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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 2 dicembre 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    i centri di identificazione ed espulsione, istituiti dalla legge 6 marzo 1998, n. 40, e previsti dal testo unico sull'immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286), sono strutture di trattenimento degli stranieri in condizione di irregolarità e destinati all'espulsione;
    i centri di accoglienza per richiedenti asilo, in base al decreto del Presidente della Repubblica n. 303 del 2004, di cui al decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, sono strutture nelle quali viene inviato e ospitato, per un periodo variabile di 20 o 35 giorni, lo straniero richiedente asilo privo di documenti di riconoscimento o che si è sottratto al controllo di frontiera, per consentire l'identificazione o la definizione della procedura di riconoscimento dello status di rifugiato;
    l'articolo 14 del testo unico sull'immigrazione al primo comma dispone che: «Quando non è possibile eseguire con immediatezza l'espulsione mediante accompagnamento alla frontiera o il respingimento, a causa di situazioni transitorie che ostacolano la preparazione del rimpatrio o l'effettuazione dell'allontanamento, il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di identificazione ed espulsione più vicino, tra quelli individuati o costituiti con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. Tra le situazioni che legittimano il trattenimento rientrano (...) anche quelle riconducibili alla necessità di prestare soccorso allo straniero o di effettuare accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità ovvero di acquisire i documenti per il viaggio o la disponibilità di un mezzo di trasporto idoneo»;
    secondo quanto riportato nel rapporto di Medici senza frontiere, in questi centri convivono «negli stessi ambienti vittime di tratta, di sfruttamento, di tortura, di persecuzioni, così come individui in fuga da conflitti e condizioni degradanti, altri affetti da tossicodipendenze, da patologie croniche, infettive o della sfera mentale, oppure stranieri che vantano anni di soggiorno in Italia, con un lavoro (non regolare), una casa e la famiglia o sono appena arrivati. Sono luoghi dove coesistono e s'intrecciano in condizioni di detenzione storie di fragilità estremamente eterogenee tra loro da un punto di vista sanitario, giuridico, sociale e umano, a cui corrispondono esigenze molto diversificate» (Al di là del muro, abstract, Medici senza frontiere – Missione Italia, 2010);
    secondo l'indagine realizzata tra febbraio 2012 e febbraio 2013 da Medici per i diritti umani (Medu), la struttura dei centri di identificazione ed espulsione è simile a quella dei centri di internamento. «I dispositivi di contenimento dei settori in cui si trovano effettivamente ristretti i migranti risultano poi essere dei recinti – assimilabili a grandi gabbie – che racchiudono spazi di dimensioni inadeguate ed eccessivamente oppressivi. (...) L'inattività forzosa per prolungati periodi di tempo, in spazi angusti ed inadeguati, insieme all'incertezza sulla durata e l'esito del trattenimento, rendono il disagio psichico dei migranti uno degli aspetti più preoccupanti e di più difficile gestione all'interno dei centri» (Arcipelago CIE – Sintesi – MEDU, maggio 2013);
    da un punto di vista prettamente sanitario, le indagini dei Medici per i diritti umani evidenziano che le criticità più diffuse sono: «difficoltà di accesso alle cure e alle prestazioni diagnostiche presso le strutture ospedaliere e i servizi sanitari presenti sul territorio; l'impossibilità di accesso ai centri del personale delle ASL; carente comunicazione tra i singoli CIE e tra i CIE e le carceri nei casi di trasferimento di trattenuti malati; carenza di personale medico specialistico (ad esempio psichiatrico e ginecologico) che sarebbe particolarmente necessario dato il contesto dei centri, reciproca sfiducia tra i trattenuti ed il personale sanitario con conseguente compromissione del rapporto medico-paziente; notevole discrezionalità tra i vari centri nella valutazione dell'idoneità sanitaria al trattenimento. (...) In generale all'interno dei CIE non è previsto personale medico specialistico anche laddove sarebbe certamente necessario»;
    a questo contesto a dir poco allarmante, va aggiunto che già nel 2008, in occasione della proroga del termine massimo di permanenza nei centri di identificazione ed espulsione da 60 a 180 giorni complessivi, si erano scatenate forti critiche in ambito giuridico. Come riportato nel rapporto di Medici per i diritti umani sopracitato: «non solo la proroga viene concessa o negata senza contraddittorio fra le parti, ma al giudice non è neppure concesso di modulare la durata del trattenimento prorogato (...). Ed allora appare evidente il contrasto con due parametri costituzionali: il diritto di difesa e la riserva di giurisdizione in materia di libertà personale, che già erano prospettabili quando il trattenimento era consentito nel limite di trenta giorni, prorogabili in altri trenta, ma che ora emergono con forza in ragione della triplicazione della durata della permanenza nei CIE e della genericità dei presupposti legittimanti le proroghe» (in G. Savio. La disciplina dell'espulsione e del trattenimento nei CIE: La condizione giuridica dello straniero dopo le recenti riforme della normativa in materia di immigrazione, Seminario ASGI-MD, settembre 2009);
    ciononostante, con decreto-legge 23 giugno 2011, n. 89, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 agosto 2011, n. 129, la durata massima del trattenimento nei centri di identificazione ed espulsione è stata ulteriormente prorogata fino ad un massimo di 18 mesi. Tale provvedimento, nel recepire la Direttiva europea 2008/115/CE (cosiddetta direttiva rimpatri), ne avrebbe stravolto il senso, visto che la normativa europea conferisce al trattenimento dello straniero ai fini del rimpatrio un carattere meramente residuale, mentre nell'ordinamento italiano tale misura è praticamente applicata come strumento ordinario di esecuzione delle espulsioni;
    inoltre, l'allungamento dei tempi del trattenimento nei centri di identificazione ed espulsione non ha fatto altro che peggiorare le condizioni dei migranti ed il loro malessere. Ciò risulterebbe da un sensibile incremento degli episodi di fuga nell'anno 2012 rispetto all'anno precedente;
    come riportato nel documento dell'Unione delle Camere Penali Italiane del 15 gennaio 2013 (Osservatorio Carcere - La sentenza di Crotone e la inumana realtà dei CIE): «il Giudice di Crotone il 12 dicembre 2012 ha assolto tre cittadini extracomunitari che avevano indetto una protesta all'interno del Cie Sant'Anna di Isola Capo Rizzuto dal 9 al 13 ottobre, scardinando grate, finestre, ringhiere e rubinetterie, lampade e staccando intonaci, salendo sui tetti e lanciando i materiali indicati. Nella lunga ed articolata motivazione, peraltro contestuale, il Giudice monocratico finisce per ritenere giustificata la condotta dei trattenuti, stabilendo che essi abbiano agito per difendere i loro diritti fondamentali (alla libertà personale e alla dignità umana) da una iniqua ed ingiusta aggressione posta in essere. La violazione della libertà personale e della dignità umana sarebbe avvenuta per ed a causa della piena inosservanza delle norme nazionali e comunitarie che disciplinano il trattenimento dei cittadini stranieri. Inosservanza e violazione di norme riconducibile alla Pubblica amministrazione, intesa come Prefettura e Giudice di Pace, cui è rimessa l'ampia giurisdizione della materia e della libertà personale delle persone. Il Giudice monocratico ha ascoltato i racconti dei trattenuti, ha analizzato i provvedimenti amministrativi e dei Giudici di pace, ha esaurientemente richiamato la normativa comunitaria esistente ed ha disposto una ispezione del Cie. (...) Indipendentemente dalla soluzione giuridica, che però è consequenziale alle premesse, allo sviluppo argomentativo e all'amara realtà fotografata, quello che importa è soprattutto la coraggiosa ed impietosa critica rivolta alle nostre procedure amministrative, inadeguate e non conformi ai presupposti imposti dalla direttiva 115/2008, alla non effettività del controllo giurisdizionale, alla irrealizzabilità di una efficace la difesa tecnica e, non ultimo, alle condizioni inumane del trattenimento dei tre imputati e degli altri ospiti. Talmente ingiusti sono stati valutati - giuridicamente - i provvedimenti di trattenimento presso il Cie, tanto inefficace il controllo del Giudice di Pace, tanto inesistente lo spazio riconosciuto alla difesa e tanto deplorevoli le condizioni di trattenimento che il Giudice ha ritenuto la condotta di rivolta degli imputati scriminata dalla necessità di dover difendere i loro diritti fondamentali da un'ingiusta aggressione alle regole previste dall'ordinamento nazionale e sovrannazionale. (...) Appaiono in concreto non recepiti, e l'analisi dei singoli provvedimenti amministrativi dei tre imputati è impietosa, il principio di proporzionalità del trattenimento, quale misura da applicarsi nel caso in cui qualsiasi altra risulti inadeguata, ed il principio dell'obbligo motivazionale di tale scelta che dovrebbe rappresentare la extrema ratio. Il controllo giurisdizionale di quei provvedimenti, affidato al Giudice di pace, viene definito dal Giudice di Crotone «non effettivo»: avvisi senza nozioni tecniche, mancanza di traduzione degli atti, assenza di un interprete in una udienza altamente tecnica quale quella di convalida e difensori catapultati il giorno stesso in udienza senza la possibilità di conoscere adeguatamente il caso specifico e gli atti. (...) Le condizioni di permanenza sono state ritenute all'esito della ispezione posta in essere dal Giudice togato contrarie alla disposizione dell'articolo 14 decreto legislativo 286/1998 ed in palese violazione dei divieti sanciti dall'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (...)»;
    nel giugno 2012, il Ministro dell'interno ha istituito una commissione interna al dicastero per l'analisi della situazione dei centri di identificazione ed espulsione italiani. Le risultanze contenute nel documento programmatico appaiono molto diverse da quelle frutto dell'indagine svolta dalla commissione De Mistura istituita nel 2006. Quest'ultima, infatti, si espresse nel senso del superamento attraverso lo svuotamento degli allora centri di permanenza temporanea ed assistenza, mentre, come riportato dall'Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione (Asgi) il documento programmatico è «volto ad incrementare i centri di detenzione amministrativa in nome dell'efficienza e del risparmio di spesa, individuando le criticità nella sola (o prevalente) condotta delle persone trattenute.» (Asgi, Il Documento programmatico sui CIE del Ministero dell'Interno: un pessimo programma di legislatura, 23 aprile 2013);
    l'Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione critica apertamente il documento ministeriale, al punto da chiedere al Ministro dell'interno e alle istituzioni di non tenerne conto;
    secondo il monitoraggio di Lunaria, associazione di promozione sociale, per i centri di identificazione ed espulsione lo Stato affronta una spesa di 55 milioni di euro l'anno, e ciò a fronte di risultati evidentemente scarsi, visto che «su 169.126 persone transitate nei centri tra il 1998 e il 2012, sono state soltanto 78.081 (il 46,2 per cento del totale) quelle effettivamente rimpatriate»,

impegna il Governo:

   ad intervenire in modo strutturale e non emergenziale al fine di rendere omogeneo sul territorio italiano l'intervento di assistenza nei centri di identificazione ed espulsione e nei centri di accoglienza per richiedenti asilo, anche in relazione ai servizi di assistenza sanitaria ed alimentare, nel rispetto delle culture delle persone ospitate;
   ad assumere iniziative per riformare l'intera disciplina dell'ingresso, del soggiorno con eventuale inserimento lavorativo e della gestione dei flussi;
   a proporre, presso gli organi competenti in sede di Unione europea, che la problematica in questione contempli un'equa condivisione di oneri e destinazioni finali che siano distribuiti proporzionalmente sull'intero ambito territoriale comunitario, in riferimento anche ad un'efficace prevenzione dell'attività criminale, spesso connessa ai flussi migratori, in relazione alla tratta degli esseri umani;
   a razionalizzare le risorse impiegate nel settore al fine di evitare sprechi ed interventi inefficaci anche attraverso l'incremento del numero delle commissioni territoriali, soprattutto nelle zone di sbarco, per garantire il rispetto delle tempistiche del rilascio dello status di rifugiato;
   a verificare il rispetto dei termini stabiliti nei contratti pubblici d'appalto, all'uopo stipulati secondo i principi di trasparenza e massima diffusione dei relativi bandi di gara;
   a riferire l'esito dei sopralluoghi effettuati nelle strutture, pubblicando i relativi rapporti sul sito istituzionale del Ministero dell'interno.
(1-00269) «Toninelli, Dadone, D'Ambrosio, Colonnese, Marzana, Lorefice, Simone Valente, Luigi Gallo, Frusone, Brescia, Colletti, Cozzolino, Fraccaro, Lombardi, Nuti, Dieni, Nesci».


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, così come modificato dall'articolo 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94, ha introdotto nel nostro ordinamento il «reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato»;
    istituiti dalla legge Turco-Napolitano (legge 6 marzo 1998, n. 40) e previsti dall'articolo 14 del Testo unico sull'immigrazione del 1998, come modificato dall'artico1o 13 della legge Bossi-Fini (legge 30 luglio 2002, n. 189), i Cie, anteriormente denominati centri di permanenza temporanea e assistenza (Cpta) o più brevemente (Cpt), si distinguono dalle strutture adibite all'accoglienza e al trattenimento degli immigrati per la loro finalità, in quanto sono stati creati per trattenere gli stranieri senza titolo di soggiorno e in attesa di espulsione, nei casi in cui non sia possibile l'esecuzione immediata della misura;
    l'articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, così come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, cosiddetta legge «Bossi-Fini», prevede che «quando non sia possibile eseguire con immediatezza l'espulsione mediante accompagnamento», «il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso» il Cie e che quindi tali strutture siano destinate al trattenimento, convalidato dal giudice di pace, dei cittadini stranieri extracomunitari irregolari e destinati all'espulsione;
    dall'8 agosto 2009, con l'entrata in vigore della legge 15 luglio 2009, n. 94 (cosiddetto pacchetto sicurezza), il termine massimo di permanenza degli stranieri in tali centri è passato da 60 giorni a 180 giorni complessivi; viene rafforzata così la loro natura di luoghi di permanenza obbligatoria, nonché di detenzione;
    secondo i dati forniti dalla Polizia di Stato, nel 2012 sono stati 7.944 (7.012 uomini e 932 donne) i migranti trattenuti in tutti i Cie operativi in Italia. Di questi solo la metà (4.015) sono stati effettivamente rimpatriati con un tasso di efficacia (rimpatriati su trattenuti) del 50,54 per cento. Rispetto al 2010, il rapporto tra i migranti rimpatriati rispetto al totale dei trattenuti nei Cie è incrementato di appena il 2,3 per cento, mentre rispetto al 2011, l'incremento del tasso di efficacia nei rimpatri è risultato addirittura irrilevante (+0,3 per cento): si conferma dunque la sostanziale inutilità dell'estensione della durata massima del trattenimento ai fini di un miglioramento nell'efficacia delle espulsioni;
    l'articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394 specifica che le modalità del trattamento nei Centri di identificazione e di espulsione «devono garantire, nel rispetto del regolare svolgimento della vita in comune, la libertà di colloquio all'interno del centro e con visitatore proveniente dall'esterno, in particolare con il difensore che assiste lo straniero, e con i Ministri di culto, la libertà di corrispondenza, anche telefonica, ed i diritti fondamentali della persona» e che in tali centri devono essere presenti «i servizi sanitari essenziali, gli interventi di socializzazione e la libertà di culto» e i «servizi predisposti per le esigenze fondamentali di cura, assistenza, promozione umana e sociale»;
    come risulta dall'indagine «arcipelago Cie» realizzata tra febbraio 2012 e febbraio 2013 da Medici per i diritti umani (MEDU) e pubblicata a maggio 2013, la struttura dei Centri di identificazione e di espulsione è simile a quella dei centri di internamento. «L'inattività forzosa per prolungati periodi di tempo, in spazi angusti ed inadeguati, insieme all'incertezza sulla durata e l'esito del trattenimento, rendono il disagio psichico dei migranti uno degli aspetti più preoccupanti e di più difficile gestione all'interno dei centri»;
    da un punto di vista prettamente sanitario, le indagini MEDU evidenziano che «in generale all'interno dei Cie non è previsto personale medico specialistico anche laddove sarebbe certamente necessario». I servizi sanitari, erogati in tutti i centri direttamente dagli enti gestori, non sembrano garantire in modo adeguato il diritto alla salute: permangono ostacoli rilevanti nell'accesso alle cure specialistiche e agli approfondimenti diagnostici, dovuti essenzialmente alle caratteristiche di strutture chiuse al mondo esterno dei Cie;
    oltre all'assistenza sanitaria, gli enti gestori sono tenuti a fornire i servizi di mediazione linguistico – culturale, l'orientamento legale e il supporto socio-psicologico. Gli standard di erogazione di tali servizi sono apparsi non omogenei tra i vari centri e nel complesso insoddisfacenti;
    l'assenza di un regolamento «comune» per tutti i Cie presenti in Italia, e la presenza di soli regolamenti adottati dalle prefetture di competenza, determina un diverso grado di flessibilità nei diritti concessi, anche sulla base della diversa interpretazione delle «ragioni di sicurezza»;
    la popolazione ristretta nei Cie – ampiamente eterogenea per status giuridico e percorsi migratori – presenta un complesso di bisogni a cui tali centri non sono assolutamente in grado di rispondere in termini di strutture e servizi. Oltre a un cospicuo numero di migranti provenienti dal carcere, l'indagine ha rilevato la presenza delle seguenti tipologie di persone: migranti appena giunti in Italia; richiedenti asilo; cittadini comunitari; stranieri presenti da molti anni in Italia, spesso con famiglia, ma senza un contratto di lavoro regolare; immigrati con il permesso di soggiorno scaduto;
    in particolare, ha destato preoccupazione la presenza nei Centri di identificazione e di espulsione di un elevato numero di ex detenuti che, dopo aver scontato pene anche di diversi anni, vengono trattenuti per ulteriori lunghi periodi di tempo all'interno degli stessi, nonostante la direttiva interministeriale del 30 luglio 2007, dei Ministri pro tempore Amato e Mastella, stabilisca che, in linea con le indicazioni del rapporto «de Mistura», l'identificazione per detenuti debba avvenire in carcere, e non più negli allora Centri di permanenza temporanea, da considerarsi come luoghi destinati più utilmente al riconoscimento di altri soggetti; riconoscimento che si presenta problematico e che richiede un considerevole impiego di Forze dell'ordine, sia per gli impegnativi compiti di sorveglianza che per quelli di accompagnamento presso i tribunali competenti;
    altro aspetto su cui il rapporto si sofferma molto è la necessità di prevenire e contenere gli atti di ribellione, isolando in appositi spazi i rivoltosi e addirittura i «potenziali» rivoltosi, prevedendo celle speciali in carceri speciali: la grave carenza di spazi e attività ricreative all'interno dei Cie costituisce uno degli elementi che provoca maggior malessere tra i trattenuti. I drastici tagli nei bilanci a disposizione degli enti gestori, insieme al prolungamento dei tempi massimi di trattenimento a 18 mesi, hanno contribuito ad accrescere la tensione nei centri e a peggiorare ulteriormente le condizioni di vita dei trattenuti nel corso dell'ultimo anno;
    a questo proposito, appaiono quanto mai appropriate e attuali le considerazioni – risalenti al 2008 – contenute nel XVIII dossier statistico immigrazione di Caritas/Migrantes: «Proprio la prevista dilatazione della restrizione della libertà di movimento (estensione dei tempi massimi di trattenimento a 18 mesi, n.d.a.), tuttavia, forse rivela il vero intento della norma: introdurre una lunga carcerazione preventiva per pochi malcapitati, in modo che serva come monito e deterrente per altri. In realtà, e non solo in Italia, il contrasto dell'immigrazione irregolare ormai entrata sul territorio nazionale si muove secondo logiche casuali e crudeli [...]. In definitiva, gli immigrati effettivamente espulsi sono modeste percentuali, e non sono necessariamente i più pericolosi o parassitari»;
    la sentenza n. 1410 del 12 dicembre 2012 del tribunale di Crotone, ha stabilito che i protagonisti della rivolta nel Cie di Crotone – i quali, saliti sul tetto della struttura, hanno lanciato alcuni oggetti contundenti contro le Forze dell'ordine – non sono colpevoli di danneggiamento e offesa a pubblico ufficiale in quanto agirono per «legittima difesa» e la reazione degli stranieri alle «offese ingiuste» è da considerarsi proporzionata. Il giudice ha infatti scritto che, nel caso dei Cie, si tratta di «strutture – nel loro complesso – al limite della decenza, intendendo tale ultimo termine nella sua precisa etimologia, ossia di conveniente alla loro destinazione: che è quella di accogliere essere umani. E, si badi, esseri umani in quanto tali, e non in quanto stranieri irregolarmente soggiornanti sul territorio nazionale; per cui lo standard qualitativo delle condizioni di alloggio non deve essere rapportato al cittadino straniero irregolare medio (magari abituato a condizioni abitative precarie), ma al cittadino medio, senza distinzione di condizione o di nazionalità o di razza»;
    precedentemente, la stessa Corte costituzionale, nella sentenza 105 del 2001, ha rilevato che «Per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia dell'immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi i problemi di sicurezza e di ordine pubblico connessi a flussi migratori incontrollati, non può risultarne minimamente scalfito il carattere universale della libertà personale, che, al pari degli altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani»;
    anche il relatore speciale delle Nazioni Unite per i diritti dei migranti, in un rapporto del 2010 denuncia in numerosi Stati l'uso sproporzionato della detenzione nella gestione dell'immigrazione, sottolineando come essa dovrebbe essere utilizzata solo come misura di ultima istanza;
    da ultimo, il caso Alma Shalabayeva ha mostrato come, secondo quanto dichiarato dal presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato, in un articolo pubblicato su L'Unità del 17 luglio 2013, «accade che la politica dei respingimenti venga praticata con brutale efficienza nei confronti di migliaia di anonimi immigrati e richiedenti asilo» e come, dunque, tale caso istituzionale «potrebbe rappresentare l'occasione per ripensare a fondo la materia e per interrogarsi, in particolare, sulla legittimità di queste forme di rimpatrio,

impegna il Governo:

   a ripensare radicalmente gli attuali strumenti di gestione dell'immigrazione irregolare che risultano inefficaci (per quanto attiene all'effettività dei provvedimenti di espulsione), inutilmente costosi ed altamente lesivi dei diritti umani fondamentali;
   ad assumere iniziative per riformare l'intera disciplina dell'ingresso, del soggiorno e dell'allontanamento dei cittadini stranieri, riducendo a misura eccezionale, o comunque del tutto residuale, il trattenimento dello straniero ai fini del suo rimpatrio;
   ad assumere iniziative normative per abrogare, in particolare, le norme del Testo unico sull'immigrazione (decreto legislativo n. 286 del 1998) che penalizzano l'ingresso e il soggiorno irregolare, vale a dire il cosiddetto «reato di clandestinità», fermo restando il diritto del Paese, secondo le norme vigenti, all'espulsione come sanzione amministrativa quando non esistano i requisiti per il soggiorno regolare o l'accoglimento dell'istanza di protezione internazionale;
   ad ampliare i canali di ingresso regolare, a tutelare l'ingresso per ricerca di lavoro, anche al fine di contrastare il grave fenomeno della tratta degli esseri umani, nonché a introdurre meccanismi di regolarizzazione ordinaria;
   ad introdurre politiche migratorie atte a garantite effettive possibilità di inserimento sociale dei migranti;
   a garantire ai profughi un'adeguata ospitalità presso centri appositi in cui sia garantita l'assistenza psicologica e legale;
   ad assumere iniziative per eliminare ogni restrizione e difficoltà al normale ingresso di associazioni umanitarie e organizzazioni non governative all'interno dei centri, al fine di umanizzare le condizioni di vita, sostenere un clima di collaborazione tra tutti i soggetti coinvolti, individuare e sciogliere eventuali problemi sociali non identificabili al momento dell'ingresso, favorite, laddove possibile, il reinserimento sociale, nonché prevenire tensioni.
(1-00270) «Marazziti, Santerini, Schirò».


   La Camera,
   premesso che:
    immigrazione costituisce per l'Italia e l'Unione europea un fenomeno di rilevante significato sociale, con notevoli implicazioni sul piano demografico, economico, politico, culturale e antropologico, che richiede interventi strutturali e mirati a garantire anche la coesione sociale;
    in particolare nella scorsa legislatura, il Governo Berlusconi ha affrontato il tema nei suoi vari aspetti, senza rinunciare a politiche di accoglienza, sostegno e integrazione dell'immigrazione regolare, accompagnandole con misure di rigore, per massimizzare il suo apporto positivo all'interno del sistema produttivo e sociale del Paese;
    i Governi Berlusconi sostenuti dalla maggioranza di centrodestra hanno promosso una politica di immigrazione che si fonda su due dimensioni, che si sostengono reciprocamente: fermezza e rigore contro la clandestinità e integrazione fondata sul lavoro, sulla conoscenza e sul rispetto della nostra identità;
    in una situazione internazionale particolarmente complicata, per molti aspetti drammatica, di fronte a una crisi economico-finanziaria di portata mondiale, in presenza di fatti rivoluzionari nei paesi della riva Sud del Mediterraneo, il Governo è riuscito a governare le emergenze che si è trovato davanti sempre nell'interesse del Paese, anche riuscendo nell'impresa di gestire l'ondata di flussi migratori che ha interessato le nostre coste;
    una coerente integrazione di milioni di persone già presenti nel nostro Paese e di molte migliaia che chiedono l'ammissione richiede una disciplina dei flussi e dei visti che garantisca la presenza e la convivenza degli immigrati provenienti dalle varie Nazioni, tenendo in considerazione le reali possibilità di assorbimento nel nostro tessuto sociale, al fine di assicurare il rispetto e la tutela della dignità umana dei lavoratori stranieri, dei nostri valori e della sicurezza dei cittadini del nostro Paese;
    l'ingresso illegale nel territorio dello Stato costituisce nella maggior parte dei casi il presupposto per l'emarginazione e lo sfruttamento lavorativo di molti stranieri e, spesso, il serbatoio per il reclutamento della manovalanza della criminalità;
    per continuare a combattere efficacemente la clandestinità bisogna proseguire nell'applicazione puntuale e rigorosa della cosiddetta «legge Bossi-Fini», che lega la possibilità di ingresso e soggiorno sul territorio dello Stato al possesso di un regolare contratto di lavoro;
    questo fondamentale principio stabilito dal nostro ordinamento si sta affermando anche nelle più moderne legislazioni degli altri paesi europei;
    quello che manca ancora è una politica comune europea sulla gestione dell'immigrazione illegale; è necessario ragionare, a livello europeo, su come consentire l'immigrazione legale e, quindi, la partecipazione di tanti lavoratori stranieri allo sviluppo del Paese e dell'Unione europea, impedendo al tempo stesso che organizzazioni criminali gestiscano vere e proprie tratte di esseri umani;
    in questo ambito, il Governo italiano ha per primo sollevato in Europa il problema, sottolineando come il fronteggiare da un lato l'immigrazione clandestina e l'adottare dall'altro una politica di accoglienza, di inserimento e di integrazione dei lavoratori stranieri che giungono in Europa non costituisca questione che possa essere semplicemente delegata alla buona volontà dei paesi costieri;
    nonostante, infatti, molte e forse troppe dichiarazioni di intenti, l'Europa non ha dato al nostro Paese un contributo decisivo e l'Italia ha finito per dover affrontare praticamente da sola le ondate migratorie, ondate che hanno subito una forte impennata a causa delle diverse situazioni di conflitto che si sono sviluppate sulla riva sud del Mediterraneo ma che comunque rappresentano un dato permanente che va affrontato, sia nell'interesse dei paesi di accoglienza sia nei confronti delle popolazioni dei paesi di emigrazione;
    lo sforzo logistico e finanziario sostenuto dall'Italia, fin dalle rivolte sviluppatesi in Tunisia, in Egitto e in Libia, è stato notevole e molto impegnativo e i sacrifici, segnatamente delle popolazioni di Lampedusa, sono state enormi. Questo significa gestione dei flussi ma anche rimpatri coattivi per coloro che non hanno titolo all'accoglienza;
    la solidarietà dell'Europa non può essere limitata al campo finanziario: l'immigrazione irregolare è un problema annoso e il compito di affrontarlo è stato lasciato ai paesi in prima linea e, in particolar modo, all'Italia. Lampedusa e, in altro modo altri punti di approdo in Italia rappresentano la porta Sud dell'Europa e non solo del nostro Paese: guerre, persecuzioni, regimi autoritari, grandi trasformazioni appena iniziate sulla riva sud del Mediterraneo, privatizzazione della violenza e debolezza o assenza statuale, pulizia etnica e insicurezza di vita spingono centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini a cercare il proprio futuro in Europa rischiando la vita;
    le frontiere italiane non sono più, ormai, frontiere nazionali ma europee. Sono frontiere comuni che delimitano uno spazio, quello europeo, che è comune e che implica una gestione che deve essere comune. In questo senso, sull'onda emotiva dell'ultima tragedia di Lampedusa l'Unione europea ha fatto molte promesse, ma al primo Consiglio europeo utile Van Rompuy ha sostanzialmente rinviato la questione al prossimo mese di giugno 2013;
    è necessario quindi che anche nel settore dell'immigrazione l'Europa si muova secondo i principi di collaborazione e di mutuo sostegno;
    le strutture che accolgono, assistono e ospitano gli immigrati irregolari presenti nel Paese si distinguono in Centri di accoglienza (CDA), Centri di accoglienza richiedenti asilo (CARA) e Centri di identificazione ed espulsione (CIE);
    tali centri, in particolare i CIE, fanno ormai stabilmente parte dell'ordinamento e risultano indispensabili per un'efficiente gestione dell'immigrazione irregolare. La finalità del trattenimento degli stranieri irregolari è quella di rimuovere gli ostacoli che, transitoriamente, impediscono di eseguire il rimpatrio, laddove ricorrano il rischio che la persona da allontanare si renda irreperibile, l'esigenza di accertare la sua identità (poiché priva di passaporto), oppure la necessità di acquisire un mezzo di trasporto idoneo al rimpatrio;
    decorsi i primi 180 giorni di trattenimento, la misura è prorogabile, per periodi di 60 giorni, fino a ulteriori 12 mesi, solo se il rimpatrio non è stato ancora eseguito a causa della mancanza di collaborazione dello straniero, che ostacola il rimpatrio, oppure a causa di ritardi nell'ottenimento del lasciapassare dal suo paese di origine;
    nel 2012 la percentuale dei rimpatriati dopo il trattenimento in un Centro di identificazione ed espulsione è aumentata sino al 50,6 per cento (nel 2010 era del 48,2 per cento), mentre è conseguentemente diminuita (dal 17,5 per cento del 2010 al 5,2 per cento del 2012) la percentuale di coloro che sono stati dimessi dai Centri per mancata identificazione;
    la durata effettiva del trattenimento dipende dal livello di cooperazione offerto da ciascun paese di provenienza dell'immigrato irregolare. Per esempio, nel caso della Tunisia, in virtù del processo verbale firmato a Tunisi il 5 aprile 2011, sono state avviate procedure semplificate di rimpatrio dei tunisini. Nel 2012 il tempo di permanenza medio degli stranieri nei Centri di identificazione ed espulsione è stato di 38 giorni a fronte di un 50,6 per cento di espulsi dopo il trattenimento;
    l'interesse manifestato da più parti della classe politica, la costante vigilanza degli organismi internazionali, e, purtroppo, i tragici episodi degli sbarchi del mese di ottobre 2013, hanno determinato, soprattutto negli ultimi tempi, una maggiore attenzione e un più elevato controllo dell'attività svolta in materia dall'amministrazione pubblica. L'ondata di manifestazioni e rivoluzioni, che ha avuto inizio in Tunisia nel dicembre 2010, e che poi si è allargata a tutta la sponda nord-africana del Mediterraneo, meglio conosciuta come «primavera araba», ha comportato un notevole incremento della presenza di immigrati irregolari non identificati in Italia, creando difficoltà e nuovi interrogativi sulla gestione dei Centri di identificazione ed espulsione e sulle politiche migratorie adottate al riguardo;
    nel mese di giugno del 2012 il Ministro dell'interno Annamaria Cancellieri ha costituito una task-force, interna al Ministero, con il compito di analizzare la situazione in cui versano i Centri di identificazione ed espulsione italiani, relativamente agli aspetti di ordine normativo, organizzativo e gestionale, allo scopo di elaborare un quadro d'insieme e di formulare proposte idonee a migliorarne l'operatività e ad assicurare l'uniformità complessiva del sistema di accoglienza nei centri medesimi. Il presidente della Commissione, sottosegretario pro tempore Saverio Ruperto, è stato altresì incaricato di recarsi presso i centri presenti su tutto il territorio nazionale, al fine di raccogliere ogni informazione utile allo svolgimento dell'analisi e alla elaborazione di un documento programmatico che ne racchiude le conclusioni;
    dalle visite programmate dal sottosegretario pro tempore Ruperto, e condotte presso i Centri di identificazione ed espulsione nel corso del 2012, sono emerse talune disparità nella conduzione dei centri, e ciò ha reso evidente la necessità di dare uniformità organizzativa, soprattutto per quanto riguarda il trattamento degli immigrati ospitati nelle strutture;
    dagli approfondimenti compiuti in virtù dell'attività svolta dal tavolo di lavoro, è emerso che gli aspetti critici più evidenti nella gestione dei Centri di identificazione ed espulsione riguardano in primo luogo gli ingenti oneri economici che l'amministrazione deve sostenere per la manutenzione e conservazione delle strutture, le quali sono sovente oggetto di atti vandalici da parte dei soggetti ivi trattenuti;
    il tavolo di lavoro ha prodotto, ad inizio anno, un documento programmatico in cui sono state delineate una serie di proposte programmatiche utili a migliorare le condizioni dei centri,

impegna il Governo:

   ad adottare le opportune iniziative per rendere la permanenza nei Centri di identificazione ed espulsione più breve possibile, nonché per prevenire situazioni di disordine e violenza, nel rispetto dei diritti della persona;
   ad assumere iniziative per rendere l'organizzazione dei Centri di identificazione ed espulsione basata su standard di qualità elevati, omogenei e verificabili, e improntata a criteri di economicità ed efficienza;
   ad adottare le opportune iniziative per offrire, all'interno dei Centri di identificazione ed espulsione, un servizio di assistenza sanitaria efficiente e completo per favorire una maggiore tutela della salute di tutti gli ospiti delle strutture;
   al fine di ridurre i tempi di identificazione degli stranieri irregolari, a mettere in campo ogni strumento utile alla collaborazione con le autorità consolari dei paesi maggiormente interessati al fenomeno migratorio, semplificando i compiti dei funzionari diplomatici nell'organizzazione degli incontri con gli stranieri da identificare;
   a mettere all'ordine del giorno dell'agenda europea il tema dell'accoglienza agli immigrati e ai profughi, e la promozione di una politica di accoglienza europea, introducendo il principio del burden sharing e prevedendo anche lo stanziamento di risorse specifiche per i Centri di identificazione ed espulsione italiani, a fronte di una disponibilità del nostro Paese a farsi carico di una congrua parte dei profughi, nonché la possibilità di ricollocazione della parte restante tra gli altri Stati membri, permettendo, ad esempio, il ricongiungimento familiare ed il transito ai migranti che volessero fare richiesta di asilo in uno Stato diverso da quello di primo accesso alla Unione europea;
   a promuovere e valorizzare l'apporto dei lavoratori immigrati al progresso economico e sociale del Paese, favorendo al contempo un processo di effettiva integrazione nel tessuto sociale e la conoscenza ed il rispetto delle regole e della cultura di riferimento del nostro Paese;
   a proseguire nel potenziamento degli uffici amministrativi competenti, affinché i permessi di soggiorno siano rilasciati e rinnovati nei tempi previsti dalla legge;
   a vigilare sull'applicazione delle disposizioni in vigore e sul rispetto puntuale e rigoroso delle norme che legano la possibilità di ingresso e soggiorno sul territorio dello Stato al possesso di un regolare contratto di lavoro e ad intensificare e rendere pienamente efficaci i controlli ispettivi, con il fattivo coinvolgimento dei vari livelli istituzionali e delle parti sociali;
   a valutare, sulla base dell'esperienza compiuta, ogni possibilità di miglioramento dell'attuale assetto normativo, per contrastare l'immigrazione clandestina e regolare i flussi migratori, legandoli alle effettive necessità economiche e sociali del Paese;
   ad intensificare una specifica, coordinata e capillare attività di contrasto dei fenomeni di illegalità e di sfruttamento del lavoro irregolare;
   a potenziare le sinergie con le regioni e gli enti locali, per favorire la diffusione di ogni informazione utile al positivo inserimento degli stranieri nella società italiana, come la conoscenza dei loro diritti e doveri, le opportunità di integrazione e di crescita personale e comunitaria offerte dalle amministrazioni pubbliche e dall'associazionismo, nonché per sostenere ogni iniziativa di prevenzione della discriminazione razziale.
(1-00271) «Palese, Bergamini, Polverini».


