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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 29 novembre 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


  La Camera,
   premesso che:
    il «reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato» è stato introdotto nel 2009 dall'articolo 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94, (cosiddetto pacchetto sicurezza) che ha modificato il testo unico delle disposizioni circa la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286) introducendovi l'articolo 10-bis;
    successivamente alla sua introduzione, nell'ordinamento italiano il reato di immigrazione clandestina è stato dichiarato legittimo anche dalla Corte costituzionale (sentenza n. 250 del 2010): come da consolidata giurisprudenza, il potere di disciplinare l'immigrazione rappresenta una prerogativa essenziale dello Stato in quanto espressione del controllo del territorio, in quanto la regolamentazione dell'ingresso e del soggiorno degli stranieri nel territorio dello Stato è «collegata alla ponderazione di svariati interessi pubblici, quali, ad esempio, la sicurezza e la sanità pubblica, l'ordine pubblico» (sentenze della Corte costituzionale n. 148 del 2008, n. 206 del 2006 e n. 62 del 1994);
    il reato di immigrazione clandestina vige anche in numerosi altri Stati europei, ad esempio in Francia, Germania e Gran Bretagna, talvolta con pene molto più severe e, pertanto, anche in sede europea, non vi è alcuna pronuncia che abbia dichiarato l'articolo 10-bis contrario a disposizioni comunitarie o internazionali;
    i centri di identificazione ed espulsione, così denominati con decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, e previsti dall'articolo 14 del testo unico sull'immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286), come modificato dall'articolo 12 della legge n. 189 del 2002, sono strutture destinate al trattenimento, convalidato dal giudice di pace, degli stranieri extracomunitari irregolari e destinati all'espulsione e si propongono di evitare la dispersione degli immigrati irregolari sul territorio e di consentire la materiale esecuzione, da parte delle forze dell'ordine, dei provvedimenti di espulsione emessi nei confronti degli irregolari;
    l'istituzione e l'operatività di tali centri sono del tutto in linea con quanto dispone e richiede l'Unione europea, poiché è la stessa direttiva 2008/115/CE («direttiva rimpatri») a prevede, agli articoli 15 e 16, il «trattenimento» «in appositi centri di permanenza temporanea» «per il tempo necessario all'espletamento diligente delle modalità di rimpatrio» e ad imporre agli Stati membri, tra cui l'Italia, l'adozione di «norme chiare, trasparenti ed eque per definire una politica di rimpatrio efficace quale elemento necessario di una politica d'immigrazione correttamente gestita»;
    nonostante la normativa europea, risulta però che in Italia dei dodici centri per l'identificazione ed espulsione ne siano stati chiusi sei, di cui ultimo quello di Gradisca d'Isonzo, a causa dei danneggiamenti e delle rivolte che, periodicamente, vengono innescate dai clandestini ospitati ed in attesa di espulsione e, sempre secondo quanto si apprende dai dati pubblicati dal Ministero dell'interno, che la capienza dei centri di identificazione ed espulsione è stata ridotta almeno in quattro dei sei istituti rimasti aperti;
    è evidente che la chiusura dei centri di identificazione ed espulsione comporta, di conseguenza, un insufficiente numero di posti disponibili rispetto al numero dei clandestini presenti sul nostro territorio e in continuo arrivo a causa di politiche lassiste di questo Governo in tema di immigrazione (pare, infatti, che siano oltre 40 mila gli immigrati entrati clandestinamente e sbarcati sulle coste italiane nel 2013), ma soprattutto – circostanza che pone l'Italia non solo in contrasto con la normativa europea ma anche con le politiche degli altri Stati europei in questo momento – la mancata esecuzione dei rimpatri dei clandestini;
    infatti, a fronte di una massiccia immigrazione clandestina e per l'inerzia delle istituzioni comunitarie – che, come noto, hanno nel tempo avocato a sé sempre più competenze in materia di immigrazione, rivelando però sempre più l'incapacità di apprestare in tempi brevi effettivi strumenti di controllo del fenomeno – recentemente in altri Stati europei i Governi hanno cominciato a predisporre misure sempre più severe in materia di contrasto all'immigrazione clandestina, come ad esempio in Gran Bretagna dove il Premier David Cameron ha annunciato che, a partire dall'inizio del 2014, applicherà una severissima politica restrittiva ai sussidi pubblici per l'immigrazione, bloccherà i servizi di assistenza sanitaria gratuita a quegli stranieri che non sono in grado di dimostrare la loro permanenza regolare sul suolo britannico ed introdurrà sanzioni per chi offrirà un lavoro o una casa agli irregolari;
    in Italia la chiusura dei centri di identificazione ed espulsione, la mancata effettuazione delle espulsioni e, invece, operazioni come Mare Nostrum, non solo vanno in direzione completamente opposta alle politiche degli altri Paesi europei in questo momento, ma creano un sistema diversificato di cui i trafficanti di esseri umani approfittano, ed anzi alimentano, il traffico di esseri umani, potendo ora i trafficanti garantire a chi paga il viaggio verso l'Italia la certezza che arriverà sicuramente a destinazione senza venire fermato o rimpatriato;
    al di là degli studi e delle conclusioni delle diverse commissioni ministeriali, sostenere che una rigorosa legislazione interna scoraggia sicuramente i flussi migratori clandestini, e conseguentemente le tragedie come quella recente di Lampedusa, ha un preciso riscontro oggettivo: dopo l'entrata in vigore del reato di ingresso e soggiorno illegale ex articolo 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nell'anno 2010 gli sbarchi sono diminuiti dell'88 per cento, secondo i dati del Ministero dell'interno pubblicati a suo tempo, ma ora però non più disponibili sul sito, salvando così numerose vite umane e dando un duro colpo ai traffi canti di esseri umani che gestiscono, come è noto ormai a tutti, l'organizzazione di tali viaggi illegali;
    oltre al «trattenimento» nei centri di identificazione ed espulsione, necessario per procedere all'effettiva espulsione dei clandestini, sempre la direttiva cosiddetta rimpatri (direttiva 2008/115/CE) dispone altresì che «al fine di agevolare la procedura di rimpatrio si sottolinea la necessità di accordi comunitari e bilaterali di riammissione con i Paesi terzi»;
    mancando un'azione comune a livello comunitario, occorre, infatti, da parte dei Governi una continua cooperazione internazionale con i Paesi di origine per la stipula o il rinnovo di accordi sia con riguardo alle operazioni di controllo dei confini, soprattutto di quelli costieri, sia per velocizzare e agevolare le operazioni di rimpatrio dei clandestini; anche in questo caso, sono i numeri a dimostrare la validità di tale sistema: ad esempio, dal maggio 2009, a seguito dell'accordo stipulato dal Ministro dell'interno pro tempore Maroni tra l'Italia e la Libia, prima della guerra, il flusso di sbarchi di immigrati era quasi cessato, passando da 39.000 persone nel 2008 a 450 nel 2009;
    essendo il nostro un Paese europeo di confine, ove più difficile è il controllo delle frontiere, in gran parte marittime, dunque è più facile meta dei flussi migratori clandestini, non è pensabile, e nella grave congiuntura economica che si sta attraversando neanche sostenibile, che la gestione di tutto il problema dell'immigrazione, anche quando derivante da vere e proprie emergenze umanitarie a seguito di eventi bellici, sia a carico solo del sistema italiano;
    a livello comunitario, gli Stati non sono ancora riusciti a creare un sistema comune di asilo, come dimostra anche la vicenda della guerra in Libia: in tale occasione il Consiglio Giustizia Affari Interni (GAI) non volle inspiegabilmente applicare la direttiva 55/2001/CE, la quale disponeva la condivisione degli oneri e la redistribuzione sull'intero territorio europeo (burden sharing) delle persone in caso di fughe di massa ed emergenze umanitarie, come, appunto, innegabilmente stava accadendo in Libia;
    recentemente è stato modificato il regolamento di Dublino III, che vede l'Italia fortemente penalizzata quale Paese in gran parte costiero e di primo ingresso e, pertanto, competente all'accoglienza dei richiedenti asilo, ma ancora gli altri Stati non hanno voluto introdurre il principio del burden sharing,

impegna il Governo:

   a rafforzare l'attuale sistema di detenzione amministrativa, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo del tutto legittimo e in linea con le normative europee e di altri Stati, innanzitutto ripristinando quanto prima la funzionalità dei sei centri di identificazione ed espulsione di Gradisca d'Isonzo, Brindisi, Bologna, Crotone, Modena e Trapani Vulpitta, attualmente chiusi;
   a rendere effettivo il recepimento della direttiva 2008/115/CE («direttiva rimpatri»), procedendo in modo celere all'identificazione e al rimpatrio dei clandestini presenti sul territorio italiano, anche mediante il rinnovo e la stipula di accordi con i Paesi di origine;
   ad assumere iniziative per rafforzare e rendere effettiva l'intera disciplina dell'ingresso, del soggiorno e dell'allontanamento dei cittadini stranieri, così come previsto dal testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286);
   a scoraggiare qualsiasi forma di ingresso «facile» nel territorio italiano, che, come ben noto, non fa che rafforzare e incrementare il grave fenomeno della tratta degli esseri umani e, invece, ad adottare campagne di informazione sia nei Paesi di origine dei principali flussi migratori irregolari che nel nostro Paese, in cui vengano fornite precise informazioni circa la legislazione vigente nel nostro Paese in materia di ingresso e soggiorno irregolare, i rischi inerenti ai viaggi e i tassi di disoccupazione del mercato del lavoro italiano;
   ad attivarsi presso le istituzioni europee affinché venga introdotto il principio del burden sharing nelle politiche relative all'immigrazione e all'asilo, venga rivisto il regolamento di Dublino III e vengano rafforzate le misure di controllo e pattugliamento dei confini, soprattutto costieri;
   a procedere alla stipula e al rinnovo di accordi per il controllo delle acque territoriali con i Paesi di origine, ma soprattutto con quelli dove vengono organizzati i viaggi clandestini e, dunque, dove operano i trafficanti, al fine di scongiurare le partenze e le perdite di ulteriori vite umane.
(1-00266) «Giancarlo Giorgetti, Fedriga, Molteni, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Grimoldi, Guidesi, Cristian Invernizzi, Marcolin, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».


  La Camera,
   premesso che:
    il problema del flusso migratorio sulle coste italiane, e di conseguenza europee, ha ormai raggiunto livelli di drammaticità insostenibili, sia in termini di vittime causate da affondamenti delle imbarcazioni utilizzate per il viaggio che in termini di gestione da parte dell'amministrazione statale dell'accoglienza, della permanenza ed eventualmente dell'espulsione dei clandestini;
    la cronaca quotidiana parla di disperati del mare, che, pur di sfuggire da una vita di violenze e privazioni nei loro rispettivi Paesi, non esitano ad affrontare massacranti viaggi in condizioni disumane su delle imbarcazioni che chiamare di fortuna risulta essere fuori luogo;
    l'ultima tragedia, in ordine di tempo, nel mare di Sicilia non può non indurre il Governo e l'apparato statale nel suo insieme ad agire, affinché vi sia un efficace e concreto impegno allo scopo di prevenire innanzitutto tragedie come quelle già raccontate e regolamentare sia l'approdo dei migranti nel nostro Paese che il loro soggiorno sul territorio, e più precisamente nei cosiddetti centri di identificazione ed espulsione, meglio noti come cie;
    le condizioni dei centri di identificazione ed espulsione costituiscono un ulteriore problema da affrontare con assoluta urgenza: l'aumento esponenziale degli ultimi tempi del flusso migratorio, in special modo dalle coste settentrionali dell'Africa, ha messo in evidenza il problema della capacità di accoglimento da parte di queste strutture delle migliaia di migranti che vi vengono trasferiti;
    un problema, questo dei centri di identificazione ed espulsione, con risvolti che vanno anche al di là della semplice gestione della questione della permanenza dei migranti: non bisogna dimenticare, infatti, che in passato molti sono stati gli episodi di violenza scoppiati all'interno dei centri di identificazione ed espulsione dovuti proprio al loro sovraffollamento, con pericolose ripercussioni anche sulla sicurezza dei cittadini residenti nelle adiacenze dei centri;
    affinché questi centri di accoglienza, e di conseguenza chi li gestisce, possano fornire un servizio dignitoso, seppur temporaneo, ai migranti, occorre intervenire sui criteri organizzativi e sui relativi finanziamenti, anche al fine di evitare eventuali ricadute negative sulle amministrazioni locali;
    occorre che lo Stato si assuma pienamente l'onere di sostenere finanziariamente il mantenimento e la gestione dei centri, in modo da assicurare una degna soluzione all'accoglimento dei migranti;
    ai fini di una corretta ed efficiente gestione dei centri, è necessario che il capo del dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno operi con i poteri straordinari di cui all'articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, che disciplina le ordinanze di protezione civile. In tal modo, il capo del dipartimento potrà disporre di adeguati poteri di intervento gestionale e finanziario sulle strutture;
    come già evidenziato e sottolineato in apertura di premessa a questa mozione, la sicurezza delle località adiacenti ai centri di accoglienza e delle popolazioni ivi residenti risulta essere uno degli aspetti più delicati della questione legata ai flussi migratori;
    nel complesso universo dei problemi legati ai flussi immigratori, non bisogna dimenticare due fattori altrettanto importanti ed essenziali ai fini di una possibile soluzione, ovvero l'integrazione dei migranti e lo sforzo che lo Stato deve assumersi, da una parte, per coinvolgere i Governi di appartenenza dei migranti ad adoperarsi per un controllo maggiore delle partenze effettuate dalle coste dei loro territori e, dall'altra, per sollecitare l'Unione europea a farsi carico di un problema che non può e non deve ricadere soltanto sulle spalle dell'Italia, che, per posizionamento geografico, è anche il Paese che maggiormente risente del flusso migratorio;
    per questi motivi, ai fini della politica di integrazione dei migranti, occorre che i permessi di soggiorno rilasciati siano effettivamente connessi ad un rapporto di lavoro già esistente, con la possibilità di prorogarlo per tutta la durata del già citato rapporto di impiego;
    soltanto in questo modo, è possibile giungere ad una seria ed efficace regolamentazione non solo dei flussi migratori, ma anche assicurare a chi arriva nel nostro Paese le condizioni di vita dignitose che non ha avuto nel suo,

impegna il Governo:

   a fare quanto in suo potere per dotare i centri di identificazione ed espulsione dei finanziamenti necessari per il loro corretto funzionamento e per la loro messa in sicurezza;
   ad assumere iniziative per fornire adeguati poteri di intervento organizzativo e finanziario al capo del dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, in modo da poter gestire al meglio i centri esistenti;
   ad incentivare le politiche di integrazione dei migranti, legando il conferimento di permessi di soggiorno a rapporti di lavoro già esistenti, con la possibilità di prorogarne gli effetti di pari passo con la durata del rapporto di lavoro medesimo;
   ad effettuare un lavoro di monitoraggio dei flussi migratori insieme ai Governi dei Paesi da cui maggiormente provengono le imbarcazioni, in modo da rallentare i flussi e prevenire le tragedie del mare causate dalle condizioni disumane di viaggio su imbarcazioni prive di qualsiasi requisito di idoneità;
   a sollecitare le autorità dell'Unione europea ad intervenire allo scopo di fornire un effettivo aiuto e sostegno ai Paesi, quali l'Italia, che sono maggiormente coinvolti ed interessati dai flussi migratori a causa della propria posizione strategica e centrale nel Mediterraneo.
(1-00267) «Costa, Dorina Bianchi, Alli, Tancredi».


