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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 4 dicembre 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzione in Commissione:


   La V Commissione,
   premesso che:
    il piano presentato dal Commissario dottor Roberto Cottarelli, nominato dal Consiglio dei ministri il 4 ottobre 2013 ai sensi dell'articolo 49-bis del decreto legislativo n. 69 del 2013, prevede tagli alla spesa pubblica per circa 32 miliardi di euro, articolati in tre anni di esercizio;
    il suddetto piano prevede il taglio dei prezzi di acquisto di beni e servizi attraverso il rafforzamento del ruolo delle centrali di acquisto e l'ottimizzazione delle procedure di spesa; la razionalizzazione dell'utilizzo degli immobili attraverso il taglio delle spese per locazioni, contratti di fornitura dei servizi energetici, dei global service e della manutenzione; la razionalizzazione e l'accorpamento delle amministrazioni centrali; l'incentivazione della mobilità all'interno della pubblica amministrazione; la riduzione dei costi della politica; la riduzione del numero delle società partecipate pubbliche; la riorganizzazione della Presidenza del consiglio e di alcuni suoi dipartimenti; la revisione dei contribuiti sull'editoria;
    il piano prevede esplicitamente dei tagli alla spesa sanitaria che riguarderanno il riassetto organizzativo della rete periferica veterinaria e medica, gli enti vigilati, le centrali di acquisto, i protocolli terapeutici e la revisione dei livelli essenziali delle prestazioni; nonostante il dottore Cottarelli abbia più volte ribadito che non si tratterà di tagli lineari, non vi è alcuna traccia delle misure che concretamente saranno adottate; in particolare, non vi è alcuna indicazioni su quali saranno le categorie di pazienti che saranno interessati dai tagli, non è citata, inoltre, la necessità di ridurre i costi derivanti dalla corruzione e dagli abusi in ambito sanitario, e dalla medicina cosiddetta «difensiva» (fenomeno in virtù del quale il medico, per non incorrere in responsabilità, è solito prescrivere medicinali in eccesso);
    altri interventi sono stati annunciati sulle pensioni; con tagli alle cosiddette «pensioni d'oro» e alle pensioni di reversibilità, e sulla scuola, l'università e la ricerca, attraverso una rivisitazione della dimensione delle scuole, dei criteri di finanziamento dell'università, dell'utilizzo dei docenti inidonei;
    la necessità di revisione della spesa non si può tradurre in ulteriori tagli lineari e in riduzione della capacità dello Stato di portare a termine i propri compiti, a partire dalla scuola e dalla sanità pubblica, sino all'assistenza e alla previdenza;
    come evidenziato dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali Giovannini, la spending review non deve essere intesa come «cutting review», eliminando quelle risorse che permettano, ad esempio, di effettuare ispezioni nelle aziende al fine di assicurare il rispetto dei diritti dei lavoratori;
    risparmi notevoli, stimati da alcuni in 7 miliardi di euro l'anno, si potrebbero realizzare attraverso l'attuazione dell'Agenda digitale, introducendo l'obbligo per i cittadini italiani dell'identità digitale, implementando la fatturazione elettronica e creando l'anagrafe nazionale;
    gli impiegati della pubblica amministrazione hanno in genere una bassa alfabetizzazione informatica, circostanza dovuta ad un'età media alta, dovuta principalmente al blocco del turn over;
    nonostante negli ultimi anni sia stato posto un limite all'utilizzo del contante, abbassando la soglia massima di spesa a 1.000 euro, in Italia non si è ancora riusciti a eliminare l'abitudine all'utilizzo del cash, che ha un costo sociale di gestione stimato in circa 7 miliardi di euro;
    i principi ispiratori della «spending review» vogliono che i tagli non incidano in modo negativo sulla qualità dei servizi assicurati dallo stato;

impegna il Governo:

   ad attuare la spending review per potenziare i servizi offerti dallo Stato ai cittadini, non utilizzando i risparmi di spesa unicamente per ridurre il deficit;
   ad assumere iniziative per riconfigurare i contratti d'appalto di lavori e di forniture al fine di evitare norme «capestro» per le pubbliche amministrazioni;
   a non sottrarre ulteriori risorse alla sanità pubblica, limitando i risparmi alla sola riduzione degli sprechi e intervenendo in modo più deciso nella lotta alla corruzione;
   a non proseguire nel cosiddetto «dimensionamento» scolastico, evitando di innalzare il numero minimo di studenti che le scuole devono avere per essere istituti autonomi;
   ad intervenire nel sistema previdenziale in modo tale da aumentare le pensioni minime, senza tagliare le pensioni di reversibilità, che in Italia costituiscono parte integrante dello stato sociale stante il numero elevato di donne senza lavoro e reddito proprio;
   a porre al centro della «spending review» la piena attuazione dell'Agenda digitale, introducendo l'obbligo per i cittadini italiani dell'identità digitale, implementando la fatturazione elettronica e creando l'anagrafe nazionale;
   a investire sulla formazione e sull'alfabetizzazione informatica della pubblica amministrazione, anche attraverso l'eliminazione del blocco del turn over;
   a valutare di porre un limite all'utilizzo del contante inferiore a quello vigente, potenziando la diffusione di altri strumenti di pagamento virtuali anche per i pagamenti dei cittadini alle pubbliche amministrazioni, rendendolo obbligatorio sopra una certa soglia;
   ad investire le risorse risparmiate per potenziare lo stato sociale.
(7-00194) «Melilla, Boccadutri, Marcon».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta scritta:


   SIBILIA, DI BATTISTA, BARBANTI, PESCO, ALBERTI, TACCONI, SCAGLIUSI e DEL GROSSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   la Repubblica Federativa del Brasile è stata attinta da un rilevante episodio di corruzione economica e politica, che ha coinvolto i vertici del Banco do Brasil;
   tale scandalo, che è peraltro rimasto ed è tuttora al centro delle attenzione dei media nazionali brasiliani è comunemente denominato «scandalo del mensalao»;
   molti soggetti sono stati processati e condannati dall'AG brasiliana in relazione ai reati contestati di corruzione, truffa e malversazione connessi alla vicenda de quo;
   tra costoro, appunto, i funzionari del Banco del Brasile, ed in particolare il suo vertice, dott. Henrique Pizzolato, soggetto avente doppia cittadinanza (brasiliana ed italiana);
   Pizzolato ha deciso di sottrarsi all'esecuzione delle pena definitiva irrogata dal giudice brasiliano (anni dodici di detenzione) ed è riparato in Italia per sfuggire alla carcerazione, dopo aver pubblicato una lettera aperta ai media nazionali, nella quale protesta la propria innocenza e dice di richiedere un nuovo processo in Italia;
   nel frattempo, sembra che, quasi contemporaneamente ai fatti in parola, il Governo Letta intenda procedere alla conclusione del Trattato bilaterale per la consegna dei detenuti, oggetto di negoziazione diplomatica dal 2008. Lo schema del Trattato risulta sottoposto dal Governo al potere legislativo per l'atto di ratifica;
   è da rappresentare che l'opinione pubblica brasiliana è risentita per la fuga, e nel Paese è in corso una densa polemica – anche mediatica – relativa al fatto che la ratifica del Trattato sopra citato sia stata sollecitata al fine di consentire un salvacondotto a Pizzolato, anche per mezzo della applicazione dell'articolo 13 che, secondo alcune interpretazioni, prevede la facoltà dello Stato richiesto di concedere la grazia al condannato brasiliano rispetto alla condanna emessa dal giudice del Paese richiedente;
   da ultimo, come è dato evincere da una corposa rassegna stampa, i media brasiliani hanno sollecitato la Presidenza del Consiglio dei ministri sia a confermare la presenza di Henrique Pizzolato nel territorio nazionale della Repubblica italiana sia ad esprimere una posizione circa l'affare Pizzolato e l'eventuale estraneità di scopo tra l'accelerazione dell'attività diplomatica bilaterale circa il trattato e la vicenda di cui si tratta –:
   se il Governo sia o meno a conoscenza della presenza sul territorio italiano del dottor Henrique Pizzolato, anche alla base della rilevanza del caso «mensalao» innanzi alla opinione pubblica brasiliana, nonché in relazione alla prassi estradizionale sussistente tra la Repubblica italiana e la Repubblica Federale del Brasile;
   se il Governo italiano abbia ricevuto, in via diplomatica, richieste dal Governo brasiliano circa: informazioni inerenti lo status, la condizione personale o giuridica del sopraddetto Pizzolato nel territorio italiano ovvero se, in qualsivoglia forma, siano stati avanzati negoziati diplomatici preliminari, diretti alla consegna dello stesso alla Repubblica Federale del Brasile;
   se a giudizio del Governo, il caso di specie Pizzolato possa essere incluso nelle fattispecie regolate e previste dallo schema di Trattato bilaterale per la consegna dei detenuti, trasmesso al Parlamento per la ratifica;
   per quali motivi a seguito di richieste e sollecitazione dei media internazionali, il Governo abbia omesso di esprimere una posizione ufficiale intorno ai punti precedenti. (4-02826)

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DI BATTISTA, MANLIO DI STEFANO, TACCONI, DEL GROSSO, SIBILIA e SCAGLIUSI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   gli Istituti italiani di cultura all'estero (IIC), ai sensi della legge 22 dicembre 1990, n. 401, attendono alla promozione e alla diffusione della cultura e della lingua italiane all'estero e sono istituiti nelle capitali e nelle principali città degli Stati con i quali l'Italia intrattiene relazioni diplomatiche;
   la legge n. 401 del 1990, all'articolo 7, comma 2, stabilisce che, per il perseguimento delle finalità normativamente individuate, gli Istituti di cultura sono dotati di autonomia operativa e finanziaria;
   il comma 3 dell'articolo 7 della predetta normativa, prescrive che «criteri generali dell'organizzazione e del funzionamento degli Istituti sono stabiliti in un regolamento emanato con decreto del Ministro» il quale disciplina «anche le modalità della gestione finanziaria ed economico-patrimoniale degli Istituti, fermo restando l'obbligo per gli Istituti stessi di trasmettere annualmente ai Ministeri degli affari esteri e del tesoro, tramite la rappresentanza diplomatica o l'ufficio consolare competente un conto consuntivo, corredato di una relazione sull'attività svolta»;
   in forza delle disposizioni di cui alla citata legge, è stato emanato il decreto ministeriale 27 aprile 1995, n. 392, secondo il quale (articolo 20) il bilancio di previsione – elaborato dagli istituti, entro il 10 ottobre dell'anno precedente cui si riferisce il bilancio stesso – deve essere trasmesso entro il 20 ottobre alla rappresentanza diplomatica o all'ufficio consolare i quali, nei successivi trenta giorni, devono ulteriormente trasmettere il bilancio al Ministero degli affari esteri (che infine «comunica l'approvazione o il proprio eventuale difforme parere agli istituti»);
   inoltre, con riferimento al conto consuntivo – che comprende il rendiconto finanziario di cui all'articolo 42 decreto ministeriale 395/1995 nonché, in allegato, il riassunto generale del movimento amministrativo di cui al successivo articolo 44 decreto ministeriale 395/1995 – l'articolo 41 del succitato regolamento ministeriale, stabilisce che «il conto consuntivo, accompagnato dalla relazione illustrativa del direttore dell'istituto e dagli allegati... è predisposto entro il 30 del mese di aprile successivo alla chiusura dell'esercizio finanziario» (articolo 41, commi 1 e 3); il conto stesso, in seguito, «viene trasmesso dall'istituto entro trenta giorni... per il tramite della rappresentanza diplomatica o dell'ufficio consolare competente al Ministero degli affari esteri – Direzione generale delle relazioni culturali, ed al Ministero del tesoro – Ragioneria centrale presso il Ministero degli affari esteri»;
   in favore degli IIC viene stanziata, a bilancio, una dotazione pari a circa 12 milioni di euro;
   nell'ottica del processo di spending review, che sta interessando anche il Ministro degli affari esteri, sono stati preannunciati tagli lineari al predetto stanziamento;
   a fronte dell'autonomia finanziaria di cui gli IIC godono, risulta, all'interrogante, che molti istituti presentino bilanci in attivo e, pertanto, al fine di evitare tagli indiscriminati, è necessario prendere visione della documentazione contabile di tutti gli IIC;
   l'interrogante, dunque, ha tentato di accedere, facendone opportuna richiesta al Ministero degli affari esteri, alla documentazione contabile degli IIC relativamente all'anno 2012;
   in esito alla predetta richiesta è stato unicamente possibile visionare i rendiconti finanziari di soli 7 istituti sui 90 che attualmente coprono l'intera rete italiana;
   i bilanci e la documentazione contabile degli IIC, ai sensi della legge 401 del 1990 e del relativo regolamento ministeriale, dovrebbero invece essere nella piena disponibilità del Ministro degli affari esteri e inoltre, considerato lo stanziamento di pubbliche risorse, dovrebbero altresì essere di pubblico dominio;
   conoscere l'effettiva gestione e utilizzo delle risorse stanziate in favore degli istituti di cultura potrebbe scongiurare la chiusura di istituti i quali, invece, hanno, nella maggior parte dei casi, un ruolo di grande rilevanza nella promozione della cultura e della lingua italiana;
   il Ministero degli affari esteri, ex articolo 3, comma 1, lettera d), «svolge, anche tramite le rappresentanze diplomatiche e gli uffici consolari, in conformità a quanto previsto nella presente legge e nel quadro dei rapporti politicodiplomatici che l'Italia ha con gli altri Stati, funzioni di indirizzo e di vigilanza»;
   di conseguenza, il Ministero degli affari esteri, quale organo che esercita, in via continuativa, la vigilanza sull'attività e sulla gestione degli Istituti oggetto del presente atto di sindacato ispettivo, dovrebbe essere ampiamente in grado di reperire e di consentire l'accesso alla predetta documentazione contabile –:
   se il Ministro interrogato abbia correttamente esercitato la funzione di vigilanza sugli IIC, normativamente sancita dalla legge 401 del 1990, e con quali modalità;
   se sia a conoscenza della situazione descritta in premessa relativa alla irreperibilità dei bilanci e della documentazione contabile degli IIC e se sia stata rigorosamente applicata la normativa di cui alla legge 401 del 1990 e al relativo decreto ministeriale 392 del 1995 circa la presentazione e trasmissione del bilancio preventivo e del conto consuntivo di ciascun IIC;
   quali iniziative, alla luce di quanto sopra evidenziato, abbia assunto e intenda assumere per porvi rimedio;
   per quali ragioni la documentazione contabile relativa agli IIC non sia di semplice reperibilità e comunque di pubblico dominio e, pertanto, se non consideri opportuno, sulla base delle argomentazioni di cui alla premessa, rendere immediatamente pubblici i bilanci e tutta la documentazione contabile degli IIC di cui alla legge 401 del 1990 e al relativo decreto ministeriale 392 del 1995 anche mediante pubblicazione sul sito internet del Ministro degli affari esteri. (5-01650)


   QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   Roberto Berardi, un imprenditore italiano che lavorava in Guinea Equatoriale è rinchiuso nel carcere di Bata da ormai dieci mesi in condizioni igieniche ed umane decisamente critiche, senza poter ricevere visite, cure mediche e cibo sufficienti. Ha contratto già 5 volte la malaria;
   Berardi è stato arrestato il 18 gennaio scorso con l'accusa di frode fiscale e condannato a 2 anni e 4 mesi di carcere o al pagamento di 1,2 milioni. I motivi della detenzione sono assolutamente poco chiari e sono connessi all'attività lavorativa di imprenditore edile iniziata in questo Paese nel 2011 attraverso la società Ebola Construction di cui socio di maggioranza era Teodorìn Nguema Obiang Mangue, figlio del presidente della Guinea Equatoriale Teodoro Obiang Nguema Mbasogo;
   la Repubblica di Guinea Equatoriale è guidata da Teodoro Obaing Nguema Mbasogo che prese il potere nel 1979 in seguito ad un colpo di Stato procedendo poi a una riforma della Costituzione concedendo al presidente estesi poteri politici come la possibilità di sciogliere la Camera dei rappresentanti o dichiarare legale il solo Partito Democratico della Guinea Equatoriale di cui lo stesso Mbasogo fa parte;
   la Repubblica di Guinea Equatoriale è uno dei Paesi più repressivi dell'Africa, secondo l'ultimo rapporto di Amnesty International «le libertà di espressione e di stampa sono limitate, gli attivisti politici e le persone critiche nei confronti del governo subiscono vessazioni, arresti arbitrari e detenzioni»;
   la Francia ha spiccato un mandato di cattura internazionale nei confronti di Teodorìn Obiang per appropriazione indebita di fondi pubblici e riciclaggio di denaro e negli Stati Uniti è in corso un processo contro di lui;
   le condizioni di Roberto Berardi destano legittime preoccupazioni nella famiglia che in queste settimane chiede a gran voce al nostro Governo di intervenire;
   parrebbe a mezzo stampa che la Farnesina avrebbe dichiarato che l'assistenza consolare e l'azione di sensibilizzazione è avvenuta attraverso l'Ambasciata italiana in Camerun e per il tramite del console spagnolo a Bata. Inoltre, l'ambasciata avrebbe sensibilizzato il Nunzio Apostolico in Camerun, accreditato anche in Guinea Equatoriale ad intervenire presso il presidente della Repubblica Teodoro Obiang;
   la famiglia di Roberto Berardi non ha ricevuto ancora nessun aggiornamento in merito all'evolversi di questi contatti –:
   quali esiti abbiano prodotto sinora le trattative diplomatiche con la Repubblica di Guinea della Farnesina e del Nunzio Apostolico e quali ulteriori iniziative il Governo intenda assumere per garantire il pieno sostegno a Roberto Berardi in merito alla protezione consolare del condannato riguardo tutte le forme di assistenza previste dal nostro ordinamento, incluse le visite al detenuto, oltre che la puntuale informazione ai famigliari sulla sua situazione medico-sanitaria. (5-01651)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MANLIO DI STEFANO, SPADONI, GRANDE, SCAGLIUSI, DI BATTISTA e DEL GROSSO. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 12 novembre 2013, un servizio del programma televisivo «Le iene» si è occupato della drammatica vicenda che ha come protagonisti la signora Alice Rossini residente a Vimercate (MB), l’ex marito Mohammed Kharat (cittadino siriano) e la loro figlia di quattro anni Houda Emma; va ricordato che il 18 dicembre 2011, Mohammed Kharat sottraeva la piccola Houda (che allora aveva due anni) alla madre facendone perdere ogni traccia;
   tra l'altro, la piccola Houda Emma Kharat è esclusivamente cittadina italiana, non avendo alcun riconoscimento nello Stato siriano, con la precisazione che la signora Alice Rossini e il signor Kharat risultano coniugati (ora separati) solo in Italia, non avendo trascritto il matrimonio in Siria, che è dominato da una legge (cosiddetta sharia) che non riconosce e contrasta con i princìpi dell'ordinamento giuridico italiano; peraltro, la minore in forza della nota situazione che ha colpito lo Stato siriano dilaniato dalla guerra civile, si vede sottoposta ad un tangibile pericolo di vita e incolumità personale;
   a seguito della condotta del signor Kharat, le autorità giudiziarie italiane hanno dapprima dichiarato la decadenza della potestà genitoriale dello stesso (decreto del tribunale per i minorenni di Milano del 13 marzo 2012, n. 2429/12), e successivamente in sede di separazione giudiziale dei coniugi affidato in via esclusiva la minore Houda Emma alla madre (sentenza n. 1558/13 – tribunale ordinario di Monza);
   come diretta conseguenza, la procura della Repubblica di Monza emetteva mandato di cattura internazionale (cosiddetto MAE), dopo emissione di ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti del reo – oggi – confesso;
   l'inviato de «Le iene», dopo aver parlato con la signora Rossini e dopo aver rintracciato lo zio di Mohammed Kharat, ha, prima, telefonato e poi incontrato lo stesso Kharat (ricercato internazionale) presso un imprecisato luogo sito al confine turco-siriano;
   Mohammed Kharat, mostrando in video una serenità inquietante, dopo aver rassicurato l'inviato sulle condizioni di salute di Houda, ha confessato di aver lasciato l'Italia (destinazione Atene e poi Damasco) senza possedere alcun documento di identità valido in compagnia di una donna italiana, Sabrina Colnaghi di Cornate d'Adda (MB) e della piccola Houda, anch'essa sprovvista di un documento di riconoscimento valido per l'espatrio; ha anche affermato, addirittura, di aver viaggiato sulla stessa tratta Milano/Malpensa-Atene (volo EasyJet) la settimana precedente al 18 dicembre 2011 al fine di «testare» la fattibilità del suo piano;
   il signor Kharat si è detto disposto a riportare in Italia la bambina a patto che venga ritirato il mandato di cattura internazionale nei suoi confronti e che gli venga rilasciato un passaporto italiano –:
   come sia stato possibile il fatto che una trasmissione televisiva sia arrivata dove, in due anni, non è arrivata né la polizia di Stato, né l'Interpol, né l'ambasciata d'Italia a Damasco;
   come sia possibile che una persona sprovvista di un documento d'identità valido e con due denunce a carico per violenza domestica e aggressione, abbia lasciato l'Italia bypassando ogni tipo di controllo;
   come intenda, a fronte delle richieste dell'uomo, il Governo intervenire per riportare a casa la piccola Houda Emma.
(4-02820)


   PICCHI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   dalla stampa si apprende che una cittadina italiana affetta da disabilità psichica sia stata sottoposta sotto ordine dell'autorità giudiziaria del Regno Unito a parto cesareo e che per la figlia sia stata disposta l'adottabilità;
   la bambina di cui è stata disposta l'adozione è cittadina italiana e come tale deve essere tutelata dalla nostro Paese e secondo le normative italiane –:
   quali azioni intenda intraprendere per sostenere la tutela legale e assistere il rientro in Italia della connazionale e di sua figlia;
   quali siano state le circostanze che hanno prodotto l'esito dell'intervento dell'autorità inglese e che cosa avrebbe potuto essere fatto per evitarlo. (4-02823)


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   nella giornata del 28 novembre la polizia polacca ha provveduto al fermo di 149 tifosi italiani arrivati a Varsavia per vedere la partita di Europa League tra il Legia e la SS Lazio, ancora prima che la partita avesse inizio;
   tra i fermati, ai quali al momento del fermo e nelle ore immediatamente successive non era stata comunicata alcuna motivazione ufficiale per il provvedimento di custodia, si trovavano anche donne, bambini e persino disabili;
   secondo le dichiarazioni della polizia polacca, in quelle prime ore erano in corso le «identificazioni personali e i preparativi per i procedimenti penali»;
   nel frattempo, le notizie che giungevano in Italia, e ai familiari dei fermati, erano frammentarie e contraddittorie, e persino l'esatto numero dei fermati appariva poco chiaro, posto che la locale ambasciata italiana ha parlato, nelle stesse ore, prima di 149, poi di 147, e infine di 137 persone trattenute dalla polizia, che dovevano essere «processate per direttissima e poi espulse dal paese»;
   invece, sempre nello stesso giorno, ha avuto luogo il rilascio di un primo gruppo di persone, in numero imprecisato, circa «una trentina», e successivamente sono stati rilasciati anche quasi tutti gli altri tifosi, ma solo dopo essere stati trattenuti per un periodo di 24/48 ore e in seguito al pagamento di un'ammenda;
   i tifosi laziali condannati dai giudici polacchi, a pene che vanno dai 2 ai 6 mesi di carcere, sono – sembrerebbe – una decina, e, a quanto consta all'interrogante, altri 22 sarebbero attualmente detenuti presso il carcere di Bialoleka in attesa del processo, e non è ancora chiaro se nelle more saranno rimessi in libertà;
   diversi cittadini tra quelli fermati hanno denunciato di aver subito maltrattamenti, e non appare chiaro se nei confronti dei connazionali siano state rispettate tutte le norme in materia di diritto di difesa e di equo processo previste sia dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea sia dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo;
   la polizia polacca sembra aver condotto una sorta di azione preventiva, forse disposta per paura che ci fossero reazioni italiane allo scempio che era stato perpetrato dai tifosi polacchi solo un paio di settimane prima, a Roma, in occasione della partita d'andata;
   se azione preventiva è stata non appare comunque chiaro sulla base di quali norme di legge sia stata effettuata, posto che quasi l'85 per cento dei tifosi fermati era del tutto estraneo ai fatti;
   solo tre giorni dopo l'accaduto il Ministro interrogato ha ritenuto necessario prendere contatti diretti con il suo omologo polacco –:
   per quali motivi si sia assistito a quella che all'interrogante appare una perlomeno iniziale inerzia del Ministero degli affari esteri di fronte ai gravissimi fatti di cui in premessa;
   quali iniziative intenda assumere al fine di acquisire elementi in merito alla regolarità delle procedure seguite da parte delle autorità polacche nella vicenda dei cittadini fermati;
   in che modo intenda attivarsi al fine di ottenere il tempestivo rilascio e il rientro in Italia dei 22 cittadini ancora trattenuti in Polonia, che peraltro si trovano in carcere pur essendo solo in attesa di giudizio;
   quali iniziative intenda assumere in ambito europeo ed internazionale al fine di stigmatizzare il gravissimo comportamento tenuto dalle autorità polacche in questa vicenda. (4-02825)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CICU. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di settembre 2013 la Sogaer, che gestisce l'aeroporto di Cagliari, ha firmato un contratto di programma con l'Ente nazionale per l'aviazione civile con il quale vengono destinati 14 milioni di euro per il miglioramento dello scalo di Cagliari. Tra i lavori previsti vi sono quelli relativi agli interventi sull'aerostazione, alla viabilità interna ed esterna, ai parcheggi, all'ampliamento del multipiano e all’hangar;
   è da ricordare, infatti, come il numero dei passeggeri dello scalo di Cagliari sia notevolmente aumentato. A tal proposito si ricorda che, nel 2013, il traffico passeggeri sia aumentato del 2,8 per cento rispetto all'anno precedente: a fare crescere il traffico sono state sicuramente le dieci nuove rotte internazionali aperte quest'anno;
   in particolare, si segnala che il traffico passeggeri nei mesi di giugno e luglio 2013 ha fatto registrare un balzo di arrivi e di partenze del 3,80 per cento rispetto agli stessi mesi del 2012;
   tutto ciò dimostra come sia fondamentale ed urgente approvare la procedura di compatibilità ambientale per ampliare l'aeroporto di Cagliari diventato, nel corso degli anni, uno scalo di grande importanza per tutta la Sardegna;
   a tal proposito, in relazione agli interventi previsti nel master plan per l'ampliamento dell'aeroporto di Cagliari, si ricorda che Commissione tecnica VIA del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ha emesso il proprio parere positivo, con prescrizioni, nel corso della seduta plenaria del 14 dicembre 2012; copia conforme di tale parere è stato trasmesso al Ministro e alla direzione generale per le valutazioni ambientali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   tale ultimo atto conclude un’iter approvativo attivato con richiesta di avvio della procedura di compatibilità ambientale inoltrata con nota del 10 agosto 2011 da parte dell'Enac;
   la documentazione presentata è stata integrata al fine di favorire maggiori dettagli sulla valutazione dei diversi impatti, sulle modalità di indagine adottate, nonché sulle metodologie di verifica e contenimento degli impatti, previsti in corso d'opera e a regime;
   sono stati, altresì, integrati i documenti progettuali al fine di rispondere alle richieste del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo che, a seguito delle necessarie verifiche, ha espresso parere favorevole, con prescrizioni alla realizzazione degli interventi del master plan dell'aeroporto di Cagliari;
   ad oggi, quindi, completate le procedure suddette, per la definitiva approvazione della procedura di compatibilità ambientale è necessario che venga emesso il decreto interministeriale di approvazione a firma del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   quest'ultimo atto condiziona il processo di approvazione del master plan ai sensi della legge n. 25 del 1995 ed il conseguente utilizzo, da parte della società di gestione dell'aeroporto di Cagliari, dei finanziamenti a disposizione a valere sui capitoli di spesa comunitari, la cui scadenza è fissata entro il 2014 –:
   quali siano, allo stato attuale, le intenzioni dei Ministri interrogati per il completamento dell’iter per l'approvazione della procedura di compatibilità ambientale. (5-01645)