   La Camera,
   premesso che:
    il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in occasione della IX Conferenza Internazionale della Comunicazione Sociale, tenutasi a Roma il 18 novembre, ha dichiarato: «Valorizzare le donne non ha solo una dimensione etica, ma è anche importante sul piano economico, come dimostra la capacità delle donne di affermarsi e di dare il proprio contributo in tutti i campi, una volta che siano liberate da vincoli giuridici e da pregiudizi sociali»;
    anche il Presidente del Consiglio dei ministri, Enrico Letta, nel suo discorso di presentazione del programma di Governo, ha dichiarato che «La maggiore presenza delle donne nella vita economica, sociale e politica dà già straordinari contributi alla crescita del Paese, ma siamo lontani dagli obiettivi europei. Non siamo ancora un Paese delle pari opportunità. La carenza di servizi scarica sulle donne compiti insostenibili, aggravati in alcuni casi da una crescita insopportabile delle violenze contro le donne»;
    come contenuto nella Convenzione di Istanbul, ratificata dal Parlamento nel mese di giugno 2013, la violenza contro le donne, in quanto violazione di diritti umani, rappresenta il principale ostacolo al raggiungimento di una uguaglianza tra i sessi de jure e de facto;
    da quanto è emerso in occasione della discussione alla Camera della legge n. 93 del 2013, e della sua adozione, il nostro Paese è minato da un problema culturale relativo a come viene considerato il ruolo della donna nella società e l'immagine che di essa viene data da immagini commerciali e dai media;
    secondo il Global Gender Gap Report 2013 del World Economic Forum che ha esaminato il problema delle pari opportunità in diversi ambiti, dalla sanità, alle possibilità di sopravvivenza, all'accesso all'istruzione, alla partecipazione alla vita lavorativa, sociale e politica l'Italia è all'ultimo posto tra Paesi europei e 71esima sui 136 analizzati;
    nonostante l'aumento dell'occupazione femminile riscontrato dal rapporto ISTAT 2013 e ascrivibile, in parte alla crescita delle occupate straniere, in parte alla concentrazione della forza lavoro femminile nel part time involontario e nelle mansioni a bassa specializzazione, la quota di donne occupate in Italia rimane di gran lunga inferiore a quella dell'Unione europea (47,1 per cento contro 58,6 per cento). Inoltre, le donne continuano a essere pagate meno rispetto agli uomini. Il differenziale di genere nelle retribuzioni italiano è stato misurato dalla Unione europea di 5,8 per cento in Italia, come evidenziato dalla relazione pubblicata a primavera sulla parità di genere. Svantaggio che si ritrova anche nelle retribuzioni di chi ha una laurea: gli uomini che hanno un titolo di studio elevato guadagnano in media il 19,6 per cento in più rispetto a chi ha il diploma, per le donne lo scarto tra i diversi livelli di istruzione si riduce al 14,9 per cento;
    la minore partecipazione delle donne al mondo del lavoro, soprattutto in questa fase prolungata di crisi economica è una perdita di opportunità per l'economia e la società. Come già evidenziato nel 2010 da uno studio condotto dalla Banca d'Italia «l'aumento del tasso di occupazione femminile influenzerebbe positivamente il Pil. Nel nostro Paese, ad esempio, il conseguimento dell'obiettivo del Trattato di Lisbona di un tasso di occupazione femminile al 60 per cento comporterebbe un aumento del Pil fino al 7 per cento, che toccherebbe i 12 punti se l'occupazione femminile eguagliasse quello maschile in ciascuna ripartizione geografica»;
    secondo recenti dati dell'OCSE, una donna italiana lavora in media 58,6 ore a settimana, contro le 47,7 di un uomo. Di queste, quasi i due terzi (36,1 ore) sono però di lavoro non retribuito – cura di bambini e anziani, pulizie domestiche, cucina e altri lavori legati alla casa e alla famiglia – mentre solo poco più di 22 ore sono retribuite. Una situazione nettamente opposta rispetto a quella degli uomini, per cui il lavoro retribuito rappresenta oltre 33 ore su 47 (quasi undici in più delle donne), mentre quello non retribuito è di sole 14,5 ore, oltre 21 in meno rispetto alla parte femminile;
    questo gap colloca l'Italia al primo posto tra i 34 Paesi Ocse per differenza tra uomini e donne nella distribuzione del lavoro non pagato, nettamente davanti a Francia (12,6 ore non retribuite in più per le donne), Gran Bretagna (12,2 ore in più), Usa (9,5 ore) e Germania (6,6 ore);
    si tratta di un dato positivo da valorizzare in quanto l'imprenditorialità femminile è l'architrave della tenuta delle piccole e piccolissime imprese, secondo dati Unioncamere tra marzo 2012 e marzo 2013 le imprese al femminile hanno allungato il passo aumentando il loro numero di oltre 10 mila unità, gli stessi dati evidenziano una maggiore fragilità finanziaria delle imprese femminili rispetto alla media: il 72 per cento di esse, infatti, opera con un capitale sociale di meno di 10 mila euro, contro il 67 per cento della media delle imprese; nonostante la tenuta in tempo di crisi delle aziende al femminile, grande rilevo assume lo sviluppo della imprenditorialità femminile, specie nelle regioni del Mezzogiorno, dove maggiore è il divario del tasso di occupazione femminile rispetto agli obiettivi di Lisbona;
    dati ISTAT evidenziano come l'offerta pubblica sul territorio di asili nido abbia visto nel 2012 enormi disparità geografiche, andando dall'80 per cento di comuni coperti dal servizio in regioni come l'Emilia-Romagna, il Friuli-Venezia Giulia e la Valle d'Aosta al 13 per cento della Calabria, che presenta il livello regionale più basso di copertura;
    un'indagine McKinsey nei Paesi dell'Unione europea ha rilevato come le performance economiche delle imprese dove ci sono molte donne in azienda è migliore rispetto alle altre: il ritorno sul capitale investito è superiore del 10 per cento alla media e l'utile prima di togliere le tasse quasi raddoppia;
    i programmi di flessibilità favoriscono l'accesso delle donne ai vertici aziendali: se nei Paesi europei più avanzati il 36 per cento può accedere a strumenti di flessibilità, in Italia solo il 10 per cento ha questa possibilità;
    il trattato sul funzionamento dell'Unione europea nell'articolo 8 pone come obiettivo della sua azione l'eliminazione di discriminazioni e la promozione della parità tra uomini e donne: con gli articoli 21 e 23 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, la parità fra uomini e donne in tutti i settori viene considerata a pieno titolo quale principio fondamentale del diritto comunitario, principio da applicarsi ovviamente anche in materia di occupazione e di impiego;
    tra i programmi comunitari per il periodo 2014-2020 l'Unione europea ha deciso di stanziare 439 milioni di euro per progetti legati alla lotta contro la discriminazione e la parità fra donne e uomini e le priorità sono: pari indipendenza economica, pari retribuzione, parità nel processo decisionale, contrasto alla violenza di genere;
    nella raccomandazione specifica per Paese rivolta nel 2012 dalla Commissione europea all'Italia si legge l'invito ad «Adottare ulteriori provvedimenti per incentivare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, in particolare fornendo servizi per l'infanzia e l'assistenza agli anziani nella [...]»; nella raccomandazione del 2013 sul programma di stabilità dell'Italia 2012-2017 la Commissione afferma che: «La partecipazione delle donne al mercato del lavoro resta modesta e l'Italia presenta uno dei maggiori divari di genere nell'occupazione a livello di UE»;
    anche nelle previsioni di stanziamento per il quadro finanziario pluriennale 2014-2020 per l'erogazione dei fondi QSC, la Commissione europea ha proposto un nuovo approccio per l'utilizzo dei fondi stessi, in linea con le priorità politiche dell'Agenda Europa 2020, suggerendo in particolare all'Italia di porre tra gli obiettivi di priorità di finanziamento la parità tra uomini e donne e la conciliazione tra vita professionale e vita privata/familiare;
    nel nostro Paese la definizione di politiche per le pari opportunità è stata avviata con consistente ritardo rispetto ad altri Paesi europei: solo negli anni settanta i legislatori hanno riconosciuto il principio della parità nelle diverse sfere della vita sociale, è poi con la legge n. 125 del 1991 che dispone di «rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono la realizzazione di pari opportunità» prendono il via alcune importanti disposizioni che mirano a creare le condizioni per il riequilibrio dei ruoli sociali e familiari di uomini e donne: sul lavoro a tempo parziale (decreto legislativo n. 61 del 2000), sulla conciliazione (legge n. 53 del 2000) e quote rose nei consigli di amministrazione delle società per azioni quotate (legge n. 120 del 2011);
    con decreto del Ministro per le pari opportunità del 12 maggio 2009, furono erogati 40 milioni di euro, da distribuire alle regioni, per la realizzazione di «un sistema di interventi per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro» inerente alla ripartizione delle risorse del fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità per l'anno 2009. Sulla base dell'esperienza maturata nell'ambito di tale piano d'intesa 2010, il 25 ottobre 2012 la Conferenza unificata Stato-regioni ha approvato l'intesa relativa alla «Conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per il 2012». Le regioni, con il coordinamento del dipartimento per le pari opportunità e grazie alle risorse stanziate dalla Presidenza del Consiglio, hanno avuto l'opportunità di realizzare un sistema di interventi per favorire la conciliazione tra tempi di vita e di lavoro e per consolidare, estendere e rafforzare sui territori regionali iniziative volte a promuovere l'equilibrio tra vita familiare e partecipazione delle donne e degli uomini all'interno del mercato del lavoro, favorendo le pari opportunità e contribuendo ad accrescere la produttività delle imprese;
    l'articolo 4, comma 24, lettera b), della legge n. 92 del 2012 ha previsto, per il triennio 2013-2015, la possibilità per le madri lavoratrici di richiedere, al termine del congedo di maternità e in alternativa al congedo parentale, un contributo di 300 euro mensili per l'acquisto di voucher e per i servizi di babysitting e asilo nido pubblici o privati. La legge istitutiva della misura ha garantito 20 milioni di euro a copertura dell'operazione per il triennio sopra indicato che, secondo la relazione tecnica, avrebbe dovuto soddisfare per l'anno 2013 la domanda di 11.111 beneficiari. Tuttavia, all'avvio della misura il contributo ha riscosso pochissimo successo, come testimoniano le poche richieste pervenute: a fronte di potenziali 11.111 beneficiari, solo 3.762 lavoratrici, secondo dati INPS, sono state ammesse al beneficio, mentre dal punto di vista delle strutture accreditate per il servizio, meno di un terzo degli asili pubblici o privati nazionali si sono convenzionati con lo Stato. Tra le principali cause si deve sicuramente annoverare la scarsa pubblicizzazione dell'iniziativa lasciata soltanto a comunicati stampa, senza un'adeguata promozione sui luoghi di lavoro e senza coinvolgimento di sindacati e associazioni datoriali;
    l'Ufficio nazionale della consigliera di parità del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha stanziato e usato il piccolo fondo a disposizione per organizzare e realizzare ben 20 incontri territoriali per donne disoccupate e inoccupate su varie città in tutta Italia; 12 seminari informativi sempre territoriali anche in collaborazione con gli ispettori del lavoro e i consulenti del lavoro e le consigliere di parità; 23 incontri nelle scuole medie superiori e distribuzione di piccole guide per gli studenti per affrontare il mercato del lavoro;
    con la legge di stabilità 2013 (articolo 1, comma 339, legge 24 dicembre 2012, n. 228) è stata introdotta, dando attuazione alla direttiva dell'Unione europea n. 2010/18/Ue, la possibilità di frazionare ad ore la fruizione del congedo parentale. In merito alle modalità di fruizione del congedo su base oraria, ai criteri di calcolo e all'equiparazione di un determinato monte ore alla singola giornata lavorativa, è stato demandato il tutto alla contrattazione collettiva di settore,

impegna il Governo:

   a sostenere, nel contesto del semestre europeo, le politiche di genere quale priorità per la crescita sostenibile e l'occupazione supportando gli investimenti in capitale umano e strumentale;
   ad effettuare entro il primo semestre del 2014 un puntuale monitoraggio sullo stato effettivo delle risorse attualmente impiegabili e disponibili in un'ottica di genere;
   ad applicare una prospettiva di genere nella programmazione e nelle politiche di bilancio, a partire dai futuri esercizi di bilancio e comunque dai prossimi provvedimenti utili di allocazione di risorse e di programmazione di attività;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza affinché le parti sociali procedano a una rapida definizione delle modalità di fruizione del congedo parentale su base oraria;
   ad una razionalizzazione e valorizzazione degli organismi di parità italiani come indicato dalle direttive europee;
   a sensibilizzare anche in sede di rinnovo del contratto RAI, il servizio pubblico radiotelevisivo ad una maggiore attenzione in merito alla diffusione e la promozione delle buone pratiche e delle iniziative anche normative intraprese sia dallo Stato sia dall'Unione europea a favore dell'occupazione femminile, in collaborazione con gli organismi di pari opportunità;
   a mettere in campo tutti gli strumenti necessari per incentivare le politiche di conciliazione attraverso il potenziamento delle politiche attive per l'occupabilità femminile e dei servizi per il welfare, con particolare attenzione alla realizzazione di un numero adeguato di asili nido su tutto il territorio nazionale, al telelavoro, al part-time e alla promozione degli orari di lavoro flessibili;
   a sostenere lo sviluppo dell'imprenditoria femminile attraverso il sostegno all'accesso al credito delle imprese femminili e una valutazione attenta delle politiche economiche di genere.
(1-00272) «Tinagli, Carfagna, Giuliani, Amendola, Bergamini, Biffoni, Calabria, Capua, Centemero, Antimo Cesaro, Cimmino, D'Agostino, D'Alessandro, De Maria, Faenzi, Ferranti, Gasparini, Gelmini, Giammanco, Giulietti, Gribaudo, Laffranco, Locatelli, Martelli, Mattiello, Marzano, Milanato, Moretti, Nesi, Oliaro, Paris, Piccoli Nardelli, Polverini, Prestigiacomo, Andrea Romano, Rossomando, Rotta, Sandra Savino, Scalfarotto, Tartaglione, Vargiu, Vecchio, Velo, Venittelli, Verini, Vezzali».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   GITTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con una nota recentemente diffusa, l'agenzia statunitense Standard & Poor's ha comunicato la propria decisione di mettere sotto osservazione, con implicazioni negative, il merito di credito di nove compagnie di assicurazione in Europa e Africa, a seguito di un aggiornamento della metodologia di assegnazione del giudizio di rating. Tra queste compagnie di assicurazioni figura anche il gruppo Generali, unico operatore italiano;
   l'agenzia precisa infatti di aver proceduto il 19 novembre 2013, a una rivisitazione dei criteri utilizzati ai fini della valutazione del giudizio del merito del credito delle società e di aver pertanto avviato degli stress test legati alla nuova metodologia. In attesa di queste valutazioni, alcune compagnie assicurative sono state pertanto poste sotto osservazione;
   tra i nuovi parametri di valutazione adottati da Standard & Poor's – che si applicano a tutte le società alle quali è stato attributo un rating superiore a quello del proprio Paese di appartenenza, nel caso in cui abbiano un'esposizione complessiva a tale Paese pari o superiore al 25 per cento del totale investimenti, o anche inferiore, nei casi in cui l'agenzia ritenga che la società possa non superare lo stress test – è attentamente esaminata l'esposizione delle società al suddetto Paese, inclusa quella al debito sovrano;
   il superamento degli stress test è legato alla capacità di reazione delle imprese ad un eventuale default del Paese di riferimento, e, relativamente al settore assicurativo, alla dotazione di capitale sufficiente a superare il default;
   l'esito negativo degli stress test comporterebbe il declassamento del rating della società al livello di quello del Paese di appartenenza;
   il gruppo Generali è il primo operatore assicurativo italiano ed è uno dei più importanti investitori istituzionali del Paese, con circa 55 miliardi di euro di titoli di Stato italiani nel proprio portafoglio di investimenti;
   un eventuale declassamento comporterebbe per il gruppo un forte svantaggio competitivo nei confronti dei principali competitor europei, legato a fattori esogeni alla gestione delle proprie attività, con possibili riflessi occupazionali, in un contesto globale di crisi economica;
   l'abbassamento del rating di un operatore di primo piano anche sulla scena internazionale avrebbe gravi conseguenze su tutto sistema Paese, causando inevitabilmente una perdita di fiducia da parte degli investitori istituzionali italiani ed esteri, con ripercussioni sulla capacità di finanziamento del debito pubblico attraverso il collocamento di titoli di Stato –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare al fine di tutelare il sistema economico-finanziario italiano da possibili fenomeni di speculazione finanziaria o di alterazione iniqua degli equilibri di mercato, che potrebbero compromettere il percorso di ripresa economica del Paese. (4-02764)


   CRIPPA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 novembre 2013, durante l'audizione presso la Commissione attività produttive della Camera dei deputati sulla risoluzione n. 7-00023 del deputato Benamati sui rifiuti radioattivi, gli esponenti di Nucleco S.p.A., società del gruppo Sogin S.p.A. (interamente partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze), hanno affermato che la stessa azienda è al momento impegnata nello smantellamento di alcuni sommergibili nucleari russi a spese italiane;
   il progetto summenzionato si inserisce nell'ambito dell'accordo di cooperazione internazionale del 2003 stipulato fra il Governo russo e quello italiano per lo smantellamento di sommergibili nucleari, la gestione dei rifiuti radioattivi e del combustibile nucleare irraggiato, definito nel quadro del progetto Global Partnership avviato in occasione della riunione del G8 nel 2002 a Kananaskis (Canada). L'accordo prevederebbe un impegno economico dell'Italia di 360 milioni di euro;
   secondo un'inchiesta de L'Espresso del 6 maggio 2010 a firma di Stefania Maurizi l'impegno economico internazionale, tra cui quello italiano, fu giustificato durante la firma degli accordi del 2003 in quanto «[...] la Russia di Eltsin era ancora in piena crisi economica [...]»;
   l'agenzia di stampa russa Ria Novosti del 1o gennaio 2011 titolata «Russian ship builder, Defense Ministry agree nuclear sub prices» riporta che «Nel 2010, la Russia ha lanciato un ambizioso programma di modernizzazione militare, investendo 20.000 miliardi di rubli (circa 730 miliardi di dollari) per i prossimi 10 anni»;
   l'agenzia Adnkronos del 28 luglio 2008 riportava la firma da parte di Fincantieri, controllata da Fintecna, finanziaria del Ministero dell'economia e delle finanze, di «un contratto per la costruzione negli stabilimenti liguri del gruppo di una nave destinata al trasporto di combustibile irraggiato e rifiuti radioattivi derivanti dallo smantellamento di sommergibili nucleari russi»;
   secondo un comunicato stampa congiunto di Fincantieri spa e Sogin spa datato 16 dicembre 2010 si apprende che: «È stata varata [...] “Rossita”, la nave per il trasporto di materiali radioattivi derivanti dallo smantellamento dei sommergibili nucleari russi [...] del valore di circa 70 milioni di euro [...]». Quest'ultima cifra rientrerebbe nell'impegno di spesa di 360 milioni di euro assunto dal Governo italiano;
   secondo l'articolo de L'Espresso sopracitato «Il contratto [per la costruzione della “Rossita”] è stato assegnato senza gara, con una dichiarazione di congruità del prezzo sottoscritta dalla Marina militare, principale cliente della stessa Fincantieri»;
   sempre dall'inchiesta giornalistica emerge che «L'Italia ha deciso di creare un comitato per sorvegliare l'operazione [lo smantellamento dei sommergili russi]: una struttura che ha costi faraonici, poco meno di 3 milioni l'anno. Solo con gli stanziamenti per il suo mantenimento si sarebbero potuti togliere di mezzo altri tre vascelli nucleari»;
   sarebbe quantomeno inopportuno se i fondi necessari allo svolgimento delle operazioni di smantellamento provenissero dalle componenti A2 (copertura costi di smantellamento centrali nucleari e riprocessamento ciclo del combustibile nucleare) e MCT (Misure di Compensazione Territoriale) presenti sulle bollette energetiche;
   la componente MCT trova origine nella legge n. 868 del 2003 e fu istituita come misura compensativa per i territori che avrebbero dovuto ospitare centrali nucleari e impianti del ciclo del combustibile (articolo 4). Questa componente è stata introdotta nel sistema tariffario dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas (AEEG) con delibera n. 231 del 2004 attraverso il comma 298 dell'articolo 1 della legge finanziaria 2005 (legge 311 del 2004), in cui il Governo, stabilisce che una parte del gettito di questa componente (70 per cento) entri nel bilancio dello Stato e solo il 30 per cento destinato a Sogin spa per lo svolgimento delle funzioni proprie –:
   se non sia il caso di rivalutare l'impegno dell'Italia in operazioni di questo tipo in Russia in quanto oggi appare chiaro che la crisi, che non poteva permettere investimenti alla stessa Russia fino a pochi anni fa, non risulterebbe essere ora così acuta considerando l'enorme cifra che sarebbe stata stanziata nel 2010 per il progetto di ammodernamento del proprio arsenale militare;
   da dove provengano i fondi stanziati per sovvenzionare le operazioni di smantellamento dei sommergibili nucleari russi e si possa escludere l'impiego delle componenti energetiche A2 e MCT;
   nel caso sia previsto tale impiego, se non si ritenga che si tratti di un utilizzo improprio dei fondi delle componenti A2 e MCT e, nel caso ciò si sia già verificato, se non si intenda trarne le dovute conseguenze quali la revoca degli incarichi di direzione;
   in caso negativo, se il Governo intenda chiarire da dove provengano le somme stanziate nell'ambito dell'accordo di cooperazione internazionale sottoscritto da Italia e Russia nel 2003;
   in base a quali criteri la costruzione della nave «Rossita» sarebbe stata affidata in via diretta a Fincantieri spa senza ricorrere a un regolare bando di gara. (4-02765)


   PRODANI, ROSTELLATO, CURRÒ, MUCCI, BUSINAROLO, CRISTIAN IANNUZZI, GRANDE, GADDA e DA VILLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   il 24 novembre 2013 il quotidiano Il Corriere della Sera ha pubblicato un articolo di Sergio Rizzo intitolato «Una tassa chiamata ACI: 191 milioni ogni anno per un registro inutile» in cui si ripercorrono le vicende legate al pubblico registro automobilistico (PRA) e agli sprechi dell'Automobile club Italia (ACI);
   quest'ultimo ha una duplice natura giuridica che, oltre a rendere poco chiari i bilanci di esercizio, risulta essere poco funzionale per una struttura divenuta ormai fuori controllo;
   l'ACI infatti è una federazione sportiva a carattere pubblico istituita all'inizio del novecento – riconosciuta dal CONI (da cui ha ricevuto circa un milione di euro in conto esercizio per il 2013) e collegata alla Fédération Internationale de l'Automobile (FIA) – con l'obiettivo di favorire lo sviluppo dello sport automobilistico in Italia, di associare gli automobilisti e di organizzare manifestazioni sportive;
   inoltre l'Automobile club Italia è anche un ente pubblico non economico, su cui esercita la vigilanza il Ministero della giustizia, la cui attività principale riguarda la gestione del pubblico registro automobilistico e l'acquisizione dei relativi tributi (il bollo auto), oltre la fornitura di numerosi servizi rivolti sia ai propri soci che alla generalità degli automobilisti;
   Rizzo ricorda che l'iscrizione al pubblico registro automobilistico è stata duramente contestata negli ultimi anni e il registro è stato oggetto di due tentativi di abolizione (nel 2000 e nel 2007) da parte del Ministro per le attività produttive pro tempore Pier Luigi Bersani, visto che dal 1992 era divenuto «un'inutile doppione degli elenchi della Motorizzazione civile»;
   per la riscossione del bollo auto l'ACI ha incassato, nel 2012, 41 milioni di euro che si sommano ai 191 legati alla gestione del pubblico registro automobilistico e ai 14 milioni di ricavi «diversi» dalle amministrazioni statali e dalle regioni per i servizi di informazione sulla mobilità, per un fatturato pubblico totale di 246 milioni. Questa somma costituisce l'84,8 per cento delle entrate complessive pari a 290 milioni di euro;
   le entrate «private» sono legate alla miriade di controllate come la Sara assicurazioni cui fanno capo ben nove ulteriori partecipazioni. Tra queste spiccano le seguenti: 21 per cento di Valtur, 10 per cento della società finanziaria Zenit, 87 per cento della Ala assicurazioni, 100 per cento della Sara vita, una piccola quota in Nomisma;
   l'ACI nazionale controlla, tra l'altro: ACI informatica, branca a cui era stata assegnata la gestione del costosissimo sito turistico nazionale Italia.it «protagonista di innumerevoli disavventure»; ACI Consult, impresa di progettazione, studi e consulenze; ACI Vallelunga, la società proprietaria dell'autodromo di Vallelunga nei pressi di Roma; ACI Global, azienda che fornisce «assistenza tecnica ai veicoli e assistenza sanitaria alla persona»; ACI Progei, immobiliare; ACI sport, società sportiva; Ventura, un'agenzia di viaggi; ACI Mondadori, la joint venture al 50 per cento con la nota casa editrice, che da sola è in perdita di 257mila euro;
   a queste controllate, ricorda il giornalista de Il Corriere della Sera, se ne aggiungono ulteriori legate alle ACI provinciali, un vero microcosmo spesso in passivo;
   la crisi del mercato dell'auto ha messo a nudo il peso della struttura elefantiaca dell'ACI: tremila dipendenti, 106 strutture provinciali e una miriade di società controllate;
   l'ACI è sfuggita alla lente governativa della «spending review» finalizzata in primis a contenere la spesa pubblica, a garanzia dell'obiettivo costituzionale del pareggio di bilancio, mentre sorprendono gli stipendi d'oro dei manager;
   riguardo a questi ultimi, Rizzo ricorda che più volte è intervenuta la Corte dei Conti con proprie determinazioni (come la 2/2012) in cui sono state evidenziate alcune irregolarità contabili oltre alla vistosa entità di certi emolumenti dei vertici;
   è questo il caso del segretario generale Ascanio Rozera – da 41 anni dipendente dell'ACI, che guadagna circa 300 mila euro annui – e del presidente Angelo Sticchi Damiani, pagato 236 mila euro l'anno;
   proprio Sticchi Damiani è stato nominato ai vertici dell'ente, come riportato da un articolo pubblicato da Il Fatto quotidiano l'8 giugno 2012, alla vigilia di una sentenza della Corte dei conti che l'ha condannato in primo grado a pagare 21.986 euro per un presunto danno erariale arrecato proprio all'ACI per il caso di alcune sponsorizzazioni relative ai campionati automobilistici italiani di alcuni anni fa;
   la magistratura contabile nella relazione inviata al Parlamento il 20 gennaio 2012 sulla gestione finanziaria dell'ACI per gli esercizi dal 2008 al 2010 e dei 106 Club provinciali e locali per gli esercizi dal 2007 al 2009, ha messo in evidenza «l'eccessivo intervallo temporale intercorso fra la chiusura di ogni esercizio e l'approvazione del consolidato, peraltro mancante dei dati contabili di alcuni club locali»;
   sui consuntivi dei club locali, la Corte dei Conti ha posto l'attenzione sull'incremento «sia del numero dei club in situazione di sofferenza finanziaria e patrimoniale, sia dei relativi disavanzi, oltre che il sostanziale peggioramento dei risultati di esercizio delle società collegate e controllate», invitando gli organi di amministrazione ad «adottare adeguati piani di risanamento volti a realizzare un maggior equilibrio gestionale»;
   è necessario e doveroso, in un periodo di crisi economica come quello attuale, contenere le spese legate alle funzioni pubbliche e rivedere l'assetto organizzativo dell'ACI –:
   se il Governo intenda proporre una seria «spending review» per la struttura dell'ACI, in modo da ridurre gli sprechi di danaro pubblico, spesso utilizzato per coprire i passivi delle società controllate;
   se s'intendano adottare tutte le iniziative idonee per sopprimere il pubblico registro automobilistico, inutile doppione degli elenchi della Motorizzazione civile;
   se non sia il caso di assumere iniziative per rivedere l'assetto organizzativo dell'ACI nella sua veste di ente pubblico non economico, riordinando anche gli uffici periferici;
   se non sia opportuno assumere iniziative normative affinché l'attività sportiva automobilistica sia separata e gestita in modo autonomo. (4-02767)


   NUTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si può leggere sul sito del Governo, relativamente alle retribuzioni lorde dei dirigenti in carico presso le strutture della Presidenza del Consiglio dei ministri del 2013, pressoché la totalità dei dirigenti di prima fascia ha percepito le cosiddette retribuzioni di risultato, per un importo complessivo di più di 3 milioni di euro per il 2013;
   è bene ricordare che i dirigenti di prima fascia, come sottolineato da articoli di stampa, ricevono in media una retribuzione annua lorda piuttosto elevata, di circa 190 mila euro, composta, secondo quanto riportato dalla tabella reperibile sul sito internet del Governo, da: stipendio tabellare e vacanza contrattuale, retribuzione di posizione, emolumenti accessori e, ove presente, retribuzione di risultato; l'importo di quest'ultima, secondo gli ultimi dati reperibili sul sito internet del Governo, varia da un minimo di 23.658,82 euro ad un massimo di 31.658,82 euro;
   stando ai dati di cui sopra, gli stipendi dei dirigenti di prima fascia presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, dunque, ricevono una retribuzione annua lorda complessiva che si approssima ai 200.000 euro annui;
   analizzando la «Direttiva Generale per l'azione amministrativa e la gestione dei dipartimenti e uffici del segretariato Generale per l'anno 2013», così come confermano numerosi articoli di stampa, la retribuzione di risultato è stata conferita per aver raggiunto obiettivi che tuttavia non possono essere verificati o misurati, in quanto estremamente vaghi;
   alcuni di questi obiettivi, a parere dell'interrogante, appaiono quasi ridicoli in quanto non costituiscono altro che princìpi di buon senso o comportamenti ordinari all'interno di una qualsiasi amministrazione pubblica o azienda in generale. Tra questi si cita la «diminuzione del flusso cartaceo» in favore di un «ampliamento dell'uso delle tecnologie delle comunicazioni» che, in altre parole, significa saper utilizzare la casella di posta elettronica al posto delle lettere cartacee: ci si interroga su quali competenze e quali esperienze professionali siano necessarie per raggiungere questo obiettivo e soprattutto se davvero siano necessarie decine di migliaia di euro per incentivare tale comportamento;
   a parere dell'interrogante e alla luce di quanto esposto, il conferimento di queste retribuzioni di risultato non è giustificato dal conseguimento di obiettivi, dai quali questo bonus appare totalmente slegato, bensì costituisce a parere dell'interrogante un aumento surrettizio della retribuzione «base», derogando di fatto ai contratti;
   questa prassi è oggi non solo vergognosa bensì anche economicamente, socialmente e moralmente insostenibile, in particolare alla luce degli effetti devastanti della crisi economica sulla popolazione e delle condizioni lavorative a cui la generalità dei lavoratori italiani, soprattutto giovani, devono sottostare –:
   se siano già state corrisposte per l'anno 2013 le retribuzioni di risultato ai dirigenti di prima fascia presso le strutture della Presidenza del Consiglio dei ministri e quanto risulti essere l'ammontare complessivo delle retribuzioni lorde di risultato per l'anno 2013 e per i precedenti 10 anni;
   se non si intendano ridurre le indennità di risultato ed introdurre obiettivi più puntuali, misurabili e verificabili all'interno della direttiva generale per l'anno 2014, al fine di incentivare migliori performance tra i dirigenti di prima fascia e legare realmente queste retribuzioni di risultato al raggiungimento di obiettivi che per lo meno comportino sforzi ulteriori rispetto a comportamenti ordinari richiesti alla generalità dei dipendenti pubblici.
(4-02770)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, recante disposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei beni e delle attività culturali e del turismo, ha previsto che «al fine di fare fronte allo stato di grave crisi del settore e di pervenire al risanamento delle gestioni e al rilancio delle attività delle fondazioni lirico-sinfoniche», con decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, fosse nominato un commissario straordinario del Governo, dotato di «comprovata esperienza di risanamento nel settore artistico-culturale»;
   in data 21 novembre 2013 il Ministro interrogato ha nominato all'incarico di «Commissario straordinario del Governo per il risanamento delle gestioni e il rilancio delle attività delle Fondazioni lirico-sinfoniche» l'ingegnere idraulico Pier Francesco Pinelli;
   sul sito del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo si legge: «Il neo commissario è stato per molti anni consulente sui temi dell'economia della cultura, interessandosi principalmente di organizzazione e sviluppo di differenti società operanti nei settori dei beni culturali. Ha seguito per imprese pubbliche, private e istituzioni culturali la realizzazione di piattaforme digitali. Come manager del gruppo Erg, ha seguito la nascita di progetti di startup legate all'innovazione. È stato inoltre impegnato in progetti di solidarietà per il terzo settore»;
   tuttavia, mentre è nota la carriera dell'ingegnere presso le citate società petrolifere, non appare all'interrogante affatto documentata la sua attività di «organizzazione e sviluppo di differenti società operanti nei settori dei beni culturali»;
   la nomina desta non poche perplessità, manifestate anche da molti operatori del settore, soprattutto a causa, appunto, del fatto che l'ingegnere non sembra possedere i requisiti richiesti dalla norma per accedere all'incarico;
   appare davvero difficile, infatti, comprendere come un manager proveniente dal settore petrolifero possa avere la «comprovata esperienza di risanamento nel settore artistico-culturale» necessaria per gestire la complessa macchina dei teatri italiani;
   i teatri non sono semplici aziende ma istituzioni culturali con un funzionamento peculiare, e non hanno bisogno di piani industriali ma di figure autorevoli e con competenze specifiche, che siano capaci di valorizzare la produzione e le risorse umane al loro interno –:
   quali siano i requisiti e le esperienze sulla base dei quali si è scelto di attribuire l'incarico di cui in premessa all'ingegner Pinelli. (4-02766)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   QUARTAPELLE PROCOPIO, CIMBRO, CHAOUKI, LATTUCA e CARLO GALLI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 7 novembre 2013 il settimanale «L'Espresso» ha pubblicato un articolo concernente la presunta omissione di soccorso da parte delle forze della Marina militare italiana ad una barca di profughi provenienti dalla Libia, omissione che avrebbe portato alla tragedia di Lampedusa;
   la testimonianza di uno dei sopravvissuti al naufragio di cui sopra ha riferito che in seguito alla richiesta d'aiuto alla Marina militare italiana, l'operatrice telefonica avrebbe risposto di contattare la guardia costiera di Malta o di richiamare più tardi;
   più nello specifico pare ci siano state tre chiamate di soccorso via satellite ignorate; due ore di attesa in mare durante le quali l'Italia non avrebbe mobilitato nessun aereo, nessuna nave della Marina militare, nessuna vedetta della Guardia costiera. Dopo due ore, la centrale operativa italiana avrebbe detto ai profughi alla deriva a 100 chilometri da Lampedusa che avrebbero dovuto telefonare a Malta, lontana almeno 230 chilometri –:
   se i fatti riportati corrispondono al vero e in tal caso quali provvedimenti intenda assumere il Governo perché tali fatti non si ripetano. (5-01630)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARTELLA e MOGNATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   Save Spa è stata costituita nel 1987 e dallo stesso anno gestisce l'Aeroporto Marco Polo di Venezia;
   il 25 maggio 2005 il titolo Save Spa ha debuttato sul segmento ordinario MTA (Mercato telematico azionario) organizzato e gestito da Borsa italiana Spa;
   l'attività svolta dal Gruppo Save nella gestione aeroportuale si articola in particolare nella gestione e sviluppo di infrastrutture e servizi di cui il gruppo è concessionario, nella movimentazione aeromobili sia passeggeri che merci e affidamento in sub concessione di spazi destinati all'esercizio di attività commerciali presenti all'interno dell'area;
   il consiglio di amministrazione di Save ha convocato l'assemblea dei soci per il 29 novembre con il seguente ordine del giorno: la distribuzione straordinaria di 100 milioni di euro di riserve disponibili;
   l'operazione riguarda la distribuzione di Riserve da sovrapprezzo azioni ovvero una riserva di capitale che accoglie «l'importo dell'eccedenza del prezzo di emissione delle azioni o delle quote rispetto al loro valore nominale» e che tale riserva nasce nel 2005 dall'Offerta pubblica di sottoscrizione per quotazione in Borsa ed è, per larga parte, il risultato della valorizzazione del patrimonio rappresentato dall'aeroporto e dalle sue infrastrutture come la nuova aerostazione, gli hangar, gli immobili presenti, le piste ed altri manufatti, opere che sono state realizzate negli anni precedenti, in un arco temporale compreso tra la fine degli anni 90 e l'inizio degli anni 2000, sulla base di importanti stanziamenti pubblici che ammontano ad oltre 200 milioni di euro, più di 400 miliardi di vecchie lire;
   la convocazione dell'assemblea sarebbe avvenuta su richiesta della Marco Polo holding Srl che, attraverso la catena di controllo Finint Spa Sviluppo 35 Srl e Agorà investimenti Srl vede in posizione apicale lo stesso presidente Marchi;
   il presidente di Save, infatti, ricopre anche la carica di presidente del consiglio di amministrazione di Finint spa che detiene, attraverso la società interamente controllata sviluppo 35 srl, il controllo di Agorà investimenti srl che a sua volta detiene una partecipazione pari all'87 per cento del capitale di Marco Polo Holding;
   le risorse oggetto della convocazione dell'assemblea di fatto equivalgono a circa il 75 per cento dell'intero fatturato annuo della gestione aeroportuale, il 28,5 per cento del fatturato complessivo annuo di Save e quasi il 40 per cento del valore patrimoniale della società di gestione;
   in base alle quote azionarie alla Marco Polo Holding da questa ripartizione tra soci andranno circa 40 milioni di euro;
   in data 26 ottobre 2012 Enac ha firmato il contratto di programma, approvato dal presidente del Consiglio dei ministri in data 28 dicembre 2012, con cui Save ha avuto il via libera all'aumento delle tariffe e si è impegnata a fare, con proprie risorse, investimenti per 410 milioni di euro per i prossimi 10 anni, di cui 300 milioni nei primi 5 anni;
   la stipula del contratto di programma non fu esente da momenti di tensione tra parte pubblica e società di gestione tant’è che vi furono disagi per operatori e passeggeri sulla base di un cosiddetto «sciopero degli investimenti» posto in essere dalla società di gestione;
   come riportano anche alcuni organi di stampa del tempo, l'Enac, minacciò addirittura la revoca della concessione ove si fosse continuata questa anomala pressione;
   la sottoscrizione del contratto di programma fu tra l'altro preceduta da moltissime polemiche per la mancata manutenzione del sedime aeroportuale, per l'incredibile ritardo nella realizzazione del tapis roulant, per il servizio navetta, il degrado dei locali della mensa e degli spogliatoi dei lavoratori;
   la convenzione, stipulata nel 2001 fra Enac e Save Spa, per la gestione dell'aeroporto, all'articolo 4 afferma testualmente «la concessionaria provvede a gestire l'aeroporto quale complesso di beni, attività e servizi organizzati direttamente o indirettamente, alle attività aeronautiche adottando ogni opportuna iniziativa in favore delle comunità territoriali vicine...» e ancora ad «organizzare e gestire l'impresa aeroportuale garantendo l'ottimizzazione delle risorse disponibili per la produzione di attività e di servizi di adeguato livello qualitativo, nel rispetto dei principi di sicurezza, efficienza, di efficacia e di economicità e di tutela dell'ambiente»;
   va inoltre ricordato anche il duro scontro tra il presidente della Save con l'amministrazione comunale di Venezia circa la richiesta di un investimento pari a 17 milioni di euro provenienti dalla cosiddetta legge speciale per Venezia, legge n. 798 del 1984, aventi come obiettivo la realizzazione all'interno del sedime aeroportuale dal terminal proposto dalla famosa archistar Gehry;
   il presidente Marchi della Save in occasione di una pubblica assemblea svoltasi a settembre di quest'anno a tessera e poi in municipalità, ha annunciato una disponibilità ad investire, non quantificandole in maniera dettagliata, un po’ di risorse per l'ampliamento dell'asilo di Tessera, nonché per interventi finalizzati a mitigare l'impatto acustico;
   sono diversi anni che da parte delle istituzioni locali e dei cittadini vengono avanzate richieste la realizzazione di opere infrastrutturali e di interventi compensativi per migliorare l'infrastruttura e la sua accessibilità, come ad esempio il tapis roulant, parcheggi, intermodalità, nonché per il miglioramento della qualità della vita per chi abita in prossimità della struttura aeroportuale, a partire dalle barriere per ridurre l'impatto acustico;
   la disponibilità di circa 100 milioni di euro da ripartire tra i soci desta quindi perplessità di fronte alle evidenti priorità qui riportate;
   tale ripartizione, infatti, entra, in qualche modo, in conflitto con la necessità di migliorare e potenziare le infrastrutture al servizio dell'aeroporto soprattutto in una fase economica in cui le risorse finanziarie sono davvero molto poche;
   100 milioni di euro sono una cifra rilevante che potrebbe essere investita per le innumerevoli priorità presenti per l'ottimizzazione di quello che è di fatto il terzo scalo aeroportuale italiano con 5000 addetti diretti e 5000 nell'indotto;
   non si può, inoltre, ignorare che la riserva da sovrapprezzo di azioni ha comunque origine dal valore pubblico delle infrastrutture aeroportuali realizzate con risorse dei contribuenti –:
   se e quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare, nell'ambito delle proprie prerogative, a fronte della mancata realizzazione di opere, citate in premessa, di compensazione espressamente previste dalla stessa Convenzione, e dallo stesso contratto di programma.
(5-01631)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GULLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la città di Patti è la quarta città della provincia di Messina, è sede del tribunale ordinario e del consiglio dell'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili;
   con la soppressione del tribunale ordinario di Mistretta e della sezione staccata di Sant'Agata di Militello, accorpati al tribunale ordinario di Patti, il carico di lavoro della sede locale dell'Agenzia delle entrate è aumentato del 120 per cento;
   il tribunale ordinario di Patti si occupa di un comprensorio di ben 56 comuni;
   paradossalmente, alla data odierna, l'Agenzia delle entrate avrebbe previsto per il prossimo 2014 la chiusura di 41 uffici territoriali sulla base della spending review;
   tra i 41 uffici di cui sarebbe prevista la chiusura 2 sono sedi di tribunali ordinari, Patti (ME) e Santa Maria Capua Vetere (CE);
   i criteri di riduzione adottati tengono in conto solo «ipotetiche» riduzioni di spesa, nonché il numero dei dipendenti, determinando la chiusura delle sedi con meno di 30 dipendenti;
   la riduzione del numero dei dipendenti dell'Agenzia di Patti non è dipesa dalla riduzione del carico di lavoro, bensì da scelte di «politica» interna alla direzione regionale. Infatti, sino al 2010 il numero dei dipendenti della sede pattese era superiore alla soglia di 30 unità e solo dopo tale data l'ufficio è andato sotto soglia a causa dei pensionamenti e della scelta di autorizzare trasferimenti verso la sede provinciale;
   nonostante le richieste del consiglio dell'ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili e dei rappresentanti sindacali dei dipendenti dell'Agenzia negli scorsi tre anni non si è proceduto a potenziare la struttura pattese, ne a rimpiazzare i dipendenti mancanti;
   il numero degli atti pubblici registrati dall'Agenzia di Patti è superiore a quello di altre Agenzie del circondario;
   altri uffici della provincia non verranno toccati dalla predetta riduzione nonostante l'inferiore carico di lavoro;
   appare assurdo legare la sopravvivenza delle sedi al numero dei dipendenti e non al carico di lavoro e/o al rapporto costi benefici e, comunque, non sono chiaramente indicati i parametri in base ai quali dovrebbe chiudere l'ufficio di Patti, anche alla luce dell'impegno del sindaco della città di provvedere a trovare un altro locale a minor costo;
   l'eventuale chiusura della sede di Patti determinerebbe un grave disagio per gli utenti ed i professionisti, nonché un dispendio di denaro, mezzi e personale per la locale sede del tribunale ordinario di Patti che dovrebbe trasferire gli atti da registrare a molti chilometri di distanza;
   le possibili sedi di un eventuale, inopinato, accorpamento possono essere solo due, Barcellona Pozzo di Gotto che dista ben 30 km e Sant'Agata di Militello che è sita a ben 50 km di distanza e si profila un eventuale accorpamento alla seconda, la più distante e la meno collegata delle due –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda assumere per:
    a) razionalizzare e rendere comprensibili le modalità di riordino delle sedi degli uffici dell'Agenzia delle entrate;
    b) salvaguardare la migliore funzionalità delle diverse sedi degli uffici dell'Agenzia delle entrate;
    c) potenziare la sede di Patti dell'Agenzia delle entrate;
    d) facilitare l'attività degli uffici del tribunale ordinario di Patti che richiedono un continuo contatto ed una costante collaborazione con l'Agenzia delle entrate;
    e) scongiurare l'eventuale inopinata chiusura della sede dell'Agenzia delle entrate di Patti (ME);
    f) evitare che, comunque, si determinino costi e disagi a carico di cittadini, utenti e professionisti, nonché del tribunale ordinario di Patti. (4-02756)


   MANNINO, DE ROSA, DE LORENZIS, TERZONI, NICOLA BIANCHI, SEGONI, DA VILLA e COLONNESE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con interrogazione a risposta scritta n. 4-01697 – che non ha ancora trovato alcun riscontro e della quale si intendono integralmente richiamate le premesse e le domande – è stato chiesto se le detrazioni fiscali previste per gli interventi di ristrutturazione edilizia trovano applicazione anche ad interventi di demolizione e ricostruzione che, in base al novellato articolo 3, comma 1, lettera d), del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, comportano la demolizione e la ricostruzione con la stessa volumetria, e non anche con la stessa sagoma, dell'edificio preesistente;
   con la stessa interrogazione è stato sottoposta all'attenzione del Ministro dell'economia e delle finanze la necessità di emanare una circolare dell'Agenzia delle entrate che, in relazione all'impatto sul bilancio dello Stato che l'estensione del campo di applicazione delle detrazioni fiscali può comportare, escludesse la possibilità di accedere alle detrazioni fiscali per le ristrutturazioni edilizie, agli interventi di demolizione e ricostruzione che non comportano una «fedele ricostruzione» dell'edificio preesistente, ma che portano alla realizzazione di un edificio nuovo sia per caratteristiche tipologiche sia per la sua collocazione all'interno del lotto;
   l'Agenzia delle entrate ha provveduto ad aggiornare la circolare «Ristrutturazioni edilizie: le agevolazioni fiscali aggiornamento ottobre 2013», all'interno della quale, non si fa alcuna esplicita menzione né delle modifiche apportate alla definizione di ristrutturazione edilizia contenuta nel decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, approvate con il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, né della questione connessa riguardante l'accessibilità alle detrazioni fiscali previste per i soggetti che realizzano interventi di demolizione e ricostruzione classificabili come ristrutturazione edilizia, in base al novellato articolo 3, comma 1, lettera d), del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380;
   nella stessa circolare «Ristrutturazioni edilizie: le agevolazioni fiscali aggiornamento ottobre 2013», infatti, l'unica modifica rispetto alla versione aggiornata a giugno del 2013 – che rileva rispetto alla questione dell'applicabilità delle detrazioni fiscali alle nuove tipologie di interventi di ristrutturazione edilizia – consiste nell'eliminazione, alle pagine 11 e 12 della stessa circolare, tra i chiarimenti forniti dalla stessa Agenzia espressamente richiamati, del seguente punto: «in caso di ristrutturazione con demolizione e ricostruzione, la detrazione spetta solo per la fedele ricostruzione, nel rispetto di volumetria e sagoma dell'edificio preesistente»;
   sulla questione dell'applicabilità delle detrazioni fiscali anche ad interventi di demolizione e ricostruzione che portano alla realizzazione di un edificio nuovo sia per caratteristiche tipologiche sia per la sua collocazione all'interno del lotto – che risulta particolarmente rilevante per l'impatto che può avere sul bilancio dello Stato anche alla luce del fatto che dette detrazioni sono state stabilizzate – l'Agenzia delle entrate ha scelto di intervenire soltanto attraverso una revisione testuale del testo del giugno 2013, consistente nella semplice cancellazione del richiamo al testo della circolare dell'Agenzia delle entrate n. 36/E del 2007, sopra riportato –:
   se la mera cancellazione, alle pagine 11 e 12 della circolare «Ristrutturazioni edilizie: le agevolazioni fiscali aggiornamento ottobre 2013» del punto richiamato in premessa, debba intendersi quale indicazione chiara e univoca, in base alla quale le detrazioni fiscali previste per le ristrutturazioni edilizie debbano trovare applicazione anche rispetto ad interventi di demolizione e ricostruzione che portano alla realizzazione di un edificio nuovo sia per caratteristiche tipologiche sia per la sua collocazione all'interno del lotto;
   se non ritenga necessario assumere iniziative per stabilire soglie, condizioni e modalità di accesso alle detrazioni fiscali per gli interventi di ristrutturazione edilizia, differenziate e specifiche per quegli interventi di ristrutturazione che, in base al novellato articolo 3, comma 1, lettera d), del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, comportano la demolizione e la ricostruzione con la stessa volumetria, e non anche con la stessa sagoma, dell'edificio preesistente, e che dunque portano alla realizzazione di un edificio nuovo sia per caratteristiche tipologiche sia per la sua collocazione all'interno del lotto;
   se disponga di una stima degli effetti per il bilancio dello Stato derivanti dall'estensione del campo di applicazione delle detrazioni fiscali per le ristrutturazioni edilizie ad interventi di demolizione e ricostruzione che comportano la demolizione e la ricostruzione con la stessa volumetria, e non anche con la stessa sagoma, dell'edificio preesistente.
(4-02760)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta orale:


   TINAGLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con la legge n. 62 del 2011, in vigore dal prossimo gennaio, le madri potranno scontare la pena con i loro figli fino al compimento del sesto anno di vita del bambino, non più solo fino al terzo, e non in carcere;
   l'intento della norma è quello di facilitare l'accesso delle madri alle misure cautelari alternative: la pena sarà infatti scontata in istituti a custodia attenuata, luoghi colorati, senza sbarre, a misura di bambino. Attualmente, però, le strutture esistenti sono solo due e l'obiettivo della legge rischia di rimanere incompiuto;
   occorre prendere coscienza della attuale situazione delle carceri femminili, dove i bambini sono costretti a vivere reclusi con le madri (ad oggi, nelle sezioni nido delle carceri italiane sono ospitati circa 60 bambini da 0 a tre anni di età: numero probabilmente destinato ad aumentare, considerando le mamme detenute in stato di gravidanza) e a condividere con le stesse le problematiche del sovraffollamento, nonché della carenza di organico che rendono ancora più dura la condizione della detenzione;
   in alcuni casi sono ospitati in asili nido, ma non tutte le strutture femminili riescono a garantire questi spazi. E così capita anche che un bambino o una bambina debba crescere dietro le sbarre, scontando la pena per una colpa che non ha commesso, a volte anche da solo;
   bisogna tener presente che piccoli incolpevoli porteranno per sempre i segni di questa violenza psicologica e, per questo, è necessario farsi carico dell'urgenza di trovare soluzioni diverse e dignitose;
   il periodo pre e post-parto risulta caratterizzato da momenti di grande ansia per la maggior parte delle donne, ma per quelle che vivono in carcere i normali stress vengono ad essere moltiplicati, amplificando il vissuto di inadeguatezza ed impotenza;
   il carcere per i propri figli è l'ultima delle soluzioni che una madre ricerca ed è quella che vive con più inquietudine, poiché significa esporre il bambino a qualcosa di cui non solo non conosce esattamente le dinamiche, ma della cui realtà percepisce l'assoluta precarietà e mancanza di diritti sia come persona che come madre;
   il retroterra sociale di deprivazione, i contatti familiari inconsistenti, l'isolamento, una instabile salute fisica e/o mentale e la coscienza che il bambino potrà essere affidato ad un ente assistenziale, costituiscono soltanto alcuni dei problemi che vivono queste donne, testimoniando un bisogno di tutela particolare;
   da ricordare poi anche i bambini che entrano in carcere per far visita al genitore detenuto: circa centomila ogni anno in tutta Italia, secondo le stime fornite dall'Associazione bambini senza sbarre, sono sottoposti a perquisizione prima di entrare, proprio come gli adulti, e spesso sono costretti a incontrare il genitore in spazi grigi e chiusi;
   un passo in avanti è stato fatto nel 2001, quando la legge Finocchiaro (legge n. 40 del 2001) ha introdotto modifiche al codice di procedura penale, favorendo l'accesso delle mamme con minori a carico alle misure cautelari alternative alla detenzione;
   la legge n. 40 del 2001 ha sancito il primo cambiamento «culturale» in un sistema ancora connotato dall'ideologia tradizionale nei confronti delle madri detenute: per la prima volta si è anteposto l'interesse del minore, la salvaguardia del rapporto genitore-figlio, la difesa dell'unità familiare a valutazioni sull'entità del reato commesso dai genitori;
   in attuazione del principio sancito dall'articolo 31 della Costituzione che riconosce il valore sociale della maternità, si è inteso perseguire l'obiettivo di assicurare al bambino un sano sviluppo psicofisico, permettendo alla madre di vivere i primi anni dell'infanzia del minore al di fuori delle mura carcerarie;
   la normativa non ha però risolto il problema per le detenute straniere che, in mancanza di fissa dimora, non possono accedere agli arresti domiciliari: per loro e per i loro piccoli l'unica alternativa al carcere sarebbe il trasferimento negli istituti a custodia attenuata. Si tratta degli Icam (istituti a custodia attenuata per madri) e delle case famiglia protette: i primi sono istituti detentivi facenti capo all'amministrazione penitenziaria, le seconde sono invece strutture affidate ai servizi sociali e agli enti locali;
   come già accennato, in Italia sono solo due gli Icam esistenti: quello di Milano, nato nel 2007 in via sperimentale e quello di Venezia, inaugurato a luglio 2013. Non esistono invece case famiglia protette: principale ostacolo alla realizzazione di queste ultime, gli oneri a carico degli enti locali;
   attualmente, il centro milanese e quello veneziano, da soli, non riescono a garantire spazio per tutti. Le stime si complicano inoltre pensando a quei bambini che, usciti dal carcere e allontanati dalla madre al compimento del terzo anno di età, potrebbero rientrare nella struttura perché ancora minori di sei;
   in un'ottica di mantenimento della relazione madre-bambino anche quando questa è detenuta, come stabilito dalla Convenzione dei diritti dell'infanzia, queste strutture sono certamente la soluzione migliore per tutelare l'interesse superiore del minore, ma è fondamentale che dispongano di fondi adeguati;
   la legge n. 62 del 2011, benché molto attesa, si scontra di fatto con difficoltà di applicazione e di interpretazione: le misure alternative sono riconosciute, ma in assenza di «esigenze cautelari di eccezionale rilevanza». Con questa specificazione si intende far riferimento a casi di criminalità organizzata piuttosto che di terrorismo, ma nella prassi le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza si traducono quasi sempre in un rapporto stretto con la recidiva: ciò significa che una detenuta che ha commesso diverse volte reati anche minori o di minore impatto sociale è considerata particolarmente pericolosa tanto da non poter beneficiare di misure alternative –:
   quali rapidi ed opportuni provvedimenti intenda adottare, al fine di rendere pienamente efficace questa riforma.
(3-00492)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


   FAENZI e PARISI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il quotidiano Corriere della Sera, del 23 novembre 2013, ha pubblicato un articolo, con una immagine fotografica, in cui si evidenziano una serie di rilevanti criticità derivanti dall'incapacità di offrire un trasporto dignitoso per i viaggiatori della regione Toscana, ed in particolare sulla linea ferroviaria Pisa-Aulla, i cui convogli regionali sempre sovraffollati e le carrozze spesso vetuste e fatiscenti confermano, a giudizio degli interroganti, una situazione divenuta oramai intollerabile e ingiustificabile, nello svolgimento di una prestazione essenziale come il trasporto pubblico ferroviario nei riguardi della comunità toscana e più specificatamente nella provincia di Pisa e di Massa Carrara;
   gli interroganti evidenziano altresì come i disservizi sofferti dagli utenti danneggiano in particolare la categoria dei numerosissimi pendolari, che quotidianamente fruiscono del treno per raggiungere le rispettive destinazioni professionali, di studio o altre attività programmate;
   la fotografia pubblicata dal suindicato quotidiano mostra addirittura gli ombrelli aperti da parte dei pendolari della medesima linea ferroviaria Pisa-Aulla, all'interno dei convogli quando piove, cosa che sottolinea l'estrema precarietà con cui i viaggiatori sono costretti a spostarsi e che subiscono in modo costante senza alcun tipo di miglioramento da parte delle Ferrovie dello Stato;
   appare evidente, a giudizio degli interroganti, come sia stata disattesa, in toto, la carta dei servizi, elaborata in conformità al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 dicembre 1998 relativo alla «carta della mobilità», che rappresenta il documento con il quale Rete ferroviaria italiana comunica gli impegni assunti e gli obiettivi di qualità, sostenibili, puntuali e misurabili, che si propone di conseguire nell'offerta dei propri servizi;
   i numerosi atti di sindacato ispettivo, presentati nel corso della scorsa e delle presente legislatura, sull'evidente e scarsa qualità dei servizi ferroviari regionali in quasi tutte le regioni italiane, fatta di ritardi, carenza di comfort e di inefficienze a cui sono seguite risposte nel complesso non soddisfacenti, confermano come la situazione delle politiche dei trasporti in Italia, e in, modo particolare in Toscana, sia estremamente critica e derivi da decenni di investimenti insufficienti, a cui si sono aggiunti i recenti tagli della spesa sui trasferimenti, che hanno determinato gravi carenze in termini di pulizia, manutenzioni, scorte, carenze che hanno provocato minore affidabilità e puntualità delle corse ferroviarie –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;  
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere nei confronti di Trenitalia spa al fine di determinare un miglioramento complessivo dell'organizzazione e del livello di efficienza dei servizi per il trasporto dei passeggeri della tratta toscana esposta in premessa, le cui capacità nel corso degli ultimi anni sono ulteriormente peggiorate;
   se non ritenga urgente e necessario, in considerazione della situazione estremamente grave e difficile in cui si trova il trasporto pubblico locale in Italia, ed in particolare quello ferroviario, assumere iniziative per lo stanziamento di importanti risorse finanziarie a favore del comparto, al fine di migliorare la qualità delle prestazioni fornite agli utenti per il potenziamento dei servizi ferroviari, nel momento in cui, complice anche la crisi economica e la congestione delle aree metropolitane, cresce significativamente la domanda relativa al trasporto ferroviario. (4-02757)


   SPESSOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la regione Veneto ha previsto, nell'ambito delle proprie competenze, un progetto di riorganizzazione complessiva del servizio ferroviario regionale sull'intero territorio che porterà, il 15 dicembre, all'entrata in vigore definitiva dell'orario cadenzato del servizio ferroviario regionale passeggeri;
   a poco più di due settimane dall'entrata in vigore dell'orario cadenzato, nonostante le diverse segnalazioni giunte dal Comitato pendolari del Veneto orientale e dall'Associazione ferrovie a Nord est, il nuovo orario non è stato ancora reso pubblico sul sito ufficiale di Trenitalia, né tantomeno sulla pagina web della Regione Veneto, la quale suggerisce di recarsi «di persona presso gli uffici della Direzione Mobilità» per consultare i quadri orario;
   dalla stampa locale (Nuova Venezia, 25 novembre 2013) si apprende inoltre che a svelare in anteprima i nuovi orari sarebbero state le Ferrovie tedesche, le Deutsche Bahn (DB), che all'interno della versione italiana del proprio sito hanno pubblicato i nuovi orari delle linee del servizio ferroviario regionale del Veneto;
   come precisato da Trenitalia attraverso un comunicato stampa del 26 novembre, «la presenza degli orari di Trenitalia sulle pagine web delle ferrovie tedesche è conseguenza dell'utilizzo, da parte di DB, di alcuni dati provvisori che sono stati inseriti, per un errore tecnico di Trenitalia, nel sistema informatico ferro viario internazionale»;
   il difetto di comunicazione istituzionale che si è verificato a causa dell'assenza di un'adeguata pubblicità del nuovo orario cadenzato all'interno dei canali ufficiali di comunicazione delle Ferrovie e della regione, ha provocato un serio disagio ai passeggeri e, in particolar modo ai cittadini pendolari, cui è mancata una corretta informazione;
   a detta dell'interrogante, una tempestiva e completa comunicazione da parte di Trenitalia e regione, essenziale per il buon funzionamento di un servizio importante come quello ferroviario regionale, avrebbe garantito una maggiore consapevolezza dei pendolari, costretti, in mancanza di ulteriori indicazioni, a fare affidamento alle bozze ufficiose di orario cadenzato e al prospetto pubblicato dal sito tedesco Deutsche Bahn;
   secondo l'interrogante una tale carenza informativa, come quella che si è verificata nel caso dell'orario cadenzato della Regione Veneto, è lesiva dei diritti dei passeggeri che, di fatto, lamentano la mancata partecipazione ad un processo di valutazione e concertazione per fare chiarezza sull'entrata in vigore del nuovi orari –:
   se non ritenga di assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché Trenitalia fornisca, attraverso i suoi canali ufficiali, quali il suo sito web, un'adeguata pubblicità e trasmetta informazioni tempestive, tali da mantenere aggiornati i cittadini sugli orari, i prezzi, le tratte e i cambi del trasporto ferroviario;
   se il Ministro, onde evitare per il futuro simili carenze a livello di comunicazione e informazione, a danno dei cittadini, intenda adottare iniziative per garantire, per quanto di competenza e con le regioni coinvolte, informazioni ufficiali e dettagliate relative agli orari di tutte le linee e ad ogni futura variazione dell'offerta dei servizi ferroviari passeggeri.
(4-02762)


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la società Umbria trasporto pubblico locale e mobilità spa è nata il 1o dicembre 2010 e, fino ad oggi, ha avuto un percorso complicato, fatto di fusioni, frazionamenti, cessioni, alleanze che ha portato alla contrazione di molti debiti: una preoccupante esposizione finanziaria che supera i 129 milioni di euro, debiti verso i fornitori per oltre 30 milioni e nei confronti degli enti assicurativi e del personale per 2 milioni ciascuno;
   per risollevare l'azienda è stato necessario l'ingresso di un socio privato al quale garantire – attraverso un bando per la cessione di quote dell'azienda concordato da regione, provincia di Perugia, comuni di Perugia e Spoleto, ATC servizi spa (si veda il sito del Giornale dell'Umbria del 22 marzo 2013) – una quota societaria di non meno del 66 per cento;
   il bando è stato vinto dall'unico offerente, BusItalia, società del gruppo Trenitalia al quale, nel novembre 2013 è stato assegnato il 70 per cento della società Umbria Mobilità, che ha presentato un piano di interventi molto dettagliato per rimettere in moto l'azienda e renderla più efficiente dopo le difficoltà degli ultimi mesi;
   nel piano industriale elaborato dalla società BusItalia, un capitolo specifico è dedicato al personale (attualmente 1300 dipendenti) per il quale si intende avviare una razionalizzazione nel lungo periodo che porterà ad un ridimensionamento dell'organico; la riduzione dei dipendenti – assicura BusItalia – sarà «soft» e verrà assorbita grazie ai pensionamenti e al blocco del turn over, a meno che non vengano tagliate in maniera netta le risorse a disposizione del trasporto pubblico locale;
   agli interroganti non risultano chiare le modalità con cui, dopo la cessione della maggioranza dell'azienda ad un socio privato, saranno pagati gli ingenti debiti contratti dall'Umbria Mobilità e c’è il timore che saranno soprattutto i cittadini a fare le spese di una gestione scellerata del patrimonio pubblico; né risultano certe le garanzie per il mantenimento degli occupati in Umbria Mobilità –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione esposta in premessa, in particolare relativamente all'ingresso in Umbria Mobilità della società di Ferrovie dello Stato, BusItalia, e se non intenda verificare – vista la grave situazione debitoria della società acquistata e quindi le probabili difficoltà che incontrerà BusItalia nella gestione economica – l'effettivo mantenimento del personale lavorante nella società di trasporto umbra;
   se intenda investire maggiori risorse nel trasporto pubblico locale nazionale, al fine di assicurare la maggiore efficienza del servizio e la continuità lavorativa di quanti vi operano. (4-02763)

INTEGRAZIONE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro per l'integrazione, per sapere – premesso che:
   in data 4 ottobre 2013 l'Ufficio per il servizio civile nazionale presso la Presidenza del Consiglio dei ministri ha pubblicato – in forza della legge n. 64 del 2001 (recante «Istituzione del servizio civile nazionale») e del decreto legislativo 5 aprile 2002, n. 77, (recante: «Disciplina del servizio civile nazionale a norma dell'articolo 2 legge n. 64 del 2001») – il «Bando per la selezione di n. 8.146 volontari da impiegare in progetti di servizio civile in Italia e all'estero»;
   l'articolo 3 del citato bando prevede come primo requisito ai fini della partecipazione alla selezione quello di «essere cittadini italiani»;
   tale prescrizione appare chiaramente discriminatoria nei confronti dei cittadini comunitari e non comunitari regolarmente residenti in Italia, precludendo loro qualsiasi possibilità di accedere alle selezioni;
   va ricordato, in proposito, l'imminente scadenza, il prossimo 25 dicembre 2013, del termine per recepire la direttiva 2011/98/UE del Parlamento europeo, che obbliga gli Stati membri ad applicare rigorosamente il principio di parità di trattamento tra cittadini e stranieri regolarmente soggiornanti;
   in seguito alla pubblicazione del precedente bando per il servizio civile, quello del settembre 2011, erano state, da più parti, sollevate analoghe contestazioni ed erano stati, inoltre, instaurati due procedimenti innanzi a due distinti tribunali (Brescia e Milano) da parte di cittadini extracomunitari che si dolevano della discriminatorietà del predetto bando in parte qua;
   il tribunale di Milano aveva dichiarato il carattere discriminatorio del bando 2011, con sentenza successivamente confermata sul punto anche da parte della corte d'appello del capoluogo lombardo;
   i ricorrenti avevano inoltre richiesto un parere all'Ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza o sull'origine etnica (UNAR), che in data 12 dicembre 2011 aveva concluso auspicando che «il legislatore italiano, con sollecitudine, rimedi alla lacuna normativa, riformando la legge attuale nella parte in cui limita la fruibilità dell'esperienza ai soli cittadini italiani estendendola ai cittadini comunitari ed ai cittadini extracomunitari regolarmente soggiornanti secondo la previsione di cui all'articolo 41 T.U.I.» e che di conseguenza «venga accolta l'eccezione di illegittimità costituzionale formulata in entrambi i giudizi per la valutazione dell'illegittimità costituzionale dell'articolo 3 decreto legislativo 77/02»;
   nonostante tutto il legislatore, nell'emanare il bando del servizio civile per l'anno 2013, ha riproposto il medesimo requisito tassativo della cittadinanza italiana;
   in data 23 ottobre gli scriventi hanno depositato un'interrogazione a risposta in commissione segnalando la problematica in esame, anche ai fini di prevenire il contenzioso che verosimilmente ne sarebbe scaturito;
   in data 18 novembre 2013 il tribunale di Milano, in seguito a ricorso depositato da alcuni cittadini stranieri, ha emesso un'ordinanza nella quale si afferma tra l'altro che «l'articolo 3 decreto legislativo n. 77/02 va costituzionalmente interpretato, ex articolo 2 Cost., nel senso che il termine cittadino va inteso riferito al soggetto che appartiene stabilmente e regolarmente alla comunità italiana con conseguente illegittimità, per discriminatorietà, della limitazione stabilita a tal fine dall'articolo 3 del bando impugnato» e si dichiara quindi «il carattere discriminatorio dell'articolo 3 del bando per la selezione di 8146 volontari da avviare al servizio nell'anno 2013 nei progetti di servizio civile in Italia e all'estero pubblicato il 4.10.2013 nella parte in cui richiede il requisito della cittadinanza italiana», ordinando di conseguenza all'ufficio nazionale per il servizio civile presso la Presidenza del Consiglio dei ministri di «cessare il comportamento discriminatorio, di modificare il bando nella parte in cui prevede il requisito della cittadinanza consentendo l'accesso anche agli stranieri soggiornanti regolarmente in Italia e di fissare un termine non inferiore a 10 giorni dalla comunicazione della presente ordinanza per la presentazione delle ulteriori domande di ammissione» –:
   quali iniziative abbia assunto o intenda assumere per garantire la parità di accesso alle selezioni dei volontari da impiegare in progetti di servizio civile in Italia e all'estero anche ai cittadini comunitari ed extracomunitari regolarmente soggiornanti sul territorio nazionale, così come stabilito nel provvedimento del tribunale di Milano sopra riportato.
(2-00319) «Giuseppe Guerini, Beni, Chaouki, Laforgia, Pastorino, Iacono, Scuvera, Biffoni, Bonomo, Cominelli, Quartapelle Procopio, Tentori, Moscatt, Nicoletti, Capozzolo, Bazoli, Richetti, Crimì, Raciti, Rampi, Fiano, Braga, Decaro, Lorenzo Guerini, Lodolini, Malpezzi, Gandolfi, Piazzoni, Ginefra, Miccoli».

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PIAZZONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni il quotidiano la Repubblica ha riportato dettagliate notizie riguardanti una serie sistematica di vigliacche aggressioni perpetrate nella città di Roma ai danni della comunità bengalese;
   nella zona della città compresa tra i quartieri di Torpignattara, Largo Preneste, Casilino e Pigneto, squadre di giovani simpatizzanti della estrema desta romana, reclutati e indottrinati sul web e in ambienti riconducibili all'organizzazione politica Forza Nuova, avrebbero aggredito dal novembre del 2012 fino ad oggi almeno cinquanta cittadini di origine bengalese;
   queste aggressioni, concretizzatesi in molti casi in atti di sconcertante violenza, sono connotate da una chiara matrice razzista e xenofoba. I pestaggi, spesso preceduti da violenze verbali e da slogan inneggianti il regime fascista, avevano come obiettivo quello di colpire persone appartenenti a comunità straniere, in particolare quella bengalese, con il fine – stando a dichiarazioni rese dagli stessi autori delle aggressioni – di scoraggiare l'immigrazione in Italia e di approfittare dell'atteggiamento pacifico e poco incline a denunciare le prevaricazioni subite dei cittadini del Bangladesh;
   le ideologie che propagandano incitamenti all'odio e alla pulizia etnica, sfociati poi in una vera e propria caccia ai migranti, oltre a diffondersi tramite l'attività di ben note organizzazioni di estrema destra operanti su tutto il territorio nazionale, si stanno propagando in maniera allarmante sul web e attraverso i social network, dove – come nel caso in questione – giovani ragazzi vengono avvicinati e invitati a sposare le ideologie in questione, subendo quello che può definirsi come un vero e proprio adescamento di natura politica, volto all'indottrinamento;
   a riprova della preoccupante espansione del fenomeno in questione basti pensare alla recente operazione condotta dalla Digos e della polizia postale, denominata «Stormfront II» che ha condotto ad effettuare 35 perquisizioni su tutto il territorio nazionale a carico di persone di età compresa tra i 17 e i 50 anni, tutte accusate di diffusione sulla rete di idee fondate sull'odio razziale ed etnico e di incitamento a commettere atti di discriminazione e di violenza per motivi razziali ed etnici;
   le dichiarazioni rese nel corso della conferenza stampa sull'operazione citata dal procuratore aggiunto di Roma, Giancarlo Capaldo, confermano la recrudescenza della problematica, evidenziando chiaramente come il flusso di propaganda xenofoba e filonazista che viaggia sul web possa concretamente tradursi in atti di violenza;
   alla luce di quanto riportato appare necessario porre in essere efficaci azioni di controllo, indirizzate ad evitare la propaganda, ad opera di soggetti organizzati, sul territorio e in rete, di idee finalizzate all'incitamento all'odio e alla discriminazione razziale, nonché idonee azioni di contrasto, capaci di impedire e reprimere gli episodi di violenza descritti in premessa –:
   quali misure intenda adottare per impedire la propagazione e la diffusione di ideologie inneggianti alla discriminazione e all'odio razziale e quali iniziative intenda intraprendere per impedire il verificarsi di episodi di violenza connotati dalla matrice più volte citata e garantire diritti ad una serena convivenza civile delle comunità straniere presenti sul territorio nazionale. (5-01622)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'intera provincia comasca è oggetto di un'intensificazione senza precedenti dell'attività criminale diretta contro la proprietà, che colpisce soprattutto, ma non esclusivamente, le abitazioni private;
   tale pressione criminale sta suscitando un crescente allarme sociale, del quale la stampa locale non manca di dar conto nelle pagine di cronaca;
   ai furti, tuttavia, pare ora aggiungersi anche l'intimidazione politica nei confronti di chi sembra intenzionato a resistere;
   in particolare, nella notte tra il 29 ed il 30 novembre 2013, al sindaco di Mezzegra, signora Claudia Lingeri, è stata da ignoti incendiata l'autovettura, una Citroen C3;
   la circostanza appare di particolare gravità anche alla luce della consultazione referendaria locale indetta per il 1o dicembre 2013 allo scopo di accertare la volontà della cittadinanza in merito al progetto di fusione concernente i comuni della Tremezzina –:
   se il Governo riconosca o meno in quanto sta accadendo gli estremi di una pericolosa escalation e quali iniziative di competenza intenda assumere per porvi rapidamente rimedio, evitando di abbandonare alla loro sorte gli amministratori locali più coraggiosi. (4-02755)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   mentre l'Esecutivo rimane a giudizio dell'interrogante inerte di fronte al grave deteriorarsi delle condizioni di sicurezza nella provincia comasca, già oggetto di numerosi atti di sindacato ispettivo rimasti finora inevasi, la pressione criminale nell'area non accenna a diminuire;
   il 29 novembre 2013 sera, ad essere colpito è stato il comune di Olgiate Comasco, nel quale un furto ad una villetta è stato sventato solo grazie alla prontezza di riflessi del proprietario dell'abitazione, che ha aperto il fuoco contro tre ignoti visti aggirarsi nel proprio giardino di casa;
   la stampa locale dà conto da tempo dello stato di esasperazione che si è impadronito degli abitanti della zona, tra i quali sta diventando sempre più popolare l'idea di armarsi per autodifendersi;
   offese contro la proprietà sono riportate anche in altri abitati vicini, come Bulgarograsso, teatro di due effrazioni nel breve volgere di pochi giorni, o Cagno, dove dall'interno di una residenza è stata sottratta anche un'automobile;
   la maggior parte delle azioni contro le case sono messe a segno tra le 18 e le 20, approfittando tanto delle prime ore di oscurità quanto dell'assenza dei proprietari –:
   quanto a lungo il Governo intenda ancora attendere prima di assumere le misure necessarie a proteggere e rassicurare i cittadini residenti nei comuni dell'Olgiatese comasco. (4-02758)


   FAVA e PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nelle scorse settimane i carabinieri del comando provinciale di Trapani hanno eseguito una ordinanza preventiva di sequestro, emessa dal tribunale di Trapani, ai danni di Filippo Coppola per 8 immobili (tra i quali 8 tra appartamenti e magazzini e 32 terreni agricoli), un'impresa agricola, ventidue tra conti correnti, libretti bancari e postali, buoni fruttiferi e trentadue terreni per un valore complessivo di svariati milioni di euro;
   il Coppola, già condannato nel 2002 per associazione a delinquere di stampo mafioso, risulta essere, in base alle indagini della DIA, uno degli uomini di riferimento di Cosa Nostra a Paceco;
   risulterebbero provati i rapporti tra Filippo Coppola e il boss latitante Matteo Messina Denaro, al quale il Coppola sembrerebbe aver fornito in più occasioni ospitalità durante la sua latitanza;
   nei confronti del Coppola è stata proposta altresì la misura della sorveglianza speciale;
   dal rapporto dei carabinieri risulterebbe che il Coppola avrebbe usufruito negli anni di numerosi prestiti e mutui bancari per una cifra non inferiore al mezzo milione di euro;
   la maggior parte di queste somme sono state erogate dalla Banca di Credito Cooperativo «Senatore Pietro Grammatico» di Paceco;
   i risaputi legami del Coppola con Cosa Nostra a Paceco risalgono agli anni settanta e il suo primo arresto per associazione di stampo mafioso risale al 1996;
   ci si chiede come sia possibile che un istituto di credito abbia continuato negli anni a erogare prestiti e ad accendere mutui in favore di un noto pregiudicato per fatti di mafia e delle attività economiche a lui riferibili, direttamente o per via familiare –:
   di quali elementi disponga il Governo sulla vicenda intenda adottare per rendere più stringenti i controlli prestiti a soggetti pregiudicati. (4-02769)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   PES. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   venerdì 29 novembre 2013 è crollato il soffitto di un'aula del liceo classico «Dettori» di Cagliari, e nel crollo sono rimaste ferite un'insegnate e due studentesse;
   il crollo del soffitto nel liceo classico «Dettori» mette in luce lo stato di precarie condizioni in cui versano tantissimi istituti scolastici italiani, con situazioni molto differenziate ma accomunate dalla medesima carenza di sicurezza strutturale;
   molte scuole sono state costruite prima degli anni ’70 e necessitano, quindi, di interventi molto costosi;
   in Italia la metà degli istituti non possiedono le certificazioni di agibilità previste per legge:
   il 40 per cento degli edifici scolastici è stato costruito negli anni 1961-1980;
   metà degli edifici non possiede la certificazione di agibilità, più del 70 per cento non possiede il certificato di prevenzione antincendi;
   meno di un terzo degli edifici in Comuni a rischio sismico (zona 1 e 2) ha una verifica di vulnerabilità sismica;
   oltre il 30 per cento degli edifici necessita di interventi di manutenzione straordinaria;
   in provincia di Cagliari su 75 istituti superiori solamente 5 possiedono i certificati di agibilità;
   nel Sud e nelle Isole, circa il 45 per cento delle strutture scolastiche necessitano di interventi di manutenzione urgenti, maggiori di 10 punti rispetto alla media nazionale;
   è necessario prevedere un piano nazionale per l'edilizia scolastica che metta in sicurezza ed innovi l'intero patrimonio scolastico; dare tempestiva attuazione ad interventi mirati a rimuovere le situazioni di disagio e di pericolo derivanti da carenze tipologiche-strutturali, dal mancato adeguamento e messa a norma degli edifici alla normativa di settore in materia di sicurezza ed antincendio, in materia antisismica e di abbattimento delle barriere architettoniche;
   il decreto-legge n. 104 del 2013 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 128 del 2013 in cui sono state inserite misure di sostegno al finanziamento per la realizzazione di interventi di adeguamento antisismico e di prevenzione incendi degli edifici scolastici, con mutui agevolati;
   per il triennio 2014/2016, il Ministro Carrozza, nell'ambito del decreto-legge cosiddetto del fare, ha firmato il decreto che assegna 150 milioni di euro alle regioni, per interventi urgenti di edilizia scolastica, a cui si aggiungeranno altri 300 milioni, tramite l'INAIL, a seguito di gare che andranno aggiudicate entro febbraio 2014, pena la decadenza;
   a causa dei vincoli del patto di stabilità, che non consentono alle amministrazioni locali di agire con effetto immediato, per prevenire accadimenti come quello del liceo «Dettori», gli interventi suddetti non possono essere realizzati;
   il commissario della provincia di Cagliari ha denunciato di avere a bilancio le risorse necessarie al completamente di tutte le strutture cagliaritane (manutenzione straordinaria) quantificabili intorno ai 30 milioni di euro ma, per le ragioni appena esposte, non può dar seguito ad interventi immediati per la sicurezza degli edifici –:
   se non sia necessario un piano straordinario di bonifica degli istituti scolastici italiani che preveda interventi straordinari di ristrutturazione, miglioramento, messa in sicurezza, adeguamento sismico e efficienza energetica;
   se non sia, altresì, necessario assumere iniziative per allentare i vincoli del patto di stabilità e permettere agli enti locali di attuare interventi immediati, qualora disponessero delle risorse utili al completamento delle opere;
   se il Ministro, una volta terminati i rilievi delle autorità competenti, possa fornire elementi su quanto accaduto al liceo classico «Dettori». (4-02759)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PIAZZONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nell'attuale situazione di crisi economica che attanaglia il Paese, l'emergenza abitativa rappresenta uno dei fattori di crescente tensione sociale. I dati sulle famiglie in difficoltà nel pagamento dei mutui, oltre 430.000, e sulle sentenze di sfratto, quasi 70.000 nell'ultimo anno, di cui la maggior parte per morosità incolpevole, delineano un quadro drammatico in tutto il Paese ma particolarmente grave nei grandi centri urbani;
   aspetto di estrema rilevanza nella situazione esposta di crisi abitativa è quello attinente alla dismissione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici e privatizzati, dismissione che ancora oggi investe le vicende umane e le sorti di numerosi nuclei familiari;
   in particolare, gli affittuari degli immobili degli enti previdenziali privatizzati hanno subito un continuo e costante aggravio delle loro condizioni abitative, dovendo fronteggiare aumenti dei canoni di locazione fino al 300 per cento e prezzi di acquisto per i loro alloggi giunti oramai a valori di mercato;
   alla base degli aumenti citati risiede sicuramente un susseguirsi di interventi legislativi che, di fatto, ha creato un panorama indefinito ed eterogeneo di situazioni tra ente ed ente, dando avvio a pratiche speculative ed iniquità di trattamento nelle condizioni abitative imposte agli inquilini dai diversi enti previdenziali;
   questi ultimi, privatizzati ai sensi del decreto legislativo n. 509 del 1994, hanno conservato la loro natura pubblicistica, come stabilito dall'articolo 5 della legge 26 aprile 2012, n. 44 e come confermato dalle recenti sentenze del Consiglio di Stato, sezione VI, n. 6014 del 2012 e del Tar del Lazio, sezione III, n. 05938 del 2013;
   in forza di ciò, non dovrebbero sussistere dubbi alcuni sulle modalità operative degli enti in questione, i quali dovrebbero tenere un atteggiamento consono ad un organismo di diritto pubblico, quindi scevro da finalità di lucro. Nonostante ciò diversi enti previdenziali sembrano agire come comuni società private, finalizzate al solo raggiungimento di utili a discapito dei loro stessi principi costitutivi;
   tra questi ultimi, a giudizio dell'interrogante, è sicuramente compreso l'Ente nazionale di previdenza per gli addetti e per gli impiegati in agricoltura, il quale ha operato nei confronti degli inquilini, in questi ultimi anni, abnormi aumenti dei canoni di locazione, imponendo alle persone impossibilitate a sostenere le nuove gravose condizioni, centinaia di sfratti per finita locazione;
   molte famiglie si sono viste costrette a ricorrere in via giudiziaria per contrastare l'esecutività degli sfratti, ricevendo tuttavia – dopo anni di battaglie legali e a causa dei ritardi e inadempimenti nel chiarire e uniformare le norme sulle procedure di dismissione immobiliari degli enti previdenziali privatizzati – la condanna al pagamento delle spese legali per le azioni intraprese. Occorre chiarire che gli inquilini in questione hanno sempre ottemperato, in alcuni casi per oltre 40 anni, al pagamento dei rispettivi canoni di locazione, aumentati anche fino al 20 per cento a titolo di indennità di occupazione;
   è notizia recente l'avvenuto pignoramento del conto corrente del signor A.M., inquilino di Enpaia, in seguito all'azione dei rappresentanti legali della Fondazione, per il pagamento delle spese legali sopra citate. Tale azione ha causato un crescente clima di preoccupazione e tensione sociale, considerando come molti inquilini si trovino nelle condizioni del signor A.M., tra cui un numero elevato di famiglie in difficoltà economica e di anziani soli e con pensioni minime;
   l'operato della Fondazione, sebbene consentito dal frammentato e disorganico quadro normativo di riferimento, appare discutibile, sia alla luce delle finalità pubbliche che l'ente stesso è obbligato a perseguire, sia in relazione alla tutela previdenziale degli iscritti, considerando come l'ente in questione sia tuttora in possesso di numerose unità abitative vuote, che se dismesse secondo procedure corrette potrebbero portare sicuramente vantaggi economici superiori nelle casse di Enpaia;
   occorre ricordare come la situazione di emergenza abitativa relativa alle dismissioni immobiliari degli enti previdenziali pubblici e privatizzati sia tuttora all'attenzione del Governo, essendo in discussione alla Camera dei deputati diverse mozioni presentate da più gruppi politici, tutte orientate ad ottenere un nuovo quadro normativo di riferimento, capace di chiarire definitivamente le modalità di dismissione del patrimonio immobiliare degli enti in questione, in particolare a tutela degli inquilini, gravemente pregiudicati dalle politiche speculative fino ad oggi operate –:
   se non si intenda verificare la correttezza nell'operato della Fondazione Enpai circa i fatti citati in premessa e in relazione alle operazioni di dismissione immobiliari realizzate e se non si ritenga opportuno intervenire a tutela degli inquilini degli enti previdenziali privatizzati, adottando iniziative per una moratoria degli sfratti per l'arco temporale necessario alla definizione di un nuovo e organico quadro normativo di riferimento in materia. (5-01629)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   OLIVERIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'agroalimentare Made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, di cui oltre 53 miliardi di euro provengono dal settore agricolo;
   il successo dell'agroalimentare italiano nel mondo e l'accreditamento attribuito al marchio «Italia non conoscono arretramenti, come dimostra la crescita costante dell’export, ma anche la diffusione dei fenomeni di imitazione e pirateria commerciale»;
   il Made in Italy agroalimentare è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazioni geografiche e protette e produzione biologica, nonché il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore;
   come naturale custode del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale il mercato agricolo ha una rilevante importanza non solo per l'economia nazionale, ma, altresì, per il patrimonio culturale ed ambientale, se si considera la percentuale di superficie coltivata, nonché l'ingente numero di lavoratori occupati nel settore;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   gli allevamenti italiani di suini, presenti prevalentemente in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Umbria e Sardegna, sono oltre 26.200 e la produzione di carni suine è stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno;
   la suinicoltura italiana occupa il settimo posto in Europa per numero di capi mediamente presenti e offre occupazione, lungo l'intera filiera, a circa 105 mila addetti, di cui 50 mila nel solo comparto dell'allevamento;
   sulla base dei dati elaborati dall'Associazione nazionale allevatori di suini (ANAS), l'Italia, nel 2012 ha importato complessivamente 1.020.425 tonnellate di suini vivi e carni suine, di cui il 52 per cento dalla Germania, pari a 535.309 tonnellate;
   articoli di stampa europei hanno recentemente messo in luce che l'industria della carne suina tedesca è efficiente ed è basata su prodotti a basso costo, ma che dietro questo sistema ci sono operai sottopagati, falde acquifere inquinate e tecniche di allevamento che usano enormi quantità di antibiotici;
   molti controlli operati sul settore delle carni suine hanno evidenziato la violazione della disciplina in materia di presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari e condotte poste in essere in maniera ingannevole, fraudolenta e scorretta, allo specifico scopo di far intendere al consumatore che i prodotti acquistati sono di origine e di tradizione italiana;
   la tutela dell'identità dei prodotti nazionali contro le frodi alimentari garantisce la solidità delle imprese agricole italiane;
   la libera circolazione di alimenti sicuri e sani è un aspetto fondamentale del mercato interno, ma, sempre più spesso, la salute dei consumatori e la corretta e sana alimentazione appaiono compromesse da cibi anonimi, con scarse qualità nutrizionali, o addizionati e di origine per lo più sconosciuta;
   la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiana che non possiedono costituisce una vera e propria aggressione al patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale;
   l'articolo 10 della legge 14 gennaio 2013, n. 9, Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini, introduce un sistema al fine di rendere accessibili a tutti gli organi di controllo ed alle Amministrazioni interessate le informazioni ed i dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine degli oli di oliva vergini, anche attraverso la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche;
   l'articolo 26, comma 2, lettera b) del Regolamento CE 25 ottobre 2011, n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, prevede che l'indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza C obbligatoria per le carni dei codici della nomenclatura combinata (NC) elencati all'allegato XI del regolamento medesimo – tra le quali sono contemplate le carni di animali della specie suina, fresche, refrigerate o congelate – rinviando l'applicazione della norma a successivi atti di esecuzione da adottare entro il 13 dicembre 2013 –:
   se il Ministro non intenda assicurare l'adozione, anche per le carni suine, di un sistema analogo a quello previsto per gli oli di oliva vergini dalla legge n. 9 del 2013 citata, per assicurare l'accessibilità delle informazioni e dei dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine delle carni suine e promuovere, a tale scopo, la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche;
   quali iniziative il Ministro intenda adottare, o abbia già adottato, al fine di rendere noti e pubblici i riferimenti delle società eventualmente coinvolte in pratiche commerciali ingannevoli, fraudolente, o scorrette finalizzate ad immettere sui mercati finti prodotti Made in Italy ed i dati dei traffici illeciti accertati;
   quali azioni il Ministro intenda adottare al fine di promuovere il rispetto, in sede comunitaria del termine del 13 dicembre 2013, imposto dal Regolamento 1169/2011/CE, per l'attuazione dell'obbligo di indicazione del Paese d'origine o del luogo di provenienza con riferimento alle carne. (5-01623)


   CAON, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAPARINI, FEDRIGA, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, di cui oltre 53 miliardi di euro provengono dal settore agricolo;
   il successo dell'agroalimentare italiano nel mondo e l'accreditamento attribuito al marchio «Italia» non conoscono arretramenti, come dimostra la crescita costante dell’export, ma anche la diffusione dei fenomeni di imitazione e pirateria commerciale;
   il made in Italy agroalimentare è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazioni geografiche e protette e produzione biologica;
   il settore agricolo ha una particolare importanza non solo per l'economia nazionale – considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore – ma, altresì, come naturale custode del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   gli allevamenti italiani di suini, presenti prevalentemente in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Umbria e Sardegna, sono oltre 26.200 e la produzione di carni suine è stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno;
   la suinicoltura italiana occupa il settimo posto in Europa per numero di capi mediamente presenti e offre occupazione, lungo l'intera filiera, a circa 105 mila addetti, di cui 50 mila nel solo comparto dell'allevamento;
   sulla base dei dati elaborati dall'Associazione nazionale allevatori di suini (ANAS), l'Italia, nel 2012, ha importato complessivamente 1.020.425 tonnellate di suini vivi e carni suine, di cui il 52 per cento dalla Germania, pari a 535.309 tonnellate;
   articoli di stampa europei hanno recentemente messo in luce che l'industria della carne suina tedesca è efficiente ed è basata su prodotti a basso costo, ma che, dietro questo sistema, ci sono operai sottopagati, falde acquifere inquinate e tecniche di allevamento che usano enormi quantità di antibiotici;
   molti controlli operati sul settore delle carni suine hanno evidenziato la violazione della disciplina in materia di presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari e condotte poste in essere in maniera ingannevole, fraudolenta e scorretta, allo specifico scopo di far intendere al consumatore che i prodotti acquistati sono di origine e di tradizione italiana;
   l'usurpazione del made in Italy minaccia la solidità e provoca gravi danni alle imprese agricole insediate sul territorio, violando il diritto dei consumatori ad alimenti sicuri, di qualità e di origine certa;
   il codice del consumo, recependo la disciplina comunitaria in materia, attribuisce ai consumatori ed agli utenti i diritti alla tutela della salute; alla sicurezza ed alla qualità dei prodotti; ad un'adeguata informazione e ad una pubblicità veritiera; all'esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà; all'educazione al consumo; alla trasparenza ed all'equità nei rapporti contrattuali;
   la disciplina a tutela dei prodotti di origine italiani introduce norme specifiche per contrastare la contraffazione ed evitare qualunque fraintendimento nell'indagine di provenienza falsa e fallace;
   la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiana che non possiedono costituisce una vera e propria aggressione ed arreca danno al patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale –:
   se intenda assumere iniziative nei confronti dei soggetti deputati al controllo e, in particolare, al Corpo forestale dello Stato, per applicare la definizione precisa dell'effettiva origine degli alimenti, secondo quanto stabilito dall'articolo 4, commi 49 e 49-bis della legge 24 dicembre 2003, n. 350 sulla tutela del made in Italy. (5-01625)


