta al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   quali criteri abbiano indotto a considerare lo scavo del canale Contorta S. Angelo compatibile con una tempistica a breve termine laddove le sue stesse previsioni pongono l'eventuale fruibilità in vista della stagione crocieristica 2016;
   come, su un tema riguardante la struttura del porto, si possa ritenere esaustiva una concertazione ristretta al Presidente della regione Veneto e al sindaco di Venezia, con esclusione dei comuni della «gronda» lagunare, prevista invece dall'articolo 5 della legge n. 84 del 1994 per la formazione dei piani regolatori portuali;
   in base a quale valutazione ritenga di poter applicare le procedure semplificate di VAS (Valutazione ambientale strategica), VIA (valutazione impatto ambientale) ed AIA (Autorizzazioni integrate ambientali) ai sensi della legge n. 443 del 2001, cosiddetta «legge obiettivo», stante che l'escavo del nuovo canale Contorta comporterebbe evidentissimi sconvolgimenti ed impatti sull'ecosistema più tutelato del mondo qual è la laguna di Venezia;
   quale sia la logica di voler accelerare, a giudizio degli interroganti, pericolosamente la procedura e nel contempo scegliere un progetto che per ammissione del Ministro interrogato non ha tempi rapportabili ad una rapida soluzione del problema dei transiti nel bacino di San Marco e Canale della Giudecca e che imporrebbe ancora per anni un alto livello di rischi e conflitti nel centro storico lagunare;
   quali siano le ragioni per cui si scartino, attraverso tale procedura semplificata, proposte di scalo alternativo, che hanno evidenziato maggiori caratteri di compatibilità ambientale, rapidità, gradualità, reversibilità, nonché economicità, insieme al mantenimento dell'offerta e dell'occupazione nel settore. (4-02877)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'UVA e VILLAROSA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la caserma «Ivan Ghitti», intitolata al brigadiere caduto nella strage di Nassiriya nell'anno 2003, è il comando stazione dell'Arma dei carabinieri del comune di Acquedolci, in provincia di Messina;
   lo stabile che ospita la caserma, così come la struttura adibita al deposito autovetture dell'Arma, è stato in questi anni concesso al comando provinciale, dal comune di Acquedolci (ME), a titolo di comodato d'uso gratuito;
   l'attuale sindaco del comune di Acquedolci (ME), avvocato Ciro Gallo, ha reso noto al comando provinciale dei carabinieri che l'amministrazione comunale, viste le sopravvenute difficoltà economiche, intende interrompere il rapporto di concessione gratuita dei locali, dati gli elevati costi di mantenimento del comando stazione;
   secondo le previsioni economiche dell'amministrazione comunale, gli attuali costi di gestione del comando stazione dell'arma dei carabinieri vengono stimati in circa 7.000 euro annui, cifra non certamente elevata se comparata al beneficio derivato dalla presenza di tale presidio in un territorio così critico dal punto di vista della sicurezza e del rispetto della legalità, quale quello siciliano;
   i carabinieri dell'Arma della caserma «Ivan Ghitti» ricoprono un servizio indispensabile per i cittadini del comune di Acquedolci, nonché dei comuni limitrofi, i quali identificano il comando come istituzione di riferimento per il rispetto della legalità e del contrasto alla criminalità;
   per garantire il necessario controllo sul territorio del comune, che come altri nel territorio siciliano potrebbe presentare rischi di infiltrazioni della criminalità organizzata, qualora non adeguatamente sorvegliato, ovvero per garantire la sua tutela, i cittadini di Acquedolci hanno iniziato una raccolta firme per la difesa della caserma «Ivan Ghitti»;
   gli stessi cittadini hanno fatto espressa richiesta all'amministrazione comunale affinché la spesa per il mantenimento del comando, nonché del garage adibito a ricovero automezzi dell'Arma, venga garantita dal contestuale taglio dei costi per l'illuminazione natalizia del comune di Acquedolci;
   secondo quanto riportato dai cittadini all'interno della petizione a difesa della caserma, i costi per le spese di illuminazione, così come disposti dal comune di Acquedolci (ME), ammontano a circa 7.000 euro, evidenziando così la paradossale quanto grave situazione in cui per la garanzia della legalità non possono essere reperiti i fondi necessari in quanto già da destinare all'illuminazione e all'abbellimento delle strade durante il periodo delle festività –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione sin qui esposta;
   se il Governo intenda adoperarsi affinché, anche attraverso l'intermediazione della prefettura di riferimento, venga trovato un accordo affinché sia garantita ai cittadini di Acquedolci (ME) la possibilità che il comando stazione dell'Arma dei carabinieri, caserma «Ivan Ghitti», continui a essere presidio di legalità e di contrasto alla criminalità nel territorio del comune siciliano, anche provvedendo al pagamento, integrale o parziale, del canone di affitto dello stabile, date le modeste risorse necessarie. (4-02867)


   QUARANTA, FAVA, DANIELE FARINA, LAVAGNO e RICCIATTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la città e la provincia di Imperia sono state teatro in questi ultimi mesi di una seria recrudescenza della criminalità;
   come documentato da rapporti della polizia è cresciuto in modo esponenziale, rispetto agli anni precedenti, il numero di furti in appartamento, soprattutto nelle ore notturne e nel periodo estivo e la stampa locale ha più volte registrato questo dato;
   il 25 settembre 2013 come si apprende da notizie di stampa poliziotti del Silp Cgil sono scesi in piazza per lamentare la mancanza di mezzi adeguati per fare fronte all'emergenza;
   «Riteniamo che il trattamento che ci è stato riservato in questi ultimi anni — scrive il sindacato — non sia dignitoso nei confronti di chi è deputato a mantenere l'ordine e la sicurezza ogni giorno sulla Volante, sulla pattuglia della Stradale, alle Frontiere, agli stadi, eccetera. Contratto nazionale di lavoro scaduto, adeguamenti salariali su qualifiche e assegni di funzione fermi, turnover insufficiente, aumento dell'anzianità contributiva, mancato decollo dei fondi pensione. A tutto ciò si aggiungano i tagli a tutti i settori relativi alle risorse logistiche: niente divise, niente auto niente computer»;
   nonostante l'amministrazione della pubblica sicurezza assicuri che «tutto è a posto» la realtà vede operare una sola pattuglia di polizia stradale su un territorio di duecento chilometri, la mancanza di un presidio di polizia nelle stazioni ferroviarie durante la notte, un ufficio denunce chiuso negli orari più importanti, carenza di personale negli uffici e spesso questi vengono impiegati in altri servizi;
   tutto ciò evidenzia un deficit di organizzazione e di risorse delle forze di polizia dovuto alle scelte governative di questi ultimi anni improntate al solo taglio di risorse al comparto sicurezza;
   a tale proposito un articolo de «Il Fatto Quotidiano» del 21 settembre 2013 rivela come tante personalità che fanno uso della scorta «utilizzino uomini e volanti dai commissariati, forze che invece dovrebbero essere impiegate per la sicurezza del cittadino». Gli uomini che prestano tale servizio costano alla collettività complessivamente circa 250 milioni di euro all'anno, però — si legge ancora nell'articolo — «spesso viene scortato anche chi non ha più cariche pubbliche»;
   il 28 novembre 2013 Ansa, Adn Kronos e le maggiori agenzie di stampa riportavano le dichiarazioni del segretario del Silp-Cgil Daniele Tissone che rilanciava l'allarme del capo della polizia, il prefetto Alessandro Pansa, che sottolineava come senza investimenti la sicurezza è destinata a calare: «Non investendo sulla sicurezza, la protezione dei cittadini, dell'intero sistema e dell'economia in chiave di attrazione di investimenti, è, gioco forza, destinata a calare vistosamente. Già adesso siamo al di sotto degli obiettivi degli anni precedenti» –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo alla luce di quanto esposto in premessa per rendere più efficace il lavoro delle forze dell'ordine al fine di garantire la sicurezza ai cittadini della provincia di Imperia. (4-02868)


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la «Casertana Recuperi srl» e Antonio Luca Iorio (figlio del Giudice di Pace Vittoria Farzati) hanno presentato un ricorso depositato al TAR Campania di Napoli il 3 ottobre 2012 in merito al «silenzio-rifiuto tenuto dalla prefettura di Caserta sulla istanza presentata in data 25 luglio 2011 dalla ricorrente per il riesame e aggiornamento dell'informativa antimafia protocollo 1086/12.B.16/ANT/AREA 1 del 28 settembre 2009»;
   la prossima udienza presso il TAR in merito al ricorso è prevista per il 15 gennaio 2014;
   l'interdittiva antimafia da cui è stata colpita la «Casertana Recuperi srl» è stata emessa dalla procura di Caserta il 28 settembre 2009, mentre la comunicazione è stata ricevuta quasi otto mesi dopo, il 18 maggio 2010;
   l'interdittiva antimafia in questione fu emessa perché ex socio della «Casertana Recuperi srl» era Vincenzo Abbate, arrestato per associazione mafiosa e ritenuto dai magistrati della DDA di Napoli uomo del boss del clan dei casalesi Michele Zagaria;
   secondo il GIA la cessione delle quote societarie da parte di Vincenzo Abbate successivamente al suo arresto, era stata un mero espediente per aggirare la normativa antimafia;
   di Vincenzo Abbate si parla anche nel libro del sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Napoli Catello Maresca, scritto in collaborazione con il giornalista Francesco Neri, «L'ultimo bunker – La vera storia della cattura di Michele Zagaria, il più potente e più feroce boss dei Casalesi»;
   secondo il pubblico ministero Maresca Vincenzo Abbate si occupava, col fratello Luigi, di costruzioni edili, ed era finito per questo motivo nel mirino del clan dei casalesi, subendo minacce pressanti, intimidazioni violente, richieste di tangenti pari al 6-7 per cento del valore degli appalti;
   i fratelli Abbate avevano ritenuto conveniente pagare, e col tempo il rapporto si era trasformato in proficua collaborazione;
   le sentenze susseguitesi negli anni hanno raccontato di un legame sempre più intenso e di un impegno sempre più forte che avrebbe consentito agli Abbate di rendere la loro impresa di costruzioni una delle più ricche della provincia di Caserta, proprio grazie all'appoggio del clan;
   nelle vicende societarie della «Casertana Recuperi srl» oltre a Vincenzo Abbate, colpito da ordinanza di custodia cautelare in carcere il 24 giugno 2006 con l'accusa di associazione mafiosa, figurano i figli della dottoressa Farzati, ovvero Antonio Luca Iorio e Maria Giuseppa Iorio;
   la «Casertana Recuperi srl» si era già rivolta al TAR Campania Napoli per chiedere l'annullamento dell'interdittiva antimafia emessa dalla prefettura di Caserta, ma con sentenza depositata in segreteria il 22 dicembre 2010 la prima sezione del TAR aveva respinto il ricorso n. 3613/2010;
   nella sentenza in questione si legge che gli elementi indiziari posti a fondamento dell'impugnata informativa risultano dall'informativa del Comando provinciale Carabinieri di Caserta n. 0225509/3-3 di prot. «P» del 2 agosto 2008;
   in tale nota informativa si rappresentava che anche Nicolino Iorio, padre convivente dell'amministratore della «Casertana Recuperi srl», sarebbe gravato da precedenti di polizia per associazione a delinquere, truffa, reati finanziari, furto e ricettazione;
   anche il Consiglio di Stato ha dato ragione alla prefettura, a fronte di un ulteriore ricorso della «Casertana Recuperi srl», respingendo con ordinanza depositata l'11 marzo 2011 la richiesta di sospensione dell'efficacia della sentenza del TAR della Campania e ritenendo che non sussistevano i presupposti per l'accoglimento dell'istanza cautelare perché le argomentazioni svolte dal giudice di primo grado erano condivisibili;
   dal 28 settembre 2009, data di emissione dell'interdittiva antimafia a carico della ditta «Casertana Recuperi srl», per tutti i quattro anni successivi, la dottoressa Farzati ha continuato ad amministrare la giustizia in sede civile e penale da giudice di pace, rivestendo peraltro il ruolo delicatissimo di coordinatrice dell'ufficio di Pignataro Maggiore;