   GRANDE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – permesso che:
   la società ENEL produzione spa – di seguito Enel – è proprietaria e gestisce nel comune di Civitavecchia (RM) la centrale termoelettrica Torrevaldaliga Nord. La centrale ha una potenza installata di 1.980 Mw distribuiti su tre gruppi da 660 Mw alimentati a carbone, con accensioni e fasi di combustione instabile alimentate a gas naturale;
   nell'esposto alla Unione europea, presentato nel mese di febbraio 2013 dall'Associazione italiana medici per l'ambiente (ISDE) e dal MoVimento 5 Stelle riguardante inadempimenti del diritto comunitario in merito alle opere di compensazione previste per la centrale elettrica di Torrevaldaliga Nord, veniva già puntualizzato come in un'articolo pubblicato recentemente sulla nota rivista internazionale AP Joumal of Cancer prevention si evidenziasse che vivere in prossimità di linee elettriche ad alta tensione aumenta il rischio di ammalarsi di leucemia linfatica acuta;
   il decreto di valutazione impatto ambientale del Ministero dell'ambiente e delle tutela del territorio e del mare 680 del 4 novembre 2003 ha prescritto al gestore la calendarizzazione e la realizzazione di opere compensative, intesi come «progetti la cui realizzazione da parte di Enel sarà considerata vincolante per la prosecuzione dei lavori di realizzazione e l'esercizio della centrale», quali la «variante in ambito urbano del tratto finale della linea a 150 kV 5. Lucia-Civitavecchia di proprietà della società TERNA, prima della sottostazione elettrica di Fiumaretta, con innesto nella adiacente stazione FF.SS. e con lo smantellamento del tratto di linea dismesso», «interramento del tratto finale della linea a 150 kv Vigna Turci-Civitavecchia di proprietà della società Enel distribuzione, in corrispondenza del quartiere San Liborio», «interramento del tratto iniziale della linea a 150 kv Civitavecchia-Santa Marinella, di proprietà della società Enel distribuzione, in corrispondenza del quartiere San Gordiano», «realizzazione del Parco dei serbatoi, della pista ciclabile e del porticciolo, da diporto». Tali progetti dovevano essere trasmessi anche al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, individuando le modalità atte ad anticipare almeno parte della loro realizzazione prima della chiusura del cantiere della centrale;
   nella lettera del Ministero dello sviluppo economico protocollo n. 0004890 – 7 marzo 2011 si dichiara che vista l'impossibilità di realizzazione del porticciolo da diporto si rende necessaria l'individuazione di interventi di egual valore dal punto di vista della compensazione ambientale, atti ad ottemperare alla prescrizione di cui trattasi;
   nel parere n. 1099 del 30 novembre 2012, della commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale viene espresso un orientamento positivo rispetto alla realizzazione nell'area ex parco serbatoi di una zona verde di 40 ettari. Inoltre, secondo tale parere, se l'area fosse contaminata, il gestore dovrà effettuare una indagine per accertare il livello delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) per il suolo, il sottosuolo e le falde acquifere in relazione alla destinazione d'uso;
   nel decreto di autorizzazione integrata ambientale per la centrale Enel di Torrevaldaliga Nord, prot. n. 0000114 del 5 aprile 2013, è stato attestato che «possono concretizzarsi esposizioni lungo le linee elettriche di collegamento dell'impianto alla rete nazionale. Le linee di collegamento appartengono alla società Terna, i campi elettrici e magnetici derivanti dall'esercizio di queste linee non sono quindi sotto il diretto controllo del Gestore –:
   quale sia, nel dettaglio, lo stato dei lavori di interramento per le linee elettriche di proprietà Terna e quali siano i tempi previsti per il completamento;
   con quale compensazione ambientale si pensi di sostituire il porticciolo da diporto previsto in valutazione di impatto ambientale;
   quale sia il cronoprogramma dettagliato comprensivo delle eventuali attività di bonifica o caratterizzazione delle matrici ambientali delle aree coinvolte per il completamento delle suddette opere previste in valutazione impatto ambientale. (5-01646)


   BRATTI e BRAGA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il collegamento ferroviario tra Arcisate-Stabio riguarda la realizzazione di un nuovo raccordo a due binari per una lunghezza di circa 3,6 chilometri nel territorio italiano, che permette di connettere l'esistente linea Varese-Porto Ceresio all'altezza di Arcisate, con il tronco ferroviario Stabio-Mendrisio in territorio elvetico;
   i lavori di realizzazione di questa infrastruttura, fortemente attesa dal territorio, mentre proseguono regolarmente in territorio svizzero, hanno subìto alcuni mesi fa un blocco sul versante italiano, a causa della richiesta di rescissione del contratto presentata dalla ditta esecutrice ICS Salini a RFI, in qualità di committente dell'opera;
   motivo dell'interruzione è stato il problema emerso in relazione allo stoccaggio del materiale di cantiere; la presenza di materiale inquinante (arsenico), come certificato da indagini compiute dall'Arpa territorialmente competente, ha reso impossibile il conferimento delle terre di scavo secondo quanto inizialmente previsto, nella ex-cava Rainer in territorio di Arcisate, causando una situazione di stallo che si è protratta per mesi;
   solo recentemente i lavori sono ripresi, ma solo in parte, mentre entreranno a regime nel gennaio 2014; al momento sono infatti esclusi gli scavi in galleria, in attesa che si definisca l'accordo definitivo sul conferimento del materiale di scavo; da quanto si apprende a seguito di un incontro tra regione Lombardia e i rappresentanti del Governo del Canton Ticino, sono state avviate le procedure autorizzative necessarie per l'approvazione del CIPE del piano aggiornato di utilizzo delle terre da scavo e la modifica del piano di finanziamento;
   in relazione alla precedente fase di conferimento nella ex-cava Rainer delle terre da scavo, risulterebbe aperta presso la procura della Repubblica di Varese un'indagine per la presenza di materiale contenente arsenico che potrebbe configurare il pericolo di grave danno ambientale, con rischio di inquinamento della falda acquifera;
   a tale proposito la stampa locale ha dato grande rilievo alla presenza in data 17 settembre 2013 presso l'ufficio del sostituto procuratore Agostino Abate del presidente della regione Lombardia Roberto Maroni e dell'avvocato Attilio Fontana;
   a seguito di questo incontro, così definito dal presidente della regione Lombardia e così riportato dalla stampa («il governatore ieri in procura a Varese per i dettagli dell'inchiesta»), senza che nessuna smentita vi sia stata da parte del Procuratore della Repubblica di Varese, unica persona che per norme dell'ordinamento giudiziario può intrattenere relazioni istituzionali e può fornire notizie o smentite alla stampa – il presidente Maroni ha dichiarato: «ho voluto capire la situazione perché da questo momento prendo in carico la vicenda» –:
   se sia noto al Ministro interrogato se l'incontro descritto sopra rientri in un programma definito per risolvere i gravi rischi ambientali e sanitari collegati alla presenza di arsenico nelle terre e rocce da scavo;
   se il Ministero tramite il Comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente ha verificato l'ipotesi di un utilizzo illegale delle terre derivanti dall'opera realizzata;
   se si siano verificate le condizioni di danno ambientale così come previsto dall'articolo 18 della legge n. 346 del 1986.
(5-01655)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 10 novembre 1999 la società Isosar srl (incorporata da Energas spa) depositò presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare istanza di valutazione di impatto ambientale per la realizzazione di un deposito costiero di GPL nel territorio del comune di Manfredonia (FG);
   in data 25 ottobre 2013 la società Energas spa ha depositato aggiornamento istanza di valutazione di impatto ambientale presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, la regione Puglia, la provincia di Foggia e il comune di Manfredonia;
   trattasi di un deposito costiero di GPL a sud di Siponto, vicino ad una zona umida fra le più importanti d'Europa, con annessi gasdotto interrato di collegamento al terminale marittimo di lunghezza pari a 10 chilometri (5 chilometri su terraferma e 5 chilometri su parte sottomarina) e raccordo ferroviario di circa 1,5 chilometri con la Vicina stazione delle FS di Frattarolo;
   l'area industriale interessata dalla realizzazione ricade in zone SIC e ZPS «Valloni e steppe Pedegarganiche» –:
   quali iniziative si intendano assumere, per quanto di competenza, nei confronti della richiesta di insediamento di tale infrastruttura in un territorio già significativamente interessato dalla presenza di attività ambientalmente impattanti. (4-02799)


   D'INCÀ, L'ABBATE, COZZOLINO, BASILIO, ALBERTI, LOREFICE, TERZONI, DE LORENZIS, ZOLEZZI, BUSINAROLO, PARENTELA, TOFALO, BRUGNEROTTO, DE ROSA, DA VILLA, SPESSOTTO, BENEDETTI e FRUSONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   attualmente in Italia e soprattutto lungo tutto l'arco alpino, gli impianti mini idroelettrici – centrali idroelettriche di potenza inferiore ad 1 megawatt – rappresentano circa l'85 per cento del numero degli impianti esistenti e solo il 5 per cento della potenza istallata;
   il bacino del Piave è il più sfruttato d'Europa con circa il 90 per cento dell'acqua utilizzata per uso idroelettrico e irriguo;
   tale utilizzo comporta già una drastica riduzione della portata idrica a causa dei molti impianti posti «in serie» lungo il corso del fiume e dei suoi affluenti;
   tale sconsiderato sfruttamento ha già modificato drasticamente l’habitat naturale causando un incontestabile impoverimento della qualità ecosistemica e paesaggistica dei corpi idrici interessati;
   la compromissione degli ecosistemi, con un paesaggio banalizzato e deturpato dei corsi d'acqua, si ripercuoterà sulle attività economiche locali quali la pesca e il turismo;
   oltre 100 nuovi impianti mini idroelettrici sono in autorizzazione nella sola provincia di Belluno;
   la provincia di Belluno contiene la maggior parte dei siti Unesco delle Dolomiti e i detti impianti verranno realizzati nelle valli di accesso a questi siti;
   il territorio della provincia di Belluno ricade per oltre il 50 per cento nelle rete delle zone Natura 2000 per la protezione della biodiversità e oltre la metà degli impianti progettati interessa queste zone che sono siti di importanza comunitaria e zone di protezione speciale;
   quanto descritto provocherà la distruzione degli ultimi corsi d'acqua – o loro tratti – che godono ancora di elevata naturalità senza produrre alcun vantaggio significativo dal punto di vista energetico;
   la regione Veneto non ha ancora recepito adeguatamente quanto previsto dalla direttiva europea 60/2000 e la procedura autorizzativa allo stato non tiene adeguatamente conto degli obiettivi di «non peggioramento dello stato qualitativo dei corpi idrici» previsti della direttiva stessa;
   i vantaggiosi incentivi statali generano adesso il proliferare del «mini idro» – centrali idroelettriche di potenza inferiore ad 1 megawatt;
   i contributi statali, che apparirebbero sovradimensionati, generano ad avviso degli interroganti speculazioni, in sede di concessioni, da parte delle compagnie operanti;
   a parità di condizioni, le tecnologie come il fotovoltaico, soprattutto se inserito sulle coperture degli edifici e in autoconsumo, producono energia esente da speculazioni con un impatto ambientale notevolmente minore, generando un vantaggio economico diffuso e a livello locale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra esposto;
   se e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere al fine di limitare l'industrializzazione dei corsi d'acqua, e di salvaguardare uno degli ambienti paesaggistici più belli d'Italia;
   se ritenga ancora utile e conveniente la tecnologia dell'idroelettrico con impianti inferiori ad 1 megawatt;
   se ritenga opportuno assumere iniziative per rivedere il sistema degli incentivi per il «mini-idro» al fine di scoraggiare il proliferare indiscriminato di domande che correrebbero il rischio di essere inoltrate a prezzi più speculativi;
   se ritenga opportuno investire sul risparmio di energia piuttosto che sulla produzione, così come auspicato dall'Unione europea;
   se ritenga di assumere iniziative, attesa la maggiore efficienza delle moderne centrali idroelettriche, per incentivare la modernizzazione di ciò che già esiste piuttosto che costruire nuove centrali;
   se non intenda promuovere una immediata moratoria su tutte le concessioni (in atto e in divenire), allo scopo dichiarato di riverificarne la compatibilità con le più recenti normative e indicazioni europee. (4-02819)

DIFESA

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della difesa, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro della salute, il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
   in Italia, tra tumori e malattie asbesto correlate, l'amianto uccide oltre 4000 persone all'anno (11 morti evitabili al giorno). Nel 2008, il IV Rapporto ReNaM ha stati censito 1422 nuovi casi di mesotelioma maligno, la punta dell’iceberg delle esposizioni professionali e ambientali all'amianto, con un trend dell'incidenza in costante aumento che porterà ad aumentare questi «numeri» fino al 2018/2020, continuando poi a mietere vite umane, dal completamento delle agognate bonifiche, per un altro mezzo secolo ancora;
   anche le forze armate e tutto il Comparto difesa è travolto da questa tragedia; infatti a causa dell'uso e all'abuso dell'amianto, tra le vaste aree e città del nostro Paese che hanno guadagnato il triste primato per morti per mesotelioma maligno – pleurico, peritoneale, del pericardio e della tunica vaginale del testicolo –, spiccano le sedi storiche delle basi navali e degli arsenali militari: La Spezia, Taranto, La Maddalena (OT); il mesotelioma rappresenta la punta dell’iceberg delle patologie asbesto-correlate e anche che è un indicatore della pregressa esposizione ad asbesto per questo è bene tenere presente che il III rapporto ReNaM (periodo di osservazione 1993/2004) indica il comparto difesa tra i settori economici maggiormente coinvolti nelle occasioni di esposizioni professionali, con una media del 4 per cento dei casi di mesotelioma maligno definiti a livello nazionale, con punte dell'11,8 per cento in Puglia, 9 per cento nel Lazio, 5 per cento in Piemonte, e altro;
   sugli effetti «democratici» dell'amianto inconsapevolmente respirato dal personale militare nelle Navi e nei Sommergibili il IV Rapporto 2012 del ReNaM riporta che, considerando l'intera finestra temporale di osservazione (1993-2008) e i soli soggetti colpiti dalla malattia per motivo professionale, il settore della difesa militare risulta tra i settori di attività maggiormente coinvolti (nel senso di un peso percentuale delle esposizioni in quel settore rispetto al totale), pari al 4,24 per cento del totale della casistica, con 463 casi di Mesotelioma Maligno con almeno una occasione di esposizione ad amianto nel settore (M=459; F=4) di cui 215 casi (46,4 per cento) con esposizione esclusiva nel Comparto Difesa (M=212; F=3);
   da una analisi dei succitati dati eseguita dalla AFeVA Sardegna Onlus, che considera i 215 casi – censiti in detto rapporto – con esposizione professionale esclusiva nel comparto difesa, si evidenzia che il numero dei casi del personale militare colpito da mesotelioma maligno con codici «Ateco 91» con esposizione esplicita nelle categorie di «macchina» e «coperta» sono complessivamente 147 (100 per cento), di cui 88 (59,9 per cento) casi nel personale di «macchina» e 59 (40,1 per cento) casi nel personale di «coperta». Questo significa che l'amianto respirato a bordo di una Nave o di un Sommergibile non ha fatto distinzione tra personale di «macchina» e personale di «coperta»;
   nel 1993, il legislatore italiano, al fine di coprire il buco nero di omissioni, durato oltre quaranta anni, che ha caratterizzato l'uso e l'abuso dell'amianto nei luoghi di lavoro nel nostro Paese, – applicando quanto la suprema Corte costituzionale ha più volte affermato in tema dell'inviolabilità del principio non negoziabile che a parità di rischio, si deve garantire parità di tutela (per tutte, Corte costituzionale 206/1974 e 114/1977 – Cost. articoli 3 e 38 –) –, approva la legge n. 271 del 1993 di modifica dei commi 7 e 8 dell'articolo 13 della legge n. 257 del 1992, socializzando il costo di un'enorme colpa collettiva e riconoscendo a tutti i lavoratori esposti e malati a causa dell'amianto, il diritto a un indennizzo pensionistico (attraverso una maggiorazione di contributi previdenziali), quantificato come segue:
    a) con il comma 7 dell'articolo 13 della legge n. 257 del 1992 – come modificato dall'articolo 1, comma 1-bis, della legge n. 271 del 1993 –, si riconosce a tutti i lavoratori esposti alle fibre di amianto che hanno contratto una malattia professionale asbesto-correlata, il diritto alla contribuzione aggiuntiva dell'intero periodo lavorativo di esposizione moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente di 1,5, indipendentemente dagli anni e dalla quantità di esposizione all'amianto;
    b) con il comma 8 dell'articolo 13 della legge n. 257 del 1992 – come modificato dall'articolo 1, comma 1, dalla legge n. 271 del 1993 –, si riconosce a tutti i lavoratori, esposti per più di dieci (10) anni a rischio morbigeno qualificato alle fibre di amianto, il diritto alla contribuzione aggiuntiva dell'intero periodo lavorativo di esposizione moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente di 1,5;
   nonostante l'affermazione di questi inalienabili principi Costituzionali, lo Stato, che come visto è stato uno dei principali utilizzatori di amianto, ha inaccettabilmente escluso il personale militare dalla applicazione delle sue stesse leggi;
   nel corso degli anni, l'impianto normativo originario, pensato per indennizzare tutti i lavoratori pubblici esposti e vittime dell'amianto e di altri cancerogeni inconsapevolmente respirati e ingeriti nel compimento delle proprie attività istituzionali, è stato costantemente svuotato dei contenuti rendendolo di fatto vacuo, formalmente inapplicabile, come se fosse stata messa in atto una strategia ben definita per ridimensionare la strage compiuta dall'amianto, principalmente nei confronti del personale civile e militare comparto della difesa, a cosa di poco conto. La nuova normativa emanata dal Governo Berlusconi con l'articolo 47 del decreto-legge n. 269 del 2003 (convertito con modificazioni dalla legge n. 326 del 2003), che secondo la comune opinione avrebbe, per prima, allargato, con decorrenza dal 1o ottobre 2003, la platea dei beneficiari per riconoscere «anche» ai dipendenti pubblici (dunque solo nel 2003) i diversi (minori) benefìci, in realtà non ha introdotto niente di nuovo e tanto meno positivo. È solo e soltanto più restrittiva, per i militari è addirittura «sacco vuoto», e l'unica nota positiva rilevabile è che ha lasciato intatti i diritti riconosciuti dal comma 7 dell'articolo 13 legge n. 257 del 1992 (come modificati dalla legge n. 271 del 1993) a tutti i lavoratori che contraggono una malattia asbesto-correlata;
   per il personale militare esposto in cui la patologia non si è ancora manifestata, la sintesi chiara è la risposta, pubblicata lunedì 9 luglio 2012, del Ministro della difesa, ammiraglio Di Paola, alla interrogazione 4-13579 del 13 ottobre 2011 presentata dall'onorevole Maurizio Turco:
  «... È il caso, tuttavia, di evidenziare, che la maggiorazione di servizio prevista dall'applicazione della normativa richiamata dall'interrogante (aumento di 1/4 del servizio svolto con esposizione all'amianto), anche laddove venisse riconosciuta, produrrebbe in molti casi (circoscritti al personale militare) effetti sostanziali alquanto limitati. Infatti, in base alla previsione normativa dell'articolo 1849, comma 1, del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo n. 66 del 2010, il periodo di servizio, del quale è prevista la maggiorazione ai fini pensionistici, può essere considerato una sola volta, secondo la normativa più favorevole. Pertanto, se consideriamo che la quasi totalità delle richieste interessa personale della Marina militare e dell'Aeronautica militare, già beneficiario per imbarco/volo dell'aumento di 1/3 del servizio svolto, la maggiorazione prevista non potrà, comunque essere, concessa.»;
   dalla medesima risposta si evince inoltre che, al 9 luglio 2012, «per quanto riguarda il personale militare» erano state presentate «n. 13.939 richieste di concessione di benefici ai sensi della citata legge n. 326 del 2003 – tra le quali sono state definite, negativamente, n. 186 richieste presentate dal personale dell'Arma dei carabinieri, in quanto non sono stati individuati, dall'Arma stessa, siti in cui possa essersi verificata una possibile esposizione all'amianto – mentre, per quanto concerne il personale civile, sono state presentate, allo stato, n. 8.000 istanze; il «Ministero delle politiche agricole e forestali ha comunicato che, dal 2005 ad oggi, hanno prestato servizio con esposizione all'amianto n. 25 dipendenti del Corpo Forestale dello Stato, per i quali è stata disposta una ricongiunzione dei periodi, con relativa maggiorazione;»;
   nel Piano Nazionale Amianto, approvato dal Governo il 24 marzo 2013, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, accogliendo le istanze di superamento della discriminazione subita dai militari esposti e malati a causa dell'amianto respirato nelle navi e nelle installazioni militari rivolte sul tema da parte Associazione familiari e vittime dell'amianto Sardegna – AFeVA Sardegna Onlus (già AIEA Sardegna) –, nella parte relativa alla «MACROAREA SICUREZZA DEL LAVORO E TUTELA PREVIDENZIALE... – OBIETTIVO 2 – Benefìci previdenziali: risoluzione delle disarmonie della normativa di attuazione per i lavoratori civili e militari e recepimento della procedura tecnico di accertamento dell'esposizione qualificata utilizzata dall'INAIL.» a pag. 38 scrive:
  «... omissis... Sotto altro profilo, nel rispetto della normativa primaria, l'opportunità di una revisione del decreto ministeriale 27 ottobre 2004 con riferimento alla “determinazione del beneficio pensionistico”, improntando tale revisione a criteri di maggiore aderenza alle finalità dell'intervento legislativo. Ciò, in particolare con riferimento al settore marittimo, nonché, in collaborazione con le altre amministrazioni interessate, nei confronti dei militari affetti da patologie asbesto correlate»;
   l'amianto respirato a bordo di una nave o di un sommergibile non fa distinzione tra personale di «macchina» e personale di «coperta» come invece sembra che l'INAIL stia facendo;
   le norme attualmente in vigore e gli atti conseguenti, sebbene riconoscano formalmente che il personale militare che ha ottenuto il rilascio del curriculum da parte del Ministero della difesa è stato esposto ad amianto ben oltre le soglie minime di legge, non consentono al detto personale di accedere ai «benefìci previdenziali» previsti dalla normativa di settore per la totalità degli altri lavoratori –:
   se sia intendimento del Governo, del Ministro della difesa e Ministro del lavoro e delle politiche sociali superare l'inaccettabile somma di discriminazioni subite dal personale militare esposto all'amianto o affetto da patologie asbesto-correlate, adottando apposito atto di indirizzo, che riconosca al personale militare delle forze armate e delle forze di polizia compresa l'Arma dei carabinieri, senza distinzione di mansioni-categorie, in possesso del curriculum lavorativo rilasciato dal Ministero della difesa attestante l'adibizione, in modo diretto ed abituale, ad attività lavorative comportanti l'esposizione all'amianto o al medesimo personale affetto da malattie o patologie asbesto-correlate, accertate da parte del competente dipartimento militare di medicina legale, di cui all'articolo 195, comma 1, lettera c), del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, in deroga agli articoli 1849 e 2264 del citato decreto-legge n. 66 del 2010, i benefìci previdenziali nella misura di 1,5 del periodo di esposizione all'amianto, accertato dal citato curriculum, ovvero, in mancanza dello stesso, per analogia con altri casi, dall'estratto del foglio matricolare;
   se il Governo, condivida l'interpretazione data dall'INAIL all'articolo 12-bis del decreto-legge n. 11 del 2009, in forza del quale nega di emettere la «certificazione» al personale militare affetto da patologie asbesto correlate, seppure in possesso del «curriculum» lavorativo attestante l'esposizione all'amianto, precludendo di fatto ai lavoratori militari l'applicazione del comma 7, dell'articolo 13, della legge n. 257 del 1992, il quale riconosce a tutti i lavoratori esposti alle fibre di amianto, che hanno contratto una malattia professionale asbesto-correlata, il diritto alla contribuzione aggiuntiva dell'intero periodo lavorativo di esposizione moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente di 1,5, indipendentemente dagli anni e dalla quantità di esposizione all'amianto;
   se corrisponda al vero la notizia diffusa nei giorni scorsi dalla AFeVA Sardegna Onlus secondo la quale, i dipendenti dello Stato vittime dell'amianto, in cui la patologia si sia manifestata dopo l'entrata in vigore dell'articolo 6 (28 dicembre 2011) del decreto n. 201 del 2011 – Salva Italia –, sono esclusi dalle provvidenze previste per le vittime del dovere, in quanto, da quella data, è stato abolito l'istituto dell'accertamento della dipendenza della infermità da causa di servizio per talune categorie di lavoratori e, nel caso affermativo, se sia intendimento del Governo, del Ministro della difesa e del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione fare salvo l'istituto dell'accertamento della dipendenza delle infermità da causa di servizio nei procedimenti per il riconoscimento dello status di vittima del dovere, per il rimborso delle spese di degenza per causa di servizio, dell'equo indennizzo e della pensione privilegiata ordinaria nei confronti di quanti a causa della mancanza di protezioni e di informazioni sono morti o si sono ammalati per conto dello Stato per aver inalato o ingerito amianto e altri cancerogeni, così come si è espresso il Consiglio di Stato con il parere n. 02526/2010 del 4 maggio 2010;
   se sia intendimento del Governo e del Ministro della difesa rendere pubblici i risultati delle indagini ambientali, epidemiologiche statistiche e diagnostiche eseguite a cavallo degli anni ’60 – ’70 dalla Clinica di medicina del lavoro di Bari presso l'Arsenale della marina militare di Taranto e dalla clinica del Lavoro di Milano con la collaborazione dell'istituto di medicina del lavoro di Genova presso l'arsenale della marina militare di La Spezia e i risultati di tutte le altre indagini esterne eventualmente autorizzate in seguito;
   se sia intendimento del Governo e del Ministro della difesa rendere pubblici il numero dei casi dei tumori (polmonari, del mesotelio – pleura, pericardio peritoneale, tunica vaginale del testicolo –, della laringe, della faringe, dello stomaco, del colon retto) e delle patologie asbesto-correlate (asbestosi, placche e ispessimenti pleurici, atelettasie, BPCO da asbesto e altro) che hanno colpito il personale militare e civile a causa dell'esposizione all'amianto presente nel naviglio, nei mezzi e nelle installazioni dello Stato, riconosciute dalle competenti Commissioni mediche ospedaliere dipendenti da causa di servizio o da fatti inerenti il servizio svolto, relativamente all'intero comparto difesa suddivisi, per anno, per Arma e, all'interno di queste, per categorie/mansioni/grado, a partire dal 1986;
   se sia intendimento del Governo e del Ministro della difesa rendere pubblico l'esito dello studio epidemiologico conoscitivo sull'incidenza delle patologie asbesto correlate nell'ambito delle categorie lavorative per il personale civile e militare delle forze armate, avviato nel 2011 dalla direzione generale della sanità militare in collaborazione con l'università la «Sapienza» di Roma;
   con quali mansioni e in quali contesti operativi abbiano prestato servizio con esposizione all'amianto i 25 dipendenti del Corpo forestale dello Stato ai quali, dal 2005 ad oggi, risulta essere stata disposta una ricongiunzione dei periodi, con relativa maggiorazione.
(2-00328) «Piras, Pannarale, Boccadutri, Ricciatti, Piazzoni, Lavagno, Melilla, Pellegrino, Marcon, Nicchi, Quaranta».