   CAPARINI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, FEDRIGA, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, di cui oltre 53 miliardi di euro provengono dal settore agricolo;
   il successo dell'agroalimentare italiano nel mondo e l'accreditamento attribuito al marchio «Italia» non conoscono arretramenti, come dimostra la crescita costante dell’export, ma anche la diffusione dei fenomeni di imitazione e pirateria commerciale;
   il made in Italy agro alimentare è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazioni geografiche e protette e produzione biologica;
   il settore agricolo ha una particolare importanza non solo per l'economia nazionale – considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore – ma, altresì, come naturale custode del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   gli allevamenti italiani di suini, presenti prevalentemente in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Umbria e Sardegna, sono oltre 26.200 e la produzione di carni suine è stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno;
   la suinicoltura italiana occupa il settimo posto in Europa per numero di capi mediamente presenti e offre occupazione, lungo l'intera filiera, a circa 105 mila addetti, di cui 50 mila nel solo comparto dell'allevamento;
   sulla base dei dati elaborati dall'Associazione nazionale allevatori di suini (ANAS), l'Italia, nel 2012, ha importato complessivamente 1.020.425 tonnellate di suini vivi e carni suine, di cui il 52 per cento dalla Germania, pari a 535.309 tonnellate;
   articoli di stampa europei hanno recentemente messo in luce che l'industria della carne suina tedesca è efficiente ed è basata su prodotti a basso costo, ma che dietro questo sistema ci sono operai sottopagati, falde acquifere inquinate e tecniche di allevamento che usano enormi quantità di antibiotici;
   molti controlli operati sul settore delle carni suine hanno evidenziato la violazione della disciplina in materia di presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari e condotte poste in essere in maniera ingannevole, fraudolenta e scorretta, allo specifico scopo di far intendere al consumatore che i prodotti acquistati sono di origine e di tradizione italiana;
   l'articolo 26, comma 2, lettera b) del regolamento (CE) 25 ottobre 2011, n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, prevede che l'indicazione del Paese d'origine o del luogo di provenienza è obbligatoria per le carni dei codici della nomenclatura combinata (NC) elencati all'allegato XI del regolamento medesimo – tra le quali sono contemplate le carni di animali della specie suina, fresche, refrigerate o congelate – rinviando l'applicazione della norma a successivi atti di esecuzione da adottare entro il 13 dicembre 2013 –:
   quali azioni il Ministro intenda adottare al fine di promuovere il rispetto, del termine del 13 dicembre 2013, imposto dal regolamento 1169/2011/CE, per l'attuazione dell'obbligo di indicazione del Paese d'origine o del luogo di provenienza con riferimento alle carne suine assumendo le opportune iniziative in sede comunitaria. (5-01626)


   CAON, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAPARINI, FEDRIGA, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'importanza del settore agricolo per l'economia nazionale va riconosciuta con riferimento alla produzione agroalimentare, ma anche alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio culturale ed ambientale ed all'ingente numero di lavoratori occupati;
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta più del 17 per cento del PIL e provengono dal settore agricolo oltre 53 miliardi di euro;
   il made in Italy agroalimentare è la leva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese;
   il settore agricolo, considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore, riveste una particolare importanza per l'economia nazionale ed assume un ruolo fondamentale nella custodia del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   sulla base dei dati Efsa, l'Italia risulta prima, nel mondo, in termini di sicurezza alimentare, con oltre 1 milione di controlli l'anno, il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici oltre il limite (0,3 per cento), con un valore inferiore di cinque volte rispetto a quelli della media europea (1,5 per cento di irregolarità) e addirittura di 26 volte rispetto a quelli extracomunitari (7,9 per cento di irregolarità);
   il settore suinicolo rappresenta una voce importante dell'agroalimentare italiano. La suinicoltura italiana, infatti, occupa il 7o posto in Europa per numero di capi mediamente presenti: in Italia nel 2012 la consistenza è stata di 9,279 milioni di capi, preceduta da Germania (28,1 milioni), Spagna (25,2 milioni), Francia (13,7 milioni), Danimarca (12,4 milioni), Olanda (12,2 milioni) e Polonia (11,9 milioni di capi);
   i dati del censimento dell'agricoltura 2010 indicano in 26.197 il numero delle aziende suinicole in Italia (74,1 per cento rispetto al 2007), 4.900 delle quali allevano più di 50 suini;
   le regioni maggiormente vocate per l'allevamento di suini sono Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Piemonte, ma anche Calabria, Umbria e Sardegna;
   rispetto a 73,5 milioni di cosce suine consumate in Italia, 57,3 milioni sono di importazione, 24,5 milioni sono di produzione nazionale e 8,3 milioni vengono avviate all'esportazione;
   dai medesimi dati emerge che i principali Paesi fornitori di carne suina in Italia sono la Germania, l'Olanda, la Francia, la Spagna e la Danimarca;
   dai dati elaborati da ISMEA nel rapporto «La competitività dell'agroalimentare italiano» del 2012, emerge che la fase agricola è fortemente penalizzata dalle repentine e intense variazioni dei prezzi alla produzione, variazioni che invece non si trasmettono immediatamente sui prezzi nelle fasi più a valle, né per tempistica, né per intensità;
   sulla base dei risultati definitivi pubblicati dall'Istat e secondo quanto certificato dal 6o censimento generale dell'agricoltura, la bassa remunerazione dell'imprenditore agricolo, in diminuzione nell'ultimo decennio, è uno degli elementi a cui viene collegata la fuoriuscita dal settore di quasi 800 mila aziende agricole;
   nel mercato del settore suinicolo, l'andamento dei prezzi riconosciuti agli allevatori mostra valori inferiori ai costi di produzione;
   secondo analisi ed elaborazioni ANAS (Associazione nazionale allevatori suini), riferiti al primo semestre 2013, il valore dell'allevamento riconosciuto nella fase della distribuzione è stato del 17,28 per cento;
   dalle stesse elaborazioni si rileva che il costo medio di produzione del suino pesante (peso medio 160/170 kg) è di 1,56 euro al chilogrammo;
   i medesimi dati evidenziano che il prezzo medio riconosciuto all'allevatore per il suino pesante (peso medio 160/170 chilogrammi) è stato di 1,4 euro al chilogrammo;
   l'attuale situazione del mercato risulta complicata dalla mancanza di trasparenza sull'indicazione di origine delle carni suine, che rischia di creare confusione tra i prodotti di provenienza nazionale – che assicurano, tra l'altro, elevati standards di sicurezza e qualità – ed i prodotti di importazione che invece, spesso, presentano minori garanzie per il consumatore;
   l'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, nel disciplinare le relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli ed agroalimentari, vieta condotte commerciali sleali al fine di impedire che un contraente con maggiore forza commerciale possa abusarne, imponendo condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose per la controparte più debole –:
   quali azioni il Ministro intenda promuovere, con specifico riferimento al settore del commercio nel settore delle carni suine, al fine di dare piena attuazione all'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, nella parte in cui vieta pratiche commerciali sleali che possano determinare, in contrasto con il principio della buona fede e della correttezza, il riconoscimento di prezzi, agli allevatori, palesemente inferiori ai costi di produzione medi da essi sostenuti;
   quali azioni il Ministro intenda promuovere, con specifico riferimento al commercio delle carni suine, al fine di contrastare pratiche commerciali sleali poste in essere, ai danni degli allevatori, in violazione della disciplina di cui all'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 ed al relativo Regolamento di attuazione (decreto ministeriale 19 ottobre 2012, n. 199). (5-01627)


   RIGONI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'importanza del settore agricolo per l'economia nazionale va riconosciuta con riferimento alla produzione agroalimentare, ma anche alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio culturale ed ambientale ed all'ingente numero di lavoratori occupati;
   l'agroalimentare made in Italy, che registra un fatturato nazionale superiore ai 266 miliardi di euro, rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo ed è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese;
   la crescita costante dell’export testimonia l'indiscutibile ruolo dell'agroalimentare nazionale e del valore attribuito al marchio Italia, con un territorio ed una produzione ammirati ed imitati nel mondo;
   sulla base dei dati Efsa, l'Italia risulta prima, nel mondo, in termini di sicurezza alimentare, con oltre 1 milione di controlli l'anno, il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici oltre il limite (0,3 per cento), con un valore inferiore di cinque volte rispetto a quelli della media europea (1,5 per cento di irregolarità) ed addirittura di 26 volte rispetto a quelli extracomunitari (7,9 per cento di irregolarità);
   il settore suinicolo rappresenta una voce importante dell'agroalimentare italiano: in Italia, la produzione di carni suine è stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno e sono oltre 26.200 gli allevamenti di suini, concentrati, prevalentemente, in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Umbria e Sardegna;
   in Italia, nel 2012, la produzione nazionale di suini è stata stimata in 245.620 tonnellate, le importazioni in 572.987,42 tonnellate ed il consumo di cosce in 734.749,31 tonnellate;
   sulla base dei dati elaborati dall'Associazione nazionale allevatori di suini (ANAS), risulta che l'Italia nel 2012 ha importato, solo dalla Germania, il 52 per cento di suini vivi e carni suine, per un totale di 535.309 tonnellate;
   da articoli apparsi sulla stampa europea è emerso che l'efficienza dell'industria della carne suina in Germania è basata su prodotti a basso costo, operai sottopagati, falde acquifere inquinate, tecniche di allevamento non sostenibili e con gravi ripercussioni sulla salute dei consumatori legate all'eccessivo impiego di antibiotici;
   attraverso specifici strumenti di legge l'Istituto sviluppo agroalimentare spa, società finanziaria con socio unico il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, dovrebbe supportare le imprese operanti nella fase di trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli, zootecnici e silvicoli ai sensi dell'articolo 2, comma 132, della legge 23 dicembre 1996 n. 662;
   molti controlli operati nel settore delle carni suine hanno già evidenziato la violazione della disciplina in materia di presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari e condotte poste in essere in maniera ingannevole, fraudolenta e scorretta, allo specifico scopo di far intendere al consumatore che i prodotti acquistati sono di origine e di tradizione italiana;
   l'usurpazione del made in Italy provoca gravi distorsioni della concorrenza, condiziona il funzionamento del mercato e viola il diritto dei consumatori ad alimenti sicuri, di qualità e di origine certa;
   attualmente, nel mercato del settore suinicolo, l'andamento dei prezzi riconosciuti agli allevatori mostra valori inferiori ai costi di produzione;
   secondo quanto certificato dal 6o censimento generale dell'agricoltura, la bassa remunerazione dell'imprenditore agricolo è uno degli elementi a cui viene collegata la fuoriuscita dal settore di quasi 800 mila aziende agricole;
   secondo analisi ed elaborazioni ANAS (Associazione nazionale allevatori suini), riferiti al primo semestre 2013, il valore dell'allevamento riconosciuto nella fase della distribuzione è stato del 17,28 per cento;
   dalle stesse elaborazioni si rileva che il costo medio di produzione del suino pesante (peso medio 160/170 chilogrammi) è di 1,56 euro al chilogrammo, a fronte di un prezzo medio riconosciuto all'allevatore, per la stessa categoria, di 1,4 euro al chilogrammo;
   l'attuale situazione del mercato risulta complicata dalla mancanza di trasparenza sull'indicazione di origine delle carni suine, che rischia di creare confusione tra i prodotti di provenienza nazionale – che assicurano, tra l'altro, elevati standards di sicurezza e qualità – ed i prodotti di importazione che invece, spesso, presentano minori garanzie per il consumatore;
   l'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, nel disciplinare le relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli ed agroalimentari, vieta condotte commerciali sleali al fine di impedire che un contraente con maggiore forza commerciale possa abusarne, imponendo condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose per la controparte più debole –:
   quali controlli vengano effettuati da ISA spa prima di assicurare il supporto alle imprese o la partecipazione in specifiche iniziative con riferimento agli obiettivi sociali ed alla garanzia di perseguimento di finalità non contrastanti con la tutela e la valorizzazione dei prodotti e delle imprese nazionali;
   se ISA spa partecipi o abbia concesso investimenti ad imprese coinvolte nel mondo nella produzione di finto made in Italy, alimentare e non, introducendo fattori di concorrenza sleale per le imprese italiane e pregiudicando gli interessi dei cittadini e dei consumatori;
   quali azioni il Ministro intenda promuovere, con specifico riferimento al settore del commercio nel settore delle carni suine, al fine di dare piena attuazione all'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, nella parte in cui vieta pratiche commerciali sleali che possano determinare, in contrasto con il principio della buona fede e della correttezza, il riconoscimento di prezzi, agli allevatori, palesemente inferiori ai costi di produzione medi da essi sostenuti;
   quali azioni il Ministro intenda promuovere, con specifico riferimento al commercio delle carni suine, al fine di contrastare pratiche commerciali sleali poste in essere, ai danni degli allevatori, in violazione della disciplina di cui all'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 ed al relativo Regolamento di attuazione (decreto ministeriale 19 ottobre 2012, n. 199). (5-01632)

Interrogazione a risposta scritta:


   GAGNARLI e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   da diverse fonti stampa si apprende che la provincia di Cremona ha deciso di utilizzare le risorse messe (40 mila euro) elargite dalla regione Lombardia per affrontare l’«emergenza nutrie», al fine di acquistare munizioni da fornire gratis a quanti, dei circa 900 cacciatori presenti nei comuni della provincia, si metteranno a disposizione per l'abbattimento del roditore;
   la vera e propria invasione delle nutrie nella provincia di Cremona è evidente e gli interroganti non intendono negarlo; i danni alle aziende agricole della zona, ma anche alla stabilità terreno (il roditore scava infatti profondi e lunghi tunnel sotterranei) non lasciano dubbi al fatto che vada trovata al più presto una soluzione;
   la legge n. 157 del 1992 prevede, al comma 2 dell'articolo 19, che qualora l'ISPRA verifichi l'inefficacia dei metodi ecologici usati per il contenimento delle nutrie, le regioni possono autorizzare piani di abbattimento. «Tali piani devono essere attuati dalle guardie venatorie dipendenti dalle amministrazioni provinciali. Queste ultime potranno altresì avvalersi dei proprietari o conduttori dei fondi sui quali si attuano i piani medesimi, purché muniti di licenza per l'esercizio venatorio, nonché delle guardie forestali e delle guardie comunali munite di licenza per l'esercizio venatorio»;
   quella di fornire munizioni gratis ai cacciatori con l'unico obiettivo di estirpare la popolazione di nutrie entro cinque anni non appare, agli occhi dell'interrogante, la soluzione migliore per risolvere un problema grave quanto comunque contenibile attraverso oculati piani di gestione, ma anzi – essendo la popolazione di nutrie presente anche in prossimità del centro abitato – una soluzione potenzialmente rischiosa per la sicurezza dei cittadini;
   agli interroganti appare poco chiaro il controllo sull'effettivo utilizzo delle munizioni, poiché dalle poche informazioni a disposizione non è chiaro come possa essere garantito che quelle munizioni fornite gratis dalla provincia siano effettivamente utilizzate per l'abbattimento delle nutrie e non per altra attività venatoria;
   a quanto risulta agli interroganti, l'unico metodo ecologico attuato per il contenimento delle nutrie in provincia di Cremona è messo in pratica nel 2003 dal comune di Spinea con il posizionamento di apposite reti anti-nutrie lungo un canale;
   nella stessa città di Cremona, nel 2012 un uomo è stato denunciato per aver ucciso a badilate una nutria, violando quanto disposto dagli articoli 544-bis e 544-ter del codice penale –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se non ritenga che la fornitura di munizioni ai cacciatori, considerando che il roditore è presente in grandissime quantità nella zona cremonese e anche in prossimità dei centri abitati, possa ledere la sicurezza e l'incolumità dei cittadini, non assicurando al contempo che le munizioni siano effettivamente destinate all'abbattimento delle nutrie e non ad altra attività venatoria;
   se l'ISPRA, in base a quanto previsto dallo stesso articolo 19 della legge n. 157 del 1992, abbia effettivamente verificato l'utilizzo e quindi la relativa inefficacia dei metodi ecologici utilizzati per il contenimento delle nutrie nella provincia di Cremona. (4-02761)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CAON, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAPARINI, FEDRIGA, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, con un contributo di 53 miliardi di euro che proviene dal settore agricolo;
   in agricoltura sono presenti quasi un milione di imprese, ossia il 15 per cento del totale delle imprese italiane;
   il mercato agricolo ha una rilevante importanza non solo per l'economia nazionale, ma, altresì, per il patrimonio culturale ed ambientale, se si considera la percentuale di superficie coltivata, nonché l'ingente numero di lavoratori occupati nel settore;
   in Italia, gli allevamenti di suini – presenti, prevalentemente in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Umbria e Sardegna – sono oltre 26.200 e la produzione di carni suine è stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno;
   la suinicoltura italiana occupa il settimo posto in Europa per numero di capi mediamente presenti;
   sulla base dei dati elaborati dall'Associazione nazionale allevatori di suini (ANAS), l'Italia nel 2012 ha importato dalla Germania il 52 per cento di suini vivi e carni suine, per un totale di 535.309 tonnellate;
   la tutela dell'identità dei prodotti nazionali contro le frodi alimentari garantisce la solidità delle imprese agricole italiane;
   articoli di stampa europei hanno recentemente messo in luce che l'industria della carne suina tedesca è efficiente ed è basata su prodotti a basso costo, ma che dietro questo sistema ci sono operai sottopagati, falde acquifere inquinate e tecniche di allevamento che usano enormi quantità di antibiotici;
   la libera circolazione di alimenti sicuri e sani è un aspetto fondamentale del mercato interno, ma, sempre più spesso, la salute dei consumatori e la corretta e sana alimentazione appaiono compromesse da cibi anonimi, con scarse qualità nutrizionali, o addizionati e di origine per lo più sconosciuta;
   la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiana che non possiedono costituisce una vera e propria aggressione al patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale;
   l'articolo 10 della legge 14 gennaio 2013, n. 9, Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini, introduce un sistema al fine di rendere accessibili a tutti gli organi di controllo ed alle Amministrazioni interessate le informazioni ed i dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine degli oli di oliva vergini, anche attraverso la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche –:
   se il Ministro non intenda assicurare l'adozione, anche per le carni suine, di un sistema analogo a quello previsto per gli oli di oliva vergini dalla legge n. 9 del 2013 citata, per assicurare l'accessibilità delle informazioni e dei dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine delle carni suine e promuovere, a tale scopo, la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche;
   quali iniziative il Ministro intenda adottare, o abbia già adottato, al fine di rendere noti e pubblici i riferimenti delle società eventualmente coinvolte in pratiche commerciali ingannevoli, fraudolente, o scorrette finalizzate ad immettere sui mercati finti prodotti made in Italy ed i dati dei traffici illeciti accertati. (5-01628)

Interrogazione a risposta scritta:


   MASSIMILIANO BERNINI, MANNINO, PARENTELA, D'INCÀ, TOFALO, SPESSOTTO, LOMBARDI, BARBANTI, BARONI, DE LORENZIS, DELLA VALLE, SEGONI e DA VILLA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Viterbo è sito l'ospedale di Belcolle. Nella zona sottostante, attraversata dalla roggia «Fosso dell'Olmo», è ubicata l'azienda agricola «Mannaggia all'oca» presso la quale si è riscontrata una moria sospetta di circa 2.000 capi di oche, allevate in prossimità del corso d'acqua;
   a seguito di tale, ingente, moria sono state avviate delle indagini dal Corpo forestale dello Stato di Viterbo che ha emesso due verbali di contestazione di illecito amministrativo a carico dei due ex direttori generali della ASL Viterbo; mentre nell'aprile 2012, per tramite della procura di Viterbo, sono stati effettuati dei prelievi nel terreno della zona che hanno rilevato la presenza di metalli pesanti quali «argento» e varie categorie di «sulfamidici» sia sul terreno a valle dell'ospedale che sul sedimento della roggia «Fosso dell'olmo», mentre le stesse sostanze non risultavano presenti a monte del nosocomio, a dimostrazione di uno sversamento illecito di rifiuti nella roggia;
   «Fosso dell'olmo» percorre circa 50 chilometri prima di immettersi sul fiume «Marta» e di lì fino al mare, con il concreto rischio, quindi, di rilasciare materiale inquinante in una grande estensione di terreno;
   la salute personale dei proprietari dell'azienda agricola succitata, in particolare della signora Patrizia Belli, avrebbe subìto in maniera improvvisa un peggioramento –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se, valutata l'oggettiva gravità degli stessi, non ritenga opportuno, per quanto di propria competenza, procedere a ulteriori studi indirizzati alla ricerca sia di metalli pesanti e sulfamidici che di eventuali radiazioni rilasciate dai residui delle acque reflue scaricate in questi anni dall'ospedale Belcolle nella roggia «Fosso dell'Olmo». (4-02768)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BINI e VELO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 29 maggio 2013, è stato presentato dagli interroganti, anche con altri firmatari, l'atto di sindacato ispettivo n. 5-00191 (poi trasformato in 4-01508), che qui si intende integralmente richiamato, relativo alle strategie e scelte organizzative adottate negli ultimi tempi da Poste italiane spa, con particolare riguardo al piano di riordino del servizio di recapito dell'aprile 2012 ed alla gestione dei rapporti con gli operatori privati;
   in particolare, il 31 luglio 2013, si è negativamente conclusa la trattativa relativa al tema dei lavoratori delle agenzie di recapito;
   già nel precedente incontro del 25 luglio 2013, Poste italiane, su pregressa ed insistente richiesta delle organizzazioni sindacali, aveva manifestato l'intenzione di trovare una soluzione, almeno temporanea, per quei lavoratori che, a causa delle continue internalizzazioni dei servizi di recapito in appalto, si trovano da mesi senza salario;
   la netta riduzione dei lotti appaltati nel corso del 2012 ha infatti generato una situazione di crisi occupazionale per circa 600 lavoratori;
   allo stato attuale, alcuni si trovano privi di copertura di ammortizzatori sociali e gli altri sono in prossimità della scadenza degli stessi;
   la trattativa è stata complicata sia nell'individuazione numerica della platea dei lavoratori interessati, sia nella prospettazione di soluzioni possibili;
   la proposta ultimativa aziendale è stata quella di offrire un contratto a tempo determinato della durata di 12 mesi, prorogabili a 16, a circa 600 lavoratori in sedi prestabilite, nello specifico Lombardia, Piemonte e Veneto;
   in realtà, però, proporre ad un lavoratore siciliano, a titolo esemplificativo, una collocazione temporanea, senza prospettiva alcuna, a 1.000 chilometri di distanza da casa, potrebbe rivelarsi una «non proposta» che, se si analizzano i numeri dei lavoratori interessati in ogni singola regione (inferiori alle 30 unità, tranne due specifici casi), appare piuttosto strumentale e non risolutiva;
   il Ministero dello sviluppo economico avrebbe dichiarato che, tenendo conto della completa liberalizzazione del mercato postale e della piena autonomia organizzativa e gestionale del fornitore del servizio universale, sarebbe disponibile ad avviare un tavolo di concertazione con Poste italiane e le agenzie di recapito, per individuare soluzioni tese allo sviluppo del mercato postale e prevedere azioni dirette a tutelare le piccole imprese del recapito ed i lavoratori del settore;
   i risultati di bilancio 2012 di Poste italiane, come nei precedenti 8 anni, sono positivi (un miliardo e 32 milioni di euro di utile): per redditività, la società Poste italiane si colloca, infatti, di gran lunga al primo posto al mondo rispetto ai principali operatori internazionali e appare quindi in grado di esercitare in maniera fattiva la responsabilità sociale di impresa;
   la negativa conclusione della trattativa relativa al tema dei lavoratori delle agenzie di recapito può determinare rilevanti effetti negativi sia sull'occupazione che sulla regolarità del servizio, compromettendo una delle funzioni proprie della società Poste e il concetto stesso del servizio universale per il quale lo Stato riconosce i relativi contributi proprio per assicurare la capillarità e la qualità del recapito postale;
   infatti, ogni intervento nella riorganizzazione dei servizi deve tener conto del diritto universale dei cittadini a poterne usufruire, senza distinzioni di età, di situazione sociale o territoriale, nonché della primaria esigenza della qualità dei servizi stessi per livelli sostenibili di convivenza civile;
   dietro una corretta razionalizzazione delle risorse, sebbene concomitante ad un periodo di crisi e di revisione della spesa, non può celarsi un impoverimento di un servizio importante per il territorio ed essenziale per i cittadini –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti riportati, in particolare con riguardo all'esito negativo degli incontri tra Poste italiane e le organizzazioni sindacali tenutisi il 25 e 31 luglio 2013, e quali siano i loro orientamenti in merito alla situazione;
   se e come intendano procedere, attraverso le strutture preposte dei propri dicasteri e con atti di propria competenza, al fine di assicurare, nel più breve tempo possibile, l'attivazione di un tavolo di concertazione tra tutti i soggetti cointeressati, cui pure il Ministro dello sviluppo economico si è dichiarato disponibile, allo scopo di concordare e di avviare nell'immediato un piano per lo sviluppo del settore postale, prevedendo iniziative specifiche per le piccole imprese del recapito e per i lavoratori del settore. (5-01624)

Apposizione di firme ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Mongiello e altri n. 4-02734, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Ascani, Sereni, Verini.

Apposizione di firme ad interrogazioni e cambio di presentatori.

  L'interrogazione Boccadutri n. 4-02698, pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta del 27 novembre 2013, deve intendersi presentata dal deputato Franco Bordo e sottoscritta anche dai deputati, Palazzotto, Ricciatti, Paglia e Lacquaniti. Contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine dei firmatari deve intendersi così modificato: Franco Bordo, Boccadutri, Palazzotto, Ricciatti, Paglia e Lacquaniti.

  L'interrogazione Boccadutri n. 4-02699, pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta del 27 novembre 2013, deve intendersi presentata dal deputato Franco Bordo e sottoscritta anche dai deputati, Palazzotto, Ricciatti, Paglia e Lacquaniti. Contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine dei firmatari deve intendersi così modificato: Franco Bordo, Boccadutri, Palazzotto, Ricciatti, Paglia e Lacquaniti.

  L'interrogazione Boccadutri n. 4-02700, pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta del 27 novembre 2013, deve intendersi presentata dal deputato Franco Bordo e sottoscritta anche dai deputati, Palazzotto, Ricciatti, Paglia e Lacquaniti. Contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine dei firmatari deve intendersi così modificato: Franco Bordo, Boccadutri, Palazzotto, Ricciatti, Paglia e Lacquaniti.

  L'interrogazione Boccadutri n. 4-02704, pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta del 27 novembre 2013, deve intendersi presentata dal deputato Franco Bordo e sottoscritta anche dai deputati, Palazzotto, Ricciatti, Paglia e Lacquaniti. Contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine dei firmatari deve intendersi così modificato: Franco Bordo, Boccadutri, Palazzotto, Ricciatti, Paglia e Lacquaniti.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione Sarti n. 5-01620, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 128 del 29 novembre 2013.

   SARTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Salerno è in corso la cementificazione della vasta superficie marittima compresa tra la spiaggia di S. Teresa (anch'essa, insieme ad un lembo di mare, in parte interessata dall'edificazione) ed il centro storico cittadino;
   l'area, già demaniale, è sottoposta a numerosi vincoli conservativi e, in particolare:
    a) riveste «preminente interesse nazionale in relazione agli interessi della sicurezza dello Stato e alle esigenze della navigazione marittima» ed è, pertanto esclusa dalla delega alla regione delle funzioni di cui all'articolo. 59 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, in virtù dell'articolo 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 dicembre 1995 pagina 92, punto 15, circostanza ribadita dalla Ministero delle infrastrutture;
    b) è sottoposta a tutte le disposizioni della parte terza del Codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo n. 42 del 2004), per effetto dell'articolo 142, comma 1, lettera a), in quanto compresa nei 300 metri dalla battigia e lettera c), perché ricadente nella fascia di 150 metri dal torrente Fusandola, classificato come «acqua pubblica» con regio decreto 7 maggio 1899, la cui tutela fu ulteriormente rafforzata, «dallo sbocco all'origine», con il decreto ministeriale 5 agosto 1957, emanato a seguito della devastante alluvione che investì Salerno nel 1954, causando oltre cento morti ed ingentissimi danni;
    c) è sottoposta alle «misure di salvaguardia della costa» prescritte dall'autorità di bacino Destra Sele, in attesa dell'approvazione del piano stralcio della costa che – stricto sensu – non avrebbero potuto consentire alcuna modifica della costa, salvo che per interventi di difesa costiera o opere marittime, previa indefettibile e preventiva valutazione di impatto ambientale, mai avvenuta;
   d) è classificata dal vigente Puc (Piano urbanistico comunale) come «area alluvionale» ad alto rischio di liquefazione sismica e, ciò nondimeno, si è proceduto alla deviazione del tratto terminale del torrente Fusandola;
   la pluralità di vincoli posti a tutela dell'area avrebbe dovuto garantirne l'integrità ed il pubblico godimento; a dispetto di tale cogente situazione vincolistica, in tale importante spazio cittadino è in corso la costruzione del mastodontico edificio privato denominato «Crescent», alto circa 30 metri e lungo circa 300 ed il comune di Salerno, con fondi pubblici, ha pressoché ultimato, sebbene con gravissimi errori progettuali e/o esecutivi (allo stato oggetto di indagine giudiziaria), una smisurata piazza pubblica di circa 35.000 metri quadrati, sopraelevata di circa 3 metri dal livello del mare. Ancora, sempre nello stesso ambito, si prevede l'edificazione di ulteriori, non meno devastanti volumetrie, con conseguente stravolgimento della stessa morfologia della costa e la perdita di irrinunciabili elementi identitari della città;
   l’iter amministrativo del devastante intervento appare, prima facie, viziato da numerosissime illegittimità e anomalie ed è, comunque, elusivo delle finalità dei vincoli di tutela, come sinteticamente di seguito evidenziato;
   come riconosciuto anche dalla competente direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Campania (che aveva chiesto modifiche riduttive), le opere sono del tutto incongrue con il contesto vincolato che, situato direttamente sul mare, rappresenta il punto di cerniera – anche visuale – tra il centro storico di Salerno e la costiera Amalfitana. soggettivo impatto determinato dalle costruzioni, l'irreversibile alterazione dello skyline urbano, la perdita di elementi identitari della città e delle visuali di pubblico godimento, fa ritenere che – anche attraverso anomale ed irrituali procedure autorizzative – ci si ponga in chiara violazione dei principi di tutela del paesaggio sanciti dall'articolo 9 della Costituzione;
   al riguardo è opportuno segnalare che per l'autorizzazione paesaggistica a suo tempo rilasciata dal comune di Salerno non fu mai esercitato il cosiddetto «controllo di legittimità» previsto dall'articolo 159 del decreto legislativo n. 42 del 2004 che, esteso alla valutazione di tutte le forme sintomatiche dell'eccesso di potere, avrebbe dovuto indurre il Soprintendente pro tempore a disporne l'annullamento, nel termine di 60 giorni dalla ricezione degli atti;
   di contro, si registra che per la pratica in questione (e solo per questa) il soprintendente, con modalità del tutto inconsuete, chiese, a pochi giorni dalla scadenza di legge, il parere del Comitato di settore per i beni architettonici e paesaggistici, determinando il prevedibile superamento dei termini e, con esso, il consolidamento dell'autorizzazione comunale, pur omettendo di esprimersi (a favore o contro) il dissennato intervento;
   con riferimento alla tutela paesaggistica, si devono inoltre registrare le seguenti, ulteriori anomalie:
    a) le autorizzazioni paesaggistiche successivamente rilasciate per parti dell'intervento (e non annullate dalla soprintendenza perché ritenute non in contrasto con la prima, di cui si è detto) sono decadute per decorrenza dei termini di validità quinquennale, ratione temporis disposti dalla legge;
    b) ulteriori varianti al progetto risultano approvate dal comune in carenza delle indefettibili autorizzazioni paesaggistiche;
   a seguito della richiesta di chiarimenti del direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici della Campania inerente proprio la sussistenza delle autorizzazioni paesaggistiche per gli interventi in atto, il soprintendente di Salerno, con nota n. 27095 del 30 settembre 2013, ha comunicato che «vista anche la complessità dell'argomento» aveva già richiesto – al responsabile del Servizio – Trasformazioni urbanistiche – del comune di Salerno, «un momento di confronto e verifica tecnica amministrativa di tutti gli atti rilasciati» e che un primo incontro sarebbe avvenuto il 10 settembre 2013;
   si ignora se, dopo il 10 settembre 2013, siano avvenuti altri incontri né quali ne siano gli esiti. È certo però che il soprintendente non ha ritenuto di adottare alcun provvedimento volto a sanzionare l'esecuzione di opere rilevanti – quali la deviazione di un torrente – in assenza di autorizzazione paesaggistica, ovvero di quelle eseguite con titoli decaduti per decorrenza dei termini di validità o, ancora, degli interventi relativi alle varianti introdotte, anch'esse in assenza di titolo paesaggistico, nel piano urbanistico di attuazione (PUA) dell'intero comparto;
   quanto sopra lascia ritenere che:
    a) l'autorizzazione paesaggistica rilasciata il 20 febbraio 2013 sia decaduta il 20 febbraio 2013 (per il decorso del termine quinquennale previsto dal decreto legislativo n. 42 del 2004);
    b) la soprintendenza non è paradossalmente in possesso di elementi tali da provare la sussistenza di una qualsivoglia autorizzazione paesaggistica che abbia assentito le opere realizzate nel torrente Fusandola;
    c) la soprintendenza non è in grado di verificare se la variante al piano urbanistico di attuazione (PUA) inerente all'area di Santa Teresa sia stata preceduta dalla necessaria autorizzazione paesaggistica;
   nonostante quanto esposto, i lavori sono proseguiti alacremente – fino all'intervento dell'autorità giudiziaria – in carenza di specifiche autorizzazioni paesaggistiche e senza che il soprintendente abbia adotto i provvedimenti del caso, espressamente previsti dagli articoli 150, 155 e 167 del Codice dei beni culturali e del paesaggio;
   l'area oggetto della cementificazione in argomento non è stata integralmente «sdemanializzata»; allo stato, infatti, una porzione di oltre 20.000 metri quadri è qualificata giuridicamente come «Beni del Demanio Pubblico dello Stato – Ramo Marina Mercantile», circostanza certificata dall'ufficio del demanio regionale e ciò nondimeno, il comune di Salerno ha alienato i «diritti edificatori» originati da tali superfici alla società privata che attende alla costruzione del Crescent;
   inoltre, una considerevole parte di tale area è incredibilmente costituita da circa 6500 metri quadrati di arenile (spiaggia storica di S. Teresa) e da circa 1.500 metri quadrati di mare, anch'essa inserita (unitamente alla fascia inedificabile di rispetto fluviale del Torrente Fusandola) nel comparto edificatorio in argomento quale superficie territoriale «St» e computata ai fini volumetrici per la realizzazione del mastodontico edificio;
   il nuovo direttore regionale dell'agenzia del demanio di Napoli (il precedente, indagato nella vicenda de qua, è stato sostituito da altro dirigente) ha riferito – con nota n. 10560 del 6 agosto 2013 – che il comune di Salerno e l'autorità portuale di Salerno stanno irritualmente consentendo l'edificazione su area non ancora sdemanializzata (per oltre 20.000 metri comunali);
   al riguardo, si fa osservare che:
    a) il vecchio alveo del torrente Fusandola non è mai stato sottratto al regime demaniale, sebbene ne sia stato deviato il corso dal comune di Salerno, utilizzando il provvedimento di occupazione temporanea di 4 anni n. 18/2009 (rinnovato con il n. 2/2013 del 27 settembre 2013) evidentemente del tutto inidoneo a consentire opere definitive «di non facile rimozione» (articolo 48 e seguenti del Codice della navigazione);
    b) il presidente dell'autorità portuale di Salerno ha rilasciato al comune di Salerno una concessione temporanea ai sensi dell'articolo 36 del codice della navigazione (n. 1/2009 n. rep. 537), utile soltanto ai fini turistico-ricreativi ed inidonea a consentire l'edificazione dell'area con opere non removibili, peraltro in area vincolata dal decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 1995; nella primavera del 2013, l'autorità portuale ha, inoltre, avviato i lavori della torre T2 (parte dello stesso comparto edificatorio) compresa, anch'essa, in ambito non sdemanializzato, circostanza attestata dalla nota del demanio n. 10560 del 6 agosto 2013;
    c) non risulta, a quanto risulta all'interrogante, ancora iniziata la procedura di totale sdemanializzazione dei circa 45.000 metri quadri del restante comparto;
    d) non sono mai pervenuti in merito pareri da parte della Capitaneria di porto e/o del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (il cui Viceministro attualmente è il sindaco di Salerno);
   a seguito dei numerosi esposti (oltre 25 analiticamente documentati) prodotti dalle associazioni ambientaliste «Italia Nostra onlus» e «Comitato No Crescent», la procura della Repubblica di Salerno ha avviato alcuni procedimenti penali, tra cui quello con n. 13095/09/21, riguardante il sindaco di Salerno e Viceministro alle infrastrutture, dottor Vincenzo De Luca, l'ex soprintendente ai beni culturali e paesaggistici di Salerno ed un dirigente comunale, nonché tutti i funzionari comunali intervenuti nell’iter procedimentale, e altri;
   dopo il crollo di parte della piazza antistante l'edificio privato – avvenuto in corso di costruzione – sono state avviate indagini a carico, tra gli altri, dell'impresa appaltatrice (oggi estromessa per intervenuta interdirettiva antimafia emessa dal prefetto di Salerno) ed altri soggetti e il cantiere è stato sottoposto a sequestro penale, tuttora operante. Al riguardo, si segnala che il ctu incaricato dalla procura della Repubblica, professor Augenti, ha dichiarato l'impossibilità e la pericolosità di eseguire prove di carico e di collaudo ed ha evidenziato, tra l'altro, che i lavori furono avviati senza la necessaria autorizzazione sismica;
   i lavori di costruzione dell'edificio privato sono proseguiti alacremente ad opera della società Crescent s.r.l. – addirittura con turnazioni notturne – fino al sequestro, disposto dal GIP, dottoressa Donatella Mancini, in data 15 novembre 2013 (nell'ambito del procedimento penale 13095/09/21) allorquando gran parte delle strutture risultava realizzata;
   la vicenda brevemente tratteggiata, che ha portato alla devastazione di uno dei tratti più significativi della città di Salerno, è paradigmatica dell'assenza di controllo, non soltanto delle pubbliche amministrazioni istituzionalmente competenti (soprintendenza, Capitaneria di porto, genio civile, autorità di bacino, autorità portuale, e altro), ma anche delle autorità giudiziarie penale;
   e invero, a dispetto della produzione di esposti analiticamente documentati, con i quali sono state segnalate – da parte delle sopra citate associazioni ambientaliste – gravi anomalie e fattispecie integranti estremi di reato, la competente autorità giudiziaria che pure avrebbe potuto e dovuto impedire lo scempio, si è determinata con un ritardo che gli interroganti giudicano inammissibile, sebbene il primo fascicolo sia stato aperto fin dall'anno 2009 (con n. 13095/09/21) –:
   se il Ministro della giustizia sia a conoscenza dei fatti esposti;
   se intenda esercitare il proprio potere in ordine a tale vicenda, anche disponendo una ispezione mirata ex articolo 7 legge 12 agosto 1962, n. 1311 ultimo comma presso gli uffici giudiziari competenti del tribunale di Salerno;
   se, all'esito di tali accertamenti, qualora ne rilevasse i presupposti, intenda assumere le opportune iniziative di promozione dell'azione disciplinare.
(5-01620)

ERRATA CORRIGE

  L'interrogazione a risposta scritta Boccadutri e altri n. 4-02700 pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 126 del 27 novembre 2013. Alla pagina 7382, seconda colonna, dalla riga trentasettesima alla riga quarantatreesima deve leggersi: «l'agroalimentare Made in Italy rappresenta più del 17 per cento del PIL e provengono dal settore agricolo oltre 53 miliardi di euro;
   il Made in Italy agroalimentare è la leva per una competitività “ad alto valore aggiunto” e per lo sviluppo sostenibile del Paese;» e non «l'agroalimentare Made in Italy rappresenta più del 17 per cento del PIL e provengono dal settore agricolo oltre 53 miliardi di il Made in Italy agroalimentare è la leva per una competitività “ad alto valore aggiunto” e per lo sviluppo sostenibile del Paese;» come stampato.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   CARRESCIA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a seguito della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale n. 71 del 28 marzo 2011 – supplemento Ordinario n. 81, dal 29 marzo 2011 è in vigore il decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 «Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE»;
   il decreto legislativo si inserisce nel quadro della politica energetica europea volta alla riduzione dell'utilizzo dei combustibili fossili e delle emissioni di CO2 e introduce rilevanti novità per gli installatori di impianti tecnologici per la produzione di energia da fonti rinnovabili;
   fino al 1° agosto 2013, per i soggetti che svolgono attività di installazione e manutenzione di caldaie, caminetti e stufe a biomassa, sistemi solari fotovoltaici e termici, sistemi geotermici a bassa entalpia, pompe di calore e altro è necessario il possesso di requisiti professionali così come stabiliti dal vigente articolo 4 del decreto ministeriale 37 del 2008 (diploma di laurea in materia tecnica specifica, diploma o qualifica conseguita al termine di scuola secondaria del secondo ciclo, seguito da un periodo di inserimento di almeno due anni continuativi alle dirette dipendenze di una impresa del settore o in alternativa titolo o attestato in materia di formazione professionale, previo un periodo di inserimento di almeno quattro anni consecutivi alle dirette dipendenze di una impresa del settore; prestazione lavorativa svolta, alle dirette dipendenze di una impresa abilitata nel ramo di attività cui si riferisce la prestazione dell'operaio installatore per un periodo non inferiore a tre anni, escluso quello computato ai fini dell'apprendistato e quello svolto come operaio qualificato, in qualità di operaio installatore con qualifica di specializzato);
   è bene ricordare che ad oggi sono in attività molti soggetti che hanno avuto d'ufficio il riconoscimento dei requisiti nell'anno 1990, anno di entrata in vigore della legge n. 46 del 1990, norma che per la prima volta prevedeva la nomina di un responsabile tecnico in possesso di specifici requisiti per lo svolgimento dell'attività nel settore impiantistico;
   dopo il 1° agosto 2013, sono previste ulteriori prescrizioni per quanto riguarda il titolo o l'attestato di formazione professionale; in particolare, i soggetti che vorranno svolgere l'attività d'installazione e di manutenzione sugli impianti suddetti e che appunto alla data del 1° agosto 2013 non saranno in possesso di un titolo di studio (laurea tecnica, diploma o qualifica tecnica), dovranno frequentare un particolare corso di formazione professionale diversificato per ogni tipologia di impiantista; per di più, nulla è specificato nel decreto legislativo 28 del 2011 per quanti hanno i requisiti per aver svolto attività lavorativa come operaio specializzato alle dipendenze di un'impresa abilitata o per quanti li hanno avuti d'ufficio;
   un responsabile tecnico divenuto tale in base a quanto previsto dalla lettera d) del comma 1 dell'articolo 4 del decreto del Ministro dello sviluppo economico 22 gennaio 2008, n. 37, e che da anni installa impianti non potrà più svolgere tali attività salvo che non frequenti, a sue spese, un corso di formazione di un elevato numero di ore da tenersi entro il 31 luglio 2013;
   dai dati segnalati dalle associazioni di categoria, in particolare dalla Confartigianato – CGIA e dalla CNA, due responsabili tecnici su cinque sono attualmente qualificati sulla base dell'esperienza acquisita sul campo dell'energia da fonti rinnovabili;
   se non verrà modificato il citato decreto legislativo 28 del 2011 salvaguardando i diritti acquisiti degli installatori di impianti che non sono laureati o diplomati ma che operano da anni sul mercato, decine di migliaia di installatori di impianti verranno a trovarsi senza lavoro –:
   se sia a conoscenza del problema sopra esposto;
   se e quali iniziative normative intenda adottare con urgenza per salvaguardare i diritti acquisiti degli installatori di impianti che non sono laureati o diplomati ma che operano da anni sul mercato e che dal 1° agosto 2013 verranno a trovarsi senza lavoro. (4-00147)

  Risposta. — Come noto l'articolo 15 del decreto legislativo 28 del 2011, attuativo della direttiva 2009/28/CE in materia di promozione delle fonti rinnovabili, ha disciplinato i requisiti tecnico-professionali minimi per il riconoscimento della qualifica professionale per l'attività di installazione e manutenzione di impianti a fonti rinnovabili.
  In particolare, il predetto decreto ha previsto la qualificazione automatica per i soggetti in possesso dei requisiti tecnico professionali di cui all'articolo 4 comma 1 lettera a, b, e c, del decreto ministeriale n. 37 del 2008, ovvero i laureati (lettera a), talune categorie di diplomati (lettera b), nonché i soggetti con titolo di formazione professionale, previo periodo di almeno quattro anni alle dirette dipendenze di un'impresa del settore (lettera c). Non è stato, invece, considerato sufficiente ai fini della qualificazione professionale il possesso della sola esperienza lavorativa come operaio installatore nel settore, escludendo di conseguenza i soggetti di cui alla lettera d) del citato decreto ministeriale del 2008.
  Il Governo ha riesaminato la questione e, in considerazione dei tempi necessari per la predisposizione dei programmi formativi da parte delle regioni e dell'esperienza acquisita da chi già svolge attività lavorativa in imprese di settore, con il decreto-legge n. 63 del 2013, convertito in legge n. 90 del 03 agosto 2013, all'articolo 17 ha introdotto una modifica al citato articolo 15 decreto legislativo n. 28 del 2011.
  La norma di modifica va nel senso auspicato dagli interroganti, in quanto consente anche ai soggetti rientranti nella categoria di cui all'articolo 4, comma 1, lettera d) di continuare svolgere la propria attività successivamente al 1° agosto 2013.
  Si fa presente, inoltre, che l'articolo 18 del citato decreto-legge n. 63 del 2013, (rubricato «Abrogazioni e disposizioni finali») ha disposto, tra l'altro, l'abrogazione del comma 3 dell'articolo 15 e del punto 4 dell'allegato 4 del decreto legislativo n. 28 del 2011, relativi, rispettivamente, ai corsi di formazione e ai requisiti del previo periodo di formazione.
  La recente norma prevede, infine, che, entro il dicembre 2013, le regioni e le province autonome attivino programmi formativi per gli installatori di impianti a fonti rinnovabili o procedano al riconoscimento di fornitori di formazione. Le stesse regioni province autonome potranno riconoscere ai soggetti partecipanti ai corsi di formazione crediti formativi per i periodi di prestazione lavorativa e di collaborazione tecnica continuativa svolti presso imprese del settore.
Il Ministro dello sviluppo economicoFlavio Zanonato.