   a seguito dell'interdittiva antimafia, nel luglio 2012 era stata iscritta alla Camera di commercio di Caserta la «Cales Ambiente srl», costituita pochi giorni prima e di proprietà della dottoressa Vittoria Farzati e della figlia Maria Giuseppa Iorio, società cui sono state trasferite le varie autorizzazioni della «Casertana Recuperi srl», con il via libera alle volture da parte della Regione Campania, dell'amministrazione provinciale casertana e del comune di Calvi Risorta;
   nell'oggetto sociale della «Cales Ambiente srl» si fa riferimento, tra l'altro, alla gestione di impianti per lo stoccaggio, la trasformazione ed il trattamento di materiali inerti, ed al recupero e preparazione per il riciclaggio di rifiuti solidi urbani, industriali e biomasse;
   la voltura delle varie autorizzazioni dalla «Casertana Recuperi srl» alla «Cales Ambiente srl» si basa su un contratto di comodato della durata di quattro anni, con decorrenza 1o agosto 2012, tra le due società, e dal sito della «Cales Ambiente srl» risulta che quest'ultima si avvale della collaborazione di una terza realtà imprenditoriale, ovvero «La Vittoria srl», costituita il 12 luglio 1995 e di proprietà sempre dei due figli della Farzati (il nome stesso della società sarebbe stato scelto in omaggio a lei);
   il nome di Vittoria Farzati (o meglio, di Vittoria Forzati, a causa di un refuso superabile dalla verifica di come il codice fiscale associato al nome sia quello della dottoressa Farzati) appare in qualità di responsabile tecnico de «La Vittoria srl» in due diversi documenti, uno con inizio validità il 25 settembre 2012 e l'altro l'11 dicembre 2012;
   «La Vittoria srl» ha come oggetto sociale, tra l'altro, trasporto per conto terzi, intermediazione di rifiuti, lavori edili, industriali, idrici per la distribuzione dell'acqua potabile, ed i due atti citati che vedono la Farzati come responsabile tecnico della società riguardano rispettivamente la raccolta ed il trasporto di rifiuti speciali non pericolosi, e la raccolta ed il trasporto di rifiuti pericolosi;
   i fatti narrati sono riportati negli articoli pubblicati dal blog d'informazione «Pignataro Maggiore News» il 6, 11 e 14 aprile ed il 3 e 30 ottobre 2013 intitolati rispettivamente «Giudice di Pace di Pignataro Maggiore, la coordinatrice Vittoria Farzati nella tempesta: la società di famiglia colpita da interdittiva antimafia», «Il Giudice di Pace Vittoria Farzati personalmente impegnata negli affari di famiglia – Ecco gli intrecci tra «Casertana Recuperi srl», «Cales Ambiente srl» e «La Vittoria srl», della «Casertana Recuperi srl» si occupò anche la Commissione parlamentare d'inchiesta sui rifiuti – Pure il Consiglio di Stato ha dato torto alla società di famiglia del Giudice di Pace Vittoria Farzati», «Nel libro del pm Catello Maresca si parla dell'ex socio dell'impresa di famiglia del Giudice di Pace Vittoria Farzati – Vincenzo Abbate è un uomo del superboss Michele Zagaria» ed infine «Il caso del Giudice di Pace Vittoria Farzati: scende in campo il pezzo da novanta cosentiniano Carlo Sarro – Attesa per una eventuale iniziativa del vendoliano Arturo Scotto» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali misure in tema di infiltrazioni della criminalità organizzata negli appalti sul territorio siano già state assunte in merito;
   ove in particolare fossero effettivamente confermate le cointeressenze del giudice Farzati nella società indicata in premessa, se risulti sia stata valutata la compatibilità con la prosecuzione dell'esercizio delle funzioni di giudice di pace.
(4-02880)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   le facoltà di scienze motorie hanno diversi settori di specializzazione senza, però, trovare riscontro nel campo lavorativo;
   il conseguimento di corsi di laurea magistrale o di specializzazione in «scienza e tecniche dello sport» LM-68, non dà la priorità nell'assunzione come istruttori nelle società sportive, perché in Italia lo sport è assegnato al C.O.N.I., alle federazioni sportive e agli enti di promozione sportiva, i quali hanno la facoltà di organizzare corsi (anche di una sola settimana) per promuovere tecnici che poi vengono considerati allo stesso livello dei laureati in scienze motorie;
   per partecipare a questi corsi, a pagamento, non è necessaria la laurea in scienze motorie, ma solamente la licenza della Scuola dell'obbligo, mentre i laureati sono costretti a frequentarli per essere assunti come istruttori dalle società sportive;
   i master come quelli in «rieducazione funzionale e neuromotoria» (riservati ai laureati in scienze motorie) coincidono con il campo di studi dei fisioterapisti, ma, nonostante il laureato in scienze motorie preventive e adattate LM 67 sia in possesso delle conoscenze necessarie al recupero delle funzioni muscolo-scheletriche in soggetti con disabilità o patologie croniche, gli viene preclusa la possibilità di essere assunto nell'ambito sanitario, come sarebbe, invece, auspicabile ai fini preventivi della salute della popolazione;
   il conseguimento di corsi di laurea magistrale o di specializzazione in management dello sport LM-47, dà accesso alla gestione delle palestre pubbliche e private, ma non tutte le leggi regionali tengono in considerazione questa possibilità e, nelle regioni in cui la legge è contemplata, viene spesso disattesa;
   in relazione all'offerta di master in sport management, non vi è alcuna certezza della spendibilità delle competenze e dei titoli acquisiti, anche in virtù dei costi imposti ai partecipanti;
   è necessario semplificare e razionalizzare la molteplicità delle proposte formative correlandole a chiari profili professionali trasparenti nelle competenze acquisite e ad esse conseguenti;
   il conseguimento di corsi di laurea magistrale o di specializzazione in «scienze motorie e sportive per l'insegnamento nelle scuole», non dà la possibilità di insegnare nella scuola primaria perché in Italia, ad oggi, non è inserita ancora la figura dell'insegnante laureato in scienze motorie al pari delle altre materie, nonostante le linee guida dell'Unione europea invitino le Nazioni aderenti ad avviare l'attività motoria nella scuola primaria;
   il compito di garantire l'educazione fisica nelle scuole primarie è assegnato al C.O.N.I., il quale promuove progetti a termine nelle singole scuole primarie e nomina come insegnanti sia i laureati in scienze motorie sia i propri tecnici. Anche le associazioni sportive hanno la facoltà di presentare progetti presso le scuole primarie e assegnare il compito di insegnante ai tecnici, dando così la possibilità di ingresso nella scuola a personale che non ha alcuna competenza didattico-educativa e scientifica;
   è evidente che nella scuola primaria l'attività motoria non è affidata ad un insegnante qualificato a tale compito, così come avviene invece in tutti i Paesi europei, proprio nell'età scolare in cui si ritiene strettamente necessaria una formazione valida per conseguire un corretto accrescimento psico-fisico del bambino e non produrre danni irreversibili –:
   quali iniziative si intendano intraprendere:
    a) per riconoscere l'importante ruolo dell'educazione fisica e dello sport nel nostro Paese, restituendo un senso e un riscontro lavorativo ai molti laureati nei vari corsi di laurea magistrale e nei vari settori di specializzazione delle scienze motorie;
    b) per qualificare la scuola stessa attraverso una figura professionale che è la sola a disporre di una preparazione consona all'insegnamento, il laureato in scienze motorie e affinché la formazione del futuro cittadino sia completa;
    c) per rendere trasparente la relazione tra percorsi di formazione e profili professionali conseguenti, arginando, in collaborazione con i dicasteri competenti, i nuovi fenomeni di precariato frutto del circolo che si realizza nelle piaghe della partnership tra università che erogano i master e associazioni e leghe sportive che realizzano reclutamento di personale.
(5-01676)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   AIRAUDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il sindacato Fiom-Cgil ha reso noto che la Manital, azienda che si occupa di pulizie industriali e servizio posta per conto del gruppo Fiat nei comprensori ex Iveco e Mirafiori, ha aperto la procedura per licenziare 121 lavoratori su 150 nell'ambito di una ristrutturazione dei servizi di pulizie industriali avviando le comunicazione formali;
   Federico Bellono, segretario provinciale della Fiom-Cgil, ha dichiarato che: «Anche in Fiat, oltre che nell'indotto, si licenza per gli effetti della crisi e a farne le spese sono i più deboli: cioè coloro di cui la Fiat si è in qualche modo disfatta negli anni scorsi»;
   ancora Bellono: «Si tratta di persone che sono state dipendenti Fiat e che erano state esternalizzate a Manital alcuni anni fa. Molte di queste persone hanno ridotte capacità lavorative o sono portatori di handicap. Dei 121, 89 sono lavoratori assunti con il contratto metalmeccanici, gli altri con quello dei servizi»;
   i 121 licenziamenti a Mirafiori e all'ex Iveco da parte della Manital di Ivrea, azienda leader nei servizi di facility management, profilano ad avviso dell'interrogante una responsabilità di Fiat nei licenziamenti in quanto ex datore di lavoro che ha collocato in Manital questi lavoratori e in quanto committente delle commesse su cui la Manital e i suoi lavoratori ex Fiat operano –:
   se non ritenga di convocare le parti sociali al fine di salvaguardare i livelli occupazionali;
   quali iniziative intenda assumere anche con Fiat che è committente ed ex datore di lavoro al fine di intervenire sul piano di ristrutturazione dei servizi di pulizie e posta affidati alla Manital.
(4-02870)


   RAMPI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   rischia di concretizzarsi con il 2014 una sensibile riduzione del numero dei posti di lavoro riservati alle persone con disabilità;
   ciò è la conseguenza di una modifica al testo della legge n. 68 del 1999 «Norme per il diritto al lavoro delle persone disabili»;
   questa norma impone ai datori di lavoro che hanno più di 15 dipendenti di avere, tra gli occupati, una quota di lavoratori con disabilità;
   la stessa legge riconosce, alle imprese che per le condizioni della propria produzione non possono assumere tutti i lavoratori con disabilità che dovrebbero, la possibilità di ridurre i propri obblighi;
   in cambio, queste partecipano all'impegno dell'integrazione sociale e lavorativa delle persone con disabilità in modo diverso: versano risorse a fondi regionali dedicati, che le trasformano in incentivi e servizi sia per le persone con disabilità disoccupate, sia per le imprese che assumono;
   questo istituto si chiama esonero parziale e ogni impresa autorizzata ad accedervi versa ai fondi in modo proporzionale al numero di persone che è autorizzata a non assumere;
   la modifica alla legge n. 68 del 1999 a cui si fa riferimento risale al 2011 e si presentava come un intervento per rendere più semplice e automatico il riconoscimento dell'esonero parziale;
   all'inizio del 2013 un'indicazione tecnica del Ministero ha lasciato intendere che nessun contributo ai fondi regionali per i disabili fosse dovuto;
   da allora, in assenza di indicazioni contrarie dal livello nazionale, un numero crescente di imprese ha comunicato la riduzione dei propri obblighi;
   a gennaio 2014, come tutti gli anni, i datori di lavoro dovranno comunicare il proprio quadro occupazionale con lo stato di assolvimento della norma e lo faranno su un modello che ha introdotto esplicitamente questa possibilità di scomputo automatico. La cosa può dunque divenire massiva;
   se non arriveranno a breve chiare indicazioni dal Ministero sulla corretta interpretazione della norma, dalla situazione descritta potrà derivare la perdita di decine di migliaia di posti lavorativi riservati alle persone con disabilità e di milioni di euro in meno nei fondi regionali per l'occupazione dei disabili –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione e quali siano le sue reali intenzioni e se intenda chiarire la corretta e autentica interpretazione della norma.