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RUBINATO e PAGANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   numerosi contribuenti si sono visti notificare negli ultimi mesi provvedimenti esecutivi, da parte dell'Agenzia delle entrate e dell'agente di riscossione per l'esazione di obblighi fiscali non assolti a causa della condotta fraudolenta da parte di consulenti fiscali e tributari fiduciariamente delegati;
   in alcuni casi, a fronte del versamento, a favore dei consulenti fiscali, degli importi necessari agli assolvimenti tributari, sono stati riprodotti modelli di versamento contraffatti comprovanti l'avvenuto pagamento delle imposte che hanno permesso ai professionisti di appropriarsi illecitamente di ingenti somme di denaro;
   i numerosi contribuenti truffati si sono visti così notificare cartelle esattoriali con importi ingenti relativi a debiti di imposte e contributi comprensivi di interessi e mora per milioni di euro;
   molti commercianti e imprenditori si trovano ad affrontare una grave difficoltà finanziaria in quanto impossibilitati a far fronte alle richieste erariali pur avendo operato in buona fede e nonostante abbiano denunciato l'operato del consulente all'autorità giudiziaria –:
   quali misure intenda adottare al fine di evitare che i contribuenti truffati debbano incorrere nel pagamento di sanzioni, interessi ed aggi su tributi erariali che hanno omesso di pagare in buona fede a tal fine anche prevedendo la possibilità di sospendere gli obblighi fiscali derivanti dagli accertamenti esecutivi e dalle cartelle esattoriali notificate fino alla data di conclusione dei procedimenti penali e civili evitando così che molte aziende di piccole dimensioni siano costrette a chiudere le proprie attività. (5-01648)


   AIELLO e BRUNO BOSSIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 16 ottobre 2013 il dottor Luciano Pezzi e il dottore Luigi D'Elia si sono autosospesi dall'incarico di sub commissario per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario della regione Calabria;
   successivamente il dottor D'Elia si è dimesso ed è stato sostituito con il dottor Andrea Urbani;
   i dottori D'Elia e Pezzi hanno trasmesso, molto tempo prima dell'atto di autosospensione, al commissario ad acta Giuseppe Scopelliti e per conoscenza al dottor Francesco Massicci – dipartimento ragioneria dello Stato ed al dottor Francesco Bevere – direzione generale della programmazione sanitaria dei livelli di assistenza e dei princìpi etici di sistema una lettera (prot. 307617 del 2 ottobre 2013) –:
   quali iniziative i Ministri interpellati intendano assumere per accertare quali siano le «criticità ben note anche a livello nazionale» e in che cosa si sostanzi la «consueta, assoluta mancanza di trasparenza» che i sub commissari hanno denunciato nella stessa lettera;
   se i Ministri interpellati ritengano consona al senso di responsabilità istituzionale le espressioni offensive e volgari che sono state rivolte ad un rappresentante dello Stato e che vengono riportate in quella stessa missiva;
   se i Ministri fossero a conoscenza di tale missiva al momento della nomina del dottor Andrea Urbani e della sostituzione del dottor Luigi D'Elia;
   se i Ministri non ritengano, ancor più alla luce di tutto ciò, di assumere adeguate ed efficaci iniziative per garantire una direzione adeguata della gestione commissariale delle attività del piano di rientro nonché porre fine ad una infruttuosa esperienza commissariale che ha dimostrato, per come è ampiamente accertato dagli stessi verbali del tavolo tecnico ministeriale, incapacità di assicurare efficaci percorsi strutturali di riforma della sanità in Calabria. (5-01649)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FORMISANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 21 marzo 2013 il sottoscritto presentava la sotto riportata interrogazione:
   «la quasi totale «decapitazione» dei vertici Enav, Finmeccanica e Selex ha prodotto una situazione in virtù della quale oggi Enav è governata da un amministratore unico nella persona del dottor Massimo Garbini;
   ad onta di quanto potrebbe apparire, anche il dottor Garbini, voluto dal Governo Monti alla guida di Enav, risulterebbe coinvolto in indagini giudiziarie, così come riportato da Il Sole 24 Ore del 29 aprile 2012;
   oltre quanto esposto nell'articolo in questione de Il Sole 24 Ore, sembrerebbe che uno dei figli del dottor Garbini sia stato assunto in Enav come controllore di volo;
   sembrerebbe, inoltre, che Enav, oltre l'assunzione di un Garbini come controllore di volo, ne avrebbe recentemente assunto un secondo Garbini, per caso figlio dell'Amministratore Unico;
   oltre a queste assunzioni, l'Enav avrebbe assunto negli ultimi tempi i figli dei suoi più importanti e fedeli dirigenti della linea operativa (Bellizzi, Biagiola, Di Giulio, Malè, Scala, ecc.);
   più persone sostengono, che queste figure neo assunte, come «uomini radar», sarebbero stati «fortemente» sostenuti in sede di esame dalle persone dello staff, quasi come fosse una vicenda familiare;
   quanto sopra esposto è stato reso pubblico e maggiormente dettagliato in un servizio giornalistico della dott.ssa Flavia Filippi, andato in onda sul Tg La7 delle ore 20 del 18 febbraio 2013;
   risulterebbe, inoltre, che il Ministero dell'Economia abbia autorizzato l'Amministratore Unico a nominare uno dei suoi più fidati collaboratori quale Direttore Generale, nonostante il suo stato di Amministratore unico, paragonabile a quello di Commissario straordinario, avrebbe consigliato di attendere l'insediamento del nuovo Consiglio di Amministrazione;
   sembrerebbe, inoltre, che il Ministero dell'Economia abbia consentito l'adozione di un atto organizzativo in Enav, finalizzato a porre alla diretta dipendenza del Direttore Generale, la Direzione Acquisti, che comporterebbe come conseguenza che le funzioni dirette all'acquisto dei costosi sistemi tecnologici (Area Operativa, Area Tecnica, Area E-procurement) siano poste alle dirette dipendenze della stessa persona;
   se i Ministri interrogati intendano verificare se corrisponda al vero quanto sopra esposto e quali iniziative intendano promuovere per una verifica della situazione del settore assunzioni di Enav;
   se il Ministro dell'Economia non intenda verificare i termini delle autorizzazioni disposte nei confronti di Enav soprattutto alla luce delle problematiche relative agli appalti di Enav e Finmeccanica.»;
   a distanza di sette mesi, ed in assenza di risposte dai Ministri interrogati, l'Ente ha proceduto ad altre assunzioni «importanti» in totale dispregio delle norme, in particolare quelle sulla trasparenza, nota anche come Legge Brunetta;
   in particolare risulterebbe all'interrogante che recentemente siano state assunte oltre una decina di dipendenti con qualifica di «esperto di assistenza di volo», precedentemente bocciati in sede di esame di «controllore di volo» –:
   se i Ministri interrogati intendano verificare se corrisponda al vero quanto sopra esposto e quali iniziative intendano promuovere per una verifica della situazione del settore assunzioni di Enav;
   se il Ministro dell'economia e delle finanze non intenda verificare i termini delle autorizzazioni disposte nei confronti di Enav soprattutto alla luce delle problematiche relative agli appalti di Enav e Finmeccanica. (4-02797)


   D'AMBROSIO, BRESCIA, CARIELLO, SCAGLIUSI, L'ABBATE e DE LORENZIS. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le zone franche urbane (ZFU) sono aree infra-comunali di dimensione minima prestabilita dove si concentrano programmi di defiscalizzazione per la creazione di piccole e micro imprese;
   obiettivo prioritario delle ZFU è favorire lo sviluppo economico e sociale di quartieri ed aree urbane caratterizzate da disagio sociale, economico e occupazionale, e con potenzialità di sviluppo inespresse;
   l'individuazione delle zone franche urbane prevede agevolazioni fiscali e previdenziali per rafforzare la crescita imprenditoriale e occupazionale nelle micro e piccole imprese localizzate all'interno dell'obiettivo convergenza (Campania, Calabria, Sicilia e Puglia), nonché nel territorio dei comuni della provincia di Carbonia Iglesias;
   tali agevolazioni consistono in:
    a) esenzione dalle imposte sui redditi;
    b) esenzione dall'IRAP;
    c) esenzione dall'imposta municipale propria;
    d) esonero dal versamento dei contributi sulle retribuzioni da lavoro dipendente;
   per il finanziamento del dispositivo, la legge finanziaria 2007 (legge n. 296 del 2006, articolo 1, comma 340 e successivi) ha istituito un Fondo di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009;
   la legge finanziaria 2008 (legge n. 244 del 2008, commi 561, 562 e 563) ha confermato tale stanziamento e ha definito in maggior dettaglio le agevolazioni fiscali e previdenziali che, oggi, trovano la loro definizione particolareggiata all'interno del decreto interministeriale 10 aprile 2013 in attuazione di quanto previsto dall'articolo 37 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179;
   Le zone franche urbane della Puglia, pur previste nel Piano di Azione e Coesione (PAC), non sono state incluse nell'allegato 1 del decreto, poiché in prima battuta la regione Puglia aveva rappresentato la volontà di finanziare tali interventi, ricadenti nel territorio, con propri strumenti;
   successivamente la regione stessa ha proposto di utilizzare il preesistente strumento nazionale per l'attuazione dell'agevolazione;
   il Ministero pare stia procedendo alla modifica del succitato decreto, così come riportato nella circolare ministeriale del 30 settembre 2013 protocollo n. 32024, al fine di consentire anche alle zone franche urbane pugliesi l'applicazione del decreto interministeriale 10 aprile 2013;
   le zone franche pugliesi destinatarie delle agevolazioni, individuate nei comuni di Andria, Lecce, Taranto, Santeramo in Colle, Barletta, Molfetta, Foggia, Manfredonia, San Severo, Lucera e Manduria, costituirebbero un importante traino nel territorio stante l'attuale crisi economica –:
   quando saranno ricomprese le zone franche pugliesi nello strumento nazionale che prevede importanti agevolazioni fiscali e previdenziali. (4-02801)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCALFAROTTO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   gli organi di stampa hanno dato notizia che venerdì 8 novembre 2013 è deceduto nel carcere di Poggioreale Federico Perna, detenuto di 34 anni che versava in gravi condizioni di salute, nello specifico di cirrosi epatica e di epatite;
   sempre da organi di stampa si apprende che l'autopsia di Federico Perna è avvenuta il giorno 14 novembre, ovvero 6 giorni dopo il decesso, diversamente da quanto previsto dalla legge che fissa il termine di 48 ore dal decesso;
   la sentenza della Corte di cassazione n. 46479 del 14 dicembre 2011 ha evidenziato come «il diritto alla salute va tutelato anche al di sopra delle esigenze di sicurezza sicché, in presenza di gravi patologie, si impone la sottoposizione al regime degli arresti domiciliari o comunque il ricovero in idonee strutture»;
   sempre dalla stampa si apprende che il detenuto è stato trasferito dal carcere di Secondigliano e destinato al quello di Poggioreale;
   gli organi di stampa nel mese di gennaio 2013 hanno dato notizia che la Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo ha richiamato l'Italia al fine di risolvere il persistente problema del sovraffollamento delle carceri, tenuto conto anche della presentazione del «piano svuota-carceri» presentato a Strasburgo nel mese di ottobre 2013 –:
   se abbia o se intenda fornire informazioni dettagliate sulle cause che hanno portato alla morte del detenuto;
   quali siano i motivi per cui l'autopsia è stata effettuata ben 6 giorni dopo il decesso;
   se si abbiano notizie di episodi di pestaggi ai danni dei detenuti del carcere di Poggioreale;
   se le strutture sanitarie del carcere di Poggioreale siano in grado di garantire adeguate cure alla popolazione penitenziaria;
   perché sia stato scelto il carcere di Poggioreale, struttura interessata da numerose problematiche logistiche, non rispettando inoltre la normativa che prevede l'interregionalità della detenzione.
(4-02796)


   MELILLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 28 luglio 2011 con una sentenza (n. 248/11) del giudice del lavoro del tribunale di Sulmona, la casa circondariale di Sulmona, è stata condannata a pagare lo stipendio pregresso ad un detenuto che aveva lavorato nella cucina della casa di reclusione;
   in base all'ordinamento penitenziario è data possibilità ad un condannato, di trascorrere parte del giorno fuori dall'istituto di pena, per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale, in base ad un programma di trattamento, la cui responsabilità è affidata al direttore dell'istituto di pena;
   la norma regolatrice è l'articolo 22 della legge n° 354 del 1975 secondo cui la retribuzione mensile del detenuto lavoratore non deve essere inferiore ai due terzi della retribuzione stabilita per gli altri lavoratori della stessa categoria dal CCNL vigente al momento dello svolgimento delle prestazioni;
   con una delle prime sentenze in Italia del genere è stato disposto anche il pignoramento preventivo dei beni dell'istituto di pena. A vincere la sua battaglia legale, tramite l'avvocato Fabio Cantelmi, è Pasquale Contini;
   la portata della sentenza è storica perché sancisce che un lavoratore che svolge la sua attività all'interno di una casa di reclusione ha diritto a vedere salvaguardata la dignità in tutti i suoi molteplici aspetti compreso quello lavorativo in senso stretto come qualsiasi altro lavoratore;
   questa sentenza riconosce a Pasquale Contini il pagamento delle prestazioni maturate tra il 2003 e il 2007 pari a 16.277,58 euro da parte del Ministero della giustizia e nella fattispecie il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria;
   Pasquale Contini oggi vive con una pensione di invalidità di soli 260 euro al mese e a distanza di due anni dalla sentenza il Ministero continua a risultare inadempiente. In una nota il signor Contini minaccia uno sciopero della fame se non avrà immediate risposte e chiarimenti circa il mancato pagamento –:
   se non intenda intervenire d'urgenza per riconoscere quanto dovuto al signor Pasquale Contini. (4-02804)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


   RIZZO, CANCELLERI, BASILIO e CORDA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la strada statale n. 117 è una strada di rilevanza nazionale utile a collegare le città di Santo Stefano di Camastra sulla costa tirrenica della Sicilia, con Leonforte situata al centro della Sicilia per proseguire lungo la strada statale 117-bis fino a Gela sul canale di Sicilia. Come riportato da diversi organi di stampa, all'altezza dell'innesto con la strada provinciale 4 della provincia di Enna, al chilometro 35 è avvenuto il 30 novembre 2013 un tragico incidente stradale, l'ennesimo, a causa di una pericolosissima curva la cui pendenza e traiettoria hanno causato un tragico incidente che ha portato alla morte di 4 giovani;
   la rete di strade statali e provinciali siciliane rappresenta, ancora oggi, la principale infrastruttura di collegamento extraurbano isolana e, in particolare, la strada statale n. 117, che risulta essere incompiuta in alcuni tratti stradali, rappresenterebbe runico snodo viario per collegare il nord dell'isola con il sud dell'isola –:
   quali precauzioni abbia già intrapreso l'ANAS per scongiurare ulteriori vittime della strada in questo tratto;
   quale sia lo stato di avanzamento dei lavori per il completamento di questa tratta stradale necessaria. (4-02800)


   TIDEI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   i pendolari che utilizzano quotidianamente il treno sulla tratta ferroviaria Civitavecchia-Roma subiscono da anni notevoli disagi per il sovraffollamento delle vetture, per le carenti condizioni di pulizia, per i guasti agli impianti di riscaldamento delle carrozze, per l'assenza pressoché totale di servizi igienici;
   oltre a tali disservizi cronici che l'utenza incontra a bordo ci sono notevoli problemi di ricezione e di sicurezza che rendono la stazione ferroviaria di Civitavecchia particolarmente inadatta all'enorme flusso che accoglie durante tutto l'anno:
    è indispensabile l'adeguamento strutturale della pensilina tra i binari 2 e 3. L'attuale copertura è infatti molto fatiscente (invito anzi ad un sopralluogo per evitare pericolosi distacchi) e adatta, come dimensioni, alla fermata di un autobus più che di un treno. Laddove RFI è intervenuta tale problema è stato risolto: nella stazione di Ladispoli, a suo tempo è stata installata una nuova copertura che ampliando la superficie coperta permette una migliore distribuzione dei viaggiatori in attesa, rendendo quantomeno possibile il rispetto della segnaletica di sicurezza e conseguentemente abbattendo gravissimi rischi;
    sono improcrastinabili lavori di manutenzione nel sottopassaggio lato Sud (tra i binari 1 e 5); in particolare è necessaria l'impermeabilizzazione del sottopasso che alle prime piogge abbondanti – anche per la presenza, secondo i vs tecnici, di una falda acquifera – si allaga completamente a causa delle infiltrazioni d'acqua dalla sovrastante massicciata creando ulteriori rischi per l'utenza;
    per motivi di sicurezza sono inoltre necessari l'allargamento della banchina tra i binari 2 e 3 e la creazione di una scala mobile (o altro dispositivo sostitutivo) che consenta, anche ai disabili, di accedere ai marciapiedi dei binari 2, 3, 4 e 5;
   va considerato, inoltre, che la stazione di Civitavecchia è quasi completamente inaccessibile per i disabili. In particolare, a parte l'accennata mancanza di scale mobili, ascensori o montacarichi, i marciapiedi non sono stati rialzati come invece è stato fatto in quasi tutte le altre stazioni della linea –:
   se il Ministro, per quanto di sua competenza, non reputi opportuno mettere in atto specifiche iniziative per invitare la società RFI ad intervenire tempestivamente per intraprendere lavori di adeguamento e messa in sicurezza vista l'importanza che ad oggi riveste la stazione ferroviaria di Civitavecchia, non soltanto nel periodo estivo in cui è snodo logistico cruciale tra la capitale e il più grande porto crocieristico del Mediterraneo, ma tutto l'anno, servendo migliaia di pendolari quotidianamente. (4-02802)


   COPPOLA e BRANDOLIN. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   lo storico di Udine-Campoformido è un ex-aeroporto militare a circa 2 chilometri dal comune di Udine, sul territorio comunale di Campoformido, costruito negli anni venti e divenuto poi culla della prima Pattuglia acrobatica nazionale, oggi nota come Frecce Tricolori, nel 1930;
   nel 2008 gran parte dell'aeroporto passa dal demanio militare a quello civile, divenendo così punto d'interesse e opportunità per uno sviluppo culturale e turistico dell'area circostante;
   l'istituto scolastico istruzione superiore «A. Malignane» di Udine è una punta d'eccellenza del sistema scolastico regionale nelle materie tecniche e scientifiche, e annovera tra i corsi inseriti all'interno del proprio programma didattico un corso di studi denominato «Trasporti e della Logistica Costruzione e Manutenzione dell'aereo» dedicato appunto ad approfondire e maturare nei ragazzi competenze tecniche specifiche nella manutenzione e nel funzionamento meccanico dei mezzi aerei. L'Istituto ha sede a pochi chilometri di distanza dal suddetto aeroporto e vedrebbe aumentata la qualità della propria offerta formativa se venissero apportati degli ammodernamenti tramite investimenti all'interno dell'aeroporto di Udine-Campoformido;
   nello specifico, di particolare interesse risulta essere l'asfaltatura delle piste di atterraggio e decollo presenti all'interno dell'aeroporto, ora non asfaltate, che permetterebbe la fruizione delle piste stesse anche da parte di velivoli di dimensioni maggiori rispetto a quelli amatoriali che ora utilizzano questi spazi;
   l'Ente nazionale aeroporti civili (ENAC) ha stanziato la somma di 2 milioni di euro nel 2010 per l'asfaltatura delle piste (nello specifico la pista cosiddetta EX-G91) a patto la regione Friuli Venezia Giulia dimostri interesse formale per lo sviluppo dell'area e non renda vani i cospicui investimenti lì indirizzati;
   oltre all'interessamento di ENAC, si segnala che la Fondazione Carlo Leopoldo Lualdi, con sede a Fagagna, tra i cui soci annovera l'istituto Malignani, si è dichiarata disponibile al mantenimento e al funzionamento del parco del volo di Campoformido, mettendo a disposizione circa 1 milione di euro per la gestione e lo sviluppo didattico, culturale e turistico, oltre che per la manutenzione ordinaria;
   la regione Friuli Venezia Giulia, sentiti i pareri di ENAC e dell'istituto Arturo Malignani, con la generalità n. 1877, in data 14 ottobre 2013, dichiara di sostenere i progetti e le finalità individuate dall'ISIS Malignani e dalla fondazione Lualdi ed esprime parere favorevole per ogni iniziativa di carattere formativo, culturale e turistico;
   in data 25 settembre si è svolto presso l'aula Pietro Savorgnan di Brazzà dell'Aeroporto del Friuli Venezia Giulia un incontro con tutti gli attori istituzionali coinvolti nel progetto di risanamento dell'Aeroporto di Udine-Campoformido e in tale riunione viene posta come deadline del progetto il termine perentorio del 10 dicembre 2013, come si evince da comunicazione ENAC in data 3 ottobre 2013 –:
   se siano fondate le voci che riprendono, anche su organi di stampa regionale (Messaggero Veneto, 3 dicembre 2013), la decisione di ENAC di spostare i fondi stanziati per la valorizzazione dell'aeroporto di Udine-Campoformido, a fronte dell'impegno profuso da Fondazione Lualdi e Istituto Malignani e preso atto della disponibilità della regione Friuli Venezia Giulia, e in tal caso se il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti intenda operare affinché la decisione del consiglio di amministrazione di ENAC non sia in contrasto con la generalità della giunta della regione Friuli Venezia Giulia e con i progetti dell'ISIS Malignani e della Fondazione Lualdi. (4-02805)

INTERNO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

I Commissione:


   DIENI, NESCI, BARBANTI, PARENTELA, COZZOLINO, DADONE, D'AMBROSIO, FRACCARO, LOMBARDI, NUTI e TONINELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo il documento per la sicurezza e per la salute dei lavoratori sul luogo del lavoro del 2012 di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 626/1994 – legge 81/2008 (firmato dal medico competente, dall'ingegnere del comando provinciale dei vigili del fuoco di Crotone, e dal Responsabile per la sicurezza – I Dir. della P. di S.), le cui conclusioni sono state confermate sia da una nota del Medico della Polizia di Stato, dell'11 giugno 1996 (prot. N. 1615/V.S.) che da una nota degli ispettori del servizio tecnico logistico di Catania del 22 marzo 2011, la sede della questura di Crotone, sita in largo Pastificio, n. 20, «insiste in un contesto ambientale malsano ed inidoneo ad ospitare così tante unità lavorative della Polizia di Stato e personale Civile del Ministero dell'interno, oltreché conseguentemente a recepire l'afflusso e la ricezione di civili che ivi si recano per tutte le incombenze funzionali»;
   in particolare, si individuano gli inconvenienti riscontrati nella visitazione dell'edificio in oggetto in numerose carenze strutturali (superficie e cubatura disponibili, separazione strutturale e funzionale dei locali, soffitto, ambienti, finestre) e/o impiantistiche (apparecchiature d'emergenza, illuminazione naturale e artificiale, servizi igienici, ventilazione naturale e forzata, climatizzazione, ascensore, arredi, accessori), che richiedono interventi ora urgentissimi (indumenti protettivi ed altri DPI, idonei contenitori da utilizzare per la custodia e per lo smaltimento degli indumenti protettivi e dei DPI, illuminazione artificiale), ora a breve termine ed ora a medio termine, tanto degli ambienti e degli impianti destinati ai servizi e agli spazi comuni quanto di ogni singolo locale del piano terra e dei tre piani dell'edificio;
   «si segnala, pertanto, l'urgenza a che venga affrettata al massimo la realizzazione della costruzione di un nuovo stabile Questura»;
   «nel corso degli anni, le diverse organizzazioni sindacali, hanno più volte segnalato al superiore Ministero le problematiche che oggi sono elencate nel documento per la sicurezza; gli stessi funzionari della questura di Crotone nel corso degli anni, si sono adoperati per l'individuazione di un'area demaniale che potesse garantire la realizzazione di uno stabile idoneo ad ospitare la nuova questura; nonostante tale area sia già stata assegnata da diversi anni dal comune di Crotone alla questura, e siano stati realizzati progetto e indagine di mercato per individuare eventuali soggetti disponibili alla costruzione dell'edificio, ad oggi nulla è stato ancora deciso dai signori funzionari degli uffici competenti del Ministero dell'interno, i quali, a parte l'esprimere il parere negativo sulle modalità dell'intervento economico (con l'applicazione del “leasing in costruendo”), nulla hanno proposto quale soluzione alternativa se non quella di sostenere che i tempi di “spending review” attuali non consentono di spendere soldi per investimenti di alcuna natura straordinaria» (nota delle OO.SS. CONSAP, SAP, UGL, SIAP, COISP e SIULP del 23 maggio 2013);
   «per quanto riguarda i costi per tutti i servizi di sicurezza e ordine pubblico, il Ministero dell'interno sostiene annualmente una spesa di circa 1.500.000 euro di cui:
    euro 450.000 circa quale canone di locazione della struttura che ospita la questura;
    euro 146.000 circa quale canone di locazione della struttura che ospita la polizia stradale;
    euro 775.500 circa quali costi riservati al personale proveniente da altre sedi e aggregati alla questura di Crotone per sopperire a mancanza di personale e/o per espletare diversi servizi di ordine e sicurezza pubblica;
   ulteriori costi relativi alle utenze ed agli spostamenti con mezzi di trasporto del personale da un ufficio all'altro eccetera»;
   «la disponibilità dell'area demaniale su cui si potrebbe realizzare il nuovo stabile che potrebbe ospitare questura, polizia stradale, ufficio immigrazione e polizia postale (eventualmente anche la Prefettura) ed una foresteria per il personale aggregato, con accorpamento delle diverse utenze (Enel, telefoniche, acqua eccetera) ed eventualmente la realizzazione di un impianto fotovoltaico, consentirebbe un notevole risparmio economico per il Ministero dell'interno» –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere e se il Governo intenda promuovere o favorire, in concorso con gli enti territoriali competenti, la costituzione di un nuovo stabile questura sull'area demaniale assegnata dal comune di Crotone alla questura. (5-01652)


   MATTEO BRAGANTINI e RONDINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 15 ottobre 2013, n. 120, ha istituito un fondo di 190 milioni di euro per il 2013 per «far fronte alle problematiche derivanti dall'eccezionale afflusso di stranieri sul territorio nazionale». Di questo Fondo, eccetto che sia gestito dal Ministero dell'interno, non si sa nulla: a chi andranno i soldi, per quali attività, con quali obiettivi. Dei 190 milioni ben 95 costituiranno oneri per il personale: considerando che il decreto è del 15 ottobre parrebbe che in 2 mesi e mezzo verrà spesa una simile cifra per pagare non si sa quale personale, con quale inquadramento, e per fare cosa;
   la copertura dei 190 milioni è ottenuta in parte anche attingendo al fondo unificato per le vittime di reati mafiosi, di fenomeni estorsivi e dell'usura, che è a sua volta alimentato con un prelievo erariale su tutte le assicurazioni (incendi, auto, responsabilità civile) stipulati in Italia, pagato cioè da tutti i cittadini in virtù del nobile fine cui dovrebbe essere dedicato;
   in un momento di crisi economica come quello che sta vivendo il nostro Paese, il fenomeno dell'usura cresce in modo esponenziale, stando ai dati del Ministero dell'interno dal 2010 al 2012 sono 245 mila i commercianti coinvolti in rapporti usurai e 600 mila le posizioni debitorie;
   in un articolo pubblicato sul «Il Sole 24 Ore» del 18 ottobre 2013, le Associazioni antiusura criticano il taglio al fondo antiusura definendolo una scelta poco rassicurante sul fronte della sicurezza sociale;
   in un altro articolo pubblicato sempre sul Il Sole 24 Ore in data 14 novembre si illustra il contenuto della conferenza stampa di presentazione della relazione annuale sulla lotta al racket e usura. Nell'incontro presieduto dal prefetto Betty Belgiorno e dallo stesso Ministro sono stati rappresentati i dati relativi al fenomeno dell'usura dai quali è emerso che negli ultimi anni si è registrata una crescita allarmante. In ultima analisi il prefetto si è soffermata ad analizzare un altro aspetto che merita di essere adeguatamente approfondito, se da un lato infatti le risorse del Fondo antiusura sono cospicue, dall'altro lato non si riesce a dare il giusto ristoro alle vittime a causa di una non meglio specificata lentezza burocratica e una cronica lentezza dei procedimenti giudiziari –:
   se il Ministro intenda definire in modo chiaro le motivazioni alla base dell'inadeguato utilizzo delle risorse del fondo antiusura per il contrasto di questo aberrante fenomeno. (5-01653)