   La Camera,
   premesso che:
    la bozza dell'Accordo di partenariato sulla programmazione dei Fondi Strutturali 2014-2020 prevede, in maniera innovativa, la specializzazione del Fondo per lo sviluppo e la coesione per il finanziamento delle grandi opere infrastrutturali e dedica le risorse dei Fondi Strutturali agli investimenti per le imprese e per le aree territoriali, per le persone e per le infrastrutture leggere, destinando il 37 per cento delle disponibilità ad obiettivi quali la ricerca, lo sviluppo tecnologico e l'innovazione, la competitività delle piccole e medie imprese e prevedendo, altresì, un nuovo progetto di intervento per le città riguardante mobilità sostenibile, efficienza e risparmio energetico, economia digitale ed inclusione sociale;
    si punta ancora, nell'impianto della programmazione 2014-2020, ad interventi su scala macroregionale finalizzati al consolidamento ed al rafforzamento di filiere produttive specializzate (manifattura, agricoltura, agroindustria e turismo di qualità) ed alla realizzazione di infrastrutture leggere per le connessioni di rete;
    soprattutto emerge, dal richiamato impianto di programmazione, un rafforzato e più attivo presidio nazionale, utile all'integrazione degli interventi del Fondo per lo sviluppo e la coesione, dei Fondi strutturali e delle politiche ordinarie, che potrà peraltro giovarsi dell'operato dell'istituenda Agenzia nazionale per la coesione territoriale, chiamata non solo all'esercizio di poteri sostitutivi in caso di inerzia o inadempimento delle amministrazioni territoriali o, comunque, laddove l'intervento sostitutivo si renda necessario per scongiurare il disimpegno automatico di fondi disponibili, ma anche allo svolgimento di una continua e preziosa attività di assistenza tecnica ad amministrazioni centrali e territoriali;
    impianto e scelte di programmazione ed istituzione dell'Agenzia mirano al migliore utilizzo, ai fini della riduzione dei deficit di cittadinanza e di produttività dell'area del Mezzogiorno, del quadro delle risorse stanziate, per il ciclo 2014-2020, dal disegno di legge di stabilità per il 2014, cioè 24 miliardi di euro di quota di cofinanziamento nazionale che si aggiungono a quasi 30 miliardi di euro di fondi strutturali europei, nonché ulteriori 55 miliardi di euro per il Fondo per lo sviluppo e la coesione destinati per una quota dell'80 per cento al Mezzogiorno;
    a valere sui ciclo di programmazione 2007-2013, restano altresì da rendicontare, entro il prossimo biennio, risorse per circa 28 miliardi di euro;
    resta però ancora da chiarire in via conclusiva la possibilità che la Commissione europea riconosca all'Italia la facoltà di avvalersi della clausola sugli investimenti, ossia dello scorporo dal computo del deficit rilevante ai fini del Patto di stabilità e crescita di una quota di cofinanziamenti nazionali per fondi strutturali e reti transeuropee;
    l'articolo 21 del Regolamento generale sui fondi strutturali, approvato lo scorso 20 novembre dal Parlamento europeo, ha altresì introdotto il principio della «condizionalità macroeconomica», in ragione del quale si prevede che la Commissione europea possa richiedere la sospensione di pagamenti relativi ai fondi strutturali qualora il Paese beneficiario presenti squilibri macroeconomici, con particolare riferimento a condizioni di deficit eccessivo, e ove risulti insufficiente l'azione correttiva di tali squilibri,

impegna il Governo:

   a proseguire ed intensificare l'azione di confronto in sede europea affinché vengano assicurati adeguati spazi finanziari di agibilità della spesa a titolo di concorso al cofinanziamento dei fondi strutturali ed affinché il ricorso al principio della «condizionalità macroeconomica» sia il più contenuto ed equilibrato possibile;
   a fare della politica di coesione – raccogliendo il suggerimento del Rapporto Svimez 2013 sull'economia del Mezzogiorno – «una strategia di sviluppo di respiro nazionale da declinare sui territori» e ad assicurare il più tempestivo avvio dell'operatività dell'Agenzia nazionale per la coesione territoriale allo scopo di concorrere al perseguimento dell'obiettivo del compiuto e qualificato utilizzo delle risorse tempo per tempo disponibili sulla scorta di un costante monitoraggio e della valutazione di possibili opzioni alternative laddove, ad ogni livello, l'esercizio di autonomie e competenze si riveli inadeguato;
   a verificare la possibilità di rafforzare le dotazioni finanziarie per la spesa delle regioni, in deroga al patto di stabilità interno, a titolo di cofinanziamento dei fondi strutturali e del Fondo per lo sviluppo e la coesione;
   a verificare costantemente l'adeguatezza del profilo temporale di allocazione delle risorse destinate al cofinanziamento dei fondi strutturali rispetto alle esigenze della più tempestiva attivazione di qualificati investimenti, del coerente avanzamento operativo delle linee di programmazione, del rispetto dei tempi di verifica e rendicontazione.
(1-00268) «Taranto, Rughetti, Causi, Martella, Marchi, Benamati, Mosca, Ribaudo, Rostan, Capozzolo, Pelillo».

Risoluzioni in Commissione:


   La VI Commissione,
   premesso che:
    al fine di definire le modalità di applicazione dell'articolo 2-bis, comma 1, primo periodo, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124, il quale stabilisce, ai fini della seconda rata dell'IMU, che «i comuni possono equiparare all'abitazione principale, ai fini dell'applicazione della suddetta imposta, le unità immobiliari e relative pertinenze, escluse quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, concesse in comodato dal soggetto passivo dell'imposta a parenti in linea retta entro il primo grado che le utilizzano come abitazione principale», il medesimo comma 1 prevede, al terzo periodo, che: «Ciascun comune definisce i criteri e le modalità per l'applicazione dell'agevolazione di cui al presente comma, ivi compreso il limite dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) al quale subordinare la fruizione del beneficio.»;
    in merito a tale previsione è tuttavia sorto il dubbio se il limite misurato attraverso l'ISEE debba riferirsi al possessore dell'immobile (comodante), oppure al comodatario, cioè al soggetto che fruisce dell'immobile;
    al riguardo risulterebbe invero contraddittorio, ai fini del riconoscimento di tale agevolazione, tenere conto della situazione economica equivalente del titolare dell'immobile, in quanto è ovvio che il possessore di più immobili avrà un valore ISEE (determinato dalla componente patrimoniale) molto elevato, tale da superare i limiti per fruire dell'agevolazione;
    per i motivi espressi in precedenza risulta logico che i requisiti riguardanti i limiti reddituali, ai fini dell'agevolazione, debbano essere verificati in capo al comodatario, conduttore dell'immobile;
    in tale contesto, essendo imminente la scadenza del 16 dicembre per il versamento della seconda rata IMU, nonché il termine del 9 dicembre fino al quale, ai sensi dell'articolo 8, comma 2, del decreto-legge n. 102 del 2013, i comuni possono pubblicare nel proprio sito istituzionale le deliberazioni di approvazione delle aliquote e delle detrazioni, nonché i regolamenti dell'IMU, appare necessario intervenire al più presto, al fine di dirimere in tal senso ogni dubbio emerso in sede di applicazione della predetta normativa da parte dei comuni,

impegna il Governo

ad adottare ogni iniziativa utile per chiarire che i comuni, nel definire «criteri e modalità» per la fruizione dell'agevolazione di cui all'articolo 2-bis, comma 1, primo periodo, del decreto-legge n. 102 del 2013, devono far riferimento all'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) relativo al soggetto comodatario.
(7-00192) «Ribaudo, Causi, Bargero, Bonifazi, Capozzolo, Carbone, Colaninno, De Maria, De Menech, Marco Di Maio, Marco Di Stefano, Fragomeli, Fregolent, Ginato, Lorenzo Guerini, Gutgeld, Lodolini, Pelillo, Petrini, Rostan, Sanga».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    l'EBA («everything but arms») è un'iniziativa dell'Unione europea (Reg. (Ce) n. 2501/2001) che concede l'accesso senza dazi e contingentamenti a tutti i prodotti provenienti dai paesi LDC (least developed country – Paesi meno sviluppati), senza limitazioni quantitative e senza dover pagare alcuna tariffa, eccezion fatta per le armi e le munizioni. Per i prodotti sensibili, quali riso, zucchero e banane, è stata prevista una implementazione graduale dell'accordo;
    proprio il riso è uno dei prodotti che sta maggiormente risentendo negli ultimi anni dell'introduzione di questo accordo. L'importazione di riso dai Paesi del sud est asiatico è, infatti, tutt'altro che irrilevante: complessivamente, dal 2009 al 2013, grazie agli azzeramenti o alle progressive riduzioni dei daziai quantitativi di cereali da Myanmar, Cambogia, Laos e Bangladesh verso l'Unione europea, sono passati da 10 mila tonnellate l'anno a 130 mila;
    il settore risicolo italiano è quello più colpito, poiché la filiera del riso nel nostro Paese (che esporta nell'Unione europea i due terzi della sua produzione) è una delle più importanti del settore agroalimentare nazionale; per questa ragione i risicoltori italiani nelle ultime settimane hanno annunciato che se non saranno prese a breve misure adeguate, la risicoltura italiana è destinata a fallire, a causa sia dei grossi quantitativi di prodotto che arrivano nell'area dell'Unione europea sia del drastico crollo dei prezzi sul mercato interno;
    le quotazioni del riso, infatti parlano chiaro: una diminuzione fino al 35 per cento, con punte clamorose per il riso Carnaroli, che sfiora il -63 per cento passando da 800 euro la tonnellata a 300;
    in questi giorni, a Bruxelles si è svolto un primo incontro tra europarlamentari della Commissione agricoltura e rappresentanti del settore risicolo europeo proprio sulla flessione del prezzo del riso, durante il quale sono emerse tutte le criticità qui esposte;
    le conseguenze di questa deriva, causata, ad avviso degli interroganti, da alcune concessioni mal calibrate da parte dell'Unione europea, potrebbe causare gravi conseguenze oltre che sull'apparato produttivo anche sul sistema ambientale del nostro Paese, posto che con l'abbandono dei terreni coltivati si compromette l'equilibrio dell'ecosistema, soprattutto nei territori delle regioni Piemonte e Lombardia: nel 2012 la superficie coltivata a riso era di 235 mila ettari, quest'anno si ferma a 219 mila, segno che molte aziende hanno ridotto l'investimento a favore di altri colture;
    danni potrebbero subire anche le aziende di trasformazione del riso, considerato che dal sud est asiatico il prodotto arriva spesso già pronto per essere venduto,

impegna il Governo

ad intervenire nelle competenti sedi comunitarie, e segnatamente al prossimo Consiglio europeo agricolo del 16 dicembre 2013, affinché sia attivata la clausola di salvaguardia prevista dai trattati a tutela del mercato italiano del riso, o, in alternativa, a valutare l'opportunità di introdurre un dazio proporzionato per l'importazione di un prodotto fondamentale per l'economia agroalimentare italiana.
(7-00191) «L'Abbate, Lupo, Gagnarli, Gallinella, Parentela, Benedetti, Massimiliano Bernini».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    l'agricoltura italiana, con un totale di circa 820 mila aziende, rappresenta circa il 15 per cento del totale delle imprese attive italiane;
    l'importanza del settore agricolo per l'economia nazionale non è legato solo alla produzione agroalimentare, ma anche alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio culturale ed ambientale ed all'ingente numero di lavoratori occupati;
    nonostante le difficoltà in cui versa l'intera economia italiana ed il deciso rallentamento del PIL nazionale registrato nel corso degli ultimi anni, secondo i dati Istat relativi ai primi sette mesi dell'anno, nel 2013 l'Italia ha fatto segnare il record nel valore delle esportazioni agroalimentari, arrivato a 34 miliardi di euro;
    la tutela dell'identità dei prodotti nazionali contro le frodi alimentari, la contraffazione e la pirateria, garantisce la solidità delle imprese agricole italiane e tutela l'immagine ed il valore del Made in Italy;
    in questo contesto, la produzione di carni suine è stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno, con oltre 26.000 allevamenti diffusi in tutta Italia;
    dai dati ANAS (Associazione nazionale allevatori di suini) emerge che nel 2012 l'Italia ha importato dalla Germania più di 500.000 tonnellate tra suini vivi e carni suine, che rappresentano oltre il 50 per cento del totale delle importazioni di tali prodotti;
    recentemente, la stampa europea ha diffuso alcuni dati da cui emerge che l'industria della carne suina tedesca, efficiente e con prodotti a basso costo, è, di fatto, basata su tecniche produttive e di allevamento non sostenibili, in quanto pregiudizievoli per l'ambiente, la salute e la tutela del lavoro, con conseguenze sull'inquinamento delle falde acquifere e anche sulla salute, considerato l'impiego di eccessive quantità di antibiotici;
    nel settore delle carni suine i controlli effettuati hanno portato alla luce molteplici episodi di contraffazione e frode, spesso legati all'abusivo impiego, nella fase della pubblicità o della presentazione dei prodotti, di denominazioni, o simboli, o immagini evocative di prodotti e territori italiani;
    il mercato interno deve prevenire e contrastare l'usurpazione del Made in Italy, ponendosi come garante della qualità, della salubrità, delle caratteristiche e dell'origine dei prodotti alimentari italiani, in quanto elementi funzionali a garantire la salute ed il benessere dei consumatori ed il loro diritto ad una alimentazione sana, corretta e fondata su scelte di acquisto e di consumo consapevoli;
    l'omissione delle informazioni sull'origine di un prodotto agroalimentare ed una pubblicità che suggerisca un legame inesistente tra un prodotto ed un territorio aumentano in modo significativo il rischio di confusione;
    la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiana che non possiedono pregiudica l'immagine del patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale;
    l'articolo 26, comma 2, lettera b) del Regolamento CE 25 ottobre 2011, n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, impone come obbligatoria l'indicazione del Paese d'origine o del luogo di provenienza per una serie di prodotti, tra cui le carni di animali della specie suina, fresche, refrigerate o congelate, fissando alla Commissione il termine del 13 dicembre 2013 per adottare le disposizioni di attuazione dell'obbligo,

impegna il Governo:

   a promuovere, con specifico riferimento al settore del commercio con l'estero nel settore delle carni suine, ogni azione atta a prevenire le pratiche fraudolente o ingannevoli, ai danni del Made in Italy o, comunque, ogni altro tipo di operazione o attività commerciali in grado di indurre in errore i consumatori, e a garantire la più ampia trasparenza delle informazioni sui prodotti alimentari e sui relativi processi produttivi nonché l'effettiva rintracciabilità degli alimenti nazionali;
   ad attivarsi per promuovere il rispetto, del termine del 13 dicembre 2013, imposto dal regolamento n. 1169/2011/CE, per l'attuazione dell'obbligo di indicazione del Paese d'origine o del luogo di provenienza con riferimento alle carne suine;
   ad assicurare l'adozione, anche per le carni suine, di un sistema analogo a quello previsto dall'articolo 10 della legge 14 gennaio 2013, n. 9, Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini, al fine di rendere accessibili a tutti gli organi di controllo ed alle amministrazioni interessate le informazioni ed i dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine delle carni suine, nonché assicurare l'accesso ai relativi documenti da parte dei consumatori, anche attraverso la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche.
(7-00193) «Gagnarli, L'Abbate, Lupo, Gallinella, Parentela, Benedetti, Massimiliano Bernini, Colletti».

ATTI DI CONTROLLO

AFFARI EUROPEI

Interrogazione a risposta scritta:


   SPESSOTTO, BARONI, DE LORENZIS, TOFALO, COZZOLINO, MANNINO, D'INCÀ, BRUGNEROTTO, TERZONI, NICOLA BIANCHI e DA VILLA. — Al Ministro per gli affari europei, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 107 del TFUE impone agli Stati membri, nella prospettiva della realizzazione del mercato comune europeo, di non adottare misure di aiuto finanziario al settore delle imprese, suscettibili di alterare la concorrenza ed il regolare funzionamento dei meccanismi del mercato unico;
   è di questi giorni la notizia che la Commissione europea, applicando le disposizioni previste dall'articolo 260 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, ha deciso, in ultima istanza, di adire nuovamente la Corte di giustizia dell'Unione europea per l'emissione di una sentenza che accerti il mancato recupero degli aiuti di Stato concessi dall'Italia a favore delle imprese nel territorio di Venezia e Chioggia, ed abbia altresì un contenuto sanzionatorio nei confronti del nostro Paese;
   la vicenda descritta in premessa risale al triennio 1995-1997, nel quale tutte le imprese situate nelle zone di Venezia e Chioggia hanno beneficiato di riduzioni o esenzioni relative al versamento degli oneri sociali a sostegno dell'occupazione, per la creazione e il mantenimento di posti di lavoro, beneficiando, in tal modo, di un vantaggio economico indebito rispetto ai loro concorrenti, operanti senza finanziamenti statali;
   sui predetti sgravi si era da subito focalizzata l'attenzione di Bruxelles, in quanto tali riduzioni erano state concesse a grandi imprese operanti in zone che non presentavano svantaggi regionali, e dunque, tali da essere considerate incompatibili con le norme comunitarie in materia di aiuti di Stato; per questa ragione, nel 1999, la Commissione aveva imposto all'Italia di procedere al recupero immediato degli aiuti presso i beneficiari, al fine di porre rimedio agli effetti della conseguente distorsione del mercato;
   nel 2007 la Commissione Unione europea ha tuttavia constatato che l'Italia non aveva adempiuto all'obbligo di recupero degli aiuti, rinviando il nostro Paese dinanzi alla Corte di giustizia (IP/07/648), la quale, da parte sua, ha riconosciuto la fondatezza delle ragioni dell'esecutivo Unione europeo;
   la Corte di giustizia stabilì, in via definitiva, con la sentenza del 2011 (CJE/11/55), che la Repubblica italiana, non avendo adottato, nei termini stabiliti, tutte le misure necessarie a recuperare presso i beneficiari gli aiuti concessi in base al regime dichiarato illegittimo e incompatibile con il mercato comune dalla decisione della Commissione n. 2000/394/CE, era venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell'articolo 5 di detta decisione;
   in particolare, la Corte ritenne che i motivi addotti dal Governo italiano per giustificare il mancato recupero degli aiuti illegittimamente concessi – ossia l'esistenza di un contenzioso in corso presso le autorità giudiziarie nazionali e le difficoltà collegate alla necessità di individuare le imprese obbligate a restituire detti aiuti – non costituivano un'impossibilità assoluta di dare esecuzione alla decisione 2000/394/CE, ai sensi della consolidata giurisprudenza in materia;
   la Corte, inoltre, osservava che, nel corso della procedura di recupero degli aiuti illegittimi, il legislatore italiano aveva sì adottato il decreto-legge n. 59 del 2008, volto a risolvere il problema procedurale causato dalla sospensione dell'esecuzione degli ordini di recupero degli aiuti, disposta dai giudici nazionali; tuttavia, questa misura, entrata in vigore dopo la scadenza dei termini stabiliti per procedere al recupero degli aiuti illegittimi, si era rivelata inefficace dato che, parecchi anni dopo la notifica della decisione 2000/394, una parte rilevante di detti aiuti non era stata ancora recuperata;
   nel 2012, con una lettera di messa in mora, la Commissione ha quindi intimato, in caso di ulteriore inottemperanza, un secondo deferimento dinanzi alla CGUE, giunto nella giornata dello scorso 20 novembre 2013;
   la legge di stabilità 2013 conteneva disposizioni volte a recuperare gli aiuti di Stato illegali, attraverso la previsione che l'INPS, dopo un'attività istruttoria, avrebbe dovuto notificare alle imprese un provvedimento motivato contenente l'avviso di addebito recante l'intimazione di pagamento delle somme corrispondenti agli importi non versati, nonché degli interessi maturati dalla data della fruizione dell'agevolazione fino alla data del recupero effettivo. Tali disposizioni non hanno tuttavia prodotto i risultati previsti, esponendo il nostro Paese a una sentenza di condanna definitiva;
   a 14 anni di distanza dalla decisione della Commissione e due anni dopo la prima sentenza della Corte di giustizia, è stato recuperato solo circa il 20 per cento degli aiuti dichiarati incompatibili;
   a norma dell'articolo 260 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, e data la particolare gravità e persistenza della violazione del diritto dell'Unione, la Commissione ha chiesto alla Corte di giustizia dell'UE di comminare all'Italia una penalità giornaliera di 24.578,40 euro, moltiplicati per il numero di giorni tra la prima sentenza della Corte (6 ottobre 2011) e la seconda, più una multa decrescente per ogni giorno trascorso tra questa sentenza e la sua esecuzione –:
   quali urgenti iniziative il Governo intenda intraprendere per sanare, prima che vengano comminate le onerose sanzioni di cui in premessa, la procedura di infrazione n. 2012 2202, al fine di evitare un'ulteriore condanna dell'Italia da parte della Corte di Giustizia e scongiurare l'eventualità che il pagamento delle suddette sanzioni sia a carico dei contribuenti veneti, piuttosto che degli effettivi responsabili della violazione del diritto comunitario;
   se il Governo non ritenga necessario, per il futuro, adottare tempestivamente le necessarie iniziative, anche normative destinate al miglioramento della procedura di riscossione dei debiti verso la pubblica amministrazione e a garantire l'esecuzione, da parte dei giudici nazionali, di una decisione della Commissione che obbliga uno Stato membro a recuperare un aiuto illegittimo;
   se i Ministri interrogati possano chiarire l'entità dell'impatto sulla finanza pubblica, gli oneri e gli effetti finanziari diretti a carico dell'Italia, che deriverebbero dalla sentenza di condanna dell'Unione europea nei confronti del nostro Paese, per la mancata esecuzione della precedente sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea;
   se i Ministri non ritengano che, nel caso in cui vengano comminate dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, le sanzioni di cui in premessa, si possa prefigurare l'ipotesi di un danno recuperabile rivalendosi sui soggetti che a suo tempo autorizzarono la concessione degli aiuti di Stato giudicati illegittimi. (4-02749)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FIANO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Museo storico della Liberazione, altrimenti noto a Roma come il Museo di via Tasso, è stato istituito nei locali dell'edificio che, durante i mesi dell'occupazione nazista di Roma tra l'11 settembre 1943 e il 4 giugno 1944, venne utilizzato dal comando della polizia di sicurezza come carcere, e che divenne tristemente famoso come luogo di reclusione e tortura da parte delle SS per oltre 2.000 antifascisti, molti dei quali caddero poi fucilati a Forte Bravetta e alle Fosse Ardeatine, a Roma;
   le stanze del museo, che accoglie oggi studenti di ogni parte di Italia e nel mondo, sono in parte costituite da quelle che furono all'epoca utilizzate come celle di detenzione, alcune delle quali sono state mantenute così come furono lasciate dai tedeschi in fuga, e sono oggi dedicate alla memoria di tutti coloro che vi furono detenuti e torturati, quale simbolo, nella memoria collettiva, delle più drammatiche e significative vicende nazionali e romane dell'occupazione nazi-fascista;
   tuttavia, nel corso del 2013, l'avvicendarsi di due diversi Governi nazionali, e contemporaneamente l'avvenuto rinnovo dell'amministrazione regionale e di quella comunale, hanno determinato alcune disfunzioni burocratiche che si sono pesantemente ripercosse sul finanziamento del Museo storico della liberazione, al quale sono finora venuti a mancare circa 37.000 euro di contributi previsti, che non sono stati erogati in parte dalle amministrazioni regionali e comunali da ultimo uscenti, e che corrispondono ai due quinti dell'intero bilancio del museo;
   pertanto, se il Museo non riuscirà a reperire entro il 30 novembre i 37.000 euro che gli sono venuti a mancare, rischia il commissariamento a causa della chiusura in passivo del bilancio 2013;
   paradossalmente, poiché siamo alla vigilia del settantesimo anniversario della liberazione di Roma, nella consapevolezza dell'importanza rivestita da questo Museo per la memoria collettiva nazionale, e non solo romana, sono già stati previsti per il 2014 contributi ad hoc, e il Museo ha in preparazione un denso programma di iniziative; tuttavia, per usufruire dei contributi previsti per il 2014, occorre arrivare alla fine del 2013 con il bilancio in attivo o in pareggio;
   il Museo storico della Liberazione di Roma raccoglie oggi documenti originali, cimeli, giornali e manifesti, volantini, scritti e materiali iconografici relativi all'occupazione nazifascista di Roma e alla lotta che valse alla città di Roma la medaglia d'oro al valor militare per la guerra di Liberazione nell'ambito della Resistenza italiana durante la Seconda guerra mondiale, rivestendo un valore politico, storico e culturale di livello nazionale –:
   se e quali iniziative urgenti il Governo intenda adottare, anche in accordo con le competenti amministrazioni regionali e comunali, al fine di reperire quanto prima le risorse necessarie per consentire la chiusura in attivo o quantomeno in pareggio del bilancio 2013 del Museo della liberazione, assicurando così lo svolgimento delle iniziative programmate per il 2014 nella ricorrenza del settantesimo anniversario dalla liberazione di Roma, e contribuendo così a salvaguardare un patrimonio politico, storico e culturale fondamentale per la nostra memoria collettiva. (5-01614)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SARTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Salerno è in corso la cementificazione della vasta superficie marittima compresa tra la spiaggia di Santa Teresa (anch'essa, insieme ad un lembo di mare, in parte interessata dall'edificazione) ed il centro storico cittadino;
   l'area, già demaniale, è sottoposta a numerosi vincoli conservativi e, in particolare:
    a) riveste «preminente interesse nazionale in relazione agli interessi della sicurezza dello Stato e alle esigenze della navigazione marittima» ed è, pertanto esclusa dalla delega alla regione delle funzioni di cui all'articolo 59 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, in virtù dell'articolo 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 dicembre 1995 pagina 92, punto 15, circostanza ribadita dal Ministero delle infrastrutture;
    b) è sottoposta a tutte le disposizioni della parte terza del Codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo n. 42 del 2004), per effetto dell'articolo 142, comma 1, lettera a), in quanto compresa nei 300 metri dalla battigia e lettera c), perché ricadente nella fascia di 150 metri dal torrente Fusandola, classificato come «acqua pubblica» con regio-decreto 7 maggio 1899, la cui tutela fu ulteriormente rafforzata, «dallo sbocco all'origine», con il decreto ministeriale 5 agosto 1957, emanato a seguito della devastante alluvione che investì Salerno nel 1954, causando oltre cento morti ed ingentissimi danni;
    c) è sottoposta alle «Misure di Salvaguardia della Costa» prescritte dall'autorità di bacino Destra Sele, in attesa dell'approvazione del Piano Stralcio della Costa che – stricto sensu – non avrebbero potuto consentire alcuna modifica della costa, salvo che per interventi di difesa costiera o opere marittime, previa indefettibile e preventiva Valutazione di Impatto Ambientale, mai avvenuta;
    d) è classificata dal vigente Puc (Piano urbanistico comunale) come «area alluvionale» ad alto rischio di liquefazione sismica e, ciò nondimeno, si è proceduto alla deviazione del tratto terminale del torrente Fusandola;
   la pluralità di vincoli posti a tutela dell'area avrebbe dovuto garantirne l'integrità ed il pubblico godimento; a dispetto di tale cogente situazione vincolistica, in tale importante spazio cittadino è in corso la costruzione del mastodontico edificio privato denominato «Crescent», alto circa 30 metri e lungo circa 300 ed il comune di Salerno, con fondi pubblici, ha pressoché ultimato, sebbene con gravissimi errori progettuali e/o esecutivi (allo stato oggetto di indagine giudiziaria), una smisurata piazza pubblica di circa 35.000 metri quadrati, sopraelevata di circa 3 metri dal livello del mare. Ancora, sempre nello stesso ambito, si prevede l'edificazione di ulteriori, non meno devastanti volumetrie, con conseguente stravolgimento della stessa morfologia della costa e la perdita di irrinunciabili elementi identitari della città;
   l'intervento è in corso di attuazione a seguito di un iter amministrativo che appare, prima facie, viziato da numerosissime illegittimità e anomalie ed è, comunque, elusivo delle finalità dei vincoli di tutela, come sinteticamente di seguito evidenziato;
   come riconosciuto anche dalla competente direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Campania (che aveva chiesto modifiche riduttive), le opere sono del tutto incongrue con il contesto vincolato che, situato direttamente sul mare, rappresenta il punto di cerniera – anche visuale – tra il centro storico di Salerno e la Costiera Amalfitana. L'oggettivo impatto determinato dalle costruzioni, l'irreversibile alterazione dello skyline urbano, la perdita di elementi identitari della città e delle visuali di pubblico godimento, fa ritenere che – anche attraverso anomale ed irrituali procedure autorizzative – ci si ponga in chiara violazione dei principi di tutela del paesaggio sanciti dall'articolo 9 della costituzione;
   al riguardo è opportuno segnalare che per l'autorizzazione paesaggistica a suo tempo rilasciata dal comune di Salerno non fu mai esercitato il cosiddetto «controllo di legittimità» previsto dall'articolo 159 del decreto legislativo n. 42 del 2004 che, esteso alla valutazione di tutte le forme sintomatiche dell'eccesso di potere, avrebbe dovuto indurre il Soprintendente pro tempore a disporne l'annullamento, nel termine di 60 giorni dalla ricezione degli atti;
   di contro, si registra che per la pratica in questione (e solo per questa) il Soprintendente, con modalità del tutto inconsuete, chiese, a pochi giorni dalla scadenza di legge, il parere del Comitato di settore per i beni architettonici e paesaggistici, determinando il prevedibile superamento dei termini e, con esso, il consolidamento dell'autorizzazione comunale, pur omettendo di esprimersi (a favore o contro) il dissennato intervento;
   con riferimento alla tutela paesaggistica, si devono inoltre registrare le seguenti, ulteriori anomalie:
    a) le autorizzazioni paesaggistiche successivamente rilasciate per parti dell'intervento (e non annullate dalla soprintendenza perché ritenute non in contrasto con la prima, di cui si è detto) sono decadute per decorrenza dei termini di validità quinquennale, ratione temporis disposti dalla legge;
    b) ulteriori varianti al progetto risultano approvate dal comune in carenza delle indefettibili autorizzazioni paesaggistiche;
   a seguito di sollecito del direttore regionale, il soprintendente di Salerno, con nota n. 27095 del 30 settembre 2013, ha comunicato, pur senza adottare alcun provvedimento circa la scadenza dell'autorizzazione paesaggistica n. 20 del 2008 nonché a proposito delle autorizzazioni paesaggistiche relative alla deviazione del torrente Fusandola, e della variante del piano urbanistico di attuazione (PUA) che «vista anche la complessità dell'argomento» avrebbe richiesto «un momento di confronto e verifica tecnica amministrativa di tutti gli atti rilasciati» al responsabile del servizio trasformazioni urbanistiche del comune di Salerno. Tale incontro, stando a quanto riportato nella citata nota, si sarebbe svolto il 10 settembre 2013;
   tale comunicazione avviene però in risposta ad un'istanza protocollata in entrata il 23 settembre 2013, ossia 13 giorni dopo che il soprintendente avrebbe acquisito tutti gli elementi per rispondere nel merito ai vari quesiti formulati circa le autorizzazioni paesaggistiche necessarie alla realizzazione dell'edificio denominato Crescent;
   tale circostanza lascia ritenere che:
    a) l'autorizzazione paesaggistica rilasciata il 20 febbraio 2013 sia decaduta il 20 febbraio 2013 (per il decorso del termine quinquennale previsto dal decreto legislativo n. 42 del 2004);
    b) la soprintendenza non sia in possesso di elementi tali da confermare la circostanza che tali opere realizzate nel torrente Fusandola siano mai state assentite con autorizzazione paesaggistica;
    c) la soprintendenza non è in grado di pronunciarsi in merito al fatto che la variante al piano urbanistico di attuazione (PUA) inerente all'area di Santa Teresa sia stata preceduta dalla necessaria autorizzazione paesaggistica;
   tutto ciò nonostante le informazioni in merito ai punti sopra esposti sarebbero dovute essere già in possesso del soprintendente, proprio alla luce di quanto esso stesso dichiara nella nota n. 27095 del 30 settembre 2013, a seguito dell'incontro del 10 settembre;
   nonostante quanto esposto, i lavori continuano alacremente in carenza di specifiche autorizzazioni paesaggistiche e senza che il soprintendente adotti i provvedimenti del caso, espressamente previsti dagli articoli 150, 155 e 167 del Codice dei beni culturali e del paesaggio;
   l'area oggetto della cementificazione in argomento non è stata integralmente «sdemanializzata»; allo stato, infatti, una porzione di oltre 20.000 metri quadri è qualificata giuridicamente come «Beni del Demanio Pubblico dello Stato – Ramo Marina Mercantile», circostanza certificata dall'ufficio del demanio regionale;
   tanto non ha impedito che il comune di Salerno alienasse i «diritti edificatori» originati da tali superfici alla società privata che attende alla costruzione del Crescent;
   una considerevole parte di tale area è incredibilmente costituita da circa 6500 metri quadrati di arenile (spiaggia storica di Santa Teresa) e da circa 1.500 metri quadrati di mare, anch'essa inserita (unitamente alla fascia inedificabile di rispetto fluviale del Torrente Fusandola) nel comparto edificatorio in argomento quale superficie territoriale «St» e computata ai fini volumetrici per la realizzazione del mastodontico edificio;
   il nuovo direttore regionale dell'Agenzia del demanio di Napoli (il precedente, indagato nella vicenda de qua, è stato sostituito da altro dirigente) ha riferito – con nota n. 10560 del 6 agosto 2013 – che il comune di Salerno e l'autorità portuale di Salerno stanno irritualmente consentendo l'edificazione su area non ancora sdemanializzata (per oltre 20.000 metri comunali);
   al riguardo, si fa osservare che:
    a) il vecchio alveo del torrente Fusandola non è mai stato sottratto al regime demaniale, sebbene ne sia stato deviato il corso dal comune di Salerno, utilizzando il provvedimento di occupazione temporanea di 4 anni n. 18/2009 (rinnovato con il n. 2/2013 del 27 settembre 2013) evidentemente del tutto inidoneo a consentire opere definitive «di non facile rimozione» (cfr. articolo 48 e segg. Codice Nav.);
    b) il presidente dell'autorità portuale di Salerno ha rilasciato al comune di Salerno una concessione temporanea ai sensi dell'articolo 36 del codice della navigazione (n. 1/2009 n. rep. 537), utile soltanto ai fini turistico-ricreativi ed inidonea a consentire l'edificazione dell'area con opere non removibili, peraltro in area vincolata dal decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 1995; nella primavera del 2013, l'autorità portuale ha, inoltre, avviato i lavori della torre T2 (parte dello stesso comparto edificatorio) compresa, anch'essa, in ambito non sdemanializzato, circostanza attestata dalla nota del demanio n. 10560 del 6 agosto 2013;
    c) non risulta, a quanto risulta all'interrogante, ancora iniziata la procedura di totale sdemanializzazione dei circa 45.000 metri quadri del restante comparto;
    d) non sono mai pervenuti in merito pareri da parte della capitaneria di porto e/o del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (il cui Viceministro attualmente è il sindaco di Salerno);
   a seguito dei numerosi esposti (oltre 25 analiticamente documentati) prodotti dalle associazioni ambientaliste «Italia Nostra onlus» e «Comitato No Crescent», la procura della Repubblica di Salerno ha avviato alcuni procedimenti penali, tra cui quello con n. 13095/09/21, riguardante il sindaco di Salerno e Viceministro alle infrastrutture, dottor Vincenzo De Luca, l'ex soprintendente ai beni culturali e paesaggistici di Salerno ed un dirigente comunale, nonché tutti i funzionari comunali intervenuti nell’iter procedimentale, e altri;
   dopo il crollo di parte della costruenda piazza antistante l'edificio privato, sono state avviate indagini tra gli altri, a carico dell'impresa appaltatrice (oggi estromessa per intervenuta interdirettiva antimafia emessa dal prefetto) ed altri soggetti;
   allo stato il cantiere della piazza permane sotto il sequestro disposto dalla magistratura penale (il ctu della procura, professor Augenti, ha dichiarato l'impossibilità e la pericolosità di eseguire prove di carico e di collaudo ed ha evidenziato che i lavori furono iniziati senza la necessaria autorizzazione sismica), invece i lavori del palazzo privato proseguono alacremente, ad opera della società Crescent srl, aggiudicataria dei diritti edificatori messi al bando dal comune di Salerno nel 2010;
   la vicenda brevemente tratteggiata è paradigmatica dell'assenza di controllo, non soltanto delle pubbliche amministrazioni istituzionalmente competenti (soprintendenza, capitaneria di porto, genio civile, autorità di bacino, autorità portuale, e altro), ma anche delle autorità giudiziarie penale e contabile;
   a dispetto della produzione di esposti analiticamente documentati, con i quali sono state segnalate – da parte delle sopra citate Associazioni ambientaliste – anomalie e fattispecie integranti estremi di reato, la procura della Repubblica di Salerno non si è ancora determinata e sebbene il primo fascicolo sia stato aperto fin dall'anno 2009 (con n.13095/09/21) nulla in merito allo sviluppo delle indagini è stato trasmesso ai patrocinanti delle suddette associazioni, nonostante questi ultimi abbiano fatto esplicita richiesta di informazioni circa l'esito delle stesse così come previsto dall'articolo 408 comma II del codice di procedura penale –:
   se, il Ministro della giustizia sia a conoscenza dei fatti esposti;
   se intenda esercitare il proprio potere in ordine a tale vicenda, anche disponendo una ispezione mirata ex articolo 7 legge 12 agosto 1962, n. 1311 ultimo comma presso gli uffici giudiziari competenti del tribunale di Salerno;
   se, all'esito di tali accertamenti, qualora ne rilevasse i presupposti, intenda assumere le opportune iniziative di promozione dell'azione disciplinare. (5-01620)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LIUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 27 novembre 2013 «il Quotidiano della Basilicata» ha pubblicato un articolo inerente ai disagi per i passeggeri che utilizzano il servizio ferroviario della tratta Potenza Foggia, raccogliendo le denunce degli utenti che partono dalla stazione di Rionero-Atella-Ripacandida;
   dall'articolo si apprende che i treni nella tratta sopra citata risultano essere costantemente in ritardo, sovraffollati, soppressi o sostituiti con autobus spesso in ritardo;
   la stazione è interessata anche da ulteriori disservizi: manca una sala d'attesa, le obliteratrici sono spesso non funzionanti e i servizi igienici sono fatiscenti;
   nello stesso articolo vengono raccolte le istanze direttamente dai viaggiatori intercettando i presenti in stazione il 26 novembre alle 7,00 del mattino;
   si legge ancora che un capotreno di passaggio la mattina del 26 novembre 2013, ha giustificato la chiusura della sala d'attesa per via del continuo imbrattamento delle pareti e l'utilizzo della stessa sala come «vespasiano» durante la notte;
   l'unico spazio che protegge i passeggeri nell'attesa del treno è il bar o una pensilina esterna. Tuttavia date le condizioni climatiche invernali gli «spazi di fortuna», non sono sufficienti per fornire «un riparo adeguato»;
   altro problema increscioso è dato dal fatto che saltuariamente le tratte sono servite da un unico vagone, che per la limitata capienza permette a poche persone di utilizzare il mezzo e di raggiungere il posto di lavoro;
   dalle denunce si rileva anche il problema dei forti ritardi degli autobus che sostituiscono i treni soppressi e l'inadeguatezza della pulizia di tutta la stazione;
   l'amministrazione comunale di Rionero con sede a Palazzo Rotondo, in base a quanto si apprende dal giornale, cerca di contrastare il fenomeno della fatiscenza con una pulizia periodica dei servizi e propone in futuro di video sorvegliare l'area per ovviare al problema del vandalismo;
   gli utenti tuttavia continuano ad essere insoddisfatti del servizio che sono obbligati ad utilizzare per raggiungere le città di Potenza e di Foggia o in extremis alcuni viaggiatori sono costretti a impiegare mezzi privati su una tratta stradale di forte pericolosità quale la Potenza-Melfi, nota alla cronaca per numerosi incidenti mortali;
   a detta dell'interrogante, è inaccettabile sentir parlare dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di sviluppo dei trasporti mediante opere, ad avviso del gruppo del M5S, inutili come la Tav Torino-Lione o la Tav del Brennero, quando non si è neanche in grado di assicurare i servizi minimi di mobilità analoghi su tutto il territorio nazionale e in particolare in regioni come la Basilicata;
   il regolamento (CE) n. 1371/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007, tutela i diritti dei passeggeri nel trasporto ferroviario;
   l'articolo 16 della Costituzione tutela la libera circolazione dei cittadini e la mobilità –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra citati e se intenda assumere iniziative urgenti per assicurare le risorse necessarie al trasporto pubblico locale per garantire un servizio dignitoso per i pendolari, ivi compresi quelli della tratta di cui in premessa. (5-01617)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FAENZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta da un'indagine congiunturale svolta da Unioncamere Toscana, in collaborazione con Ance Toscana, l'attività del comparto edilizio nel corso del primo semestre 2013, misurata in termini di ore lavorate, risulta essere al -9,12 per cento rispetto al primo semestre del precedente anno;
   il documento conoscitivo evidenzia inoltre, che nel medesimo semestre, il 39,6 per cento delle imprese ha presentato domanda di accesso al credito bancario, rispetto al 60,6 per cento del precedente anno, a dimostrazione dello scoraggiamento degli operatori e in senso più generale, nei confronti della persistente recessione dell'economia italiana, tutt'altro che in fase di esaurimento;
   il comparto dell'edilizia residenziale, che produce il 29,6 per cento del fatturato totale del settore, prosegue il rapporto, denuncia una flessione dovuta in particolare alla contrazione della domanda di nuove abitazioni, causata dalla diminuzione del reddito disponibile delle famiglie e dalla persistente difficoltà nella concessione dei mutui (le erogazioni di nuovi mutui sono diminuite del 19,3 per cento), unitamente alle compravendite di immobili residenziali -13 per cento e alle concessioni per l'edilizia residenziale, la cui variazione negli anni 2011/2010 risulta essere -16,4 per cento;
   per quasi un'azienda su due, continua l'indagine congiunta, decresce il portafoglio ordini e nei rapporti di committenza pubblica, che genera il 41 per cento del fatturato totale e riguarda il 69,3 per cento delle imprese, si segnalano ritardi nei pagamenti per il 75,5 per cento delle aziende;
   interventi finanziari in grado di rilanciare il settore delle infrastrutture con particolare riferimento all'edilizia, profondamente colpita dalla crisi economica che insiste da oltre sei anni, nonché dall'elevata tassazione che grava sul comparto, rappresentano, giudizio dell'interrogante, una priorità indispensabile non soltanto per sostenere la filiera dell'abitare e delle costruzioni, volano fondamentale dell'economia domestica, ma anche per favorire nuove forme di occupazione ed invertire un trend legato alla disoccupazione che ha raggiunto livelli inaccettabili –:
   quali orientamenti il Governo intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;  
   quali iniziative urgenti e necessarie si intendano intraprendere, per sostenere il settore delle costruzioni la cui recessione profonda e lunga tuttora in corso, ha determinato notevoli ripercussioni negative sull'economia ed in particolare sull'occupazione;
   se non si convenga infine che il comparto delle costruzioni e dell'edilizia abitativa in particolare, che ha la caratteristica di innestare impulsi che si riflettono positivamente sull'intero sistema economico, richieda politiche d'intervento strutturali in grado di invertire un trend sfavorevole che insiste da troppi anni.
(4-02744)