(4-02871)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CATANOSO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la tutela dell'identità dei prodotti nazionali contro le frodi alimentari garantisce la solidità delle imprese agricole italiane;
   il settore agricolo, considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore, riveste una particolare importanza per l'economia nazionale ed assume un ruolo fondamentale nella custodia del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   la libera circolazione di alimenti sicuri e sani è un aspetto fondamentale del mercato interno, ma, sempre più spesso, la salute dei consumatori e la corretta e sana alimentazione appaiono compromesse da cibi anonimi, con scarse qualità nutrizionali, o addizionati e di origine per lo più sconosciuta;
   sulla base dei dati Efsa, FItalia risulta prima, nel mondo, in termini di sicurezza alimentare, con oltre 1 milione di controlli l'anno il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici oltre il limite (0,3 per cento), con un valore inferiore di cinque volte rispetto a quelli della media europea (1,5 per cento di irregolarità) e addirittura di 26 volte rispetto a quelli extracomunitari (7,9 per cento di irregolarità);
   la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiana che non possiedono costituisce una vera e propria aggressione al patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale;
   il Codice del consumo, recependo la disciplina comunitaria in materia, attribuisce ai consumatori ed agli utenti i diritti alla tutela della salute; alla sicurezza ed alla qualità dei prodotti; ad un'adeguata informazione e ad una pubblicità veritiera; all'esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà; all'educazione al consumo; alla trasparenza ed all'equità nei rapporti contrattuali;
   la disciplina a tutela dei prodotti di origine italiani introduce norme specifiche per contrastare la contraffazione ed evitare qualunque fraintendimento nell'indagine di provenienza falsa e fallace;
   l'importanza del settore agricolo per l'economia nazionale va riconosciuta con riferimento alla produzione agroalimentare, ma anche alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio culturale ed ambientale ed all'ingente numero di lavoratori occupati;
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, di cui oltre 53 miliardi di euro provengono dal settore agricolo e sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia, nel cui ambito operano 26.200 allevamenti italiani di suini, presenti prevalentemente in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Umbria e Sardegna la cui produzione è stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno;
   il settore suinicolo rappresenta una voce importante dell'agroalimentare italiano. La suinicoltura italiana, infatti, occupa il 7o posto in Europa per numero di capi mediamente presenti: in Italia nel 2012 la consistenza è stata di 9,279 milioni di capi, preceduta da Germania (28,1 milioni), Spagna (25,2 milioni), Francia (13,7 milioni), Danimarca (12,4 milioni), Olanda (12,2 milioni) e Polonia (11,9 milioni di capi) e offre occupazione, lungo l'intera filiera, a circa 105 mila addetti, di cui 50 mila nel solo comparto dell'allevamento;
   sulla base dei dati elaborati dall'Associazione nazionale allevatori di suini (ANAS), l'Italia, nel 2012, ha importato complessivamente 1.020.425 tonnellate di suini vivi e carni suine, di cui il 52 per cento dalla Germania, pari a 535.309 tonnellate. Rispetto a 73,5 milioni di cosce suine consumate in Italia, 57,3 milioni sono di importazione, 24,5 milioni sono di produzione nazionale e 8,3 milioni vengono avviate all'esportazione;
   dai medesimi dati emerge che i principali Paesi fornitori di carne suina in Italia sono la Germania, l'Olanda, la Francia, la Spagna e la Danimarca;
   dai dati elaborati da ISMEA nel rapporto «La competitività dell'agroalimentare italiano» del 2012, emerge che la fase agricola è fortemente penalizzata dalle repentine e intense variazioni dei prezzi alla produzione, variazioni che invece non si trasmettono immediatamente sui prezzi nelle fasi più a valle, né per tempistica, né per intensità;
   sulla base dei risultati definitivi pubblicati dall'Istat e secondo quanto certificato dal 6o censimento generale dell'agricoltura, la bassa remunerazione dell'imprenditore agricolo, in diminuzione nell'ultimo decennio, è uno degli elementi a cui viene collegata la fuoriuscita dal settore di quasi 800 mila aziende agricole;
   nel mercato del settore suinicolo, l'andamento dei prezzi riconosciuti agli allevatori mostra valori inferiori ai costi di produzione;
   secondo analisi ed elaborazioni ANAS (Associazione nazionale allevatori suini), riferiti al primo semestre 2013, il valore dell'allevamento riconosciuto nella fase della distribuzione è stato del 17,28 per cento;
   dalle stesse elaborazioni si rileva che il costo medio di produzione del suino pesante (peso medio 160/170 chilogrammi) è di 1,56 euro al chilogrammi;
   i medesimi dati evidenziano che il prezzo medio riconosciuto all'allevatore per il suino pesante (peso medio 160/170 chilogrammi) è stato di 1,4 euro al chilogrammi;
   l'attuale situazione del mercato risulta complicata dalla mancanza di trasparenza sull'indicazione di origine delle carni suine, che rischia di creare confusione tra i prodotti di provenienza nazionale – che assicurano, tra l'altro, elevati standards di sicurezza e qualità – ed i prodotti di importazione che invece, spesso, presentano minori garanzie per il consumatore;
   l'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, nel disciplinare le relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli ed agroalimentari, vieta condotte commerciali sleali al fine di impedire che un contraente con maggiore forza commerciale possa abusarne, imponendo condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose per la controparte più debole;
   articoli di stampa europei hanno recentemente messo in luce che l'industria della carne suina tedesca è efficiente ed è basata su prodotti a basso costo, ma che dietro questo sistema ci sono operai sottopagati, falde acquifere inquinate e tecniche di allevamento che usano enormi quantità di antibiotici;
   molti controlli operati sul settore delle carni suine hanno evidenziato la violazione della disciplina in materia di presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari e condotte poste in essere in maniera ingannevole, fraudolenta e scorretta, allo specifico scopo di far intendere al consumatore che i prodotti acquistati sono di origine e di tradizione italiana;
   l'articolo 26, comma 2, lettera b) del Regolamento CE 25 ottobre 2011, n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, prevede che l'indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza è obbligatoria per le carni dei codici della nomenclatura combinata (NC) elencati all'allegato XI del regolamento medesimo – tra le quali sono contemplate le carni di animali della specie suina, fresche, refrigerate o congelate – rinviando l'applicazione della norma a successivi atti di esecuzione da adottare entro il 13 dicembre 2013;
   l'istituto sviluppo agroalimentare (ISA-spa) è la società finanziaria, con socio unico il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, che promuove e sostiene progetti di sviluppo agroindustriale che comportano, come ricaduta indotta, un miglioramento strutturale dei livelli di reddito dei produttori agricoli;
   attraverso specifici strumenti di legge, ISA-spa supporta le imprese operanti nella fase di trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli, zootecnici e silvicoli –:
   quali controlli vengano effettuati da ISA-spa prima di assicurare il supporto alle imprese o la partecipazione in specifiche iniziative con riferimento agli obiettivi sociali ed alla garanzia di perseguimento di finalità non contrastanti con la tutela e la valorizzazione dei prodotti e delle imprese nazionali;
   se ISA-spa partecipi o abbia concesso investimenti ad imprese coinvolte nel mondo nella produzione di finto made in Italy, alimentare e non, introducendo fattori di concorrenza sleale per le imprese italiane e pregiudicando gli interessi dei cittadini e dei consumatori;
   quali determinazioni intenda promulgare alle autorità di controllo della sicurezza alimentare per applicare la definizione precisa dell'effettiva origine degli alimenti, secondo quanto stabilito dall'articolo 4, commi 49 e 49-bis della legge 24 dicembre 2003, n. 350 sulla tutela del made in Italy;
   quali azioni il Ministro intenda promuovere, con specifico riferimento al settore del commercio nel settore delle carni suine, al fine di dare piena attuazione all'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, nella parte in cui vieta pratiche commerciali sleali che possano determinare, in contrasto con il principio della buona fede e della correttezza, il riconoscimento di prezzi, agli allevatori, palesemente inferiori ai costi di produzione medi da essi sostenuti;
   quali azioni il Ministro intenda promuovere, con specifico riferimento al commercio delle carni suine, al fine di contrastare pratiche commerciali sleali poste in essere, ai danni degli allevatori, in violazione della disciplina di cui all'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 ed al relativo Regolamento di attuazione (decreto ministeriale 19 ottobre 2012, n. 199);
   se il Ministro non intenda assicurare l'adozione, anche per le carni suine, di un sistema analogo a quello previsto per gli oli di oliva vergini dalla legge n. 9 del 2013 citata, per assicurare l'accessibilità delle informazioni e dei dati sulle importazioni sui relativi controlli, concernenti l'origine delle carni suine e promuovere, a tale scopo, la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche;
   quali iniziative il Ministro intenda adottare, o abbia già adottato, al fine di rendere noti e pubblici i riferimenti delle società eventualmente coinvolte in pratiche commerciali ingannevoli, fraudolente, o scorrette finalizzate ad immettere sui mercati finti prodotti made in Italy ed i dati dei traffici illeciti accertati;
   quali azioni il Ministro intenda adottare al fine di promuovere il rispetto, in sede di Unione europea del termine del 13 dicembre 2013, imposto dal Regolamento 1169/2011/CE, per l'attuazione dell'obbligo di indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza con riferimento alle carne suine. (5-01678)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E SEMPLIFICAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   ROSATO. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il comma 4, dell'articolo 4, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, ha prorogato al 31 dicembre 2016 l'efficacia «delle graduatorie dei concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato, vigenti alla data di entrata in vigore» del decreto, per tutte le «amministrazioni pubbliche soggette a limitazioni delle assunzioni»;
   com’è noto ai Ministri, il comparto sicurezza, soccorso pubblico e difesa civile è sottoposto, al pari di altre amministrazioni, ad una limitazione delle facoltà assunzionali: si ricordano, a tal proposito, l'articolo 66, comma 9-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e l'articolo 1, commi 89, 90 e 91, della legge 24 dicembre 2012, n. 228;
   il legislatore, che ha voluto prorogare l'efficacia delle graduatorie vigenti al 31 dicembre 2016, ha considerato la disposizione applicabile a tutti i comparti della pubblica amministrazione soggetti a limitazioni delle assunzioni, senza eccezione alcuna;
   la norma, così com’è stata anche modificata ed infine approvata dal Parlamento, pare chiara e ineludibile e deve intendersi applicabile anche al comparto sicurezza, soccorso pubblico e difesa civile, in quanto l'articolo in argomento non dispone diversamente;
   si evidenzia ai Ministri interrogati che giungono numerose segnalazioni circa l'avvio di nuove procedure concorsuali nella amministrazioni del comparto sicurezza, soccorso pubblico e difesa civile, in palese violazione dell'articolo 4 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125;
   nel ricordare che queste norme erano volte anche a conseguire risparmi di spesa, atteso che l'avvio di nuove procedure concorsuali è motivo di nuovi oneri a carico dei bilanci degli enti e delle amministrazioni, l'interrogante ribadisce la necessità che si rispettino le norme varate dal Parlamento e dal Governo, che hanno dato certezze e hanno cercato di tutelare i diritti acquisiti da vincitori ed idonei di concorsi regolarmente banditi –:
   quali iniziative urgenti i Ministri interrogati intendano promuovere immediatamente affinché venga ristabilito il rispetto delle norme e delle regole da parte delle amministrazioni del comparto sicurezza, soccorso pubblico e difesa civile.