   FIANO, QUARTAPELLE PROCOPIO, POLLASTRINI, LAFORGIA, MAURI, RAMPI, COVA, CASATI, NACCARATO, BRESSA, FABBRI, GASPARINI e ROBERTA AGOSTINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in occasione della visita del Presidente Francese Hollande a Roma, il 20 novembre 2013, si è verificata una vera e propria aggressione fisica e verbale da parte dei cosiddetti militanti No Tav, documentata da numerose foto e riprese televisive, contro i militanti del Partito democratico a via dei Giubbonari, e contro i loro simboli, con un intento chiaramente offensivo ed intimidatorio;
   quasi contemporaneamente, nella notte tra il 20 e il 21 di novembre, il circolo del Pd di via Archimede a Milano è stato anch'esso oggetto di un attacco vandalico da parte di ignoti che hanno danneggiato l'esterno della sede, siglando la loro impresa con il marchio «No Tav»;
   questo grave episodio, che giunge a poche ore di distanza dal violentissimo attacco del 20 novembre contro il circolo romano del Pd di Via dei Giubbonari, solleva domande inquietanti sulla possibilità che esista un disegno eversivo delle frange violente del movimento No Tav contro il Partito Democratico;
   ciò sembrerebbe confermato, del resto, da un articolo di stampa, apparso il 21 novembre sull'Huffington post nel quale viene espressamente affermato che il «PD è stato un obiettivo praticato dalla mobilitazione promossa in occasione del vertice Italia-Francia», e che «i militanti del PD che hanno difeso la targa della sede di via dei Giubbonari non si sono accorti di aver perso da tempo la loro dignità di fronte a chi li ha votati e ha ritenuto di fidarsi di loro», giustificando in vari modi le ragioni che hanno portato all'aggressione verso i simboli e i militanti del Pd, e concludendo che «la campagna di Primavera è ormai lanciata»;
   peraltro momenti di tensione si sono verificati anche nella giornata del 3 dicembre 2013, quando la protesta di alcuni precari napoletani si è tradotta nel tentativo di occupazione della sede del Partito democratico in via S. Andrea delle Fratte, dove due agenti sono stati presi a calci e pugni e sono rimasti feriti mentre 46 persone risultano essere state fermate e denunciate;
   l'articolo 49 della Costituzione prevede che tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale, e pertanto l'attacco ad una sede di partito equivale ad un attacco dell'intera democrazia del nostro Paese, che fa degenerare il legittimo diritto all'espressione pacifica di un dissenso politico in un inaccettabile aggressione fisica e verbale a danno di semplici cittadini, solo perché militanti di un partito politico;
   a fronte di questa preoccupante escalation di violenze, ad opera di una parte del movimento No Tav è necessario che le autorità preposte continuino a isolare, prevenire e reprimere ogni forma di violenza politica; ed è altrettanto necessario, in questo momento, che tutte le forze politiche contribuiscano ad isolare e respingere ogni forma di violenza, separando il diritto al dissenso dal respingimento di ogni traccia di eversione –:
   quale sia la valutazione del Ministro interrogato sui gravi fatti riportati, e in particolare se la loro concomitanza o frequenza sia da ritenersi puramente casuale o invece corrisponda, come sembrerebbe, ad un vero e proprio disegno eversivo contro un partito politico. (5-01654)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   FRATOIANNI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in Puglia, da oltre quindici anni, circa 3.500 persone operano come addetti delle pulizie nelle scuole statali di ogni ordine e grado, sia come lavoratori dei cosiddetti appalti storici sia come ex lavoratori socialmente utili;
   in base a quanto stabilito dal comma 5 dell'articolo 58 del decreto-legge n. 69 del 21 giugno 2013, ovvero che «le risorse destinate alle convenzioni per i servizi esternalizzati sono ridotte di euro 25 milioni per l'anno 2014 e di euro 49,8 milioni a decorrere dall'anno 2015», è stata indetta una nuova gara d'appalto da Consip spa, in rappresentanza del Ministero dell'economia e delle finanze;
   il valore stimato per la Puglia era di 194.300.000 euro, ma l'unica azienda partecipante si è aggiudicata la gara con un'offerta di 95 milioni;
   è evidente che la differenza graverà sulle spalle di 3500 famiglie pugliesi che, con una decurtazione del 50 per cento del loro salario, cadranno nell'indigenza. Tutti gli ex lavoratori socialmente utili, infatti, sono impegnati per 35 ore settimanali ed hanno un reddito netto di 800 euro al mese. I lavoratori dei cosiddetti appalti storici sono una realtà più variegata con redditi che vanno dai 450 euro ai 700 euro al mese. Ridurre questi stipendi di oltre la metà porterebbe effetti devastanti su famiglie in molti casi monoreddito o con figli anche maggiorenni a carico –:
   se i Ministri siano a conoscenza della situazione presentata;
   se i Ministri intendano assumere iniziative per annullare la gara d'appalto e quali correttivi intendano adottare per risolvere il problema occupazionale rappresentato, che inciderà anche sulla qualità dei servizi;
   se il Governo abbia effettuato stime e analisi preventive degli effetti che il comma 5 dell'articolo 58 del decreto-legge n. 69 del 2013 sta avendo sulla qualità dei servizi offerti nelle scuole e sulle condizioni di lavoro degli operatori. (4-02793)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MADIA, GRIBAUDO e PARIS. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel corso della precedente legislatura in seguito ad atti di sindacato ispettivo presentati ai precedenti esecutivi, attraverso le risposte del governo, è stato appurato il sostanziale fallimento del cosiddetto bonus precari, l'indennità rivolta ai collaboratori a progetto in disoccupazione introdotta dall'articolo 19, comma 2, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2009, n. 2;
   a fronte di un significativo stanziamento di fondi dedicati, le erogazioni una tantum in favore dei collaboratori a progetto effettivamente versate risultano piuttosto esigue. Le cifre offerte dal Governo in risposta agli atti di sindacato ispettivo lo confermano: «le domande pervenute nella procedura sono: n. 16.767 per l'anno 2009, n. 17.418 per il biennio 2010-2011; di cui respinte: n. 13.468 (2009) n. 10.904 (2010-2011). Le domande accolte/beneficiari e gli importi erogati sono: n. 3.138 (anno 2009) per un totale di euro 5.170.902,72 n. 6.107 (2010-2011) per un totale di euro 18.022.799,11. Alla data del 23 maggio 2011 scorso le risorse disponibili ammontano a euro 176.806.298,17» (risposta del Governo all'interpellanza urgente n. 2-01106 in data 9 giugno 2011);
   è stata depositata il 3 agosto 2011 la proposta di legge A.C. 4577 che prevede una revisione dei requisiti attualmente richiesti dalla normativa per poter usufruire dell'indennità. I requisiti troppo stretti sono alla base degli scarsi risultati raggiunti dallo strumento dell'indennità, nonostante vi sia un ampio numero di lavoratori precari, soprattutto giovani, colpiti dalla crisi economica che hanno perso il lavoro. La proposta semplificherebbe i requisiti per poter richiedere il bonus. Con il nuovo regime basterebbero tre mesi di contribuzione nell'anno precedente e il regime di monocommittenza per almeno per il 75 per cento dei redditi percepiti. L'indennità verrebbe inoltre erogata anche ai titolari di partita iva e agli associati in partecipazione, finora esclusi dalla legge.
   la proposta di legge rappresenta uno dei possibili modi, secondo i presentatori, di rendere efficace uno strumento finora rilevatosi fallimentare. La proposta di legge è stata ripresentata, aggiornata, nel corso della XVII legislatura come A.C. 662 –:
   quale sia la posizione del Governo sulla questione dell'indennità precari stante anche le ampie risorse finanziarie che risultano non spese e se non ritenga, in collaborazione col Parlamento, di adottare dei meccanismi di revisione che garantiscano ai lavoratori precari degli strumenti di sostegno al reddito in caso di perdita del posto di lavoro;
   quali siano le risorse effettivamente disponibili, al 30 novembre 2013 relative, alla misura di cui al comma 1 dell'articolo 19 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e successive modificazioni;
   come siano effettivamente state utilizzate le risorse sopradette a partire dal giugno 2011 sino al 30 novembre 2013.
(5-01644)

Interrogazione a risposta scritta:


   RICCIATTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Best, azienda marchigiana di Montefano specializzata nella produzione di motori per cappe aspiranti, aveva fino a pochi anni fa 900 lavoratori. Oggi sono rimasti in 209, concentrati nel solo stabilimento di Cerreto d'Esi. Quello di Montefano sparì, letteralmente durante il «ponte» dei morti del 2011. La fabbrica venne svuotata in segreto e in gran fretta di tutte le sue attrezzature, trasportate in Polonia;
   attualmente siamo al 2° anno di cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga per cessazione attività a Best Montefano da rifinanziare, accordo fatto in regione Marche nel Dicembre 2012, con anticipo economico da parte della ditta Best per il primo anno;
   ad oggi la ditta Best ha anticipato oltre 1 milione di euro e fino a quando il Ministero del lavoro non emetterà il decreto, la Best non potrà recuperare questi soldi e la compensazione dei contributi da versare all'INPS;
   i lavoratori sono senza assegno di cassa integrazione perché il Ministero del lavoro e delle politiche sociali non ha ancora firmato il decreto per il secondo anno di cassa integrazione guadagni per gli operai della Best di Montefano e Cerreto d'Esi;
   la situazione attuale crea gravi e ulteriori preoccupazioni ai lavoratori che oltre alla mancanza di lavoro, sono momentaneamente privi di alcun sostegno al reddito e con la possibilità di vedersi decurtare anche il trattamento di fine rapporto;
   inoltre gli eventi possono avere delle ripercussioni negative anche sull'altro sito rimasto ancora attivo (BEST Cerreto d'Esi). La proprietà ha infatti dichiarato di non voler più stanziare fondi fin quando non avrà recuperato i crediti relativi a questa situazione;
   una delegazione, accompagnata dai rappresentanti sindacali, è stata ricevuta dal prefetto Pietro Giardina, che ha assicurato il suo impegno in prima persona per sbloccare i pagamenti dei mesi di settembre e ottobre. Due anni fa, infatti come spiega Rossella Marinucci della Fiom Cgil, era stato sottoscritto l'accordo per la cassa integrazione (che poi va rinnovato di anno in anno) che avrebbe dovuto coprire i dipendenti fino al 21 dicembre 2013. «Tutto è andato bene fino a settembre — continua la Marinucci — quando i dipendenti hanno ricevuto una lettera in cui l'azienda comunicava di non voler più anticipare la cassa integrazione, visto che il Ministero non ha ancora sottoscritto il rinnovo, per quest'anno, degli accordi»;
   in sostanza l'azienda, a corto di liquidità, non anticiperà più i soldi della cassa integrazione finché il Ministero non avrà rinnovato l'accordo per il 2013. E questo significa che, dal 10 settembre, i 93 lavoratori rimasti (altri 32 infatti sono stai ricollocati) non hanno più ricevuto emolumenti –:
   se non ritenga di attivarsi per sboccare il decreto che finanzi la cassa integrazione già sottoscritta per il 2013 per la Best di Montefano e di Cerreto d'Esi;
   se non ritenga di convocare un tavolo con le parti sociali al fine di supportare il rilancio dell'attività lavorativa in una regione che ha già subito gravi perdite in termini di posti di lavoro;
   quali iniziative intenda prendere per verificare se la delocalizzazione sia avvenuta nei modi previsti dalla legge.
(4-02798)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   PASTORELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, con un contributo di 53 miliardi di euro che proviene dal settore agricolo;
   in agricoltura sono presenti quasi un milione di imprese, ossia il 15 per cento del totale delle imprese italiane;
   il mercato agricolo ha una rilevante importanza non solo per l'economia nazionale, ma, altresì, per il patrimonio culturale ed ambientale, se si considera la percentuale di superficie coltivata, nonché l'ingente numero di lavoratori occupati nel settore;
   in Italia, gli allevamenti di suini – presenti, prevalentemente in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Umbria e Sardegna – sono oltre 26.200 e la produzione di carni suine è stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno;
   la suinicoltura italiana occupa il settimo posto in Europa per numero di capi mediamente presenti;
   sulla base dei dati elaborati dall'Associazione nazionale allevatori di suini (ANAS), l'Italia nel 2012 ha importato dalla Germania il 52 per cento di suini vivi e carni suine, per un totale di 535.309 tonnellate;
   la tutela dell'identità dei prodotti nazionali contro le frodi alimentari garantisce la solidità delle imprese agricole italiane;
   articoli di stampa europei hanno recentemente messo in luce che l'industria della carne suina tedesca è efficiente ed è basata su prodotti a basso costo, ma che dietro questo sistema ci sono operai sottopagati, falde acquifere inquinate e tecniche di allevamento che usano enormi quantità di antibiotici;
   la libera circolazione di alimenti sicuri e sani è un aspetto fondamentale del mercato interno, ma, sempre più spesso, la salute dei consumatori e la corretta e sana alimentazione appaiono compromesse da cibi anonimi, con scarse qualità nutrizionali, o addizionati e di origine per lo più sconosciuta;
   la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiana che non possiedono costituisce una vera e propria aggressione al patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale;
   l'articolo 10 della legge 14 gennaio 2013, n.9, Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini, introduce un sistema al fine di rendere accessibili a tutti gli organi di controllo ed alle Amministrazioni interessate le informazioni ed i dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine degli oli di oliva vergini, anche attraverso la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche –:
   se il Ministro non ritenga opportuno adottare, anche per le carni suine ad uso alimentare, di un sistema analogo a quello previsto per gli oli di oliva vergini dalla legge n. 9/2013 citata, per assicurare l'accessibilità da parte dei consumatori delle informazioni e dei dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine delle carni suine, nonché promuovere, a tale scopo, la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche;
   quali iniziative il Ministro intenda adottare, o abbia già adottato, al fine di rendere noti e pubblici i riferimenti delle società eventualmente coinvolte in pratiche, commerciali ingannevoli, fraudolente, o scorrette finalizzate ad immettere sui mercati finti prodotti made in Italy ed i dati dei traffici illeciti accertati. (4-02794)


   PASTORELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'importanza del settore agricolo per l'economia nazionale va riconosciuta con riferimento alla produzione agroalimentare, ma anche alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio culturale ed ambientale ed all'ingente numero di lavoratori occupati;
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta più del 17 per cento del PIL e provengono dal settore agricolo oltre 53 miliardi di euro;
   il made in Italy agroalimentare è la leva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese;
   il settore agricolo, considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore, riveste una particolare importanza per l'economia nazionale ed assume un ruolo fondamentale nella custodia del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   sulla base dei dati Efsa, l'Italia risulta prima, nel mondo, in termini di sicurezza alimentare, con oltre 1 milione di controlli l'anno, il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici oltre il limite (0,3 per cento), con un valore inferiore di cinque volte rispetto a quelli della media europea (1,5 per cento di irregolarità) e addirittura di 26 volte rispetto a quelli extracomunitari (7,9 per cento di irregolarità);
   il settore suinicolo rappresenta una voce importante dell'agroalimentare italiano. La suinicoltura italiana, infatti, occupa il 7° posto in Europa per numero di capi mediamente presenti: in Italia nel 2012 la consistenza è stata di 9,279 milioni di capi, preceduta da Germania (28,1 milioni), Spagna (25,2 milioni), Francia (13,7 milioni), Danimarca (12,4 milioni), Olanda (12,2 milioni) e Polonia (11,9 milioni di capi);
   i dati del censimento dell'agricoltura 2010 indicano in 26.197 il numero delle aziende suinicole in Italia (74,1 per cento rispetto al 2007), 4.900 delle quali allevano più di 50 suini;
   le regioni maggiormente vocate per l'allevamento di suini sono Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Piemonte, ma anche Calabria, Umbria e Sardegna;
   rispetto a 73,5 milioni di cosce suine consumate in Italia, 57,3 milioni sono di importazione, 24,5 milioni sono di produzione nazionale e 8,3 milioni vengono avviate all'esportazione;
   dai medesimi dati emerge che i principali Paesi fornitori di carne suina in Italia sono la Germania, l'Olanda, la Francia, la Spagna e la Danimarca;
   dai dati elaborati da ISMEA nel rapporto «La competitività dell'agroalimentare italiano» del 2012, emerge che la fase agricola è fortemente penalizzata dalle repentine e intense variazioni dei prezzi alla produzione, variazioni che invece non si trasmettono immediatamente sui prezzi nelle fasi più a valle, né per tempistica, né per intensità;
   sulla base dei risultati definitivi pubblicati dall'Istat e secondo quanto certificato dal 6° censimento generale dell'agricoltura, la bassa remunerazione dell'imprenditore agricolo, in diminuzione nell'ultimo decennio, è uno degli elementi a cui viene collegata la fuoriuscita dal settore di quasi 800 mila aziende agricole;
   nel mercato del settore suinicolo, l'andamento dei prezzi riconosciuti agli allevatori mostra valori inferiori ai costi di produzione;
   secondo analisi ed elaborazioni ANAS (Associazione nazionale allevatori suini), riferiti al primo semestre 2013, il valore dell'allevamento riconosciuto nella fase della distribuzione è stato del 17,28 per cento;
   dalle stesse elaborazioni si rileva che il costo medio di produzione del suino pesante (peso medio 160/170 chilogrammi) è di 1,56 euro al chilogrammo;
   i medesimi dati evidenziano che il prezzo medio riconosciuto all'allevatore per il suino pesante (peso medio 160/170 chilogrammi) è stato di 1,4 euro al chilogrammo;
   l'attuale situazione del mercato risulta complicata dalla mancanza di trasparenza sull'indicazione di origine delle carni suine, che rischia di creare confusione tra i prodotti di provenienza nazionale – che assicurano, tra l'altro, elevati standards di sicurezza e qualità – ed i prodotti di importazione che invece, spesso, presentano minori garanzie per il consumatore;
   l'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, nel disciplinare le relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli ed agroalimentari, vieta condotte commerciali sleali al fine di impedire che un contraente con maggiore forza commerciale possa abusarne, imponendo condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose per la controparte più debole –:
   se il Ministro non ritenga opportuno promuovere, con specifico riferimento al settore del commercio nel settore delle carni suine, al fine di dare piena attuazione all'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n.27, nella parte in cui vieta pratiche commerciali sleali che possano determinare, in contrasto con il principio della buona fede e della correttezza, il riconoscimento di prezzi, agli allevatori, palesemente inferiori ai costi di produzione medi da essi sostenuti;
   quali azioni il Ministro intenda promuovere, con specifico riferimento al commercio delle carni suine, al fine di contrastare pratiche commerciali sleali poste in essere, ai danni degli allevatori, in violazione della disciplina di cui all'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 ed al relativo Regolamento di attuazione (D.M 19 ottobre 2012, n. 199). (4-02795)


   RUSSO, SARRO, LUIGI CESARO, PETRENGA e CASTIELLO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'allarmismo mediatico sollevato di recente intorno all'annosa vicenda della cosiddetta terra dei fuochi, suscita, pertanto, una serie di preoccupazioni per i gravi danni d'immagine che esso provoca sul nostro ricco e pregiato made in Italy e, in particolare, su quello agroalimentare;
   la terra dei fuochi individua un'area della Campania che comprende 57 comuni (di cui 33 in provincia di Napoli e 24 in provincia di Caserta), con una popolazione residente di 2.405.754 abitanti, che rappresenta il 42 per cento dell'intera popolazione regionale, e una superficie territoriale pari a 1.071 chilometri quadrati, equivalente all'8 per cento di quella regionale (13.595 chilometri quadrati);
   in poco più di un anno, la zona è stata interessata da 6.034 roghi di rifiuti (materiali plastici, pneumatici fuori, uso, scarti di lavorazione del pellame, stracci) e dall'intensificarsi di forme di inquinamento ambientale dovute all'abusivo smaltimento e all'abbandono incontrollato di rifiuti solidi urbani, di rifiuti speciali, pericolosi e non;
   lo sversamento illegale dei rifiuti da parte delle organizzazioni criminali non solo aumenta esponenzialmente il rischio di danni alla salute e alla sicurezza delle persone, ma lede in maniera ingiusta e sproporzionata anche l'immagine commerciale dell'intero settore agroalimentare regionale, ingenerando sfiducia e preoccupazioni, oltremodo amplificate sull'onda mediatica;
   l'inquinamento deve e può essere risolto con azioni di presidio e di isolamento delle terre compromesse, evitando che l'immagine negativa riservata al quadrilatero compreso tra il litorale domitio, l'agro aversano-atellano, l'agro acerrano-nolano e vesuviano e la città di Napoli, possa procurare ulteriori danni economici alle imprese agricole presenti nella Regione;
   altrettanto pregiudizievoli e preoccupanti per l'immagine e la ripresa economica del nostro Paese, sono le recenti iniziative assunte da alcune imprese italiane dirette a screditare la produzione campana attraverso campagne pubblicitarie chiaramente denigratorie e svilenti ai danni di tutti quegli imprenditori agricoli che per generazioni hanno contribuito a rendere la mozzarella di bufala campana, il pomodoro San Marzano dell'agro sarnese-nocerino, i limoni della costiera amalfitana o i vini prodotti in diverse province e comuni campani, vere e proprie opere d'arte esportate in tutto il mondo;
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, di cui oltre 53 miliardi di euro provengono dal settore agricolo;
   il successo dell'agroalimentare italiano nel mondo e l'accreditamento attribuito al marchio «Italia» non conoscono arretramenti, come dimostra la crescita costante dell’export, ma anche la diffusione dei fenomeni di imitazione e pirateria commerciale;
   il made in Italy agro alimentare è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazioni geografiche e protette e produzione biologica;
   il settore agricolo ha una particolare importanza non solo per l'economia nazionale – considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore – ma, altresì, come naturale custode del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   molti controlli operati sul settore delle carni suine hanno evidenziato la violazione della disciplina in materia di presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari e condotte poste in essere in maniera ingannevole, fraudolenta e scorretta, allo specifico scopo di far intendere al consumatore che i prodotti acquistati sono di origine e di tradizione italiana;
   occorre ristabilire la fiducia tra i consumatori, reprimendo quegli atteggiamenti discriminatori ed egoistici che rischiano di compromettere l'immagine di un Paese compatto e determinato a spegnere quei focolai della illegalità che contribuiscono a diffondere la criminalità organizzata, a gettare discredito sulla produzione italiana e a creare confusione e diffidenza nella collettività;
   l'articolo 26, comma 2, lettera b) del regolamento (CE) 25 ottobre 2011, n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, prevede che l'indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza è obbligatoria, rinviando l'applicazione della norma a successivi atti di esecuzione da adottare entro il 13 dicembre 2013 –:
   quali iniziative il Ministro intenda adottare in sede europea al fine di promuovere il rispetto, da parte della Commissione europea, del termine del 13 dicembre 2013, imposto dal Regolamento 1169/2011/CE, per l'attuazione dell'obbligo di indicazione del Paese d'origine o del luogo di provenienza con riferimento alle carne suine;
   quali azioni il Ministro intenda intraprendere per provvedere alla tutela del vero made in Italy agroalimentare, con il fine di ristabilire la fiducia dei consumatori rispetto alla qualità e alla sicurezza dei prodotti agroalimentari locali.
(4-02806)


   RUSSO, LUIGI CESARO, SARRO, CASTIELLO e PETRENGA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'allarmismo mediatico sollevato di recente intorno all'annosa vicenda della così detta terra dei fuochi, suscita una serie di preoccupazioni per i gravi danni d'immagine che esso provoca sul nostro ricco e pregiato made in Italy e, in particolare, su quello agroalimentare, universalmente riconosciuto come straordinaria leva competitiva «ad alto valore aggiunto» per lo sviluppo del Paese;
   la terra dei fuochi individua un'area della Campania che comprende 57 comuni (di cui 33 in provincia di Napoli e 24 in provincia di Caserta), con una popolazione residente di 2.405.754 abitanti, che rappresenta il 42 per cento dell'intera popolazione regionale, e una superficie territoriale pari a 1.071 chilometri quadrati, equivalente all'8 per cento di quella regionale (13.595 chilometri quadrati);
   in poco più di un anno, la zona è stata interessata da 6.034 roghi di rifiuti (materiali plastici, pneumatici fuori uso, scarti di lavorazione del pellame, stracci) e dall'intensificarsi di forme di inquinamento ambientale dovute all'abusivo smaltimento e all'abbandono incontrollato di rifiuti solidi urbani, di rifiuti speciali, pericolosi e non;
   lo sversamento illegale dei rifiuti da parte delle organizzazioni criminali non solo aumenta esponenzialmente il rischio di danni alla salute e alla sicurezza delle persone, ma lede in maniera ingiusta e sproporzionata anche l'immagine commerciale dell'intero settore agroalimentare regionale, ingenerando sfiducia e preoccupazioni, oltremodo amplificate sull'onda mediatica;
   l'inquinamento deve e può essere risolto con azioni di presidio e di isolamento delle terre compromesse, evitando che l'immagine negativa riservata al quadrilatero compreso tra il litorale domitio, l'agro aversano-atellano, l'agro acerrano-nolano e vesuviano e la città di Napoli, possa procurare ulteriori danni economici alle imprese agricole presenti nella regione;
   il fenomeno dell'inquinamento atmosferico, del suolo e delle acque, che interessa le zone comprese nella terra dei fuochi dovrà essere affrontato con azioni strategiche miranti, oltre che a sanare le situazioni di emergenza ambientale in agricoltura, anche a superare le criticità che hanno fatto crollare il mercato dei prodotti agricoli e agroalimentari, nel tentativo di recuperare il danno di immagine e di reputazione che l'intero settore ha accusato a livello campano;
   deve essere ricordato, infatti, che l'agroalimentare made in Italy registra un fatturato nazionale superiore ai 266 miliardi di euro, anche grazie e sopra tutto, alla produzione della regione Campania, e rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo;
   l'agricoltura italiana, con un totale di circa 820 mila aziende, rappresenta circa il 15 per cento del totale delle imprese attive italiane;
   l'importanza del settore agricolo per l'economia nazionale non è legato solo alla produzione agroalimentare, ma anche alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio culturale ed ambientale ed all'ingente numero di lavoratori occupati;
   nonostante le difficoltà in cui versa l'intera economia italiana ed il deciso rallentamento del prodotto interno lordo nazionale registrato nel corso degli ultimi anni, secondo i dati Istat relativi ai primi sette mesi dell'anno, nel 2013 l'Italia ha fatto segnare il record nel valore delle esportazioni agroalimentari, arrivato a 34 miliardi di euro;
   la tutela dell'identità dei prodotti nazionali contro le frodi alimentari, la contraffazione e la pirateria, garantisce la solidità delle imprese agricole italiane e tutela l'immagine ed il valore del made in Italy;
   altrettanto pregiudizievoli e preoccupanti per l'immagine e la ripresa economica del nostro Paese, sono le recenti iniziative assunte da alcune imprese italiane dirette a screditare la produzione campana attraverso campagne pubblicitarie chiaramente denigratorie e svilenti ai danni di tutti quegli imprenditori agricoli che per generazioni hanno contribuito a rendere la mozzarella di bufala campana, il pomodoro San Marzano dell'agro sarnese-nocerino, i limoni della costiera amalfitana o i vini prodotti in diverse province e comuni campani, vere e proprie opere d'arte esportate in tutto il mondo;
   occorre ristabilire la fiducia tra i consumatori, reprimendo quegli atteggiamenti discriminatori ed egoistici che rischiano di compromettere l'immagine di un Paese compatto e determinato a spegnere quei focolai della illegalità che contribuiscono a diffondere la criminalità organizzata, a gettare discredito sulla produzione italiana e a creare confusione e diffidenza nella collettività;
   il mercato interno deve prevenire e contrastare l'usurpazione e la denigrazione del made in Italy, ponendosi come garante della qualità, della salubrità, delle caratteristiche e dell'origine dei prodotti alimentari italiani, in quanto elementi funzionali a garantire la salute ed il benessere dei consumatori ed il loro diritto ad una alimentazione sana, corretta e fondata su scelte di acquisto e di consumo consapevoli;
   il successo dell'agro alimentare italiano nel mondo e l'accreditamento attribuito al marchio «Italia» non conoscono arretramenti, come dimostra la crescita costante dell’export, ma anche la diffusione dei fenomeni di imitazione e pirateria commerciale;
   il made in Italy agro alimentare è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazioni geografiche e protette e produzione biologica;
   il settore agricolo ha una particolare importanza non solo per l'economia nazionale – considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore – ma, altresì, come naturale custode del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   l'usurpazione e la denigrazione del made in Italy minacciano la solidità e provocano gravi danni alle imprese agricole insediate sul territorio, violando il diritto dei consumatori ad alimenti sicuri, di qualità e di origine certa;
   il codice del consumo, recependo la disciplina comunitaria in materia, attribuisce ai consumatori ed agli utenti i diritti alla tutela della salute; alla sicurezza ed alla qualità dei prodotti; ad un'adeguata informazione e ad una pubblicità veritiera; all'esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà; all'educazione al consumo; alla trasparenza ed all'equità nei rapporti contrattuali;
   la disciplina a tutela dei prodotti di origine italiani introduce norme specifiche per contrastare la contraffazione ed evitare qualunque fraintendimento nell'indagine di provenienza falsa e fallace;
   la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiana che non possiedono costituisce una vera e propria aggressione ed arreca danno al patrimonio agro alimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale;
   quali determinazioni si intendano assumere in particolare tramite il Corpo forestale dello Stato, per applicare la definizione precisa dell'effettiva origine degli alimenti, secondo quanto stabilito dall'articolo 4, commi 49 e 49-bis della legge 24 dicembre 2003, n. 350 sulla tutela del made in Italy, tenuto anche conto della necessità di ripristinare un dialogo di fiducia con i consumatori rispetto alla qualità e alla sicurezza dei prodotti agroalimentari. (4-02807)


   RUSSO, LUIGI CESARO, SARRO, CASTIELLO e PETRENGA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'importanza del settore agricolo per l'economia nazionale va riconosciuta con riferimento alla produzione agroalimentare, ma anche alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio culturale ed ambientale ed attingente numero di lavoratori occupati;
   l'allarmismo mediatico sollevato di recente intorno all'annosa vicenda della cosiddetta terra dei fuochi, suscita, pertanto, una serie di preoccupazioni per i gravi danni d'immagine che esso provoca sul nostro ricco e pregiato made in Italy e, in particolare, su quello agroalimentare;
   la terra dei fuochi individua un'area della Campania che comprende 57 comuni (di cui 33 in provincia di Napoli e 24 in provincia di Caserta), con una popolazione residente di 2.405.754 abitanti, che rappresenta il 42 per cento dell'intera popolazione regionale, e una superficie territoriale pari a 1.071 chilometri quadrati equivalente all'8 per cento di quella regionale (13.595 chilometri quadrati);
   in poco più di un anno, la zona è stata interessata da 6.034 roghi di rifiuti (materiali plastici, pneumatici fuori uso, scarti di lavorazione del pellame, stracci) e dall'intensificarsi di forme di inquinamento ambientale dovute all'abusivo smaltimento e all'abbandono incontrollato di rifiuti solidi urbani, di rifiuti speciali, pericolosi e non;
   lo smaltimento illegale dei rifiuti da parte delle organizzazioni criminali non solo aumenta esponenzialmente il rischio di danni alla salute e alla sicurezza delle persone, ma lede in maniera ingiusta e sproporzionata anche l'immagine commerciale dell'intero settore agroalimentare regionale, ingenerando sfiducia e preoccupazioni, oltremodo amplificate sull'onda mediatica;
   l'inquinamento deve e può essere risolto con azioni di presidio e di isolamento delle terre compromesse, evitando che l'immagine negativa riservata al quadrilatero compreso tra il litorale domitio, l'agro aversano-atellano, l'agro acerrano-nolano e vesuviano e la città di Napoli, possa procurare ulteriori danni economici alle imprese agricole presenti nella Regione;
   altrettanto pregiudizievoli e preoccupanti per l'immagine e la ripresa economica del nostro Paese, sono le recenti iniziative assunte da alcune imprese italiane dirette a screditare la produzione campana attraverso campagne pubblicitarie chiaramente denigratorie e svilenti ai danni di tutti quegli imprenditori agricoli che per generazioni hanno contribuito a rendere la mozzarella di bufala campana, il pomodoro San Marzano dell'agro sarnese-nocerino, i limoni della costiera amalfitana o i vini prodotti in diverse province e comuni campani, vere e proprie opere d'arte esportate in tutto il mondo;
   occorre ristabilire la fiducia tra i consumatori, reprimendo quegli atteggiamenti discriminatori ed egoistici che rischiano di compromettere l'immagine di un Paese compatto e determinato a spegnere quei focolai della illegalità che contribuiscono a diffondere la criminalità organizzata, a gettare discredito sulla produzione italiana e a creare confusione e diffidenza nella collettività;
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta più del 17 per cento del prodotto interno lordo e provengono dal settore agricolo oltre 53 miliardi di euro;
   il made in Italy agro alimentare è la leva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese;
   il settore agricolo, considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore, riveste una particolare importanza per l'economia nazionale ed assume un ruolo fondamentale nella custodia del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   sulla base dei dati Efsa, l'Italia risulta prima, nel mondo, in termini di sicurezza alimentare, con oltre 1 milione di controlli l'anno, il minor numero di prodotti agro alimentari con residui chimici oltre il limite (0,3 per cento), con un valore inferiore di cinque volte rispetto a quelli della media europea (1,5 per cento di irregolarità) e addirittura di 26 volte rispetto a quelli extracomunitari (7,9 per cento di irregolarità);
   dai dati elaborati da ISMEA nel rapporto «La competitività dell'agroalimentare italiano» del 2012, emerge che la fase agricola è fortemente penalizzata dalle repentine e intense variazioni dei prezzi alla produzione, variazioni che invece non si trasmettono immediatamente sui prezzi nelle fasi più a valle, né per tempistica, né per intensità;
   sulla base dei risultati definitivi pubblicati dall'Istat e secondo quanto certificato dal 6° censimento generale dell'agricoltura, la bassa remunerazione dell'imprenditore agricolo, in diminuzione nell'ultimo decennio, è uno degli elementi a cui viene collegata la fuoriuscita dal settore di quasi 800 mila aziende agricole;
   l'attuale situazione del mercato risulta complicata dalla mancanza di trasparenza sull'indicazione di origine di diversi prodotti, che rischia di creare confusione tra i prodotti di provenienza nazionale – che assicurano, tra l'altro, elevati standard di sicurezza e qualità – ed i prodotti di importazione che invece, spesso, presentano minori garanzie per il consumatore;
   l'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, nel disciplinare le relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli ed agroalimentari, vieta condotte commerciali sleali al fine di impedire che un contraente con maggiore forza commerciale possa abusarne, imponendo condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose per la controparte più debole –:
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda promuovere, con specifico riferimento al settore del commercio, al fine di dare piena attuazione all'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, nella parte in cui vieta pratiche commerciali sleali che possano determinare, in contrasto con il principio della buona fede e della correttezza, il riconoscimento di prezzi palesemente inferiori ai costi di produzione medi sostenuti;
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda promuovere al fine di contrastare pratiche commerciali sleali poste in essere ai danni degli agricoltori, in violazione della disciplina di cui all'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 ed al relativo regolamento di attuazione (decreto ministeriale 19 ottobre 2012, n. 199), anche al fine di ripristinare la fiducia dei consumatori nei confronti della qualità e della sicurezza dei prodotti agroalimentari.
(4-02808)