   CENNI, DALLAI, BOBBA, REALACCI e NARDELLA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo una recente indagine oltre il 65 per cento degli italiani ritiene che la green economy rappresenti un settore strategico per superare l'attuale crisi economica ed occupazionale;
   dall'ultimo rapporto «Green Italy» (a cura della Fondazione Symbola e Unioncamere) è emerso infatti che il 38,2 per cento delle assunzioni complessive programmate nel 2012 si deve alle aziende che investono in tecnologie green;
   il decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, che attua la direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili introduce, all'articolo 15, i nuovi requisiti necessari per conseguire la qualifica di responsabile tecnico per l'attività di installatore di impianti da fonti rinnovabili, si tratta in pratica dei soggetti abilitati a sottoscrivere la cosiddetta «dichiarazione di conformità»;
   secondo le associazioni di categoria le imprese interessate dalle norme introdotte dall'articolo 15 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, saranno circa 70 mila;
   nello specifico, secondo quanto disposto dal citato articolo 15, dal primo agosto 2013 la qualifica di responsabile tecnico per l'attività di installatore di impianti da fonti rinnovabili potrà essere esercitata solo col possesso di uno dei seguenti requisiti:
    laurea in materia tecnica specifica;
    diploma di scuola secondaria e almeno 2 anni di inserimento in azienda;
    titolo di formazione professionale e almeno 4 anni di inserimento in azienda;
   il medesimo articolo 15 dispone, inoltre, che le regioni debbano attivare un programma di formazione e una norma di «riconoscimento della formazione» per ciò che concerne il «sistema di qualificazione per gli installatori»;
   tale «sistema di qualificazione per gli installatori» è già stato discusso ampiamente in sede di Conferenza Stato regioni soprattutto per arrivare a una conformità normativa condivisa capace di tutelare cittadini utenti, professionalità acquisite, concorrenza con i livelli occupazionali e la stabilità economico-produttiva delle stesse imprese;
   le associazioni di categoria hanno sottolineato come tale norma non contempli alcun riconoscimento, riguardo all'abilitazione di responsabile tecnico per l'attività di installatore di impianti da fonti rinnovabili, per chi abbia maturato negli anni, con il lavoro specializzato continuativo, una comprovata esperienza professionale;
   Confartigianato e Cna hanno inviato nei giorni scorsi una lettera all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, nella quale sono sottolineati gli effetti negativi del citato articolo 15 sul settore delle imprese che installano impianti da fonti rinnovabili;
   in particolare, la missiva segnalava che le nuove norme impediscono agli installatori che hanno già ottenuto i requisiti di cui alla lettera d) dell'articolo 4 del decreto ministeriale n. 37 del 2008 («prestazione lavorativa svolta, alle dirette dipendenze di una impresa abilitata nel ramo di attività cui si riferisce la prestazione dell'operaio installatore per un periodo non inferiore a tre anni, escluso quello computato ai fini dell'apprendistato e quello svolto come operaio qualificato, in qualità di operaio installatore con qualifica di specializzato») di continuare ad esercitare la professione di responsabile tecnico per l'attività di installatore di impianti da fonti rinnovabili:
    non si comprende la ratio di questa esclusione, che appare di dubbia legittimità, anche perché la direttiva 2009/27/CE, da cui deriva la normativa italiana, non specifica niente al riguardo;
    la norma, ad avviso degli interroganti, è palesemente lesiva del principio comunitario di tutela della concorrenza ed è destinata a produrre una drastica riduzione del numero dei concorrenti nel mercato determinando il sorgere o il consolidarsi di posizioni dominanti;
    la norma discriminerà l'accesso al mercato sulla base di un unico parametro (la partecipazione ai citati corsi di formazione) e non anche della competenza professionale effettivamente acquisita in seguito all'esercizio delle attività e che potrebbe essere materialmente comprovata dai certificati di regolare esecuzione e dalle dichiarazioni di conformità degli impianti già correttamente installati;
   da quanto esposto appare palese che l'articolo 15 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, produrrà dal primo agosto 2013 gravi difficoltà alle 70mila imprese del settore attualmente in attività, causando problemi alla operatività, ai fatturati ed ai livelli occupazionali delle aziende;
   le nuove norme imporrebbero ad artigiani e imprese tempi e costi pesantissimi, con il rischio di contribuire, in una fase già drammatica per le imprese artigiane, alla cessazione di molte attività e alla perdita irreparabile di professionalità acquisite e di posti di lavoro;
   da quanto risulta agli interroganti, inoltre, alcune regioni hanno proceduto al varo di norme interpretative molto diverse tra loro riguardo all'abilitazione di responsabile tecnico per l'attività di installatore di impianti da fonti rinnovabili;
   a titolo d'esempio, sembra che la regione Liguria abbia raggiunto un accordo preliminare con le associazioni di categoria, prevedendo che gli iscritti al registro delle imprese alla data del primo agosto 2013 (soggetti ai già citati requisiti di cui alla lettera d) dell'articolo 4 del decreto ministeriale n. 37 del 2008) e quindi già abilitati all'installazione degli impianti, non dovranno fare alcun corso di aggiornamento;
   conseguentemente, i requisiti previsti dell'articolo 15 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, in Liguria saranno applicati solo a coloro che chiederanno l'abilitazione dal primo gennaio 2013, ma così non sarà in altre regioni –:
   se il Ministro interrogato, alla luce di quanto esposto in premessa, sia consapevole delle possibili conseguenze che comporterà l'applicazione dell'articolo 15 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, e come ritenga di intervenire per evitare conseguenze disastrose sul sistema delle imprese;
   se, in particolare, ritenga utile assumere iniziative normative urgenti che rinviino l'entrata in vigore dell'articolo 15 del decreto legislativo n. 28 del 2011, al fine di elaborare, coinvolgendo le associazioni di categoria, una nuova normativa che preveda l'ampliamento dei requisiti previsti per poter ottenere la qualifica di responsabile tecnico per l'attività di installatore di impianti da fonti rinnovabili, scongiurando l'applicazione di norme a carattere retroattivo destinate a ledere il principio di libera concorrenza. (4-00277)

  Risposta. — Come noto l'articolo 15 del decreto legislativo 28 del 2011, attuativo della direttiva 2009/28/CE in materia di promozione delle fonti rinnovabili, ha disciplinato i requisiti tecnico-professionali minimi per il riconoscimento della qualifica professionale per l'attività di installazione e manutenzione di impianti a fonti rinnovabili.
  In particolare, il predetto decreto ha previsto la qualificazione automatica per i soggetti in possesso dei requisiti tecnico professionali di cui all'articolo 4 comma 1 lettera a, b, e c, del decreto ministeriale n. 37 del 2008, ovvero i laureati (lettera a), talune categorie di diplomati (lettera b), nonché i soggetti con titolo di formazione professionale, previo periodo di almeno quattro anni alle dirette dipendenze di un'impresa del settore (lettera c). Non è stato, invece, considerato sufficiente ai fini della qualificazione professionale il possesso della sola esperienza lavorativa come operaio installatore nel settore, escludendo di conseguenza i soggetti di cui alla lettera d) del citato decreto ministeriale del 2008.
  Il Governo ha riesaminato la questione e, in considerazione dei tempi necessari per la predisposizione dei programmi formativi da parte delle regioni e dell'esperienza acquisita da chi già svolge attività lavorativa in imprese di settore, con il decreto-legge n. 63 del 2013, convertito in legge n. 90 del 03 agosto 2013, all'articolo 17 ha introdotto una modifica al citato articolo 15 decreto legislativo n. 28 del 2011.
  La norma di modifica va nel senso auspicato dagli interroganti, in quanto consente anche ai soggetti rientranti nella categoria di cui all'articolo 4, comma 1, lettera d) di continuare svolgere la propria attività successivamente al 1° agosto 2013.
  Si fa presente, inoltre, che l'articolo 18 del citato decreto-legge n. 63 del 2013, (rubricato «Abrogazioni e disposizioni finali») ha disposto, tra l'altro, l'abrogazione del comma 3 dell'articolo 15 e del punto 4 dell'allegato 4 del decreto legislativo n. 28 del 2011, relativi, rispettivamente, ai corsi di formazione e ai requisiti del previo periodo di formazione.
  La recente norma prevede, infine, che, entro il dicembre 2013, le regioni e le province autonome attivino programmi formativi per gli installatori di impianti a fonti rinnovabili o procedano al riconoscimento di fornitori di formazione. Le stesse regioni province autonome potranno riconoscere ai soggetti partecipanti ai corsi di formazione crediti formativi per i periodi di prestazione lavorativa e di collaborazione tecnica continuativa svolti presso imprese del settore.
Il Ministro dello sviluppo economicoFlavio Zanonato.


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   sono 380, in Basilicata, i lavoratori del settore del mobile imbottito, dipendenti delle aziende Doimo, Incanto e Mid, che attendono il decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali per la fruizione della cassa integrazione;
   nello specifico, l'attesa dura dal febbraio scorso per i 150 dipendenti della Manifattura italiana divani (Mid) la cui cassa integrazione straordinaria dovrebbe avere una durata biennale. Alla Incanto sono 180 i lavoratori per una cassa integrazione in proroga della durata di sei mesi avviata il 6 maggio scorso, mentre alla Doimo la cassa integrazione straordinaria, che riguarda 50 lavoratori, è stata avviata il 15 giugno 2013 e avrà la durata di un anno;
   recentemente anche la Natuzzi aveva manifestato l'intenzione di chiudere gli stabilimenti di Matera e Ginosa avviando procedure di mobilità per 1726 lavoratori;
   per sostenere e rilanciare il distretto del mobile imbottito era stato previsto appena a febbraio 2013 uno stanziamento di 101 milioni di euro, grazie a un accordo di programma tra il Ministero dello sviluppo economico, la regione Puglia, la regione Basilicata e Invitalia. L'intesa aveva molteplici obiettivi, tra cui la salvaguardia e il consolidamento delle imprese murgiane che operano nel settore del mobile imbottito, l'attrazione di nuove iniziative imprenditoriali, il sostegno – finalizzato al reimpiego – dei lavoratori espulsi dalla filiera produttiva, in una zona pesantemente colpita dalla crisi delle imprese del comparto;
   le risorse finanziarie stanziate erano state così ripartite: il Mise 40 milioni di euro, la regione Puglia 40 milioni di euro, la regione Basilicata 21 milioni di euro;
   è stato costituito un comitato di coordinamento (sotto la regia di Ministero dello sviluppo economico) per assicurare l'organicità degli interventi –:
   quali siano le motivazioni per cui, nonostante il predetto recente e significativo, dal punto di vista finanziario, intervento pubblico nel distretto del mobile imbottito di quell'area, proprio in quel contesto si assiste ad una significativa perdita di posti di lavoro. (4-01689)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame riguardante i lavoratori del settore del mobile imbottito, e in particolare per i dipendenti delle aziende Doimo, Incanto e Mid si rappresenta quanto segue.
  In conseguenza dei preoccupanti segnali di crisi del «Distretto del mobile imbottito», costituito da imprese operanti tra le province di Matera, Bari e Taranto, fu sottoscritto in data 8 febbraio 2013 l'accordo di programma, cui si riferisce l'interrogante, tra le regioni Puglia e Basilicata, il Ministero dello sviluppo economico ed Invitalia spa.
  Le finalità dell'accordo in questione consistono nella salvaguardia e nel consolidamento delle imprese operanti nel settore del mobile imbottito, nell'attrazione di nuove iniziative imprenditoriali e nel sostegno al reimpiego dei lavoratori espulsi dalla filiera produttiva.
  La dotazione finanziaria dell'accordo è costituita, per quanto riguarda il Ministero dello sviluppo economico, da 40 milioni di euro, di cui 20 milioni a valere sulle risorse liberate rivenienti dalla programmazione comunitaria 2000-2006 e 20 milioni a valere sul fondo di cui alla legge 46 del 1982. A queste si aggiungono le risorse conferite dalle due regioni coinvolte, nella misura di 40 milioni da parte della Puglia e 21 milioni da parte della Basilicata a valere sul fondo per lo sviluppo e la coesione.
  Con la sopra descritta dotazione si è programmato di attuare una serie di interventi di sostegno all'apparato produttivo dei territori coinvolti, consistente in interventi agevolativi in favore degli investimenti. Mentre la regione Puglia ha inteso gestire direttamente le proprie risorse, la regione Basilicata ha destinato la propria dotazione ad un intervento sul territorio regionale da attuarsi da parte del Ministero dello sviluppo economico.
  Per garantire il coordinamento tra le diverse iniziative è stato istituito un Comitato di coordinamento che ha prodotto un piano attuativo dell'accordo. In particolare, in quest'ambito, gli interventi di competenza del Ministero dello sviluppo economico sono finalizzati alla promozione e al sostegno di iniziative imprenditoriali in grado di contribuire al recupero e consolidamento delle attività industriali esistenti e di creare nuove opportunità di sviluppo, attraverso il cofinanziamento di programmi di investimento e di ricerca e sviluppo. La concreta attuazione dell'accordo di programma è in corso.
  Al riguardo si può segnalare la sottoscrizione, il 4 settembre 2013, di un primo decreto ministeriale concernente gli interventi in favore della ricerca e sviluppo, mentre sono alla firma del Ministro i decreti relativi all'utilizzo delle risorse regionali della Basilicata per interventi finanziati nell'ambito del regime di aiuti di cui al decreto ministeriale 23 luglio 2009 e all'attivazione di un intervento per l'agevolazione di programmi di investimento produttivo, tramite ricorso al regime di aiuto dei «Contratti di sviluppo». Con ciò saranno completati i provvedimenti attuativi dell'accordo per quanto di competenza di questo Ministero.
  In merito allo specifico quesito posto dall'interrogante deve premettersi che, gli interventi a sostegno degli investimenti e in particolar modo quelli destinati a ricerca e sviluppo, possono produrre effetti in termini di recupero di competitività e, quindi, in termini di occupazione nel medio periodo. Si ribadisce, inoltre, che la perdita di posti di lavoro è stata all'origine dell'intervento pubblico, la cui dotazione, peraltro, per essere concretamente impiegata e produrre i suoi effetti, necessita dell'effettiva attivazione, da parte delle imprese, degli investimenti cofinanziati.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   DURANTI, PIRAS, LAVAGNO e AIRAUDO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 47 della Costituzione recita: «La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito. Favorisce l'accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese»;
   a Torino, causa il progressivo aggravarsi e cronicizzarsi della crisi economica, il mercato immobiliare è in pieno regresso e le vendite sono calate del 20 per cento rispetto al 2011;
   nel 2011 gli sfratti per morosità sono stati 2.343, addirittura superiori nel numero rispetto a quelli di metropoli come Milano (1.115) e Napoli (1.557), risultando nella media 1 ogni 360 abitanti;
   l'Agenzia territoriale per la casa (ATC) ha calcolato che nel 2012 ci sono state 7.504 famiglie che non sono riuscite a coprire il canone di affitto, o lo hanno fatto solo parzialmente e quindi sono da considerare come «morosi incolpevoli». Di queste almeno 2.570 rischiano lo sfratto entro la fine del 2013 in quanto non sono riuscite ad adeguarsi alle nuove regole varate dalla regione Piemonte in materia di morosità incolpevole; alla data dell'11 Febbraio 2013, risultano già 300 sfratti;
   nell'area torinese esistono numerose strutture militari abbandonate o sottoutilizzate;
   tra queste, l'ex ospedale Riberi, sito in corso IV Novembre, 66. La struttura, costruita nei primi anni del 900, è stata successivamente riadattata nel 2004 dopo il passaggio da esercito di leva a esercito professionale in modo da dedicarne una parte a scopo abitativo. Nel 2006, in occasione delle Olimpiadi invernali, è stata effettuata una ristrutturazione della maggior parte delle palazzine presenti allo scopo di allestire un media center e di garantire ospitalità ai giornalisti presenti per l'evento sportivo. Al termine delle Olimpiadi invernali, la struttura è rientrata nel pieno possesso dell'esercito. Da una visita compiuta all'interno della struttura, nonostante venga dichiarata totalmente occupata nella sua potenzialità ricettiva, appare ampiamente sottoutilizzata;
   la caserma La Marmora, sita in via Asti, risulta per quanto abbandonata ancora in buono stato. Dal settembre 2009 all'agosto 2010 la caserma è stata utilizzata per fare fronte all'emergenza dei profughi provenienti dal Corno d'Africa. Analogamente al «Riberi» anche questa struttura è stata oggetto di ispezione, dalla quale risulta che almeno una quarantina di ambienti potrebbero essere facilmente e prontamente utilizzabili. Tale disponibilità di spazi si tradurrebbe nell'ospitabilità di un numero superiore alle 150 persone –:
   segnatamente all'ex ospedale Riberi quanti siano nel dettaglio gli spazi destinati alla recezione, sia nella parte destinata al personale militare che nella struttura destinata a «foresteria»;
   quanti di questi spazi siano occupati e se esista una graduatoria lista d'attesa per la fruizione degli spazi;
   quali siano i costi mensili richiesti a parziale copertura delle spese richiesti agli assegnatari degli spazi;
   se, vista la grave situazione di emergenza abitativa, in riferimento alle strutture di cui in premessa non intenda renderle disponibili in tutto o in parte per fare fronte a questa drammatica situazione e, in tal casa, se intenda estendere la suddetta procedura anche ad altre strutture similmente inutilizzate o sottoutilizzate. (4-00986)

  Risposta. — Al fine di fornire riscontro ai numerosi e specifici quesiti posti, affronto nel merito le questioni evidenziate nell'atto, rendendo noto che, nel polo alloggiativo «Riberi», sono presenti n. 642 alloggi di servizio collettivi (Asc) e n. 30 stanze destinate a foresteria (di cui 21 doppie e 9 singole).
  Di tali alloggi n. 422 risultano occupati da personale effettivo ad enti ubicati nel capoluogo piemontese, n. 179 sono inagibili e n. 41 sono disponibili.
  L'assegnazione degli alloggi Asc, come previsto dalla vigente normativa (articolo 325 del decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010), avviene sulla base di una graduatoria formata in base all'ordine cronologico di arrivo delle richieste.
  A parziale copertura delle spese di mantenimento è richiesta, agli utenti degli alloggi in parola, la somma di euro 46,48 mensili, mentre per il pernottamento in foresteria è dovuta la somma di euro 18,33 per la stanza singola, pro die, e di euro 25,00 per quella doppia, pro die.
  Per quanto riguarda, infine, la possibilità di utilizzare le caserme «Riberi» e «La Marmora» per far fronte all'emergenza abitativa del capoluogo piemontese, si evidenzia che la Forza armata ha la necessità di mantenere in uso per le proprie finalità istituzionali tutto il comprensorio del «Riberi», stante la necessità di:
    soddisfare le esigenze alloggiative del personale militare effettivo ad enti dell'Esercito ubicati nella città di Torino (compresi i titolari di alloggi di servizio connessi all'incarico – Asi – in mancanza di unità abitative di tale genere);
    farvi soggiornare il personale inviato in missione nella città di Torino allo scopo di contenere i connessi costi, in linea con le misure di contenimento della spesa introdotte con la legge di stabilità 2013 che prevede, per il personale militare in missione, l'utilizzo delle strutture alloggiative della Difesa;
    alloggiare anche personale di altre Forze armate nell'eventualità di particolari operazioni di ordine pubblico.

  Per quanto riguarda, invece, più specificatamente la caserma «La Marmora», in consegna al 1° reparto infrastrutture di Torino quale infrastruttura inattiva dal 2006, si rende noto che la stessa risulta inserita, unitamente ad altre infrastrutture militari inattive presenti nel capoluogo piemontese, in uno specifico protocollo d'intesa sottoscritto dalla Difesa con il Comune di Torino nel 2010, per una sua alienazione/valorizzazione ai sensi dell'articolo 307 del decreto legislativo n. 66 del 2010.
  Si soggiunge, infine, che nell'attualità la stessa è stata resa disponibile, a mente di quanto previsto dalla legge n. 135 del 2010 (cosiddetta Spending Review), all'Agenzia del demanio per l'inserimento nel costituendo fondo comune di investimento immobiliare gestito dal Ministero dell'economia e delle finanze.
  Ne consegue che le future destinazioni d'uso del cespite in argomento saranno determinate dall'Agenzia del demanio, di concerto con l'Amministrazione Comunale.
Il Ministro della difesaMario Mauro.


   FERRARESI, PAOLO BERNINI, DALL'OSSO, DELL'ORCO, MUCCI, SARTI e SPADONI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la società Exploenergy S.r.l con sede a San Donato Milanese (Milano) ha presentato, al Ministero dello sviluppo economico, istanza di permesso di ricerca in terraferma, denominata Reno Centese, su di un'area di 646,9 chilometri quadrati, che interessa i comuni della regione Emilia Romagna di: Ferrara, Poggio Renatico, Mirabello, Sant'Agostino, San Giovanni in Persiceto, Bondeno, Cento, Vigarano Mainarda, Galliera, Crevalcore, Pieve di Cento, Finale Emilia, Camposanto, Ravarino, Medolla, San Felice sul Panaro, Mirandola, Bomporto;
   come si legge in rete, al sito dell'UNMIG, ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse del Ministero dello sviluppo economico – direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche, la fase del procedimento è attualmente: «In corso presentazione VIA dal parere CIRM alla presentazione della VIA (Operatore)»;
   in data 1° marzo 2013, nell'interlocutoria si legge che: «In precedenza la presente comunicazione era stata erroneamente classificata come “Comunicazione (da Operatore) avvenuta presentazione VIA”; la comunicazione della società riguarda invece l'invio alle regioni interessate di copia dell'istanza. Nella stessa nota la società ha inoltre comunicato di aver avviato gli studi di verifica ambientale. Si precisa comunque che la documentazione VIA non è stata ancora presentata»;
   questa erronea classificazione ingenera difficoltà nel seguire lo svolgimento regolare della procedura, anche in riferimento a quanto stabilito nell'ambito del disciplinare tipo (decreto ministeriale 26 aprile 2010 «Approvazione disciplinare tipo per i permessi di prospezione e di ricerca e per le concessioni di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma, nel mare territoriale e nella piattaforma continentale») dove sono definiti i termini ed i tempi di presentazione delle richieste di pronuncia di compatibilità ambientale;
   dal medesimo sito si legge peraltro, nei principali eventi dell’iter amministrativo, che in data 28 giugno 2013 si entra in una fase interlocutoria in quanto risulta esservi una richiesta di sospensione della procedura di VIA;
   la regione Emilia Romagna, con propria delibera di Giunta n. 706/2013, del 3 giugno 2013, ha scelto di sospendere qualsiasi decisione in merito ai permessi di ricerca e coltivazione idrocarburi, che riguardino i territori colpiti dal sisma del maggio 2012, fino a che non sarà noto l'esito degli studi della commissione tecnico-scientifica istituita per la «valutazione delle possibili relazioni tra attività di esplorazione per gli idrocarburi e aumento di attività sismica nell'area colpita dal terremoto dell'Emilia-Romagna nel mese di maggio 2012»;
   i comuni interessati nella ipotesi di ricerca di idrocarburi proposta dalla società Exploenergy Srl rientrano nel territorio interessato dal sisma di maggio 2012 –:
   se la società Exploenergy srl stia rispettando i tempi e le modalità di presentazione della richiesta di verifica di assoggettabilità alla procedura di valutazione di impatto ambientale e più in generale di richiesta del rilascio del permesso di ricerca;
   se la sospensiva di qualsiasi decisione in merito ai permessi di ricerca e coltivazione idrocarburi decisa dalla regione Emilia Romagna abbia influenza anche sulle scelte che vengono prese dai Ministeri interessati dalla procedura e se sì in che misura;
   se quanto si legge nell’iter amministrativo, e cioè che in data 28 giugno 2013 risulta: «Interlocutoria – da Soc: richiesta sospensione procedura di VIA», sia da riferisti o meno alla decisione della regione Emilia Romagna del 3 giugno 2013 di sospensione di qualsiasi decisione in merito ai permessi di ricerca e coltivazione idrocarburi. (4-01644)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame con la quale si chiede di avere informazioni relative all’iter istruttorio finalizzato all'eventuale conferimento di permesso di ricerca per idrocarburi liquidi e gassosi denominato «Reno Centese» della società Exploenergy, si rappresenta quanto segue.
  In relazione ai quesiti posti dagli interroganti si precisa che l'istanza di permesso di ricerca «Reno centese» è stata presentata il 14 marzo 2012 ed è stata pubblicata nel Bollettino ufficiale per gli idrocarburi e le georisorse (BUIG) LVI-4.
  Questo Ministero e, in particolare, la Direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche DGRIME, trascorsi i termini di concorrenza previsti dall'articolo 4, comma 4, del decreto legislativo 625 del 1996, ha provveduto ad acquisire il previsto parere della Commissione, per gli idrocarburi e le risorse minerarie (Cirm). L'istanza è stata esaminata con parere favorevole nella seduta del 12 dicembre 2012.
  Con nota del 15 febbraio 2012 si è provveduto a dare comunicazione alla società Exploenergy, dell'esito favorevole dell'esame in sede Cirm e ha conseguentemente chiesto l'intesa della regione competente. Con la stessa nota la società istante è stata invitata a trasmettere alle amministrazioni interessate nel procedimento la documentazione necessaria per l'esame dell'istanza medesima. Del pari la direzione cui sopra ha invitato la società ad avviare la procedura di verifica di compatibilità ambientale presso la regione competente. Gli eventi sopradescritti sono adeguatamente riscontrabili sul sito internet della DGRIME.
  In particolare si rammenta che il rilascio di un permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi, avviene a seguito di un procedimento unico al quale, ai sensi della legge n. 239 del 2004, come modificata dall'articolo 27, comma 34 della legge n. 99 del 2009, partecipano le amministrazioni statali e regionali interessate, ove all'interno dello stesso vengono acquisiti i pareri delle amministrazioni, l'esito della procedura di valutazione di impatto ambientale e, per la terraferma, l'intesa della regione, che provvede, sempre in terraferma, anche alla valutazione ambientale.
  L'esito della valutazione ambientale e il rilascio di intesa da parte della regione competente hanno valore vincolante per ogni attività del Ministero dello sviluppo economico ai fini del successivo conferimento dei titoli minerari che non possono essere rilasciati senza previa positiva intesa dalle competenti autorità regionali.
  In merito all'avvio della procedura di verifica di compatibilità ambientale si precisa che l'articolo 6, comma 4, del decreto dirigenziale 22 marzo 2011 pone specifici obblighi, a carico delle società richiedenti, di permessi di ricerca in relazione ai tempi da rispettare per l'avvio della procedura di Via.
  Detto articolo in particolare prevede che «entro 90 giorni dalla comunicazione della risoluzione delle istanze in concorrenza, o, nel caso non siano presentate istanze in concorrenza, entro 90 giorni dalla data di chiusura del periodo di concorrenza, la società richiedente presenta all'autorità competente la richiesta di verifica di assoggettabilità ambientale o di valutazione di impatto ambientale. Dell'avvenuta presentazione della richiesta di verifica di assoggettabilità ambientale è data tempestiva comunicazione al Ministero da parte della società richiedente. Nel caso il suddetto termine non venga rispettato ed in mancanza di proroga concessa dal Ministero a seguito di motivata istanza, la domanda è rigettata. Il Ministero ne da comunicazione all'escluso e all'autorità competente in merito alla valutazione di impatto ambientale.»
  La società Exploenergy s.r.l., con nota prot. n. 4386, pervenuta in data 1o marzo 2013, ha comunicato di avere inviato alla regione competente copia completa dell'istanza in argomento e di «avere avviato gli studi necessari per la verifica ambientale dall'esclusione dal VIA».
  In merito alla comunicazione di tale evento sul sito internet della DGRiME, per mero errore formale, era stato indicato che la società aveva avviato verifica di compatibilità. Successivamente questa direzione ha provveduto tempestivamente alla corretta indicazione dell'evento. Si osserva che l'azione esperita dalla società istante risulta, di fatto, preponderante ai fini delle azioni da parte dell'Amministrazione nei confronti della società, in accordo con il precitato articolo 6, comma 4, del decreto dirigenziali 22 marzo 2011 ed in tal senso avrebbe operato in assenza di specifica istanza di proroga all'avvio della procedura medesima.
  In effetti la società Exploenergy s.r.l. ha presentato apposita istanza del 18 giugno 1013 con la quale ha chiesto, sempre ai sensi dell'articolo 6 del decreto dirigenziale 22 marzo 2011, di poter rinviare l'avvio della procedura di verifica di compatibilità presso la ragione Emilia Romagna per l'istanza di permesso di ricerca in argomento. La richiesta trova, appunto, motivazione nella necessità di attendere gli esiti delle valutazioni della Commissione tecnico-scientifica istituita per la determinazione delle possibili relazioni tra attività di esplorazione per gli idrocarburi e attività sismica nell'area emiliano-romagnola. Di tale evento è stata data comunicazione sul sito internet di questa direzione con la dicitura «richiesta sospensione procedura di Via, ad oggi, più specificatamente dettagliato nel merito.
  Si precisa che l'evento sopra descritto costituisce una sospensione della procedura dell'eventuale conferimento del permesso «Rgno Centese» e la stessa sospensione è direttamente correlabile, agli effetti della deliberazione della Giunta Regionale Emilia Romagna 30 maggio 2013 «Determinazioni in materia di ricerca e coltivazione idrocarburi» che ha, appunto, deliberato di «sospendere, nel rispetto del principio di precauzione, qualsiasi decisione in merito ai progetti di ricerca e coltivazione idrocarburi che riguardano i territori colpiti dal sisma del maggio 2012 e compresi nel cratere, fino a che non sarà reso noto l'esito della commissione tecnico-scientifica».
  Conseguentemente allo stato il procedimento istruttorio risulta sospeso in attesa sia del pronunciamento di intesa della regione Emilia Romagna, che degli esiti della procedura di valutazione di impatto ambientale di esclusiva competenza della stessa regione, che di fatto come rappresentato ha sospeso qualunque espressione di determine in merito alla ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi.
  Sulla base degli eventi sopradescritti e riscontrabili, sia pure in maniera succinta, sul sito internet di questo Ministero si ritiene che la società Exploenergy s.r.l. ha provveduto nei tempi previsti per il rispetto degli obblighi imposti dalle normative vigenti in materia di ricerca e coltivazione di idrocarburi e verifica di compatibilità ambientale in conformità alle disposizioni normative di settore vigenti.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoSimona Vicari.


   GALLINELLA, CIPRINI, TERZONI, CECCONI, AGOSTINELLI, VACCA, COLLETTI, DEL GROSSO, GAGNARLI e TOFALO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel gennaio 2005 la Snam Rete gas spa ha presentato, attraverso una serie di valutazioni di impatto ambientale (VIA) parziali, un progetto per la realizzazione di un gasdotto denominato «Rete Adriatica», di 687 chilometri, suddiviso in cinque lotti funzionali: Massacra-Biccari; Biccari-Campochiaro; Sulmona-Foligno (a Sulmona è prevista anche la centrale di compressione); Foligno-Sestino e Sestino-Minerbio;
   la società proponente Snam, nel suddividere l'opera nei suddetti 5 lotti funzionali, non ha affatto considerato la direttiva n. 85/337/CEE e n. 97/11/CE e la giurisprudenza comunitaria (Corte di giustizia dell'Unione europea, sezione II, 28 febbraio 2008, causa C-2/07) concernenti l'obbligo di una valutazione di impatto ambientale di tipo complessivo, che tenga conto dell'effetto cumulativo dei progetti frazionati, non ha tenuto conto della direttiva n. 42/2001/CE disciplinante l'obbligo di applicazione della procedura di valutazione ambientale strategica e della direttiva n. 92/43/CEE sulla salvaguardia degli habitat naturali;
   inizialmente l'opera era prevista lungo la fascia adriatica, costituendo il consequenziale raddoppio dell'infrastruttura già esistente, ma all'altezza di Biccari, è stata dirottata verso l'interno;
   dall'analisi del tracciato, si evince che si tratta di un'unica struttura per il trasporto del gas metano che va ad interessare aree di particolare pregio ambientale e ad elevato rischio sismico;
   in merito ai costi ambientali, appare evidente quanto devastante e, quindi, sconsiderata, sia la scelta di un tracciato che coincide con il progetto «A.P.E.» (Appennino Parco d'Europa), il più importante progetto di sistema avviato nel nostro Paese, finalizzato alla conservazione della natura e allo sviluppo ecosostenibile con l'ambizione strategica della valorizzazione delle risorse naturali e culturali;
   per quanto attiene al rischio sismico, esso rappresenta, tra le criticità del progetto, uno degli aspetti più macroscopici: deviando l'opera, la Snam sceglie incredibilmente, un tracciato che si snoda lungo le depressioni tettoniche interne dell'Appennino centrale;
   sovrapponendo il percorso del gasdotto alle carte sismiche delle regioni interessate, balza infatti in tutta la sua evidenza che la condotta corre in parallelo e talvolta interseca le linee di taglia attive di territori caratterizzati da un notevole tasso di sismicità che si manifesta, non di rado, attraverso eventi di magnitudo elevata;
   la mappa della pericolosità sismica del territorio nazionale mette in evidenza, attraverso l'intensità della colorazione viola, le aree che sono a più elevato rischio dell'intera penisola. Sono le stesse aree che, secondo la Snam, dovrebbero essere attraversate dal mega-gasdotto Brindisi-Minerbio e tra queste, esattamente le località più tragicamente colpite dal terremoto del 6 aprile 2009, quelle del cratere sismico dell'Aquila e provincia, nonché le località del sisma che ha colpito l'Umbria e le Marche il 26 settembre 1997;
   nel settembre del 2010, si è costituito, tra le regioni Abruzzo, Marche ed Umbria, un coordinamento interregionale antigasdotto con capofila il comune dell'Aquila;
   è la stessa Snam a definire il Sulmona-Foligno ed il Foligno-Sestino «uno dei tratti più critici dell'intero progetto». Tutte le località interessate dal tracciato del gasdotto sono in zona sismica di 1° e 2° grado; anche la centrale di compressione, prevista a Sulmona, insiste su una zona sismica di 1° grado: il sito scelto per la centrale è nei pressi della faglia attiva del Monte Morrone ed i sismologi pongono l'attenzione, oltre che sulla particolare origine geologica della Conca Peligna (caratterizzata da depositi alluvionali come la piana dell'Aquila) che, in caso di terremoto, amplifica notevolmente gli effetti dell'onda sismica a causa del fenomeno dell'accelerazione, anche sulla faglia stessa, «dormiente» da oltre 1.900 anni; senza trascurare che la particolare conformazione orografica della Valle, non consentirebbe la dispersione delle sostanze inquinanti emesse dalla centrale con notevoli ripercussioni sulla salute umana e sulla catena alimentare;
   all'elevato rischio sismico che metterebbe a repentaglio l'incolumità dei cittadini ai quali viene ad avviso degli interroganti negata e sottratta l'applicazione del principio di precauzione, si sommano gli ingenti danni anche irreversibili all'ambiente ed i danni economici sia per le popolazioni colpite dal sisma che a stento cercano di risollevarsi, che per i cittadini residenti che hanno scelto per i loro territori, un modello di sviluppo eco-sostenibile che nulla ha a che vedere con infrastrutture pericolose ed impattanti imposte dall'alto;
   i consumi di gas sono in netto calo secondo i dati forniti dalla stessa Snam: 75,78 miliardi di metri cubi immessi in rete nel 2012, contro gli 84 miliardi circa del 2008, mentre le infrastrutture esistenti hanno una capacità di trasporto di 107 miliardi di metri cubi. La realizzazione di nuove infrastrutture è quindi motivata dalla volontà della Snam di rafforzare il ruolo di hub dell'Italia: rivendere il gas acquistato dal nord Africa ai Paesi del centro-nord Europa, gravando i cittadini ed i territori attraversati di pesanti servitù, rischi, danni ambientali, economici senza alcun beneficio;
   molti sono gli enti istituzionali che attraverso i loro deliberati, tutti con voto unanime, hanno espresso contrarietà all'opera come: la regione Abruzzo, la regione Marche, la regione Umbria, la provincia di Perugia, la provincia dell'Aquila, la provincia di Pesaro e Urbino, il comune di Pietralunga, il comune di Gubbio, il comune di Foligno, il comune di Cascia, il comune dell'Aquila, il comune di Sulmona, il comune di Pratola Peligna, il comune di Pacentro, il comune di Corfinio, il comune di Navelli, il comune di Introdacqua;
   l'VIII Commissione Ambiente della Camera dei deputati il 26 ottobre 2011 ha approvato all'unanimità una risoluzione che impegna il Governo a disporre la modifica del tracciato sia per gli alti costi ambientali che per l'elevato rischio sismico;
   i provvedimenti di valutazioni di impatto ambientale sono oggetto di contenzioso ancora in essere e il tracciato del metanodotto in progetto è stato oggetto di azioni legali in sede nazionale e comunitaria da parte di enti locali, comitati e associazioni ecologiste per l'assenza di procedure di valutazioni di impatto ambientale o di valutazione ambientale strategica uniche;
   il 26 giugno 2010 la provincia di Pesaro-Urbino, la provincia di Perugia, il comune di Gubbio, nel dicembre 2011 il comune di l'Aquila, la comunità montana del Catria e del Nerone, il comitato umbro-marchigiano «No Tubo», i comitati cittadini per l'ambiente di Sulmona, il comitato civico «Norcia per l'Ambiente», il gruppo d'intervento giuridico onlus, l'associazione La Lupus in Fabula onlus, la Federazione nazionale Pro Natura, il WWF Italia, Mountain Wilderness Italia, Italia Nostra, l'ARCI caccia della provincia di Perugia hanno inoltrato un ricorso alla Commissione europea affinché valuti (articolo 258 Trattato CE) la rispondenza alle normative comunitarie in materia di valutazione ambientale strategica – VAS e di valutazione di impatto ambientale – VIA del gasdotto denominato «Rete Adriatica», progettato dalla Snam Rete Gas spa (avente come partner per la distribuzione la Società British Gas);
   l'8 agosto 2011 sono stati presentati tre ricorsi straordinari al Capo dello Stato contro il progetto del gasdotto appenninico «Rete Adriatica» della Snam Rete Gas spa da parte delle associazioni ecologiste Mountain Wilderness, Lega per l'Abolizione della Caccia e Federazione nazionale Pro Natura, da parte della provincia di Perugia e da parte del comune di Gubbio, curati dall'avvocato Rosalia Pacifico, del foro di Cagliari;
   nei primi giorni del mese di luglio 2011 è stato presentato ricorso al TAR Lazio contro il decreto di compatibilità ambientale dal comune di l'Aquila;
   appare agli interroganti inutile sottoporre ad oggettivi rischi i cittadini delle aree interessate nel realizzare la nuova infrastruttura, considerando che quella attuale già soddisfa la domanda interna –:
   se non ritengano necessario assumere tutte le iniziative di propria competenza al fine di escludere che il progetto di realizzazione dell'opera coinvolga la fascia appenninica in linea con i contenuti della risoluzione approvata all'unanimità dall'VIII Commissione Ambiente nella seduta n. 553 del 26 ottobre 2011;
   se ritengano necessario considerare tutte le deliberazioni di contrarietà adottate dai vari enti istituzionali a tutti i livelli;
   quale sia l'orientamento generale del Governo nei confronti del progetto denominato «Rete Adriatica» e se, alla luce delle numerose criticità riportate in premessa, non ritenga che sia opportuno sospendere le procedure di autorizzazione attualmente in corso ed impedire la realizzazione di quest'opera così come progettata. (4-02517)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame si rappresenta quanto segue. Il progetto di gasdotto «Rete Adriatica» è composto da tratti di metanodotto che perseguono finalità parziali, e nel contempo locali, venendo a costituire lotti funzionali del progetto che conservano una loro autonomia tecnica ed economica. In particolare, i singoli lotti consentono di potenziare localmente le reti esistenti, costituendo importanti magliature delle reti medesime e potenziando la capacità di compressione sulle strutture già in esercizio, in modo da conferire maggiore flessibilità ed affidabilità al sistema di trasporto. Pertanto, la scelta di dividere la Rete Adriatica in lotti funzionali non è il frutto di un'arbitraria scelta del proponente ma risponde a concrete esigenze di ordine tecnico ed economico. Tale scelta, inoltre, ha consentito alle amministrazioni competenti una più penetrante e puntuale valutazione dei singoli tratti.
  A ciò si aggiunga la risposta in data 16 agosto 2012 della Commissione europea ad una interrogazione presentata da un deputato europeo al Parlamento, a supporto di un ricorso alla Commissione presentato da amministrazioni pubbliche (Provincia di Pesaro Urbino, Comune di Norcia, Comunità Montana Catria e Nerone) nonché da varie associazioni ambientaliste tra cui WWF, Italia Nostra, Comitato cittadino di Sulmona, che per chiarezza si riporta di seguito:
  «Il progetto di gasdotto “Rete Adriatica” della società Snam Rete Gas è stato oggetto di un'indagine che la Commissione ha avviato nel 2010 e chiuso nel maggio del 2011. In base alle informazioni fornite sia dagli autori della denuncia sia dalle autorità italiane, la Commissione non ha trovato prove di violazione della direttiva 85/337/CEE sulla valutazione dell'impatto ambientale (Via), ora codificata come direttiva 2011/92/UE né della direttiva Habitat 92/43/CEE. In base alle informazioni disponibili risulta, tra l'altro, quanto segue: La Commissione non ha dati concreti attestanti che la suddivisione del progetto nelle suddette sezioni abbia comportato una violazione della direttiva Via. Nella fattispecie risulta che si è proceduto alla valutazione dell'impatto ambientale per ciascuna sezione e che ciascuna procedura di Via ha fatto riferimento all'intero progetto. Gli effetti cumulativi sono stati pertanto valutati. Le autorità regionali e locali sono state coinvolte nelle varie procedure di Via. La direttiva 2001/42/CE sulla valutazione ambientale strategica (Vas) e la direttiva Via, non contengono riferimenti espliciti ai rischi sismici. Nel contesto della direttiva Via, si è ravvisata la necessità di una valutazione adeguata degli effetti connessi ai rischi di catastrofe. Tuttavia la versione vigente delle direttive comprende già il rischio di incidenti tra i criteri da prendere in considerazione nel vagliare la necessità di una valutazione ambientale. Inoltre, quando si procede ad una valutazione ambientale, occorre individuare e valutare tutti gli effetti di rilievo sull'ambiente».