(4-02860)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   PIAZZONI, MIGLIORE, AIELLO e COSTANTINO. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la mattina del 28 novembre 2013, a causa delle rigide temperature, M. A., un migrante di 31 anni di nazionalità liberiana che aveva passato la notte in auto, ha perso la vita nel comune di San Ferdinando (provincia di Reggio Calabria);
   l'uomo, giunto poco giorni prima nel centro reggino per trovare un impiego come lavoratore stagionale addetto alla raccolta degli agrumi, non aveva trovato posto nella tendopoli addetta all'accoglienza dei lavoratori migranti di San Ferdinando e si era adattato a dormire in auto;
   il giovane migrante aveva già accusato dei malori la sera precedente per le basse temperature ed aveva ricevuto una prima assistenza medica da parte degli operatori del 118. Stando alle dichiarazioni rilasciate dagli amici del giovane, gli operatori sanitari, a seguito della richiesta di assistenza, avrebbero tardato oltre un'ora a giungere sul posto. Gli stessi avrebbero inoltre assicurato che sarebbero giunti in un secondo momento ad accertarsi delle condizioni di salute del migrante, ma un secondo intervento non si sarebbe mai verificato;
   a seguito del nuovo, fatale malore accusato la mattina del decesso, gli stessi amici del giovane avrebbero trasportato il migrante in ospedale, senza riuscire tuttavia a scongiurare il peggio. Le circostanze descritte hanno portato la procura di Palmi a disporre l'autopsia per accertare le cause del decesso e ad aprire un'inchiesta per accertare eventuali responsabilità;
   il fatto citato non può essere rubricato come una tragica fatalità, ma va considerato alla luce delle condizioni in cui versano i lavoratori migranti in quella zona e alle carenze delle strutture di accoglienza. Solo la tendopoli di San Ferdinando e il piccolo villaggio di container di Rosarno sono destinati ad accogliere un massimo di 500/600 persone, a fronte di migliaia di migranti stagionali che partecipano alla raccolta degli agrumi, mentre la costruzione del nuovo centro di accoglienza, su un terreno confiscato alla mafia, sarebbe bloccata;
   le condizioni della tendopoli più volte citata, allestita dallo Stato, destano particolare preoccupazione in quanto assolutamente inadeguate a garantire livelli dignitosi di accoglienza, essendo la stessa priva di elettricità e di riscaldamento. Sebbene tale situazione sia ben nota, e nonostante le numerose richieste inoltrate al Ministero dell'interno e alla regione dagli amministratori locali non sono giunte risposte concrete, lasciando solo i comuni, le organizzazioni di volontariato ed ecclesiastiche locali e nazionali a prestare assistenza ai migranti;
   sono trascorsi quattro anni dai tragici accadimenti di Rosarno, dove le proteste dei migranti lavoratori per le disumane condizioni di sfruttamento e le vessazioni subite hanno scatenato violenze e linciaggi, sfociati in breve tempo in una vera e propria caccia di'uomo. In quell'occasione la rilevanza mediatica dell'accaduto portò le Istituzioni a promettere una seria azione contro lo sfruttamento dei lavoratori stranieri nelle campagne e che si sarebbe vigilato attentamente affinché non si verificassero ancora trattamenti inumani e degradanti nelle loro condizioni di vita;
   alla luce dei fatti citati in premessa, appare opportuno, ad opinione degli interroganti, verificare le reali condizioni lavorative e lo stato in cui sono costretti a vivere i lavoratori stagionali nella Piana di Gioia Tauro, predisponendo gli interventi necessari per evitare che situazioni di estremo disagio possano sfociare in ulteriori tragedie –:
   di quali elementi disponga in merito alle circostanze che hanno portato alla morte del giovane migrante e quali eventuali iniziative intenda assumere;
   se non ritengano opportuno, nell'ambito delle loro competenze, accertarsi che le condizioni lavorative, sanitarie e di vita dei migranti lavoratori citati in premessa siano rispettose di quanto garantito dalla Costituzione e dalle norme vigenti, con particolare attenzione allo stato delle strutture destinate alla loro accoglienza;
   quali iniziative intendano intraprendere per assicurare la predisposizione di strutture di accoglienza ed alloggiative idonee a garantire il rispetto della dignità e dei diritti umani dei lavoratori migranti stagionali. (4-02865)


   MOSCATT, RACITI, IACONO e LAURICELLA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio della regione siciliana sono presenti diverse miniere, oramai dismesse da diversi decenni;
   i parchi minerari esistenti, alcuni dei quali risalenti al XIX secolo, hanno lasciato una profonda testimonianza della storia delle attività estrattive dello zolfo e del salgemma, diversi sono, infatti, i chilometri che costituiscono la fitta e complicata rete di cunicoli che si dirama nel profondo sottosuolo delle provincie della regione, come nel caso di Agrigento, Enna e Caltanissetta;
   dal momento della chiusura, le diverse miniere sono state, tuttavia, completamente abbandonate; proprio per lo stato di abbandono e la mancanza di vigilanza delle miniere, negli anni, si è diffuso un generale senso di allarme e preoccupazione circa la possibilità che all'interno delle miniere vi fossero stati occultati rifiuti tossici e perfino scorie nucleari;
   diverse sono state le segnalazioni di movimenti sospetti di mezzi di carico intorno ai siti minerari e le discariche abusive sorte nelle loro vicinanze;
   ciclicamente, infatti, attraverso articoli di giornale, segnalazioni, sopralluoghi ed esposti alle competenti procure si diffonde l'allarme circa la pericolosità dei siti minerari per la salute pubblica e l'ambiente;
   in tali luoghi destano particolare preoccupazione e sospetto le morti degli ex operai e dell'indice dei tumori in taluni casi di gran lunga superiore alla media nazionale (nella provincia di Caltanissetta, tra il 2007 e il 2009 si sono registrati un numero di 3.788 tumori, mentre la media nazionale è di 1.260);
   da ultimo l'Arpa siciliana, attraverso il monitoraggio dei siti, ha diffuso attraverso gli organi di stampa un preoccupante resoconto, sono diverse centinaia le miniere abbandonate nella regione e diversi sono i siti che presentano forti elementi di preoccupazione;
   secondo alcune fonti della stampa, la commissione per le miniere dismesse dell'Unione regionale province siciliane ha segnalato come siti sospetti: la miniera di Pasquasia (En), quella di Bosco Palo tra Serradifalco e San Cataldo (CL) la cava San Giuseppe, tra i paesi di Melilli e Augusta (SR), quella di Raineri a Mussomeli (AG) ed infine la Ciavolotta tra Favara ed Agrigento, proprio a due passi dalla Valle dei Templi;
   le zone minerarie, malgrado le diverse segnalazioni ed i resoconti divulgati dalla stampa, rimangono ancora avvolte dal mistero, dai sospetti ma sopratutto dalla paura di un grave pericolo per l'incolumità di una buona parte della popolazione dell'Isola;
   appare ormai probabile, che nel corso negli anni all'interno della fitta rete di cave e cunicoli sotterranei abbia proliferato un sistema di affarismo spietato e criminale a scapito della collettività;
   la mancanza di risposte chiare e definitive su quello che veramente è successo nel corso degli anni e su quello che è veramente sepolto all'interno delle miniere abbandonate, è l'ennesimo «veleno» intollerabile per la popolazione siciliana;
   solo l'avvio di un processo di verifica approfondita, che accenda un faro di luce sulle tante ombre che ammantano le miniere abbandonate della Sicilia e faccia chiarezza sui pericoli e sugli interventi necessari per tutela della salute e del paesaggio potrà dare dignità a quei luoghi che pure mantengono una forte valenza storica e culturale e scongiurare quelle tanti morti inspiegabili che attendono giustizia –:
   se si intendano assumere iniziative, per quanto di competenza, per fare chiarezza sulle vere condizioni in cui versano le miniere siciliane abbandonate; se sia vero che i diversi siti minerari sono stati luoghi di attività illecita di smaltimento di rifiuti e nel caso quali tipologie di rifiuti e quale grado pericolosità abbiano per la salute delle persone e per l'ambiente; quali attività siano state avviate, anche per il tramite dell'istituto superiore della sanità, per la verifica delle cause che determinano un elevato tasso di tumori in alcune aree dell'isola; se siano stati avviati studi o ricerche per mettere in relazione le presunte attività di smaltimento illecito dei rifiuti e l'incidenza dei tumori e delle malattie sulle popolazioni limitrofe ai siti minerari; se vi siano attualmente pericoli per la salute delle persone e per l'ambiente;
   se si intendano avviare nuove e approfondite verifiche nelle miniere, anche per il tramite del Comando Carabinieri per la tutela dell'ambiente, per verificare l'eventuale presenza di rifiuti tossici.
(4-02869)


   CECCONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i primi giorni di aprile del 2010, a ridosso delle festività pasquali, si sprigionava dall'area del cantiere di Pesaro, in via Morosini, una serie di esalazioni odorigene di devastante portata, tali da indurre la popolazione a sporgere pressanti denunce alle autorità cittadine;
   a seguito di opportune verifiche, emergeva la verità: l'area in questione, storicamente sede della società per la fornitura di gas (A.M.G.A.), nascondeva nel sottosuolo delle vasche in cemento armato destinate a contenere idrocarburi e carbon fossile;
   le vasche sono state smantellate e dalle stesse è fuoriuscito materiale tossico che ha contaminato il terreno e liberato nell'ambiente circostante una puzza insopportabile;
   gli abitanti delle zone limitrofe al cantiere, un cantiere posto in pieno centro abitato, nonostante tenessero le finestre serrate a scopo precauzionale, si sono trovati costretti ad utilizzare degli inalatori per poter respirare aria purificata;
   si sono verificati anche 3 ricoveri di abitanti intossicati dalle esalazioni che hanno riportato difficoltà respiratorie;
   in data 7 aprile 2010, in seguito alle numerose segnalazioni, ufficiali ed agenti appartenenti al comando carabinieri per la tutela dell'ambiente (ex N.O.E.) procedevano all'immediato sequestro dell'area e del cantiere della città di Pesaro denominato ex A.M.G.A., comparto edificatorio P.N. 5.6 «centro direzionale Benelli»;
   presso il sito interveniva, unitamente ai militari del nucleo ecologico dei carabinieri (N.O.E.), lo stesso personale dell'A.R.P.A.M. provinciale di Pesaro-Urbino, il quale, dopo opportuni campionamenti effettuati nella stessa giornata del 7 aprile e nei giorni successivi, accertava livelli di contaminazione superiori ai valori di concentrazione soglia di contaminazione;
   la relazione ARPAM datata 12 maggio 2010 avente ad oggetto: «sopralluogo presso il comparto edificatorio P.N. 56 centro direzionale Benelli sito in Pesaro, in Via Morosini — trasmissione degli esiti analitici riferiti ai campioni prelevati in data 7 aprile 2010» metteva in evidenza quanto segue: «i terreni risultano avere livelli di concentrazione di inquinanti (in particolare idrocarburi aromatici volatili e idrocarburi policiclici aromatici) molto superiori ai limiti di cui alla tabella 1 dell'allegato 5 al titolo 5 della parte quarta, colonna A (siti ad uso verde pubblico/residenziale) del Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152» –:
   se e quali siano i dati in possesso del Ministro in merito ai danni alla salute derivanti dall'inquinamento da carbon fossile ed idrocarburi in relazione all'area in questione e se non ritenga di avviare un'indagine epidemiologica sull'area contaminata e sulle aree circostanze, anche in relazione alle falda acquifera, al fine di verificare gli effetti sulla salute della popolazione che abita nei pressi dell'area contaminata, anche per il tramite dell'Istituto superiore di sanità. (4-02873)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta orale:


   ZACCAGNINI, ZAN e ZOLEZZI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   in data 8 novembre 2013 il settimanale, «l'Espresso», riportava il seguente pezzo a firma di Paola Pilati, dal titolo — «Geotermia che pacchia, soci nel Liechtenstein. Sponsor illustri. Emendamenti su misura. Così un ricco progetto della Tuscia supera ogni ostacolo». Nell'articolo si descrive come — «Dopo vento e sole, è il momento della geotermia. Energia rinnovabile a pieno titolo, e quindi sovvenzionata con i soldi della collettività. Il territorio italiano è ricco di riserve di calore sotterraneo e così le ultime leggi in materia l'hanno incentivata, tanto che oggi i permessi di ricerca sul territorio sono 45 ed una altra quarantina le domande al Ministero dello sviluppo economico (Mise). Zona preferita il centro Italia: Toscana, Umbria, Lazio. Ma proprio dalla Tuscia la zona geografica alla convergenza di queste tre regioni, sta arrivando una bella grana per i Ministri Flavio Zanonato (Sviluppo) ed Andrea Orlando (Ambiente) mezza dozzina di comuni fra cui Orvieto, Acquapendente e Montefiascone, si sono coalizzati per bloccare il progetto di una centrale geotermica a Castel Giorgio, a nord est del lago di Bolsena. Di mezzo ci sono la sicurezza di una falda acquifera e la stabilità di interi paesi costruiti sul tufo, in un'area in cui i terremoti si sono fatti sentire, dicono gli amministratori comunali affiancati da associazioni cittadine[...]. Come mai un progetto che stava per essere bocciato, dalla Regione Umbria in base all'impatto ambientale, ora è in corsia preferenziale al Ministero dell'ambiente per essere realizzato ? Dichiara Claudio Margottini assessore all'ambiente del Comune di Orvieto e geologo di fama internazionale»;