   RUSSO, LUIGI CESARO, PETRENGA, SARRO e CASTIELLO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'allarmismo mediatico sollevato di recente intorno all'annosa vicenda della così detta terra dei fuochi, suscita una serie di preoccupazioni per i gravi danni d'immagine che esso provoca sul nostro ricco e pregiato made in Italy e, in particolare, su quello agroalimentare, universalmente riconosciuto come straordinaria leva competitiva «ad alto valore aggiunto» per lo sviluppo del Paese;
   la terra dei fuochi individua un'area della Campania che comprende 57 comuni (di cui 33 in provincia di Napoli e 24 in provincia di Caserta), con una popolazione residente di 2.405.754 abitanti, che rappresenta il 42 per cento dell'intera popolazione regionale, e una superficie territoriale pari a 1.071 chilometri quadrati, equivalente all'8 per cento di quella regionale (13.595 chilometri quadrati);
   in poco più di un anno, la zona è stata interessata da 6.034 roghi di rifiuti (materiali plastici, pneumatici fuori uso, scarti di lavorazione del pellame, stracci) e dall'intensificarsi di forme di inquinamento ambientale dovute all'abusivo smaltimento e all'abbandono incontrollato di rifiuti solidi urbani, di rifiuti speciali, pericolosi e non;
   lo sversamento illegale dei rifiuti da parte delle organizzazioni criminali non solo aumenta esponenzialmente il rischio di danni alla salute e alla sicurezza delle persone, ma lede in maniera ingiusta e sproporzionata anche l'immagine commerciale dell'intero settore agroalimentare regionale, ingenerando sfiducia e preoccupazioni, oltremodo amplificate sull'onda mediatica;
   l'inquinamento deve e può essere risolto con azioni di presidio e di isolamento delle terre compromesse, evitando che l'immagine negativa riservata al quadrilatero compreso tra il litorale domitio, l'agro aversano-atellano, l'agro acerrano-nolano e vesuviano e la città di Napoli, possa procurare ulteriori danni economici alle imprese agricole presenti nella Regione;
   il fenomeno dell'inquinamento atmosferico, del suolo e delle acque, che interessa le zone comprese nella terra dei fuochi dovrà essere affrontato con azioni strategiche miranti, oltre che a sanare le situazioni di emergenza ambientale in agricoltura, anche a superare le criticità che hanno fatto crollare il mercato dei prodotti agricoli e agroalimentari, nel tentativo di recuperare il danno di immagine e di reputazione che l'intero settore ha accusato a livello campano;
   deve essere ricordato, infatti, che l'agroalimentare made in Italy registra un fatturato nazionale superiore ai 266 miliardi di euro, anche grazie e sopra tutto, alla produzione della regione Campania, e rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo;
   l'agricoltura italiana, con un totale di circa 820 mila aziende, rappresenta circa il 15 per cento del totale delle imprese attive italiane;
   l'importanza del settore agricolo per l'economia nazionale non è legato solo alla produzione agroalimentare, ma anche alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio culturale ed ambientale ed all'ingente numero di lavoratori occupati;
   nonostante le difficoltà in cui versa l'intera economia italiana ed il deciso rallentamento del prodotto interno lordo nazionale registrato nel corso degli ultimi anni, secondo i dati Istat relativi ai primi sette mesi dell'anno, nel 2013 l'Italia ha fatto segnare il record nel valore delle esportazioni agroalimentari, arrivato a 34 miliardi di euro;
   la tutela dell'identità dei prodotti nazionali contro le frodi alimentari, la contraffazione e la pirateria, garantisce la solidità delle imprese agricole italiane e tutela l'immagine ed il valore del made in Italy;
   altrettanto pregiudizievoli e preoccupanti per l'immagine e la ripresa economica del nostro Paese, sono le recenti iniziative assunte da alcune imprese italiane dirette a screditare la produzione campana attraverso campagne pubblicitarie chiaramente denigratorie e svilenti ai danni di tutti quegli imprenditori agricoli che per generazioni hanno contribuito a rendere la mozzarella di bufala campana, il pomodoro San Marzano dell'agro sarnese-nocerino, i limoni della costiera amalfitana o i vini prodotti in diverse province e comuni campani, vere e proprie opere d'arte esportate in tutto il mondo;
   occorre, allora, ristabilire la fiducia tra i consumatori, reprimendo quegli atteggiamenti discriminatori ed egoistici che rischiano di compromettere l'immagine di un Paese compatto e determinato a spegnere quei focolai della illegalità che contribuiscono a diffondere la criminalità organizzata, a gettare discredito sulla produzione italiana e a creare confusione e diffidenza nella collettività;
   il mercato interno deve prevenire e contrastare l'usurpazione e la denigrazione del made in Italy, ponendosi come garante della qualità, della salubrità, delle caratteristiche e dell'origine dei prodotti alimentari italiani, in quanto elementi funzionali a garantire la salute ed il benessere dei consumatori ed il loro diritto ad una alimentazione sana, corretta e fondata su scelte di acquisto e di consumo consapevoli;
   l'omissione delle informazioni sull'origine di un prodotto agroalimentare ed una pubblicità che suggerisca un legame inesistente tra un prodotto ed un territorio aumentano in modo significativo il rischio di confusione;
   la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiana che non possiedono pregiudica l'immagine del patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale;
   l'articolo 26, comma 2, lettera b), del regolamento CE 25 ottobre 2011, n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, impone come obbligatoria l'indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza per una serie di prodotti, fissando alla Commissione il termine del 13 dicembre 2013 per adottare le disposizioni di attuazione dell'obbligo –:
   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano promuovere, con specifico riferimento al settore del commercio con l'estero al fine di prevenire le pratiche fraudolente o ingannevoli, ai danni del made in Italy o, comunque, ogni altro tipo di operazione o attività commerciali in grado di indurre in errore i consumatori e, ancora, la più ampia trasparenza delle informazioni relative ai prodotti alimentari ed ai relativi processi produttivi e l'effettiva rintracciabilità degli alimenti nazionali;
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare in sede europea al fine di promuovere il rispetto del termine del 13 dicembre 2013, imposto dal regolamento n. 1169/2011/CE, per l'attuazione dell'obbligo di indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza;
   se i Ministri interrogati non intendano assumere iniziative per l'adozione di un sistema analogo a quello previsto dall'articolo 10 della legge 14 gennaio 2013, n. 9, Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini, al fine di rendere accessibili a tutti gli organi di controllo ed alle amministrazioni interessate le informazioni ed i dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine dei prodotti, nonché assicurare l'accesso ai relativi documenti da parte dei consumatori, anche attraverso la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche. (4-02810)


   GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'allarmismo mediatico sollevato di recente intorno all'annosa vicenda della cosiddetta terra dei fuochi, suscita, pertanto, una serie di preoccupazioni per i gravi danni d'immagine che esso provoca sul nostro ricco e pregiato made in Italy e, in particolare, su quello agroalimentare;
   la terra dei fuochi individua un'area della Campania che comprende 57 comuni (di cui 33 in provincia di Napoli e 24 in provincia di Caserta), con una popolazione residente di 2.405.754 abitanti, che rappresenta il 42 per cento dell'intera popolazione regionale, e una superficie territoriale pari a 1.071 chilometri quadrati, equivalente all'8 per cento di quella regionale (13.595 chilometri quadrati);
   in poco più di un anno, la zona è stata interessata da 6.034 roghi di rifiuti (materiali plastici, pneumatici fuori uso, scarti di lavorazione del pellame, stracci) e dall'intensificarsi di forme di inquinamento ambientale dovute all'abusivo smaltimento e all'abbandono incontrollato di rifiuti solidi urbani, di rifiuti speciali, pericolosi e non;
   lo sversamento illegale dei rifiuti da parte delle organizzazioni criminali non solo aumenta esponenzialmente il rischio di danni alla salute e alla sicurezza delle persone, ma lede in maniera ingiusta e sproporzionata anche l'immagine commerciale dell'intero settore agroalimentare regionale, ingenerando sfiducia e preoccupazioni, oltremodo amplificate sull'onda mediatica;
   l'inquinamento deve e può essere risolto con azioni di presidio e di isolamento delle terre compromesse, evitando che l'immagine negativa riservata al quadrilatero compreso tra il litorale domitio, l'agro aversano-atellano, l'agro acerrano-nolano e vesuviano e la città di Napoli, possa procurare ulteriori danni economici alle imprese agricole presenti nella Regione;
   altrettanto pregiudizievoli e preoccupanti per l'immagine e la ripresa economica del nostro Paese, sono le recenti iniziative assunte da alcune imprese italiane dirette a screditare la produzione campana attraverso campagne pubblicitarie chiaramente denigratorie e svilenti ai danni di tutti quegli imprenditori agricoli che per generazioni hanno contribuito a rendere la mozzarella di bufala campana, il pomodoro San Marzano dell'agro sarnese-nocerino, i limoni della costiera amalfitana o i vini prodotti in diverse province e comuni campani, vere e proprie opere d'arte esportate in tutto il mondo;
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, di cui oltre 53 miliardi di euro provengono dal settore agricolo;
   il successo dell'agroalimentare italiano nel mondo e l'accreditamento attribuito al marchio «Italia» non conoscono arretramenti, come dimostra la crescita costante dell’export, ma anche la diffusione dei fenomeni di imitazione e pirateria commerciale;
   il made in Italy agroalimentare è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazioni geografiche e protette e produzione biologica;
   il settore agricolo ha una particolare importanza non solo per l'economia nazionale – considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore – ma, altresì, come naturale custode del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   molti controlli operati sul settore delle carni suine hanno evidenziato la violazione della disciplina in materia di presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari e condotte poste in essere in maniera ingannevole, fraudolenta e scorretta, allo specifico scopo di far intendere al consumatore che i prodotti acquistati sono di origine e di tradizione italiana;
   occorre ristabilire la fiducia tra i consumatori, reprimendo quegli atteggiamenti discriminatori ed egoistici che rischiano di compromettere l'immagine di un Paese compatto e determinato a spegnere quei focolai della illegalità che contribuiscono a diffondere la criminalità organizzata, a gettare discredito sulla produzione italiana e a creare confusione e diffidenza nella collettività;
   l'articolo 26, comma 2, lettera b) del regolamento (CE) 25 ottobre 2011, n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, prevede che l'indicazione del Paese d'origine o del luogo di provenienza è obbligatoria, rinviando l'applicazione della norma a successivi atti di esecuzione da adottare entro il 13 dicembre 2013 –:
   quali iniziative il Ministro intenda adottare in sede europea al fine di promuovere il rispetto del termine del 13 dicembre 2013, imposto dal Regolamento 1169/2011/CE, per l'attuazione dell'obbligo di indicazione del Paese d'origine o del luogo di provenienza con riferimento alle carne suine;
   quali azioni il Ministro intenda intraprendere per provvedere alla tutela del vero made in Italy agroalimentare, con il fine di ristabilire la fiducia dei consumatori rispetto alla qualità e alla sicurezza dei prodotti agroalimentari locali.
(4-02811)


   GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'importanza del settore agricolo per l'economia nazionale va riconosciuta con riferimento alla produzione agroalimentare, ma anche alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio culturale ed ambientale ed all'ingente numero di lavoratori occupati;
   l'allarmismo mediatico sollevato di recente intorno all'annosa vicenda della cosiddetta terra dei fuochi, suscita, pertanto, una serie di preoccupazioni per i gravi danni d'immagine che esso provoca sul nostro ricco e pregiato made in Italy e, in particolare, su quello agroalimentare;
   la terra dei fuochi individua un'area della Campania che comprende 57 comuni (di cui 33 in provincia di Napoli e 24 in provincia di Caserta), con una popolazione residente di 2.405.754 abitanti, che rappresenta il 42 per cento dell'intera popolazione regionale, e una superficie territoriale pari a 1.071 chilometri quadrati, equivalente all'8 per cento di quella regionale (13.595 chilometri quadrati);
   in poco più di un anno, la zona è stata interessata da 6.034 roghi di rifiuti (materiali plastici, pneumatici fuori uso, scarti di lavorazione del pellame, stracci) e dall'intensificarsi di forme di inquinamento ambientale dovute all'abusivo smaltimento e all'abbandono incontrollato di rifiuti solidi urbani, di rifiuti speciali, pericolosi e non;
   lo smaltimento illegale dei rifiuti da parte delle organizzazioni criminali non solo aumenta esponenzialmente il rischio di danni alla salute e alla sicurezza delle persone, ma lede in maniera ingiusta e sproporzionata anche l'immagine commerciale dell'intero settore agroalimentare regionale, ingenerando sfiducia e preoccupazioni, oltremodo amplificate sull'onda mediatica;
   l'inquinamento deve e può essere risolto con azioni di presidio e di isolamento delle terre compromesse, evitando che l'immagine negativa riservata al quadrilatero compreso tra il litorale domitio, l'agro aversano-atellano, l'agro acerrano-nolano e vesuviano e la città di Napoli, possa procurare ulteriori danni economici alle imprese agricole presenti nella Regione;
   altrettanto pregiudizievoli e preoccupanti per l'immagine e la ripresa economica del nostro Paese, sono le recenti iniziative assunte da alcune imprese italiane dirette a screditare la produzione campana attraverso campagne pubblicitarie chiaramente denigratorie e svilenti ai danni di tutti quegli imprenditori agricoli che per generazioni hanno contribuito a rendere la mozzarella di bufala campana, il pomodoro San Marzano dell'agro sarnese-nocerino, i limoni della costiera amalfitana o i vini prodotti in diverse province e comuni campani, vere e proprie opere d'arte esportate in tutto il mondo;
   occorre ristabilire la fiducia tra i consumatori, reprimendo quegli atteggiamenti discriminatori ed egoistici che rischiano di compromettere l'immagine di un Paese compatto e determinato a spegnere quei focolai della illegalità che contribuiscono a diffondere la criminalità organizzata, a gettare discredito sulla produzione italiana e a creare confusione e diffidenza nella collettività;
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta più del 17 per cento del prodotto interno lordo e provengono dal settore agricolo oltre 53 miliardi di euro;
   il made in Italy agroalimentare è la leva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese;
   il settore agricolo, considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore, riveste una particolare importanza per l'economia nazionale ed assume un ruolo fondamentale nella custodia del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   sulla base dei dati Efsa, l'Italia risulta prima, nel mondo, in termini di sicurezza alimentare, con oltre 1 milione di controlli Tanno, il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici oltre il limite (0,3 per cento), con un valore inferiore di cinque volte rispetto a quelli della media europea (1,5 per cento di irregolarità) e addirittura di 26 volte rispetto a quelli extracomunitari (7,9 per cento di irregolarità);
   dai dati elaborati da ISMEA nel rapporto «La competitività dell'agroalimentare italiano» del 2012, emerge che la fase agricola è fortemente penalizzata dalle repentine e intense variazioni dei prezzi alla produzione, variazioni che invece non si trasmettono immediatamente sui prezzi nelle fasi più a valle, né per tempistica, né per intensità;
   sulla base dei risultati definitivi pubblicati dall'Istat e secondo quanto certificato dal 6° censimento generale dell'agricoltura, la bassa remunerazione dell'imprenditore agricolo, in diminuzione nell'ultimo, decennio, è uno degli elementi a cui viene collegata la fuoriuscita dal settore di quasi 800 mila aziende agricole;
   l'attuale situazione del mercato risulta complicata dalla mancanza di trasparenza sull'indicazione di origine di diversi prodotti, che rischia di creare confusione tra i prodotti di provenienza nazionale – che assicurano, tra l'altro, elevati standard di sicurezza e qualità – ed i prodotti di importazione che invece, spesso, presentano minori garanzie per il consumatore;
   l'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, nel disciplinare le relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli ed agroalimentari, vieta condotte commerciali sleali al fine di impedire che un contraente con maggiore forza commerciale possa abusarne, imponendo condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose per la controparte più debole –:
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda promuovere, con specifico riferimento al settore del commercio, al fine di dare piena attuazione all'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, nella parte in cui vieta pratiche commerciali sleali che possano determinare, in contrasto con il principio della buona fede e della correttezza, il riconoscimento di prezzi palesemente inferiori ai costi di produzione medi sostenuti;
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda promuovere al fine di contrastare pratiche commerciali sleali poste in essere ai danni degli agricoltori, in violazione della disciplina di cui all'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 ed al relativo regolamento di attuazione (decreto ministeriale 19 ottobre 2012, n. 199), anche al fine di ripristinare la fiducia dei consumatori nei confronti della qualità e della sicurezza dei prodotti agroalimentari.
(4-02812)


   GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'allarmismo mediatico sollevato di recente intorno all'annosa vicenda della così detta terra dei fuochi, suscita una serie di preoccupazioni per i gravi danni d'immagine che esso provoca sul nostro ricco e pregiato made in Italy e, in particolare, su quello agroalimentare, universalmente riconosciuto come straordinaria leva competitiva «ad alto valore aggiunto» per lo sviluppo del Paese;
   la terra dei fuochi individua un'area della Campania che comprende 57 comuni (di cui 33 in provincia di Napoli e 24 in provincia di Caserta), con una popolazione residente di 2.405.754 abitanti, che rappresenta il 42 per cento dell'intera popolazione regionale, e una superficie territoriale pari a 1.071 chilometri quadrati, equivalente all'8 per cento di quella regionale (13.595 chilometri quadrati);
   in poco più di un anno, la zona è stata interessata da 6.034 roghi di rifiuti (materiali plastici, pneumatici fuori uso, scarti di lavorazione del pellame, stracci) e dall'intensificarsi di forme di inquinamento ambientale dovute all'abusivo smaltimento e all'abbandono incontrollato di rifiuti solidi urbani, di rifiuti speciali, pericolosi e non;
   lo sversamento illegale dei rifiuti da parte delle organizzazioni criminali non solo aumenta esponenzialmente il rischio di danni alla salute e alla sicurezza delle persone, ma lede in maniera ingiusta e sproporzionata anche l'immagine commerciale dell'intero settore agroalimentare regionale, ingenerando sfiducia e preoccupazioni, oltremodo amplificate sull'onda mediatica;
   l'inquinamento deve e può essere risolto con azioni di presidio e di isolamento delle terre compromesse, evitando che l'immagine negativa riservata al quadrilatero compreso tra il litorale domitio, l'agro aversano-atellano, l'agro acerrano-nolano e vesuviano e la città di Napoli, possa procurare ulteriori danni economici alle imprese agricole presenti nella regione;
   il fenomeno dell'inquinamento atmosferico, del suolo e delle acque, che interessa le zone comprese nella terra dei fuochi dovrà essere affrontato con azioni strategiche miranti, oltre che a sanare le situazioni di emergenza ambientale in agricoltura, anche a superare le criticità che hanno fatto crollare il mercato dei prodotti agricoli e agroalimentari, nel tentativo di recuperare il danno di immagine e di reputazione che l'intero settore ha accusato a livello campano;
   deve essere ricordato, infatti, che l'agroalimentare made in Italy registra un fatturato nazionale superiore ai 266 miliardi di euro, anche grazie e sopra tutto, alla produzione della regione Campania, e rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo;
   l'agricoltura italiana, con un totale di circa 820 mila aziende, rappresenta circa il 15 per cento del totale delle imprese attive italiane;
   l'importanza del settore agricolo per l'economia nazionale non è legato solo alla produzione agroalimentare, ma anche alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio culturale ed ambientale ed all'ingente numero di lavoratori occupati;
   nonostante le difficoltà in cui versa l'intera economia italiana ed il deciso rallentamento del prodotto interno lordo nazionale registrato nel corso degli ultimi anni, secondo i dati Istat relativi ai primi sette mesi dell'anno, nel 2013 l'Italia ha fatto segnare il record nel valore delle esportazioni agroalimentari, arrivato a 34 miliardi di euro;
   la tutela dell'identità dei prodotti nazionali contro le frodi alimentari, la contraffazione e la pirateria, garantisce la solidità delle imprese agricole italiane e tutela l'immagine ed il valore del made in Italy;
   altrettanto pregiudizievoli e preoccupanti per l'immagine e la ripresa economica del nostro Paese, sono le recenti iniziative assunte da alcune imprese italiane dirette a screditare la produzione campana attraverso campagne pubblicitarie chiaramente denigratorie e svilenti ai danni di tutti quegli imprenditori agricoli che per generazioni hanno contribuito a rendere la mozzarella di bufala campana, il pomodoro San Marzano dell'agro sarnese-nocerino, i limoni della costiera amalfitana o i vini prodotti in diverse province e comuni campani, vere e proprie opere d'arte esportate in tutto il mondo;
   occorre ristabilire la fiducia tra i consumatori, reprimendo quegli atteggiamenti discriminatori ed egoistici che rischiano di compromettere l'immagine di un Paese compatto e determinato a spegnere quei focolai della illegalità che contribuiscono a diffondere la criminalità organizzata, a gettare discredito sulla produzione italiana e a creare confusione e diffidenza nella collettività;
   il mercato interno deve prevenire e contrastare l'usurpazione e la denigrazione del made in Italy, ponendosi come garante della qualità, della salubrità, delle caratteristiche e dell'origine dei prodotti alimentari italiani, in quanto elementi funzionali a garantire la salute ed il benessere dei consumatori ed il loro diritto ad una alimentazione sana, corretta e fondata su scelte di acquisto e di consumo consapevoli;
   il successo dell'agroalimentare italiano nel mondo e l'accreditamento attribuito al marchio «Italia» non conoscono arretramenti, come dimostra la crescita costante dell’export, ma anche la diffusione dei fenomeni di imitazione e pirateria commerciale;
   il made in Italy agroalimentare è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazioni geografiche e protette e produzione biologica;
   il settore agricolo ha una particolare importanza non solo per l'economia nazionale – considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore – ma, altresì, come naturale custode del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   l'usurpazione e la denigrazione del made in Italy minacciano la solidità e provocano gravi danni alle imprese agricole insediate sul territorio, violando il diritto dei consumatori ad alimenti sicuri, di qualità e di origine certa;
   il codice del consumo, recependo la disciplina comunitaria in materia, attribuisce ai consumatori ed agli utenti i diritti alla tutela della salute; alla sicurezza ed alla qualità dei prodotti; ad un'adeguata informazione e ad una pubblicità veritiera; all'esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà; all'educazione al consumo; alla trasparenza ed all'equità nei rapporti contrattuali;
   la disciplina a tutela dei prodotti di origine italiani introduce norme specifiche per contrastare la contraffazione ed evitare qualunque fraintendimento nell'indagine di provenienza falsa e fallace;
   la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiana che non possiedono costituisce una vera e propria aggressione ed arreca danno al patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale –:
   quali determinazioni si intendano assumere, in particolare tramite il Corpo forestale dello Stato, per applicare la definizione precisa dell'effettiva origine degli alimenti, secondo quanto stabilito dall'articolo 4, commi 49 e 49-bis, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 sulla tutela del made in Italy, tenuto anche conto della necessità di ripristinare un dialogo di fiducia con i consumatori rispetto alla qualità e alla sicurezza dei prodotti agroalimentari. (4-02814)


   GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'allarmismo mediatico sollevato di recente intorno all'annosa vicenda della cosiddetta terra dei fuochi, suscita una serie di preoccupazioni per i gravi danni d'immagine che esso provoca sul nostro ricco e pregiato made in Italy e, in particolare, su quello agroalimentare, universalmente riconosciuto come straordinaria leva competitiva «ad alto valore aggiunto» per lo sviluppo del Paese;
   la terra dei fuochi individua un'area della Campania che comprende 57 comuni (di cui 33 in provincia di Napoli e 24 in provincia di Caserta), con una popolazione residente di 2.405.754 abitanti, che rappresenta il 42 per cento dell'intera popolazione regionale, e una superficie territoriale pari a 1.071 chilometri quadrati, equivalente all'8 per cento di quella regionale (13.595 chilometri quadrati);
   in poco più di un anno, la zona è stata interessata da 6.034 roghi di rifiuti (materiali plastici, pneumatici fuori uso, scarti di lavorazione del pellame, stracci) e dall'intensificarsi di forme di inquinamento ambientale dovute all'abusivo smaltimento e all'abbandono incontrollato di rifiuti solidi urbani, di rifiuti speciali, pericolosi e non;
   lo sversamento illegale dei rifiuti da parte delle organizzazioni criminali non solo aumenta esponenzialmente il rischio di danni alla salute e alla sicurezza delle persone, ma lede in maniera ingiusta e sproporzionata anche l'immagine commerciale dell'intero settore agroalimentare regionale, ingenerando sfiducia e preoccupazioni, oltremodo amplificate sull'onda mediatica;
   l'inquinamento deve e può essere risolto con azioni di presidio e di isolamento delle terre compromesse, evitando che l'immagine negativa riservata al quadrilatero compreso tra il litorale domitio, l'agro aversano-atellano, l'agro acerrano-nolano e vesuviano e la città di Napoli, possa procurare ulteriori danni economici alle imprese agricole presenti nella Regione;
   il fenomeno dell'inquinamento atmosferico, del suolo e delle acque, che interessa le zone comprese nella terra dei fuochi dovrà essere affrontato con azioni strategiche miranti, oltre che a sanare le situazioni di emergenza ambientale in agricoltura, anche a superare le criticità che hanno fatto crollare il mercato dei prodotti agricoli e agroalimentari, nel tentativo di recuperare il danno di immagine e di reputazione che l'intero settore ha accusato a livello campano;
   deve essere ricordato, infatti, che l'agroalimentare made in Italy registra un fatturato nazionale superiore ai 266 miliardi di euro, anche grazie e sopra tutto, alla produzione della regione Campania, e rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo;
   l'agricoltura italiana, con un totale di circa 820 mila aziende, rappresenta circa il 15 per cento del totale delle imprese attive italiane;
   l'importanza del settore agricolo per l'economia nazionale non è legato solo alla produzione agroalimentare, ma anche alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio culturale ed ambientale ed all'ingente numero di lavoratori occupati;
   nonostante le difficoltà in cui versa l'intera economia italiana ed il deciso rallentamento del prodotto interno lordo nazionale registrato nel corso degli ultimi anni, secondo i dati Istat relativi ai primi sette mesi dell'anno, nel 2013 l'Italia ha fatto segnare il record nel valore delle esportazioni agroalimentari, arrivato a 34 miliardi di euro;
   la tutela dell'identità dei prodotti nazionali contro le frodi alimentari, la contraffazione e la pirateria, garantisce la solidità delle imprese agricole italiane e tutela l'immagine ed il valore del made in Italy;
   altrettanto pregiudizievoli e preoccupanti per l'immagine e la ripresa economica del nostro Paese, sono le recenti iniziative assunte da alcune imprese italiane dirette a screditare la produzione campana attraverso campagne pubblicitarie chiaramente denigratorie e svilenti ai danni di tutti quegli imprenditori agricoli che per generazioni hanno contribuito a rendere la mozzarella di bufala campana, il pomodoro San Marzano dell'agro sarnese-nocerino, i limoni della costiera amalfitana o i vini prodotti in diverse province e comuni campani, vere e proprie opere d'arte esportate in tutto il mondo;
   occorre, allora, ristabilire la fiducia tra i consumatori, reprimendo quegli atteggiamenti discriminatori ed egoistici che rischiano di compromettere l'immagine di un Paese compatto e determinato a spegnere quei focolai della illegalità che contribuiscono a diffondere la criminalità organizzata, a gettare discredito sulla produzione italiana e a creare confusione e diffidenza nella collettività;
   il mercato interno deve prevenire e contrastare l'usurpazione e la denigrazione del made in Italy, ponendosi come garante della qualità, della salubrità, delle caratteristiche e dell'origine dei prodotti alimentari italiani, in quanto elementi funzionali a garantire la salute ed il benessere dei consumatori ed il loro diritto ad una alimentazione sana, corretta e fondata su scelte di acquisto e di consumo consapevoli;
   l'omissione delle informazioni sull'origine di un prodotto agroalimentare ed una pubblicità che suggerisca un legame inesistente tra un prodotto ed un territorio aumentano in modo significativo il rischio di confusione;
   la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiana che non possiedono pregiudica l'immagine del patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale;
   l'articolo 26, comma 2, lettera b), del regolamento (CE) 25 ottobre 2011, n. 1169 del 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, impone come obbligatoria l'indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza per una serie di prodotti, fissando alla Commissione il termine del 13 dicembre 2013 per adottare le disposizioni di attuazione dell'obbligo –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano promuovere, con specifico riferimento al settore del commercio con l'estero al fine di prevenire le pratiche fraudolente o ingannevoli, ai danni del made in Italy o, comunque, ogni altro tipo di operazione o attività commerciali in grado di indurre in errore i consumatori e, ancora, la più ampia trasparenza delle informazioni relative ai prodotti alimentari ed ai relativi processi produttivi e l'effettiva rintracciabilità degli alimenti nazionali;
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare in sede europea al fine di promuovere il rispetto del termine del 13 dicembre 2013, imposto dal regolamento n. 1169/2011/CE, per l'attuazione dell'obbligo di indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza;
   se i Ministri interrogati non intendano assumere iniziative per l'adozione di un sistema analogo a quello previsto dall'articolo 10 della legge 14 gennaio 2013, n. 9, Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini, al fine di rendere accessibili a tutti gli organi di controllo ed alle amministrazioni interessate le informazioni ed i dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine dei prodotti, nonché assicurare l'accesso ai relativi documenti da parte dei consumatori, anche attraverso la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche. (4-02815)