  In merito, viceversa, alla valutazione ambientale strategica, il decreto legislativo 16 gennaio 2008 recante «Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 3 aprile 2006, ed in particolare l'articolo 5 (definizione), comma 1, lettera e) chiarisce che sono soggetti a Vas: piani e programmi: gli atti e i provvedimenti di pianificazione e di programmazione comunque denominati, compresi quelli cofinanziati dalla Comunità europea, nonché le loro modifiche: 1) che sono elaborati e/o adottati da un'autorità a livello nazionale, regionale o locale oppure predisposti da un'autorità per essere approvati, mediante una procedura legislativa, amministrativa o negoziale e 2) siano previsti da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative».
  Nello specifico Snam Rete Gas spa, che non ha affatto come partner di distribuzione la società British Gas, non è titolare di piani o programmi assoggettati a Vas secondo quanto stabilito dalla direttiva 42/2001/CE e dal decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152; infatti, Snam Rete Gas non sottopone, e non ha l'obbligo normativo di sottoporre, alcun piano alla adozione di un'autorità. Essa non deve attendere la conclusione di alcun iter formale di adozione prima di poter considerare definitivi ed immodificabili i propri programmi. Ne deriva la sostanziale inapplicabilità della Vas, non solo alla «Rete Adriatica» ma anche a tutti i gasdotti che Snam Rete Gas ha in corso di progettazione.
  Per quanto concerne la scelta del tracciato e l'ubicazione dell'impianto di compressione a Sulmona, la ricerca di un corridoio idoneo ad ospitare la «Rete Adriatica» è stata in prima battuta indirizzata in prossimità della linea di costa adriatica. Una volta, però, constatata la preclusione di questa fascia territoriale, per cause ambientali e/o geologiche e/o urbanistiche, la ricerca del tracciato si è progressivamente spostata nell'entroterra, fino ad individuare, in prossimità dello spartiacque appenninico, la direttrice migliore in termini di continuità, sicurezza e compatibilità ambientale.
  Per quanto riguarda la parte sud della «Rete Adriatica», il posizionamento del tracciato non ha incontrato ostacoli fino a Biccari (Fg). Successivamente, la scelta del corridoio è stata condizionata dall'impossibilità di trovare una via percorribile, che da Biccari (Fg) si spingesse in prossimità della fascia costiera, risalendo verso nord, in direzione di Pescara. Ciò a causa delle criticità geologiche presenti, soprattutto nel tratto Biccari-San Salvo, e per l'elevato grado di urbanizzazione che caratterizza tutta la linea di costa.
  Per i suddetti motivi, in corrispondenza di Biccari (Fg), si è dovuta abbandonare l'ipotesi di un tracciato prossimo alla costa e puntare verso l'interno, in direzione di Campochiaro (Cb). Qui, la presenza di un altro metanodotto e quindi un corridoio allo stesso collegato ha, di fatto, obbligato la prosecuzione del nuovo tracciato, lungo questa direttrice, fino a Sulmona (Aq). Questo tratto di metanodotto (denominato Campochiaro Sulmona) è già stato realizzato ed è in esercizio.
  La Rete in progetto è frutto di una attenta analisi eco-sistemica di dettaglio che ha portato alla scelta di un tracciato che assicura la maggiore compatibilità ambientale possibile. Tale assunto si basa sul presupposto fondamentale che l'opera è totalmente interrata e al termine dei lavori le aree interessate saranno oggetto di accurate opere di ripristino, sia relativamente alle aree agricole, che alle aree incolte, alle aree boschive e in generale in tutte le aree naturali.
  In particolare il tracciato del metanodotto «Sulmona — Foligno» è stato individuato dopo una dettagliata analisi di campo, di geologia, geomorfologia e idrogeologia del territorio, con particolare attenzione ai bacini fluviali principali ed a tutti i corsi d'acqua, anche minori, interferiti, alla natura dei terreni ed alle stratigrafie, elaborando specifiche schede per ogni corso d'acqua progettando le più opportune modalità di attraversamento fluviale e di ripristino morfologico.
  Sono stati analizzati i piani paesistici delle regioni Abruzzo, Lazio, Umbria e Marche ed è stata posta particolare attenzione a dispositivi di legge a carattere regionale previsti per la tutela dell'assetto idrogeologico.
  Il tracciato del metanodotto in progetto è stato quindi individuato secondo una direttrice che riduce il più possibile le interferenze con aree sottoposte a vincolo idrogeologico e fenomeni gravitativi.
  Un altro dei motivi di preoccupazione sollevato dagli interroganti riguarda l'interferenza con parchi nazionali e regionali.
  Tale interferenza si riscontra effettivamente nel lotto funzionale relativo al metanodotto «Sulmona-Foligno»: quest'ultimo, nella prima ipotesi di progetto, prevedeva l'attraversamento di due parchi nazionali e di uno regionale.
  A seguito di alcune varianti di progetto, la condotta non attraversa più il Parco Nazionale dei Sibillini, originariamente intersecato in corrispondenza della piana di Norcia, e il parco regionale Sirente-Velino, inizialmente interessato nei pressi del Comune di Prata D'Ansidonia. Il metanodotto interesserà territorialmente il Parco Nazionale Gran Sasso Monti della Laga, ma in misura molto limitata, circa 1 chilometro e, comunque, nei settori più antropizzati.
  Ulteriore motivo di preoccupazione più volte richiamato dagli oppositori al progetto afferisce al rischio sismico delle aree della aree attraversate dal metanodotto. Per vero, il tracciato dei metanodotti è stato definito scegliendo i lineamenti morfologici e geologici più sicuri (fondovalle, terrazzi, dorsali, ecc.) e comunque lontani dalle aree interessate, anche solo potenzialmente, da dissesti idrogeologici. Nello specifico, le principali strutture sismogenetiche, quali per esempio quelle presenti nel territorio aquilano attivatesi in occasione dell'evento sismico del 6 aprile 2009, non vengono mai interessate dall'opera in progetto.
  In sede progettuale, inoltre, sono stati presi in considerazione dalla società proponente gli effetti diretti di un sisma potenziale sulle tubazioni interrate, sottoponendo il metanodotto in progetto a verifica strutturale allo scuotimento a sismico (shaking) seguendo le indicazioni della normativa americana Asce (American society of civil engineers) Guidelines for the Seismic Design of Oil and Gas Pipeline Systems 1984.
  Da essa si evince che, nelle aree ad elevata sismicità, le dimensioni di progetto adottate per la trincea di posa della condotta, unitamente alle caratteristiche di duttilità e flessibilità delle tubazioni in acciaio permettono alla tubazione di sopportare agevolmente le eventuali deformazioni indotte dal sisma. I risultati di tali verifiche hanno, di fatto, evidenziato l'idoneità dello spessore della tubazione a sopportare le sollecitazioni trasmesse dal movimento transitorio del terreno durante l'evento sismico.
  Conferma della sostanziale correttezza di quanto emerso dalle verifiche condotte dalla società proponente, è data da una valutazione di tipo storicistico. Infatti, nell'ambito della casistica italiana sul comportamento sismico delle condotte interrate, si ricorda l'evento sismico del Friuli, ove esisteva nell'area epicentrale una condotta importante già operativa: il gasdotto «Sergnano-Tarvisio DN 900 (36") per l'importazione di gas naturale dalla Russia.
  Nel periodo che va da maggio ad ottobre del 1976, il Friuli fu colpito da un'intensa sequenza sismica culminata in due scosse di elevata intensità: la scossa principale di magnitudo 6,4 ed una successiva di 6,1. Il gasdotto attraversa l'area epicentrale e ha quindi subito lo scuotimento sismico massimo prodotto dal terremoto; come prevedibile, non si sono avute conseguenze ed effetti sulla tubazione, senza interruzioni di esercizio.
  In concomitanza della sequenza sismica del territorio aquilano (l'evento più forte è del 6 aprile 2009, con magnitudo valutata 6,3), non è stato rilevato alcun tipo di danno né interruzione nelle forniture né perdite di gas dai metanodotti di Snam Rete Gas, tra i quali il «Vasto-Rieti» che attraversa le aree più intensamente colpite dal terremoto.
  Più recentemente, in data 20 maggio 2012, il Distretto Sismico «Pianura Padana Emiliana» è stato interessato da oltre 100 scosse di terremoto. L'epicentro della scossa più significativa è stato individuato nell'area ubicata tra Finale Emilia e Mirandola.
  Nel territorio interessato dal sisma sono presenti infrastrutture di trasporto della rete nazionale della Snam Rete Gas, ma dopo aver effettuato i dovuti controlli, i tecnici del pronto intervento non hanno segnalato anomalie.

  La rete di trasporto gas, compresi l'impianto di compressione di Poggio Renatico e gli altri impianti, hanno garantito il regolare esercizio senza interruzioni di servizio. Quanto sopra si è confermato a seguito degli eventi sismici successivi, compreso quanto verificatosi in data 29/05/2012.
  Anche in letteratura tecnica internazionale non sono riportati casi di danni a tubazioni integre in acciaio, saldate e controllate con le attuali tecniche, per effetto dello scuotimento sismico del terreno.
  Le condotte sono comunque periodicamente controllate dalla Società Gestore della Rete Nazionale Gas dall'interno, con apparecchiature automatiche che rilevano qualsiasi variazione di spessore dell'acciaio e fenomeni corrosivi eventualmente in atto.
  Per quanto attiene alla presunta concentrazione di «sostanze inquinanti» emesse dall'impianto di compressione (erroneamente chiamato centrale), in ragione della particolare conformazione orografica della valle su cui verrebbe ad insistere l'impianto, si fa presente che le emissioni prodotte sono costituite dagli ossidi di azoto (NOx) e dal monossido di carbonio (CO) e provengono sostanzialmente dal processo di combustione del gas naturale nelle turbine a gas; nello studio di impatto ambientale la Snam Rete Gas ha effettuato idonee simulazioni sulla dispersione di codeste emissioni in atmosfera.
  Le simulazioni, che hanno tenuto in considerazione la conformazione del territorio e le caratteristiche meteoelitnatiche dell'area (compresi i ristagni dell'aria), hanno confermato che i livelli di concentrazione delle emissioni sono molto bassi e comunque circoscritti alle immediate vicinanze dell'impianto. I risultati delle simulazioni sono da considerarsi conservativi in quanto è stato ipotizzato l'esercizio più gravoso dell'impianto con un funzionamento contemporaneo di due unità di compressione alla massima potenza.
  Al riguardo giova ricordare inoltre che il funzionamento dell'impianto di Sulmona, così come per tutti gli altri 11 impianti di compressione di Snam Rete Gas in esercizio, sarà a carico variabile e di tipo intermittente in funzione dell'assetto di trasporto, determinando pertanto quantitativi emessi inferiori ai risultati delle simulazioni.
  In particolare, sono garantiti valori limite di emissione di 50 mg/Nm3di NOx e di 100 mg/Nm3di CO. Tali livelli di concentrazione rispettano ampiamente i valori limite prescritti dalla normativa vigente (25 volte inferiore per NOx e 100 volte inferiore per CO).
  In ogni caso, l'esercizio dell'impianto presuppone il rilascio dell'Autorizzazione Integrata Ambientale di competenza della Regione Abruzzo, attraverso la quale l'autorità amministrativa vicina alle popolazioni delle aree interessate dall'impianto di compressione, verifica la compatibilità dell'attività con i limiti di tutela e salvaguardia, prescrivendo misure puntuali a tutela dei corpi ricettori.
  La «Rete Adriatica» è un'iniziativa di potenziamento del sistema di trasporto del gas dal Sud Italia verso il Nord, progettata in base ai programmi di utilizzo dei punti di entrata esistenti ed alle iniziative in atto o previste dagli operatori del settore gas per crearne di nuovi (ad esempio TAF e nuovi impianti di GNL).
  Tale Rete ha, indubbiamente, una valenza strategica per il sistema di trasporto nazionale per diverse ragioni:
   1. l'incremento delle capacità dei punti di entrata della rete italiana garantirà la copertura del fabbisogno energetico del Paese nel medio-lungo termine;
   2. permetterà la realizzazione di capacità in esportazione dai punti di uscita del Nord Italia verso l'Europa settentrionale ed orientale, consentendo una reale integrazione delle reti di trasporto dei diversi Paesi europei;.
   3. consentirà di diversificare i corridoi di attraversamento del Paese, conferendo maggiore sicurezza e affidabilità al sistema di trasporto del gas.

  Inoltre, in aggiunta alle finalità generali descritte, i diversi tratti consentono di raggiungere anche una serie di obiettivi parziali, in particolare, il potenziamento delle reti regionali esistenti, l'aumento della flessibilità e della affidabilità del sistema locale di trasporto.
  In merito alle opposizioni al progetto «Rete Adriatica» occorre evidenziare che delle dieci Regioni coinvolte dal progetto ben otto hanno rilasciato il proprio parere favorevole circa la compatibilità ambientale dell'infrastruttura: Puglia, Molise, Basilicata, Campania, Marche, Umbria, Toscana ed Emilia-Romagna. Non si sono espresse la Regione Lazio e la Regione Abruzzo.
  Dal 2004 al 2011 si sono svolte presso le suddette regioni riunioni e conferenze di servizi specifiche. In questo lasso di tempo Snam Rete Gas ha incontrato tutte le amministrazioni locali, sia per presentare l'opera nel suo insieme sia per recepire le eventuali richieste di ottimizzazioni del tracciato. Nel complesso le osservazioni formulate sono state tese ad evitare soprattutto l'interferenza con progetti, iniziative o interessi di natura locale, in larga parte accolte o accoglibili. Ne è prova il fatto che il tasso di adesione agli accordi di asservimento bonari tra i proprietari dei terreni interessati e Snam Rete Gas è superiore al 66 per cento delle ditte proprietarie interessate alla realizzazione dell'opera.
  I gruppi istruttori della immissione VIA del Ministero dell'ambiente, competenti per ciascun tratto funzionale della «Rete Adriatica», hanno effettuato numerosi sopralluoghi nelle aree interessate dai tracciati dei metanodotti, con particolare riguardo ai siti più sensibili dal punto di vista ambientale (SIC, ZPS aree limitrofe ai parchi) e all'area dell’«Impianto di compressione del gas di Sulmona».
  Ai suddetti sopralluoghi hanno partecipato anche i funzionari del Ministero per i beni e le attività culturali e delle regioni interessate. Da tali incontri sono scaturite varianti e ottimizzazioni apportate ai tracciati dei gasdotti.
  In questi anni la società titolare del progetto ha altresì compiuto un'adeguata e capillare informazione circa i progetti presentati e le variazioni agli stessi effettuati durante tutto l’iter amministrativo.
  Si può, quindi, affermare che nel corso di 7 anni, tanto è durato l’iter amministrativo relativo ai gasdotti in parola, non è mai mancata da parte delle Istituzioni centrali e della società titolare del progetto la disponibilità al confronto con le Regioni, con gli enti locali ed anche con gruppi di cittadini organizzati (ne sono un esempio le varianti di Norcia e Cascia in Provincia di Perugia) per giungere alla definizione di un'opera condivisa dal territorio.
  Il 10 maggio 2012 è stato convocato, dal Ministero dello sviluppo economico, un primo tavolo tecnico-istituzionale relativo al procedimento di autorizzazione dell'impianto di spinta di Sulmona per esaminare le problematiche inerenti l'impianto; ad esso hanno partecipato, i rappresentanti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, della commissione Via-Vas, della Regione Abruzzo, della Provincia de l'Aquila, del Comune di Sulmona, e di Snam Rete Gas.
  Il tavolo è stato convocato in riferimento agli impegni assunti dal precedente Governo nella seduta del 26 ottobre 2011 (Vili Commissione Ambiente), con l'approvazione della risoluzione n. 7-00518, che impegnava il Governo a costituire un tavolo di concertazione con le Amministrazioni interessate e valutare una alternativa del tracciato del metanodotto.
  Nel corso dell'incontro, coordinato dal Sottosegretario Claudio De Vincenti del Ministero sono stati attentamente valutate le osservazioni ed i contributi dei partecipanti. La società Snam Rete Gas ha illustrato lo scopo dell'opera nonché gli studi specialistici sia relativi alla sismicità che alle emissioni dell'impianto di Sulmona.
  I rappresentanti del Ministero dell'ambiente hanno confermato che la Commissione Via-Vas ha effettuato un lavoro dettagliato, prova ne sono le 74 prescrizioni emesse nel decreto di Via del 7 marzo 2011, evidenziando che gli studi effettuati hanno dimostrato che il sito individuato dalla società proponente è quello più idoneo anche sotto al rischio sismico. Stesse considerazioni sono state svolte in relazione al tracciato dell'intera infrastruttura.
  Il tavolo tecnico si è concluso con l'intervento del Sottosegretario di Stato che ha evidenziato l'importanza strategica dell'infrastruttura e ha rinviato la discussione sul solo tratto di gasdotto «Sulmona-Foligno» ad un apposito tavolo.
  L'importanza strategica dell'infrastruttura «Rete Adriatica» ribadita nel corso del tavolo tecnico-istituzionale può essere riassunta nei seguenti punti:
   1) copertura del fabbisogno energetico del Paese nel medio-lungo termine attraverso l'incremento delle capacità dei punti di entrata da sud delle rete italiana;
   2) realizzazione di capacità in esportazione dai punti di uscita del Nord Italia verso l'Europa settentrionale ed orientale (
reverse flow), con una reale integrazione delle reti di trasporto dei diversi Paesi europei;
   3) aumento della capacità di erogazione da parte dello stoccaggio di gas di Fiume Trieste, con aumento della sicurezza di funzionamento del sistema nazionale del gas;
   4) l'opera consentendo anche il potenziamento delle reti regionali esistenti ed aumentando la flessibilità e l'affidabilità del trasporto assicurerà agli abitanti ed alle attività produttive dei territori attraversati maggiori disponibilità di gas naturale in sostituzione dei tradizionali combustibili fossili, maggiormente inquinanti rispetto al gas naturale.

  Per quanto attiene, infine, alla richiesta di tenere nella necessaria considerazione tutte le deliberazioni di contrarietà alla infrastruttura, adottate dai vari enti istituzionali, si rammenta che la determinazione conclusiva del procedimento sarà assunta nel rispetto dell'articolo 14-ter, comma 6-bis, della legge n. 241 del 1990, a mente del quale, l'amministrazione procedente, all'esito dei lavori della conferenza dei servizi, adotta la determinazione motivata di conclusione del procedimento, valutate le specifiche risultanze della Conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede.
Il Ministro dello sviluppo economicoFlavio Zanonato.


   LOCATELLI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   da quanto si apprende da un articolo del Corriere della Sera del 18 agosto 2013, il governo dell'Ecuador avrebbe deciso di fare marcia indietro e, dopo aver approvato nel 2007 un progetto definito rivoluzionario per la tutela della foresta amazzonica, avrebbe deciso di concedere le trivellazioni in una delle aree del Paese con la più vasta biodiversità, il Parco nazionale dello Yasuni;
   sei anni fa, infatti, il Governo ecuadoregno aveva deciso di sospendere le attività petrolifere nel campo di Ishpingo-Tambococha-Tiputini (ITT), che possiede riserve equivalenti a circa 920 milioni di barili di petrolio, per un valore di 7,2 miliardi di dollari, in cambio di un indennizzo di circa 3,6 miliardi da parte della comunità internazionale entro il 2023;
   tale piano, accolto con apparente entusiasmo dai Paesi occidentali e patrocinato dall'ONU, avrebbe consentito di evitare l'estrazione del greggio con la relativa riduzione di oltre 400 milioni di tonnellate di diossido di carbonio nell'atmosfera e la conservazione di un'area che, secondo alcuni recenti studi, in un ettaro quadrato accoglie più specie animali di tutta la fauna selvatica nordamericana;
   nel settembre dell'anno scorso, a margine dell'Assemblea generale dell'ONU, l'Italia, così come altri numerosi Stati, ha firmato un accordo con l'Ecuador per una conversione di una tranche del debito del Paese sudamericano, pari a 35 milioni di euro, come contributo all'iniziativa per la salvaguardia dello Yasuni;
   molti volti noti di Hollywood si sono impegnati a favore di tale iniziativa contribuendo in maniera decisiva alla raccolta di fondi;
   la popolazione ecuadoriana, in particolar modo quella indigena che vive nell'area equatoriale, ora chiede a gran voce una consultazione popolare per far decidere al popolo le sorti dell'area dello Yasuni;
   Humberto Cholango, presidente della Confederazione delle nazionalità indigene dell'Equatore (Conaie), ha affermato che in Ecuador «si consulta la popolazione sulle corride per cui non si capisce perché non si possa consultare su una questione di enorme importanza che potrebbe mettere in pericolo la vita degli indigeni e della biodiversità dell'area»;
   tutto ciò sarebbe dovuto al mancato arrivo dei fondi internazionali promessi a sostegno di tale iniziativa, a dimostrazione che al di là dell'apparenza vi è un sostanziale accordo tra i poteri economici e quelli politici che sono più interessati all'estrazione del greggio piuttosto che alla salvaguardia del pianeta;
   il Fondo creato per finanziare il progetto ha finora raccolto solo 13,3 milioni di dollari già versati e impegni per altri 116 milioni, cifra che rappresenta appena lo 0,37 per cento di quanto il governo di Quito si attendeva;
   se non si riuscirà a trovare rapidamente una soluzione il pianeta andrà incontro ad ulteriori danni irreversibili a tutto beneficio delle compagnie petrolifere che ovviamente esultano per la mancata realizzazione del progetto previsto –:
   se e per quale motivo l'Italia non abbia assolto agli impegni presi per sostenere economicamente questa importante iniziativa che, almeno sulla carta, era stata presa in una sede internazionale e che avrebbe rappresentato un importante cambiamento di rotta nelle quasi inesistenti politiche di difesa dell'ambiente;
   se non si ritenga importante ed urgente intervenire, in tutte le sedi internazionali, affinché si renda operativo l'impegno sottoscritto per impedire le riprese delle attività petrolifere nell'area del Parco nazionale dello Yasuni a difesa delle popolazioni locali e della ricca ed importantissima biodiversità ivi esistente. (4-01790)

  Risposta. — In relazione al caso segnalato dall'interrogante, si forniscono gli elementi di competenza di questa amministrazione.
  Le politiche ambientali stanno assumendo una sempre maggiore rilevanza nelle strategie d'intervento della Cooperazione italiana. Le vigenti linee guida individuano le tematiche ambientali tra i temi trasversali di cui devono tenere conto le attività di cooperazione allo sviluppo, anche al fine di recepire le conclusioni raggiunte nel 2012 dalla Conferenza sullo sviluppo sostenibile Rio+20.
  Coerentemente con questa impostazione, la cooperazione italiana ha in corso, in fase di approvazione oppure di avvio, diverse iniziative a tutela dell'ambiente. In particolare, per quanto riguarda l'America Latina, si segnalano le iniziative trilaterali «Amazzonia senza fuoco» realizzate (o da realizzarsi) in collaborazione con il Brasile in Bolivia e in Ecuador. Nei Caraibi, poi, è in corso un'iniziativa in collaborazione con il programma delle Nazioni unite per lo sviluppo (UNDP) denominata «lotta alla povertà, attraverso la riduzione della vulnerabilità ambientale delle popolazioni caraibiche». La componente ambientale, inoltre, fa parte di diverse linee di credito e di programmi di conversione del debito.
  Nel caso sottoposto dall'interrogante, l'Italia – consapevole di ciò che il parco di Yasunì rappresenta in termini di tutela della biodiversità, di contenimento dell'inquinamento atmosferico a livello globale e di protezione e sviluppo socio-economico, sostenibile ed inclusivo dei popoli dell'area – aveva inteso aderire all'iniziativa a tutela del parco attraverso un'operazione di conversione del debito che l'Ecuador ha verso l'Italia, per un importo fino a 35 milioni di euro.
  I criteri per la partecipazione italiana all'iniziativa erano stati oggetto di un accordo bilaterale firmato a Quito l'8 giugno 2012, a cui era seguita un'intesa trilaterale Italia-Ecuador-Undp sottoscritta a margine della 67a Assemblea generale dell'Onu il 25 settembre 2012. Tale intesa prevedeva che il versamento delle rate del debito dell'Ecuador da rimborsare all'Italia avvenisse direttamente al fondo fiduciario multidonatori gestito da Undp.
  Nel corso del negoziato che ha preceduto la firma dell'accordo di conversione debitoria era emerso l'interesse di Quito a formalizzare al più presto l'accordo e a darvi adeguata copertura mediatica, poiché l'ufficializzazione del sostegno italiano al Programma Yasunì-Itt avrebbe potuto costituire un elemento di grande rilievo per il futuro del programma, considerato dall'Ecuador un vero e proprio
asset nell'ambito della propria politica estera e nel campo della tutela della biodiversità.
  Alla data della firma dell'accordo, il Ministro degli esteri dell'Ecuador Patino, nell'esprimere sentimenti di «riconoscenza, gratitudine, fiducia ed amicizia» da parte del Governo ecuadoriano verso l'Italia, aveva ribadito che le risorse derivanti dall'accordo sarebbero state utilizzate per la realizzazione di progetti in settori prioritari per il Governo di Quito. Il Ministro ha quindi elogiato l'Italia per l'opportunità che veniva data all'Ecuador di progredire in questi settori ed ha ringraziato il Governo italiano per il contributo, auspicando che altri Paesi del mondo seguano l'esempio fornito dall'Italia.
  Alla firma dell'intesa tecnica Italia-Ecuador-Undp del settembre 2012 è stato altresì offerto grande rilievo mediatico da parte della stampa e dagli organi di comunicazione ecuadoriani, i quali hanno sottolineato con decisione le finalità dell'accordo di conversione del debito a favore dell'iniziativa Yasunì-Itt e ne hanno evidenziato la valenza nel contesto multilaterale.
  La firma dell'accordo e della successiva intesa tecnica hanno costituito un importante fattore di merito per il nostro Paese sul piano delle relazioni bilaterali e nel contesto multilaterale onusiano, dove la sensibilità verso il tema dello sviluppo sostenibile sta acquisendo centralità ed intensità crescenti.
  Per consentire il rapido avvio delle attività del fondo multidonatori e rispettare il termine del 31 dicembre 2012 previsto dall'Accordo bilaterale, l'Ecuador ha versato al fondo, entro quella data, una prima rata del debito oggetto di conversione pari a 1,9 milioni di dollari. Ciò ha fatto sì che l'Italia divenisse il primo contributore dell'iniziativa come singolo Paese.
  Il Governo di Quito, tuttavia, sin dalle origini dell'operazione, ha ritenuto opportuno stabilire che, se il fondo multidonatori non avesse raggiunto una consistenza minima di almeno 100 milioni di dollari, avrebbe posto termine all'iniziativa per mancanza di fondi sufficienti alla sua realizzazione. È necessario peraltro sottolineare che – stante tale condizione posta dal Governo dell'Ecuador e considerata l'attuale consistenza del Fondo (11,3 milioni di dollari depositati ad agosto 2013) – neanche l'ipotetico anticipo dell'intero ammontare del debito nei confronti dell'Italia (l'equivalente in dollari di 35 milioni di euro) avrebbe consentito di raggiungere l'importo minimo previsto dalle Autorità di Quito per dare avvio all'iniziativa.
  Il complesso degli argomenti illustrati rende chiaro l'impegno del Governo italiano alla riuscita del progetto Yasunì fin da subito, ed i concreti mezzi messi a disposizione dal governo ecuadoriano in tale prospettiva, ovvero 1,9 milioni di dollari, nei modi previsti dall'accordo 2012.
  Si segnala che, di recente, il Parlamento ecuadoriano ha approvato la richiesta del Presidente Correa di dichiarare «di interesse nazionale» lo sfruttamento dei blocchi 31 e 43 all'interno del parco nazionale di Yasunì.
  A seguito di ciò, viene ora data la scelta ai Paesi contributori sulle modalità di impiego delle risorse messe a disposizione in ambito Onu per progetti alternativi a quello a difesa del parco di Yasunì.
  Per quanto attiene la posizione italiana, questa è orientata a procedere alla negoziazione di un nuovo Accordo di conversione, sulla base di quanto previsto dall'accordo Yasunì-Itt, con l'impegno di sensibilizzare il Governo ecuadoriano alla necessità di avviare rapidamente il negoziato, secondo quanto stabilito dall'accordo di conversione firmato nel giugno 2012.
  Nonostante le sopra illustrate circostanze, rimane il fatto che, a seguito della sottoscrizione dell'accordo e dell'intesa tecnica, si è comunque sviluppato negli ultimi tempi un susseguirsi di segnali a testimonianza del rafforzamento delle relazioni bilaterali, tra cui la finalizzazione di altri importanti accordi bilaterali.
  L'Ecuador ha inoltre aumentato la consistenza delle sue Rappresentanze diplomatiche e consolari nel nostro Paese.
  Il Governo italiano potrà pertanto, grazie ai buoni rapporti intercorrenti tra i due Paesi, continuare nell'impegno, insieme agli altri Paesi donatori, nella difesa di luoghi naturali di grande valore ambientale dell'Ecuador.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriMario Giro.


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   in base a quanto riportato dal sito istituzionale del Ministero degli affari esteri, le sedi consolari all'estero hanno il compito «di assicurare la tutela degli interessi italiani fuori dai confini nazionali»;
   in quest'ottica l'Italia mantiene aperte, oltre alle ambasciate nelle capitali, le rappresentanze consolari, specialmente in quei Paesi nei quali vi è una forte presenza di connazionali;
   in Slovenia ed in Croazia risiedono comunità italiane fortemente radicate, posto che non costituiscono il frutto di un processo di emigrazione/immigrazione ma sono comunità autoctone, in quanto le terre d'Istria, del Quarnaro e della Dalmazia sono da sempre terre coabitate da sloveni, croati ed italiani;
   nonostante il fatto che dopo la seconda guerra mondiale circa trecentocinquantamila persone hanno dovuto abbandonare le proprie case e fuggire dal regime jugoslavo, ancora oggi gli italiani in quella zona sono decine di migliaia, e ad essi si aggiunge quel dieci per cento della popolazione dell'Istria che si definisce «istriana», rifiutando le categorie nazionali e riconoscendo così il carattere multiculturale della regione (censimento 2011);
   la lingua italiana è diffusa in tutta la regione anche più dell'inglese, e il dialetto istro-veneto è parlato diffusamente anche da coloro che si definiscono croati;
   in questo quadro i consolati italiani hanno fin qui svolto un ruolo di fondamentale importanza, rappresentando in queste zone un punto di riferimento importante nella diffusione e nella difesa della nostra cultura, attraverso un'attività riconosciuta e apprezzata non solo dalla comunità italiana residente in queste terre, ma anche dalle comunità slovene e croate;
   attualmente, in Slovenia esiste il solo consolato di Capodistria, mentre in Croazia i consolati aperti risultano essere il consolato generale di Fiume, il consolato di Spalato, i consolati onorari di Pola e Ragusa, e il viceconsolato onorario di Buie;
   nell'ambito di un procedimento di razionalizzazione della spesa il Ministero degli affari esteri ha annunciato dapprima la chiusura dei consolati di Capodistria e di Spalato, ma di fronte alle polemiche il viceministro Dassù ha annunciato il ritiro della decisione di chiusura del consolato di Capodistria, confermando, invece, quella relativa a quello di Spalato;
   la locale comunità degli italiani ha dato il via a una raccolta di firme durante il mese di agosto 2013, che ha totalizzato diverse centinaia di consensi fra i quali quello del sindaco della città, e il «Comitato 10 Febbraio», parallelamente, ha lanciato una petizione online che ha raccolto ad oggi 1.023 firme a sostegno del mantenimento in funzione del consolato di Spalato;
   non va dimenticato, inoltre, che l'Italia ha in quella regione grandi interessi economici, e che l'ingresso della Croazia nell'Unione europea può rappresentare, anche grazie alla forte minoranza italiana della popolazione, un'occasione per l'Italia per tornare a svolgere il suo ruolo naturale nell'Alto Adriatico, ruolo che sembra attualmente interessare più i croati che gli italiani stessi;
   pur comprendendo la necessità di una razionalizzazione della spesa del Ministero non si ritiene che essa debba avvenire a scapito della presenza italiana in aree così rilevanti sotto il profilo dei legami storici, culturali ed economici con l'Italia, ma piuttosto attraverso la riduzione di capitoli di spesa di diversa natura, nonché attraverso la riduzione di sprechi e duplicazioni e l'implementazione dei programmi di rinnovamento tecnologico –:
   se non ritenga opportuno rivedere la decisione relativa alla chiusura del consolato di Spalato, preservando il ruolo delle comunità italiane in loco, se del caso, realizzando, agli stessi fini della razionalizzazione della spesa, un contenimento dei costi a carico di altre voci del bilancio del Ministero. (4-01751)

  Risposta. — 1. Come si è avuto modo di sottolineare diffusamente in occasione delle audizioni parlamentari tenute sull'argomento, il piano di riorientamento della rete estera è ispirato ad una pluralità di esigenze fondamentali per la funzionalità della Farnesina nell'attuale contesto interno ed internazionale, ma esso non sottende in alcun modo ad una nostra volontà di arretramento sulle politiche di assistenza verso le collettività all'estero, che sono sempre state e continueranno ad essere un impegno basilare della politica estera del Paese.
  2. La ristrutturazione costituisce innanzitutto un obbligo per il Ministero degli affari esteri in forza di atti di legge, da ultimo, il decreto-legge n. 95 del 2012 sulla
spending review che – nel quadro delle attuali difficoltà congiunturali del nostro Paese – impone una precisa accelerazione alla Farnesina sotto questo profilo. Le voci del bilancio della Farnesina sono da tempo al centro di processi di forte contrazione per esigenze di contenimento della spesa pubblica.
  3. Alla base del progetto si colloca inoltre lo stato di notevole criticità delle risorse umane di cui il Ministero degli affari esteri può disporre, da anni ormai fortemente decrescenti e di cui è dunque imprescindibile un'allocazione sempre più mirata in funzione delle diverse esigenze sulla rete. Una rete che, è bene ricordarlo, è la quarta al mondo in termini di estensione. A seguito delle riduzioni di organico susseguitesi a partire dal 2006, i diplomatici sono passati da 994 a 896 unità (–10 per cento), mentre il personale delle aree funzionali è diminuito da 4118 a 3180 unità, ossia ben del 23 per cento. Per fare solo un breve ma significativo esempio, l'Italia ha un terzo dei diplomatici francesi ed un quarto dei britannici, pur gestendo una rete di estensione complessiva non certo inferiore.
  4. Il terzo fattore che spinge fortemente per un rimodellamento della complessiva struttura della rete estera del Ministero degli affari esteri è la necessità di liberare risorse da investire nei nuovi mercati emergenti e nei Paesi di nuova priorità. Rientra in tale ambito la decisione di aprire, nel quadro del medesimo processo, un'Ambasciata d'Italia in Turkmenistan (Ashgabat) e due Sedi consolari, con il rango di Consolato Generale, in Chonquing (Cina) e Ho Chi Minh City (Vietnam). Tale processo si sintonizza peraltro con quelli in corso presso i principali
partners europei dell'Italia, impegnati da tempo ad attualizzare le rispettive reti estere in modo da rafforzarne le componenti extraeuropee. L'obiettivo è di riuscire a dotare il nostro Paese di uno strumento diplomatico che, a risorse vigenti, sia in grado di dare un contributo importante a l'essenziale politica della crescita cui il Governo è fortemente impegnato e che presuppone la capacità di assecondare il Sistema Paese – in tutte le sue componenti fondamentali: politiche, strategiche, economiche e culturali – nelle esigenze di proiezione verso le nuove aree emergenti e competitive dell'attuale scacchiere internazionale. Nata in contesti storici profondamente diversi dall'attuale, soprattutto con riferimento allo straordinario cammino dell'Unione europea, la nostra rete degli uffici all'estero – specialmente per quanto riguarda gli uffici consolari – non può d'altronde non assoggettarsi a quegli adeguamenti resi necessari anche dal rapido mutare degli scenari geopolitici. Abbiamo il dovere di operare affinché la rete diplomatico-consolare si porga quale strumento moderno ed efficace al servizio della competitività internazionale e dunque della crescita del Paese. Siamo consapevoli dei sacrifici che chiediamo con l'attuazione del piano chiusure ma altrettanto convinti dei complessivi benefìci che tali iniziative di aggiornamento della rete, peraltro destinate a proseguire nei prossimi anni, apporteranno all'azione di politica estera dell'Italia.
  5. Con riguardo ai casi specifici delle sedi consolari in Croazia e Slovenia, mentre l'inclusione del Consolato in Spalato nel piano chiusure è già a tutti gli effetti operativa, la decisione sul Consolato generale in Capodistria è stata riconsiderata. Il Ministero degli affari esteri ha individuato le sedi consolari in soppressione valutando attentamente una serie di parametri obiettivi, non ultimo quello concernente il volume complessivo dei servizi consolari erogati e la consistenza dei connazionali residenti. Il Consolato di Spalato, ad esempio, rilascia circa 40 passaporti l'anno ed ha in anagrafe poco più di 1.000 connazionali residenti nella sua circoscrizione. Le associazioni di italiani sono due. I dati sembrano dunque confermare nitidamente l'opportunità di concentrare il polo consolare italiano in Croazia (oltre che nella Cancelleria consolare dell'Ambasciata a Zagabria) nel Consolato generale in Fiume, che ha «numeri» ben più consistenti, ad esempio più di 11.000 connazionali residenti e ben 40 associazioni di italiani. Le esigenze generali alla base della riorganizzazione non permettono di lasciare in piedi strutture consolari di carriera con utenze ed attività così limitate, rendendo obbligati processi di accorpamento.
  6. La decisione di chiudere il Consolato di Spalato, nell'ambito del più ampio processo di riorientamento della rete estera della Farnesina, è dettata esclusivamente da motivazioni amministrativo-funzionali, che non possono mettere in dubbio la qualità e l'intensità delle relazioni bilaterali tra Italia e Croazia, nonché la nostra tradizionale politica di attenzione verso le nostre collettività storiche lì residenti.
  7. Come evidenziato anche in sede di audizione, per quanto concerne i servizi ai nostri connazionali, il Ministero degli affari esteri – come avvenuto in precedenti fasi del processo di ristrutturazione della rete – si impegna comunque a prevedere l'attivazione nelle sedi in soppressione di agili strutture sostitutive che andranno modulate di caso in caso a seconda della composizione della collettività, del suo grado di integrazione e della distanza dalla sede principale. Per la sede di Spalato ipotizziamo l'istituzione di un Ufficio consolare onorario che, affidato ad una guida autorevole, possa garantire anche un veicolo di continuata interlocuzione con le autorità locali, oltre che di assistenza ai connazionali (con riferimento anche ai turisti che si recano in Dalmazia nel periodo estivo). Si provvederà altresì al potenziamento della sede ricevente, come detto il Consolato generale in Fiume, sia in termini di risorse umane che di tecnologia informatica, proprio per continuare a garantire i predetti servizi alle nostre comunità. A tale ultimo proposito, giova segnalare che la piattaforma per i servizi consolari
on-line (S.E.C.O.L.I), già operativa in Belgio con buoni risultati, sarà estesa progressivamente alla rete in aderenza al percorso di riorientamento. Si conti di renderla disponibile nei Paesi toccati da tale percorso, tra cui le Sedi croate, entro il primo semestre del 2014. Tale esercizio ha l'obiettivo di consentire la fruizione di numerosi servizi consolari senza la necessaria presenza fisica del connazionale.
Il Viceministro degli affari esteriMarta Dassù.