   nello stesso articolo si descrive il progetto nello specifico: — «Una società costruita ad hoc nel maggio scorso: la Itw&Lkw Geotermia Italia capitale 200 mila euro. Unico azionista Itw&Lkw Beteinlinguns Gmbh, Austria. Separando le due sigle si arriva poi a Liechtenstein, dove la Itw è una società di costruzioni e la Lkw è una società elettrica. Ma prima ancora che la joint venture fosse costruita già camminava con un “project supervisor” illustre Franco Barberi: vulcanologo, in passato capo della protezione civile, e poi imputato nel processo sul mancato allarme del terremoto dell'Aquila. Lo aveva depositato nel 2011 al Ministero dello sviluppo economico. Nel 2012 la commissione per gli idrocarburi e le risorse minerarie del Ministero dà il suo parere favorevole. E Barbieri fa parte di quella commissione. Conflitto d'interesse [...]. Ma non è l'unico: entra in scena anche la forte attenzione di un altro grand commis, il presidente della commissione tecnica di valutazione di impatto ambientale del Ministero dell'ambiente, Guido Monteforte Specchi, che firma un parere per conto della Itw&Lkw e partecipa a suo nome alla riunione della Regione Umbria dove c’è aria di ostacoli al progetto[...]. Nonostante gli illustri sponsor per aggirare lo stallo che la centrale rischia per le perplessità degli enti locali, arriva a metà luglio un emendamento del Decreto del fare, naturalmente in notturna, tutti i progetti geotermici pilota (Castel Giorgio è uno dei dieci), non dipendono più dal via libera delle Regioni, ma solo dei ministeri»;
   il decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22, modificato dal decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 ha previsto che al fine di promuovere la ricerca e lo sviluppo di nuove centrali geotermoelettriche a ridotto impatto ambientale sono considerati di interesse nazionale i fluidi geotermici a media ed alta entalpia finalizzati alla sperimentazione, su tutto il territorio nazionale, di impianti pilota con reiniezione del fluido geotermico nelle stesse formazioni di provenienza e comunque con emissioni nulle e con potenza nominale installata non superiore a 5 MWe per ciascuna centrale. L'autorità competente per il conferimento dei relativi titoli minerari è il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che acquisiscono l'intesa con la regione interessata. Inoltre il decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, ha disposto l'inserimento dell'energia geotermica tra le fonti energetiche strategiche ed il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, ha disposto che gli impianti geotermici pilota sono di competenza statale (integrando l'articolo 1, comma 3-bis, del decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22 e il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152). I progetti geotermici pilota sono quindi sottoposti alla Valutazione di impatto ambientale di competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   la sunnominata legge ha inoltre disposto per gli stessi impianti la loro esclusione dalle previsioni della direttiva Seveso gettando ulteriori preoccupazioni rispetto alla loro sicurezza nelle operazioni di trivellazione ed esercizio, con particolare riferimento alla prevenzione di incidenti rilevanti connessi a determinate sostanze pericolose ed alla limitazione delle conseguenze per l'uomo e per l'ambiente nonché per l'assenza ex lege dei requisiti minimi di sicurezza in materia di pianificazione territoriale, con riferimento alla destinazione e utilizzazione dei suoli che tengano conto della necessità di mantenere le opportune distanze tra stabilimenti e zone residenziali o frequentate dal pubblico. A Castel Giorgio infatti il progetto ITW-LKW prevede i pozzi di re-immissione vicinissimi alle case del paese. Nonché con l'aggravante di aver così introdotto un regime peggiorativo delle norme ambientali europee recepite in Italia con il decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 (recepimento direttiva Seveso) nonché incomprensibilmente diverso verso i progetti geotermici diversi dai progetti pilota;
   la provincia di Viterbo e il comune di Bolsena con la collaborazione delle associazioni ambientaliste e i comitati cittadini dell'Orvietano, della Tuscia e del lago di Bolsena (rete allarme geotermia) hanno organizzato a Bolsena (Viterbo) il 26 ottobre 2013 un convegno sulle problematiche indotte dallo sfruttamento delle risorse geotermiche. All'incontro hanno preso parte esperti a livello nazionale, quali il professor Marco Mucciarelli, direttore del Centro ricerche sismologiche dell'Istituto nazionale di oceanografia e geofisica sperimentale di Trieste, che si è soffermato sulle relazioni tra attività umane nel sottosuolo e la possibile attivazione di sismi, tematica molto presente all'estero ma misconosciuta in Italia. Dice Mucciarelli: «In Italia gli studi sulla sismicità indotta sono in cronico ritardo rispetto al resto del mondo data la assenza di dati pubblici su questo fenomeno. Questa assenza di dati e di studi potrebbe essere confusa con la assenza del fenomeno stesso. Ciò sarebbe pericoloso in un momento in cui vi è un forte interesse per attività quali la geotermia, lo stoccaggio di metano ed il sequestro sotterraneo di anidride carbonica. Anche in aree con bassi livelli di sismicità naturale va prevista comunque la installazione di reti microsismiche che consentano il monitoraggio della sismicità indotta. I dati di queste reti dovrebbero essere resi disponibili su siti pubblici. Nella progettazione di impianti andrebbe considerata anche la sismicità che questi possono indurre, come avviene già in altri Paesi europei. Infine le maggiori cautele andrebbero adottate in quelle aree dove le strutture esistenti risultano inadeguate sismicamente già per la sismicità naturale.» L'ingegner Piero Bruni, con alle spalle una estesa attività geofisica, si è invece soffermato sul fatto di come l'altopiano dell'Alfina ed il sottostante lago di Bolsena siano importanti riserve di acqua potabile per l'Umbria ed il Lazio e che possono essere compromesse dall'installazione di tali impianti, in quanto i fluidi geotermici reiniettati a pressione nel sottosuolo possono risalire attraverso le fratture del terreno inquinando con arsenico ed altre sostanze cancerogene le falde acquifere sovrastanti utilizzate dalla rete idropotabile. Inoltre l'elevata fragilità sismotettonica ed un contesto edilizio fortemente vulnerabile, com’è quello dei centri storici della «civiltà del tufo», sconsigliano l'installazione di tali impianti (terremoti a Tuscania nel 1971, 31 morti, e a Castel Giorgio nel 1957, centinaia di case distrutte). Il professor Claudio Margottini, geologo di livello internazionale ed assessore all'ambiente del comune di Orvieto, ha affermato che — pur non dichiarandosi contrario al possibile uso della geotermia quando essa ha elevati contenuti di «eticità», ovvero rispetta l'ambiente e la salute dei cittadini — la fragilità sismotettonica delle aree dell'Alfina e del lago di Bolsena sconsigliano vivamente l'installazione di tali impianti;
   è del resto ormai dato acquisito in letteratura scientifica che alcune attività umane che interferiscono con il sottosuolo siano cagione di eventi sismici di varia intensità, arrivando anche a provocare danni ingenti e pericolo per le vite umane. Già sono molti gli episodi per i quali si è stabilita la correlazione tra terremoti e attività antropiche, dall'Europa agli Usa; l'ultimo episodio — per restare vicino a noi — che risale al 21 luglio scorso, è quello di San Gallo in Svizzera, immediatamente associato dal Servizio Sismico Svizzero (SED) «alle misure di test e di stimolazione impiegate nel pozzo di trivellazione del progetto geotermico» che segue peraltro quello dell'8 dicembre 2006 a Basilea, sempre correlato alla attività geotermica; in entrambi i casi l'attività è stata sospesa. Diversamente accade da noi dove anche abbiamo avuto sul Monte Amiata un forte terremoto il 1o aprile 2000 con successive fuoriuscite di fanghi geotermici, che hanno prodotto ingenti danni e per puro caso non hanno causato lutti, ma il funzionamento degli impianti geotermici continua indisturbato;
   le citate associazioni ambientaliste e i comitati cittadini della Rete Allarme Geotermia hanno recentemente inviato una lettera aperta alla presidente della regione Umbria, Catiuscia Marini, sull'impianto geotermico pronto a vedere la luce nell'Alfina, dopo una nota, «inviata anche al Governo ed alle regioni e, per conoscenza, alla Unione europea, in merito ai conflitti di interesse e ad alcune procedure errate seguite dai suoi uffici nella valutazione ambientale relativa all'impianto geotermico di Castel Giorgio. Dopo la consegna al Ministro Orlando, da parte dei sindaci dell'Orvietano, di un documento in cui si evidenzia grande preoccupazione per il progetto geotermico in corso di valutazione dalla regione Umbria, vogliamo informarLa che eguale preoccupazione si sta allargando a tutti i sindaci del Lago di Bolsena. Non ha giovato infatti a rasserenare gli animi la recente scossa di terremoto che ha colpito la Svizzera a causa di un impianto avente le stesse caratteristiche tecniche di quello in esame presso i Suoi uffici[...]. Riteniamo infatti che questo delle nuove tecnologie su «impianti pilota geotermici» sia un altro infelice esempio in cui le lobbies suggeriscono e la politica ratifica, senza neanche attendere, in questo caso, le risultanze ed i necessari approfondimenti ancora in corso di studio da parte della UE — come il “progetto Geiser” giunto alla sua conclusione solo alla fine di maggio 2013 — ma che non ha ancora prodotto le previste “linee guida”, valide a livello europeo, verso la sismicità indotta, che sembra caratterizzare tali nuovi "impianti sperimentali”. Né ci rassicura il fatto che nei mesi scorsi la Protezione Civile Nazionale abbia sentito il bisogno di nominare una commissione di inchiesta per evidenziare in particolare “eventuali correlazioni tra sismicità ed esplorazioni per la ricerca di idrocarburi”. Unico neo — anche in questo caso e sempre a proposito di lobbies — è che la maggioranza dei membri della Commissione, a cominciare dal suo presidente, hanno possibili conflitti di interesse, avendo ricoperto incarichi per le compagnie petrolifere ![...]. Pertanto, al di là di come — a livello di Governo sarà valutata, stante il conflitto di interesse del professor Franco Barberi — la decisione del CIRM del 13 marzo 2012, riteniamo che la procedura di VIA, d'intesa tra le due regioni Umbria e Lazio, ai sensi dell'articolo 30, comma 1 del decreto legislativo n. 152 del 2006, possa rappresentare una opportuna occasione di approfondimento della tematica, allo scopo di operare la migliore scelta verso un'ampia area umbro-laziale che interessa (e preoccupa !) ben 20 comuni. Non solo. Non si può — a questo punto — sottacere che la decretazione appositamente “deregolamentata” verso la “nuova geotermia sperimentale” (decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22, Ministri Scajola e Romani) è tristemente coeva a quella sul nucleare (decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31) e alla susseguente normativa introdotta dal cosiddetto “Decreto Sviluppo” (Ministri Monti e Passera) sulle trivellazioni a mare alla ricerca di petrolio e gas. Ebbene, il nucleare è stato bocciato saggiamente dal popolo italiano con il referendum abrogativo del 12-13 giugno 2011, le trivellazioni a mare hanno visto proprio i giorni scorsi ben 5 consigli regionali italiani (Veneto, Marche, Abruzzo, Molise e Puglia) presentare una proposta legislativa alle Camere con richiesta di annullamento della normativa introdotta al Governo Monti» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti narrati e quali iniziative intendano intraprendere;
   se non reputino opportuno fare proprie le istanze della rete di «Sos Geotermia» e «Allarme Geotermia» le quali individuano non solo delle criticità a livello di conflitti di interessi negli attori coinvolti nel progetto di impianto geotermico nella zona della Tuscia, ma anche il reale rischio di sismicità indotta da impianti geotermici, rischio documentato da ricerche in ambiti accademici ed universitari, nonché di possibili danni alle riserve di acqua dell'altopiano dell'Alfina e del lago di Bolsena;
   se non reputino opportuno, disporre una moratoria sui progetti pilota di impianti geotermici, almeno finché gli studi circa i rischi procurati dalla geotermia non abbiano raggiunto livelli tali da poter escludere il rischio di eventuali scosse sismiche procurate, se — sempre a questo scopo — non reputino opportuno finanziare un osservatorio di ricerca in grado di studiare i rischi della geotermia;
   se non reputino opportuno assumere iniziative per rivedere le modificazioni apportate al decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, che ha disposto che gli impianti geotermici pilota sono di competenza statale (integrando l'articolo 1, comma 3-bis, del decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22 e il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152), soprattutto con riferimento al rilascio dell'autorizzazione basata sull'analisi di impatto ambientale, che, vista la conoscenza del territorio, dovrebbe essere rimessa alle autorità locali così come per gli altri impianti di geotermia non considerati impianti pilota;