   SPESSOTTO, DA VILLA, TERZONI, BENEDETTI, MICILLO, DE LORENZIS, ROSTELLATO, COZZOLINO, MANNINO, DE ROSA, D'INCÀ, BRUGNEROTTO e NICOLA BIANCHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   durante la seduta dello scorso 8 novembre, il Comitato Interministeriale per la programmazione economica – CIPE – ha dato il via libera alla costruzione dell'autostrada Orte-Mestre, infrastruttura la cui realizzazione è stata parimenti annunciata dal Presidente del Consiglio dei ministri Enrico Letta, nel corso della conferenza stampa, prima dell'ultimo Consiglio dei ministri; in tale sede, la nuova autostrada è stata definita dal Presidente del Consiglio dei ministri Enrico Letta come «uno dei più importanti nodi stradali del nostro Paese» atteso da molto tempo;
   come noto, il soggetto promotore dell'opera risulta essere, insieme ad Anas, il consorzio guidato dalla Gefip Holding SA, società controllata da Vito Bonsignore e formata da la Banca Carige Spa, l'Efibanca Spa, l'Egis Projects Sa, ILI Autostrade Spa MEC Srl Scetaroute Sa, Technip Italy Spa e Transroute International Sa;
   l'autostrada Orte-Mestre è stata classificata opera strategica dalla delibera CIPE n. 121 del 2001 e automaticamente inserita nel Piano Generale dei Trasporti e della Logistica (PGTL), approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 14 marzo del 2001. Il suddetto decreto del Presidente della Repubblica, in ottemperanza alla direttiva 2001/42/CE, prescrive la valutazione ambientale strategica (Vas) sul PGTL, Vas che risulta non essere stata ancora effettuata;
   la mancata sottoposizione a vas del Piano generale dei trasporti genera, nel caso della Orte Mestre, ulteriori riflessioni, rilevato che la nuova infrastruttura coinvolge numerosi siti classificati come SIC e ZPS, quali le Valli di Comacchio, il Parco del Delta del Po, la Laguna sud di Venezia, la Riviera del Brenta, le Valli del Mezzano e le foreste Casentinesi negli appennini centrali. Inoltre, risulta all'interrogante, che la nuova autostrada interverrebbe sul territorio attraversato con cemento e soluzioni «pesanti», considerato che un terzo del percorso è costituito da viadotti e ponti, il 16 per cento da gallerie (quattro), 246 chilometri tra cavalcavia (20) e sottovie, 83 svincoli, 15 aree di servizio, con una conseguente movimentazione del terreno pari a 34 milioni di metri cubi;
   il Ministero dell'ambiente ha posto in consultazione la strategie di adattamento territoriale agli effetti dei cambiamenti climatici. Il V Report Ipcc (Intergovemmental panel on climate change), di cui sono state anticipate ampie parti, evidenzia, tra l'altro, condizioni ecosistemiche radicalmente peggiorate, come attestate d'altra parte anche dai rapporti della Agenzia europea dell'ambiente;
   in particolare, il Rapporto di valutazione dell'Ipcc (AR4-WGII) del 2007 nonché il recente rapporto dell'Agenzia Europea dell'ambiente (European environment agency, EEA) «Climate change, impacts and vulnerability in Europe 2012 – An indicator-based report» del 2012, hanno evidenziato come, nei prossimi decenni, la regione Europea, ed in particolare la regione del Mediterraneo, dovrà far fronte ad impatti particolarmente negativi dei cambiamenti climatici, i quali, combinandosi agli effetti dovuti alle pressioni antropiche sulle risorse naturali, fanno proprio della regione del Mediterraneo una delle aree più vulnerabili d'Europa (EEA, 2012);
   in tale direzione vanno anche i documenti «Adaptation in Europe» (EEA, 201,3) e «Guiding principles for adaptation to climate change in Europe» (2010), dal Libro bianco della Commissione europea «L'adattamento ai cambiamenti climatici: verso un quadro d'azione europeo» (EC, 2009) e dal pacchetto di informazioni che ha accompagnato la Strategia europea di adattamento, di recente adozione e, in particolare, il documento «Guidelines on developing adaptation strategies» (EC, 2013a,c,d);
   come noto, la nuova autostrada Orte-Mestre, i cui lavori dovrebbero iniziare tra due anni per terminare nel 2020, econosciuta anche con il nome di Romea-Commerciale e coprirà una tratta di 380 chilometri, attraverso 5 regioni italiane (Lazio, Umbria, Toscana, Emilia, Veneto), 11 province e 48 comuni, ed avrà un costo complessivo di 9,8 miliardi di euro, 2 miliardi e 600 milioni in più di quelli inizialmente preventivati dal CIPE;
   risulta all'interrogante che il progetto preliminare dell'autostrada Orte-Mestre, inserita a suo tempo tra gli interventi strategici, era stato stralciato dall'elenco delle grandi opere dallo stesso CIPE, l'anno scorso, a causa della mancanza dei fondi necessari per procedere alla sua realizzazione;
   tale infrastruttura, che presenta un prospetto finanziario a lunghissimo termine, sarà ora affidata in concessione per 50 anni e verrà realizzata integralmente in regime di project financing; i futuri realizzatori beneficeranno inoltre della prima applicazione della legge per la defiscalizzazione delle opere di project financing, con un credito di imposta, quantificabile in circa 2 miliardi di euro, riconosciuto su Ires, Irap e Iva e valido per 15-20 anni;
   tale defiscalizzazione per investimenti in infrastrutture, in accordo con quanto previsto dall'articolo 18 della legge n. 183 del 2011 e dalle Linee guida del CIPE per la sua applicazione, viene concessa per investimenti in opere di project financing, dove risulta certa la non sostenibilità del piano economico finanziario;
   la società proponente è inoltre titolare di concessione di contratto di partenariato pubblico privato e, ai sensi della legislazione sui project bond, è idonea all'emissione degli stessi, i quali fruiscono di corposi benefici fiscali sia in termini di tassazione degli interessi per i sottoscrittori che per la società che li emette;
   stando a quanto riportato dai comitati cittadini presenti sul territorio, i dati del traffico commerciale che interessa la Romea sarebbero crollati dal 2008 del 30 per cento circa, a causa della crisi economica; la strada statale 309 Romea registrerebbe attualmente livelli di traffico bassissimi (circa 15-18 mila veicoli al giorno), inferiori a quelli della SR 11 Brentana e quindi considerati tali da non poter giustificare la costruzione di un nuovo tracciato autostradale di circa 400 chilometri le cui previsioni dei flussi di traffico sarebbero, alla luce di questi dati, inattendibili e sovrastimati;
   il progetto preliminare della Mestre-Orte approvato dal CIPE non prevede la messa in sicurezza dell'attuale strada statale Romea che, come riportato dai rilevamenti statistici dell'ACI e ISTAT, risulta essere la strada più pericolosa d'Italia, secondo i parametri relativi al numero di incidenti stradali per chilometro e al numero di morti per incidente;
   i cittadini-automobilisti che fino ad oggi hanno viaggiato gratuitamente sul quel tragitto, dovranno ora contribuire, per 50 anni, con il pagamento di pedaggi autostradali alla società concessionaria dell'opera;
   solo in Veneto il tracciato dell'autostrada e lungo circa 125 chilometri e attraversa parchi regionali, Siti di interesse Comunitario (SIC) e Zone di protezione Speciale (ZPS), oltre a siti di grande pregio naturalistico quali la laguna di Venezia, la zona archeologica della Riviera sud, le valli di Comacchio e il Parco del Delta del Po, con un consumo di suolo stimato di oltre 331 ettari;
   è di questi giorni la notizia che decine di comitati cittadini locali, istituzioni, movimenti e organizzazioni, oltre a diverse realtà del Veneto coinvolte dal tracciato, stanno manifestando il loro dissenso alla costruzione della grande opera Orte-Mestre, giudicata ad impatto ambientale devastante per il loro territorio –:
   se i Ministri interrogati possano chiarire i motivi che sottendono alla concessione di una defiscalizzazione pari a 1,8 miliardi di euro a favore di una cordata di imprenditori e banchieri, dal momento che sia l'analisi economica costi-benefici sia l'analisi finanziaria costi-ricavi per la nuova autostrada Orte-Mestre mostrano entrambi valori chiaramente positivi e quindi in contrasto con le previsioni dettate dall'articolo 18 della legge n. 183 del 2011 e dalle linee guida del CIPE che, come riportato in premessa, concedono la defiscalizzazione in caso di accertata non sostenibilità dei piano economico e finanziario;
   se i Ministri non ritengano necessario, alla luce di quanto esposto in premessa, sottoporre alla vas il Piano generale dei trasporti e della logistica (PGTU), come previsto dal Dpr 13 marzo 2001 e tenuto conto dei peggioramenti complessivi di natura eco sistemica certificati dai Report di Ipcc e EEA;
   quando e come i Ministri interrogati intendano adempiere alle indicazioni contenute nei documenti comunitari citati in premessa e relativi alla strategia da adottare nei confronti degli effetti dei cambiamenti climatici rilevato che in Italia, allo stato attuale, non esiste ancora un riferimento univoco, specifico e completo che consenta di valutare tali effetti sui trasporti e che le risposte ai cambiamenti climatici dovrebbero essere date, in primo luogo, privilegiando l'ottimizzazione delle reti esistenti rispetto alla realizzazione di nuove e grandi opere ed effettuando una valutazione ponderata degli standard di efficienza delle infrastrutture rispetto alla loro funzionalità;
   se i Ministri interrogati considerata l'attuale situazione della finanza pubblica italiana, non intendano prevedere un limite di partecipazione pubblica al finanziamento dell'opera Orte-Mestre, rilevato che tra quota Anas, defiscalizzazione e probabile emissione di project bond, l'onere pubblico assumerebbe proporzioni assai elevate, in misura ancora maggiore nei confronti di una holding come la Gefip SA che ha sede giuridica in Belgio;
   se i Ministri siano altresì a conoscenza delle mobilitazioni di cittadini, associazioni, comitati e forze politiche che stanno protestando contro la realizzazione della nuova Orte-Mestre nei rispettivi territori di appartenenza, coinvolti nel tracciato, e se e quali azioni intendano intraprendere per raccogliere debitamente le loro istanze;
   se i Ministri interrogati non ritengano necessario e oltremodo urgente intervenire sul tracciato dell'attuale strada statale n. 309 Romea, prevedendo opere di messa in sicurezza, potenziamento delle infrastrutture esistenti e riqualificazine del territorio, atte a migliorare la viabilità sull'arteria;
   se i Ministri interrogati possano altresì fornire dati certi relativi all'entità dei traffici prevedibili sulla nuova tratta Orte-Mestre e chiarire a quale interesse strategico nazionale corrisponderebbe la costruzione della nuova tratta, alla luce della registrata bassa domanda di trasporto commerciale e degli attuali flussi di traffico della strada Romea, come riportati in premessa. (4-02750)

INTERNO

Interrogazioni a risposta orale:


   PIAZZONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 29 novembre 2013 è in programma a Roma, presso la sede occupata del movimento politico di estrema destra Casa Pound Italia, un convegno dove interverranno come invitati principali Apostolos Gkletsos, ex deputato, portavoce del segretario e membro del Comitato Centrale di Alba Dorata, e Konstantinos Boviatsos, militante del movimento greco;
   Alba Dorata è un movimento greco di chiara ispirazione neonazista, che diffonde idee discriminatorie e razziste, distinguendosi per aver favorito, con le sue pubbliche prese di posizione, un clima di odio e di discriminazione razziale e rendendosi responsabile di numerosi e gravissimi episodi di violenza contro migranti e militanti dei partiti di sinistra;
   l'episodio criminale più grave, direttamente riconducibile all'organizzazione estremista greca, si è verificato nella notte tra il 17 e il 18 settembre 2013, quando Georgos Roupakias – militante dell'organizzazione, reo confesso – ha assassinato il cantante antifascista greco Pavlos Fissas;
   sulla scorta delle ideologie propagandate e delle violenze perpetrate la magistratura ellenica ha mosso nei confronti di Alba Dorata l'accusa di essere un'organizzazione criminale, ricalcata sulle strutture di comando naziste e responsabile di omicidio, aggressioni fisiche e racket a fine estorsivo. Il leader dell'organizzazione Nikos Mihaloliakos, è stato arrestato insieme al portavoce Ilias Kassidiaris e ad altri tre deputati, con la contestazione di essere a capo della suddetta organizzazione criminale;
   il convegno organizzato da Casa Pound – movimento dichiaratamente nostalgico del fascismo -intitolato «Che cos’è, come è organizzata e cosa vuole davvero Alba Dorata ?», sembra offrire l'ennesimo pretesto per la diffusione e la propaganda di ideologie razziste, xenofobe, dando risalto e visibilità anche nel nostro Paese a quella che può essere definita a tutti gli effetti come una organizzazione filonazista, abitualmente dedita ad attività criminali;
   occorre ricordare che in base alla cosiddetta legge Mancino è vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi e chi partecipa a tali organizzazioni, o presta assistenza alla loro attività, è punito, per il solo fatto della partecipazione o dell'assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro anni, mentre coloro che promuovono o dirigono tali organizzazioni, sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da uno a sei anni –:
   quali iniziative intenda adottare al fine impedire l'attività sul suolo italiano di organizzazioni e movimenti che incitano e praticano l'odio razziale e la violenza e se non intenda monitorare attentamente i legami e i rapporti tra le organizzazioni italiane di estrema destra e il più volte citato movimento greco, affinché non si verifichino episodi di recrudescenza nell'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali. (3-00490)


   BRUNETTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 27 novembre 2013, giorno della manifestazione organizzata da Forza Italia per sostenere il presidente Berlusconi contro il provvedimento di decadenza a suo carico, si è appreso che, in spregio delle più elementari norme di libera manifestazione del pensiero e dimenticando quanto è accaduto in passato nel corso di altri simili eventi, alcuni funzionari delle forze dell'ordine hanno sequestrato un cartello che sarebbe stato esposto nel corso della medesima manifestazione;
   il cartello denunciava il «colpo di Stato» della decadenza di Silvio Berlusconi dal Parlamento, e doveva essere esposto dalle ore 14 davanti a palazzo Grazioli;
   è a giudizio dell'interrogante a dir poco inopportuno oltre che illegittimo che si sia verificato il sequestro preventivo di un cartello, soprattutto nei confronti di persone che da vent'anni organizzano manifestazioni pacifiche, correttissime ed esemplari, contrariamente a quanto accade purtroppo molto spesso da parte di altri gruppi di protesta presenti nel nostro Paese;
   per questo un simile atteggiamento è inaccettabile, in particolare in un Paese che vuol dirsi democratico e in cui la libertà di parola e di espressione non può essere in alcun modo sottoposta ad un qualsiasi vaglio preventivo –:
   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero e, in tal caso, quali iniziative intenda adottare per evitare che simili episodi si ripetano in futuro, e per garantire e ripristinare quanto prima la possibilità per tutti i manifestanti di esprimere in libertà e democrazia opinioni, commenti e idee. (3-00491)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è di pochi giorni fa la notizia di un terribile episodio di cronaca consumatosi nella città di Sperone (AV);
   in particolare, lo scorso 22 novembre, Francesco Basile, un ingegnere di settanta anni, è stato assassinato con cinque colpi di pistola al volto, sparati da distanza ravvicinata, mentre si trovava all'ingresso di un suo cantiere, in via Colucci, fermo nella sua Volkswagen Passat;
   secondo quanto riportato dalle cronache locali, le lamiere di recinzione del cantiere avrebbero coperto la visuale agli operai che stavano lavorando all'interno e che avrebbero udito solo gli spari;
   sull'omicidio, di Francesco Basile indaga la direzione distrettuale antimafia che, insieme ai carabinieri del comando provinciale di Avellino, stanno ricostruendo le ultime ore di vita della vittima e la sua rete di rapporti;
   la vittima era un professionista stimato e capace che aveva creato nella zona un piccolo indotto di imprese che collaboravano con lui e non aveva mai avuto problemi con la giustizia;
   le modalità dell'agguato, però, hanno fatto subito pensare a un delitto di matrice criminale: secondo la linea del PM della Dda di Napoli che coordina le indagini sull'omicidio di Francesco Basile, infatti, si tratterebbe di un'azione portata a termine da professionisti con modalità che impongono necessariamente approfondimenti su eventuali connessioni con la criminalità organizzata;
   solo il 31 luglio 2013 si era registrato nella zona un fatto di sangue analogo, quando a Baiano (AV), a pochi chilometri da Sperone, venne ucciso il titolare di un'azienda di ferramenta, con identica spietata freddezza e cruenta rapidità;
   nella zona dove si è consumato il delitto non sarebbero presenti impianti di video-sorveglianza in grado di offrire utili elementi agli investigatori;
   l'intensificarsi di tali fenomeni genera insicurezza e allarme tra i cittadini;
   ogni giorno le cronache ci regalano episodi di inaudita gravità, sintomatici di una escalation di violenza e criminalità che deve essere prontamente affrontata e arginata con fermezza e determinazione –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative tenda assumere per contrastare tali fenomeni e garantire una maggiore tutela del territorio. (4-02743)


   NACCARATO, NARDUOLO e MIOTTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Saonara in provincia di Padova ha bandito un concorso pubblico per la copertura di un posto a tempo indeterminato di istruttore tecnico geometra (Cat. C pos. eco. C1) con deliberazione n. 29 del 7 marzo 2013;
   successivamente il consiglio comunale di Saonara ha stabilito, con deliberazione adottata nella seduta del 23 settembre 2013, trattata al punto 7 dell'ordine del giorno della medesima adunanza, di porre in essere una convenzione, tra i comuni di Saonara e Galzignano Terme, per l'utilizzo, da parte di quest'ultimo ente locale, della graduatoria formatasi a seguito del detto concorso pubblico;
   l'articolo 35, comma 3, lettera e) del Testo unico del pubblico impiego (decreto legislativo n. 165 del 2001, e successive modifiche) prescrive in materia di «composizione delle commissioni» per i pubblici concorsi e la formazione delle relative graduatorie, la nomina di membri di provata competenza nelle materie di concorso, scelti tra funzionari delle amministrazioni che «(...)non siano componenti dell'Organo di direzione politica dell'Amministrazione, che non ricoprano cariche politiche»;
   dalla lettura della deliberazione n. 29 del 7 marzo 2013, istitutiva della commissione in questione si deduce che all'epoca dell'espletamento delle procedure concorsuali un funzionario-membro della commissione esaminatrice del suddetto concorso nel comune di Saonara risultava essere anche assessore presso il comune di Galzignano Terme;
   di conseguenza la convenzione di cui alla deliberazione n. 51 del consiglio comunale di Saonara del 23 settembre 2013, secondo la quale l'amministrazione di Galzignano potrebbe attingere alla graduatoria di detto concorso, agli interroganti sembra aggirare il divieto di cui l'articolo 35, comma 3, lettera e) del Testo unico del pubblico impiego in quanto detta amministrazione attingerebbe ad una graduatoria formata da una commissione a cui non poteva partecipare un proprio assessore comunale;
   un consigliere comunale del comune di Saonara ha avvertito con atto formale l'amministrazione di detto comune della opportunità di ritirare la deliberazione n. 51 del Consiglio comunale del 23 settembre 2013 in quanto risulterebbero ancora pendenti i termini per l'impugnativa avanti al Tar Veneto, con evidente possibile danno in capo alla stessa amministrazione comunale di Saonara in caso di accoglimento del ricorso;
   due consiglieri comunali del comune di Galzignano hanno parallelamente fatto istanza per l'annullamento in autotutela della relativa delibera n. 28 del 25 settembre 2013 del consiglio comunale di Galzignano Terme per gli stessi motivi;
   ad oggi non risulta che né il comune di Saonara né comune di Galzignano abbiano dato seguito all'annullamento in autotutela delle delibere indicate, mentre risulta che attingendo a quella graduatoria il comune di Galzignano abbia effettivamente assunto un dipendente –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopraesposti;
   se il Governo intenda verificare se sussistano i presupposti per avviare iniziative ispettive ai sensi dell'articolo 60, comma 5, del decreto legislativo n. 165 del 2001, ed, eventualmente, se si intendano assumere iniziative normative volte ad evitare inequivocabilmente che le amministrazioni locali, attraverso convenzioni, possano aggirare le norme che regolano i concorsi pubblici. (4-02745)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'emergenza furti ha raggiunto nella provincia comasca dimensioni oggettivamente allarmanti;  
   secondo la prefettura di Como, infatti, nei primi dieci mesi del 2013 si sarebbero verificati nel territorio di competenza ben 2.358 furti, con un incremento del 26,96 per cento rispetto al medesimo periodo del 2012;
   l'ondata dei furti interessa tutti i comuni della provincia e da ultimo ha colpito anche Buccinigo, frazione del comune di Erba, dove tra il 22 ed il 23 novembre 2013 si sono registrate almeno due effrazioni e la sottrazione indebita di un'autovettura;
   all'effrazione degli appartamenti si sono aggiunti ad Erba anche i furti di carburante dalle autovetture in sosta;
   la circostanza sta determinando ovunque la diffusa richiesta di rinforzi per fronteggiare l'emergenza, che pare essere determinata da incursioni notturne di malavitosi provenienti dalla periferia di Milano, nonché iniziative tendenti alla mobilitazione della società civile, sia sotto forma di ricorso al contributo delle imprese di vigilanza privata che tramite l'attivazione di ronde più o meno informali;
   tali iniziative paiono incontrare persino la comprensione del personale delle forze dell'ordine, la cui dedizione è peraltro fuori discussione, ma risulta quantitativamente inadeguato a fronteggiare la sfida;
   sorge da questa situazione obiettivamente difficile anche la richiesta, formalizzata da ambienti politici erbesi, di un incremento degli organici delle forze dell'ordine in servizio notturno e della costituzione ad Erba di una tenenza dell'Arma dei Carabinieri –:
   come il Governo conti di fronteggiare l'emergenza sicurezza che interessa il territorio della provincia comasca e non cessa di aggravarsi di giorno in giorno ed, in particolare, se non si ritenga opportuno e necessario istituire una tenenza dell'arma dei carabinieri ad Erba e contestualmente potenziare i locali pattugliamenti notturni, anche con funzione deterrente rispetto alle scorribande di malviventi che giungono da Milano per effettuare nei comuni lariani vere e proprie razzie. (4-02751)


   BUENO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   in Brasile otto anni fa è scoppiato un gravissimo caso di corruzione politica. Si tratta di un fenomeno molto simile allo scandalo italiano «mani pulite» che ha preso il nome di mensalao che significa mensilità. Il caso esplose quando si scoprì che l'Esecutivo e il Partito dei lavoratori avevano dirottato fondi pubblici per stipendiare alcuni parlamentari in maniera da garantirsi l'appoggio in Parlamento;
   da allora si sono svolti anni di indagini sui vertici del partito del Presidente Lula e della attuale Presidente Dilma Rousseff, fino a quando, la scorsa settimana, sono scattate le manette per undici persone, tra politici e manager brasiliani;
   l'ex segretario del partito e il braccio destro dell'ex presidente Lula, ministro al tempo dello scandalo, sono stati arrestati per corruzione. La polizia avrebbe dovuto arrestare anche l'ex direttore marketing del Banco do Brasil, Henrique Pizzolato, condannato a 12 anni e sette mesi di carcere, discendente di emigranti italiani, ex sindacalista, che ha gestito per anni l'enorme budget di pubblicità e marketing della più grande banca pubblica brasiliana;
   da notizie apparse sulla stampa locale risulta che le autorità brasiliane avevano ritirato i passaporti, brasiliano e italiano, del banchiere ma quando le autorità di polizia si sono recate a casa per prelevarlo, hanno scoperto che Pizzolato da più di un mese era riuscito a scappare in Italia grazie ad un duplicato del passaporto italiano;
   sempre da informazioni apprese dalla stampa locale Pizzolato avrebbe lasciato Rio de Janeiro per recarsi in auto fino al Paraguay e arrivare poi in Argentina. Da qui si sarebbe imbarcato per l'Italia con un duplicato del suo passaporto italiano. Una volta giunto in Italia, tramite il suo avvocato, il latitante ha fatto sapere di essere fuggito in Italia per essere sottoposto ad un nuovo processo da parte di un tribunale più libero dai condizionamenti dei media;
   in data 19 novembre 2013, con lettera al Ministro dell'interno l'interrogante ha chiesto informazioni sul caso Pizzolato, senza avere alcun riscontro –:
   se il Governo possa confermare la notizia della presenza di Henrique Pizzolato in Italia e quali siano le informazioni acquisite riguardo alle modalità di ingresso dell'ex banchiere in Italia;
   se risulti quale consolato abbia rilasciato il duplicato del passaporto per entrare in Italia e quali sarebbero le intenzioni del Governo italiano nei confronti di una eventuale richiesta di estradizione da parte dello Stato brasiliano. (4-02752)


   PALMIZIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa comparse già dalla data del 16 settembre 2011 e successive si apprendeva che la compagnia dei carabinieri di Medicina, centro nevralgico posto nella provincia di Bologna, sarebbe stata prossima alla chiusura a causa di una struttura di caserma non adeguata e soprattutto per un non meglio specificato progetto di riorganizzazione e di contenimento delle spese;
   se tale notizia fosse confermata, a Medicina, cittadina di 18.000 abitanti circa, rimarrebbe operativa la sola caserma che, come nelle piccole frazioni, svolgerebbe orari di ufficio. La chiusura della compagnia, che annovera ben cinque comuni nel territorio di sua competenza per un comprensorio di oltre 80.000 abitanti, porterebbe ad un inevitabile smembramento del territorio che in parte andrebbe in capo alla compagnia di Imola e in parte alla compagnia di Molinella e in parte alla compagnia di San Lazzaro di Savena;
   a giudizio dell'interrogante, il territorio che attualmente copre la compagnia di Medicina è decisamente non esiguo e soprattutto, in considerazione del fatto che è una zona completamente urbanizzata con piccoli centri ma soprattutto con una miriade di piccolissime frazioni o addirittura con casali e case coloniche del tutto isolate con evidenti problemi di sicurezza e controllo del territorio;
   l'attuale struttura è proprietà dello Stato e sarebbe sufficiente risistemarla;
   questa fase di incertezza che dura da più di due anni ha fatto sì che il personale uscente non fosse rimpiazzato costringendo il personale rimasto a turni massacranti e comunque insufficienti al controllo di un territorio così esteso –:
   se rispondano a verità le notizie di stampa apparse negli ultimi giorni secondo le quali si sarebbe in procinto di chiudere la compagnia dei carabinieri di Medicina;
   nel caso in cui tale progetto di smantellamento fosse confermato, se i Ministri interrogati intendano specificare in dettaglio i motivi che avrebbero indotto tale decisione, soprattutto in considerazione del disagio e del grave disservizio che tale scelta comporterebbe per un comune, come Medicina, di oltre 18.000 abitanti, e di notevole estensione, posto a cavallo tra le province di Bologna e Ferrara, il quale verrebbe ridotto al rango di piccola e sperduta frazione. (4-02754)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   AIRAUDO, DI SALVO e SCOTTO. —Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nell'ultimo decennio le aziende delle TLC in Italia hanno messo in campo un utilizzo massiccio dell'articolo 2112 del codice civile (cessioni di ramo d'azienda) al fine di ottenere una corposa riduzione del costo del lavoro;
   la Telecom Italia spa, nonostante i bilanci positivi, ha nello specifico esternalizzato circa seimila lavoratori;
   i lavoratori in questione afferiscono ai seguenti settori: gestione parco automobili (Targa fleet management), logistica (Ceva Logistic), gestione buste paga (Accenture TESS), manutenzione software (HP-DCS), gestione patrimonio immobiliare (Telemaco Immobiliare), settore stampa bollette telefoniche (Postel), settore radiomarittimo, settore di formazione (TILS), gestione posta e protocollo (Telepost), gestione sistemi informatici (IT-SSC) ed, infine, settore facility di manutenzione immobiliare (MPF);
   tale manovra ha prodotto un riversamento dei costi sull'intera collettività, poiché le esternalizzazioni appena menzionate hanno visto un'immediata applicazione di ammortizzatori sociali (cassa integrazione guadagni ordinaria, cassa integrazione guadagni straordinaria, contratti di solidarietà e licenziamenti collettivi ai sensi della legge n. 223 del 1991);
   attualmente 133 lavoratori di Manutencoop PSS (MPSS), società a capitale azionario della cooperativa Manutencoop di Bologna, sono sottoposti a procedura di licenziamento collettivo (legge n. 223 del 1991);
   quest'azienda è nata nel novembre 2004 dopo la cessione di alcuni rami di azienda di Telecom Italia spa;
   inizialmente 437 lavoratori Telecom sono stati esternalizzati in una NewCo denominata MP Facility, oggi MPSS;
   dopo varie peripezie, passando per mobilità concordate dopo pochi mesi (nel 2005), Cigs Cig è oggi contratto di solidarietà, i lavoratori di provenienza Telecom, attualmente in forza alla MPSS, sono diventati 133;
   la MPSS, in tutte queste manovre riorganizzative, non ha mai consentito ai lavoratori di provenienza Telecom di integrarsi con gli altri lavoratori MPSS, diventata nel frattempo multi commessa;
   è ormai palese la volontà di MPSS di tenere i lavoratori di provenienza Telecom costantemente separati da tutto ciò che non riguardava l'attività Telecom;
   tutto questo è avvenuto così da mantenere un pacchetto ad hoc pronto per essere liquidato a chiusura della commessa Telecom, prevista per il 31 ottobre 2013;
   a tal proposito si precisa che la parte economica della commessa, ormai scaduta, ammontava a circa centoventi milioni di euro all'anno, e che dopo l'espletamento della nuova gara da parte di Telecom la Manutencoop si è aggiudicata una commessa, non omogenea a livello nazionale, il cui importo si è ridotto a circa 20/30 milioni di euro all'anno;
   i conseguenti licenziamenti nascono dalla decisione di Telecom Italia di rivedere drasticamente l'appalto precedentemente affidato all'azienda;
   durante il recente incontro al Ministero dello sviluppo economico Telecom Italia si è assunta l'impegno di verificare l'esistenza di possibili soluzioni per la continuità occupazionale dei lavoratori;
   l'azienda MPSS è frutto dell'esternalizzazione dei servizi di gestione degli immobili operata da Telecom Italia spa nel 2004;
   nel Contratto nazionale delle telecomunicazioni non esistono garanzie di continuità occupazionale esigibili in caso di cambi di appalto;
   la professionalità dei lavoratori interessati, strettamente correlata alla gestione della commessa Telecom, è indubbiamente elevata;
   Telecom Italia ha messo in atto un processo di internalizzazione delle attività a seguito dell'accordo sindacale del 27 marzo 2013;
   gran parte dei lavoratori ha impugnato la cessione del ramo d'azienda presso la magistratura italiana, la quale ha sancito la nullità della cessione avvenuta –:
   quali iniziative concrete abbia il Governo intenzione di intraprendere affinché il 1o gennaio 2014 i 133 lavoratori di MPSS non subiscano la procedura di licenziamento collettivo. (5-01618)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LAFFRANCO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 203 della legge n. 662 del 1996, sostituendo il primo comma dell'articolo 29 della legge n. 160 del 1975, ha stabilito che l'obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali di cui alla legge n. 613 del 1996 e successive modificazioni e integrazioni, sussiste per i soggetti in possesso dei seguenti requisiti:
    a) siano titolari o gestori in proprio di imprese che, a prescindere dal numero dei dipendenti, siano organizzate e/o dirette prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti la famiglia, compresi i parenti e gli affini entro il terzo grado, ovvero siano familiari coadiutori preposti al punto di vendita;
    b) abbiano la piena responsabilità dell'impresa ed assumano tutti gli oneri ed i rischi relativi alla sua gestione;
    c) partecipino personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza;
    d) siano in possesso, ove previsto da leggi o regolamenti, di licenze o autorizzazioni e/o siano iscritti in albi, registri o ruoli;
   in forza della suddetta disposizione — in tema di società in nome collettivo — la partecipazione del socio al lavoro aziendale con il carattere dell'abitualità e della prevalenza, costituisce condicio sine qua non ai fini dell'iscrizione del socio alla gestione IVS di riferimento;
   tale principio è stato espressamente confermato nella pronuncia del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in risposta all'atto di interpello n. 78/2009, dove si precisa che ai fini dell'iscrizione, occorre la «personale partecipazione ai lavoro aziendale del socio col carattere dell'abitualità e della prevalenza», così come successivamente recepito nella circolare INPS n. 14 del 3 febbraio 2012;
   in tema di società che gestiscono immobili propri, l'iscrizione dei soci alla gestione IVS non sarà dovuta, qualora la gestione non si esplichi attraverso una ulteriore e più ampia attività — come ad esempio l'erogazione di servizi a terzi, la costruzione e/o la compravendita immobiliare — ma rimanga attratta nell'alveo del «mero godimento», i cui frutti, non possono essere perciò considerati reddito d'impresa ai sensi dell'articolo 51, comma 2, lettera a) del TUIR (circolare INPS n. 171 del 6 novembre 2003);
   è chiaro dunque, come ai fini dell'iscrizione non rilevi l'oggetto sociale o comunque la forma assunta dalla società, ma piuttosto la presenza dell'elemento «soggettivo» costituito dal concreto e personale apporto lavorativo prestato dal socio nell'ambito dell'azienda. In difetto, si arriverebbe all'assurda conclusione che tutti i soci di società in nome collettivo debbano essere iscritti d'ufficio alla gestione IVS per il loro status di «socio»;
   il Ministero — e da ultimo la stessa INPS nella circolare n. 78 del 14 maggio 2013 — ha altresì sottolineato che i requisiti di abitualità e prevalenza non possono essere presunti, né desunti o suffragati dalla mera qualità di socio di società di persone, ma devono essere dimostrati dall'istituto previdenziale caso per caso, questo anche al fine di evitare provvedimenti di iscrizione d'ufficio fondati su mere presunzioni, cui segue, nella migliore delle ipotesi, l'annullamento del provvedimento in autotutela o, peggio ancora, la soccombenza dell'istituto in giudizio, rilevato il difetto di attività di indagine durante l'attività istruttoria;
   a fronte di quanto esposto, risulta all'interrogante che tali chiare disposizioni non vengano applicate in modo uniforme sull'intero territorio nazionale. In particolare, parrebbe che frequentemente soci di società in nome collettivo che non svolgano più alcuna attività lavorativa all'interno della società — neppure per brevi periodi o in via residuale — siano iscritti dall'Inps d'ufficio alla gestione previdenziale di categoria, in virtù del mero status di socio, senza alcuna indagine diretta ad accertare la concreta esistenza del presupposto «soggettivo» sopra ricordato;
   una fattispecie tipica e molto frequente, è rappresentata dal pensionato ex artigiano che, raggiunta l'età pensionistica, cessa l'attività lavorativa e, mantenendo una quota della società, si limita a percepire i frutti derivanti dalla locazione dell'immobile posseduto — ove in precedenza svolgeva la propria attività lavorativa — e venga per ciò solo iscritto d'ufficio alla gestione previdenziale –:
   se sia a conoscenza che alcune sedi territoriali INPS, nell'ambito dell'operazione Poseidone — in caso di errata compilazione della casella «attività prevalente» nella dichiarazione dei redditi — non si attengono alle indicazioni contenute nel messaggio INPS n. 12698 del 2011, e per l'effetto non procedono ad annullare le iscrizioni d'ufficio alla gestione IVS, nonostante venga prodotta idonea documentazione, rilasciata dall'Agenzia delle entrate, attestante la correzione del relativo quadro della denuncia dei redditi;
   quali siano le misure che si intendono adottare, affinché vi sia una corretta e uniforme applicazione della sopra citata disciplina in tutte le sedi INPS del territorio nazionale. (4-02739)


   MELILLA e FRANCO BORDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il sindacato Cub Trasporti ha rivolto nei confronti della Manutencoop Facility Management spa, azienda appaltatrice per i lavori delle pulizie dei treni Ntv (Italo), a tutela dei 30 addetti part-time che operano presso la Stazione Ostiense, alcune pesanti denunce su giorni di riposo di fatto annullati, ore di lavoro che si allungano a dismisura ma soprattutto un «comportamento intimidatorio e vessatorio» nei confronti dei dipendenti;
   il responsabile Cub Trasporti, Antonio Amoroso, imputa alla Manutencoop FM s.p.a. «intimidazioni e minacce», sostenendo che «da aprile/maggio 2013 fino alla fine di ottobre 2013, a fronte di una serie di dichiarate interruzioni di corrente elettrica, per alcune ore dal lunedì al giovedì, durante il turno notturno l'azienda ha imposto un sistematico prolungamento dell'orario giornaliero di lavoro fin oltre le 9 ore. Qui, la sera, ai lavoratori, con la minaccia di ritorsioni e provvedimenti da parte di alcuni responsabili, era impedito di non effettuare lavoro straordinario/supplementare anche a fronte di giustificate ragioni ed impegni improrogabili da parte degli stessi dipendenti. In tal modo l'azienda si assicurava che il personale, il quale per un periodo ha trovato addirittura i cancelli di uscita chiusi, terminata l'interruzione della corrente elettrica, riprendesse le attività e terminasse la fine delle pulizie dei treni in programma. Al più, ai lavoratori era concesso di attendere il ripristino della corrente in magazzino: un ambiente privo dei minimi requisiti igienici e di sicurezza»;
   la sicurezza un altro tasto su cui batte il sindacato: «I lavoratori prestano servizio con guanti monouso in lattice sottile, facilmente lacerabile e perforabile, pur essendo costretti a mettere le mani nei cestini dei rifiuti. Il risultato è che in un paio di casi, i lavoratori hanno raccontato di essersi punti con siringhe per insulina usate»;
   secondo quanto rapporta la Cub, per la Manutencoop FM spa un giorno di ferie per il personale impiegato nel turno notturno, consiste solo in qualche ora di permesso su due turni: il servizio si interrompe alle ore 24, dopo averlo iniziato alle ore 21,00 e si riprende alle 00,01 del giorno successivo per terminarsi in orario da definire secondo le esigenze aziendali. Con tale trovata l'azienda in questione priva il lavoratore in ferie del diritto di essere esonerato da un turno di lavoro completo: un escamotage per far fronte al sottorganico esistente ed imporre ai dipendenti di richiedere 2 giorni di ferie per fruire di un giorno pieno di riposo, svincolandoli dall'obbligo di presentarsi al lavoro sempre e comunque. Analogo approccio la Manutencoop FM spa lo ha imposto ai dipendenti a cui il medico del servizio sanitario nazionale prescrive la malattia: anche in tal caso i lavoratori sono esentati da un turno completo se e solo se il certificato medico prescrive 2 giorni di riposo. Inoltre ai lavoratori a tutt'oggi non sono state consegnate le buste paga, in molti casi anche a partire dal marzo 2013, negando la possibilità ai dipendenti di verificare la regolarità del pagamento delle competenze maturate e se gli straordinari sono stati regolarmente riconosciuti o se le ore lavorate in più o trascorse sul luogo di lavoro in attesa della ripresa del servizio interrotto a fronte della mancanza di corrente elettrica siano state regolarmente retribuite o erroneamente considerate «recupero delle ore non lavorate»;
   la Cub aggiunge sia che ai lavoratori viene negato l'adeguato vestiario mettendo in pregiudizio la salute dei dipendenti;
   la Cub Trasporti, alla quale si sono iscritti circa la metà dei lavoratori coinvolti, ovviamente ha scritto a Manutencoop FM spa ed a Ntv, nonché alla prefettura, ottemperando agli obblighi sindacali previsti dalla legge 146 del 1990 e successive modificazioni, preliminarmente all'indizione di uno sciopero. Convocata a Palazzo Valentini, la Manutencoop FM spa, pur dichiarandosi sensibile alle tematiche sollevate e senza mai confutarle e/o negare la fondatezza di quanto sollevato, non è entrata nel merito delle questioni oggetto della vertenza «dichiarando di non voler intrattenere relazioni sindacali con la Cub Trasporti, in quanto non firmataria del contratto aziendale»;
   il rappresentante del prefetto, stigmatizzando il comportamento della Manutencoop FM spa che non è interessata a ciò che ha denunciato il sindacato di base, ha sottolineato che «la partecipazione attiva alle procedure di raffreddamento è sempre doverosa. Il rappresentante del Prefetto ha inoltre sollecitato la Manutencoop FM spa affinché le questioni sollevate siano tenute in adeguata considerazione»;
   la Cub Trasporti denuncia che la Manutencoop FM Spa tentando di impedire che i lavoratori si dotassero di una legittima rappresentanza sindacale fino ad allora inesistente nell'unità produttiva di Roma-Ostiense, dopo essersi opposta al riconoscimento delle RSA del sindacato di base, ha tentato di ostacolare il regolare svolgimento delle elezioni delle RSU indette dalla suddetta organizzazione sindacale e ha confutato la legittimità dei delegati eletti dal 51 per cento dei dipendenti, utilizzando argomentazioni pretestuose ed infondate, legate ad una fantasiosa interpretazione dell'accordo interconfederale del 31 giugno 2013, a quanto pare neppure sottoscritto dalla Legacoop al momento dell'indizione delle elezioni RSU stesse e comunque in barba allo spirito della Sentenza 231 della Corte Costituzionale relativamente al riconoscimento della oggettiva rappresentanza di un sindacato –:
    se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali iniziative intenda prendere per verificare se Manutencoop FM s.p.a. adempia agli obblighi previsti dalle norme vigenti in tema di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, nonché al rispetto delle normative legali e contrattuali in tema di trattamento dei lavoratori, con particolare riferimento alle questioni citate in riferimento alla fruizione della malattia, delle ferie, dei permessi;
   come ritenga di intervenire nei confronti della Manutencoop FM spa, che a dispetto dei principi e dei valori enunciati nel codice etico redatto dalla società stessa in merito alle politiche del personale, sembra addirittura sottrarsi agli obblighi contrattuali e normativi a danno dei lavoratori, peraltro in alcuni casi mettendo a repentaglio l'integrità psicofisica dei dipendenti;
   se e come voglia favorire un interessamento anche della società Nuovo trasporto viaggiatori spa (Italo) affinché si accerti che anche la società che gestisce l'appalto della pulizia dei treni si attenga, in materia di trattamento del personale e di riconoscimento dei diritti dei lavoratori anche al complesso di regole e valori espressi nel Codice Etico redatto dalla stessa NTV, consentendo peraltro che tale documento non resti una ampia ma sterile enunciazioni di principi condivisibili perché sistematicamente disapplicati nell'ambito finora descritto;
   quali interventi voglia promuovere per favorire che i moltissimi appalti della pubblica amministrazione, della sanità, del comparto scuola, di tutti gli enti pubblici, e delle società da loro controllate non possano essere assegnati e gestiti da società che si rendono responsabili di gravi comportamenti ed intollerabili inadempienze nei confronti del personale dipendente, in qualsiasi ambito si perpetrino tali illegittime condotte datoriali. (4-02748)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PARENTELA, GAGNARLI, LUPO, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI, L'ABBATE, GALLINELLA e COLLETTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   attualmente, il prezzo del maiale italiano è sotto i livelli standard del periodo, oltre che sensibilmente sottocosto; ciò potrebbe comportare gravi rischi per la zootecnia suina, patrimonio di eccellenza economica e presupposto assolutamente indispensabile alla filiera;
   la filiera suinicola italiana vale circa 18 miliardi di euro ed occupa circa 70.000 addetti, appare perciò fondamentale, a parere degli interroganti, che lo Stato centrale valuti con attenzione la flessione dei prezzi e impedisca qualsiasi situazione discorsiva o speculativa del mercato;
   il mercato suinicolo italiano è regolato in modo insolito rispetto al resto del mondo; da almeno 15 anni, infatti, la quasi totalità delle compravendite è regolata da contratti annuali che definiscono la qualità della merce, il quantitativo oggetto della compravendita, i tempi e i modi di consegna e di pagamento ed infine un premio – che normalmente oscilla tra i 5 e i 12 centesimi – aggiunto al prezzo che viene determinato settimanalmente dalla borsa di riferimento (oggi per lo più si utilizza la borsa CUN – Commissioni uniche nazionali per la quotazione dei suini o quella di Modena);
   la borsa CUN è un accordo privato tra le associazioni degli allevatori e i macellatori coordinato dal Mipaaf e prevede la possibilità – 6-8 volte all'anno – della mancata quotazione in caso di non accordo riuscito; in caso di «non quotato» le parti sono libere dagli obblighi contrattuali. La borsa di Modena è invece una tradizionale borsa merci gestita dalla CCIA di Modena dove in caso di mancato accordo tra le parti il prezzo è garantito da una commissione arbitrale (deputazione);
   a giudizio degli interroganti l'avere predeterminato vendite e acquisti è assai discutibile in termini di utilità, soprattutto per il soggetto meno forte come gli allevatori, ma il pericolo maggiore all'interno del meccanismo contrattuale è rappresentato dai tempi di consegna;
   il mercato suinicolo italiano aveva, un tempo, un ciclo settimanale: consegne e pagamenti venivano regolati settimana dopo settimana mentre oggi i tempi di pagamento si sono allungati, così come i tempi di consegna che possono arrivare sino a 3 settimane. In altri termini un macello può acquistare 100 maiali e macellarne solo 50 tenendo di «scorta» i rimanenti. Questo meccanismo consente quindi ai macelli dopo 2 settimane di avere la disponibilità di 100 maiali che gli consente, la 3o settimana, di essere coperto nelle proprie necessità. Quindi se, nell'occasione, il mercato CUN non quotasse il macello in questione potrebbe non ritirare nessun maiale;
   la procedura sopra esposta ha avuto un effetto dirompente sul mercato provocando timore e un conseguente massiccio quantitativo di vendite con un effetto depressivo sul prezzo;
   il calo quasi sempre ha una dinamica che prescinde dal vero rapporto domanda/offerta; rapporto che trova riscontro dal dato del peso medio. Ad esempio nella 37esima settimana (picco massimo) il prezzo del maiale era 1,815 euro ed il peso medio di 166,3 chilogrammi; nella 44esima settimana il prezzo è stato fissato a 1,425 euro (-39 centesimi pari al –21,48 per cento), mentre il peso medio è risultato 171,1 chilogrammi (+ 4,8 chilogrammi pari al +2,88 per cento);
   in altri termini accade ciò che avviene nei mercati azionari col meccanismo delle vendite allo scoperto;
   risulta agli interroganti che nel 2013 detto procedimento sia già stato attuato per due volte comportando un effetto disastroso sul tessuto allevatoriale e non rispondendo a nessuna logica mercantile reale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se non ritenga opportuno avviare un tavolo di confronto tra allevatori e macellatori;
   quali urgenti iniziative, anche normative, intenda assumere per contenere le manovre speculative limitando i tempi di ritiro dei maiali acquistati alla settimana di riferimento;
   quali iniziative intenda adottare al fine di prevedere un adeguato meccanismo di controllo che permetta di incrociare i dati dei contratti (quantitativi acquistati) con i dati delle macellazioni effettive derivanti dal servizio veterinario. (5-01616)