   TERZONI, CECCONI e AGOSTINELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'agroalimentare Made in Italy, che registra un fatturato nazionale superiore ai 266 miliardi di euro, rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo ed è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto»;
   il made in Italy agroalimentare si caratterizza per suoi primati in termini di maggior valore aggiunto per ettaro in Europa, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, prodotti a denominazione protetta e produzioni biologiche;
   la crescita costante dell'export testimonia l'indiscutibile ruolo dell'agroalimentare nazionale e del valore attribuito al marchio «Italia», con un territorio ed una produzione ammirati ed imitati nel mondo;
   in Italia la produzione di carni suine è stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno e sono oltre 26.200 gli allevamenti di suini concentrati, prevalentemente, in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Umbria e Sardegna;
   in Italia, nel 2012, la produzione nazionale di suini è stata stimata in 245.620 tonnellate, le importazioni in 572.987,42 tonnellate ed il consumo di cosce in 734.749,31 tonnellate;
   i dati relativi alla distribuzione delle importazioni di cosce fresche per paese di origine riportano percentuali altissime riferite alla provenienza di prodotti dalla Germania e dall'Olanda;
   sulla base dei dati elaborati dall'Associazione nazionale allevatori di suini (ANAS) risulta che l'Italia nel 2012 ha importato, solo dalla Germania, il 52 per cento di suini vivi e carni suine, per un totale di 535.309 tonnellate;
   da articoli apparsi sulla stampa europea è emerso che l'efficienza dell'industria della carne suina in Germania è basata su prodotti a basso costo, operai sottopagati, falde acquifere inquinate, tecniche di allevamento non sostenibili e con gravi ripercussioni sulla salute dei consumatori legate all'eccessivo impiego di antibiotici;
   l'istituto sviluppo agroalimentare (ISA-spa) è la società finanziaria, con socio unico il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (MIPAAF), che promuove e sostiene progetti di sviluppo agroindustriale che comportano, come ricaduta indotta, un miglioramento strutturale dei livelli di reddito dei produttori agricoli;
   attraverso specifici strumenti di legge, ISA-spa supporta le imprese operanti nella fase di trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli, zootecnici e silvicoli;
   molti controlli operati nel settore delle carni suine hanno già evidenziato la violazione della disciplina in materia di presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari e condotte poste in essere in maniera ingannevole, fraudolenta e scorretta, allo specifico scopo di far intendere al consumatore che i prodotti acquistati sono di origine e di tradizione italiana;
   l'usurpazione del Made in Italy provoca gravi distorsioni della concorrenza, condiziona il funzionamento del mercato e viola il diritto dei consumatori ad alimenti sicuri, di qualità e di origine certa –:
   quali controlli vengano effettuati da ISA-spa prima di assicurare il supporto alle imprese o la partecipazione in specifiche iniziative con riferimento agli obiettivi sociali ed alla garanzia di perseguimento di finalità non contrastanti con la tutela e la valorizzazione dei prodotti e delle imprese nazionali;
   se ISA-spa partecipi o abbia concesso investimenti ad imprese coinvolte nel mondo nella produzione di finto Made in Italy, alimentare e non, introducendo fattori di concorrenza sleale per le imprese italiane e pregiudicando gli interessi dei cittadini e dei consumatori. (4-02816)


   TERZONI, AGOSTINELLI e CECCONI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'importanza del settore agricolo per l'economia nazionale va riconosciuta con riferimento alla produzione agroalimentare, ma anche alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio culturale ed ambientale ed all'ingente numero di lavoratori occupati;
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta più del 17 per cento del PIL e provengono dal settore agricolo oltre 53 miliardi di euro;
   il made in Italy agroalimentare è la leva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese;
   il settore agricolo, considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore, riveste una particolare importanza per l'economia nazionale ed assume un ruolo fondamentale nella custodia del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   sulla base dei dati Efsa, l'Italia risulta prima, nel mondo, in termini di sicurezza alimentare, con oltre 1 milione di controlli l'anno, il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici oltre il limite (0,3 per cento), con un valore inferiore di cinque volte rispetto a quelli della media europea (1,5 per cento di irregolarità) e addirittura di 26 volte rispetto a quelli extracomunitari (7,9 per cento di irregolarità);
   il settore suinicolo rappresenta una voce importante dell'agroalimentare italiano. La suinicoltura italiana, infatti, occupa il 7o posto in Europa per numero di capi mediamente presenti: in Italia nel 2012 la consistenza è stata di 9,279 milioni di capi, preceduta da Germania (28,1 milioni), Spagna (25,2 milioni), Francia (13,7 milioni), Danimarca (12,4 milioni), Olanda (12,2 milioni) e Polonia (11,9 milioni di capi);
   i dati del censimento dell'agricoltura 2010 indicano in 26.197 il numero delle aziende suinicole in Italia (74,1 per cento) rispetto al 2007), 4.900 delle quali allevano più di 50 suini;
   le regioni maggiormente vocate per l'allevamento di suini sono Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Piemonte, ma anche Calabria, Umbria e Sardegna;
   rispetto a 73,5 milioni di cosce suine consumate in Italia, 57,3 milioni sono di importazione, 24,5 milioni sono di produzione nazionale e 8,3 milioni vengono avviate all'esportazione;
   dai medesimi dati emerge che i principali Paesi fornitori di carne suina in Italia sono la Germania, l'Olanda, la Francia, la Spagna e la Danimarca;
   dai dati elaborati da ISMEA nel rapporto «La competitività dell'agroalimentare italiano» del 2012, emerge che la fase agricola è fortemente penalizzata dalle repentine e intense variazioni dei prezzi alla produzione, variazioni che invece non si trasmettono immediatamente sui prezzi nelle fasi più a valle, né per tempistica, né per intensità;
   sulla base dei risultati definitivi pubblicati dall'Istat e secondo quanto certificato dal 6° censimento generale dell'agricoltura, la bassa remunerazione dell'imprenditore agricolo, in diminuzione nell'ultimo decennio, è uno degli elementi a cui viene collegata la fuoriuscita dal settore di quasi 800 mila aziende agricole;
   nel mercato del settore suinicolo, l'andamento dei prezzi riconosciuti agli allevatori mostra valori inferiori ai costi di produzione;
   secondo analisi ed elaborazioni ANAS (Associazione nazionale allevatori suini), riferiti al primo semestre 2013, il valore dell'allevamento riconosciuto nella fase della distribuzione è stato del 17,28 per cento;
   dalle stesse elaborazioni si rileva che il costo medio di produzione del suino pesante (peso medio 160/170 chilogrammi) è di 1,56 euro al chilogrammo;
   i medesimi dati evidenziano che il prezzo medio riconosciuto all'allevatore per il suino pesante (peso medio 160/170 chilogrammi) è stato di 1,4 euro al chilogrammo;
   l'attuale situazione del mercato risulta complicata dalla mancanza di trasparenza sull'indicazione di origine delle carni suine, che rischia di creare confusione tra i prodotti di provenienza nazionale – che assicurano, tra l'altro, elevati standards di sicurezza e qualità – ed i prodotti di importazione che invece, spesso, presentano minori garanzie per il consumatore;
   l'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, nel disciplinare le relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli ed agroalimentari, vieta condotte commerciali sleali al fine di impedire che un contraente con maggiore forza commerciale possa abusarne, imponendo condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose per la controparte più debole –:
   quali azioni il Ministro intenda promuovere, con specifico riferimento al settore del commercio nel settore delle carni suine, al fine di dare piena attuazione all'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, nella parte in cui vieta pratiche commerciali sleali che possano determinare, in contrasto con il principio della buona fede e della correttezza, il riconoscimento di prezzi, agli allevatori, palesemente inferiori ai costi di produzione medi da essi sostenuti;
   quali azioni il Ministro intenda promuovere, con specifico riferimento al commercio delle carni suine, al fine di contrastare pratiche commerciali sleali poste in essere, ai danni degli allevatori, in violazione della disciplina di cui all'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 ed al relativo Regolamento di attuazione (decreto ministeriale 19 ottobre 2012, n. 199). (4-02817)


   TERZONI, AGOSTINELLI e CECCONI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'agroalimentare Made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, di cui oltre 53 miliardi di euro provengono dal settore agricolo;
   il successo dell'agroalimentare italiano nel mondo e l'accreditamento attribuito al marchio «Italia» non conoscono arretramenti, come dimostra la crescita costante dell'export, ma anche la diffusione dei fenomeni di imitazione e pirateria commerciale;
   il Made in Italy agroalimentare è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazioni geografiche e protette e produzione biologica;
   il settore agricolo ha una particolare importanza non solo per l'economia nazionale – considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore – ma, altresì, come naturale custode del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   gli allevamenti italiani di suini, presenti prevalentemente in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Umbria e Sardegna, sono oltre 26.200 e la produzione di carni suine è stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno;
   la suinicoltura italiana occupa il settimo posto in Europa per numero di capi mediamente presenti e offre occupazione, lungo l'intera filiera, a circa 105 mila addetti, di cui 50 mila nel solo comparto dell'allevamento;
   sulla base dei dati elaborati dall'Associazione nazionale allevatori di suini (ANAS), l'Italia, nel 2012, ha importato complessivamente 1.020.425 tonnellate di suini vivi e carni suine, di cui il 52 per cento dalla Germania, pari a 535.309 tonnellate;
   articoli di stampa europei hanno recentemente messo in luce che l'industria della carne suina tedesca è efficiente ed è basata su prodotti a basso costo, ma che, dietro questo sistema, ci sono operai sottopagati, falde acquifere inquinate e tecniche di allevamento che usano enormi quantità di antibiotici;
   molti controlli operati sul settore delle carni suine hanno evidenziato la violazione della disciplina in materia di presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari e condotte poste in essere in maniera ingannevole, fraudolenta e scorretta, allo specifico scopo di far intendere al consumatore che i prodotti acquistati sono di origine e di tradizione italiana;
   l'usurpazione del Made in Italy minaccia la solidità e provoca gravi danni alle imprese agricole insediate sul territorio, violando il diritto dei consumatori ad alimenti sicuri, di qualità e di origine certa;
   il Codice del consumo, recependo la disciplina comunitaria in materia, attribuisce ai consumatori ed agli utenti i diritti alla tutela della salute; alla sicurezza ed alla qualità dei prodotti; ad un'adeguata informazione e ad una pubblicità veritiera; all'esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà; all'educazione al consumo; alla trasparenza ed all'equità nei rapporti contrattuali;
   la disciplina a tutela dei prodotti di origine italiani introduce norme specifiche per contrastare la contraffazione ed evitare qualunque fraintendimento nell'indagine di provenienza falsa e fallace;
   la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiana che non possiedono costituisce una vera e propria aggressione ed arreca danno al patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale –:
   quali indirizzi intenda impartire alle autorità di controllo e, in particolare, al Corpo forestale dello Stato, per applicare la definizione precisa dell'effettiva origine degli alimenti, secondo quanto stabilito dall'articolo 4, commi 49 e 49-bis della legge 24 dicembre 2003, n. 350 sulla tutela del Made in Italy. (4-02818)


   COVA, BRAGA, COMINELLI, TENTORI, MONACO, TARICCO, MONTRONI, MALPEZZI, RICHETTI, CASATI, GASPARINI, CIMBRO, MAURI, FIANO, FERRARI, PREZIOSI, RAMPI, CINZIA MARIA FONTANA, GUERRA e LORENZO GUERINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, di cui oltre 53 miliardi di euro provengono dal settore agricolo;
   il successo dell'agroalimentare italiano nel mondo e l'accreditamento attribuito al marchio «Italia» non conoscono arretramenti, come dimostra la crescita costante dell’export, ma anche la diffusione dei fenomeni di imitazione e pirateria commerciale;
   il made in Italy agroalimentare è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazioni geografiche e protette e produzione biologica;
   il settore agricolo ha una particolare importanza non solo per l'economia nazionale – considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore – ma, altresì, come naturale custode del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   gli allevamenti italiani di suini, presenti prevalentemente in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Umbria e Sardegna, sono oltre 26.200 e la produzione di carni suine è stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno;
   la suinicoltura italiana occupa il settimo posto in Europa per numero di capi mediamente presenti e offre occupazione, lungo l'intera filiera, a circa 105 mila addetti, di cui 50 mila nel solo comparto dell'allevamento;
   sulla base dei dati elaborati dall'Associazione nazionale allevatori di suini (ANAS), l'Italia, nel 2012, ha importato complessivamente 1.020.425 tonnellate di suini vivi e carni suine, di cui il 52 per cento dalla Germania, pari a 535.309 tonnellate;
   l'usurpazione del made in Italy minaccia la solidità e provoca gravi danni alle imprese agricole insediate sul territorio, violando il diritto dei consumatori ad alimenti sicuri, di qualità e di origine certa;
   il Codice del consumo, recependo la disciplina comunitaria in materia, attribuisce ai consumatori ed agli utenti i diritti alla tutela della salute; alla sicurezza ed alla qualità dei prodotti; ad un'adeguata informazione e ad una pubblicità veritiera; all'esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà; all'educazione al consumo; alla trasparenza ed all'equità nei rapporti contrattuali; la libera circolazione di alimenti sicuri e sani è un aspetto fondamentale del mercato interno, ma, sempre più spesso, la salute dei consumatori e la corretta e sana alimentazione appaiono compromesse da cibi anonimi, con scarse qualità nutrizionali, o addizionati e di origine per lo più sconosciuta;
   la disciplina a tutela dei prodotti di origine italiani introduce norme specifiche per contrastare la contraffazione ed evitare qualunque fraintendimento nell'indagine di provenienza falsa e fallace;
   la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una produzione italiana che non possiedono costituisce una vero e proprio danno al patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale –:
   quali interventi intenda conferire alle Autorità di controllo e, in particolare, al Corpo forestale dello Stato, per applicare la definizione precisa dell'effettiva origine degli alimenti, secondo quanto stabilito dall'articolo 4, commi 49 e 49-bis della legge 24 dicembre 2003, n. 350 sulla tutela del made in Italy;
   quali azioni il Ministro intenda adottare al fine di assicurare il rispetto, da parte della Commissione europea, del termine del 13 dicembre 2013, imposto dal Regolamento 1169/2011/CE, per l'attuazione dell'obbligo di indicazione del Paese d'origine o del luogo di provenienza con riferimento alle carne suine. (4-02821)


   COVA, BRAGA, COMINELLI, TENTORI, MONACO, TARICCO, MONTRONI, MALPEZZI, RICHETTI, CASATI, GASPARINI, CIMBRO, MAURI, FIANO, FERRARI, PREZIOSI, RAMPI, CINZIA MARIA FONTANA, GUERRA e LORENZO GUERINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'importanza del settore agricolo per l'economia nazionale va riconosciuta con riferimento alla produzione agroalimentare, ma anche alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio culturale ed ambientale ed all'ingente numero di lavoratori occupati;
   il settore agricolo, considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore, riveste una particolare importanza per l'economia nazionale ed assume un ruolo fondamentale nella custodia del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   sulla base dei dati Efsa, l'Italia risulta prima, nel mondo, in termini di sicurezza alimentare, con oltre 1 milione di controlli l'anno, il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici oltre il limite (0,3 per cento), con un valore inferiore di cinque volte rispetto a quelli della media europea (1,5 per cento di irregolarità) e addirittura di 26 volte rispetto a quelli extracomunitari (7,9 per cento di irregolarità);
   il settore suinicolo rappresenta una voce importante dell'agroalimentare italiano. La suinicoltura italiana, infatti, occupa il 7o posto in Europa per numero di capi mediamente presenti: in Italia nel 2012 la consistenza è stata di 9,279 milioni di capi, preceduta da Germania (28,1 milioni), Spagna (25,2 milioni), Francia (13,7 milioni), Danimarca (12,4 milioni), Olanda (12,2 milioni) e Polonia (11,9 milioni di capi);
   i dati del censimento dell'agricoltura 2010 indicano in 26.197 il numero delle aziende suinicole in Italia (74,1 per cento rispetto al 2007), 4.900 delle quali allevano più di 50 suini;
   le regioni maggiormente vocate per l'allevamento di suini sono Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Piemonte, ma anche Calabria, Umbria e Sardegna;
   rispetto a 73,5 milioni di cosce suine consumate in Italia, 57,3 milioni sono di importazione, 24,5 milioni sono di produzione nazionale e 8,3 milioni vengono avviate all'esportazione;
   dai dati elaborati da ISMEA nel rapporto «La competitività dell'agroalimentare italiano» del 2012, emerge che la fase agricola è fortemente penalizzata dalle repentine e intense variazioni dei prezzi alla produzione, variazioni che invece non si trasmettono immediatamente sui prezzi nelle fasi più a valle, né per tempistica, né per intensità;
   sulla base dei risultati definitivi pubblicati dall'Istat e secondo quanto certificato dal 6o censimento generale dell'agricoltura, la bassa remunerazione dell'imprenditore agricolo, in diminuzione nell'ultimo decennio, è uno degli elementi a cui viene collegata la fuoriuscita dal settore di quasi 800 mila aziende agricole;
   nel mercato del settore suinicolo, l'andamento dei prezzi riconosciuti agli allevatori mostra valori inferiori ai costi di produzione;
   secondo analisi ed elaborazioni ANAS (Associazione nazionale allevatori suini), riferiti al primo semestre 2013, il valore dell'allevamento riconosciuto nella fase della distribuzione è stato del 17,28 per cento;
   dalle stesse elaborazioni si rileva che il costo medio di produzione del suino pesante (peso medio 160/170 kg) è di 1,56 euro al kg;
   i medesimi dati evidenziano che il prezzo medio riconosciuto all'allevatore per il suino pesante (peso medio 160/170 kg) è stato di 1,4 euro al chilogrammo;
   l'attuale situazione del mercato risulta complicata dalla mancanza di trasparenza sull'indicazione di origine delle carni suine, che rischia di creare confusione tra i prodotti di provenienza nazionale – che assicurano, tra l'altro, elevati standards di sicurezza e qualità – ed i prodotti di importazione che invece, spesso, presentano minori garanzie per il consumatore;
   l'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, nel disciplinare le relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli ed agroalimentari, vieta condotte commerciali sleali al fine di impedire che un contraente con maggiore forza commerciale possa abusarne, imponendo condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose per la controparte più debole –:
   quali azioni il Ministro intenda promuovere, con specifico riferimento al commercio delle carni suine, al fine di contrastare pratiche commerciali sleali poste in essere, ai danni degli allevatori, in violazione dell'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n.27 ed al relativo Regolamento di attuazione (decreto ministeriale 19 ottobre 2012, n. 199) posto che la determinazione del prezzo modo unilaterale da parte delle industrie di trasformazione non si configura come un rispetto dell'articolo 62;
   se non intenda assicurare l'adozione, anche per le carni suine, di un sistema analogo a quello previsto dall'articolo 10 della legge 14 gennaio 2013, n. 9, Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini, al fine di rendere accessibili a tutti gli organi di controllo ed alle amministrazioni interessate le informazioni ed i dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine delle carni suine, nonché assicurare l'accesso ai relativi documenti da parte dei consumatori, anche attraverso la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche;
   quali azioni intenda adottare al fine di promuovere in sede comunitaria il rispetto, del termine del 13 dicembre 2013, imposto dal regolamento n. 1169/2011 /CE, per l'attuazione dell'obbligo di indicazione del Paese d'origine o del luogo di provenienza con riferimento alle carni suine. (4-02822)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   RUSSO, SARRO, LUIGI CESARO, PETRENGA e CASTIELLO. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'allarmismo mediatico sollevato di recente intorno all'annosa vicenda della così detta terra dei fuochi, suscita, pertanto, una serie di preoccupazioni per i gravi danni d'immagine che esso provoca sul nostro ricco e pregiato made in Italy e, in particolare, su quello agroalimentare;
   la terra dei fuochi individua un'area della Campania che comprende 57 comuni (di cui 33 in provincia di Napoli e 24 in provincia di Caserta), con una popolazione residente di 2.405.754 abitanti, che rappresenta il 42 per cento dell'intera popolazione regionale, e una superficie territoriale pari a 1.071 chilometri quadrati, equivalente all'8 per cento di quella regionale (13.595 chilometri quadrati);
   in poco più di un anno, la zona è stata interessata da 6.034 roghi di rifiuti (materiali plastici, pneumatici fuori uso, scarti di lavorazione del pellame, stracci) e dall'intensificarsi di forme di inquinamento ambientale dovute all'abusivo smaltimento e all'abbandono incontrollato di rifiuti solidi urbani, di rifiuti speciali, pericolosi e non;
   lo sversamento illegale dei rifiuti da parte delle organizzazioni criminali non solo aumenta esponenzialmente il rischio di danni alla salute e alla sicurezza delle persone, ma lede in maniera ingiusta e sproporzionata anche l'immagine commerciale dell'intero settore agroalimentare regionale, ingenerando sfiducia e preoccupazioni, oltremodo amplificate sull'onda mediatica;
   l'inquinamento deve e può essere risolto con azioni di presidio e di isolamento delle terre compromesse, evitando che l'immagine negativa riservata al quadrilatero compreso tra il litorale domitio, l'agro aversano-atellano, l'agro acerrano-nolano e vesuviano e la città di Napoli, possa procurare ulteriori danni economici alle imprese agricole presenti nella regione;
   altrettanto pregiudizievoli e preoccupanti per l'immagine e la ripresa economica del nostro Paese, sono le recenti iniziative assunte da alcune imprese italiane dirette a screditare la produzione campana attraverso campagne pubblicitarie chiaramente denigratorie e svilenti ai danni di tutti quegli imprenditori agricoli che per generazioni hanno contribuito a rendere la mozzarella di bufala campana, il pomodoro San Marzano dell'agro sarnese-nocerino, i limoni della costiera amalfitana o i vini prodotti in diverse province e comuni campani, vere e proprie opere d'arte esportate in tutto il mondo;
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, con un contributo di 53 miliardi di euro che proviene dal settore agricolo;
   in agricoltura sono presenti quasi un milione di imprese, ossia il 15 per cento del totale delle imprese italiane;
   il mercato agricolo ha una rilevante importanza non solo per l'economia nazionale, ma, altresì, per il patrimonio culturale ed ambientale, se si considera la percentuale di superficie coltivata, nonché l'ingente numero di lavoratori occupati nel settore;
   la tutela dell'identità dei prodotti nazionali contro le frodi alimentari garantisce la solidità delle imprese agricole italiane;
   la libera circolazione di alimenti sicuri e sani è un aspetto fondamentale del mercato interno, ma, sempre più spesso, la salute dei consumatori e la corretta e sana alimentazione appaiono compromesse da cibi anonimi, con scarse qualità nutrizionali, o addizionati e di origine per lo più sconosciuta;
   la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiane che non possiedono costituisce una vera e propria aggressione al patrimonio agro alimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale;
   l'articolo 10 della legge 14 gennaio 2013, n. 9, norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini, introduce un sistema al fine di rendere accessibili a tutti gli organi di controllo ed alle amministrazioni interessate le informazioni ed i dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine degli oli di oliva vergini, anche attraverso la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche –:
   se il Governo non intenda assumere iniziative per l'adozione, anche per gli altri prodotti agro alimentari, di un sistema analogo a quello previsto per gli oli di oliva vergini dalla legge n. 9 del 2013 citata, per assicurare l'accessibilità delle informazioni e dei dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine delle carni suine e promuovere, a tale scopo, la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare, o abbia già adottato, al fine di rendere noti e pubblici i riferimenti delle società eventualmente coinvolte in pratiche commerciali ingannevoli, fraudolente, o scorrette finalizzate ad immettere sui mercati finti prodotti made in Italy ed i dati dei traffici illeciti accertati;
   quali iniziative il Governo intenda adottare, o abbia già adottato, al fine di ristabilire la fiducia dei consumatori rispetto alla qualità e alla sicurezza dei prodotti agroalimentari. (4-02809)


   GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'allarmismo mediatico sollevato di recente intorno all'annosa vicenda della così detta terra dei fuochi, suscita, pertanto, una serie di preoccupazioni per i gravi danni d'immagine che esso provoca sul nostro ricco e pregiato made in Italy e, in particolare, su quello agroalimentare;
   la terra dei fuochi individua un'area della Campania che comprende 57 comuni (di cui 33 in provincia di Napoli e 24 in provincia di Caserta), con una popolazione residente di 2.405.754 abitanti, che rappresenta il 42 per cento dell'intera popolazione regionale, e una superficie territoriale pari a 1.071 chilometri quadrati, equivalente all'8 per cento di quella regionale (13.595 chilometri quadrati);
   in poco più di un anno, la zona è stata interessata da 6.034 roghi di rifiuti (materiali plastici, pneumatici fuori uso, scarti di lavorazione del pellame, stracci) e dall'intensificarsi di forme di inquinamento ambientale dovute all'abusivo smaltimento e all'abbandono incontrollato di rifiuti solidi urbani, di rifiuti speciali, pericolosi e non;
   lo sversamento illegale dei rifiuti da parte delle organizzazioni criminali non solo aumenta esponenzialmente il rischio di danni alla salute e alla sicurezza delle persone, ma lede in maniera ingiusta e sproporzionata anche l'immagine commerciale dell'intero settore agroalimentare regionale, ingenerando sfiducia e preoccupazioni, oltremodo amplificate sull'onda mediatica;
   l'inquinamento deve e può essere risolto con azioni di presidio e di isolamento delle terre compromesse, evitando che l'immagine negativa riservata al quadrilatero compreso tra il litorale domitio, l'agro aversano-atellano, l'agro acerrano-nolano e vesuviano e la città di Napoli, possa procurare ulteriori danni economici alle imprese agricole presenti nella regione;
   altrettanto pregiudizievoli e preoccupanti per l'immagine e la ripresa economica del nostro Paese, sono le recenti iniziative assunte da alcune imprese italiane dirette a screditare la produzione campana attraverso campagne pubblicitarie chiaramente denigratorie e svilenti ai danni di tutti quegli imprenditori agricoli che per generazioni hanno contribuito a rendere la mozzarella di bufala campana, il pomodoro San Marzano dell'agro sarnese-nocerino, i limoni della costiera amalfitana o i vini prodotti in diverse province e comuni campani, vere e proprie opere d'arte esportate in tutto il mondo;
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, con un contributo di 53 miliardi di euro che proviene dal settore agricolo;
   in agricoltura sono presenti quasi un milione di imprese, ossia il 15 per cento del totale delle imprese italiane;
   il mercato agricolo ha una rilevante importanza non solo per l'economia nazionale, ma, altresì, per il patrimonio culturale ed ambientale, se si considera la percentuale di superficie coltivata, nonché l'ingente numero di lavoratori occupati nel settore;
   la tutela dell'identità dei prodotti nazionali contro le frodi alimentari garantisce la solidità delle imprese agricole italiane;
   la libera circolazione di alimenti sicuri e sani è un aspetto fondamentale del mercato interno, ma, sempre più spesso, la salute dei consumatori e la corretta e sana alimentazione appaiono compromesse da cibi anonimi, con scarse qualità nutrizionali, o addizionati e di origine per lo più sconosciuta;
   la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiane che non possiedono costituisce una vera e propria aggressione al patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale;
   l'articolo 10 della legge 14 gennaio 2013, n. 9, norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini, introduce un sistema al fine di rendere accessibili a tutti gli organi di controllo ed alle amministrazioni interessate le informazioni ed i dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine degli oli di oliva vergini, anche attraverso la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche –:
   se il Governo non intenda assumere iniziative per l'adozione, anche per gli altri prodotti agroalimentari, di un sistema analogo a quello previsto per gli oli di oliva vergini dalla legge n. 9 del 2013 citata, per assicurare l'accessibilità delle informazioni e dei dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine delle carni suine e promuovere, a tale scopo, la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare, o abbia già adottato, al fine di rendere noti e pubblici i riferimenti delle società eventualmente coinvolte in pratiche commerciali ingannevoli, fraudolente, o scorrette finalizzate ad immettere sui mercati finti prodotti made in Italy ed i dati dei traffici illeciti accertati.
   quali iniziative il Governo intenda adottare, o abbia già adottato, al fine di ristabilire la fiducia dei consumatori rispetto alla qualità e alla sicurezza dei prodotti agroalimentari. (4-02813)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LUCIANO AGOSTINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con la legge 11 settembre 2004, n. 147 viene istituita la provincia di Fermo, con la rispettiva Prefettura e i rispettivi organi e che all'articolo 3 della suddetta legge viene stabilito il dovere per la provincia di Ascoli Piceno di procedere alla ricognizione della propria dotazione organica di personale e di deliberare lo stato di consistenza del proprio patrimonio ai fini delle conseguenti ripartizioni;
   l'articolo 1, comma 2, della legge 29 dicembre 1993, n. 580 prevede l'istituzione di una camera di commercio in ogni capoluogo di provincia;
   con il decreto ministeriale 1o marzo 2006 è avvenuta la nomina dei commissario straordinario della costituenda camera di commercio di Fermo;
   con la nota CCIAA di Ascoli Piceno n. 2083 del 26 gennaio 2009, i presidenti delle camere di commercio di Ascoli Piceno e di Fermo richiedono al Ministro dello sviluppo economico precise indicazioni per proseguire nella corretta suddivisione del patrimonio;
   con la nota MISE n. 31343 del 7 aprile 2009 si ritiene che la ripartizione del patrimonio debba avvenire in base al dettato disposto dell'articolo 69 del regio decreto 20 settembre 1934 n. 2011 mantenendo come punto di riferimento le circolari n. 3298/C del 1o dicembre 1992, n. 3308/C del 1o aprile 1993 e n. 3320/C dell'11 novembre 1993;
   nella nota del Presidente della CCIAA di Ascoli Piceno n. 2992 del 16 marzo 2012 vengono evidenziati nei confronti dell'allora Presidente del Consiglio Mario Monti «imbarazzo» e «perplessità» nell'avviare un iter di procedimenti in materia di divisione patrimoniale che sarebbero andati nella direzione opposta all'opera che l'allora Governo stava portando avanti in termini di razionalizzazione e riduzione dei costi dell'apparato pubblico;
   con la nota MISE n. 190326 del 13 settembre 2012 si comunica che dalla camera di commercio di Fermo non sono pervenute comunicazioni volte a motivare l'eventuale urgenza del completamento della separazione patrimoniale tra le due camere e si prende atto dell'intendimento della camera di soprassedere momentaneamente al completamento dei complessi e onerosi adempimenti inerenti la separazione immobiliare per evidenti ragioni di prudenza amministrativa, al fine di evitare il rischio dell'inutile duplicazione di spese e attività amministrative nell'ipotesi che il processo di riforma e accorpamento già in corso relativamente alle Provincie possa determinare analoghe iniziativa di riordino degli ambiti territoriali per le coesistenti camere di commercio;
   la nota MISE n. 172847 del 22 ottobre 2013 specifica che la nota del settembre 2012 era volta a condividere l'opportunità di una gestione accorta e prudente dell’iter di divisione patrimoniale al fine di evitare inutili costi e conseguenze non reversibili senza ulteriori costi;
   il 20 agosto 2013 è stato presentato alle Camere dal Presidente del Consiglio Letta, dal Vicepresidente del Consiglio e Ministro dell'interno Alfano, dal Ministro per le riforme costituzionali Quagliariello e dal Ministro per gli affari regionali e le autonomie Delrio il disegno di legge costituzionale n. 1543 riguardante l'abolizione delle provincie al fine di contenere la spesa pubblica dell'amministrazione territoriale e di rendere maggiormente efficiente l'autonomia locale;
   le camere di commercio di Ascoli Piceno e Fermo presentano un'anomalia costituita dal fatto che la carica di segretario generale sia ricoperta dalla medesima figura e che conseguentemente questa non possa garantire l'apporto necessario per dirimere la questione della divisione patrimoniale –:
   se non si ritenga necessario sospendere l’iter di procedimenti in materia di divisione patrimoniale tra le camere di commercio di Ascoli Piceno e Fermo fino al momento in cui il quadro normativo riguardante il riassetto delle amministrazioni locali, e provinciali in particolare, non sia stato chiarito. (5-01647)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LORENZO GUERINI e GUIDESI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo Newlat spa ha aperto, in data 11 ottobre 2013, ai sensi dell'articolo 4, della legge 7 luglio 1991, n.223, la procedura per la collocazione in mobilità di 177 dipendenti, suddivisi tra le sedi di Reggio Emilia (87), Lodi (38), Bologna (35), Lecce (14) e Pozzuoli (3);
   in questi mesi a più riprese le organizzazioni sindacali hanno richiesto la presentazione di un piano industriale che consentisse di comprendere il reale scenario di prospettiva del gruppo per quanto riguarda il settore lattiero caseario;
   nei vari incontri che si sono svolti in sede sindacale, a Roma e a Bologna, ed anche in sede istituzionale presso il Ministero dello sviluppo economico, l'azienda non ha mai presentato e delineato un progetto industriale che chiarisse le vocazioni produttive dei vari siti e il mantenimento dei livelli occupazionali;
   la fase di trattativa in sede sindacale si è conclusa con la sottoscrizione di un verbale di mancato accordo, ai sensi di quanto previsto dal citato articolo 4, della legge n. 223 del 1991;
   il fallimento delle trattative in corso ha messo in stato di forte agitazione i lavoratori, rischiando di compromettere il loro futuro e quello delle loro famiglie;
   l'iniziativa intrapresa dalla Newlat avrà un impatto pesante non solo sui lavoratori, ma anche sulla crescita competitiva del settore lattiero caseario, con ripercussioni importanti sull'economia del Paese;
   il gruppo esprime un grande potenziale produttivo ed occupazionale che, specie in questo momento di crisi, è necessario salvaguardare e valorizzare –:
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno intervenire affinché vengano adottate soluzioni immediate per salvaguardare i lavoratori del gruppo Newlat interessati dalla procedura di licenziamento;
   quali iniziative intendano adottare per favorire l'immediata convocazione di un tavolo di crisi, a cui partecipino tutti i soggetti coinvolti, al fine di poter apprendere quali siano le strategie industriali dell'azienda ed arrivare ad una soluzione il più possibile condivisa, volta da un lato a stimolare il rilancio dell'azienda e dall'altro a tutelare i dipendenti e le loro famiglie. (4-02803)


   PELUFFO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dalla stampa nazionale e locale (ad esempio articolo su «Il Giorno» edizione Rho del 29 novembre 2013) e da un comunicato sindacale congiunto in data 29 novembre 2013 a firma FIM CISL, FIOM CGIL e UILM quanto segue:
    la società Agile ex-Eutelia si trova in amministrazione straordinaria al termine di un lungo percorso di cessioni, fusioni e operazioni finanziarie che hanno determinato tra l'altro, in data 12 luglio 2013 l'emanazione di una sentenza di primo grado presso il tribunale di Roma per la bancarotta fraudolenta di Agile con l'irrogazione di 23 anni di carcere complessivi per i manager delle società coinvolte nelle operazioni di cessione e fusione;
    un percorso di quattro anni, dovuto all'intervento delle istituzioni e dei sindacati, ha visto ridursi progressivamente gli esuberi da 2.200 agli 815 attuali, per la maggior parte tecnici informatici di una età medio alta, non sufficiente ai requisiti minimi pensionistici;
    il 6 dicembre 2013 è previsto il termine della cassa integrazione straordinaria;
    con l'avvicinarsi della scadenza il 24 settembre i commissari straordinari hanno avviato la procedura di licenziamento collettivo;
   nel corso dell'ultimo incontro presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con la partecipazione delle organizzazioni sindacali, regione Lombardia e rappresentanti della procedura Agile in amministrazione straordinaria è stato affermato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali che ci sono i presupposti per la concessione della cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga per completare il 2013 e che anche in previsione di un cambio di normativa per il 2014, ci dovrebbero essere i presupposti per il prosieguo di «ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro», ma i rappresentanti della procedura commissariale hanno manifestato dubbi e non hanno presentato formale richiesta di cassa integrazione guadagni straordinaria;
   è in previsione l'adozione delle ultime misure per completare gli impegni assunti (bandi gara con il sistema premiante, politiche attive del lavoro a livello regionale, progetti LSU e altro), affinché venga completato nel corso del 2014 il percorso di riqualificazione e ricollocamento nel mondo del lavoro –:
   quali iniziative si intendano intraprendere affinché si faccia chiarezza sulla vicenda e se siano stati rispettati i vincoli contrattuali, sindacali e di legge;
   quali iniziative si intendano intraprendere al fine di evitare che venga interrotto il percorso di cassa integrazione guadagni straordinaria, con la conseguente perdita di tutte le misure a sostegno di un possibile reimpiego dei lavoratori.
(4-02824)

Apposizione di una firma ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Giancarlo Giorgetti e altri n. 1-00266, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato: Corsaro e contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: Giancarlo Giorgetti, Corsaro, Fedriga, Molteni, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini.

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Zampa e altri n. 1-00156, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Biondelli, Marazziti.

  La mozione Gnecchi e altri n. 1-00258, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Amoddio.

  La mozione Santerini e altri n. 1-00275, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 dicembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sberna.

Apposizione di firme ad interpellanze.

  L'interpellanza urgente Speranza e altri n. 2-00320, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 dicembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati Ventricelli, Leva.

  L'interpellanza urgente Di Benedetto e altri n. 2-00322, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 dicembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Chimienti.

  L'interpellanza urgente Causi e altri n. 2-00323, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 dicembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Lorenzo Guerini.

  L'interpellanza urgente Chimienti e altri n. 2-00324, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 dicembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cancelleri.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta D'Agostino n. 4-02524, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fitzgerald Nissoli.

  L'interrogazione a risposta scritta Bini n. 4-02618, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fanucci.

  L'interrogazione a risposta scritta Mongiello e altri n. 4-02731, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati Gullo, Rubinato.

  L'interrogazione a risposta scritta Mongiello e altri n. 4-02732, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rubinato.

  L'interrogazione a risposta scritta Mongiello e altri n. 4-02733, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rubinato.

  L'interrogazione a risposta scritta Mongiello e altri n. 4-02734, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati Gullo, Rubinato.

  L'interrogazione a risposta scritta Laffranco e Fabrizio Di Stefano n. 4-02740, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati Milanato, Gelmini.

  L'interrogazione a risposta scritta Laffranco e Fabrizio Di Stefano n. 4-02742, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Milanato.

  L'interrogazione a risposta scritta Laffranco e Fabrizio Di Stefano n. 4-02746, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati Milanato, Gelmini.

  L'interrogazione a risposta in commissione Ghizzoni e Coscia n. 5-01637, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 dicembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato De Micheli.

Pubblicazione di un testo riformulato, aggiunta di firme e modifica dell'ordine dei firmatari ad una mozione.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Morassut n. 1-00011, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 5 del 27 marzo 2013, che deve intendersi sottoscritta anche dai deputati Saltamartini, Antimo Cesaro, Di Gioia, Santerini, Costa, Leone, Misuraca, Dorina Bianchi, Piso, Garofalo, Bernardo, Bosco, Tinagli, Zanetti, D'Agostino, Sottanelli, Cimmino, Binetti, Rabino, Causin, Fitzgerald Nissoli, Monchiero, Schirò, Dellai, Marazziti.

   La Camera,
   premesso che:
    l'emergenza abitativa costituisce, nell'attuale crisi economica che colpisce il Paese, uno dei fattori di maggiore e crescente tensione sociale che interessa larghi strati della popolazione appartenenti, oltre che alle tradizionali categorie a rischio, anche a fasce di ceto medio, professionisti e famiglie con doppio reddito;
    tale situazione è resa particolarmente acuta dai caratteri del mercato immobiliare italiano dove l'offerta di abitazioni private – con costi molto alti ed inaccessibili per un numero sempre maggiore di famiglie e di giovani coppie – supera largamente l'offerta pubblica scesa progressivamente, negli ultimi anni, ad una quota pari a circa l'1 per cento della produzione edilizia totale;
    occorre prendere atto di un'assenza di iniziativa delle autorità pubbliche che, nonostante la crescita della crisi abitativa, gli interventi delle forze sociali e di vari organismi parlamentari non sono stati in grado, negli ultimi anni, di varare un'organica politica per la casa che, intrecciata con innovative politiche di governo del territorio, fosse in grado di rilanciare la produzione di edilizia a fini sociali o di carattere pubblico con il recupero urbano ed il contenimento del consumo di suolo nelle città;
    la Corte costituzionale e la Corte europea dei diritti dell'uomo hanno, in questo quadro, segnalato l'inopportunità di provvedimenti «tampone» – soprattutto in materia di proroga delle ordinanze di sfratto – che ledono il libero dispiegarsi del diritto alla proprietà, in assenza di azioni organiche e complessive capaci di dare una risposta d'insieme ai vari aspetti che riguardano il problema dell'emergenza abitativa in Italia e, d'altro canto, si deve tenere presente che il diritto alla casa e l'accesso alla proprietà della stessa sono sanciti dall'articolo 47 della Costituzione;
    parte rilevante della crisi abitativa, specie in alcuni ambiti territoriali e segnatamente nella città di Roma, è legata alla dismissione del patrimonio abitativo degli enti previdenziali pubblici e privatizzati; processo che ancora oggi – dopo le alienazioni concluse negli anni precedenti – riguarda circa 100 mila famiglie;
    in questo ambito, gli affittuari degli immobili degli enti previdenziali privatizzati vivono una condizione di preoccupazione circa gli eventuali aumenti dei canoni di affitto per il rinnovo dei contratti di locazione e per le conseguenze connesse con i possibili processi di dismissione del patrimonio immobiliare;
    per quanto riguarda i conduttori degli immobili degli enti previdenziali pubblici, la preoccupazione deriva dall'interruzione del processo di alienazione e dalla scadenza dei contratti che mette sia i conduttori con titolo che le tante famiglie di occupanti sine titulo in una condizione di angoscia e incertezza tanto più assurda in presenza di una legge – la n. 410 del 2001 – che ha fissato con chiarezza le condizioni e le prerogative con cui agire per la vendita del patrimonio degli enti previdenziali pubblici;
    in questo specifico caso, va ricordato che già il 90 per cento del patrimonio abitativo è stato alienato ai conduttori con le prerogative della suddetta legge e attraverso l'azione di specifici soggetti societari all'uopo costituiti – Scip 1 e Scip 2 –, dopo lo scioglimento dei quali il patrimonio residuo è entrato integralmente in possesso dell'Inps;
    l'Inps stesso, più volte sollecitato sul tema ha inviato, anche con specifica lettera del presidente Mastrapasqua, ai Ministeri dell'economia e delle finanze e del lavoro e delle politiche sociali – vigilanti sull'Istituto – richiesta di chiarimento sul da farsi, in ragione anche della sopravvenuta norma sulla dismissione del patrimonio immobiliare pubblico presente all'articolo 27 del cosiddetto «decreto Salva Italia», decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011;
    appare, pertanto, urgente un pronunciamento degli organi parlamentari e del Governo sulle modalità con cui affrontare, in un quadro di sostenibilità economica dello Stato e degli enti sopra richiamati, ma anche e soprattutto di tutela e garanzia sociale delle famiglie interessate, il processo di alienazione degli immobili del patrimonio abitativo degli enti pubblici e privatizzati, evitando il rischio di accentuare l'emergenza abitativa,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative, nel più breve tempo possibile, per chiarire il quadro normativo che regola il processo di alienazione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali, in particolare precisando che, in ogni caso, al processo di alienazione possa applicarsi una disciplina conforme a quella prevista dalla legge n. 410 del 2001, con riferimento al regime delle tutele degli inquilini, al prezzo e alle garanzie, contemperando le esigenze di redditività per la finanza pubblica dei processi di alienazione con quelle sociali, coerenti con quelle che ispirano la missione istituzionale di tali enti, quali protagonisti del sistema del welfare;
   ad intervenire per garantire, comunque, agli inquilini tutele e garanzie di controllo sui prezzi di vendita da parte dei predetti enti pubblici e sull'entità dei canoni di affitto in rinnovo di locazione, traendo prioritario riferimento da quanto stabilito dalla legge n. 410 del 2001 e dagli accordi sindacali in materia, in modo che i diritti in essa stabiliti siano effettivamente praticabili;
   ad aprire in ogni caso da subito, sempre relativamente al patrimonio immobiliare degli enti pubblici, una sede di confronto tecnico e sindacale con le organizzazioni sindacali, dell'inquilinato e con gli enti locali interessati, per individuare le soluzioni più rapide e socialmente efficaci per raggiungere gli obbiettivi sopra richiamati e per la regolarizzazione dei sine titulo o delle assegnazioni irregolari negli alloggi dei predetti enti previdenziali pubblici, anche al fine di prevenire situazioni esplosive di disagio sociale e per favorire l'accesso al credito delle famiglie con reddito medio basso, con mutui sostenibili e finalizzati all'acquisto, anche avvalendosi delle recenti misure proposte in tal senso dal Governo;
   ad impartire disposizioni affinché, nelle more dei provvedimenti da assumere, venga valutata la possibilità di differire l'esecuzione degli sfratti o degli sgomberi pendenti nelle aree urbane e sospendere le aste riguardanti le unità immobiliari ad uso residenziale che non risultino effettivamente libere;
   ad intervenire, anche mediante precise disposizioni normative, per risolvere l'annosa vicenda del contenzioso giudiziario dei cosiddetti immobili di pregio;
   a farsi promotore, quanto al patrimonio degli enti privatizzati, di una decisa iniziativa presso i medesimi enti che, nel richiamarli alle responsabilità che anche essi rivestono quali attori del sistema sociale, sia volta a favorire, nel rispetto e nell'ambito della loro autonomia gestionale, organizzativa e contabile – avvalendosi anche di apposite procedure di negoziazione con le organizzazione sindacali degli inquilini – politiche di gestione del mercato delle locazioni e dei processi di dismissione immobiliare (prevedendo eventualmente anche l'alienazione in favore dei conduttori delle unità abitate). Le politiche in questione dovranno ispirarsi a criteri di tutela e salvaguardia, in ogni caso, dei nuclei familiari che presentino condizioni di maggiore svantaggio e disagio economico, ovvero che siano a rischio di esclusione sociale, così come individuati dal decreto-legge 20 ottobre 2008, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2008, n. 19. Le medesime politiche dovranno, più in generale, ispirarsi a criteri che, nel rispetto della funzione di garanzia economico-finanziaria che il loro patrimonio assume per le rispettive gestioni previdenziali, siano quanto più aderenti a quelli di carattere sociale previsti per la dismissione del patrimonio immobiliare degli enti pubblici di previdenza;
   a monitorare che i processi di dismissione immobiliare degli enti previdenziali pubblici e privatizzati, ispirati ai principi sociali di cui alla presente mozione, siano conformi ai criteri di piena trasparenza, conoscibilità e rendicontazione.
(1-00011)
(Nuova formulazione) «Morassut, Saltamartini, Antimo Cesaro, Di Gioia, Santerini, Argentin, Braga, Villecco Calipari, Martella, Meta, Coscia, Realacci, Peluffo, Lenzi, Brandolin, Costa, Leone, Misuraca, Dorina Bianchi, Piso, Garofalo, Bernardo, Bosco, Tinagli, Zanetti, D'Agostino, Sottanelli, Cimmino, Binetti, Rabino, Causin, Fitzgerald Nissoli, Monchiero, Schirò, Dellai, Marazziti».

Pubblicazione di un testo riformulato e modifica dell'ordine dei firmatari ad una mozione.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Zampa n. 1-00156, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 61 del 30 luglio 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, «Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero», così come modificato dall'articolo 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94, ha introdotto nel nostro ordinamento il «reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato»;
    tale reato, oltre che punire una condizione più che una condotta, in sede applicativa nei confronti dei migranti ha determinato la condanna dell'Italia da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo per non aver rispettato il principio del non respingimento, contenuto nella Convenzione di Ginevra del 1951;
    secondo i dati di Famiglia cristiana, che riprende quelli elaborati dalla direzione generale della giustizia penale del Ministero di giustizia, paradossalmente, nel periodo in cui non esisteva il reato sopra menzionato, il numero di espulsioni per coloro che si trovavano in Italia in maniera irregolare era addirittura maggiore: 49 per cento nel 2003 contro il 28 per cento del 2012;
    i centri di identificazione ed espulsione, istituiti dalla legge 6 marzo 1998, n. 40, e previsti dal testo unico sull'immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286), sono strutture di trattenimento degli stranieri in condizione di irregolarità, destinati all'espulsione;
    l'articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, così come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, cosiddetta legge Bossi-Fini, prevede che «quando non sia possibile eseguire con immediatezza l'espulsione mediante accompagnamento», «il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso» il centro di identificazione ed espulsione e che, quindi, tali strutture siano destinate al trattenimento, convalidato dal giudice di pace, dei cittadini stranieri extracomunitari irregolari e destinati all'espulsione;
    dall'8 agosto 2009, con l'entrata in vigore della legge 15 luglio 2009, n. 94 (cosiddetto pacchetto sicurezza), il termine massimo di permanenza degli stranieri in tali centri è passato da 60 giorni a 180 giorni complessivi, rafforzando così la loro natura di luoghi di permanenza obbligatoria, caratterizzandosi come luoghi di detenzione amministrativa delle e dei migranti;
    secondo i dati forniti dalla polizia di Stato, nel 2012 sono stati 7.944 (7.012 uomini e 932 donne) i migranti trattenuti in tutti i centri di identificazione ed espulsione operativi in Italia. Di questi solo la metà (4.015) sono stati effettivamente rimpatriati, con un tasso di efficacia (rimpatriati su trattenuti) del 50,54 per cento. Rispetto al 2010, il rapporto tra i migranti rimpatriati rispetto al totale dei trattenuti nei centri di identificazione ed espulsione è incrementato di appena il 2,3 per cento, mentre rispetto al 2011, l'incremento del tasso di efficacia nei rimpatri è risultato addirittura irrilevante (+0,3 per cento): si conferma, dunque, la sostanziale inutilità dell'estensione della durata massima del trattenimento ai fini di un miglioramento nell'efficacia delle espulsioni;
    il citato articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, al comma 2, dispone che in tali centri lo straniero è trattenuto «con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza e il pieno rispetto della sua dignità»;
    l'articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, specifica che le modalità del trattamento nei centri di identificazione ed espulsione «devono garantire, nel rispetto del regolare svolgimento della vita in comune, la libertà di colloquio all'interno del centro e con visitatore proveniente dall'esterno, in particolare con il difensore che assiste lo straniero, e con i ministri di culto, la libertà di corrispondenza, anche telefonica, ed i diritti fondamentali della persona» e che in tali centri devono essere presenti «i servizi sanitari essenziali, gli interventi di socializzazione e la libertà di culto» e i «servizi predisposti per le esigenze fondamentali di cura, assistenza, promozione umana e sociale»;
    all'interno dei centri di identificazione ed espulsione si sono verificate gravi violazioni dei diritti umani, come denunciato sia da inchieste ed articoli di stampa, sia dalle associazioni di volontariato e dalle associazioni per la tutela dei diritti umani, tra le quali anche Amnesty international e Medici senza frontiere, e fin dall'indagine interministeriale presentata dall'ambasciatore de Mistura nel 2007;
    in particolare, come risulta dall'indagine «Arcipelago CIE» realizzata tra febbraio 2012 e febbraio 2013 da Medici per i diritti umani e pubblicata a maggio 2013, la struttura dei centri di identificazione ed espulsione è simile a quella dei centri di internamento. «L'inattività forzosa per prolungati periodi di tempo, in spazi angusti ed inadeguati, insieme all'incertezza sulla durata e l'esito del trattenimento, rendono il disagio psichico dei migranti uno degli aspetti più preoccupanti e di più difficile gestione all'interno dei centri»;
    da un punto di vista prettamente sanitario, le indagini di Medici per i diritti umani evidenziano che: «In generale all'interno dei centri di identificazione ed espulsione non è previsto personale medico specialistico anche laddove sarebbe certamente necessario»;
    da un punto di vista prettamente sanitario, le indagini di Medici per i diritti umani evidenziano che: «In generale all'interno dei CIE non è previsto personale medico specialistico anche laddove sarebbe certamente necessario». I servizi sanitari, erogati in tutti i centri direttamente dagli enti gestori, non sembrano garantire in modo adeguato il diritto alla salute: permangono ostacoli rilevanti nell'accesso alle cure specialistiche e agli approfondimenti diagnostici, dovuti essenzialmente alle caratteristiche di strutture chiuse al mondo esterno dei centri di identificazione ed espulsione;
    oltre all'assistenza sanitaria, gli enti gestori sono tenuti a fornire i servizi di mediazione linguistico-culturale, l'orientamento legale e il supporto socio-psicologico. Gli standard di erogazione di tali servizi sono apparsi non omogenei tra i vari centri e nel complesso insoddisfacenti;
    in una lettera indirizzata al Ministro dell'interno pro tempore, Anna Maria Cancellieri, e datata 11 luglio 2012, gli onorevoli Livia Turco e Roberto Zaccaria hanno riferito circa le visite ispettive, effettuate da parte di alcune delegazioni di parlamentari, all'interno di diversi centri di identificazione ed espulsione presenti sul territorio italiano nel corso del mese di giugno 2012, al fine di avere una conoscenza diretta delle condizioni di permanenza dei migranti trattenuti;
    dalle visite effettuate sono emerse diverse criticità e primariamente un'altissima compressione dei diritti fondamentali: pur in presenza di un titolo di detenzione solo amministrativo, ai fini dell'identificazione, dell'espulsione o del rimpatrio, si è riscontrata la presenza di persone private della libertà personale per lunghissimi periodi di tempo, impossibilitate a svolgere alcun tipo di attività ricreativa, lavorativa, formativa;
    l'assenza di un regolamento «comune» per tutti i centri di identificazione ed espulsione presenti in Italia e la presenza di soli regolamenti adottati dalle prefetture di competenza determinano un diverso grado di flessibilità nei diritti concessi, anche sulla base della diversa interpretazione delle «ragioni di sicurezza»;
    altro dato preoccupante è costituito dalla forte eterogeneità e promiscuità delle persone presenti all'interno dei centri di identificazione ed espulsione: vi si trovano persone che hanno a lungo risieduto legalmente in Italia e che, ad un certo punto, per le ragioni più diverse, hanno perso il permesso di soggiorno (cosiddetti overstayer); richiedenti asilo che hanno inoltrato la domanda dopo essere giunti al centro di identificazione ed espulsione e che, dunque, non sono stati trasferiti in un centro di accoglienza per richiedenti asilo; ex detenuti, a fine pena, che sono stati poi trasferiti nel centro di identificazione ed espulsione in attesa di identificazione o di rimpatrio; nonché numerose persone che sono state a lungo trattenute nei centri di identificazione ed espulsione, poi rilasciate e che, nuovamente fermate, vi rientrano;
    in particolare, ha destato preoccupazione la presenza nei centri di identificazione ed espulsione di un elevato numero di ex detenuti, che dopo aver scontato pene anche di diversi anni, vengono trattenuti per ulteriori lunghi periodi di tempo all'interno dei centri di identificazione ed espulsione, nonostante una direttiva interministeriale del 30 luglio 2007, degli allora Ministri Amato e Mastella, stabilisse che, in linea con le indicazioni dell'allora rapporto De Mistura, l'identificazione per i detenuti dovesse avvenire in carcere, e non più negli allora centri di permanenza temporanea, da considerarsi come luoghi destinati più utilmente al riconoscimento di altri soggetti. Riconoscimento che, comunque, si presenta problematico e che causa un considerevole impiego di forze dell'ordine, sia per gli impegnativi compiti di sorveglianza che per quelli di accompagnamento presso i tribunali competenti;
    tutte le criticità rilevate nel corso delle visite da parte di delegazioni di parlamentari, sono fortemente aggravate dall'allungamento del termine massimo di permanenza all'interno di un centro di identificazione ed espulsione, che, senza riuscire a facilitare il problema dell'identificazione e dei rimpatri, ha finito per creare una sorta di limbo giuridico, caratterizzato dalla negazione di diritti – anche fondamentali –, nel quale i trattenuti possono permanere fino a 18 mesi e al quale occorre urgentemente porre rimedio;
    nel giugno del 2012, in concomitanza con l'emersione di lacune strutturali che avevano portato alla chiusura del «Serraino Vulpitta» di Trapani e del «Malgrado tutto» di Lamezia Terme e di gravi inadempienze contrattuali emerse in numerosi centri, il Ministro dell'interno pro tempore, Anna Maria Cancellieri, ha istituito una task-force, con il compito di analizzare la situazione in cui versano i centri di identificazione ed espulsione, relativamente agli aspetti di carattere normativo, organizzativo e gestionale, al fine di elaborare proposte normative atte a migliorare l'operatività dei centri di espulsione ed assicurarne l'uniformità di funzionamento a livello nazionale;
    precedentemente, nel luglio 2006, con decreto dell'allora Ministro dell'interno, Giuliano Amato, venne istituita la Commissione De Mistura, il cui citato rapporto fu depositato il 31 gennaio 2007. Vale rilevare la diversa composizione delle due commissioni: la Commissione del 2012 è stata composta esclusivamente da funzionari del Ministero dell'interno, mentre la Commissione precedente era composta sia da membri ministeriali che da appartenenti all'associazionismo (una commissione «mista»);
    la Commissione De Mistura operò visitando tutti i centri, incontrando le prefetture, le questure, ascoltando le associazioni dei vari territori, gli enti locali e le persone trattenute; esaminò, inoltre, i documenti che le venivano sottoposti e raccolse direttamente migliaia di dati, anche attraverso l'utilizzo di apposite schede di rilevazione;
    le conclusioni della Commissione De Mistura non trovarono attuazione, né paiono esser state tenute a riferimento nell'impostazione dell'indagine 2012. Le risultanze dei due rapporti appaiono estremamente diverse, così come le conclusioni. Infatti, mentre la commissione De Mistura, dopo avere analizzato tutte le criticità presenti nei luoghi di detenzione amministrativa, concludeva per il «superamento» degli allora centri di permanenza temporanea e assistenza attraverso il loro «svuotamento», la più recente task-force ha elaborato un «documento programmatico», che, pubblicato solo ad aprile 2013, e quindi in fase di dimissioni del Governo, è volto ad implementare i centri di detenzione amministrativa, individuando le criticità prevalentemente imputabili alla condotta delle persone trattenute;
    le soluzioni prospettate nel progetto di revisione del «sistema Cie», tutto condensato in 27 pagine, più allegati, muove dal presupposto della necessità dei centri di identificazione ed espulsione e prevede numerose novità, sia dal punto di vista amministrativo che del funzionamento vero e proprio;
    in tal senso, nel cosiddetto rapporto Ruperto, si coglie una sorta di ulteriore discostamento delle prassi e delle normative sul trattenimento amministrativo in Italia, rispetto alla direttiva 2008/115/CE del Parlamento e del Consiglio, nota come «direttiva rimpatri»;
    infatti, ogni passo del rapporto apre un elemento di problematicità: ad esempio, nel prendere atto del fatto che i centri di identificazione ed espulsione operano con capienza ridotta a causa del danneggiamento dei locali causato dai trattenuti, non affronta il correlato tema per cui il forte ribasso dei corrispettivi previsti dalle convenzioni agli enti gestori ha portato ad una diminuzione del personale degli stessi;
    nel rapporto si annuncia poi che molti immigrati senza documenti potranno essere rimpatriati con maggiore velocità utilizzando non i centri di identificazione ed espulsione, ma i centri di primo soccorso e accoglienza, che, con procedimenti spesso informali, comportano il rischio del ricorso alle espulsioni cosiddette collettive – la cui pratica è da ritenersi illegittima secondo l'articolo 4 del protocollo 4 allegato alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali – in violazione degli stessi accordi di Schengen;
    altro aspetto su cui il rapporto si sofferma molto è la necessità di prevenire e contenere gli atti di ribellione, isolando in appositi spazi i rivoltosi e addirittura i «potenziali» rivoltosi, prevedendo celle speciali in carceri speciali: la grave carenza di spazi e attività ricreative all'interno dei centri di identificazione ed espulsione costituisce uno degli elementi che provoca maggior malessere tra i trattenuti. I drastici tagli nei bilanci a disposizione degli enti gestori, insieme al prolungamento dei tempi massimi di trattenimento a 18 mesi, hanno contribuito ad accrescere la tensione nei centri e a peggiorare ulteriormente le condizioni di vita dei trattenuti nel corso dell'ultimo anno;
    a questo proposito, appaiono quanto mai appropriate e attuali le considerazioni – risalenti al 2008 e contenute nel XVIII Dossier statistico immigrazione di Caritas/Migrantes –: «Proprio la prevista dilatazione della restrizione della libertà di movimento (estensione dei tempi massimi di trattenimento a 18 mesi), tuttavia, forse rivela il vero intento della norma: introdurre una lunga carcerazione preventiva per pochi malcapitati, in modo che serva come monito e deterrente per altri. In realtà, e non solo in Italia, il contrasto dell'immigrazione irregolare ormai entrata sul territorio nazionale si muove secondo logiche casuali e crudeli (...). In definitiva, gli immigrati effettivamente espulsi sono modeste percentuali, e non sono necessariamente i più pericolosi o parassitari»;
    al riguardo, la sentenza 12 dicembre 2012, n. 1410, del tribunale di Crotone, ha stabilito che i protagonisti della rivolta nel centro di identificazione ed espulsione di Crotone – i quali, saliti sul tetto della struttura, hanno lanciato alcuni oggetti contundenti contro le forze dell'ordine – non sono colpevoli di danneggiamento e offesa a pubblico ufficiale in quanto agirono per «legittima difesa» e la reazione degli stranieri alle «offese ingiuste» è da considerarsi proporzionata. Il giudice ha, infatti, scritto che, nel caso dei centri di identificazione ed espulsione, si tratta di «strutture – nel loro complesso – al limite della decenza, intendendo tale ultimo termine nella sua precisa etimologia, ossia di conveniente alla loro destinazione: che è quella di accogliere essere umani. E, si badi, esseri umani in quanto tali, e non in quanto stranieri irregolarmente soggiornanti sul territorio nazionale; per cui lo standard qualitativo delle condizioni di alloggio non deve essere rapportato al cittadino straniero irregolare medio (magari abituato a condizioni abitative precarie), ma al cittadino medio, senza distinzione di condizione o di nazionalità o di razza»;
    precedentemente, la stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 105 del 2001, ha rilevato che: «Per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia dell'immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi i problemi di sicurezza e di ordine pubblico connessi a flussi migratori incontrollati, non può risultarne minimamente scalfito il carattere universale della libertà personale, che, al pari degli altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani»;
    anche il relatore speciale delle Nazioni Unite per i diritti dei migranti, in un rapporto del 2010, denuncia in numerosi Stati l'uso sproporzionato della detenzione nella gestione dell'immigrazione, sottolineando come essa dovrebbe essere utilizzata solo come misura di ultima istanza;
    da ultimo, il caso Alma Shalabayeva ha mostrato come, secondo quanto dichiarato dal Presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato della Repubblica, in un articolo pubblicato su L'Unità del 17 luglio 2013, «accade che la politica dei respingimenti venga praticata con brutale efficienza nei confronti di migliaia di anonimi immigrati e richiedenti asilo» e come, dunque, tale caso istituzionale «potrebbe rappresentare l'occasione per ripensare a fondo la materia e per interrogarsi, in particolare, sulla legittimità di queste forme di rimpatrio: quante espulsioni espongono lo straniero al rischio di trattamenti illegali e crudeli?»,