   se non reputino opportuno rivedere le modificazioni al decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, che ha disposto che gli impianti geotermici pilota di cui all'articolo 1, comma 3-bis del decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22 sono esclusi dall'applicazione del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 (di recepimento della cosiddetta «Direttiva Seveso» della UE), concernente il controllo dei rischi da incidente rilevante che coinvolgano sostanze pericolose. (3-00507)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BOMBASSEI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la ricerca e l'innovazione rappresentano attività indispensabili allo sviluppo ed al mantenimento di un sistema produttivo competitivo e vitale, fondamentale per la ripresa e la crescita economica del nostro Paese;
   il nuovo programma di strategia decennale per la crescita approvato dall'Unione europea «Europa 2020» richiama il ruolo delle imprese e la necessità di mettere a sistema le risorse finanziarie, di avere una valutazione efficace dei risultati e una governance più forte e integrata, che favorisca interventi sull'innovazione tecnologica, sull'organizzazione, sui prodotti, sui servizi, sulla qualità totale, sull'adozione di tecnologie digitali;
   un sistema dell'innovazione efficiente ha nell'Università e nella ricerca un perno fondamentale. Risulta, pertanto, indispensabile rafforzare il collegamento con il sistema delle imprese, ampliare e potenziare il trasferimento tecnologico, favorendo l'applicazione dei risultati della ricerca ma anche avviando collaborazioni strutturali su progetti congiunti e intervenendo, al contempo, sugli aspetti procedurali e amministrativi;
   il passaggio dal sostegno alla ricerca interna da parte delle imprese a quello della ricerca commissionata ad Università ed altri organismi di ricerca ha costituito una fondamentale evoluzione, avvicinando concretamente il mondo della produzione a quello della formazione scientifica della conoscenza;
   secondo le linee di indirizzo comunitario e nazionale, tali obiettivi possono essere utilmente sostenuti da sistemi di incentivazione flessibili ed automatici, mediante, in particolare, la concessione di crediti di imposta;
   l'articolo 1 del decreto-legge n. 70 del 2011 (cosiddetto «decreto sviluppo»), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106 del 2011, ha istituito un credito d'imposta, per gli anni 2011 e 2012, in favore delle imprese che finanziano progetti di ricerca in università o enti pubblici di ricerca le quali possono sviluppare i progetti così finanziati anche in associazione, in consorzio, in joint venture con altre qualificate strutture di ricerca, anche private, di equivalente livello scientifico;
   tale norma – come evidente – consente alle imprese di investire in ricerca ed in innovazione, affidando i progetti di ricerca a università ed enti di ricerca pubblici e privati no profit, recuperando parte dell'investimento attraverso il meccanismo del credito d'imposta, un vero e proprio volano di innovazione per il tessuto produttivo ed imprenditoriale che ha permesso a molte realtà nazionali di competere attivamente nei mercati globalizzati;
   con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate protocollo n. 2011/130237 del 9 settembre 2011, emanato ai sensi del comma 4 dell'articolo 1 del citato decreto legge n. 70 del 2011, sono state adottate le disposizioni applicative della misura agevolativa in questione;
   le disposizioni normative testé citate hanno trovato effettiva attuazione soltanto a seguito della circolare dell'Agenzia delle entrate n. 51 del 28 novembre 2011, recante le necessarie modalità di utilizzo della misura con riferimento al «codice tributo 6835» per la compensazione in via automatica del credito di imposta e, quindi, per un periodo temporale di fatto limitato allo scorcio residuale dell'anno 2011 e all'anno 2012. La circolare specifica che possono accedere al credito tutte le imprese, anche quelle costituite dopo l'entrata in vigore del decreto sviluppo, le stabili organizzazioni e gli enti non commerciali, e sono agevolabili la ricerca fondamentale, la ricerca industriale e lo sviluppo sperimentale, con la sola esclusione della ricerca interna, ed inoltre chiarisce che il credito d'imposta può essere fruito da tutte le imprese che effettuano investimenti in progetti di ricerca commissionati a università o a enti pubblici di ricerca, indipendentemente dalla forma giuridica, dalle dimensioni aziendali e dal settore economico in cui operano. Possono godere dell'agevolazione anche gli enti commerciali, per l'attività commerciale eventualmente esercitata, le stabili organizzazioni, le imprese che hanno intrapreso l'attività a partire dal 14 maggio 2011;
   in precedenza era stato istituito dalla legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296 del 2006, articolo 1, commi da 280 a 283) un altro credito d'imposta in favore delle imprese che avevano sostenuto, nel periodo 2007-2009, costi per l'attività di ricerca industriale e di sviluppo pre-competitivo;
   la previsione in oggetto è stata confermata con il decreto-legge 22 giugno 2012 n. 83, recante «Misure urgenti per la crescita del Paese», convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, che all'articolo 60, commi 4 e 5, individua il ricorso al credito d'imposta quale strumento a sostegno degli interventi per ricerca ed innovazione;
   da ultimo, la legge di stabilità per il 2013 (legge 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, commi da 95 a 97), ha istituito, a decorrere dall'anno 2013, un fondo per la concessione di un credito d'imposta per la ricerca e lo sviluppo per le imprese e per le reti di impresa che affidano attività di ricerca e sviluppo a Università, Enti pubblici di ricerca o organismi di ricerca, ovvero che realizzano direttamente investimenti in ricerca e sviluppo;
   per la definizione delle modalità applicative, il provvedimento rinvia ad un successivo decreto del Ministero dell'economia e delle finanze e del Ministero dello sviluppo economico nella fattispecie prevedendo, all'articolo 1, comma 97, che «il Ministro dell'Economia e delle Finanze e il Ministro dello Sviluppo economico, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della Legge di Stabilità per il 2013 (29 dicembre 2013), riferiscono alle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari in merito all'individuazione e alla quantificazione dei trasferimenti e dei contributi di cui al comma 95 ai fini dell'adozione delle conseguenti iniziative di carattere normativo»;
   per il 2013, tuttavia, non risultano ancora essere state emanate le iniziative di carattere normativo ai sensi dell'articolo 1, comma 97, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, determinando, di fatto, una situazione di incertezza per le molteplici aziende ed imprese italiane che, seppur disposte a proseguire o ad iniziare un percorso di innovazione e ricerca, si trovano nell'incapacità oggettiva di porre in essere qualsiasi iniziativa con le sole proprie risorse;
   grazie ai maggiori introiti per lo Stato dovuti all'IVA sulle attività di ricerca, per definizione a forte valore aggiunto, all'aumento della base imponibile fiscale per le strutture coinvolte ed alla riduzione dei costi sociali a seguito dell'effettivo aumento dell'occupazione qualificata nazionale, i costi dell'intera operazione per le casse dello Stato sono estremamente ridotti –:
   se non ritenga necessario adottare, al più presto, opportune iniziative di carattere normativo, ai sensi dell'articolo 1, comma 97, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, al fine di garantire effettivi interventi di politica economica in favore delle imprese, sostenendone il percorso di innovazione, sviluppo e ricerca in una fase di così particolare criticità economica e sociale. (5-01671)


   BELLANOVA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   come ribadito nell'atto n. 5-00504 l'azienda Officine meccaniche e ferroviarie del Salento S.r.l ha rappresentato per anni un punto di riferimento locale e nazionale nel settore della manutenzione ferroviaria. La principale commessa, prima che la stessa entrasse in un vortice di crisi – fino a fallire – arrivava proprio dalla società Trenitalia;
   l'Omfesa di Trepuzzi ha dapprima licenziato 104 dipendenti, poi il 22 marzo 2013 ne è stato dichiarato il fallimento, tant’è che il tutto è passato nelle mani dei curatori fallimentari;
   sulla stampa emergono notizie che hanno fortemente preoccupato i lavoratori tanto da spingerli a tenere, questa mattina, nei pressi della prefettura di Lecce un sit-in. Sulla stampa si legge che «Trenitalia sia pronta a ritirare le commesse» ed inoltre «si è saputo che i curatori hanno dato a Trenitalia la disponibilità a portare via il lavoro presente in azienda». Una notizia che ancora non trova conferma, ma che ha innescato, data anche la situazione di estrema delicatezza della vertenza, una diffusa inquietudine;
   il 10 dicembre 2013 è fissata, peraltro, l'udienza per il contenzioso tra Trenitalia e l'azienda interessata;
   le carrozze treno rimaste all'interno dell'azienda rappresentano l'unica speranza rimasta nell'ipotesi di subentro di nuove aziende acquirenti. Si tratta di «25 carrozze treno da riparare per un fatturato di cinque milioni di euro»;
   il Ministro nel rispondere al precedente atto n. 5-00504 in data 14 novembre 2013 aveva sottolineato l'attenzione per la vicenda Omfesa, facendo anche riferimento al fatto che fosse stato «già aperto un tavolo di confronto» e che durante l'ultimo incontro convocato presso il Ministero dello sviluppo economico nel mese di settembre, «sono state affrontate sia le tematiche legate alla procedura di curatela fallimentare, che quelle riguardanti la salvaguardia dell'attività produttiva del sito in questione»;
   il Ministro, a seguito della insoddisfazione dell'interrogante circa la risposta fornita all'atto n. 5-00504 aveva dato notizia della disponibilità di Trenitalia ad un incontro con le parti nel mese di novembre ed in particolare per i giorni del 15 e 28 a Roma e per il 29 a Bari;
   ad oggi nessun incontro è stato convocato e questi lavoratori rischiano seriamente di vedere infrangersi qualsiasi spiraglio occupazionale e di conseguenza economico –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di intervenire con urgenza per acclarare quanto emerso sugli organi di stampa e chiarire le motivazioni per le quali ad oggi, nonostante la situazione in questione richieda una azione repentina, nessun incontro con Trenitalia si è svolto. (5-01677)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCIATTI, MIGLIORE, DI SALVO, AIRAUDO, SCOTTO, RAGOSTA, GIANCARLO GIORDANO, FERRARA e MARCON. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 3 dicembre 2013 presso il Ministero dello sviluppo economico è stato siglato l'accordo relativo alla vertenza Indesit tra l'azienda, il Ministero dello sviluppo economico, le regioni Campania e Marche, Confindustria Ancona e Caserta, le organizzazioni sindacali dei lavoratori, ad eccezione della Fiom;
   tale accordo prevede un investimento della azienda pari ad 83 milioni di euro e la ridefinizione delle missioni produttive per ogni sito del gruppo, l'impegno dell'azienda sino a tutto il 2018 di non ricorrere all'utilizzo di procedure unilaterali di mobilità, l'uso dei contratti di solidarietà, un limite alla cassa integrazione a zero ore di 4 mesi per ogni lavoratore, nei cinque anni di durata del piano;
   nel piano sottoscritto alla presenza del Ministero dello sviluppo economico si fa riferimento alla delocalizzazione di alcune produzioni;
   nel ridefinizione delle missioni produttive degli stabilimenti, al polo di Caserta viene sottratta la produzione di lavatrici da 5,6,7 chilogrammi che verrà definitivamente trasferita entro il 2014 nello stabilimento di Manisa, in Turchia;
   a Fabriano vengono portate le linee di produzione dei piani cottura ed una parte di quelle dei refrigeratori, mentre le linee di produzione di refrigeratori con volumi più consistenti dovrebbero restare negli stabilimenti del gruppo siti nell'Europa orientale; durante le trattative, secondo quanto riportato dall'agenzia Ansa del 21 ottobre 2013, la Indesit ha dichiarato di poter riassorbire gradualmente solo 400 lavoratori, con il nuovo piano industriale;
   dal quadro complessivo che emerge dal piano industriale, e dai volumi produttivi assegnati agli stabilimenti italiani del gruppo, non appare verosimile un riassorbimento di tutti i lavoratori che ricorrono agli ammortizzatori sociali;
   nell'accordo sottoscritto il 3 dicembre 2013 non vengono risolti aspetti rilevanti emersi durante la trattativa come il futuro degli stabilimenti italiani, la possibile vendita del gruppo e la salvaguardia dei livelli occupazionali ed è debole l'azione del Governo a salvaguardia dell'occupazione e dei prodotti realizzati in Italia –:
   quali ulteriori misure intenda adottare per salvaguardare gli stabilimenti italiani ed i tessuti produttivi dei territori interessati ed i livelli occupazionali.