   MONGIELLO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'agroalimentare Made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, di cui oltre 53 miliardi di euro provengono dal settore agricolo;
   il successo dell'agroalimentare italiano nel mondo e l'accreditamento attribuito al marchio «Italia» non conoscono arretramenti, come dimostra la crescita costante dell’export, ma anche la diffusione dei fenomeni di imitazione e pirateria commerciale;
   il Made in Italy agroalimentare è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazioni geografiche e protette e produzione biologica;
   il settore agricolo ha una particolare importanza non solo per l'economia nazionale – considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore – ma, altresì, come naturale custode del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   continuano a crescere le importazioni provenienti da Paesi, tra i quali la stessa Germania, in cui ci si basa su produzioni a basso costo, operai sottopagati, falde acquifere inquinate e tecniche di allevamento, come quello suinicolo, non sostenibili e con gravi ripercussioni sulla salute dei consumatori legate all'eccessivo impiego di antibiotici;
   molti controlli operati sulle filiere del latte e dei prodotti lattiero-caseari, dei cereali con particolare riferimento al grano duro, dei pomidoro non destinati a passata e delle carni suine hanno evidenziato la violazione della disciplina in materia di presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari e condotte poste in essere in maniera ingannevole, fraudolenta e scorretta, allo specifico scopo di far intendere al consumatore che i prodotti acquistati sono di origine e di tradizione italiana;
   l'articolo 26, comma 2, lettera b) del Regolamento CE 25 ottobre 2011, n. 1169 del 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, prevede che l'indicazione del Paese d'origine o del luogo di provenienza è obbligatoria per le carni dei codici della nomenclatura combinata (NC) elencati all'allegato XI del regolamento medesimo – tra le quali sono contemplate le carni di animali della specie suina, fresche, refrigerate o congelate – rinviando l'applicazione della norma a successivi atti di esecuzione da adottare entro il 13 dicembre 2013 –:
   quali azioni intenda adottare in sede comunitaria affinché sia ottemperato il rispetto del termine del 13 dicembre 2013, imposto dal Regolamento 1169/2011/CE, per l'attuazione dell'obbligo di indicazione del Paese d'origine o del luogo di provenienza con riferimento al latte ed ai prodotti lattiero-caseari, alle carni suine fresche, refrigerate o congelate ed altre produzioni interessate dal suddetto regolamento. (5-01621)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LAFFRANCO e FABRIZIO DI STEFANO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, con un contributo di 53 miliardi di euro che proviene dal settore agricolo;
   in agricoltura sono presenti quasi un milione di imprese, ossia il 15 per cento del totale delle imprese italiane;
   il mercato agricolo ha una rilevante importanza non solo per l'economia nazionale, ma, altresì, per il patrimonio culturale ed ambientale, se si considera la percentuale di superficie coltivata, nonché l'ingente numero di lavoratori occupati nel settore;
   in Italia, gli allevamenti di suini – presenti, prevalentemente in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Umbria e Sardegna – sono oltre 26.200 e la produzione di carni suine è stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno;
   la suinicoltura italiana occupa il settimo posto in Europa per numero di capi mediamente presenti;
   sulla base dei dati elaborati dall'Associazione nazionale allevatori di suini (ANAS), l'Italia nel 2012 ha importato dalla Germania il 52 per cento di suini vivi e carni suine, per un totale di 535.309 tonnellate;
   la tutela dell'identità dei prodotti nazionali contro le frodi alimentari garantisce la solidità delle imprese agricole italiane;
   articoli di stampa europei hanno recentemente messo in luce che l'industria della carne suina tedesca è efficiente ed è basata su prodotti a basso costo, ma che dietro questo sistema ci sono operai sottopagati, falde acquifere inquinate e tecniche di allevamento che usano enormi quantità di antibiotici;
   la libera circolazione di alimenti sicuri e sani è un aspetto fondamentale del mercato interno, ma, sempre più spesso, la salute dei consumatori e la corretta e sana alimentazione appaiono compromesse da cibi anonimi, con scarse qualità nutrizionali, o addizionati e di origine per lo più sconosciuta;
   la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiana che non possiedono costituisce una vera e propria aggressione al patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale;
   l'articolo 10 della legge 14 gennaio 2013, n. 9, Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini, introduce un sistema al fine di rendere accessibili a tutti gli organi di controllo ed alle amministrazioni interessate le informazioni ed i dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine degli oli di oliva vergini, anche attraverso la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche –:
   se il Ministro non intenda assicurare l'adozione, anche per le carni suine, di un sistema analogo a quello previsto per gli oli di oliva vergini dalla legge n. 9 del 2013 citata, per assicurare l'accessibilità delle informazioni e dei dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine delle carni suine e promuovere, a tale scopo, la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche;
   quali iniziative il Ministro intenda adottare, o abbia già adottato, al fine di rendere noti e pubblici i riferimenti delle società eventualmente coinvolte in pratiche commerciali ingannevoli, fraudolente, o scorrette finalizzate ad immettere sui mercati finti prodotti made in Italy ed i dati dei traffici illeciti accertati. (4-02740)


   LAFFRANCO e FABRIZIO DI STEFANO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'importanza del settore agricolo per l'economia nazionale va riconosciuta con riferimento alla produzione agroalimentare, ma anche alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio culturale ed ambientale ed all'ingente numero di lavoratori occupati;
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta più del 17 per cento del PIL e provengono dal settore agricolo oltre 53 miliardi di euro;
   il made in Italy agroalimentare è la leva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese;
   il settore agricolo, considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore, riveste una particolare importanza per l'economia nazionale ed assume un ruolo fondamentale nella custodia del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   sulla base dei dati Efsa, l'Italia risulta prima, nel mondo, in termini di sicurezza alimentare, con oltre 1 milione di controlli l'anno, il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici oltre il limite (0,3 per cento), con un valore inferiore di cinque volte rispetto a quelli della media europea (1,5 per cento di irregolarità) e addirittura di 26 volte rispetto a quelli extracomunitari (7,9 per cento di irregolarità);
   il settore suinicolo rappresenta una voce importante dell'agroalimentare italiano. La suinicoltura italiana, infatti, occupa il 7o posto in Europa per numero di capi mediamente presenti: in Italia nel 2012 la consistenza è stata di 9,279 milioni di capi, preceduta da Germania (28,1 milioni), Spagna (25,2 milioni), Francia (13,7 milioni), Danimarca (12,4 milioni), Olanda (12,2 milioni) e Polonia (11,9 milioni di capi);
   i dati del censimento dell'agricoltura 2010 indicano in 26.197 il numero delle aziende suinicole in Italia (74,1 per cento rispetto al 2007), 4.900 delle quali allevano più di 50 suini;
   le regioni maggiormente vocate per l'allevamento di suini sono Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Piemonte, ma anche Calabria, Umbria e Sardegna;
   rispetto a 73,5 milioni di cosce suine consumate in Italia, 57,3 milioni sono di importazione, 24,5 milioni sono di produzione nazionale e 8,3 milioni vengono avviate all'esportazione;
   dai medesimi dati emerge che i principali Paesi fornitori di carne suina in Italia sono la Germania, l'Olanda, la Francia, la Spagna e la Danimarca;
   dai dati elaborati da ISMEA nel rapporto «La competitività dell'agroalimentare italiano» del 2012, emerge che la fase agricola è fortemente penalizzata dalle repentine e intense variazioni dei prezzi alla produzione, variazioni che invece non si trasmettono immediatamente sui prezzi nelle fasi più a valle, né per tempistica, né per intensità;
   sulla base dei risultati definitivi pubblicati dall'Istat e secondo quanto certificato dal 6o censimento generale dell'agricoltura, la bassa remunerazione dell'imprenditore agricolo, in diminuzione nell'ultimo decennio, è uno degli elementi a cui viene collegata la fuoriuscita dal settore di quasi 800 mila aziende agricole;
   nel mercato del settore suinicolo, l'andamento dei prezzi riconosciuti agli allevatori mostra valori inferiori ai costi di produzione;
   secondo analisi ed elaborazioni ANAS (Associazione nazionale allevatori suini), riferiti al primo semestre 2013, il valore dell'allevamento riconosciuto nella fase della distribuzione è stato del 17,28 per cento;
   dalle stesse elaborazioni si rileva che il costo medio di produzione del suino pesante (peso medio 160/170 kg) è di 1,56 euro al chilogrammo;
   i medesimi dati evidenziano che il prezzo medio riconosciuto all'allevatore per il suino pesante (peso medio 160/170 kg) è stato di 1,4 euro al chilogrammo;
   l'attuale situazione del mercato risulta complicata dalla mancanza di trasparenza sull'indicazione di origine delle carni suine, che rischia di creare confusione tra i prodotti di provenienza nazionale – che assicurano, tra l'altro, elevati standards di sicurezza e qualità – ed i prodotti di importazione che invece, spesso, presentano minori garanzie per il consumatore;
   l'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, nel disciplinare le relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli ed agroalimentari, vieta condotte commerciali sleali al fine di impedire che un contraente con maggiore forza commerciale possa abusarne, imponendo condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose per la controparte più debole –:
   quali azioni il Ministro intenda promuovere, con specifico riferimento al settore del commercio nel settore delle carni suine, al fine di dare piena attuazione all'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, nella parte in cui vieta pratiche commerciali sleali che possano determinare, in contrasto con il principio della buona fede e della correttezza, il riconoscimento di prezzi, agli allevatori, palesemente inferiori ai costi di produzione medi da essi sostenuti;
   quali azioni il Ministro intenda promuovere, con specifico riferimento al commercio delle carni suine, al fine di contrastare pratiche commerciali sleali poste in essere, ai danni degli allevatori, in violazione della disciplina di cui all'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 ed al relativo Regolamento di attuazione (D.M. 19 ottobre 2012, n. 199). (4-02741)


   LAFFRANCO e FABRIZIO DI STEFANO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, di cui oltre 53 miliardi di euro provengono dal settore agricolo;
   il successo dell'agroalimentare italiano nel mondo e l'accreditamento attribuito al marchio «Italia» non conoscono arretramenti, come dimostra la crescita costante dell’export, ma anche la diffusione dei fenomeni di imitazione e pirateria commerciale;
   il made in Italy agroalimentare è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazioni geografiche e protette e produzione biologica;
   il settore agricolo ha una particolare importanza non solo per l'economia nazionale – considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore – ma, altresì, come naturale custode del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   gli allevamenti italiani di suini, presenti prevalentemente in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Umbria e Sardegna, sono oltre 26.200 e la produzione di carni suine è stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno;
   la suinicoltura italiana occupa il settimo posto in Europa per numero di capi mediamente presenti e offre occupazione, lungo l'intera filiera, a circa 105 mila addetti, di cui 50 mila nel solo comparto dell'allevamento;
   sulla base dei dati elaborati dall'Associazione nazionale allevatori di suini (ANAS), l'Italia, nel 2012, ha importato complessivamente 1.020.425 tonnellate di suini vivi e carni suine, di cui il 52 per cento dalla Germania, pari a 535.309 tonnellate;
   articoli di stampa europei hanno recentemente messo in luce che l'industria della carne suina tedesca è efficiente ed è basata su prodotti a basso costo, ma che, dietro questo sistema, ci sono operai sottopagati, falde acquifere inquinate e tecniche di allevamento che usano enormi quantità di antibiotici;
   molti controlli operati sul settore delle carni suine hanno evidenziato la violazione della disciplina in materia di presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari e condotte poste in essere in maniera ingannevole, fraudolenta e scorretta, allo specifico scopo di far intendere al consumatore che i prodotti acquistati sono di origine e di tradizione italiana;
   l'usurpazione del made in Italy minaccia la solidità e provoca gravi danni alle imprese agricole insediate sul territorio, violando il diritto dei consumatori ad alimenti sicuri, di qualità e di origine certa;
   il Codice del consumo, recependo la disciplina comunitaria in materia, attribuisce ai consumatori ed agli utenti i diritti alla tutela della salute; alla sicurezza ed alla qualità dei prodotti; ad un'adeguata informazione e ad una pubblicità veritiera; all'esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà; all'educazione al consumo; alla trasparenza ed all'equità nei rapporti contrattuali;
   la disciplina a tutela dei prodotti di origine italiani introduce norme specifiche per contrastare la contraffazione ed evitare qualunque fraintendimento nell'indagine di provenienza falsa e fallace;
   la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiana che non possiedono costituisce una vera e propria aggressione ed arreca danno al patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale –:
   quali direttive intenda impartire all'Autorità di controllo e, in particolare, al Corpo forestale dello Stato, per applicare la definizione precisa dell'effettiva origine degli alimenti, secondo quanto stabilito dall'articolo 4, commi 49 e 49-bis della legge 24 dicembre 2003, n. 350, sulla tutela del made in Italy. (4-02742)