impegna il Governo:

   a ripensare radicalmente gli attuali strumenti di gestione dell'immigrazione irregolare che risultano inefficaci (per quanto attiene all'effettività dei provvedimenti di espulsione), inutilmente costosi ed altamente lesivi dei diritti umani fondamentali, e ad abbattere i tempi di permanenza nei centri di identificazione ed espulsione, oggi inaccettabili per durata e inutili, oltre il periodo iniziale, all'effettiva identificazione delle persone trattenute;
   ad assumere iniziative per riformare l'intera disciplina dell'ingresso, del soggiorno e dell'allontanamento dei cittadini stranieri, riducendo a misura eccezionale, o comunque del tutto residuale, il trattenimento dello straniero ai fini del suo rimpatrio;
   ad assumere iniziative per abolire, in particolare, le norme del testo unico sull'immigrazione (decreto legislativo n. 286 del 1998) che penalizzano l'ingresso e il soggiorno irregolare, vale a dire il cosiddetto reato di clandestinità, fermo restando il diritto del Paese, secondo le norme vigenti, all'espulsione come sanzione amministrativa quando non esistano i requisiti per il soggiorno regolare o per l'accoglimento dell'istanza di protezione internazionale;
   ad introdurre politiche migratorie atte a garantire effettive possibilità di ingresso regolare e di inserimento sociale, nonché a introdurre meccanismi di regolarizzazione ordinaria;
   ad intervenire sulla disciplina di permanenza, per evitare il trattenimento nei centri di identificazione ed espulsione di coloro che hanno bisogno di protezione sociale, come le vittime di tratta, i minori, i richiedenti asilo;
   a evitare il trattenimento nei centri di identificazione ed espulsione di coloro che, dopo un periodo di detenzione, non siano già stati identificati in carcere;
   a garantire che le pratiche necessarie ai fini dell'identificazione e delle eventuali procedure di rimpatrio avvengano nel massimo della trasparenza, garantendo ai profughi un'adeguata ospitalità presso centri appositi in cui sia garantita l'assistenza psicologica e legale;
   a garantire il periodico monitoraggio da parte delle prefetture delle reali condizioni di vita nei centri, verificando la congruenza dei servizi offerti con le convenzioni in essere;
   a eliminare ogni restrizione e difficoltà al normale ingresso di associazioni umanitarie e organizzazioni non governative all'interno dei centri, al fine di umanizzare le condizioni di vita, sostenere un clima di collaborazione tra tutti i soggetti coinvolti, individuare e sciogliere eventuali problemi sociali non identificabili al momento dell'ingresso, favorire, laddove possibile, il reinserimento sociale, nonché prevenire tensioni.
(1-00156)
(Nuova formulazione) «Zampa, Marazziti, Santerini, Schirò, Martella, Civati, Villecco Calipari, Murer, Mogherini, Madia, Cenni, Bellanova, Gozi, Grassi, Lenzi, Carra, D'Incecco, Tullo, Amoddio, Blazina, Incerti, Iori, Carlo Galli, Fabbri, Giuseppe Guerini, Porta, Garavini, Piccione, Cinzia Maria Fontana, Laforgia, Malpezzi, Marco Di Maio, Ghizzoni, Marzano, Pes, Gadda, Senaldi, Gribaudo, Cimbro, Gnecchi, Quartapelle Procopio, Velo, Lattuca, Moscatt, Tentori, Antezza, La Marca, Fiano, Capone, De Micheli, Chaouki, Beni, Biondelli».

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Fratoianni n. 1-00190, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 82 del 23 settembre 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, così come modificato dall'articolo 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94, ha introdotto nell'ordinamento italiano il «reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato»;
    l'Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo per non aver rispettato il principio del non-respingimento, contenuto nella convenzione di Ginevra del 1951;
    l'articolo 13 della Costituzione recita che «la libertà personale è inviolabile (...) non è ammessa forma alcuna di detenzione, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge»;
    a fronte del dettato costituzionale, tuttavia, nei centri di identificazione ed espulsione, quanto ha luogo è, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, una vera e propria detenzione regolata da provvedimenti amministrativi, caratterizzata peraltro da pratiche disomogenee sul territorio e da sostanziali disparità di condizioni di trattenimento, in violazione del principio di uguaglianza;
    secondo i dati di Famiglia cristiana, che riprendono quelli elaborati dalla direzione generale della giustizia penale del Ministero della giustizia, paradossalmente, prima dell'introduzione del reato attualmente previsto e punito dall'articolo 10-bis del decreto legislativo n. 286 del 1998, il numero di espulsioni per coloro che si trovavano in Italia in maniera irregolare era addirittura maggiore: il 49 per cento nel 2003 contro il 28 per cento del 2012;
    secondo quanto riportato nel rapporto «Costi disumani. Spesa pubblica per il contrasto all'immigrazione irregolare» – redatto a cura dell'associazione Lunaria e, recentemente, presentato in sede di audizione dalla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato della Repubblica – dal 2005 al 2011 sono stati impegnati 143,8 milioni di euro in media all'anno per allestire, gestire, mantenere e ristrutturare il sistema dei centri (cda, cpsa, cara, cie). «In particolare per i CIE i dati identificabili negli avvisi pubblici per l'affidamento della loro gestione in base al capitolato unico di appalto di gara del novembre 2008, portano a stimare i soli costi di funzionamento in almeno 25,1 milioni di euro l'anno, cui aggiungere i costi di manutenzione ordinaria e straordinaria (non quantificabili con solo riferimento ai CIE), i costi per la sorveglianza dei Centri (non inferiori a 26,3 milioni l'anno), i costi di missione del personale di scorta che procede all'esecuzione dei rimpatri coatti (il cui costo medio annuale può essere stimato in 3,6 milioni di euro). I costi minimi sicuramente riconducibili al sistema di detenzione amministrativa nei CIE sono dunque pari ad almeno 55 milioni di euro l'anno»;
    i centri di identificazione ed espulsione (cie), istituiti dalla legge 6 marzo 1998, n. 40, e previsti dal testo unico sull'immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286), sono strutture di trattenimento degli stranieri in condizione di irregolarità, destinati all'espulsione;
    l'articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, così come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, cosiddetta legge «Bossi-Fini», prevede che «quando non sia possibile eseguire con immediatezza l'espulsione mediante accompagnamento», «il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso» il centro di identificazione ed espulsione, e che, quindi, tali strutture siano destinate al trattenimento, convalidato dal giudice di pace, dei cittadini stranieri extracomunitari irregolari e destinati all'espulsione;
    a far data dall'8 agosto 2009, con l'entrata in vigore della legge 15 luglio 2009, n. 94 (il cosiddetto pacchetto sicurezza), il termine massimo di permanenza degli stranieri in tali centri è passato da 60 giorni a 180 giorni complessivi, rafforzando così la loro natura di luoghi di permanenza obbligatoria e, nei fatti, di luoghi di detenzione amministrativa delle e dei migranti;
    secondo i dati forniti dalla polizia di Stato, nel 2012 erano 7.944 (7.012 uomini e 932 donne) i migranti trattenuti in tutti i centri di identificazione ed espulsione operativi in Italia. Di questi, solo la metà (4.015) sono stati effettivamente rimpatriati con un tasso di efficacia (rapporto tra rimpatriati e trattenuti) del 50,54 per cento. Rispetto al 2010, il rapporto tra i migranti rimpatriati rispetto al totale dei trattenuti nei centri di identificazione ed espulsione è cresciuto di appena il 2,3 per cento, mentre, rispetto al 2011, l'incremento del tasso di efficacia nei rimpatri è risultato addirittura irrilevante (+0,3 per cento);
    il citato articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, al comma 2 dispone che in tali centri lo straniero è trattenuto «con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza e il pieno rispetto della sua dignità»;
    l'articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, specifica che le modalità del trattamento nei centri di identificazione ed espulsione «devono garantire, nel rispetto del regolare svolgimento della vita in comune, la libertà di colloquio all'interno del centro e con visitatore proveniente dall'esterno, in particolare con il difensore che assiste lo straniero, e con i ministri di culto, la libertà di corrispondenza, anche telefonica, ed i diritti fondamentali della persona» e che in tali centri devono essere presenti «i servizi sanitari essenziali, gli interventi di socializzazione e la libertà di culto» e i «servizi predisposti per le esigenze fondamentali di cura, assistenza, promozione umana e sociale»;
    all'interno dei centri di identificazione ed espulsione si sono verificate gravi violazioni dei diritti umani, come denunciato sia da inchieste ed articoli di stampa, sia dalle associazioni di volontariato e dalle associazioni per la tutela dei diritti umani, tra le quali anche Amnesty International e Medici senza Frontiere, e fin dall'indagine interministeriale presentata dall'ambasciatore Staffan de Mistura nel 2007;
    sono numerosissimi gli atti di autolesionismo e tentativi di suicidio che sono stati anche denunciati da autorevoli organizzazioni impegnate nel campo dei diritti;
    in particolare, come risulta dall'indagine «Arcipelago CIE» realizzata tra febbraio 2012 e febbraio 2013 da Medici per i diritti umani (Medu) e pubblicata a maggio 2013, la struttura dei centri di identificazione ed espulsione è simile a quella dei centri di internamento. «L'inattività forzosa per prolungati periodi di tempo, in spazi angusti ed inadeguati, insieme all'incertezza sulla durata e l'esito del trattenimento, rendono il disagio psichico dei migranti uno degli aspetti più preoccupanti e di più difficile gestione all'interno dei centri»;
    da un punto di vista prettamente sanitario, le indagini di Medici per i diritti umani evidenziano, inoltre, che «in generale all'interno dei Centri di identificazione e di espulsione, non è previsto personale medico specialistico anche laddove sarebbe certamente necessario»;
    dalle visite effettuate da molti parlamentari nei centri di identificazione ed espulsione italiani sono emerse diverse criticità, prima fra tutte l'altissima compressione dei diritti fondamentali: pur in presenza di un titolo di detenzione solo amministrativo, ai fini dell'identificazione, dell'espulsione o del rimpatrio, si è riscontrata la presenza di persone private della libertà personale per lunghissimi periodi di tempo, impossibilitate a svolgere alcun tipo di attività ricreativa, lavorativa e formativa;
    l'assenza di un regolamento «comune» per tutti i centri di identificazione ed espulsione, presenti in Italia, e la presenza di soli regolamenti adottati dalle prefetture di competenza, determina un diverso grado di flessibilità nei diritti concessi, anche sulla base della diversa interpretazione delle «ragioni di sicurezza»;
    altro dato preoccupante è costituito dalla forte eterogeneità e promiscuità delle persone presenti all'interno dei centri di identificazione ed espulsione: vi si trovano persone che hanno a lungo risieduto legalmente in Italia e che, ad un certo punto, per le ragioni più diverse, hanno perso il permesso di soggiorno (cosiddetti overstayer); richiedenti asilo che hanno potuto presentare richiesta di protezione internazionale solo dopo essere giunti ai centri di identificazione ed espulsione e che, dunque, non sono stati trasferiti in un centro di accoglienza per richiedenti asilo; ex detenuti, a fine pena, che sono stati poi trasferiti nei centri di identificazione ed espulsione in attesa di identificazione o di rimpatrio, nonché numerose persone che sono state a lungo trattenute nei centri di identificazione ed espulsione, poi rilasciate e che, nuovamente fermate, vi rientrano;
    inoltre, è stata riscontrata all'interno dei centri di identificazione ed espulsione la presenza di persone coniugate con cittadini italiani e persone le cui condizioni di salute risultano incompatibili con il trattenimento, persino minori, nonostante le norme vigenti lo vietino;
    in particolare, ha destato preoccupazione la presenza nei centri di identificazione ed espulsione di un elevato numero di ex detenuti che, dopo aver scontato pene anche di diversi anni, vengono trattenuti per ulteriori lunghi periodi di tempo all'interno degli stessi, nonostante la direttiva interministeriale del 30 luglio 2007, dei Ministri pro tempore Amato e Mastella, stabilisca che, in linea con le indicazioni del rapporto «De Mistura», l'identificazione per detenuti debba avvenire in carcere, e non più negli allora centri di permanenza temporanea, da considerarsi come luoghi destinati più utilmente al riconoscimento di altri soggetti; si tratta di un riconoscimento che si presenta problematico e che richiede un considerevole impiego di forze dell'ordine, sia per gli impegnativi compiti di sorveglianza che per quelli di accompagnamento presso i tribunali competenti;
    tutti gli aspetti critici rilevati nel corso delle visite nei centri di identificazione ed espulsione da parte di delegazioni di parlamentari sono resi più gravi dall'allungamento del termine massimo di permanenza all'interno delle strutture che, senza riuscire a facilitare il problema dell'identificazione e dei rimpatri, ha finito per creare una sorta di limbo giuridico, caratterizzato dalla negazione di diritti, anche fondamentali, nel quale i trattenuti possono permanere fino a 18 mesi e al quale occorre urgentemente porre rimedio;
    incessanti sono ormai le rivolte da parte degli immigrati trattenuti per protestare contro le difficili condizioni e le gravi violazioni dei diritti umani fondamentali, come dimostrano da ultimo le rivolte al centro di identificazione ed espulsione di Gradisca d'Isonzo;
    all'interno del centro di identificazione ed espulsione di Crotone si è anche verificata la morte di un immigrato, con conseguente chiusura dello stesso;
    nel giugno del 2012, in concomitanza con l'emersione di lacune strutturali che avevano portato alla chiusura del «Serraino Vulpitta» di Trapani e del «Malgrado tutto» di Lamezia Terme, nonché di gravi inadempienze contrattuali emerse in numerosi centri, la Ministra dell'interno pro tempore, Anna Maria Cancellieri, ha istituito una task-force, con il compito di analizzare la situazione in cui versano i centri di identificazione ed espulsione, relativamente agli aspetti di carattere normativo, organizzativo e gestionale, al fine di elaborare proposte normative atte a migliorare l'operatività dei centri di espulsione ed assicurarne l'uniformità di funzionamento a livello nazionale;
    in precedenza, nel luglio 2006, con decreto del Ministro dell'interno pro tempore, Giuliano Amato, venne istituita la commissione cosiddetta De Mistura, il cui citato rapporto fu depositato il 31 gennaio 2007;
    la commissione, istituita nel 2012 ha visto, quali componenti, esclusivamente funzionari del Ministero dell'interno; mentre la commissione del 2006 era composta sia da membri ministeriali, sia da appartenenti all'associazionismo (una commissione «mista»);
    la commissione De Mistura (del 2006) operò visitando tutti i centri, incontrando le prefetture, le questure, ascoltando le associazioni dei vari territori, gli enti locali e le persone trattenute; esaminò, inoltre, i documenti che le venivano sottoposti e raccolse direttamente migliaia di dati, anche attraverso l'utilizzo di apposite schede di rilevazione;
    la citata commissione già evidenziò la difficoltà a eseguire i provvedimenti di espulsione, ritenendo dunque che «l'approccio normativo complessivo al fenomeno andrebbe profondamente modificato riconducendo l'espulsione alla sua natura di provvedimento necessario da applicarsi come ultima ratio, laddove tutte le altre possibilità di regolarizzare si siano rivelate in concreto non possibili»;
    le conclusioni della commissione De Mistura non trovarono attuazione, né sembrano esser state considerate nell'impostazione dell'indagine del 2012. Le risultanze dei due rapporti appaiono estremamente diverse, così come le conclusioni: mentre la commissione De Mistura, dopo avere analizzato tutte le criticità presenti nei luoghi di detenzione amministrativa, concludeva per il «superamento» degli allora centri di permanenza temporanea ed assistenza attraverso il loro «svuotamento», la più recente task-force ha elaborato un «Documento programmatico» che, pubblicato solo ad aprile 2013, e quindi in fase di dimissione del Governo pro tempore, è volto ad implementare i centri di detenzione amministrativa, individuando le criticità prevalentemente imputabili a condotte delle persone trattenute;
    le soluzioni prospettate nel progetto di revisione del «sistema cie», tutto condensato in un rapporto di 27 pagine, più allegati (cosiddetto rapporto Ruperto), muove dal presupposto della necessità dei centri di identificazione ed espulsione e prevede numerose novità sia dal punto di vista amministrativo che da quello del funzionamento vero e proprio;
    in tal senso, in tale rapporto si coglie una sorta di ulteriore discostamento delle prassi e delle normative sul trattenimento amministrativo in Italia, rispetto alla direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, nota come «direttiva rimpatri»;
    ogni passo dello stesso, infatti, apre un elemento di problematicità: ad esempio, nel prendere atto del fatto che i centri di identificazione ed espulsione operano con capienza ridotta a causa del danneggiamento dei locali causato dai trattenuti, non si affronta il correlato tema per cui il forte ribasso dei corrispettivi previsti dalle convenzioni agli enti gestori ha portato alla diminuzione del personale degli stessi, nonché all'ulteriore abbassamento della qualità minima del sistema complessivo dei servizi con conseguenze anche gravi per le persone trattenute;
    nel rapporto si annuncia poi che molti immigrati senza documenti potranno essere rimpatriati con maggiore velocità utilizzando non i centri di identificazione ed espulsione, ma i centri di primo soccorso e accoglienza, che, con procedimenti spesso informali, comportano il rischio del ricorso alle espulsioni cosiddette collettive, in violazione degli accordi di Schengen, la cui pratica è da ritenersi altresì illegittima secondo l'articolo 4 del protocollo 4 allegato alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali;
    altro aspetto su cui il rapporto si sofferma molto è la necessità di prevenire e contenere gli atti di ribellione, isolando in appositi spazi i rivoltosi e addirittura i «potenziali» rivoltosi, prevedendo celle speciali in carceri speciali;
    sul tema la sentenza del tribunale di Crotone 12 dicembre 2012, n. 1410, ha stabilito che i protagonisti della rivolta nel centro di identificazione ed espulsione di Crotone – i quali, saliti sul tetto della struttura, hanno lanciato alcuni oggetti contundenti contro le forze dell'ordine – non sono colpevoli di danneggiamento e offesa a pubblico ufficiale in quanto agirono per «legittima difesa» e la reazione degli stranieri alle «offese ingiuste» è da considerarsi proporzionata; il giudice ha infatti ritenuto che, nel caso dei centri di identificazione ed espulsione, si tratta di «strutture – nel loro complesso – al limite della decenza, intendendo tale ultimo termine nella sua precisa etimologia, ossia di conveniente alla loro destinazione: che è quella di accogliere essere umani. E, si badi, esseri umani in quanto tali, e non in quanto stranieri irregolarmente soggiornanti sul territorio nazionale per cui lo standard qualitativo delle condizioni di alloggio non deve essere rapportato al cittadino straniero irregolare medio (magari abituato a condizioni abitative precarie), ma al cittadino medio, senza distinzione di condizione o di nazionalità o di razza»;
    da ultimo, il caso Alma Shalabayeva ha evidenziato che, secondo quanto dichiarato dal presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato della Repubblica, in un articolo pubblicato su L'Unità del 17 luglio 2013, «accade che la politica dei respingimenti venga praticata con brutale efficienza nei confronti di migliaia di anonimi immigrati e richiedenti asilo» e che, dunque, tale caso istituzionale «potrebbe rappresentare l'occasione per ripensare a fondo la materia e per interrogarsi, in particolare, sulla legittimità di queste forme di rimpatrio: quante espulsioni espongono lo straniero al rischio di trattamenti illegali e crudeli?»,

impegna il Governo:

   a ripensare radicalmente l'attuale sistema di detenzione amministrativa, ingiustificabile e ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo illegittimo in uno Stato di diritto, e che risulta, peraltro, inefficace per quanto attiene all'effettività dei provvedimenti di espulsione, inutilmente costoso ed altamente lesivo dei diritti umani fondamentali;
   ad intraprendere urgenti iniziative normative tese ad abrogare l'articolo 10-bis del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, concernente il cosiddetto «reato di clandestinità»;
   ad assumere iniziative per riformare l'intera disciplina dell'ingresso, del soggiorno e dell'allontanamento dei cittadini stranieri;
   ad ampliare i canali di ingresso regolare, a garantire l'ingresso per la ricerca di lavoro, anche per contrastare il grave fenomeno della tratta degli esseri umani, nonché ad introdurre meccanismi di regolarizzazione ordinaria;
   ad introdurre politiche migratorie atte a garantire effettive possibilità di inserimento sociale dei migranti.
(1-00190)
(Nuova formulazione) «Fratoianni, Migliore, Pilozzi, Kronbichler, Daniele Farina, Sannicandro, Di Salvo, Piazzoni, Boccadutri, Costantino, Nicchi, Aiello, Palazzotto, Pellegrino».

Ritiro di documenti di indirizzo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   mozione Antimo Cesaro n. 1-00246 del 15 novembre 2013;
   mozione Costa n. 1 -00261 del 26 novembre 2013;
   mozione Marazziti n. 1 -00270 del 2 dicembre 2013;
   mozione Santerini n. 1-00275 del 3 dicembre 2013.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta immediata in Commissione Bergamini n. 5-01499 del 19 novembre 2013;
   interrogazione a risposta scritta Rondini n. 4-02644 del 21 novembre 2013.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il  seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore:
   interrogazione a risposta scritta Grande n. 4-02730 del 28 novembre 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01646.