   MICCOLI e PIAZZONI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da circa novant'anni operano nel mercato dei servizi postali le agenzie di recapito meglio note come imprese private di appalti postali, le quali, sino all'anno 1999, hanno operato in regime di concessione dell'allora Ministero delle poste;
   successivamente al recepimento della direttiva comunitaria 97/67/CE, mediante l'emanazione del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, che poneva fine a tali concessioni, il Governo invitava le Poste italiane a stipulare accordi di collaborazione con le agenzie di recapito al fine di salvaguardare le stesse imprese e i livelli occupazionali;
   tali accordi si traducevano in affidamenti di corrispondenza ordinaria e raccomandata e servizi accessori di Poste italiane prorogati sino al 2007, anno in cui con un documento sottoscritto da agenzie di recapito, Poste italiane e Ministero delle comunicazioni – meglio noto come memorandum 11 dicembre 2007 – venivano definite le linee guida del processo di liberalizzazione dei servizi postali;
   nell'anno 2008 Poste italiane affidava i servizi di consegna della propria corrispondenza ordinaria raccomandata e servizi accessori con appositi bandi di gara, determinando una contrazione considerevole del valore affidato alle imprese che da circa 70 milioni del 2000 si riduceva a 58 milioni nel 2008, a 40 milioni nel 2011 e infine a 28 milioni nell'ultimo bando del 2012; tale contrazione di fatturato ha comportato rilevanti riduzioni di personale nelle imprese private; solo nell'ultimo anno i livelli occupazionali a rischio ammontano a circa 2000 unità, di cui il 30 per cento già compromesse;
   in alcune realtà come Roma e Napoli la dimensione del problema ha assunto livelli socialmente preoccupanti;
   nel predetto memorandum si stabiliva che tra le parti sarebbero state avviate iniziative e soluzioni idonee a salvaguardare l'occupazione delle agenzie di recapito e di Poste italiane; quanto esposto si realizzava di fatto solo per Poste italiane a seguito dell'accordo sulla riorganizzazione dei servizi postali del 28 febbraio 2013 firmata con le organizzazioni sindacali in cui si scongiuravano 9000 esuberi dichiarati dalla stessa azienda;
   purtroppo, per le agenzie di recapito in appalto nessun intervento sino a oggi ha garantito la tenuta dei livelli occupazionali;
   nel citato accordo sulla riorganizzazione dei servizi postali del 28 febbraio 2013 veniva sottoscritto tra le parti l'apertura di un tavolo entro il mese di aprile 2013 per la discussione delle problematiche legate alla contrazione dei volumi e dei livelli occupazionali delle aziende in appalto;
   a tutt'oggi nessuna trattativa nel merito si è mai instaurata, mentre aumenta lo stato di crisi economica e occupazionale delle imprese in appalto;
   Poste italiane – ente a totale partecipazione statale, il cui ruolo e risultato economico assumono rilevante importanza per ciò che attiene alla responsabilità sociale del nostro Paese – chiude da diversi anni bilanci con profitti in costante crescita, che si evidenziano con il risultato di un miliardo e trentadue milioni di utile ottenuto nel 2012 –:
   quali urgenti iniziative intenda adottare allo scopo di salvaguardare i duemila posti di lavoro nelle aziende degli appalti postali, anche mediante la convocazione di un tavolo di concertazione tra le parti interessate, le organizzazioni sindacali e gli organi istituzionali competenti, volto a garantire il mantenimento degli attuali livelli occupazionali. (4-00516)

  Risposta. — L'atto in esame attiene alle problematiche relative agli appalti affidati da Poste Italiane Spa ad agenzie di recapito in materia di servizi postali.
  Al riguardo si osserva che, il settore postale, a livello nazionale e comunitario, è stato interessato nel tempo da profondi cambiamenti che hanno riguardato il contesto regolatorio, il grado di concorrenzialità dei mercati e la marcata evoluzione dell'esigenze della clientela verso una significativa differenziazione dell'offerta dei servizi.
  Poste italiane spa riferisce, in tal senso, che, nel quadro normativo di riferimento, l'elemento essenziale è rappresentato dalla direttiva postale 2008/6/CE, recepita con decreto legislativo 31 marzo 2011 n. 58, che elimina esclusività del servizio postale prima assegnata a Poste Italiane (con la sola eccezione degli atti giudiziari) e che completa il processo di progressiva liberalizzazione del mercato, già avviato con le direttive 97/67/CE e 2002/39/CE, rispettivamente recepite nell'ordinamento nazionale con decreti legislativi 22 luglio 1999, n. 261 e 23 dicembre 2003, n. 384.
  Corre l'obbligo di evidenziare, altresì, il mutato contesto normativo introdotto dall'articolo 21, comma 13, del decreto-legge 6 dicembre 2011 n. 201, convertito con legge 22 dicembre 2011 n. 214, che ha previsto l'attribuzione delle funzioni di regolamentazione e vigilanza nel settore postale all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
  Entrando nello specifico dell'atto in esame, ai sensi dell'articolo 23 del decreto legislativo 261 del 1999, in attesa della completa liberalizzazione del mercato, sono stati stipulati Accordi di collaborazione tra Poste Italiane e le agenzie di recapito ex concessionarie, allora operanti sul mercato. I citati accordi, relativi agli anni 2000 e 2001, prevedevano la concessione, da parte di Poste italiane, di servizi specifici riguardanti la posta registrata, con scadenze successivamente unificate al 31 dicembre 2006.
  Nell'ottica di un innalzamento degli
standard qualitativi del servizio postale e di una evoluzione futura dei rapporti con le agenzie, nell'anno 2004, Poste Italiane ha affidato, su richiesta di queste ultime ed inizialmente a titolo sperimentale, anche nuove attività aggiuntive attraverso accordi integrativi.
  La prosecuzione dei rapporti è risultata, tuttavia, condizionata dalla capacità delle agenzie di adeguarsi ad un nuovo profilo d'impresa, stante il processo di liberalizzazione in atto, ed al rispetto degli standard di servizio in rapporto all'evoluzione del mercato.
  Poste Italiane ha realizzato, pertanto, un Albo fornitori qualificati, con requisiti di selezione coerenti con il profilo d'impresa richiamato dagli accordi integrativi e redatto con tempistiche che consentissero alle agenzie di adeguarsi ai requisiti fissati. In particolare, al fine di agevolare l'iscrizione a tale albo anche delle imprese piccole e piccolissime, sono stati fissati dei requisiti minimi di carattere tecnico/economico, consentendo la possibilità di pervenire al possesso di tali requisiti anche tramite la costituzione di consorzi stabili.
  Nel giugno del 2007 si è svolta, pertanto, la prima procedura di gara (Gara 1) alla quale ha partecipato un numero esiguo di agenzie di recapito, rispetto al totale delle agenzie invitate.
  Successivamente, a seguito dell'istituzione di un tavolo tecnico tra il Ministero delle comunicazioni, Poste Italiane spa e le agenzie di recapito, nel dicembre 2007, tramite un «Memorandum», si è individuato un percorso finalizzato al raggiungimento condiviso della data di liberalizzazione del mercato. È stato inoltre stabilito che Poste italiane procedesse, sino al 31 marzo 2008, alla proroga dell'affidamento delle attività in oggetto per volumi proporzionali a quelli affidati nel corrispondente periodo del 2007.
  In seguito, è stata pubblicata anche la nuova procedura di gara del 2008 («Gara 2»), recependo i contenuti degli impegni assunti nel citato «Memorandum». Oltre alle attività che già hanno formato oggetto della precedente gara, sono state aggiunte nuove attività e ridefinite quelle preesistenti.
  Poste italiane ha sottolineato che, a tutela degli aspetti occupazionali, in tutti i contratti derivanti dalle procedure di gara del comparto «Recapito», è stata inserita la previsione dell'obbligo dell'assunzione, a carico dell'aggiudicatario, delle maestranze precedentemente coinvolte nell'appalto, secondo quanto previsto dall'articolo 7 del Contratto collettivo nazionale del lavoro per il personale dipendente da Imprese esercenti servizi postali in appalto. È stato, altresì, previsto il divieto di subappalto al fine di evitare che le attività di servizio postale potessero essere svolte da operatori non in possesso di adeguati requisiti.
  Nel corso dell'anno 2009, la società ha deciso di indire una nuova procedura di gara (Gara 3), al fine di affidare in
outsourcing alcuni contratti oggetto di risoluzione per gravi inadempienze dei rispettivi aggiudicatari.
  A seguito dell'espletamento delle 3 differenti procedure di gara, bandite negli anni 2007, 2008 e 2009, si è giunti, nell'anno 2011, alla scadenza degli accordi quadro pluriennali aggiudicati, per i quali Poste aveva facoltà di rinnovo per ulteriori 12 mesi.
  Nell'esercizio di detta facoltà, per tale motivo, nell'anno 2012, sono risultati vigenti 34 contratti con 27 fornitori. Detti contratti sono risultati tutti avere scadenza tra giugno e settembre 2012.
  Al fine di garantire la continuità del servizio, Poste italiane ha quindi avviato, nel mese di aprile 2012, una nuova procedura di gara (Gara 4).
  L'Azienda ha ribadito che il ricorso all'Albo dei fornitori, al quale hanno accesso solo le imprese che possiedono determinati requisiti amministrativi, economici e tecnico-organizzativi, costituisce una garanzia per il soddisfacimento delle proprie esigenze di mercato, permettendo, al contempo, di garantire i necessari livelli di servizio alla clientela.
  Con riferimento al valore degli appalti affidati da Poste italiane, la stessa società ha evidenziato che gli importi di gara sono diminuiti, dal 2007 al 2012 e rispetto alle gare precedenti, a causa del notevole decremento dei volumi complessivi di corrispondenza, con una flessione pari al 36 per cento e con conseguenti impatti anche sull'utilizzo della stessa manodopera di Poste italiane spa. Pertanto, ad avviso dell'azienda, si ribadisce che la riduzione negli anni degli importi esternalizzati è dovuta anche a varie risoluzioni contrattuali, necessarie a seguito di gravi inadempienze, con inevitabili ricadute occupazionali, peraltro non dell'entità rappresentata nell'atto in esame.
  Poste italiane ha precisato anche che il numero di risorse totali, censito prima della gara 4, ammontava a 1.166 unità: di queste, n. 678 sono state impiegate nei nuovi lotti contrattualizzati con la gara 4, mentre n. 56 risorse sono state impiegate nei lotti attualmente prorogati, per un totale di n. 734 unità attualmente occupate.
  Sul piano delle relazioni sindacali, l'azienda ha comunicato di aver sottoscritto, in data 28 febbraio 2013, l'accordo di riorganizzazione del settore dei servizi postali che ha introdotto un nuovo modello organizzativo volto a razionalizzare e rendere maggiormente efficienti i servizi erogati. Poste italiane ha confermato, comunque, la propria disponibilità, nella consapevolezza delle difficoltà occupazionali del settore, ad avviare un confronto con le organizzazioni sindacali, finalizzato ad individuare una soluzione compatibile con le esigenze organizzative e produttive.
  Nel luglio 2013, infatti, si sono tenute delle riunioni nell'ambito delle quali la società ha comunicato di aver proposto un percorso per i lavoratori coinvolti nella riorganizzazione, prevedendo, per lo svolgimento di attività di recapito nelle regioni del Piemonte, Lombardia e Veneto, l'assunzione dei lavoratori con contratto a tempo determinato per un periodo di 12 mesi, prorogabile di ulteriori 4 mesi per quelli provenienti da regioni diverse.
  L'azienda ha evidenziato, altresì, che le aree territoriali individuate rappresentano le sedi nelle quali risulterebbe più proficuo l'utilizzo di tali risorse, non solo per un prevedibile sviluppo delle attività, ma anche, in applicazione dell'intesa nazionale del 22 maggio 2013 al fine di favorire eventuali processi di mobilità territoriale volontaria delle proprie maestranze, dalle regioni settentrionali a quelle meridionali. L'azienda ha formalizzato tale proposta alle organizzazioni sindacali nel corso dell'incontro che si è svolto in data 31 luglio 2013, anche mediante la consegna di una bozza di verbale di accordo. Tuttavia la soluzione prospettata, non ha trovato il pieno consenso di alcune organizzazioni Sindacali e ciò ha impedito la definizione di un'intesa anche con le altre Organizzazioni. In particolare, la SLC-CGIL ha ritenuto non accettabile la proposta, e ha chiesto alla società di prevedere assunzioni in ognuna delle Regioni nelle quali operavano precedentemente i lavoratori dipendenti delle Agenzie di recapito.
  Poste italiane, nel prendere atto dell'impossibilità di giungere, in questa fase, alla sottoscrizione di un accordo in materia, ha sottolineato che la propria ipotesi di inserimento occupazionale, rappresenti, in ogni caso, un forte segnale di attenzione alle problematiche occupazionali, nel tentativo di coniugare le esigenze aziendali con quelle sociali.
  Il Ministero dello sviluppo economico, tenendo conto della completa liberalizzazione del mercato postale e della piena autonomia organizzativa e gestionale del fornitore del servizio universale, si rende disponibile ad avviare un tavolo di incontro con le parti, al fine di individuare soluzioni tese allo sviluppo del mercato postale e prevedere azioni dirette a tutelare le piccole imprese del recapito ed i lavoratori del settore.
  Da ultimo si rappresenta che l'autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha assicurato, per quanto di propria competenza, che, nell'istruttoria sui regolamenti per il rilascio di licenze e autorizzazioni, provvederà a valutare attentamente l'opportunità, anche alla luce dei principi della liberalizzazione del mercato, di subordinare l'abilitazione all'esercizio dei servizi postali al possesso di comprovati requisiti che assicurino la solidità, sotto il profilo tecnico ed organizzativo, delle imprese abilitate.

Il Viceministro dello sviluppo economicoAntonio Catricalà.


   MOLTENI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 15 del decreto legislativo n. 28 del 2011, che reca attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, istituisce un sistema di qualificazione degli installatori di impianti che operano nel settore dell'energia da fonti rinnovabili, definendo i requisiti per l'attività di installazione e di manutenzione straordinaria di caldaie, caminetti e stufe a biomassa, di sistemi solari fotovoltaici e termici sugli edifici, di sistemi geotermici a bassa entalpia e di pompe di calore;
   i requisiti tecnico professionali richiesti agli installatori, a decorrere dal 1° agosto 2013, ripropongono le prime tre delle quattro tipologie di requisiti oggi vigenti, ai sensi dell'articolo 4 del decreto ministeriale n. 37 del 2008, ossia:
    a) laurea;
    b) diploma + esperienza lavorativa;
    c) attestato professionale + esperienza lavorativa;

   nulla si prevede per la quarta tipologia «d)» dell'articolo 4 del decreto ministeriale n. 37 del 2008, ossia: «d) prestazione lavorativa svolta, alle dirette dipendenze di una impresa abilitata nel ramo di attività cui si riferisce la prestazione dell'operaio installatore per un periodo non inferiore a tre anni, escluso quello computato ai fini dell'apprendistato e quello svolto come operaio qualificato, in qualità di operaio installatore con qualifica di specializzato nelle attività di installazione, di trasformazione, di ampliamento e di manutenzione degli impianti»;
   in pratica, l'articolo 15 del decreto legislativo n. 28 del 2011 impedisce di lavorare ai soggetti che, pur non avendo titoli di studio, hanno maturato una significativa esperienza nell'installazione di impianti nel settore delle rinnovabili, tanto da raggiungere e mantenere per almeno tre anni il livello di operaio specializzato (raggiungibile dopo un periodo di apprendistato e di operaio qualificato);
   pertanto, dal 1° agosto 2013, 57.000 installatori di impianti, che negli ultimi anni hanno maturato esperienza e conoscenza nel settore delle rinnovabili, potrebbero trovarsi senza lavoro;
   la norma si presenta alquanto discriminatoria, in quanto nega a tali lavoratori il riconoscimento delle competenze acquisite, non prevedendone nemmeno possibilità di svolgimento di corsi di aggiornamento professionale;
   tale disposizione, peraltro non prevista dalla direttiva 2009/28/CE, si pone in netto contrasto sia con la prassi normativa che solitamente comprende un periodo transitorio in tutti i casi in cui si introducono nuovi requisiti che mettono in discussione attività professionali in essere, e sia con il principio comunitario di libera concorrenza e con quello costituzionale di uguaglianza sostanziale;
   il settore delle rinnovabili mostra ancora grandi potenzialità di crescita e lo «stop» posto dall'articolo 15 del decreto legislativo n. 28 del 2011, che vieta a gran parte degli imprenditori di continuare a svolgere la loro attività anche successivamente al 1° agosto 2013, creerebbe un arresto dell'economia nazionale, particolarmente gravoso nell'attuale momento di crisi che attraversa il Paese –:
   quali iniziative urgenti, anche normative, il Ministro intenda adottare per consentire ai responsabili tecnici già abilitati ai sensi dell'articolo 4, lettera d), del decreto ministeriale n. 37 del 2008, di poter continuare a svolgere la propria attività anche successivamente al 1° agosto 2013, data di entrata in vigore dei nuovi requisiti previsti dall'articolo 15 del decreto legislativo n. 28 del 2011, magari, anche prevedendo per loro la possibilità di frequenza di un corso di aggiornamento obbligatorio, in forma di seminario o altro, similmente a quanto previsto per il rinnovo della qualificazione ai sensi della lettera f) del comma 1 dell'allegato 4. (4-00523)

  Risposta. — Come noto l'articolo 15 del decreto legislativo 28 del 2011, attuativo della direttiva 2009/28/CE in materia di promozione delle fonti rinnovabili, ha disciplinato i requisiti tecnico-professionali minimi per il riconoscimento della qualifica professionale per l'attività di installazione e manutenzione di impianti a fonti rinnovabili.
  In particolare, il predetto decreto ha previsto la qualificazione automatica per i soggetti in possesso dei requisiti tecnico professionali di cui all'articolo 4 comma 1 lettera
a, b, e c, del decreto ministeriale n. 37 del 2008, ovvero i laureati (lettera a), talune categorie di diplomati (lettera b), nonché i soggetti con titolo di formazione professionale, previo periodo di almeno quattro anni alle dirette dipendenze di un'impresa del settore (lettera c). Non è stato, invece, considerato sufficiente ai fini della qualificazione professionale il possesso della sola esperienza lavorativa come operaio installatore nel settore, escludendo di conseguenza i soggetti di cui alla lettera d) del citato decreto ministeriale del 2008.
  Il Governo ha riesaminato la questione e, in considerazione dei tempi necessari per la predisposizione dei programmi formativi da parte delle regioni e dell'esperienza acquisita da chi già svolge attività lavorativa in imprese di settore, con il decreto-legge n. 63 del 2013, convertito in legge n. 90 del 3 agosto 2013, all'articolo 17 ha introdotto una modifica al citato articolo 15 decreto legislativo n. 28 del 2011.
  La norma di modifica va nel senso auspicato dagli interroganti, in quanto consente anche ai soggetti rientranti nella categoria di cui all'articolo 4, comma 1, lettera d) di continuare svolgere la propria attività successivamente al 1o agosto 2013.
  Si fa presente, inoltre, che l'articolo 18 del citato decreto-legge n. 63 del 2013, (rubricato «Abrogazioni e disposizioni finali») ha disposto, tra l'altro, l'abrogazione del comma 3 dell'articolo 15 e del punto 4 dell'allegato 4 del decreto legislativo n. 28 del 2011, relativi, rispettivamente, ai corsi di formazione e ai requisiti del previo periodo di formazione.
  La recente norma prevede, infine, che, entro il dicembre 2013, le regioni e le province autonome attivino programmi formativi per gli installatori di impianti a fonti rinnovabili o procedano al riconoscimento di fornitori di formazione. Le stesse regioni e province autonome potranno riconoscere ai soggetti partecipanti ai corsi di formazione crediti formativi per i periodi di prestazione lavorativa e di collaborazione tecnica continuativa svolti presso imprese del settore.

Il Ministro dello sviluppo economicoFlavio Zanonato.


   MOLTENI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto 5 aprile 2013, del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, emanato dal precedente Governo, stabilisce i nuovi criteri per identificare le impresse a forte consumo di energia;
   il decreto è stato emanato ai sensi dell'articolo 39 del decreto-legge 83 del 2012, convertito, con modificazioni dalla legge n. 134 del 2012, in attuazione della direttiva 2003/96/CE, la quale, all'articolo 17, detta disposizioni in materia di criteri di revisione del sistema delle accise sull'elettricità e sui prodotti energetici, prevedendo regimi tariffari speciali per i grandi consumatori industriali di energia elettrica;
   ai sensi del decreto ministeriale 5 aprile 2013, l'azienda cosiddetta «energivora» è identificata sulla base sia dell'ammontare del valore assoluto dei costi energetici, che devono superare i 2.400.000 chilowattora all'anno, sia sulla base dell'incidenza del costo dell'energia sul proprio volume complessivo d'affari;
   tali imprese, hanno diritto ad agevolazioni sia sulle accise per l'energia complessivamente utilizzata nel processo produttivo, sia sui cosiddetti oneri di sistema (che coprono in particolare gli incentivi per le rinnovabili) relativi all'energia elettrica acquistata;
   in particolare, le aziende con un costo totale dell'energia superiore al 3 per cento del fatturato hanno diritto ad agevolazioni sulle accise e, inoltre, le aziende con un rapporto tra costo della sola energia elettrica e fatturato superiore al 2 per cento hanno diritto a riduzioni sugli oneri di sistema, in maniera crescente proprio in base a tale rapporto;
   l'aver posto livelli di consumo minimo elevati, ossia superiori a 2.400.000 chilowattora, ha escluso da possibili benefici tutto il sistema delle micro, piccole e medie imprese, che hanno ridotti consumi in termini di entità ma elevata incidenza in termini di costo sostenuto rispetto al valore produttivo dell'impresa;
   il livello di consumo minimo pari a 2.400.000 chilowattora non è previsto dalla direttiva europea 2003/96/CE;
   il 24 aprile 2013, il Ministro dello sviluppo economico Passera ha inviato all'Aeeg un atto di indirizzo per la determinazione degli oneri generali di sistema elettrico per le imprese a forte consumo di energia che purtroppo accentua le sperequazioni esistenti;
   tale atto di indirizzo fa salve le agevolazioni esistenti e istituisce una ulteriore nuova classe di agevolazioni in favore di imprese rientranti nella definizione di impresa a forte consumo di energia; il costo di tale nuova classe di agevolazioni viene ripartito su tutti gli altri utenti finali non agevolati, in misura uguale, ossia alle piccole e medie imprese (che non rientrano nella definizione di impresa a forte consumo di energia) e alle famiglie;
   da alcuni primi calcoli effettuati dalle imprese sembra che il costo di questa nuova agevolazione è pari a 600 milioni circa che andrà a beneficio di circa 5.000 imprese e, se non verrà modificata la linea politica da parte del nuovo Governo, tale costo verrà interamente sussidiato da 33 milioni di utenze domestiche e da 7 milioni di piccole imprese;
   ovviamente, l'obiettivo del precedente Governo è stato quello di consentire il recupero di competitività di una fetta importante del nostro sistema produttivo, assegnando ai grandi operatori «energivori» sgravi sia in termini di oneri di sistema sia in termini di agevolazioni fiscali; tuttavia, la rimodulazione degli oneri prevista penalizza oltre modo le piccole e medie imprese e le famiglie –:
   se i Ministri non intendano assumere le opportune iniziative per rivedere la definizione dell'impresa a forte consumo di energia e il limite delle 2.400.000 chilowattora annue di cui al decreto ministeriale 5 aprile 2013, non fissato dalle direttive comunitarie, e se non ritengano opportuno rielaborare l'atto di indirizzo ministeriale del 24 aprile 2013, prima che l'Aeeg inizi a lavorare sulle ipotesi di rimodulazione ivi indicate, allo scopo di riaprire lo spazio per un confronto con le imprese piccole e medie che permetta di giungere ad un sistema di agevolazioni per le imprese «energivore» che eviti di incidere sui soggetti non agevolati, ossia piccole e medie imprese e famiglie. (4-00605)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue. L'articolo 39 del decreto-legge 22 giugno 2012 n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, (di seguito: decreto-legge n. 83 del 2012) ha previsto, in applicazione dell'articolo 17 della direttiva 2003/96/CE, la definizione delle imprese «energivore» in base a requisiti e parametri relativi a livelli minimi di consumo ed incidenza del costo dell'energia sul valore dell'attività d'impresa, ai fini della successiva rimodulazione delle accise sui prodotti energetici e degli oneri di sistema elettrico.
  In attuazione del comma 1 della suddetta norma, è stato quindi emanato il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, 5 aprile 2013, con cui sono stati definiti i criteri e le procedure per identificare le imprese a forte consumo di energia, utilizzando parametri relativi a livelli minimi di consumo e incidenza minima del costo dell'energia sul fatturato scelto quale indicatore del valore dell'attività di impresa.
  Per la definizione del decreto interministeriale, sono state effettuate analisi e simulazioni sia sui consumi di energia elettrica delle imprese, sia sui costi dell'energia acquistata e sul calcolo dell'incidenza di tali costi sui valori del fatturato, con l'obiettivo di individuare valori limite dei parametri tali da intercettare le imprese ad alta intensità energetica non agevolate nell'attuale sistema di ripartizione degli oneri che è basato esclusivamente sull'entità dei consumi.
  L'introduzione di un limite minimo di consumi nasce da una specifica previsione della normativa primaria, nonché dall'esigenza di garantire massima efficacia alla misura. È infatti evidente la necessità di porre delle limitazioni ai soggetti agevolabili per assicurare, a parità di oneri complessivi, una significativa riduzione del carico tariffario alle imprese a forte consumo di energia, in funzione del grado di «energivorità». Diversamente, ovvero non ponendo limiti alla platea dei potenziali beneficiari, si determinerebbe un aumento del carico tariffario, ulteriore rispetto a quanto già stimato in 600 milioni di euro, da ripartire tra le famiglie e le imprese escluse dal beneficio.
  Si ricorda che, come previsto dalla norma primaria, sono stati adottati gli atti di indirizzo all'Autorità per l'energia elettrica e il gas del 24 aprile 2013 e del 24 luglio 2013, con cui sono state fornite indicazioni, nell'ottica di dare incisività all'operazione, per la rideterminazione dei corrispettivi a copertura degli oneri generali di sistema elettrico e dei criteri di ripartizione dei medesimi sui clienti finali, nonché per l'applicazione selettiva della misura alle attività produttive appartenenti al settore manifatturiero, al fine di sostenere la competitività delle imprese più esposte alla concorrenza internazionale.
  Con l'attuazione del decreto-legge n. 83 del 2012 è stato, pertanto, realizzato il superamento di un sistema di agevolazioni basato solo sulle quantità di energia consumata che, dato il crescente peso degli oneri di sistema, ha finito con il costituire una discriminazione tra imprese del medesimo settore ma di dimensioni diverse.
  Sembra, quindi, tenuto conto dell'esigenza di mantenere invariato il gettito tariffario complessivo, che l'operazione delineata per la revisione della ripartizione degli oneri di sistema vada nel senso di una maggiore equità, come anche auspicato dall'interrogante.
  Da ultimo, si segnala che il Governo, oltre alla suddetta redistribuzione degli oneri, sta mettendo in atto una serie di misure volte alla riduzione dei costi della tariffa elettrica, e in particolare degli oneri di sistema. Tra le misure di recente adozione si ricordano le disposizioni introdotte con il decreto-legge 21 giugno 2013, n.69, convertito nella legge 9 agosto 2013, n. 98 relativa all'abrogazione del prelievo, destinato allo Stato, sulla componente tariffaria A2 e la revisione della remunerazione degli impianti in regime Cip 6/92.

Il Ministro dello sviluppo economicoFlavio Zanonato.


   PIAZZONI, MARCON, NICCHI, MELILLA e AIELLO. — Al Ministro per le pari opportunità, lo sport e le politiche giovanili. — Per sapere – premesso che:
   il Servizio civile nazionale consente a tanti giovani dai 18 ai 28 anni di servire l'Italia in modo non armato e nonviolento, sviluppando un alto senso civico nell'aiuto concreto a persone svantaggiate (dai disabili ai rifugiati, dagli immigrati ai minori a rischio, ai malati terminali), nella cooperazione internazionale all'estero, nella tutela del patrimonio pubblico artistico, ambientale, culturale e nella protezione civile;
   le risorse finanziarie destinate al Servizio civile nazionale sono state ridotte drasticamente di anno in anno: nel 2008 erano 266,1 milioni di euro, nel 2009 sono scese a 210,6 milioni, nel 2010 a 170,3 milioni, nel 2011 a 123,4 milioni, nel 2012 a 68,8 milioni, nel 2013 a 61,2 milioni con conseguente inevitabile riduzione del numero complessivo dei giovani impegnati nelle varie attività;
   nel 2007 i posti a disposizione per i giovani del servizio civile erano 51.273 a fronte di 104.815 domande, nel 2011 sono scesi a 20.157 a fronte di 86.571 domande;
   per il 2013 la legge di stabilità ha stanziato 71 milioni di euro più altre risorse che dovrebbero derivare dal fondo di cui all'articolo comma 270 dell'articolo 1 della legge n. 228 del 24 dicembre 2012;
   il Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione pro tempore aveva reperito altri 50 milioni di euro assicurando che si sarebbero potuti emanare i bandi 2013 e 2014 per un contingente di 18.800 volontari annui;
   alcuni giorni fa, diversamente da quanto annunciato nel giugno scorso dal Ministro pro tempore Riccardi, il Ministro interrogato ha dichiarato che il bando servizio civile per il 2013, sarà realizzato a settembre e permetterà l'avvio al servizio di soli 15.000 giovani in Italia e 450 all'estero;
   questa scelta avrà pesanti conseguenze sui giovani e sugli enti, che aspettano da 2 anni, l'uscita del bando, e pone forti dubbi sulla sostenibilità dell'intero sistema rimettendo in discussione, autonomamente un accordo condiviso tra Ministro, Ufficio nazionale del servizio civile, enti e rappresentanti dei giovani in servizio civile –:
   quali siano le motivazioni che impediscono di utilizzare per i bandi che partiranno a fine 2013 anche i fondi previsti per il 2014 come sempre successo;
   quali siano le effettive risorse che il Governo intende destinare per il 2013 al Servizio civile nazionale, quanti posti conseguentemente sia possibile mettere a bando e quale sia la reale volontà politica per aumentare le risorse rilanciando questo istituto della Repubblica e invertendo l'andamento al ribasso che ha portato il servizio civile dai 50.000 avvii del 2008 ai 15.000 del 2013;
   quali siano le cause e quali eventuali iniziative intenda prendere il Governo in relazione ai ritardi nelle procedure di valutazione dei progetti che causano lo slittamento della pubblicazione dei bandi per i giovani. (4-00806)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, l'interrogante pone una serie di quesiti in merito alle risorse disponibili per il bando del servizio civile nazionale per il 2013, sulle iniziative per rilanciare questo importante strumento e sulle procedure di valutazione dei progetti.
  A tal riguardo, le comunico che venerdì 4 ottobre 2013 sono stati pubblicati il nuovo bando per il servizio civile nazionale e i bandi regionali di selezione dei volontari, che complessivamente permetteranno la partecipazione di 15.466 giovani, 502 dei quali da impiegarsi in progetti all'estero.
  Tale termine ha tenuto conto dell'acquisizione dei pareri favorevoli della Conferenza Stato-regioni e le province autonome di Trento e Bolzano e della Consulta nazionale per il servizio civile sul documento di programmazione finanziaria per il 2013.
  Si è deciso di non aumentare il contingente di volontari utilizzando le risorse finanziarie programmate per il 2014, in quanto tale scelta avrebbe potuto determinare la mancata adozione del bando di selezione come già avvenuto nel 2012. Inoltre, si è tenuto anche conto dell'incertezza delle disponibilità delle risorse finanziarie assegnate al Fondo nazionale del servizio civile in caso di ulteriori tagli dovuti ad eventuali nuove manovre di finanza pubblica.
  Dal punto di vista finanziario, pur nell'attuale difficile contesto economico che aveva comportato le progressive riduzioni degli stanziamenti per il Servizio civile nazionale negli ultimi anni, il mio impegno e quello del Governo è stato quello di recuperare ulteriori risorse. Ciò ha permesso di avere a disposizione 99.923.540 di euro per i bandi del 2013, al netto dei costi generali e di funzionamento e degli oneri finanziari scaturiti dai precedenti bandi, consentendo in tal modo l'avvio complessivo di 15.466 giovani.
  Per quanto riguarda i bandi appena pubblicati, la ripartizione del Fondo per il servizio civile prevede una quota del 54 per cento assegnato al Dipartimento della gioventù e del servizio civile nazionale (compresa la quota dei volontari da impiegare all'estero) e la restante, pari al 46 per cento, distribuito tra le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano.
  Nel bando per gli enti iscritti all'albo nazionale sono stati ammessi al finanziamento 542 progetti da svolgersi in Italia per un totale di 7.614 volontari e 48 da realizzarsi all'estero per 502 volontari, cui si aggiungono i 6 progetti autofinanziati dalla Confederazione nazionale delle misericordie per altri 30 volontari.
  I 21 bandi delle regioni e delle province autonome permetteranno invece la partecipazione di 7320 volontari e 1.189 progetti finanziati dal Fondo nazionale servizio civile.
  Infine, riguardo ai ritardi nelle procedure di valutazione dei progetti, il procedimento amministrativo di esame e valutazione comparativa dei progetti del servizio civile nazionale è stato avviato (8 novembre 2012) e terminato con il decreto direttoriale di approvazione delle graduatorie finali dei progetti (n. 139 del 29 aprile 2013), entro il termine dei sei mesi previsto dalla normativa vigente (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 16 luglio 2010, n. 142).

Il Ministro per l'integrazioneCécile Kyenge.


   ROSATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione avvia una procedura di infrazione quando si ritiene che uno Stato membro abbia mancato ad uno degli obblighi imposti dal diritto dell'Unione. In particolare, l'infrazione può consistere nella mancata attuazione di una norma europea oppure in una disposizione o in una pratica amministrativa nazionali che risultano con essa incompatibili;
   le decisioni relative all'apertura, all'aggravamento o alla chiusura di una procedura di infrazione sono adottate dal Collegio dei commissari europei, in apposite sessioni che hanno luogo a cadenza mensile. Il Collegio dei commissari adotta una decisione di archiviazione quando lo Stato membro si conforma ai rilievi della Commissione europea o quando quest'ultima si ritiene soddisfatta dalle osservazioni dello Stato in questione;
   il Collegio dei commissari nella riunione del 25 aprile 2013 ha deciso, per quanto riguarda l'Italia, 2 archiviazioni. È stata anche stabilita l'apertura di tre nuove procedure. Le procedure d'infrazione a carico dell'Italia scendono a 98, di cui 83 riguardano casi di violazione del diritto dell'Unione e 15 attengono al mancato recepimento di direttive;
   lo stato delle procedure di infrazione e, più in generale, del contenzioso riguardante l'Italia risulta quindi da alcuni anni particolarmente gravoso, sebbene più recentemente la situazione sia sensibilmente migliorata;
   le sanzioni che la Corte di giustizia può comminare ad uno Stato membro per violazioni del diritto dell'Unione europea consistono in una somma forfetaria e/o in una penalità di mora. Le due sanzioni possono essere inflitte cumulativamente qualora la violazione del diritto dell'Unione sia particolarmente grave e persistente;
   i criteri per la quantificazione di somma forfettaria e penalità di mora sono indicati in due comunicazioni della Commissione europea del 2005 e del 2010. La comunicazione del 2005 detta la disciplina generale, applicabile per tutte le violazioni del diritto dell'Unione europea, la comunicazione del 2010 attiene invece alla ipotesi in cui la Commissione chieda la condanna pecuniaria per il mancato recepimento di direttive. Il Trattato di Lisbona (all'articolo 260, par. 3 TFUE) ha infatti previsto che nel caso in cui uno Stato membro abbia disatteso l'obbligo di comunicare alla Commissione le misure adottate al fine di recepire una direttiva, quest'ultima può chiedere alla Corte, nell'ambito dello stesso ricorso per inadempimento, di comminare il pagamento di una sanzione pecuniaria. In sostanza, la Commissione può richiedere alla Corte direttamente di condannare lo Stato inadempiente al pagamento della sanzione pecuniaria, senza dover attendere l'esaurimento di un'ulteriore fase precontenziosa;
   la comunicazione del 2005 stabilisce che le sanzioni sono fissate in base a tre criteri generali: la gravità dell'infrazione, la durata dell'infrazione, la necessità di garantire l'efficacia dissuasiva della sanzione. Per applicare tali criteri sono previsti coefficienti (paragrafi 14 e seguenti della comunicazione del 2005) che tengono conto, caso per caso, della natura della violazione, della sua durata e della capacità dello Stato membro e sono aggiornati periodicamente;
   l'ultimo aggiornamento è stato operato nel 2012 ed è stato stabilito che per l'Italia la sanzione forfettaria minima è pari a circa 8.854.000 euro, cui può aggiungersi una penalità di mora pari ad un minimo di circa 10.700 ed un massimo di circa 650.000 euro per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione della sentenza, a seconda della gravità dell'infrazione;
   nell'unica condanna subita sinora dall'Italia, relativa al mancato recupero degli aiuti illegittimamente concessi dall'Italia per l'assunzione di lavoratori mediante i contratti di formazione e lavoro, la condanna ammonta: a 30 milioni di euro a titolo forfettario e ad una ulteriore penalità, per ogni sei mesi di ritardo nell'attuazione della sentenza, pari alla moltiplicazione dell'importo di base di euro 30 milioni per la percentuale degli aiuti illegali incompatibili il cui recupero non è ancora stato effettuato o non è stato dimostrato rispetto al totale degli aiuti non recuperati. Tale infrazione è costata complessivamente ai cittadini italiani 46 milioni di euro;
   nel corso dell'audizione del Ministro per gli affari europei, Enzo Moavero Milanesi, sulle linee programmatiche, svolta il 28 maggio 2013 dinanzi le Commissioni riunite politiche dell'Unione europea di Camera e Senato è stato riferito che:
    a) delle 98 procedure di infrazione ancora aperte la maggior parte sono nel settore ambiente (31), nel settore fiscalità (11), nel settore del lavoro e degli affari sociali (7), nel settore degli appalti (7), nel settore dei trasporti (5). Una ventina del totale di queste infrazioni riguarda regioni ed enti locali;
    b) delle procedure di infrazione, 11 su 98 sono a forte rischio di condanna di sanzioni da parte della Corte di Giustizia e, in particolare, il nostro Paese è a rischio di un'altra sanzione sui meccanismi di controllo delle discariche abusive: in questo caso c’è un inadempimento delle direttive europee e la Commissione ha chiesto di comminare 61,5 milioni di euro e una penalità semestrale di mora, in caso di ritardo, di 46 milioni di euro –:
   quali urgenti iniziative intenda intraprendere il Governo per evitare le condanne nell'ambito delle procedure più a rischio di sanzione da parte della Corte di Giustizia e, in generale, per la chiusura delle procedure di infrazione ancora aperte nei confronti dell'Italia. (4-00628)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  A seguito delle ultime decisioni adottate dalla Commissione europea il 17 ottobre 2013 in materia di procedure d'infrazione, il numero delle procedure a carico dell'Italia si è attestato a 105, di cui 87 per violazione del diritto dell'Unione e 18 per mancato recepimento di direttive.
  L'azione svolta, con crescente impegno negli ultimi anni, ha portato a una consistente diminuzione delle procedure.
  La «normativa ambientale» si conferma il settore nel quale è pendente il maggior numero di procedure, con 25
dossier aperti, seguito dal settore «fiscalità e dogane» con 13 procedure e da «trasporti» con 10. Al primato negativo nelle infrazioni del settore ambientale contribuiscono in maniera rilevante gli enti territoriali, trattandosi di violazioni tipicamente commesse «sul territorio» e rientranti nella competenza e responsabilità diretta di regioni o enti locali. Da rilevare altresì che le procedure più complesse nel settore «ambiente» sono quelle concernenti la mancata bonifica di discariche di rifiuti, una problematica sulla cui difficoltà di gestione e soluzione incidono anche problemi di carattere finanziario legati alla necessità di finanziare la costruzione di impianti di trattamento-smaltimento. Peraltro, rispetto ai 43 casi del 2008, le infrazioni imputabili a violazioni del diritto dell'Unione o a inadempimenti da parte delle regioni sono sensibilmente diminuite, fino ai 18 casi di oggi, pur continuando a rappresentare ancora circa il 18 per cento del totale di casi pendenti.
  Ciò rende importantissimo consolidare il coordinamento tra le amministrazioni centrali e quelle locali, in un'ottica di piena collaborazione e costruttivo dialogo, al fine di trovare nel più breve tempo possibile le soluzioni adeguate.
  Delle 105 procedure, ad oggi, aperte nei confronti dello Stato italiano, 12 sono pendenti per mancata esecuzione di una precedente sentenza di condanna della Corte di giustizia (
ex articolo 260 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea) e pertanto sono a rischio di pesanti sanzioni pecuniarie.
  Il numero di procedure pendenti, peraltro, ancora non riflette gli auspicabili effetti dell'entrata in vigore della legge 6 agosto 2013, n. 97, «legge europea 2013», che ha introdotto disposizioni dirette ad adeguare l'ordinamento interno all'ordinamento europeo e sanare varie procedure d'infrazione e casi EU-Pilot per i quali si attende ora l'archiviazione. È importante sottolineare, infatti, l'accelerazione impressa dal Governo con l'approvazione della «legge europea 2013» e della «legge di delegazione europea 2013», pubblicate nella
Gazzetta Ufficiale n. 194 del 20 agosto 2013.
  Tali provvedimenti rappresentano i nuovi strumenti di adeguamento all'ordinamento dell'Unione europea previsti dalla recente legge 24 dicembre 2012, n. 234. Quest'ultima ha introdotto una riforma organica delle norme che regolano la partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea. La «legge comunitaria» annuale prevista dalla legge n. 11 del 2005 è, infatti, sostituita da due distinti provvedimenti: la «legge di delegazione europea», il cui contenuto è limitato alle disposizioni di delega necessarie per il recepimento delle direttive e degli altri atti dell'Unione europea, e la «legge europea», che contiene norme di diretta attuazione volte a garantire l'adeguamento dell'ordinamento nazionale all'ordinamento europeo, con particolare riguardo ai casi di non corretto recepimento della normativa europea.
  Grazie alla «legge di delegazione europea 2013» si è avviato il processo di recepimento di 40 direttive, di cui già 10 sono oggetto di procedure d'infrazione per mancato recepimento. Con la «legge europea 2013» si punta, attraverso norme di diretta attuazione volte ad adeguare l'ordinamento interno all'ordinamento europeo, all'archiviazione di 19 procedure d'infrazione e di 10 casi ancora allo stadio di reclamo. Essi riproducono in gran parte il contenuto delle «leggi comunitarie» 2011 e 2012 che il Parlamento non era riuscito ad approvare nella scorsa legislatura, causando così l'avvio di nuove procedure d'infrazione e l'aggravamento di quelle già pendenti. Merita segnalare che una ulteriore «legge europea» e una ulteriore «legge di delegazione europea» sono state approvate, in via preliminare, dal Consiglio dei ministri del 20 settembre 2013.
  Il numero delle procedure d'infrazione è dunque – auspicabilmente – destinato a scendere, collocando così l'Italia in una situazione meno critica rispetto all'osservanza dei suoi obblighi europei.
  Per essere adempienti è necessario un grande sforzo collettivo che deve coinvolgere tutte le Amministrazioni dello Stato, a livello centrale, regionale e locale.
  Il Consiglio dei ministri discute a cadenza mensile il tema delle infrazioni e i singoli ministri sono chiamati ad indicare le ragioni per le quali sussistono situazioni di inadempimento nei rispettivi ambiti di competenza.
  La rigorosa applicazione della legge n. 234 del 2012 è suscettibile di apportare notevoli benefici. L'articolo 15 della legge n. 234 introduce disposizioni volte ad assicurare un controllo sistematico delle Camere in merito all'avvio e allo svolgimento di ciascuna procedura di infrazione. A questo scopo si stabiliscono i seguenti obblighi informativi del Governo verso le Camere: (1) la comunicazione alle Camere, da parte del Presidente del Consiglio o del Ministro per gli affari europei, contestualmente alla ricezione della relativa notifica della Commissione europea, delle decisioni concernenti l'avvio di una procedura d'infrazione
ex articolo 258 e 260 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (articolo 15, comma 1); (2) la trasmissione alle Camere da parte del ministro con competenza prevalente, entro venti giorni dalla comunicazione in questione, di una relazione che illustra le ragioni che hanno determinato l'inadempimento o la violazione contestati con la procedura d'infrazione, indicando altresì le attività svolte e le azioni che si intende assumere ai fini della positiva soluzione della procedura stessa. Le Camere possono assumere al riguardo tutte le opportune deliberazioni in conformità ai rispettivi Regolamenti (articolo 15, comma 2); (3) l'obbligo per il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per gli affari europei di informare senza ritardo le Camere e la Corte dei conti di ogni sviluppo significativo relativo a procedure d'infrazione basate sull'articolo 260 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (articolo 15, comma 3).
  Gli obblighi informativi testé indicati permettono, da un lato, una maggiore consapevolezza da parte del Parlamento sulla situazione del precontenzioso e del contenzioso europeo, e dall'altro, la responsabilizzazione dei ministri nella gestione dei casi aperti dalla Commissione europea e ricadenti per materia sotto la loro responsabilità politica.
  Con riferimento alle procedure d'infrazione per mancato recepimento, inoltre, l'articolo 31 della legge n. 234 del 2012 ha ridotto i termini per l'esercizio delle deleghe per il recepimento, ai fini dell'adozione dei provvedimenti di attuazione (decreti legislativi).