(4-02861)


   RIZZETTO, PRODANI, ROSTELLATO, BECHIS e BALDASSARRE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Terna spa, operatore di reti per la trasmissione dell'energia elettrica, realizzerà il progetto del nuovo elettrodotto aereo tra Redipuglia e Udine Ovest;
   si ricorda che tale progetto è stato duramente contestato dai cittadini e dalle amministrazioni comunali coinvolti per il forte impatto ambientale, ritenendo che l'unica alternativa possibile, che potrebbe ridurre le ripercussioni sul territorio e sulla salute dei cittadini, è la realizzazione di un elettrodotto interrato e lontano dai centri abitati;
   a ciò si aggiunge la condotta scorretta, nei confronti degli utenti, che sta attuando Terna s.p.a. attraverso una campagna pubblicitaria, secondo gli interroganti non veritiera, relativa ai presunti vantaggi che comporterà la nuova linea elettrica Udine-Redipuglia;
   a riguardo, la Terna spa ha fatto affiggere, nei territori interessati alla realizzazione dell'elettrodotto, dei cartelloni sui quali si legge a grandi lettere: «Con la nuova linea elettrica Udine-Redipuglia finirà l'eterna lotta tra phon e lavatrice; 600MW di energia in più per imprese e famiglie»;
   si informa quindi i cittadini e le imprese che con la costruzione dell'elettrodotto, avranno una maggiore quantità di energia elettrica e, in particolare, nelle civili abitazioni il vantaggio sarà tangibile potendo utilizzare, contemporaneamente, due elettrodomestici ad alto consumo energetico;
   tuttavia, tali messaggi non sono veritieri poiché la fornitura di energia elettrica dipende dal contratto stipulato con il gestore e, quindi, dai kilowatt di potenza richiesti dall'utente;
   pertanto, la campagna di comunicazione di Terna appare ingannevole ed omissiva e, dunque, sempre ad avviso degli interroganti, illegittima laddove lascia intendere ai cittadini che la costruzione dell'elettrodotto Udine-Redipuglia determinerà, di per sé, una maggiore disponibilità di energia elettrica per le abitazioni e le imprese dei comuni interessati alla costruzione dell'opera;
   la condotta assunta da Terna spa risulta ancora più grave se si considera che il 48 per cento degli investitori della società sono istituzionali, come si evince dal sito web www.terna.it –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della campagna pubblicitaria, ad avviso degli interroganti, illegittima promossa da Terna spa;
   se ritenga, con urgenza, di assumere iniziative per quanto di competenza al fine di determinare l'immediata sospensione della campagna di comunicazione relativa alla nuova linea elettrica Udine-Redipuglia. (4-02862)

Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Zampa n. 1-00156, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 61 del 30 luglio 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, «Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero», così come modificato dall'articolo 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94, ha introdotto nel nostro ordinamento il «reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato»;
    tale reato, oltre che punire una condizione più che una condotta, in sede applicativa nei confronti dei migranti ha determinato la condanna dell'Italia da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo per non aver rispettato il principio del non respingimento, contenuto nella Convenzione di Ginevra del 1951;
    secondo i dati di Famiglia cristiana, che riprende quelli elaborati dalla direzione generale della giustizia penale del Ministero di giustizia, paradossalmente, nel periodo in cui non esisteva il reato sopra menzionato, il numero di espulsioni per coloro che si trovavano in Italia in maniera irregolare era addirittura maggiore: 49 per cento nel 2003 contro il 28 per cento del 2012;
    i centri di identificazione ed espulsione, istituiti dalla legge 6 marzo 1998, n. 40, e previsti dal testo unico sull'immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286), sono strutture di trattenimento degli stranieri in condizione di irregolarità, destinati all'espulsione;
    l'articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, così come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, cosiddetta legge Bossi-Fini, prevede che «quando non sia possibile eseguire con immediatezza l'espulsione mediante accompagnamento», «il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso» il centro di identificazione ed espulsione e che, quindi, tali strutture siano destinate al trattenimento, convalidato dal giudice di pace, dei cittadini stranieri extracomunitari irregolari e destinati all'espulsione;
    dall'8 agosto 2009, con l'entrata in vigore della legge 15 luglio 2009, n. 94 (cosiddetto pacchetto sicurezza), il termine massimo di permanenza degli stranieri in tali centri è passato da 60 giorni a 180 giorni complessivi, rafforzando così la loro natura di luoghi di permanenza obbligatoria, caratterizzandosi come luoghi di detenzione amministrativa delle e dei migranti;
    secondo i dati forniti dalla polizia di Stato, nel 2012 sono stati 7.944 (7.012 uomini e 932 donne) i migranti trattenuti in tutti i centri di identificazione ed espulsione operativi in Italia. Di questi solo la metà (4.015) sono stati effettivamente rimpatriati, con un tasso di efficacia (rimpatriati su trattenuti) del 50,54 per cento. Rispetto al 2010, il rapporto tra i migranti rimpatriati rispetto al totale dei trattenuti nei centri di identificazione ed espulsione è incrementato di appena il 2,3 per cento, mentre rispetto al 2011, l'incremento del tasso di efficacia nei rimpatri è risultato addirittura irrilevante (+0,3 per cento): si conferma, dunque, la sostanziale inutilità dell'estensione della durata massima del trattenimento ai fini di un miglioramento nell'efficacia delle espulsioni;
    il citato articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, al comma 2, dispone che in tali centri lo straniero è trattenuto «con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza e il pieno rispetto della sua dignità»;
    l'articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, specifica che le modalità del trattamento nei centri di identificazione ed espulsione «devono garantire, nel rispetto del regolare svolgimento della vita in comune, la libertà di colloquio all'interno del centro e con visitatore proveniente dall'esterno, in particolare con il difensore che assiste lo straniero, e con i ministri di culto, la libertà di corrispondenza, anche telefonica, ed i diritti fondamentali della persona» e che in tali centri devono essere presenti «i servizi sanitari essenziali, gli interventi di socializzazione e la libertà di culto» e i «servizi predisposti per le esigenze fondamentali di cura, assistenza, promozione umana e sociale»;
    all'interno dei centri di identificazione ed espulsione si sono verificate gravi violazioni dei diritti umani, come denunciato sia da inchieste ed articoli di stampa, sia dalle associazioni di volontariato e dalle associazioni per la tutela dei diritti umani, tra le quali anche Amnesty international e Medici senza frontiere, e fin dall'indagine interministeriale presentata dall'ambasciatore de Mistura nel 2007;
    in particolare, come risulta dall'indagine «Arcipelago CIE» realizzata tra febbraio 2012 e febbraio 2013 da Medici per i diritti umani e pubblicata a maggio 2013, la struttura dei centri di identificazione ed espulsione è simile a quella dei centri di internamento. «L'inattività forzosa per prolungati periodi di tempo, in spazi angusti ed inadeguati, insieme all'incertezza sulla durata e l'esito del trattenimento, rendono il disagio psichico dei migranti uno degli aspetti più preoccupanti e di più difficile gestione all'interno dei centri»;
    da un punto di vista prettamente sanitario, le indagini di Medici per i diritti umani evidenziano che: «In generale all'interno dei CIE non è previsto personale medico specialistico anche laddove sarebbe certamente necessario». I servizi sanitari, erogati in tutti i centri direttamente dagli enti gestori, non sembrano garantire in modo adeguato il diritto alla salute: permangono ostacoli rilevanti nell'accesso alle cure specialistiche e agli approfondimenti diagnostici, dovuti essenzialmente alle caratteristiche di strutture chiuse al mondo esterno dei centri di identificazione ed espulsione;
    oltre all'assistenza sanitaria, gli enti gestori sono tenuti a fornire i servizi di mediazione linguistico-culturale, l'orientamento legale e il supporto socio-psicologico. Gli standard di erogazione di tali servizi sono apparsi non omogenei tra i vari centri e nel complesso insoddisfacenti;
    in una lettera indirizzata al Ministro dell'interno pro tempore, Anna Maria Cancellieri, e datata 11 luglio 2012, gli onorevoli Livia Turco e Roberto Zaccaria hanno riferito circa le visite ispettive, effettuate da parte di alcune delegazioni di parlamentari, all'interno di diversi centri di identificazione ed espulsione presenti sul territorio italiano nel corso del mese di giugno 2012, al fine di avere una conoscenza diretta delle condizioni di permanenza dei migranti trattenuti;
    dalle visite effettuate sono emerse diverse criticità e primariamente un'altissima compressione dei diritti fondamentali: pur in presenza di un titolo di detenzione solo amministrativo, ai fini dell'identificazione, dell'espulsione o del rimpatrio, si è riscontrata la presenza di persone private della libertà personale per lunghissimi periodi di tempo, impossibilitate a svolgere alcun tipo di attività ricreativa, lavorativa, formativa;
    l'assenza di un regolamento «comune» per tutti i centri di identificazione ed espulsione presenti in Italia e la presenza di soli regolamenti adottati dalle prefetture di competenza determinano un diverso grado di flessibilità nei diritti concessi, anche sulla base della diversa interpretazione delle «ragioni di sicurezza»;
    altro dato preoccupante è costituito dalla forte eterogeneità e promiscuità delle persone presenti all'interno dei centri di identificazione ed espulsione: vi si trovano persone che hanno a lungo risieduto legalmente in Italia e che, ad un certo punto, per le ragioni più diverse, hanno perso il permesso di soggiorno (cosiddetti overstayer); richiedenti asilo che hanno inoltrato la domanda dopo essere giunti al centro di identificazione ed espulsione e che, dunque, non sono stati trasferiti in un centro di accoglienza per richiedenti asilo; ex detenuti, a fine pena, che sono stati poi trasferiti nel centro di identificazione ed espulsione in attesa di identificazione o di rimpatrio; nonché numerose persone che sono state a lungo trattenute nei centri di identificazione ed espulsione, poi rilasciate e che, nuovamente fermate, vi rientrano;
    in particolare, ha destato preoccupazione la presenza nei centri di identificazione ed espulsione di un elevato numero di ex detenuti, che dopo aver scontato pene anche di diversi anni, vengono trattenuti per ulteriori lunghi periodi di tempo all'interno dei centri di identificazione ed espulsione, nonostante una direttiva interministeriale del 30 luglio 2007, degli allora Ministri Amato e Mastella, stabilisse che, in linea con le indicazioni dell'allora rapporto De Mistura, l'identificazione per i detenuti dovesse avvenire in carcere, e non più negli allora centri di permanenza temporanea, da considerarsi come luoghi destinati più utilmente al riconoscimento di altri soggetti. Riconoscimento che, comunque, si presenta problematico e che causa un considerevole impiego di forze dell'ordine, sia per gli impegnativi compiti di sorveglianza che per quelli di accompagnamento presso i tribunali competenti;
    tutte le criticità rilevate nel corso delle visite da parte di delegazioni di parlamentari, sono fortemente aggravate dall'allungamento del termine massimo di permanenza all'interno di un centro di identificazione ed espulsione, che, senza riuscire a facilitare il problema dell'identificazione e dei rimpatri, ha finito per creare una sorta di limbo giuridico, caratterizzato dalla negazione di diritti – anche fondamentali –, nel quale i trattenuti possono permanere fino a 18 mesi e al quale occorre urgentemente porre rimedio;