   LAFFRANCO e FABRIZIO DI STEFANO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, di cui oltre 53 miliardi di euro provengono dal settore agricolo;
   il successo dell'agroalimentare italiano nel mondo e l'accreditamento attribuito al marchio «Italia» non conoscono arretramenti, come dimostra la crescita costante dell'export, ma anche la diffusione dei fenomeni di imitazione e pirateria commerciale;
   il made in Italy agroalimentare è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazioni geografiche e protette e produzione biologica;
   il settore agricolo ha una particolare importanza non solo per l'economia nazionale – considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore – ma, altresì, come naturale custode del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   gli allevamenti italiani di suini, presenti prevalentemente in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Umbria e Sardegna, sono oltre 26.200 e la produzione di carni suine è stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno;
   la suinicoltura italiana occupa il settimo posto in Europa per numero di capi mediamente presenti e offre occupazione, lungo l'intera filiera, a circa 105 mila addetti, di cui 50 mila nel solo comparto dell'allevamento;
   sulla base dei dati elaborati dall'Associazione nazionale allevatori di suini (ANAS), l'Italia, nel 2012, ha importato complessivamente 1.020.425 tonnellate di suini vivi e carni suine, di cui il 52 per cento dalla Germania, pari a 535.309 tonnellate;
   articoli di stampa europei hanno recentemente messo in luce che l'industria della carne suina tedesca è efficiente ed è basata su prodotti a basso costo, ma che dietro questo sistema ci sono operai sottopagati, falde acquifere inquinate e tecniche di allevamento che usano enormi quantità di antibiotici;
   molti controlli operati sul settore delle carni suine hanno evidenziato la violazione della disciplina in materia di presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari e condotte poste in essere in maniera ingannevole, fraudolenta e scorretta, allo specifico scopo di far intendere al consumatore che i prodotti acquistati sono di origine e di tradizione italiana;
   l'articolo 26, comma 2, lettera b) del Regolamento (CE) 25 ottobre 2011, n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, prevede che l'indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza è obbligatoria per le carni dei codici della nomenclatura combinata (NC) elencati all'allegato XI del regolamento medesimo – tra le quali sono contemplate le carni di animali della specie suina, fresche, refrigerate o congelate – rinviando l'applicazione della norma a successivi atti di esecuzione da adottare entro il 13 dicembre 2013 –:
   quali azioni il Ministro intenda adottare al fine di promuovere in sede comunitaria il rispetto, del termine del 13 dicembre 2013, imposto dal regolamento 1169/2011/CE, per l'attuazione dell'obbligo di indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza con riferimento alle carne suine. (4-02746)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E SEMPLIFICAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   BARBANTI, RIZZETTO, PARENTELA, CECCONI, DE LORENZIS, DA VILLA, ROSTELLATO, TOFALO e SEGONI. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   si rappresenta che la sentenza del Consiglio di Stato, sezione quinta, del 15 marzo 2006, n. 1370, ha chiarito che l'obbligo di pubblicazione degli atti degli enti locali debba riferirsi non solo alle deliberazioni degli organi di governo (consiglio e giunta), ma anche alle determinazioni dirigenziali, esprimendo la parola «deliberazione» ab antiquo, sia risoluzioni adottate da organi collegiali che da organi monocratici, ed essendo l'intento quello di rendere pubblici tutti gli atti degli enti locali di esercizio del potere deliberativo, indipendentemente dalla natura collegiale o meno dell'organo emanante;
   non è sufficiente pubblicare le determine dirigenziali integralmente in formato pdf, ma occorre attenersi a regole tecniche precise (link a progetti, contratti, curriculum capitolato forniture, servizi e altro). Nell'articolo 18 del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni dalla legge 134 del 2012, è anche prevista, a partire dal 1° gennaio 2013, la non efficacia legale detratto con responsabilità amministrativa, patrimoniale e contabile del funzionario che non adempie agli obblighi;
   in particolare, il decreto sviluppo n. 83 del 2012 ha modificato completamente le modalità di pubblicazione degli atti che comportano compensi e corrispettivi di importo superiore a 1.000 euro, per cui, a partire dal 1° gennaio 2013, sono in vigore norme certe e più gravose che non possono assolutamente essere disattese dalle amministrazioni pubbliche, pena la non efficacia legale dell'atto interessato;
   il decreto legislativo 33 del 2013, recante «Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni», dispone espressamente che le disposizioni contenute nell'articolo 18 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, costituiscono principio fondamentale della normativa in materia di trasparenza dell'azione amministrativa;
   un caso emblematico di mancato rispetto dell'obbligo è quello del comune di Paola, ove non ci si trova di fronte ad una semplice mancanza di trasparenza ma anche a una mancata applicazione di una legge che stabilisce la inefficacia dell'atto non pubblicato e l'addebito delle responsabilità e dei danni subiti al dirigente di turno;
   le pubblicazioni di cui all'articolo 32, comma 2, della Legge 69 del 2009 hanno effetto di pubblicità legale;
   la responsabilità della pubblicazione on-line del responsabile del procedimento di pubblicazione individuato dalla direttiva n. 8/2009 del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione;
   affinché il processo di pubblicazione online possa generare un prodotto atto ad assolvere agli obblighi di pubblicità legale è necessario che esso garantisca la conformità di quanto pubblicato all'originale, l'autorevolezza dell'ente emanatore e del sito web, la validità giuridica dei documenti e quindi la loro veridicità, efficacia e perdurabilità nel tempo;
   nella pubblicazione sull'albo online devono essere rispettati i requisiti di accessibilità e usabilità validi per qualsiasi documento pubblicato su un sito web, al fine di erogare servizi e fornire informazioni che siano fruibili senza discriminazioni;
   in particolare, la pubblicazione online deve garantire:
    autorevolezza e autenticità del documento pubblicato;
    conformità all'originale, cartaceo o informatico;
    preservazione del grado di giuridicità dell'atto ossia non degradazione dei valori giuridici e probatori degli atti pubblicati sul sito web;
    inalterabilità del documento pubblicato;
    possibilità di conservazione, a norma di legge, del documento –:
   se sia a conoscenza dei fatti illustrati in premessa;
   se e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare affinché siano rispettate le norme relative alla pubblicazione degli atti – spesso disattese da numerosi enti locali – alla luce della considerazione ulteriore della ricaduta negativa sul buon andamento e l'imparzialità dei pubblici uffici. (4-02753)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SANI. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in numerose regioni italiane, da alcuni anni, moltissime pinete di pino marittimo sono colpite dall'insetto cocciniglia della corteccia (Matsucoccus feytaudi);
   questo insetto attacca la pianta e ne colonizza la corteccia del tronco; successivamente dai rami e dalle radici affioranti dal terreno, ne succhia la linfa, emettendo alcune tossine. Dopo qualche anno la pianta non produce più frutti e spesso muore;
   sono accertate infestazioni da parte della cocciniglia del pino marittimo in altre nazioni europee e nel Sud del Mediterraneo;
   se però in altre regioni atlantiche dell'area naturale del pino marittimo (Francia, Spagna, Portogallo o Marocco) l'insetto vive in equilibrio con la pianta nutrice, in molte regioni italiane le differenti situazioni climatico – ambientali e la mancanza di «antagonisti» naturali ha creato le condizioni per il verificarsi di una fase epidemica delle popolazioni della cocciniglia contro il pino marittimo, tali da creare un vero e proprio squilibrio dell'ecosistema «pineta»;
   con il degrado delle pinete si assiste a un impoverimento complessivo della biodiversità del territorio, con conseguenze che si ripercuotono anche su altri settori della vita della natura e dell'uomo stesso;
   le conseguenze per il paesaggio e per la tutela del territorio sono devastanti. Infatti se un focolaio di infestazione che aggredisce una pineta non viene curato per tempo, contamina ed uccide tutti gli alberi circostanti;
   è utile inoltre ricordare che gli alberi assumono un ruolo fondamentale per la salute e la sicurezza ambientale: attraverso il processo della «fotosintesi» trasformano l'acqua e l'anidride carbonica in ossigeno oltre a rappresentare un presidio fondamentale per contrastare il dissesto idrogeologico;
   con il decreto ministeriale 22 novembre 1996 del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali viene introdotta in Italia la lotta «obbligatoria» contro l'insetto fitomizio Matsucoccus feytaudi (Ducasse);
   l'articolo 4 di tale decreto ministeriale specifica che «tutte le operazioni di cui ai commi precedenti devono essere effettuate a cura e a spese dei proprietari o conduttori a qualunque titolo delle pinete di pino marittimo infestate»;
   l'articolo 7 di tale decreto ministeriale sancisce che «in caso di mancata applicazione delle disposizioni di cui al presente decreto, gli inadempienti saranno denunciati all'autorità giudiziaria a norma dell'articolo 500 del codice penale»;
   il Piano nazionale integrato 2011 – 2014 del Ministero della salute (aggiornato al 14 giugno 2012), al «Cap. 3E – Controlli sul territorio – Cocciniglia della corteccia del pino marittimo Matsucoccus feytaudi» specifica le attività e le competenze del contrasto all'insetto;
   in sintesi l'epidemia si combatte, quasi esclusivamente, con la prevenzione (attraverso farmaci) e soprattutto con l'abbattimento delle piante malate per consentire l'isolamento dei focolai;
   risulta all'interrogante, in seguito alla risposta alla interrogazione al Parlamento europeo numero E-8635/2010, che «il Matsucoccus feytaudi, la corteccia del pino marittimo, non è elencato negli allegati della direttiva 2000/29/CE(1) del Consiglio, che stabilisce il regime fitosanitario dell'Unione europea. Di conseguenza il Matsucoccus feytaudi non è un organismo nocivo regolamentato nell'UE per cui non esistono obblighi di controllo a livello di Unione»; il testo riporta anche per «la sua vasta distribuzione nel territorio UE e per la sua capacità di propagarsi con mezzi naturali, la Commissione non considera questo organismo un candidato suscettibile di regolamentazione in seno al regime fitosanitario UE»;
   la Toscana ed il territorio della Maremma sono stati, in questi anni, colpiti duramente dalle epidemie di cocciniglia: solo a Grosseto sono circa 2000 gli alberi malati. Il comune di Grosseto ha presentato, nei giorni scorsi, un progetto che prevede l'abbattimento e la distruzione di 500 piante nelle aree comunali e verde pubblico e un trattamento endoterapico preventivo su altre 1000. Tale intervento, il cui costo complessivo è di circa 200mila euro, prevede l'impianto di 300 alberi, il 70 per cento di pini domestici e il 30 per cento di specie quercine come la sughera, il leccio e la roverella;
   appare evidente come le norme di contrasto alla cocciniglia assunte fino ad oggi, oltre a causare gravi problemi ad alcuni ecosistemi naturali e alle attività dell'uomo, hanno un costo economico elevato sia per la collettività che per i privati cittadini –:
   quali siano i dati nazionali aggiornati relativi alla lotta alla cocciniglia;
   se non ritenga opportuno, alla luce di quanto esposto in premessa, assumere iniziative dirette a prevedere ulteriori stanziamenti ed incentivi (sollecitando anche l'Unione europea), nei confronti degli enti pubblici e dei soggetti privati, per sostenere con efficacia la lotta alla cocciniglia.
(5-01615)

Interrogazione a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   è stato possibile constatare, in una visita all'ospedale Antonio Cardarelli di Napoli, un grave problema clinico organizzativo del suddetto complesso ospedaliero. Nel corso di tale sopralluogo, particolare preoccupazione ha destato il sovraffollamento della struttura, dal momento che si è potuto notare come un numero rilevante di pazienti sosta su barelle e le carenze nell'organico di personale non consentono una loro adeguata assistenza;
   quella del Cardarelli di Napoli, il più grande presidio ospedaliero dell'intero Mezzogiorno, resta una situazione esplosiva. Esiste una condizione di precarietà nel padiglione emergenza che coinvolge con un effetto domino tutta la struttura ospedaliera. Da un colloquio intercorso con il direttore generale della struttura si è appreso che il problema delle cosiddette «barelle» sembra essere l'esito finale di problemi che sono anche al di fuori dell'ospedale. Pertanto, la problematica affonda le sue radici sia nella chiusura di altri pronti soccorso della città, sia nella mancata ricettività da parte della medicina territoriale –:
   se, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal deficit sanitario, non ritenga di acquisire elementi in merito a quanto descritto in premessa e sulle iniziative che si intendono assumere;
   se il Governo abbia intenzione di adottare politiche generali atte a promuovere ed implementare la ricettività medico-territoriale al fine di garantire un minore afflusso di pazienti, non gravi, presso le strutture ospedaliere. (4-02747)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VIGNALI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   RetItalia internazionale è la società di informatica, in house all'Agenzia ICE, «Agenzia per la promozione all'estero e internazionalizzazione delle imprese italiane». Gli impiegati di RetItalia internazionale operano da più di 30 anni per la mission dell'ICE e, grazie alle competenze di tali professionisti dell’information technology, RetItalia internazionale è stata in grado di offrire servizi professionali integrati, in un ampio spettro di aree tematiche, attraverso un approccio basato sull'utilizzo di metodologie, conoscenze e innovative tecnologie informatiche;
   il 13 novembre 2013 l'Agenzia ICE ha pubblicato il bando di gara per l'alienazione della società RetItalia internazionale spa, in base all'articolo 4 del decreto-legge 6 luglio 2012, per un contratto quinquennale pari a circa 12 milioni di euro, peraltro a ribasso così come previsto dal bando di gara stesso;
   tale valore economico consente la sopravvivenza lavorativa di meno della metà del personale di RetItalia internazionale, poiché il costo della società è pari a circa 4,3 milioni di euro annui e le professionalità, lo stesso patrimonio informatico, in gestione a RetItalia internazionale spa, rischiano seriamente di andare dispersi in conseguenza alla summenzionata alienazione;
   si fa presente, in merito a quanto citato nella risposta del sottosegretario De Vincenti nell'atto della Camera n. 5-01236 del 17 ottobre 2013, che di fatto né l'interrogante stesso, né le organizzazioni sindacali sono stati informati, prima che il bando di gara e il contratto di servizi fossero pubblicati, sulle, risultanze dell'analisi effettuata da ICE-Agenzia e dal Ministero dello sviluppo economico, in relazione alle possibili soluzioni alternative alla gara, alle eventuali eccedenze e alla soluzione per la salvaguardia di tutti i posti di lavoro, disattendendo così agli accordi presi in svariati incontri tenutisi da maggio a luglio 2013;
   l'interrogante ritiene che sia incomprensibile quanto dichiarato dal Sottosegretario De Vincenti ovvero che, la «non» vendita, «... non assicurerebbe la tutela dei lavoratori, salvaguardandone le conoscenze maturate...», in un momento di compressione del mercato e di elevata crisi economica e ritiene altresì che tali argomentazioni sembrano quasi una giustificazione all'alienazione di RetItalia internazionale –:
   quali siano le motivazioni per le quali a dicembre 2012, così come esposto dal Sottosegretario De Vincenti nella risposta all'interrogante n. 5-01236 del 2013, pur avendo l'ICE Agenzia percepito per il funzionamento altri 10.000.000 di euro, parte di tale valore economico non sia stato investito in lavori e servizi da assegnare a retItalia internazionale spa;
   quali siano le ragioni per cui sono stati esclusi dal bando di gara i due progetti strategici «made in Italy» e «international trade hub-Italia», assegnati e finanziati dal Ministero dello sviluppo economico, dei quali il primo già realizzato, il secondo nella fase finale di realizzazione;
   quali siano le ragioni per cui non si sono trovate soluzioni che consentano la piena salvaguardia dei posti di lavoro, prima di procedere alla pubblicazione del bando di gara, eventuali soluzioni alternative alla vendita, così come concordato tra l'interrogante, l'ICE-Agenzia e il Ministero dello sviluppo economico e su tutto soluzioni volte alla salvaguardia di tutti i posti di lavoro, ad elevatissimo rischio in relazione alla presente alienazione;
   alla luce di quanto summenzionato, se si intendano assumere iniziative per la sospensione del suddetto bando gara, al fine di trovare soluzioni per la piena occupazione dei lavoratori di retItalia internazionale spa e, non per ultimo, per mantenere competenze e conoscenze all'interno del circuito della pubblica amministrazione e preservare gli investimenti sinora effettuati. (5-01619)

Interrogazione a risposta scritta:


   TONINELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, Al Ministro della salute, Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto emerge da una inchiesta pubblicata il 19 luglio 2013 su La Repubblica.it, nei primi mesi del 2013 il comando dei carabinieri tutela per la salute (NAS) ha sequestrato 848 mila merci irregolari e rischiose per la salute;
   si tratterebbe di merce per un valore di 6.491.000 euro, sprovvista di marchiatura CE o comunque con il marchio contraffatto, contenente sostanze chimiche in percentuali pericolose soprattutto per la salute dei bambini;
   «I bambini restano i soggetti più esposti. La maggior parte degli allarmi riguardano prodotti loro rivolti. [...] secondo il rapporto Rapex 2012, i rischi maggiori si trovano nel 19 per cento dei casi nei giocattoli. Anche per questa categoria l'elenco fornito dal Ministero della Salute è purtroppo lungo. Spade di plastica al cromo, bolle di sapone con batteri mesofili (psedomonas aeruginosa) in grado di provocare infezioni. Torce elettriche, come gadget-sorpresa racchiusi all'interno di patatine e uova di Pasqua, che si surriscaldano e si sciolgono. Giocattoli con sostanze pericolose (come acetofenone, isottanolo, cromo) rilevate nelle confezioni di plastica e classificate irritanti se poste a contatto con gli occhi o ingerite» (La Repubblica.it del 19 luglio 2013);
   rispetto all'anno 2012, il fenomeno della contraffazione è in aumento, forse anche a causa della forte crisi economica che induce i consumatori ad acquistare i prodotti più economici sul mercato;
   secondo il comunicato stampa del 21 novembre 2012 dell'Unione nazionale consumatori (UNC), l'85 per cento dei consumatori dichiara di acquistare prodotti contraffatti per risparmiare, mentre il 62 per cento ammette di saper distinguere un falso da un originale solo in alcuni casi;
   per denunciare il grave impatto che il fenomeno provoca sull'economia, l'11 novembre 2013 Confcommercio ha organizzato la giornata nazionale di mobilitazione sull'abusivismo commerciale e la contraffazione. L'iniziativa si è svolta contemporaneamente in tutta Italia;
   a Cremona l'incontro si è tenuto presso la sede di Confcommercio a Palazzo Vidoni in presenza delle istituzioni, delle autorità locali e dei commercianti. Secondo quanto riportato da un articolo dal titolo «L'abusivismo ci uccide, Negozi a rischio di chiusura» pubblicato sul quotidiano La provincia di Cremona del 12 novembre 2013, «Ci sono gli abusivi che vendono borse e cinture, contraffatte, soprattutto nei giorni di mercato e in centro città e quelli che si improvvisano parcheggiatori davanti all'ospedale e pretendono di essere pagati [...] piccolo abusivismo commerciale, certo non paragonabile, per fatturato milionario, a quello nazionale, ma altrettanto dannoso perché provoca la chiusura dei negozi regolari e delle imprese del terziario che sono già messe a dura prova dal crollo dei consumi, da una pressione fiscale insostenibile e da una cronica carenza di liquidità.»;
   alle porte di Crema un'operazione dei Nas ha portato alla luce un macello abusivo che ha diffuso sul mercato insaccati privi delle garanzie chimiche e biologiche. L'indagine è ancora in corso, ma ad oggi sono stati distrutti 553 salami e 7 quintali di cotechini, mentre una trentina di maiali rischiano di essere soppressi;
   in tale occasione i Nas hanno dichiarato: «Se sapete di macelli abusivi, segnalateli, confezionano prodotti che finiscono sulle nostre tavole che mangiamo e mangiano i nostri cari e potrebbero essere veicolo di malattie pericolose» (www.laprovinciacr.it del 22 novembre 2013);
   episodi come l'ultimo citato provocano danni alle aziende agricole locali che sono una risorsa fondamentale per l'economia territoriale. In particolare, come risulta dal dossier provincia di Cremona ufficio statistica «I principali risultati del 6o censimento generale dell'agricoltura in provincia di Cremona anno 2010 (Fonte: ISTAT) il numero delle aziende è di 4.376 di cui 1.613 con allevamenti, «Gli allevamenti di bovini e suini rappresentano la vera ossatura del comparto agricolo cremonese. Questo in virtù anche delle importanti filiere delle industrie agroalimentari presenti (latterie, macelli, trasformazione dei prodotti di scarto dei macelli).»;
   peraltro a Cremona «L'impatto della crisi sul territorio è stato dirompente. Nei primi sei mesi del 2013 in provincia di Cremona sono scomparse quasi 400 imprese, al 30 giugno 2013 ne risultano registrate 30.392. Da gennaio le iscrizioni in camera di commercio sono 919 mentre le chiusure sono 1.300 (81 le cancellazioni d'ufficio). Dunque, chiude in media più di una impresa (di qualunque genere essa sia, produttiva, commerciale, artigianale) al giorno» (www.laprovinciacr.it del 4 novembre 2013);
   il segretario della Libera associazione artigiani di Crema Giuseppe Zucchetti ha espresso forte preoccupazione per l'imprenditoria, cremasca. In proposito Zucchetti ha dichiarato sul quotidiano La Provincia di Cremona del 26 novembre 2013: «È una situazione veramente esplosiva, che mortifica lo spirito imprenditoriale. [...] La crisi ha fortemente impattato sulle aziende del nostro territorio. La caduta verticale degli ordini, in particolare, ha determinato un'importante eccedenza di capacità produttiva che le aziende non riescono più a finanziare e quindi si determina un avvitamento sempre più pericoloso circa la sostenibilità finanziaria di progetti che, sino a poco tempo fa, risultavano essere strategici. Non a caso a soffrire di più risultano essere le aziende abbastanza strutturate che negli ultimi anni hanno messo in essere processi di investimento che oggi, complice anche la forte stretta del credito attuata dalle banche, non riescono più a sostenere –:
   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano adottare al fine di assicurare ai cittadini e alle imprese una maggiore tutela rispetto al fenomeno della contraffazione e dell'abusivismo commerciale, anche al fine di salvaguardare le aziende della provincia di Cremona già messe a dura prova dalla grave crisi economica in atto. (4-02738)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Zampa e altri n. 1-00156, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Beni.

  La mozione Gigli e altri n. 1-00254, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: D'Ottavio, Marchi, Montroni, Fiano.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Tofalo e altri n. 4-02615, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Luigi Di Maio.

  L'interrogazione a risposta scritta Binetti n. 4-02722, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Tinagli.

  L'interrogazione a risposta scritta Mongiello n. 4-02734, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bobba.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Guidesi n. 4-02713 del 28 novembre 2013.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta dal presentatore: interrogazione a risposta orale Palmizio n. 3-00343 del 25 settembre 2013 in interrogazione a risposta scritta n. 4-02754.