Il Ministro per gli affari europeiEnzo Moavero Milanesi.


   RUOCCO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la tutela dei consumatori si basa da sempre sulla trasparenza e sul rispetto delle condizioni contrattuali, requisiti senza i quali si rischia di ricadere in abusi che non possono essere giustificabili specie nei casi in cui una delle parti risulta essere in una condizione di forza rispetto all'altra;
   è accaduto svariate volte, tuttavia, che le compagnie di telefonia mobile non sempre hanno garantito chiarezza e trasparenza ai loro utenti lucrando significativi guadagni su condizioni equivocabili o su interpretazioni dubbie del diritto;
   tale è la condizione a parere dell'interrogante, che viene descritta nell'articolo «Rimodulazione TIM per alcune tariffe base, in cambio 500 sms verso tutti per 12 mesi ogni domenica» pubblicata sulla testata online www.mondomobileweb.net;
   in questo si asserisce che TIM, utilizzando l'articolo 70, comma 4, del decreto legislativo n. 259 del 2003 continuerebbe la rimodulazione di alcuni suoi piani tariffari base dopo aver rimodulato nel mese di maggio 2013 molte tariffe attivate negli anni ’90 (arancione ok, arancione più, azzurra, blu, gialla, rossa, unica 10, unica di TIM) trasformate in TIM COLORE;
   i piani tariffari sottoposti alla suddetta rimodulazione sarebbero Tim sempre, Tim parla, flash TIM new, TIM menù new e, più in generale, quelle in cui è previsto un meccanismo di autoricarica, mentre per chi attivò l'opzione «MegAutoricarica» con la tariffa associata «Easy TIM» essa sarà disattivata;
   in modo similare a ciò che fece Vodafone nel settembre 2012, TIM, per compensare il cambio, avrebbe istituito una specifica promozione, domenica Sms, che consiste nella possibilità di inviare 500 sms gratis verso tutti ogni domenica per 12 mesi dall'attivazione;
   i clienti vengono avvisati del cambio attraverso un semplice sms;
   TIM definisce questo processo come «Semplificazione tariffaria»: la semplificazione delle tariffe base serve per eliminare piani tariffari storici obsoleti e di complessa gestione anche per il consumatore stesso;
   in base sempre all'articolo 70, comma 4 del decreto legislativo n. 259 del 2003 TIM ricorda che nella propria «area fai da te» è possibile recedere dal contratto senza costi di disattivazione e penali entro la data della rimodulazione;
   molte volte, però, il consumatore non riceve alcun SMS informativo della rimodulazione, e quindi conosce solo successivamente il cambio della tariffa, con gravi disagi sia per il reperimento delle informazioni utili, sia perché il calcolo preventivato dei costi era effettuato sulla base della tariffa precedente –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga di adottare iniziative normative atte a stabilire che, in caso di rimodulazione della tariffa, il gestore telefonico sia tenuto ad informare il cliente tramite metodi più efficaci e sicuri rispetto all'utilizzo di messaggistica istantanea, quali, per esempio, l'invio di raccomandata o di comunicazione attraverso posta elettronica certifica e in particolare se non ritenga di porre specifiche limitazioni alle modifiche contrattuali unilaterali di cui all'articolo 70, comma 4, del decreto legislativo n. 259 del 2003.
(4-01084)

  Risposta. — In tema di rimodulazione tariffaria la disposizione di cui all'articolo 70, comma 4, del decreto legislativo n. 259 del 2003, prevedendo l'obbligo di informare la propria clientela con un anticipo di almeno 30 giorni circa le modifiche contrattuali riconosce di fatto la facoltà di proporre modifiche unilaterali delle condizioni contrattuali, nella misura in cui la clientela sia stata preventivamente informata di tali modifiche, in modo tale che il cliente che non intenda accettarle possa comunque esercitare senza penali il proprio diritto di recesso.
  Il diritto di recesso senza penali, quindi, deve essere assicurato dal gestore alla propria clientela sia sotto il profilo della preventiva informativa (avvenuta con 30 giorni di anticipo) sia sotto quello del relativo esercizio di recesso quale misura alternativa che il cliente può adottare laddove non intenda accettare le modifiche delle proprie condizioni contrattuali.
  Al riguardo, il legislatore ha utilizzato, nel testo dell'articolo 70 comma 4, due locuzioni che non lasciano spazio a particolari dubbi interpretativi: «adeguato» riferito al preavviso, che non può essere inferiore a trenta giorni, e «nel contempo» (ovvero contemporaneamente) relativamente al dovere di informare il cliente sulla possibilità di recedere. Ne discende che l'operatore telefonico deve contestualmente comunicare al cliente le variazioni contrattuali ed il relativo diritto di recesso.
  Pertanto, in assenza di una previsione legislativa in ordine all'obbligatorietà di una forma specifica di comunicazione
ad probationem, si deve ritenere che la notifica, ancorché tramite Sms, della sola rimodulazione, con indicazione espressa del conseguente diritto di recedere dal contratto, equivale a soddisfare l'obbligo informativo di cui alla norma citata.
  In ordine all'idoneità dello Sms quale strumento informativo, si deve evidenziare che, a prescindere dal fatto che in tutte le versioni contrattuali la scelta sulle modalità di invio delle informative in ordine alle modifiche tecniche/economiche da utilizzare (raccomandata A.R., posta ordinaria, posta prioritaria) è comunque rimessa al gestore, l'utilizzo della messaggistica istantanea nell'ambito dei piani tariffari mobili di tipo prepagato, costituisce lo strumento di comunicazione più efficace e tempestivo in termini di immediatezza e ricettività anche in considerazione del fatto che il servizio di comunicazione elettronica di rete mobile, per la sua tipicità, può essere utilizzato da un soggetto diverso dall'effettivo intestatario dell'utenza telefonica mobile senza che il gestore ne abbia contezza.
  Si fa presente, inoltre, che sull'argomento è in corso un procedimento per la modifica della delibera n. 664/06/CONS, recante «Regolamento recante disposizioni a tutela dell'utenza in materia di fornitura di servizi di comunicazione elettronica mediante contratti a distanza», che prevede l'introduzione di regole specifiche in materia, ivi incluse modalità
standard per la comunicazione alla clientela delle modifiche contrattuali.
  È possibile valutare l'opportunità di un intervento normativo concernente l'adozione di misure limitative alle modifiche contrattuali unilaterali, tenendo presente tuttavia che la facoltà di apportare modifiche contrattuali è sancita espressamente dall'articolo 70, comma 4, del decreto legislativo n. 259 del 2003 e la stessa, nell'ottica della strategia aziendale, costituisce piena espressione del principio di autonomia contrattuale di cui all'articolo 1322 del codice civile.

Il Viceministro dello sviluppo economicoAntonio Catricalà.


   SCOTTO e DURANTI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Isaias Afewerki è stato il primo Presidente dell'Eritrea dopo la lotta di liberazione, dell'ex colonia italiana, contro l'Etiopia terminata nel 1991;
   due anni dopo, la sua carica è stata confermata dall'assemblea nazionale eritrea e da allora non vi sono state più elezioni;
   nel 2009 il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha varato una serie di sanzioni contro il Governo eritreo, accusato di minacciare la sicurezza nazionale dello Stato di Gibuti e inoltre alimentare la guerriglia islamica in Somalia, dove tra i suoi referenti ci sarebbero i «signori della guerra», Ahmed Nuur, uno dei leader degli Al-Shabaab fondamentalisti, e Abdi Wal, coinvolto nelle attività di pirateria e nelle rappresaglie contro i caschi blu;
   in queste settimane un dossier a cura di ispettori delle Nazioni Unite ha accusato il regime eritreo di fornire tuttora sostegno ai miliziani e di aver allargato la sua rete d'influenza fino allo Stato dello Yemen, dell'Uganda e del Sudan;
   sempre secondo questo dossier l’intelligence del Governo di Asmara terrebbe anche le fila delle forniture di armi per i ribelli che si oppongono al neo Stato del Sud Sudan e per la resistenza in Ogaden contro l'Etiopia;
   questo «sistema» ha il suo centro nevralgico nella struttura chiamata «Dipartimento dei garage governativi», ad Asha Golgol, a nove chilometri dall'aeroporto internazionale di Asmara, che opera sotto la diretta supervisione di Afewerki e che in verità dovrebbe occuparsi di revisionare i veicoli statali, inclusi i trattori per l'agricoltura e gli autobus pubblici;
   secondo il dossier dell'Onu, in realtà, le officine del «Dipartimento dei garage governativi» servono soprattutto ad importare mezzi per l'esercito sfruttando la zona d'ombra del dual-use, ovvero il doppio uso civile e militare;
   già in passato in questo «sistema» erano risultati coinvolti italiani: in particolare, nel 2009 il consigliere regionale lombardo dell'allora partito di Alleanza Nazionale Pier Giorgio Prosperini veniva arrestato anche con l'accusa di avere venduto all'Eritrea visori notturni e silenziatori per fucili fatti passare come armi da caccia, oltre ad aver intascato una tangente di circa 230.000 euro;
   ora, secondo il dossier curato dal gruppo di monitoraggio della situazione somala ed eritrea delle Nazioni Unite, sarebbe Gianluca Battistini, considerato il principale collaboratore del colonnello Weldu, ad avere un ruolo chiave nella vicenda e ad essere la mente delle violazioni dell'embargo internazionale cui il regime eritreo è sottoposto dal 2009;
   Battistini è un uomo d'affari che opera tra Cesena, Dubai ed Asmara e che avrebbe avuto cariche in numerose società italiane, alcune delle quali registrate come fornitori di macchine agricole;
   proprio l'agricoltura secondo gli ispettori dell'Onu viene usata dal regime eritreo come copertura per importare materiali destinati agli armamenti, e grazie al Battistini il colonnello Weldu si sarebbe potuto procurare mezzi fondamentali per l'armata eritrea, inclusa una nave;
   lo stesso uomo d'affari italiano avrebbe anche sponsorizzato l'addestramento di una squadra di tecnici del regime eritreo, avvenuta a Palermo;
   l'attenzione degli ispettori delle Nazioni Unite si è concentrata sulle officine Piccini di Perugia, che avrebbero venduto equipaggiamenti al colonnello Weldu e manterrebbero legami diretti con il Presidente Afewerki in persona;
   le officine Piccini sono parte di un gruppo con seimila dipendenti che ha filiali in tutti i continenti e che si occupa di edilizia, grandi opere e macchine per cantieri;
   secondo gli ispettori uno degli azionisti delle officine Piccini è stato sotto inchiesta in Svizzera per riciclaggio di danaro, e la società umbra risulterebbe essere uno degli sponsor dell'istituto italiano per l'Asia e il Mediterraneo (Isiamed), che a sua volta promuove una serie di associazioni di cui fanno parte parlamentari, uomini d'affari e diplomatici;
   una delle associazioni affiliate all'Isiamed, l'Associazione parlamentare di amicizia Italia-Corea del Nord, presieduta dall'ex deputato Osvaldo Napoli, ha effettuato una visita nel dicembre 2012 al regime di Pyongyang;
   nel gruppo legato all'Associazione parlamentare di amicizia Italia-Corea del Nord che si era recato nel 2012 a Pyongyang vi era anche l'allora Ministro per lo sviluppo economico Paolo Romani, il cui dicastero era anche responsabile delle autorizzazioni per l'esportazione di programmi dual-use;
   proprio un'azienda statale della Corea del Nord, la Green Pine Associated Corporation, avrebbe a sua volta dato il principale contributo ai piani di riarmo della dittatura eritrea proprio attraverso il meccanismo del dual-use;
   la Green Pine Associated Corporation esporta, tra l'altro, Kalashnikov e componenti per missili balistici, e il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha proposto un anno fa di prendere provvedimenti contro tale azienda;
   nell'agosto del 2010 i funzionari della Green Pine Associated Corporation hanno incontrato il colonnello Weldu ed il presidente etiope Afewerki, e, secondo il dossier stilato dagli ispettori delle Nazioni Unite, stando ai testimoni di tale incontro era presente anche il dottor Battistini;
   gli ispettori dell'Onu hanno, inoltre, individuato due elicotteri italiani montati e messi a punto da tecnici del nostro Paese, il primo importato nell'ottobre 2010 per compiti di osservazione mineraria e ripartito nell'aprile 2012, mentre il secondo attivo nell'autunno 2012;
   questa vicenda sarebbe stata ricostruita in seguito alla testimonianza di alcuni disertori, che avrebbero raccontato come questo non sia stato l'unico caso di velivoli arrivati per scopi civili e poi utilizzati dalle forze armate;
   il «sistema» utilizzato dal regime eritreo per finanziare queste operazioni è parzialmente coperto dagli introiti garantiti dai numerosi giacimenti di oro, argento, rame, zinco ed altri minerali concessi a ventuno società straniere;
   altra fonte di guadagno per il regime eritreo risulta essere, secondo il dossier delle Nazioni Unite, un versamento annuale cui obbliga i suoi emigranti, chiamato «tassa del 2 per cento»;
   a chi non paga questa gabella, già denunciata dall'Onu nel 2011 perché considerata forma di estorsione, viene negato il rinnovo del passaporto o la possibilità di mandare soldi a casa;
   secondo fonti dell'Onu la discussione del rapporto davanti al Consiglio di sicurezza ha rischiato di slittare a causa delle pressioni fatte da Russia, Cina e Italia;
   gli ispettori dell'Onu affermano con durezza che il nostro Governo non ha mai fornito informazioni sul tipo di velivoli e sulle società coinvolte nelle forniture al Governo dell'Eritrea;
   l'11 luglio 2013 il nostro ambasciatore presso le Nazioni Unite, Cesare Maria Ragaglini, ha respinto le critiche degli ispettori scrivendo una lettera in cui affermava che l'Italia: non ha «autorizzato alcuna esportazione di armi o materiali correlati o di materiali dual-use», e che «non ci sono prove di qualsiasi assistenza militare dall'Italia che sostengano le accuse non documentate degli ispettori»;
   mentre il Canada e la Germania hanno posto in essere passi ufficiali nei confronti delle rappresentanze diplomatiche dell'Eritrea, predisponendo l'espulsione di un console, a causa delle vessazioni subite dai cittadini eritrei emigrati altri Paesi occidentali hanno promesso di prendere misure, senza però giungere a nessun atto concreto, e tra questi c’è anche il Governo italiano;
   in Italia diversi cittadini eritrei hanno denunciato questa «misura coercitiva» della «tassa del 2 per cento», venendo sistematicamente ignorati dalla Polizia di Stato con la motivazione che «non c’è nulla da fare»;
   al rapporto Onu è allegata anche una ricevuta del consolato eritreo di Milano che certifica un versamento cash 204 euro sotto la voce «tassa del 2 per cento», datata 31 marzo 2013 –:
   se i Ministri interrogati per quanto di competenza, siano a conoscenza dei fatti descritti, e in caso affermativo quali misure sono state poste in essere per verificare la veridicità;
   se corrisponda al vero quanto risulta da fonti dell'Onu che l'Italia avrebbe fatto pressioni affinché la discussione del suddetto rapporto innanzi al Consiglio di sicurezza dell'ONU slittasse, e in caso affermativo quali sono state le motivazioni diplomatiche che hanno portato a prendere tale decisione;
   quali misure si intendano assumere nei confronti delle aziende che utilizzando ambiguo meccanismo del dual-use, forniscono armamenti al regime eritreo scavalcando l'embargo internazionale cui esso è sottoposto;
   per quale motivo il Governo italiano non abbia fornito informazioni agli ispettori delle Nazioni Unite sui tipi di velivolo e sulle società coinvolte nell'esportazione al Governo dell'Eritrea;
   se tra le società concessionarie delle miniere eritree vi siano anche compagnie italiane. (4-01447)

  Risposta. — Si intendono fornire elementi di risposta ai quesiti posti dall'interrogante e cogliere l'occasione per chiarire le relazioni che il nostro Paese intrattiene con l'Eritrea, con particolare riferimento alla presunta vendita di materiale cosiddetto dual use al governo del Paese africano.
  1. In merito al primo quesito dell'interrogazione, si conferma che il Governo italiano era a conoscenza, per averne preso visione, del rapporto confidenziale degli esperti Onu, che compongono il cosiddetto gruppo di monitoraggio, già prima della sua pubblicazione ad inizio agosto. Si ritiene che detto rapporto contenga numerose affermazioni fuorvianti ed erronee. Ciò è stato segnalato anche dal nostro rappresentante alle Nazioni Unite con lettera dell'11 luglio 2013 indirizzata al presidente del Comitato sanzioni, con cui è stata anche data assicurazione che tutte le informazioni richieste dagli esperti sono state loro fornite. In questo quadro, si è inoltre riscontrato che, non sempre, le fonti su cui è stato condotto il lavoro degli esperti possono essere considerate sicure e attendibili.
  2. In merito alla discussione del suddetto rapporto di fronte al Consiglio di sicurezza dell'Onu, l'Italia (che, si ricorda, non è attualmente membro del Consiglio e, quindi, nemmeno del Comitato sanzioni) non ha effettuato alcun passo per rallentarne la discussione. Tutto ciò che l'Italia ha fatto è, stato indirizzare la succitata lettera al presidente del Comitato sanzioni, contestando le affermazioni contenute nel rapporto.
  3. Si precisa poi che nessuna autorizzazione all'esportazione verso l'Eritrea di materiali di armamento dal Governo italiano è stata rilasciata o si intende rilasciare, in considerazione della fermezza con cui è applicato, da parte delle competenti Autorità italiane, l'embargo Onu su tutte le forniture militari. Come già comunicato agli esperti, del gruppo durante l'incontro di Roma del 25 febbraio 2013, non è stata rilasciata alcuna autorizzazione all'esportazione verso l'Eritrea e non risultano evidenze di componentistica a duplice uso venduto al Paese africano dopo l'adozione delle sanzioni. L'unico caso registrato riguardava l'esportazione temporanea di un elicottero per ricerche geominerarie. Inoltre, il succitato rapporto cita una presunta fornitura di macchinari all'Eritrea da parte di un uomo d'affari italiano e di una società di Perugia. Si tratta, tuttavia, di macchinari che non appaiono essere
dual use.
  4. Oltre, a ciò si fa presente che lo Stato italiano ha assicurato agli esperti Onu tutte le informazioni utili sulle aziende impegnate nelle esportazioni verso l'Eritrea e, conseguentemente, sui tipi di velivoli usati a tal fine. A tal proposito, il 16 aprile 2013, è stato inviato al gruppo di monitoraggio anche un prospetto di flussi finanziari da e verso l'Eritrea, predisposto dall'unità di informazione finanziaria della Banca d'Italia in collaborazione con il Ministero dell'economia e delle finanze, che analizza i dati aggregati nel periodo fra gennaio 2011 e ottobre 2012.
  5. Sulla base delle informazioni a disposizione della Farnesina, nessuna compagnia italiana risulta coinvolta nel settore dell'estrazione mineraria in Eritrea, né come concessionaria né in termini di
sub-contractor o contratto di fornitura servizi. Ad aggiuntiva precisazione, si fa notare che l'Italia non è considerata fra i mercati di sbocco delle materie prime derivanti dall'estrazione mineraria.
Il Viceministro degli affari esteriLapo Pistelli.


   TONINELLI, COZZOLINO, DADONE, DIENI, NUTI e D'AMBROSIO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   l'informazione geografica è ormai considerata una risorsa globale per la società e che la gestione dell'informazione geografica eseguita con sistemi informatici è di tale interesse di tutti gli stati del mondo e delle Nazioni Unite, che hanno istituito il «United Nations Committee of Experts on Global Geospatial Information Management (Un-GGIM)»;
   secondo quanto risulta all'interrogante, il Ministero degli affari esteri avrebbe costituito per il forum ONU, sulla gestione delle informazioni geospaziali, il gruppo GGIM-Italia;
   l'Italia avrebbe recentemente partecipato alla terza sessione del Comitato UN-GGIM a Cambridge e nell'ambito di tale iniziativa le Nazioni Unite, per il tramite della Commissione europea, avrebbero promosso la formazione di un gruppo UN-GGIM Europe del quale l'Italia farebbe parte;
   nel contesto del gruppo UN-GGIM Europe, l'Italia avrebbe la responsabilità del gruppo di lavoro «Institutional arrangements supporting the goals of UN-GGIM», circostanza che porrebbe il nostro Paese in una situazione peculiare nell'ambito dell'informazione geografica –:
   se quanto riportato corrisponda al vero, ed in caso affermativo, di quali informazioni il Ministro disponga circa le attività poste in essere dall'Italia nell'ambito dei gruppi citati in premessa;
   nel caso sia confermata la formazione e l'attività del gruppo UN-GGIM Italia, come esso si coniughi con le iniziative dell'attuazione della direttiva INSPIRE in Italia ed in Europa;
   quali siano le risorse investite dal Ministero stesso per partecipare al UN-GGIM e dai partecipanti al gruppo UN- GGIM Italia direttamente ed indirettamente ed a quale scopo esse vengano finalizzate. (4-02032)

  Risposta. — Il Consiglio economico e sociale delle Nazioni unite (Ecosoc) con la Risoluzione 2011/24 del luglio 2011 ha costituito lo Un Committee of Experts on global geospatial information management (Un-Ggim). Questo comitato ha come obiettivi quello di creare un forum di coordinamento e dialogo fra gli Stati membri e con le organizzazioni internazionali nel settore delle informazioni geo-spaziali, di proporre delle linee guida comuni per realizzare un'interoperatività e un interscambio di dati e di servizi geo-spaziali e di arrivare ad un'organizzazione razionale dell'impiego delle risorse mondiali nel settore, ottimizzandone i processi.
  La risoluzione richiede agli Stati membri la designazione di un esperto con competenze specifiche nei vari settori che fanno capo alle problematiche geo-spaziali (osservazioni della terra, geografia, cartografia e
mapping, informazione geo-referenziata per il territorio e il mare, protezione ambientale).
  L'Italia ha aderito al Un-Ggim dall'inizio affidando il ruolo di coordinamento nazionale al Ministero degli affari esteri che ha designato quale rappresentante nazionale presso Un-Ggim il professor Ezio Bussoletti.
  Nel nostro Paese le competenze operative inerenti le problematiche geospaziali sono frammentate tra varie istituzioni sia a livello nazionale che regionale e locale. Sotto il coordinamento del Mae si è potuto curare la costituzione di un gruppo consultivo Ggim nazionale che raccogliesse tutte le principali istituzioni pubbliche che operano nel settore.
  Tale coordinamento ha consentito all'Italia di svolgere, nel corso delle tre riunioni istituzionali dell'Un-Ggim (Seoul, New York, Cambridge) e negli scambi preparatori alle stesse, un importante ruolo di
leadership riconosciuto da tutti i partecipanti e dallo stesso segretariato delle Nazioni Unite.
  In occasione dell'ultima sessione plenaria di Cambridge nel luglio 2013 la Commissione europea, l'Agenzia europea dell'ambiente e l'Associazione europea delle agenzie cartografiche
(Euro-geographics) illustrando i risultati del gruppo di lavoro da loro costituito, hanno valutato opportuna la creazione di Un-Ggim europe per meglio coordinare gli interessi regionali. Il gruppo ha preliminarmente identificato le aree di maggior interesse per l'Europa e alcune iniziative europee rilevanti fra cui la direttiva Inspire che regola l'accesso ai dati territoriali mediante norme comuni di attuazione nonché le norme per la condivisione dei dati da parte di enti pubblici.
  Per ottimizzare i tempi di costituzione del gruppo Un-Ggim
Europe (che dovrà essere ufficialmente approvato in seno alla quarta riunione plenaria prevista per il 4-8 agosto 2014 a New York), si è pensato alla costituzione di 3 gruppi di lavoro (formalizzati in occasione della riunione di Varsavia il 2 di ottobre scorso, dopo l'Assemblea plenaria di Euro-geographics):
   WG 1: definizione dei dati e condizioni di accesso (per considerare quali dati devono essere armonizzati a livello europeo e le politiche di accesso); presieduto dalla Francia;
   WG 2: interoperabilità e infrastrutture dati (per definire i protocolli per assicurarne l'inter-operabilità, inclusa la possibilità di combinare informazione geografica e statistica); presieduto dalla Svezia;
   WG 3: intese istituzionali per sostenere gli obiettivi Un-Ggim (cioè definire il futuro mandato di Un-Ggim
Europe, la sua governance e le relazioni con altri iniziative a livello comunitario).

  L'Italia è stata designata a presiedere l'ultimo working group. Il ruolo che la presidenza del gruppo è chiamata a svolgere è quello di coordinare, a livello europeo, la realizzazione di un rapporto globale sullo stato delle strategie nazionali europee nel settore al fine di arrivare a una posizione comune per i Paesi dell'area.
  L'obiettivo di Un-Ggim
Europe, condiviso da tutti gli Stati Membri Ue e dalla Commissione europea, è di fare in modo che Un-Ggim adotti standards in armonia con quelli già utilizzati in Europa e si limiti (almeno per il territorio europeo) a coprire gli aspetti non ancora affrontati e risolti.
  Idealmente la posizione europea è quella di arrivare a
internazionalizzare Inspire, cioè collocare le soluzioni adottate in Europa su scala globale. Questo avrebbe il duplice scopo di massimizzare gli investimenti fatti e di porre l'Europa all'avanguardia nel settore. È soprattutto per questo motivo che la Commissione ha contribuito al lavoro preparatorio di Un-Ggim.
  Dal punto di vista delle risorse investite, giova sottolineare che la partecipazione ai gruppi Un-Ggim e Un-Ggim
Europe non comporta oneri per la membership dei singoli paesi, da parte del Ministero degli affari esteri l'impegno è relativo al rimborso delle spese di missione per l'esperto designato.
Il Viceministro degli affari esteriLapo Pistelli.


   VELO e BINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il tema di un puntuale ed efficiente servizio postale universale deve tornare a rivestire centralità nella programmazione di un moderno sistema di servizi ai cittadini e alle imprese, quale contributo per il rilancio dell'economia e per il miglioramento della qualità della vita. Tali obiettivi, in un quadro di economicità della gestione, dovrebbero costituire la «mission» della società Poste italiane, soggetto economico interamente controllato dallo Stato;
   non tutte le scelte compiute dalla società Poste italiane nel corso degli ultimi anni sembrano corrispondere con tale impostazione e meritano un'attenta verifica circa le conseguenze che ne discendono dal punto di vista della qualità del servizio, dell'economicità, della razionalità gestionale e delle ricadute occupazionali, basti pensare al piano di riordino del servizio di recapito dell'aprile 2012;
   anche le modalità con le quali sono stati gestiti negli ultimi anni i rapporti con le Agenzie di recapito, imprese private operanti nel settore della distribuzione, del recapito e dei servizi postali, destano più di qualche perplessità e interrogativo;
   queste imprese, fino al 1999, operavano sulla base di concessioni rilasciate dal Ministero delle poste, e a fronte del versamento del 30 per cento del corrispettivo del servizio, erano autorizzate al recapito di tutti i prodotti postali;
   l'articolo 40 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (provvedimento collegato alla legge finanziaria 1999), ha delegato il Governo ad adottare un apposito regolamento (cosiddetto di delegificazione) di modifica del codice postale, volto ad assicurare la prestazione di un servizio postale universale con prezzi accessibili a tutti gli utenti, la determinazione dei servizi oggetto di riserva e la revoca delle concessioni di servizi postali previste dall'articolo 29 del codice postale, nonché a prevedere l'introduzione degli istituti dell'autorizzazione generale e della licenza individuale per l'espletamento dei servizi non riservati;
   con il decreto legislativo 22 luglio 1999, di recepimento della direttiva 97/67/CE, sono state pertanto revocate tali concessioni; le Agenzie di recapito sono state autorizzate al servizio di recapito delle raccomandate;
   l'articolo 23 del citato decreto, stabiliva che, in relazione a quanto disposto dal decreto del Ministro delle comunicazioni del 5 agosto 1997, le concessioni di cui all'articolo 29, numero 1, del codice postale e delle telecomunicazioni, decreto del Presidente della Repubblica n. 156 del 1973, fossero valide sino al 31 dicembre 2000; al comma 5 del medesimo articolo 23, veniva altresì previsto che le Poste italiane potessero realizzare accordi con gli operatori privati, anche dopo la scadenza delle concessioni, al fine di ottimizzare i servizi, favorendo il miglioramento della qualità dei servizi stessi anche attraverso l'utilizzazione delle professionalità già esistenti;
   con «Memorandum» sottoscritto l'11 dicembre 2007 presso il Ministero delle comunicazioni, tra il Ministro competente, le agenzie di recapito e le Poste italiane, sono state delineate le fasi essenziali del processo di liberalizzazione del settore;
   l'anno successivo le Poste italiane, con appositi bandi di gara, hanno disposto l'assegnazione di una variegata tipologia di servizi oltre alle raccomandate, in linea con la prevista ristrutturazione del sistema postale;
   numerosi ex concessionari sono stati esclusi da tali gare a vantaggio di nuovi soggetti; nel complesso, si è ridotto sensibilmente il numero degli operatori partner di Poste italiane così come – anche a seguito di internalizzazioni del servizio, conseguenti a situazioni di vario genere (è il caso di alcuni grandi capoluoghi) – si è ridotto il novero delle città in cui essi operano;
   allo stato attuale le agenzie di recapito – escluse dal mercato dei servizi postali nel 1999 – risultano affidatarie di servizi diversi di Poste italiane quali il recapito di prodotti a firma, nonché la consegna dei pacchi;
   in circa dieci anni il valore degli appalti affidati da Poste italiane, in controtendenza con l'auspicato processo di liberalizzazione del servizio, si è segnatamente ristretto: da un valore di circa 70 milioni di euro all'anno nel 2000, a 58 milioni nel 2008, a meno di 40 milioni nel 2011; le gare bandite di recente da Poste italiane prevedono l'affidamento di servizi per un valore non superiore a 28 milioni di euro, con ricadute significative sulle imprese, anche in termini di occupazione;
   le agenzie di recapito hanno fatto fronte alla contrazione del mercato dei servizi postali con grande impegno e flessibilità, evitando tensioni occupazionali, anche grazie alla fattiva collaborazione con le organizzazioni sindacali. Nonostante ciò, non si può non registrare che, a tutt'oggi, diverse centinaia di lavoratori hanno perso il lavoro e attendono, anche da anni, l'apertura di una vera e propria trattativa nazionale che veda il coinvolgimento delle autorità competenti;
   gli operatori privati, circa 70 fino al 2000, si sono moltiplicati a dismisura; si calcola che oggi le imprese titolari di licenza siano oltre 2.500; l'autorizzazione all'esercizio del servizio viene concessa a fronte di un versamento poco più che simbolico, senza alcun controllo dei requisiti di solidità, tecnico-organizzativi, imprenditoriali delle imprese e degli addetti al servizio in un settore molto delicato che prevede anche il contatto con il pubblico, la sicurezza e la riservatezza della corrispondenza e degli utenti del servizio;
   allo stato attuale, risulta che sul territorio nazionale, operano numerose aziende in regime di subappalto che non applicano il CCNL di settore –:
   quali iniziative intenda assumere al fine di verificare la coerenza delle strategie e delle scelte organizzative adottate negli ultimi tempi dalla società Poste italiane con gli indirizzi e con le finalità del servizio pubblico universale, con particolare riguardo alla gestione dei rapporti con gli operatori privati al fine di garantire elevati e omogenei standard qualitativi su tutto il territorio nazionale, procedure di selezione degli affidatari dei servizi che non penalizzino le piccole imprese e che prevedano l'applicazione e il rispetto del contratto nazionale di lavoro di settore, nonché la tutela dei livelli occupazionali;
   se non ritenga di dover attivare un tavolo di concertazione tra tutti i soggetti cointeressati, allo scopo di concordare e di avviare nell'immediato un piano per lo sviluppo del settore postale, prevedendo iniziative specifiche per le piccole imprese del recapito e per i lavoratori del settore. (4-01508)

  Risposta. — L'interrogazione in esame attiene alle problematiche relative agli appalti affidati da Poste italiane Spa ad agenzie di recapito in materia di servizi postali.
  Al riguardo si osserva che, il settore postale, a livello nazionale e comunitario, è stato interessato nel tempo da profondi cambiamenti che hanno riguardato il contesto regolatorio, il grado di concorrenzialità dei mercati e la marcata evoluzione dell'esigenze della clientela verso una significativa differenziazione dell'offerta dei servizi.
  Poste italiane spa riferisce, in tal senso, che, nel quadro normativo di riferimento, l'elemento essenziale è rappresentato dalla direttiva postale 2008/6/CE, recepita con decreto legislativo 31 marzo 2011 n. 58, che elimina l'esclusività del servizio postale prima assegnata a Poste italiane (con la sola eccezione degli atti giudiziari) e che completa il processo di progressiva liberalizzazione del mercato, già avviato con le direttive 97/67/CE e 2002/39/CE, rispettivamente recepite nell'ordinamento nazionale con i decreti legislativi 22 luglio 1999, n. 261 e 23 dicembre 2003, n. 384.
  Corre l'obbligo di evidenziare, altresì, il mutato contesto normativo introdotto dall'articolo 21, comma 13, del decreto-legge 6 dicembre 2011 n. 201, convertito con modificazione dalla legge 22 dicembre 2011 n. 214, che ha previsto l'attribuzione delle funzioni di regolamentazione e vigilanza nel settore postale all'autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
  Entrando nello specifico dell'atto in esame, ai sensi dell'articolo 23 del decreto legislativo n. 261 del 1999, in attesa della completa liberalizzazione del mercato, sono stati stipulati accordi di collaborazione tra Poste italiane e le agenzie di recapito
ex concessionarie, allora operanti sul mercato. I citati accordi, relativi agli anni 2000 e 2001, prevedevano la concessione, da parte di Poste italiane, di servizi specifici riguardanti la posta registrata, con scadenze successivamente unificate al 31 dicembre 2006.
  Nell'ottica di un innalzamento degli
standard qualitativi del servizio postale e di una evoluzione futura dei rapporti con le agenzie, nell'anno 2004, Poste italiane ha affidato, su richiesta di queste ultime ed inizialmente a titolo sperimentale, anche nuove attività aggiuntive attraverso accordi integrativi.
  La prosecuzione dei rapporti è risultata, tuttavia, condizionata dalla capacità delle agenzie di adeguarsi ad un nuovo profilo d'impresa, stante il processo di liberalizzazione in atto, al rispetto degli
standard di servizio in rapporto all'evoluzione del mercato.
  Poste italiane ha realizzato, pertanto, un albo fornitori qualificati, con requisiti di selezione coerenti con il profilo d'impresa richiamato dagli accordi integrativi e redatto con tempistiche che consentissero alle agenzie di adeguarsi ai requisiti fissati. In particolare, al fine di agevolare l'iscrizione a tale albo anche delle imprese piccole e piccolissime, sono stati fissati dei requisiti minimi di carattere tecnico/economico, consentendo la possibilità di pervenire al possesso di tali requisiti anche tramite la costituzione di consorzi stabili.
  Nel giugno del 2007 si è svolta, pertanto, la prima procedura di gara (gara 1) alla quale ha partecipato un numero esiguo di agenzie di recapito, rispetto al totale delle agenzie invitate.
  Successivamente, a seguito dell'istituzione di un tavolo tecnico tra il Ministero delle comunicazioni, Poste italiane s.p.a. e le agenzie di recapito, nel dicembre 2007, tramite un «
Memorandum», si è individuato un percorso finalizzato al raggiungimento condiviso della data di liberalizzazione del mercato. È stato inoltre stabilito che Poste italiane procedesse, sino al 31 marzo 2008, alla proroga dell'affidamento delle attività in oggetto per volumi proporzionali a quelli affidati nel corrispondente periodo del 2007.
  In seguito, è stata pubblicata anche la nuova procedura di gara del 2008 («Gara 2»), recependo i contenuti degli impegni assunti nel citato «
Memorandum». Oltre alle attività che già hanno formato oggetto della precedente gara, sono state aggiunte nuove attività e ridefinite quelle preesistenti.
  Poste italiane ha sottolineato che, a tutela degli aspetti occupazionali, in tutti i contratti derivanti dalle procedure di gara del comparto «Recapito», è stata inserita la previsione dell'obbligo dell'assunzione, a carico dell'aggiudicatario, delle maestranze precedentemente coinvolte nell'appalto, secondo quanto previsto dall'articolo 7 del Ccnl per il personale dipendente da imprese esercenti servizi postali in appalto. È stato, altresì, previsto il divieto di subappalto al fine di evitare che le attività di servizio postale potessero essere svolte da operatori non in possesso di adeguati requisiti.
  Nel corso dell'anno 2009, la società ha deciso di indire una nuova procedura di gara (gara 3), al fine di affidare in
outsourcing alcuni contratti oggetto di risoluzione per gravi inadempienze dei rispettivi aggiudicatari.
  A seguito dell'espletamento delle 3 differenti procedure di gara, bandite negli anni 2007, 2008 e 2009, si è giunti, nell'anno 2011, alla scadenza degli accordi quadro pluriennali aggiudicati, per i quali Poste aveva facoltà di rinnovo per ulteriori 12 mesi.
  Nell'esercizio di detta facoltà, per tale motivo, nell'anno 2012, sono risultati vigenti 34 contratti con 27 fornitori. Detti contratti sono risultati tutti avere scadenza tra giugno e settembre 2012.
  Al fine di garantire la continuità del servizio, Poste italiane ha quindi avviato, nel mese di aprile 2012, una nuova procedura di gara (gara 4).
  L'Azienda ha ribadito che il ricorso all'albo dei fornitori, al quale hanno accesso solo le imprese che possiedono determinati requisiti amministrativi, economici e tecnico-organizzativi, costituisce una garanzia per il soddisfacimento delle proprie esigenze di mercato, permettendo, al contempo, di garantire i necessari livelli di servizio alla clientela.
  Con riferimento al valore degli appalti affidati da Poste italiane, la stessa società ha evidenziato che gli importi di gara sono diminuiti, dal 2007 al 2012 e rispetto alle gare precedenti, a causa del notevole decremento dei volumi complessivi di corrispondenza, con una flessione pari al 36 per cento e con conseguenti impatti anche sull'utilizzo della stessa manodopera di Poste italiane spa. Pertanto, ad avviso dell'azienda, si ribadisce che la riduzione negli anni degli importi esternalizzati è dovuta anche a varie risoluzioni contrattuali, necessarie a seguito di gravi inadempienze, con inevitabili ricadute occupazionali, peraltro non dell'entità rappresentata nell'atto in esame.
  Poste italiane ha precisato anche che il numero di risorse totali, censito prima della gara 4, ammontava a 1.166 unità: di queste, n. 678 sono state impiegate nei nuovi lotti contrattualizzati con la Gara 4, mentre n. 56 risorse sono state impiegate nei lotti attualmente prorogati, per un totale di n. 734 unità attualmente occupate.
  Sul piano delle relazioni sindacali, l'azienda ha comunicato di aver sottoscritto, in data 28 febbraio 2013, l'accordo di riorganizzazione del settore dei servizi postali che ha introdotto un nuovo modello organizzativo volto a razionalizzare e rendere maggiormente efficienti i servizi erogati. Poste italiane ha confermato, comunque, la propria disponibilità, nella consapevolezza delle difficoltà occupazionali del settore, ad avviare un confronto con le organizzazioni sindacali, finalizzato ad individuare una soluzione compatibile con le esigenze organizzative e produttive.
  Il mese di luglio 2013, infatti, si sono tenute delle riunioni nell'ambito delle quali la società ha comunicato di aver proposto un percorso per i lavoratori coinvolti nella riorganizzazione, prevedendo, per lo svolgimento di attività di recapito nelle regioni del Piemonte, Lombardia e Veneto, l'assunzione dei lavoratori con contratto a tempo determinato per un periodo di 12 mesi, prorogabile di ulteriori 4 mesi per quelli provenienti da regioni diverse.
  L'azienda ha evidenziato, altresì, che le aree territoriali individuate rappresentano le sedi nelle quali risulterebbe più proficuo l'utilizzo di tali risorse, non solo per un prevedibile sviluppo delle attività, ma anche, in applicazione dell'intesa nazionale del 22 maggio 2013, al fine di favorire eventuali processi di mobilità territoriale volontaria delle proprie maestranze, dalle regioni settentrionali a quelle meridionali. L'azienda ha formalizzato tale proposta alle organizzazioni sindacali nel corso dell'incontro che si è svolto in data 31 luglio 2013, anche mediante la consegna di una bozza di verbale di accordo. Tuttavia la soluzione prospettata, non ha trovato il pieno consenso di alcune organizzazioni sindacali e ciò ha impedito la definizione di un'intesa anche con le altre organizzazioni. In particolare, la Slc-Cgil ha ritenuto non accettabile la proposta, e ha chiesto alla società di prevedere assunzioni in ognuna delle regioni nelle quali operavano precedentemente i lavoratori dipendenti delle agenzie di recapito.
  Poste italiane, nel prendere atto dell'impossibilità di giungere, in questa fase, alla sottoscrizione di un accordo in materia, ha sottolineato che la propria ipotesi di inserimento occupazionale, rappresenti, in ogni caso, un forte segnale di attenzione alle problematiche occupazionali, nel tentativo di coniugare le esigenze aziendali con quelle sociali.
  Il Ministero dello sviluppo economico, tenendo conto della completa liberalizzazione del mercato postale e della piena autonomia organizzativa e gestionale del fornitore del servizio universale, si rende disponibile ad avviare un tavolo di incontro con le parti, al fine di individuare soluzioni tese allo sviluppo del mercato postale e prevedere azioni dirette a tutelare le piccole imprese del recapito ed i lavoratori del settore.
  Da ultimo si rappresenta che l'autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha assicurato, per quanto di propria competenza, che, nell'istruttoria sui regolamenti per il rilascio di licenze e autorizzazioni, provvederà a valutare attentamente l'opportunità, anche alla luce dei principi della liberalizzazione del mercato, di subordinare l'abilitazione all'esercizio dei servizi postali al possesso di comprovati requisiti che assicurino la solidità, sotto il profilo tecnico ed organizzativo, delle imprese abilitate.

Il Viceministro dello sviluppo economicoAntonio Catricalà.