    nel giugno del 2012, in concomitanza con l'emersione di lacune strutturali che avevano portato alla chiusura del «Serraino Vulpitta» di Trapani e del «Malgrado tutto» di Lamezia Terme e di gravi inadempienze contrattuali emerse in numerosi centri, il Ministro dell'interno pro tempore, Anna Maria Cancellieri, ha istituito una task-force, con il compito di analizzare la situazione in cui versano i centri di identificazione ed espulsione, relativamente agli aspetti di carattere normativo, organizzativo e gestionale, al fine di elaborare proposte normative atte a migliorare l'operatività dei centri di espulsione ed assicurarne l'uniformità di funzionamento a livello nazionale;
    precedentemente, nel luglio 2006, con decreto dell'allora Ministro dell'interno, Giuliano Amato, venne istituita la Commissione De Mistura, il cui citato rapporto fu depositato il 31 gennaio 2007. Vale rilevare la diversa composizione delle due commissioni: la Commissione del 2012 è stata composta esclusivamente da funzionari del Ministero dell'interno, mentre la Commissione precedente era composta sia da membri ministeriali che da appartenenti all'associazionismo (una commissione «mista»);
    la Commissione De Mistura operò visitando tutti i centri, incontrando le prefetture, le questure, ascoltando le associazioni dei vari territori, gli enti locali e le persone trattenute; esaminò, inoltre, i documenti che le venivano sottoposti e raccolse direttamente migliaia di dati, anche attraverso l'utilizzo di apposite schede di rilevazione;
    le conclusioni della Commissione De Mistura non trovarono attuazione, né paiono esser state tenute a riferimento nell'impostazione dell'indagine 2012. Le risultanze dei due rapporti appaiono estremamente diverse, così come le conclusioni. Infatti, mentre la commissione De Mistura, dopo avere analizzato tutte le criticità presenti nei luoghi di detenzione amministrativa, concludeva per il «superamento» degli allora centri di permanenza temporanea e assistenza attraverso il loro «svuotamento», la più recente task-force ha elaborato un «documento programmatico», che, pubblicato solo ad aprile 2013, e quindi in fase di dimissioni del Governo, è volto ad implementare i centri di detenzione amministrativa, individuando le criticità prevalentemente imputabili alla condotta delle persone trattenute;
    le soluzioni prospettate nel progetto di revisione del «sistema Cie», tutto condensato in 27 pagine, più allegati, muove dal presupposto della necessità dei centri di identificazione ed espulsione e prevede numerose novità, sia dal punto di vista amministrativo che del funzionamento vero e proprio;
    in tal senso, nel cosiddetto rapporto Ruperto, si coglie una sorta di ulteriore discostamento delle prassi e delle normative sul trattenimento amministrativo in Italia, rispetto alla direttiva 2008/115/CE del Parlamento e del Consiglio, nota come «direttiva rimpatri»;
    infatti, ogni passo del rapporto apre un elemento di problematicità: ad esempio, nel prendere atto del fatto che i centri di identificazione ed espulsione operano con capienza ridotta a causa del danneggiamento dei locali causato dai trattenuti, non affronta il correlato tema per cui il forte ribasso dei corrispettivi previsti dalle convenzioni agli enti gestori ha portato ad una diminuzione del personale degli stessi;
    nel rapporto si annuncia poi che molti immigrati senza documenti potranno essere rimpatriati con maggiore velocità utilizzando non i centri di identificazione ed espulsione, ma i centri di primo soccorso e accoglienza, che, con procedimenti spesso informali, comportano il rischio del ricorso alle espulsioni cosiddette collettive – la cui pratica è da ritenersi illegittima secondo l'articolo 4 del protocollo 4 allegato alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali – in violazione degli stessi accordi di Schengen;
    altro aspetto su cui il rapporto si sofferma molto è la necessità di prevenire e contenere gli atti di ribellione, isolando in appositi spazi i rivoltosi e addirittura i «potenziali» rivoltosi, prevedendo celle speciali in carceri speciali: la grave carenza di spazi e attività ricreative all'interno dei centri di identificazione ed espulsione costituisce uno degli elementi che provoca maggior malessere tra i trattenuti. I drastici tagli nei bilanci a disposizione degli enti gestori, insieme al prolungamento dei tempi massimi di trattenimento a 18 mesi, hanno contribuito ad accrescere la tensione nei centri e a peggiorare ulteriormente le condizioni di vita dei trattenuti nel corso dell'ultimo anno;
    a questo proposito, appaiono quanto mai appropriate e attuali le considerazioni – risalenti al 2008 e contenute nel XVIII Dossier statistico immigrazione di Caritas/Migrantes –: «Proprio la prevista dilatazione della restrizione della libertà di movimento (estensione dei tempi massimi di trattenimento a 18 mesi), tuttavia, forse rivela il vero intento della norma: introdurre una lunga carcerazione preventiva per pochi malcapitati, in modo che serva come monito e deterrente per altri. In realtà, e non solo in Italia, il contrasto dell'immigrazione irregolare ormai entrata sul territorio nazionale si muove secondo logiche casuali e crudeli (...). In definitiva, gli immigrati effettivamente espulsi sono modeste percentuali, e non sono necessariamente i più pericolosi o parassitari»;
    al riguardo, la sentenza 12 dicembre 2012, n. 1410, del tribunale di Crotone, ha stabilito che i protagonisti della rivolta nel centro di identificazione ed espulsione di Crotone – i quali, saliti sul tetto della struttura, hanno lanciato alcuni oggetti contundenti contro le forze dell'ordine – non sono colpevoli di danneggiamento e offesa a pubblico ufficiale in quanto agirono per «legittima difesa» e la reazione degli stranieri alle «offese ingiuste» è da considerarsi proporzionata. Il giudice ha, infatti, scritto che, nel caso dei centri di identificazione ed espulsione, si tratta di «strutture – nel loro complesso – al limite della decenza, intendendo tale ultimo termine nella sua precisa etimologia, ossia di conveniente alla loro destinazione: che è quella di accogliere essere umani. E, si badi, esseri umani in quanto tali, e non in quanto stranieri irregolarmente soggiornanti sul territorio nazionale; per cui lo standard qualitativo delle condizioni di alloggio non deve essere rapportato al cittadino straniero irregolare medio (magari abituato a condizioni abitative precarie), ma al cittadino medio, senza distinzione di condizione o di nazionalità o di razza»;
    precedentemente, la stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 105 del 2001, ha rilevato che: «Per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia dell'immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi i problemi di sicurezza e di ordine pubblico connessi a flussi migratori incontrollati, non può risultarne minimamente scalfito il carattere universale della libertà personale, che, al pari degli altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani»;
    anche il relatore speciale delle Nazioni Unite per i diritti dei migranti, in un rapporto del 2010, denuncia in numerosi Stati l'uso sproporzionato della detenzione nella gestione dell'immigrazione, sottolineando come essa dovrebbe essere utilizzata solo come misura di ultima istanza;
    da ultimo, il caso Alma Shalabayeva ha mostrato come, secondo quanto dichiarato dal Presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato della Repubblica, in un articolo pubblicato su L'Unità del 17 luglio 2013, «accade che la politica dei respingimenti venga praticata con brutale efficienza nei confronti di migliaia di anonimi immigrati e richiedenti asilo» e come, dunque, tale caso istituzionale «potrebbe rappresentare l'occasione per ripensare a fondo la materia e per interrogarsi, in particolare, sulla legittimità di queste forme di rimpatrio: quante espulsioni espongono lo straniero al rischio di trattamenti illegali e crudeli?»,

impegna il Governo:

   a ripensare radicalmente gli attuali strumenti di gestione dell'immigrazione irregolare che risultano inefficaci (per quanto attiene all'effettività dei provvedimenti di espulsione), inutilmente costosi ed altamente lesivi dei diritti umani fondamentali, e ad abbattere i tempi di permanenza nei centri di identificazione ed espulsione, oggi inaccettabili per durata e inutili, oltre il periodo iniziale, all'effettiva identificazione delle persone trattenute;
   ad assumere iniziative per riformare l'intera disciplina dell'ingresso, del soggiorno e dell'allontanamento dei cittadini stranieri, riducendo a misura eccezionale, o comunque del tutto residuale, il trattenimento dello straniero ai fini del suo rimpatrio, a favorire l'opzione del rimpatrio volontario assistito prima di procedere a qualunque forma di allontanamento coatto e a mettere in atto programmi di assistenza al rimpatrio volontario e di reintegrazione nei Paesi di origine, assicurando una capillare informazione su questi programmi;
   ad assumere iniziative per abolire, in particolare, le norme del testo unico sull'immigrazione (decreto legislativo n. 286 del 1998) che penalizzano l'ingresso e il soggiorno irregolare, vale a dire il cosiddetto reato di clandestinità, fermo restando il diritto del Paese, secondo le norme internazionali vigenti, all'espulsione come sanzione amministrativa quando non esistano i requisiti per il soggiorno regolare o per l'accoglimento dell'istanza di protezione umanitaria;
   ad introdurre politiche migratorie atte a garantire effettive possibilità di ingresso regolare e di inserimento sociale, nonché a introdurre meccanismi di regolarizzazione ordinaria;
   ad intervenire sulla disciplina di permanenza, per evitare il trattenimento nei centri di identificazione ed espulsione di coloro che hanno bisogno di protezione, come le vittime di tratta, i minori, i richiedenti asilo;
   a evitare il trattenimento nei centri di identificazione ed espulsione di coloro che, dopo un periodo di detenzione penale, non siano già stati identificati in carcere;
   a garantire che le pratiche necessarie ai fini dell'identificazione e delle eventuali procedure di rimpatrio avvengano nel massimo della trasparenza, garantendo ai profughi (a maggior ragione se minorenni) un'adeguata ospitalità presso centri appositi in cui sia garantita l'assistenza psicologica e legale;
   a garantire il periodico monitoraggio da parte delle prefetture delle reali condizioni di vita nei centri, verificando la congruenza dei servizi offerti con le convenzioni in essere e ad uniformare ed armonizzare i regolamenti e le convenzioni su tutto il territorio nazionale, così da assicurare unità di trattamento nei centri di identificazione ed espulsione;
   a eliminare ogni restrizione e difficoltà al normale ingresso di associazioni umanitarie e organizzazioni non governative all'interno dei centri, al fine di umanizzare le condizioni di vita, sostenere un clima di collaborazione tra tutti i soggetti coinvolti, individuare e sciogliere eventuali problemi sociali non identificabili al momento dell'ingresso, favorire, laddove possibile, il reinserimento sociale, nonché prevenire tensioni;
   ad assumere un'iniziativa normativa organica in materia di asilo nel rispetto dell'articolo 10 della Costituzione.
(1-00156)
(Ulteriore nuova formulazione) «Zampa, Marazziti, Santerini, Schirò, Martella, Civati, Villecco Calipari, Murer, Mogherini, Madia, Cenni, Bellanova, Gozi, Grassi, Lenzi, Carra, D'Incecco, Tullo, Amoddio, Blazina, Incerti, Iori, Carlo Galli, Fabbri, Giuseppe Guerini, Porta, Garavini, Piccione, Cinzia Maria Fontana, Laforgia, Malpezzi, Marco Di Maio, Ghizzoni, Marzano, Pes, Gadda, Senaldi, Gribaudo, Cimbro, Gnecchi, Quartapelle Procopio, Velo, Lattuca, Moscatt, Tentori, Antezza, La Marca, Fiano, Capone, De Micheli, Chaouki, Beni, Biondelli».